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RETAIL AND CHANNEL MANAGEMENT

PROSPETTIVA AZIENDA COMMERCIALE


Il mondo del commercio si trova tra la produzione e consumatori

L’azienda commerciale è una entità la cui gestione caratteristica è focalizzata sulla


trasformazione nel tempo e nello spazio di prodotti dal produttore al consumatore. È
un soggetto che vende un servizio commerciale.

- Trasformazione nel tempo: momento di produzione e commercializzazione che


non coincidono
- Trasformazione nello spazio: luogo di produzione e commercializzazione che
non coincidono

LE FUNZIONI
Per realizzare tale trasformazione l’azienda commerciale svolge una serie di funzioni
sempre necessarie, che giustificano l’esistenza di intermediari commerciali:

 Funzione Fisico merceologica: riguarda la distribuzione fisica del bene:


- funzione di trasporto/deposito,
- Funzione di frazionamento di una partita (in lotti più piccoli che vanno ai singoli
dettaglianti)
 Funzione di commercializzazione: riguardano
- La funzione di incontro tra domanda e offerta: consentire l’incontro tra
consumatore e bene fisico o servizio
- La funzione di costruzione di un database di clienti
- Funzione di formazione di un assortimento
 Funzione di comunicazione:
- ascendente (trasferimento di informazioni di vario tipo al produttore. Es.
sui gusti del consumatore, sulle mosse dei concorrenti)
- discendente (promozione del prodotto): l’intermediario effettua
promozioni del prodotto verso la domanda
 Funzione economico finanziarie:
- funzione di determinazione del prezzo
- decisione delle condizioni di vendita (concessione di credito)
 Funzione psico-sociale: riguarda la relazione e la funzione di supporto
psicologico
NB: prodotti diversi necessitano di mix differenti di funzioni.

Esempio:

A) Legna la funzione fisico merceologica prevalente rispetto alle altre


B) Abbigliamento femminile: funzione di commercializzazione (assortimento)
prevalente rispetto alle altre

Per i produttori sarà importante capire, nei canali distributivi, quali intermediari sono
più adatti a svolgere quella funzione, in maniera più efficiente.

Il canale distributivo è l’insieme degli operatori che partecipano al trasferimento di


proprietà del bene dal produttore al consumatore. Tre tipologie fondamentali:

1. Canale diretto: da produttore a consumatore


2. Canale indiretto breve: produttore-dettagliante- consumatore
3. Canale indiretto lungo: produttore- grossista- dettagliante- consumatore

NB: Il canale online può rientrare in tutte e tre le categorie, dipende da come si
articola.

Esistono poi degli agenti che agevolano i contatti/contratti tra questi operatori senza
assumerne la proprietà della merce.

Classificazione del canale sulla base della capacità di controllo esercitata da uno dei
membri del canale:

1. Canale tradizionale: formato da molti produttori che vendono a molti


intermediari che a loro volta vendono ai consumatori-> non prevede posizioni
di potere, non c’è un leader
2. Canale amministrato: si manifesta una posizione di potere da parte di un
operatore su quel canale -> presenza di un ente che impone i propri prezzi
3. Canale controllato/contrattuale: produttore che contrattualizza con altri
imprenditori (franchising) a formare una sorta di integrazione.
4. Canale controllato/integrato: tutti i livelli del canale appartengono alla
medesima impresa

NB: La capacità di controllo da parte di un operatore cresce dal canale tradizionale al


canale controllato/integrato.
LA GDO IN ITALIA
La GDO è il maggiore aggregato nel mondo del commercio moderno.

La grande distribuzione moderna si distingue in GD DO e INDIP. I principali attori della


distribuzione moderna sono:

1. GD: è la grande distribuzione, gruppi di succursalisti a livello nazionale e


internazionale, ossia gruppi con proprietà dei punti vendita (ipermercati,
superette; esempio esselunga, pam)-> sono tutti di proprietà di un
imprenditore.
2. DO: la distribuzione organizzata è formata da:
- unioni volontarie (gruppi dove è presente un grossista che affilia una
serie di dettaglianti)
- + gruppi di acquisto (associazioni tra imprenditori allo stesso livello che
si uniscono per concentrare i propri acquisti a monte)
- + cooperative (esempio coop; ogni socio ha un voto)
3. INDIP: succursalisti locali (ca’doro esempio veneto), piccole catene locali
radicate nel territorio, si caratterizzano per:
- Minori costi di gestione
- fortissimo radicamento del territorio, conoscono tutti gli aspetti e le
preferenze della popolazione locale.

Tutti questi tre operatori possono essere Multi canalizzati o mono canalizzati

La GDO è ulteriormente scomponibile in due categorie di operatori secondo il


posizionamento competitivo:

1. Multi canalizzati: operatore che ha vari formati distributivi (ipermercato,


supermercato, discount, superette)
2. Mono canalizzati: operatore con un unico formato (esselunga: supermercato)

Esistono vantaggi e svantaggi per entrambi i casi:

1. Mono canalizzato: ha delle economie di approvvigionamento, livelli di


produttività (vendita metro quadro) maggiori, rischio più elevato;
2. multi-canalizzato: ha meno rischi legati alla possibilità, in caso di crisi, di
beneficiare della performance degli altri canali, diversificazione del rischio,
livelli di produttività inferiori. (esempio Pam)
PREMESSA
La figura del nuovo consumatore cambia al variare delle nuove tendenze di consumo.
Tende ad avere una maggior consapevolezza nell’atto di acquisto che significa:

- capacità di discernere/distinguere livelli qualitativi diversi dell’offerta


(attenzione al rapporto prezzo/qualità),
- tende ad essere fedele ad un insieme ristretto di punti vendita,
- tende ad essere un cliente situazionale, sceglie diverse combinazioni di
acquisto a seconda della situazione (familiare, individuale, casa o fuori
casa).
- Tende a manifestare una maggiore attenzione all’e-commerce che si è
accentuata nella situazione pandemica.

Si è in una situazione ibrida (offline e online), quando si valutano i trend tecnologici


occorre avere senso critico, significa vedere i punti di forza e debolezza, aspetti
positivi e negativi, opportunità e minacce, significa osservare l’oggetto in senso
critico.

Quando ci si rivolge a mercati internazionali occorre domandarsi qual è il contesto


(culturale, tecnologica) del Paese nel quale si va ad esportare poiché incide sulle
decisioni di esportazione e di rapporto con la distribuzione locale

Il consumatore va interpretato secondo un diverso contesto tecnologico culturale nel


quale si muove, significa che se si parla del mercato italiano non sarà mai uguale a un
mercato di qualsiasi altro Paese, ogni mercato influenzerà a modo suo le scelte di
acquisto del cliente.

LOGICA ECONOMICA DEGLI IMPRENDITORI/INTERMEDIARI COMMERCIALI


La redditività di una azienda è data:

ROI: Indice di redditività sul capitale investito che si compone di:

 M/Ci margine sul capitale investito


- M: differenza tra prezzo di vendita al consumatore e prezzo di acquisto
dal grossista/ fornitore.
- Ci= il capitale investito per una azienda commerciale è assimilabile alle
scorte. Dato dalle voci:
 Cc= è la voce più importante di capitale. Capitale circolante che è dato da crediti
e scorte (merce in magazzino); le scorte implicano il sostenimento di costi
(investimenti fermi), necessitano di essere minimizzati nel canale distributivo
 Cf= capitale fisso

Si tratta di un business tendenzialmente in cui l’incidenza dei costi fissi sui costi totali
è bassa, implica una bassa leva operativa. La leva operativa è tanto maggiore quanto
più i costi fissi impattano sui costi totale

SCOMPOSIZIONE DEL MARGINE SU CAPITALE INVESTITO


M/Ci= M/F x F/Ci=

- redditività delle vendite (ROS)= margine/ fatturato


- rotazione del capitale (ROT)= Fatturato / capitale investito -> quante
volte nel corso dell’esercizio annuale si vende tutta la merce e la si
ricompra

NB: avere una rotazione alta è un aspetto positivo. Avere una rotazione di 12 implica
che ogni 30 gg si vende tutto e si ricompra tutto .

Esempi: ipermercato (8/10) supermercato (12/15/20) nell’arco dell’anno.

ROS e ROT sono due grandi modelli di business nell’azienda commerciale che ci
consente di individuare:

A) gli intermediari che per aumentare il margine sul cap.investito, puntano sulla
redditività delle vendite, bisogna aumentare il rapporto M/Ci.

Esempio: aumento fatturato, aumenta la rotazione ma diminuisce la redditività delle


vendite.

L’ideale sarebbe massimizzare il margine e minimizzare le scorte

I due indicatori rappresentano:

A) il business degli intermediari commerciali che puntano a massimizzare la


redditività delle vendite (boutique): si vendono poche unità ma si cerca di
ottenere un margine elevato, massimizzando così la redditività delle vendite
B) il business dei supermercati e della GDO che puntano a massimizzare la
rotazione: diminuire le scorte e aumentare il fatturato a parità di redditività->
per fare ciò occorre abbassare il prezzo -> si vendono molte unità nel corso
dell’anno.
Esempio: il singolo oggetto costa poco e fornisce un margine limitato tuttavia
ci sono più unità di prodotto vendute così si ottiene a fine anno un margine
complessivo soddisfacente anche con un margine limitato poiché si somma il
margine che si ottiene per il tot volte di vendite effettuate

SCOMPOSIZIONE MARGINE LORDO SULLE VENDITE NETTE


1. Ml/Vn x Vn/Scorte = Ml/Scorte
2. Ml/Vn x Vn/superficie di vendita = Ml/ superficie di vendita
3. Ml/Vn x Vn/addetti= Ml/ addetti

Sono tutti indicatori di produttività ottenuti scomponendo la redditività delle vendite


(Ml/Vn) moltiplicati per fattori produttivi.

1. Ml/ Scorte= occorre max l’indicatore-> come? Una velocità di fornitura


maggiore significa esigenza di spazio minore e minori scorte. Si può lavorare
sulla velocità di fornitura per cercare di avere la quantità minore di scorte. Così
si ha bisogno di meno spazio, meno scorte e si massimizza l’indicatore.
2. Ml/superficie di vendita= quanto si guadagna a metro quadro, l’ideale è
ottenere più margine a parità di superficie, indicatore da massimizzare con
tutte le tecniche di merchandising (allocazione della merce nel punto vendita e
nell’online).
Gruppi distributivi della GDO mono canalizzati tendono ad avere una
produttività maggiore rispetto ai gruppi distributivi multi-canalizzati. Poiché
tendono ad avere un margine per metro quadro più elevato
3. Ml/ addetti= non è un indicatore da massimizzare altrimenti si eliminano gli
addetti con il rischio di ridurre il servizio. Esistono negozi senza addetti dove
tutto è automatico. Tale tipologia di punto vendita riduce il livello di servizio
con limiti evidenti per alcuni consumatori. Solitamente nel commercio fisico
significa ottimizzare non massimizzare per soddisfare il consumatore.
I discount solitamente riescono a ridurre il numero di addetti che seguono una
logica drastica di abbattimento dei costi.
RIASSUNTO
Gli intermediari cercano di massimizzare la redditività in due modi:

1. attraverso la redditività delle vendite: massimizzano Ml/scorte e Ml/superficie


ed ottimizzare Ml/addetti
2. attraverso la rotazione del capitale

TENDENZE FORMATI DISTRIBUTIVI


Si possono distinguere formati food, non food e food & non food

FORMATI FOOD ALIMENTARI:


1. Dettaglio tradizionale: dimensioni ridotte, posizionate su una fascia elevata o di
nicchia
i. Esempio: negozio gastronomico solitamente posizionato su un livello
elevato e punta sulla redditività delle vendite
2. Superette: dimensioni maggiori: negozio 400 e 800mq con max 5 casse barriera,
fornisce tanti servizi (punta sulle consegne a domicilio, punta sull’ultimo miglio),
lavora in condizioni difficili (struttura di costi elevata), situato in città, raggiungibile
a piedi, scontrino medio basso.
3. Supermercato: dimensioni circa 800mq, esistono varie tipologie:
- Tradizionale: vende grossery ovvero tutto il confezionato sia alimentare
che per la casa

Il supermercato è la trave portante del commercio italiano poiché si adatta meglio


alle dimensioni dei centri urbani

- Integrato: come il superstore con dimensioni circa 1200, 1400mq che


incorpora una parte non food più sostanziosa

Il supermercato non è un punto vendita a basso prezzo, non è every day low price, ma
effettua degli sconti su una parte limitata dell’assortimento (volantini).

FORMATO FOOD E NON FOOD


1. Ipermercato: dimensione superiore ai 2500 mq, la logica è quella di vendere a
basso prezzo il non food (bazar) per attirare i clienti e vendere ad essi anche la
parte alimentare dove i margini sono elevati. La sua caratteristica è avere tutti i
giorni dell’anno prezzi bassi su tutto l’assortimento, è un every day low price.
Collocazione extra urbana, necessità di avere un mezzo di trasporto per
raggiungerlo, il parcheggio è fondamentale. Comparto in crisi a causa di un
cambiamento di acquisto della popolazione (famiglia) determinato da:
- maggior tasso di invecchiamento della popolazione; un fattore che mette
in fuorigioco tutti i formati distributivi non adatti all’anziano. Si punta
allora su formati distributivi più piccoli locati in centro città.
- frequenza maggiore di spesa e con uno scontrino inferiore: meno tempo
per fare la spesa, si va più frequentemente e si compra meno (l’online
viene incontro a tali esigenze)

L’ipermercato comporta invece una tipologia di spesa differente: carrello pieno e


scontrino lungo con una cadenza 15gg circa. Per tale motivo i grandi ipermercati
francesi lasciano l’Italia.

Conseguenza: Gli indipendenti locali e le catene di supermercati stanno aggredendo


gli spazi degli ipermercati.

- cattiva gestione del bazar, non capace di attirare pubblico nel punto
vendita (eventi vendita, promozione etc..)

2. Discount: origine tedesca, sono prevalentemente food ma esistono anche i non


food. L’entrata dei discount ha rivoluzionato il commercio poichè applica il prezzo
più basso del mercato, il suo rapporto qualità/prezzo può essere più alto del
rapporto di una mega boutique in centro città. Si tratta di un business low price
che prospera in periodi di crisi economica. Ci sono:
 Hard discount: concetto tedesco dove tutti i costi sono ridotti al minimo, si
chiamano anche baby shark
 Soft discount: tipologia edulcorata maggiormente diffusa in Italia, meno
aggressivo dell’hard discount, ossia alleggerito grazie alla presenza di:
- qualche servizio maggiore
- marche settore (es. coca cola)

Tipicamente nei discount si trovano marche di fantasia (non commerciali sui quali non
si investe). Il discount fa produrre nel Paese o anche all’estero e ricercano i fornitori
che praticano il prezzo minore, è un business assai difficile quello del low cost poiché
comporta un sistema interno di controllo assiduo e ferreo.
L’entrata del discount nel mercato italiano ha determinato un cambiamento epocale
dettata da una politica di prezzi più bassa del mercato (Aldi discount tedesco)

FORMATO NON FOOD


Il formato più antico e classico del commercio è il grande magazzino, molto diffuso in
Inghilterra e Francia, è composto almeno da 5 reparti specializzati, la logica è
inglobare in un unico stabilimento varie merceologie seguendo la logica per cui se si
crea traffico per una merceologia poi il cliente comprerà anche altre.

Il grande magazzino non diffuso in Italia, solo COIN è riuscito a resistere grazie ad OVS
(superficie specializzata). La sua quota di mercato è molto limitata rispetto all’estero.
Motivi:

- Consumatore italiano che non si accontenta è coerente con un sistema


industriale che è composto da piccole e medie aziende con un’offerta
molto differenziata. La domanda italiana non è omogenea. La domanda
italiana è disomogenea (ognuno vuole qualcosa di diverso e l’offerta
risponde con prodotti differenziati.)

All’estero viene data meno importanza all’abbigliamento e più importanza al fattore


costo, per questo è maggiormente diffuso il grande magazzino-> La domanda estera
è relativamente omogenea

PREMESSA SULL’ASSORTIMENTO
Le 4 dimensioni dell’assortimento sono:

1. Ampiezza: numero di linee


2. Profondità numero medio di prodotti per linea
3. Estensione: numero complessivo di prodotti che fanno parte dell’assortimento
4. Coerenza: la condivisione di risorse dei prodotti che fanno parte
dell’assortimento (es. marchio unico)

Queste dimensioni consentono di distinguere diverse tipologie di assortimento:

 Assortimento despecializzato: molto ampio e poco profondo


 Assortimento specializzato: poco ampio e molto profondo
 Assortimenti estesi: molto ampi e molto profondi (GSS)
GSS (GRANDI SUPERFICI SPECIALIZZATE) -> IKEA, UNIEURO ETC..
Si tratta di un paradosso economico poiché la sua idea è quella di offrire un
assortimento molto esteso (ampio e profondo) tuttavia, un assortimento esteso è
costoso poiché ci sono articoli che ruotano molto e altri meno (sono presenti solo per
dare una immagine di completezza all’assortimento). Propone anche un assortimento
praticando prezzi molto bassi.

Paradosso economico:

- Assortimento esteso
- Politica di prezzi molto bassa anche su merce che non ruota

Tale logica consente alle GSS, all’entrata di un mercato, di espellere tutti i concorrenti
e di appropriarsi di una quota elevata del mercato (30/40%) sopportando costi elevati
(primi anni). Una forma particolare di GSS è la category killer che adotta sia un
vantaggio di assortimento che di prezzo.

