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SABINO FORTUNATO *
SOMMARIO: 1. Codice della crisi e modifiche al codice civile. — 2. Modifiche implicite di sistema?
Vocazione universalistica della riforma ed esiti differenziati. — 3. Le modifiche codici-
stiche sugli assetti organizzativi dell’imprenditore nel novellato art. 2086 c.c. Esigenza di
riformulazione della clausola generale. — 4. Gestione dell’impresa societaria e rispetto
del principio di adeguatezza degli assetti organizzativi. Correlazione con il principio di
esclusività gestoria in capo agli amministratori. Singolare “eterogenesi dei fini” in materia
di competenze gestorie di assemblea e soci. — 5. Gli interventi sulla governance della
s.r.l., in tema di responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali (art. 2476,
comma 5) e di controlli giudiziari e non (art. 2477). — 6. Cause di scioglimento societario
e criteri presuntivi di danno (art. 2486, comma 3). — 7. Crisi d’impresa, responsabilità
gestorie e di monitoraggio, rischi di selezione avversa, business judgment rule.
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(3) Si tratta degli artt. 375, 377, 378 e 379 CCII che intervengono a modifica degli artt.
2086, 2256, 2380-bis, 2489-novies, 2475, 2476, 2477 e 2486 c.c.
(4) Per una prima valutazione complessiva dell’intera riforma cfr. G. LO CASCIO, Il codice
della crisi di impresa e dell’insolvenza: considerazioni a prima lettura, in Fallimento, 2019, 263
ss. che si dichiara « deluso » dall’introduzione del CCII « perché, dopo anni di interventi legi-
slativi a pioggia, non sembra che sia stata realizzata quell’auspicata privatizzazione del risana-
mento delle imprese ». Parimenti critica la valutazione di L. STANGHELLINI, Il codice della crisi di
impresa: una primissima lettura (con qualche critica), in Corr. giur., 2019, 450 ss. Per un primo
commento monografico v. G. FAUCEGLIA, Il nuovo diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino,
2019, passim.
(5) Art. 376 CCII con riguardo all’art. 2119 c.c.
(6) E v. l’art. 380 CCII con riguardo all’art. 2484 c.c.
(7) Così l’art. 382 CCII che modifica: (i) l’art. 2288 sulla società semplice — e conse-
guentemente sulla s.n.c. e sulla s.a.s. per effetto dei richiami — in tema di esclusione di diritto
del socio illimitatamente responsabile; o (ii) l’art. 2308 in tema di causa di scioglimento della
società in nome collettivo; o (iii) l’art. 2497, ult. co., in tema di attribuzione delle azioni di re-
sponsabilità al curatore o al commissario liquidatore o al commissario straordinario; ovvero
l’art. 381 in materia di società cooperative ed enti mutualistici che modifica l’art. 2545-terdecies
e l’art. 2545-sexiesdecies.
(8) Così l’art. 383 CCII che sopprime l’inciso del primo comma art. 2467 sulle s.r.l., se-
condo cui il finanziamento sospetto del socio, pagato nell’anno precedente la dichiarazione di
fallimento della società, andava restituito. La norma è ora trasfusa nell’art. 164, comma 2, CCII
ma con la espressa comminatoria della « inefficacia » rispetto alla massa dei creditori dei rim-
borsi compiuti dopo il deposito della domanda cui sia seguita l’apertura delle procedure con-
corsuali — presumibilmente la liquidazione giudiziale — o « nell’anno anteriore », laddove
l’anteriorità decorre non più dalla sentenza dichiarativa della liquidazione giudiziale ma dal
deposito della relativa domanda. L’art. 384 abroga poi l’art. 2221 c.c., che era già di per sé
norma di sostanziale mero rinvio alla disciplina della legge fallimentare e di altre leggi speciali e
che ora trova il proprio sostituto nell’art. 1 — ambito di applicazione —, nell’art. 85 — pre-
supposti per l’accesso alla procedura di concordato preventivo — e nell’art. 121 CCII — pre-
supposti della liquidazione giudiziale —.
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(9) Cfr. G. FERRI jr, La liquidazione giudiziale, Relazione tenuta il 14 febbraio 2018 al
Convegno dal titolo “Verso la riforma della crisi d’impresa e dell’insolvenza” organizzato
presso l’Università di Roma Tre.
(10) Così ancora l’art. 1 della bozza di Codice nella versione del 17 febbraio 2017.
(11) Se ne può trovare conferma nel Parere del Consiglio di Stato, Adunanza della
Commissione speciale del 5 dicembre 2018: « L’art. 56, nel dettare la disciplina degli accordi in
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(14) Segnalo che nel Parere del Consiglio di Stato (nt. 11) si legge: « L’individuazione dei
soggetti legittimati ad accedere agli strumenti de quibus mediante il mero richiamo all’art. 2,
comma 1, lett. c), pur rispondendo ad apprezzabili esigenze di sintesi rischia, di creare possibili
aree chiaroscurali sulle quali si ritiene opportuno richiamare l’attenzione del Governo. In par-
ticolare, non risulta di immediata intellegibilità la volontà del legislatore delegato in relazione
all’imprenditore agricolo, che figurando nominativamente — come del resto in passato — nel-
l’elenco dei possibili fruitori delle procedure da indebitamento, separatamente dall’“imprendi-
tore minore” parrebbe non essere assoggettato ad alcuna distinzione di disciplina in relazione al
limite dimensionale. Quanto detto peraltro tenuto conto che anche in relazione ai piani attestati
di risanamento, per i quali il Codice prevede espressamente l’applicabilità agli imprenditori
“non commerciali” (v. supra, sub art. 56) ovvero agli accordi di ristrutturazione, ove si tratti di
imprenditore “non minore”, non sussistono limitazioni all’accesso sulla base del quadro nor-
mativo proposto nel codice. E tuttavia in senso diametralmente opposto pare esprimersi la Re-
lazione illustrativa che, nel rappresentare i contenuti dell’art. 65, concernente genericamente
l’ambito di applicazione delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, vi
ricomprende « gli imprenditori agricoli, che, pur svolgendo attività imprenditoriale non sono
soggetti alle procedure della crisi “maggiori” », tra le quali annovera sia i piani attestati che gli
accordi di ristrutturazione, con ciò evidenziando una ritenuta alternatività tra i vari rimedi,
quanto meno in relazione alle dimensioni dell’impresa. Ciò peraltro in apparente contrasto con
l’esigenza, particolarmente sentita in giurisprudenza, di operare dei distinguo anche qualitativi
all’interno delle attività dell’impresa agricola, tenuto conto dell’attuale formulazione del
comma 3 dell’art. 2135 c.c., laddove le “attività connesse” con quelle correlate alla coltivazione
del fondo assumano un rilievo decisamente prevalente e sproporzionato rispetto a quelle di
coltivazione, allevamento e silvicoltura, con onere della prova a carico di chi invochi l’esenzione
(cfr. Cass., 8 agosto 2016, n. 16614). Ove, pertanto, non si intenda riferire la possibilità di ac-
cesso dell’imprenditore agricolo al concordato preventivo minore a prescindere dai suoi limiti
dimensionali, si rende necessario integrare il comma 1 dell’art. 65 — ovvero, se preferibile, l’art.
2, comma 1, lett. c) — con suddetto richiamo alla dimensione dell’impresa; diversamente, si
rende opportuno chiarire in relazione illustrativa le ragioni della scelta di favore operata nei
confronti dello stesso rispetto ad altre tipologie di imprenditori non commerciali ».
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(15) Sulla categoria v. O. CAGNASSO, Il diritto societario della crisi fra passato e futuro, in
Giur. comm., 2017, I, 33 ss. e anche in Le procedure concorsuali verso la riforma tra diritto
italiano e diritto europeo, a cura di P. Montalenti, Milano, 2018; P. MONTALENTI, La gestione
dell’impresa di fronte alla crisi tra diritto societario e diritto concorsuale, in Riv. dir. soc., 2011,
822 ss.; U. TOMBARI, Principi e problemi di “diritto societario della crisi”, in Società, banche e
crisi d’impresa. Liber amicorum Pietro Abbadessa, diretto da M. Campobasso - V. Cariello - V.
Di Cataldo - F. Guerrera - A. Sciarrone Alibrandi, 3, Torino, 2014, 2835 ss.; AA. VV., Diritto
societario e crisi di impresa, a cura di U. Tombari, Torino, 2014, passim; A. NIGRO, Il “diritto
societario della crisi”: nuovi orizzonti?, in questa Rivista, 2018, 1207 ss. (ove ulteriori riferi-
menti).
Ma v. in senso critico sulla categoria R. SACCHI, Sul così detto diritto societario della crisi:
Una categoria concettuale inutile o dannosa?, in NLCC, 2018, 1280 ss.; da ultimo P. BENAZZO,
Il Codice della crisi d’impresa e l’organizzazione dell’imprenditore ai fini dell’allerta: diritto
societario della crisi o crisi del diritto societario?, in questa Rivista, 2019, 283 ss. V’è poi chi
preferisce parlare piuttosto di « diritto dell’impresa in crisi », evidenziando così la centralità del
« paradigma dell’impresa » e del « diritto dell’impresa », secondo una prospettiva unitaria e non
sezionale: F. PACILEO, Continuità e solvenza nella crisi di impresa, Milano, 2017, 553.
Ritiene che le disposizioni introdotte in tema di assetti organizzativi dell’imprenditore
debbano considerarsi « sovrabbondanti e sostanzialmente inutili » A. BARTALENA, Le azioni di
responsabilità nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Fallimento, 2019, 298 ss.
(300). L’A., infatti, critica la collocazione dei detti obblighi gestori nell’ambito della disciplina
generale d’impresa, ritenendone preferibile una collocazione nelle singole norme relative agli
amministratori nei vari tipi societari ma « con una differenziazione ed una parametrazione che
tenesse conto delle particolarità di ciascuno di loro ». Nel contempo evidenzia che gli obblighi
organizzativi degli amministratori e gli obblighi di tempestiva rilevazione dei segnali di crisi e
attivazione sono già desumibili dalla normativa previgente, « per cui la portata innovatrice e
l’utilità pratica degli artt. 375 e 377 possono essere fondatamente revocate in dubbio » (301).
Sulla sostanziale non innovatività degli obblighi organizzativi in funzione della tempestiva ri-
levazione degli indici di crisi e attivazione degli adeguati rimedi, come desumibili dal sistema
anche prima della riforma, v. per tutti V. CALANDRA BUONAURA, L’amministrazione della società
per azioni nel sistema tradizionale, in Trattato di diritto commerciale fondato da V. Buonocore
e diretto da R. Costi, Torino, 2019, 304 ss., ove ulteriori riferimenti, cui adde N. ABRIANI - A.
ROSSI, Nuova disciplina della crisi d’impresa e modificazioni del codice civile: prime letture, in
Società, 2019, 396, che parlano di doveri « già immanenti al sistema » (espressi dagli artt. 2403,
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2392, 2394, 2486). Mi permetto rinviare anche al mio intervento, S. FORTUNATO, La gestione
dell’impresa di fronte alla crisi, in Le soluzioni concordate della crisi d’impresa, a cura di A.
Jorio, Milano, 2012, 173 ss. ove evidenziavo la rilevanza per un verso delle regole sul capitale
sociale, ma soprattutto di quelle su bilancio e revisione in materia di continuità aziendale a
fondamento degli obblighi gestori e di monitoraggio suddetti.
