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O come funzione delle imprese industriali e che quindi si occupava dei magazzini, trasporti
e della scelta dei canali distributivi
oppure come una serie di operatori che in conto terzi offrivano un servizio all’impresa
industriale per effetto di un processo di esternalizzazione o per effetto di procedure di
appalto.
Verso le fine degli anni 60 inizio anni 70 gli operatori della distribuzione manifestano
un’insoddisfazione dovuta a questa situazione, e cominciarono ad adottare delle FORME
AGGREGATIVE, occupandosi così non solo di distribuzione, ma anche di logistica, nel tentativo di
qualificarsi come un vero e proprio settore svincolato dalle imprese industriali.
Con questa evoluzione il settore della distribuzione offre un servizio di consulenza tecnica
strategica e operativa, alle imprese industriali ed è un settore che al pari di queste ultime ha una sua
valenza ed una sua capacità di influenzare e condizionare il mercato.
Con il passare degli anni gli operatori del settore si strutturano sempre meglio, creando associazioni
e gruppi fino ad acquisire un forte potere contrattuale, addirittura forse più forte del settore
industriale, soprattutto nell’ambito del settore commerciale/alimentare con i supermercati.
Si passa da una logica che era inizialmente gestita solo dalla grande distribuzione (le grandi insegne
che distribuivano prodotti alimentari attraverso un regime proprietario dei punti vendita) ad una
serie di organizzazioni, aggregazioni dal basso (la cosiddetta distribuzione organizzata che si
compone di tanti piccoli attori che si uniscono tra di loro e che in qualche modo si contrappongono
alla grande distribuzione).
Tutto ciò è stato possibile in quanto gli operatori delle imprese commerciali erano e sono a stretto
contatto con il mercato, per cui in possesso di una serie di informazioni importanti che danno la
possibilità di capire come rendere soddisfatto il consumatore e di conseguenza decidere cosa porre
in assortimento e cosa no; tuttavia queste informazioni hanno portato all’impresa commerciale ad
aumentare il proprio potere contrattuale e ad essere addirittura pagate dalle imprese industriali per
potere vendere il proprio prodotto. Ad oggi sono poche le aziende che possono permettersi di
avanzare pretese; Coca-cola, Barilla, sono esempi di imprese che possono richiedere di essere
posizionate in determinati punti strategici del punto vendita, e ciò non è di poco conto in quanto il
40% delle vendite aumenta se il prodotto e in prossimità delle casse o addirittura del 60% se sono
prodotti in promozione o sui volantini pubblicitari. In definitiva il vero vantaggio competitivo
dell’impresa commerciale sta nell’avere un rapporto contrattuale diretto con le imprese industriali e
soprattutto la capacità di influenzare il mercato.
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Le imprese commerciali hanno una serie di informazioni che sfruttano:
In conclusione, oggi la vera forza contrattuale, il vero vantaggio competitivo delle imprese
commerciali sta nella GESTIONE DELLE INFORMAZIONI, nella possibilità di poter essere il
filtro che collega le imprese industriali al mercato finale decidenco che cosa può passare in
produzione e cosa no.
Le imprese commerciali in senso stretto sono soggetti che comprano, stoccano, gestiscono e
vendono in piena autonomia, utilizzando le imprese industriali solo come fornitori e pertanto
seguono le migliori condizioni contrattuali. La propria funzione di produzione non è quella di
produrre un output ma è quella di comprare e vendere al momento giusto nei tempi giusti al prezzo
giusto.
Le imprese ausiliari invece vendono un servizio, infatti ad esse non interessa essere autonoma,
scegliere come a chi vendere ma offrire semplicemente un servizio all’impresa industriale.
Quindi da un lato abbiamo un vero e proprio imprenditore nel caso delle imprese commerciali e
dall’altro abbiamo un’impresa che esiste solo in funzione dell’impresa commerciale.
i soggetti economici autonomi operano per loro conto, acquistano e vendono prodotti,
nutrono di una propria personalità giuridica, con delle proprie infrastrutture gestendo i centri
di distribuzione. Es. grossisti e i dettaglianti.
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gli agenti con o senza rappresentanza si occupano della promozione del prodotto per
conto di membri del canale di distribuzione senza vincoli di dipendenza infatti essi lavorano
per ottenere ordini dai clienti e girarli all’impresa che si occuperà della consegna. Questi
agenti possiamo definirli para-dipendenti in quanto vendono prodotti dell’azienda ma senza
esserne dipendenti.
(Il tipo di bisogno a cui risponde il supermercato è diverso dall’ipermercato che è a sua volta
diverso dal negozio sotto casa o ancora dal discount ecc).
La formula distributiva per l’impresa commerciale diventa una sorta di diversificazione ciò in
quanto la diversificazione non può derivare dal prodotto perché essa non lo produce ma piuttosto
l’impresa commerciale si diversifica per come essa soddisfa i bisogni del cliente.
Esistono diverse formule distributive perché quando ci si rivolge ad un mercato si fa l’analisi di
mercato, immagino un prodotto che possa soddisfare quel bisogno e quel bisogno assume delle
peculiarità perchè viene contestualizzato e quindi il prodotto che si era immaginato è una forma che
nel caso dell’impresa commerciale al momento della contestualizzazione diventa una formula
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distributiva che a sua volta può essere ulteriormente personalizzata attraverso i format distributivi.
Dunque, scelta la formula distributiva l’impresa commerciale può ulteriormente personalizzare la
propria offerta attraverso i format distributivi.
Difatti il fatto che Decò rispetto a Sisa/Esselunga ecc sia diverso è perché cambia il modo in cui
l’impresa commerciale legge il mercato.
La peculiarità delle imprese commerciali è quella di dover operare in delle dinamiche che sono
molto più rapide, rispetto a quelle delle imprese industriali, soprattutto in un mercato che per effetto
della digitalizzazione è diventato h24 7/7.
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ottiene un effetto maggiore nonostante sia molto più economico. Ciò in quanto noi la
pubblicità via radio tv e social la vediamo e la sentiamo il volantino lo studiamo.
5. Assistenza ai consumatori. L’impresa non solo si occupa di rendere disponibile i prodotti
richiesti dal consumatore ma spesso e sempre più con e-commerce promuovere grazie ai
cluster transazionali prodotti che l’utilizzatore ancora non sa di aver bisogno e rispetto ai
quali il distributore funge da ATTIVATORE DI BISOGNI. Tutto ciò avviene grazie alla
funzione di recommended system per il cui effetto ci compaiono acquisti che compiono i
consumatori presenti nello stesso cluster. Questa funzione di recommended system non è di
poco conto, come detto soprattutto per l’e-commerce è di fondamentale importanza basti
pensare che influisce del 30% sulle vendite di Amazon.
I recommended system, di cui Amazon è il precursore, non sono altro che degli algoritmi che
si basano sulla standardizzazione e sulla possibilità di identificare l’ideal tipo medio
all’interno di un mercato. Ogni qualvolta effettuiamo degli acquisti online i siti e-commerce
definiscono, attraverso le informazioni ricevute, una profilazione la quale permette di
associare la nostra identità a dei cluster transazionali che sono accomunati dall’aver
effettuato acquisti simili. Nel momento in cui uno dei soggetti appartenenti ad un dato
cluster compie un acquisto, il prodotto oggetto dell’acquisto comparirà tra i suggerimenti di
tutti gli individui facenti parte del medesimo cluster.
Tuttavia il negozio per una impresa commerciale è un plafond di indubbio valore ma non è l’unica
caratteristica che va a influenzare la shopping experience del consumatore in quanto ci sono una
serie di attività di back office che vengono svolte a monte ed a valle. Tali attività non solo
influenzano la shopping expericence ma anche la soddisfazione del consumatore.
In definitiva: un negozio per l’impresa commerciale non è altro che un aggregato di servizi
elementari combinati in modo da appagare il bisogno di un determinato segmento di domanda;
questa combinazione di servizi elementari sono tecniche di vendita e a ciascuna delle quali
corrisponde un alternativaa d’acquisto per il consumatore.
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È possibile scomporre l’output dell’impresa commerciale in due macrocategorie:
Questi servizi accessori non sono di poco valore, soprattutto con la nascita dell’e-commerce
che da la possibilità di fare acquisti da casa 24h 7/7, possiamo dire che il consumatore
sostiene un costo per recarsi al punto vendita, questo costo è composto da spese vive ossia la
benzina che utilizzo per andare al supermercato e una serie di costi indiretti che dipendono
dal concetto di costo opportunità, ad esempio, il tempo che impiego per andare al
supermercato. Ad oggi l’e-commerce è il format distributivo per eccellenza che ha il più
elevato servizio di prossimità ed ha giustificato anche il successo della diffusione.
Da un punto di vista qualitativo l’assortimento viene valutato dai clienti in base al prezzo ed alla
marca dei prodotti presenti in scaffale, nonché in relazione all’ambiente di vendita ed alla
professionalità del personale di contatto.
Da un punto di vista quantitativo l’assortimento viene di fatto definito in base a due dimensioni che
sono l’ampiezza (numero di categorie merceologiche proposte in assortimento) e la profondità (numero di varianti per
categoria merceologica che l’impresa è in grado di esporre in assortimento).
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L’ampiezza e la profondità insieme con le due variabili prezzo e qualità, che costruiscono le mappe
di posizionamento, definiscono il posizionamento dell’impresa commerciale che non è più
bidimensionale ma dipende da n dimensioni.
Le attività di back office sono tutte quelle attività che non vediamo ma che però esistono e sono
necessarie affinchè il cliente quando entra nel punto vendita riesce a trovare quello specifico pacco
di pasta in quello specifico scaffale. Si tratta di attività frutto di un attenta analisi di mercato e che è
fondamentale per la shopping expedition.
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margine di contribuzione tanto più quel prodotto varrà per l’impresa industriale. Nell’impresa
industriale, invece, è più rilevante l’indice di rotazione.
Anche l’interazione con il cliente è una caratteristica importante per creare quel senso di
appartenenza, ed ottenendo il meccanismo della COMMUNITY con cui si passa da una logica
razionale ad una logica relazione si è dunque diventati insensibili alla dimensione economica.
A Milano ad esempio hanno aperto supermercati per i single che hanno l’obiettivo di stimolare
l’incontro tra le singole persone e non solo, ci sono pacchi di pasta/formaggio di formato ridotto.
Ci troviamo in uno stato così evoluto di fidelizzazione che si va verso la Loyality.
Rivoluzione commerciale
Si assiste quindi ad una vera e propria rivoluzione commerciale che ha imposto una
modernizzazione delle strutture di vendite che ha portato alla scomparsa dei minimarket sotto casa e
la nascita minimarket come il carrefour express, ovvero un punto vendita con un assortimento
ridotto all’essenziale posizionato all’interno della città anziché nelle periferie, diventando così degli
identity store, ovvero dei negozi riservati per una determinata fascia di clienti che si riconoscono in
un determinato stile di vita (ambientalisti, vegetariani, vegani) come ad esempio lo può essere
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decathlon.
Le imprese commerciali cominciano a produrre prodotti con specifiche caratteristiche quanto più
vicine a quelle richieste dai consumatori, cercando di fidelizzarlo ad esempio pasta Conad – per
comprale pasta Conad bisogna recarsi per forza alla Conad e questo può portare ancora una volta
allo sfruttamento dello specchio delle allodole in quanto il cliente che viene per acquistare la mia
pasta magari comprerà anche altri beni e quindi migliora il mio indice di rotazione. Dunque
sfruttando il singolo prodotto come driver di penetrazione nel carrello del consumatore cresce il
potere del marchio commerciale (nell’esempio Conad), si crea così maggiore forza contrattuale e
competitiva nei confronti dell’impresa industriale.
Con i prodotti a marchio commerciale si va a colmare un vuoto d’offerta in maniera coerente con il
posizionamento della propria insegna, così facendo si crea un allineamento valoriale; solitamente
questi prodotti a marchio commerciale sono i cosiddetti primi prezzi cioè prodotti più bassi della
categoria.
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Il processo produttivo dell’impresa commerciale
Il processo produttivo dell’impresa commerciale si può suddividere non solo in attività di back
office e front office ma possiamo analizzarlo anche secondo un ulteriore aspetto dovuto a questa
modernizzazione della filiera distributiva, difatti il servizio commerciale può essere inteso:
in senso stretto che è quello analizzato pocanzi le attività che l’impresa svolge nell’interesse del
consumatore finale (attività logistiche, informative ed accessorie); servizi v.so il consumatore
in senso lato cioè l’impresa commerciale comincia addirittura a vendere dei servizi
all’impresa industriale. servizi v.so il produttore
Ad esempio la Kimbo che acquista uno spazio in un punto vendita per far assaggiare il
proprio prodotto. L’intermediario logistico diventa così un intermediario relazionale
permettendo all’impresa industriale di entrare in contatto col consumatore finale. L’impresa
commerciale non si occupa più esclusivamente di mettere a disposizione, attraverso il
trasferimento, il bene MA anche di supportare l’impresa industriale nella comprensione del
mercato di riferimento, e questo porta ad un ulteriore cambiamento in quanto non possiamo
più intendere la distribuzione come il semplice transito del prodotto, dall’impresa
industriale al consumatore ciò in quanto oggi l’output dell’impresa industriale non viene
collocato sul mercato finale ma viene collocato sul mercato del distributore, il cliente
dell’impresa industriale non è più il consumatore finale ma l’impresa commerciale la quale
difatti decide cosa acquistare per assortire i suoi scaffali e lo fa in nome e per conto
dell’utente finale Questo porta a sviluppare dei nuovi metodi di influenza per l’impresa
commerciale ovvero il marketing business to business, il marketing di filiera.
Questo mercato intermedio (sistema distributivo) emerge grazie alla grande distribuzione (GD) e la
distribuzione organizzata (DO).
La grande distribuzione segue una logica up down ovvero dall’alto e quindi una logoca
proprietaria in cui c’ è un imprenditore che decide di replicare un format, una formula distributiva
mantenendo centralità e controllo. Cioè c’è un unico soggetto che possiede più punti i quali operano
tutti alla stessa maniera, seguendo la stessa logica distributiva, stessi processi di
approvvigionamento e così via.
La distribuzione organizzata, invece segue un approccio bottom up cioè dal basso. Si tratta di
tante piccole superfici, a tanti piccoli imprenditori che hanno deciso di aggregarsi/associarsi tra di
loro per svolgere insieme alcune funzioni (ad es. quella dell’approvvigionamento) per avere
maggiore potere contrattuale e creare una sorta di marchio ombrello comune a tutte.