Il principale rivale è l’e-commerce che non ha la stessa struttura di costi. Inizialmente


i principali nemici erano gli ipermercati che per molti anni avevano un reparto non
food (bazar) e per attirare traffico nel punto vendita vendeva sotto-costo mettendo
in crisi chiunque che al di fuori vendesse lo stesso prodotto.

La vendita sotto-costo (inferiore al prezzo di acquisto al fornitore) è ad oggi divenuta


illegale poiché ritenuta concorrenza sleale, ed è concessa solo in alcune settimane
all’anno. Origine delle GSS che varia in base a diverse situazioni:

Prima situazione nei settori con:

1) scarsa concentrazione dell’offerta industriale (fornitori): a monte si ha una


situazione polverizzata, ovvero:
- molti piccoli fornitori
- con prodotti differenti tra loro,
- senza potere di mercato
2) scarsa segmentazione della domanda-> a valle della GSS, significa che tutti i
clienti cercano gli stessi prodotti

Vantaggio della GSS: a monte la GSS riesce a fare/emettere ordini di grandi


dimensioni, di fronte a tanti piccoli fornitori può avere un forte potere di mercato ed
avere economie di approvvigionamento e praticare prezzi più bassi.
A valle la scarsa segmentazione aiuta al GSS poiché consente di consolidare ordini
cospicui di poche items

Esempio-> giardinaggio e bricolage, Brico

Questo binomio ha consentito alla GSS di inserirsi con vantaggio.

Seconda situazione settori con:

1) Elevata concentrazione industriale -> a monte ci sono forti player (apple,etc)


2) Scarso livello di segmentazione della domanda -> a valle tutti vogliono la stessa
cosa, la distribuzione delle preferenze è ristretta, domanda omogenea

Vantaggio della GSS: La GSS può agire a valle dove vi è omogeneità relativa della
domanda, la GSS consolida dei grandi ordini e negozia con i forti player cercando una
riduzione dei costi di acquisto da ribaltare sulla domanda funzionano come agenti
a favore della domanda per applicare dei prezzi accessibili a valle. Sfruttano il potere
contrattuale che hanno grazie alla dimensione dell’ordine. L’online riduce gli ordini
che possono fare motivo di minaccia della GSS.

Esempio: elettrodomestici/ elettronica

Terza situazione, settori con:

1) scarsa concentrazione dell’offerta-> a monte tanti fornitori con basso potere di


mercato
2) forte segmentazione della domanda -> a valle la domanda è eterogenea, tutti
vogliono qualcosa di differente

Vantaggio della GSS: La GSS può agire a monte, ha vantaggio nell’offerta, tuttavia, ci
sono tante nicchie di mercato. La GSS si inserisce nella fascia medio-bassa di mercato,
poiché quella alta è troppo difficile da inseguire. Con assortimenti concentrati sulla
marca commerciale (IKEA). Si fanno accordi con tanti piccoli produttori applicando la
propria marca commerciale e si piazzano sul mercato

Esempio: arredamento

Solitamente le GSS operano su un mercato trasnazionale, alla ricerca della quota di


mercato e ad oggi sono impegnati nella lotta all’e-commerce.
CENTRI COMMERCIALI
Non sono un formato distributivo vero e proprio, è una operazione immobiliare che
ingloba un elevato numero di esercizi commerciali. Ci sono varie tipologie:

1) Regionali: Necessitano di una rete viaria molto sviluppata (ampi parcheggi).


La superficie di vendita è tra i 30.000 e 100.000 mq, fino a 200 negozi,
solitamente hanno come traino minimo due grandi superfici, si collocano in
periferia delle grandi città
2) Intercomunali: più piccoli, la superficie di vendita è tra i 20.000 e 40.000 mq,
da 30 a 100 negozi mediamente, l’ipermercato che funge da traino
3) Di prossimità
4) Gallerie commerciali: sono dei piccoli centri, insieme di punti vendita
concentrati nello stesso immobile.

Il principio che li accomuna è la posizione in zona extra urbana (solitamente), si parla


di un centro che è pianificato (centri pianificati extra-urbani) nel cui interno si trova:

- un traino (una grande superficie) ossia creazione di traffico come un supermercato,

- un determinato numero di negozi

L’operazione è solitamente guidata da una società immobiliare. Di fatto gli attori


coinvolti sono:

A. società immobiliare che ha creato il centro


B. il traino
C. la galleria: l’insieme degli altri negozi.

La dimensione dipende dalla natura del centro.

La problematica del centro commerciale risiede nelle logiche d’azione, interessi e


obiettivi differenti perseguiti dai tre soggetti che sono in relazione tra loro, alla base
c’è la domanda che dovrebbe essere attratta dal centro.

Le problematiche:

I. società immobiliare: ha costruito il centro ed il suo interesse è di natura


finanziaria affittare i punti vendita
II. traino: è una insegna che rispecchia le logiche del supermercato e ha bisogno di
creare traffico, ha le sue logiche interne di politiche promozionali,
posizionamento etc
III. la galleria: composta da piccoli negozi che se non ci fossero penalizzerebbero
l’attrattività dell’intero centro commerciale, vivono del traffico generato dal
traino ma allo stesso tempo rendo il centro più attrattivo.

Il centro commerciale è un espediente per aggirare la Legge 426/71 protezionistica


che impediva, in Italia, l’apertura di grandi superfici per difendere il piccolo
commercio.

Centro commerciale definito un non luogo poiché tutti uguali tra loro con i medesimi
negozi, senza carattere distintivo.

I comportamenti dei tre soggetti sono in conflitto tra loro.

Conflitto traino- galleria: Esempio: la promozione di un prodotto venduto sia dal


traino che dal negozio della galleria i negozi sono svantaggiati. Se però i negozi
chiudono allo stesso tempo perde di attrattività tutto il centro commerciale

Conflitto società e punti vendita: La società immobiliare vuole affittare i punti vendita
ma allo stesso tempo deve mantenere una coerenza merceologica, altrimenti perde
di attrattività e gli affitti calano.

- Il vantaggio del centro commerciale le merceologie sono programmate


- Nel centro città le aperture sono a discrezione dell’imprenditore. Il
problema del centro urbano (centro commerciale naturale) è
l’incoerenza dell’offerta (più forte in alcune merceologie e meno forte in
altre )

L’e-commerce fa soffrire entrambi ma il centro città di più

Tre evoluzioni del centro commerciale all’attacco dell’e-commerce:

1. retail park (i punti vendita non sono tutti sotto lo stesso tetto: composto da
molti edifici uno accanto all’altro) con area leisure (area intrattenimento es.
cinema)
2. estensione della galleria o ristrutturazione interna inserendo entraitenement,
leisure, animazione, servizi (non sono solo retail park ma aggiungono altri
servizi)
3. via mista (misto di centri commerciali, uffici, entraitenement, piazza, cinema):
quasi la ricostruzione di un sobborgo al fine di mantenere il traffico della
clientela. L’obiettivo è mantenere il traffico

Come rivitalizzare il centro storico cittadino (centro commerciale naturale)? Una


strada:

Problema centrale: ricambio lento dei negozi, scarsa capacità innovativa del
dettagliante, incoerenza dell’offerta (ridondante e lacunosa)

 occorre accelerare il ricambio degli esercizi commerciali che è possibile


inserendo delle micro-gallerie (pianificate) all’interno del centro urbano, da
replicare quelle dell’extra urbano ma che riescano a fungere da punti di
traffico e di attrazione, in modo tale così da accelerare il ricambio dei punti
vendita meno innovativi che si trovano in centro città. Significa che queste
gallerie devono avere punti vendita piccoli da inserire nel centro urbano.
Piccoli ma a forte capacità attrattiva in termini di offerta.

FASHION OUTLET CENTER - FOC


Outlet: tipologia di centro commerciale.

Origine: nasce come insediamento accessibile viario (decentrata rispetto alle città)
dove far confluire la merce non venduta nella stagione precedente (assortimento di
marche invendute della stagione precedente) dove si trovavano prevalentemente
marche di lusso a prezzo vantaggioso.

Comporta il sostenimento di costi molto elevati.

Problemi: si è snaturato il loro business originario: le aziende, visto il grande traffico


nei FOC, hanno iniziato a creare collezioni ad hoc per i FOC diverse da quelle ufficiali.
Chi gestisce i FOC con vari negozi hanno iniziato ad ospitare anche marche di basso
livello e quindi negozi non in grado di proporre lo stesso vantaggio del FOC originario.
La domanda ha capito l’andazzo e sono andati in crisi i FOC. Ciò ha fatto perdere
l’unicità del FOC.

I FOC hanno un bacino transregionali

Soluzione di alcuni FOC che resistono: mantenere un equilibrio tra marchio di lusso e
marchi di medio-basso livello, altra soluzione trovata è la posizione vicina a centri
d’arte per attirare i flussi turistici.
ASSOCIAZIONISMO
L’associazionismo nel commercio assume due forme più una forma che è il franchising
(quasi integrazione). Il commercio associato rientra nella categoria della distribuzione
organizzata e vede la presenza più imprenditori, ciascuno con un punto vendita, che
decidono di collaborare con altri soggetti imprenditoriali:

1. Unioni volontarie (despar)-> un operatore, un ingrosso che affilia vari dettaglianti.


Si tratta di un associazionismo verticale (dall’ingrosso a livello inferiore verso il
dettaglio) poichè consolidando gli ordini provenienti da tutti gli associati, il
grossista riesce ad avere maggior potere di mercato nella negoziazione verso i
produttori-> consegue economie di approvvigionamento a monte ed erogano
servizi agli associati (merchandising, marketing, consulenza per la contabilità).
2. Gruppo di acquisto-> associazionismo orizzontale, vari dettaglianti che si
uniscono, collaborano e mettono in comune gli ordini per avere maggior potere di
mercato nella contrattazione a monte verso il fornitore. Il gruppo di acquisto vede
la presenza di dettaglianti che collaborano e si fanno rifornire in modo più
economico grazie alla dimensione dell’acquisto. L’unione di più gruppi di acquisto
dà luogo a centrali di acquisto-> solitamente fa un contratto quadro con il
fornitore, ovvero un contratto che decide le linee generali della fornitura vi è poi
un secondo livello di contrattazione per specificare l’ordine dove entra in gioco la
forza di ciascun associato.
Dall’unione di più centrali di acquisto si generano le super centrali di acquisto->
strutture che emanano ordini per vari gruppi di acquisto centrali e per vari centrali
di acquisto.
Ratio: le super centrali hanno il compito di aggregare gli ordini da parte di vari
gruppi di acquisto per fare un ordine di dimensioni più elevate e spuntare più
sconti a monte dai fornitori. Gli sconti sono da ribaltare sugli associati.
Si caratterizzano per forti disuguaglianze all’ interno. Ci sono due modelli di
acquisto Conad e Crai che sono due gruppi di acquisto:
 MODELLO CONAD: adotta una politica di segmentazione della base sociale
per canali di vendita con progressiva contrattualizzazione del rapporto
associativo tra il gruppo e il singolo associato: significa stabilire, in un
contratto formalizzato, tutte le condizioni per far parte del gruppo. Per
usare le insegne del gruppo, infatti, occorre che l’associato rispetti delle
politiche commerciali e di marketing stabilite dal gruppo. L’idea di fondo è
uno sviluppo lento ma con griglie ferree di selezione posta dal gruppo
(ubicazione, dimensione, servizio offerto ..).Ciò che è importante è avere
una politica commerciale omogenea all’interno del gruppo.
- Sviluppo più selettivo ma anche più lento
 MODELLO CRAI: lo sviluppo si ha sia attraverso l’associazione di nuovi piccoli
gruppi sia attraverso l’associazione diretta di piccole catene di supermercati.
- Sviluppo veloce al fine di avere maggiore potere contrattuale verso i
fornitori.
La logica è Il numero di associati a scapito della selezione accettando un
certo di rischio di disomogeneità all’interno del gruppo in termini di politiche
commerciali/marketing. Rischio di inefficienza nelle politiche di
differenziazione tra i formati. Ha una maggiore velocità di azione rispetto al
modello CONAD

I punti centrali sono:

- economie di approvvigionamento (migliori condizioni di vendita


ottenute dai fornitori)
- grado di disomogeneità delle politiche di marketing

1. FRANCHSING: in Italia è molto diffuso, le catene di franchising sono riuniti nell’asso


franchising. L’investimento richiesto viene effettuato dal franchisee che da al
franchisor una somma tra il 10 e 50 mila per aprire un negozio. Si tratta dii una
somma indicativa. In cambio il franchisee ottiene la formula commerciale che
grazie al conferimento di una insegna consente di saltare la fase di avviamento del
negozio e essere già noti, tuttavia, l’affiliato si deve impegnare ad acquistare una
certa quantità di merce dal franchisor ed in cambio ottiene tutti gli strumenti di
consulenza per l’apertura. È diffuso in tutti i settori, la superficie tra i 20 e 60 mq.
Si tratta di un contratto che ha la capacità di resistere alle crisi. Il franchisor ottiene
dal franchisee il canone di entrata + royalties, senza sostenere l’investimento fisso
di comprare i negozi.
Problematiche centrali:

- Conflitto tra affiliato e affiliante al calo del fatturato

- Danni di immagine se il franchisee non si rispetta il contratto alla lettera


-Franchisee si appropri del know-how del franchisor e inizi un business per
conto proprio-> per tale motivo il franchisor non permette ai vari franchisee
di unirsi

Il franchising è una quasi integrazione più che una forma di associazionismo, è uno
strumento di crescita efficiente e rapido poiché quando si va all’estero e si devono
superare barriere culturali è utile collegarsi con un accordo ad un franchisor locale e
si apre un negozio-> utile per l’internazionalizzazione del marchio

IL SUCCURSIONALISMO ASSOCIATIVO
La tendenza dell’associazionismo è verso il succursionalismo associativo che è la
tendenza delle succursali (grande distribuzione, ovvero le catene) a aprire punti
vendita tipici dell’associazionismo come franchising. Allo stesso tempo le succursali
non rinunciano ad aprire anche punti vendita di proprietà del gruppo (non associato).
Tale fenomeno di creazione di reti vendita miste ha una sua logica, ossia dei vantaggi:

- Aprire un negozio di proprietà ed affiancarlo ai punti vendita degli


associati, consente di usarlo come benchmark di riferimento proprio
perché si ha un pieno controllo sul negozio. Si osservano le performance
di quel negozio (performance comparativa tra i vari associati) -> funzione
comparativa all’interno del gruppo
- Una catena di grande distribuzione che apre dei negozi in franchising
avrà il vantaggio di avere un franchisee che pensa con la propria testa
(coscienza critica della catena, fa venire a galla tutti i problemi e li
comunica ai vertici) “grillo parlante”
- Aprendo dei punti vendita in franchising è possibile avere uno sviluppo
più veloce nella copertura del territorio rispetto all’alternativa di
costruire un proprio punto vendita di proprietà

Competizione forte tra grande distribuzione e distribuzione organizzata


(cooperative):

 la grande distribuzione è composta da imprenditori che decidono di aprire


punti vendita
 Le cooperative sono protette politicamente e quindi hanno benefici fiscali
che si ribaltano sui prezzi al consumo facendo così concorrenza sleale
(distorsione della concorrenza)  si comportano secondo i principi dei
privati ma traggono vantaggio dai benefici fiscali, distruggendo la
concorrenza.

LOGICA A FAVORE DELLE COOPERATIVE: Le cooperative motivano tale strategia accusando


la grande distribuzione di essere solo profit oriented mentre loro prestano attenzione
ai propri soci con una serie di benefici: ribaltano i loro risultati non a favore di un solo
imprenditore ma a favore dei propri soci.

Esempio: Usano gli utili che conseguono abbassando i prezzi per i propri soci.

I prodotti a marca commerciale sono generalmente, nel loro settore, meno cari
rispetto ai prodotti di brand nazionale industriale, tuttavia, nel resto
dell’assortimento hanno prezzi leggermente maggiori rispetto alle catene
commerciali.

MARCA COMMERCIALE- PRIVATE LABEL


Il retail mix è l’insieme delle leve commerciali del retail che fanno riferimento alla
gestione del punto vendita. Attorno al consumatore che si reca dal dettagliante
operano diverse leve quali:

- la promozione, il personale, l’assortimento (prodotto), il prezzo,


presentazione (allestimento), la distribuzione

Il prodotto e la presentazione sono particolarmente fondamentali

A) All’interno del prodotto si trova la marca commerciale. La marca commerciale


si diffonde in periodi di crisi.
B) Presentazione= merchandising

La marca commerciale è lo strumento principale di competizione nel commercio nei


confronti della manifattura (fornitura). La sua presenza dimostra che le funzioni di
progettazione e sviluppo di un prodotto e quindi l’interpretazione la soddisfazione di
bisogni della domanda non sono prerogativa esclusiva dei produttori ma dimostra che
anche altri sono capaci di farlo.

Nella negoziazione si può far valere anche questo. La diffusione della marca
commerciale è la sostituzione in chiave strategica dell’azienda commerciale
all’azienda fornitrice (azienda manifatturiera)
- Valenza politica: dichiararsi capaci di sostituire qualcuno e assumere
una posizione predominante sul mercato.