(16) Analoga posizione in M. S. SPOLIDORO, Note critiche sulla “gestione dell’impresa”
nel nuovo art. 2086 c.c., in questa Rivista, 2019, 262 ss.. G. FAUCEGLIA (nt. 4), 230 ritiene che
« la contrapposizione tra societario e collettivo (assente nell’art. 3, comma 2, che si limita a
contrapporre l’imprenditore collettivo a quello individuale, ma riproposta, ad es., nell’art. 259)
allude probabilmente alle ipotesi di impresa collettiva non societaria ove il principio di ade-
guatezza pure è richiamato in tema di controlli (art. 30, comma 6, d. lgs. n. 117/2017, Codice
del Terzo settore) ».
(17) Segnalo che, per fortuna, è caduto il 1° comma della precedente formulazione del
principio presente nella bozza del 17 febbraio 2018 come art. 4 (Diritti ed obblighi del debitore)
e che recitava: « Il debitore deve assumere le obbligazioni in modo prudente e proporzionato
alle proprie capacità patrimoniali ».
Un tale livello di (pericolosa) astrazione del principio è da addebitarsi alla tendenza uni-
versalistica delle bozze iniziali, che portava ad un livellamento delle figure soggettive in termini
di mero debitore e di cui permane traccia in vari punti dello stesso CCII (compresa la rubrica
dell’art. 3 CCII, che parla ora soltanto di « doveri del debitore » — non più di « obblighi » né di
« diritti », dei quali ultimi non v’era e non v’è traccia nel contenuto della norma — ma che di
fatto disciplina i doveri del solo imprenditore, individuale o collettivo). Quel livellamento
avrebbe avuto senso ove vi fosse stato un trattamento generalizzato della crisi e dell’insolvenza
di imprenditore e debitore civile, il che non è accaduto, a mio avviso con inutile incremento e
complicazione delle connesse procedure. Ho parlato di « pericolosa astrazione », poiché, se si
ragiona in termini di principi generali con riguardo a qualsiasi debitore e gli si impone di assu-
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mere obbligazioni con prudenza e in proporzione alle proprie capacità patrimoniali, ci si pone in
contrasto con il fenomeno imprenditoriale (e dunque con la figura del debitore-imprenditore)
che fonda la propria attività e il proprio comportamento sull’assunzione del rischio. Né può
trascurarsi la circostanza che quel principio sembra fare a pugni con la tendenza a costituire
società dotate di capitale e mezzi propri esigui rispetto al finanziamento esterno (come, per
esempio, le s.r.l. in generale e soprattutto a capitale di 1 E). Per inciso segnalo che la rubrica
dell’articolo in questione sembra essere stata cambiata anche su suggerimento del Parere reso
dal Consiglio di Stato, Adunanza della Commissione speciale del 5 dicembre 2018, che ha os-
servato: « Art. 3 - Gli articoli 3, 4 e 5 prevedono obblighi e doveri dei soggetti che partecipano
alla regolazione della crisi e dell’insolvenza (debitore, parti, autorità preposte). Relativamente
al ‘debitore’ è opportuno modificare la rubrica dell’articolo 3, sostituendo la parola “Obblighi”
con la parola “Doveri”, per esigenze di omogeneità, tenendo conto che tale ultimo termine è
utilizzato nella rubrica dell’art. 4, dedicato ai “Doveri delle parti”. Anche perché, in effetti, non
sembra trattarsi di “obblighi” in senso tecnico ».
(18) Formula analoga a quella utilizzata dall’art. 2214 c.c. per individuare le scritture
contabili “relativamente” obbligatorie. In similare ordine di idee mi pare si muovano le osser-
vazioni di N. ABRIANI - A. ROSSI (nt. 15), 393 ss., quando evidenziano « l’approccio relativo e
sostanziale » del parametro che deve guidare l’applicazione della norma alle realtà imprendi-
toriali di minori dimensioni, riconoscendovi comunque l’essenzialità dell’elemento organizza-
tivo, benché in tali realtà esso possa coincidere con il monitoraggio esercitato direttamente
dall’imprenditore individuale o dai soci-amministratori. In questo senso, non mi sembra cor-
retto affermare che venga meno lo stesso an dell’assetto organizzativo, pur minimo (e v. p. 395,
ma con difforme valutazione a nt. 6). Parimenti R. RORDORF, nelle sue Osservazioni allo schema
di d.lgs., depositate in sede di audizione presso la Commissione Giustizia della Camera dei De-
putati in data 4 dicembre 2018, rileva che « alcuni hanno criticato la scelta di estendere ad ogni
tipo d’impresa il dovere di istituire adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili
anche in funzione della rilevazione tempestiva degli eventuali sintomi di crisi e della tempestiva
conseguente reazione. Si è obiettato che una tale previsione sarebbe plausibile solo per le im-
prese di maggiori dimensioni e mal si attaglierebbe invece alle minori. Ma mi sembra si possa
replicare che l’adeguatezza dell’organizzazione è un concetto relativo, che ovviamente va
commisurato alla dimensione ed alla natura dell’impresa, onde è evidente che altro si richiederà
a tal proposito ad una società per azioni, operante magari su scala internazionale ea capo di un
gruppo d’imprese, altro ad una piccola impresa su base familiare. Ma l’impresa è sempre
un’attività economica organizzata (come espressamente indica il primo comma dell’art. 2082
c.c.) e perciò qualunque imprenditore, quale che sia la dimensione della sua impresa, deve co-
munque porsi in condizione di sapere per tempo se la sua attività è in grado di proseguire effi-
cientemente o se vi siano sintomi di una crisi che potrebbe preludere all’insolvenza danneg-
giando così anche i suoi creditori ».
G. RIOLFO, Il nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza e le modifiche al codice
civile: il diritto societario tra “rivisitazione” e “restaurazione”, in Contr. e impr., 2019, 399 ss.
osserva che « presumibilmente la soluzione adottata nel Codice risente del timore, espresso da
più parti, che imporre la predisposizione di assetti organizzativi anche all’imprenditore indivi-
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duale lo avrebbe gravato di eccessivi oneri e costi » (405), timore superabile da una corretta
interpretazione dell’obbligo secondo il principio di proporzionalità e relatività già evidenziato.
(19) Sulla rilevanza del contesto ai fini della specificazione delle clausole generali, onde
sottrarle alla discrezionalità creativa del Giudice nel momento applicativo, mi permetto di rin-
viare a S. FORTUNATO, Sull’abuso del diritto e “sull’abuso dell’abuso”, in Riv. dir. civ., 2019, 321
ss., specie 331 ss.; e già ID., Clausole generali e informazione contabile fra integrazione giuri-
sprudenziale e integrazione professionale, in Contr. e impr., 2010, 477 ss., specie 480 ss.
(20) Sul principio di ragionevolezza cfr. in generale L. NIVARRA, Ragionevolezza e diritto
privato, in Ars interpretandi, 2002, 373 ss.; S. TROIANO, La ragionevolezza nel diritto dei con-
tratti, Padova, 2005; A. RICCI, Il criterio della ragionevolezza nel diritto privato, Padova, 2007;
S. ZORZETTO, La ragionevolezza dei privati. Saggio di metagiurisprudenza esplicativa, Milano,
2008; E. GIORGINI, Ragionevolezza e autonomia negoziale, Napoli, 2010; S. PATTI, Ragionevo-
lezza e clausole generali, Milano, 2013; P. PERLINGIERI, Profili applicativi della ragionevolezza
nel diritto civile, Napoli, 2015; e con applicazione al diritto societario A. NIGRO, “Principio” di
ragionevolezza e regime degli obblighi e della responsabilità degli amministratori di s.p.a., in
Giur. comm., 2013, I, 479 ss.; P. MONTALENTI, Nuove clausole generali nel diritto commerciale
tra civil law e common law, in Osservatorio dir. civ. e comm., 2015, 133 ss.; M. SPIOTTA, Conti-
nuità aziendale e doveri degli organi sociali, Milano, 2017, 3 ss. (che riconduce la ragionevo-
lezza — sulla scia di Ricci — alla aristotelica phronesis, intesa come « saggezza pratica » ovvero
« giusta via di mezzo tra l’eccesso e il difetto ». Nello specifico del diritto commerciale la ragio-
nevolezza verrebbe declinata in termini di “razionalità economica sul presupposto di adeguata
programmazione tendente all’equilibrio economico-finanziario).
In senso critico, però, sul principio di ragionevolezza quale limite troppo generico alle
scelte organizzative-gestorie dell’imprenditore, soprattutto se inteso a sindacare il contenuto
dell’atto piuttosto che il procedimento decisionale della sua adozione, così da trascendere da un
giudizio di legittimità in un inaccettabile giudizio di merito, v. da ultimo V. CALANDRA BUONAURA
(nt. 15), 288 s., che richiama anche le posizioni di Zanardo, Brizzi, Tina, Bonelli e Piscitello.
(21) Sottolinea che con il CCII « l’imprenditore ha dovuto assumere una massiccia dose
di cultura economico-aziendale » G. VERNA, Strumenti per il nuovo assetto organizzativo delle
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società, in Società, 2019, 929 ss., nel contempo declinando la formula “assetti organizzativi,
amministrativi e contabili” nei seguenti termini: « Più in particolare l’assetto organizzativo
comporta la necessità di istituire un organigramma che definisca funzioni, poteri e deleghe di
firma; l’assetto amministrativo identifica l’insieme delle procedure dirette a garantire l’ordinato
svolgimento delle attività aziendali e delle singole fasi nelle quali le stesse si articolano, mentre
l’assetto contabile si riferisce al sistema di rilevazione dei fatti di gestione ». Analoga classifi-
cazione in G. FAUCEGLIA (nt. 4), 230. ASSONIME, Le nuove regole societarie sull’emersione anti-
cipata della crisi d’impresa e gli strumenti di allerta, Circ. n. 19/2019, 21 classifica come segue i
detti assetti: « Per assetti organizzativi si intende far riferimento agli aspetti statico-strutturali
dell’organizzazione dell’impresa nel senso di configurazione di funzioni e competenze (funzio-
nigramma), poteri e responsabilità (organigramma). Gli assetti amministrativi fanno riferi-
mento a una dimensione dinamico-funzionale dell’organizzazione, intendendosi per tale l’in-
sieme delle procedure e dei processi atte ad assicurare il corretto e ordinato svolgimento delle
attività aziendale e delle sue singole fasi. Gli assetti contabili sono quella parte degli assetti
amministrativi voti a una corretta traduzione contabile dei fatti di gestione sia ai fini di pro-
grammazione sia ai fini di consuntivazione ».
(22) La norma è poi richiamata integralmente per il sistema monistico — art. 2409-no-
viesdecies —, ma ritengo che essa sia applicabile anche al sistema dualistico in capo al consiglio
di gestione.
(23) Cfr. l’art. 2409-terdecies, comma 1, lett. c) per il consiglio di sorveglianza e l’art.
2409-octiesdecies, comma 5, lett. b) quanto al comitato per il controllo sulla gestione.
Ancor più recentemente il principio è declinato in tema di società a partecipazione pub-
blica nel relativo Testo unico (d.lgs. n. 175/2016), prevedendosi che siano predisposti specifici
programmi di valutazione del rischio di crisi aziendale con informativa all’assemblea nella re-
lazione sul governo societario (art. 6, commi 2 e 3) e adottando senza indugio i provvedimenti
necessari a prevenire l’aggravamento della crisi, correggerne gli effetti ed eliminarne le cause
attraverso idoneo piano di risanamento (art. 14, comma 2).
