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UNIVERSITA DEGLI STUDI DI MODENA E REGGIO EMILIA

Dipartimento di Scienze Giuridiche

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

TESI DI LAUREA IN DIRITTO COMMERCIALE

“IL RECESSO DEL SOCIO NELLE S.R.L.”

RELATORE Prof. Sido Bonfatti


LAUREANDO Davide Tundo
N. MATRICOLA 100450

ANNO ACCADEMICO 2020/2021


Indice

Introduzione

CAPITOLO 1: LA NATURA GIURIDICA DEL RECESSO


1. Le s.r.l.
2. Diritto di recesso del socio
2.1. Evoluzione storica del diritto di recesso nell’ordinamento giuridico italiano
3. Art.2473 c.c. dopo la riforma del 2003

CAPITOLO 2: CAUSE DEL RECESSO NELLE SRL


1. Recesso del socio nelle SRL
2. I soggetti legittimati al recesso
3. Cause inderogabili di recesso ex lege
a. Cambiamento dell’oggetto sociale
b. Trasformazione della società
c. Fusione e scissione
d. Revoca dello stato di liquidazione
e. Trasferimento di sede all’estero

f. Eliminazione di cause di recesso


g. Operazioni modificative dell’oggetto
h. Operazioni modificative dei diritti particolari dei soci
i. Durata indeterminata della società
j. Limiti alla circolazione delle quote
k. Aumento di capitale con offerta diretta delle quote a terzi
l. Soggezione a direzione e coordinamento
m. Introduzione o soppressione di clausole compromissori

4. Cause di recesso convenzionali


a. Revisione della stima dei conferimenti in natura
b. Altre cause convenzionali
c. Recesso ad nutum
5. Sent. N. 28987/ 2018
6. Modalità e termini per l'esercizio del recesso
7. Efficacia del recesso
8. Recesso parziale
9. Confronto del recesso tra spa e srl

CAPITOLO 3: RIMBORSO DELLA PARTECIPAZIONE


1. La determinazione del valore della quota del socio recedente

1.1.Possibilità di determinazione convenzionale dei criteri


1.2.La determinazione del valore della partecipazione del socio receduto in caso di contestazione
della stima degli amministratori
1.3.Data di riferimento
2. Procedimento di liquidazione della quota
3. Rimborso della partecipazione
a. “Mediante acquisto da parte degli altri soci proporzionalmente alle loro partecipazioni;
b. Mediante acquisto da parte di un terzo concordemente individuato dai soci medesimi.
Qualora ciò non avvenga il rimborso è effettuato:
c. Utilizzando riserve disponibili;
o, in mancanza,
d. Corrispondentemente riducendo il capitale sociale (applicando in tal caso l’art. 2482 c.c.)
e, qualora sulla base di esso non risulti possibile il rimborso della partecipazione del
socio receduto
e. La società viene posta in liquidazione”.

CONCLUSIONI

BIBLIOGRAFIA
INTRODUZIONE

La disciplina del recesso del socio è stata profondamente modificata con la riforma del 2003, in modo
da assicurare una più efficace tutela del socio, fino al limite di prevedere l’ipotesi limite in cui il
recesso del socio può condurre allo scioglimento stesso della società.
Con il Codice del Commercio del 1882 l’istituto del recesso del socio veniva visto con diffidenza,
perché metteva a rischio la stabilità finanziaria e patrimoniale della società.
Con il Codice Civile del 1942 il legislatore con il Codice Civile limitò ulteriormente le ipotesi che
legittimavano il diritto di recesso, tant'è che si diffuse l'orientamento secondo cui l'istituto favoriva
l’uscita di uno o più soci, ma poneva l'impresa in una situazione critica perché veniva intaccato il
patrimonio sociale.
In seguito, come anticipato, il legislatore assunse un atteggiamento di “favor societatis” che si
concretizzò nella riforma del 2003; infatti, sono stati vistosamente ampliati i casi in cui il diritto di
recesso è concesso e le relative tutele del socio, soprattutto per le società a resposnabilità limitata.
Infine, sono stati radicalmente modificati i criteri di determinazione del valore delle azioni del socio
recedente ed il procedimento di liquidazione del relativo importo, in modo da contemperare
l’interesse dei soci di minoranza con quello dei creditori sociali.
Nel presente elaborato, dopo una breve descrizione delle società a responsabilità limitata ed un
confronto di questa con la società per azioni, si tratterà del diritto di recesso partendo da una analisi
puntuale dell'art.2437 cc: si tratterà della riforma del 2003 e delle singole cause del recesso, per poi
descrivere la procedura di rimborso della partecipazione del socio receduto.
In conclusione, si darà spazio alla responsabilità del socio uscente.
CAPITOLO 1: LA NATURA GIURIDICA DEL RECESSO

1. Le società a responsabilità limitata

La società a responsabilità limitata o “s.r.l.” è una tipologia di società di capitali. Rappresenta la


struttura societaria maggiormente utilizzata all’interno del sistema economico italiano.
La s.r.l si può costituire per contratto o per atto unilaterale ex art. 2463 comma 1 c.c.; l’atto costitutivo
dev’essere redatto per atto pubblico e la società può anche essere costituita a tempo indeterminato.
Questo tipo di società entra a far parte del panorama legislativo italiano in maniera concreta con
l’introduzione del Codice Civile del 1942.
La ratio della sua introduzione consiste nella necessità di avere un ente a mezza via tra la società di
persone e la società per azioni; tuttavia, è soltanto nel 2003 con la riforma del diritto societario, che
la s.r.l. gode di una disciplina autonoma che la classifica come una società ibrida, appunto a metà
strada tra una s.p.a. e una società di persone1.
La riforma del diritto societario del 2003 (la “più vasta e organica che il Codice civile abbia ricevuto
[...] dalla sua entrata in vigore”)2 ha così modificato il sistema societario in termini strutturali,
funzionali e regolamentari, al punto da osservare che la società a responsabilità limitata così come
fuoriuscita dal D.lgs. n. 6 del 17 gennaio 2003 è dotata di una formazione giuridica completamente
diversa da quella che era stata introdotta nell’ordinamento italiano con il Codice Civile del 1942.
Certamente, la riforma del 2003 è il risultato di un dibattito instauratosi all’indomani dell’emanazione
del D.lgs. n. 58 del 24 febbraio 1998, recante il testo unico sull’intermediazione finanziaria: il
“naturale completamento”3 di quel decreto consisteva appunto in una legislazione che, prendendo

1
D.lgs.n 6 del17 gennaio 2003
2
Galgano F., Il nuovo diritto societario, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia diretto da
Galgano F., vol. XXIX, Padova, 2003, XIII.
Finora il Codice civile era stato modificato “solo” da interventi legislativi seppur importanti, ma “di settore” (si pensi alla
riforma delle società quotate, portata dal D.lgs. n. 58 del 24 febbraio 1998, e alla legge “Mancino” del 1993) oppure
dettati in derivazione dell’esigenza di adeguamento della disciplina nazionale della società per azioni alle Direttive
comunitarie. Di «riforma “epocale”» si parla nelle Osservazioni di Borsa Italiana S.p.A., presentate il 2 dicembre 2002,
in Riv. soc., 2002, 1564
3
Buonocore V., Premessa, in Buonocore V. (a cura di), La riforma del diritto societario. Commento ai D.lgs. n. 5-6 del
17 gennaio 2003, Torino, 2003, 2; cfr. pure Portale G.B., Riforma delle società di capitali e limiti di effettività del diritto
nazionale, in Società, 2003, 261; Presti G., Riforma della S.p.A. e scalini normativi, in Società, 2003, 323; Montalenti P.,
Osservazioni alla bozza di decreto legislativo sulla riforma delle società di capitali, in Riv. soc., 2002, 1542. E ancora la
Memoria per le Commissioni Riunite Giustizia e Finanze della Camera dei Deputati, presentata dalla Commissione
Nazionale per le Società e la Borsa, Roma, 28 novembre 2002, in Riv. soc., 2002, 1552; nonché l’Audizione
atto dell’inesistenza – nei tipi societari codificati, vale a dire la società per azioni, la società in
accomandita per azioni e la società a responsabilità limitata – di discipline realmente differenziate,
rivedesse la disciplina della struttura di governo delle diverse figure societarie specialmente alla luce
della diversa incidenza del ruolo dei soci nella vita dell’impresa4.
Il successivo Governo inizialmente rielaborò il disegno di legge di quella che sarebbe poi divenuta la
legge delega del 3 ottobre 2001 n. 366 e poi, per mezzo di una Commissione, nuovamente affidata al
coordinamento di un sottosegretario (l’onorevole M. Vietti)5, pose l’accento sulla predisposizione
della legge delegata6, il D.lgs. n. 6 del 17 gennaio 2003 (in vigore, dopo una lunghissima vacatio
legis7, dal 1 gennaio 2004, per effetto del suo art. 10).
È indubbio che l’influenza degli ordinamenti anglosassone8, tedesco, austriaco, portoghese e
francese9, abbiano portato il legislatore italiano alla formulazione nel 1942 del Codice civile.

dell’Associazione Italiana fra le Società per Azioni presso le Commissioni riunite Giustizia e Finanze della Camera dei
Deputati, Roma, 7 novembre 2002, in Riv. soc., 2002, 1592.
4
Notaio Busani, La nuova societa a responsabilita limitata, Monografia sulle S.r.l., 2003, www.notaiobusani.it
5
Cfr. Negri G., Per il nuovo diritto societario una commissione a tutto campo, in Il Sole 24 Ore, 11 ottobre 2001.
6
Si vedano, in Riv.soc.,2002,1649e1657, i pareri parlamentari alla bozza di D.lgs. espressi rispettivamente il 12 dicembre
2002 dalle Commissioni Riunite II (Giustizia) e VI (Finanze) della Camera dei Deputati e il 17 dicembre 2002 dalla II
Commissione Permanente (Giustizia) del Senato della Repubblica.
7
Talora benvisto, talaltra criticato: cfr., per esempio, l’Audizione dell’Associazione Italiana fra le Società per Azioni
presso le Commissioni riunite Giustizia e Finanze della Camera dei Deputati, Roma, 7 novembre 2002, in Riv. soc., 2002,
1592; e l’Audizione di Confindustria presso le Commissioni riunite Giustizia e Finanze della Camera dei Deputati, Roma,
21 novembre 2002, in Riv. soc., 2002, 1619.
8
Con la private company: cfr. Rivolta G.C.M., Sulla società a responsabilità limitata: precedenti storici e orientamenti
interpretativi, in Riv. dir. civ., 1980, I, 480; Vanetti C.B., Il companies act del 1981 e le nuove modifiche del diritto
societario inglese, in Riv. dir. civ., 1982, II, 453.
9
In particolare, nell’ordinamento francese, a cavallo tra il XIX e il XX secolo, venne per la prima volta delineata una
figura di srl che non avesse il capitale suddiviso in azioni e che fosse quindi chiamata non già a rivolgersi, come la società
per azioni– forma societaria ritenuta appropriata per la grande impresa – al mercato del capitale di rischio9, ma a
interpretare le esigenze dell’impresa medio-piccola, fondata sui rapporti personali tra i soci ma comunque “ambiziosa”
della limitazione della responsabilità dei soci. Peculiari caratteristiche sono poi riscontrabili nella francese “Société à
responsabilité limitée”, (l. del 7 marzo 1925): qui si prevede un capitale minimo per la costituzione, che deve essere
sottoscritto e versato contestualmente alla stipulazione, e un numero massimo di soci, che non può superare le cinquanta
unità; il capitale deve essere suddiviso in quote uguali, non cedibili a terzi se non con il consenso di almeno tre quarti del
capitale; il socio ha un solo voto per ogni quota posseduta; non sono ammessi conferimenti d’opera e non possono essere
previste prestazioni accessorie.
Cagnasso O., Dalla società per azioni alla società a responsabilità limitata: vicende storiche e prospettive di riforma, in
Riv. soc., 1971, 543.
Venne mostrato dunque, disciplinando anch’esso per la prima volta una “società a responsabilità
limitata”, come anche il nostro ordinamento avesse colto l’esigenza di un modello organizzativo più
agile della società anonima, basato su una ristretta compagine sociale, direttamente interessata alla
gestione della società, e sulla reciproca fiducia personale dei soci.
Quindi, venne disposto un tipo societario che, in ragione della sua ristretta compagine sociale e del
conseguente forte carattere di “intuitus personae” che vi si sviluppava, in grado di godere di una più
elastica regolamentazione organizzativa e amministrativa rispetto alle società per azioni.
In Germania, ad esempio, la “GmbH” del 189210, le cui caratteristiche di società di capitali traevano
origine dalla società azionaria “Aktiengesellschaft”, mostrava intense tinte personalistiche tipiche
delle società di persone. Infatti, aveva un capitale suddiviso in quote, eventualmente anche diseguali,
liberamente trasferibili salvo disposizioni statutarie, che non poteva essere rappresentato da azioni o
da altri titoli destinati alla circolazione. Quanto ai soci, erano responsabili limitatamente al proprio
conferimento, salvo che lo statuto non determinasse prestazioni accessorie o supplementari; inoltre,
rispondevano in proporzione ai conferimenti dovuti dai soci insolventi. L’organo amministrativo
poteva essere composto anche da non soci; mancava l’organo di sorveglianza, se non previsto
nell’atto costitutivo o da leggi speciali etc.
In Italia, invece, la società a responsabilità limitata trova terreno fertile nel 1942.
Nel Codice Civile, infatti, la disciplina delle società a responsabilità limitata è contenuta negli artt.
2462 – 2483 c.c. capo VII, del titolo V, del libro V che, al pari di quella delle società per azioni e
delle Cooperative, è stata riscritta dal D.Lgs.n.6/2003 sulla “Riforma organica della disciplina delle
società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366” 11.
La caratteristica principale di questo tipo societario, tipica peraltro delle società di capitali in genere,
consiste nel fatto che, ex art. 2462 c.c., delle obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il
proprio patrimonio. In altre parole, tutti i soci godono del beneficio della responsabilità limitata e
nessuna pretesa possono avanzare nei loro confronti i creditori della società.
Questa limitazione della responsabilità non opera, però, quando si registrano contemporaneamente
queste situazioni:
1) la società è insolvente;

10
Tale legislazione venne successivamente modificata nel 1922, 1926, 1937. Poi nel 1980 per introdurre la società
unipersonale Einmann-gesellschaf. GennariI F., “La società a responsabilità limitata”, in Cendon P.” Il diritto privato
oggi”, Milano, 1999, 6.
11
Pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 17 del 22 gennaio 2003, il quale contiene all’art. 3 la novellata disciplina delle
Srl, che resta nel capo VII, del titolo V, del libro V, del codice civile. (diritto.it).
2) la società è unipersonale12;
3) si verifica uno dei due seguenti fatti:
- i conferimenti non siano stati effettuati secondo le regole previste dall’art. 2463 c.c.;
- non sia stata attuata la pubblicità prescritta dall’art. 2470 in materia di socio unico13.

Per quanto attiene alle quote di partecipazione dei soci, non possono essere rappresentate da azioni e
non possono costituire oggetto di offerta al pubblico ex art. 2468, primo comma c.c.
Tale divieto rappresenta un grande ostacolo alla raccolta di ingenti capitali di rischio fra il pubblico
dei risparmiatori, al punto di rendere difficoltosa la pronta mobilitazione dell'investimento.
Un altro divieto imposto ex lege alle società a responsabilità limitata è di non poter emettere
obbligazioni: a seguito dell’entrata in vigore della riforma del 2003 è stato loro consentito di emettere
titoli di debito per la raccolta del capitale di credito, senza poterli collocare direttamente presso il
pubblico dei risparmiatori. I titoli di debito emessi dalle s.r.l possono essere sottoscritti soltanto da
banche o altri investitori qualificati, ecco perché hanno avuto una diffusione limitata14.
Un'altra importante caratteristica delle s.r.l. è rappresentata dal fatto che ex art. 2643 comma 2 n.4
c.c. il capitale sociale di avvio dovrebbe ammontare a 10.000€15 .
Tuttavia si specifica, sempre nell’art. 2463 comma 2 n.4 c.c., che all’atto della costituzione della
società il capitale può essere inferiore ai 10.000€, ossia inferiore al minimo legale, ma non inferiore
a 1€ purché i conferimenti vengano versati in denaro al momento della sottoscrizione nelle mani degli
amministratori e che sia previsto un maggiore accantonamento di utili per la riserva legale16.
In generale la costituzione di una s.r.l ha un costo contenuto: d’altro canto si esclude che le società
già dotate del capitale minimo possano successivamente ridurlo al di sotto di tale soglia, in quanto la
derogabilità del minimo legale non deve servire ad assecondare la decapitalizzazione di società in cui
è stata già raggiunta la soglia del capitale sociale minimo.
Il tipo societario in esame è molto utilizzato grazie alla flessibilità della disciplina
dell’amministrazione nella srl: infatti si potrà avere un amministratore unico od un consiglio di

12
“la S.r.l è stata la prima società di capitali per la quale fu introdotta nel 1993 proprio la possibilità di costituzione da
parte di un unico socio, con il mantenimento della responsabilità limitata per le obbligazioni sociali. Tuttavia l'originaria
disciplina è stata modificata dalla riforma del 2003 ed coincide con quella della società per azioni unipersonale”, G. F.
Campobasso, Diritto Commerciale,Volume II, Diritto delle società, nona edizione, Utet, cap.18
13
In tali casi, per le obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui l’intera partecipazione è appartenuta ad una sola persona,
questa risponde illimitatamente. (diritto.it)
14
G.F.Campobasso, Diritto commerciale, Utet, Nona edizione, Volume 2
15
Ex art. 2463, comma 2, n. 4
16
fattura24.com
amministrazione. Ora, tuttavia, vi sono anche forme di amministrazione congiuntiva (ove gli
amministratori debbono operare, per l’appunto, congiuntamente) o disgiuntiva (ove ogni
amministratore può operare da solo) o forme di amministrazione mista congiuntiva per taluni atti e/o
categorie di atti e disgiuntiva per il resto (sullo schema delle società di persone)17.
Tuttavia, è curioso notare che tranne che per alcune deliberazioni di particolare importanza, non è più
obbligatoria neppure l’assemblea; lo statuto può infatti prevedere metodi alternativi di formazione
per le decisioni dei soci, come la consultazione o il consenso resi per iscritto.
Per quanto attiene ai conferimenti, per la regola generale bisogna rifarsi all’art. 2464 comma 2 c.c
secondo il quale: “possono essere conferiti tutti gli elementi dell’attivo suscettibile di valutazione
economica”. I conferimenti possono essere in denaro, d'opera o servizi o in natura. Come di regola
però, se l’atto costitutivo non dispone diversamente, i conferimenti devono farsi in denaro. Inoltre, se
il capitale sociale è determinato in misura inferiore al minimo legale non vi è scelta sui beni conferiti:
può essere conferito solo il denaro, e i conferimenti devono essere interamente versati al momento
della costituzione 18.
Inoltre, il valore dei conferimenti non può essere complessivamente inferiore all'ammontare globale
del capitale sociale ex art 2464 comma 1 c.c.
Infine, è opportuno di ricordare che esiste un’importante variante della s.r.l prevista dall' art. 2463-
bis c.c: la nuova società a responsabilità limitata semplificata (srls),19 che può essere costituita sulla
base di uno “statuto standard” predeterminato. Per la sua costituzione è previsto, a differenza delle
s.r.l. un capitale minimo di almeno 1 euro, mentre non è previsto il pagamento di alcun onorario al
notaio né il versamento di diritti di segreteria e di imposta di bollo per l’iscrizione al registro delle
imprese.

2. Diritto di recesso del socio

L'istituto del recesso del socio è, in linea generale, lo strumento approntato dal legislatore per
consentire al socio di liberarsi dal vincolo quando le condizioni di svolgimento dell'attività prescelta
sono variate rispetto a quelle sulla cui base era entrato in società20 e per risolvere eventuali dissidi
endosocietari tutelando sia l'interesse del socio a veder riconosciuto e restituito il valore della propria

17
Notariato.it
18
, G.F.Campobasso, Diritto commerciale, Utet, Nona edizione, Volume 2
19
https://www.danea.it/blog/aprire-srls-srl-a-un-euro/
20
Galletti D., Il recesso nelle società di capitali, Giuffré, Milano, 2000, 62
partecipazione all'interno della società sia l'interesse di quest’ultima al pacifico exit di colui che per
varie ragioni non vuole più condividere le dinamiche societarie21.
Il recesso è sempre stato uno dei temi più dibattuti in ambito societario perché con questo strumento
si devono tutelare due contrapposti interessi: l’interesse del socio recedente, che è quello di ottenere
il rimborso della propria partecipazione all’interno della società; e quello della società, la quale,
vedendosi costretta a fronteggiare l’uscita di un socio, oltre ad essere obbligata a sostenere dei costi
per la liquidazione della quota del recedente, deve tutelare l’integrità del capitale sociale che è fonte
di garanzia per i creditori.
In termini strettamente contrattualistici, il potere di recedere22 si esercita con una dichiarazione
negoziale. Il recesso, considerato come negozio, si presenta come un atto unilaterale recettizio tra
vivi, con contenuto patrimoniale, al quale, per il richiamo effettuato dall’art. 1324 c.c., si applica la
disciplina relativa ai contratti.
Con specifico riguardo al contratto di società, il recesso è il potere del socio di determinare, con atto
di volontà unilaterale, lo scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad esso.
In generale in un normale rapporto societario, i soci nel porre in essere un’organizzazione che sia in
grado di concentrare e gestire delle risorse in una specifica impresa, non necessariamente sono
accomunati sotto il profilo dei peculiari interessi perseguiti.
In altre parole, quando un socio decide di uscire dalla società si scontrano inevitabilmente due
interessi contrapposti: da un lato, l’interesse del socio a farsi rimborsare una somma pari al valore
effettivo della propria quota di partecipazione, dell’altro quello della società, intenta a conservare il
proprio equilibrio finanziario che potrebbe essere gravemente intaccato dall’utilizzo di fondi
necessario a rimborsare il socio che recede.
In sintesi, al recesso del socio si possano attribuire i seguenti caratteri:
-è un diritto normalmente potestativo, esercitabile nelle ipotesi stabilite dalla legge o dal contratto23;
-è un diritto personale, che come tale non può essere esercitato in via surrogatoria dai creditori sociali
ed il cui esercizio non può venir subordinato alla preventiva autorizzazione degli altri soci o loro
maggioranza;
-integra una dichiarazione di volontà unilaterale e recettizia24.

21
B. Acquas, C. Lecis, Il recesso del socio nella spa e nella srl, Giuffrè editore, 2010
22
Con il termine “recesso” non si individua soltanto il potere (qualificabile come un diritto potestativo) di sciogliere un
rapporto contrattuale (nel nostro caso è più opportuno parlare di rapporto sociale), ma anche il negozio giuridico attraverso
il quale quel potere si esercita
23
Vale a dire per atto costitutivo o statuto
24
Per la sua efficacia, non richiede l’accettazione degli altri soci, ma la loro conoscenza (salvo il rispetto del preavviso).
Per giungere a queste affermazioni, si è assistito ad una evoluzione normativa della norma cardine
del recesso del socio: l’art.2437 c.c.

2.1.Evoluzione storica del diritto di recesso nell’ordinamento giuridico italiano

Prima della riforma del diritto societario25, il vecchio art. 2473 c.c. disciplinava il diritto di recesso in
attraverso il rinvio alle norme in tema di società per azioni26; rappresentava uno strumento a tutela
della minoranza (il socio recedente) e veniva visto con una certa perplessità dalla maggioranza dei
soci di una società perché, l’uscita di uno di essi, rischiava di compromettere l’equilibrio finanziario
dell’impresa stessa.
Il legislatore guardava al recesso con disfavore, ritenendolo un possibile disincentivo
all’adeguamento degli assetti organizzativi societari, e lo aveva perciò confinato in un ambito di
applicazione assai ristretto.
La marginalità dell’istituto era poi confermata dal suo scarso utilizzo pratico e dalla mancanza di un
particolare interesse da parte della dottrina27.
In Italia, la società a responsabilità limitata ebbe luce, dunque, con l’introduzione del Codice Civile
nel 1942.
Quanto alle previsioni codicistiche previgenti, ad esempio nei codici preunitari28, era prevista la
tripartizione del mondo societario in: società in nome collettivo, società anonima e società in
accomandita29.
Il Codice di Commercio del 1865 non apportò nessuna modifica sul punto.
Di grande rilievo fu, invece, la modifica, seppur parziale, che apportò il Codice di Commercio del
1882, con l’introduzione della società anonima per quote 30.

25
D.lgs.n.6/2003
26
Dal punto di vista sistematico va ricordato che, in luogo del rinvio generico alle norme dettate in tema di società per
azioni, in quanto compatibili, venne preferito il richiamo analitico a singole norme della società per azioni
27
Acquas B. in Acquas B. e Lecis C., Il recesso del socio nella S.p.A. e nella S.r.l., in Il dir. priv. oggi a cura di Cendon
P., Milano, 2010, p. 11, il quale rinvia a Spaltro G., Esercizio del recesso e perdita dei diritti sociali, in Soc., 2007, p.
35.
28
Cagnasso O., Dalla società per azioni alla società a responsabilità limitata: vicende storiche e prospettive di riforma,
in Riv. soc., 1971, 522; Marocco A.M., Morano A., Raynaud D., Società a responsabilità limitata, in Casi e materiali di
diritto societario, Milano, 1992, 6; Santini G., Della società a responsabilità limitata, in Scialoja A., Branca G. (a cura
di), Commentario al Codice civile, Libro Quinto, Del lavoro, artt. 2472-2497-bis, Bologna-Roma, 1992, 8.
29
Non si ebbe nessuna novità sul punto con il Codice di Commercio del 1865
30
Questa, peraltro, differiva in pratica dall’anonima per azioni solo per una diversa rappresentazione della quota di
partecipazione al capitale sociale, “La “nuova” società a responsabilità limitata”, Notaio Busani
Tuttavia, già allora, aleggiava la necessità di una struttura societaria maggiormente “snella”, a base
sociale ristretta, con importanti rapporti tra i soci e che venne concretizzato soltanto con il codice del
1942 ma il cui excursus è interessante.
Infatti, nacque un ampio dibattito che sfociò inizialmente in due diversi progetti, mai tradotti in un
testo di legge: il “progetto Vivante”31 e il “progetto D’Amelio”, ove apparì per la prima volta una
“società a garanzia limitata”, che venne poi trasfuso nel Codice Civile, anch’esso fondato sull’idea
che la società a responsabilità limitata dovesse soddisfare la necessità degli operatori di potersi
avvalere di una forma societaria a responsabilità limitata per i soci ma che fosse fortemente intrisa
della personalità dei suoi soci32: si trattava dunque di una società di pochi soci, legati fra loro da un
rapporto di reciproca fiducia personale.
La società a resposnabilità limitata del codice del 1942 mostrava dunque come sua principale
caratteristica la limitazione della responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali all’entità dei
conferimenti promessi e pertanto palesava, sotto questo aspetto, una completa affinità con la società
per azioni, dalla quale si distingueva per non avere il capitale sociale suddiviso in azioni, bensì in
“quote di partecipazione”.
Anche sotto il profilo della sua disciplina, la s.r.l. risultava comunque abbastanza “appiattita sotto
l’impronta della società per azioni”: erano poche le norme tipicamente previste dal legislatore per la
srl ed alcune norme erano la pedissequa riscrittura di quelle dettate per la società per azioni.
Tuttavia, è indubbio che la società a responsabilità limitata sia distinta dalla società per azioni,
collocandosi in una posizione “intermedia”33 tra le società di capitali e le società di persone, per la
conformabilità del suo assetto, secondo la volontà dei soci, in senso volta a volta più spiccatamente
personalistico, diversamente dal modello di spa, o più spiccatamente capitalistico, sfruttando la
facoltà concessa dal legislatore di adattare in tal senso le norme del Codice.

