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DIRITTO DEL LAVORO 23.

I LICENZIAMENTI COLLETTIVI PER RIDUZIONE DEL


PERSONALE. LE RINUNCE E LE TRANSAZIONI. LA PRESCRIZIONE DEI CREDITI DI
LAVORO.

Già la legge 604/1966 all’art. 11 prevede che” La materia dei licenziamenti collettivi per
riduzione di personale è esclusa dalle disposizioni della presente legge”. Si sanciva così
normativamente la totale differenza di disciplina che già traspariva da alcuni accordi
interconfederali, stipulati prima del 1966, che prevedevano regole diverse per il licenziamento
individuale e per il licenziamento collettivo. La ragione che porta differenziare le due discipline è
dovuta al fatto che nel licenziamento collettivo viene in rilievo una espressione particolarmente
significativa dell’iniziativa economica privata tutelata dall’art. 41 Cost. Il datore di lavoro dispone
un licenziamento collettivo per riduzione di personale di fronte ad un giustificato motivo oggettivo,
cioè una ragione inerente alla propria organizzazione di lavoro. Tuttavia il legislatore ha ritenuto
che, dato il numero importante di licenziamenti fatti dal datore di lavoro, il licenziamento collettivo
debba essere assoggettato ad una disciplina differente da quella dei licenziamenti individuali per
giustificato motivo oggettivo. Questo è possibile solo se esiste una nozione di licenziamento
collettivo per riduzione di personale che ci consenta di distinguere questa fattispecie dai
licenziamenti individuali plurimi. Già la direttiva CE/75/1975 imponeva agli stati membri di
provvedere ad una idonea regolamentazione dei licenziamenti collettivi che fosse incentrata sul
forte coinvolgimento delle organizzazioni sindacali in quanto il licenziamento collettivo incidendo
sui livelli occupazionali mette in gioco un interesse collettivo. Questa direttiva CE fu attuata in
Italia solo con la legge 223/1991 che conteneva tutta una serie di disposizioni tra cui alcune 1 in
materia di licenziamento collettivo per riduzione del personale. Dall’art. 24 della legge 223/1991
ricaviamo la nozione di licenziamento collettivo per riduzione di personale: è licenziamento
collettivo quello intimato da parte di “imprese che occupino più di quindici dipendenti, compresi i
dirigenti, e che, in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, intendano
effettuare almeno cinque licenziamenti, nell'arco di centoventi giorni, in ciascuna unità produttiva, o
in più unità produttive nell'ambito del territorio di una stessa provincia”. Quindi, l’impresa che ha
più di 15 dipendenti e che effettua più di 5 licenziamenti nell’arco di 120 giorni a motivo di una
riduzione o trasformazione di attività o di lavoro compie un licenziamento collettivo per riduzione
di personale. Subito dopo l’emanazione della legge la giurisprudenza si è soffermata sull’inciso:
“riduzione o trasformazione di attività o di lavoro”. La riduzione può avvenire non solo perché
esiste un eccedenza di personale dovuta ad una carenza di domanda del prodotto che l’azienda
produce e quindi l’imprenditore si trova costretto a ridurre il personale ma la riduzione di personale
può avvenire in seguito ad una diversa organizzazione del lavoro 2 dovuta all’innovazione dei
metodi di produzione: si tratta di una scelta riconducibile alla libertà di iniziativa economica
privata. La direttiva CE si limitava a prevedere che gli Stati membri predisponessero un’adeguata
disciplina fondata sul coinvolgimento delle parti sociali e così accade nel nostro ordinamento dove
il potere del datore di lavoro di ridurre il proprio personale può essere legittimamente esercitato
seguendo un determinato procedimento3. Questi limiti procedurali sono contenuti nell’art. 4 della
legge 223/1991: “Le imprese che intendano esercitare la facoltà di cui al comma 1 (licenziamento
1
Artt. 4, 5 e 24.
2
Licenziamento per motivi tecnologici.