Sul tema degli assetti organizzativi societari, dopo l’iniziale saggio monografico di M. IR-
RERA, Assetti organizzativi adeguati e governo delle società di capitali, Milano, 2005, i contributi
dottrinari si sono moltiplicati: v. già V. BUONOCORE, Adeguatezza, precauzione, gestione, re-
sponsabilità: chiose sull’art. 2381, commi terzo e quinto del codice civile, in Giur. comm.,
2006, I, 5 ss.; C. AMATUCCI, Adeguatezza degli assetti, responsabilità degli amministratori e Bu-
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siness Judgement Rule, ivi, 2016, I, 643 ss.; i vari contributi di G. BIANCHI, M. DE MARI, G. ME-
RUZZI, A. MINTO raccolti in Assetti adeguati e modelli organizzativi nella corporate governance
delle società di capitali, a cura di M. Irrera, Bologna, 2016; O. CAGNASSO, Gli assetti adeguati
nella società a responsabilità limitata, in NDS, 2017, 11 ss.; V. DE SENSI, Adeguati assetti orga-
nizzativi e continuità aziendale: profili di responsabilità gestoria, in questa Rivista, 2017, 311
ss.; I. KUTUFÀ, Adeguatezza degli assetti organizzativi e responsabilità gestoria, in AA.VV., Liber
Amicorum Antonio Piras - Amministrazione e controllo nel diritto delle società, Torino, 2010,
707 ss.; S. CERRATO, Risikogesellschaft e corporate governance: prolegomeni sulla costruzione
degli assetti organizzativi per la prevenzione dei rischi. Il caso delle imprese agroalimentari, in
questa Rivista, 2019, 153 ss. Con riferimento alla riforma Rordorf prodromica al Codice della
Crisi v. P. MONTALENTI, Gestione dell’impresa, assetti organizzativi e procedure di allerta nella
riforma Rordorf, in Nds, 2018, 951 ss. Cfr. da ultimo V. CALANDRA BUONAURA (nt. 15), 293 ss. che
ritiene, a mio avviso correttamente, che il dovere di istituire assetti organizzativi adeguati non
possa inquadrarsi fra gli “obblighi specifici” degli amministratori, traducendosi il principio di
“adeguatezza” in una clausola generale (o dovere a contenuto indeterminato o aperto) che deve
essere ulteriormente specificata secondo principi di relatività e proporzionalità (natura e di-
mensione). Sostanzialmente analoga la posizione di ASSONIME (nt. 21), 22, pur nell’ambiguità
fra “obbligo specifico” e “contenuto indeterminato o aperto” (« tuttavia, è da sottolineare come
si tratta di un dovere specifico a contenuto indeterminato o “aperto”, nel senso che il contenuto
di questo obbligo si definisce attraverso il ricorso a clausole generali (con le conseguenti rica-
dute in termini di responsabilità su cui infra) ».
A proposito degli assetti organizzativi delle società a partecipazione pubblica si veda: M.
STELLA RICHTER jr, I “controlli” nelle società a partecipazione pubblica, in questa Rivista, 2018,
1368 ss.; F. GUERRERA, Crisi e insolvenza delle società a partecipazione pubblica, in Giur.
comm., 2017, I, 371 ss.; G. RACUGNO, Crisi d’impresa di società a partecipazione pubblica, in
questa Rivista, 2016, 1144 ss.
(24) L’art. 3 CCII, nell’ottica del principio generale, benché richiami l’art. 2086 c.c. nel
secondo comma dedicato all’imprenditore collettivo, sembra correlare l’obbligo ai soli fini della
« tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell’assunzione di idonee iniziative », analoga-
mente a quanto disposto nel primo comma per l’imprenditore individuale. Pone un rapporto di
species a genus fra l’art. 2086 c.c. e l’art. 3 CCII G. FAUCEGLIA (nt. 4), 229. Peraltro nel citato art.
3 scompare ogni riferimento alla continuità aziendale, salvo a capire quale delle due disposi-
zioni possa apprezzarsi più o meno ridondante. Ma tutto ciò è indice della difficoltà in cui si
incorre, laddove si vogliano codificare principi generali, che a mio avviso dovrebbero essere ri-
cavati dall’interprete in una lettura sistematica dell’ordinamento, pena il rischio di un disage-
vole “cortocircuito interpretativo” fra principio generale e disposizione di dettaglio. Sulla pro-
blematica sollevata dal processo di positivizzazione dei principi generali anche nella specifica
vicenda del Codice della crisi v. G. D’ATTORRE, La formulazione legislativa dei principi generali
nel codice della crisi e dell’insolvenza, Banca borsa, 2019, I, 461 ss. e in particolare 474 ss.
È evidente che l’obbligo di assetti organizzativi adeguati alla natura e alla dimensione
dell’impresa non è funzionale solo alla rilevazione dello stato di crisi, ma svolge una sua fun-
zione fisiologica in termini di corretta gestione dell’impresa, collocandosi — come si è già rile-
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vato — alla stregua di principio generale del diritto d’impresa. Sottolinea il carattere fisiologico
dell’obbligo anche G. VERNA (nt. 21), 930 (« Di conseguenza il rispetto dell’obbligo di istituire
un adeguato assetto Or.Am.Co. è previsto dall’ordinamento giuridico non solo per cogliere i
segni premonitori della crisi o addirittura dell’insolvenza, ma come regola di condotta di un
gestore d’impresa »). ASSONIME (nt. 21), 6 evidenzia peraltro: « la crisi viene così collocata al-
l’interno del più ampio sistema di gestione e controllo dei rischi, che costituisce oggi il perno
della gestione e delle strategie dell’impresa. In questa chiave la cultura della crisi, tradizional-
mente collocata negli aspetti patologici della vita dell’impresa, diviene parte integrante anche
dei momenti fisiologici e dell’organizzazione aziendale. Si tratta di un cambiamento di approc-
cio, già anticipato da alcune disposizioni delle riforme precedenti che avevano avvicinato il di-
ritto societario al diritto concorsuale”. In sostanza il rischio della crisi e dell’insolvenza diventa
un rischio da gestire in via fisiologica sin dalla fase di normale/ordinaria gestione dell’impresa.
In questo senso può forse apprezzarsi la novità della codificazione del principio: la prevenzione
e gestione del rischi di crisi è una species della prevenzione e gestione dei rischi d’impresa, si
assiste insomma ad una normalizzazione giuridica della crisi d’impresa. Il novellato art. 2086,
comunque, dà attuazione al principio direttivo recato dall’art. 14, lett. b) della legge delega n.
155/2017 che rinvia al “dovere dell’imprenditore e degli organi sociali di istituire assetti orga-
nizzativi adeguati per la rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità azien-
dale, nonché di attivarsi per l’adozione tempestiva di uno degli strumenti previsti dall’ordina-
mento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale ».
Pongono giustamente in luce la centralità del dovere di istituire adeguati assetti organiz-
zativi come elemento che costituisce il « cuore della funzione gestoria » N. ABRIANI - A. ROSSI (nt.
15), 395. In questo senso va ridimensionata l’affermazione di chi sembra voler incardinare
prioritariamente negli assetti statutari decisi dai soci il dovere della predisposizione di adeguati
assetti organizzativi (G. RIOLFO (nt. 15), 407 afferma infatti: « Potremmo pertanto pensare che
oggi incomba anzitutto ai soci stessi (in qualunque tipo società) predisporre lo statuto in modo
tale da prefigurare una organizzazione interna funzionale a consentire poi agli amministratori,
nell’esercizio delle loro competenze, di realizzare e mantenere assetti adeguati »). Il compito è
senz’altro di competenza degli amministratori, i quali hanno il dovere di segnalare ai soci la
inadeguatezza degli assetti derivanti dallo statuto o dagli investimenti a ciò destinati.
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(25) Segnalo che l’esigenza di revisione del testo non solo di questa disposizione, ma
anche di molte altre disposizioni del Codice della crisi, viene invocata da più parti. È opportuno
approfittare della possibilità concessa con l’approvazione della legge 8 marzo 2019, n. 20, che
legittima il Governo ad « adottare disposizioni integrative e correttive » del CCII per due anni
dalla sua entrata in vigore (e dunque fino al 14 agosto 2022). Giustamente L. STANGHELLINI (nt.
4), 450 ss. sottolinea che modifiche più consistenti al Codice potranno derivare dalla attuazione
della direttiva 2019/1023/UE (cd. Direttiva sulla ristrutturazione e sull’insolvenza d’impresa),
pubblicata su GUCE 26 giugno 2019, che indica soluzioni più flessibili di quelle fatte proprie
dal nostro legislatore.
(26) E v. artt. 2293 e 2315.
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alla s.p.a. (art. 2380-bis, e quindi la s.a.p.a. ex art. 2454, ma anche la società
azionaria a sistema dualistico: art. 2409-novies, nonché a sistema monistico:
l’art. 2409-noviesdecies vi rende applicabile — fra l’altro — l’art. 2380-
bis (27)), dalla s.r.l. (art. 2475) a tutte le altre tipologie societarie che co-
munque richiamano le disposizioni indicate (e così anche la società coope-
rativa ex art. 2519, commi 1 e 2). Insomma la regola sugli adeguati assetti
organizzativi è elevata a principio generale dell’intero diritto societario con
la formula reiterata del seguente tenore: « la gestione dell’impresa si svolge
nel rispetto della disposizione di cui all’articolo 2086, secondo comma ».
Peraltro è da chiedersi quale sia l’utilità di un tale ripetuto richiamo
nella sede propria di ogni tipo societario, laddove l’applicabilità dell’art.
2086 a quei tipi era più che esplicita nella stessa formulazione della disposi-
zione generale, che si perita anzi di allargare quell’obbligo a « l’imprendi-
tore, che operi in forma societaria o collettiva », e dunque — come si è già
rilevato — anche ben oltre i confini delle società (28).
Ove si voglia recuperare un significato aggiuntivo a questa invero strana
tecnica legislativa, si potrebbe valorizzare la stretta correlazione fra il gene-
rico dovere dell’imprenditore di istituire i noti assetti organizzativi e la
competenza e responsabilità per la gestione dell’impresa, cui quella istitu-
zione di assetti è riconducibile e che fa carico in via esclusiva agli ammini-
stratori.
E infatti le norme dettate nei singoli tipi societari, cui si è già fatto rife-
rimento, ribadiscono invariabilmente che « la gestione dell’impresa (...)
spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni
necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale »” (29); e ciò sia che si tratti di
società di persone sia che si tratti di società di capitali, in specie tanto di so-
cietà azionarie quanto di società a responsabilità limitata.
A me pare che in questo modo, con la generalizzazione di un principio
originariamente formulato nella sola sede della società azionaria ai sensi
dell’art. 2380-bis, si attui una singolare “eterogenesi dei fini”. Cercherò di
dare consistenza a questa mia affermazione.
L’art. 2380-bis con l’attribuzione esclusiva della gestione dell’impresa
agli amministratori è stata considerata « una delle disposizioni più signifi-
cative tra quelle dettate con la novella del 2003, ma anche una delle norme
più ricche di implicazioni per la stessa ricostruzione delle caratteristiche ti-
(27) G. FAUCEGLIA (nt. 4), 236 sottolinea che il Testo unico sulle società a partecipazione
pubblica (d. lgs. n. 175/2016) estende a tali società la disciplina sull’insolvenza (art.14), ma
consente la deroga all’art. 2380-bis alle società in house.
(28) N. ABRIANI - A. ROSSI (nt. 15), 396, pur essi critici sulla tecnica legislativa adottata,
segnalano la possibilità che il ripetuto richiamo dell’art. 2086 in ogni tipo societario (da essi
definito vero e proprio “mantra”) trovi giustificazione nella sua applicazione a società/enti che
non esercitino attività imprenditoriale, come le società tra avvocati o il GEIE tra professionisti.