31
Cfr. Rivolta G.C.M., La società a responsabilità limitata, in Trattato di diritto civile e commerciale diretto da Cicu A.
e Messineo F. e continuato da Mengoni L., vol. XXX, t. 1, 1982, 29.
32
Quest’ultimo progetto dunque venne alfine sostanzialmente riprodotto nel Progetto Preliminare del Libro del Lavoro
del Codice civile del 1941, e, con alcune modifiche, trasposto nel testo definitivo del Codice, approvato con R.D. n. 17
del 30 gennaio 1941. Nel testo introdotto nel Codice civile scomparvero l’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese
dei trasferimenti di quote, il voto per corrispondenza e la responsabilità sussidiaria dei soci per un multiplo della quota;
dal punto di vista sistematico va ricordato che, in luogo del rinvio generico alle norme dettate in tema di società per azioni,
in quanto compatibili, venne preferito il richiamo analitico a singole norme della società per azioni.
33
Cfr. Ferrara F., Corsi G., Gli imprenditori e le società, Milano, 1996, 858-860; Racugno G., voce Società a
responsabilità limitata, in Enc. dir., vol. XLII, Milano, 1990, 1042-1043.
Conseguentemente, l’istituto del “recesso del socio”, deve la propria introduzione nell’ordinamento
giuridico italiano si deve al codice del commercio del 188234, seppur limitatamente a fattispecie ben
determinate elencate all’art.158 che lo prevedeva solo nel caso di fusione, reintegrazione o aumento
del capitale, cambiamento dell’oggetto sociale e, salva diversa disposizione statutaria, proroga della
durata della società35; che trovava il suo fondamento nel rimborsare la quota di partecipazione del
socio uscito, causando così una diminuzione delle proprie risorse patrimoniali che avrebbe potuto
determinare un grave rischio per la continuazione della vita della società stessa.
In generale, la disciplina generale dei contratti sanciva il divieto di modificazione di ogni contratto
se non per unanime consenso di tutti i contraenti: così, in ambito societario, l’uscita di un socio doveva
essere accettata da tutti gli altri soci ex contractu societatis ed in caso contrario il socio non poteva
“uscire” dall’impresa.
Era, quindi, inevitabile che si creassero dei problemi interpretativi36.
Con l’introduzione di una normativa specifica del diritto di recesso anche in ambito societario, la
limitazione delle cause di recesso del previgente codice del commercio del 1882 venne modificata.
Per evitare che con il recesso di un socio si potesse mettere in crisi l’equilibrio economico, finanziario
e patrimoniale di una società, la tendenza del legislatore italiano fu quella di non ampliare od integrare
le cause legittimanti il recesso.
Si ammetteva la possibilità di recedere dalla società limitatamente alle quattro ipotesi stabilite dell’art.
158 del Codice di commercio del 1882: in questa maniera l’istituto del recesso risultava in realtà poco
utilizzato in ambito societario.

34
Tuttavia, anche se in maniera non del tutto esplicita, il recesso era gia stato previsto nel previgente codice del 1865,
all’art.163:”in tutte le società devono risultare da espressa dichiarazione o deliberazione dei soci e devono essere
depositati, trascritti, affissi e pubblicati a norma degli artt. 158 e 161, la mutazione, il recesso e l’esclusione dei soci”.
35
Art.153 cod.comm.1882
36
“Il principio maggioritario che caratterizza le decisioni societarie appare coerente con la struttura stessa delle società di
capitali, ed in particolare delle società per azioni, concepite per una partecipazione ad esse di un ampio numero di soci;
richiedere l’unanimità in tali circostanze potrebbe comportare l’impossibilità di prendere decisioni per l’opposizione
anche di un singolo socio; in tal modo, tuttavia, si finisce per penalizzare il socio dissenziente, che deve sottostare a
decisioni che non approva.
Con lo strumento del recesso si cerca di mediare tra l’interesse della maggioranza alla rapida assunzione di decisioni e
quello del singolo socio a non dover subire gli effetti di scelte non condivise e a non rinunciare alla sua libertà di iniziativa
economica.
In termini generali il diritto di recesso consiste nella possibilità di fuoriuscire dalla società al verificarsi di determinati
eventi, successivi alla partecipazione nella società, che alterano l’iniziale assetto contrattuale in maniera tale da rendere
più opportuno per il socio non proseguire il rapporto societario”, Vallasciani S., Il recesso del socio, 2007, p.69
Con la prima guerra mondiale, la “legislazione speciale” fu portata a sopprimere quasi del tutto il
diritto di recesso37.
Durante la prima ripresa post bellica, la legislazione speciale limitò nuovamente l’ambito di
applicazione del recesso societario.
Infine, con il Codice Civile del 1942, si previde la facoltà di recedere per i soci dissenzienti dalle
deliberazioni che riguardavano il cambiamento della società, del tipo di società o il trasferimento
della sede sociale all’estero e, per i soci conferenti crediti o beni in natura, quando, a seguito della
stima dei conferimenti, fosse risultato un valore inferiore di oltre un quinto a quello per cui era
avvenuto il conferimento38.
L’istituto del recesso, nella sua formulazione ante riforma del 2003, dunque, risentiva fortemente del
sentore negativo che lo circondava sin dalla redazione codicistica del 1942. Esso veniva visto come
la dittatura della minoranza sulla maggioranza, un’arma sottile con cui il socio minoritario teneva in
pugno il resto della società.
La soluzione del legislatore fu quella di riconoscere il diritto di recesso al socio che non crede più
nella propria società, ma di confinarlo entro termini di decadenza strettissimi e limitarlo a poche cause
tipiche tassative.
Il recesso del socio è pertanto un rischio, che la società stima e valuta in un bilanciamento di interessi
con i benefici che potrebbero scaturire dall’adozione della deliberazione potenzialmente idonea a
permettere il recesso di uno o più soci, e sceglie quale strada seguire, potendo contare, oltre che sulla
bontà delle proprie stime, sul rapido consolidarsi della situazione di fatto che si viene a creare a
seguito della deliberazione.
La riforma del diritto societario in tema di recesso del socio ha attuato in modo significativo gli spazi
di tutela reale a disposizione delle minoranze, ossia deputati alla rimozione degli atti organizzativi
illegittimi. Ciò indubbiamente rafforza la stabilità delle decisioni societarie e può costituire un valore
positivo sul piano dell’esercizio dell’impresa 39.
Successivamente alla pubblicazione del codice del 42, il legislatore dovette considerare anche gli
interessi dei creditori sociali che, costretti a subire le conseguenze di un recesso che avrebbe potuto

37
Con la l.n.431/1915 fu escluso, anche se in via temporanea, il diritto di recesso nel caso di fusione e di aumento di
capitale. Inoltre, furono adottati diversi altri provvedimenti attraverso i quali, tra l’altro, l’esclusione del diritto di recesso
fu estesa anche al cambiamento dell’oggetto sociale.
38
E. Borina, E. Dai Prà, A. Domeneghini, E. Manuali, etc., Commissione Diritto Societario, Il commercialista veneto, ,
Associazione Dei Dottori Commercialisti Delle Tre Venezie, L’inserto-Il Recesso del socio nella società a responsabilità
limitata,. n. 172 - Luglio / Agosto 2006
39
Galletti D., Il diritto di recesso in Il nuovo diritto societario a cura di S. Ambrosini, Giappichelli editore, Torino, 2005
penalizzare il rimborso delle obbligazioni assunte con l’impresa loro debitrice, proprio nel capitale
sociale trovano una sorta di garanzia per le loro obbligazioni40.
In sintesi, ciò che preoccupava maggiormente era che quando un socio esercitava diritto di recesso,
la relativa liquidazione della quota venisse fatta proprio con una riduzione del capitale sociale che
costituisce l’unica forma di garanzia delle obbligazioni sociali.
Con la riforma del diritto societario, attuata mediante il d.lgs. del 17 gennaio del 2003, n. 6, è stata
apportata un’importantissima modifica della disciplina e della struttura generale delle società di
capitali e cooperative: lo stampo prettamente istituzionalistico della previgente disciplina ha lasciato
spazio ad un ampliamento sensibile delle cause di recesso, a criteri di liquidazione delle quote più
idonee ad evidenziare l’effettivo valore di queste in luogo di un valore ispirato a criteri estremamente
prudenziali, di solito penalizzanti il socio recedente41.
Tuttavia, per giungere a questo assetto si è dato luogo ad una serie di discussione di carattere
interpretativo su alcune questioni importanti.
Innanzitutto, si è posto l’accento sul carattere tassativo delle cause legittimanti il recesso societario.
Il legislatore ha scelto di ampliare il margine di autonomia statutaria al fine di agevolare l’uscita del
socio dal momento che nel modello di s.r.l. previsto dal nostro ordinamento, l’unico modo per
liberarsi dal vincolo sociale consiste proprio nel recesso42.
Da qui la nuova tendenza di dare maggiore libertà alle società, le quali mediante il loro atto costitutivo
o statuto, possono prevedere in aggiunta ai casi di legge, dei particolari motivi legittimanti l’esercizio
del diritto di recesso.
Altra importante questione attiene al momento in cui, sostanzialmente, il socio recedente perde lo
status socii.
Già ai tempi del Codice di Commercio, si affermava che la dichiarazione di recesso e la perdita della
qualità di socio avveniva con la pubblicazione della delibera di riduzione del capitale corrispondente.
Tuttavia, al riguardo una parte della dottrina afferma che il socio perde il suo status nel momento della
consegna alla società della dichiarazione di recesso, per cui è evidente che, secondo
quest’impostazione, si tende a far risaltare il carattere recettizio del recesso.

40
Il recesso può produrre un depauperamento del capitale sociale. Rappresenta, dunque, un elemento negativo per i
creditori sociali. La giurisprudenza, che negò più volte la liceità di ipotesi convenzionali del recesso ancorandosi
saldamente al principio della tassatività delle ipotesi legali di recesso, in proposito: Cass., 19 agosto 1950, n. 2480, e 28
ottobre 1980, n. 5790; App. Roma, 18 luglio 1962; App. Milano, 16 ottobre 2001; Trib. Milano, 12 dicembre 1984; Trib.
Latina, 9 luglio 1988; Trib. Cassino, 7 febbraio 1990; Trib. Como, 11 ottobre 1993.
41
De Angelis L., Dichiarazione di recesso e credito per la liquidazione della quota, in Soc., 2004
42
Galletti D., Il recesso nelle società di capitali, op. cit., p. 288.
In altre parole, l’effetto del recesso è lo scioglimento del vincolo sociale rispetto al socio recedente,
e non il sorgere di un nuovo diritto, rappresentato dalla liquidazione della quota, che, più
propriamente, si pone quale conseguenza di quello scioglimento, e non come sua premessa43.
Altra parte della dottrina sostiene, invece, che la perdita avvenga solamente nel momento della
liquidazione della quota posseduta del recedente, vale a dire in “pendenza di recesso”.
Nonostante i possibili dubbi interpretativi, sembra doversi preferire la seconda tesi44, stante il disposto
dell’ultimo comma dell’art. 2473 c.c., che stabilisce espressamente che il socio recedente conserva la
qualità di socio anche dopo la comunicazione di recesso.
Quanto ai diritti sociali inerenti alla partecipazione, parrebbe che il socio fino allo scioglimento dal
vincolo sociale parrebbe conservi tutti i suoi diritti, sia patrimoniali che amministrativi, dato che non
è ancora certo della propria volontà di recedere; tuttavia, ammettere che il socio possa continuare a
godere di tutte le prerogative derivanti dallo status socii, contrasta con la manifestata volontà di
recedere dalla società.
Pertanto, è doveroso distinguere tra diritti patrimoniali e diritti c.d. corporativi.
I diritti patrimoniali vengono “congelati” fino al termine del procedimento di liquidazione, con
possibilità di essere successivamente esercitati, qualora il recesso venga revocato.
Invece, i diritti corporativi, non essendo proponibile un loro congelamento, vengono pienamente
conservati in capo al socio45.
È doveroso ricordare però che la società può revocare la delibera assembleare che legittima il recesso
del socio, ai sensi dell’art.2473 c.c. quinto comma c.c.46.
Ciò significa che con la revoca della delibera che giustifica il recesso, o, con lo scioglimento
volontario della società, i soci possono impedire o renderne inefficace l’esercizio del diritto di recesso
stesso.

43
Agrusti G., Raffaele M., Diritto commerciale societario, Opinioni, Il recesso del socio nelle srl
44
Maltoni M., Il recesso e l’esclusione nella nuova società a responsabilità limitata, in Notariato., 2003, p. 311; Agrusti
G., Marcello R. Trib. Roma, 11 maggio 2005, in Soc., 2006, p. 55 con commento favorevole di Bonavera E.E.
Diversamente, Corsi F., Il momento di operatività del recesso nelle società per azioni, in Giur. comm., I, 2005, p. 320,
secondo il quale il socio perderebbe la sua posizione con il decorrere del termine riconosciuto alla società per revocare la
delibera che ha determinato l’esercizio del diritto di recesso.
45
Si tenga presente che, se si aderisce alla tesi che àncora la perdita dello status socii alla ricezione della dichiarazione di
recesso da parte della società, a partire da tale momento il recedente non potrà più esercitare né i diritti patrimoniali, né
quelli amministrativi connessi a tale status, detenendo soltanto un diritto di credito alla monetizzazione della sua quota.
46
Il comma 5 art 2473 cc dispone:” Il recesso non può essere esercitato e, se già esercitato, è privo di efficacia, se la
società revoca la delibera che lo legittima ovvero se è deliberato lo scioglimento della società”.
Relativamente alle modalità di esercizio del recesso, si è volutamente lasciata ampia libertà
all’autonomia statutaria. A differenza delle società per azioni che vedono disciplinati i termini e le
modalità di esercizio del diritto di recesso dall’art. 2437-bis c.c., nelle società a responsabilità limitata
è rimessa all’autonomia statutaria la decisione inerente alle modalità di esercizio, anche se è da
ravvisare la possibilità di un’applicazione in via analogica (l’applicazione va valutata tenendo conto
delle caratteristiche della S.r.l. in oggetto) delle regole dettate dalla dottrina in tema di società per
azioni47.
Tutto ciò premesso, con la riforma societaria del 2003, tutto apparve più chiaro al riguardo.

3. Art.2473 c.c. dopo la riforma del 2003

Tutto ciò premesso, la nuova disciplina del diritto di trova una migliore e più chiara dicsciplina con
le novità introdotte con la riforma societaria del 2003.
Attualmente, la disciplina del recesso nelle società a responsabilità limitata è contenuta interamente
nel nuovo art. 2473 c.c..
Il d.lgs. n.6/2003, come sopra ampiamente esaminato, è stato emanato a fronte della legge delega n.
366/2001, della quale riveste particolare importanza l’art.2 la cui rubrica è “Princìpi generali in
materia di società di capitali” e ai sensi del quale ” La riforma del sistema delle società di capitali di
cui ai capi V, VI, VII, VIII e IX del titolo V del libro V del codice civile e alla normativa connessa, è
ispirata ai seguenti princìpi generali:
a) perseguire l’obiettivo prioritario di favorire la nascita, la crescita e la competitività delle
imprese, anche attraverso il loro accesso ai mercati interni e internazionali dei capitali;
b) valorizzare il carattere imprenditoriale delle società e definire con chiarezza e precisione i
compiti e le responsabilità degli organi sociali;
c) semplificare la disciplina delle società, tenendo conto delle esigenze delle imprese e del
mercato concorrenziale;
d) ampliare gli ambiti dell’autonomia statutaria, tenendo conto delle esigenze di tutela dei
diversi interessi coinvolti;
e) adeguare la disciplina dei modelli societari alle esigenze delle imprese, anche in
considerazione della composizione sociale e delle modalità di finanziamento, escludendo comunque
l’introduzione di vincoli automatici in ordine all’adozione di uno specifico modello societario;
f) nel rispetto dei princìpi di libertà di iniziativa economica e di libera scelta delle forme
organizzative dell’impresa, prevedere due modelli societari riferiti l’uno alla società a responsabilità

47
Campobasso G.F., Diritto commerciale, 2, Utet, nona edizione
limitata e l’altro alla società per azioni, ivi compresa la variante della società in accomandita per
azioni, alla quale saranno applicabili, in quanto compatibili, le disposizioni in materia di società per
azioni;
g) disciplinare forme partecipative di società in differenti tipi associativi, tenendo conto delle
esigenze di tutela dei soci, dei creditori sociali e dei terzi;
h) disciplinare i gruppi di società secondo princìpi di trasparenza e di contemperamento degli
interessi coinvolti”48.
In particolare la disciplina delle S.r.l. ha subito notevoli trasformazioni a seguito della riforma, entrata
in vigore a partire dal 1° gennaio 2004.
La Relazione ministeriale al D.lgs. n. 6 del 2003, par. 11, intitolato “Società a responsabilità limitata”
cita testualmente: “la possibilità offerta dalla legge (al socio) di uscire dalla società da un lato gli
consente di sottrarsi a scelte della società che contraddicono i suoi interessi e dall’altro,
comportando un impegno economico per la società e per coloro che in essa rimangono, gli offre uno
strumento di contrattazione con gli altri soci e con la maggioranza della società: in sostanza, la
necessità di questo impegno economico comporta che, nel calcolo dei costi e benefici concernenti
una decisione che vede contrapposti diversi soci, anche di esso si dovrà tener conto”.
La norma contenuta nell’art. 2473 comma 1 prima parte c.c., recita testualmente:” l’atto costitutivo
determina quando il socio deve recedere dalla società e le relative modalità”.
La dottrina ha avuto modo di evidenziare che, “si nota un ribaltamento di prospettiva relativamente
al recesso del socio nelle spa: nell’art.2437 c.c. si procede prima all’individuazione dei casi di
recesso legali e inderogabili per poi riconoscere, in qualche modo secondariamente, una libertà
d’introduzione d’ipotesi facoltative.
L’art.2473 c.c. invece, apre proprio con il riconoscimento dell’autonomia statuaria e del potere di
autoregolamentazione sociale sul punto…per poi rammentare le ipotesi inderogabili.
Per tanto dal combinato disposto, è evidente che anteporre le ipotesi disponibili a quelle legali è
sintomo di una prevalenza o, meglio, predominanza dell’autonomia statuaria”49.
L’autonomia riconosciuta ai soci è massima, al punto che, si attribuisce allo statuto il ruolo di fonte
primaria nella disciplina del recesso del socio nelle s.r.l.; il legislatore non ha introdotto nessun
vincolo e viene delegato ai soci il compito di bilanciare il rischio di impoverimento sociale con le
esigenze di flessibilità finalizzate ad incentivare l’investimento.

48
Camera.it, L. 3 ottobre 2001 n.366 "Delega al Governo per la riforma del diritto societario"
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 234 dell'8 ottobre 2001
49
Callegari M., Il recesso del socio nelle srl, in Le nuove srl, diretto da M. Sarale, Zanichelli editore Bologna, 2008
Tuttavia tale ampia autonomia statutaria dei soci è bilanciata dall’introduzione di limiti e principi
inderogabili.
La seconda parte del primo comma dell’art. 2473 c.c., fa riferimento alla legittimazione all’esercizio
del diritto di recesso e ala sua relativa ampiezza. La norma infatti individua i soci legittimati al
recesso: “in ogni caso il diritto di recesso compete ai soci che non hanno consentito…”.
In primis, viene quindi fissato il carattere inderogabile delle cause di recesso per il socio ed in
presenza di una di esse dovrà essere riconosciuto in ogni caso il diritto a recedere.
In secundis, vengono individuati puntualmente i soci legittimati a recedere in “coloro che non hanno
concorso alle deliberazioni riguardanti…” le cause legali di recesso.
Dunque, tutti i soci assenti all’assemblea societaria, o i soci che hanno dissentito dalla volontà
espressa dalla maggioranza assembleare, o ancora si sono astenuti dal prendere una posizione in
riferimento all’argomento dal quale deliberare, hanno diritto di recesso50.
È opportuno sottolineare, per inciso, che nonostante a livello formale vengano utilizzate dal
legislatore locuzioni differenti per identificare i legittimati al recesso, dal punto di vista sostanziale
non vi è nessuna differenza: infatti in entrambi i casi possono recedere i soci dissenzienti, assenti,
astenuti e quelli non legittimati a non partecipare alle decisioni51.
In tertiis, una novità ulteriore consiste nell’assegnare al recesso la possibilità di essere utilizzato come
strumento di dibattito e di contrattazione endosocietaria52.
In conclusione, se l’art. 2473 c.c. disciplina il recesso del socio nelle S.r.l., l’atto costitutivo determina
quando il socio può recedere dalla società e le relative modalità di esercizio.
Quanto ai soggetti legittimati al diritto di recedere dalla società, si rinvia all’art.2437 c.c. che tuttavia
non prescrive il termine entro il quale detto diritto debba essere esercitato.
Supplisce a questa mancanza l’art.2437-bis c.c.: a norma del quale il diritto di recesso viene esercitato
entro15 giorni dall’iscrizione nel Registro Imprese della delibera che legittima il recesso, prevista a
sua volta dal art. 2436 c.c.

50
Cagnasso O., La società a responsabilità limitata, in Trattato di diritto commerciale, diretto da G. Cottino, Cedam
editore, Padova, 2007
51
“Alla diversità terminologica corrisponde, peraltro, l’identità concettuale della norma in commento rispetto all’art.
2437, sintomatica della rilevanza ora attribuita non alla manifestazione della volontà contraria, ma alla circostanza che il
soggetto non abbia concorso con la propria volontà a formare la deliberazione dissentita”.
Masturzi S. Il recesso del socio, in La riforma delle società, a cura di M. Sandulli e di V. Santoro, Giappichelli Editore
Torino, 2003
52
V. Di Cataldo, Il recesso del socio di società per azioni, in Schemi e mappe concettuali di Diritto Commerciale II, pp.
219-255, 2007
Detti fenomeni, verranno più dettagliatamente affrontati nel capitolo successivo del presente
elaborato.

CAPITOLO 2: CAUSE DEL RECESSO NELLE SRL

1. Recesso del socio nelle SRL

Se inizialmente si considerava la Società a responsabilità limitata come un sottogruppo della Società


per azioni, oggi la c.d. “S.r.l.” può contare su di una disciplina del tutto autonoma rispetto a quella
prevista per le S.p.a.
Da un lato, la Riforma53 ha inteso differenziare nettamente i tipi della società per azioni e della società
a responsabilità limitata, indirizzando ciascuno di essi a interpretare un diverso ruolo nell’attività
economica e cioè indicando la società per azioni come la forma giuridica più “adatta” ad un’impresa
medio-grande, mandando la società a responsabilità limitata a rappresentare la fascia dell’impresa
medio-piccola ove i soci in linea di massima prestano personalmente la propria opera lavorativa.
Dall’altro lato, è conseguita la predisposizione di un insieme di norme “proprie”, tipicamente e
finalmente rivolte alla disciplina della S.r.l., e cioè senza più attingere ad innumerevoli richiami alla
disciplina delle S.p.a., fermo restando che ci sono alcuni casi in cui la riforma “paga il prezzo” di
alcune imprecisioni. Inoltre, da questa nuova impostazione è scaturita una considerazione totalmente
diversa della figura del socio di società a responsabilità limitata, nonché del suo ruolo nella società.
Prima della Riforma societaria del 2003, quando il socio, a prescindere dal tipo di società di
appartenenza, era considerato un elemento quasi irrilevante nella vita societaria, e quindi trattato nello
stesso modo sia nel caso di S.p.a. che nel caso di S.r.l., (tranne che per la cessione delle partecipazioni,
vincolabile in massima misura nella società a responsabilità limitata e solo in piccola misura nella
società per azioni), l’attenzione del legislatore era nettamente rivolta54 alla tutela dei terzi che
entravano in contatto con la società.
In particolare, la disciplina della società a responsabilità limitata era informata ad un carattere di
rigida inderogabilità tale per cui dai binari tracciati dal legislatore le deroghe consentite erano minime
e ciò che nell’ordinamento previgente non era previsto come possibile, era generalmente considerato
vietato.

53
Riforma in tema societario del 2003
54
Zanarone G., La società a responsabilità limitata nel cammino della riforma, in Governo dell’impresa e mercato delle
regole. Scritti giuridici per Guido Rossi, I, Milano, 2002, 125-126.
Oggi, la disciplina che il legislatore ha previsto per le società a responsabilità limitata è, invece,
informata all’autonomia rispetto alle spa: la riforma ha, per così dire, confezionato uno specifico
vestito55 per la società a responsabilità limitata, non più fotocopiato da quello della società per azioni
ma adatto per essere indossato dall’impresa medio-piccola, “chiusa” rispetto al mercato e cioè ove il
pubblico dei risparmiatori non viene sollecitato a investire nel suo capitale e ove normalmente i pochi
soci che vi partecipano prendono personalmente e quotidianamente parte al lavoro della società (la
quale, anzi, spesso non può prescindere da questo personale lavoro dei soci).
Si tratta di un netto cambiamento con il passato: in primo piano vengono posti (ferme restando
ovviamente le cautele per i terzi fornitori e clienti)56 gli interessi personali del socio e tutta la vita
societaria viene subordinata a questi personali interessi; inoltre, se nella società per azioni al centro
c’è l’interesse della società, nelle società a responsabilità limitata invece c’è la persona del socio, ben
capace di autotutela (restando comunque ferme «l’esigenza di una protezione minima delle situazioni
giuridiche dei soci» e quindi l’inderogabilità delle “posizioni fondamentali” del socio nella vita
societaria, quali il diritto di partecipare all’adozione delle decisioni da parte dei soci).
Nella società per azioni dunque il socio è spesso un “semplice” “aderente”, nella società a
responsabilità limitata egli è invece un “vero e proprio” “contraente”: «trattandosi di società
tendenzialmente a ristretta compagine sociale e solitamente costituita da soci imprenditori, si ritiene
che competa agli stessi soci predisporre i mezzi di tutela ritenuti più opportuni».
Da tutte queste considerazioni, si deve affermare quanto abbia rappresentato una svolta la Riforma
societaria del 2003, che ha concesso di avere come ulteriore causa legittimante il recesso quelle
esplicitamente previste nell’atto costitutivo della società, in particolare in tema di recesso nella Srl,
dando luogo ad un ampliamento delle cause legittimanti l'esercizio del diritto medesimo.
Prima della Riforma, infatti, erano previste solo tre ipotesi legali e tassative per l’esercizio del diritto
in esame e, stante il suo carattere eccezionale, non si riteneva possibile prevederne di ulteriori.

