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Lezione 1 e Lezione 2
Per realizzare, produrre il proprio servizio commerciale, l’azienda commerciale svolge una serie di funzioni
necessarie importanti, queste funzioni commerciali giustificano l’esistenza degli intermediari:
I prodotti sono tanti non hanno uguali funzioni o quantità, prodotti diversi necessitano di mix differenti di
funzioni. Ogni categoria di prodotto richiede alcune funzioni rispetto altre: Es. Vendo legna/carbone quali
sono le funzioni commerciali del business? Funzioni fisico merceologiche sono più importanti in questo
commercio. Es. Abbigliamento femminile le funzioni basi più importanti è quello di commercializzazione più
specificatamente di assortimento.
Le trasformazioni del commercio
Ci sono attributi comuni che servono a descrivere qualsiasi formato distributivo (supermercato,
ipermercato, superette, discount, GSS)
1. Differenziazione orizzontale: stessi formati (supermercati) di insegne diverse. Es. Conad e Coop
2. Differenziazione verticale: punti vendita appartenenti a formati diversi. Es. supermercati Conad con
gli ipermercati appartenenti sia alla stessa insegna o anche a insegne differenti.
Questa differenziazione verticale oggi tende ad essere meno marcata (salvo discount) ovvero c’è una
convergenza dei differenti formati di vendita, i supermercati tendono sempre più ad assomigliare ad un
ipermercato e le differenze tendono a ridursi
=> il posizionamento e identità più complessi da individuare e identificare, perché i formati si assomigliano
=> quali conseguenze? Sono:
Il commercio ha un lato sociale rilevante perché svolge un servizio funzionale ai territori. Es. Se muore il
commercio del centro città muore il centro città, questo viene chiamato desertificazione commerciale (devo
fare km per comprare un prodotto, sono rimaste solo le grandi superfici). Un sistema commerciale è
equilibrato quando è in grado di soddisfare tutte le esigenze di acquisto della popolazione. Es. Se ci fossero
solo grandi superfici non riuscirebbero a soddisfare i servizi di prossimità, se ci fossero tutti piccoli negozi
senza grande distribuzione organizzata, avremmo certamente un livello di servizi di prossimità elevato ma
scarsa convenienza, che finisce per avere ricarichi superiori rispetto alla GDO e viceversa. Ci vuole un
SISTEMA IN EQUILIBRIO in grado di soddisfare tutti i bisogni ed esigenze di servizi commerciali dei clienti,
dalla famiglia all’anziano. La presenza o assenza del commercio incide sulla qualità di vita della popolazione.
La legislazione si è fatta carico di guidare lo sviluppo del commercio italiano con due leggi:
1. Legge 426 del 1971: La prima rendeva difficile le aperture delle grandi superfici moderne e proteggeva
il piccolo dettaglio. Il risultato è stato che non si sono creati grandi gruppi commerciali. L’Italia come
risultato è stata terra di conquista in particolare per i tedeschi es. Aldi e francesi. Autorizzazioni infinite
2. DL. N. 114 del 1998: La seconda cercava di risanare questo sistema troppo polverizzato.
- Accorpamenti di piccoli esercizi per costituire punti vendita di medie dimensioni
- Sviluppo di reti orizzontali (stesso livello) e verticali basate su franchising, per consentire la crescita di
succursalisti e distribuzione organizzata senza sostenere i costi di fusioni e acquisizioni. Agevola la
crescita attraverso il franchising, questo consente di aumentare i ricavi senza sostenere i relativi costi di
acquisizione perché il capitale è messo dal franchisee.
- Espansione di punti vendita di medie dimensioni (fino a 2.500 mq), in virtù di iter autorizzativi più
favorevoli perché solo a livello comunale e in 90 giorni: supermercati «core business. Con questa
legge si ottengono in fretta le autorizzazioni per le medie dimensioni. Inizialmente si volevano favorire
le cooperative ovvero il sistema della DO che è costituito da gruppi associati di imprenditori, quindi
l’associazionismo. Ai tempi del decreto i principali attori erano le cooperative, si è voluto fare questo.
L’aspetto positivo: diamo tempo alla DO (cooperative che si uniscono, Conad) di ingrandirsi in modo
da difendersi dai gruppi stranieri ma il tasso di crescita però è stato troppo lento rispetto alla dinamica
veloce di entrata dei gruppi succursalisti (catene di un unico imprenditore) esteri. L’effetto è stato
quello di bloccare i succursalisti (unico) e favorire la DO (più), che hanno dato benefici al mondo delle
cooperative ma ostacolata la crescita di imprenditori italiani ovvero le catene rispetto ai gruppi esteri.
Maggiore è la dimensione, maggiore è lo sconto e il potere negoziale nei confronti dei fornitori che si
può in seguito riversare a valle per i consumatori.
Ora ci sono degli iter più favorevoli:
Gli iter del piccolo negozio commerciale sono lasciati al mercato (autorizzazione sindaco) va bene per la
liberalizzazione ma crea problemi per le città d’arte.
Gli iter a livello delle medie superfici l’apertura richiede solo l’autorizzazione comunale e a breve
termine. Per i punti vendita di grandi superfici ci vogliono autorizzazioni regionali.
Raggruppa tutte le tendenze che determinano un riposizionamento dei canali di vendita sul mercato. La
posizione dell’offerta nel sistema di preferenze è nel territorio mentale.
Il punto di vendita di prossimità rende comodo l’acquisto in quale delle funzioni rientra? La seconda
funzione di commercializzazione ovvero incontro domanda e offerta, devo essere vicino alla domanda nello
spazio e nel tempo. Questi punti vendita hanno subito riduzioni negli anni, erano 900.000 (food e non
food). Ci sono state delle modifiche importanti nelle abitudini dei consumatori, anche per il calo
demografico (dimensione famiglie minore) e i ritmi diversi di lavoro hanno fatto in modo che il servizio di
prossimità sia tornano rilevante, es. anziani / i professionisti per spese più veloci. La GDO (GD+DO) è il
soggetto più grande nel commercio moderno che sta cercando di cavalcare questa tendenza aprendo delle
insegne di piccoli negozi cittadini riqualificando il servizio di prossimità in centro città.
Innovazione del supermercato: è il canale portante italiana perché risulta migliore per la situazione
culturale e demografica del paese. Nato negli anni 60 e continua la sua evoluzione, fino a 800-1200 mq
come superficie di vendita. Un supermercato normale va intorno ai 4500 e 6000 euro al mq di ricavo. NON
è UN EDLP.
Superstore: il supermercato si è trasformato in superstore tra i 1200 e 2000 mq inserendo in
assortimento una serie di merceologie che prima non esistevano e vanno a costituire il bazar (parte non
food) rispetto alla parte grocery (food). Ha un alto tasso di servizio, grande attenzione ai freschi e
freschissimi, grande attenzione al merchandising. Un punto vendita più piacevole e in grado di risolvere con
una spedizione d’acquisto varie esigenze alimentari e non. Molto spazio ai pronti e pre-pronti da
consumare, vista la tendenza con sviluppo enorme per la tendenza di essere sempre fuori casa con meno
tempo libero. All’aumentare della dimensione nei superstore tende a salire intorno ai 6000 e 8000 euro al
mq di ricavo.
Crisi degli ipermercati: es. anziani. Luogo in contrasto con le tendenze demografiche, è sotto attacco degli
specialisti (sono le GSS - grandi superfici specializzate - Decathlon) dominano l’assortimento rispetto agli
ipermercati anche se in prezzi sono leggermente superiori. Gli ipermercati non sono riusciti a gestire la
parte non food, vende merceologie non food a prezzi conveniente per creare traffico e vendere la parte
food a prezzi più elevati. Avrebbero dovuto trattare questa parte non food come la parte food sulla
questione del merchandising e trattarlo come reparto civetta. SONO EDLP
Convergenza discount verso supermercato: da hard a soft. Il concetto originario di discount è quello di
hard discount: punto vendita dove i costi sono minimi a 0. La differenza tra hard discount tedeschi e hard
discount italiani è che il consumatore tedesco va dove la merce costa meno per certi tipi di prodotti, mentre
l’italiano no. In Italia il concetto di hard discount non funzionava e si è trasformato in soft discount
inserendo delle marche leader di settore es. coca cola, i marchi che si trovano nei discount sono marchi di
fantasia dove non si investe. Si inseriscono alcuni addetti, il fresco, fanno campagne di comunicazione es.
Lidl: inizialmente le comunicazioni sono incentrate su item civetta in super promozioni che non facevano
parte sempre dell’assortimento del punto vendita, ora invece la fanno sui prodotti dell’assortimento.
I discount sempre più simili ai supermercati, ma aumentano i costi e l’esigenza di margine operativo lordo.
Il rapporto qualità-prezzo potrebbe essere alto nel discount: anche se la qualità è bassa dei prodotti, il
livello di prezzo è talmente basso da giustificare l’acquisto abbondantemente.
Ingresso canali online: e-commerce / omnicanalità del retailer si affianca il canale online a quello offline.
Presidio territori lontani e aumento potere negoziale verso i fornitori grazie all’affiancamento di più canali.
Specializzazione dell’ingrosso: grossisti tendono a specializzarsi sull’HORECA
Modernizzazione della distribuzione extradomestica: registrato un enorme aumento del food fuori casa,
ha dato la possibilità di grandi catene di entrare sul territorio, assistiamo ad una rivitalizzazione dello street
food di qualità elevata con estremo successo. Consente di riqualificare un comparto di food arretrato.
Quali sono gli intermediari che la svolgono meglio questa funzione? Un canale distributivo è insieme di
operatori che partecipano al trasferimento del prodotto dal produttore al consumatore compresi monte e
valle. Ci sono tre tipi di canale distributivo:
1. Diretto: ProduttoreConsumatore
2. Indiretto breve: ProduttoreDettaglianteConsumatore
3. Indiretto lungo: ProduttoreGrossistaDettaglianteConsumatore
Il canale e-commerce dipende com’è strutturato. Esistono soggetti come agenti di commercio che
agevolano i contatti e i contratti tra questi operatori ma non assumono la proprietà della merce.
1. Canale tradizionale: che è fatto da molti produttori, i quali vendono a molti intermediari e molti
consumatori, non c’è un leader.
2. Canale amministrato: c’è un operatore che impone i propri prezzi che prende posizione e determina le
condizioni di mercato.
3. Canale controllato contrattuale: c’è un operatore che contratta con i vari imprenditori che sono
intermediari ovvero proprietari dei negozi che formano una vera e propria integrazione.
4. Canale controllato integrato: tutti i livelli del canale appartengono alla stessa impresa come certi
imprenditori.
Man mano che si scende di canale, la capacità di controllo cresce e sale da parte di un operatore.
La GDO (GD – aziende/succursalisti che detengono la proprietà dei punti vendita Esselunga, unica persona
che decide con punti vendita di vari formati + DO – è fatta da gruppi di acquisto e associazioni volontarie,
sono imprenditori che si associano ognuno con un punto vendita proprio). Com’è strutturata in Italia nel
mondo del commercio moderno? Tutto insieme è la GDO ma questa distribuzione moderna di distingue in:
1. GD: grande distribuzione sono i gruppi di succursalisti a livello nazionale e internazionale. Gruppi che
hanno la proprietà dei punti vendita che siano essi ipermercati, supermercati… sono tutti proprietà di
un imprenditore. Esempio: Esselunga oppure Pam. Troviamo le catene o singoli negozi indipendenti di
succursalisti locali radicate nel territorio. Alì, ca’ d’oro a conduzione familiare con meno costi.
Radicamento sul territorio che fa conoscere le preferenze dei consumatori locali tarando
l’assortimento.
2. DO: distribuzione organizzata è data da:
- Unioni volontarie (integrazioni con gruppi dove c’è un grossista che affilia una serie di dettaglianti)
- Gruppi di acquisto (associazioni tra imprenditori allo stesso livello tra dettaglianti che si uniscono per
concentrare i propri acquisti a monte come Conad)
- Cooperative (ad esempio coop): lo stato italiano riconosce dei vantaggi fiscali = fattore distorsivo della
concorrenza perché applicato a tutte anche quelle che fatturano molto.
Questa GDO può essere letta in modo più efficace dividendo gli operatori in due categorie secondo il
posizionamento competitivo. Dividiamo quindi gli operatori in:
1. Multi canalizzati: operatore come Pam ha più strutture come ipermercati, supermercati con vari
distributori. Rischio è minore se uno dei formati va in crisi si aggrappa alla performance degli altri
canali. Diversificare il rischio.
2. Mono canalizzati: operatore con unico formato come Esselunga. Ha delle economie dovute al formato
unico, economie di approvvigionamento e livelli di produttività (vendita metro quadro) più alti rispetto
agli altri soggetti.
Il nuovo consumatore è un consumatore nuovo, cambia sempre assieme alle tendenze di consumo e in
ambienti con disposizione di tempi, tecnologie diverse.
Il consumatore tende ad avere una maggior consapevolezza all’acquisto ovvero la capacità di discernere
livelli cognitivi qualitativi diversi dell’offerta, avere attenzione al rapporto qualità prezzo, tende ad essere
fedele non solo ad un negozio ma ad un insieme di punti vendita ristretto, ambiente situazionale che il
cliente cambia scegliendo la migliore situazione di acquisto.
Ha una maggiore attenzione al commercio online che si è accentuata nella situazione pandemica, esiste
però una situazione ibrida non è solo online ma anche offline. Fare analisi critica nei confronti della
tecnologia (forza e debolezza, vantaggi, svantaggi, aspetti positivi e negativi, opportunità e minacce).
Consumatore che va interpretato secondo un diverso contesto tecnologico, culturale nel quale si muove.
Se parliamo di mercato italiano (situazioni diverse) rispetto al mercato americano, se andiamo nei mercati
internazionali bisogna capire in quale situazione nel paese in quale andiamo ad importare e bisogna capire
se influenzerà le decisioni di import, export e il rapporto con la distribuzione locale.
Lezione 3
Non sono un formato distributivo vero e proprio, è una modalità di aggregazione commerciale che va sotto
il nome di Centro Commerciale. È semplicemente una operazione immobiliare che mette sotto lo stesso
tetto vari esercizi commerciali. Che si tratti di un unico edificio, che si tratti di un FOC (fashion outlet center-
Noventa di Piave- tipo di centro commerciale). Ci sono due tipi di centro commerciale:
- Centri commerciali regionali: 30000-100000 mq, 200 negozi, disposizione accessibile, rete aria molto
sviluppata, vasti parcheggi almeno 10000 auto, collocati in periferia delle grandi città e hanno di solito 2
traini.
- FOC centro commerciale interregionale: fashion outlet center
- Centri commerciali intercomunali: 50000-150000 persone entro i 10 minuti di auto, 20000-40000 mq
dai 30-100 negozi, ipermercato che fa da traino + spesso viene aggiunta le gallerie
- Centri commerciali di prossimità: interstiziali concentrano il flusso di traffico nella stessa direzione
- Gallerie commerciali: insiemi di punti vendita concentrati nello stesso immobile es. area alta moda
Padova
La competizione di queste due forme è avvenuta da quando sono nati i centri commerciali negli anni 80.