(29) L’unica variante concerne il sistema dualistico, ove il riferimento è — con il singo-
lare — al « consiglio di gestione », con ciò che ne segue.
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pologiche della società per azioni ». In questo senso è stata letta come la
conferma del progressivo mutamento della concezione che ancora nel codice
di commercio del 1882 considerava gli amministratori « mandatari » dei soci
in quella che, già nel codice civile del 1942, li rende « legalmente » autonomi
sul piano delle competenze dall’assemblea dei soci, in linea con la oggetti-
vazione e spersonalizzazione dell’investimento azionario e con la conse-
guente specializzazione della funzione gestoria non collimante — si afferma
— con una « impostazione che enfatizzi il ruolo di governo dei soci, poi rea-
lizzato in sede assembleare ». In tal senso quella norma varrebbe a distin-
guere il tipo sociale azionario dalla società a responsabilità limitata, « dove
l’esercizio delle funzioni gestorie, anche in presenza di una scelta dell’auto-
nomia statutaria orientata ad accogliere un modello di organizzazione di tipo
corporativo, e dunque basato sul principio della specializzazione funzionale
degli uffici, è pur sempre riservato, in via finale, ai soci collettivamente, tanto
che essi possono avocare ogni decisione gestoria secondo il meccanismo
dettato dall’art. 2479, 1° co., c.c. » (30).
Ovviamente non ci si può e non ci si deve nascondere che la rigida in-
terpretazione dell’art. 2380-bis, autorevolmente sostenuta sia pure con varie
sfumature da molti esponenti della scuola romana (Libonati, Angelici,
Guizzi), è altrettanto autorevolmente contrastata da chi (Maugeri, ma v. già
Abbadessa e Portale), pur riconoscendo nelle linee di fondo il graduale pro-
cesso modificativo del rapporto amministratori-assemblea in termini di
specializzazione e tendenziale autonomia delle rispettive competenze, se-
condo uno “schema costituzionale” tripartito (assemblea, amministratori,
rappresentanti legali), contesta che ciò si traduca in una sorta di « incontra-
stata primazia degli amministratori », sia perché il catalogo delle materie
devolute dalla legge alla cognizione assembleare, direttamente o indiretta-
mente, anche in materia gestoria è ben più consistente di quanto emerga
dalle norme codicistiche in tal senso rubricate, sia perché deve potersi rico-
noscere quantomeno una facoltà degli amministratori di consultare l’as-
semblea dei soci per l’esame di oggetti attinenti alla gestione al fine di ac-
quisire il parere o le raccomandazioni degli stessi. Tanto non incrinerebbe
comunque il principio della esclusiva competenza e responsabilità degli
amministratori nella gestione dell’impresa, ma sottolineerebbe il ruolo del-
l’assemblea come organo rappresentativo dei soci quali titolari dell’interesse
gestito, dovendosi riconoscere che anche la società azionaria è « un feno-
meno gestorio [in quanto] caratterizzato dalla imputazione ai soci dell’uti-
lità prodotta dalla società » e quindi una gestione nell’interesse altrui. Di qui
una fondamentale funzione di orientamento che deve riconoscersi all’or-
(30) Le espressioni virgolettate sono di G. GUIZZI, Sub art. 2380 bis - Amministrazione
della società, in Commentario del codice civile, diretto da E. Gabrielli, artt. 2379-2451, Torino,
2015, 72 ss.. Ma l’A. si richiama agli orientamenti fatti propri soprattutto da Libonati e Angelici
in vari scritti.
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gano assembleare dei soci, cui comunque compete la selezione dei soggetti
preposti alla gestione dell’impresa sociale e la determinazione della misura
di remunerazione dell’investimento, più ampiamente delle « condizioni ge-
nerali della partecipazione all’attività e il suo profilo di rischio e rendi-
mento » (31).
Anzi, e nonostante la previsione dell’art. 2364, comma 1, n. 5 che sem-
bra delimitare nelle società azionarie la competenza gestoria dell’assemblea
dei soci alle sole materie previste dallo statuto con effetti meramente auto-
rizzatori e ferma la responsabilità degli amministratori per il compimento
dei relativi atti, una analisi più approfondita fa emergere la presenza legale di
decisioni a carattere gestorio da parte dell’assemblea dotate di effetti diffe-
renziati sul comportamento degli amministratori, ora a carattere vincolante
ora di approvazione ora di autorizzazione ora di consultazione (32). Sino a
pervenire alla costruzione di competenze assembleari “implicite” (o “non
scritte” secondo la dottrina tedesca), che obbligano gli amministratori a de-
volvere all’assemblea decisioni che possano incidere anche « indiretta-
mente, ma sensibilmente, sul contenuto » dei diritti dei soci o « sul valore
della partecipazione sociale » (1439), che investono insomma cd. « decisioni
d’interesse primordiale » tali da « incidere profondamente sulla dimensione
organizzativa e finanziaria dell’impresa » (33).
V’è chi fa discendere tali competenze implicite dalla distinzione fra atti
di gestione dell’impresa e atti di organizzazione della società (34); o dal
principio di buona fede nella esecuzione del contratto sociale (35); o ancora
(31) In quest’ordine di idee M. MAUGERI, Sub art. 2364 c.c., in Commentario del codice
civile, diretto da E. Gabrielli, artt. 2247-2378, Torino, 2015, 1423 ss., peraltro secondo una
impostazione che trova in Abbadessa, Portale, Gambino, Mirone e Santosuosso autorevoli so-
stenitori, sia pure con varie sfumature. Per i riferimenti si rinvia allo stesso testo di Maugeri
nonché in particolare a G.B. PORTALE, Rapporti fra assemblea e organo gestorio nei sistemi di
amministrazione, in Il nuovo diritto societario. Liber amicorum Gianfranco Campobasso, di-
retto da P. Abbadessa e G.B. Portale, Torino, II, 2006, 3 ss.; e V. PINTO, Sub art. 2380 bis, in Le
società per azioni diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, I, Milano, 2016, 1167 ss.
(32) Per una classificazione di questo tipo si veda sempre M. MAUGERI (nt. 31), 1426 ss.,
che sottolinea anche la presenza di una quinta categoria di atti assembleari, quali le “prese
d’atto”, definite da Abbadessa « deliberazioni senza assemblea ».
(33) Cfr. sempre M. MAUGERI, Sub art. 2365 c.c., in Commentario del codice civile (nt.
31), 1439, 1509 ss.; e già soprattutto P. ABBADESSA, L’assemblea: competenza, in Trattato delle
società per azioni, diretto da G.E. Colombo - G.B. Portale, 3°, Torino, 1994, 21 ss.; ID., La ge-
stione dell’impresa nella società per azioni. Profili organizzativi, Milano, 1975, 42 ss. (con
adesioni di Teti, Di Sabato, Calandra Buonaura).
(34) Cfr. G. MINERVINI, Gli amministratori di società per azioni, Milano, 1956, 214 ss.; e
in parte anche P. ABBADESSA (nt. 33), 15 ss. Ma contro le distinzioni nominalistiche, sottoli-
neando la instabilità semantica del termine “gestione”, Weigmann e Maugeri.
(35) E v. P. ABBADESSA (nt. 33), 19 ss. che individua la doverosità della devoluzione della
decisione gestoria alla competenza assembleare esemplificativamente nei seguenti casi: (i) im-
possibilità decisionale dell’organo amministrativo per conflitto di interessi di tutti i suoi com-
ponenti o per mancata formazione di una maggioranza; (ii) incidenza dell’atto gestorio su in-
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teressi e situazioni giuridiche della collettività dei soci, come il conferimento dell’intera azienda
o parte essenziale di essa ad altra società; o la cessione dell’intera azienda, con sostituzione
brusca e radicale di mercati e assunzione di un rischio atipico oppure in funzione liquidatoria
della società; (iii) operazione che determina la perdita di controllo dell’iniziativa, come nel caso
di holding che dismette il controllo della società operativa o cade a sua volta in una situazione di
controllo passivo; (iv) esercizio del voto in assemblea della controllata “megasussidiaria” per
aumento di capitale con esclusione del diritto di opzione o per modifica dell’oggetto sociale o
proposta di scioglimento. A sua volta M. MAUGERI (nt. 33), 1510 nt. 55 indica le seguenti ipotesi:
(i) scorporo dell’intera azienda in una società controllata; (ii) fusione della società conferitaria
con una impresa terza o aumento di capitale a essa riservato, così inducendo la dismissione del
controllo sull’attività della società madre; (iii) alienazione a terzi dell’intera azienda; (iv) as-
soggettamento della società all’altrui controllo esterno o all’altrui eterodirezione.
(36) Così in particolare M. MAUGERI, (nt. 33), 1515 ss., che richiama l’art. 2365 sulle
competenze dell’assemblea straordinaria, l’art. 2420-bis sulle competenze in materia di obbli-
gazioni convertibili, l’art. 2441 in tema di diritto di opzione, l’art. 2487 sui liquidatori e i criteri
di svolgimento della liquidazione, l’art. 2500-sexies sulla trasformazione di società di capitali,
l’art. 2502 sulle decisioni in ordine alla fusione; l’art. 133 Tuf in tema competenza sul delisting
di società quotata; secondo altri anche l’art. 2361 in tema di assunzione di partecipazioni in al-
tre imprese, che per la misura e per l’oggetto comportano una sostanziale modifica dell’oggetto
sociale statutario o anche la responsabilità illimitata per le obbligazioni della partecipata.
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centrale (forse prevalente) alla persona dei soci anche e spesso in materia
gestoria (37).
(37) Tale conclusione è condivisa da A. BUSANI, La riforma della crisi d’impresa riscrive il
ruolo dei soci della Srl, in Il Sole 24 Ore del 19.02.2019. Il titolo sembra in realtà contraddire in
buona parte il contenuto dell’articolo, in cui si riconosce la perdurante vigenza delle disposi-
zioni in qualche modo caratterizzanti il ruolo gestorio assolto dai soci (come l’art. 2479, comma
1, c.c. secondo cui « i soci decidono sulle materie riservate alla loro competenza dall’atto costi-
tutivo, nonché sugli argomenti che uno o più amministratori o tanti soci che rappresentano al-
meno un terzo del capitale sociale sottopongono alla loro approvazione »; o l’art. 2468, comma
3, c.c. che contempla la « possibilità che l’atto costitutivo preveda l’attribuzione a singoli soci di
particolari diritti riguardanti l’amministrazione della società »; o l’art. 2476, comma 7, c.c. che
stabilisce la responsabilità, solidale con gli amministratori, dei « soci che hanno intenzional-
mente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi »). A
questa elencazione N. ABRIANI - A. ROSSI (nt. 15), 399 aggiungono anche gli articoli 2257,
comma 2, c.c. (amministrazione disgiuntiva e potere di veto), 2320, comma 1, c.c. (possibilità
di affidare ai soci accomandanti la trattazione e conclusione di affari in forza di procura spe-
ciale), 2475, comma 5, c.c. (competenze esclusive degli amministratori di s.r.l. limitate alla re-
dazione del progetto di bilancio, progetti di fusione e scissione e aumento delegato del capitale
sociale), 2475, comma 3, c.c. (amministrazione disgiuntiva e potere di veto anche nella s.r.l.),
37 d. lgs. n. 5/2003 (deferimento, in statuti di società personali e di s.r.l., a uno o più terzi dei
contrasti fra coloro che hanno potere di amministrare).