55
Per la metafora “sartoriale” cfr. per esempio, Rovelli L., Sulla riforma delle società di capitali, in Contr. e impr., 2002,
834; Marchetti P., Alcuni lineamenti generali della riforma, in Atti del convegno sul tema Verso il nuovo diritto societario.
Dubbi e attese, Firenze, 16 novembre 2002, 3; PrestiI G., Le nuove ricette del diritto societario, in Benazzo P., Patriarca
S., resti I G. (a cura di), Il nuovo diritto societario tra società aperte e società private, in Quaderni di Giurisprudenza
Commerciale, n. 246, Milano, 2003, 8.
56
Afferma la Relazione al decreto legislativo recante riforma organica della disciplina delle società di capitali e società
cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366, par. 11, che “la riforma in materia di società a responsabilità
limitata [...] intende offrire agli operatori economici uno strumento caratterizzato da una significativa e accentuata
elasticità e che, imperniato fondamentalmente su una considerazione delle persone dei soci e dei loro rapporti personali,
si volge a soddisfare esigenze particolarmente presenti nell’ambito del settore delle piccole e medie imprese”.
La previsione di tale tassatività aveva a monte una scelta finalizzata ad un interesse prevalente: la
tutela dell'integrità del capitale sociale, nella prospettiva della conservazione dell'attività e
dell'interesse dei creditori.
La Riforma ha quindi portato all'incremento delle fattispecie legali ed all'introduzione di una rilevante
area di “disponibilità statutaria”, coerentemente con la generale tendenza del riformatore ad ampliare
gli spazi dell'autonomia privata57.
Questo ampliamento previsto dal legislatore, ci porta a meglio suddividere le cause di recesso del
socio in due distinte categorie: le c.d. “cause legali” e le “cause statutarie”.
Certamente, il cuore del tema è rappresentato dall’art.2473, c.c., stante la presenza di numerose altre
norme che si riferiscono sempre al medesimo istituto come ad esempio l’art. 2469, comma 2, c.c.58,
nell'ipotesi dell'introduzione all'interno dello statuto di vincoli alla circolazione delle partecipazioni
sociali, o l’art. 2481 bis c.c.59, nel caso di esclusione del diritto dei soci di sottoscrizione dell'aumento
del capitale sociale a pagamento60 etc.
Tuttavia, queste norme ci fanno riflettere su un fatto importante: nella disciplina delle srl non c’è una
norma analoga all'art. 2437, comma 6, c.c., che prevede espressamente la nullità dei patti volti ad
escludere o rendere più gravoso l'esercizio del recesso nella spa61.
Questa lacuna normativa ha portato a due correnti di pensiero: una minoritaria62, che afferma la
derogabilità statutaria delle fattispecie legali di recesso o quantomeno di alcune di esse; una

57
S. Guizzardi, Il recesso del socio, pag. 214.
58
Art. 2469 comma 2 c.c. :”Qualora l'atto costitutivo preveda l'intrasferibilità delle partecipazioni o ne subordini il
trasferimento al gradimento di organi sociali, di soci o di terzi senza prevederne condizioni e limiti, o ponga condizioni o
limiti che nel caso concreto impediscono il trasferimento a causa di morte, il socio o i suoi eredi possono esercitare il
diritto di recesso ai sensi dell'articolo 2473. In tali casi l'atto costitutivo può stabilire un termine, non superiore a due anni
dalla costituzione della società o dalla sottoscrizione della partecipazione, prima del quale il recesso non può
essere esercitato”.
59
L'art. 2481 bis c.c. prevede che, solo in presenza di un'espressa previsione statutaria, l'aumento di capitale sociale possa
avvenire anche mediante offerta di quote a terzi, infrangendo il diritto di opzione dei soci tutelato dal nostro ordinamento;
tuttavia, a tale previsione il legislatore accompagna la garanzia del diritto di recesso per il socio che non abbia consentito
alla delibera.
60
“Ancora: si faccia riferimento all'art. 2497 quater c.c., dettato per le società soggette ad attività di direzione e
coordinamento ed dell'art. 34, comma 6, del D. Lgs. 5/2003, che riconosce ai soci di società di capitali il diritto di recesso
in caso di introduzione o soppressione nell'atto costitutivo di una clausola compromissoria.”, C. Frigeni, Le fattispecie
legali di recesso. F. Annunziata, Recesso del socio; G. Zanarone, Recesso del socio, cit., pag. 802.
61
Art. 2437, comma 6, c.c.: “E' nullo ogni patto volto ad escludere o rendere più gravoso l'esercizio del diritto di recesso
nelle ipotesi previste dal primo comma del presente articolo” (cause legali inderogabili).
62
Si veda al riguardo Salafia, Il nuovo modello di società a responsabilità limitata, in Società, 2003
prevalente, maggioritaria in dottrina, che respinge la tesi della derogabilità delle cause legali sulla
base del complessivo tenore testuale della disposizione, secondo la quale se è vero che l'atto
costitutivo ha il compito primario di stabilire quando il socio può recedere, resta salvo un elenco di
cause in cui il diritto spetta “in ogni caso” al socio63.
D’altronde, lo stesso legislatore introduce l'elenco delle cause legali di recesso nell'art. 2473 c.c. in
questo modo: “L’atto costitutivo determina quando il socio può recedere dalle società e le relative
modalità”, portando a considerare nulla ogni previsione statutaria che elimini una o più ipotesi
previste dalla stessa norma64 o ne renda più gravoso l'esercizio65 e ciò, anche in assenza di una
disposizione analoga a quella contenuta nel comma 6, dell'art. 2437 c.c. previsto in tema di spa.
Dunque, la società a responsabilità limitata poteva un tempo considerarsi una “sorella minore” della
società per azioni, una “piccola società per azioni, in sostanza, senza azioni”66 ; ed erano pochissime
le sue regole “proprie”, stante alcune sue norme per così dire “fotocopiate” dalla disciplina della
società per azioni e spesso invocate in virtù di palese analogia.
Insomma, il legislatore ha dato rilevanza alla figura del singolo socio, ai suoi interessi, alla sua
personale volontà: oggi si può imporre anche statutariamente, ad esempio, che senza il concorso della
volontà di quel singolo socio, l’operazione non si fa, la quota non si cede, la decisione non si assume
ecc.; che l’organo amministrativo si compone in tutto o in parte così come vuole quel socio; che, per
esempio, gli utili non si computano in base al matematico rapporto tra il valore dei singoli
conferimenti bensì in base al meno matematico rapporto di forza tra i soci etc.

63
G. Zanarone, Recesso del socio; C. Frigeni, Le fattispecie legali di recesso; F. Annunziata, Recesso del socio. N. Ciocca,
Il recesso del socio dalla società a responsabilità limitata.
64
Alla eliminazione di cause legali previste dall'art. 2473 c.c., è equiparabile la sospensione temporanea delle stesse, che
di fatto altro non è che una eliminazione temporanea, che in quanto tale sarebbe vietata dalla dottrina maggioritaria; così
G. Zanarone, Recesso del socio, cit., pag. 796, nt. 44.
65
La dottrina in prevalenza, richiamo tra gli altri M. Tanzi, Recesso del socio, cit., pag. 1534 e D. Galletti, Recesso del
socio, cit., pag. 1909, ritiene che eventuali previsioni statutarie che rendano più gravoso l'esercizio del recesso sono da
considerarsi nulle, in quanto di fatto comprometterebbero l'imperatività delle ipotesi legali; tuttavia, come fa notare N.
Ciocca, Il recesso del socio dalla società a responsabilità limitata, cit., pag. 189, risulta più difficile “motivare la nullità
del patto che, senza ridurre i casi di recesso previsti dall'art. 2473 c.c., ne aggravi l'esercizio”.
66
L’espressione è usata da Zanarone G., La società a responsabilità limitata nel cammino della riforma, in Governo
dell’impresa e mercato delle regole. Scritti giuridici per Guido Rossi, I, Milano, 2002, 119. Per Di Cataldo V., La società
a responsabilità limitata nel disegno di legge delega per la riforma del diritto societario. Prime riflessioni sul nuovo
regime, in Rossi S., Zamperetti G.M. (a cura di), La corporate governance nelle società non quotate, in Quaderni di
Giurisprudenza Commerciale, n. 227, Milano, 2001, 31, “la società a responsabilità limitata diviene un modello alla pari
con il modello della società per azioni: non più, come nell’assetto attuale, una sorta di satellite privo di autonoma
fisionomia, o dotato di essa solo a metà”.
Se quindi nel panorama del diritto societario previgente l’obiettivo dell’efficienza veniva invero
perseguito attraverso la definizione di protocolli organizzativi caratterizzati da forte rigidità in
funzione della protezione dei terzi e della tutela della correttezza gestionale, la flessibilità delle regole
organizzative di oggi consente una liberazione di capacità imprenditoriali, aumentando la possibilità
di sfruttare le opportunità che tale processo offre.
Per concludere, oggi nelle società a responsabilità limitata le ipotesi in cui il socio può esercitare il
diritto di recesso e le relative modalità sono determinate dall'atto costitutivo.
Tuttavia, in forza di quanto previsto dall'art. 2473 c.c., il recesso dalla s.r.l. è sempre esercitabile, a
prescindere da quanto previsto dall'atto costitutivo, da coloro che "non hanno consentito al
cambiamento dell'oggetto o del tipo di società, alla sua fusione o scissione, alla revoca dello stato di
liquidazione al trasferimento della sede all'estero alla eliminazione di una o più cause di recesso
previste dall'atto costitutivo e al compimento di operazioni che comportano una sostanziale
modificazione dell'oggetto della società determinato nell'atto costitutivo o una rilevante
modificazione dei diritti attribuiti ai soci a norma dell'articolo 2468, quarto comma".
Se, però, la società revoca la delibera che legittima il recesso o lo scioglimento della società, il socio
non può più validamente recedere.

2. I soggetti legittimati a recedere

Preliminarmente, si precisa che, per esercitare il diritto di recesso bisogna anzitutto essere “soci”.
La s.r.l., infatti, nasce per atto costitutivo, vale a dire per contratto stipulato tra più soggetti, persone
fisiche o giuridiche, che prendono la denominazione e la qualità di “soci”. In particolare, nelle S.r.l.
oltre ad assistere ad un incremento delle cause di recesso stabilite ex lege, è facoltà dello statuto o
dell’atto costitutivo prevederne ulteriori ipotesi legittimanti. La norma base in materia di recesso è
indubbiamente l’art.2473 c.c., in quanto individua quali soci possono recedere, attraverso quali
modalità, quale processo adottare per la determinazione del valore di liquidazione della
partecipazione sociale e le modalità di liquidazione della stessa. L’art. 2473 c.c. nella sua prima parte
pone l’accento sul concetto di autonomia statutaria, nell’ottica dell’intera riforma improntata
all’autonomia privata e alla regolamentazione con diritto imperativo a tutela dei vari interessi in
gioco. Infatti, dal combinato disposto degli artt. 2437 e 2473 c.c., ben si evincono le differenze tra
S.r.l. e S.p.a. nella disciplina del diritto di recesso: nell’art. 2437 c.c. si procede prima
all’individuazione dei casi di recesso legali e inderogabili per poi riconoscere, in qualche modo, una
libertà di introduzione di ipotesi facoltative; l’art. 2473 c.c. apre, invece, proprio con il
riconoscimento dell’autonomia statutaria e del potere di autoregolamentazione sociale sul punto, per
poi passare alle ipotesi inderogabili.
Dall’anteposizione delle ipotesi disponibili a quelle legali, si riscontra una certa prevalenza o, meglio,
predominanza dell’autonomia statutaria, tale per cui l’ampiezza statutaria attribuita ai soci delle S.r.l.
è “massima”; infatti, “nell’attribuire allo statuto il ruolo di fonte primaria nella disciplina del recesso
di s.r.l., il legislatore non ha introdotto nessun vincolo, sicché viene delegato ai soci il delicato
compito di bilanciare, all’interno della compagine, il rischio di impoverimento della società con le
esigenze di flessibilità finalizzate ad incentivare l’investimento. In tal senso, stante la peculiare
deregulation che pare caratterizzare la materia della s.r.l., quella prospettiva di timorosa cautela che
si impone nella s.p.a. dovrebbe invece lasciare il passo ad un incentivo ad intervenire sempre a livello
statutario a colmare gli aspetti non disciplinati concretamente dall’art. 2473 c.c., con particolare
riferimento al procedimento o alla valutazione o, ancora, allo scopo di integrare quelle fattispecie che
paiono presentare evidenti problemi interpretativi ed applicativi”67 .

Per quanto concerne i soggetti legittimati, se nella S.p.A. infatti l’art. 2437 c.c. dispone che il diritto
di recesso spetta ai soci “che non hanno concorso all’approvazione della delibera”, nella S.r.l. sono
legittimati al recesso i soci che “non hanno consentito” all’evento da cui scaturisce il diritto
medesimo.

Anzitutto, emerge una differenza di carattere terminologico, la quale parrebbe giustificata dal fatto
che per la S.r.l., l’art. 2479 c.c., terzo comma prevede che le decisioni dei soci siano prese anche in
altri modi oltre alla classica modalità della forma collegiale. Al riguardo, si può osservare infatti che
nella S.r.l. il procedimento di formazione collegiale della volontà sociale è un principio che potrebbe
essere derogato: ai sensi dell’art. 2479 c.c., lo statuto della società potrebbe stabilire che (salvo alcune
importanti eccezioni) le decisioni dei soci siano assunte “mediante consultazione scritta” o “sulla
base del consenso espresso per iscritto”, ossia al di fuori della classica consultazione assembleare.
Ciò giustificherebbe l’uso della forma verbale “consentire”, dalla più ampia portata, in luogo di
“concorrere”. In generale, la questione dei soggetti legittimati a recedere può essere vista da due
differenti prospettive: la modalità di voto espresso dal socio in assemblea oppure per iscritto; se il
recesso derivi da una causa originaria o sopravvenuta, o al contrario da clausole di recesso volontario
previste nell’atto costitutivo 68
Se il recesso deriva da una causa originaria, quale il cambiamento dell’oggetto sociale o del tipo
societario, di fusione o scissione, di revoca dello stato di liquidazione etc., i soggetti legittimati a

67
Callegari M., Il recesso del socio nella s.r.l., in Le nuove s.r.l. diretto da Sarale M., Bologna, 2008, p. 216;
68
E. Borina, E. Dai Prà, A. Domenighini, E. Manuali, G. Martinelli, R. Nalli, Commissione Diritto Societario, L’inserto-
Il recesso del socio nella società a responsabilità limitata, in Il commercialista veneto- Associazione dei dottori
commercialisti delle Tre Venezie, n. 172, Luglio-Agosto, 2006
recedere possono essere sia il socio di maggioranza sia quello di minoranza.
Nel caso invece in cui la causa di recesso sia sopravvenuta, sono legittimati a recedere soltanto i soci
di minoranza che non abbiano concorso alla deliberazione presa dalla maggioranza.
Al contrario, se il recesso è derivante da clausole volontarie apposte nell’atto costitutivo, saranno
proprio queste clausole che andranno ad individuare direttamente i soggetti che potranno esercitare
suddetto diritto69.
La norma base in materia di recesso, l’art.2473 c.c, individua i soci che possono recedere, stabilisce
le ipotesi inderogabili di recesso, determina le modalità di esercizio del recesso, il processo per la
determinazione del valore di liquidazione della partecipazione sociale e le modalità di liquidazione
della stessa.
Il primo comma seconda parte dell’art.2473 c.c., testualmente prevede che: “in ogni caso il diritto di
recesso compete ai soci che non hanno consentito…”.
La prima affermazione della norma è volta così a fissare il carattere dell’inderogabilità delle cause di
recesso individuate al primo comma di cui si parlerà al paragrafo successivo; al socio - in presenza di
una di queste cause - dovrà essere riconosciuto il diritto di recesso “in ogni caso” come recita la
norma.
La seconda statuizione è, invece, mirata alla puntuale individuazione dei soci cui è riconosciuto il
diritto di recesso: vale a dire coloro “che non hanno concorso alle deliberazioni riguardanti” gli
argomenti che per l’appunto integrano le cause legali di recesso. E dunque, sono tutti i soci che, o
non hanno partecipato alla formazione della volontà sociale (a prescindere se in assemblea o fuori di
essa) perché assenti, oppure che hanno dissentito dalla volontà espressa dalla maggioranza
assembleare (o degli altri soci) o si sono astenuti dal prendere una loro posizione in riferimento
all’argomento sul quale deliberare 70.
Le locuzioni per identificare i soggetti legittimati al recesso utilizzate dal legislatore sono differenti
solo formalmente ma non in sostanza; infatti, in entrambi i casi possono recedere i soci dissenzienti,
assenti, astenuti, non legittimati a partecipare alle decisioni71.
A questa stregua il diritto di recesso viene riconosciuto solo a quelli che non hanno contribuito
all’assunzione della decisione-deliberazione attraverso una loro manifestazione di voto o un loro
comportamento con il quale abbiano indotto gli altri a condividere determinate scelte; qualora la causa

69
Non si ritiene ammissibile, infine, l’esercizio del diritto di recesso di un terzo creditore del socio, il quale agisce in via
surrogatoria, stante il carattere personalissimo del suddetto diritto.
70
Cagnasso O., La società a responsabilità limitata, in Trattato di diritto commerciale diretto da G.Cottino, Cedam
Padova 2007
71
Vallasciani S., Il recesso del socio, Esselibri, Napoli, 2007
consista in un fatto, solo a quelli che non hanno ispirato, caldeggiato o, comunque, condiviso il suo
compimento, o financo partecipato a questo72.
Ancora dev’essere precisato che il diritto di recesso spetta al socio anche quando egli non abbia la
piena disponibilità dei diritti scaturenti dalla sua partecipazione, come accade nell’ipotesi in cui la
quota sia gravata da pegno o sequestro ovvero sia stata concessa in usufrutto. In tali casi, pur essendo
il diritto di voto esercitato rispettivamente dal creditore pignoratizio, dal custode sequestratario e
dall’usufruttuario, dev’essere tenuto indebito conto che il recesso consiste in un atto di disposizione
di un proprio bene, con effetti analoghi alla vendita, che spetta al socio, e tali non possono dirsi gli
altri soggetti in questione73.

3. Cause inderogabili di recesso


Al fine di esaminare le cause inderogabili di recesso si ritiene opportuno riportare qui di seguito il
testo integrale della disposizione che disciplina tali ipotesi.
Art. 2473 c.c., Recesso del socio:

“L'atto costitutivo determina quando il socio può recedere dalla società e le relative modalità. In
ogni caso il diritto di recesso compete ai soci che non hanno consentito al cambiamento dell'oggetto
o del tipo di società, alla sua fusione o scissione, alla revoca dello stato di liquidazione al
trasferimento della sede all'estero alla eliminazione di una o più cause di recesso previste dall'atto
costitutivo e al compimento di operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell'oggetto
della società determinato nell'atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti attribuiti ai
soci a norma dell'articolo 2468, quarto comma. Restano salve le disposizioni in materia di recesso
per le società soggette ad attività di direzione e coordinamento.

Nel caso di società contratta a tempo indeterminato il diritto di recesso compete al socio in ogni
momento e può essere esercitato con un preavviso di almeno centottanta giorni; l'atto costitutivo può
prevedere un periodo di preavviso di durata maggiore purché non superiore ad un anno.

I soci che recedono dalla società hanno diritto di ottenere il rimborso della propria partecipazione
in proporzione del patrimonio sociale. Esso a tal fine è determinato tenendo conto del suo valore di
mercato al momento della dichiarazione di recesso; in caso di disaccordo la determinazione è
compiuta tramite relazione giurata di un esperto nominato dal tribunale, che provvede anche sulle
spese, su istanza della parte più diligente; si applica in tal caso il primo comma dell'articolo 1349.

72
Tanzi M., Recesso del socio, in Società di capitali-commentario, a cura di G. Piccolini e A. Stagno D’Alcontres, Jovene
Napoli, 2004
73
B. Acquas, C. Lecis, Il recesso del socio nella S.p.a. e nella S.r.l., Giuffrè Editore, 2010
Il rimborso delle partecipazioni per cui è stato esercitato il diritto di recesso deve essere eseguito
entro centottanta giorni dalla comunicazione del medesimo fatta alla società. Esso può avvenire
anche mediante acquisto da parte degli altri soci proporzionalmente alle loro partecipazioni oppure
da parte di un terzo concordemente individuato da soci medesimi. Qualora ciò non avvenga, il
rimborso è effettuato utilizzando riserve disponibili o, in mancanza, corrispondentemente riducendo
il capitale sociale; in quest'ultimo caso si applica l'articolo 2482 e, qualora sulla base di esso non
risulti possibile il rimborso della partecipazione del socio receduto, la società viene posta in
liquidazione.

Il recesso non può essere esercitato e, se già esercitato, è privo di efficacia, se la società revoca la
delibera che lo legittima ovvero se è deliberato lo scioglimento della società”.

a. Cambiamento dell’oggetto sociale

Dal diverso tenore dell’art. 2473 c.c. relativo alle S.r.l. rispetto a quello dell’art. 2437 c.c. riferito
alle S.p.A., sembrerebbe emergere un dato importante: nell’ambito della S.p.A., il presupposto di
recesso, riconducibile a questioni riguardanti la modificazione dell’oggetto sociale, viene integrato
solo se vi è la coesistenza dal punto di vista formale, della delibera di modificazione dell’apposita
clausola statutaria e dal punto di vista sostanziale, della “significatività” del cambiamento che da tale
modifica consegue nell’attività svolta dalla società.
In particolare, autorevole dottrina74 parla di cambiamento “significativo” quando la maggioranza
abbia deliberato di sostituire all’oggetto sociale originario un nuovo oggetto completamente diverso
e che modifichi radicalmente le condizioni di rischio in presenza delle quali l’azionista aveva aderito
alla società.
Di diverso avviso è la Associazione Italiana fra le Società per Azioni, che nella circolare Assonime
68/200575 ritiene sufficiente ad integrare i presupposti di un cambiamento significativo dell’oggetto
sociale “un cambiamento che incida sulla scelta stessa dell’impresa esercitata dalla società, che
comporti una modificazione del rischio e una variazione della convenienza dell’investimento per i
soci”.
Al contrario, si ritiene pacifico che modificazioni secondarie dell’oggetto sociale, ad esempio la sua
estensione a settori accessori della produzione o la riduzione degli originari settori di intervento, non
causino diritto di recesso.

74
Galgano, Trattato di diritto commerciale, volume ventinovesimo, Il nuovo diritto societario, Cedam, Padova, 2003,
p. 361. L’autore è stato uno dei commissari che hanno esteso la novella del 2004.
75
Associazione italiana fra le società per azioni, Circolare N. 68 Roma, 22 dicembre 2005
Inoltre la modifica se significativa, sarà condizione necessaria e sufficiente per l’esercizio del diritto,
anche se solo deliberata e non attuata nella realtà degli affari.
Da un’interpretazione letterale della norma sul recesso nelle S.r.l., , il presupposto del recesso, che è
riconducibile a questioni riguardanti la modificazione dell’oggetto sociale, risulta integrato sia nel
caso si rilevi la presenza del solo dato formale della delibera di modificazione della clausola dell’atto
costitutivo concernente l’oggetto sociale, e quindi indipendentemente da valutazioni di tipo
sostanziale sulla “significatività” del cambiamento dell’oggetto sociale; sia nel caso venga rilevata la
presenza del solo compimento di operazioni che comportano una modifica sostanziale dell’oggetto
sociale determinato nell’atto costitutivo (a prescindere dunque dalla presenza della modificazione
formale della clausola statutaria)76.
Tuttavia, tale questione è oggetto di diverse vedute: è stato osservato che, come espressamente
previsto per le S.p.A., anche con riferimento alle S.r.l., la modificazione della clausola dell’atto
costitutivo relativa all’oggetto sociale dovrebbe considerarsi presupposto di recesso solo se
accompagnata da un adeguato grado di “sostanzialità”, nonché di “significatività”77.
Di conseguenza, non sarebbe sufficiente una qualsiasi modifica dell’oggetto, anche se di lieve entità,
per legittimare il socio non consenziente ad esercitare il recesso; invece, sarebbe necessario un
cambiamento significativo dell’attività sociale78. Questa posizione può essere confermata dal tenore
letterale dell’art. 2473, comma 1, c.c., ove viene previsto come causa legale di recesso nell’ambito
delle S.r.l., anche il compimento di operazioni che determinino una “sostanziale” modificazione
dell’oggetto della società determinato nell’atto costitutivo79.
Diversamente per altra parte della dottrina: per quanto attiene al cambiamento dell’oggetto sociale
nel caso di società a responsabilità limitata è da considerare non solo la sua sostituzione, ma anche il
suo ampliamento o la sua riduzione, ed in genere ogni delibera che importi un’alterazione, anche non
significativa, delle originarie condizioni di investimento, con esclusione delle sole ipotesi di mera
specificazione, di per sé inidonee a determinare un mutamento delle condizioni di rischio connesse
all’originaria previsione statutaria80.

76
Ipotesi invece aggiunta a seguito della riforma
77
Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie, Orientamenti del Comitato Triveneto dei Notai in
materia di atti societari, Settembre 2004.
78
Cosi testualmente recita l’art. 2437 c.c. per le società per azioni
79
Lanzio, Il recesso del socio di S.r.l., in Le Società, 2/2004, p. 150.
80
De Angelis, in Impresa C.I. 5/2004 p. 769 secondo il quale si ritiene cambiamento dell’oggetto sociale “ogni mutamento
atto ad alterare le originarie condizioni di rischio dei soci (e quindi con la sola esclusione della introduzione
sostanzialmente di clausole di specificazione dell’oggetto)”, e La riforma del diritto societario Società a Responsabilità
Dunque, secondo questo orientamento dottrinale, questa causa di recesso ha una più grande
operatività nelle S.r.l. rispetto alle S.p.A., per le quali la delibera di cambiamento dell’oggetto sociale
è rilevante ai fini dell’attribuzione del diritto di recesso soltanto se comporta una modificazione
“significativa” dell’attività della società.
Sembra doversi seguire quell’orientamento81 per il quale non solo la sostituzione, ma anche
l’ampliamento o la riduzione dell’oggetto sociale, ed in genere ogni delibera che comporti
un’alterazione delle originarie condizioni di investimento, con esclusione delle sole ipotesi di mera
specificazione, di per sé inidonee a determinare un mutamento delle condizioni di rischio connesse
alla originaria previsione statutaria, sono da considerarsi ipotesi giustificanti il recesso.
La conseguenza di tale posizione è che nella S.r.l. si allargherebbe la sfera di operatività delle cause
di recesso per cambiamento dell’oggetto sociale, in quanto rientrerebbero nell’alveo di quest’ipotesi
di recesso anche l’ampliamento o la riduzione dell’oggetto sociale tali da alterare in maniera
significativa le condizioni originarie dell’investimento. Per la società a responsabilità limitata,
dunque, sembrerebbe potersi concludere che, per recedere: il cambiamento dell’oggetto sociale debba
riferirsi a quello determinato nell’atto costitutivo o nello statuto; il mutamento possa consistere non
solo in una sostituzione, ma anche in un’alterazione tale da incidere sul rischio dell’investimento; in
ogni caso, così come previsto per la società per azioni, debba essere “significativo”, nel senso di
alterare le condizioni originarie dell’investimento.

b. Trasformazione della società

Il nostro codice civile considera, da sempre, la trasformazione come una modificazione dell’atto
costitutivo e, quindi, del tipo di società. Al riguardo, la normativa riformata (che ha esteso il diritto
di recesso anche alle ipotesi di cambiamento che investa sia la fattispecie che la causa, lucrativa o
mutualistica, e più in generale in presenza di trasformazione eterogenea), se da un lato non pare aver
introdotto sostanziali novità rispetto all’ambito della previgente previsione, ha, dall’altro lato, invece,
risolto il problema più delicato che si poneva in tema di trasformazione di società, e cioè quello della