Nel frattempo nascono le COOP si tratta di cooperative le quali nascono per rispondere alle
esigenze dei propri consumatori soci. In particolare si tratta di piccoli consumatori nell’ambito della
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distribuzione che cominciano ad aggregarsi per riuscire a spuntare migliori condizioni contrattuali
nei confronti dei produttori e dei distributori. Dunque si tratta di comsumatori che decidono di
mettersi insieme per creare massa critica da sfruttare nei confronti dell’impresa industriale.
Inizialmente la coop poteva vendere i propri prodotti a prezzi vantaggiosi soltanto ai soci poiché
come abbiamo già detto si tratta di una cooperativa ed in quanto tale i benefici si distribuiscono tra
coloro che ne fanno parte.
Ad oggi però la distinzione tra le tre diverse forme organizzative è meno netta e le coop sono
diventate imprese di distribuzione a tutti gli effetti tanto è vero che nelle coop chiunque può
acquistare tranquillamente.
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SBOB 3.
In passato la classificazione dell’impresa commerciale, seguiva un APPROCCIO TRADIZIONALE
DI TIPO STRUMENTALISTA- era basata su configurazioni tangibili ovvero la lunghezza del
canale, gli attori, la dimensione aziendale, a seguito di questa rivoluzione la si può analizzare
attraverso una VISIONE SISTEMICA la quale tiene conto di quelle che sono le modalità di
funzionamento dell’attore delle imprese commerciali, e quindi arriviamo a parlare dei SISTEMI
VERTICALI DI MARKETING.
1. SVM AZIENDALI, sono quelli della grande distribuzione, ovvero abbiamo una proprietà
che decide di moltiplicare i propri punti vendita sul territorio, una standardizzazione dei
punti vendita replicando le formule distributive su più aree. Un’evoluzione degli svm
aziendali sono i franchising (soggetti che fungono da para-imprenditori, investono in
un’attività acquistando dei diritti di sfruttamento del brand aziendale, dell’esperienza
aziendale etc pagando delle loyalty in modo tale da poter usufruire di quell’esperienza;
3. SVM CONTRATTUALI - sono collaborazioni che nascono tra piccoli attori che si
uniscono ma che mantengono una propria autonomia, ne sono un esempio le ATS
Associazioni Temporanee di Scopo, che sono delle aggregazioni che non durano per
sempre ma che nascono per raggiungere un determinato scopo ed una volta raggiunto si
sciolgono. Non prevedono un vincolo contrattuale, e la creazione di una nuova forma
giuridica ma si crea un accordo, un’associazione che durerà esclusivamente per il tempo
necessario per il raggiungimento dello scopo.
Sono da non confondere con i raggruppamenti temporanei d’impresa che diversamente non
prevedono la realizzazione di un progetto ma l’attribuzione di un incarico, con il
raggruppamento è possibile spacchettare il progetto in funzione delle imprese che fanno
parte del raggruppamento.
nelle ATS invece non è possibile spacchettare il progetto ma per il perseguimento dello
scopo è necessario che tutti collaborino.
È uguale invece la filosofia contrattuale alla base in quanto una volta raggiunto l’obiettivo
ognuno mantiene la propria autonomia alla quale ci si rinuncia soltanto per il tempo
necessario al raggiungimento dello scopo.
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attività, ciò è dovuto alla loro piccola struttura. Quindi l’approccio che si segue in Italia è un
approccio bottom up, cioè parto dai piccoli soggetti, li aggrego e si cerca in qualche modo di
assolvere un determinato compito.
Dal momento che con la creazione dei Sistemi Verticali di Markating è come se si creasse una sorta
di nuovo soggetto che ingloba tutti quelli che hanno aderito al medesimo SVM si parla di
competizione MA non più competizione tradizionale e quindi tra attori diversi della stessa filiera
(verticali) o tra attori appartenenti alla medesima filiera (orizzontali) MA una COMPETIZIONE
TRA FILIERE tant’è vero che oggi soprattutto nell’ambito dell’agroalimentare ci sono una serie di
unioni volontarie e gruppi di acquisto che sono SVM che si sono aggregati tra di loro e
rappresentano dei veri e propri sistemi. Ne deriva che la competizione non è più tra singoli ma tra
raggruppamenti di singoli.
Per poter analizzare una struttura commerciale non bisogna limitarsi ad analizzare il paradigma
struttura-condotta-performance secondo cui: mediante una determinata configurazione
strutturale, seguendo un determinato percorso, si raggiunge un determinato obiettivo.
È un paradigma diffusosi negli anni 70 e 80 ma che oggi non funziona più poiché a parità di
struttura seguendo lo stesso percorso si hanno performance diverse. Per cui non è più sufficiente
dire qual è la struttura ma bisogna capire come il punto vendita organizza le superfici e come una
serie di variabili interne ed esterni al punto vendita interagiscono, per cui bisogna soffermarsi sul
sistema. Mentre la struttura è controllabile definibile ex ante, ci sono poi una serie di aspetti
variabili che sono imprevedibili ma che bisogna considerare poiché anche queste hanno delle
implicazioni sull’esito finale.
Tutto questo ci porta a definire i gruppi strategici, ossia insieme di attori caratterizzati da una
serie di peculiarità strutturali e sistemiche che operano nel rispetto di una sorta di condotta,
ovvero definiscono una strategia di sistema. Questi gruppi strategici utilizzano un approccio di
isomorfismo sistemico, cioè non si legano alle caratteristiche ma definiscono linee di condotta
comune. Questi gruppi strategici si caratterizzano in funzione di 3 criteri:
2.struttura reticolare: la tipologia di impresa può essere un’impresa a rete o una rete d’impresa; la
rete di impresa sono più imprese autonome che si stabiliscono una collaborazione. Invece l’impresa
a rete è un’impresa che crea dei soggetti che sono una propagazione di quella che è l’impresa
centrale.
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3. criterio sistemico-comportamentale: i vari profili competitivi riconducibili ai tipi di grande
distribuzione e distribuzione organizzata.
Queste strutture tendono a sviluppare una forte gerarchizzazione perché ci sta un soggetto che
decide e tanti altri che operano a cascata quindi ci sta una forte gerarchizzazione ma il rischio di una
scarsa raccolta di informazioni, poiché si corre il rischio che una data informazione fino ad arrivare
al vertice subisce una serie di processi di filtro che la alterano e ne depauperano il valore. Al
contrario in una lean organization l’informazione in tempo reale viene trasferita all’organo
decisorio.
le grandi imprese difficilmente riescono a sviluppare rapporti di fiducia.
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l’integrazione contrattuale, la quale è quella che ha la formula più “pulita” ovvero stabilisco
degli obiettivi stabilisco l’impegno di ognuno dei soggetti, definisco un contratto in base al
quale cerco si cerca di raggiungere l’obiettivo attraverso il contributo dei singoli attori. C’è
un accordo;
l’associazionismo volontario non si basa su una forma contrattuale ma su una compatibilità
strutturale e sistemica tale per cui i soggetti si mettono insieme pur non avendo un contratto
che ne vincola i comportamenti in questa categoria rientrano i GRUPPI D’ACQUISTO E
LE UNIONI VOLONTARIE.
L’associazionismo volontario è la categoria di DO che funziona meglio ma anche quella più
rischiosa, tuttavia per far sì che la DO abbia successo vi dev’essere consonanza tra le
imprese, ovvero tutti gli strumenti devono suonare all’unisono, questo per il successo
dell’unione tuttavia spesso questa situazione può portare alla gemmazione cioè alla nascita
di una nuova impresa compartecipata da tutte le imprese che fanno parte dell’unione.
La consonanza può evolvere in risonanza quando per un’interazione prolungata nel tempo si
riesce a raggiungere qualcosa che individualmente le parti non sarebbero riuscite a
raggiungere.
Andando ad approfondire il discorso sulle unioni volontarie e sui gruppi d’acquisto possiamo dire
che:
Le UNIONI VOLONTARIE che sono delle forme di integrazioni verticali regolati da uno statuto e
un marchio comune, che avvengono tra grossisti e dettaglianti, i quali mantengono la propria
autonomia giuridica e patrimoniale ma si accordano per organizzare acquisti e alcuni servizi per lo
sviluppo delle vendite e il miglioramento delle singole imprese aderenti. Nella definizione si fa
riferimento agli acquisti ma in realtà nelle unioni volontarie le azioni fondamentali sono svolgere
comunicazione, marketing, presentazione, promozione, organizzazione degli spazi espositivi, etc.
La struttura dell’unione volontaria si basa su tre livelli:
soggetto centrale che è un consorzio tra sole imprese grossiste. È l’elemento d’avvio del
processo (top-down), svolge funzioni di coordinamento creazione dei marchi, consulenza
giuridica e sindacale, coordina gli acquisti e i rapporti con l’industria.
l’unione volontaria effettiva che è un’unione tra grossisti o tra grossisti e dettaglianti.
Gestisce le funzioni dell’ingrosso e parte del dettaglio.
i punti vendita dei dettaglianti si associano alle unioni volontarie e beneficiano di una
gestione accentrata degli acquisti, ma hanno libertà di assortimento marginale ovvero
possono scegliere se aderire a determinate promozioni o meno.
I GRUPPI D’ACQUISTO invece sono associazioni che si hanno solo tra grossisti o solo tra
dettaglianti ciascuno dei quali anche in questo caso conserva la propria personalità giuridica e
patrimoniale, ma attraverso questi gruppi d’acquisto si realizzano acquisti e servizi di vendita in
comune. Quindi è chiaro che i gruppi d’acquisto a differenza delle unioni volontarie uniscono per
livelli perché potrebbe generarsi conflitti d’interesse tra i diversi livelli (grossisti e dettaglianti).
La struttura dei gruppi d’acquisto è basata su due livelli:
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le funzioni accentrate che riguardano gli acquisti ed il magazzinaggio;
e un ulteriore livello dove i punti vendita al dettaglio o l’ingrosso svolgono in piena
autonomia una serie di funzioni decentrate come vendita, promozione, pricing e
comunicazione.
Infine, le COOP nascono dalla volontà di più consumatori di unirsi e di fare massa critica
cercando di sfruttare un maggior potere contrattuale, di fare massa critica ed usufruire sdei servizi
pubblici. I servizi offerti dalla coop, inizialmente, potevano essere usufruiti solo ed esclusivamente
dai soci che ne entravano a far parte, ma con il passare del tempo vi è stato il bisogno di rivolgersi
ad un pubblico più ampio.
Le cooperative possono assumere DIVERSE FORME AZIENDALI:
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Le coop sono un ibrido perché: in parte è bottom un, dal momento che più soggetti si organizzano
ed in parte top down poiché c’è una neutralità nella gestione e nella pianificazione delle attività
strategiche. Si parla infatti di duplice direzione del processo di sviluppo.
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Differenza tra Hard discount e supermercato. L’hard discount oltre ad avere prodotti non
brandizzati e che quindi hanno un basso costo di approvvigionamento non offrono servizi per cui
non c’è lo scaffalista, l’addetto alla cassa ma un carrello che porta la pedana all’interno della
superfice di vendita. Tutto questo significa meno costi che si traduce anche in un prezzo più basso
del prodotto.
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I tre percorsi strategici (wheel of retailing, scrambled merchandising e retail life
cycle) derivanti dalla diversa combinazione delle leve del Retail Strategy Mix ed
i canali di distribuzione.
La combinazione delle leve che compongono il Retail Strategy Mix consente di determinare tre
percorsi strategici:
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indipendentemente dal libello di servizi offerti il consumatore non potrà acquistare i
prodotti/servizi (Gucci) per cui la domanda dell’impresa commerciale (Gucci) collassa e dovrà
ripartire dall’inizio; questo è il motivo per il quale il brand dell’impresa commerciale necessità
di ristrutturarsi per riposizionarsi sul mercato.
Con questo percorso c’è un passaggio graduale dal low-end strategy (l’ingresso in un mercato e
l’ottenimento di un vantaggio competitivo basato sul prezzo, senza offrire servizi- logica del
discount) all’high-end strategy (che è la logica del posizionamento e quindi l’aggiunta di tutti
una serie di servizi e assistenza vendita, l’utilizzo di layout evoluti (layout a isola o addirittura layout a
teatro quindi con delle rappresentazioni all’interno del p.v. che mirano a creare delle esperienze per il consumatore, si va oltre la
shopping expedition per creare shopping experience per arrivare poi a quelli che sono i lifestyle store e cioè punti vendita che
cessano di essere tali e richiamano uno stile di vita).
- il RETAIL LIFE CYCLE in pratica si applica il ciclo di vita del prodotto al punto vendita.
Il prodotto segue una serie di fasi sintetizzate in: fase di introduzione (in cui si spinge sulla
promozione, prezzi bassi ed ampiezza dell’assortimento); di sviluppo (più che sulla promozione si spinge sulla
fidelizzazione e più che sul prezzo si spinge sulla qualità e sui servizi aggiuntivi), maturità, declino, ed eventuale
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rilancio.
L’impresa commerciale segue una logica evolutiva spiralata ovvero acquisisce un
andamento ad aspirale per effetto del wheel of retailing.
In questo percorso bisogna porre l’attenzione soprattutto alla fase di declino del ciclo di vita
infatti in quella fase l’impresa deve essere pronta a ristrutturare oppure a svolgere azione
come fusioni ridimensionamento diversificazione o ancora contenimento dei costi.
VEDI POST IT PAG 48
Queste 3 dimensioni sono tra di loro collegate perché qualsiasi decisione venga presa con
riferimento ad una di queste dimensioni impatta sulle altre.
Canali di distribuzione
L’impresa commerciale ha diverse modalità di CANALI DI DISTRIBUZIONE:
- Single prevede che il retailer utilizzi un solo canale per raggiungere il cliente – vi è un’unica
modalità, ad esempio il punto vendita, senza alternative;
- Multi prevede che il retailer interagisca con il cliente attraverso più canali (pdv, e-
commerce);
- Omni prevede che il retailer interagisca in un'unica esperienza tutti i canali (compra online e
ritira in negozio).
È evidente come l’impresa commerciale abbia distinto i propri canali in funzione delle modalità di
contatto con il consumatore finale, per cui nel momento in cui si sceglie la politica di distribuzione
si sceglie anche il rapporto che si vuole avere con il proprio mercato, ad esempio si sceglie la
distribuzione one-channel quando si vuole avere maggior controllo (in tempo reale so cosa sto
vendendo, a chi, a quale prezzo) è un tipico approccio dei prodotti ad elevato margine come prodotti
artigianali, di lusso. Quindi devo scegliere anche le politiche di marketing che voglio andare a
realizzare, si faccia attenzione però che le politiche di marketing che adotto non servono per la
vendita del prodotto ma solo per far conoscere il brand, o per farsi che il consumatore attribuisca il
giusto significato che il produttore vuole. E qui che si genera una percezione nel consumatore e si
va a determinare il posizionamento.