Gli argomenti addotti da Busani per escludere l’abrogazione implicita di tali disposizioni
sono da un canto (i) il loro rilievo tipizzante nella srl, che avrebbe imposto semmai una abro-
gazione espressa, e d’altro canto (ii) l’impossibilità di una tale dimenticanza da parte del « le-
gislatore così ‘tecnico’ come quello della crisi d’impresa ». Aggiungerei francamente che (iii) il
principio di specialità è ripetuto in e convive con tutti i tipi societari, comprese le società di
persone, ove è indubbio il rilievo tipizzante della persona del socio, e che (iv) la sua portata è già
“relativa” nella stessa s.p.a., per cui merita una interpretazione sistematica che non contrasti
con le caratteristiche proprie delle singole tipologie societarie, ricavabili da ben altre disposi-
zioni.
Nella medesima direzione si muovono nello Studio n. 58 del Consiglio Nazionale del No-
tariato diffuso il 26.03.2019 N. ATLANTE - M. MALTONI - A. RUOTOLO, Il nuovo articolo 2475 c.c.
Prima lettura, secondo cui la modifica apportata all’art. 2475 c.c. in tema di s.r.l. deve potersi
coordinare con le disposizioni appena richiamate (artt. 2479, comma 1, 2468, comma 3, 2476,
comma 7), senza che si imponga alcun adeguamento agli statuti esistenti e senza che ciò impe-
disca l’inserimento di clausole negli statuti di s.r.l. di nuova costituzione derogatorie del mo-
dello legale. Cfr. anche F. LAMANNA, Il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, III,
Milano, 2019, 124 nella Collana “Il Civilista”.
La necessità di affidare ad una interpretazione complessiva del modello legale gli elementi
caratterizzanti il tipo societario discende, a mio avviso, dallo stesso processo di flessibilizzaz-
zione o addirittura di destrutturazione che la nozione di “tipo societario” ha subìto con la ri-
forma del 2003, tanto che alcuni ritengono preferibile parlare di “modello” piuttosto che di
“tipo”. Su queste problematiche, su cui non è possibile soffermarsi in questa sede, cfr. senza
pretesa di completezza — oltre al classico studio monografico di P. SPADA, La tipicità delle
società, Milano, 1974, passim — sempre ID., Classi e tipi di società dopo la riforma organica
(guardando alla “nuova” società a responsabilità limitata), in Riv. dir. civ., 2003, I, 489 ss.; M.
SCIUTO-P. SPADA, Il tipo della società per azioni, in Trattato delle società per azioni diretto da
G.E. Colombo e G.B. Portale, 1*,Torino, 2004, 4 ss.; A,A. DOLMETTA, Sul “tipo” S.r.l., in s.r.l.
Commentario dedicato a Giuseppe B. Portale, a cura di A.A. Dolmetta e G. Presti, Milano,
2011, 15 ss.; G. ZANARONE, Il ruolo del tipo societario dopo la riforma, in Il nuovo diritto delle
società. Liber Amicorum Gian Franco Campobasso, 1, Torino, 2006, 55 ss. Recentemente il
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legislatore tende ad una vera e propria “ibridazione dei tipi” con particolare riferimento all’uti-
lizzo della s.r.l. per le PMI: G.B. PORTALE, Società a responsabilità limitata senza capitale so-
ciale e imprenditore individuale con “capitale destinato”, in questa Rivista, 2010, 1249 ss.; M.
CIAN, Società start-up innovative e PMI innovative, in Giur. comm., 2015, I, 969 ss.
(38) N. ABRIANI - A. ROSSI (nt. 15), 397 s.; ma v. anche L. STANGHELLINI (nt. 4), 450 il quale
osserva: « Come si possano conciliare le nuove norme, introdotte in assenza di una espressa
delega, con quelle tuttora vigenti è questione aperta: l’unico modo per renderle compatibili è
interpretarle in senso riduttivo, ritenendo che il legislatore, pur prevedendo che la “gestione”
delle società di persone o della S.r.l. spetta esclusivamente agli amministratori, ha in realtà vo-
luto (solo) responsabilizzarli rispetto alla predisposizione di adeguati assetti organizzativi e alla
pronta reazione ai segnali di crisi. L’incostituzionalità delle norme per eccesso di delega pare
tuttavia ampiamente sostenibile ».
Va sottolineato che lo stesso R. RORDORF, nelle sue Osservazioni allo schema di d.lgs.,
depositate in sede di audizione presso la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati in
data 4 dicembre 2018, afferma che « a modifica dell’art. 2475, primo comma, c.c. (come ora
prevista dall’art. 376, comma 4, del Codice, e come in verità anche la bozza della commissione
ministeriale prevedeva) va probabilmente oltre i limiti della delega laddove afferma che ‘La
gestione dell’impresa... spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le opera-
zioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale’. Mentre è coerente con l’impostazione
della delega (ed è condivisibile per le ragioni appena esposte) la previsione che estende anche a
chi amministra la s.r.l. il dovere di predisporre assetti adeguati a norma del precedente art.
2086, secondo comma (come dovrebbe essere novellato dall’art. 374, comma 2, del Codice),
non v’è alcuna ragione per intervenire in termini generali sul modello amministrativo della s.r.l.
Un simile intervento rischia di apparire estemporaneo, perché non ben coordinato con le altre
norme disciplinanti l’amministrazione di questo tipo di società. Un discorso analogo potrebbe
farsi per la corrispondente espressione che figura nella proposta modifica dell’art. 2257, primo
comma, c.c. (art. 376, comma 1, del Codice). In entrambi i casi, come già rilevato, dovrebbe
però esser tenuto fermo il richiamo al novellato art. 2086, secondo comma ».
G. FAUCEGLIA (nt. 4), 227 s., pur evidenziando il rapporto di “necessarietà” tra le regole in
tema di assetti organizzativi e la tempestiva emersione della crisi, così determinando « »un
processo di vis expansiva di disposizioni dettate per il tipo azionario ad altri tipi societari con
principi da ritenersi, ormai, transtipici per espressa previsione normativa », segnala che « tale
intervento pare esorbitare dalle finalità della riforma e tracimare nell’eccesso di delega ».
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nizzativi adeguati (ciò che è evidenziato dal costante richiamo all’art. 2086),
e la necessità di un « dovere di collaborazione » al riguardo di tutti coloro che
concorrano a formare le decisioni gestorie (il ragionamento è riferito alla
s.r.l., ma ribadisco che esso è a mio avviso estensibile ad ogni tipologia so-
cietaria. Rilevo sotto questo profilo la tendenziale pervasività del modello
della società azionaria a permeare l’assetto organizzativo delle imprese o
comunque delle iniziative collettive, come mostra la recente disciplina degli
enti del terzo settore).
Mi pare comunque che la disposizione miri a responsabilizzare i sog-
getti qualificabili come amministratori (soci o non soci che siano) della ge-
stione complessiva dell’impresa, di cui sono parte integrante gli assetti or-
ganizzativi (amministrativi e contabili). Parlo di « organizzazione
dell’impresa » e non di organizzazione del gruppo (riconducibile in via di
principio alla competenza dei soci e relative assemblee). In questa direzione
mi pare che in ogni tipologia societaria si renda necessaria la presenza di un
organo gestorio, per cui deve ritenersi definitivamente superata la questione
proposta in tema di s.r.l. se tutte le competenze gestorie possano tradursi in
decisioni dei soci” (39); inoltre deve ritenersi che ogni amministratore è in-
vestito di una sorta di responsabilità collegiale per la gestione complessiva e
per l’organizzazione dell’impresa. Il singolo socio incaricato di specifici atti
gestori, salvo che non sia investito quale amministratore tout court, avrà
tutt’al più una responsabilità connessa all’area che gli è attribuita, ma anche
il dovere di collaborazione perché quell’area non sfugga all’assetto organiz-
zativo complessivo, di cui devono ritenersi investiti tutti gli amministra-
tori (40).
In una diversa prospettiva sembra muoversi chi ritiene che la « lettura
riduttiva » del coordinamento fra l’art. 2086 e l’art. 2475, comma 1 novel-
lato, pur avendo il « pregio della cautela, che consente di mantenere immu-
tati gli attuali assetti di potere endosocietario », non coglie la vera portata
innovativa della nuova disposizione in materia di s.r.l., che ha il significato di
un forte avvicinamento del modello s.r.l. al modello s.p.a., riportandone la
(39) Esito da escludere, a mio avviso, già sulla base del vigente art. 2475, comma 5, cui
ora si aggiunge un ultimo comma di rinvio all’art. 2381 c.c. Mi permetto rinviare a S. FORTUNATO,
La società a responsabilità limitata, Torino, 2017, 157 ss.
(40) Mi pare che questa sia ormai l’interpretazione del tutto prevalente in dottrina: cfr.
N. ABRIANI - A. ROSSI (nt. 15), 400 ss. che parlano di « protocollo organizzativo dell’impresa » —
o di « attività di organizzazione dell’impresa » distinta dagli « atti di gestione » — come re-
sponsabilità esclusiva e inderogabile degli amministratori di tutti i tipi di società; N. ATLANTE-M.
MALTONI-A. RUOTOLO (nt. 37); D. DAMASCELLI - F. TASSINARI, Crisi d’impresa, la riforma non stra-
volge la governance, in Il Sole 24 Ore, 2 marzo 2019; P. BENAZZO (nt. 15), 303; nel medesimo
senso, pur con alcune precisazioni, anche M. S. SPOLIDORO (nt. 16), 272; G. RIOLFO (nt. 18), 408
il quale distingue la « gestione organizzativa » dalla “gestione operativa”; e su tale distinzione v.
già con riferimento alla legge delega e alla bozza di decreto delegato O. CAGNASSO, Diritto so-
cietario e mercati finanziari, in NDS, 2018, 851 s.; e P. MONTALENTI (nt. 23), 951 ss. Da ultimo nel
senso fin qui indicato ASSONIME (nt. 21), 32 e 81.
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configurazione alla “piccola anonima” che la riforma del 2003 aveva voluto
abbandonare. La lettura conservativa, peraltro, si porrebbe in netto contra-
sto con la lettera della legge che parla di esclusività in capo agli amministra-
tori della « gestione dell’impresa » tout court, e non della sola gestione or-
ganizzativa distinta dalla gestione operativa (41). La valorizzazione del
principio di esclusività delle competenze gestorie in capo agli amministratori
è tuttavia interpretata senza negare la possibilità di « deroghe legali » (42),
con la conseguenza che devono ritenersi abrogate le sole competenze gesto-
rie dei soci incompatibili con il principio affermato dalla nuova disposizione
del comma 1 art. 2475 (43).
Senonché questa interpretazione letterale sembra prestarsi a varie
obiezioni:
(i) essa trascura che proprio la lettera del novellato art. 2475 (e in
verità anche dell’art. 2287 per la società semplice e dell’art. 2380-bis per la
s.p.a.) accosta prioritariamente la « gestione dell’impresa » al « rispetto »
dell’art. 2086, comma 2, legando strettamente gestione e assetti organizza-
tivi, e solo in seconda battuta ribadisce il principio di esclusività gestoria in
capo agli amministratori;
(ii) la disposizione è ripetuta non solo nella disciplina della s.r.l., ma
anche in quella delle società di persone, sì che è difficile pensare ad una vo-
lontà legislativa di forte avvicinamento della s.r.l. al modello s.p.a.; in questo
senso l’argomento “prova troppo”, considerata la forza estensiva di quella
disposizione anche ai tipi societari personalistici;
(iii) l’ammissione delle cd. deroghe legali finisce per depotenziare
(41) Così L. CALVOSA, Gestione dell’impresa e della società alla luce dei nuovi artt. 2086
e 2475 c.c., in Società, 2019, 799 ss. Ma v. anche V. DI CATALDO - S. ROSSI, Nuove regole generali
per l’impresa nel nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza, in RDS, 2018, 759, secondo cui gli
artt. 2468, comma 3, e 2479 comma 1, nel nuovo contesto, consentirebbero solo di attribuire ai
soci il potere di emanare pareri o autorizzazioni.