La logica di funzionamento è la cooperazione di tre attori:
La dimensione dipende dalla natura del centro. La problematica del centro commerciale si gioca tra questi
attori che sono in relazione tra loro. La domanda è attratta dal centro. Il problema fondamentale è che
questi tre soggetti hanno obiettivi e funzioni di utilità diverse, logiche di management diverse. In origine i
centri commerciali erano dei cavalli di troia per gli ipermercati aggirando la legge 426/71 che impediva le
aperture delle grandi superficie per difendere i piccoli commercianti. All’interno veniva consentita
l’apertura dell’ipermercato, tutti i negozi che chiudono in paese si diceva che aprissero all’interno del
centro, invece non era vero. Se trovo la stessa merce e a livello internazionale trovo uguali negozi e uguale
merce perdo istintività.
Questi attori hanno obiettivi diversi, i comportamenti di ognuno vanno in conflitto tra loro. Se c’è un
reparto di ipermercato che va in promozione se per caso in galleria c’è un negozio che vende la stessa
tipologia di merce, questo ci soffre. Se dei negozi chiudono, ne soffre anche il traino perché l’intero centro
soffre di attrattività. La SIMM vuole affittare ai negozi ma non può fare ciò che vuole, deve proporre una
offerta che è pianificata, che non ha sovrapposizioni questo è il vantaggio del centro commerciale rispetto a
quello in centro città. Nel centro commerciale le merceologie sono pianificate, non troviamo l’eccesso o le
lacune di alcune merceologie.
Il problema del centro storico rispetto al centro commerciale è l’incoerenza dell’offerta, trovo troppi negozi
di una merceologia e altre lacune di altre, trovo negozi che fanno competizione e altri che sono decentrati.
La SIMM vuole si affittare ma deve mantenere una coerenza, altrimenti ne va della capacità di attrazione
del centro e conseguentemente gli affitti calano.
1. Town center management. dei manager che si occupano della gestione del centro città accordandosi
con i commercianti, cercando di rivitalizzare e creare attrattività in modo pianificato. Occorre che tutti
siano coinvolti: non solo commercianti, anche le banche, la pubblica amministrazione e l’opinione
pubblica. Prendere il concetto di centri commerciali e portarli nel tessuto urbano che dovrebbero
ospitare le stesse catene dei centri urbani ma su scala ridotta, con negozi più piccoli. Ci sarebbe l’effetto
di catalizzare il rinnovo dei negozi del centro città. Il rinnovo però di questi è molto lungo. Questo
consentirebbe di creare attrazione e far conoscere tutti i punti vendita che hanno raggiunto una fase di
maturità. Non significa trasformarla in centro commerciale, ma trasformare i negozi più dinamici
ottenendo una distribuzione merceologica più corretta.
2. Retail park con area leisure: si ha quando i punti vendita anche di ampie dimensioni non sono tutti sotto
lo stesso tetto, è fatto di molti edifici uno accanto all’altro spesso affiancato ad area cinema
3. Estensione della galleria o ristrutturazione interna inserendo area leisure, intrattenimento, il centro
originario è stato esteso
4. Via mista: costituita da un misto di centro commerciale, uffici, servizi, piazza, cinema. Si ricostruisce un
sobborgo, per mantenere il traffico
Fashion outlet center: nasce come insediamento molto accessibile e zona dove il mq costa poco, zona
decentrata rispetto alle città dove far confluire la merce non venduta nella stagione precedente. Nasce per
ospitare la vendita di articoli di moda delle stagioni precedenti, scorte invendute con prezzi vantaggiosi in
questi FOC.
Il successo fu tale che ha creato due tendenze che hanno cambiato il concept originale di FOC:
- Le società immobiliari che gestiscono i FOC hanno iniziato a dire, perché non costruire ancora negozi
estendendole ad altre marche di medio e basso livello qualitativo dei prodotti.
- Le aziende hanno cominciato a chiedersi perché non fare una collezione apposita per il FOC? Hanno
iniziato a commercializzarle senza informare la domanda.
Questi negozi non sono in grado di proporre lo stesso vantaggio del FOC originale, la domanda si è
accorta di questi concetti e alcuni di questi sono entrati in crisi per il fatto di aver snaturato il business
originario, il consumatore nel lungo termine si è accorto di questo. Centri commerciali come Noventa di
Piave ha saputo mantenere l’equilibrio di alto e medio livello ancorato al concept originale e hanno
sfruttato l’agganciamento ai flussi turistici tramite il personale qualificato, accordi con i tour operator che
portano i turisti ad acquistare li.
Alcuni FOC si sono trasformati in non luoghi perdendo traffico soprattutto quelli che non hanno marchi di
lusso, magari uguali a quelli dei centri commerciali. Hanno bacini di gravitazione transnazionali, le persone
che visitano vengono da lontano. Chi riesce ad avere ancora grandi marche con assortimento adeguato
riescono a sopravvivere.
Molti hanno dovuto rivitalizzare i centri commerciali: non basta fare associazioni di via, notti bianche e
altre iniziative ma non sono sufficienti da sole occorre qualcosa di più impattante: una possibile strada dove
il problema centrale dove una città cambia tutti i propri punti vendita in 100 anni è un ricambio troppo
lento. Se c’è incoerenza dell’offerta abbondante bisogna cercare di accelerare il ricambio degli esercizi
commerciali può essere un risultato che si ottiene inserendo dei micro centri commerciali, micro gallerie
all’interno del centro urbano che replichino la logica del centro commerciale extra urbano, riescono a
fungere come punti di traffico e attrazione e devono essere abitati da punti vendita che dovrebbero scalare
i punti vendita più piccoli per creare più appeal al centro urbano pur mantenendo un’offerta interessante e
un conto economico accettabile: negozi più piccoli ma attrattivi.
L’associazionismo
L’associazionismo/reti riguarda l’associazione tra più intermediari / operatori del commercio. Prende tre
forme, tra cui due forme classiche e una atipica: Unioni volontarie, il gruppo di acquisto, il franchising. Il
commercio associato vede appunto l’associazione di vari imprenditori che decide di collaborare con altri
soggetti imprenditoriali.
1. Unioni volontarie: Associazionismo verticale dove un soggetto grossista associa una serie di soggetti
inferiori a livello di dettaglio che si impegnano a comprare da lui. I centri di distribuzioni sono i centri
logistici in cui passa la merce necessitano un 60/70 affiliati, per cui un grossista deve raggiungere quella
dimensione per avere convenienza volontaria. Il grossista riesce ad avere più potere di mercato che
ripartisce tra i suoi affiliati, consegue economia di approvvigionamento a monte. La tendenza di queste
unioni volontarie è quello della succursalizzazione- catene regionali. Offre servizi agli associati sono
rapporti stretti e forti dove si erogano anche servizi di merchandising, marketing, per varie esigenze.
Può anche lavorare nella filiera e proporre prodotti di proprio marchio. Es. Despar.
2. Gruppi di acquisto: Associazionismo orizzontale (unico livello di canale) tipicamente tra vari dettaglianti
che si uniscono e collaborano rimanendo proprietari del proprio punto vendita e mettono in comune
ordini da effettuare in modo da avere potere di mercato nella contrattazione nei confronti del
produttore, riescono ad ottenere economie di approvvigionamento per poi ribaltare lo sconto ai
consumatori finale. Aumenta così la competitività e la produttività. Es. CRAI/CONAD
Si possono unire formando centrali d’acquisto e super centrali d’acquisto strutture che emanano ordini
per vari gruppi di acquisto e per vari centri d’acquisto, è instabile. Mondo che sta a monte tra gruppi di
acquisto e fornitori. Le super centrali hanno il compito di aggregare ordini provenienti da vari gruppi di
acquisto creando un ordine ancora più grande per degli sconti da ribaltare poi sugli associati. Modelli di
sviluppo:
- Un modello è quello CONAD politica di segmentazione della base sociale per canali di vendita con
progressiva contrattualizzazione del rapporto associativo tra il gruppo e il singolo significa: stringere in
un contratto chiaro e formalizzato tutte le condizioni per poter star dentro il gruppo. Per poter
utilizzare le insegne del gruppo (Conad superstore, iper, Conad city, negozio margherita- gruppo
Conad), l’associato deve rispettare le politiche commerciali e di marketing del gruppo. Lo sviluppo è per
supermercati e superette. L’idea di fondo è uno sviluppo lento ma con griglie ferree, molti punti
indipendenti cercano salvezza nell’associazione di un gruppo di acquisto e c’è una griglia di selezione
posta dal gruppo. Riuscire a mantenere una politica omogenea commerciale (promozioni, merci…)
all’interno del gruppo riesce a fornire un’efficacia, ogni volta che entra all’interno del gruppo Conad
deve riuscire a trovare un certo tipo di servizio e merce. Sviluppo più selettivo ma più lento.
- L’altro modello è quello CRAI lo sviluppo si ha sia verso l’associazione di piccoli gruppi di prossimità sia
verso l’associazione diretta di catene di piccoli supermercati. Sviluppo veloce ma non selettiva: per
ottenere un aumento verso la massa critica contrattuale verso i fornitori, privilegia la velocità e la
dimensione a scapito della selezione e accettando un rischio di disomogeneità all’interno del gruppo dal
punto di vista delle politiche commerciali e di marketinginefficienza all’interno dello stesso formato.
Se gli associati non rispettano i vincoli il consumatore trova condizioni differenti secondo il diverso
negozio in cui entra. Ha una maggiore velocità di azione rispetto al modello Conad.
I punti centrali sono le economie di approvvigionamento che si ottengono dai fornitori e l’omogeneità delle
politiche di marketing con il grado annesso. Il commercio associato attiene alla DO (distribuzione
organizzata), c’è una direzione centrale un vertice che ha un rapporto con soggetti che sono imprenditori
non dipendenti. La centrale d’acquisto fa un contratto quadro con il fornitore che decide le linee generali
della fornitura, si rilascia poi un secondo contratto secondo la specifica dell’ordine e li interviene la forza del
singolo associato.
3. Franchising: circa 1 migliaio per 50, 60 mila punti vendita. In Italia è una regola, si è diffuso in modo
forte. I soggetti franchising sono riuniti nell’asso franchising. Ogni negozio serve tra i 10 e 50 mila
abitanti, la durata media contrattuale è di 5 anni che si aggiornano annualmente. È un tipo di contratto
che ha la capacità di resistere alle crisi. La formula è: l’investimento viene effettuato dal franchisee che
dà al franchisor una somma pari a 50/60.000 euro, questa somma viene investita. Il franchisee dovrà
acquistare una certa quantità di merce dal franchisor, in cambio il franchisee ottiene anche servizi di
consulenza. Franchisor vende la marca e dilata il fatturato perché il franchisee deve versare il canone
iniziale e le spese di royalties ma lui non ha un investimento fisso dell’acquisto del negozio. Viene dato
l’avviamento del negozio e tutti i servizi possibili e bisogna ritornare poi l’investimento fatto. È
importante per aggirare le barriere dei mercati esteri, essendo coinvolto un imprenditore locale vengo
legittimato sul mercato e vengo sostenuto da qualcuno che conosce bene questa realtà nel mercato.
Problemi:
- Tanti voglio fare franchising e la maggioranza delle nuove iniziative di franchising fallisce quindi risulta
un calo fatturato sorge conflitto affiliato e affiliante;
- Problema di danni d’immagine se non rispetta alla lettera il contratto facendo ciò che dice il franchisor
si possono creare dei danni di immagine, stesso servizio, stessi prezzi.
- Un altro rischio è che il franchisee si appropri del know how del franchisor iniziando un business per
conto proprio ecco perché non viene permesso al franchisee di unirsi in troppi negozi perché non
funziona e va contro il concetto di franchising di politica omogenea.
- Quasi integrazione, il negozio vive per il fatto di essere come il franchisor, strumento di crescita
efficiente e rapido, se supero delle barriere culturali o dei blocchi di acquisto di mobili in un paese
estero, mi accordo con un franchisee locale e apro il negozio bypassando questi blocchi, aiuta in chiave
di esternalizzazione del marchio.
SUCCURSALISMO ASSOCIATIVO: Quasi tutte le reti/commercio associato che sono presenti sul mercato
sono reti di vendita miste. Significa che chi è nato come catena (rete con unico proprietario, es. COIN), che
sono GD - grande distribuzione- tendono ad incorporare alcuni punti vendita in forma associata tramite
franchising. Allo stesso tempo il commercio associato tende ad aprire anche dei punti vendita di proprietà
suoi e creando queste reti di vendita miste questo si chiama succursalismo associativo. Le succursali
tendono ad incorporare un po' di associazioni e le associazioni tendono a incorporare un po' di
succursalismo (punti vendita di proprietà).
Aprire dei punti vendita di proprietà è importante perché gestire direttamente dei punti vendita può
mostrare agli altri associati come bisognerebbe gestire un punto vendita. Misura le performance di un
punto vendita dell’insegna se fosse gestito ottimamente e lo confronta con altri associati con le
performance di altri associati. Es. sono un tour operator apro un’agenzia di viaggi di proprietà e vedo se le
altre agenzie con cui ho rapporti vedo se lavorano bene o male perché vedo le performance. Stessa cosa
per un supermercato.
Il succursalista (unico proprietario della GD) apre qualche punto vendita in franchising facendo
associazionismo perché i punti vendita di proprietà sono gestiti da personale che non ha interesse ad
andare contro il proprietario o il capo. Il succursalista ha bisogno di una coscienza critica e il franchisee
palesa subito la problematica, cosa che un dipendente diretto non si azzarda a dire. La macro-tendenza è
verso il succursalismo associativo ovvero è la tendenza delle succursali (della grande distribuzione, delle
catene) ad aprire dei punti vendita dell’associazionismo come punti vendita come franchising. Anche se il
cuore resta delle succursali (proprietà dell’imprenditore, catena). Si aprono anche negozi di franchising.
RETI VENDITA MISTE/SUCCURSALISMO ASSOCIATO
I distributori della DO tendono anche ad aprire punti vendita della proprietà del gruppo. Perché? Aprire
un negozio di proprietà si ha il pieno controllo di quel negozio. Quali vantaggio che ho nell’affiancare
questo ai negozi dei punti vendita degli associati? Usarlo come controllo degli altri negozi (benchmark di
riferimento), perché ho il controllo di quel negozio osservo le performance di quel negozio. Funge da
performance comparativa per gli altri negozi associati all’interno del gruppo come quello di franchising.
Viceversa, una grande catena di distribuzione che apre un franchising che vantaggio ha? Il franchisee è
un imprenditore che pensa con la propria testa, i negozi faranno fatica a dire cosa non funziona non hanno
interesse a parlare delle cose che non funzionano; invece, un franchisee è una coscienza critica della
catena. Fa venire fuori tutti i problemi perché ha un investimento diretto da far fruttare, tutto all’interno
della catena. Aprendo punti vendita in franchising ho copertura più veloce rispetto al punto vendita di
proprietà. Tutto questo si inquadra in una competizione forte tra GD e DO in particolare le cooperative.
La GD: imprenditori che decidono di aprire punti vendita. Le cooperative che fatturano 30 mld di fatturato
sono assimilabili alla cooperativa più piccola, in questi termini hanno benefici fiscali. Fanno concorrenza
sleale perché si comportano come i privati ma come normative sono assimilabili alle cooperative piccole,
quindi anche in termini di tassazioni.