La politica di marca commerciale:

OBIETTIVI
Perché si lancia una marca commerciale? Ci sono vari obiettivi:

I. OBIETTIVO: Offrire al cliente un assortimento equilibrato come alternative di


acquisto in una data categoria merceologica:
- ruolo complementare della marca commerciale rispetto a quella nazionale.
- Il percorso tipico di sviluppo della marca:
I. prodotto generico non marcato
II. marca insegna
III. marca di primo prezzo: strumento principale dei supermercati contro i discount.
Es. maracas
IV. marca premium: al quale si associa un prezzo più elevato

V2 CIOCCOLATE TAVOLETTA 100 gr:

- Viviverde coop: 1,28€


prezzo X3
(marca commerciale)
EFFETTO - Fior fiore coop: 1,17€
X2 INSERIMENTO V2 (marca commerciale)
- Milka: 1,18€ (marca
X1 leader)
EFFETTO
- Novi: 0,98 €
V1 INSERIMENTO V1
- Lindt: 1,29€
- Rittern: 0,91€
prodotti - Solidal coop: 0,85€
- Maracas: 0,49€

Grafico: esempio di una linea costituita da tre prodotti con diversi livelli di prezzo
disposti su una scala da 0 a 100. Marca leader, marca premium o follower

 Due casi limite di introduzione di un nuovo prodotto per capire l’effetto


sull’intero assortimento
1. V2 posizionato a un livello di prezzo elevato
EFFETTO:
I. Da X3 a V2  una parte di chi prima acquistava il prodotto più costoso si
trasferisce a V2,
II. Da X2 a X3  una parte invece passa alla marca inferiore

Trading up: traslazione dell’intera linea in un posizionamento più alto in termini di


immagine, status e prezzo- > tutti i prodotti si spostano in su.

Due effetti dell’inserimento di V2:

- Trasferimento dei clienti da X3 a V2


- Immagine dell’intera linea che si alza

2. V1 posizionato a un livello di prezzo inferiore, una marca di primo prezzo

EFFETTO:

I. Trasferimento dei clienti da X1 a V1


II. Trasferimento dei clienti da X2 a X1-> Immagine dell’intera linea che si abbassa

Trading down: immagine dell’intera linea che risente dell’introduzione di un nuovo


prodotto a basso costo minor qualità percepita, minor immagine

L’obiettivo generale dell’introduzione di un nuovo prodotto nell’assortimento


dovrebbe essere quello di attirare nuovi clienti non semplicemente far trasferire da
un prodotto ad un altro i clienti attuali.

La gestione deve tener conto sempre del margine netto ovvero al netto del margine
che si perde: confronto tra margine che si ottiene dalla vendita del nuovo prodotto
ed il margine che si perde dall’acquisto, da parte dei clienti, di un prodotto di prezzo
inferiore-> occhio alla redditività

L’inserimento di una marca commerciale funziona se il margine sull’unità di marca


commerciale è consistente tale da compensare la perdita di margine dovuta al fatto
che il cliente non compra più la marca leader o follower industriale.

II. OBIETTIVO: Offrire convenienza rispetto alle alternative industriali (es. Coop
nell’oligopolio latte per infanzia).
- Risparmi provenienti da: minor prezzo d’acquisto, economie di
approvvigionamento a monte, minori investimenti in comunicazione per
arrivare sugli scaffali, assortimento meno profondo
- Qualità intrinseca riconosciuta, e differenziale di prezzo superiore al
differenziale di qualità. Quando vi è una qualità intrinseca riconosciuta i prezzi
tendono ad avvicinarsi a quelli dei leader industriali. Quindi se qualitativamente
i prodotti sono simili ed il prezzo della marca commerciale è più conveniente,
allora il consumatore sceglierà la marca commerciale.
III. OBIETTIVO: Ottenere più alti margini unitari di ricarico e modificare la struttura
del fatturato di categoria a favore della marca commerciale
- La marca commerciale resta in assortimento se margine complessivo per unità
di spazio è superiore a quello medio di categoria. La marca commerciale ha
senso non se guadagna (ha mergine) ma se aumenta il margine complessivo di
tutta la categoria.
- Di solito la marca commerciale gode di margini unitari elevati, a causa delle
condizioni di vendita monopolistica, e minori margini complessivi a causa della
inferiore rotazione (a causa della mancanza della leva legata alla comunicazione
mentre beneficia delle leve legate al prezzo e allo spazio espositivo). Ciò rafforza
la logica del merchandising (gestione dello spazio espositivo): maggiore è il
campo di variazione dei margini unitari delle marche, maggiori sono le
opportunità di manovrare quantità e qualità dell’esposizione. Se invece, in caso
contrario, si ha lo stesso margine per tutte le marche dell’assortimento
(discount) il merchandising diventa una leva poco rilevante. Se ogni marca
produce un margine diverso, si può sfruttare la leva del merchandising e quindi
la gestione dello spazio espositivo (spazio pregiato e spazio meno pregiato)

NB: la marca commerciale vive una condizione di monopolista

IV. OBIETTIVO: Differenziare l’assortimento e ridurre l’interdipendenza


oligopolistica (mercato composto da pochi attori che si suddividono quote di
mercato elevate) nei confronti degli altri retailer-> significa ridurre la capacità
dei concorrenti di fare competizione poiché ci si rende più indipendente da loro
se si adotta una propria marca commerciale.

- La concorrenza di prezzo tra le marche nazionali è alta e può produrre


sovrapposizione assortimentale. La marca commerciale consente di limitare le
sovrapposizioni, poiché espelle dei produttori. Proprio perché se lo spazio espositivo
è limitato e si ha una propria marca commerciale, significa che occorre far uscire
qualcun altro

- Inoltre, se i minori prezzi della marca commerciale si combinano con maggiori


margini unitari, la marca commerciale non è oggetto di reale concorrenza di prezzo,
perché nel commercio la concorrenza di prezzo opera solo su prodotti perfettamente
sostituibili. (Infatti, se tutti i retailer sviluppassero la marca commerciale,
diventerebbero tutti più profittevoli: è l’unica politica di marketing che migliora la
performance collettiva dei retailer mentre politiche promozionali innescherebbero
nell’immediato meccanismi concorrenziali)

NB: un prodotto che riporta la marca commerciale del proprietario gli garantisce un
margine superiore rispetto ad altri prodotti di altre marche, per tale motivo sono
maggiormente interessati a proporre in primis al cliente tali prodotti.

V. OBIETTIVO Sviluppare la fedeltà del consumatore all’insegna


- Per conseguire tale obiettivo è necessario che il consumatore riconosca la marca
commerciale come marca dell’insegna, altrimenti potrebbe essere scambiata per
la marca di un produttore
- Quando la marca commerciale è riconoscibile si può affidarle l’obiettivo di
sviluppare la fedeltà del consumatore.
- Il distributore coniuga store loyalty e brand loyalty: l’insegna garantisce sulla
qualità del prodotto con marca commerciale, e quando il cliente è soddisfatto
diventa fedele all’insegna. Infatti, quando il cliente acquista la marca commerciale
in varie categorie, i suoi costi di switching verso altre insegne aumentano (rischio
dii non trovare ciò che si sta cercando).
 Quando la brand loyalty determina la store loyalty e viceversa:
- fino ad una certa quota di mercato della marca commerciale, è la fedeltà
all’insegna a determinare la fedeltà alla marca commerciale quando la marca
commerciale rimane limitata nel paniere dei clienti è la fedeltà all’insegna (store
loyalty) a determinare la fedeltà alla marca commerciale
- Oltre quella quota (forse intorno al 25% del pianiere), è la fedeltà alla marca
commerciale che innesca la fedeltà all’insegna. Si va alla coop solo perché c’è il
prodotto coop fedeltà al brand che determina la store loyalty.
VI. OBIETTIVO Aumentare il potere contrattuale negli acquisti.

- Nella categoria, il potere contrattuale del retailer aumenta quanto maggiore è la


quota della marca commerciale.

- Esempio: il potere di mercato della coop nella pasta è tanto maggiore quanto
maggiore è la quota di mercato delle marche commerciali coop sul totale delle vendite
di pasta della coop
- L’interbrandcompetition aumenta dove è presente una forte marca commerciale:
perché lo spazio espositivo disponibile ai produttori si riduce, allora, qui i fornitori
dovranno investire maggiori risorse nel trade marketing in risposta all’aumento del
tasso di competizione.

- Nelle categorie a bassa innovazione si possono trovare marche commerciali leader


o in seconda posizione.

NB: la marca può perseguire uno o più obiettivi

Gli obiettivi cambiano intensità secondo il tipo di marca commerciale

- Marche commerciali riconoscibili


- Marche commerciali non riconoscibili
A) Marca commerciale riconoscibili: posizionata nel segmento d’offerta della marca
leader e sono sviluppabili solo se il co-packer produce qualità in linea con il
leader. Proposte con comunicazione basata sull’assenza di differenziazione, per
far risaltare il prezzo minore. Tutto, compresa l’allocazione nello spazio espositivo
degli scaffali, cerca di far percepire la marca commerciale come un prodotto
analogo a quello del leader.
Obiettivo della fedeltà prioritario alla marca rispetto all’obiettivo della
convenienza di prezzo.

NB: Il retailer non è un produttore ma per proporre prodotti con marca commerciale
deve fare dei contratti con fornitori che accettano tale accordo (i co-packer)

co-packer: fornitore che produce senza marcare e che successivamente marca con la
marca del retailer

B) Marche commerciali non riconoscibili: Posizionate nel segmento di prezzo


intermedio e tra i primi prezzi. Assenza di comunicazione.

Obiettivo della convenienza prioritario: essere percepiti come i più convenienti

NB: le marche presenti nei discount sono marche fantasia sulle quali non si investe
per il loro sviluppo.

La comunicazione di convenienza che effettua la LIDL, nei suoi spot pubblicitari, la


effettua non mettendo in evidenza il proprio assortimento ma mostrando articoli che
non fanno parte, abitualmente, dell’assortimento del discount, ma che in un
determinato periodo, è possibile acquistare alla Lidl ad un prezzo conveniente è
una scelta corretta poiché comunica convenienza, crea traffico e allo stesso tempo
non può vendere prodotti che già sono venduti al prezzo più basso del mercato e
calare ulteriormente il prezzo.

Tipi di marca commerciale in funzione della riconoscibilità quindi della possibilità di


garantire qualità del prodotto:
a) Marche plagiate

b) Marchi fantasia di prodotto (qualità non garantita poiché non facilmente riconoscibili)

c) Generici semplici (shop in shop)--> cornflakes sfusi

d) Generici garantiti (produits libres Carrefour 1976)

e) Marchi fantasia di assortimento alternativi al leader ind.le (Consilia, Selex: marchio ombrello con
massa critica)  sono distribuiti in più insegne per fare massa critica e riuscire ad ottenere uno
sconto dal produttore nel momento della negoziazione della fornitura  poiché maggiore è l’ordine
e minore è il prezzo.

Massa critica: significa raggiungere una dimensione/volume dell’ordine tale che consente di
ottenere degli sconti e delle economie di approvvigionamento

f) Marchi fantasia di assortimento alternativi al discount (Numero 1 carrefour, Pollice auchan, Fidel
esselunga)

g) Marchi fantasia di assortimento nella fascia premium (Sapori & dintorni, Terre d’Italia, Sapori
delle regioni, FiorFiore)

h) Marca coincidente con l’insegna oppure affiancata alla marca dell’insegna (GS)

NB: gli obiettivi assegnati alla marca commerciale variano dal passare da una marca
all’altra, dal passaggio da A ad H:

- Diminuisce la presenza dell’obiettivo “convenienza di prezzo”


- Cresce la presenza degli obiettivi “fidelizzazione dell’insegna” “differenziazione
dell’assortimento”, “Aumento della marginalità di categoria”, soprattutto in g) e
h)

IN QUALI CATEGORIE NON ENTRARE CON LA MARCA COMMERCIALE?


 Non entrare nei settori caratterizzati da offerta polverizzata, prodotto
omogeneo, anche se i fornitori non dispongono di potere di mercato (caso
carne bovina fresca  perché si tratta di prodotti rischiosi per la salute
dell’uomo, se qualcosa dovesse andare male vi è apposto il marchio
dell’insegna che subisce un notevole danno. Allora la tendenza è quella di
creare delle proprie filiere
 Non entrare nei settori caratterizzati da offerta molto concentrata, dove
sono presenti leader con forte differenziazione qualitativa. I sostituti di
Nutella o di Coca Cola sono presenti non per motivi di vendita o di margine,
ma per rafforzamento della posizione contrattuale nei rapporti di canale nel
medio-lungo termine. Ovvero per rafforzare l’immagine di essere in grado
di coprire l’intera categoria ed essere indipendenti.
 Non entrare nei settori dove il ciclo di vita del prodotto è molto breve.
Significa che c’è una frequente innovazione che per il retailer non va bene.
Non entrare nella fase di introduzione perché ci sono consistenti barriere
tecnologiche che aiutano il prodotto a svilupparsi e dunque sono richiesti
investimenti o nella fase di maturità (vendite del prodotto si sono
stabilizzate) perché in questa fase si tende a rilanciare il prodotto attraverso
l’innovazione per stimolare la domanda. (innovazione come arma principale
per i produttori per rispondere ai retailer)

NB: il retailer preferisce prodotti omogenei, categorie stanche dove il tasso di


innovazione è molto basso

IN QUALI CATEGORIE ENTRARE CON LA MARCA COMM.LE?


 Entrare nei settori caratterizzati da offerta non concentrata, presenza di più
marche industriali altamente sostituibili (omogenei), differenziazione
modesta della qualità, tecnologia semplice e accessibile, non-price
competition poco efficace (campagne di comunicazione sono spente) che
aumenta i costi ma lascia vuoto d’offerta presso i clienti più sensibili al
prezzo.
 Es: Coop non è entrata nelle bevande alcoliche; invece ha anticipato
l’industria nei detersivi ecologici per rinforzare l’immagine consumerista
dell’insegna.
 La giustificazione economica della marca commerciale non è solo il rapporto
costi/ricavi del suo sviluppo, ma soprattutto il riflesso sulla performance
dell’intera categoria.

NB: il retailer non è interessato alla vendita del singolo prodotto ma vendere
l’assortimento e le categorie
INDIVIDUARE E VALUTARE I COPACKER POTENZIALI
 I distributori più efficienti non acquistano i prodotti a marchio, ma li fanno
produrre, il distributore che manovra efficientemente la propria marca
commerciale è un soggetto che:
a) Selezionando i fornitori su numerosissimi requisiti: raccolta online di
informazione e-procurement sui fornitori
b) Definendo un capitolato di commessa rigoroso
c) Basando la trattativa sull’utile industriale invece che sul prezzo d’acquisto:
business low cost (discount) significa controllare i costi di produzione del
co-packer così da calcolare l’utile industriale da lasciargli. Il retailer deve
decidere, dopo aver raccolto le varie info, quanto il copacker deve
guadagnarci dal contratto.

NB: utile industriale utile calcolato sul prezzo che il copacker applica al retailer

Il vero business dei discount è il rapporto con i fornitori non tanto nel negozio,
riescono a spuntare sempre prezzi bassi, in cambio il discount da contratti pluriennali.

- Lato discount: riesce a spuntare prezzi bassi


- Lato copacker: garanzia di contratti pluriennali rinuncia da un lato al margine
ma dall’altro ha una maggiore garanzia di sicurezza legata ai contratti pluriennali
 E-sourcing: aumento dei fornitori potenziali inserendo in rete una richiesta
di accreditamento, poi trattata da agente digit.
 Stabilità del rapporto tra retailer e copacker nelle marche commerciali
riconoscibili, tranne nelle marche commerciali non riconoscibili posizionate
tra i primi prezzi perché l’interesse del retailer, in questo caso, è confrontare
i vari copacker alla ricerca del costo più basso.
 In Italia i copacker sono di solito piccole imprese, ma alcuni leader accettano
di produrre se si discutono anche assortimento, posizionamento a scaffale
e prezzi
 anche qualche grosso operatore accetta di fare il copacker a quel punto avrà
le proprie marche industriali e allo stesso tempo produrrà per il retailer. Il
rischio è di fare interbrand competition con sé stesso poiché la marca
commerciale finirebbe per danneggiare le proprie marche sugli scaffali. Una
possibile soluzione sarebbe quella di legare le due contrattazioni: fa la
fornitura da marcare con il prodotto coop però nel contratto si stabilisce la
posizione che devono avere i propri prodotti sullo scaffale oppure l’acquisto
dell’intero assortimento o anche si stabilisce nel contratto i prezzi da
applicare alle proprie marche

Tipi di fornitori:

a) Fornitori che non accettano di essere copacker

b) Copacker solo sul piano tattico per aumentare l’utilizzo degli impianti  copacker
occasionale

c) Copacker attivi, con impianti e reti vendita dedicate alle marche dei distributori
(gruppo Zara pasta):

- strategia multibranding: cannibalismo. La partnership sulla marca commerciale si


estende anche alla marca industriale tramite globalizzazione del rapporto verticale

- difficoltà di sostituire il copacker stabile

Attenzione: per il trade marketing industriale, la proliferazione di brand industriali


esclusivi rappresenta un’alternativa alla marca commerciale rischio per il retailer di
tornare ad essere come una marca del produttore

RETAIL MIX DELLA MARCA COMMERCIALE

PASTA 500gr:

- Pasta Rotocoop 0,76€  marca


commerciale normale
- Pasta Voiello: 1,26€
- Pasta Barilla 0,80€  marca
leader
- Pasta coop biologico (marca
premium commerciale): 1,20€
- Pasta Rossi tascioni: 0,29€ 
primo prezo

Il mercato di pasta secca in Italia ha un valore di 720mln

Differenziale di prezzo tra marche commerciali e prezzo medio di categoria:

Come si calcola e fissare il prezzo della marca commerciale? Testare la marca comm.le
in p.v. omogenei riducendo il prezzo relativo finché si ottiene un aumento del profitto
della categoria.
 Differenza tra marca premium Voiello e marca leader: 1,26 – 0,80 = marca
Voiello +57% rispetto marca leader
 Differenza tra marca biologica e marca leader: 1,20- 0,80 = marca biologica
commerciale +50% rispetto marca leader
 Differenza tra marca commerciale normale e marca leader: 0,76 – 0,80 =
marca commerciale normale – 5% rispetto marca leader
 Differenza tra primo prezzo e marca leader: 0,29 – 0,80= primo prezzo –
63% rispetto alla marca leader

RETAIL MIX DELLA MARCA COMMERCIALE


Fa riferimento alla promozione, prezzo ed assortimento della marca commerciale

• La marca commerciale è di norma un prodotto a mark up costante, il ricarico è


costante ed uguale per tutti i prodotti, non utilizzato per la promozione vendite.