(42) Afferma L. CALVOSA (nt. 41), 801 che « al pari di quanto è pacificamente ricono-
sciuto nella disciplina della S.p.a. in cui, pur vigendo il principio di esclusività della gestione
degli amministratori ex art. 2380 bis, sussistono deroghe legali di decisioni gestorie in capo ai
soci (v. la previsione dell’art. 2361 c.c.), non v’ha dubbio che anche nella S.r.l., pur ricono-
scendosi l’esclusività della gestione degli amministratori, possono restare ferme le competenze
legalmente previste in capo ai soci ».
(43) Nella sostanza rimarrebbero ferme — secondo l’A. — le competenze dei soci nel-
l’ipotesi di amministrazione disgiuntiva, in caso di opposizione derivante dall’esercizio del di-
ritto di veto di un amministratore (art. 2257, comma 3, c.c.); così come nell’ipotesi di decisioni
su operazioni che comportino sostanziali modificazioni dell’oggetto sociale o rilevanti modifi-
cazioni dei diritti dei soci (art. 2479, comma 2, n. 5, c.c.); nei casi specifici in cui la legge assegni
allo statuto la facoltà di attribuire ad essi le decisioni in alternativa agli amministratori (art.
2483 c.c.; art. 152, comma 2, l.fall., richiamato dagli artt. 161, comma 4 e 214, comma 1, l.fall.,
nonché dall’art. 78, comma 1, D. Lgs. n. 270/1999); mentre — sembra di capire — nei casi in
cui la legge in via generale attribuisce ai soci poteri gestori (art. 2479, comma 1; art. 2468,
comma 3), essi avrebbero mero carattere di autorizzazione, come nell’ipotesi dell’art. 2364,
comma 1, n. 5 per la s.p.a. (così a p. 802).
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(44) G. FAUCEGLIA (nt. 4), 233 ss. compie un tentativo di conciliazione del principio di
esclusività gestoria con i vari tipi societari, pervenendo ad una valutazione di « difficile » coor-
dinamento. In particolare, nell’ambito delle società di persone, al di là del sostegno a tesi già
ricavabili aliunde in sede interpretativa (legittimità dell’amministratore non socio, compenso a
favore del socio amministratore, legittimità dell’azione sociale di responsabilità e dell’azione
diretta come terzo in capo al singolo socio anche non amministratore), si riconosce la difficoltà
di pervenire, in caso di amministrazione disgiuntiva, ad una interpretazione che riconduca la
decisione dei soci, in caso di opposizione, a mera portata autorizzativa; così come a svolgere una
qualche incidenza nel caso di amministrazione congiuntiva riservata a tutti i soci; né pare fran-
camente possa enuclearsi in modo apprezzabile quella incidenza nelle varie forme alternative
rimesse all’autonomia statutaria (amministrazione disgiuntiva affidata ad alcuni soci per tutte o
anche solo per alcune operazioni societarie; amministrazione congiuntiva affidata ad alcuni soci
per tutte o anche per alcune operazioni societarie, a maggioranza o all’unanimità; o ammini-
strazione affidata ad uno solo, socio o terzo). A non difformi conclusioni perviene nell’analisi
dei tipi societari capitalistici.
(45) E v. già Cass., 7 dicembre 2016, n. 25085, in Società, 2017, 433 ss. con nota di V.
SALAFIA, S.r.l. e organo amministrativo collegiale, nonché in Giur. it., 2017, p. 886 ss., con nota
di O. CAGNASSO, La delega di potere gestorio e la s.r.l. Mi sembra importante ricordare che l’as-
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senza di organi delegati non elimina l’obbligo di istituire, valutare e monitorare gli adeguati as-
setti organizzativi dell’impresa. È evidente che in mancanza di organi delegati cura e valuta-
zione si concentrano nell’organo gestorio (collegiale o anche monocratico), laddove la vigilanza
sarà esercitata dall’organo di controllo. Peraltro l’assenza di quest’ultimo — come può accadere
nella s.r.l. — non estende automaticamente in capo ai soci un vero e proprio “dovere” di vigi-
lanza, ma una facoltà da esercitare nel proprio interesse. Mi sembra che in analogo ordine di
idee si muovano i rilievi di G. VERNA (nt. 21), 931 e 933. L’A. ritiene che per le società di capitali
il richiamo all’art. 2381 comporta la necessità, commisurata pur sempre alla natura e alla di-
mensione dell’impresa, di predisporre almeno ogni sei mesi « stato patrimoniale e conto eco-
nomico, budget e prospetto dei flussi di cassa attesi », cui si dovranno aggiungere dal 16 agosto
2020, gli indici di liquidità primaria e secondaria nonché gli indicatori degli squilibri di natura
reddituale o patrimoniale o finanziaria e i significativi e reiterati ritardi nei pagamenti (come
imposto dall’art. 13, comma 1, del Codice).
(46) Sul tema v. N. ABRIANI - A. ROSSI (nt. 15), 403 s., che giustamente sollevano la que-
stione di compatibilità della interpretazione corrente relativa all’ultimo comma dell’art. 2381
c.c., secondo cui in presenza di organi delegati gli altri amministratori possono chiedere solo in
consiglio informazioni ai delegati, senza poter direttamente accedere agli uffici amministrativi.
(47) In quest’ultimo senso G. RIOLFO (nt. 18), 411 s.
(48) In senso analogo, sotto questo profilo, mi pare la posizione di G. FAUCEGLIA (nt. 4),
231; nonché di ASSONIME (nt. 21), 31 s.
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stesso (ed eventualmente anche in capo all’institore (49)), nelle modalità or-
ganizzative che egli riterrà più opportune e adeguate alla natura e alla di-
mensione dell’impresa. Nel caso dell’imprenditore collettivo l’obbligo in
oggetto non si pone in contrasto con le modalità organizzative che la legge
consente nei vari tipi di impresa collettiva. In assenza di organi delegati e di
un organo di controllo cura, valutazione e vigilanza si concentreranno in
capo all’organo amministrativo, collegiale o monocratico. Il che investe non
solo le forme capitalistiche d’impresa collettiva, ma anche quelle personali-
stiche. La vigilanza dei soci, peraltro, non può assumersi a dovere (corri-
sponde piuttosto ad una facoltà e ad un onere (50)), del cui esercizio essi
debbano rispondere nei confronti dei terzi, incombendo l’obbligo pur sem-
pre sull’organo amministrativo ed eventualmente, ove istituito, sull’organo
di controllo in termini di monitoraggio.
Anche in ipotesi di amministrazione disgiuntiva il compito di predi-
sporre adeguati assetti organizzativi esige un dovere di coordinamento e di
collaborazione fra tutti i soggetti investiti di funzioni gestorie: la valutazione
degli assetti eventualmente curati dal singolo non potranno che essere valu-
tati anche dagli altri amministratori, in una doverosa collegialità la cui di-
scordia porrà capo alla decisione della maggioranza dei soci (51).
Mi chiedo, peraltro, se possa continuare ad escludersi il dovere di vigi-
lanza di tutti gli amministratori, compresi gli amministratori non esecutivi,
sulla gestione complessiva dell’impresa e sugli assetti organizzativi, stante il
generale principio cui si è fatto sin qui riferimento, pur senza riesumare re-
sponsabilità oggettive ma facendo leva sul dovere di agire informato di ogni
amministratore e sul dovere, allora, di esigere dagli amministratori esecutivi
adeguati flussi informativi (52).
(49) E v. il cenno in senso dubitativo compiuto al riguardo da G. FAUCEGLIA (nt. 4), 230.
Mi pare che nella preposizione institoria debba considerarsi implicito il potere-dovere di isti-
tuire adeguati assetti organizzativi relativi all’esercizio dell’intera impresa o della sede secon-
daria o del ramo particolare (art. 2203), dovendosi interpretare i poteri conferiti per l’esercizio
dell’attività come altrettanti doveri.
(50) L’invocata responsabilità illimitata dei soci nelle società di persone non può valu-
tarsi in termini di sanzione alla mancata vigilanza da parte degli stessi soci, ma come regime
caratterizzante il tipo societario. Diversamente orientati mi paiono G. RIOLFO (nt. 18), 411 s.; e
G. FAUCEGLIA (nt. 4), 231.
(51) Sulla necessaria collegialità anche in caso di amministrazione disgiuntiva ai fini
della istituzione, cura, valutazione e monitoraggio degli assetti organizzativi v. anche ASSONIME
(nt. 21), 32.
(52) Cfr. da ultimo Trib. Catanzaro, Sez. Impr., 16 novembre 2018, ord. con nota di P.
POTOSCHNIG, Responsabilità degli amministratori e questioni ricorrenti alle prime luci del Codice
della crisi d’impresa, in Società, 2019, 745 ss.
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(53) Cfr. art. 378, comma 1, CCII, che aggiunge dopo il quinto comma dell’art. 2476 c.c.
l’indicata disposizione. La norma attua il principio direttivo dell’art. 14, comma 1, lett. a) legge
delega n. 155/2017.
(54) Sul punto rinvio alle osservazioni di N. ABRIANI - A. ROSSI (nt. 15), 404 s.; di G. RI-
OLFO (nt. 18), 413 s.; e di A. BARTALENA (nt. 15), 302. Quest’ultimo A. evidenzia un « disallinea-
mento fra l’art. 378.1 e l’art. 255 » del Codice della crisi: l’ultima norma elenca le azioni di re-
sponsabilità esercitabili dal curatore nella liquidazione giudiziale (in sostituzione più articolata
dell’attuale art. 146, comma 2, l. fall.), ma nel fare ciò riprende la numerazione dei commi del-
l’art. 2476 c.c. precedente alla riforma del Codice della crisi, per cui il rinvio alla azione di cui
all’art. 2476, comma settimo (lett. c art. 255) (che si riferisce ora all’azione individuale di re-
sponsabilità di socio e terzo) è da intendersi come rinvio all’art. 2476, comma ottavo (azione di
responsabilità verso « i soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di
atti dannosi per la società, i soci o i terzi »).
(55) Cfr. art. 379, comma 2, CCII nella parte in cui aggiunge un sesto comma all’art.
2477 c.c., in attuazione del principio direttivo ex art. 14, comma 1, lett. f) legge delega n. 155/
2017.
(56) Sul dibattito precedente v. E. PEDERZINI, I controlli. Sindaco e revisore tra imperati-
vità e facoltatività, in La governance delle società a responsabilità limitata, a cura di E. Peder-
zini - R. Guidotti, Padova, 2018, 356 ss. G. FAUCEGLIA (nt. 4), 239 s. sottolinea che il rimedio ex
art. 2409 non elimina il potere del singolo socio di chiedere in via cautelare la revoca dell’am-
ministratore, benché renda più utile il primo rimedio al quale può conseguire non solo la revoca
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Si calcola che dalle circa 35.000 attuali s.r.l. si passerà, con la nuova
disciplina, a circa 150-175.000 s.r.l. tenute alla nomina dell’organo di con-
trollo o revisore, ciò che ha sollevato non poche levate di scudi da parte delle
associazioni di PMI, le quali lamentano un eccessivo aggravio di costi.