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Il Direct marketing non va confuso con gli obiettivi di vendita perché con le attività di marketing
non si vende qualcosa ma si fa conoscere qualcosa e far sì che il consumatore attribuisca a quel
brand/prodotto un determinato significato che è quello a cui il produttore aspira. Ne deriva che
affinché il consumatore percepisca quel determinato significato le scelte dell’impresa commerciale
devono essere coerenti con la tipologia di posizionamento e con l’immagine che si vuole creare.
Mentre per l’impresa industriale il posizionamento dipende dal prezzo e dalla qualità, per l’impresa
commerciale a definirne il posizionamento sono: i servizi distribuzione, localizzazione ecc..
Il Direct marketing si caratterizza per un’azione diretta, non ci devono essere intermediari perché
se l’obiettivo ultimo è quello di condizionare la percezione del consumatore in riferimento a un
brand prodotto l’intermediario va a “sporcare” quella percezione.
Il Direct marketing si basa su una procedura:
step 1 - raccolta ed elaborazione dati
step 2 - si realizzano politiche di Direct marketing per condizionare la percezione e per fare questo
bisogna costruire una percezione delle aspettative e creare un modello questo si fa attraverso
l’analisi di mercato
step 3-costruire una risposta in modo da far percepire il brand come automaticamente rispondente
alle esigenze per fare questo l’impresa commerciale fa una segmentazione una clusterizzazione
emozionale (cognitivo-affettivo).
Discorso diverso vale invece per il DIRECT SELLING il cui obiettivo ultimo è quello di rendere
possibile un processo di vendita attraverso il contatto personale con il consumatore e le
sollecitazioni fatte da un rivenditore, e quindi si genera un’interazione diretta tra impresa
commerciale e consumatore. Tale interazione diretta, come il porta a porta favorisce la vendita dal
momento che i consumatori sono maggiormente a loro agio e non sono esposti a marchi
concorrenti, come invece avviene nel negozio.
Con il Direct Selling si utilizzano le variabili tradizionali connesse al prezzo, alla promozione, alla
capacità di persuasione dell’attività del venditore in modo tale da poter completare la transazione.
Un ulteriore modalità di interazione tra impresa commerciale e consumatore finale è quella del
NON STORE RETAILING si tratta dell’insieme di attività che vengono poste in essere
prescindendo dall’esistenza di uno store fisico. L’esempio più evidente è quello del vending
machine ossia la possibilità di acquistare dei prodotti attraverso l’utilizzo di macchine automatiche,
i classici distributori che troviamo nelle università, ospedali, stazioni ecc.
Tipicamente si tratta di prodotti ad acquisto d’impulso. Rientrano tra le attività di non store retailing
quelle interfacce grafiche che consentivano di ordinare online e completare poi il processo di
acquisto nei cosiddetti punti di consegna.
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L’E-COMMERCE
L’e-commerce è l’insieme di processi di vendita a distanza di beni, servizi, informazioni, in cui i
contraenti interagiscono elettronicamente per l’intera transazione o per parte di essa.
L’e-commerce ha stravolto le logiche del funzionamento dei canali di distribuzione, con la sua
diffusione si sono superati una serie di ostacoli sia per il consumatore che per l’impresa ad
esempio per i clienti si supera la distanza fisica, i vincoli d’orario ( aprendo il consumatore la
possibilità di poter acquistare qualsiasi cosa in qualsiasi parte del mondo 24 ore su 24 7 giorni su 7),
si riduce l’asimmetria informativa (perché il consumatore ha la possibilità di accedere a un
database informativo in ogni momento quindi raccoglie tutti i dati possibili circa le caratteristiche
tecniche e fisiche di un prodotto e soprattutto confronta le diverse condizioni economiche ciò ha
ridotto in maniera drastica la simmetria informativa e quindi quel potere contrattuale che l’impresa
commerciale poteva esercitare nei confronti del consumatore e rispetto al quale ne derivavano
vantaggi in termini di margine di contribuzione).
Invece, dal punto di vista dell’impresa vi è stato possibile aumentare una serie di servizi connessi
alla raccolta dati la quale permette di personalizzare le offerte, o ancora è stato possibile
aumentare l’interazione con i clienti (il consumatore non si sente parte di un mercato
indifferenziato ma si sente utente unico di quella transazione quindi vive la relazione come se fosse
l’unico utente di quell’impresa).
I VANTAGGI dell’e-commerce:
-superamento della distanza fisica
-superamento dei vincoli di orario
-riduzione dell’ asimmetria informativa.
Inoltre con l’e-commerce vi è stata anche l’esplosione del World of mouth ossia la possibilità per
un determinato sito di poter raggiungere una platea di consumatori semplicemente agendo sulla leva
della soddisfazione e cioè non è più necessario fare investimenti in strumenti di marketing ma è
sufficiente soddisfare le attese degli utenti poiché attraverso la soddisfazione dell’utente si attiva un
circolo virtuoso tramite cui gli stessi utenti fungono da portatori di interessi da motori di quel sito e-
commerce.
Per la prima volta si parla di co-creazione di valore da parte del consumatore perché Per la prima
volta il consumatore ha la possibilità di poter agire direttamente con l’azienda e di poter far valere
la propria opinione.
I due principali LIMITI dell’e-commerce sono:
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Caratteristiche dell’e-commerce
Con l’e-commerce c’è stata una evoluzione dei concetti di spazialità e temporalità in quanto se
con il RETAILING OFFLINE il punto di contatto cognitivo-affettivo e di contatto fisico coincidono
e si identificano nel negozio con il RETAILING ONLINE il contatto cognitivo-affettivo si realizza
nel virtual store e quello di contatto probabilmente direttamente a casa.
Inoltre mentre nel RETAILING OFFLINE i servizi informativi e logistici sono il core per la
creazione di valore per il cliente invece in un RETAILING ONLINE i servizi informativi e logistici
sono delegati a soggetti terzi.
Tutto ciò sta modificando anche il comportamento del consumatore, perchè appunto esso non valuta
più solo l’esperienza all’interno del negozio ma ci sono tutti una serie di fattori che possono
influenzare la scelta del consumatore, ad esempio il consumatore deve rimaner soddisfatto
dall’interazione dall’acquisizione dei dati dal momento dell’acquisto dalle varie tipologie di
pagamento dai canali di consegna e quindi il processo di valutazione del consumatore è cambiato.
Per cui se prima dell’impresa commerciale bastava misurare i livelli di soddisfazione del
consumatore all’interno del punto vendita e la valutazione finiva lì prima e post esperienza ora i
momenti di misurazione della soddisfazione si sono moltiplicati perché in ogni step c’è una
valutazione da esprimere quindi cambia completamente il processo di valutazione.
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ma poi finiamo per acquistare qualcosa; in questo l’impresa commerciale sta vendendo un servizio
di intrattenimento. O ancora possiamo analizzare questa situazione anche sotto altri aspetti come i
fattori ambientali come ad esempio seguire la moda, le tendenze. Tutto questo rende il
comportamento del consumatore un qualcosa di irrazionale da valutare, subentrano aspetti
emozionali, cognitivi.
Oggi il punto di vista è emozionale, il consumatore è fidelizzato alla marca commerciale perché
trasferisce all’insegna commerciale le caratteristiche che ritrovano all’interno del prodotto. Le
marche commerciali nascevano per essere i cosiddetti primi prezzi, cioè il prodotto veniva venduto
al prezzo più basso rispetto a quella categoria merceologica; oggi i prezzi delle marche commerciali
iniziano ad aumentare perché anche quel prodotto deve avere elevate caratteristiche di qualità,
perché emozionalmente il consumatore che acquista quel prodotto trasferisce il suo livello di
valutazione all’intero assortimento. Se compra un prodotto pur pagandolo poco ma non è
soddisfatto, non ci torna più nel punto vendita perché pensa che l’intero assortimento non sia in
grado di rispondere alle proprie esigenze.
Anche le analisi condotte dalle imprese, per la segmentazione del mercato e quindi per proporre un
prodotto al consumatore sono cambiate, si fa riferimento alla scala di Maslow per capire a quale
prossimo livello il consumatore vuole arrivare e in base a ciò si capisce che prodotto bisogna
proporre a quel determinato utente, esempio se dalla mia analisi scorgo che ho davanti a me un
cliente con un elevata self-confidence dovrò proporgli un prodotto innovativo alternativo in quanto
clienti di questo genere hanno il bisogno di distinguersi.
Più in generale l’impresa commerciale può proporre un prodotto, e quindi definire la sua offerta, in
base a dei modelli di riferimento come ad esempio le dimensioni del mercato, il genere, la
ripartizione in fasce di età, reddito, previsioni di vendita, natalità, mobilità, shopping expedition,
occupazione, titolo di studio e background culturale.
L’impresa commerciale deve considerare il mercato, dove per mercato non s’intende più
semplicemente il mercato dei bisogni ma il mercato delle classi sociali, dei modelli identitari, di
quelli che sono una serie di cluster trans-sociodemografici - cioè cluster che raggruppano più
categorie sociodemografiche e che rispondono ad elementi diversi.
Secondo la Social Identity Theory ogni persona, in ogni momento, appartiene a più gruppi di
riferimento che ne influenzano il comportamento questo porta alla cosiddetta “schizofrenia del
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consumo”, ovvero acquisto prodotti diversi per esigenze diverse che sono rappresentative di gruppi
diversi d’appartenenza, questo proprio perché ogni singolo consumatore racchiude in se più identità,
esempio io se vengo all’università mi comporto in maniera diversa di come mi comporto con il mio
gruppo di amici o con la famiglia etc.
In sintesi il consumatore ha diverse identità, ciascuna delle quali suscita diversi bisogni e
comportamenti. Di fronte a tale diversità l’impresa commerciale deve scegliere quale identità del
medesimo consumatore soddisfare.
Ne deriva dunque che l’impresa commerciale soddisfa il cliente in maniera diciamo parziale e cioè
soddisfa i miei bisogni di quando sto in famiglia e lo fa attraverso dei fattori influenzanti che sono:
Initiator è quell’acquirente che acquista perché percepisce per la prima volta un bisogno
ed intende soddisfarlo.
Influencer che influenza la decisione. Nell’ipotesi della lista della spesa colui che scrive
la lista di fatto influenza il processo d’acquisto;
Decision maker quello con autorità decisionale,
Approver che può mettere il veto
Buyer chi materialmente acquista il prodotto
User chi trae beneficio dall’utilizzo del prodotto.
Talvolta chi acquista, chi decide e chi utilizza sono soggetti diversi e l’impresa commerciale deve
considerare tutti questi attori e per ognuno adottare strumenti di comunicazione deversi, è proprio
questa la difficoltà per l’impresa commerciale. Ecco perché le imprese commerciali nel tentativo di
conquistare quote di mercato, aggrediscono una sola di queste categorie. Le promozioni in store, ad
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esempio, sono dedicate all’acquirente (buyer) cercano di distoglierlo dalla shopping list facendogli
percepire un vantaggio. Quindi le strade sono due:
Molto spesso si ritiene in maniera erronea che la concorrenza tra marche sia prevalente rispetto alle
altre e la si definisce concorrenza diretta, in realtà la concorrenza tra marche è il risultato di un
processo di elaborazione dell’individuo che decide prima qualche bisogno soddisfare, poi quale
bene utilizzare per soddisfare quel bisogno e tra i beni possibili sceglie la marca che è
maggiormente rispondente a quelle che sono le sue aspettative o meglio posizionata nell’ambito
delle sue valutazioni. Queste valutazioni incidono sulle scelte di posizionamento dell’impresa
commerciale, per capire che tipo di impresa commerciale voglio essere, che cosa voglio andare a
soddisfare, devo prima capire il bisogno, quali sono i beni che soddisfano quel bisogno e
successivamente vado a comporre l’assortimento.
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-se voglio agire sulle motivazioni razionali strategia di price competition, e posizionarmi sul
mercato più basso e cercare di proporre la migliore qualità possibile o comparabile con la
concorrenza, ipotizzando che tutti i consumatori siano razionali è ciò che succede con i prodotti no
brand, prodotti sfusi.
Ci sono poi prodotti di tipo sentimentale, li compro perché li associo ad un’esperienza, ciò accade
soprattutto nel mondo dolciario, es. Mulino bianco che fa la pubblicità in cui richiama la ricetta
della nonna, o l’esperienza in famiglia, si agisce sulla componente sentimentale perché si ritiene che
l’acquisto di quel prodotto avvenga esclusivamente nel momento in cui quel prodotto è associato ad
un determinato sentimento, a qualcosa vissuto nel nostro passato che in qualche modo cerchiamo di
replicare attraverso quell’acquisto.
E infine ci sono le motivazioni di patrocinio cioè la capacità di garantire la qualità costante nel
corso del tempo, in modo tale che se ho soddisfatto il cliente la prima volta quel processo di
acquisto si replicherà nel tempo e quindi si istaura una fidelizzazione continuativa nel tempo di quel
consumatore rispetto a quel prodotto.
Da un lato la concorrenza, quindi i processi di acquisto e gli elementi che condizionano i processi
d’acquisto, dall’altro lato le motivazioni di acquisto, determinato le strategie commerciali
dell’impresa commerciale quindi come posizionarsi, cosa vendere, a chi rivolgersi e quali segmenti
si definiscono proprio attraverso queste valutazioni.
SBOB. 6
In base a quanto detto ciò che diventa fondamentale per l’impresa è riuscire sì a soddisfare un
bisogno funzionale (base scala di Maslow) ma riuscire a trovare delle proposte di valore che siano
in grado di soddisfare bisogni diversi del consumatore diventa fondamentale la shopping
experience.
Di fronte a questa evoluzione del consumatore le imprese commerciali evolvono le loro forme
distributive in temporary store, experience store.
Tutto ciò è frutto di un’evoluzione esperienziale, il consumatore non si accontenta più di fare la
spesa, di comprare il prodotto, MA vuole vivere un’esperienza ed è disposto a pagare. Il prodotto
diventa quasi accessorio rispetto a quella che è la dinamica esperienziale dell’interazione tra
consumatore e punto vendita o impresa commerciale in generale.
Dunque, se l’obiettivo ultimo è CREARE UN’ESPERIENZA per il consumatore l’impresa
commerciale deve coinvolgere i consumatori nella sua offerta e per poterli coinvolgere bisogna
tener in considerazione due dimensioni:
1. fisico-tecniche;
2. di accessibilità.