Es: il discount fa un ricarico uguale su tutti i prodotti

La domanda è rigida perché il prodotto è in esclusiva si trova il prodotto coop solo alla
coop). La promozione vendite (sales promotion) si rivolge soprattutto a clienti della
marca industriale non abituali del punto vendita La promozione vendite è rivolta ad
attirare i nuovi clienti. Poiché non conoscono il prezzo normale della marca
commerciale, sarebbe poco efficace offrire loro uno sconto, perché non saprebbero
apprezzarlo correttamente (non sanno valutare una promozione) -> sarebbe poco
efficace offrire loro una promozione poiché non conoscono l’assortimento di marca
commerciale specifico dell’insegna

• Perché allora la marca commerciale nei panieri promozionali? A causa della


competizione esercitata dai discount nella fascia prezzo bassa. Se il leader di mercato
riduce il prezzo, la marca commerciale deve seguirlo  anche perché il leader di
mercato (barilla) ha il traino comunicazionale mentre la marca commerciale no. E se
la marca commerciale alza il prezzo per poi scontarlo e finanziarsi in parte la
promozione, il cliente memorizza il prezzo normale mantenuto “alto”. In realtà, per
competere con il discount è necessario l’EDLP (every day low price) -> modo di
affrontare il discount ed ipermercato

 Come rendere conveniente la marca commerciale senza toccare il prezzo e


veicolare quindi una immagine di convenienza:

- Evidenziazione della convenienza nel labeling


- Display merceologico per fasce prezzo

- Blocco dei prezzi nei periodi di inflazione

- Raddoppio dei punti nella carta fedeltà

- Promozione congiunta cross category con marca industriale complementare

- Sconti ai basso acquirenti del prodotto a marchio

- Inserimento dei prodotti a marchio nel volantino, ma a prezzo pieno -> aiuta la
percezione di convenienza della marca commerciale

- Pubblicità comparativa in store sulle alternative di marca

LA COMPETIZIONE VERTICALE
SWITCH DI PROSPETTIVA-> Come i produttori possono difendersi dalla marca
commerciale?

a) Matrice differenziale prezzi – assortimento

Nr. Di marchi industriali nella fascia prezzo della marca commerciale

BASSO ALTO
30%
I II
Differenziale di
prezzo della ALTO marche
Marche
marca commerciali
sperimentali
commerciale aggressive
rispetto alla
marca nazionale
industriale di IV III
pari qualità
BASSO
Marche Marche
profittevoli marginali

10%

La matrice consente di classificare i marchi commerciali nei 4 quadranti


I QUADRANTE: Pochi marchi industriali nella fascia prezzo della marca commerciale
ma marca commerciale che presenta un gap elevato rispetto al prezzo dei marchi
nazionali -> marche commerciali aggressive (prezzo basso che espelle il marchio
industriale, vogliono crescere nella quota di mercato anche a scapito della
profittabilità, infatti, mantiene un prezzo basso). Da tenere sotto controllo

 II QUADRANTE: Alto numero di marchi industriali ed alto differenziale -> marche


sperimentali sono alla ricerca di una corretta posizione rispetto al trade off quota di
mercato e margine (alla ricerca di un livello di prezzo)

 III QUADRANTE: alto numero di marchi industriali e basso differenziale: marche


marginali: il prezzo della marca commerciale è vicino a quello dei marchi industriali,
lo sviluppo della marca commerciale avviene solo come completamento
dell’assortimento senza una strategia precisa contro i marchi industriali

 IV QUADRANTE: basso numero di marche industriali nella fascia prezzo e basso


differenziale: marche profittevoli cercano di massimizzare il margine di
contribuzione anche a scapito della quota di mercato

b) Matrice del merchandising

Cm lineari per referenza di marca commerciale

BASSO ALTO

ALTO I II

marche
Marche
commerciali
aggressive
Qualità sperimentali

espositiva
IV III

Marche Marche
marginali profittevoli
BASSO
NB: per referenza di marca si intende l’articolo. Per riconoscere il leader di mercato
in un supermercato basta contare i facing quelli con maggiori facing sono i leader
di mercato.

NB: la qualità espositiva dello spazio espositivo ha due dimensioni:

- Qualità verticale:  i prodotti posizionati ad altezza mani-occhio sono


maggiormente venduti rispetto agli altri
- Qualità orizzontale: influenzata dalla direzione di provenienza del cliente:
decresce a seconda del flusso della clientela. Gli scaffali posizionati a fine corsia
sono penalizzati poiché il cliente prima di arrivarci è sottoposto agli stimoli
precedenti di altri prodotti posizionati su scaffali più vicini a lui. La probabilità di
acquisto decresce

NB: la qualità espositiva è presente anche online

NB: in entrambe le posizioni espositive di vantaggio si trovano o i prodotti che hanno


pagato per quel posizionamento o i prodotti ad alto margine e che quindi si ha
interesse nel far acquistare alla clientela.

I QUADRANTE: pochi cm dedicati alla marca ma alta qualità espositiva marche


sperimentali: poche ma piazzate bene probabilmente la marca commerciale è appena
stata inserita e la si sta testando

II QUADRANTE: molti cm dedicati alla marca e alta qualità espositivamarche


aggressive: molti facing e nello spazio più pregiato, utilizzo del merchandising per
crescere in quota di mercato. Da tenere d’occhio.

III QUADRANTE: molti cm dedicati alla marca ma bassa qualità espositiva marche
profittevoli: lo spazio più pregiato lo hanno venduto a caro prezzo ai marchi
industriali, insegna che pratica la vendita degli spazi espositivi.

IV QUADRANTE pochi cm dedicati alla marca e bassa qualità espositiva marche
marginali: sono marche commerciali che non gestiscono lo spazio espositivo.

NB: La categoria è un insieme di prodotti complementari e/o sostitutivi tra loro

E’ consigliabile difendersi contro le marche commerciali posizionate nel quadrante


“aggressivi”. Come?
Aumento promozioni nelle aree e nei clienti in cui la marca industriale è più debole
(sensibilità al prezzo della marca industriale è molto più alta della sensibilità al prezzo
della marca commerciale, quindi la promozione è più efficace ovvero l’elasticità
della domanda alle variazioni di prezzo è più elevata per le marche industriali
piuttosto che per quelle commerciali)

Aumento acquisti programmati attraverso couponing: coupon della cassa o online

Offerta di incentivi per migliorare la qualità espositiva

 Riconoscere premi di fine anno legati più alle quantità vendute che alla crescita
percentuale di quota di mercato, poiché se si legasse il premio di fine anno alla
crescita percentuale di mercato sarebbe possibile che accada una situazione nella
quale si ha una quota di mercato più elevata ma grazie all’aver espulso altri marchi
commerciali

 Riposizionamento per seguire la congiuntura, dato che marca commerciale cresce


in quota nei periodi di congiuntura negativa

 Lancio di una “marca tattica” come alternativa alla marca commerciale può
essere effettuata solo da gruppi che hanno un portafoglio di marchi uso tattico di
marche secondarie Come? abbassando il loro prezzo e non quello della marca leader
(il fine è quello di non rovinare il posizionamento)

 Azioni legali contro i distributori che plagiano il packaging

 Controllo stretto delle tecnologie di processo

IL MERCHANDISING
Ottimizzare l’utilizzo della capacità di vendita orientando il comportamento di
acquisto del consumatore così da aumentare il sell-out delle categorie e delle
referenze a più alto margine unitario. Le marche commerciali hanno più margine
unitario.

Capacità di vendita: si intendono spazio espositivo e servizio logistico per


approvvigionare gli scaffali di merce, poiché vi è una sostituibilità tra il costo dello
spazio espositivo e quello logistico

Costi logistici:

- Costo legato allo scaffalista


- Costo delle scorte del magazzino allocato nei punti vendita (magazzini del
distributore) o nel magazzino del fornitore. La logica dell’intermediario
(distributore) è ridurre lo stock nei propri punti vendita. Tutti cercano di
minimizzare le scorte prestando attenzione nel non andare in rottura di stock
ovvero non trovare la merce sullo scaffale. Gli esiti di una rottura di stock sono
pesanti poiché il consumatore ha tante alternative

Il consumatore può essere servito dando molto spazio espositivo alla merce e
rifornendo lo spazio espositivo poco frequentemente oppure dando poco spazio alla
merce e dare continuamente rifornimento

La politica assortimentale svolge un ruolo importante nella definizione del servizio


logistico richiesto dal punto vendita. L’assortimento più o meno profondo e ampio
impatta sui costi del servizio logistico. A seconda della politica di assortimento cambia
il costo del servizio logistico:

1. Assortimento despecializzato (ampio e poco profondo) deve essere rifornito


più frequentemente rispetto ad un assortimento specializzato (poco ampio e
molto profondo) a parità di quantità di merce-> poiché è più probabile una
rottura di stock, di conseguenza, si devono avere delle scorte di sicurezza per
ogni linea  assortimento despecializzato = aumenta l’ammontare di scorte
(scorte di sicurezza)

NB: Rifornire tutte le categorie merceologie con la stessa frequenza significa


rinunciare ad una opportunità di marketing invece si devono rifornire, a parità di
rotazione e con un numero di giorni di scorta maggiore, gli acquisti di impulso (non si
sa con precisione quanto e quando si venderà) e gli acquisti con consumi in crescita

Con una medesima frequenza di rifornimento si perde la possibilità di dare maggior


scorta agli acquisti di impulso rispetto a quelli programmati Si perde l’opportunità
di ridurre le scorte per gli acquisti programmati e quindi si perde l’occasione di
rendere efficienti la gestione degli acquisti programmati

A) Acquisti di impulso acquisti che non rientrano nella lista e possono essere
influenzati dal distributore gestendoli secondo la logica dello spazio espositivo
(merchandising). Il cliente è sottoposto agli stimoli del punto vendita
B) Acquisti programmati acquisti che rientrano nella lista. Tre situazioni che
cambiano in base alla categoria del prodotto e della marca:
- Acquisto programmato di categoria + programmato di marca: si ha in mente la
categoria e la marca: latticini (categoria) Busche (marca)
- Acquisto programmato di categoria + impulso di marca: pasta (categoria)

Concetto di Evokset-> il primo obiettivo del marketing non è vendere ma rientrare


nell’evokset del consumatore: set evocato tra le marche

- Acquisto impulso di categoria + impulso di marca: cibo gratificante

L’intermediario risponde effettuando decisioni di approntamento della capacità di


vendita (lungo periodo) e di utilizzo della capacità produttiva (breve periodo)

NB: da come si gestisce il merchandising dipende il servizio logisitco

Tre decisioni dello spazio espositivo (merchandising):

1. Layout attrezzature (logica di lungo periodo): modello di collocazione delle


attrezzature da scegliere nel punto vendita disposizione degli scaffali nel
punto vendita. Ci sono tre modelli:
- Modello a griglia: favorevole all’offerta non alla domanda risponde alle
esigenze dell’intermediario e non a quelle del cliente consente di diminuire il
costo logistico (semplicità e velocità nel riempire gli scaffali) e aumentare la
redditività dello spazio espositivo. È penalizzante per il cliente che non è facilitato
- Modello a isola: favorevole alla domanda, dove si ha tutto a portata di mano e
con un’occhiata è possibile vedere tutto l’assortimento. Più semplice da leggere,
veloce e maggiormente informativo per il cliente.
- Modello misto: mette insieme i due modelli precedenti, viene usato per
differenziare l’insegna e dunque caratterizzarla da quella dei competitors.

NB: un punto vendita di centro città è riconoscibile dalla presenza di isole collocate
vicino all’ingresso indica che il p.v effettua un servizio di prossimità collocare
all’ingresso l’ortofrutta significa che si immagina di avere una clientela che si reca
frequentemente nel p.v

Spazi freddi minor flusso di traffico interno ospitano gli acquisti programmati

Spazi caldi maggior flusso di traffico interno ospitano gli acquisti di impulso di
categoria e di marca
2. Layout merceologico: quali categorie disporre nei vari spazi della superficie di
vendita, l’area più pregiata è quella che il consumatore visiona prima, ovvero
quella vicino all’ingresso. Negli spazi più pregiati si collocano le categorie
merceologiche con maggiore margine unitario medio  Due tipologie di
esposizione:
- Esposizione omogenea per categoria merceologica tutti i televisori assieme
- Esposizione omogenea per funzione d’uso anche se sono merci disomogenee dal
punto di vista merceologico Esempio del reparto giardinaggio dove si trova il
concime, vasi, semi etc vale anche per il settore non food

NB: A seconda della merceologia che si posiziona nell’area più pregiata cambia
l’obiettivo di marketing che si persegue. Esempi di vari obiettivi:

- creazione di traffico, all’ingresso si trova l’area delle promozioni.


- veicolare una immagine di convenienza, all’ingresso si trovano offerte particolari
mentre l’assortimento restante è venduto a prezzi normali.
- veicolare una immagine di qualità, all’ingresso si trova il reparto prodotti freschi
(veicola livello qualitativo più elevato).
- Veicolare una immagine di servizi alla cittadinanza, all’ingresso si trovano
categorie ad alta specializzazione

Osservando un p.v nell’area di ingresso è possibile risalire al tipo di obiettivo


perseguito o all’obiettivo che costituisce il posizionamento dell’intera insegna

S: segmento di
offerta

M: marca

O: orizzontale

V: verticale

3. Display merceologico: scelta di breve termine di gestione dello spazio


espositivo e corrisponde a come inserire la merce sullo scaffale. Esistono vari
modelli:
1. modello VS+OM verticale di segmento + orizzontale di marca scelta di
merchandising che favorisce il distributore che decide a chi dare lo spazio più
pregiato, favorisce il confronto tra marche, consente la gestione della qualità
verticale dello spazio. Consente di gestire la macchia colore che agevola il
cliente nel ritrovare le marche (per attirare subito il cliente)
Parmalat bianco Parmalat frutta Parmalat s/latt
Yomo bianco Yomo frutta Yomo s/latt
Danone bianco Danone frutta Danone s/latt
Fage bianco Fage frutta Fage s/latt

2. Modello VM+OS schema che favorisce il fornitore poiché lascia al distributore


solo la qualità orizzontale che ha meno valore, il distributore non gestisce la
verticalità

Parmalat bianco Yomo bianco Danone bianco Fage bianco


Parmalat frutta Yomo frutta Danone frutta Fage frutta
Parmalat s/latt Yomo s/latt Danone s/latt Fage s/latt

NB: la qualità verticale dello spazio espositivo è più pregiata rispetto a quella
orizzontale

NB: Quando l’assortimento di categoria è molto profondo ovvero si hanno tanti item
in offerta si preferisce VM+OS che penalizza il distributore

Domanda che il dettagliante si pone per decidere il display merceologico: cosa cerca
prima il cliente? Il segmento di offerta o la marca?

 Se si cerca prima la categoria (segmento offerta): schema di riferimento


VS+OM
 Se si cerca prima la marca lo schema di riferimento è VM+OS

3. Modello  sistemi misti VS+VM

Modello possibile quando la Varietà dei margini di contribuzione forniti è limitata:


tutte le marche danno pari margine all’intermediario

TRADE MARKETING
Funzione che consente al produttore di interfacciarsi con i canali. Esiste una
architettura di canali distributivi che può essere decisa dal produttore. Queste sono
scelte strategiche antecedenti al trade marketing. L’architettura del canale
distributivo può essere letta secondo:

Coinvolgimento psicologico Molto elevato Molto ridotto


nel prodotto
Estensione della distribuzione Selettiva Estensiva
Canale prevalente Diretto Indiretto
Numero di canali Un solo canale Molti canali
Numero di sbocchi Un solo sbocco selezionato Numerosi sbocchi per ciascun
canale
Numero di intermediari Pochi intermediari selezionati Numerosi intermediari per
singolo sbocco
Tipo di integrazione Controllo proprietario o “arm’s lenght”(distante)
contrattuale (franchising)
Approccio di marketing Prevalentemente pull Twin
Gestione della multicanalità Non problematica Assai problematica

Definizione il Trade Marketing: è un approccio gestionale che contribuisce all’efficacia


del marketing dell’azienda attraverso il completo soddisfacimento delle specifiche
esigenze dei clienti commerciali (intermediari)  per il trade marketer il cliente è una
insegna

Comprende tutte le iniziative dell’impresa industriale per pianificare e gestire il


rapporto con le imprese distributrici.