A regime, il comma 6 dell’art. 2477 dispone che alla nomina provveda,
entro trenta giorni, l’assemblea (si badi: non è sufficiente la mera decisione
scritta dei soci) che approva il bilancio in cui vengono superati i limiti indi-
cati, quindi il bilancio del secondo esercizio che conferma per due esercizi
consecutivi il superamento di uno dei detti limiti. Se l’assemblea non vi
provveda, la nomina è compiuta con provvedimento del Tribunale compe-
tente su richiesta di qualsiasi soggetto interessato (61), cui ora si aggiunge —
evidentemente nell’esercizio di un potere-dovere — la segnalazione del
Conservatore del registro delle imprese.
Nel periodo transitorio e di prima applicazione della disposizione deve
farsi riferimento ai due esercizi antecedenti la scadenza dei nove mesi dalla
data di entrata in vigore della stessa norma, previsti come termine dilatorio
per provvedere alla nomina e, se necessario, ad uniformare l’atto costitutivo
e lo statuto alle nuove regole (art. 379, comma 3, CCII). Poiché l’entrata in
vigore del novellato art. 2477 è disposta per il 16 marzo 2019, i nove mesi
scadono il 16 dicembre 2019, con la conseguenza che i due esercizi antece-
denti da considerare sono presumibilmente il 2017 e il 2018 (ove sussista
coincidenza fra esercizio e anno solare). Mi sembra importante evidenziare
che la norma fa riferimento alla prima applicazione tanto del secondo
comma, che si occupa dell’obbligo di nomina, quanto del terzo comma, che
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(62) Entrata in vigore dell’art. 379 CCII; e v. art. 389, co. 2, CCII.
(63) Non mi pare necessaria una integrazione esplicita di atto costitutivo/statuto, come
invece assume L. DE ANGELIS, Tutte le novità per i sindaci revisori di s.r.l., in La riforma del fal-
limento - Italia Oggi, Serie speciale n. 2, Anno 29, 23.01.2019, 34.
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(64) Anche in questo caso l’indicazione proviene da L. DE ANGELIS (nt. 63), 35. Analoghe
soluzioni rispetto al testo sembrano suggerite da N. ABRIANI - A. ROSSI (nt. 15), 407, benché per
quanto concerne il caso del “periodo di grazia” concesso alle disposizioni statutarie difformi si
limitino a sostenere che le società « saranno tenute a provvedere alla nomina a partire dalla fine
del 2019 ». Del tutto conforme al testo invece ASSONIME (nt. 21), 105.
(65) Art. 380 CCII che aggiunge un n. 7-bis all’art. 2484, comma 1, c.c., in attuazione
all’art. 14, comma 1, lett. e) legge delega n. 155/2017. La norma è destinata ad entrare in vigore
dopo diciotto mesi dalla pubblicazione del Codice in G.U., unitamente alla disciplina riformata
della liquidazione giudiziale. F. LAMANNA (nt. 37), 121 osserva che la disposizione « ripristina
una previsione che il codice civile già conteneva, nella sua versione originaria del ’42, quindi
prima delle modifiche apportate con la riforma societaria del 2003, negli artt. 2448, comma 2
(quanto alla società per azioni), 2464 (quanto alla società in accomandita per azioni tramite
rinvio alle norme sulla società per azioni) e 2497 (quanto alla società a responsabilità limitata),
prevedendo che la liquidazione giudiziale causa lo scioglimento ex lege della società ». Non è
mia intenzione affrontare in questa sede il problema della opportunità di prevedere il fallimento
quale causa di scioglimento della società in generale, tema che ha costituito oggetto di un vivace
dibattito già in passato rispetto alla previgente formulazione dell’art. 2484, comma 2, c.c. Rin-
vio in proposito al lavoro di G.P. ALLECA, Fallimento e regole societarie, Milano, 2016, 89 ss. ove
quel dibattito è sintetizzato con riferimento alle contrapposte posizioni di Ferri, Ferrara-Bor-
gioli, Maisano e Montagnani da un lato e Nigro, Porzio, Costi, A. Rossi e Bonsignori dall’altro
lato. Si vedano ivi anche gli orientamenti in parte diversificati di Niccolini, Paciello, Ferri jr. e
dello stesso Alleca.
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c.c. (66); e che d’altro canto dettano criteri presuntivi di quantificazione del
danno risarcibile allorché, verificatasi una causa di scioglimento e fino al
passaggio delle consegne ai liquidatori, gli amministratori continuino a ge-
stire la società ma « ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore
del patrimonio sociale », con la conseguenza che per atti od omissioni com-
piuti in violazione di tale dovere di conservazione essi rispondono « perso-
nalmente e solidalmente » dei danni arrecati alla società, ai soci, ai creditori
sociali ed ai terzi (art. 2486 c.c.).
Il duplice criterio presuntivo legificato accoglie la teoria del danno alla
società e ai creditori sociali commisurato alla differenza dei netti patrimo-
niali della società (67). In altre parole, accertata la illegittima prosecuzione
dell’attività dopo il verificarsi della causa di scioglimento per finalità non
conservative, il danno viene quantificato non già come conseguenza imme-
diata e diretta di singoli atti gestori non conservativi (art. 1223 c.c.), ma
come conseguenza dell’attività complessivamente considerata, presumen-
done la corrispondenza alla differenza fra il più alto patrimonio netto esi-
stente al momento del verificarsi della causa di scioglimento e il diminuito
patrimonio netto al momento in cui l’amministratore abbia cessato dalla
carica o al momento della apertura di una procedura concorsuale. Peraltro,
al patrimonio netto iniziale dovranno detrarsi i costi normalizzati sostenuti e
da sostenere fino al compimento della liquidazione, e la data in cui l’ammi-
nistratore è cessato dalla carica o la data di apertura di una procedura con-
corsuale. Il criterio presuntivo residuale trova poi applicazione ove, aperta
una procedura concorsuale, non fosse possibile ricostruire i netti patrimo-
niali per la mancanza delle scritture contabili o per la loro irregolarità o per
altre ragioni: in queste ipotesi il danno è liquidato in misura pari alla « dif-
ferenza tra attivo e passivo accertati nella procedura » (68).
Si tratta di due criteri presuntivi della quantificazione del danno, l’uno
(66) Ora novellato come segue: « La società si scioglie, oltre che per le cause indicate
dall’articolo 2272, per provvedimento dell’autorità governativa nei casi stabiliti dalla legge e
per l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale » (noto che qui mancherebbe il riferi-
mento anche alla liquidazione controllata; né viene riprodotto l’inciso, già presente nella for-
mulazione antecedente, « salvo che abbia per oggetto un’attività non commerciale ». Peraltro
quest’ultima differenza non mi pare incida sulla sostanza della regola, poiché la liquidazione
giudiziale investe solo l’imprenditore commerciale: art. 121 CCII). Per critiche al ripristino
della disposizione v. G. RIOLFO (nt. 18), 419 ss. Anche ASSONIME (nt. 21), 102 afferma: « non è
chiaro il senso sistematico di questa novità considerato che anche la procedura di liquidazione
giudiziale o di liquidazione controllata non sono necessariamente da inserire in una concezione
dissolutiva dell’attività ma si collocano in una visione di recupero dei valori che può portare
anche a una ripresa dell’attività ».
(67) Su cui v. soprattutto D. GALLETTI, Brevi note sull’uso del criterio dei “netti patrimo-
niali di periodo” nelle azioni di responsabilità, in www.ilcaso.it, sez. II, doc. n. 218, 2010, 1 ss.
(68) Art. 378, comma 2, CCII che aggiunge un terzo comma all’art. 2486 c.c., in attua-
zione del criterio dettato all’art. 14, comma 1, lett. e) della legge delega n. 155/2017. Per rife-
rimenti v. A. BARTALENA (nt. 15), 304 s.
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(69) Secondo G. FAUCEGLIA (nt. 4), 241, il criterio residuale porrebbe capo ad una pre-
sunzione assoluta (iuris et de iure); e in questo senso, benché dubitativamente, anche N. ABRIANI
- A. ROSSI (nt. 15), 411. Tuttavia non mi sembra che la norma legittimi una tale interpretazione,
sia per il carattere subordinato al criterio principale, concepito comunque come presunzione
relativa, sia per il tenore letterale del disposto che presuppone l’impossibilità di determinare i
patrimoni netti anche aliunde rispetto alla regolare tenuta delle scritture contabili. Parimenti
ASSONIME (nt. 21), 101, pur considerandolo « un punto problematico », propende per una in-
terpretazione in termini di presunzione semplice, che ammette la prova contraria.
(70) Analoga valutazione in N. ABRIANI - A. ROSSI (nt. 15), 409, secondo cui il vero plus
della norma non sembra riguardare la quantificazione del danno, ma il nesso di causalità (e per
questo si è sopra scritto di un superamento, da parte del legislatore, del principio affermato da
Cass., SS.UU. n. 9100/2015), perché ciò che si presume non è il quantum del danno ma l’esi-
stenza stessa di un danno che sia conseguenza della prosecuzione in sé dell’attività d’impresa, se
non orientata alla finalità conservativa imposta dall’art. 2486, comma 1, c.c.. Sul piano del di-
ritto transitorio, gli AA. Ritengono che la nuova disciplina non abbia natura esclusivamente
processuale e debba trovare applicazione ai giudizi che si instaurino dal 16 marzo 2019 in poi.
F. LAMANNA (nt. 37), 124 rileva che « la nuova disposizione si riferisce dunque esclusiva-
mente al danno arrecato per effetto dell’illecita prosecuzione dell’attività economica della so-
cietà dopo il verificarsi di una causa di scioglimento e non trova applicazione nei casi in cui gli
amministratori abbiano compiuto altri atti specifici di mala gestio, casi in cui chi agisce dovrà e
potrà richiedere soltanto il risarcimento dei danni che sono conseguenza diretta ed immediata
dei singoli atti ».
A sua volta A. BARTALENA (nt. 15), 306 osserva che « In realtà, quel che lascia maggior-
mente perplessi è l’individuazione dei termini temporali di riferimento. Quello iniziale è l’in-
veramento di una causa di scioglimento; quello finale è la cessazione dell’amministratore dalla
carica ovvero l’apertura di una procedura concorsuale, senza alcuna specificazione ulteriore; in
particolare, non viene fatto riferimento alcuno al comportamento che in tale arco temporale
abbia tenuto l’amministratore stesso », il quale potrebbe essersi attivato sia pure tardivamente
senza che allora possano automaticamente addebitarsi a lui i danni successivi a una tale attiva-
zione. Quanto al criterio residuale, viene giudicato « rozzo » e non più mediato dalla valuta-
zione equitativa del Giudice ex art. 1226 c.c., per cui « l’ossequio formale tributato agli esiti
dell’articolato percorso interpretativo sul punto portato avanti da dottrina e giurisprudenza si
traduce, in realtà, in un sovvertimento degli stessi e, di fatto, dell’intero sistema della respon-
sabilità degli amministratori » (307).
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che non hanno permesso l’accertamento degli specifici effetti dannosi con-
cretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore » (71).
Secondo Lamanna il CCII supera anche « tale avanzata giurisprudenza,
semplificando al massimo il rapporto tra prova dell’an della responsabilità e
prova del quantum del danno, statuendo che la mancanza delle scritture
contabili della società (o la loro inattendibilità) consente tout court al giudice
di liquidare il danno in misura pari al deficit fallimentare accertato, facendo
assurgere il criterio del deficit a criterio automatico di liquidazione in tal
modo esimendo il giudicante anche dall’onere di dover indicare le ragioni
per le quali si è fatto ricorso alla liquidazione in via equitativa » (72).