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Ad esempio nello sfruttare l’e-commerce l’impresa commerciale deve tener conto di alcuni limiti,
come il limite dell’età ma non solo anche il grado di alfabetizzazione digitale.
Tutti questi elementi hanno come obiettivo quello di stimolare il coinvolgimento dell’utente
attivando una o più di quelle motivazioni. Anche le marche commerciali sono uno strumento di
coinvolgimento dell’utente, tale per cui si fidelizza il cliente che diventa così parte del processo di
creazione di valore.
Una serie di studi hanno dimostrato l’esistenza di una correlazione diretta tra interesse
personale/individuale e interesse v.so un prodotto. Ad esempio, se Gillette si fa sponsorizzare da
Insigne ed io sono un appassionato del calcio ed in particolare tifoso del Napoli io andrò ad
acquistare la lametta MA attenzione non per soddisfare un bisogno funzionale: “fare la barba” MA
perché mi piace Insigne. Ecco perché oggi si parla di CONCORRENZA TRA SERVIZI e non più
di concorrenza tra prodotti; Gillette non andrà più in competizione con Vilkson perché da quel
momento in poi per me consumatore, dal punto di vista valoriale, Gillette risponde ad un altro tipo
di bisogno.
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Costumer lifetime value
Si arriva all’analisi del Costumer Lifetime Value la quale ci dice quanto vale ogni singolo cliente
per l’impresa commerciale mediante un calcolo: quanto spende mediamente ogni volta il cliente,
per quante volte viene, per quanto spiegabilmente dovrebbe vivere quella cliente.
Quanto ottenuto rappresenta il valore soglia oltre il quale l’impresa non deve andare in termini di
investimento relazionale per cui se quel cliente vale per tutta la sua vita 1 milione di € per
l’impresa, l’impresa fino a 950.000 € può spendere oltre no perché fino a 950.000 € essa riesce a
recuperare tutti i costi e avere anche un margine di guadagno (di contribuzione).
La teoria dell’aspettativa
Secondo la Expectancy Theory il comportamento non deriva direttamente dai valori e dalle
motivazioni dei singoli ma, in una visione utilitaristica, deriva prevalentemente dalla possibilità di
ottenere un vantaggio. Oggi il vantaggio che ci si aspetta è un tipo di vantaggio diverso, non più
inteso in termini di promozioni, sconti ma si allude ad un TIPO DI TRATTAMENTO; ovvero
quando entro nel punto vendita il commesso sa cosa mi serve e cosa fa per me. Non è più un
vantaggio razionale.
Gli studi portati avanti su questa teoria si sono chiesti quanto fosse importante lo sconto; e si sono
accorti che ad un comportamento corrisponde una risposta, ad esempio se l’impresa applica uno
sconto, il cliente sceglie il mio punto vendita, tuttavia l’impresa commerciale non deve eccedere
nello sconto in quanto potrebbe ottenere un comportamento speculativo da parte del cliente, che
appunto approfitta del mio sconto e va via senza apportare informazioni e quindi valore.
Quando invece il consumatore si pone la domanda di “dove comprare quel prodotto” riscontriamo
due tipologie di fedeltà:
- Emozionale Si tratta di una fedeltà dettata dall’esperienza che mi fa vivere quel determinato
punto vendita, perché mi piace l assortimento mi piace l’ambiente mi piacciono le offerte;
- Comportamentale si tratta di una fedeltà dettata ad esempio dalla comodità di avere un punto
vendita vicino casa.
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Le motivazioni
L’impresa commerciale per ottenere il miglior risultato ha cercato di unire le due fedeltà
producendo un prodotto con il proprio marchio che generasse brand loyalty che portasse alla
fidelizzazione dello store e di conseguenza ottimizzando la fedeltà comportamentale ed emozionale.
Le MOTIVAZIONI alle spalle di questo ragionamento sono di 2 tipi:
La piramide di Maslow
Negli ultimi anni si è avuto un cambiamento della visione della piramide di Maslow.
In passato si dovevano soddisfare interamente i bisogni di livello inferiore prima di poter maturare i
bisogni di livello successivo o superiore; quindi era inutile che brand come Ferrari o Louis Vuitton
proponessero il loro prodotto ad utenti che si trovavano alla base della piramide, i quali non erano in
grado di percepirne l’utilità.
Oggi giorno invece è emerso un bisogno trans-settoriale, i consumatori contemporaneamente
cercano di soddisfare più livelli di bisogno, spingendo verso livelli più alti della piramide e
trascurando quelli alla base della stessa. Questi bisogni trans-settoriali spingono le imprese a dover
rivalutare con quali offerte le proprie proposte di valore vanno in concorrenza. Quindi si genera una
CONCORRENZA TRA I BISOGNI. Ad esempio lo smartphone nasce come prodotto che deve
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rispondere ad un bisogno essenziale ovvero la comunicazione, poi è diventato intrattenimento, per
arrivare ad essere uno status symbol. Quindi le imprese commerciali per bypassare questo problema
cominciano a soddisfare più livelli di bisogni, soddisfacendoli non più in orizzontale ma in verticale
rispetto alla piramide. I prodotti diventano verticali e cioè soddisfano i diversi bisogni che si
trovano lungo i diversi livelli della piramide.
Criteri di segmentazione
Tutto questo cambiamento nel comportamento del consumatore ha implicazioni sulla
segmentazione cambiano i CRITERI DI SEGMENTAZIONE, infatti le imprese commerciali
non possono più analizzare il mercato soltanto in base ad approcci demografici, socio-economici,
ubicazionali, MA devono farlo anche in base a criteri psicografici: quindi in base alla personalità,
all’autonomia decisionale, preferenza per l’innovazione. O ancora in base a criteri
comportamentali, disposizione all’acquisto, grado di fedeltà, benefici desiderati e le indagini
etnografiche ovvero analisi di mercato fatte in base a dei questionari.
Modello di Abell
Il modello di Abell opera una segmentazione strategica (macro-segmentazione) del mercato di
riferimento costruito su un determinato bisogno, fondata su variabili riferite sia al mercato (clienti e
funzioni d’uso) sia alla tecnologia utilizzata.
Uno degli strumenti con cui si poteva fare un’analisi di mercato era il modello di Abell, che ci
inquadrava delle aree strategiche di affari in funzione di chi, cosa e come. In base a quanto detto è
ancora valido? Si, ma modificando i miei target utilizzando ad esempio i benefici ed i bisogni.
Inoltre non posso più targettizzare in maniera socio-democratica ma ho necessità di individuare altri
elementi: comportamentali o psicografici.
Vi sono modi diversi (tecnologie alternative) di soddisfare un medesimo bisogno. Oggi il centro
commerciale è in concorrenza diretta sia con una serata al bowling sia con una serata in compagnia
di amici che al cinema, questo perché tutti soddisfano un medesimo bisogno: quello di
intrattenimento. Ne deriva che la concorrenza diretta non è soltanto tra bisogni ma anche tra quelle
che sono le funzioni d’uso e le diverse modalità di soddisfazione.
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- MARKETING DIFFERENZIATO si indirizza verso un gran numero di segmenti di mercato
con diversi programmi di marketing.Si va sul multi channel.
- MARKETING CONCENTRATO si indirizza verso un solo mercato o, al massimo, verso
pochi segmenti di mercato con un unico programma di marketing. Si va su un solo canale di
distribuzione.
- per PRODOTTO non intendiamo più qualcosa di tangibile con delle caratteristiche ma ci
riferiamo all’insieme dei servizi che l’impresa offre. (punto vendita)
- il PREZZO non dipende più dalla sommatoria dei costi di produzione + il margine di
contribuzione MA consideriamo solo i costi di approvvigionamento i quali dipendo dal potere
contrattuale.
- La PROMOZIONE (comunicazione) dipende dal posizionamento a cui si ambisce ad ottenere;
- Il PLACE è la localizzazione cioè dove si trova il punto vendita. Il place è determinato dal
bacino di utenza e la localizzazione incide sul bacino di utenza.
tipi e marche di prodotti selezionati in funzione dei bisogni della clientela target
(Qualitàcommerciale)
Numerosità di categorie merceologie trattate (Ampiezza)
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Numerosità di articoli che compongono ciascuna categoria merceologica (Profondità)
La qualità si ricollega al discorso del brand del posizionamento del brand e al tipo di esposizione.
La scaffalatura è tipica del layout a griglia, all’inizio di ogni reparto o di ogni canale ci sono delle
esposizioni che in gergo tecnico si chiamano la gondola ed è quella che viene utilizzata insieme agli
spazi espositivi all’ingresso del supermercato in prossimità delle casse per generare gli acquisti ad
impulso.
Sono tipicamente collegati in quelle aree collocati in quelle aree i prodotti che l’impresa
commerciale ha interesse a vendere e che hanno dunque un margine di contribuzione più alto o
perché più prossimi alla scadenza o per altri n motivi.
- In passato, il prezzo era stabilito in funzione del margine di contribuzione unitario che era
valido per tutto l’assortimento indipendentemente dal prezzo di acquisto e indipendentemente
da quello che il mercato chiedeva c’era uno ricarico prefissato al costo del prodotto;
- Oggi la determinazione del prezzo avviene attraverso una procedura a cascata per cui si
definisce il margine da applicare a livello di assortimento complessivo dopodiché si procede a
qualificare le diverse categorie/settore/reparto per giungere poi allo specifico prezzo per ogni
referenza. Ne deriva come il prezzo possa essere anche molto diverso tra categorie
merceologiche diverse.
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Gli strumenti di comunicazione INSTORE sono:
- il merchandising e cioè la gestione degli spazi espositivi con il layout;
-L’insegna in termini di lettering (un lettering stilizzato dà l’idea di aggressivo quindi o il fashion o
la tecnologia), tipologia di font (un font più spesso dà l’idea di accoglienza è tipico del comparto
alimentare, arredamento), carattere utilizzato, colori (il rosso stimola gli acquisti di impulso
aumentandoli del 30% circa); ogni scelta è ispirata a ciò che si vuole comunicare, comunicazione
para-verbale;
-La vetrina che va gestita diversamente a seconda del posizionamento. Essa può essere:
2. chiusa ci sono i prodotti in vetrina e dietro all’esposizione c’è un pannello che non
permette di visionare l’assortimento interno. Chi adotta questo tipo di vetrina è un’impresa
commerciale che conosce il suo segmento di mercato per cui chi è interessato al suo assortimento
già lo conosce per cui non è necessario fare promozione o coinvolgimento;
Il PLACE si ferisce tanto al punto vendita tanto al luogo ove è ubicato il punto vendita (localizzazione).
Collegato al place c’è tutto il discorso sulla distribuzione che si divide fondamentalmente in due livelli:
La gestione del place dell’impresa commerciale si riferisce anche al modo in cui il punto vendita è
organizzato in termini di layout.
Il layout definisce l’assetto complessivo del punto vendita attraverso la scelta e la disposizione delle
attrezzature espositive e la conseguente organizzazione del flusso di traffico della clientela all’interno del
punto vendita.
Le imprese commerciali, solitamente optano per due tipologie di layout
Alcuni spazi hanno rilevanza strategica, infatti talvolta a seconda dell’idea che l’impresa commerciale vuole
dare al consumatore dispone all’ingresso del p.v. un prodotto piuttosto che l’altro; solitamente si tratta o di
prodotti freschi. O di prodotti tematici o ancora di prodotti in offerta. Ad esempio alcuni supermercati
mettono i prodotti in offerta dando così l’immagine nella mente del consumatore della convenienza di prezzo
se invece all’inizio del supermercato ci vediamo un prodotto fresco, freschissimo tipo frutta, verdura, ortaggi
allora a quel punto vendita si associa l’immagine di qualità.
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L’obiettivo finale del marketing relazionale e il miglioramento della profittabilità nel lungo termine e della
massimizzazione del Customer Lifetime Value.
Il Customer Lifetime Value è dato dal:
Il Customer Lifetime Value definisce dunque il valore che nel lungo termine un cliente può generare per
una determinata impresa.
SBOB 7
Il Retail Information System (RIS) è un sistema informativo che si occupa di elaborare i dati in
informazione che vengono poi comunicate per supportare le operazioni, la gestione e la funzione
decisionale dell’impresa commerciale.
Questo sistema è un sistema con un ampia visione, l’obiettivo è connettere le esigenze e le attività
poste in essere dal singolo punto vendita con la filiera di cui fa parte poiché l’obiettivo ultimo non è
più quello di assicurare la sopravvivenza del singolo punto vendita MA creare delle filiere o sistemi
verticali di marketing che siano in grado di favorire la collaborazione tra attori in modo tale che
ognuno di essi possa ottenere soddisfazione in base alle proprie esigenze, migliorando la qualità
percepita dal consumatore, nonché il livello di soddisfazione dello stesso.
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sia sul livello di soddisfazione, sulle aspettative, e fornisce poi la valutazione rispetto alle diverse
offerte proposte dall’impresa sia al retail che al fornitore.
Tutte queste informazioni vengono racchiuse in un Data Warehouse che sono la base per costruire
intelligenze artificiali, ovvero tutti quei support system che consentono all’impresa di delegare parte
del processo decisionale.
- subject oriented: viene orientato sulla base di una classificazione di alto livello (es: le vendite);
- integrated: i dati devono essere coerenti e integrati;
- time variant: i dati sono legati al tempo e devono essere aggiornati;
- non volatile: i dati sono solo in lettura e devono essere aggiornati periodicamente.
Tipologie di dati
Come abbiamo detto alla base di questi Data Warehouse c’è la raccolta dei dati, dati che possono
essere: dati diversi e con diverse tipologie di raccolta, questa duplice classificazione è influenzata
da due aspetti:
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- tempo necessario per acquisire i dati che può essere: EX-POST e in REAL TIME;
Con l’intreccio di tutte e 3 le strutture e delle due tipologie di tempo di acquisizione dati posso
ottenere delle ANALISI SOCIALI NELL’AMBIENTE DEI MEDIA.
Oggigiorno le imprese commerciali utilizzano una serie di strumenti che ci portano una serie di
benefici e vantaggi. Ad esempio i sistemi di pagamento si sono evoluti e si sta passando dal
pagamento in contanti ad una serie di sistemi virtuali come il POS, cioè un sistema di cassa
automatico che riconosce il prodotto in entrata e in uscita.