Conflitto: Essendo che le coop sono verticalizzate in alcune regioni Esselunga veniva ostacolata
dall’amministrazioni politiche locali che intendevano favorire la coop. Le coop rispondono che loro sono
profit oriented mentre la coop danno benefici ai soci perché ribaltano i risultati degli utili a favore dei soci
non dell’imprenditore. Es. abbassando i prezzi. I prodotti a marca commerciali sono inferiori rispetto ai
prodotti di brand nazionale industriale. In tutto il resto dell’assortimento i prezzi sono molto più alti rispetto
al altri. Prospettiva azienda commerciale non fornitore
Lezione 4
ROI (return on investment) è il ritorno del capitale investito, in un’azienda commerciale com’è fatto?
M
ROI (azienda commerciale) = = È il margine sul capitale investito.
Ci
Il margine è differenza tra prezzo di vendita di una merce e il prezzo di acquisto della merce dal grossista o
dal fornitore (acquisto 50 e vendo a 100). Il capitale investito? Nell’azienda commerciale è importante il
capitale fisso o circolante in azienda commerciale? La voce più importante del capitale è quello circolante
perché riguarda crediti e rimanenze. Tutta la merce in magazzino e negozio è scorta e quindi capitale
circolante. Il capitale fisso è meno importante. L’incidenza dei costi fissi sui costi totali è minore, bassa leva
operativa che è tanto maggiore quanto maggiore è incidenza su costi fissi e costi totali. Ci sono alcuni tipi di
intermediari per svolgere delle funzioni di distribuzione logistica, fisica di trasporto dove la dotazione dei
mezzi di trasporto rappresentano un valore maggiore, quindi costo fisso importante. Tipicamente parlando
in generale il reparto del commercio vede le scorte come voce di capitale circolante una dei dati più
importanti. Le scorte che vanno ottimizzate.
M
M ∗F
= F Il margine su fatturato per fatturato su capitale investito
Ci
Ci
- Il primo caso su margine su fatturato è la redditività delle vendite (return on sale ROS)
- Il secondo caso è la rotazione del capitale. Quante volte nel corso dell’esercizio annuale vendo tutta la
merce e la ricompro, si distilla un margine. Es. ipermercato 8 o 10 di rotazione ovvero 8 volte nell’arco
dell’anno vende tutto e ricompra tutto distillando un margine ad ogni ciclo. Avere una rotazione alta è
positivo. Es. Category killer 5 o 8 rotazione, supermercato 15 o 20 rotazione.
M
Questi due identificano un business dove ci sono intermediari che per aumentare il puntano sulla
Ci
M M
redditività delle vendite ovvero se cerco di aumentarla allora devo aumentare il rapporto ma
F F
F
aumentandolo rischio di diminuire la rotazione di capitale ovvero . Per aumentare il ROI posso agire sul
Ci
primo o sul secondo indicatore. Posso cercare di tenere stabile il fatturato aumentando i margini, oppure
aumentare il fatturato tenendo le scorte ferme.
Se aumento il fatturato questo aumenta la rotazione ma diminuisce la redditività delle vendite. Tento di
rendere stabile il fatturato e cercare di massimizzare il fatturato da una parte e minimizzare le scorte. Ma
questi due fattori da una parte rappresentano il business dei degli intermediari commerciali che puntano a
massimizzare il margine (boutique vendo poco e su ogni capo che vendo cerco di avere margine elevato
redditività vendite), l’altro è MODELLO DEL SUPERMERCATO, della GDO massimizzano invece la rotazione
ovvero diminuiscono le scorte e aumentano il fatturato (diminuendo i prezzi) a parità di redditività, cercano
di migliorare la rotazione vendendo molto.
È importante riuscire a vendere molte volte un oggetto nel corso dell’anno, il singolo oggetto costa poco e
mi dà un margine limitato ma se lo vendo 10 volte nell’anno ottengo alla fine dell’anno un margine
complessivo soddisfacente. Ogni volta che vendo ho un margine molto elevato.
ML
Come si scopone il margine lordo su vendite nette? Prendiamo i fattori produttivi per scorte, superficie
VN
e numero di addetti:
ML
∗VN
1. Moltiplico vendite n/scorte = margine L / scorte. VN ML
=
scorte scorte
ML
∗VN
2. Moltiplico vendite n/ superficie = margine L / superficie VN ML
=
superficie superficie
ML
∗VN
3. Moltiplico vendite n/ addetti = margine L / addetto VN ML
=
addetti addetti
Abbiamo trovato tre indicatori di produttività moltiplicando redditività delle vendite per dei fattori
produttivi (scorte, superficie e addetti).
1. Margine lordo su scorte se c’è una velocità di fornitura maggiore significa minore esigenza di spazio e
minori scorte quindi questo indicatore si alza. Posso lavorare sulla velocità di fornitura e numero di
rifornimenti per avere in casa il meno possibile di scorte massimizzando questo indicatore.
2. Margine lordo su superficie: quanto guadagno al metro quadro, i gruppi distributivi della GDO mono
canalizzati (supermercati) tendono ad avere una produttività maggiore rispetto ai gruppi distributivi
multi-canalizzati. Margine al metro quadro più elevato. Indicatore che tendo a massimizzare, lo spazio
costa e la dimensione dei punti vendita costa. Ottenere più margine a parità di superficie di vendita.
Tecniche di merchandising che si riflette anche sull’online.
3. Margine lordo su addetti non è un indicatore da massimizzare, perché si dovrebbero eliminare gli
addetti riducendo il servizio. Questo ha dei limiti. Nel commercio fisico si tratta di ottimizzare questo
indicatore non massimizzarlo, chi riesce a ridurre drasticamente il numero di addetti sono i discount di
dimensioni contenute.
Il margine: Prezzo di vendita- Prezzo di acquisto della merce. La redditività (ROI) = margine/capitale
investito. Come faccio ad aumentare la redditività? Lo scompongo e aumento o il ROS o la rotazione. Per
ogni euro che incasso quanto guadagno, ROS. Quante volte nell’arco dell’esercizio l’azienda commerciale
riesce a vendere tutto, Indice di rotazione. Per aumentare il ROI posso agire o sul primo indicatore o sul
secondo. Posso cercare di tenere fermo il fatturato e cercare di aumentare i margini, oppure posso cercare
di aumentare il fatturato tenendo le scorte ferme in modo tale da aumentare la rotazione, la quale se è
maggiore meglio è.
M
M ∗F
= F = ROI= ROS*INDICE DI ROTAZIONE
Ci
Ci
Ci sono formati:
1. Food
- Dettaglio tradizionale come gli alimentari negozi piccoli e gastronomie. Sono posizionate su fascia
elevata o di nicchia es. pescheria. Lavora sulla redditività delle vendite lavorando sui margini, offrendo
specialità.
- Superette: è un negozio che sta tra i 400 e 800 mq negozio in centro città che punta molto sulle
consegne a domicilio e sull’ultimo miglio- last mile- far arrivare la merce al consumatore, lavorando in
condizioni difficili per costi bassi. Situato in città, scontrino medio basso
- Supermercato: 800 mq vari tipi come i tradizionali (grocery tutto il confezionato alimentare, igiene casa
e persona) importante per il commercio italiano perché si adatta meglio ai centri urbani italiani. Tipi
come integrato 1100 mq (superstore e incorpora una parte non food sostanziosa).
Il supermercato non è un punto vendita a basso prezzo non è un everyday low price (EDLP) ma fa sconti
su una parte limitata dell’assortimento (volantini, siti, offerte). Punta sulla rotazione di capitale ma
punta sugli sconti dell’assortimento limitato.
3. Non food
- Il formato più antico del commercio è il grande magazzino (soprattutto in GB e FR) con i grandi marche
(Harrods). In Italia non ha mai preso piede, l’unico player è Coin che è riuscito a resistere perché
accanto all’insegna Coin ha affermato il caso di successo OVS – è una superficie specializzata. Il grande
magazzino ha almeno 5 reparti specializzati in lotta con quelli non specializzati esterni, la logica è
inserire sotto lo stesso varie tipologie, ripartirsi in modo equo il lavoro. Shopping the shop
trasformare in quasi negozi, quota mercato bassa 3 o 4% in Italia. Motivi: il consumatore italiano non si
accontenta è coerente con un sistema industriale PMI con offerta fortemente differenziata, la Domanda
è disomogenea e Offerta risponde proponendo prodotti differenziati. All’estero invece c’è meno
importanza nell’abbigliamento e quindi nei prodotti differenziati e si creano bassi prezzi a fronte di una
D omogenea, consentiva acquisti a monte tali da consentire economie di approvvigionamento.
- GSS- grandi superfici specializzate e in particolare le Category killer, formati più grandi Ikea, Unieuro,
Mediaworld. Queste categorie offrono un prezzo basso e assortimento alto.
Paradosso economico, non senso economico L’assortimento ha 4 caratteristiche:
1. Ampio: numero di assortimento
2. Profondo: numero medio di prodotti per linea
3. Estensione: numero complessivo di prodotti dell’assortimento
4. Coerenza: i prodotti dell’assortimento condividano le risorse
Ci sono a monte situazioni polverizzate, molti fornitori piccoli che danno prodotti anche differenti tra loro
ma che non hanno potere di mercato perché sono piccoli.
Tutti cercano gli stessi prodotti
La GSS accentra e accumula ordini di grandi dimensioni sfrutta economie di approvvigionamento importanti
con prezzi bassi, forte potere di mercato, tutti vogliono la stessa cosa. Scarsa segmentazione aiuta il GSS
anche da valle perché aiuta a consolidare ordini molto cospicui di pochi items. Es. Giardinaggio-Brico,
comprare sacchi di concime sono commodities, piccolo produttore e fa un ordine elevato, mette in vendita
la commodity.
Lezione 4 e Lezione 5
La marca commerciale è il principale strumenti di competizione del commercio nei confronti della
manifattura perché nel momento in cui un’insegna propone nell’assortimento dei prodotti con la propria
marca è come se dicessi ai produttori ce quello che fanno loro può farlo anche lei. Il produttore può essere
sostituito. Nella negoziazione tra buyer e seller faranno valere questo in modo da avere un maggiore potere
di mercato.
Non è altro che la sostituzione dal punto di vista strategico dell’azienda commerciale all’azienda
produttrice/fornitore, in grado di sostituire qualcuno e assumere una posizione dominante sul mercato. La
marca commerciale ha un sistema di costo inferiore, non ha nessuna difficoltà a inserirsi negli scaffali ed
essere posizionata nella posizione più conveniente (mani occhi), inoltre non ha costi di pubblicità.
Il retail mix è insieme delle leve commerciali del retail e sappiamo che attorno al consumatore che si reca
dal dettagliante lavorano una serie di leve e strumenti che sono la promozione, il personale, il prodotto, il
prezzo, l’allestimento (presentazione dei prodotti) e la distribuzione (centra anche l’ubicazione,
parcheggio…). Riguarda più la gestione che alla struttura.
- Prodotto: all’interno si trova la politica di marca commerciale che crescono durante i periodi di crisi
stanno crescendo con quote importanti come il 20% di tutto il commercio moderno.
- Allestimento. La leva che fa parte della presentazione è il merchandising.
Un’insegna = azienda commerciale. Se un’insegna propone dei prodotti di marca commerciale dice ai
produttori che il retailer può fare la stessa cosa. Uno che sviluppa la marca commerciale, dice che
l’interpretazione dei bisogni della domanda si possono fare da sé, nella contrattazione farò valere questo.
La diffusione della marca commerciale non è altro che la sostituzione dell’azienda commerciale all’azienda
fornitrice, manifatturiera, la valenza politica è questa, il fatto di assumere una posizione dominante sul
mercato e di sostituire le marche industriali.
- Lindt 1.29
- Vivi verde coop tavoletta cioccolato 1.28, marca
commerciale non viene nascosta l’origine della -Spaghetti rossi 0.29 (primo prezzo)
marca commerciale -Spaghetti coop 0.76
- Milka 1.18 Leader di mercato -Spaghetti 0.80
- Fiorfiore coop tavoletta cioccolato 1.17, marca -Spaghetti viviverde coop (marca premium
commerciale coop commerciale) 1.20
- Novi 0.98 -Spaghetti voiello 1.2
- Ritter 0.98
- Solidal coop 0.85
- Maracas 0.49 Si calcola la scala prezzi
OBIETTIVI
Ci sono vari obiettivi, almeno sei di una marca commerciale a cui può rispondere:
1. Offrire al cliente un assortimento equilibrato come alternative d’acquisto in una data categoria
merceologica.
Aumentare l’assortimento e renderlo più accattivante.
Y=prezzo
X=prodotti
CASO V2. Posiziono ad un certo livello di prezzo alto una certa marca prodotto di prima linea, che effetti
produco sull’intero assortimento?
- Una parte che prima acquistavano il prodotto più costoso si trasferisce da X1 a V2. Da X2 passa ad X1.
Da X3 passa a X2.
- C’è un effetto di traslazione di trading up, tutti i prodotti si spostano più in su, spostamento in alto in
termini di status, immagine, prezzo. C’è un effetto sul prodotto più vicino e sull’intera linea:
trasferimento da parte dei clienti da X1 a V2 l’altra è sull’immagine dell’intera linea che viene alzata.
CASO V1. Posiziono ad un certo livello di prezzo basso, marca primo prezzo. Se inserisco V1 che effetti
produco?
- Una parte che prima acquistava il prezzo più basso X3 ora acquista V1. Da X2 passa a X3. Da X1 passa ad
X2.
- C’è un effetto di trading down, tutti i prodotti si spostano in giù. Primo effetto sul prezzo che si abbassa
e secondo effetto immagine dell’intera linea che si abbassa. L’ideale è attirare nuovi clienti non
semplicemente far passare i clienti attuali da un prodotto all’altro.
Margini di capitali di un nuovo prodotto tenendo in mente il margine che perdo visto che i clienti
comprano altri prodotti. La marca commerciale p< alla marca leader, funziona se il mio margine di unità di
marca commerciale è tale da compensare il margine perso dalla marca leader.
3. Ottenere più alti margini unitari di ricarico e modificare la struttura del fatturato di categoria a favore
della marca comm.le. IMPORTANTE
- La marca commerciale resta in assortimento se margine complessivo per unità di spazio della
categoria (indice di produttività, metro lineare di vendita) è superiore a quello medio di categoria.
Vendo la marca commerciale se aumento il fatturato dell’intera categoria. Non ha senso se c’è un
margine del prodotto, ma se aumenta il margine complessivo di tutta la categoria.
- Di solito la marca commerciale gode di margini unitari elevati, a causa delle condizioni di vendita
monopolistica, ma minori margini complessivi a causa della inferiore rotazione.
Ho leva del prezzo e spazio espositivo ma mi manca tutta la leva della comunicazione che invece ha la
M
M ∗F
marca leader. Però ha minore rotazione (fatturato/scorte) quindi minori margini. = F
Ci
Ci
- Ciò rafforza la logica del merchandising (gestione spazio espositivo, allestimento): maggiore è il campo
di variazione dei margini unitari delle marche (il range), maggiori sono le opportunità di manovrare
quantità e qualità dell’esposizione.
Se ho marche con margini unitari diversi, i prodotti non fanno guadagnare la stessa percentuale alla
GDO/COOP e quindi ha un campo di variazione unitario. Tanto maggiore è la differenza es. guadagno di
più su Fior fiore coop rispetto a quello che guadagna su Novi o Milka, posso quindi posizionare sullo
scaffale ad altezze diverse e privilegiando quelli con margine superiore posizionandoli ad altezza
mani/occhi. Se tutti i prodotti offrono lo stesso margine il merchandising diventa una leva poco
importante perché se il prodotto è venduto ad altezza mani occhi o mani piedi non c’è differenza.