Limitata a cura di Lo Cascio– Giuffré, Milano 2003 - Autori Carestia – Di Damato – Iannello – Manzo – Pietraforte, p.
141.
81
A. Carestia, Sub Art. 2473 c.c., op. cit., p. 141; nello stesso senso De Angelis L, Il recesso nella s.r.l., op. cit., p. 769,
secondo il quale si ritiene cambiamento dell’oggetto sociale “ogni mutamento atto ad alterare le originarie condizioni di
rischio dei soci”.
possibilità di trasformare con un voto di maggioranza (ancorché qualificata) una società per azioni o
a responsabilità limitata in una società a responsabilità illimitata82.
Tuttavia, “cambiamento del tipo di società” e “trasformazione” sono termini che si equivalgono?
Per rispondere al presente quesito, è opportuno fare riferimento alla migliore e precedente dottrina
dell’Ante Riforma, secondo la quale gli stessi termini erano già usati nel vecchio testo dell’art. 2437
c.c. per il recesso dalla S.p.A. (e per rimando, anche dalla S.r.l.) e non vi erano differenze tra le due
locuzioni, assimilando la trasformazione al cambiamento83 del tipo di società.
Tuttavia, in vista delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 6/2003, c’è chi sostiene che l’impiego di
diversa locuzione per il recesso nella S.p.A. sia deliberato e sottenda alcune considerazioni.
Relativamente alla disciplina in tema di S.p.A., l’art. 2437, comma 1, lett b), c.c. dispone che:
“può esercitare legittimamente il diritto di recesso il socio che non ha concorso alla delibera di
trasformazione della società”.
Quanto alle S.r.l., secondo l’art. 2473, comma 1, c.c. è causa di recesso del socio il “cambiamento
del tipo di società”.
Dunque, è opportuno domandarsi se l’ipotesi di recesso prevista per il socio di S.p.A. e quella prevista
per il socio di S.r.l. corrispondano sostanzialmente; in particolare, se la locuzione “cambiamento del
tipo di società” equivalga a “trasformazione”.
Da un lato, parte della dottrina sostiene che, considerato che il codice ante riforma parlava di
“cambiamento del tipo sociale” quale causa di recesso nelle S.p.A., attualmente il termine
“trasformazione” si allinei alla disciplina riformata delle trasformazioni “in quanto consentirebbe il
riferimento anche alla c.d. trasformazione eterogenea, la quale non realizza un cambiamento del tipo
sociale, ma il passaggio da una forma societaria ad una forma non societaria”84.
Una parentesi merita di essere introdotta, relativamente alla c.d. trasformazione eterogenea da società
di capitali, disciplinata dagli artt. 2500 septies e 2500 nonies c.c..
Quanto al primo, si tratta di un articolo introdotto dal D.lgs.n.6/2003 (ossia dalla Riforma societaria).
Tranne i casi della trasformazione in società consortile, in consorzio e in cooperativa gli altri passaggi
dalla società di capitali agli altri enti o situazione giuridica mediante la c.d. trasformazione

82
Stassano G. – Stassano M., Il recesso e l’esclusione del socio nella s.r.l. e nella s.p.a., Torino, 2005;

83
Galgano, Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia vol.VII, Cedam, Padova, 1988, p. 325;
Pitter, Commento sub art. 2473 in Trabucchi Cian-Commentario Breve al Codice Civile, Cedam, Padova, 1997, p. 2438
84
E. Borina, E. Dai Prà, E. Manuali, G. Martinelli, R. Nalli, Commissione diritto societario, Associazione dottori
commercialisti delle Tre Venezie, coordinatore L. Antonello, Ordine di Padova, L’inserto-Il recesso del socio nella
società a resposnabilità limitata, in Il Commercialista veneto, n. 172, Luglio-Agosto 2006
eterogenea, sono operazioni di nuovo conio85. Si ammette così esplicitamente la possibilità di mutare
la forma giuridica dell’impresa, prescindendosi da vicende estintive e costitutivo-traslative86.
La ragione della grande novità sta in esigenze di economia degli atti negoziali che rendono opportuno
consentire un unico procedimento di trasformazione con un unico passaggio e la conservazione in
capo all’ente risultante dei diritti e degli obblighi dell’ente trasformato87.
Va detto che il nuovo istituto suscita perplessità: mentre cambia i connotati dell’antica
trasformazione, sembra non tenere conto di alcuni risultati a cui era giunta la riflessione degli
interpreti.
Quanto all’art. 2500 novies, prevede la possibilità di opposizione dei terzi alla c.d. trasformazione
eterogenea, che ha efficacia dopo 60 giorni dall’ultimo degli adempimenti pubblicitari previsti dallo
stesso art.2500 comma 3 c.c., salvo che consti il consenso dei creditori o il pagamento dei creditori
che non hanno dato il consenso. Entro il suddetto termine, i creditori possono fare opposizione,
applicando così l’ult. co. art. 2445 c.c.
Avendo evidenziato il significato di “trasformazione eterogenea”, proseguiamo nella trattazione del
quesito posto all’inizio del paragrafo: non si comprende, in ogni caso, perché nella S.r.l. la legge parli
ancora di “cambiamento del tipo sociale”, a meno che non si voglia sostenere che nelle S.r.l. la
trasformazione eterogenea non dà diritto al recesso, ipotesi questa non condivisibile.
Si segnala che il problema della trasformazione della società quale causa di recesso è di fatto
circoscritto solo a determinate operazioni di trasformazione: ad esempio, essendo legittimato
all’esercizio del diritto di recesso solo il socio non consenziente, nella trasformazione da società di
capitali in società di persone non potranno verificarsi casi di recesso di soci che con la trasformazione
assumono responsabilità illimitata, dal momento che espressamente l’art.2500 sexies c.c. prevede che
per deliberare la trasformazione, deve sussistere il loro consenso.
Inoltre, non potranno esserci casi di recesso in una trasformazione di società di capitali in S.n.c.,
mentre per quanto riguarda la trasformazione in S.a.s. potranno esercitare il recesso solo quei soci
destinati a diventare accomandanti che non abbiano concorso alla delibera di trasformazione (ciò,
naturalmente, salvo il caso che con l’operazione si verifichino altre cause che legittimano il recesso,
diverse dalla trasformazione, come per esempio la modifica dell’oggetto sociale)88.

85
In alcuni casi, prima d’ora anche espressamente negate, come la trasformazione di s.r.l. sportiva in associazione non
riconosciuta respinta dal Tribunale di Udine 3-7-1997, D.fall98,II,378; oppure di società in comunione incidentale
ereditaria d’azienda a società di fatto, tutte ipotesi respinte da C 64/1878
86
D. Santagata, Diritto commerciale, Cian, III
87
Così recita la Relazione al d.lgs.§14
88
Di Lizia, in La riforma delle società – Aspetti applicativi di Bortoluzzi, Utet, Torino, 2004, p. 385.
Una curiosità: al socio che recede in questo particolare caso, verrà applicata la disciplina del recesso
prevista per la società passivamente oggetto di trasformazione, ovvero per quella trasformata?
Ante riforma, la disciplina era, in caso di trasformazione nell’ambito delle società di capitali, unica.
Tuttavia, nella trasformazione da società di persone89 a società di capitali90, in generale la dottrina
riteneva applicabile al recesso del socio la disciplina prevista per il tipo della società ante
trasformazione
Questa sembra a tutt’oggi la soluzione più corretta, anche nell’ambito della nuova disciplina delle
società di capitali: un socio di S.r.l. non consenziente ad una delibera di trasformazione in S.p.A.
potrà recedere secondo le regole della S.r.l. così come un socio di S.p.A. che non ha concorso alla
delibera di trasformazione in S.r.l. potrà recedere secondo la disciplina della S.p.A..
Peraltro sembra ragionevole che receda come socio di S.r.l. anche il socio non consenziente che
dichiari il proprio recesso dopo l’iscrizione della delibera di trasformazione in S.p.A., e quindi dopo
che la stessa abbia prodotto i suoi effetti. Infatti anche se la società in quel momento sarà divenuta a
tutti gli effetti una S.p.A. è legittimo che al socio non consenziente si applichi la disciplina del recesso
previsto per la S.r.l. 91.

c. Fusione e scissione

Questa ipotesi rappresenta una grande novità rispetto alla precedente normativa: infatti, questa causa
di recesso non è prevista per le S.p.A., a conferma dell’intenzione del legislatore di privilegiare
l’elemento personalistico delle S.r.l. ove è consentito al socio di minoranza di disinvestire la propria
partecipazione se essa subisce modificazioni a seguito di operazioni che normalmente comportano
nuove aggregazioni, in cui i rapporti tra i soci non possono non atteggiarsi diversamente rispetto ai
rapporti pregressi92. Inoltre, in questo caso, il socio della S.r.l. esercita il diritto di recesso

89
nella quale il recesso è ancorato al valore della partecipazione calcolato ai sensi dell’art. 2289 c.c.
90
nelle quali il valore di liquidazione della partecipazione del socio receduto era legato al patrimonio netto risultante
dall’ultimo bilancio approvato
91
“L’interpretazione opposta ci porterebbe a dire che la disciplina applicabile al recesso del socio è diversa a seconda del
momento in cui il socio esercita il recesso stesso, il che non sembra assolutamente ragionevole (ante iscrizione delibera,
applicazione della disciplina del recesso per il tipo della società trasformanda; post iscrizione delibera, applicazione della
disciplina del recesso della trasformata)”, Cian Trabucchi, Commentario breve al codice civile, Cedam, 2020
92
Carestia, Di Damato, Iannello, Lo Cascio, Manzo, Pietraforte, op. cit., p. 142
indipendentemente dal fatto che la fusione o scissione comporti una modifica dell’oggetto sociale o
un’alterazione del rischio in capo al socio93.
Posta la lunghezza dei tempi richiesti per le procedure di fusione e scissione, è infine necessario
definire in quale momento sorga, per il socio, il diritto di recesso: ai sensi dell’art.2473 c.c. compete
ai soci che non hanno consentito alla fusione o alla scissione della società.
Considerando che in base agli artt. 2502 e 2506 ter del c.c. la fusione e la scissione sono decise dai
soci mediante l’approvazione del relativo progetto mentre l’atto di fusione o scissione non necessita
dell’approvazione dei soci, sembra ragionevole ritenere che l’esercizio del diritto di recesso sorga per
il socio con l’approvazione del progetto di fusione o di scissione al quale il socio stesso abbia negato
il proprio consenso. Tale soluzione appare tra l’altro coerente con il principio generale del favor
societatis introdotto dalla riforma in quanto consentirebbe alla società di evitare gli effetti del recesso,
ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 2473 c.c., attraverso la revoca della delibera di approvazione del
progetto. Non sembra invece condivisibile la tesi secondo la quale il diritto di recesso sorge con l’atto
di fusione o di scissione in quanto, considerando che tale atto non si presta ad essere revocato, si
negherebbe ingiustificatamente alla società la possibilità di rendere inefficace il recesso se non
attraverso lo scioglimento della società stessa94.

d. Revoca dello stato di liquidazione

Si tratta di una causa legale di recesso (applicabile sia nelle S.p.A. che nelle S.r.l.), frutto della
Riforma del 2003 e finalizzata alla risoluzione relativa alla necessaria unanimità dei consensi per la
revoca dello stato di liquidazione.
La disciplina precedente alla suddetta Riforma, vedeva la possibilità di revocare lo stato
di liquidazione alla delibera assunta dall’assemblea come valida solo se assunta da tutti i soci
all’unanimità; eliminando, di fatto, il problema del diritto di recesso del socio stante la necessità del
consenso unanime dei soci.
La dottrina che affermava l’ammissibilità della revoca deliberata a maggioranza, negava però il diritto
di recesso al socio dissenziente, al di fuori dell’ipotesi in cui la revoca della liquidazione importasse
(anche) la modificazione dell’oggetto sociale.

93
per esempio spetta al socio il diritto di recesso anche in caso di fusione per incorporazione di società intera- mente
posseduta
94
E. Borina, E. Dai Prà, E. Manuali, G. Martinelli, R. Nalli, Commissione diritto societario, Associazione dottori
commercialisti delle Tre Venezie, coordinatore L. Antonello, Ordine di Padova, L’inserto-Il recesso del socio nella
società a resposnabilità limitata, in Il Commercialista veneto, n. 172, Luglio-Agosto 2006
Ecco perché il legislatore del 2003 ha optato per una modifica della disciplina: si veda l’art. 2487-ter
c.c., ai sensi del quale la società può in ogni momento revocare lo stato di liquidazione, con
deliberazione dell’assemblea presa con le maggioranze richieste per le modificazioni dell’atto
costitutivo o dello statuto.
Grazie alla Riforma, si offre comunque al socio l’opportunità di esercitare il diritto di recesso, pur
avendo positivamente attribuito alla maggioranza il potere di revocare lo stato di liquidazione: così
soddisfacendo, da un lato, l’interesse del socio a perseguire il disinvestimento della partecipazione
già assicuratagli dalla delibera di liquidazione; dall’altro lato, le esigenze della società e dei soci di
maggioranza, legate alla prosecuzione dell’attività95.
Certamente, si corre comunque il rischio che dall’esercizio del diritto di recesso per revoca dello stato
di liquidazione si possa arrivare in seguito allo scioglimento della società, ove non sia possibile il
rimborso della partecipazione del socio receduto. Tuttavia, seppur possibile, deve ritenersi un’ipotesi
di carattere residuale: infatti, la revoca dello stato di liquidazione presuppone una esistenza e “vitalità”
della società stessa, nonché un interesse della maggioranza a farsi carico delle conseguenze connesse
all’eventuale recesso del socio dissenziente.

e. Trasferimento di sede all’estero

Trattasi di un’ulteriore causa legale di recesso prevista sia nelle S.p.A. che nelle S.r.l.
In via preliminare, si ricordi che la nazionalità sociale è quella dello Stato che riconosce personalità
giuridica alla società: quindi, il luogo di costituzione della stessa ne determina la c.d. nazionalità, che
non può essere cambiata mediante deliberazione assembleare. Piuttosto, l’assemblea può deliberare
relativamente all’acquisto, da parte della società, di una nazionalità straniera: ciò avviene quando si
delibera il c.d. “trasferimento della sede sociale”, affinché la società venga in tal modo sottoposta
alla legge del Paese in cui la sede è trasferita.
Le motivazioni che sottostanno alla scelta di deliberare il trasferimento all’estero della sede sociale
sono sostanzialmente le seguenti: evitare un attento controllo sull’amministrazione della società da
parte dei soci; l’assoggettamento della società ad una legge diversa da quella a cui essi vollero che
fosse soggetta. Quanto al diritto di recesso, esso viene quindi riconosciuto ai soci dissenzienti da tale
deliberazione.
Eppure, questa previsione risulta poco coerente con gli obiettivi comunitari di assicurare la libera
circolazione all’interno degli Stati membri e parrebbe opportuna una disciplina affidata all’autonomia

95
Stassano – Stassano, Il recesso e l’esclusione del socio nella S.r.l. e nella S.p.A., Giappichelli, Torino, 2005,
privata, anziché autoritativamente regolata
dalla legge96.
Va evidenziato che rispetto alla precedente formulazione non si fa riferimento alla sede sociale.
Tuttavia, considerata la ratio della norma che tutela il socio a fronte dell’assoggettamento della
società all’ordinamento giuridico di uno Stato diverso da quello dove la società è stata costituita, e
considerato che per le S.p.A. è riportata la precedente formulazione “sede sociale”, si può ipotizzare
un errore di coordinamento, e che anche per le S.r.l. l’ipotesi di recesso preveda il trasferimento della
sede sociale all’estero.

f. Eliminazione di cause di recesso

Si tratta della possibilità di introdurre cause volontarie di recesso che possono essere eliminate: ci si
riferisce alle clausole di recesso convenzionali contenute nell’atto costitutivo o nello statuto, ai sensi
dell’art. 2473 comma 1 c.c. che rimette all’autonomia decisionale dei soci la possibilità di prevedere
nell’atto costitutivo presupposti di recesso ulteriori rispetto a quelli inderogabilmente previsti dalla
legge. L’atto costitutivo può prevedere cause di recesso ulteriori rispetto a quelle inderogabili ai sensi
del medesimo articolo; il recesso può quindi essere previsto non solo a fronte di modifiche dell’atto
costitutivo, ma per qualsiasi ragione (compimento di particolari operazioni, verificarsi di determinati
eventi, anche vicende relative ai risultati economici della società ed alle persone dei soci). Si può
ritenere che sia equiparabile all’eliminazione una modifica che limiti in modo sostanziale l’esercizio
del recesso; ad esempio, l’introduzione di una clausola che subordini il diritto al recesso alla
preventiva approvazione da parte dell’organo amministrativo97.
La medesima disposizione stabilisce che, qualora i soci si avvalgano di tale facoltà, la successiva
modificazione dell’atto costitutivo che comporta l’eliminazione di una delle cause di recesso
“volontarie” costituisce a sua volta un presupposto di recesso (inderogabile) per i soci che non hanno
acconsentito a tale modificazione98.

96
Circolare n. 68 del 22 dicembre 2005 di Assonime, Il diritto di recesso nella società per azioni, p. 7.
97
Circolare n. 68 del 22 dicembre 2005 di Assonime, Il diritto di recesso nella società per azioni, p. 8.
98
Gruppo di studio Eutekne, op.cit, p. 41.
g. Operazioni modificative dell’oggetto sociale

Trattasi di ipotesi di recesso inderogabile prevista esclusivamente per le S.r.l. e non prevista per le
S.p.A.
Questo diritto di recesso compete ai soci che non hanno consentito al compimento di operazioni che
comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale determinato nell’atto costitutivo; tale
ipotesi è svincolata dall’esistenza di una formale delibera di modificazione dell’atto costitutivo.
Infatti, si collega al solo aspetto sostanziale, vale a dire al solo compimento di operazioni idonee a
snaturare l’attività nei fatti svolta dalla società, andando oltre il mero aspetto formale della clausola
statutaria. Si considerino, ad esempio, potenzialmente in grado di comportare una sostanziale
modificazione dell’oggetto sociale operazioni quali l’affitto; oppure l’acquisizione o cessione di
aziende o rami aziendali; l’acquisizione o la cessione di partecipazioni in altre imprese etc99.
Relativamente alla locuzione “sostanziale modificazione dell’oggetto sociale”, si annoverano diverse
opinioni: da un lato, si ritiene che per “sostanziale” debba intendersi “in contrapposizione alla
modificazione formale”; dall’altro lato, si ritiene che l’aggettivo sostanziale si riferisca alla necessità
che vi sia un cambiamento rilevante, “sostanziale”, dell’oggetto sociale e potenzialmente in grado di
comportare un rischio imprenditoriale.
Per meglio comprendere la portata della locuzione suddetta, si ricordi che l’art. 2361 del c.c. recita:
“l’assunzione di partecipazioni in altre imprese, anche se prevista genericamente dall’atto
costitutivo, non è consentita, se per la misura e per l’oggetto della partecipazione ne risulta
sostanzialmente modificato l’oggetto sociale determinato dall’atto costitutivo”.
Inoltre, si consideri che per potersi qualificare come sostanziale, l’operazione deve: i) a livello
temporale, avere carattere di permanenza di effetti prevedibilmente durevoli, traducendosi in una
contrazione o in un ampliamento dell’attività della società, che risultino incisivi e tendenzialmente
illimitati da un punto di vista temporale; ii) da un punto di vista quantitativo, deve risultare rilevante
l’incidenza economica tenendo conto del tipo e della natura dell’attività indicata nell’atto costitutivo,
nonché dell’ambito territoriale e delle dimensioni dell’impresa; iii) sotto il profilo qualitativo, deve
presentare natura ed effetti tali da determinare un effettivo mutamento dell’attività sociale che si

99
E. Borina, E. Dai Prà, E. Manuali, G. Martinelli, R. Nalli, Commissione diritto societario, Associazione dottori
commercialisti delle Tre Venezie, coordinatore L. Antonello, Ordine di Padova, L’inserto-Il recesso del socio nella
società a resposnabilità limitata, in Il Commercialista veneto, n. 172, Luglio-Agosto 2006
traduca, a propria volta, in un apprezzabile cambiamento delle condizioni economiche originarie
dell’investimento partecipativo100.
Dunque, sembra prevalere la seconda tesi prospettata, che pone l’accento sulla necessità di una
modifica rilevante dell’oggetto sociale: si veda a tal proposito l’orientamento della Corte di
Cassazione che, con sentenza del 6 giugno 2003 n. 9100, ha ritenuto che una modifica sostanziale
dell’oggetto sociale si verifica quando viene radicalmente diversificata la prospettiva imprenditoriale
della società101.
Ancora si ricordi che sembra evidente comunque che la modifica di fatto dell’oggetto sociale, cui è
attribuita adesso l’efficacia di legittimare l’exit, deve essere più di una mera violazione di una clausola
dell’atto costitutivo: è necessario che l’operazione comporti una flessione stabile dell’organizzazione
dell’impresa, tale da risultare di fatto eccedente rispetto alle direttive funzionali statutarie; il confronto
è infatti operato per legge rispetto all’ oggetto statutario, e non già all’ impresa sociale manifestatasi
nell’attuazione della gestione102.
Quanto al coordinamento tra l’art.2473 c.c. e l’art. 2479, comma 2, n. 5, c.c. il quale prevede che “in
ogni caso sono riservate alla competenza dei soci le decisioni di compiere operazioni che comportano
una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale determinato nell’atto costitutivo”, da questo
emerge un’altra questione controversa.
Con l’art. 2479 c.c. il legislatore della riforma ha riservato inderogabilmente ed in esclusiva ai soci
delle S.r.l. alcune decisioni in ambito gestionale: trattasi delle decisioni relative al compimento delle
suddette operazioni, cioè quelle che comportano una modifica sostanziale dell’oggetto sociale o dei
diritti dei soci. Data l’importanza di queste decisioni, il legislatore da un lato ha voluto sottrarre
all’organo amministrativo la competenza in merito alla decisione di compiere questi atti gestori,
dandone esclusiva competenza ai soci; dall’altro, ha concesso il diritto di recesso ai soci che non
hanno consentito al compimento di dette operazioni103.
Pertanto, qualora le suddette operazioni vengano compiute nel rispetto dell’art. 2479, comma 2, n. 5
c.c. ossia previa delibera dei soci, è indiscutibile che al socio non consenziente competa il diritto di

100
N. Ciaccia, Sub artt. 2473 – 2474 c.c., in Il nuovo diritto societario a cura di G. Lo Cascio, Società a responsabilità
limitata a cura di Sanzo S., Milano, 2009, p.151

101
Pubblicata nella rivista Le società, n.11/2003 p. 1485.
102
D. Galletti, Sub. Artt. 2473, op. cit.

103
M. Callegari, op. cit., p. 219.
recesso. Tuttavia, nel caso in cui venga disatteso l’art. 2479, comma 2, n. 5 c.c. e le operazioni
vengano effettuate dall’organo amministrativo senza previo avviso ai soci stessi, si giunge a diverse
conclusioni.
Il compimento dell’operazione da parte dell’organo amministrativo comporta comunque per tutti i
soci, dissenzienti in quanto non informati al riguardo, il diritto di recedere ad nutum104. Aderendo a
tale conclusione105 si introdurrebbe un’ipotesi di recesso del tutto anomala rispetto alle altre ipotesi
di recesso inderogabili previste dall’ordinamento, in quanto il diritto di recesso sorgerebbe in tal caso
non già da una decisione della compagine sociale, ma dal compimento di un atto gestorio degli
amministratori. Di diverso avviso si segnala la posizione di altra parte della dottrina, secondo la quale
il diritto di recesso non può essere esercitato sul semplice presupposto del compimento, da parte degli
amministratori, di atti ultra vires che comportino una sostanziale modificazione dell’attività
economica statutariamente definita. Non si comprende, infatti, per quale ragione si debba riconoscere
il diritto di recesso, potenzialmente esercitabile da tutti i soci, come reazione ad un atto illegittimo
compiuto dagli amministratori, quando nei confronti di tale compimento è possibile il ricorso ad altri
rimedi quale la proposizione dell’azione di responsabilità, esperibile anche individualmente, o
l’impugnazione dell’atto posto in essere con il terzo nei limiti consentiti dall’art. 2475 bis c.c. che
regola l’opponibilità ai terzi dei vizi della rappresentanza.
In conclusione, con la nuova formulazione dell’art. 2473 del c.c., le modifiche sostanziali assumono
piena dignità “giuridica” nelle S.r.l., al punto da consentire al socio di esercitare il diritto di recesso.
Non va però dimenticato che l’assenza di parametri certi a cui collegare il giudizio di “rilevanza”
della modifica dell’oggetto sociale in grado di legittimare il socio all’esercizio del recesso implica il
rischio di un possibile aumento di conflittualità all’interno della compagine sociale. Questo a causa
della possibile divergente interpretazione dell’espressione “operazioni che comportano una
sostanziale modificazione dell’oggetto sociale”. Oltre a ciò, qualora si arrivasse alla conclusione che
il compimento di dette operazioni da parte dell’organo amministrativo all’insaputa dei soci legittima
di fatto il recesso di tutti i soci, si introdurrebbe un elemento di instabilità nella compagine sociale
incontrollabile da parte degli stessi soci.

h. Operazioni modificative dei diritti particolari dei soci

Trattasi della possibilità di attribuire ai singoli soci particolari diritti riguardanti l’amministrazione
della società o la distribuzione di utili, che, ai sensi dell’art. 2468, comma 3, c.c., potrebbero essere

104
che prescinde dalla volontà dei soci
105
Lanzio, op. cit.
loro riservati dall’ atto costitutivo e che, ex art. 2468, comma 4, c.c., possono essere modificati solo
unanimemente, salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo stesso.
L’art.2468 c.c. utilizza la locuzione “rilevante modificazione dei diritti”.
Per comprenderne la portata, si pone come primo problema il coordinamento tra l’art. 2479, comma
2, n. 5, c.c. e l’art. 2473, comma 1, c.c.: la prima norma, prevede che solo genericamente le decisioni
sul compimento di operazioni comportano una “rilevante modificazione dei diritti dei soci”;
l’art.2473 c.c., invece, circoscrive la possibilità di recesso alle operazioni che comportano “una
rilevante modificazione dei diritti attribuiti ai soci a norma dell’art. 2468, comma 4, c.c.”.
Dunque, non ci si riferisce ad ogni modificazione dei diritti dei soci, ma solo a quelle previste dall’art.
2468, comma 3, c.c., ed espressamente richiamato dall’art. 2468, comma 4, c.c..
Si potrebbe desumere che ai sensi dell’art. 2479, comma 2, n. 5, c.c. tutte le decisioni di compiere
operazioni che comportano una rilevante modificazione dei diritti dei soci spettano inderogabilmente
ai soci, ma che ex art. 2468, comma 3, c.c. solo quelle sui “particolari diritti” permettono il diritto di
recesso per chi non vi consente.
Relativamente al “compimento di operazioni”, si consideri anzitutto che il termine “rilevante” pone
un primo “argine”106 a richieste di recesso pretestuose e che è doveroso domandarsi come l’art. 2473,
comma 1, c.c. si coordini con l’art. 2468, comma 4, c.c..
L’art. 2473, infatti, parla di “compimento di operazioni”, ma richiama la seconda norma, che a sua
volta parla di “consenso dei soci” ed indirettamente di decisioni.
L’art. 2468, comma 4, c.c. prevede che di regola tali diritti possano essere modificati all’unanimità,
salva diversa disposizione prevista nell’atto costitutivo, ove si può prevedere una modifica a
maggioranza, salvo in ogni caso quanto previsto dall’art. 2473, comma 1, c.c..
A rigore di logica, sembrerebbe che nel caso di modifica a maggioranza spetti il diritto di recesso per
il socio non consenziente ma ai sensi di un’interpretazione letterale dell’art. 2473 c.c., a cui si riferisce
l’art. 2468 c.c., il recesso competerebbe nel caso di mancato consenso al compimento di operazioni
e non a delibere di modifica.
Ne consegue un difficile coordinamento.
Di conseguenza, parrebbe conforme al sistema, seppur difforme da una lettura prettamente letterale
della norma, ammettere il diritto di recesso mediante un coordinamento tra le due norme citate, nel
senso di tutelare i soci che vedano lesi i propri diritti tanto dal compimento di operazioni ex art. 2473,