Questo comporta:
- BENEFICI DIRETTI come: la riduzione del lavoro alle casse, eliminazione di errori di
prezzatura, contenimento delle differenze inventariali, semplificazione delle operazioni di
routine, razionalizzazione della forza lavoro. Ad esempio nel momento in cui si spara il prodotto con lo scanner,
il sistema informativo legge che quel prodotto sta uscendo ed automaticamente aggiorna l’inventario, segnalando così se il
livello di scorte è sceso al di sotto di una determinata soglia critica e se così fosse parte in automatico l’ordine al fornitore, il
quale in tempi tecnici necessari per evitare rotture di stock, consegnerà la merce da esporre in assortimento.
- BENEFICI INDIRETTI: come analisi della dinamica delle vendite, valutazione delle attività
promozionali, inventario permanente, analisi di contribuzione e redditività, automatizzazione
delle funzioni di vendita.
- POS-ELECTRONIC DATA INTERCHANGE (POS-EDI) sono quelli che l’impresa utilizza per
avere interazioni in tempo reale con i fornitori;
- EFT POS sono quelli che l’impresa utilizza con le interazioni con i consumatori (per
pagamenti).
Altro strumento che rappresenta la normalità nelle imprese commerciali è il CODICE A BARRE,
in cui un insieme di spazi in linee, in funzione dello spessore dello spazio che intercorre tra queste
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linee consente al lettore di stabilire un numero associato ad un’anagrafica in cui sono contenute una
serie di informazioni con riferimento a quella specifica referenza e categoria merceologica.
L’evoluzione dei codici a barre oggi sono i QR CODE, i quali arrivano a contare fino a 4300
caratteri e quindi consentono molte più informazioni rispetto ai codici a barre, e non solo,
anche per i consumatori diventa uno strumento di informazione, infatti attraverso il QR code si
ricostruiscono rappresentazioni video riguardanti la tracciabilità della filiera. Infine abbiamo i
RFID, un’alternativa del QR code, con la differenza che l’RFID si basa su una open source, un
cloud con una quantità infinita di informazioni; purtroppo l’RFID è soggetto ad una serie di
problematiche connesse alla gestione della privacy.
FASE IMPUT raccolta dati attraverso sistemi di sensoristica tra i quali le casse ed i pos ed
inserimento dei dati nel computer;
STORAGE le informazioni vengono stoccate, archiviate per un uso successivo. Ciò significa
che ogni volta che si completa questo circuito quanto ottenuto condiziona tutte le decisioni che da
quel momento verranno prese.
Il RIS funziona per stratificazione, ossia ogni qualvolta questo circuito si completa si genera un
nuovo livello informativo, ogni stratificazione comporta un’evoluzione del sistema informativo, per
l’ipotesi più avanzate si genera un processo automatizzato cioè il sistema stesso stabilisce quali
sono le info più rilevanti.
gli Executive Support System (ESS) cioè sistemi di analisi dati il cui obiettivo è supportare i
manager nel prendere decisioni strategiche, riorganizzando i dati in classe omogenee.
Sostanzialmente gli ess si basano sulla sintesi di questi dati per rendere leggibili ed
utilizzabili al fine ultimo di semplificare il processo decisionale.
i Sistemi di Supporto alle Decisioni (DSS) che non solo sintetizzano i dati informano anche
in real time dell’evoluzione di quel dato e quindi aiutano la direzione a prendere decisioni in
situazioni in cui vi è incertezza sui possibili risultati, per evitare imprevisti.
i Sistemi di Gestione della Conoscenza ( KMS) che servono per favorire la condivisione dei
flussi informativi all’interno dell’impresa soprattutto della conoscenza tacita, ossia
informazioni elaborate nelle attività svolte, utili per comprendere il funzionamento del punto
vendita. Viene chiesto, ad esempio, al personale di descrivere le proprie attività, di creare
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dei report su imprevisti di gestione, in modo da utilizzare tali informazioni per il
raggiungimento delle performance d’impresa.
I Transaction Processing System ( TPS) cioè tutto quello che prevede in automatico
l’aggiornamento delle info (ineventario, gestione scorte, pos) attraverso input in tempo reale,
ciò permette l’eliminazione della presenza fisica di controllo e l’organizzazione delle info.
Sono progettati per elaborare le transazioni di routine in maniera efficiente e accurata. I
manager utilizzano questi sistemi per gestire attività quali busta paga, fatturazione clienti e
pagamenti ai fornitori;
i Sistemi di Automazione (OAS) nascono per le imprese industriali per l’identificazione dei
gap degli andamenti anomali di produzione e la correzione. Questi sistemi si sono evoluti ed
oggi sono stati introdotti anche nelle imprese commerciali e riguardano i punti vendita con
scaffalature collegate con i magazzini verticali, ovvero leggono il numero di referenze
presenti sullo scaffale e se si scende al di sotto di una determinata soglia, in automatico, si
collega al magazzino e dalla parete del loro scaffale vengono inseriti i nuovi prodotti in
assortimento, in modo da evitare rotture di stock.
- privacy dei consumatori i quali vengono osservati ogni qualvolta sono all’interno del punto
vendita;
- privacy dei dipendenti, talvolta violandone la privacy e creando condizioni di stress.
In funzione di queste tipologie di privacy sono stati previsti una serie di strumenti che limitano la
possibilità di associare il dato raccolto con il singolo soggetto, quindi i dati vengono raccolti in
maniera anonimizzata.
La privacy si distingue anche in:
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- privacy informativa riguarda la necessità di mantenere il controllo su informazioni che ci
riguardano
- privacy fisica riguarda la necessita di mantenere il controllo in termini di comportamenti.
Per cui un’impresa commerciale deve capire in quale di questi quadranti si trova e successivamente
deliberare delle strategie di gestione delle informazioni.
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LEVE DEL RETAIL MARKETING MIX
Ricapitolando le leve del marketing mix nell’impresa commerciale acquisiscono un significato
particolare:
L’ ASSORTIMENTO rappresenta la parte core del servizio offerto dall’impresa commerciale che
viene analizzato in termini di ampiezza, profondità e qualità commerciale.
La marca commerciale serve a collegare il brand del punto vendita, l’insegna, a quello che èil brand
dei prodotti in assortimento per ottenere una serie di vantaggi (esclusività di approvvigionamento,
fidelizzazione, associazione cognitiva del punto vendita al prodotto, estensione di una serie di
percezioni all’interno della gamma ecc.).
La progettazione dell’assortimento avviene attraverso due diverse analisi:
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crea il layout ad isola che ripercorre tutto ciò che può servire per quell’occasione e di conseguenza
sposto il focus dal prodotto all’esperienza, a quella che è l’esigenza del consumatore con
riferimento a quel determinato contesto.
Ci stiamo spostando da una logica strutturale a una logica di tipo sistemico e quindi come il
prodotto si può combinare ad altre categorie merceologiche in un’ottica di micro-merchandising
perché si cominciano a vedere le somiglianze che esistono tra categorie merceologiche ai fini della
soddisfazione di un comune bisogno; il cross merchandising invece è la possibilità di stimolare
vendite incrociate attraverso una gestione opportuna del merchandising.
Per ottenere una buona leva sul merchandising, facciamo capo al merchandising plan, che si basa
sui brand, sull’assortimento, sul timing, sulle allocazioni, sul forecast (previsione), sulla capacità
di evitare rotture di stock e sull’innovatività la quale è collegata a due aspetti:
- l’effettiva esistenza di sistemi informativi evoluti cioè sistemi che consentano di prevedere i
consumi degli acquirenti all’interno del punto vendita;
- la capacità di lettura del soggetto decisore e quindi del proprietario dell’impresa commerciale
che deve essere in grado di avere un approccio innovativo e cioè essere capace di intuire
dall’analisi dei dati delle tendenze che altri operatori di mercato non hanno captato, così da
anticipare le future esigenze del consumatore.
Il negozio: è il luogo in cui le variabili del merchandising sono combinate e proposte per la
soddisfazione dei bisogni dei consumatori. Esso è influenzato da due variabili:
1. aspetti esteriori del punto vendita (Insegna, vetrina, ingresso e localizzazione) rappresentano
uno strumento fondamentale della creazione dello store image e nell’ identificazione del
punto vendita da parte del pubblico. Lo spazio fisico in cui il punto vendita è localizzato
condiziona la percezione che il consumatore ha di quel punto vendita (essere posizionati in via
monte napoleone rilascia una percezione di posizionamento esclusivo, mentre essere posizionati in periferia da
un’immagine di un'altra natura).
2. l’organizzazione interna degli spazi, fa riferimento alle decisioni assunte dall’impresa in
relazione alla:
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- progettazione del layout merceologico,
- progettazione del layout delle attrezzature
- gestione dello spazio espositivo del display.
Il layout delle attrezzature definisce l’assetto complessivo del punto vendita, attraverso la scelta e
la disposizione delle attrezzature espositive e la conseguente organizzazione del flusso di traffico
della clientela nel punto vendita.
Le finalità della scelta del layout:
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- attirare nel punto vendita il flusso ottimale di clienti,
- ridistribuire sull’intera superfice in modo da evitare i cosiddetti “colli di bottiglia” e
cioè evitare che tutti si concentrino in poche aree del punto vendita creando una serie
di inefficienze
- prolungare la permanenza della clientela nel punto vendita perché più tempo il
cliente trascorre all’interno del punto vendita, più è probabile che si esponga ad
acquisti ad impulso;
- bilanciare una serie di esigenze logistiche, di redditività e di costo
- assicurare la soddisfazione del consumatore, la quale dipende dall’immagine del
punto vendita che il consumatore si è costruito nella propria mente. Di conseguenza
tutte le scelte di layout devono essere coerenti con la scelta e la strategia di
posizionamento del punto vendita, altrimenti si rischia che il consumatore si aspetti
di ricevere delle cose e ne riceve effettivamente delle altre che potrebbero essere
anche di qualità MA che di fatto non rispondono alle sue aspettative e lo rendono
insoddisfatto. Ecco come la coerenza diviene fondamentale per la sopravvivenza del
punto vendita.
(3) Definizione del layout merceologico è cioè come prodotti dell’assortimento devono essere
disposti all’interno delle scelte di layout delle attrezzature;
il layout merceologico ha come obiettivo quello di accompagnare il consumatore nel processo di
acquisto e quindi in questa fase si va a definire dove posizionare un prodotto; tipicamente la
gestione del layout merceologico avviene per punti focali e per razionalizzazione.
I punti focali sono quelli che attirano il consumatore, e possono essere una categoria merceologica
es. il banco verdure. Il layout merceologico dipende dal punto focale per cui una volta individuati è
possibile attuare due scelte:
1. Posizionare il mio punto focale alla fine del mio punto vendita in modo da dare la possibilità
al consumatore di esporsi a tutta una serie stimoli di acquisto prima di arrivare
effettivamente al punto focale oppure
2. disporre il mio punto focale all’inizio del punto vendita perché voglio che il consumatore
soddisfi immediatamente la propria esigenza.
Sono due scelte diverse che praticamente dipendono da “che punto vendita si tratta e di che tipo di
consumatore si soddisfa” poiché ovviamente se la clientela è quella degli impiegati
professionalmente allora il punto focale verrà disposto all’inizio del punto vendita perché si
presume il consumatore business non se la guardi tutta la superfice perché cerca di ottimizzare i
tempi per cui mi occupa solo spazio; se invece la clientela è consumer (famiglia) allora il punto
focale è possibile disporlo alla fine del punto vendita, perché avendo tempo a disposizione guarderà
l’intero assortimento.
Le percentuali di percorrenza
In funzione delle percentuali di percorrenza si collocano, nelle aree maggiormente frequentate
ovvero quelle dove c’è più probabilità che il consumatore ci passi, i prodotti di acquisto ad impulso
in modo da stimolare un acquisto non programmato. Generalmente si tratta di prodotti freschi che
sono di facile deperimento come ad esempio frutta e verdura.
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(4) Definizione delle politiche di display, il display è dove posiziono all’interno dello scaffale un
determinato prodotto, il modo in cui vengono collocati deve seguire una logica strategica, perché a
diversi livelli di display corrispondono livelli di redditività diversi. Ne deriva un ruolo determinante
nella promozione delle vendite stimolando gli acquisti ad impulso.
Se il punto focale sono i detersivi per il pavimento potrò disporli al centro della scaffalatura in
modo da poter massimizzare l’affluenza da entrambi i lati e stimolare in questo modo gli acquisti.
In relazione alle scelte delle politiche di display esistono differenti tipologie di indici di
performance delle scelte di merchandising.
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- L’indice di interesse ci dice la percentuale di arresti sul totale dei passaggi, e cioè
quanti dei soggetti che passano in quell’area si fermano effettivamente a visionarne
l’assortimento.
- L’indice di manipolazione ci dice quante persone che sono passate di lì, si sono
fermate ed hanno toccato il prodotto.
- L’indice di acquisto ci dice la percentuale di acquisto sul totale delle manipolazioni
del prodotto.
La COMUNICAZIONE
All’interno dei punti vendita spesso si fanno giochi come questionari, esercizi, attività pratica che
cercano di sfruttare il deficit cognitivo, ovvero quando un consumatore prova un prodotto questo lo
porta inconsciamente al meccanismo d’acquisto, in quanto si sente in debito di aver usufruito di
qualcosa gratuitamente.
Il processo evolutivo delle politiche di comunicazione si compone di 2 fasi:
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qualsiasi richiamo sonoro, visivo o comunicazionale può influire in maniera diretta e
decisiva sulla scelta d’acquisto.
- Un meccanismo di promozione IN-STORE è la shop demonstration che è per quei
prodotti ad alto contenuto emotivo: vini, caffè… che rendono necessaria
un’immedesimazione del consumatore nel processo d’acquisto, e quindi l’utilizzo di
personale specializzato dell’azienda che spieghi e dimostri all’interno del punto
vendita i vantaggi del prodotto ed eventualmente lo offra in prova o in offerta
speciale in modo da farlo conoscere e così facendo contribuisca di fatto ad arricchire
il livello di conoscenza del consumatore rispetto a quell’offerta merceologica. Si
tratta di un’attività che viene fatta nei punti vendita, relativamente costosa ma molto
funzionale per le categorie ad elevato contenuto emotivo.