Processo circolare di controllo: le analisi condotte in fase di controllo servono per


impostare le successive strategie e politiche. Dal momento di controllo si ritorna a
quello analitico

Le 4 fasi del processo di trade marketing -> prospettiva del produttore ovvero di chi
rifornisce

a) Momento analitico: approfondire i processi distributivi, le esigenze della domanda


intermedia e le dinamiche competitive tra le aziende commerciali.

b) Momento strategico: pianificare il posizionamento e le attività sui singoli clienti


intermediari.

c) Momento operativo: definire le politiche di mix, riferite essenzialmente alle


decisioni di assortimento, alle condizioni contrattuali, al livello di servizio logistico,
alle azioni di marketing in-store (merchandising, eventi, comunicazione, promozione,
ecc.). Si distinguono azioni di sell-in (azioni volte a riempire i magazzini
dell’intermediario) e di sell-out (azioni volte a far uscire la merce dagli scaffali)

d) Momento di controllo: verificare i risultati delle singole azioni commerciali e


monitoraggio costante delle performance distributive (analisi della quota di mercato
a livello distributivo, analisi del portafoglio distributori, conto economico di cliente/
canale, indagini qualitative sul trade).

MOMENTO ANALITICO
1. Studio dei canali attuali e potenziali, valutando i comportamenti d’acquisto effettivi
e prospettici dei soggetti a valle del canale si tengono in considerazione non solo
gli intermediari ma anche i clienti o consumatori finali.

2. Analisi del settore commerciale che distribuisce i prodotti dell’impresa: analizzare


le varie insegne che possono candidarsi a distribuire il nostro prodotto.

3. Analisi della situazione competitiva e delle performance distributive dell’impresa


con riferimento ai canali attuali e prospettici

4. Valutazione dei comportamenti dei principali distributori in termini di strategie di


sviluppo, capacità innovativa, politiche d’acquisto e politiche di mercato

5. Quali criteri il distributore adotta per la valutazione dei fornitori?  capire quali
criteri una insegna adotta nel rapporto con i fornitori (cosa è maggiormente
importante: puntualità consegne, prezzo etc)

6. Quali criteri il distributore adotta per inserire un nuovo prodotto in assortimento?


 esempio : feechannel una tassa che viene chiesta a chi vuole inserire la propria
marca in una insegna a prescindere dall’efficienza con cui il prodotto viene trattato

MOMENTO STRATEGICO
1. Segmentare i distributori (ad esempio in relazione alla varietà dei bisogni e dei
criteri valutativi espressi dalla domanda intermedia (chi cerca il prezzo, la
collaborazione, puntualità di consegna etc)). A tal fine:

- Predisporre una scheda-cliente (per ogni insegna) con caratteristiche e azioni


adottate per la sua gestione

- Isolare gruppi di clienti (distributori) con esigenze e criteri valutativi simili (cluster
analysis) se si adottano più attributi contemporaneamente
2. Decidere la posizione da assumere in ciascuno di essi

MOMENTO OPERATIVO: AZIONI DI SELL-IN

CONDIZIONI CONTRATTUALI, SCONTI E INCENTIVI.


Il prezzo di listino è l’elemento base.

Tuttavia, la convenienza economica di un prodotto per il trade è legata non tanto


al suo prezzo di listino, bensì all’entità degli sconti in fattura, fuori fattura, e ai
premi di fine anno, da cui viene spesso a dipendere la redditività netta dell’impresa
commerciale.

È necessario evitare palesi discriminazioni delle condizioni contrattuali fra diversi


intermediari. Quando le differenze nelle condizioni contrattuali sono giustificate
da differenziali nei servizi offerti dall’impresa industriale, si definiscono come
“differenziazione”  non si dovrebbe dare lo stesso prodotto a condizioni
differenti a clienti differenti soprattutto se hanno un potere di mercato simile.

Discriminazione di prezzo: si verifica quando si praticano prezzi differenti per il


medesimo prodotto

Differenziazione di prezzo: Si verifica quando si praticano prezzi differenti ma per


prodotti accompagnati da servizi diversi

Bisogna evitare di effettuare discriminazioni poiché ha un effetto negativo sulle


vendite

COME AVVIENE LA CONTRATTAZIONE


 Ci sono due soggetti: un seller (produttore) ed un buyer (intermediario). Il
seller ha di fronte diverse centrali di acquisto o insegne con potere di
mercato differente. Questi richiederanno sconti differenti in base al potere
di mercato che hanno.
 Il seller può decidere di effettuare condizioni vantaggiose o meno a
soggetti diversi
 Come fanno i diversi buyer a sapere se il seller gli ha fatto le migliori
condizioni di vendita??
1) Ribaltando il vantaggio che ha ottenuto dal seller sul prezzo finale al consumo
L’accordo e quindi le condizioni di vendita, che dovrebbe essere riservato, divengono
di comune conoscenza poiché nel momento che ribalta il costo sul prezzo finale al
consumo questo diventa di pubblico dominio.

2) I buyer sono dei professionisti che lavorano per un intermediario ma che


possono anche trasferirsi e quindi lavorare anche per un’altra insegna
portandosi con sé gli sconti ricevuti in precedenza dai fornitori

Risposta del fornitore: Si cominciano a costruire delle scale sconti, tale strategia ha il
fine di rendere difficile al buyer la comparazione di offerte diverse dello stesso
prodotto-> metterla sul piano della differenziazione e non sulla discriminazione

Esempio: applico uno sconto maggiore ad un buyer piuttosto che ad un altro poiché
mi ha garantito il pagamento anticipato (scala sconto in base al tempo di pagamento).

Obiettivo: convincere il buyer che il seller ha praticato le condizioni migliori che


poteva.

Listini diversi per impedire un confronto chiaro.

Le condizioni contrattuali si riferiscono ad un insieme assai articolato di elementi:

- Prezzo del prodotto

- Termini di pagamento

- Sconti collegati ai termini di pagamento: ti pago prima ti faccio uno sconto maggiore

- Sconti collegati alle quantità acquistate

- Sconti collegati alle condizioni logistiche: consegna puntuale, trasporti tu la merce

- Sconti collegati agli acquisti congiunti: acquisto dell’intero assortimento

- Sconti fuori fattura e premi di fine anno a fronte del raggiungimento di obiettivi di
vendita preconcordati

- Contributi per iniziative promozionali

- Contributi per l’inserimento di nuovi prodotti

Sconti incondizionati (sconti a prescindere) e condizionati (al raggiungimento di obiettivi)


(in fattura / fuori fattura)
AZIONI DI “CANVASS”
Mettere in primo piano, nella trattazione di vendita, il prodotto che sta soffrendo
maggiormente  significa Cambiare l’ordine di presentazione dei prodotti da pparte
del seller.

E’ un tipo di azione promozionale che ogni trimestre o semestre propone offerte


particolari per rigenerare le vendite nel breve termine di determinati canali o sbocchi
distributivi.

Si attiva dove i dati di vendita e quota di mercato non sono soddisfacenti rispetto alle
previsioni.

Può ribaltarsi o no sui mercati a valle, con effetti diversi.

PROMOZIONI AL TRADE
Promozioni rivolte agli intermediari al conseguimento del raggiungimento di
determinati risultati.

Raccolte punti, concorsi, regali, premi. Agenzie specializzate.

INSERIMENTO DI NUOVI FORMATI E PACKAGING IN ASSORTIMENTO


Ad es. : monodose o piccole dimensioni per convenience store; formati famiglia per
ipermercati; bi-pack o tri-pack con attenzione all’effetto scorta presso il consumatore

Nel momento in cui si vendono formati particolari si va a stoccare la dispensa del


consumatore che per un certo lasso di tempo non acquisterà.

MOMENTO OPERATIVO: AZIONI DI SELL-OUT


Esistono degli strumenti che il fornitore usa per far uscire la merce dai magazzini
dell’intermediario

1. AZIONI DI MERCHANDISING
Merchandiser per curare il display e garantire la realizzazione delle iniziative.

Azioni da controllare, occorre controllare che gli accordi vengano rispettati

2. INIZIATIVE DI SPACE ALLOCATION E CATEGORY MANAGEMENT


Software di ottimizzazione economica dello spazio considerando l’ingombro, i
margini, la rotazione nel punto vendita.
Esempio Direct product profitability (DPP) software usato da grandi multinazionali
o gruppi che hanno un assortimento molto esteso in un dato reparto consente di
gestire l’intero reparto e quindi massimizzare le vendite dell’intero reparto calcolando
i costi pertinenti al reparto Tentativo di integrazione verticale difendente ovvero di
svolgere delle funzioni commerciali al posto dell’intermediario si sta rinunciando
allo svolgimento di funzioni e quindi si cede potere di mercato al produttore dal
retailer al produttore.

Migliorare Layout e display merceologici per rendere lo scaffale più comprensibile agli
acquirenti in quanto rispecchia i loro criteri valutativi.

3. PROMOZIONI IN-STORE
Vivacizzare il punto vendita. (es. far assaggiare il gelato)

Meccaniche promozionali: sampling, buoni sconto, premi immediati, gadget


meccaniche che hanno effetti sul conto economico  per ogni meccanica occorre
effettuare un conto economico per osservarne gli effetti (costo della promozione).

Si ha un certo livello di vendite, con l’avvio


della promozione si ha un aumento delle
vendite, al suo termine le vendite crollano,
successivamente risalgono e si stabilizzano.
L’effetto della promozione si calcola
osservando la differenza tra le vendite
prima e dopo la promozione.

Promoter per accogliere i clienti nel p.v., materiale PoP (point of purchase), direct
marketing collegato al data base della carta fedeltà

4. SERVIZIO LOGISTICO
Lotta contro l’accumulo di scorte, consegne frequenti e puntuali secondo logica pull
(forniture trainate dalla domanda), carichi completi, standardizzazione degli
imballaggi e dei pallets per accrescere la scorrevolezza del flusso di merci.

Pallet: è la base per tutti gli spostamenti di merci padrone della logistica inventato
nella Seconda guerra mondiale dagli americani per spedire grandi quantità di prodotti
bellici verso l’Europa, sviluppato poi nel secondo dopo-guerra con il piano Marshall in
occasione dell’arrivo di grandi quantità di merci per favorire la ripresa dell’Europa
MOMENTO DI CONTROLLO
Analisi della quota di mercato a livello distributivo, analisi del portafoglio distributori,
conto economico di cliente/canale, indagini qualitative sul trade.

Conclusione Si passa da un trade mktg reattivo, che ingloba nell’offerta industriale le


esigenze dei distributori, a un co-marketing che prevede la generazione congiunta di
valore per la domanda retailer e produttore che lavorano insieme per interpretare
meglio le esigenze del consumatore e per dare più valore: I progetti di category mngt,
la riprogettazione della supply chain, la condivisione delle informazioni sul cliente
finale, l’innovazione di prodotto co-gestita rappresentano le tendenze per produrre
congiuntamente valore per il cliente finale.

OMNICANALITA’
Tendenza in forte crescita dell’e-commerce che dal punto di vista del produttore
può prendere sfumature diverse:

ALTERNATIVE STRATEGICHE IN CONTESTO DIGITALE


Definizione di omnicanalità: L’omnicanalità consiste nell’integrazione completa
dell’insieme dei punti di contatto (tra impresa e consumatore) al fine di offrire ai
clienti un’esperienza d’acquisto coerente.  Lungo la customer journey (processo di
acquisto) il consumatore può adoperare canali diversi e nello spostarsi, da un canale
ad un altro, dovrebbe poter continuare il suo processo ed ogni canale dovrebbe
essere a conoscenza di tutto il suo percorso precedente. Al termine il cliente dovrebbe
raggiungere l’obiettivo in modo eguale indifferentemente dal canale utilizzato Tutti
i punti di contatto creano un'unica esperienza di consumo. La omnicanalità è un
obiettivo ideale a cui tendere non una realtà concreta.

La strategia omnicanale risponde a un bisogno di fluidità del consumatore nel


processo d’acquisto. Tutti i canali di distribuzione e comunicazione (negozi, cataloghi,
sito Internet, dispositivi mobili, social network, emailing, call center, etc.) sono
destinati a creare un unico universo di consumo. La convergenza tra canali di
distribuzione e canali di comunicazione permette di creare sinergie. (internet e
negozio permettono di creare sinergie)

La tendenza è la creazione di un universo di consumo coerente


Monocanalità: uso di un canale di vendita e di un canale di comunicazione, cioè il
punto vendita. (Ex: grossista tradizionale)

Multicanalità: uso di più canali di vendita e di comunicazione non collegati tra loro.
Barriere tra le attività sviluppate in differenti canali. (Ex: assicurazioni vendute in
agenzia e in Internet). Si tratta di due canali quasi in competizione tra loro
(fisico+digitale), lavorano in maniera indipendente tra loro.

Crosscanalità: connessioni tra più canali di vendita e di comunicazione che


favoriscono il processo d’acquisto offrendo una traiettoria (Ex: quotidiano distribuito
solo in rete ma con accesso da sito, smartphone, tablet, e con relazioni con i clienti
tramite FB, Twitter, blog, etc.). Si possono avere negozi ai quali affiancare il sito, ma
alla fine l’acquisto è solo in negozio o solo in rete. Si è presente su più canali ma la
traiettoria del cliente arriva ad un punto preciso di acquisto.

Omnicanalità: integrazione dei differenti canali di distribuzione e di comunicazione


(Ex: quotidiano acquistabile sia in cartaceo che digitale, acquisto di articoli online,
servizi digitali personalizzati, informazioni via social network; passaggio tra differenti
canali senza alcuna difficoltà)

Il cliente può rivolgersi a più canali per ricercare informazioni.

Alcune conseguenze:

 Offrire coerenza tra i diversi canali è cruciale.


 La convergenza dell’insieme dei dati in un unico sistema informativo è
indispensabile, altrimenti i dati non potrebbero essere processati. Occorre
far si che i dati sulle vendite, sui clienti etc afferenti ai vari canali
confluiscano in un unico sistema informativo centralizzato per poterli
processare
 Il venditore come persona fisica resta rilevante, ma non è più al centro del
processo d’acquisto (ex: sportelli bancari).
 Una sfida è far percepire positivamente Internet da parte dei venditori al
fine di ridurre i freni al suo utilizzo. A tale scopo, occorre agire sulla
remunerazione e su una formazione che porti all’uso delle nuove tecnologie
per avviare nuove relazioni di scambio con i clienti. Si cerca di convertirli in
venditori a distanza o in consulenti su prodotti più complessi.
Il mito della vendita digitale

A fronte di decine di migliaia di nuovi siti .com, ad es. in Francia solo 800 siti
concentrano 70% dell’e-commerce. Solo 4% superano 1 milione di euro di ricavi
Estrema concentrazione dell’e-commerce ma ancora pochi sono produttivi e quindi
sviluppano vendite.

Non è sufficiente aprire un sito per vendere ma occorre effettuare investimenti e una
corretta comunicazione

Dall’ecommerce possono trarre profitto solo aziende capaci di: investire nelle nuove
tecnologie, reclutare personale competente, costruire partnership, eventualmente
esternalizzare parte della strategia omnicanale, progettare sul lungo termine.

Internet è percepito come semplice, invece il mercato diventa più complesso. Le


imprese della Rete si specializzano: comunicazione e marketing, gestione del
contenuto, interfaccia e creazione digitale, progettazione di agenti virtuali, etc.

Nuovi mestieri: RP digitali, Web communication, responsabile di referenziamento


digitale, community manager, etc.

Dallo story telling allo story doing fare ciò che si promette

MULTICHANNEL STRATEGY
Principali orientamenti strategici

A) Evitare le cannibalizzazioni.

Significa far sì che le vendite di un canale non siano realizzate a detrimento degli altri
canali. In caso contrario la redditività complessiva diminuisce: sostenimento dei costi
e i ricavi non aumentano

L’impresa rischia d’investire nello sviluppo di nuovi canali senza che le vendite
aumentino  La redditività dell’impresa diminuisce.

È auspicabile gestire il trasferimento di parte della clientela verso il commercio


elettronico invece di fare resistenza alla pressione della domanda e della
concorrenza meglio assecondare la domanda se gradisce molteplici canali.

B) Sostituire i canali
Invece di subire la cannibalizzazione tra canali, si può sostituire il canale tradizionale
con nuovi canali, per comunicare o vendere cessa il canale tradizionale e si
trasferiscono gli investimenti completamente sul nuovo canale

Lo scopo principale non è aumentare i volumi di attività, ma aumentare la redditività,


riducendo i costi di funzionamento e il rapporto investimento/utile per i differenti
clienti scelta frutto di un attento calcolo: il nuovo canale nel medio-lungo periodo
ha costi di funzionamento significativamente inferiori

Ex: il settore bancario spinge il cliente a trasferirsi su Internet.

Ciò può essere giustificato quando i nuovi canali sono meno costosi e più facili da
gestire.

Il settore della comunicazione è in piena ristrutturazione: riduzione risorse per mass


media (anche se raccolgono la maggioranza dell’investimento), nuovi operatori, nuovi
modi di interazione tra le imprese, nuovi mestieri per i pubblicitari.

In rete occorre fissare obiettivi più precisi (poiché misurabili) rispetto alle campagne
tradizionali (nelle pubblicità sui mass media tradizionali veniva effettuato
l’investimento senza sapere gli effetti reali della campagna) allora Cambia il modo
di lavorare  tutto ciò agevola la Sostituzione.