106
E. Borina, E. Dai Prà, E. Manuali, G. Martinelli, R. Nalli, Commissione diritto societario, Associazione dottori
commercialisti delle Tre Venezie, coordinatore L. Antonello, Ordine di Padova, L’inserto-Il recesso del socio nella
società a resposnabilità limitata, in Il Commercialista veneto, n. 172, Luglio-Agosto 2006
comma 1, c.c., quanto dalla sola decisione non unanime di modifica dei diritti ex art. 2468, comma 4,
c.c. 107.
Ancora, sorgono dubbi sul possibile esercizio del recesso per ogni singola modificazione di fatto,
attuata di volta in volta sui particolari diritti attribuiti ai soci ex art. 2468, comma 3, c.c..
Alcune considerazioni finali.
È possibile esercitare il diritto di recesso a seguito della c.d. violazione di particolari diritti stabiliti
precedentemente sulla distribuzione degli utili?
Inoltre, la norma in questione va intesa in questo senso, vale a dire che il socio a cui non siano
riconosciuti certi utili pattiziamente previsti a suo favore, possa sostenere che tale operazione
comporta una rilevante modificazione dei diritti attribuitigli, legittimandosi un suo esercizio del
diritto di recesso108?
Relativamente ai diritti sull’amministrazione della società o alla distribuzione degli utili, ai sensi
dell’art. 2473 c.c. sembrerebbe che il diritto di recesso spetti a tutti i soci che non hanno consentito
al compimento di operazioni modificative dei diritti, prescindendo dal fatto che gli stessi soci risultino
o meno titolari dei diritti stessi.
Per quanto concerne l’esercizio del diritto di recesso, ai sensi dell’art. 2479 comma 2, n. 5 c.c., pure
se gli amministratori non hanno interpellato i soci, si rimanda a quanto detto in tema di modifica
sostanziale dell’oggetto sociale.
Infine, l’art. 2468, comma 4, c.c., si ricordi che questo presuppone una clausola prevista nell’atto
costitutivo, posta come deroga all’unanimità per la modifica formale dei particolari diritti dei soci;
infatti, se l’atto costitutivo tace al riguardo, sarà possibile modificare tali diritti particolari solo
unanimemente e, quindi, non sarà possibile ipotizzare la presenza di soci dissenzienti cui spetti il
diritto di recesso109 .

i. Durata indeterminata della società

Secondo l’art. 2473, comma 2, c.c. “in caso di società contratta a tempo indeterminato il diritto di
recesso compete al socio in ogni momento e può essere esercitato con un preavviso di almeno

107
Lanzio, “Il recesso del socio di S.r.l.”, in Le Società 2/2004.

108
E. Borina, E. Dai Prà, E. Manuali, G. Martinelli, R. Nalli, Commissione diritto societario, Associazione dottori
commercialisti delle Tre Venezie, coordinatore L. Antonello, Ordine di Padova, L’inserto-Il recesso del socio nella
società a resposnabilità limitata, in Il Commercialista veneto, n. 172, Luglio-Agosto 2006
109
Lanzio, “Il recesso del socio di S.r.l.”, in Le Società 2/2004.
centottanta giorni; l’atto costitutivo può prevedere un periodo di preavviso di durata maggiore
purché non superiore ad un anno”110.
Tale limite temporale, si riferisce unicamente al preavviso con cui esercitare il diritto di recesso, a
differenza dell’esercizio vero e proprio del diritto che invece può essere esercitato anche
immediatamente111. Questo fenomeno è disciplinato in maniera diversa nelle s.r.l. rispetto alle società
per azioni; infatti, l’art. 2328, comma 2, n. 13 c.c. dispone che “se la società è costituita a tempo
indeterminato, l’atto costitutivo deve indicare il periodo di tempo, comunque non superiore ad un
anno, decorso il quale il socio potrà recedere”. La norma non trova legame con la disciplina prevista
per le società per azioni e prevede un periodo di tempo in cui la possibilità di esercitare il diritto di
recesso è per così dire “sospeso”.
In tema di società di persone, l’art. 2285 c.c. prevede il recesso ad nutum in caso di società “contratta
a tempo indeterminato o per tutta la vita di uno dei soci” e si riferisce alla società contratta a tempo
indeterminato.
La tradizionale giurisprudenza equipara la società di persone contratta a tempo indeterminato a quella
che abbia durata superiore alla normale durata della vita umana, vale a dire di uno dei soci, ai sensi
dell’art.2285 c.c..
Dal tenore letterale dell’art. 2473 c.c., la possibilità di recedere nel caso di società contratta per un
periodo particolarmente lungo non è espressamente prevista.
Tuttavia, i primi commentatori della norma tendevano a ritenere applicabile per analogia
112
l’equiparazione sancita dall’art. 2285 c.c. ; la dottrina più recente è orientata invece per la
conclusione opposta.
113
È stato sostenuto che nelle società a responsabilità limitata, seppur i rapporti personali fra i soci
siano considerati in misura maggiore che non nelle s.p.a., la norma non sembra spingersi al punto di
legare le sorti del vincolo sociale alla vita dei soci stessi, e tende ad evitare il vincolo perpetuo, non
anche quello vitalizio.
Tant’è vero che nell’ambito delle S.r.l. non è previsto normalmente lo scioglimento di tale vincolo
per morte del socio, come avviene invece nelle società di persone in base all’art. 2284 c.c.. Ha rilievo

110
La norma dunque prevede espressamente il caso di recesso ad nutum, fermo solo il limite del preavviso, il quale sembra
solo ampliabile fino ad un anno e non riducibile.
111
Magliulo, “Il recesso e l’esclusione”, in La riforma della società a responsabilità limitata, Ipsoa, Milano, 2004
112
Scarchillo, commento all’art. 2473 in Codice commentato delle nuove società - a cura di Bonfante – Corapi– Marziale
– Rordorf – Salafia, Ipsoa, Milano, 2004
113
Magliulo, “Il recesso e l’esclusione”, in La riforma della società a responsabilità limitata, Ipsoa, Milano, 2004
anche il fatto che le quote di S.r.l. sono di norma liberamente trasferibili, ciò che non avviene nelle
società di persone (cfr. art. 2252 c.c.).
A tal proposito si faccia l’ipotesi di cessione della partecipazione da parte del socio fondatore
“giovane” a un nuovo socio di età avanzata, per cui la durata della società finisca con l’eccedere la
prevedibile lunghezza della vita del socio entrante: se fosse applicabile il recesso ad nutum in una
simile fattispecie si finirebbe con l’attribuire al socio entrante, senza il consenso degli altri soci, un
diritto di recesso che in sede di costituzione non spettava ad alcuno.
In coerenza con l’orientamento qui esposto, si potrebbe al più argomentare che il recesso ad nutum
potrebbe spettare, nei casi di durata eccessivamente lunga della società, solo quando la circolazione
delle quote è vietata dall’atto costitutivo.
Ancora, induce a propendere per l’esclusione dell’applicazione analogica della norma in tema di
società di persone il fatto114 che la proroga della durata della S.r.l. non è fra le cause legali necessarie
di recesso: ciò sembra provare che l’interesse ad una durata non eccessiva del rapporto sociale non
sia stato ritenuto dal legislatore della riforma meritevole di tutela inderogabile.
La norma di cui all’art. 2473, comma 2, c.c. è inserita nel presente elaborato fra le cause legali
inderogabili di recesso, in accordo con l’opinione dominante115 .
In effetti, se da un lato, sembra doversi ammettere l’inderogabilità della norma, dall’altro però non
c’è dubbio che “la previsione di un diritto di recesso in caso di società a tempo indeterminato ...
rende
116
praticamente inutilizzabile la possibilità di non prevedere un termine di
durata”.

114
Paciello, Commento sub art. 2437, in Società di capitali. Commentario, Jovene, Napoli, 2004, p. 1114; Calamdra
Buonaura, op. cit..
115
Morano, “Analisi delle clausole statutarie in tema di recesso alla luce della riforma della disciplina delle società di
capitali”, in Riv. Notariato 2003, 2, p. 3 ss.; Rordorf, “Il recesso del socio di società di capitali: prime osservazioni dopo
la riforma”, in Le società, 2003, n. 7; Stella Richter, “Diritto di recesso e autonomia statutaria”, in Riv. Dir. Comm. 2004,
p. 389 ss.; Ferri, “Il recesso nella nuova disciplina delle società di capitali. Brevi considerazioni”, in Riv. Notariato 2004,
4, p. 915 ss.; Circolare Assonime n. 68 del 22/12/2005; per la derogabilità si esprimono invece Salafia, “Il nuovo modello
di società a responsabilità limitata”, in Le società, 2003, 1, p. 5, in sede di costituzione della società o in sede di modifica
dell’atto costitutivo, da adottarsi all’unanimità; Cappiello, in Bonfante – Corapi – Marziale – Rordorf – Salafia, op. cit.,
p. 840, il quale osserva che la perpetuità può anche corrispondere all’interesse delle parti, e conclude quindi per la
legittimità di un atto costitutivo che escluda dall’inizio il recesso ad nutum nella società a tempo indeterminato; prospetta
inoltre la legittimità di una modifica statutaria che escluda successivamente tale diritto (modifica che tuttavia dovrebbe
legittimare il recesso dei soci che non abbiano concorso alla deliberazione).
116
Enriques, nell’Audizione dinanzi alle Commissioni Giustizia e Finanze riunite, Camera dei Deputati, 27 novembre

2002.
È evidente infatti la minaccia continua e incontrollabile per l’integrità del patrimonio sociale, con
sostanziale indebolimento delle imprese che sarebbero costrette ad un forzoso accantonamento di
risorse nella prospettiva di dover sostenere esborsi per far fronte al recesso dei soci.
La norma in esame ha certamente recepito l’esigenza di attribuire una via d’uscita al socio contro il
pericolo di vincoli perpetui nei casi in cui la quota non sia in pratica cedibile, e vuole rappresentare
un correttivo a tali vincoli117.
Si può d’altro canto osservare che l’esistenza di tale causa di recesso (con i fattori di instabilità che
comporta) è tuttavia facilmente conoscibile e individuabile da parte dei terzi con la semplice lettura
della clausola statutaria sulla durata.
Quanto ad eventuali casi di abuso del diritto di recesso, potrebbe venire in soccorso il principio
generale di buona fede nell’esecuzione dei contratti (art. 1375 c.c.); ma è evidente la difficoltà della
dimostrazione della sussistenza dell’abuso. Sembra arduo, in concreto, fornire la prova che il diritto
sia stato esercitato fraudolentemente o in modo del tutto ingiustificato o al solo scopo di ledere gli
interessi della società o dei soci di minoranza.

j. Limiti alla circolazione delle quote

In merito al trasferimento della partecipazione sociale di s.r.l., analizziamo due diversi punti di vista:
quello eso-societario, in cui assumono rilievo i rapporti negoziali interindividuali tra il dante e
l’avente causa della partecipazione; quello endo-societario, in cui assumono rilievo i riflessi sul
gruppo organizzato dei soci conseguenti al trasferimento della partecipazione118.
Nell’ottica eso-societaria, l’effetto traslativo è riconducibile unicamente alle regole che le parti
liberamente si sono date, nell’ambito dei principi generali, e l’atto di trasferimento inter vivos è un
contratto i cui effetti tra le parti 119 dipendono dal consenso delle stesse senza alcun vincolo di forma
alla stregua di un contratto di trasferimento di un
qualsiasi altro bene mobile registrato120. Tuttavia, da un’analisi in termini più ampi del fenomeno,
coinvolgendo non solo gli effetti inter partes e quindi la titolarità del bene patrimoniale rappresentato
dalla partecipazione sociale, ma anche la conseguente legittimazione all’esercizio dei diritti sociali

117
Toffoletto, “L’autonomia privata e i suoi limiti nel recesso convenzionale del socio di società di capitali”, in Riv. Dir.
Comm. 2004, I, p. 347 ss..
118
Maltoni, “La partecipazione sociale”, in AA.VV., La riforma della società a responsabilità limitata, Giuffrè, Milano,
2003, p. 176; Busani, S.r.l., Egea, Milano, 2003
119
non nei confronti della società
120
Busani, op. cit.
nell’ambito dell’organizzazione societaria, va indagato il rispetto dei vincoli legali ex art. 2470 c.c.121
(eventualmente quelli convenzionali, contenuti nei patti sociali e, sebbene qui non oggetto di analisi,
in quelli parasociali) 122.
Per i vincoli legali, stante il loro carattere formale, il trasferimento della partecipazione ha effetto
verso la società esclusivamente se l’atto traslativo è redatto in forma pubblica o di scrittura privata
autenticata, è registrato entro trenta giorni dal notaio rogante o autenticante presso l’ufficio del
Registro delle Imprese ed infine è annotato nel libro dei soci, a cura degli amministratori su richiesta
dell’alienante o dell’acquirente 123.
Per quanto riguarda i secondi, nell’atto costitutivo i soci possono prevedere condizioni o limiti
particolari alla circolazione delle proprie partecipazioni al fine di soddisfare un interesse non del
singolo socio, bensì dei soci. Tuttavia, tali limiti o condizioni particolari possono interferire solo sul
rapporto intercorrente tra la società ed il socio o sull’acquisto della legittimazione all’esercizio dei
diritti sociali dell’avente causa e mai direttamente sull’efficacia del contratto traslativo fra le parti (di
fronte al quale la società è terzo), che resta idoneo comunque a trasferire la titolarità della
partecipazione anche se perfezionato in violazione di una clausola statutaria124.
Dunque, le clausole convenzionali ex art. 2469 c.c. devono essere lette nel senso di condizionare o
limitare l’acquisto della qualifica di socio rispetto all’organizzazione societaria e non il trasferimento
tra le parti della proprietà della partecipazione o, altrimenti detto, della titolarità del bene-
partecipazione125.
Premesso che, di regola, le partecipazioni sociali sono liberamente trasferibili per atto tra vivi e per
successione mortis causa, salvo diversa disposizione nell’atto costitutivo, la principale modifica
introdotta dal D. Lgs. n.6/2003 nell’argomento qui discusso può essere riassunta in un equo
bilanciamento tra l’interesse particolare del singolo socio al disinvestimento della propria quota (se
sono introdotti convenzionalmente dei vincoli alla trasferibilità della partecipazione) e quello della
società e degli altri soci alla tendenziale omogeneità della compagine sociale, idoneo comunque a

121
Sulla distinzione tra limiti legali e convenzionali alla circolazione delle azioni, si veda Campobasso, Diritto delle
società, Utet, Torino, 1999
122
A mero titolo esemplificativo, si pensi alle clausole di prelazione proprie o improprie, alla clausola di gradimento, alla
clausola di consolidazione e di accrescimento in caso di morte del socio. Sul punto, FERRI, Le società, Utet, Torino,
1989, p. 509, secondo il quale la clausola di gradimento condiziona l’effetto del trasferimento nei confronti della società,
non l’efficacia del trasferimento nei rapporti inter partes.
123
Busani, op. cit., p. 253 e ss.
124
Maltoni, op. cit.
125
Nonché della conseguente legittimazione all’esercizio dei diritti sociali
trasferire la titolarità della partecipazione anche se perfezionato in violazione di una clausola
statutaria126.
Infatti nel sistema previgente, si dava netta prevalenza all’interesse sociale, per il cui soddisfacimento
poteva essere impedito al socio di cedere (con effetto per la società) le proprie quote per tutta la durata
127
della società stessa mediante la previsione statutaria di un vincolo di intrasferibilità assoluto .
Quanto al vincolo di intrasferibilità relativo, riconducibile alla clausola di mero gradimento, l’assenza
di tutele a favore del socio avevano indotto la Corte di Cassazione128 a dichiararne la nullità
nell’ambito della disciplina delle S.p.A..
Il legislatore delegante è quindi intervenuto modificando l’art. 3, comma 2, lett. f), L. 366/01,
ampliando l’autonomia statutaria con riferimento al trasferimento della partecipazione sociale,
nonché del recesso; salvaguardando nondimeno il principio di tutela dell’integrità del capitale sociale
e gli interessi dei creditori sociali e disponendo la nullità delle clausole di intrasferibilità non collegate
alla possibilità di esercizio del recesso.
Dunque il nuovo art. 2469 c.c., costituisce il punto di equilibrio tra tre interessi distinti: quelli che
fanno capo al socio che recede, quelli in capo agli altri soci ed infine quelli dei terzi e dei creditori
sociali.
Quanto al socio recedente, il legislatore gli attribuisce inderogabilmente il diritto di recesso
nell’ipotesi di sostanziale impossibilità di disinvestimento della propria partecipazione mediante
trasferimento della stessa.
Tale diritto può rimanere inattuato per un periodo massimo di due anni dalla costituzione della società
o dalla adesione ad essa da parte del socio, a tutela dell’interesse degli altri soci affinché si rispetti la
buona fede nello svolgimento del rapporto sociale.
Infine la tutela dei terzi e dei creditori sociali, è assicurata dalla procedura di rimborso della
partecipazione del socio che recede ex art. 2473 c.c., che solo in ultima istanza prevede l’utilizzo di
risorse proprie della società.
Si evince che l’art. 2469 c.c. tutela il disinvestimento della partecipazione a fronte ed in
contrapposizione all’interesse degli altri soci a non inserire altri soggetti ovvero soggetti non graditi

127
Busani, op. cit., p. 259.
128
Cass. 15/5/1978, n. 2365, in Giur. Comm., 1978, II, p. 639. Sul riconoscimento del diritto soggettivo del socio alla
libera trasferibilità della partecipazione e del conseguente necessario consenso unanime dei soci per l’introduzione delle
clausole di non mero gradimento e di quelle di prelazione, cfr, Delli Priscoli, L’uscita volontaria del socio dalle società
di capitali, Giuffrè, Milano, 2005, p. 183.
o non idonei129. In particolare, la dottrina sottolinea come prima della riforma ci si potesse domandare
se l’introduzione o l’eliminazione delle clausole in oggetto potessero essere adottate mediante le
maggioranze richieste per le modifiche dell’atto costitutivo o, al contrario, l’unanimità dei consensi
dei soci fosse imprescindibile.
Oggi invece l’esigenza di tutela della posizione della sfera del singolo socio di fronte a decisioni
potenzialmente lesive, si realizza essenzialmente mediante l’esercizio del diritto di recesso130.
Quest’ultimo, peraltro, sorge solo in presenza di intrasferibilità assoluta della partecipazione ovvero
di trasferibilità subordinata al gradimento di organi sociali, di soci o di terzi senza prevederne
condizioni/ limiti o prevedendo condizioni/limiti non connotati dal requisito dell’oggettività131.

k. Aumento di capitale con offerta diretta delle quote a terzi

L’atto costitutivo di una S.r.l. può prevedere che l’aumento di capitale venga attuato anche mediante
offerta di quote di nuova emissione a terzi ai sensi dell’art. 2481 bis c.c..
In ogni caso, al socio che non ha consentito a tale deliberazione, è garantito il diritto di recesso.
Chiaramente, questa causa di recesso sussiste solo qualora l’atto costitutivo preveda in modo esplicito
la possibilità di offrire l’aumento di capitale direttamente ad un soggetto non socio.
Tuttavia, il legislatore pone un limite ragionevole all’autonomia statutaria: viene fatto salvo l’art.
2482-ter c.c. Se, per la perdita di oltre un terzo del capitale, questo si riduce al di sotto del minimo
legale, gli amministratori devono senza indugio convocare l’assemblea per deliberare la riduzione del
capitale ed il contemporaneo aumento del medesimo ad una cifra non inferiore al detto minimo e fatta
salva la possibilità di deliberare la trasformazione della società132.
L’atto costitutivo non può prevedere l’offerta diretta a terzi dell’aumento di capitale nel caso di
riduzione del capitale al di sotto del minimo legale e di successiva ricapitalizzazione della stessa.
La ratio di tale norma è quella di tutelare il socio di minoranza che, in assenza di tale disposizione
potrebbe vedersi estromesso dalla società, ove si tratti di azzeramento del capitale, oppure veder
ridotta sostanzialmente la sua quota percentuale di partecipazione133.
Tale causa di recesso è prevista per le sole società a responsabilità limitata, differenziandosi da questo
punto di vista dalle s.p.a. Nella disciplina della società per azioni, l’art. 2441 al comma 4, c.c., non
riconosce il diritto di opzione per quelle azioni di nuova emissione per le quali la delibera di aumento

129
Maltoni, Commento all’art. 2469 c.c., in Maffei Alberti, op. cit., p. 1845
130
Revigliono, op. cit., p. 1823.
131
Maltoni, op., cit.
132
Art. 2482 ter c.c.
133
Maltoni, op. cit.
di capitale abbia previsto la liberazione mediante conferimenti in natura. Ancora, l’art. 2441, comma
5, c.c. sancisce che il diritto di opzione può essere escluso o limitato con la delibera di aumento di
capitale quando l’interesse della società lo esige.
A differenza di quanto accade nella S.r.l., al socio di S.p.A. che non abbia concorso a quelle
deliberazioni non è riconosciuto il diritto di recesso134 .

l. Soggezione a direzione e coordinamento

Stante la sempre maggiore diffusione dei gruppi di imprese, la riforma si è preoccupata di tutelare
l’investimento del socio estraneo al gruppo di controllo, tanto che da un lato l’art. 2497 c.c. prevede
una responsabilità diretta delle società e degli enti che esercitano attività di direzione e
coordinamento, in violazione dei principi di corretta gestione, nei confronti degli altri soci e dei
creditori sociali delle società soggette a tale attività che ne “subiscono” le decisioni. Dall’altro lato,
l’art. 2497 quater c.c. si occupa del diritto di recesso dei soci della società soggetta a direzione e
coordinamento, in presenza di fatti e circostanze attinenti al soggetto esercente tale attività, qualora
gli stessi possano riflettersi in modo determinante sulle condizioni dell’investimento.

La ratio della norma sta nell’esigenza di tutelare il socio estraneo al gruppo di controllo, nel caso in
cui l’attività di direzione e coordinamento non sia stata svolta secondo principi di corretta gestione
imprenditoriale, oppure qualora muti l’assetto imprenditoriale in cui la società opera.

In particolare, l’art. 2497 quater, comma 1, c.c. prevede tre cause specifiche di recesso del socio di
società soggetta a direzione e coordinamento:
a) “quando la società o l’ente che esercita attività di direzione e coordinamento abbia deliberato una
trasformazione che implica il mutamento del suo scopo sociale”135. Si ricordi che si tratta di
trasformazione eterogenea ex artt. 2500-septies e 2500-octies c.c. che espressamente prevedono la
possibilità che società di capitali si trasformino in consorzi, associazioni e fondazioni o viceversa;
ancora quando la società abbia deliberato “una modifica del suo oggetto sociale consentendo
l’esercizio di attività che alterino in modo sensibile e diretto le condizioni economiche e patrimoniali
della società soggetta ad attività di direzione e coordinamento”. In tal caso risulterebbe necessaria

134
Art. 2481 c.c.: “L'atto costitutivo può attribuire agli amministratori la facoltà di aumentare il capitale sociale,
determinandone i limiti e le modalità di esercizio; la decisione degli amministratori, che
deve risultare da verbale redatto senza indugio da notaio, deve essere depositata ed iscritta a norma dell'articolo 2436.
La decisione di aumentare il capitale sociale non può essere attuata fin quando i conferimenti precedentemente dovuti
non sono stati integralmente eseguiti.”
135
Art.2497-quater comma 1 c.c.
una modifica rilevante dell’oggetto della società capogruppo, tale da incidere sia nelle condizioni di
rischio della partecipazione dei soci della controllante, sia di quelle della partecipazione dei soci della
controllata. Un’ipotesi al riguardo, potrebbe consistere nella stretta interdipendenza e connessione tra
l’attività della società partecipata e quella della società controllante, tale che un mutamento
dell’attività della controllante possa determinare un peggioramento della situazione economico-
patrimoniale della controllata136;

b) “quando, in favore del socio, sia stata pronunciata, con decisione esecutiva, condanna di chi
esercita attività di direzione e coordinamento ai sensi dell’art. 2497 c.c.”. Trattandosi di decisione
esecutiva, e non anche passata in giudicato, potrà essere sufficiente anche una provvisoria esecutività
della suddetta decisione137;

c) “all’inizio e alla cessazione dell’attività di direzione e coordinamento, quando non si tratta di una
società con azioni quotate in mercati regolamentati e ne derivi un’alterazione delle condizioni di
rischio dell’investimento e non venga promossa un’offerta pubblica di acquisto”. La norma si occupa
degli effetti circa l’integrazione ed interdipendenza dell’economia di una società dipendente da un
gruppo e riguardo al peso che l’appartenenza al gruppo può comportare.
In tale ipotesi si ritiene debba essere compreso anche il mutamento del soggetto controllante. Tale
disposizione è strettamente collegata a quanto previsto dall’art. 2497 bis, commi 1 che recita “La
società deve indicare la società o l’ente alla cui attività di direzione o coordinamento è soggetta negli
atti e nella corrispondenza, nonché mediante iscrizione, a cura degli amministratori, presso la
sezione del Registro delle Imprese di cui al comma successivo” e successivo comma 3 ai sensi del
quale “Gli amministratori che omettono l’indicazione di cui al comma 1 ovvero l’iscrizione di cui al
comma 2, o le mantengono quando la cessazione è cessata, sono responsabili dei danni che la
mancata conoscenza di tali fatti abbia recato ai soci o ai terzi”.
Per il socio di minoranza è questo il momento in cui può venire a conoscenza della etero-direzione
della sua società. È stato tuttavia evidenziato che il presupposto rilevante dovrebbe essere il fatto
dell’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento e non l’indicazione e l’iscrizione presso il

136
Schiano Di Pepe, Le società n. 9/2003, p. 1207
137
Si ricorda che la responsabilità non sussiste qualora il pregiudizio cagionato al patrimonio della controllata trovi
compensazione nei vantaggi conseguiti o fondatamente prevedibili, che alla controllata derivino dall’appartenenza al
gruppo e che, a sensi del comma 3 dell’art. 2497 c.c., l’azione di responsabilità contro l’ente controllante può essere
esercitata solo se la società controllata non abbia risarcito il proprio socio.
Registro delle Imprese, in modo da consentire l’esercizio del diritto di recesso anche in caso di
omissione dell’apposita comunicazione da parte degli amministratori138.

m. Clausole compromissorie

Un’ulteriore causa di recesso la si può reperire al di fuori del codice civile, ossia nel comma 6 dell’art.
34 del D.Lgs. 5/2003 secondo cui possono esercitare il diritto di recesso i soci assenti o dissenzienti
a delibere di modifica dell’atto costitutivo introduttive o soppressive di clausole compromissorie.
Inoltre il recesso deve essere esercitato entro i 90 giorni successivi.
A differenza di altre cause di recesso, non sono legittimati attivi al recesso né i soci astenuti né coloro
che sono privi del diritto di voto.
Il legislatore parla espressamente di “introduzione e soppressione di clausole compromissorie”: è
discusso se in via interpretativa il diritto di recesso spetti anche in caso di delibera modificativa di
una clausola compromissoria prevista nell’atto costitutivo.
Al riguardo, l’interpretazione più corretta non riconosce il recesso anche in caso di sola modifica di
clausola compromissoria, in considerazione del fatto la legge parla deliberatamente di “introduzione
e soppressione”. Infatti, il legislatore considera il recesso come un efficace mezzo di tutela del socio
avverso cambiamenti sostanziali dell’operazione cui partecipa; dunque, deferire al giudice ordinario
o ad un terzo arbitro “le controversie insorgenti tra soci ovvero tra i soci e la società che abbiano ad
oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale” comporta certamente una modifica
significativa del quadro dell’operazione cui il socio partecipa139. Ciò non vale per la sola
modificazione della clausola compromissoria, in cui la decisione di controversie riguardanti il
rapporto sociale resterebbe comunque sottratta alla giurisdizione ordinaria, per essere deferita ad un
arbitro.
In vista di un rafforzamento delle tutele della minoranza, lo stesso articolo dispone che tali delibere
140
vadano assunte con maggioranza rafforzata pari ad almeno due terzi del capitale sociale. La
prevalente dottrina ritiene che in caso di deliberazione con la quale, successivamente al 1° gennaio
2004, si intenda adeguare una clausola compromissoria contenuta in un atto costitutivo o in uno
statuto di una società di capitali esistente al 1° gennaio 2004, che prevedeva la nomina di taluni arbitri
da parte di soggetti non estranei alla società, non è richiesto il voto favorevole dei due terzi del capitale

138
Assonime, circolare n. 68/2005 “Chi si orienta in questo senso ritiene che il socio potrà recedere entro 30 giorni dalla
conoscenza del fatto, ma incombe su di lui l’onere di provare l’esercizio tempestivo del diritto”

139
D.Lgs. 17/01/2003, n. 5, art. 34, comma 1.
e non dà diritto di recesso ai soci assenti o dissenzienti141. Si tratterebbe infatti di una modifica e non
di un’introduzione o soppressione di clausola statutaria.