Invece se fosse il contrario si potrebbe giocare su questo. Anche online la disposizione non è differente,
quelli nella prima videata sono più propensi alla vendita.
4. Differenziare l’assortimento e ridurre l’interdipendenza oligopolistica nei confronti degli altri retailer .
Oligopolio: competizione che sussiste in un mercato di pochi attori che si distribuiscono nel mercato
di quote elevate, significa ridurre la capacità dei concorrenti di fare competizioni nei confronti di tutti gli
altri, mi rendo più indipendente con la marca commerciale.
La differenziazione dell’assortimento rende più indipendente la marca commerciale dai meccanismi
oligopolistici
- La concorrenza di prezzo tra le marche nazionali è alta e può produrre sovrapposizione
assortimentale. La marca commerciale consente di limitare le sovrapposizioni.
C’è un alto assortimento di prodotti anche per fatto culturale Es. pasta. La marca commerciale
consente di espellere dei produttori, anche per fatto espositivo e ridurre sovrapposizione assortimento
- Inoltre, se i minori prezzi della marca commerciale si combinano con maggiori margini unitari, la
marca commerciale non è oggetto di reale concorrenza di prezzo, perché nel commercio la concorrenza
di prezzo opera solo su prodotti perfettamente sostituibili.
Es. prodotto coop che costa poco e non è sostituibile perché lo trovo solo alla coop, la marca
commerciale non è oggetto di reale concorrenza di prezzo.
- (Infatti, se tutti i retailer sviluppassero la marca commerciale, diventerebbero tutti più profittevoli: è
l’unica politica di marketing che migliora la performance collettiva dei retailer).
Se tutti usassero altre leve del retail mix si verificherebbe una competizione per cui se uno utilizza la
promozione va a danneggiare altri retailer che non stanno utilizzando quella leva. Se tutti i retailer
facessero propria la marca commerciale, migliorerebbe molto il profitto.
6. Aumentare il potere contrattuale negli acquisti sui produttori se avvio una marca commerciale.
- Nella categoria, il potere contrattuale del retailer aumenta quanto maggiore è la quota della marca
commerciale.
Tanto maggiore è la quota di mercato della coop tanto maggiora sarà il potere del buyer della coop
che si presenta alla negoziazione con Barilla.
- L’interbrand competition (competizione marchi produttori) aumenta dove è presente una forte marca
commerciale: qui i fornitori dovranno investire maggiori risorse di trade marketing.
La competizione tra marche aumenta quando ho delle marche commerciali forte, lo spazio espositivo
di riduce quindi i fornitori sono obbligati a investire nel trade marketing (sconti, servizi). Sono costretti
ad investire di più perché il tasso di competizione aumenta tra le marche industriali e marche
commerciali.
- Nelle categorie a bassa innovazione si possono trovare marche commerciali leader (vivi verde) o in
seconda posizione.
Tutto anche l’allocazione cerca di fare percepire la marca commerciale come un prodotto analogo a
quello del leader e il resto lo fa il prezzo, visto che è inferiore il retailer vende la marca commerciale.
Obiettivo della fedeltà prioritario rispetto all’obiettivo della convenienza di prezzo.
Si cerca di ottenere fedeltà dei consumatori all’insegna più che il far percepire che si è convenienti.
Nel discount non troviamo la marca commerciale, ma marche di fantasia (marchi non marchi), la marca
per essere tale deve avere degli investimenti i discount non investono in questo. Es. Lidl campagna
pubblicitaria, comunica convenienza ma non mettendo in evidenza i propri marchi di fantasia ma
mostrando per un breve periodo ciò che non fa parte dell’assortimento del discount ma si può acquistare
ad un prezzo basso. Crea convenienza e traffico non prendendo i marchi di fantasia e ribassandoli ancora di
più.
• Tipi di marca commerciale in funzione della riconoscibilità, quindi della possibilità di garantire la qualità
del prodotto: DA NON RICONOSCIBILE A RICONOSCIBILE:
STRATEGIE
• Non entrare nei settori caratterizzati da offerta polverizzata, prodotto omogeneo, anche se i fornitori non
dispongono di potere di mercato (caso carne bovina fresca/acqua: difficile non conviene la carne è un
prodotto la cui qualità è difficile da stabilizzare, è costoso ed è difficile se qualcosa va male anche se mi
troverei le condizioni di vantaggio la tendenza è di creare delle proprie filiere- ortofrutta rispetto che la
carne).
• Non entrare nei settori caratterizzati da offerta molto concentrata, leader con forte differenziazione
qualitativa. I sostituti di Nutella o di Coca Cola sono presenti non per motivi di vendita o di margine, ma per
rafforzamento della posizione contrattuale nei rapporti di canale nel medio-lungo termine.
Questi dominano il mercato e hanno un livello qualitativo importante. I sostituti di questi ci sono solo per
rafforzare l’immagine che sia in grado di coprire un’intera categoria, essere indipendenti e quindi riesco a
contrattare per molti dei prodotti dell’azienda leader.
• Non entrare nei settori dove il ciclo di vita del prodotto è molto breve (frequente innovazione).
• Non entrare nella fase di introduzione (ci sono consistenti barriere tecnologiche), nella fase di maturità
(frequenti innovazioni per stimolare la domanda).
Non entrare nella fase di introduzione del ciclo di vita perché spesso ci sono consistenti barriere
tecnologiche che aiutano il prodotto a svilupparsi e sono richiesti investimenti importanti.
Non entrare nella fase di maturità perché si tendono a rilanciare i prodotti attraverso l’innovazione
marginale che è l’arma principale dei produttori per rispondere ai retailer e alla marca commerciale.
Innovazione non è nello stile dei retailer, preferiscono prodotti banali, omogenei, poco prodotti con
promozioni, tasso innovazione basso… INNOVAZIONE DEL PRODOTTO è L’ARMA DELL’AZIENDA CONTRO LE
MARCHE COMMERCIALI
e in QUALI ENTRARE?
• Entrare nei settori caratterizzati da offerta non concentrata, presenza di più marche industriali altamente
sostituibili relativamente omogenei (tutti comprano la stessa cosa), differenziazione modesta della qualità,
tecnologia semplice e accessibile, non-price competition (campagne di comunicazione) è poco efficace che
aumenta i costi ma lascia vuoto d’offerta nei livelli inferiori di prezzo, presso i clienti più sensibili al prezzo.
Quando l’azienda individua un tipo di prodotto dove i produttori non innovano, si accontentano di poche
promozioni, non c’è accompagnamento di prodotto, quando la tecnologia è sempre la stessa si può inserire
la marca commerciale. I vuoti d’offerta rappresentano opportunità dove si inserisce la marca commerciale.
• Es: Coop non è entrata nelle bevande alcoliche; invece ha anticipato l’industria nei detersivi ecologici per
rinforzare l’immagine consumerista dell’insegna.
Es. Coop non è entrata negli alcolici perché? Il mercato è dominato da player forti.
• La giustificazione economica della marca comm.le non è solo il rapporto costi/ricavi del suo sviluppo, ma
soprattutto il riflesso sulla performance dell’intera categoria.
L’intera categoria verrà penalizzata? O migliora i propri margini? Al retailer importa non vendere il
prodotto a lui interessa vendere l’assortimento, ha le categorie non il prodotto. Se si tratta con un buyer si
deve tenere in mente la situazione generale.
Copacker sono aziende produttrici alle quali il retail affida il compito di produrre il prodotto secondo
requisiti del retailer.
• E-sourcing: aumento dei fornitori potenziali inserendo in rete una richiesta di accreditamento, poi trattata
da agenti digitali.
• Stabilità del rapporto con copacker se ho una marca riconoscibile, tranne nelle marche commerciali non
riconoscibili posizionate tra i primi prezzi.
Di solito rapporto con copacker tende a stabilizzarsi sulle marche riconoscibili mentre è instabile nelle
marche industriale non riconoscibile. Il retailer non è riconoscibile come responsabile della qualità, il cliente
finale la scambia per una delle marche industriali; quindi, il rapporto con il copacker diventa instabile
perché il retailer ricerca sempre un copacker che fa costi minori.
• In Italia i copacker sono di solito piccole imprese, ma alcuni leader di mercato accettano di produrre se si
discutono anche assortimento, posizionamento a scaffale della propria marca e prezzi di vendita.
Anche qualche grosso operatore accetta di fare il co-packer e a questo punto ha le proprie marche
commerciali e produce per il retailer, rischia di fare brand competition su sé stesso e lega le due
contrattazioni facendo la fornitura da marcare sul prodotto coop. Es. Stabiliscono determinate regole come
la posizione, allestimento, prezzi ecc.… per evitare di fare competizione con le proprie marche.
Tipi di fornitori
c) Copacker attivi, con impianti e reti vendita dedicate alle marche dei distributori. Es. gruppo ZAR
- Strategia multi-branding: la partnership sulla marca commerciale si estende anche alla marca
industriale tramite globalizzazione del rapporto verticale.
Fanno strategia multi-branding ovvero devono stare attenti che quella commerciale non cannibalizzi
la propria marca industriale. Mi metto a lavorare con te soddisfo le esigenze di marca commerciale e le
mie marche industriali vengono trattate in un certo modo: integrazione del rapporto verticale. Si
globalizza il rapporto con il retailer, si decide tutto quello che fa il retailer con la marca industriale.
- Difficoltà di sostituire il copacker stabile
Attenzione: per il trade marketing industriale (produttore che tratta con il distributore) la proliferazione di
brand industriali esclusivi rappresenta un’alternativa alla marca commerciale.
Il copacker di sapori e dintorni diventa una marca industriale dopo molti investimenti. Diventa una marca
del produttore dopo il troppo sviluppo di una marca commerciale, ed è un problema per i retailer.
Prezzo
Esempio:
Come si calcola il prezzo da dare alla marca commerciale? Testare la marca commerciale in punti vendita
omogenei (simili) riducendo il prezzo relativo della marca commerciale finché si ottiene un aumento del
profitto della categoria intera, non della marca commerciale. Si vuole vendere l’intero reparto non la marca
commerciale e basta. Si prendono i prodotti omogenei e si comincia a ridurre il prezzo relativo finché si
ottiene un aumento del margine della categoria, altrimenti non conviene.
Non stiamo parlando del retail mix dell’insegna ma della marca commerciale: la promozione, il prezzo,
assortimento della marca commerciale del retail mix specifico.
Promozioni
• La marca commerciale è di norma un prodotto a mark-up costante, non utilizzata per la promozione
vendite ovvero sconti.
Il mark-up è il ricarico / margine che assieme al costo di acquisto forma il prezzo di vendita, è la
percentuale costante. Nella marca commerciale non è utilizzata per la promozione vendite. La domanda è
rigida perché il prodotto è in esclusiva.
La promozione (sconti) in generale si rivolge soprattutto a clienti della marca industriale non abituali del
punto vendita, per attirare nuovi clienti. Poiché i clienti non abituali non conoscono il prezzo normale della
marca commerciale, sarebbe poco efficace offrire loro uno sconto, perché non sanno apprezzarlo
correttamente a differenza dei clienti abituali.
• Perché allora la marca commerciale la troviamo nei panieri promozionali? Qualche volta accade a causa
della competizione dei discount erodono la quota di mercato degli altri competitor sulla fascia prezzo
bassa. Se il leader di mercato industriale riduce il prezzo, la marca commerciale deve seguirlo. Se la marca
commerciale fa il trucco di alzare il prezzo (da 100 a 110) per poi scontarlo (10%) e finanziarsi in parte la
promozione, il cliente abituale memorizza il prezzo normale mantenuto “alto”. Cala il concetto di valore
equità – la condizione dell’azienda sul consumatore che non lo tradisce. In realtà, l’unico modo per
competere con il discount è necessario l’EDLP (Everyday low price), dei reparti che sono costantemente
messi a prezzo basso.
Es: Barilla leader di mercato riduce il prezzo da 0,80 a 0,70 io non posso lasciare la mc a 0,76 (Barilla ha il
traino promozionale, la mc no), quindi si alza il prezzo per poi scontarlo e finanziarsi la promozione, da 0,76
lo porto a 0,85 faccio lo sconto del 20% e scendo sotto il prezzo originario di 0,76 ma non di tanto. Il cliente
abituale però in contemporanea memorizza che la marca commerciale è diventata più costosa. Per
competere con il discount c’è bisogno di reparti EDLP perché il supermercato non lo è, solamente per
alcuni prodotti es. volantini.
• La convenienza della marca commerciale si può sostenere in molti altri modi senza toccare il prezzo. Se
non ricorro alla promozione come diventa conveniente la mc? veicolare un’immagine di convenienza
senza toccare il prezzo:
LA COMPETIZIONE VERTICALE
Come l’industria manifatturiera può difendersi dalla marca commerciale? Ci si mette nei panni dei
fornitori/produttori. Si fa affidamento alle matrici:
Orizzontale: Numero di marchi industriali presenti nella fascia prezzo della marca commerciale, indice di
dereferenziamento: se vi sono pochi marchi vuol dire che gli altri sono stati espulsi/deferenziati indice
elevato. Indice basso se vi sono molti marchi in assortimento.
Verticale: Differenziale di prezzo tra marca commerciale rispetto alla marca nazionale (industriali) di pari
qualità
Classifichiamo le marche commerciali nei 4 quadranti a seconda della posizione di come si trova
-20%
4^ Profittevoli = pochi marchi 3^ Marginali = ci sono molti marchi industriali
industriali e le marche commerciali ma il gap di prezzo è molto basso ed è
Quali sono le mc più pericolose? Le mc più pericolose sono le aggressive da tenere sotto controllo.
Per capire chi è il leader di mercato ci si posiziona davanti allo scaffale e si contano i facings cioè il numero
di prodotti che compare, quante volte compaiono questi delle stesse marche sullo scaffale.
Il leader di mercato è quello che ha più facings, visibilità.
Orizzontale: centimetri lineare di scaffale per referenza (categorie di articoli) di marca commerciale
Verticale: qualità spazio espositivo. Le due dimensioni di qualità:
- Qualità verticale = prodotti posizionati a mani occhi si vendono molto di più degli altri, qualità più bassa è
in basso o tanto in alto.
- Qualità orizzontale = è lo spazio espositivo iniziale negli scaffali ha prodotti di qualità maggiore o alto
margine per il retailer ha più interesse a vendere rispetto alle marche che si inseriscono in mezzo, man
mano la qualità di acquisto scende.Online esiste la qualità espositiva è importante. Nella stessa videata,
il prodotto vende di più o meno a seconda di dove viene posizionato. L’osservazione è da sinistra a destra.
Anche qui gli aggressivi sono i più interessanti da tenere d’occhio.
Basso cm M Alto cm
1^ Sperimentali = Pochi centimetri ovvero 2^ Aggressivi = Molti centimetri/facings e
Alta qualità
pochi facings ma altezza mani occhi quindi posizione ottima. Molti facings nello spazio
piazzati bene. La mc è stata appena inserita, migliore. Utilizzo del merchandising per
stanno testando la situazione, quali marchi crescere in quota di mercato
industriali stanno soffrendo di più o meno.