3
Si parla di procedimentalizzazione del potere dell’imprenditore poiché si fa riferimento a limiti procedurali volti ad
esercitare una sorta di controllo sul corretto esercizio del potere dell’imprenditore in modo da rendere la decisione
dell’imprenditore più complicata da porre in essere.
collettivo) sono tenute a darne comunicazione preventiva per iscritto alle rappresentanze sindacali
aziendali4 costituite a norma dell'articolo 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nonché' alle
rispettive associazioni di categoria. In mancanza delle predette rappresentanze la comunicazione
deve essere effettuata alle associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente
rappresentative sul piano nazionale. […] 3. La comunicazione di cui al comma 2 deve contenere
indicazione: dei motivi che determinano la situazione di eccedenza; dei motivi tecnici, organizzativi
e produttivi, per i quali si ritiene di non poter adottare misure idonee a porre rimedio alla predetta
situazione ed evitare in tutto o in parte, il licenziamento collettivo; del numero, della collocazione
aziendale e dei profili professionali del personale eccedente nonché del personale abitualmente
impiegato; dei tempi di attuazione del programma di riduzione del personale delle eventuali misure
programmate per fronteggiare la conseguenza sul piano sociale della attuazione del programma
medesimo del metodo di calcolo di tutte le attribuzioni patrimoniali diverse da quelle già previste
dalla legislazione vigente e dalla contrattazione collettiva. […] 5. Entro sette giorni dalla data del
ricevimento della comunicazione di cui al comma 2, a richiesta della rappresentanze sindacali
aziendali e delle rispettive associazioni si procede ad un esame congiunto tra le parti, allo scopo di
esaminare le cause che hanno contribuito a determinare l'eccedenza del personale e le possibilità di
utilizzazione diversa di tale personale5, o di una sua parte, nell'ambito della stessa impresa, anche
mediante contratti di solidarietà e forme flessibili di gestione del tempo di lavoro 6. Qualora non sia
possibile evitare la riduzione di personale, è esaminata la possibilità di ricorrere a misure sociali di
accompagnamento intese, in particolare, a facilitare la riqualificazione e la riconversione dei
lavoratori licenziati. I rappresentanti sindacali dei lavoratori possono farsi assistere, ove lo ritengano
opportuno, da esperti. 6. La procedura di cui al comma 5 deve essere esaurita entro quarantacinque
giorni dalla data del ricevimento della comunicazione dell'impresa. Quest'ultima dà all'Ufficio
Provinciale del lavoro e della massima occupazione comunicazione scritta sul risultato della
consultazione e sui motivi del suo eventuale esito negativo. Analoga comunicazione scritta può
essere inviata dalle associazioni sindacali dei lavoratori. 7. Qualora non sia stato raggiunto
l'accordo, il direttore dell'Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione convoca le
parti al fine di un ulteriore esame delle materie di cui al comma 5, anche formulando proposte per la
realizzazione di un accordo7. Tale esame deve comunque esaurirsi entro trenta giorni dal
ricevimento da parte dell'Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione della
comunicazione dell'impresa prevista al comma 6. […] 9. Raggiunto l'accordo sindacale ovvero
esaurita la procedura di cui ai commi 6, 7 e 8, l'impresa ha facoltà di licenziare gli impiegati, gli
operai e i quadri eccedenti, comunicando per iscritto a ciascuno di essi il recesso, nel rispetto dei
termini di preavviso. Entro sette giorni dalla comunicazione dei recessi, l'elenco dei lavoratori
licenziati con l'indicazione per ciascun soggetto del nominati del luogo di residenza, della qualifica,
del livello di inquadramento dell’età, del carico di famiglia, nonché' con puntuale indicazione delle
modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta di cui all'articolo 5, comma 1, deve essere
comunicato per iscritto all'Ufficio regionale del lavoro e della massima occupazione competente,
alla Commissione regionale per l'impiego e alle associazioni di categoria di cui al comma 2. […]12.