4. Cause di recesso convenzionali

Accanto alle ipotesi di recesso legali appena esaminate, la legge prevede altresì che i soci possano
prevedere cause di recesso convenzionali.

a. Revisione della stima dei conferimenti in natura

Nel sistema normativo previgente, l’art. 2343 ultimo comma c.c. prevedeva per la s.p.a. e per rinvio
anche per la società a responsabilità limitata, l’obbligo per amministratori e sindaci di riesaminare le
valutazioni dei beni in natura e dei crediti conferiti, contenute nella perizia di stima, e di ridurre il
capitale sociale in caso di differenze superiori ad un quinto fatta salva la facoltà del socio conferente
di versare la differenza in denaro o recedere dalla società.
Questa ipotesi legale di recesso, mantenuta seppur modificata per le società per azioni, è stata invece
soppressa dalla disciplina applicabile alla s.r.l., essendo venuto meno l’obbligo legale di revisione
142
della perizia di stima .
In tale contesto caratterizzato da un vuoto normativo, gli amministratori non potrebbero comunque
astenersi in sede di redazione del bilancio d’esercizio dall’obbligo di effettuare la svalutazione dei
beni e dei crediti conferiti, con corrispondente riduzione del capitale se fosse rilevato un loro effettivo
minor valore rispetto a quello peritale. In tal caso, l’onere della riduzione patrimoniale non sarebbe
più circoscritto al socio conferente, ma forzatamente esteso a tutta la compagine sociale in
proporzione alla propria partecipazione.
A tali conclusioni, si giunge sia richiamando i principi generali del bilancio d’esercizio, con
particolare riferimento alla rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale,
finanziaria ed economica della società, sia alla luce del novellato art. 2632 c.c., secondo il quale gli
amministratori e i soci conferenti che, anche in parte, formano od aumentano fittiziamente il capitale

141
In questo senso: Orientamenti del Comitato Triveneto dei Notai in materia di atti societari, settembre 2005; Massime
sulla riforma del diritto societario del Consiglio Notarile di Milano, 2005.

142
Tassinari, “I conferimenti e la tutela dell’integrità del capitale sociale”, in AA.VV., La riforma della società a
responsabilità limitata, cit., p. 84. In termini dubitativi, Busani, op. cit., p. 202. Contra: Salafia, “Il nuovo modello di
società a responsabilità limitata”, in Le società, 2003, 6; in termini dubitativi, Busani, op. cit., p. 202.
della società mediante sopravvalutazione rilevante dei conferimenti di beni in natura o di crediti sono
puniti con la reclusione fino ad un anno143.
Dunque, a tutela sia dei soci sia dei terzi, sembra auspicabile dover includere nell’atto costitutivo una
clausola che, ripristinando convenzionalmente l’obbligo di revisione della perizia di stima in esame,
contempli anche la facoltà del socio conferente di recedere dalla società in caso di revisioni superiori
ad un rapporto determinato pattiziamente dai soci144.

b. Altre cause convenzionali

Il legislatore è andato oltre il principio di tassatività delle cause di recesso, improntato ad un


atteggiamento sfavorevole nei confronti del recesso ed un’attenzione più marcata alla tutela
dell’integrità del capitale sociale piuttosto che a quella delle posizioni individuali dei soci.
Oggi, invece, ai sensi dell’art. 2473 c.c., si prospettano molte ipotesi di recesso prevedibili
statutariamente: per prima cosa, sarà possibile estendere i casi in cui il recesso è collegato al dissenso
dei soci di minoranza, così il recesso può essere stabilito a seguito di deliberazioni riguardanti gli
amministratori, la loro nomina o revoca, attribuzione ad essi della delega in sede di atto costitutivo
per l’aumento del capitale sociale (art. 2481 c.c.)145.
La decisione di prorogare il termine della società, che è espressamente prevista fra le cause legali
derogabili in ambito di s.p.a. ex art. 2437, comma 2, c.c., può a maggior ragione considerarsi un’altra
causa tipica di recesso prevedibile pattiziamente per le società a responsabilità limitata.
D’altra parte, tale istituto è attribuibile in relazione ad eventi che sono estranei all’adozione di
deliberazioni da parte dei soci. Anche in tal caso la casistica prospettabile è ampia.
In tale prospettiva, anche l’introduzione di un recesso per giusta causa, ammesso dalla dottrina in
ambito di società personali, appare motivata e fra le ipotesi di giusta causa comunemente individuate,
si ricorda il contrasto insanabile fra i soci; fatti di carattere soggettivo, come la trascuratezza o
l’incapacità degli amministratori; la condotta immorale dei soci, etc.
Ancora, giusta causa si potrebbe individuare al verificarsi di situazioni che possano escludere la
possibilità di una proficua prosecuzione dell’attività sociale: pensiamo all’uscita dalla compagine
sociale di alcuni soci con perdita in misura considerevole dei conferimenti.

143
Per approfondimenti, Lanzi, Cadoppi, I nuovi reati societari, Cedam, Padova, 2002, 99 e ss..
144
Busani, op., cit.
145
Analogamente, in caso di deliberazioni riguardanti l’approvazione del bilancio o la destinazione degli utili, o anche il
trasferimento della sede non già all’estero ma in un’altra provincia o regione.
Se, presumibilmente, non è lo stesso atto costitutivo a precisare quali fatti costituiscano giusta causa
di recesso, la valutazione della situazione concreta dovrà essere, naturalmente, affidata al giudice.

c. Recesso ad nutum

Fra le cause pattizie di recesso, vale a dire quelle che non trovano la propria fonte nella legge ma
nella previsione contenuta nell’atto costitutivo, ci si pone legittimamente un quesito: se si possa
validamente includere anche l’ipotesi c.d. estrema di recesso ad nutum146.
Questo tema ha suscitato e suscita ancora diverse vedute, non tanto per i risvolti pratici della
questione, quanto piuttosto per il fatto che orientare in un senso o nell’altro l’argomentazione significa
andare a definirne la portata, i contorni ed i limiti precisi dell’autonomia statutaria, che è certamente
147
uno dei pilastri della riforma .
D’altro canto, non bisogna dimenticarci dei principi e criteri direttivi fissati sul punto nella legge
delega, art. 3 comma 2 lettera f) c.c. ai sensi della quale “ampliare l’autonomia statutaria con
riferimento al ... recesso, salvaguardando in ogni caso il principio di tutela dell’integrità del capitale
e gli interessi dei creditori sociali”. Trattasi di un punto importante in quanto, se da un lato è
evidentemente rivolta al contemperamento di interessi diversi, dall’altro lascia aperta un’antinomia
che forse il legislatore delegato non ha risolto.
Secondo l’art. 2473, comma 1, c.c., “l’atto costitutivo determina quando il socio può recedere dalla
società”. La norma dà esplicito rilievo all’autonomia statutaria, ma nulla dice riguardo agli altri
interessi che la legge delega ha indicato come meritevoli di tutela, quali l’integrità del capitale e
interessi dei creditori sociali.
La legittimità di introdurre in modo statutario clausole di recesso ad nutum in tema di s.r.l., è un punto
controverso e molto discusso, fermo restando il divieto al riguardo con riferimento alle s.p.a148.
Tali dubbi, prendono corpo anzitutto dal vincolo interpretativo della legge delega art. 3 comma 2
lettera f c.c. L’opinione contraria all’inserimento di tali clausole tende a non considerare prevalente
l’autonomia statutaria, considerando la tutela del capitale e dei creditori sociali un limite invalicabile,
attribuendo quindi al capitale sociale un ruolo centrale.

146
si parla di recesso ad nutum ogni volta che il diritto non sia collegato a circostanze predeterminate (ad esempio, esistenza di
delibera societaria nei confronti della quale non si sia espresso un voto favorevole), ma sia rimesso all’arbitraria determinazione del
socio (cosiddetto exit senza causa).

147
Cagnasso, “Ambiti e limiti dell’autonomia concessa ai soci della “nuova” società a responsabilità limitata”, in Le
società 2003, 2-bis,
148
l. delega, art. 4 comma 9 lettera d :“lo statuto possa introdurre ulteriori fattispecie di recesso a tutela del socio
dissenziente”. Sulla base di tale norma sembra chiaro che le ipotesi convenzionali di recesso debbono essere
funzionalmente collegate a una decisione della società dalla quale il socio possa dissentire.
Altro punto su cui la critica dibatte, riguarda gli effetti del recesso ad nutum.
Si è affermato che “il recesso rimane pur sempre un’evenienza, nelle società di capitali, da
riguardare con estrema cautela, per le ripercussioni che esso ha in termini di integrità del capitale
e, quindi, di consistenza della garanzia per i terzi, a tutela dell’affidamento dei quali, quindi, le
ipotesi statutarie di recesso dovrebbero essere nelle società a tempo determinato, per un verso,
specifiche, e, per altro verso, connesse a fatti oggettivi”149.
Questo criterio interpretativo si basa sulle conseguenze e quindi sul calcolo dei costi e benefici delle
norme, le quali devono dare un contributo al miglioramento dell’efficienza complessiva del sistema.
Inoltre la presenza di un recesso ad nutum determina un rischio per la società, che può dar luogo a
costi derivanti dalla necessità di effettuare pagamenti ai soci che intendono recedere: tale rischio di
impoverimento della società appare in contrasto con le finalità della legge delega150.
In tale ambito si cerca di porre l’attenzione sui risvolti di carattere latu sensu economico: oltre, come
detto, all’interesse delle parti a che il vincolo contrattuale sia stabile, vengono posti in rilievo la
redditività degli investimenti e la minimizzazione dei rischi; l’interesse dei terzi alla stabilità della
propria controparte contrattuale e/o del proprio debitore, l’interesse del sistema all’afflusso dei
capitali di rischio verso le imprese151.
In ultima battuta, le opinioni dissenzienti all’istituto in esame cercano inevitabilmente di svalutare il
dato testuale dell’art 2473 c.c., interpretandolo in via analogica con altre norme fissate principalmente
per le società di persone.
Si osserva però che questo tentativo di svalutare la portata letterale della norma dia luogo ad un
argomento più debole rispetto ai primi due precedentemente citati.
Al contrario, si registra un orientamento favorevole all’ammissibilità di clausole di recesso ad nutum,
dando maggiore risalto al dato letterale dell’art.2473 c.c, nel quale, si sostiene, non si trovi una sola
sfumatura che impedisca di ritenere percorribile la strada di tali clausole statutarie; a sostegno di ciò,
sarebbe legalmente previsto il recesso ad nutum anche in caso di intrasferibilità delle quote e di società
contratta a tempo indeterminato.

149
Nigro, La società a responsabilità limitata nel nuovo diritto societario: profili generali, in AA.VV., La nuova
disciplina della società a responsabilità limitata, Giuffrè, Milano, 2003, p. 14.

150
Nella legge delega, all’art. 2 lettera a), si stabilisce di “perseguire l’obiettivo prioritario di favorire la nascita, la crescita
e la competitività della imprese, anche attraverso il loro accesso ai mercati interni e internazionali dei capitali”.
151
E. Borina, E. Dai Prà, E. Manuali, G. Martinelli, R. Nalli, Commissione diritto societario, Associazione dottori
commercialisti delle Tre Venezie, coordinatore L. Antonello, Ordine di Padova, L’inserto-Il recesso del socio nella
società a resposnabilità limitata, in Il Commercialista veneto, n. 172, Luglio-Agosto 2006
Da un punto di vista sistematico, la dottrina più autorevole osserva come dall’intero sistema emerga
una minore esigenza dell’integrità del capitale sociale relativamente alle società a responsabilità
limitata ex artt. 2464 e 2465 c.c.152.
Dunque, il nuovo regime dei conferimenti sembra far affievolire il principio secondo il quale, il
capitale sociale corrisponde ad una cifra fissa e non è suscettibile a frequenti modifiche: al punto che
la diminuzione del capitale si potrebbe verificare a seguito del recesso di un socio, venendo
compensata dall’ordinamento con la possibilità per i creditori sociali di opporsi alla riduzione153.

5. Modalità e termini per l'esercizio del recesso

Il recesso è pacificamente riconosciuto come un diritto potestativo: perciò, la dichiarazione di recesso


è un atto unilaterale recettizio che per produrre gli effetti che gli sono propri deve essere ricevuto
dalla società di appartenenza, che non deve formalmente accettare, e una volta notificato, non può
essere revocato dal dichiarante.
Essendo un atto recettizio, il socio recedente ha l’onere di provare l’avvenuta ricezione, attraverso la
modalità più consona ed in grado di raggiungere lo scopo.

Per le S.r.l., non è prevista alcuna formalità obbligatoria, a differenza della disciplina delle S.p.A.,
che utilizza ex lege la raccomandata: dunque, è discusso in dottrina se questa debba essere adottata
per analogia, o debba essere utilizzato l’equivalente notifica a mezzo di ufficiale giudiziario, o ancora
sia ammessa anche altra forma di comunicazione.
Alcuni autori154 propendono verso la libertà delle forme degli atti giuridici, ritenendo ammissibile la
raccomandata, la posta elettronica con firma digitale, il fax, telex, ecc. e che la raccomandata sia la
preferibile, ma non l’unica.

Questa tesi sembra meglio aderire allo spirito riformatore del Legislatore del 2003, che ha
riconosciuto la valenza giuridica di mezzi comunicativi più evoluti quali la videoconferenza per le
assemblee, le modalità di convocazione delle assemblee con ogni mezzo, etc.
Altra parte della dottrina155, ritiene, invece, che la raccomandata sia la formalità sottintesa dal
Legislatore, in forza di un suo richiamo nell’art. 2437 bis c.c. in tema di S.p.A., superando il principio

152
Stella Richter, op., cit.
153
art. 2482, richiamato dal comma 4 dell’art. 2473 c.c.
154
Santuosso, in Il nuovo diritto societario e Loffredo – Maltoni in Studi e materiali del Consiglio nazionale del Notariato
n. 1/2004, p. 229, nota n. 60; Assonime n. 68 del 22.12.2005, p. 15.
155
Stassano-Stassano, Il recesso e l'esclusione del socio nella S.r.l. e nella S.p.a., Giappichelli, Torino, 2005, p. 45.
di libertà delle forme. La ratio di tale tesi risiede nell’estensibilità per analogia delle disposizioni
dettate per le S.p.A. alle S.r.l., nonostante la Relazione ministeriale al D.Lgs. 6/2003 abbia descritto
un impianto normativo della riforma volto ad escludere l’analogia tra le due tipologie societarie.
E’ certamente valida la dichiarazione di recesso resa in assemblea dal socio, la cui verbalizzazione156
si rende necessaria, al fine di evitare il ricorso a prove testimoniali in caso di contestazione. Tuttavia,
stante l’efficacia del recesso subordinata alla ricezione di controparte, si solleva un ulteriore
questione: se l’efficacia della dichiarazione decorra dalla data di spedizione o da quella di ricezione
della stessa. La valenza giuridica della data, rileva nell’individuazione del dies a quo per la soluzione
di alcune questioni pratiche: ad esempio, la tempestività dell’esercizio del recesso rispetto alla
delibera che lo ha provocato e quindi tempestività della revoca di quest’ultima; lo scioglimento del
rapporto societario e conseguente estinzione dei diritti connessi allo status socii;
la scadenza dei 180 giorni di cui al comma 4 dell’art. 2473 c.c., entro cui il socio recedente deve
essere rimborsato; la data a cui riferire la valutazione del patrimonio sociale ai fini della liquidazione
della quota.
Se l’attribuzione del carattere recettizio alla dichiarazione di recesso significa che l’efficacia della
comunicazione sorge in quanto esista una ricezione da parte del destinatario, secondo la
giurisprudenza di merito ne discende che la data di cui tener conto è quella di ricevimento. In tal senso
si è pronunciato il Tribunale di Roma con sentenza del 2005157, una delle prime riferite alla nuova
disciplina societaria, il quale ha posto l’accento sulla ricezione quale momento da cui far decorrere
gli effetti in discorso. In realtà, l’orientamento da prediligere sarebbe quello elaborato dalla Corte di
Cassazione158, dato che essa dichiara che gli atti unilaterali recettizi trovano compiuta disciplina
civilistica all’art. 1324 del c.c., e nella suddetta sentenza, la Cassazione afferma che, pur dovendo la
dichiarazione essere spedita nei termini di decadenza, l’efficacia del recesso é subordinata alla sua
ricezione da parte della società.
Da un punto di vista squisitamente pratico, in alcuni casi la distinzione tra le due date in parola non
determinerebbe una differenza di sostanza: in assenza di un termine statutario, la tempestività
dell’esercizio del diritto del socio, potrebbe non essere accertabile obbiettivamente e, di conseguenza,
renderebbe irrilevante far discendere l’efficacia dalla data della spedizione piuttosto che da quella
della ricezione. Alla luce della disciplina civilistica, si può ritenere ragionevolmente fondata la tesi,
peraltro fatta propria anche dalla giurisprudenza citata, secondo la quale l’efficacia della

156
Assonime n. 68 del 22.12.2005, p. 15

157
Tribunale di Roma 11 maggio 2005 n. 10720.
158
Cassazione 19 marzo 2004 n. 5548 in Foro Italiano 2004, I, p. 2798
comunicazione del recesso si produce dalla data di ricezione di controparte.
La disciplina delle S.r.l. non contiene nessun termine di decadenza per l’esercizio del recesso, a fronte
di chiare disposizioni per le S.p.A.: è controverso se il silenzio del Codice Civile sia da interpretare
come una lacuna, da colmare con un rinvio, oppure sia voluto quale devoluzione alla più ampia
autonomia negoziale, che ha caratterizzato tutta la Riforma del 2003.
Senza dubbio, l’interpretazione analogica offre una soluzione pratica di fronte a statuti che
richiamano in modo generico le disposizioni del c.c.;
tuttavia l’autonomia statutaria si esprime anche attraverso la fissazione di un termine più lungo dei
15 giorni fissato per le S.p.A. e lo statuto di una S.r.l. può prevedere un termine, per esempio di 90 -
120 giorni dall’iscrizione della delibera nel Registro delle Imprese per l’esercizio del recesso.
Anzi, un termine più lungo appare conveniente in una siffatta tipologia contrattuale: basti ricordare
che sugli amministratori non grava alcun obbligo né onere di intervenire in assemblea e fornire dati
o informazioni circa le modalità di valutazione o il valore attribuibile al patrimonio sociale, obbligo
invece che grava sugli stessi in tema di S.p.A..
Tali dati ed informazioni possono risultare determinanti nella decisione di recedere e sicuramente
sono indispensabili per fornire il quadro generale alla base della decisione del recesso e la loro messa
a disposizione.

6. Efficacia del recesso

Quanto agli effetti del recesso del socio nella s.r.l., è importante individuare il nome di reato in cui
diviene un istituto efficace verso la società, sia per quanto riguarda il maturare del diritto al rimborso
della sua quota di partecipazione del socio sia per quanto riguarda i rapporti con il mercato159.
“Nulla dice il legislatore della riforma circa il momento in cui si verifica lo scioglimento del rapporto
sociale limitatamente al socio per effetto della dichiarazione di recesso da parte del medesimo. La
dichiarazione con la quale il socio comunica alla società il proprio recesso ha natura di atto
unilaterale recettizio per opinione comune; il momento in cui, a seguito del recesso, il socio perde il
suo status ovvero l’individuazione del momento in cui il socio, che ha comunicato la propria
intenzione di recedere, deve considerarsi fuoriuscito dalla societa è invece tema d’indagine costante
sul quale non vi era concordia di opinioni già prima della riforma”160 .

159
Tanzi M., 2004, “Recesso del socio” in Societa di capitali commentario a cura di G. Piccolini e A. Stagno, D’
Alcontres, Jovene, Napoli.
160
Guidotti R., 2007, “I diritti di controllo del socio nella srl”, Giuffrè, Milano
La questione non è facilmente risolvibile: infatti, nella norma si possono riscontrare elementi che
fanno propendere per una permanenza, sebbene parziale, dello status socii in capo al socio che ha
receduto.
Sulla scorta di tale ipotizzata ultra attività della qualità di socio anche dopo la comunicazione del
recesso “ci si e chiesti se il diritto di informazione completa al socio deceduto, ricordando che la
giurisprudenza formatasi sul art.2261 cc ne ha affermato il diritto di acquisire gli elementi necessari
per individuare il valore della partecipazione che deve essergli rimborsata, con la conseguenza che
in tal caso il diritto di informazione potrebbe avere ad oggetto esclusivamente le operazioni in corso,
iniziate prima dello scioglimento del vincolo sociale, comunque dubitando in tal caso vi sia presidio
penale.
Il ragionamento, e quindi il riconoscimento del diritto di informazione, ma per le sole operazioni che
influenzano la determinazione del corrispettivo della quota, sarebbe ora adattabile alla srl, poiché
ex art.2473 comma 3 si evince che l’eventuale esperto nominato dal tribunale per dirimere il
contrasto sulla valutazione della quota da liquidare al socio recedente deve poter avere accesso
unicamente alla documentazione sociale necessaria per la valutazione della partecipazione”161.
Altri autori parlano del recesso come se si trattasse di una fattispecie a formazione progressiva, (ad
esempio Callegari), che si conclude con la liquidazione del controvalore della quota al socio receduto:
“sino al riscatto della partecipazione o alla riduzione del capitale co seguente al suo annullamento,
direi che il referente conservi intanto lo status socii. Argomentando dalla struttura capitalistica delle
srl, e dalla considerazione che la posizione di socio è in funzione della partecipazione al capitale e
per essa della titolarità di una frazione rappresentativa dello stesso, solo al trasferimento della
partecipazione o al suo annullamento conseguente alla riduzione del capitale e non anche alla
comunicazione della volontà di sciogliere il vincolo societario, ricondurrei lo scioglimento del
vincolo sociale e per ciò stesso la cessazione della qualità di socio"162.
Sul punto anche la giurisprudenza è lungi dal trovare una soluzione condivisa: il Tribunale di Pavia
ha statuito che “nel tempo intercorrente tra il valido esercizio del diritto di recesso e la liquidazione
della quota, il socio di srl recedente resta titolare dei diritti sociali non incompatibili con la
dichiarazione di recesso e per l esercizio dei quali vanti un concreto interesse ad agire, anche relativo
al pericolo che dal depauperamento del patrimonio sociale derivi un rischio attuale per l effettivo
rimborso della quota oggetto di recesso”163 e che “il socio di srl che ha validamente manifestato ,la

161
Montagnani C., 2008, “Informazioni e controlli nelle nuove societa a resposnabilita limitata”,pc, padova
162
Masturzi S., 2003, “Il recesso del socio” in La riforma della societa , a cura di M. Sandulli e V. Santoro, Giappichelli,
Torino
163
Trib. Pavia ordinanza 5.8 .2008
volontà di recedere della compagine sociale non è più attivamente legittimato all’ esercizio dei diritti
sociali inerenti alla quota oggetto di recesso, ancorché nel caso in cui sussista l interesse ad agire”.
Da tali perplesse conclusioni di dottrina e giurisprudenza scaturisce un altro orientamento dottrinale
per il quale “dall’esercizio del diritto di recesso deriva non l’immediata cessazione della condizione
di socio, bensì un diritto del recedente ad ottenere l’estromissione dalla societa, nonché un effetto
sospensivo medio tempore del rapporto sociale: in altri termini, tale rapporto entrerebbe , all atto
della comunicazione, in una fase di quiescenza che puó successivamente risolversi in un venir meno
retroattivo della qualità di socio, oppure nella sua riviviscenza"164.
In definitiva, pare lecito affermare che la soluzione della questione circa il momento della efficacia
della dichiarazione di recesso possa essere risolta, così come è opinato per le spa, facendo ricorso ai
principi generali e alle conseguenze che scaturiscono dalla natura giuridica attribuita tradizionalmente
al recesso.
La dichiarazione di recesso, avendo natura di negozio giuridico unilaterale recettizio , produce i suoi
effetti una volta che la stessa sia portata a conoscenza della società, destinataria di elezione di tale
comunicazione165, non può essere sottoposta a condizioni e da quel momento il socio perde i suoi
diritti e le sue prerogative di socio e diviene creditore della società, ancor per un limitato periodo di
tempo tale sua situazione possa subire un mutamento se, stante l’art 2473 ultimo comma, c.c. la
società revoca la delibera che lo ha legittimato ovvero se è deliberato lo scioglimento della società:
“l’atto di recesso rappresenta l esercizio di un atto unilaterale recettizio e, come tale, non è
assoggetabile a condizione, sia perché l’oggetto economico dell’atto di recesso non è soggetto a
trattativa , sia perché la valutazione della quota va valutata con un criterio predeterminato,
rapportato al valore del patrimonio e alle prospettive reddituali della impresa gestita dalla
societa”166.

164
S. Parmiggiani, 2009, “La dichiarazione di recesso del socio di srl”, in GCO II, 529.
165
Agresti G., Marcello R., 2006, “Il recesso del socio nelle srl: modalita, termini, efficacia e liquidazione della quota”,
in Soc., 569
166
Trib. Milano, 5.3.2007, in GI,2007, 2774, con nota di Callegari. Contra Magliulo, 2007, 289 s., per il quale la
circostanza che il rimborso avvenga nel caso di specie mediante il ricorso ad una cessione di quota avvalora la tesi, già
prevalente, sotto la precedente disciplina, secondo cui il recesso non ha efficacia immediata, ma differita al momento
dell’effettiva corresponsione del rimborso. Se così non fosse, infatti, il socio non potrebbe cedere efficacemente una quota
di cui in ipotesi non sarebbe più titolare fin dal momento della dichiarazione di recesso.
7. Recesso parziale

Con riferimento al recesso parziale, si deve preliminarmente far riferimento alla disciplina delle
società per azioni. In base a quanto espressamente previsto dall’art. 2437 c.c., il recesso può essere
parziale, ossia relativo ad una sola parte del pacchetto azionario; questa possibilità è prevista affinché
il socio possa decidere, in considerazione delle mutate condizioni di rischio, di ridurre il proprio
investimento nella società e quindi ridurre il proprio rischio167.

Nella disciplina delle società a responsabilità limitata, al contrario, l’art. 2473 c.c. tace sul punto e la
dottrina si è domandata se anche per questo tipo societario, ove l’atto costitutivo o lo statuto nulla
prevedano, sia ammissibile il recesso parziale. La questione è controversa e la dottrina si è divisa in
due filoni, l’uno contrario al recesso parziale, l’altro favorevole.
La dottrina sfavorevole alla possibilità del recesso parziale, pone a fondamento della sua tesi le
seguenti considerazioni: in primo luogo, il tenore letterale dell’art. 2473 c.c., che oltre a non prevedere
espressamente tale possibilità, come avviene per le società per azioni al comma 1, farebbe propendere
per l’impossibilità al recesso parziale. Altra motivazione, fa riferimento alla centralità della persona
del socio nella società a responsabilità limitata, incompatibile con il recesso parziale168. Ancora,
l’impossibilità del recesso parziale sarebbe giustificato dalla natura unitaria della partecipazione e,
addirittura dall’indivisibilità della stessa169. Di contro, la dottrina favorevole all’istituto ammette il
recesso parziale, innanzitutto perché il legislatore, ove ha voluto impedire il recesso parziale lo ha
fatto espressamente: un divieto espresso, infatti, è previsto nell’art. 2497 quater c.c., il quale
disciplina il recesso nelle ipotesi di società soggette ad attività di direzione e coordinamento e che
nell’ipotesi di cui alla lett. b) dispone espressamente che “il diritto di recesso può essere esercitato
soltanto per l’intera partecipazione del socio”. Ancora, in tema di recesso nelle società cooperative,
l’art. 2532 c.c., dispone espressamente che il recesso non può essere parziale; da ciò deriverebbe che
la possibilità di esercitare il diritto di recesso parziale dovrebbe essere elevata a regola generale,
pertanto applicabile anche alle società a responsabilità limitata .
Infine, in contrapposizione alla tesi che fonda l’impossibilità del recesso parziale sulla unitarietà e,
sull’assunta, indivisibilità della partecipazione, viene ribattuto che “l’unitarietà giuridica della quota

167
Relazione di accompagnamento al D.Lgs. n. 6/2003.
168
A differenza di quanto avviene nelle società per azioni così come anche sostenuto dalla Relazione di accompagnamento
al D.Lgs. n. 6/2003, ove viene affermato: “posto che la nuova disciplina delle S.p.A. tende a porre al suo centro l’azione,
piuttosto che la persona del socio, si è ritenuto di consentire il recesso per una parte della partecipazione, ritenendo
coerente che, mutato il quadro dell’operazione, il socio voglia rischiare di meno, ma continuare ad essere socio”.
169
Maltoni, “Il recesso e l’esclusione nella nuova società a responsabilità limitata”, in Notariato, 2003, p. 310
non incide sulla modificabilità del suo contenuto economico”170 e che l’unitarietà non implica
l’indivisibilità della partecipazione (a meno che questa non sia espressamente prevista da una clausola
statutaria), con la conseguenza che il socio potrà disporre anche solo in parte della partecipazione
posseduta e, quindi, potrà recedere anche solo per una parte della partecipazione.
Altra questione riguarda la possibilità di prevedere espressamente la possibilità di recesso parziale
tramite una clausola statutaria. Considerato che il comma 1 dell’art. 2473 c.c. prevede espressamente
che le modalità del recesso siano previste dall’atto costitutivo, la dottrina concorda sulla possibilità
di una tale previsione171.