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corrispondono le categorie di livello inferiore rispetto alle macro-categorie (se parlo della pasta
avrò diverse tipologie di pasta: pasta di farro, pasta di semola..), quindi parto dal motivo per cui
sono entrato nel punto vendita (macro categoria) e lo suddivido in funzione di quelli che sono i
benefici ricercati. Ai processi di consumo <-> corrispondono le sub categorie (è una persona che
acquista la pasta e cucina a casa? È un consumatore famiglia che acquista la pasta per la domenica e
quindi preferisce pasta fresca?). Tutta questa declinazione definisce l’albero delle categorie: quanto
più è puntuale questo albero maggiore sarà la redditività del punto vendita; per avere un albero delle
categorie puntuale bisogna avere un’analisi di mercato puntuale, e una puntuale sedimentazione dei
consumatori a cui ci stiamo rivolgendo: questo lo si fa attraverso interviste, rapporti diretti e
indiretti, fidelty card…
L’obiettivo ultimo del CM è stimolare il coinvolgimento. Se io punto vendita riesco a stimolare il
coinvolgimento, posso avere due tipologie di consumatori: uno tipicamente razionale, quindi che
acquista solo in funzione di una valutazione costo-opportunità e quindi ho delle categorie di tipo
razionale, punto sull’ampiezza dell’assortimento. Di contro potrei avere un consumatore che è
molto coinvolto ma dà molta importanza alla dimensione esperienziale quindi devo puntare alla
profondità privilegiando categorie affettive. Poi c’è la possibilità che ci sia un basso
coinvolgimento, in questo caso se i benefici da ricercare sono funzionali si avranno acquisti
routinari(categoria routinaria) (pasta, latte). Se invece il coinvolgimento è basso, ma c’è un
elevato beneficio percepito di tipo esperienziale significa che sono nell’edonistico (categoria
edonistica), cioè entro nel punto vendita perché voglio stare nel punto vendita (in un centro
commerciale una domenica pomeriggio).
In funzione dell’andamento di mercato e del peso che quella categoria ha sul fatturato del punto
vendita possiamo immaginare 4 strategie e quindi capire che con crescente trend di mercato ed
elevato peso della categoria sul fatturato dobbiamo consolidare la nostra posizione; con modesto
peso della categoria sul fatturato e decrescente trend di mercato dobbiamo razionalizzare
l’assortimento; con modesto peso della categoria sul fatturato e crescente trend di mercato bisogna
rafforzare il nostro posizionamento in quell’area merceologica sviluppando l’assortimento; oppure
con elevato peso della categoria sul fatturato e decrescente trend di mercato bisogna rivitalizzare
l’assortimento attraverso una serie di attività all’interno del punto vendita.
Il sottocosto è un’attività di promozione instore, soggetta a delle regole, infatti il punto vendita può
fare il sottocosto comunicandolo preventivamente al comune di riferimento; non può essere fatto
più di tre volte all’anno ad eccezione dei saldi per il cambio stagione; non può durare più di 10
giorni, e non può riguardare più di 50 referenze. Il sottocosto sostanzialmente deve prevedere che il
prezzo di vendita sia più basso del costo d’acquisto in fattura che il distributore ha pagato. Si
utilizza per attirare consumatori all’interno del punto vendita, in modo che possano acquistare anche
altri prodotti.
SBOB 10
Ecosistema e innovazione
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L’impresa è un sistema che interagisce con l’ambiente, creando un dialogo con gli stakeholder e
shareholders presenti in un territorio per generare innovazione. L’interazione che si genera non è
one to one, ma è sistemica. nel tempo, con la globalizzazione le imprese si sono aperte al mondo
esterno, di conseguenza le aziende devono think global, perché l’azienda deve essere pronta ad
entrare non solo in mercati regionali o nazionali, ma ampliare la propria veduta per espandersi in
confini internazionali; non solo, l’azienda deve anche thinklocal, in quanto deve conoscere la
cultura locale. In questo tema è importante differenziare invenzione e innovazione: l’invenzione è
una scoperta scientifica, l’innovazione è la scoperta scientifica ad un prodotto commercializzabile,
quindi che può essere utilizzato dai consumatori; la differenza quindi sta nell’aspetto
commercializzabile, in tal modo l’innovazione diventa un business. In particolare distinguiamo tra
innovazione incrementale, cioè miglioramento di una tecnologia esistente (iPhone 1, iPhone 2,
iPhone 3..) e tecnologia radicale ad esempio internet, quindi tecnologie che vanno a distruggere una
realtà esistente per creare qualcosa di completamente diverso.
Come poter gestire il capitale umano in relazione a tutte queste tecnologie? Il capitale umano crea
in relazione alle tecnologie anche dei non collegamenti, perché c’è la paura della tecnologia, in
particolare paura che possa sostituire il lavoro umano; ma un pensiero differente è che si va oltre il
limite della paura della tecnologia e si passa al potenziamento della stessa. Il mancato collegamento
è anche il fatto di non saper usare la tecnologia, ecco perché questa digital innovation porta alcune
aziende ad avere successo, ma altre non riescono a sopravvivere nell’intero mercato. Perché ciò
accade? Il tempo è un fattore importante perché se io ho un’idea, può avere successo ora, ma se la
sviluppo tra due anni potrebbe essere già stata ideata, o magari il consumatore non è pronto alla mia
idea. Al tempo di Ford ci si concentrava sul dare al consumatore un oggetto, e ci si concentrava
sulla funzionalità del prodotto, nel tempo c’è stata una grande evoluzione e per questo si parla
sempre di più di differenziazione. Ad esempio General Motors è stata fondata e gestita da due
persone diverse: Alfred Pritchard è stato il manager della General Motors e l’ha portata al successo,
William Crapo invece ne è stato il fondatore ma non aveva le capacità e le competenze per gestirla,
quindi incominciamo a vedere una netta differenza tra imprenditore/fondatore e manager. Quindi il
management ha subito un’evoluzione nel tempo, con Ford avevamo un imprenditore che aveva
anche la sua figura manageriale, poi queste due figure si sono andate via via separando e lo vediamo
nelle grandi corporate. Il problema è dovuto al fatto che c’è stato un aumento di incertezza e
complessità, in quanto oggi parliamo di un sistema molto più competitivo. Ford prediligeva un
approccio collaborativo con i propri dipendenti, enfatizzava la risorsa umana; oggi però non si parla
più di risorsa umana perché la persona viene vista come un valore per l’azienda. C’è questo
movimento partito in Giappone dove si parla di società 5.0, dove non si parla più di industry, ma ci
si focalizza sulla società. La persona intesa come cittadino come consumatore come impiegato,
diviene il centro di tutto. Non è più un cittadino passivo, ma diviene prosumer, in grado anche di
creare, e lo possiamo vedere con la Lego, la quale ha creato una piattaforma dove collabora con il
consumatore, dove invita il consumatore a creare nuove idee, quindi il cittadino partecipa al
servizio, diventa parte integrante del contesto societario, e lo vediamo anche con le imprese: le
imprese creano benefici per le società, quindi il fine ultimo diventa la comunità.
Quindi cos’è questa complessità? Tale complessità nasce in relazione a due variabili: il tempo e la
relazione. Il tempo è dovuto al fatto che ciò che accade oggi potrebbe essere diverso domani, non
si riescono più a fare strategie a lungo termine. Lo abbiamo visto con il Covid, un cambiamento
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total brusco e repentino. Le relazionisono le alleanze strategiche; cioè creare un network non solo
all’interno del proprio business ma anche all’esterno del proprio business, perché un business da
solo non riesce a raggiungere determinati obiettivi ma ha bisogno del concetto di ecosistema e
quindi di collaborare con altri attori. C’è uno scritto di Campbell che parla di un’elica a 4 rami cioè
4 attori all’interno di un sistema che sono università, governo, centri di ricerca e business.
Successivamente aggiunge una 5 elica che sono i cittadini rientrando nel concetto di prosumer.
Quindi il cittadino diventa una parte integrande, diventa anche lui uno stakeholder; c’è questa
interazione con quello che è il consumatore.
Vi sono poi 3 caratteristiche che indicano la complessità di un contesto:
1. L’informazione: l’informazione crea incertezza, se io e X abbiamo una determinata
informazione, e conosciamo entrambe la stessa cosa possiamo collaborare di pari passo per
il raggiungimento dell’obiettivo. Ma se X nasconde, cela qualche informazione, quindi sa
qualcosa più di me, non riusciamo più ad andare di pari passo e si crea un clima di
competizione che c’è all’interno del mercato, e si sfocia in un’informazione asimettrica dove
non tutti sanno la stessa cosa.
2. Il Feedback: il feedback è il risultato che otteniamo dal raggiungimento dell’obiettivo, da
quindi la formazione di quello che può essere la nuova conoscenza. Questo implica che ho
acquisito delle informazioni, ma tali informazioni le integro all’interno delle mie risorse (nel
dire mia si parla di azienda non di individuo) e creo la nuova conoscenza. Esempio: la play
station nasce perché un dipendente della Sony guardava sua figlia giocare, e voleva fornire
alla bambina un gioco di lusso, quindi propone l’idea della playstation, l’idea piace ed è
stata creata. Quindi anche un semplice impiegato può fare innovazione dovuto al fatto di
creare quella che è la nuova conoscenza.
3. Pianificare dei goal: pianificare dei goal nel lungo termine diventa qualcosa di difficile,
bisogna basarsi su quelli che sono il breve termine.
Quindi con la variabile tempo si ha una sorta di linearità nella creazione del business: abbiamo
un progetto che inizia, ci sono poi i vari dettagli, c’è l’aspetto tecnico, la programmazione e il
testing ossia la prova sul mercato fino poi al suo lancio. Ma ci può essere anche qualcosa di
diverso come il design thinking, cioè parto dal consumatore, scopro il consumatore, capisco
quali sono i suoi bisogni, i suoi voleri e poi sviluppo l’idea, un po' il processo inverso.
L’approccio cambia, non bisogna solo fare le cose, bisogna fare le cose nel modo giusto, e per
farle bisogna fare delle analisi di mercato, bisogna fare delle analisi sul consumatore perché
questo permette di fare le cose giuste. Emblema è l’esempio di Levitt, il quale presentava sul
mercato un paio di occhiali da sole in California, il problema è che questi occhiali avevano 3
lenti; probabilmente la persona non conosceva il consumatore, quindi bisogna capire chi
abbiamo dinanzi.
Il consumatore a volte non è tanto interessato al prodotto, quanto invece a cosa fa il prodotto,
quindi si ritorna alla funzionalità dell’oggetto. Lo stiamo vedendo con i cinesi dove io spendo
meno perché mi interessa avere quella funzione in un oggetto, raggiungere il mio obiettivo,
quindi vediamo anche questa differenza tra prodotti low cost e prodotti cosiddetti di lusso, cioè
non li acquisto per la funzionalità, bensì per la qualità, per le caratteristiche dell’immagine che
mi da un prodotto oltre che per l’aspetto funzionalistico. Quindi la soluzione sono gli aspetti
tecnici (what) ed il valore sono i risultati e i benefici (why) nell’usare quell’oggetto. Mi vado a
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chiedere le cosiddette what, how e why. Nel fare tutto questo creo un valore, che può essere un
valore creato dall’azienda e quindi parliamo di cocreazione del valore.
Parliamo del cosiddetto impatto del business, cioè qual è il contributo che sto portando
nell’ambito manageriale, cosa ne posso trarre, quindi che impatto creo io sulla società. Quando
oggi parliamo di corporate social responsaibility, valori sociali, qual è il fine? Sicuramente un
fine positivo, ma perché accade? C’è un rebranding dell’azienda, se oggi il nostro consumatore
è attento ai concetti di sostenibilità, ai concetti sociali, tali valori mi permettono di migliorare
quella che è la mia brand image. Patagonia (è un brand) è famosa per i concetti di sostenibilità:
recycle, repair, reduce e reeuse, sono valori di un brand che riprendono i cardini della circular
economy. Altro esempio è Oscar Farinetti con il marchio Italy. Italy nasce nel torinese ed è un
grande store che si basa su prodotti made in Italy, ha poi aperto un mega store che si chiama
GreenP basato sulla sostenibilità. Il concetto di sostenibilità è esteso anche in altri mercati, tipo
quello automobilistico e della ristorazione. Infatti Farinetti adesso è promotore dello slow food,
e questo concetto della sostenibilità è stato proiettato anche all’estero, con un guadagno
maggiore all’estero perché il marchio Italy è sempre visto come un marchio di qualità.
Ci sono due concetti importanti legati al tema della sostenibilità:
Green Washing: un movimento che richiama i concetti di sostenibilità, etica, sociale.
Social Washing: riguarda la presenza invasiva dell’utilizzo dei social.
Ad oggi non avere una presenza sui social significa essere assenti sul mercato, perché c’è
un’inadeguatezza rispetto alla conoscenza del consumatore e del contesto in cui mi sto
inserendo.
Andiamo a vedere cos’è il backstage dell’azienda, l’impresa commerciale cosa fa? Eroga un
servizio, quindi non mette sul mercato un prodotto che voi vedete, ciò significa che dobbiamo
fidarci del servizio che sta offrendo. Immaginiamo una nuova azienda sul mercato, noi
cerchiamo di informarci su quest’azienda cosa fa ecc.. ad esempio il supermercato, c’era ostilità
prima nell’acquisto delle private lable perché erano ritenute come discount dei prodotti, quando
in realtà venivano prodotte da aziende importanti es Barilla, ma sul prodotto veniva messo il
marchio es Conad. Questi prodotti hanno prezzi bassi perché innanzitutto io non pago il marchio
barilla, e non pago neanche lo spazio di distribuzione, quindi io conad non mi autopago, ma la
domanda è perchebarilla aiuta conad a produrre un prodotto che può fare competizione? Per far
si che conad sia sia cliente che distributore; quindi non è una logica b2c, ma b2b.
Cosa accade dietro la scena? I nuovi modelli di business che emergono da questo processo di
digitalizzazione sono questi 4 patterns:
Digital for local business: un business locale divenuto digital. Riportiamo il caso di un sarto
pugliese che è riuscito a vendere i suoi prodotti in Giappone, a Madonna ecc.. Angelo Inglese ha
usato una piattaforma digitale che attraverso una webcam gli permetteva di prendere le misure
della persona, e riusciva a capirne anche i gusti per stilare l’outfit. Quindi c’è la
personalizzazione del prodotto, dove senza digitalizzazione non avrebbe venduto i suoi prodotti.
Qui si ritorna al concetto di globalizzazione che ha ampliato il suo bacino di utenza.
Digital for interaction: Gabriele e Veronica sono interior design. Hanno ideato una soluzione
digitale tramite ipad per scannerizzare lo spazio in pochi secondi e all’interno dell’ipad vengono
riportate le dimensioni dell’ambiente, e possono usare il tempo rimasto per parlare con il cliente
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perché hanno bisogno di conoscere le esigenze del cliente dovendo strutturare un ambiente
personalizzato.