Vantaggio del canale diretto: misurare gli effetti (ritorno) di una azione consentendo
di vedere se si sta operando correttamente o meno

Quando si effettua il lancio di un prodotto attraverso una campagna pubblicitaria


digitale basta calcolare delle metriche per vedere il suo effetto-> il canale diretto
favorisce l’apprendimento

C)Complementarità tra i canali

Assegnare a ciascun canale una parte del mercato scelta che viene solitamente
effettuata nella fase iniziale di adozione di determinati canali  assegnare a ciascun
canale obiettivi diversi

Ad es.: rete internet consente di servire regioni non coperte dai punti vendita

- regioni differenti (la Rete permette di servire regioni non coperte)

- profili di consumatori differenti (i ciber-consumatori sono ancora giovani e urbani)


- prodotti differenti (il sito ospita item a vendita debole, difficili da vendere
ingombranti, consentendo un assortimento più ricco nei negozi fisici: nel lusso gli
accessori si possono vendere su Internet, mentre i prodotti core sono riservati ai
negozi)

- situazioni differenti (il sito facilita le vendite che non possono essere realizzate dai
canali tradizionali per motivi pratici come l’orario)

Quando l’esperienza nel p.v. definisce l’identità di marca, il sito non può riprodurla e
resta complementare-> marketing esperienziale (progetta contesti esperienziali per
far vivere esperienze memorabili): in questo caso è l’esperienza nei p.v che determina
l’identità di marca il marketing esperienziale ha bisogno di un luogo fisico, bisogna
vivere il prodotto con tutti i 5 sensi.

Il marketing esperienziale progetta contesti esperienziali per far vivere esperienze


memorabili  esistono prodotti dove l’esperienza nel luogo definisce l’identità di
marca. Nei casi in cui è l’esperienza nel negozio che definisce l’identità di marca il sito
rimane solo complementare al negozio

CROSSCHANNEL STRATEGY
Facilitare l’uso di differenti canali all’interno di una stessa traiettoria d’acquisto. Ad
es., i canali digitali, anche se non procurano vendite supplementari, possono aiutare
i canali tradizionali a vendere di più (ex.: cucine IKEA). Progettazione cucina sul
digitale ma poi l’acquisto avviene nel p.v.

Frammentazione del processo d’acquisto (ex.: Esprit propone di scannerizzare i


prodotti in negozio, così da poterli poi ritrovare nel proprio account Internet nel
caso si decida di acquistarli). Tre politiche possibili da applicare:

a) Dissociare le funzioni secondo il tipo di canale (ex.: scelta e pagamento online,


consegna in negozio o in un punto di ritiro).

b) Agevolare la transizione tra canali. Nel passaggio tra canali, si può perdere il
cliente  strategie di lock-in che agevolano il passaggio tra canali di una stessa
insegna. Per evitare che il processo si interrompa, occorre che in ogni fase ci sia un
canale in grado di dare il cambio sapendo ciò che è già stato realizzato
strategie di lock-in: il consumatore viene spinto a cambiare canale ma senza la
possibilità di uscita dal percorso. Esempio: si scarica in rete un coupon che può
essere speso solo in negozio

Elemento della crosscanalità: canale che è a conoscenza del tuo precedente


percorso di acquisto e propone cose differenti

c) Addizionare valore a quanto ottenuto con gli altri canali. Attraverso:

- Stimolo alla realizzazione dell’acquisto (il cliente non deve né abbandonare, né


finalizzare presso un concorrente). Ad es. un buono promozionale da spendere
nell’altro canale.

- Assortimento più esteso. I differenti canali possono far scoprire più prodotti della
gamma, stimolando cross-selling (acquisto di + prodotti di natura diversa) e up-
selling (acquisti di prodotti di livello più elevato). Ad es. presentando le novità in
negozio, mentre i prodotti meno richiesti sono in Internet si estende
l’assortimento per il cliente

- Aumento fidelizzazione. L’investimento in un canale non deve essere rovinato dalle


condizioni di un altro canale (coerenza nel marketing mix e coerenza tra i canali). Il
sito Web può informare sull’offerta disponibile nei p.v., e può ridurre i freni tramite
guide all’acquisto, valutazioni dei clienti, video dimostrativi, storytelling  Coerenza
tra i canali!

Evitare le incoerenze tra canali

Il cliente deve ritrovare il medesimo posizionamento nei diversi canali. La coerenza


riguarda:

a) assortimento, marche, prezzi

b) servizi accessori (consulenze, consegne, montaggio, etc.)

c) contesto d’interazione (interfaccia, organizzazione del punto vendita, atmosfera,


interazioni sociali)

Ma i nuovi canali si moltiplicano, hanno specificità tecniche diverse: è difficile


proporre esattamente la stessa gamma, gli stessi servizi, le stesse informazioni, gli
stessi prezzi…
Inoltre, con il diffondersi dell’e-commerce i clienti manifestano aspettative diverse
nei confronti di diversi canali.  ci si aspetta di trovare in rete prezzi inferiori
rispetto al negozio

È difficile avere una coerenza totale: proporre la stessa gamma e gli stessi prezzi da
canale a canale. I consumatori cominciano a manifestare delle aspettative differenti
da canale a canale, con il rischio di deludere tali aspettative.

La crosscanalità è spesso una tappa verso l’omnicanalità.

OMNICHANNEL STRATEGY
• Occorre rendere trasparenti i canali significa:

• Quando un acquisto è complesso (customer journey complesso), il cliente può


informarsi su Internet, interagire con venditori o altri clienti nel p.v., ordinare
tramite il sito Web, o il p.v., o l’applicazione mobile, scegliere se attendere la
consegna o ritirare il prodotto in negozio, etc. Al di fuori del processo d’acquisto,
può interagire con la marca (contenuti, servizi, interazioni sociali, giochi, etc.).

• Non c’è sequenza-tipo nel processo di acquisto.

• L’impresa non gestisce più differenti canali, ma differenti profili di consumatori,


con i quali interagisce tramite vari mezzi Nell’omnicanalità il canale perde di
rilevanza bensì si gestiscono profili di utenti che si muovono su diversi canali

• L’organizzazione dell’omnicanalità passa innanzitutto per la definizione delle azioni


richieste dai clienti (informazioni, ordini, consegna, relazioni clienti, etc.), e la
descrizione della loro frequentazione dei canali (p.v., sito Web, mob., tel.).

Matrice Funzioni-Canali: Quali funzioni vengono svolte da quali canali?


(importantissima)

• Standardizzare o specializzare i canali? Fare le stesse funzioni su tutti i canali o


specializzare i canali nello svolgimento di funzioni diverse?

Ciascun canale possiede caratteristiche diverse (tipo di info, accesso alle fonti, tipo
di interazione) che rendono impossibile standardizzare.
Specializzare: far svolgere ciascuna funzione nel canale più efficiente: che consuma
meno risorse rispetto alla qualità di servizio erogato e desiderato dal cliente
scegliere i canali sulla base della loro efficienza nello svolgere le funzioni
commerciali  funzioni che giustificano la presenza di un intermediario che sia
fisico o digitale.

ESEMPIO DI MATRICE FUNZIONI-CANALI

Mette in relazione le Azioni svolte dai consumatori con i canali

Informazioni Ordini Consegne Relazioni clienti


Negozio x X X X
Sito web x X X
App mobile x X
Telefono X
ESOgni canale può svolgere più o meno funzioni: la consegna è solo in negozio
allora il sito web ti consente di effettuare l’ordine ma non prevede la spedizione.
Telefono usato semplice strumento di check della CS

• La separazione delle funzioni facilita l’organizzazione e la comprensione del ruolo


di ciascun canale.

• Problemi della specializzazione:

- Possibile sottoutilizzo delle capacità dei canali avviene quando viene affidato al
canale una sola funzione quando sarebbe capace di fare anche altro

Esempio: si specializza il sito web per dare sole informazioni quando si potrebbe
usare anche come e-commerce

- Aspettativa di polivalenza da parte del cliente, che un’azione sia sempre possibile
qualsiasi sia il canale: il cliente si aspetta di poter fare qualsiasi cosa su qualsiasi
canale.

• Il piano di ripartizione delle funzioni si articola su 2 livelli:

a) Tutte le principali interazioni tra impresa e cliente

b) All’interno di ogni interazione, i differenti modi in cui il canale può essere usato
(es.: geo-localizzazione per trovare p.v., reattività del tel. o della messaggeria
istantanea, realtà aumentata del mob., incontro fisico nel p.v.) capire la natura
profonda di un canale
Traiettoria d’acquisto e terminologia

Descrivere uno stesso fenomeno in molti modi differenti:


- Info in Internet e acquisto in Internet (All Click, Pure Player, Full Web)

- Info in p.v. e acquisto in p.v. (All Brick, Full store)

- Info in Internet e acquisto in p.v. (Click & Mortar, Web-toStore, Digital-to-Store)

- Info in p.v. e acquisto in Internet (Mortar & Click, Showrooming, Store-to-Web)

- Info e acquisto in Internet, consegna in luogo fisico (Click & Collect)

- Info simultanea in p.v. e in Internet e acquisto in p.v. (Webin-Store)

MODALITÀ DI SVILUPPO DEL SISTEMA OMNICANALE


Punto di partenza:

Le imprese tradizionali, quelle che hanno notorietà e capacità finanziarie, sono


capitalizzate ma un’organizzazione troppo pesante da far evolvere (struttura dei
costi)

Le imprese digitali, nate dall’inizio in rete, hanno le competenze per operare online,
ma non hanno le risorse finanziarie per svilupparsi offline.

A prescindere che si tratti di imprese tradizionali o digitali, Sono possibili 3 modalità


di creazione di nuovi canali:

a) Sviluppo interno-> make

b) Sviluppo esterno -> buy: acquisizione di una azienda

c) Esternalizzazione parziale su contratto; alleanze e partnership: cerca un trade off


tra i diversi costi transazionali (costi di informazione, controllo, coordinamento,
incertezza)
A) MODALITÀ DI SVILUPPO: SVILUPPO INTERNO
Costruire un nuovo canale mobilitando risorse e competenze interne all’impresa.

PRO CONTRO
• Capacità di adattamento: se il nuovo canale è poco • Mancanza di
differente dai canali attuali, è più semplice. Dipende competenze-chiave: ad es.
dal numero di canali già costruiti dall’impresa. È un responsabile di punto
possibile che una impresa che si avvale di vendita troverà difficoltà a
intermediari digitali decida di creare un canale costruire un sito web.
proprio digitale • Tempi lunghi di
• Controllo: gestire un’attività interna è più semplice. sviluppo: l’eventuale
• Apprendimento: apprendere direttamente dai assunzione di nuovo
clienti consente anche di controllare meglio i personale richiede tempo
distributori tradizionali  sinergia per reclutamento e
• Continuità: evitare forti punte di investimento ed formazione.
eccessive esposizioni finanziarie, ad es. per • Costi: scarsa efficienza a
acquisizioni, che possono causare fratture di breve termine occorre
continuità libera scelta su quali e quanti un periodo di rodaggio e
investimenti effettuare adattamento

MODALITÀ DI SVILUPPO: SVILUPPO ESTERNO


Costruire un nuovo canale attraverso l’acquisizione di un’azienda specializzata.

PRO CONTRO
• Rapidità. • Trasferimento di conoscenze limitato: il know-
• Minimizzazione dei rischi: how acquisito non è sempre facilmente
l’attività è già rodata formalizzabile; quindi, una parte non viene
• Complementarità: trasferita a tutti. (esperienze dei singoli che viene
potenziali economie di scala, persa). Difficoltà nel trattenere i manager a seguito
conseguibili integrando la dell’acquisizione di un’altra azienda
nuova unità • Mancanza di adesione al nuovo progetto da parte
• Acquisizione di risorse- dei quadri intermedi delle due aziende.
chiave: acquisire un’azienda • Integrazione delle attività: incompatibilità di
con risorse-chiave rare cultura, obiettivi, meccanismi manageriali tra le
significa sia fruirne, sia due aziende.
sottrarle ai concorrenti. • Diluizione delle attività: se si ricorre a più
acquisizioni, l’identità dell’acquirente può soffrirne
(posizionamento strategico).
Sviluppo interno e sviluppo esterno hanno in comune la detenzione di risorse e
competenze. E’ possibile, però, ottenere risorse esterne senza detenerle => contratti
di collaborazione.

ACCORDI DI COLLABORAZIONE (CONTRATTI)


Tra mercato e gerarchia si trova una via di mezzo: contratti di collaborazione

PRO CONTRO
• Meno costoso acquisire competenze che • Controllo difficile (costi
svilupparle transazionali): mancano le
• Evita investimenti pesanti con prospettive competenze per verificare la
incerte performance del partner
• Ricorso a competenze molto specifiche • Scarso trasferimento di
• Indipendenza: concentrarsi solo sulle competenze
attività che si gestiscono bene, lasciando
quelle che riescono peggio ad un partner
Negli accordi di collaborazione si trovano:

Esternalizzazione Alleanze e partenariati


Si tratta di un semplice subappalto. Le alleanze sono tra imprese concorrenti
Ad es. la costruzione del sito Web, (svolgono programmi fedeltà, zone
il suo referenziamento, la gestione geografiche complementari, creare un sito
di database, la consegna dei Web online in comune, creare un sistema di
prodotti, ecc. Il subappaltatore può pagamento mobile al fine di difendersi da
figurare o no nel nuovi entranti, ecc.) marca commerciale
prodotto/comunicazione. che viene usata da varie insegne,
rappresenta l’alleanza tra aziende in
concorrenza
I partenariati sono tra imprese non
concorrenti.
Ex: Lastminute e agenzie di viaggi Sélectour
Confronto delle modalità di sviluppo sulla base dei punti di forza e debolezza:

sviluppo interno Sviluppo Esternalizzazione Alleanze e


esterno partenariati
Costi Importanti Da medi a Limitati Medi
importanti
Velocità Limitata Forte Forte Media
Controllo Importante Medio Limitato Medio
Facilità Importante Media Limitata Media
d’integrazione
Apprendimento Importante Da medio a Limitato Medio
importante
MODALITÀ DI ORGANIZZAZIONE DEL SISTEMA OMNICANALE
Una strategia omnicanale richiede il supporto di una struttura organizzativa
adeguata.

Più le azioni di marketing sono integrate, più i canali devono essere gestiti in modo
globalizzato.

Le imprese tendono a coordinare le attività attraverso la costruzione di un back-


office (cliente non vede) comune a tutti i front-office (relazione diretta con il
cliente) sia offline che online

ATTIVITÀ INDIPENDENTI
Forma primordiale Diversi canali e ciascuno ha la propria logistica etc

Il back office è separato a seconda del canale

CANALE CENTRALE + CANALI DI APPOGGIO


CANALI SEMI INTEGRATI

CANALI INTEGRATI

LE SFIDE DELL’OMNICHANNEL STRATEGY


Le sfide principali dell’omnicanalità

I seguenti elementi possono generare vantaggi o svantaggi strategici


nell’implementazione dell’omnicanalità:

a) La logistica

b) Il sistema informativo (centralizzazione dei dati su prodotti e clienti)

c) La gestione del personale

d) I conflitti orizzontali tra canali (delega degli ordini, redistribuzione dei benefici
economici) e verticali con le aziende partner
A) QUALE TIPO DI ORGANIZZAZIONE LOGISTICA?
La catena logistica include i costi di: approvvigionamento, trasporto, movimentazione
merci, amministrazione, assicurazione, magazzino.

Equilibrio tra servizio al cliente e relativo costo (ultimo km).

Raggruppando gli acquisti di più canali, si ottengono economie di


approvvigionamento e di scala.

Alternative:

Logistica specifica Delega ai punti vendita Appoggio ad un Centralizzazione


per il canale locali punto vendita. totale Logistica
Internet Picking. L’ordine ricevuto via Gli ordini comune ai punti
I consumatori serviti Internet viene rinviato al vengono presi vendita e a
sono segmentati punto vendita più vicino al direttamente dal Internet. Centrale
precisamente, in cliente. La merce viene magazzino di un d’approvvigiona
termini di profili o di ritirata dal cliente nel p.v. p.v. Modello mento e depositi
aree geografiche. oppure consegnata dal p.v. utilizzato quando comuni. Si
Ad es. si adotta l’e- al domicilio. Modello l’impresa ha solo osserva quando
commerce nelle utilizzato talvolta nelle reti di uno o qualche preesiste già in
aree dove l’azienda franchising, affinché i p.v., e il canale partenza una
non dispone di franchisee non si oppongano Internet è logistica
punti vendita. alla vendita telematica. In all’inizio e genera centralizzata per i
questo caso sorge il scarsi volumi. p.v.
problema dello stoccaggio
del magazzino
L’omnicanalità può essere fonte di economie quando la logistica riesce a concentrare
i flussi, pur continuando a rendere un servizio soddisfacente tramite maggiore
assortimento e consegna nel p.v. oppure a domicilio. I flussi di merci sono associati a
flussi di informazioni tra l’impresa e i suoi partner, e all’interno dell’organizzazione.
Quindi il sistema informativo costituisce un altro punto-chiave dell’omnicanalità.

B)QUALE SISTEMA INFORMATIVO?


Il problema logistico porta con sé flussi di informazioni.

Si tratta di centralizzare i dati in un unico sistema informativo oppure coordinare


differenti sistemi informativi. Il sistema informativo riduce molte delle incoerenze di
marketing tra i canali (specie nel rapporto con il cliente) e riduce i relativi costi.
Due tipi principali di dati:

Dati sui prodotti Dati sui consumatori.