8. Sentenza n. 28987/2018

In merito ad uno delle problematiche già rilevate nel presente elaborato si ritiene opportuno
menzionare ed approfondire una recente pronuncia della Corte di Cassazione con la quale è stato
affrontato il tema della possibilità per il socio, di una società a responsabilità limitata trasformatasi in
s.p.a., di poter recedere dalla stessa e con quali modalità.

Nel caso di specie, due dei soci di una società a responsabilità limitata avevano esercitato il proprio
diritto di recesso successivamente alla trasformazione della suddetta s.r.l. in s.p.a. In particolare, la
delibera assembleare di trasformazione, approvata a maggioranza in data 24/2/2004, era stata iscritta
nel Registro Imprese in data 2/4/2004 e il recesso era stato comunicato da due dei soci con lettere
raccomandate spedite rispettivamente in data 29/4/2004 e 30/4/2004 e ricevute in data 5/5/2004 e
13/5/2004.

Risultata soccombente nel giudizio di primo grado, la società proponeva appello ritenendo che nella
fattispecie in esame il regime giuridico del recesso del socio avrebbe dovuto essere quello dettato per
il recesso dei soci nelle società per azioni ex art. 2437 bis c.c. per due ordini di ragioni: i) in primo
luogo, in quanto la nuova struttura organizzativa della società risultante dalla trasformazione avrebbe
dovuto essere quella della società per azioni e ii) in secondo luogo, in quanto non sussisteva alcuna
previsione statutaria che disciplinasse le modalità di recesso dei soci di società a responsabilità

170
Moranti, op.cit., p. 5.
171
E. Borina, E. Dai Prà, E. Manuali, G. Martinelli, R. Nalli, Commissione diritto societario, Associazione dottori
commercialisti delle Tre Venezie, coordinatore L. Antonello, Ordine di Padova, L’inserto-Il recesso del socio nella
società a resposnabilità limitata, in Il Commercialista veneto, n. 172, Luglio-Agosto 2006
limitata con conseguente necessità di applicare in via analogica della disciplina normativa dettata per
le S.p.A.

Inoltre, la Società riteneva di potersi avvalere del termine di decadenza contenuto nell’art. 2437 bis
c.c., dal momento che lo statuto sociale era stato approvato anteriormente alla riforma del 2003, in
particolare nel 1987172.

La Corte di Appello, ritenendo infondate le contestazioni mosse dalla società appellante, poneva a
fondamento della propria decisione l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il
quale, ove lo statuto della s.r.l. non prevedesse la durata della società se non per un termine
particolarmente lungo, doveva applicarsi il regime giuridico dell’esercizio del diritto di recesso
previsto per le s.r.l. a durata indeterminata173, sussistendo la medesima esigenza di tutelare
l’affidamento verso la possibilità di disinvestimento della quota174.

In particolare, la Corte d’Appello rilevava che l’interesse specifico tutelato dall’art. 2473 c.c. era
quello di tutelare il diritto del socio di sottrarsi dall’investimento societario quando la maggioranza
avesse modificato le regole societarie impattanti altresì sul rischio e sulle modalità di partecipazione
alla società stessa.

In altre parole, secondo la Corte nel caso di società di capitali contratte a tempo indeterminato (o con
un termine di durata particolarmente lungo) il diritto di recesso non poteva essere soggetto a limiti
temporali in ragione della tutela del diritto al disinvestimento piuttosto che in ragione della tutela del
capitale. Al contrario, secondo la Corte, in tutti gli altri casi ove l’atto costitutivo e lo statuto non
disponevano esplicitamente in materia di termini e modalità di recesso, la soluzione all’incertezza
non si deve individuare in un mero rinvio alla disciplina delle società per azioni (non più riproposto
dal legislatore, nell’ottica di privilegiare gli aspetti personalistici della s.r.l.) bensì nelle regole proprie
dell’autonomia negoziale e dei principi di lealtà e correttezza.

A fronte di tali valutazioni, la Corte d’Appello riteneva valido il recesso esercitato dai soci.

172
Vale a dire, in un periodo in un cui era pacifica l’integrazione della disciplina della società a responsabilità limitata
tramite l’applicazione di quella della società per azioni, la quale prevedeva per il recesso dei soci un termine di decadenza
di 15 giorni.
173
art. 2473 c.c., comma 2
174
Cass. 9662 del 2013
La Società, insoddisfatta dell’esito del giudizio di appello, proponeva ricorso per Cassazione fondato
su due principali motivi.

Con il primo motivo di ricorso la Società censurava la violazione degli artt. 2437, 2437 bis e 2473
c.c., e dell’art. 12 preleggi, non avrebbe tenuto conto del fatto che la nuova struttura organizzativa
risultante dalla trasformazione, deliberata in data 24/2/2004, ed iscritta nel registro delle imprese in
data 2/4/2004, avrebbe in realtà imposto l’applicazione de plano della disciplina legislativa prevista
per la s.p.a. e, in particolare, l’art. 2437 bis c.c. con la conseguenza che le raccomandate spedite in
data 29 e il 30 aprile 2004, sarebbe stato esercitato in modo tardivo il suddetto diritto.

Inoltre, la Società affermava che, anche a voler ritenere applicabile il regime legale previsto per le
s.r.l., la mancanza di una previsione statutaria esplicita in merito alle modalità di esercizio del diritto
di recesso avrebbe dovuto portare ad ogni modo all’applicazione analogica dell’art. 2437 bis c.c., per
un duplice ordine di ragioni: in primo luogo, ai sensi dell’art. 12 preleggi, stante l’identità di ratio tra
l’ipotesi normata e quella da regolare e in secondo luogo, stante la grave incertezza in cui si troverebbe
la società esposta sine die al recesso del socio, incertezza che contrasterebbe con i principi tipologici
delle società di capitali e anche con quelli in tema di obbligazioni e contratti.

La appellante infine osservava che la disciplina in materia di recesso del socio della s.r.l., sebbene
godesse di un autonomo apparato normativo rispetto alla s.p.a., sarebbe improntata sempre alla
duplice esigenza di favorire il disinvestimento del socio dissenziente nelle ipotesi in cui, le condizioni
di rischio della società vengono a modificarsi in modo significativo per effetto delle decisioni della
maggioranza e di salvaguardare il patrimonio destinato all’impresa e alla garanzia dei creditori
sociali, nonché la stabilità della gestione societaria. Alla luce di tali considerazioni, mancando
nell’art. 2473 c.c. l’indicazione di un termine finale, la fissazione di tale termine non può dipendere
arbitrariamente dal socio recedente, né dalla valutazione o determinazione del giudice e non può,
altresì, essere sine die; ipotesi quest’ultima prevista esclusivamente per le società a responsabilità
limitata a durata indeterminata.

Con il secondo motivo di ricorso, censurava la violazione dell’art. 1362 c.c., in relazione all’art. 2473
c.c., in quanto l’indagine sulla comune intenzione delle parti in merito alla clausola dell’atto
costitutivo in materia di recesso, doveva essere orientata al momento in cui la società è stata costituita.
Quindi, anche in applicazione della norma di rinvio contenuta nell’art. 21 dello statuto, i soci
avrebbero dovuto esercitare il recesso nel termine di 15 giorni, decorrente dalla data di iscrizione
dell’atto di trasformazione nel Registro Imprese.
La Corte di Cassazione riteneva infondati entrambi i motivi di ricorso sollevati dalla società
ricorrente.

Preliminarmente, ricordava che le società a responsabilità limitata, a seguito della riforma del 2003,
ha perso il suo carattere ancillare verso le società per azioni ed è stata accentuata la sua
personalizzazione attraverso l’attribuzione di un’ampia autonomia statutaria. In altre parole, dopo la
riforma, la società a responsabilità limitata non si presenterebbe più come “piccola società per
azioni”, caratterizzandosi, al contrario, “come una società personale la quale, pur godendo del
beneficio della responsabilità limitata (…), può essere sottratta alle rigidità di disciplina richieste
per le società per azioni”175, proprio attraverso l’autonomia di cui godono i suoi soci.

Tra le modifiche rilevanti si collocherebbe secondo la Corte di Cassazione anche quella relativa al
diritto di recesso.

9. Confronto del recesso tra spa e srl

In conclusione, è opportuno ricordare brevemente le differenze principali tra s.r.l e s.p.a., con
riferimento particolare al diritto di recesso.
La società a responsabilità limitata è sempre stata vista come la sorella minore della spa176 ed è per
questo motivo che il legislatore ha previsto una disciplina puntuale per quest’ultima.
Al contrario, per quel che riguarda le S.r.l., stante le lacune normative, si rinviava alla disciplina della
società per azioni stessa come supra.

Grazie alla riforma del diritto societario è emersa una innovata s.r.l., maggiormente elastica, che cessa
di presentarsi come una piccola società per azioni, caratterizzandosi invece “come una società
personale la quale perciò, pur godendo del beneficio della responsabilità limitata [...] può essere
sottratta alle rigidità di disciplina richieste per le società per azioni”177.
Trovandosi la s.r.l. a mezza via tra le società di persone e le società di capitali, appare lecito il ricorso
all’analogia per colmare le lacune applicative, anche se appare inevitabile negare qualsiasi opzione
per l’applicazione analogica delle disposizioni in materia di società di capitali o di persone178. Sarà

175
così la relazione illustrativa al D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6
176
Così viene definita da Buonocore V., La società a responsabilità limitata, in La riforma del dir. soc. Commento ai
d.lgs. n. 5 - 6 del 17 gennaio 2003, Milano, 2003, p. 136
177
In tal senso la relazione illustrativa al d.lgs. n. 6 del 17 gennaio 2003
178
Sul tema, si veda Busani A., S.r.l. Il nuovo ordinamento dopo il D.lgs. 6/2003, Milano, 2003, p. 34 ss.
necessario, invece, individuare caso per caso, la componente prevalente (personalistica o
capitalistica), applicando analogicamente la relativa disciplina179.
Da un’attenta analisi delle norme giuridiche che disciplinano il recesso per la s.p.a. e per la s.r.l. si
riscontra una profonda differenza relativamente alle cause legittimanti il diritto di recesso; vale a dire,
per la s.r.l. sono assolutamente inderogabili, mentre per la s.p.a. alcuni casi di recesso, seppur previsti
dalla legge, possono essere derogati mediante apposita previsione statutaria180.
Le cause di recesso legale inderogabili previste per la società per azioni sono quelle relative alla
modifica dell’oggetto sociale, quando consente un cambiamento significativo dell’attività della
società; alla trasformazione della società; al trasferimento della sede sociale all’estero; alla revoca
dello stato di liquidazione; all’eliminazione di una causa di recesso relativa una delibera assembleare
riguardante la proroga del termine della società, o l’introduzione o la rimozione di vincoli alla
circolazione dei titoli azionari; alla modifica dei criteri di determinazione del valore dell’azione in
caso di recesso; alle modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto o di partecipazione.
Sempre con riferimento alla società per azioni, la legge prevede anche delle cause di recesso
derogabili mediante clausola statutaria ex art. 2437 c.c., quali la proroga del termine per la società; le
clausole che introducono o rimuovono dei vincoli alla circolazione dei titoli azionari; altre cause di
recesso previste dall’autonomia statutaria. Le ipotesi di recesso legale per la società a responsabilità
limitata sono invece indicate all’art. 2473 c.c. supra descritte.
In ultimo, quanto alle caratteristiche generali dei due tipi societari si ricordi che, seppur appartenenti
al medesimo macro-gruppo delle società di capitali, sono caratterizzate da profili distinti.
In particolare, il capitale minimo di costituzione per una spa è di 50 mila euro181 e che almeno il 25%
sia versato nelle mani degli amministratori; per la srl è pari a 10 mila euro182 e nel caso di importo
pari o superiore è previsto che l’intero ammontare del capitale in natura e almeno il 25% del capotale
in denaro venga versato con la sottoscrizione dell’atto costitutivo. I soci di una spa sono azionisti,

179
Santosuosso D.U., La riforma del diritto societario. Autonomia privata e norme imperative dei DD. Lgs. 17 gennaio
2003, n. 5 e n. 6, Milano, 2003, p. 190. Sull’argomento, si veda Fusi A. - Mazzone D., La nuova disciplina della società
a responsabilità limitata. Inquadramento sistematico e novità statutarie, Milano, 2003, p. 4, in cui si afferma che “sarà
... delicato compito dell’interprete individuare di volta in volta, nel silenzio della legge e dell’atto costitutivo, le norme
applicabili in via analogica”.
180
ex art. 2437 c.c., ultimo comma
181
prima del 2014 era pari a 120 mila euro

182
In alternativa, la forma semplificata (la srls) offre l’opportunità di costituire la società con 500 euro o, addirittura,
con 1 euro.
stante il capitale sociale suddiviso in azioni il cui valore nominale è fissato nell’atto costitutivo; le srl
hanno, invece, un capitale sociale costituito da quote di partecipazione che non possono essere
rappresentate da azioni e non possono costituire oggetto di investimento. La spa è la tipologia
maggiormente utilizzata ed è caratterizzata dalla responsabilità limitata di tutti i soci; gode di piena
responsabilità giuridica e perfetta autonomia patrimoniale183. Nelle srl, anch’essa caratterizzata dalla
responsabilità limitata dei soci, invece, la partecipazione dei soci, i quali rivestono un ruolo centrale,
alla vita della società è maggiore rispetto a quella nelle spa; sono caratterizzate da una maggiore
flessibilità, ecco perché si adattano meglio alla costituzione di imprese di medio-piccole dimensioni.

Preliminarmente al capitolo che segue, si ricordi che, descritto il diritto di recesso del socio e delineate
le sue peculiarità nelle srl, una volta esercitato, i soci “hanno diritto di ottenere il rimborso della
propria partecipazione in proporzione del patrimonio sociale” ex. art 2473 comma 3 c.c.”.

183
Campobasso G. F., Diritto commerciale II- diritto delle società, Utet, nona edizione, Milano
CAPITOLO 3: RIMBORSO DELLA PARTECIPAZIONE

1. La determinazione del valore della quota del socio recedente

L’art. 2473, comma 3, c.c. dispone che “I soci che recedono dalla società hanno diritto di ottenere il
rimborso della propria partecipazione in proporzione al patrimonio sociale. Esso a tal fine è
determinato tenendo conto del suo valore di mercato al momento della dichiarazione di recesso”.
Tale formula ha dato luogo a diverse interpretazioni sul significato della locuzione “valore di
mercato”, in considerazione del fatto che le quote di partecipazione nelle S.r.l. non hanno un mercato
e sarebbero prive di un tale valore; suddetta lacuna nelle s.r.l., porta ad escludere che vi sia la
possibilità di fare riferimento ad eventuali transazioni che abbiano riguardato partecipazioni di società
con caratteristiche analoghe alla società che subisce il recesso del socio.
Dunque il terzo comma dell’art.2473 c.c., non riferisce il valore di mercato alle singole quote, bensì
al patrimonio sociale: l’espressione “valore di mercato” è da ricercare nel valore di mercato del
patrimonio sociale nel suo complesso.
La valorizzazione della quota avverrà in proporzione della partecipazione che il socio recedente
possiede nella società e quindi nel patrimonio sociale184.
Conseguentemente, nella valorizzazione delle quote non si potrà tener conto di premi di maggioranza
o sconti di minoranza, in virtù della diretta proporzionalità tra valore del patrimonio sociale e valore
della partecipazione;
ancora, eventuali diritti particolari del socio non potranno influire sul valore della partecipazione che
lo stesso ha nella società, tant’è che questi diritti non sono legati alla partecipazione ma sono propri
del socio (personali) e non possono quindi influenzare quella proporzionalità che vi deve essere tra
valore di mercato del patrimonio sociale e conseguente valore della partecipazione.
Una volta compreso che il valore cui fare riferimento è quello del patrimonio sociale, bisogna chiarire
cosa si intenda per “valore di mercato”.
Tale locuzione legislativa ha inteso assicurare al socio il rimborso della propria partecipazione in base
all’effettivo valore della stessa, distaccandosi dal previgente criterio di valorizzazione sulla base dei
valori contabili; quindi l’espressione “valore di mercato” non può che avere il significato di valore
economico effettivo del patrimonio sociale185.

184
Caratozzolo in Le Società, n. 11/2005 p. 1346; Lanzio in Le Società n. 2/2004 p. 154; Calandra Buonaura in
Giurisprudenza Commerciale n. 32.3.2005; Stassano– Stassano in Il recesso e l’esclusione del socio nelle S.r.l. e S.p.A.
la nuova disciplina civilistica, Giappichelli, Torino, 2005, p. 55 e ss..
185
B. Acquas, C. Lecis, Il recesso del socio nella s.p.a. e nella s.r.l., Giuffre editore, 2010
Tale interpretazione trova conferma nella lettura della Relazione al decreto delegato n. 6/2003, par.
11, il quale afferma che la disciplina dettata dal comma 3 dell’art. 2473 c.c. “tende ad assicurare che
la misura della liquidazione della partecipazione avvenga nel modo più aderente possibile al suo
valore di mercato; ed introduce un procedimento volto a superare le soluzioni penalizzanti tutt’ora
adottate nel diritto vigente”, ove le soluzioni penalizzanti sono quelle della liquidazione in base al
valore contabile della quota ai sensi del previgente art. 2437 171 c.c..
Precisato che è il valore effettivo da ricercare, occorre stabilire quale tra le molteplici nozioni di
valore definite dalla dottrina aziendale sia il più corretto nell’ambito della valutazione ai fini del
recesso del socio.
In linea generale le nozioni di valore possono essere classificate prendendo in considerazione due
differenti elementi caratteristici:
- in primis, i fattori di integrazione che dovessero sussistere fra società oggetto di valutazione
e altri soggetti ad essa collegati, che possono incidere positivamente, o anche negativamente,
sulla valutazione. Occorre chiedersi se, ai fini della determinazione del valore, debbano
esclusivamente considerarsi le caratteristiche intrinseche della società il cui patrimonio è
oggetto di valutazione o anche la possibile influenza sul risultato della stima delle interazioni
e integrazioni della società con altri soggetti che siano in grado di generare sinergie e quindi
apportare utilità che altrimenti non si produrrebbero186.
Relativamente a tali fattori di integrazione, qualora gli stessi fossero presenti, si ritiene
opportuno tenerne conto ai fini della valutazione del patrimonio sociale, in quanto anche
questi elementi rientrano in quello che è il valore effettivo (fair value o valore equo) del
patrimonio sociale e in quanto chi acquisirà la partecipazione del socio recedente, ne
beneficerà in maniera effettiva.
- in secundis, la maggiore o minore dimostrabilità degli elementi presi a base della valutazione,
quali l’attendibilità, la qualità, la dimostrabilità e verificabilità dei flussi economici o
finanziari presi in considerazione. Occorre verificare se la stima debba portare a valori
economici (o di capitale economico) del patrimonio sociale, fondati su elementi che hanno il
carattere della razionalità187 , della neutralità188, che sono dotati di un elevato grado di

186
E. Borina, E. Dai Prà, E. Manuali, G. Martinelli, R. Nalli, Commissione diritto societario, Associazione dottori
commercialisti delle Tre Venezie, coordinatore L. Antonello, Ordine di Padova, L’inserto-Il recesso del socio nella
società a resposnabilità limitata, in Il Commercialista veneto, n. 172, Luglio-Agosto 2006
187
perché derivano da processi valutativi basati su formule e modelli dotati di logica economica e scientificamente fondati
188
“Perché prescindono da eventuali interessi delle parti correlate”, E. Borina, E. Dai Prà, E. Manuali, G. Martinelli, R.
Nalli, Commissione diritto societario, Associazione dottori commercialisti delle Tre Venezie, coordinatore L. Antonello,
dimostrabilità e verificabilità in quanto fanno riferimento a capacità reddituali già conseguite
o raggiungibili in maniera evidente in un arco temporale breve, e che hanno il carattere della
stabilità, nel senso che i valori non sono oscillanti o incerti nel breve periodo189 .
Al contrario, se sia possibile giungere a valori c.d. potenziali del patrimonio, che fanno
riferimento a flussi a medio-lungo termine, spesso più elevati del livello di redditività
conseguito o conseguibile a breve, che fanno riferimento a condizioni gestionali legate a
previsioni incerte, a lungo termine, o a scelte che dipendono da strategie ancora da sviluppare
e di esito incerto.
Relativamente alla possibilità di determinare valori economici o potenziali190, pare indubbio
che i valori da prendere in considerazione non potranno essere che quelli economici (del
capitale economico del patrimonio sociale) fondati sulla rigorosa dimostrabilità degli assunti
presi a base della valutazione. Diversamente, se si determinassero valori potenziali,
sussisterebbe il concreto rischio di non trovare acquirenti per la partecipazione del socio
recedente e così la società dovrebbe intervenire direttamente nell’effettuazione del rimborso,
erodendo il proprio patrimonio o dovendo addirittura arrivare allo scioglimento, con i danni
che ne potrebbero conseguire per gli altri soci e i creditori sociali.

Dunque, la valorizzazione della partecipazione del socio avviene sulla base del valore effettivo del
capitale economico della società; si discute sulle modalità con cui pervenire alla quantificazione di
questo valore e ci si può chiedere se, ex art. 2473 c.c., debba preferirsi un modello di valutazione
rispetto ad un altro.
La previsione di cui al secondo periodo del comma 3 dell’art. 2473 c.c. dispone, in maniera
estremamente generica, che il patrimonio sociale debba essere “...determinato tenendo conto del suo

Ordine di Padova, L’inserto-Il recesso del socio nella società a resposnabilità limitata, in Il Commercialista veneto, n.
172, Luglio-Agosto 2006
189
Salvidio in “La valutazione in caso di recesso del socio”, nella rivista La valutazione delle aziende n. 36 – Marzo 2005;
Caratozzolo in Le Società, n. 10 e 11/2005
190
Considerato che la disciplina del recesso deve tendere, per espressa previsione della stessa legge delega a tutelare, oltre
che il diritto del socio ad un equo rimborso, anche il diritto della società a veder salvaguardata l’integrità del proprio
capitale e il diritto dei creditori a veder salvaguardati i propri interessi.
La L. 3.10.2001, n. 366, art.3), nella lettera f) dispone: "ampliare l’autonomia statutaria con riferimento alla disciplina ....
del recesso, salvaguardando in ogni caso il principio di tutela dell’integrità del capitale sociale e gli interessi dei creditori
sociali".
valore di mercato al momento della dichiarazione di recesso ...”; questa generica previsione non
appare prescrittiva di alcun particolare modello valutativo.
In conclusione, per determinare il valore del patrimonio sociale, si potrà utilizzare il modello
valutativo che risulterà più idoneo in base alle caratteristiche della società, alla composizione del
patrimonio e in relazione al settore in cui la stessa opera.

1.1. Possibilità di determinazione convenzionale dei criteri

Si discute se l’atto costitutivo possa o meno stabilire particolari criteri di valutazione, e se tali criteri
possano eventualmente prescindere dal criterio di valorizzazione del patrimonio sociale sulla base del
“suo valore di mercato”. Infatti, in tema di s.p.a., l’art. 2437 ter comma 4 c.c. dispone che “lo statuto
sociale possa stabilire criteri diversi di determinazione del valore di liquidazione, indicando gli
elementi dell’attivo e del passivo del bilancio che possono essere rettificati rispetto ai valori risultanti
dal bilancio, unitamente ai criteri di rettifica, nonché altri elementi suscettibili di valutazione
patrimoniale da tenere in considerazione”.
Quanto alle s.r.l., l’art. 2473 c.c. nulla dispone in modo altrettanto chiaro; nondimeno, il generale
ordito normativo rinveniente nella Riforma del diritto societario consentirebbe di ipotizzare
l’esistenza, in linea di principio, di tale facoltà riservata all’autonomia statutaria.
Ed infatti deve “ritenersi che in considerazione del più ampio spazio riservato all’autonomia
statutaria nelle s.r.l. rispetto alle s.p.a., è possibile che l’atto costitutivo preveda dei criteri di
determinazione del valore della quota diversi rispetto a quelli legali adoperati per la redazione del
bilancio, purché rispondenti all’obiettivo di garantire un valore di liquidazione della quota il più
aderente possibile al valore effettivo della stessa”191.
Riguardo all’esatta valutazione della quota da rimborsare, la giurisprudenza di merito precisa che “è
illegittima per difformità dal modello legale previsto dall’art.2473 c.c., la clausola statutaria che
nell’ipotesi di esclusione del socio prevede il rimborso della quota in base al valore contabile del
patrimonio sociale secondo l’ultimo bilancio approvato, con esclusione di plusvalenze consolidate
della società“ 192.
La dottrina concorda sul fatto che l’atto costitutivo possa contenere una clausola finalizzata ad
individuare il metodo di calcolo del valore aziendale e ciò anche al fine di tener conto della particolare
composizione del patrimonio della società e delle caratteristiche proprie dell’azienda e del settore in
cui essa opera, oltre che per rendere maggiormente circoscritta l’alea di variazione di valori

191
Patriarca S., Sub art. 2473, in Codice Commentato delle S.r.l., diretto da P. Benazzo, S. Patriarca, Utet, Torino, 2006
192
Tribunale di Lucca, 11.01.2005, in VN, 2007, 756
ammissibili che potrebbero derivare dall’applicazione dei diversi criteri di stima e delle diverse
modalità di calcolo all’interno di un medesimo criterio.
Nonostante sia indiscutibile la previsione di una clausola statutaria che individui un metodo di calcolo
del valore aziendale, occorre però considerare la necessità di valutare il patrimonio sociale in base al
suo valore effettivo; come supra, il legislatore si è voluto allontanare dal principio di determinazione
del valore sulla base dei valori contabili193 , stante la necessità di individuare un valore di liquidazione
corrispondente al valore economico effettivo del patrimonio sociale194.
A tal proposito, secondo un orientamento195 sarebbe illegittima una clausola statutaria che preveda il
rimborso della partecipazione al socio recedente per un importo diverso dal valore di mercato
esistente alla data di esercizio del recesso, con ciò intendendosi che:
- l’autonomia statutaria esercitabile dai soci può ben individuare specifiche modalità attraverso le
quali giungere alla determinazione di un possibile valore di mercato;
- sono invece da considerarsi illegittime le clausole che determinano tout court il rimborso della
partecipazione in misura pari al mero valore della quota parte del patrimonio netto contabile della
società.
Quindi una eventuale clausola che specifici un metodo valutativo, dovrà comunque prevedere un
metodo che porti ad un valore del capitale economico così come individuato in precedenza.
Una dottrina ritiene che l’inderogabilità, rispetto al principio della valorizzazione del patrimonio
sociale in base ad un valore effettivo, debba valere solo per le cause legali di recesso, ben potendosi
derogare in quelle eventualmente stabilite dall’atto costitutivo196.
In tal caso però occorre chiedersi quanto ampia sia la possibilità di specificare e più in particolare ci
si deve chiedere se la specificazione debba essere solo nel senso di riconoscere al socio recedente un
valore minore di quello di mercato o se, anche, possa essere riconosciuto un valore maggiore rispetto
al valore di mercato.
Le stesse ragioni che in precedenza hanno portato a ritenere che non sia possibile effettuare
valutazioni che portino a valori potenziali, superiori al valore del capitale economico, devono indurre

193
cfr. Relazione al decreto delegato n. 6/2003
194
criterio, quest’ultimo, che non pare possa essere derogato statutariamente. Sulla non derogabilità rispetto al valore
effettivo cfr. Stassano – Stassano, op. cit., p. 57, i quali sostengono che “...la liquidazione del socio che recede, sulla base
del valore di mercato, non è configurabile come un diritto disponibile dai soci in sede di autonomia statutaria..., ma come
un criterio inderogabile ...”; nel senso della necessità di determinare un valore effettivo anche Caratozzolo, ult. op. cit..
195
orientamento espresso dal Comitato interregionale dei consigli notarili delle Tre Venezie
196
Calandra Buonaura op. cit.; Maltoni, Il nuovo statuto delle S.r.l., Experta edizioni, Trento, 2003, p. 87 e ss.; Busani,
La riforma delle società – S.r.l., Egea, Milano, 2003, p. 383 e ss.; Maltoni, op. cit., p. 87 e ss..
a ritenere che non sia possibile prevedere metodi valutativi che determinino un valore maggiore a
quello di mercato (inteso quale valore economico del patrimonio sociale). Diversamente si lederebbe
il diritto della società all’integrità del proprio capitale e si lederebbero gli interessi dei creditori
sociali; diritti la cui disponibilità non può essere affidata all’autonomia statutaria.