Digital for responsability/repositioning:Velux è un’azienda nata per creare grossi finestroni
da sotto al tetto, ha effettuato un riposizionamento sul mercato, dove io non solo ti offro un
finestrone ma prendo la luce dal cielo. Ciò è avvenuto tramite la costumerrelationship
management: cioè un indice che si basa sulla relazione con la clientela a livello online, dove ci
sono anche tools ad esempio hootsuits che permettono di gestire i social media attraverso queste
piattaforme e introdurre anche campagne di comunicazione inbound (attiro a me il consumatore)
e outbound (cioè i callcenter).
Digital for sustainability: si basa sull’aspetto della sostenibilità. C’è questo progetto che si
chiama progetto Quid sviluppato in Piemonte che aiuta i flussi migratori per dare loro una
riabilitazione sociale. Si è partiti quindi da un problema, ovvero aiutare persone che vivono in
condizioni disagevoli, e si cerca di risolverlo, per questo si collega al concetto di sostenibilità.
Dopo tutto questo ritorniamo al concetto di società 5.0, dove non significa essere solo sociale o
sostenibile, ma significa che integro le tecnologie del mio business per potenziare ciò che
faccio, e fare del bene alla mia comunità.
Andiamo a vedere di cosa parliamo quando si parla di comunicazione online, offline e come si
fanno. Parliamo prima di quella che è la CRM, costumerrelationship management; quindi in che
modo mi relaziono con il cliente, in che modo creo rapporti con il mio cliente: in base a vari drivers.
-Fiducia: vado a creare per il cliente la Confort Zone, ovvero il cliente deve sentirsi a suo agio nel
modo, nel servizio e nel prodotto che offro.
-Tempestività: non devo perdere tempo e devo creare delle interazioni continue. Ad esempio in
qualsiasi piattaforma ufficiale c’è il Chatbot che da delle risposte automatiche, veloci, che possono
rimandare all’operatore umano.
-Creare interazioni continue: es. ultratravel che all’interno della sua community ha una sezione
feedback dove si interagisce con le persone.
-Trasparenza: bisogna essere sinceri in quello che sto offrendo, anche perché altrimenti il
consumatore non ritorna. Questo lo si fa anche attraverso le recensioni, es su amazon vado a vedere
il feedback degli utenti, le foto reali dei consumatori.
-Coerenza: a domande uguali ricevute da utenti diversi bisogna rispondere in maniera piuttosto
simile, ecco perché si utilizza spesso il FAQ e la chatbot.
-Personalizza: creare risposte personalizzate, ovvero ‘cara x..’, anche solo il dare un nome è
importante perché do importanza e riconoscimento al consumatore. La stessa chatbot chiede ‘come
stai oggi?’, è un modo per avvicinarsi al cliente.
-Monitoraggio: dobbiamo monitorare la campagna di comunicazione, perché online può costare
poco, ma può anche non valere nulla e quindi perdere tutti i soldi. Es. facebook chiede varie
caratteristiche: età, genere, quindi nell’online è semplice essere molto precisi. Un atteggiamento
ottimale sarebbe non andare su ogni sito (tiktok, instagram ecc..) in maniera individuale, altrimenti
non ottimizzo a mia efficacia di strategia di comunicazione.
Posso anche usare delle piattaforme per pianificare la campagna di comunicazione. Es. Hotsuite
permette di fare una pianificazione il giorno prima, secondo cui alle 10 del mattino appariranno su
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tutti i miei social media un determinato messaggio pubblicitario, per ottimizzare i temi di impresa e
strategia. Ovviamente perché pianifico il tempo sui social media? Devo capire quando le persone
sono online, e dipende dal target, cioè se sono un lavoratore, se sono uno studente universitario.
Mentre Hotsuite è per tutti i social media ed è solo in inglese, Facebook business manager è solo
per facebook;
C’è anche Podspeaker, nasce come startup italiana all’interno del quale è possibile utilizzare
emoticon, quindi creare emozioni, e può essere usato anche tramite app mobile, il che è importante
perché se sono in movimento e voglio organizzare le mie campagne posso farlo. Poi abbiamo
Onlyput che è molto più usato per instagram, per la parte di immagini e video;
Le keywords all’interno delle campagne servono per attirare, perché se io cerco sustainability,
questa può essere una keyword importante. Bisogna usare sempre parole positive es. non dire ‘non
vedo l’ora’ ma ‘ho interesse a vederti’, perché nel marketing la comunicazione è importante,
bisogna essere positivi. Si possono usare anche hashtag nella frase, in modo da avere caratteri
ridotti, hashtag che vale come keyword. Non bisogna fare post troppo lunghi perché non vengono
letti; e bisogna evidenziare i benefici che offre la campagna.
Nell’usare queste piattaforme cosa c’è di vantaggioso? Sicuramente aumentare l’esposizione online
negli spazi in cui il target spende più tempo, perché pianifico le tempistiche; con queste piattaforme
riceveremo feedback, si migliora il traffico web; e destinare budget di marketing in maniera efficace
ed efficiente, perché targettizzare il mio consumatore mi permette di ottimizzare il budget e
ottimizzare il tempo di gestione.
Nella parte più analytics, ad esempio nella pagina di Eataly c’è una parte con scritto ‘ad’ che è una
campagna a pagamento, poi un search join optimization che si basa sull’utilizzo di determinate
keywords che mi permettono di posizionare il mio site all’interno dell’online, ma questo lo fanno le
persone che hanno esperienza di informatica. Nella campagna invece paycampaigne posiziono
all’inizio il mio sito internet e nel cliccarci vado direttamente nella pagina del booking
(prenotazione). Immaginate che io cerco Eataly, quindi cerco direttamente il brand e ha un costo di
due euro. Questo perché in Google Adwords ogni keyword ha un costo che può essere 2,3,4,5, euro.
Eataly quindi ha un costo di due euro, io ci clicco, e l’azienda perde due euro, può essere che ci
abbia investito 2.000.000 di euro, ma è riuscita ad ottenere un consumatore, quei due euro sono
significati il contatto di un consumatore, quindi io riesco ad ottenere tutte le varie info ad esempio
di ‘Andrea’, sono riuscito così a colpire un target market. Il problema qui è che un consumatore
potrebbe cliccare ogni volta fino a farmi terminare il budget investito nella campagna, ecco perché
c’è sempre bisogno della persona dietro che controlli l’andamento dei contatti.
Poi ci sono le newsletters, quindi qualcuno si iscrive, acquisisco i dati del consumatore che dovrà
diventare un consumatore effettivo. Un’altra cosa sono i cookies, e cioè se io clicco su ‘agree’ il
sito acquisisce tutte le mie info e il mio comportamento all’interno di internet: cioè se rimbalzo da
una pagina all’altra, cosa sono andato a vedere, questo perché è scomparsa la privacy. Le
newsletters e i cookies hanno l’aspetto della geolocalizzazione per capire da dove stai acquistando.
Tra le piattaforme che permettono di ottenere dati analitici, troviamo Google Analytics, che mi
permette un collegamento con tutte le piattaforme e permette di capire come si muove il mio
consumatore; poi c’è Adobe Analytics un po' più sofisticato, è a pagamento ed è anche più
strutturato; Web Analytics che è molto più intuitivo quindi subito riceverò i vari grafici potendo
comparare mese con mese, o anno con anno; Hotjar da in più le heatmaps, è a pagamento e molto
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utilizzato in america; Crazy egg è una piattaforma a pagamento che permette di capire cosa sono le
heatmaps.
Sostanzialmente gli heatmaps sono questi: se io sono sulla pagina internet, non clicco, muovo solo
la pagina, gli heatmap mi permettono di capire cosa sta facendo il consumatore con il suo cursore.
Per l’impresa questo è importante, perché permette di capire dove posizionare gli annunci, come
posizionare le info, dove posizionare il menu… e sono:
gli overmap: è lo spostamento della nostra faccia; il clickmap: dove sto cliccando; e lo scrollmap:
cioè lo scorrimento.
Importanti sono anche gli aspetti dello store che toccano lo stato emozionale del cliente, quindi
l’aspetto esperienziale tanto che si parla di experiental marketing. Qui ci basiamo sul format dello
store, infatti ogni store ha il suo format. Lo store può essere un punto vendita, uno store di grande
distribuzione o un flagship. Un flagshipsono le aziende che hanno un punto vendita proprio del
brand quindi LV, Gucci, Vodafone, però posso avere anche rivenditori e questo può capitare sia per
i beni di lusso che per i beni non di lusso.
Abbiamo parlato anche della posizione dello store, che è fondamentale. Ad esempio ci sono degli
store in punti strategici per la comunicazione ma con un profitto pari a 0, ad es gli store in costa
smeralda che devono stare lì per comunicazione. O ancora Hermes, dove tutti si aspettano che
faccia un profitto più alto a Milano, in realtà il profitto più alto lo fa a Torino, dove i negozi
vengono chiusi per permettere a persone che provengono da fuori con jet privati di fare acquisti in
questo punto vendita.
Se invece facciamo riferimento alla Grande distribuzione abbiamo una tipologia di store diversa, es
i centri commerciali dove all’interno ci sono diversi punti vendita, come il centro campania dove in
base al target della popolazione non troveremo beni di lusso; se invece mi trovo a Dubai trovo molti
flagship.
Anche la vetrina stessa è un punto di comunicazione per chi passa e deve essere in linea con la
cultura locale.
Lo store format viene stabilito in base all’organizzazione del punto vendita che si divide in:
marchio per segmento: es inditex, che ingloba zara bershka e massimo dutti, quindi ha varie
tipologie di segmentazione. Perchè il segmento? Perché Zara attira una fascia di popolazione più
adulta, diversa da quella di bershka che attira una fascia di popolazione più giovane, invece
massimo dutti è maggiormente per uomo. Inditex tende ad attirare un diverso range di popolazione
perché non si focalizza su un determinato target market, ma ha la potenza economica di potersi
estendere a più fasce di popolazione; di contro possiamo avere il marchio con varianti: qui parliamo
di grande distribuzione, cioè in un supermercato posso comprare anche i prodotti private label,
quindi posso comprare prodotti dei diversi brand poiché sono distribuiti in quel punto vendita.
Lo store format è stabilito anche dalla replicazione:la replicazione del formato si basa sul
franchising, es Mc Donald’s dove non è il signore Mc D. che gestisce il punto vendita ma è dato in
gestione. Cosa che non accade con LV o Gucci, in quanto c’è sempre qualcuno legato al fondatore
che lo gestisce. La replicazione può avvenire con i prototipi, cioè sono standardizzati es Mc
Donald’s il prodotto è quello, non c’è grande differenza con altri Mc D.; o può avvenire con i punti
vendita razionalizzati cioè il layout viene studiato per permettere al cliente di fare un determinato
percorso in modo che sia interessato ad acquistare anche altri prodotti.
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Tra le caratteristiche dello store format vi è la dimensione, qui troviamo i grocery store o la grande
distribuzione specializzata, senza però dimenticare i piccoli store come le macellerie che si basano
più sull’interazione/familiarità.
Le operazioni che possono avvenire all’interno dello store sono varie: allocazione dello spazio, es le
GDO più sono grandi più sono fuori dalle città, quindi l’utilizzo del personale; la manutenzione, che
si tratti di restauro (si parla di restauro del retail, cioè se è andato in disuso devo renderlo innovativo
o adeguato alla norma) o di gestione dell’energia; sicurezza; assicurazioni; gamma e referenze;
credito; sistemi informativi; outsourcing; gestione della crisi.
Per ottimizzare la gamma, per scegliere i prodotti e i marchi migliori cui allocare lo spazio si deve
guardare:
al prezzo in quanto se mulino bianco ha pagato di più verrà posizionato all’interno dello scaffale
attirando di più l’attenzione del cliente, invece Galbusera pagando di meno si posizionerà più in
basso; oltre al prezzo c’è anche il bisogno del consumatore , cioè per vedere quante persone
acquistano quel prodotto, il venditore guarderà il numero di scontrini, gli acquisti per gestire il
rifornimento; bisogna fare attenzione ai gusti del consumatore cioè le varianti, cosa preferisco
rispetto a qualcos’altro; e bisogna guardare il processo d’acquisto del consumatore cioè spesso sono
in offerta prodotti che non abbiamo mai visto, in questo modo il venditore attira il consumatore
basandosi sul prezzo, e se sono una GDO vendo anche prodotti simili es uno scaffale pieno di
yogurt la leva prezzo sarà una variabile determinante.
Per scegliere le referenze invece si presta attenzione all’ euro a mq; alla marginalità cioè se voglio
incentivare l’acquisto in un determinato punto vendita posso abbassare il margine su quel punto
vendita, abbassando anche il prezzo, e cerco di far leva sull’online perché costa meno in quanto non
ho i costi fissi per es dell’energia, infatti anche le startup nascono sempre dall’online perché ha costi
più bassi. Per i beni di lusso invece esistono ancora i punti vendita fisici perché appunto sono beni
di lusso. E infine si presta attenzione all’utilizzo di canali diversi che consente un turnover diverso:
lo abbiamo visto con il web analytics, dove il diverso web consentiva di vedere la profittabilità del
canale rispetto ad un altro e quindi come veicolare la comunicazione.
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trovare i prodotti e di solito si richiede una superficie lineare minima. Nei casi in cui ci troviamo in
piccoli store pieni di cose non sappiamo neanche cosa cercare, es dai cinesi, in questi casi il livello
di shelf-mangement è pari a zero perché sono tutte cose ammassate e perché si basa sull’idea che il
cliente paga poco.
Possibili approcci allo shelf management sono:
Criterio delle vendite: si basa sull’aspetto di competizione, quindi sul prezzo perché mi baso su
quanto il mio competitor sta vendendo lo stesso prodotto (per competitor si intende il negozio
affianco magari), oppure si tratta di offrire prodotti merceologici diversi, basandomi sulla
differenziazione.
Store labour and inventory management: si basa sia sulla gestione dello store, e fa anche
riferimento al fornitore, quindi gli acquisti che servono per soddisfare la clientela.
Quote di mercato nazionale: cioè si basa sui prezzi a livello nazionale, che andranno ad incidere
sulle vendite; e si basa anche sulla competizione a livello nazionale.
Marginalità: permette di ottenere un punto vendita rispetto ad un altro. Se io sono un flagship posso
avere più marginalità rispetto ad un venditore.
KPI(Key performance indicator): cioè gli indicatori chiave di performance. Tra questi indicatori c’è
anche la sostenibilità.
L’allocazione dei prodotti merceologici si instaurano in base alle dimensioni: possiamo trovare
prodotti suolo, es quelli pesanti; prodotti mani cioè leggeri e facili da afferrare; prodotti occhi quelli
che attirano la nostra attenzione; e prodotti oltre la testa cioè che attirano l’attenzione attraverso i
sensi o anche attraverso l’esperienza d’acquisto [ciò è legato al concetto di Atmosferix]. Poi
vediamo dove piazzare i prodotti cioè prima o dopo nel percorso del negozio, oppure nella sezione
gondola (dove ad es a natale troviamo i panettoni), cioè dove troviamo le grandi offerte che attirano
il cliente.