4^ Marginali = le marche commerciali che 3^ Profittevoli = molto spazio a qualità bassa,
non gestiscono lo spazio espositivo, basso non posso lottare contro il leader, il cliente
centimetri, bassa qualità. conosce già. Sono piazzati nello spazio meno
Bassa qualità
- Aumento promozioni nelle aree e nei clienti in cui la marca industriale è più debole (sensibilità al prezzo
della marca industriale è molto più alta della sensibilità al prezzo della marca commerciale, quindi la
promozione è più efficace). La sensibilità al prezzo alta / l’elasticità della domanda della marca
industriale è alta (cala il prezzo l’acquisto) rispetto a quella della marca commerciale, se calo
quest’ultima non ho vantaggi perché ha elasticità della domanda rigida.
- Aumento acquisti programmati attraverso couponing online le promozioni con coupon
- Offerta di incentivi per migliorare la qualità espositiva pago per acquisire lo spazio migliore
- Riconoscere al retailer premi di fine anno legati più alle quantità vendute della marca industriale che
alla crescita percentuale di quota Se facessi il contrario sarebbe possibile avere una quota di
mercato più alta magari togliendo qualche marchio industriale. È possibile che cali la quantità venduta
ma aumenta la quota di mercato perché gli altri marchi sono spariti grazie alla marca commerciale. È
più importante la quantità comprata, quindi tonnellate che la quota.
- Riposizionamento per seguire la congiuntura, dato che marca commerciale cresce in quota di mercato
nei periodi di congiuntura negativa quando c’è crisi economica si ricorre ad un riposizionamento
della marca commerciale, si tende a passare dall’industriale alla commerciale al primo prezzo.
- Lancio di una “marca tattica” come alternativa alla marca commerciale la marca utilizzata quando
vengo attaccato. Invece di abbassare il prezzo della marca leader prendo un altro prodotto e la piazzo a
primo prezzo e abbasso il prezzo in modo tattico appena sotto la commerciale.
- Azioni legali contro i distributori che plagiano il packaging es. colori uguali confondono.
- Controllo stretto delle tecnologie di processo Segreti industriali escano dall’azienda
Lezione 6
La politica di merchandising
Politica di merchandising
È una politica pensata per la marginalità, ma anche sui ricavi ottenuti vendendo quei prodotti che hanno
maggiori margini. Il ruolo del merchandiser massimizza e utilizza la capacità di vendita orientando il
comportamento di acquisto del consumatore in modo da aumentare il sell out delle categorie e delle
referenze a più alto margine unitario.
- Servizio logistico
- Spazio espositivo
La capacità di vendita di un punto vendita è data dalla superficie di vendita / i metri lineari (metri scaffali)
che va gestito in un certo modo e il servizio logistico ovvero il servizio che rifornisce lo spazio e ha il
compito di evitare le rotture di stock. L’obiettivo è ridurre lo stock nei punti vendita perché scorte = costi,
ma senza andare in rottura di stock (il consumatore arriva di fronte allo scaffale e non trova la merce,
questo è molto negativo perché il consumatore può cambiare la marca, prodotto o intermediario). Per
evitare le rotture si devono avere scorte ma queste comportano dei costi e serve minimizzarli.
Queste due risorse sono sostituibili. Esiste una sostituibilità tra costo dello spazio espositivo e costo
logistico (costo di chi rifornisce e costi delle scorte di magazzino). Dipende dalla grandezza del punto
vendita: grande punto vendita ha tanta merce e lo rifornisco meno frequentemente il consumatore può
essere servito dando molto spazio espositivo alla merce e rifornendo lo spazio espositivo poco
frequentemente oppure se il punto vendita è piccolo il contrario avendo poco spazio espositivo e
rimpiazzando la merce continuamente. => Si guarda al consumatore e ai suoi bisogni!
Il servizio logistico dipende anche dalla politica assortimentale1 che il punto di vendita ha scelto:
Acquisti di impulso: il consumatore effettua questi acquisti decidendoli nel punto vendita non sono
programmati, possono essere influenzati dal distributore come? Gestendoli come la logica del
merchandising, vengono spinti dal distributore.
Acquisti di consumi in crescita: mi conviene aver un maggior numero di giorni scorta in magazzino
Acquisti programmati: “nota spesa” che decido a casa es. spesa familiare che acquisto ogni settimana
Ci sono tre categorie di combinazioni perché questi acquisti cambiano a seconda della categoria e della
marca:
1
Dimensioni assortimento: ampiezza (numero di linee), profondità (numero articoli per linea), estensione (numero
articoli presenti) e coerenza (numero di item che condividono determinate risorse).
Le decisioni sullo spazio espositivo possono essere di breve o lungo periodo. Le decisioni di allestimento
attrezzature del punto vendita dove l’intermediario prende delle decisioni che non vengono cambiate
spesso sono tipicamente di lungo periodo mentre le decisioni di utilizzo dello spazio espositivo tendono ad
essere di breve/medio periodo che si possono cambiare con una certa frequenza. Sono tre:
1. Layout attrezzature: medio/lungo periodo, quale modello di collocazione delle attrezzature scegliere
nel punto vendita. Ci sono tre modelli:
- Modello a griglia: di solito nei supermercati, è una logica favorevole all’offerta (distributore), pareti
piene di merce (logica offerta no domanda), risponde alle esigenze dell’intermediario invece che dei
clienti. Quel tipo di disposizione di tanta merce consente di diminuire il costo logistico e quindi
aumentare la redditività dello spazio espositivo. Concetto penalizzante nei confronti del cliente che non
viene facilitato nella ricerca dei prodotti, prende il costo della ricerca di info e prodotto, minuti di
acquisto aumentano.
- Modello a isola: è il modello favorevole alla domanda e segue il cliente, le isole con tutto a portata di
mano, basso si vede tutto l’assortimento. È più veloce da leggere. Da più informazioni al cliente. La
singola referenza (item) è l’unità minima dell’assortimento (shampoo Garnier capelli fragili) / facings =
numero di flaconi. È difficile per il distributore calcolare quante referenze inserire.
- Modello misto: mette insieme a griglia e isola, utilizzato per differenziare l’insegna e renderla distintiva
rispetto ai concorrenti. Molti punti vendita tendono a questo modello per differenziarsi, larghezza dei
corridoi è importante che altrimenti riducono la visuale e disturbano, vendono uno stile. Allestimento
che va incontro all’esigenze del consumatore e fornisce molte informazioni perché mette in relazione i
prodotti tra di loro e la merce non è elevatissima.
2. Layout merceologico: quali categorie merceologiche da disporre nei vari spazi della superficie di
vendita. Lo spazio non ha lo stesso valore, non viene cambiata spesso è di medio/lungo periodo. L’area
più pregiata è quella che il consumatore visiona per prima (testate di gondola – merce vista da tre lati –,
ingresso). Gli spazi più pregiati sono dove c’è più flusso di traffico e dove di solito ci sono spazi caldi,
dove metto le categorie merceologiche con maggiore margine unitario medio come acquisti di impulso.
Le aree fredde sono per gli acquisti programmati.
NB! L’area visionata per prima è quella vicina all’ingresso. A seconda della merceologia che posiziono
nell’area più pregiata cambia l’obiettivo di marketing che io perseguo. Es. se il mio obiettivo è la
creazione di traffico cosa posiziono all’ingresso? Area delle promozioni. Se il mio obiettivo è trasmettere
un’immagine di convenienza contro competitor? Particolari offerte e primi prezzi. Se voglio trasmettere
immagine di qualità? Reparto prodotti freschi. Se voglio dare immagine di servizio? Metto categorie ad
alta specializzazione come il ferramenta. Osservando il punto vendita nell’area iniziale posso stabilire il
tipo di obiettivo del punto vendita, oppure il tipo di obiettivo dell’intera insegna.
Disegno scaffale:
S= segmento di offerta
M= marca
V= dimensione qualitativa verticale >
O= dimensione qualitativa orizzontale
- VS+OM= è il PRIMO CASO verticale di segmento (bianco, frutta) + orizzontale di marca. Questo schema
favorisce l’insegna distributiva o le marche dei produttori? Favorisce il distributore che può decidere a
chi vendere lo spazio mani occhi, stabilisce la visibilità, gestione della qualità verticale dello spazio ad
un certo prezzo. Posso gestire la macchia colore ovvero un principio di merchandising che attira subito
il colore ovvero la marca di riferimento del prodotto.
- VM+OS= è il SECONDO CASO le marche sono in verticale e in orizzontale sono i segmenti di offerta.
Questo schema favorisce il produttore perché lascia al distributore soltanto la qualità orizzontale che ha
meno valore dello spazio espositivo, non gestisce la verticalità. Tutte le marche sono ad altezza mani
occhi. Quando l’assortimento di categoria è molto profondo, ho tante marche è più facile utilizzare
questo schema; infatti, LA COSA PIÙ IMPORTANTE È LA QUALITÀ VERTICALE.
Cosa cerca per primo il cliente quando arriva? Cerca il segmento di offerta frutta o la marca Yomo?
Es. se cerca la categoria frutta sarà il primo caso altrimenti visto anche l’assortimento molto profondo
(numero righe < numero colonne, molte marche) cerca prima la marca Yomo sarà il secondo.
- VS+VM. SISTEMI MISTI mi sposto per marca, la varietà dei margini di contribuzione è limitata è
sistemata in verticale i segmenti e anche le marche.
Lezione 7
Trade marketing
• Prologo e Definizione
• Le 4 fasi del processo di trade marketing
• Conclusione
Prologo e Definizione
Il Trade Marketing è quella funzione che consente al produttore di interfacciarsi con i canali distributivi. È
un approccio gestionale che contribuisce all’efficacia del marketing dell’azienda produttrice attraverso il
completo soddisfacimento delle specifiche esigenze dei clienti commerciali – i clienti sono gli intermediari.
Per il trade marketing il cliente è un’insegna. Comprende tutte le iniziative dell’impresa industriale per
pianificare e gestire il rapporto con le imprese distributrici.
Si avvale di un processo circolare: sono quattro fasi fondamentali del processo momento delle analisi,
momento strategico (decido cosa fare), momento operativo (traduco la strategia in azioni) e momento del
controllo (feedback del processo).
Quello che avviene nel rapporto di canale, abbiamo tre livelli del rapporto di distribuzione:
Possiamo vendere beni problematici e beni non problematici (banali). Es. bici è un bene problematico
perché l’acquisto è ancorato ad una serie di valutazioni e comparazioni. Es. Prodotto confezionato grocery
(dentifrici) sono prodotti non problematici, semplici. È più complesso trattare rapporti di canale con beni
problematici o non problematici? Nei panni del produttore è più complesso il bene non problematico
(dentifricio). Perché vendendo un bene problematico (bici) è più probabile che venga utilizzata la gestione
integrata della collaborazione, il rapporto è improntato al terzo livello. Invece quando vendo il bene non
problematico (dentifricio) sono coinvolti tutti e tre i livelli e la situazione è più complessa.
Contrattualistica
Chi governa nel lato del produttore nel rapporto è il trade marketing. Il costo del venduto, nel caso
dell’azienda commerciale, è l’insieme dei costi dell’acquisizione della merce (costi di acquisto), ammonta in
ordine di grandezza dell’80% dei costi totali, ogni sconto che ottengo dal fornitore riesco ad abbassare i
costi che può tradursi in minori prezzi di vendita a favore del cliente finale oppure può tradursi in un
aumento della marginalità a favore dell’azienda commerciale. L’ottenere sconti dipende dal potere
contrattuale del fornitore/dell’industria. Da cosa dipende il potere contrattuale del distributore e cosa
guarda il distributore nel valutare il potere contrattuale nei confronti della GDO. Ponderata e penetrazione
vengono dalla scomposizione della quota di mercato.
- Copertura ponderata dell’insegna e della sua dinamica: si intende la quota di mercato dell’insegna nel
suo bacino di gravitazione, nell’area dei servizi.
Se il distributore ha una ponderata che pesa molto nella categoria dove appartengono i miei prodotti
lui ha più potere.
- Penetrazione della marca industriale sulla insegna e la sua dinamica: quanto vende (Asdomar) la marca
industriale sulla vendita della marca commerciale (tonno coop). Su tutte le scatole di tonno che vende
un’insegna che percentuale è la marca industriale?
Se la penetrazione della marca industriale nell’insegna è elevata, il distributore / retailer ha meno
potere al momento della contrattazione. Non può rinunciare molto alla marca industriale, può farlo ma
rinuncerebbe ai ricavi.
- La concentrazione territoriale dell’insegna: a parità di punti vendita, un’insegna può avere tanti punti
vendita concentrati su una parte del territorio oppure lo stesso numero di punti vendita sparsi in tutta
Italia, è la concentrazione territoriale. Motivo logistico per espandersi nel territorio, ci vogliono 60/70
punti vendita per aprire un CEDI- centro di distribuzione. I costi del rifornimento dei distributori calano
se la piattaforma è in centro ai punti vendita e viceversa se sono più distanti. Più concentrato = meno
costi. Un’insegna con molta concentrazione = più efficienza = più potere contrattuale.
Tanto più è maggiore la concentrazione, i costi di approvvigionamento sono inferiori e offrono una
copertura completa e profonda del territorio, quindi, è maggiore è il potere contrattuale del retailer.
- Numero di alternative di acquisto presenti dal distributore: il distributore vende solo prodotti di marca
industriale o anche marca commerciale, ha altre alternative da proporre al cliente finale? Alternative di
acquisto da parte del distributore.
Tanto maggiore è la l’alternativa di acquisto proposte dal retailer, maggiore è il potere di mercato del
retailer. Manovra le altre leve con la marca commerciale. No sconti? Si fa la marca commerciale.
- Quota di mercato della marca industriale/produttore nel territorio dove è localizzato il distributore
Maggiore è la quota di mercato nel territorio della m.i, il potere di mercato del distributore
diminuisce. Se si interrompe la contrattazione, ci si affida ad un competitor.
Dato un certo livello contrattuale da parte dell’insegna, il produttore industriale come risponde? Ha diversi
buyer da diverse insegne (alcune di mettono insieme per creare centrali di acquisto negoziando per una
serie di insegne o super centrali che riuniscono diverse centrali). Il produttore sa che ciascuno di questi ha
un potere contrattuale diverso perché rappresenta una realtà diversa. Cosa gli conviene fare? Tutti
chiedono degli sconti e il produttore fa prezzi differenti offrendo un maggiore sconto a chi ha maggiore
potere contrattuale e viceversa. In questo caso esercita una discriminazione di prezzo.
- Discriminazione di prezzo ovvero quando si praticano due prezzi diversi a due clienti diversi per lo
stesso prodotto.
- Differenziazione di prezzo ovvero quando si praticano prezzi diversi per prodotti diversi.
Il prezzo è solo una delle condizioni di vendita (anche sconti, le concessioni di credito).
Si può dimostrare che il produttore fa prezzi diversi? Bisogna mascherare questa azione perché il retailer
potrebbe richiedere lo sconto minore fatto ad un altro retailer. Per mascherare si riduce la trasparenza dei
prezzi, la modalità più utilizzata è quella dell’opacità, del rendere difficile il confronto tra prodotti.
- Sconti differiti legati al raggiungimento degli obiettivi: si potrebbe dire di fare sconti differiti legati agli
obiettivi di vendita, se il retailer / buyer si impegna a raggiungere un certo ammontare di vendite entro
un certo limite si può concedere uno sconto ulteriore.
- Fornisco contributi: si condividono le spese della promozione
- Credito di fornitura: concedo la merce e si paga invece che a 60 gg si paga a 90 gg perché il retailer
acquista di più. Conviene fare credito perché il retailer vende tutta la merce entro i 60 gg, il profitto
crea interessi nel mese di concessione che vengono investiti nel restante dei giorni.