1.2. La determinazione del valore della partecipazione del socio receduto in caso di
contestazione della stima degli amministratori

L’art. 2473 comma 3, seconda parte, c.c., stabilisce che “in caso di disaccordo la determinazione è
compiuta tramite relazione giurata di un esperto nominato dal tribunale, che provvede anche sulle
spese, su istanza della parte più diligente; si applica in tal caso il primo comma dell’art 1349”.
Nel caso in cui non si arrivi ad un accordo sul valore del patrimonio sociale la determinazione dello
stesso è compiuta tramite relazione giurata di un esperto nominato dal tribunale.
Il presupposto della norma è rappresentato, pertanto, dal mancato accordo sul valore di rimborso
stimato dagli amministratori: chi siano i soggetti di tale accordo pare agevole affermare che si tratti
del socio receduto e della società. Ciò significherebbe che, una volta esaurito il compito loro affidato
dalla legge, gli amministratori (o l’eventuale diverso soggetto incaricato alla stregua delle eventuali
previsioni statutarie) debbano mettere a disposizione dei soggetti interessati, vale a dire il socio
receduto e la società, il risultato cui sono pervenuti ed il valore di rimborso della partecipazione del
socio receduto.
Se si forma accordo sul valore di rimborso, si darà luogo al procedimento di liquidazione; viceversa,
se non si raggiunge un accordo sul valore della quota, il procedimento di determinazione di suddetto
valore non potrà dirsi concluso ma dovrà procedersi nella direzione indicata dall’art. 2473, terzo
comma, seconda parte, c.c.
Dunque in tale ultimo caso, la tutela del socio è rimessa “alla decisione da un esperto nominato dal
Presidente del Tribunale-un arbitratore ai sensi dell’art. 1349 c.c.-, il quale provvederà entro 90
giorni alla redazione di una stima giurata, statuendo anche in merito alle spese.
Non si può sottacere che il procedimento in esame, se può essere considerato in linea di principio
uno strumento di tutela del socio, può tradursi anche in un limite gravoso al disinvestimento. Ed
infatti comporta, da un lato, un prolungamento dell’iter di liquidazione e, dall’altro, un incremento
dei tempi e dei costi necessari per la realizzazione delle variazioni dell’assetto societario” 197.

197
Callegari M. Il recesso del socio nella s.r.l. in Le nuove s.r.l. diretto da M. Sarale, Zanichelli, Bologna 2008, 256
La volontà è, quindi, quella di rimettere la determinazione del valore della partecipazione societaria-
laddove le parti non raggiungano un accordo- non alla decisione del giudice, ma al contratto tra socio
e società avente ad oggetto la liquidazione della quota, il cui contenuto viene determinato da un terzo,
il perito, il quale concorre all’integrazione ed alla formazione del contenuto del negozio. Quindi, con
la determinazione ad opera del terzo, il contratto si perfezione in tutti i suoi elementi e diviene
vincolante tra le parti, salva l’impugnazione per manifesta iniquità o erroneità ex art. 1349, comma
1, c.c. 198.
Visto il richiamo fatto al comma 1 dell’art. 1349 del c.c. questi opera quale terzo arbitratore e dovrà
procedere alla valutazione con “equo apprezzamento”. La valutazione fatta dall’esperto potrà essere
impugnata solo se manifestamente iniqua o erronea 199
Il problema che si pone è se l’esperto debba attenersi alla disciplina legale o se possa discostarsene,
utilizzando metodi di determinazione del valore che portino a valori difformi dal “valore di mercato”.
Si ritiene che l’esperto non possa utilizzare metodi che portino a risultati diversi dal “valore di
mercato” del patrimonio, in quanto l’intenzione del legislatore, anche in questo caso, è quella di
determinare il valore del capitale economico (fair value) della società200 .
L’esperto quindi dovrà effettuare una valutazione che tenga conto sia della consistenza patrimoniale
effettiva che della capacità reddituale dell’azienda sociale. Diversamente la valutazione esulerebbe
dall’ “equo apprezzamento” e sarebbe considerata erronea ai sensi del comma 1 dell’art. 1349 del c.c.
In conclusione, la nomina e i criteri di determinazione della quota sono sottratti alle parti, ed affidate
al tribunale in ragione dell’attività integrativa in qualche modo predeterminata nel suo contenuto e
nelle sue finalità, sicché al terzo è attribuito il compito di addivenire ad una valutazione della quota e
le parti restano vincolate alla sua relazione giurata, e ciò richiama profili di responsabilità
nell’assolvimento dell’incarico tipicamente ancorati a giudizi di tipo tecnico 201.
Né la società né il socio receduto possono poi impugnare la determinazione di valore operata
dall’esperto, salvo che non ne deducano e dimostrino la manifesta iniquità od erroneità: è stato cosi
sostenuto che “ una volta depositata la perizia giurata, lo strumento di reazione non possa consistere
in una mera istanza di integrazione dell’elaborato, ma si debba procedere attraverso l’impugnazione

198
Tribunale Nocera Inferiore, 23.02.2007, in GI, 2007, 2783
199
“Se la determinazione della prestazione dedotta in contratto è deferita a un terzo e non risulta che le parti vollero
rimettersi al suo mero arbitrio, il terzo deve procedere con equo apprezzamento. Se manca la determinazione del terzo o
se questa è manifestamente iniqua o erronea, la determinazione è fatta dal giudice”. Art. 1349, comma primo, c.c.
200
Caratozzolo, ult. op. cit.
201
Fauceaglia G., Arbitraggio e determinazione del valore della quota nella disciplina del recesso nelle società a
responsabilità limitata, in GI, 2786 ss, 2007
della determinazione del terzo ritenuta palesemente erronea o iniqua, richiamando la tesi
contrattuale dell’impugnativa per nullità o annullabilità del negozio di integrazione.
In sostanza, si ritiene che l’atto del terzo resti sottoposto alla disciplina del negozio per quanto attiene
ai vizi della volontà, anche se pare opportuno considerare che tali anomalie hanno scarsa possibilità
di essere rinvenute, tranne, per l’appunto, che non si risolvano nelle figure tipiche dell’errore o
dell’iniquità”202.

1.3. Data di riferimento

Il valore di mercato cui fare riferimento, da un punto di vista temporale, è quello esistente al momento
della dichiarazione del recesso, momento quindi successivo all’evento che ha fatto sorgere il diritto
di recesso203. A livello pratico, ciò può portare a qualche problema:
a. chi dovrà eseguire la valutazione, vale a dire gli amministratori o l’esperto, lo farà in relazione
ad un patrimonio “passato”, con gli eventuali problemi di individuazione ex post dei valori
dei beni che compongono il patrimonio e di individuazione delle prospettive economiche che
al momento del recesso la società aveva;
b. i recessi potrebbero essere più di uno, dichiarati in tempi diversi, con la conseguenza che
occorrerebbe determinare un valore per ogni recesso.
Si discute se lo statuto possa prevedere che il valore venga determinato con riferimento ad un
momento precedente alla dichiarazione di recesso o addirittura, precedente all’evento che ha
fatto sorgere il diritto di recesso.
Se, come detto in precedenza con riferimento alla possibilità di determinare valori differenti
rispetto al “valore di mercato”, si ritiene che il comma 3 dell’art. 2473 c.c. sia inderogabile,
lo statuto non potrà fissare un momento differente da quello di dichiarazione del recesso,
poiché non è pensabile che la norma sia indeogabile per una sua parte “valore di mercato” e
derogabile per un’altra parte “momento a cui riferire il valore di mercato”.
Al contrario, almeno per le cause di recesso convenzionali, se si ritiene che la norma sia
disponibile, e che quindi il socio, utilizzando l’ampia autonomia statutaria, possa derogarvi,
si dovrebbe convenire nella possibilità di fissare un momento differente rispetto al momento
della dichiarazione di recesso.

202
Tribunale Nocera Inferiore, 23.2.2007, in GI, 2007, 2784. Faucella 2007, 2787 s.
203
A differenza di quanto avviene per le S.p.A. dove, almeno nelle ipotesi di delibere che danno diritto al recesso, il valore
del patrimonio sociale deve essere determinato precedentemente alla delibera e all’esercizio del recesso.
2. Procedimento di liquidazione

Le disposizioni relative alla s.r.l nulla dispongono rispetto a chi deve provvedere alla determinazione
del valore di liquidazione della partecipazione e quando tale valutazione deve essere effettuata.
Nel silenzio normativo, e in mancanza di previsioni statutarie che disciplinino la materia, ci si
domanda chi deve determinare il valore della partecipazione e quando questa determinazione deve
essere effettuata.
Se si guarda alla disciplina delle s.p.a., l’art. 2437-bis, comma 2, c.c., stabilisce che “il valore di
liquidazione delle azioni deve essere determinato dagli amministratori, con il controllo dei sindaci e
del revisore contabile, i quali, in base a quanto disposto dal comma 5 del medesimo art. 2437-bis
c.c., devono determinare il suddetto valore con un anticipo di almeno 15 giorni rispetto alla data
fissata per l’assemblea che può portare ad un eventuale recesso” 204. Lo scopo della norma è quello
di rendere gli azionisti preventivamente consapevoli del valore delle loro azioni, in modo da poter
decidere di recedere dalla società nella piena consapevolezza di quanto potranno percepire a titolo di
rimborso.
Per quanto concerne le società a responsabilità limitata, analogamente a quanto previsto nelle società
per azioni, gli amministratori, quali soggetti deputati a determinare il valore da offrire al socio
recedente, non avranno però l’obbligo di determinarlo antecedentemente alla dichiarazione di
recesso; anzi, proprio l’art. 2473, comma 3, c.c. prevede che il socio recedente ha diritto al valore di
mercato del patrimonio sociale alla data di dichiarazione del recesso; indi, la determinazione di tale
valore non potrà avvenire che successivamente alla dichiarazione di recesso e con riferimento alla
data di efficacia della stessa.
Tutto ciò trova giustificazione nella maggiore personalizzazione della società a responsabilità
limitata, rispetto alla società per azioni, frutto della Riforma del diritto societario del 2003.
Una volta determinato il valore da liquidare si deve dare luogo al rimborso di questo valore sulla base
di quanto previsto dal comma 4 dell’art. 2473 c.c., il quale prevede diverse modalità di rimborso della
partecipazione del socio recedente con un procedimento a fasi successive da svolgersi in modo
rigoroso e predeterminato, il cui obbiettivo è quello di attuare i diritti del socio uscente mantenendo,
al massimo possibile, l’integrità del patrimonio sociale.

204
L’art. 2437 bis, comma 5, dispone: “I soci hanno diritto di conoscere la determinazione del valore di cui al comma 2
del presente articolo (n.d.r. il valore di liquidazione delle azioni) nei quindici giorni precedenti alla data fissata per
l’assemblea;..”
Il procedimento di liquidazione della quota del socio receduto da parte della società è anzitutto
disciplinato dall’art. 2473, comma 4, prima parte, c.c., il quale inizia con una prescrizione relativa al
termine entro il quale la società deve provvedere alla liquidazione della partecipazione del socio
receduto: “il rimborso delle partecipazioni per cui è stato esercitato il diritto di recesso dev’essere
eseguito entro 180 giorni dalla comunicazione del medesimo alla società”. Da ciò discende che
l’efficacia del recesso incomincia a decorrere dal momento in cui la dichiarazione di recesso è
pervenuto a conoscenza della società, che il soggetto che deve provvedere al rimborso è la società e
che il termine entro cui vi deve procedere è fissato in 180 giorni dall’efficacia del recesso.
“Con tale previsione il legislatore ha colmato una lacuna normativa, realizzando altresì l’obiettivo
di una uniformità di disciplina in materia societaria, in quanto lo stesso termine di 6 mesi è previsto
anche dall’art. 2289 e 2535 c.c., rispettivamente per la liquidazione della quota spettante al socio
uscente di una società di persone e di una società cooperativa”205.
Relativamente al termine, la dottrina sembra sempre ammetterne uno più breve entro cui effettuare il
rimborso, in quanto la deroga realizzerebbe un vantaggio per il socio recedente.
Per quanto riguarda, invece, il differimento del termine di rimborso, la dottrina, per le cause legali di
recesso, è orientata nel ritenere non derogabile il termine fissato dalla norma. Mentre per le cause di
recesso volontarie, l’opinione è che il termine sia liberamente determinabile, in considerazione
dell’ampia autonomia statutaria concessa nella disciplina delle S.r.l. 206.

3. Rimborso della partecipazione

Il rimborso della partecipazione sociale per la quale è stato esercitato il recesso può avvenire, ai sensi
dell’art.2473, comma 4, prima parte, c.c.,:

a. “Mediante acquisto da parte degli altri soci proporzionalmente alle loro partecipazioni;
b. Mediante acquisto da parte di un terzo concordemente individuato dai soci medesimi.
Qualora ciò non avvenga il rimborso è effettuato:
c. Utilizzando riserve disponibili;
o, in mancanza,
d. Corrispondentemente riducendo il capitale sociale (applicando in tal caso l’art. 2482 c.c.) e,
qualora sulla base di esso non risulti possibile il rimborso della partecipazione del socio
receduto

205
Carestia A., Sub art. 2473 c.c. in Società a responsabilità limitata in La riforma del diritto societario a cura di G. Lo
Cascio, Giuffrè, Milano, 135, s.s., 2003
206
Busani op. cit., p. 383 e ss.; Stassano – Stassano op. cit., p. 60 e ss..
e. La società viene posta in liquidazione”.

Dalla procedura sopra esposta emerge che la riduzione del capitale sociale rappresenta l’extrema ratio
cui ricorrere solo qualora non sia possibile procedere diversamente.

a. Mediante acquisto da parte degli altri soci proporzionalmente alle loro partecipazioni

Una volta che sia stato accertato l’esatto valore della quota del socio uscente, il legislatore prevede
come ipotesi principale di rimborso della partecipazione del socio receduto, l’acquisto della
partecipazione da parte degli altri soci.
Quest’ipotesi è da previlegiarsi sotto vari punti di vista: per gli altri soci che non vedono annacquare
la propria partecipazione e non subiscono l’ingresso di estranei nella compagine sociale; per la società
che mantiene integro il proprio patrimonio, solo ripartito fra un numero inferiore di soci; per i creditori
sociali che vedono conservata l’intera loro garanzia patrimoniale corroborata, oltre tutto, da un
maggiore interesse dei soci a proteggere il loro accresciuto investimento207.
La norma letteralmente dispone che l’acquisto avvenga, da parte di tutti i soci rimanenti, in
proporzione alla propria partecipazione, e ciò al fine di mantenere l’originario rapporto proporzionale
che ciascun socio ha nella società.
Ove anche uno solo dei soci non accetti di acquistare la partecipazione del socio recedente, non sarà
possibile il rimborso tramite l’acquisto da parte degli altri soci e occorrerà procedere con le altre
modalità208. .
Peraltro si ritiene, come anche sostenuto da parte della dottrina209, che ciascun socio possa,
rinunciando così al mantenimento della originaria proporzionalità, autorizzare gli altri ad acquistare
in maniera non proporzionale, esercitando così questi ultimi una prelazione sulle quote eventualmente
non acquistate dagli altri soci.
Considerati i principi in materia di recesso e stante le modalità per la liquidazione prescelta dal
legislatore, si ritiene che si sia di fronte ad una speciale legittimazione della società attribuita
espressamente ex lege e che, pertanto, al contratto di cessione della quota receduto – che ha perduto
la disponibilità della quota conservando solo il credito al rimborso del suo valore – potrà intervenire
la società in persona del legale rappresentante per prestare il consenso alla cessione ed incassare il
corrispettivo relativo.

207
B. Acquas, C. Lecis, Il recesso del socio nella s.p.a. e nella s.r.l., Giuffre editore, 2010
208
Maltoni, op. cit., p. 90 e ss.; Lanzio, op. cit., p. 155 e ss..
209
Busani, op. cit., p. 383 e ss.; Maltoni, op. cit., p. 90 e ss.; Lanzio, op. cit., p. 155 e ss..
Alla stregua di ciò, troverebbe giustificazione anche la restante parte della norma che stabilisce che
il rimborso avviene attraverso la cessione della quota: infatti la società incamera nel proprio
patrimonio il controvalore della quota ottenuto con la cessione della stessa e consegue in tal caso le
risorse per procedere al rimborso della quota al socio receduto.

b. Mediante acquisto da parte di un terzo concordemente individuato dai soci medesimi.

Se il rimborso non può essere attuato tramite l’acquisto della partecipazione da parte degli altri soci,
lo stesso può essere effettuato tramite l’acquisto da parte di un terzo, concordemente individuato dai
soci medesimi. Per i medesimi motivi di cui al punto precedente sembra corretto ritenere che questa
modalità di rimborso, ove sia impossibilitato il rimborso da parte dei soci, debba essere perseguita
prioritariamente, rispetto al rimborso effettuato, come si dirà successivamente, dalla società.
Nonostante la norma si riferisca, letteralmente, ad “un terzo” ci si può chiedere se il terzo debba essere
inteso quale singolo soggetto o se il riferimento possa intendersi nel senso di “parte terza”, potendosi
così avere più terzi cui cedere la quota del socio recedente. È da ritenere che, ove i terzi siano
individuati con l’accordo di tutti i soci sia consentito il trasferimento a più soggetti210.
Anche in tal caso, deve richiamarsi quanto detto supra in ordine alla legittimazione ex lege della
società ad intervenire all’atto di cessione, stante la perdita della disponibilità della quota del socio
receduto.

c. Qualora ciò non avvenga il rimborso è effettuato: utilizzando riserve disponibili

Ove non si sia potuto dare luogo al rimborso tramite l’acquisto da parte degli altri soci ovvero tramite
l’acquisto di terzi, il rimborso dovrà essere effettuato dalla società utilizzando “riserve (di utili o di
capitale) disponibili”.
Se le riserve disponibili non fossero sufficienti, il rimborso dovrà avvenire tramite la riduzione del
capitale sociale (in tal caso trova applicazione l’art. 2482 c.c.).
Si ritiene che “l’operazione di rimborso da parte della società si configura come annullamento
contestuale della quota di partecipazione rimborsata e conseguente espansione delle quote di
partecipazione degli altri soci, a prescindere dalle poste di patrimonio netto (riserve di utili, riserve
di capitale e capitale sociale), che, in concreto vengono ridotte quale contropartita per l’uscita
finanziaria sostenuta per rimborsare il socio.

210
Lanzio, op. cit., p. 155 e ss.; Busani, op. cit., p. 383 e ss..
L’espressa menzione delle riserve disponibili, vieta che vengano usate altre riserve, non disponibili,
quale, ad esempio, la riserva legale.
In tale caso, si avrà l’effetto di accrescere la quota dei soci superstiti con conseguente modifica della
ripartizione del capitale sociale”211.

d. o, in mancanza, corrispondentemente riducendo il capitale sociale (applicando in tal caso


l’art. 2482 c.c.) e, qualora sulla base di esso non risulti possibile il rimborso della
partecipazione del socio receduto

L’art. 2473, comma 4, inciso finale, c.c., prescrive espressamente, con disposizione residuale che,
qualora non sia stato possibile procedere al rimborso in favore del socio receduto mediante acquisto
da parte degli altri soci o da parte dei terzi, o, in alternativa, mediante utilizzazione di riserve
disponibili della società il rimborso è effettuato […] corrispondentemente riducendo il capitale
sociale.
Il legislatore prosegue la disciplina da applicare a tale fattispecie precisando che in quest’ultimo caso
si applica l’art.2482 c.c., ai sensi del quale la riduzione del capitale sociale può avere luogo entro i
limiti previsti dall’art.2463, comma 2, n.4, c.c., ossia senza intaccare la misura minima del capitale
sociale.
La decisione di ridurre il capitale sociale potrà essere eseguita dopo 90 giorni dal giorno di iscrizione
nel Registro delle Imprese della decisione medesima.
In pendenza di detto termine (fissato a pena di decadenza), i creditori sociali per titoli anteriori
all’iscrizione medesima nel R.I., possono fare opposizione, con l’effetto di determinare la
sospensione dell’efficacia, avverso la decisione di ridurre il capitale sociale: il tribunale, se risulta
infondato il pericolo di pregiudizio delle ragioni dei creditorie, oppure se la società fornisce idonee
garanzie al riguardo, può autorizzare la società a dare esecuzione alla riduzione nonostante
l’opposizione dei creditori sociali.
Si noti che il fenomeno della riduzione del capitale sociale è di carattere residuale e comunque
condizionato alla possibilità di un celere rimborso del recedente.
L’opposizione dei creditori è diretta all’accertamento di un pregiudizio in danno del creditore
opponente e quindi alla declaratoria di inefficacia, nei suoi confronti, della decisione di ridurre il

211
Stassano-Stassano, 2005, 61. Vallasciani, 2007, 160
capitale sociale, che non potrà essere eseguita fino a quando il credito dell’opponente non sia stato
pagato, con un effetto quindi di postergazione del credito vantato del socio receduto212.
In caso di accoglimento dell’opposizione creditoria, non solo impedirà l’effettuazione del rimborso
mediante la riduzione del capitale sociale ma, ineluttabilmente, si avrà lo scioglimento societario (al
pari della disciplina prevista in tema di s.p.a.)213.
Lo scioglimento appare, quindi, una conseguenza automatica dell’opposizione ed è possibile la
revoca dello stato di liquidazione.
Per quanto attiene alle modalità di riduzione del capitale sociale, si prevede espressamente che questa
debba avvenire corrispondentemente: ciò lascia ipotizzare che vi debba essere una relazione diretta
fra l’ammontare del valore di rimborso e l’entità della riduzione da deliberare.
Qualora la riduzione del capitale non sia possibile, la società dovrà essere posta in liquidazione.
Tale evenienza si verificherà qualora: l’assemblea è andata deserta; non si è raggiunto il relativo
quorum; i creditori hanno fatto opposizione nei termini di legge; il capitale scenderebbe sotto il
minimo legale214.
In caso di liquidazione della società, vi sarà un notevole cambio di prospettiva per il socio receduto,
che dovrà attendere la soddisfazione di tutti i creditori e partecipare con gli altri soci al rimborso
finale dell’eventuale capitale residuo215.

212
Carestia A., Sub art. 2473 c.c. in Società a responsabilità limitata in La riforma del diritto societario a cura di G. Lo
Cascio, Giuffrè, Milano, 135, s.s., 2003
213
Corsi F., Le nuove società di capitali, Giuffrè, Milano, 2003
214
Lupetti M. C., L’intervento del notaio nelle nuove s.r.l., in Letture notarili, Collana diretta da G. Laurini, Ipsoa, Milano,
2008
215
Ciocca N., Questioni (aperte) in tema di contestazione del valore di liquidazione delle azioni in caso di recesso, in
RN, 1536, 2009 ; Ferrucci A., Ferrentino C., Le società di capitali, cooperative e le mutue assicuratrici, Tomo I,II, Giuffrè,
Milano, 2005
CONCLUSIONI

L’elaborato ha dato spazio alle principali tematiche relative alla società a responsabilità limitata,
opportunamente paragonata alla società per azioni, ed in particolare alla figura del socio nella suddetta
tipologia societaria di s.r.l.
Il fenomeno del recesso del socio, poi, è stato debitamente approfondito mediante un’analisi puntuale
degli artt. del Codice Civile che trattano di questo strumento societario posto a tutela del socio,
ponendo l’accento sulla Riforma del diritto societario del 2003, la quale ha cambiato la s.r.l. nel suo
complesso rispetto al sistema previgente, oltre che le società per azioni in generale.
Infine, si è trattato del procedimento di rimborso e liquidazione della partecipazione del socio
recedente, facendo leva sulle analogie presenti tra disciplina prevista in tema di s.r.l. ed s.p.a.
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16 ottobre 2001; Trib. Milano, 12 dicembre 1984; Trib. Latina, 9 luglio 1988; Trib. Cassino, 7
febbraio 1990; Trib. Como, 11 ottobre 1993.

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Cass. 19 marzo 2004 n. 5548 in Foro Italiano 2004, I, p. 2798

Trib. di Lucca, 11.01.2005, in VN, 2007, 756

Trib. Milano, 5.3.2007, in GI,2007, 2774, con nota di M. Callegari. Contra F. Magliulo, 2007, 289 s

Trib. Nocera Inferiore, 23.02.2007, in GI, 2007, 2783

Trib. Nocera Inferiore, 23.2.2007, in GI, 2007, 2784. G. Faucella 2007, 2787 s.

Trib. Pavia ordinanza 5.8 .2008

Trib. Roma 11 maggio 2005 n. 10720.

Trib. Udine 3-7-1997, D.fall98, II,378


NORMATIVA

Circolare n. 68 del 22 dicembre 2005 di Assonime, Il diritto di recesso nella società per azioni, p. 7.

Circolare n. 68 del 22 dicembre 2005 di Assonime, Il diritto di recesso nella società per azioni, p. 8.

D.lgs.n 6 del 17 gennaio 2003

D.Lgs. 17/01/2003, n. 5, art. 34, comma 1.

L. 3.10.2001, n. 366, art.3), lettera f)

Relazione al d.lgs.§14

Relazione illustrativa al D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6

Relazione illustrativa al d.lgs. n. 6 del 17 gennaio 2003

Relazione di accompagnamento al D.Lgs. n. 6/2003.


SITOGRAFIA

Notaio Busani, La nuova societa a responsabilita limitata, Monografia sulle S.r.l., 2003,
www.notaiobusani.it

Busani, op. cit., p. 253 e ss.

Busani, op. cit., p. 259.

Camera.it, L. 3 ottobre 2001 n.366 "Delega al Governo per la riforma del diritto societario"
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 234 dell'8 ottobre 2001

diritto.it

fattura24.com

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