Anche la modalità di ingresso è diversa: possiamo avere un’entrata aperta o semi aperta, una lobby
entrance o una porta standard. Nei centri commerciali gli ingressi sono ampi per poter passare con il
carrello, mentre in uno store di lusso possiamo trovare il concierge.
Alcuni punti vendita attirano il cliente attraverso le scritte, i simboli, i disegni, le luci esposte
all’esterno dello store. Influente è anche la gestione della vetrina che ci permette di guardare
all’interno, oppure può essere piccola e chiusa e lasciare poco tempo per la vista. (la Coin fa dei
corsi di formazione per la gestione delle vetrine, perché è il primo spazio espositivo di
comunicazione).
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Nello store bisogna far capo alla gestione del credito: cioè quali forme di pagamento si accettano e
con che limiti, se si dispongono i nuovi strumenti di pagamento (come bitcoin, o circuito di
pagamento che accetta l’azienda come visa, mastercard, american express che di solito è la meno
usata perché si prende una fetta più alta rispetto alle altre carte su ogni transazione). Come si
gestisce il credito, se l’impresa può permettersi un sistema autonomo; quali sono i termini di
pagamento, e ovviamente trattandosi di metodi di pagamento elettronici è difficile che qualcuno non
paghi, sviando così dal problema delle banconote false.
Il layout all’interno dello store può essere di due tipi: TOP DOWN o BOTTOM UP.
Top down: abbiamo prima lo spazio del negozio, poi le varie categorie di prodotto e poi abbiamo il
layout.
Bottom up: si parte dal layout, si va verso le categorie per poi basarci sullo spazio del negozio.
Analizziamo le due tipologie di store: grocery e non grocery. Nel grocery c’è un forte sfruttamento
dell’economia di scala ed inoltre abbiamo categorie non modificabili. I store grocery possono
sfruttare l’economia di scala in quanto acquistano quantità di prodotti molto elevate, inoltre fanno
leva sui focus sulla profondità e l’impatto sull’out of stock, che sono quei prodotti che non possono
essere venduti. I non grocery, invece, fanno leva su categorie non predefinite di prodotti e la loro
leva principale è la differenziazione che porta ad una leva riferita al brand image che implica forza
contrattuale. Facendo un’analisi della concorrenza possiamo migliorare la nostra formula prescelta,
ques’analisi si basa su due processi:
learning by doing: cioè imparo facendo e spirale SECI: ossia la circolazione della conoscenza
all’interno dell’azienda.
Uno dei concetti che spiega la conoscenza, in particolare la conoscenza tacita, è la modalità
aggregativa. Ne è l’esempio il packaging e il posizionamento su determinati scaffali di un prodotto.
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Il concetto di modalità aggregativa può seguire diverse logiche, ovvero il posizionamento di un
prodotto può essere fatto seguendo:
l’affinità merceologica: in base alle marche, al gruppo famiglia; complementarietà relativa ai
bisogni: analizzando ad esempio uno scaffale di un supermercato si nota che sullo stesso scaffale
possiamo trovare olii o anche salse, questo perché posso andare a soddisfare lo stesso bisogno ma in
maniera diversa; momento d’uso: relativa a quando utilizzo quel determinato prodotto; clientela: la
clientela che circola all’interno del mio store; Leva prezzo: cioè se scelgo un determinato
supermercato di prodotti premium so già che il prezzo può essere superiore; e infine un’ultima
variabile può essere la marca: a cui facciamo riferimento quando parliamo di brand image, brand
wareness, brand perception.
Abbiamo poi un modello integrato dove attraverso una serie di passaggi andiamo ad ottenere una
risposta del consumatore, questo modello integrato si basa sul progetto atmosfera, cioè quello di far
percepire ai miei consumatori uno stimolo all’acquisto attraverso un’atmosfera che stimola i 5 sensi.
Quindi come detto si parte dal progetto atmosfera che codifica il punto vendita, il consumatore lo
decodifica poi in base a ciò che viene percepito. Questo porta ad uno stato emozionale e quindi alla
risposta del consumatore che rilascia un feedback al progetto atmosfera. Inoltre in questo modello
integrato, c’è l’influenza delle caratteristiche oggettive e caratteristiche soggettive. Le
caratteristiche oggettive sono quelle che io creo nel mio punto vendita, le caratteristiche soggettive
invece, sono quelle su cui io devo far leva per ogni singolo consumatore, perché appunto implicano
lo stato emozionale. Stato emozionale che viene analizzato e studiato dalla rosa di Plutchik, il quale
disegnò appunto una rosa secondo cui può muoversi lo stato d’animo di un individuo e a cosa può
portare. L’obiettivo ultimo del modello integrato è quello di non andare verso i colori freddi della
rosa di Plutchik, ma cercare attraverso un prodotto di scatenare gioia e serenità perché se riesco in
questo obiettivo tenderò a ritornare ad usufruire di quel servizio. In definitiva le caratteristiche
soggettive tendono ad influenzare il feedback della risposta del consumatore. Questa tipologia di
studio è molto importante per capire come allocare i prodotti e come distribuirli alla clientela.
Tuttavia finora tutto il nostro studio era rivolto alla soddisfazione del consumatore ma possiamo
fare un passo in avanti andando non solo a soddisfare il consumatore ma a generare un’esperienza
nel consumatore. Lo possiamo fare attraverso l’experiental marketing che si basa su 4 concetti base:
il primo è l’esperienza del cliente: ossia creare un percorso di esperienza da quando il consumatore
entra nel negozio fino a quando esce, questo vale anche per il sito online. Come faccio a creare
quest’esperienza? Cercando di stimolare il consumatore con dei layout differenti, con dei video,
anche con dei colori, o anche attraverso la fluibilità, cioè il buon funzionamento del mio sito
internet. Un secondo concetto è la situazione di consumo: ne è un esempio emblematico un negozio
di lusso, quando si entra ci viene offerto dello champagne, ci sono delle poltrone, c’è una cura
diversa del cliente. Il terzo concetto è il driver razionali ed emozionali: per driver razionali
intendiamo la scelta della qualità del prodotto, il prezzo, una determinata marca, la quale può essere
anche un driver emozionale. Ci sono determinate occasioni in cui la sfera emozionale tende a
prevalere su quella razionale, ad esempio scelgo di pagare di più perché si è più contenti di
frequentare un posto dove c’è maggior empatia o atmosfera gioiosa. Infine abbiamo il management
eclettico: cioè quello di pensare fuori dagli schemi cercando di generare situazioni di sorpresa
all’interno dello store. L’experiental marketing genera diverse tipologie di esperienza, abbiamo già
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accennato all’esperienza sensoriale, cioè quella che si rifà ai miei 5 sensi, che fonda le proprie basi
sulla sfera emozionale e sulla sfera cognitiva. Poi abbiamo l’esperienza comportamentale: cioè si
analizza come si comporta mediamente il consumatore all’interno dello store attraverso layout
regolari, fissi ecc..
L’esperienza relazionale: con questa tipologia di esperienza rientra il rapporto che si genera con il
rivenditore quindi si evidenzia il cosiddetto costumer service.
Analizzando invece l’esperienza del provider ci sono tutta una serie di fattori su cui ragionare: la
comunicazione e visual and verbalidentity, la presenza del prodotto, il cobranding, la
spatialenvironement, e non meno importante le persone. Per comuncazione visual and
verbalidentity si fa riferimento alla comunicazione non verbale ma anche a quella verbale come il
tono di voce, l’approccio che ho con il mio cliente, il modo in cui mi pongo; la presenza del
prodotto porta all’acquisto di alcuni prodotti rispetto ad altri attraverso il gioco di spazi pieni e
vuoti. Il cobranding è la collaborazione di brand diversi; la spatialenvironement invece si basa
sull’ambiente: il layout, la disposizione di vari oggetti, l’utilizzo di determinati colori, la luminosità
dello store e la possibilità di trovare il prodotto che sto cercando, anche per quanto riguarda l’online
bisogna avere un sito facilmente navigabile, raggiungere le informazioni in tempi brevi; ed infine le
persone che hanno una valenza importante in tutta l’esperienza, infatti è di fondamentale
importanza andare in uno store e trovare un commesso che riesca a trasmettermi perché quello è il
prodotto che sto cercando, perché pagare quel determinato prezzo. Il concetto di persone ha come
obiettivo quello di ridurre il turnover lavorativo. Tale turnover lavorativo si riduce attraverso una
serie di variabili: formazione, comunicazione, standard di performance, incentivi e self service.
Queste variabili valorizzano il capitale umano di un’azienda. La formazione è quando un
dipendente che viene assunto per uno stage continua il suo processo formativo continuando a
lavorare anzicchè trovare un nuovo dipendente; la comunicazione è l’utilizzo di un sito internet o di
un sistema informativo o conoscitivo, che mi permette di far circolare una comunicazione
nell’azienda. Poi abbiamo gli standard di performance collegati con i key performance indicator ad
esempio mc Donald’s che elegge il dipendente del mese esponendo una sua foto, quindi ci porta a
degli incentivi qualificanti, ma anche degli incentivi monetari come dei bonus manageriali.
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Oggigiorno l’impresa segue una logica cognitive based in quanto l’impresa non è più chiusa in se
stessa ma interagisce con l’esterno, e questo ci porta a intrecciare 3 aspetti chiave che sono il
preserving and disseminating knowledge, cioè proteggo la conoscenza e la diffondo all’interno del
mio sistema di interazione interno ed esterno. Lo storing knowledge, ovvero appunto immagazzino
conoscenza; e il mapping new cognitive scripts, cioè vado a creare quella che è una knowledge
mapimaginate, in quanto per essere un buon team leader devo conoscere ogni mio singolo
lavoratore con le sue relative skills per poter fargli svolgere un compito, ruolo, mansione adeguata
per capire come creare valore aggiunto.
Uno dei metodi di circolazione della conoscenza all’interno dell’impresa è la SECI, matrice che
abbiamo già visto ed la knowledge stage, che è un ulteriore modello basato su due variabili: la
knowledge adoption ossia l’uso della conoscenza; e la variabile fatica e tempo.
Questo modello parte da un primo step, che è il cambiamento della conoscenza (knowledge
changing) attraverso l’interazione con l’esterno, attraverso un flusso detto inflow o outflow. Il
secondo step che è la knowledge acquisition, in quanto io acquisisco la conoscenza e la faccio mia,
tendo ad integrarla all’interno della mia azienda. Questo ci porta al terzo step che è la knowledge
empowerment, cioè il potenziamento della conoscenza, perché appunto integrando la nuova
conoscenza con quella già presente all’interno dell’impresa, la conoscenza generale diventa molto
più potente. In questi passaggi bisogna tenere in considerazione anche i limiti che comporta
l’acquisizione di nuova conoscenza, uno dei limiti principali è che il lavoratore è ostile al
cambiamento, in quanto un processo standardizzato è più facile da svolgere anzicchè accettare il
cambiamento che ci implica una learning curve. Ma i limiti possono essere non solo interni, ma
anche esterni in quanto c’è una forte burocratizzazione che limita la creatività e l’innovazione.
Superando questi limiti arriviamo all’ultimo step: la new knowledge ossia la nuova conoscenza
dalla quale possiamo creare una nuova idea, un nuovo prodotto.
Attraverso l’economia della conoscenza cambia anche la struttura dell’impresa, si passa da una
centralizzazione del manager ad un approccio multitasking. Questo implica che in un azienda piu
piccola più persone svolgono piu mansioni. Questo è dimostrato dal leanapproch, ovvero un azienda
più snella riesce a rispondere piu velocemente ai cambiamenti di mercato. Questo ci porta a tre
nuovi modelli manageriali, attraverso la combinazione del knowledge managment e l’intrduzione di
nuove tecnologie:
1: downstraemapproch: combinazione della conoscenza tra il consumatore e lavoratore, attraverso
le informazioni, comunicazioni e tecnologie. Ciò ci porta al costumerrelationship management.
2. cross value chain: integra ed intreccia, crea l’interazione tra tutte le attività che sono coinvolte
all’interno della catena del valore, collegato al supply chain management, cioè la gestione delle
varie attività della catena del valore che va unita sempre in rapporto alla gestione della conoscenza e
utilizzo delle tecnologie.
3. cross enterprise model: è un flusso della conoscenza tra l’interno ed esterno attraverso l’utilizzo
delle nuove tecnologie. In questo caso il modello manageriale è il big data management, attraverso i
big data vediamo la digitalizzazione del processo di conoscenza. Questo flusso di dati deve
comunque essere gestito in quanto noi sappiamo che dall’esterno riceviamo milioni di dati che se
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non venissero gestiti verrebbero persi e non potrebbero essere utilizzati per creare il valore
dell’azienda.
Per ottimizzare al meglio il tutto dobbiamo avere dei piani di performance utilizzando l’IKIGAI,
ovvero la mia ragion d’essere che si basa su 4 tasselli, per far si che emergano i talenti di un
lavoratore all’interno di un’azienda:
1. Cosa mi piace fare? (passione)
2. Cosa sono bravo a fare? (missione)
3. Quello che mi permette di guadagnare. (professione)
4. Quello di cui abbia bisogno il mondo. (vocazione)
Questi 4 aspetti sono tutti interrelati tra loro e si sintetizzano in PASSIONE, PROFESSIONE,
VOCAZIONE E MISSIONE.
La Cover Letter serve a capire quali sono i talenti di ciascuno dei lavoratori per trarre il meglio dalla
loro conoscenza tacita che, se non stimolata, resterebbe una conoscenza nascosta. La cover letter
viene realizzata mediante 4 quadranti: Sfera Gialla, Sfera Rossa, Sfera Verde e Sfera Blu ciascuna
contenente domande di riflessione.
Sfera Gialla: quali competenze ho acquisito nel corso della mia vita? Cosa mi fa sentire capace e in
controllo? Quando ero adolescente per cosa ero cresciuto? Quali elogi do per scontati?
Sfera Rossa: Cosa mi piace fare? Cosa faccio/sarei senza l’obiettivo del denaro? Cosa vorre mi
fosse riconosciuto dalle persone a cui tengo?
Sfera Verde: per cosa vengo pagato oggi? Cosa mi permette di guadagnare?
Sfera Blu: Di cosa ha bisogno il mondo? Cosa faccio utile per gli altri? Cosa potrebbe migliorare il
mondo, il mio paese, la mia comunità?.
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