Se un produttore non fa queste cose può far sì che le condizioni diventino trasparenti per tutti i retailer. Per
rispondere al potere di mercato il produttore cerca di mascherare questo. Tuttavia, la discriminazione di
prezzo è comunque instabile perché? Ci sono vari motivi perché la mancata trasparenza non resiste:
- Dipendenti del retailer (buyer) possono cambiare insegna nella loro carriera, portano con sé le
informazioni ottenute dai fornitori. La nuova insegna viene a conoscenza delle condizioni di favore
riservata da un fornitore ad un retailer competitor. Si annulla la discriminazione.
- Esistono le centrali / super centrali di acquisto con insieme varie insegne, se una di queste entra viene a
conoscenza dei prezzi trattati all’interno dell’insegna diventano di dominio pubblico nella centrale.
- Faccio uno sconto del 3% ad un retailer e dell’1% ad un altro retailer. Come fanno a sapere che
effettivamente ho fatto loro le condizioni migliori e non al concorrente. Non c’è modo ma si può capire:
Tramite acquisizione / fusione delle due imprese
Il modo migliore per capire se sono stato favorito è quello di ribaltare lo sconto tutto sui consumatori
finali, ed esco con la merce scontata non trattenendo niente per l’azienda e mi rendo più competitivo
nelle vendite. Si aspetta la risposta della concorrenza che ribalta lo sconto sul prezzo finale a loro volta
e viene così esplicitata la differenza di trattamento.
Chi pratica il prezzo inferiore è più competitivo e il fornitore lo ha favorito applicando uno sconto
superiore. Si va dal produttore a contrattare condizioni uguali agli altri, creando un circuito: il
produttore deve concedere lo sconto a tutti e i successivi buyer avranno altra discriminazione e così via.
La lotta competitiva porta a prezzi inferiori favorendo il consumatore finale. In situazioni di inflazione il
commercio della GDO tende a effettuare una situazione calmierante dell’inflazione, la incorpora più
lentamente rispetto ad altri, prima di alzare i prezzi si aspetta molto.
Competizione verticale
Lungo i canali distributivi la lotta è per chi svolge meglio le funzioni di commercializzazione e si appropria
meglio del valore creato lungo la filiera. Valore = prezzo di vendita finale al consumatore – costo della
materia prima servita per il prodotto. Industria e distribuzione competono per avere un valore.
SELL-IN
Quanto prodotto è stato acquistato dal rivenditore, entra nello scaffale
Condizioni contrattuali, sconti e incentivi. Il prezzo di listino è l’elemento base. Tuttavia, la convenienza
economica di un prodotto per il trade è legata non tanto al suo prezzo di listino, bensì all’entità degli sconti
in fattura, fuori fattura, e ai premi di fine anno, da cui viene spesso a dipendere la redditività netta
dell’impresa commerciale. È necessario evitare palesi discriminazioni delle condizioni contrattuali fra diversi
intermediari soprattutto discriminazioni di prezzo. Non si dovrebbe dare lo stesso prodotto a condizioni
diverse a clienti differenti soprattutto se i clienti hanno potere di mercato simile. Quando le differenze nelle
condizioni contrattuali sono giustificate da differenziali nei servizi offerti dall’impresa industriale, si
definiscono come “differenziazione”, con prezzi diversi e prodotti con servizi diversi.
- C’è buyer e seller. Seller decidono a chi concedere lo sconto, senza dire a lui A che ho praticato un
prezzo vantaggioso ad un altro B cosa succede? Succede che queste condizioni di vendita che
dovrebbero essere riservate tra me produttore e B (intermediario) in realtà vengono diffuse, perché? Se
io discrimino a vantaggio di B va a finire che A viene a saperlo. Si ribalta il vantaggio ottenuto sui prezzi
finali e in quel momento B palesa il vantaggio (sconto) dato. A si accorge del prezzo di B e chiede le
stesse condizioni.
- I buyer si trasferiscono da altri intermediari, quando cambiano posizione e datore di lavoro e si portano
gli sconti costruiti con i fornitori. Tutto questo ha un effetto che si ripercuote sulle vendite.
Come risponde il fornitore per le condizioni di vendita discriminate? Si costruiscono delle scale sconti
molto complesse che però sono difficilmente paragonabili tra loro, l’idea del fornitore è rendere difficile
al buyer comparare le offerte di produttori diversi per lo stesso prodotto. Impedire un confronto chiaro
è una strategia. Tuttavia, alla fine ci sono degli operatori che hanno più potere di mercato e altri meno
e opacizzo i listini ma alla fine ritrovo sempre dei soggetti che magari mi chiedono le stesse condizioni
di B.
SELL-OUT
Azioni che il fornitore usa per far uscire la merce, quanto è rivenduto al consumatore finale.
Azioni di merchandising: Merchandiser per curare il display e garantire la realizzazione delle iniziative.
Iniziative di space allocation e category management : Software di ottimizzazione economica dello spazio
considerando l’ingombro, i margini, la rotazione nel punto vendita- DPP direct product profitability
gestiscono reparti grandi per massimizzare le vendite tentativo di integrazione verticale dipendente. Layout
e display merceologici per rendere lo scaffale più comprensibile agli acquirenti in quanto rispecchia i loro
criteri valutativi.
Promozioni in-store Vivacizzare il punto vendita. Meccaniche promozionali: sampling, buoni sconto,
premi immediati, gadget Promoter per accogliere i clienti nel p.v., materiale PoP (point of purchase), direct
marketing collegato al data base della carta fedeltà. L’effetto della promozione si calcola non differenza
vendite prima e dopo della promozione non durante.
Servizio logistico: Lotta contro l’accumulo di scorte, consegne frequenti e puntuali secondo logica pull,
carichi completi, standardizzazione degli imballaggi e dei pallets per accrescere la scorrevolezza del flusso di
merci.
4. Momento di controllo: Verificare i risultati delle singole azioni commerciali e monitoraggio costante
delle performance distributive (analisi della quota di mercato a livello distributivo, analisi del
portafoglio distributori, conto economico di cliente/ canale, indagini qualitative sul trade).
Analisi della quota di mercato a livello distributivo, analisi del portafoglio distributori, conto
economico di cliente/canale, indagini qualitative sul trade
Conclusione Si passa da un trade mktg reattivo, che ingloba nell’offerta industriale le singole esigenze dei
distributori/clienti è una posizione più difensiva dell’industria a un co-marketing che prevede la
generazione congiunta di valore per la domanda, retailer e produttore che collaborano. Si considera
l’intermediario/cliente come un partner per creare valore del canale in modo tale questo possa competere
in modo più efficace con altri canali. I progetti di category mngt, la riprogettazione della supply chain, la
condivisione delle informazioni sul cliente finale, l’innovazione di prodotto co-gestita, il riordino automatico
Lezione 8,9,10
Definizione di omnicanalità
L’omnicanalità consiste nell’integrazione completa dell’insieme dei punti di contatto (tra impresa e il
consumatore) al fine di offrire ai clienti un’esperienza d’acquisto coerente.
È un obiettivo ideale da raggiungere, non è in essere. C’è una progressione tra multicanalità che
affianca semplicemente dei canali che rimangono indipendenti, cross canalità che comincia ad integrarli
alla omnicanalità che arriva alla piena integrazione. Coerente significa non ci dovrebbe essere
dissonanza tra mondo offline e mondo online.
La strategia omnicanale risponde a un bisogno di fluidità del consumatore nel processo d’acquisto
Il consumatore ogni volta che si sposta da un canale all’altro dovrebbe continuare senza
impedimenti il suo processo di acquisto - customer journey - e ogni canale dovrebbe essere a
conoscenza di tutto il suo percorso pregresso e alla fine il cliente raggiunge il suo obiettivo in modo
eguale indifferentemente dal canale fisico al canale digitale, il rapporto diventa più fruttuoso.
Tutti i canali di distribuzione e comunicazione (negozi, cataloghi, sito Internet, dispositivi mobili, social
network, emailing, call center, etc.) sono destinati a creare un unico universo di consumo.
Questi canali vanno a convergere ma bisogna avere chiare le funzioni dei singoli canali, questi
possono anche essere indipendenti.
La convergenza tra canali di distribuzione e canali di comunicazione permette di creare sinergie.
Es. una persona riceve informazioni via mail e grazie a queste può andare direttamente sul sito web.
Sinergia: La differenza in più dovuta al risultato ottenuto addizionale rispetto alla somma semplice di
due oggetti. Non è la somma, è il risparmio perché acquistando di più ho uno sconto.
1. Monocanalità: uso di un canale di vendita e di un canale di comunicazione, cioè il punto vendita. (Ex:
grossista tradizionale) Oppure uno che vende solo online.
2. Multicanalità: uso di più canali di vendita e di comunicazione non collegati tra loro. Ci sono barriere tra
le attività sviluppate in differenti canali. (Ex: assicurazioni vendute in agenzia- polizza vita e in Internet-
RCA auto)Spesso sono in competizione tra loro e di solito funzionano in modo indipendente o si
trovano gli stessi prodotti oppure si trovano prodotti diversi.
3. Crosscanalità: connessioni tra più canali di vendita e di comunicazione che favoriscono il processo
d’acquisto offrendo una traiettoria (Ex: quotidiano distribuito solo in rete ma con accesso da sito,
smartphone, tablet, e con relazioni con i clienti tramite FB, Twitter, blog, etc.) Oppure prodotto che
viene presentato nel fisico e nel digitale ma si può acquistare solamente in uno dei due online o offline.
A differenza della multicanalità che ha vari punti di acquisto, qui vengono indirizzato solo in uno. Può
anche avvenire tutto tramite canale digitale, in altre fonti digitali (social) comunicando e vendendo un
prodotto.
4. Omnicanalità: integrazione dei differenti canali di distribuzione e di comunicazione (Ex: quotidiano
acquistabile sia in cartaceo che digitale, acquisto di articoli online, servizi digitali personalizzati,
informazioni via social network; passaggio tra differenti canali senza alcuna difficoltà) Poche realtà,
trovo sempre le stesse informazioni che si aggiornano in tutti i canali. Dal canale digitale passo al
negozio fisico il negozio dovrebbe già conoscere tutto il percorso fatto in digitale e viceversa per non
creare discontinuità nel CJ.
a) Evitare le cannibalizzazioni
Significa far sì che le vendite di un canale non siano realizzate a detrimento degli altri canali.
L’impresa rischia d’investire nello sviluppo di nuovi canali senza che le vendite aumentino
La redditività dell’impresa diminuisce.
Il canale online prende tutte le quote del canale fisico, ci perdo. Se affianco un canale a quello
esistente e le vendite nel vecchio passano al nuovo sopportando i costi ma i ricavi non sono aumentati
ne risente la redditività.
È auspicabile gestire il trasferimento di parte della clientela verso il commercio elettronico invece di
fare resistenza alla pressione della domanda e della concorrenza.
Bisogna cercare di gestire l’attitudine della clientela verso il canale online
b) Sostituire i canali
Invece di subire la cannibalizzazione tra canali, si può sostituire il canale tradizionale con nuovi canali,
per comunicare o vendere.
Lo scopo principale non è aumentare i volumi di attività, ma aumentare la redditività, riducendo i costi
di funzionamento e il rapporto investimento/utile per i differenti clienti. Ex: il settore bancario spinge il
cliente a trasferirsi su Internet.
Ciò può essere giustificato quando i nuovi canali sono meno costosi e più facili da gestire.
Il settore della comunicazione è in piena ristrutturazione: riduzione risorse per mass media, nuovi
operatori, nuovi modi di interazione tra le imprese, nuovi mestieri per i pubblicitari. In rete occorre
fissare obiettivi più precisi rispetto alle campagne tradizionali Cambia il modo di lavorare
Sostituzione di logica di approccio ai canali di comunicazione
Sostituire canale fisico con il digitale. Non c’è l’idea di aumentare i volumi di attività ma di redditività,
sposto gli investimenti nel canale nuovo perché calcolo che il nuovo canale avrà meno costi nel lungo
periodo. Es. sistema bancario sportellisti sono addestrati a incoraggiare lo spostamento verso il canale
online solo se è meno costoso e facile da gestire. Nel caso in cui l’agenzia pubblicitaria è in grado di
sostenere l’azione dell’azienda nel nuovo canale cambia il modo di lavorare, gli obiettivi nel canale digitale
sono più precisi perché più misurabili rispetto al canale tradizionale. Il grande vantaggio del canale diretto è
la possibilità di misurare precisamente un ritorno di un’azione di comunicazione (giusto o sbagliato).
Quando progetto una campagna online devo fissare obiettivi precisi rispetto ai mass media: posso ottenere
un ritorno in tempo reale nell’online (indici di conversione, sessione…) Posso misurare l’effetto in modo più
preciso nell’online, la maggiori precisione impone di fissare obiettivi precisi.
Facilitare l’uso di differenti canali all’interno di una stessa traiettoria d’acquisto. Ad es., i canali digitali,
anche se non procurano vendite supplementari, possono aiutare i canali tradizionali a vendere di più
(ex.: cucine IKEA). Fanno svolgere una co-progettazione online, l’acquisto è finalizzato nel punto
vendita
Frammentazione del processo d’acquisto (ex.: Esprit propone di scannerizzare i prodotti in negozio, così
da poterli poi ritrovare nel proprio account Internet nel caso si decida di acquistarli).
a) Dissociare le funzioni secondo il tipo di canale (ex.: scelta e pagamento online, consegna in negozio).
Es. Bata: utilizzano un click & collect avanzato, si acquista online e si può ritirare in qualsiasi negozio,
oppure fare un acquisto in negozio tramite l’aiuto di un assistente e ritirarlo in qualsiasi negozio. Il
negozio ha una gestione avanzata delle scorte tramite software e può tradursi in un aumento di costi.
Oppure nel caso Rossetti parte tutto dal magazzino centrale senza avere costi di scorta elevati.
b) Agevolare la transizione tra canali. Nel passaggio tra canali, si può perdere il cliente. Le Strategie di lock-
in che agevolano il passaggio tra canali di una stessa insegna, il consumatore viene spinto tra canali
senza poter uscire più dal percorso es. regalo un buono per pv. Per evitare che il processo si interrompa
occorre che in ogni fase ci sia un canale in grado di dare il cambio sapendo ciò che è già stato realizzato.
c) Addizionare valore a quanto ottenuto con gli altri canali. Si concentra su quanto potrebbe convincerti a
comprare e attirare l’attenzione. Attraverso:
- Stimolo alla realizzazione dell’acquisto (il cliente non deve né abbandonare, né finalizzare presso un
concorrente). Ad es. un buono promozionale da spendere nell’altro canale.
- Assortimento più esteso. I differenti canali possono far scoprire più prodotti della gamma, stimolando
cross-selling (acquisto più prodotti connessi tra loro) e up-selling (prodotti livello più elevato). Ad es.
presentando le novità in negozio, mentre i prodotti meno richiesti sono in Internet. Le novità devo
trovarle solo sul punto vendita perché il prodotto magari ha bisogno di spiegazioni al consumatore
attraverso il venditore.