La referenza di prodotto deve essere la stessa Mettendo in comune i dati sui
qualsiasi sia il canale. In Internet si presentano profili clienti e sulle loro
al cliente informazioni ricche e dettagliate sul interazioni, si comprende e
prodotto, e foto di alta qualità. Queste info sono personalizza meglio la relazione.
utili anche agli altri canali. Ad es. i venditori di Info transazionali (valori,
Conforama sono equipaggiati di tablet che differenze, etc.) e
consentono di accedere a tali info. comportamentali (ad es.
Al fine di garantire prezzi coerenti tra i canali, è navigazione Web, reazioni a
importante tener conto delle specificità di email, utilizzo di app). Carta
ciascun canale. Infine, sarebbe ideale fedeltà e numero cliente sono
condividere le info sulle scorte, al fine di utili per tracciare il customer
consentire a un canale di ordinare una referenza journey nel tempo. Ad esempio,
mancante presso un altro canale. Questi scambi, la pandemia ha reso i
tra canali, di prodotti in rottura di stock consumatori maggiormente
migliorerebbero la qualità del servizio al cliente. informati poiché ricercano info
su internet

QUALI VANTAGGI DALLA CENTRALIZZAZIONE DEI DATI?


• Minori costi di personale, manutenzione, spazi tecnici, armonizzazione tra sistemi
differenti.

• Minor numero di trasferimenti dati tra sistemi aventi standard differenti poiché se
non si centralizza occorre far dialogare sistemi diversi. Ad esempio, ogni qualvolta che
si acquisisce una nuova azienda occorre considerare che questa aveva in precedenza
un suo sistema informativo sorge allora la necessità di far dialogare sistemi
informativi che hanno standard differenti e dunque centralizzare per avere meno
problemi

• Minori interventi umani di registrazione, reportistica, comunicazione dati: quindi


minori errori con la centralizzazione

• L’interconnessione dei canali aumenta la qualità dei dati inerenti le interazioni


transazionali e comportamentali dei consumatori. Ad es. l’acquisizione e la perdita di
clienti, la navigazione tra canali, le traiettorie d’acquisto. Quindi migliora la
segmentazione-> la centralizzazione migliora la profilazione del cliente
• Il costo-contatto, per contattare un cliente, varia secondo il canale usato dal cliente,
e certi clienti valgono più di altri (hanno un life-time value differente). Si orientano i
clienti a scarso valore aggiunto verso i canali automatizzati (life-time value bassa), si
riserva l’interazione umana ai clienti con potenziale più interessante.

NB: la diffusione di internet aumenta il valore dell’interazione umana non lo


diminuisce poiché diventa più rara.

QUALI DIFFICOLTÀ NELLA CENTRALIZZAZIONE DEI DATI?


• Difficoltà tecnica.

Collegare sistemi ubicati in luoghi diversi, costruiti in epoche differenti e in modo


indipendente, basati su protocolli diversi. Occorre gestire l’eterogeneità in termini di
fonti di informazioni, formati e interoperabilità dei sistemi. I canali digitali
trasmettono facilmente a monte le informazioni (mediante cookies, identificazione su
sito Web, app mobile). Nei canali fisici la cattura di informazioni sui clienti è meno
facile. Per superare queste difficoltà, l’impresa dispone di strumenti standard come
gli Web Services (REST Representational State Transfer, SOAP Simple Object Access
Protocol), gli ERP e i CRM. Web Service = piattaforma indipendente di comunicazione
che permette, attraverso uno standard di comunicazione, a diverse applicazioni di
dialogare tra loro.

• Difficoltà di collegamento tra database.

Dopo la raccolta delle info, occorre metterle in relazione tra loro.

Ad es., come sapere che l’acquirente nel p.v. ha consultato precedentemente una app
mobile? E che poi visiterà un sito Web? Occorre una chiave comune ai canali. Il
numero cliente o la carta fedeltà sembrano essere la soluzione. Anche i servizi
omnicanale post-vendita possono aiutare.

Ad es. la carta fedeltà di Carrefour è valida nei p.v., sui dispositivi e sul sito Web. Il
collegamento di database richiede di solito molte energie e tempo. Ad es., la FNAC ha
impiegato alcuni anni per integrare i database dei p.v., di Internet e del Servizio Post-
Vendita.

Tendenzialmente si tratta di investimenti a lungo termine


• Difficoltà di gestione del personale.

Gli addetti sono indotti a cambiare le loro abitudini e il loro modo di lavorare. Occorre
sensibilizzarli a condividere i dati, che sono ancora percepiti come una risorsa da
proteggere. Il nuovo sistema verrà meglio accettato se:

- i compiti per implementarlo verranno semplificati;

- si aggiungerà qualche comodità supplementare, come la consultazione di un account


cliente o un processo agevolato di comunicazione con gli altri canali.

Evitare che il nuovo sistema conduca a un orientamento troppo forte all’aspetto


tecnico, perdendo di vista gli obiettivi generali e di marketing dell’omnicanalità.

C) COME GESTIRE IL PERSONALE?


Numerosi profili professionali sono indotti a evolvere, apprendendo nuovi strumenti
e nuovi modi di lavorare. Ad es. il front-office deve apprendere a far fronte a clienti
più informati, soprattutto se il p.v. svolge funzione di showrooming poiché si
presenta un cliente che è già informato e ha visto il sito web e si aspetta di trovare
qualcosa di più rispetto a ciò che ha trovato online sostanzialmente occorre
riprogettare l’interazione tra venditore ed il cliente che è maggiormente informato

Ciò può creare tensioni fra culture digitali e culture tradizionali. Per affrontarle:

- instaurare regole comuni ai diversi canali nella valutazione delle performance e nella
retribuzione degli addetti;

- stabilire indicatori di performance a 2 livelli: performance globale dell’azienda e


performance di ciascun canale.

L’obiettivo è valorizzare le specificità di ciascun addetto senza metterli in


concorrenza.

Prevedere corsi di formazione interna per far evolvere le competenze. Si ottengono


così anche i risultati di far incontrare gli addetti di differenti servizi dell’impresa, e di
creare una cultura comune.

Creare dispositivi di comunicazione interna, volti a far capire come si comportano gli
altri addetti e a creare team misti. Se invece una parte rischia di sopraffare l’altra, può
essere utile separarle per il tempo necessario a far evolvere l’attività minore
occorre avere sensibilità per capire le varie esigenze dei canali
D) COME GESTIRE I CONFLITTI CON LE AZIENDE PARTNER?
Nello sviluppo di nuovi canali l’impresa crea una rete con la quale collabora ma nella
quale si possono sviluppare anche conflitti.

Poiché le competenze e le prassi sono nuove, è spesso obbligata ad avvalersi, almeno


in parte, di società specializzate.

Quando queste società non perseguono gli stessi obiettivi dell’impresa, compaiono
conflitti.

Ciascuna impresa tenterà di sviluppare potere sull’altra, al fine che questa si allinei ai
propri obiettivi. L’omnicanalità genera due tipi di conflitti principali:

• orizzontali: tra canali di una stessa insegna

• verticali: tra livelli diversi di canale tra produttore e consumatore

I conflitti orizzontali I conflitti verticali


Compaiono soprattutto quando Riguardano soprattutto l’accesso al p.v., la
un’insegna di p.v. fisici, ad es. in ripartizione dei margini, la remunerazione
franchising, sviluppa l’e-commerce. I dei servizi accessori, il merchandising, etc.
franchisee percepiscono l’e-commerce L’impresa che sviluppa l’e-commerce
come un concorrente. Ad es: agenzie di trova sbocchi supplementari, riduce la
viaggi, fioristi Flora. dipendenza dal distributore, comprende
meglio i consumatori perché interagisce
direttamente con essi. Tutto questo le
permette di conoscere meglio gli obiettivi
del distributore; quindi, aumentare il suo
potere su di esso, riducendo i suoi
comportamenti opportunistici
l’adozione, da parte del produttore, di un
canale online come L’e-commerce
consente di aumentare il suo potere sul
distributore riducendo così
comportamenti opportunistici 
vantaggio per il produttore ma svantaggio
per il distributore
Quali motivi
• Incompatibilità nella fissazione di
prezzi, margini, volumi. Una vendita in
Internet percepita come una vendita
“rubata” al p.v.
• Sovrapposizioni tra le funzioni svolte
=> “guerra di territorio” su funzioni,
clientela, azioni specifiche.
• Opposizioni culturali tra fisico e
digitale. Ad es. nella distribuzione del
libro gli orientamenti culturali possono
divergere per motivi ideologici.
Come ridurre i conflitti orizzontali?
• Delega dell’ordine. Ad es. delegare al
p.v. più vicino del trattamento
dell’ordine e della consegna, a partire
dagli stock del p.v. (es. Calzedonia).
Oppure lasciare priorità dell’ordine al
p.v. per 2 ore prima di riprendere in
carico l’ordine per via centrale (es.
Lafuma)
• Ridistribuzione dei vantaggi. Quando
centralizzare il magazzino delle vendite
elettroniche è più pratico e
conveniente, una parte del margine
può essere ridistribuito ai p.v. per
remunerare la loro partecipazione alla
transazione. Oppure proporre ai p.v.
una percentuale sulle vendite online
in sostanza si condivide una parte del
margine del canale online
In questo ambiente così complesso diviene fondamentale misurare qual è la
performance economico/finanziaria del canale

PERFORMANCE ECONOMICO-FINANZIARIE DI CANALE


1. Quali suggerimenti metodologici?
Quali errori evitare?
Quali schemi interpretativi?
2. Non basta calcolare il reddito di canale, occorre valutare anche le dinamiche
finanziarie e patrimoniali (ad es. i diversi profili di flusso di cassa: anticipati o
ritardati)
3. Occorre fare sintesi dei risultati e collegarli con le determinanti strategiche e
operative sottostanti.
ANALISI DELLA MARGINALITÀ OPERATIVA
Occorre capire quanto margine si guadagna dal canale

Iniziare distinguendo costi di prodotto da costi di mercato. Prospettiva del


produttore/fornitore

Costi di prodotto si riferiscono ai fattori produttivi utilizzati per avere disponibilità


del prodotto (costo pieno industriale). E’ il cosiddetto costo del venduto.

Costi di mercato si riferiscono alle risorse specificamente utilizzate per sviluppare


il canale (risorse commerciali) e/o all’erogazione dei servizi aziendali di cui ciascun
canale usufruisce (risorse logistiche e distributive).

Risorse commerciali come gli sconti

I costi di mercato si distinguono in 3 tipi:

a) Costi diretti di canale a manifestazione certa: riguardano i fattori produttivi


impiegati in modo esclusivo a supporto delle vendite dei clienti di uno specifico
canale.

b) Costi diretti di canale a manifestazione incerta: riguardano eventi specifici di


canale non ancora manifestatisi, ma di cui si ipotizza una certa probabilità di
accadimento futuro (pur essendo collegati anche a vendite attuali)  esempio del
premio di fine anno

c) Costi indiretti di canale: riguardano l’insieme di risorse comuni che ciascun canale
utilizza secondo volumi e modalità differenti, da allocare correttamente stipendio
del trade manager

Differenza fra Ricavi (al netto degli sconti commerciali concessi) e Costi di prodotto
(costo del venduto) = Margine commerciale (primo margine di area o margine lordo),
espressivo dei ricarichi applicati dall’azienda.

Spesso è l’unico margine calcolato, ma va bene solo se la struttura di costo non è


influenzata dai fabbisogni e dalle richieste dei singoli canali, non è influenzata da
specifici servizi di canale misurare in tale modo la marginalità operativa può andare
bene solo se tutti i canali danno al produttore lo stesso margine oppure danno margini
diversi ma le risorse sono impiegate in maniera omogenea tra tutti i canal Quando
i prezzi sono condizionati anche dalle strategie specifiche del servizio a ciascun canale,
questo margine non va bene, si perde la relazione prezzo (ricavo unitario) -costo.

Quando si sostengono costi diversi per canali diversi significa che i canali più grandi
finiscono per finanziare quelli più piccoli poiché magari assorbono maggiori risorse

Bisogna recuperare la relazione prezzo-costo assegnando a ciascun canale i costi


relativi ai fattori produttivi impiegati a supporto del mercato (di quel canale). Ma i 3
tipi di costi di mercato hanno natura e problemi di misurazione differenti tra loro.

Esempi di Costi diretti di canale a manifestazione certa


costi direttamente riconducibili a quel canale-> costi di area commerciale e logistica
specificamente riconducibili a un canale):

- costi della Rete di vendita

- costi per Iniziative promozionali e pubblicitarie

- costi di Trasporto

- costi dei Centri di smistamento

- costi per Servizi accessori alla consegna

Per essere tracciati, richiedono un sistema di contabilità analitica che possa collegare
il costo al cliente, e quindi al canale.

Possono essere trattati per convenzione come costi indiretti solo quando il loro
importo è ridotto, non è rilevante rispetto all’insieme dei costi  quando manca la
rilevanza

Margine commerciale - Costi diretti di manifestazione certa = Margine lordo di area


(di canale)

In tutti i contesti nei quali esiste forte specificità di impiego delle risorse commerciali
e distributive per ogni mercato (canale) di riferimento, è un margine significativo della
redditività di canale ed esaustivo, perché recupera quasi del tutto la relazione prezzo-
costo metodo efficace di misurazione della redditività del canale quando gran parte
delle risorse del produttore sono specifiche per canale
ESEMPI DI COSTI DIRETTI CON MANIFESTAZIONE INCERTA
Va però completato con accantonamenti per oneri futuri derivanti dall’allocazione dei
costi diretti di manifestazione incerta, che sono di 2 tipi:

b1) Costi la cui manifestazione è legata ad eventi attuali, ma subordinata al


verificarsi di condizioni future stabilite nel contratto (es.: sconti/premi di fine anno
condizionati, cioè subordinati al raggiungimento di volumi acquistati, visibilità della
merce, effettuazione di specifiche azioni promozionali e pubblicitarie da parte del
retailer). Sono costi addizionali che è necessario riconoscere fin dalla vendita iniziale
anche se la manifestazione è incerta

Se i costi b1 sono abituali e regolari, predisporre accantonamento per tutti i periodi


antecedenti il riconoscimento del costo (di solito ammonta a una percentuale del
fatturato del cliente/retailer).

Se i costi b1 sono eccezionali e irregolari, prevedere il massimo aggravio possibile per


l’azienda oppure conti economici alternativi con scenari diversi.

b2) Costi la cui manifestazione è connessa alle vendite attuali sebbene riferibili a
comportamenti futuri tipici delle normali dinamiche commerciali (es.: resi, abbuoni
in sede di incasso, perdite su crediti). Posso stimarli sulla base degli esercizi passati
oppure stimarne i valori effettivi futuri.

In ogni caso, adottare principi di prudenza e realismo. Se le stime sono troppo onerose
o difficili al punto di introdurre erraticità meglio non approfondire il calcolo

ESEMPIO DI COSTI INDIRETTI DI CANALE


Sono risorse comuni a più canali: relativi al trade marketer manager oppure altre
risorse comuni

Spesso le risorse (specie logistiche) sono condivise fra canali diversi, quindi
costituiscono Costi indiretti, da allocare. Secondo quali criteri?

Di solito si usano basi semplici, come fatturato oppure n° unità vendute, ma queste
funzionano solo se i costi indiretti sono spiegabili prevalentemente con il volume di
vendita. E’ poco realistico il costo non dipende da quanto si vende ma spesso
dipende dalla complessità di gestione del canale

In realtà i canali sono diversi non solo per volumi veicolati, ma anche per complessità
gestionale (il costo dipende dalla complessità di gestire il canale): ad es. dal punto di
vista di numerosità clienti, grado di frammentazione clienti, condizioni di consegna,
lotti minimi richiesti, logiche di imballaggio, adempimenti normativi.

Quindi le risorse e il lavoro richiesti sono diversi per canale, e non dipendono solo da
quanto viene ordinato da ciascun canale.

Se i costi indiretti sono una percentuale rilevante (e quindi incidono sulla redditività
del canale), occorre allocarli: ma con basi appropriate, non generiche => Activity
Based Costing (ABC)

ACTIVITY BASED COSTING


Prima si analizza l’attività svolta dall’azienda e si calcola quanto costa in funzione del
consumo misurato da uno o più driver di risorse (ad es. il tempo dedicato dalla risorsa
a un’attività).

Poi si assegna il costo a ciascun canale in base a quanto il canale ha consumato di


quell’attività.

A causa dell’onerosità dell’ABC, si applicano sistemi ABC parziali, cioè riferiti solo ad
alcune aree di attività. Quali?

Le aree i cui costi rappresentano una percentuale rilevante dei costi totali, e le aree
dei servizi accessori di vendita strategici per il successo dell’azienda: spesso l’attività
logistica. La logistica costa molto ed è strategica.

Margine lordo di area – Costi indiretti = Margine netto di area


SCHEMA DI CONTO ECONOMICO DI CANALE
Ricavi lordi di vendita

- Sconti e abbuoni

Ricavi netti di vendita

- Costo del venduto

Margine commerciale  utilizzabile solo quando l’economia di canale coincide con l’economia di prodotto

- Costi commerciali diretti

- Costi logistici e distributivi diretti

- Altri costi diretti

- Accantonamenti oneri futuri -> costi con manifestazione incerta futura

Margine lordo di area

- Costi commerciali indiretti

- Costi logistici e distributivi indiretti

Margine netto di area = è la misura parziale più precisa della redditività di un canale.