Peraltro, la semplificazione per le curatele è più apparente che reale.
Esse certamente non avranno più l’onere, ricorrendo la circostanza di cui
all’art. 2486, di allegare e provare fatti specifici di mala gestio, ma non po-
tranno esimersi dall’allegare e provare che gli amministratori abbiano pro-
seguito una attività non meramente conservativa al verificarsi della causa di
scioglimento, dovendosi allora individuare la data specifica cui far retroagire
il dovere gestorio di cessazione dell’attività e tenendo conto peraltro, nella
determinazione dei patrimoni netti, di bilanci rettificati in funzione di valori
già liquidatori dei cespiti all’epoca in cui si sarebbe dovuto svolgere una at-
tività puramente conservativa (73).
(71) E vedi sulla sentenza il seminario Differenza tra attivo e passivo e quantificazione
del danno nelle azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori con interventi di
Amedeo Bassi, Giovanni Cabras, Marco Cian, Sabino Fortunato, Danilo Galletti, Alberto Jorio,
Paolo Montalenti, Gabriele Racugno e Roberto Sacchi, in Giur. comm., 2015, II, 651 ss.; non-
ché la sentenza in Società, 2015, 1034 ss.; in Fallimento, 2015, 934 ss. con nota di CARMELINO, Il
criterio del deficit patrimoniale al vaglio delle Sezioni Unite; in Dir. fall. soc. comm., 2015, II,
509 ss. con nota di A. PENTA, La differenza tra attivo e passivo fallimentare: un criterio duro a
morire; in Corr. giur., 2015, 1568 ss., con nota di P.P. FERRARO, La pronuncia delle Sezioni Unite
sul danno nelle azioni di responsabilita′ contro gli amministratori di societa′ fallite; in Giur. it,
2015, 1413 ss., con nota di M. SPIOTTA, L’atteso chiarimento delle Sezioni Unite sull’utilizza-
bilità del criterio del deficit.
Sul contrasto fra la soluzione del CCII e la posizione già assunta dalle Sezioni Unite della
Cassazione N. ABRIANI - A. ROSSI (nt. 15), 408 parlano di « un legislatore ‘nostalgico’, che ha
colto l’occasione (e nel caso della S.r.l. il dato è evidentissimo) per restituire l’ordinamento ad
un passato che si immaginava superato ».
(72) Analogo rilievo, ma in senso decisamente critico in A. BARTALENA (nt. 15), 306 s..
(73) Su queste precisazioni rinvio a N. ABRIANI - A. ROSSI (nt. 15), 408 s.
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dall’amministratore nel triennio di carica nel corso del quale hanno avuto luogo detti atti o
omissioni; la società non può in alcun caso tenere indenne gli amministratori rispetto a detta
responsabilità ». La proposta appare più modesta — come ricorda lo stesso Lamandini — della
disposizione introdotta in Francia con la cd. legge Sapin II (loi 9.12.2016 n. 2016-1691), il cui
articolo 146 modifica l’articolo L. 651-2 del codice di commercio, inserendo il seguente pe-
riodo: « Toutefois, en cas de simple négligence du dirigenat de droit ou de fait dans la gestion de
la société, sa responsabilitè au titre de l’insuffisance d’actif ne peut etre engagée »; nonché della
Section 102(b)(7) della legge societaria del Deleware (DGCL) secondo cui « the certificate of
incorporation may (...) contain (...) [a] provision eliminating (...) the personal liability of a di-
rector (...) for monetary damages for breach of fiduciary duty (...), [except]: (i) For any breach
of the director’s duty of loyalty (...); (ii) for acts or omissions not in good faith or which involve
intentional misconduct or a knowing violation of law; (iii) under § 174 of this title [unlawful
dividends]; or (iv) for any transaction from which the director derived an improper personal
benefit ».
Sugli analoghi problemi di limitazione della responsabilità sollevati in materia di revisione
legale dei conti v. le critiche mosse da G. PRESTI, La responsabilità del revisore, in Banca borsa,
2007, I, 160 ss. ove un’ampia analisi comparata. Cfr. altresì F. SARTORI, Informazione econo-
mica e responsabilità civile, Padova, 2011, passim; P. GIUDICI, Il dibattito sulla limitazione di
responsabilità delle società di revisione: la prospettiva italiana, in, La società per azioni oggi.
Tradizione, attualità e prospettive, a cura di P. Balzarini - G. Carcano - M. Ventoruzzo, Milano,
2007, 965 ss.; M. BUSSOLETTI, Bilancio e revisione contabile: sette anni di disciplina all’ombra
degli IAS e delle direttive comunitarie, in questa Rivista, 2011, 1116 ss.; G. M. BUTA, La re-
sponsabilità nella revisione obbligatoria delle S.p.a., Torino, 2005, 65 ss.; C. AMATUCCI, La li-
mitazione della responsabilità del revisore legale e la scadente tecnica legislativa italiana, in
Giur. comm., 2012, I, 864 ss.
Sulla distinzione fra duty of care e duty of loyalty nell’ambito dei fiduciary duties dei di-
rectors di corporation statunitensi v. A. MORINI, « Good Faith », buona fede: verso “nuovi do-
veri” degli amministratori di s.p.a.?, in RDS, 2011, III, 1048 ss.
(79) Così già Cass. 12 novembre 1965, n. 2359 ricordata da V. CALANDRA BUONAURA (nt.
15), 286 ss.
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(80) E v. ancora V. CALANDRA BUONAURA (nt. 15), 289 s.. Cfr. altresì la precedente nt. 20.
(81) Cfr. le posizioni di C. ANGELICI, La società per azioni. Principi e problemi, in Trattato
dir. civ. e comm. di Cicu-Messineo, Milano, 2012, 407; C. AMATUCCI, Adeguatezza degli assetti,
responsabilità degli amministratori e Business Judgement Rule, in Giur. comm., 2016, I, 667;
M. MOZZARELLI, Appunti in tema di rischio organizzativo e procedimentalizzazione dell’attività
imprenditoriale, in AA.VV., Amministrazione e controllo nel diritto delle società, Torino, 2010,
740; R. SACCHI, La responsabilità gestionale nella crisi dell’impresa societaria, in Giur. comm.,
2014, I, 309; P. MONTALENTI, Doveri degli amministratori degli organi di controllo e della società
di revisione nella fase di emersione della crisi, in Impresa, società di capitali, mercati finanziari,
Torino, 2017, 285 ss. ivi, 293 s.
(82) V. CALANDRA BUONAURA, (nt. 15), 294 s.
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degli assetti alla loro tempestiva rilevazione deve fare i conti con un test co-
sti/benefici di cui si fa carico la decisione amministrativa dei gestori del-
l’impresa, allora sindacabile non già sul piano dei contenuti ma sul piano
della correttezza del processo decisionale.
Analogo discorso non può non valere per la scelta del rimedio da atti-
vare una volta che i sintomi di crisi siano stati rilevati e accertati.
La crisi, tuttavia, opera — si afferma — « un capovolgimento del nor-
male rapporto fra interesse dei soci e interesse dei creditori », poiché all’in-
teresse sociale o agli interessi sociali subentra in via primaria l’interesse alla
salvaguardia delle ragioni dei creditori, ad un agire orientato in senso lucra-
tivo-speculativo si sostituisce un agire conservativo dei valori del patrimonio
sociale (87).
Inoltre, la business judgment rule nulla ha a che fare con l’accertamento
dello stato di crisi o dello stato di insolvenza o con l’accertamento della causa
di scioglimento, dei presupposti insomma ai quali si ricollegano obblighi di
comportamento specifici, presidiati da norme di rilevanza civilistica, come
l’art. 2486 c.c. (o gli artt. 2484-2485), e addirittura di rilevanza penale,
come l’art. 217 l.f. che vieta il compimento di atti gravemente imprudenti e
che possano aggravare il dissesto (88).
Nessuno nega che un conto sono le decisioni relative all’assetto orga-
nizzativo adeguato e al rimedio da adottare e altro conto è l’accertamento dei
fatti presupposto di quelle decisioni. Ma ciò che complica il quadro è che
siamo di fronte a “nozioni di campo”, come ho avuto modo di evidenziare in
un mio precedente intervento, in cui valgono « principi probabilistici e non
di stretta causalità » (89): lo stato di crisi, lo stato di insolvenza, lo stesso ve-
(87) Cfr. R. SACCHI (nt. 81), 320. ASSONIME (nt. 21), 32 s. riconosce che « il Codice della
crisi impone di attivarsi per adottare strumenti per il superamento della crisi e per il recupero
della continuità aziendale e introduce una curvatura dei doveri degli amministratori nella fase
successiva al verificarsi di una situazione di crisi, stabilendo il principio di preminenza degli
interessi dei creditori » (art. 4 CCII), ma ribadisce che prima della situazione di crisi « l’inte-
resse dei creditori rimane, nelle fasi ordinarie dell’attività d’impresa, un limite di natura esterno
tutelabile secondo i principi generali ». Sullo shifting duty conseguente alla situazione di crisi
cfr. anche F. DEZZANI, La gestione dell’impresa di fronte alla crisi, in Le soluzioni concordate
della crisi d’impresa (nt. 15), 181 ss., che peraltro evidenzia la non omogeneità degli interessi
dei creditori e la difficoltà di individuazione del momento in cui si deve collocare tale muta-
mento; e V. CALANDRA BUONAURA (nt. 15), 305 s., secondo cui la concordia sull’inquadramento
generale dei doveri degli amministratori nella crisi non elimina la problematicità della indivi-
duazione dei comportamenti dovuti e del ruolo che vi gioca la business judgment rule.
(88) Afferma R. RORDORF, La gestione dell’impresa di fronte alla crisi, in Le soluzioni
concordate della crisi d’impresa (nt. 15), 205: « alla (almeno relativa) discrezionalità nella
scelta dei mezzi con cui reagire ad una situazione di crisi non corrisponde altrettanta discre-
zionalità nell’individuare il fatto dal quale la crisi è dipesa e nel porre in esser gli adempimenti
che il legislatore ne fa discendere ».
(89) Rinvio a S. FORTUNATO (nt. 15), 174. Il riferimento è alla nozione di “campo” in fisica
atomica e subatomica e al principio di indeterminatezza che accompagna la individuazione
delle particelle di un microcosmo in perenne movimento, secondo quanto insegna la fisica
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quantistica. Ma già il passaggio dalla nozione di “cessazione dei pagamenti” allo “stato di in-
solvenza” determina, come suggeriva Bonelli, l’abbandono di un fatto per privilegiare uno sta-
tus. R. RORDORF, Doveri e responsabilità degli amministratori di società di capitali in crisi, in
Società, 2013, 669 ss.
(90) Si conviene semmai sulla necessità di evitare in tali circostanze atti di depaupera-
mento del patrimonio, come rimborso di finanziamenti ai soci, distribuzione di riserve dispo-
nibili, riduzione reale del capitale (V. CALANDRA BUONAURA (nt. 15), 308); così come — secondo
una prudente valutazione discrezionale — sulla opportunità di evitare operazioni altamente ri-
schiose (F. DEZZANI (nt. 87), 181).
(91) ASSONIME (nt. 21), 28 s.
(92) È la tesi di ASSONIME (nt. 21), 35 ss.
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(93) Nella disciplina dagli artt. 12 a 22 CCII il termine “crisi” è a mio avviso utilizzato in
una accezione generica, nel senso che può comprendere anche l’insolvenza, la quale può emer-
gere alla fine della istruttoria da parte dell’OCRI e può sfociare nella segnalazione al P.M. ex art.
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