- Aumento fidelizzazione. L’investimento in un canale non deve essere rovinato dalle condizioni di un
altro canale. Ci vuole coerenza nel marketing mix e quindi tra canali. Il sito Web può informare
sull’offerta disponibile nei punti vendita, e può ridurre i freni tramite guide all’acquisto cioè informando
con: valutazioni dei clienti, video dimostrativi, storytelling (sostituito dallo storydoing che si basa sul
mostrare che le promesse ai clienti sono mantenute, mostro come mantengo le promesse es bici
localizzatore) Esperienza di lusso nel negozio e poi online diventa confusionario deve esserci
coerenza.
Il cliente deve ritrovare il medesimo posizionamento nei diversi canali. La coerenza riguarda:
a) assortimento, marche, prezzi: i prezzi devono essere uguali nei canali come per tutto il resto
b) servizi accessori (consulenze, consegne, montaggio, etc.)
c) contesto d’interazione (interfaccia, organizzazione del punto vendita, atmosfera, interazioni sociali)
sito e punto vendita dovrebbero avere lo stesso livello qualitativo.
Ma posso pienamente rendere coerenti un canale fisico e online? È una meta a cui si tende ma non
ancora realizzata.
Ma i nuovi canali si moltiplicano, hanno specificità tecniche diverse: è difficile proporre esattamente la
stessa gamma, gli stessi servizi, le stesse informazioni, gli stessi prezzi da canale a canale.
Inoltre, i clienti manifestano aspettative di servizio diverse nei confronti di diversi canali, mi aspetto di
trovare in rete un prezzo inferiore.
La crosscanalità è spesso una tappa verso l’omnicanalità
La strategia di Omnicanalità
Costruire un nuovo canale attraverso l’acquisizione di un’azienda specializzata nel commercio elettronico
PRO: • Rapidità.
• Minimizzazione dei rischi: l’attività è già avviata
• Complementarità: potenziali economie di scala, conseguibili integrando la nuova unità
• Acquisizione di risorse-chiave: acquisire un’azienda con risorse-chiave rare significa sia fruirne, sia
sottrarle ai concorrenti.
CONTRO: • Trasferimento di conoscenze limitato: il know-how acquisito non è sempre facilmente
formalizzabile; quindi, una parte non viene trasferita a tutti resta alla società acquisita.
• Mancanza di adesione al nuovo progetto da parte dei quadri intermedi delle due aziende, alcuni
potrebbero non credere nel progetto e andandosene portano altrove il know how.
• Integrazione delle attività: incompatibilità di cultura, obiettivi, meccanismi manageriali tra le due aziende.
• Diluizione delle attività: se si ricorre a più acquisizioni, l’identità dell’acquirente può soffrirne, l’identità
dell’acquirente iniziale inizia a perdersi.
Sviluppo interno e sviluppo esterno hanno in comune la detenzione di risorse e competenze. È possibile,
però, ottenere risorse esterne senza detenerle e acquisire la proprietà => contratti di collaborazione,
esternalizzazione, alleanze e partnership.
1. La logistica
a) Quale tipo di organizzazione logistica?
- La catena logistica include i costi di: approvvigionamento, trasporto, movimentazione merci,
amministrazione, assicurazione, magazzino.
- Equilibrio tra servizio al cliente e relativo costo (effettuare l’ultimo km è impegnativo, si tenta con i
punti di ritiro convenzionati, si ritrovano a gestire tutte le inefficienze del punto di ritiro che l’azienda
non controlla).
- Raggruppando gli acquisti di più canali, si ottengono economie di approvvigionamento e di scala
sarebbe più facile costruire lotti economici. Come raggiungere il risultato?
Per affrontarle:
- Instaurare regole comuni (nei diversi canali) nella valutazione delle performance e nella retribuzione degli
addetti; se utilizzo lo stesso metro di giudizio sul fatturato/quota di mercato che riesce ad ottenere per
un addetto al punto vendita e uno sull’e-commerce devo dare ad entrambi le stesse possibilità, altrimenti è
discriminazione e anche sulla retribuzione che si traduce in conflitto. Stabilire criteri di valutazione.
- Stabilire indicatori di performance a due livelli: performance globale dell’azienda (responsabilizzare tutti
nell’ottenimento del risultato complessivo dell’azienda, premi legati all’indicatore globale) e performance di
ciascun canale (l’obiettivo è valorizzare le specificità di ciascun addetto senza metterli in concorrenza).
Prevedere corsi di formazione interna per far evolvere le competenze. Si ottengono così anche i risultati di
far incontrare gli addetti di differenti servizi dell’impresa, e di creare una cultura comune.
Creare dispositivi di comunicazione interna volti a far capire gli altri e a creare squadre miste (da canali
diversi. Se invece una parte (digitale o tradizionale) rischia di sopraffare l’altra, può essere utile separarle
per il tempo necessario a far evolvere l’attività minore Sensibilità a capire esigenze.
4. I conflitti orizzontali (delega degli ordini, redistribuzione dei benefici economici) e verticali con le
aziende partner.
d) Come gestire i conflitti con le aziende partner?
- Nello sviluppo di nuovi canali l’impresa crea una rete con la quale collabora. Poiché le competenze e le
prassi sono nuove, è spesso obbligata ad avvalersi, almeno in parte, di società specializzate. Quando
queste società non perseguono gli stessi obiettivi dell’impresa, compaiono conflitti. Ciascuna impresa
tenterà di sviluppare potere sull’altra, al fine che questa si allinei ai propri obiettivi. L’omnicanalità
genera due tipi di conflitti principali:
• orizzontali: tra canali di una stessa insegna
• verticali: tra livelli di canale diversi es. il produttore e il distributore/azienda commerciale.
NB! Livello della Gestione integrata si intende la gestione integrata della filiera ovvero collaborazione tra
produttori e aziende commerciali. Alcuni strumenti sono: riordino automatico – riduzione scorte di
sicurezza –, condivisione di informazioni tra produttore e intermediario, grammature ad hoc canalizzate e il
category management. L’ultima è una rivoluzione nel commercio, l’idea di base consiste in un consumatore
che guarda una vetrina offline/online non ha un bisogno, il consumatore avverte grappoli di bisogni. Devo
rispondere a dei bisogni articolati. Es. Categoria della colazioneprodotti inseriti vicino al pane e
marmellata. Il produttore non deve pensare solo alla propria marca ma a come la propria si inserisce con le
altre in una categoria.
2. Definizione di CM e di “categoria”
Il concetto di categoria = insieme di prodotti omogenei rispetto a uno o più fattori di aggregazione (es.
nutrirsi, lavarsi, divertirsi), per il quale produttori e distributori sviluppano una politica mirata nei confronti
della domanda finale.
Category Management = è un processo di gestione a livello di singole categorie di beni sostituibili (posso
avere varie marche di marmellata) e complementari (oltre i biscotti metto il latte) con l’obiettivo di
migliorare i risultati focalizzandosi sul valore trasferito al consumatore, (invece che fare due spedizioni di
acquisto, ne faccio solo una, dando valore nel proporre la categoria al consumatore).
Nel grocery: categoria = uguali famiglie di prodotti. Nel non food diventa più semplice es. categoria tavola
tovaglie, piatti. Nella categoria troviamo non tutto l’assortimento dei beni che sono alcuni sostituibili e altri
complementari ma tutti dentro la stessa categoria.
Cambia la prospettiva de marketing e cambia anche le relazioni di potere: il buyer vuole tutta la categoria
dal seller, la singola marca ha meno potere. Il CM è nato dagli intermediari (azienda commerciale), c’è il
tentativo di acquisire maggiore potere di mercato nella filiera distributiva. Il produttore deve adattarsi. È un
tentativo di integrazione verticale che impone ai produttori a pensare in termini di categoria. Il CM è basato
sulla collaborazione tra azienda e produttore, cosa fanno i grandi produttori? Vanno dal retailer e chiedono
di gestire tutta la categoria e le altre marche? Succede che il retailer accetta che il grande produttore
(Barilla) gestisca tutta la categoria ma lei non vuole eliminare le marche più piccole (Sgambaro) ma il
retailer ha interesse che rimanga dentro altrimenti perde una parte della clientela. Tentativo dei grandi
produttori di riappropriarsi della categoria, in realtà questa manovra è complicata: il distributore è meno
dipendente dal produttore rispetto ad una volta, può anche rinunciare a qualche marca: non è il mestiere
del produttore fare il retailer (il produttore ha meno esperienza professionale di intermediazione) il
produttore alla fine trova difficile rendere di più e il tentativo di riappropriarsi della categoria non funziona.
Intermediario gestisce la categoria che sottrae il potere al fornitore quindi il fornitore tenta integrazione
verticale discendente svolgendo funzioni sulla categoria abitualmente svolte dall’intermediario, è manovra
difficile per via della scarsa specializzazione del produttore.
Passaggio dal modello organizzativo funzionale (acquisto a monte e vendita a valle) al modello divisionale,
accentrando in un’unica funzione le competenze e le responsabilità di acquisti, marketing e le vendite ma
per categoria e viene trattata dal category manager (un’intera categoria viene trattata da un soggetto che
dovrebbe occuparsi di una categoria dal momento dell’acquisto al momento della vendita). Perché?
a. Per ridurre i tempi di risposta ai mutamenti del mercato, occorre accentrare tutte le informazioni
relative alla performance ad una persona c’è la necessità di una dose informativa elevata, passaggi
per cui serve molto tempo ma con il modello divisionale la persona è unica e tutto viene accentrato.
b. Per rispondere alla crescente articolazione della canalizzazione di vendita, occorre migliorare
l’adattamento al contesto di canale, cioè definire la proposta assortimentale e di marketing in relazione
al comportamento della domanda finale
c. L’orientamento alla sola minimizzazione del costo del venduto negli acquisti non assicura un vantaggio
competitivo duraturo rispetto ai concorrenti, in quanto questi possono compensare con politiche di
marketing e politiche logistiche più valide.
8. I problemi da superare
a. Le economie promesse sono stimolanti, ma non vi sono informazioni precise sul loro ammontare totale
e sulla loro ripartizione tra gli attori della filiera in realtà non si sa come il maggior margine viene
ripartito nella filiera, se a vantaggio del consumatore o altro.
b. Aumento produttività, ma investimenti elevati (soprattutto nel non food) investimenti da fare
sull’allestimento es. vestito intero completo
c. Nel food, l’ordine di grandezza delle economie realizzabili non è uguale in tutti i reparti ci sono
categorie che offrono più possibilità di margini e altre invece no, precotto è interessante.
d. Frequenti coinvolgimenti dell’Alta Direzione, significa che ci sono problemi. Sottostima di strutture,
culture, quindi resistenze interne. Evoluzione della figura del Category Manager Le resistenze interne
al category management ci sono. È in evoluzione perché all’inizio lui decideva tutto (prezzi…) ma di
solito i prezzi vengono decisi centralmente anche se ogni gestore può modificarli, si accentrava tutto il
potere in seguito si è deciso di dare meno forza perché chi conosce le preferenze, le sensibilità al prezzo
è il gestore del punto vendita che è ritornato ad avere più autonomia.
e. La D.O. riuscirà ad allinearsi con i progressi della G.D. nella realizzazione del category management?
(D.O.: reti disomogenee sia per formati all’interno dei canali, sia per politiche di marketing) la GD è
un proprietario che decide mentre per la DO nel discorso del category management sui gruppi associati
è un po' più lento perché bisogna convincere i vari imprenditori che sia la soluzione ottimale. Mentre la
GD riesce a realizzare CM più velocemente, la DO fa più difficoltà perché deve convincere i singoli
associati.
f. Difficile monitorare i fenomeni rilevanti all’interno di ciascuna delle 313 categorie, e tra categorie
complementari/alternative.
g. Dove domina ancora l’organizzazione funzionale e la contrattualistica, è difficile realizzare il CM
perché manca la dimensione della collaborazione verticale con il produttore. Category manager e seller
del produttore si devono far carico insieme della performance dell’intera categoria. Questo tipo di
messaggio passa più difficilmente dove rimane la contrattazione pura tra buyer e seller
h. Esigenza di risorse umane complete, con competenze di marketing, ma anche di contrattualistica e di
logistica => Non è facile nelle aziende commerciali perché spesso il livello medio era abbastanza basso e
mancavano le competenze interne dal punto di vista manageriale. È necessario dotarsi di figure
competenti con base culturale competenze
Avere delle persone con delle caratteristiche. Una è il Category Management: maggiore attenzione
delle aziende della GDO alla crescita professionale interna di neoassunti con base culturale universitaria
come momento fondamentale per la creazione di valore nell’azienda
1. Indice di penetrazione: rapporto % tra le vendite della marca e le vendite totali della classe o della linea
di prodotti. Si può ricavare un indice di penetrazione per punto vendita o totale del paese.
Es. Vendite totali di cellulari Samsung / Vendite totali di cellulari in Italia o punto vendita definito.
2. Indice di copertura numerica: rapporto tra numero di punti vendita (clienti) che trattano la marca e il
numero totale dei punti vendita che trattano quella classe o linea di prodotti in generale.
Es. rapporto tra numero dei punti vendita che trattano cellulari Samsung / numero totale dei punti
vendita totale che trattano cellulari in generale.
3. Indice di copertura ponderata: rapporto tra le vendite di una classe o linea di prodotti (cellulari in
generale) effettuate da una data percentuale di punti vendita e le vendite totali, sempre per quella
classe o linea di prodotti, di tutti i punti vendita. Se è alto significa che Samsung ha un’alta copertura
ponderata.Es. Prendo tutti i clienti intermediari (100) dal più grande al più piccolo dove inserisco. Ho
il numero totale dei clienti e il fatturato totale di 50.000€. Se prendo il 10% più grande dei punti vendita
(chi fattura di più), faccio la somma di quanto fatturano ed è di 40.000 €. Quindi il 10% dei punti vendita
fa l’80% delle vendite = (40.000/50.000) *100. Se Samsung è all’interno dei primi ha un indice di
copertura elevato. Sostanzialmente è un indice di concentrazione è il rapporto di vendite di cellulari
effettuate dal 10% dei punti vendita sul totale di vendite totali di cellulari effettuate da tutti i punti
vendita. Se l’indicatore è basso significa che Samsung ha una bassa copertura ponderata e viceversa.
Con questi indici scomponiamo la quota di mercato:
Qi Qi Acsi
= QMi = *
Q Acsi Q
Il rapporto che mi indica quanti smartphone vendono i negozi che trattano Samsung la prima parte si
chiama peso medio della propria clientela
Acsi , mi dice se il negozio che tratta smartphone è un negozio
¿
pesante o marginale, ovvero se vende molti smartphone oppure no in media. Va confrontato con il peso
medio di tutti i punti vendita ovvero la quantità venduta in media da un punto vendita che vende cellulari in
Q
Italia
N
¿
La seconda parte è la copertura numerica degli indici
N
- Ni = è il numero di punti vendita che trattano la marca i-esima (Samsung)
- N = numero totale di punti vendita che vendono smartphone
N
L’ultimo è indice di dispersione inverso della concentrazione no impo
Q
Esempio. Qi= 800 tonnellate, Acsi= 3200 tonnellate, Q=4000 tonnellate, Ni=50.000 punti vendita, N=
100.000 punti vendita calcoliamo:
Il peso medio della clientela ACSI/Ni perché è utile confrontarlo (0,064) con il peso medio dei punti vendita
Q
calcolato considerando tutti quelli che vendono in genere di prodotto = peso medio di tutti i punti
N
vendita confronto questo con il peso medio della clientela= 4000/10000 =0.04 0.064/0.04 =1,6. La
dimensione dei clienti dell’azienda è in media il 60% maggiore rispetto alla dimensione media dei
distributori sul mercato. Oppure rapporto tra ponderata e numerica 0,80/0,50=1,6.