Le comunicazioni di cui al comma 9 sono prive di efficacia ove siano state effettuate senza

4
La prima fase della procedura è di natura sindacale in quanto si cerca un accordo con i sindacati.
5
Con l’espressa previsione della possibilità del demansionamento.
6
Trasformando i contratti da tempo pieno a part-time per permettere a tutti di conservare il posto di lavoro.
7
Se la fase sindacale non raggiunge risultati si passa alla fase amministrativa in quanto gestita dall’ufficio provinciale
del lavoro.
l'osservanza della forma scritta e delle procedure previste dal presente articolo 8.”. I criteri di scelta
dei lavoratori da licenziare sono indicati all’art. 5 comma 1 della medesima legge:
“L'individuazione dei lavoratori da licenziare deve avvenire in relazione alle esigenze tecnico-
produttive, ed organizzative del complesso aziendale, nel rispetto dei criteri previsti da contratti
collettivi stipulati con i sindacati di cui all'articolo 4, comma 2, ovvero in mancanza di questi
contratti nel rispetto dei seguenti criteri in concorso tra loro; a) carichi di famiglia; b) anzianità; c)
esigenze tecnico produttive ed organizzative”. In prima battuta la legge rinvia alla contrattazione
collettiva di livello aziendale. Se il contratto non prevede alcun criterio la legge supplisce con
l’individuazione di tre criteri: 1) carichi di famiglia; 2) anzianità; 3) esigenze tecnico produttive ed
organizzative. Inoltre, a tutela del lavoro femminile la parte finale del comma 2 prevede che
“L'impresa non può altresì licenziare una percentuale di manodopera femminile superiore alla
percentuale di manodopera femminile occupata con riguardo alle mansioni prese in
considerazione”.
Il licenziamento collettivo può essere impugnato per vizio di procedura o per vizio di
individuazione dei lavoratori da licenziare. Anche in questo ambito le sanzioni sono state
modificate dalla legge 92/20129 e la reintegrazione è stata considerata un’ipotesi residuale rispetto
al passato. Prima qualsiasi vizio dava luogo alla reintegrazione dei lavoratori licenziati, oggi la
reintegrazione piena10 è prevista solo nell’ipotesi del licenziamento intimato senza l’osservanza
della forma scritta. La violazione degli obblighi di consultazione e di informazione dei sindacati è
sanzionato soltanto con la tutela indennitaria. In caso di violazione dei criteri di scelta si applica la
tutela reintegratoria attenuata11.
L’art. 2113 del Codice civile, rubricato “Rinunzie e transazioni 12”, contiene la specifica
disciplina delle rinunzie e transazioni nel diritto del lavoro. Qui troviamo anche il fondamento
normativo dell’inderogabilità del contratto collettivo. L’art. 2113 è stato novellato dalla legge
533/197313, e in questa disposizione c’è un riferimento al contratto collettivo di diritto comune dove
si stabilisce che “Le rinunzie e le transazioni, che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro
derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i
rapporti di cui all'articolo 40914 del codice di procedura civile, non sono valide”. La norma assimila
8
Per cui l’unica impugnazione, sempre salvo quella per discriminazione, di questo tipo di licenziamento è quella
motivata da vizi procedurali.
9
Lg 28 giugno 2012, n. 92 “Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita”.
10
Reintegrazione nel posto di lavoro e pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione
globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto
percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. In ogni caso la misura del
risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto (lg 300/1970, art. 18 comma
2).
11
Reintegrazione nel posto di lavoro e pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione
globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha
percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto
percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. In ogni caso la misura dell’indennità
risarcitoria non può essere superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto (lg 300/1970, art. 18 comma
4).
12
La rinunzia e la transazione sono atti di disposizione del diritto. La rinunzia è un atto unilaterale con cui il soggetto
rinuncia ad un diritto già maturato. La transazione è un contratto col quale le parti facendosi reciproche concessioni
mettono fine ad una lite o ne impediscono il sorgere.