La redditività del canale dipende non solo dai costi ma anche dall’impatto delle
diverse strategie di commercializzazione

ANALISI DELLE IMPLICAZIONI FINANZIARIE


Per calcolare la redditività di canale in modo più completo è necessario tenere conto
dell’impatto delle diverse strategie di commercializzazione su Magazzino e Crediti
verso clienti (le due poste del Capitale Circolante) * (al netto dei debiti verso
fornitori)

• Magazzino: assortimenti diversi (per ampiezza e profondità) e velocità diverse di


consegna influenzano andamento e rotazione del magazzino. In sostanza,
l’andamento del magazzino dipende dai livelli di servizio (nr rotture di scorte che si
verificano nel canale) concessi al canale, che così hanno un impatto sui prezzi, pur non
risultando nei costi operativi livelli di servizio: dipende da se si vuole essere sempre
forniti ed essere in grado di esaudire tutti i suoi ordini se è questo su un
determinato canale occorre ottenere più scorte

NB: minore è il livello di servizio maggiori sono le rotture di stock

• Crediti verso clienti: canali diversi normalmente si caratterizzano per diversità delle
dilazioni di pagamento concesse. Quindi i canali chiedono supporti finanziari, che
hanno un impatto sui prezzi, pur non avendone sui costi operativi. Poste che generano
oneri finanziari. Maggiore è la dilazione di pagamento maggiore è l’impatto
finanziario.

Per valutare il profitto di canale, è necessario considerare anche gli investimenti di


capitale necessari a consentire la sua genesi. L’analisi della marginalità non li
considera. Occorre valutare che la capacità di un canale di generare reddito non
richieda investimenti in magazzino e dilazioni di incasso incompatibili con le esigenze
aziendali.

Se il canale richiede investimenti specifici in scorte e/o crediti vs clienti, bisogna


tradurre gli investimenti nel costo del capitale (risorse finanziarie) da reperire.

Come calcolare gli oneri finanziari applicati alle poste di capitale circolante?

Applicando agli investimenti specifici di canale (magazzino e crediti) il costo reale del
denaro per l’azienda detto WACC Weighted Average Cost of Capital, cioè il costo
medio ponderato del capitale di debito (al netto dei vantaggi fiscali) e del capitale di
rischio (mezzi propri) è il tasso di interesse che una banca richiede

Oneri finanziari figurativi richiesti dalla banca per il finanziamento di scorte e crediti
per clienti

Quindi:

Margine netto di area – Oneri finanziari figurativi = Margine netto rettificato di area

Perché convenga effettuare la rettifica del margine occorrono 3 condizioni:

a) I costi siano rilevanti per dimensione percentuale (principio della rilevanza)

b) Gli investimenti specifici di canale siano rintracciabili in modo non troppo oneroso
(principio dell’oggettività)
c) Gli investimenti patrimoniali siano assorbiti in modo molto diverso dai vari canali
(principio della differenzialità).

NB: la rotazione della merce fornisce info utili per sapere quando un distributore ha
realmente bisogno di una dilazione di pagamento.

Esempio ipermercati con rotazione 12: hanno una doppia tesoreria:

- propri incassi,
- parte proveniente dalla banca

Regolarmente vendono ogni mese la merce che possiedono ma pagano a 60 gg, il


produttore allora lo finanzia ogni volta per un mese. L’ipermercato per 30 gg vende la
merce, il ricavato lo mette in banca dove maturano gli interessi e dopo 30 gg paga

SINTESI DEI RISULTATI ECONOMICO-FINANZIARI


L’indicatore più diffuso per misurare la redditività dell’azione commerciale è il Gross
Margin ROI (Gmroi) = rapporto fra margine commerciale e valore medio delle scorte
di magazzino tra inizio e fine esercizio M/Ci

Questo indicatore ci racconta le 2 principali abilità nell’esercizio di un’attività


commerciale:

a) Capacità di massimizzare il differenziale tra prezzo del prodotto e costo di acquisto


(mark-up). Infatti il margine commerciale esprime come le unità commerciali
svolgono il loro ruolo di intermediazione.

b) Capacità di ottimizzare la gestione delle scorte. Significa disporre del prodotto


giusto al momento giusto senza, da un lato, immobilizzare capitali in scorte che
possano essere vendute lentamente (magari svalutate), e dall’altro, incorrere in
rotture di stock che si traducono in mancate vendite e talvolta nella perdita del
cliente.

Infatti Gmroi è scomponibile in:

Gmroi = Gross Margin Return on Sales (Gmros) x Rotazione di magazzino


1) canali orientati ai ricarichi:
boutique di centro città
2) Canali orientati ai volumi: grandi
superfici moderne di vendita
3) Canali eccellenti
4) Canale in declino o canale in start
up appena aperto che richiede dei
forti ammontare di scorte e questo
appesantisce la rotazione. I prezzi
sono contenuti per questo la GMROS è
contenuta

A ben vedere il Gmroi si focalizza solo sul margine commerciale (primo margine), con
ciò negando l’utilità di calcolare i margini successivi.

Funziona solo se l’economia di canale si esaurisce nell’economia di prodotto, in tutti


gli altri casi dà una misura parziale di redditività di canale.

Preferibile utilizzare il rapporto tra Margine Netto di Area e valore medio delle scorte
di magazzino (non il Margine Netto Rettificato di Area, perché comprende l’impatto
degli investimenti del magazzino che sono già espressi nel denominatore). Quindi
l’albero della marginalità di canale diventa:

ROS di canale indica la


redditività delle vendite del
singolo canale.

L’ultimo indice (tasso d’incidenza


dei costi operativi diretti e
indiretti sui ricavi) può così
essere articolato:

• Rapporto tra costi di funzionamento e ricavi: questo indice prende in


considerazione solo i costi operativi funzionali a un buon funzionamento dei servizi
accessori di vendita e distributivi (costi del personale, utenze, servizi esterni, etc.)

A parità di Gmros, canali con incidenza dei costi di funzionamento maggiore sono
meno efficienti.
• Rapporto tra costi di struttura e ricavi: questo indice prende in considerazione i soli
costi riferibili alla struttura di vendita e distributiva (ammortamenti e affitti)

A parità di Gmros, canali con incidenza dei costi di struttura maggiore sono
sovradimensionati, cioè dotati di capacità produttiva non satura.

NB: costi di funzionamento e struttura sono costi operativi

CONCLUSIONE
In ambito commerciale, si sono affermate consuetudini di misurazione della
marginalità di canale che, se in passato potevano considerarsi adeguate, oggi, a fronte
di modelli di business sempre più articolati e complessi (multicanalità, cross-canalità
etc), mostrano tutti i loro limiti.

Utilizzare parametri di misurazione della performance di canale più efficaci significa:

a) Rivedere le prassi di tracciatura dei fenomeni aziendali di canale, e di


rappresentazione delle relazioni fra ciascun fenomeno e i molteplici canali.

b) Creare una cultura della misura sacrificando un po’ di semplicità di


rappresentazione dei risultati conseguiti per ottenere una migliore capacità di analisi
e diagnosi a supporto del trade marketing.

Il trade marketer beneficia del calcolo così accurato dei costi che, nel momento in cui
va a gestire il contratto con una insegna sa con precisione quanto pesa quel canale sul
totale della rete distributiva e quindi effettuare delle valutazioni strategiche
ponderate

CATEGORY MANAGEMENT
Duplice ottica: fornitore e intermediario. Il consumatore che si trova davanti ad una
vetrina, o entra in un negozio, non entra con un bisogno ma contemporaneamente
avverte grappoli di bisogni collegati tra loro allora si deve rispondere a bisogni
articolati. ES: il retailer deve rispondere alla categoria intera della prima colazione
origine del category management. Cambiamento del pensiero lungo tutta la filiera.

 Impone all’intermediario di non pensare in termini di assortimento


complessivo del negozio ma anche a categorie di prodotti,
 Impone al produttore impone di pensare non solo alla singola marca ma
anche a come questa si inserisce con le altre marche in una categoria
È una rivoluzione che cambia le relazioni di potere: al buyer non gli serve più solo una
marca bensì gli occorre una intera linea per comporre la categoria

È una rivoluzione che nasce dagli intermediari per tentare di acquisire maggiore
potere di mercato nella filiera produttiva. È il produttore a doversi adattare.

Riassunto della gestione di categoria:

- La marca ha meno potere


- L’intermediario sottrae una parte del potere di mercato al produttore
- Il fornitore/produttore tenta una integrazione verticale discendente svolgendo
funzioni sulla categoria abitualmente svolte dall’intermediario (impiego di
software) estremamente difficile.

I FATTORI DI ORIGINE DEL CM


a) Forte attenzione a prezzo e rapporto qualità/prezzo

b) Crescente infedeltà di acquisto del consumatore all’insegna. Frequentazione di più


formati distributivi e di più insegne

c) Difficoltà della distribuzione nell’ottenere condizioni contrattuali migliorative


dall’industria (sconti, premi, contributi), da riversare in parte sul prezzo al consumo

d) Consumi statici e costi crescenti

A differenza del passato, alla singola insegna non basta più concentrarsi sulle attività
di acquisto per ottenere un vantaggio competitivo verso i competitor, ma deve creare
valore per la propria offerta intervenendo nell’area del marketing e delle vendite

DEFINIZIONE
Category Management = processo di gestione a livello di singole categorie di beni
sostituibili e complementari con l’obiettivo di migliorare i risultati focalizzandosi sul
valore trasferito al consumatore

Categoria = insieme di prodotti omogenei rispetto a uno o più fattori di aggregazione


(es. nutrirsi, lavarsi, divertirsi), per il quale produttori e distributori sviluppano una
politica mirata nei confronti della domanda finale. Nel non food affiancare prodotti
diventa ancora più semplice

ESEMPIO:
Beni sostituibili: vari tipi di doccia schiuma

Beni complementari: body cream

Tutti vendono la stessa categoria (lavarsi)

Nel grocery: categoria = usuali famiglie di prodotto

QUALI ASPETTI CARATTERIZZANTI


a) Rilevanza del ruolo del consumatore nel processo di offerta distributiva. Necessità
che produttori e distributori intervengano per fornire valore durante il processo
d’acquisto nel punto vendita

b) Non è solo un processo di marketing, ma manifesta ricadute anche nella logistica e


nella contrattualistica

c) Cambio di prospettiva di marketing sia per i produttori (da marca a categoria) sia
per i distributori (da assortimento a categoria). Cambio nelle relazioni di potere

E’ il produttore che deve adattarsi. => CM fondato sulla collaborazione ma portatore


in luce della ratifica tacita di un riequilibrio di potere a favore dell’intermediario

Tentativo dei grandi produttori di riappropriarsi della “categoria” => spostamento


della conflittualità dalla contrattualistica alla gestione del sistema di valore.

– Minore dipendenza del distributore dal produttore rinuncia a marche che si


propongono

– Minore esperienza professionale (di intermediazione) del produttore

Essere efficienti ed efficaci nell’intermediazione diventa complicato

IL CM NELLA PIANIFICAZIONE AZIENDALE


Vari ruoli possono essere affidati alle categorie

a) Missione aziendale

b) Obiettivi (ROI + Vendite)

c) Strategia di Marketing (posizionamenti)

d) Politiche di Marketing mix


e) Strategie di Marketing per singoli reparti Grocery – Deperibili - Merci varie –
Specialità

f) Piani strategici di categoria

QUALI IMPLICAZIONI ORGANIZZATIVE?


Passaggio dal modello org.vo funzionale al modello divisionale, accentrando in
un’unica funzione le competenze e le responsabilità di acquisti, marketing e vendite
delle singole categorie. Vi è una figura, il category manager che si occupa degli
acquisti e della vendita

Perché?

Per ridurre i Per rispondere alla L’orientamento alla sola


tempi di crescente articolazione minimizzazione del costo del venduto
risposta ai della canalizzazione di negli acquisti non assicura un
mutamenti del vendita, occorre vantaggio competitivo duraturo
mercato, migliorare l’adattamento rispetto ai concorrenti, in quanto
occorre al contesto di canale, cioè questi possono compensare con
accentrare definire la proposta politiche di marketing e politiche
tutte le assortimentale e di logistiche più valide.
informazioni marketing in relazione al Gli sconti non sono confinati ma si
relative alla comportamento della diffondono a macchia d’olio. Le
performance domanda finale condizioni privilegiate effettuate dal
produttore a un retailer poi sono
richieste anche da altri
Se tali mansioni sono svolte da una singola persona la reazione diviene più immediata

I PROBLEMI DA SUPERARE
 a. Le economie promesse sono stimolanti, ma non vi sono informazioni precise sul
loro ammontare totale e sulla loro ripartizione tra gli attori della filiera

 b. Aumento produttività, ma investimenti elevati (soprattutto nel non food)

 c. Nel food, l’ordine di grandezza delle economie realizzabili non è uguale in tutti i
reparti

 d. Frequenti coinvolgimenti dell’Alta Direzione. Sottostima di strutture, culture,


quindi resistenze interne. Evoluzione della figura del Category Manager.
 e. La D.O. riuscirà ad allinearsi con i progressi della G.D. nella realizzazione del
category management? (D.O.: reti disomogenee sia per formati all’interno dei canali,
sia per politiche di marketing)

 f. Difficile monitorare i fenomeni rilevanti all’interno di ciascuna delle 313


categorie, e tra categorie complementari/alternative

 g. Dove domina ancora l’org.ne funzionale e la contrattualistica, è difficile


realizzare il CM

 h. Esigenza di risorse umane complete, con competenze di marketing, ma anche di


contrattualistica e di logistica => Maggiore attenzione delle aziende della GDO alla
crescita professionale interna di neo assunti con base culturale universitaria come
momento fondamentale per la creazione di valore nell’azienda

ANALISI DI QUOTA DI MERCATO


Dal produttore rispetto ai clienti. Gli indici tenuti in considerazione:

1. indice di penetrazione rapporto % tra vendite della marca e vendite totali della
classe o linea di prodotti indice di penetrazione per punto vendita
 esempio: rapporto di vendite di Sgambaro e vendite totali di pasta
2. indice di copertura numerica rapporto % tra il nr di punti vendita che trattano
la marca e il nr tot. dei punti vendita che trattano la classe o linea di prodotti
 esempio: rapporto tra nr. di punti vendita che trattano la pasta Sgambaro e
il nr. T dei punti vendita che trattano la pasta
3. indice di copertura ponderata rapporto % tra vendite di una classe o linea di
prodotti di una data % di punti vendita e le vendite tot, sempre per quella classe
o linea di prodotti, di tutti i punti vendita indice di concentrazione
 esempio: rapporto tra le vendite di pasta secca del primo 10% dei punti
vendita che vendono di più in Italia sul totale delle vendite di pasta secca di
tutti i punti vendita in Italia.

Occorre ordinare i punti. Vendita in ordine crescente a seconda di quanta pasta


vendono.

Con tale indice è possibile verificare se la mia marca è trattata da punti vendita
marginali o meno.
CON QUESTI INDICI VIENE SCOMPOSTA LA QUOTA DI MERCATO:
Qi/Q= QMi= Qi/ Acsi x Acs/Q  indice di penetrazione x indice di copertura ponderata

- QMi: quota di mercato dell’impresa iesima


- Qi: quantità totale venduta dall’impresa iesima
- Acsi: acquisti totali di genere di prodotto da parte della clientela (intermediari)
servita dalla azienda iesima
- Q: vendite totali di genere di prodotto nel mercato di riferimento
 Qi/ Acsi: indice di penetrazione
 Acs/Q: indice di copertura ponderata

SCOMPOSIZIONE INDICE DI COPERTURA PONDERATA


Acs/Q= Acs/Ni x Ni/N x N/Q

- Acs/Ni: peso medio della propria clientela (quanto vendono i negozi che trattano
la mia marca)
- Ni/N: copertura numerica
- N/Q: indice di dispersione

N: numero tot di distributori nel mercato che si considera comprende sia quelli che
trattano la mia marca che quelli che non la trattano

Ni: numero di distributori clienti dell’azienda iesima

ESEMPIO

Qi= 800 tonnellate

Acsi 3200 tonnellate

Q 4000 tonnellate

Ni 50.000 tonnellate

N: 100.000

CALCOLARE LA QUOTA DI MERCATO, LA PENETRAZIONE E LA PONDERATA

A) QUOTA DI MERCATO= 800/4.000= 0,2 20%


B) INDICE DI PENETRAZIONE= 800/3.200= 0,25  25%
C) INDICE DI COPERTURA PONDERATA: 3.200 /4.000= 0,8  80%
Si deve scomporre la ponderata:

A) COPERTURA NUMERICA= 50.000/100.000 = 0,5 50%


B) PESO MEDIO DELLA CLIENTELA: 3.200/ 50.000= 0,064 tonnellate
C) INDICE DI DISPERSIONE: 100.000/ 4.000= 25

ATTENZIONE: PESO MEDIO DELLA CLIENTELA Acsi/Ni è utile confrontarlo con 


PESO MEDIO DI TUTTI I PT. VENDITA Q/N 4.000/100.000= 0,04 tonnellate

Dal rapporto 0,064 : 0,04 la dimensione dei clienti dell’azienda è in media il 60%
maggiore rispetto alla dimensione media dei distributori sul mercato coincide con
il rapporto tra ponderata e numerica

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