ESERCIZIO:
Ci sono due matrici che ci aiutano a darci indicazioni (punto di vista fornitore), servono per capire il tipo di
strategie da adottare nei canali distributivi.
1. Matrice mette in relazione ponderata con penetrazione: lavora a livello aggregato considerando
tutta la rete, la ponderata mi dice il grado di concentrazione delle vendite tra i vari intermediari e
mi consente di capire se sono inserito e trattato come cliente importante o marginale, mentre
indice di penetrazione è la quota di mercato del punto vendita, trovo delle indicazioni su come
agire per ogni quadrante:
Bassa-------------Indice di penetrazione---------------Alta
2. Matrice posizione del singolo distributore è la Matrice di Dixon: mette in relazione sull’ordinata il
tasso di sviluppo del distributore deflazionato (cliente) – quanto sta crescendo/diminuendo
Unieuro nella vendita degli smartphone, riguarda tutto il business degli smartphone di un retailer –
e nelle ascisse la quota di mercato/incidenza del produttore sul fatturato del distributore. Posso
collocare i prodotti di retailer in varie posizioni. Ciascuna sfera è un cliente-intermediario. Ho tasso
positivo o negativo.
Tasso di sviluppo
distributore deflazionato
1. Il distributore sta crescendo ma io produttore ho una piccola quota di mercato: devo investire,
difendere le posizioni acquisite e investire su quei distributori e possibilmente per aumentarla.
2. Il distributore si sta sviluppando nella sua area e sta crescendo molto, il produttore ha una quota di
mercato elevata presso del retailer: devo consolidarmi e difendere le quote. Se il retailer cresce
trascina anche le quote del produttore.
3. Situazione critica: il distributore ha un tasso negativo e il produttore è ben presente nel suo
assortimento. Se il produttore decide di lasciarlo perde il fatturato importante, se rimane con il
retailer trascina le quote del produttore in basso. L’insuccesso si trascina nella marca e nel
fatturato. Si spera che il retailer si riporti in territorio positivo es. con promozioni, collaborazioni,
consigli. Di solito se ha una quota elevata c’è un rapporto di lungo termine e ha una posizione
privilegiata, è più difficile abbandonarlo.
4. Il produttore deve abbandonare l’intermediario che sta perdendo quota e anche il produttore ha
una quota bassa di vendita che rappresenta poco sul fatturato. Costa più evadere gli ordini che i
margini che si prendono.
Lezione 12
L’ambiente diventa più complesso, quindi quanto costa rivolgersi ai diversi canali?
1. Quali suggerimenti metodologici? Quali errori evitare? Quali schemi interpretativi?
2. Non basta calcolare il reddito di canale, occorre valutare anche le dinamiche finanziarie e patrimoniali
(ad es. i diversi profili di flusso di cassa: anticipati o ritardati). Se parlo con insegna di ipermercati devo
concedere un certo tipo di dilazioni di pagamento. Bisogna capire il flusso di cassa = utili + ammortamento.
3. Occorre fare sintesi dei risultati e collegarli con le determinanti strategiche e operative sottostanti.
Prospettiva del produttore che deve decidere i canali. Principalmente ha due tipi di costi:
- Costi di prodotto: si riferiscono ai fattori produttivi utilizzati per avere disponibilità del prodotto (costo
pieno industriale). È il cosiddetto costo del venduto. Nella prospettiva del fornitore, dell’industria. Costo
di fabbricazione.
- Costi di mercato: si riferiscono alle risorse specificamente utilizzate per sviluppare il canale (risorse
commerciali si pensa ad esempio agli sconti) e/o all’erogazione dei servizi aziendali di cui ciascun canale
usufruisce (risorse logistiche e distributive).
b) Costi diretti di canale a manifestazione incerta: diretti perché riguardano eventi specifici di canale ma
non ancora manifestatisi, ma di cui si ipotizza una certa probabilità di accadimento futuro (pur essendo
collegati anche a vendite attuali).
Es. resi, sconti, premi di fine anno– prometto un premio a fine anno al cliente (distributore) di quel canale
anche se la manifestazione è incerta perché non è detto che il distributore raggiunga il livello di vendite
oltre il quale scatta il premio ma viene previsto ora- visibilità della merce – visibilità mani/occhi
Va però completato con accantonamenti per oneri futuri derivanti dall’allocazione dei costi diretti
(imputabili ad un canale) di manifestazione incerta, che sono di 2 tipi:
b1) Costi la cui manifestazione è legata ad eventi attuali, ma subordinata al verificarsi di condizioni future
stabilite nel contratto (es.: sconti/premi di fine anno condizionati, cioè subordinati al raggiungimento di
volumi acquistati, visibilità della merce, effettuazione di specifiche azioni promozionali e pubblicitarie da
parte del retailer). Sono costi addizionali che è necessario riconoscere fin dalla vendita, li rilevo da subito.
- Se i costi b1 sono abituali e regolari, predisporre accantonamento per tutti i periodi antecedenti il
riconoscimento del costo (di solito ammonta a una percentuale del fatturato del cliente).
- Se i costi b1 sono eccezionali e irregolari, prevedere il massimo aggravio possibile per l’azienda oppure
conti economici alternativi con scenari diversi.
b2) Costi la cui manifestazione è connessa alle vendite attuali sebbene riferibili a comportamenti futuri
tipici delle normali dinamiche commerciali (es.: resi, abbuoni in sede di incasso, perdite su crediti). Posso
stimarli sulla base degli esercizi passati oppure stimarne i valori effettivi futuri. In ogni caso, adottare
principi di prudenza e realismo. Se le stime sono troppo onerose o difficili al punto di introdurre erraticità,
non approfondire.
c) Costi indiretti di canale: riguardano l’insieme di risorse comuni che ciascun canale utilizza secondo volumi
e modalità differenti, da allocare correttamente. Es. stipendio trade marketer.
Spesso le risorse (specie logistiche) sono condivise fra canali diversi, quindi costituiscono dei costi
indiretti, da allocare. Secondo quali criteri? Di solito si usano basi semplici, come fatturato (se il canale
fattura di più imputo una quota superiore) oppure n° unità vendute, ma queste funzionano solo se i costi
indiretti sono spiegabili prevalentemente con il volume di vendita ma risulta poco realistico. Il trade
marketer può vendere di più su un canale e di meno sull’altro nuovo canale ma impiegare molto di più di
tempo sul canale nuovo piuttosto che sul canale che fattura di più. Il costo non dipende da quanto vendo.
Differenza fra Ricavi (al netto degli sconti commerciali concessi) e Costi di prodotto (costo del venduto) =
Margine commerciale (primo margine di area) espressivo dei ricarichi applicati dall’azienda.
Spesso è l’unico margine calcolato, ma va bene solo se la struttura di costo non è influenzata dai fabbisogni
e dalle richieste dei singoli canali, non è influenzata da specifici servizi di canale, se tutti i canali mi danno lo
stesso margine perché tutti i canali hanno uguale costo. Quando i prezzi sono condizionati anche dalle
strategie specifiche del servizio a ciascun canale, questo margine non va bene, si perde la relazione prezzo
(ricavo unitario) e il costo sostenuto, quando sostengo costi diversi per canali diversi ragionare in termini di
margine commerciale significa che i canali più grandi finisco per finanziare i canali più piccoli che assorbono
più risorse in proporzione. Bisogna recuperare la relazione prezzo-costo assegnando a ciascun canale i costi
relativi ai fattori produttivi impiegati a supporto del mercato (di quel canale). Ma i 3 tipi di costi di
mercato hanno natura e problemi di misurazione differenti tra loro.
Margine commerciale (primo margine di area o margine lordo) - Costi diretti di manifestazione certa =
Margine lordo di AREA
In tutti i contesti nei quali esiste forte specificità di impiego delle risorse commerciali e distributive per ogni
mercato (canale) di riferimento, il margine lordo di area è un margine significativo della redditività di canale
ed esaustivo, perché recupera quasi del tutto la relazione prezzo-costo ogni volta che gran parte delle
risorse commerciali sono dedicate esclusivamente al canale.
In realtà i canali sono diversi non solo per volumi veicolati, ma anche per complessità gestionale: ad es. dal
punto di vista di numerosità clienti, grado di frammentazione clienti, condizioni di consegna, lotti minimi
richiesti, logiche di imballaggio, adempimenti normativi. Quindi le risorse e il lavoro richiesti sono diversi
per canale, e non dipendono solo da quanto viene ordinato da ciascun canale.
Se i costi indiretti sono una percentuale rilevante (e quindi incidono sulla redditività del canale), occorre
allocarli: ma con basi appropriate, non generiche => Activity Based Costing (ABC)
Prima si analizza l’attività svolta dall’azienda e si calcola quanto costa in funzione del consumo misurato da
uno o più driver di risorse (ad es. driver è il tempo dedicato dal trade marketing all’attività – activity time
driven). Poi si assegna il costo a ciascun canale in base a quanto il canale ha consumato di quell’attività. A
causa dell’onerosità dell’ABC (difficile calcolarlo per cliente e i driver cambiano continuamente), si
applicano sistemi ABC parziali, cioè riferiti solo ad alcune aree di attività.
Quali? Le aree i cui costi rappresentano una percentuale rilevante dei costi totali, e le aree dei servizi
accessori di vendita strategici per il successo dell’azienda: spesso l’attività logistica. La logistica costa molto
ed è strategica.
Per calcolare la redditività di canale in modo più completo è necessario tenere conto dell’impatto delle
diverse strategie di commercializzazione su Magazzino e Crediti verso clienti* (capitale circolante) *Al netto
dei debiti vs fornitori solo se il fornitore invia forniture specifiche per un canale. La redditività di canale
dipende solo dai costi o dipende anche dall’impatto delle diverse strategie di commercializzazione? Bisogna
calcolare l’impatto di investimento dei canali, quindi strumenti di commercializzazione
• Magazzino: assortimenti diversi per ampiezza - numero linee - e profondità – numero medio prodotti per
linea- e velocità diverse di consegna influenzano andamento e rotazione del magazzino. In sostanza,
l’andamento del magazzino dipende dai livelli di servizio concessi al canale (misurato dal numero di rotture
di stock in un certo canale, quante volte resto senza merce), che così hanno un impatto sui prezzi, pur non
risultando nei costi operativi. Se voglio essere sempre rifornito ed essere in grado di soddisfare gli ordini,
devo tenere più scorte - strategia di commercializzazione che porta a dei costi importanti per finanziare
quelle scorte che risultato in oneri-. Minore è livello di servizio maggiore è la rottura di stock e viceversa.
• Crediti verso clienti: canali diversi normalmente si caratterizzano per una diversità delle dilazioni di
pagamento concesse. Quindi i canali chiedono supporti finanziari, che hanno un impatto sui prezzi, pur non
avendone sui costi operativi, su oneri finanziari. Per valutare il profitto di canale, è necessario considerare
anche gli investimenti di capitale necessari a consentire la sua genesi di questo profitto perché l’analisi della
marginalità non li considera. Occorre valutare che la capacità di un canale di generare reddito non richieda
investimenti in magazzino e dilazioni di incasso incompatibili con le esigenze aziendali, cioè eccessive. Se il
canale richiede investimenti specifici in scorte e/o crediti vs clienti, bisogna tradurre gli investimenti nel
costo del capitale (risorse finanziarie) da reperire.
Come calcolare gli oneri finanziari applicati alle poste di capitale circolante? Applicando agli investimenti
specifici di canale (magazzino e crediti) il costo reale del denaro per l’azienda detto WACC Weighted
Average Cost of Capital, dal margine netto di area devo togliere il costo medio ponderato del capitale di
debito (al netto dei vantaggi fiscali) e del capitale di rischio (mezzi propri) = tasso di interesse che la banca
mi richiede e devo pagare che rispecchia il tasso di inflazione più qualcosa per la banca.
Margine netto di area – Oneri finanziari figurativi = Margine netto rettificato di area
L’indicatore più diffuso per misurare la redditività dell’azione commerciale è il Gross Margin ROI (Gmroi) =
rapporto fra margine commerciale (prezzo prodotto-prezzo acquisto) e valore medio delle scorte di
M M F
magazzino =¿ GMROI scomponibile in GMROS e rotazione .
Ci F Ci
Canali orientati ai volumi: grandi superfici di vendita GMROS negativo e rotazione positiva
Canali orientati ai ricarichi: boutique GMROS positiva e rotazione negativa
Canali eccellenti: efficienza GMROS e rotazione positivi
Canali in declino che sta perdendo rotazione e quota oppure un canale appena stato avviato in start up che
richiede di solito forti ammontare di scorte e appesantiscono la rotazione, inoltre non fanno margini molto
alti perché devono conquistare quota di mercato; quindi, anche GMROS sarà contenuta negativo e
rotazione negativo.
A ben vedere il GMROI si focalizza solo sul margine commerciale (primo margine) e trascura gli altri, con ciò
negando l’utilità di calcolare i margini successivi. Funziona quindi solo se l’economia di canale si esaurisce
nell’economia di prodotto cioè con i costi di prodotto, se così non è, ed è per la maggioranza dei casi, negli
altri casi dà una misura parziale di redditività di canale.
In questi casi è preferibile utilizzare il rapporto tra Margine Netto di Area e valore medio delle scorte di
magazzino (non il Margine Netto Rettificato di Area, perché comprende l’impatto degli investimenti del
magazzino che sono già espressi nel denominatore del ROI come valore medio delle scorte).
L’ultimo indice (tasso d’incidenza dei costi operativi diretti e indiretti sui ricavi) può così essere articolato:
• Rapporto tra costi di funzionamento e ricavi: questo indice prende in considerazione solo i costi operativi
funzionali a un buon funzionamento dei servizi accessori di vendita e distributivi (costi del personale,
utenze, servizi esterni, etc.)
A parità di Gmros, canali con incidenza dei costi di funzionamento maggiore sono meno efficienti.
• Rapporto tra costi di struttura e ricavi: questo indice prende in considerazione i soli costi riferibili alla
struttura di vendita e distributiva (ammortamenti e affitti)
A parità di Gmros, canali con incidenza dei costi di struttura maggiore sono sovradimensionati, cioè dotati
di capacità produttiva non satura.
Conclusione
In ambito commerciale, si sono affermate consuetudini di misurazione della marginalità di canale che, se in
passato potevano considerarsi adeguate, oggi, a fronte di modelli di business sempre più articolati e
complessi (omnicanalità, multi e cross), mostrano tutti i loro limiti. Utilizzare parametri di misurazione della
performance di canale più efficaci significa:
a) Rivedere le prassi di tracciatura dei costi e dei fenomeni aziendali di canale, e di rappresentazione
delle relazioni fra ciascun fenomeno e i molteplici canali.
b) Creare una cultura della misura sacrificando un po’ di semplicità di rappresentazione dei risultati
conseguiti per ottenere una migliore capacità di analisi e diagnosi a supporto del trade marketing.
Quanto guadagno servendo un canale rispetto all’altro e guidano anche le decisioni rispetto
all’omnicanalità. Se faccio un e-commerce devo calcolare prima se conviene questo canale. Spesso i retailer
sono approssimativi su queste misure che invece dovrebbero calcolare in modo più approfondito, anche se
non troppo.