13
Legge 11 agosto 1973, n. 533 “Disciplina delle controversie individuali di lavoro e delle controversie in materia di
previdenza e di assistenza obbligatorie”.
14
Codice di procedura civile, art. 409. (Controversie individuali di lavoro). “Si osservano le disposizioni del presente
capo nelle controversie relative a: 1) rapporti di lavoro subordinato privato, anche se non inerenti all'esercizio di una
impresa; 2) rapporti di mezzadria, di colonia parziaria, di compartecipazione agraria, di affitto a coltivatore diretto,
nonché' rapporti derivanti da altri contratti agrari, salva la competenza delle sezioni specializzate agrarie; 3) rapporti di
le disposizioni inderogabili di legge a quelle dei contratti collettivi. Il campo di applicazione va al di
là del rapporto subordinato comprendendo anche i lavori parasubordinati. L’affermazione “non
sono valide” è generica e può indicare la nullità o l’annullabilità. Tuttavia poiché al comma 2 la
norma stabilisce che “L'impugnazione deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi
dalla data di cessazione del rapporto o dalla data della rinunzia o della transazione, se queste sono
intervenute dopo la cessazione medesima” significa che sono annullabili e quindi l’invalidità è della
specie dell’annullabilità. Per comprendere questa scelta del legislatore bisogna fare una riflessione
sul principio dell’inderogabilità nel diritto del lavoro. Essenzialmente l’inderogabilità caratterizza il
diritto del lavoro perché il legislatore mira a rendere al massimo grado l’effettività della tutela. La
conseguenza logica di questo principio dovrebbe essere la nullità di ogni atto posto in deroga alle
prescrizioni di legge e tuttavia l’art. 2113 ci dimostra che non è sempre così. Le tesi dottrinali che
hanno cercato di spiegare il perché di questa scelta sono varie: 1) la norma si fonda sul principio
della certezza dei rapporti giuridici per non esporre il datore di lavoro ad una perpetua incertezza
rispetto alla rinuncia; 2) la norma non si riferisce a rinunzie sicuramente nulle ma se, in seguito alla
rinuncia nulla di un diritto inderogabile, sorge un diritto secondario su cui viene effettuata una
rinuncia o una transazione, su tale rinuncia o transazione si applica l’art. 2113 comma 2. Bisogna
chiarire che dalla inderogabilità del diritto non deriva necessariamente l’indisponibilità del diritto 15
in quanto ciò sopprimerebbe la facoltà del lavoratore di disporre dei propri diritti mentre il
legislatore vuole porre una indisponibilità limitata a garanzia del lavoratore stesso. La norma si
riferisce ad atti dispositivi di diritti già acquisiti dal lavoratore e ha la funzione di limitare la facoltà
di disporre di un diritto in quanto presuppone che in costanza di rapporto di lavoro il lavoratore sia
in uno stato di soggezione16 nei confronti del datore di lavoro. Non a caso il termine di decadenza
decorre dal momento in cui il rapporto di lavoro è cessato oppure dalla data della rinunzia o della
transazione, se queste sono intervenute dopo la cessazione del rapporto di lavoro. Nel comma 4 si
aggiunge “Le disposizioni del presente articolo non si applicano alla conciliazione intervenuta ai
sensi degli articoli 185, 410, 411, 412-ter e 412-quater del codice di procedura civile”, cioè alla
conciliazione fatta in sede giudiziale. Un problema specifico riguarda le “quietanze a saldo 17” che
nel caso specifico è la dichiarazione, sottoscritta dal lavoratore, con cui si afferma di aver ricevuto il
pagamento di ogni spettanza e di non aver più nulla da pretendere. Questa dichiarazione non è
impugnabile in base all’art. 2113 del Codice civile in quanto considerata come “dichiarazione di
scienza” cioè una manifestazione per iscritto di essere stato soddisfatto nei propri diritti. La
quietanza a saldo può essere portata in giudizio come prova ma non è una rinuncia in senso proprio.
Ulteriore prova che non siamo di fronte ad una indisponibilità assoluta dei diritti ma solo ad
una indisponibilità relativa è la prescrizione dei crediti di lavoro. I crediti retributivi 18, sono soggetti
alla prescrizione breve19 (5 anni). Nel diritto del lavoro assumono una importanza di rilievo le
agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera
continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato. La collaborazione si intende
coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore
organizza autonomamente l’attività lavorativa; 4) rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici che svolgono
esclusivamente o prevalentemente attività economica; 5) rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici ed altri
rapporti di lavoro pubblico, sempreché' non siano devoluti dalla legge ad altro giudice”.
15
Se il diritto inderogabile del lavoratore fosse del tutto indisponibile sarebbe anche imprescrittibile. Invece, come
vederemo, i crediti di lavoro sono sottoposti a prescrizione, per cui non è vero che dalla inderogabilità nasce l’assoluta
indisponibilità.
16
In dottrina si parla di incapacità giuridica soggettiva.
17
Cioè la dichiarazione con la quale il creditore afferma di non avere altro a pretendere dal debitore.
18
Cioè le retribuzioni non pagate.
19
Mentre altri diritti sono soggetti alla prescrizione ordinaria di 10 anni.
prescrizioni presuntive. Nel nostro caso, si presume l’avvenuto pagamento del debito a meno che
non sia stato dimostrato il contrario tramite confessione giudiziale o giuramento. Se la retribuzione
viene corrisposta nel periodo inferiore ad un mese la prescrizione presuntiva è di un anno, se la
retribuzione viene corrisposta in periodi superiori è di tre anni. Le prescrizioni presuntive non sono
estintive mentre è estintiva la prescrizione quinquennale. Il punto centrale della questione è la
decorrenza del termine di prescrizione. Secondo la regola generale il termine di prescrizione
decorre dal momento in cui il diritto può essere fatto valere, tuttavia, per quanto riguarda i crediti
del lavoratore, nel 1966 la Consulta, investita della questione di legittimità riguardante gli artt.
2948, 2955, 2956 del Codice civile, che regolano la prescrizione in genere, con rifermento all’art.
36 Cost., stabilì che per i crediti di lavoro il termine prescrizionale debba decorrere dalla cessazione
del rapporto di lavoro in quanto il lavoratore durante il rapporto di lavoro non è in grado di far
valere i propri diritti per il timore del licenziamento. Successivamente con l’evoluzione del sistema
le cose cambiarono: la legge 604/1966 introdusse limiti formali e sostanziali al potere di licenziare,
l’art. 18 della legge 300/1970, stabilì la reintegrazione e il risarcimento per il lavoratore
illegittimamente licenziato. Questa tutela forte permetteva al lavoratore di far valere i propri diritti
senza timore del licenziamento, per cui la giurisprudenza si orientò 20 nel senso di distinguere, ai fini
del decorso del termine prescrizionale, i rapporti di lavoro stabili, ai quali si applica l’art. 18 dello
Statuto dei lavoratori, dai rapporti di lavoro non stabili, a cui non si applica l’art. 18 dello Statuto
dei lavoratori. Per i primi il temine prescrizionale seguiva la legge generale e quindi comincia a
decorrere da quando il diritto può essere fatto valere, per i secondi il termine comincia a decorrere
dalla cessazione del rapporto di lavoro. Poiché, in seguito alla modifica delle tutele sancite dall’art.
18, questo discorso non vale più per tutti i lavoratori stabili, la giurisprudenza si sta orientando nel
senso che in mancanza delle certezza di una tutela reintegratoria il termine di prescrizione deve
decorrere dalla cessazione del rapporto di lavoro.

20
Ad esempio, la sentenza delle Sezione Unite 1268/1976.

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