Sei sulla pagina 1di 64

lOMoARcPSD|4150312

Capitolo Primo
1.1 - L'OGGETTO DELL'AZIENDA: AZIENDA DI EROGAZIONE E AZIENDA DI PRODUZIONE
L'uomo è portatore di bisogni di vario genere e per soddisfarli deve consumare dei beni. Mentre i bisogni
sono innumerevoli, le risorse necessarie per soddisfarli sono spesso limitate, pertanto le attività di
produzione e consumo devono essere svolte in modo economico. Il termine economico fa riferimento
all'ottimizzazione delle risorse e alla riduzione degli sprechi. Sorge quindi l'azienda, la quale rappresenta
lo strumento di cui l'uomo si serve per svolgere, in modo economico, attività di produzione e consumo di
beni atti a soddisfare i suoi bisogni. Una prima distinzione può essere fatta tra:
• aziende di produzione o imprese
• aziende di consumo o aziende di erogazione
Due semplici esempi sono la Fiat (impresa) e la famiglia (azienda di erogazione). Le aziende di
erogazione, in quanto incentrate sul consumo, sono direttamente rivolte alla soddisfazione dei bisogni
umani, esse hanno come obiettivo l'appagamento dei bisogni di determinati soggetti beneficiari delle loro
attività. Anche le imprese mirano a soddisfare bisogni umani, esse però li soddisfano in maniera
indiretta, l'attività dell'impresa infatti è quella di rendere disponibili al consumo i beni prodotti. Anche le
imprese consumano, ma non per soddisfare i bisogni dei propri soggetti, bensì per produrre.
Analogamente, le aziende erogative possono produrre, ma non per lo scambio di mercato, bensì per il
consumo interno. Fra le due tipologie di aziende esistono strette relazioni: ogni impresa produce per una
moltitudine di aziende erogative che ne costituiscono il mercato; di contro, ogni azienda erogativa si
rivolge a una pluralità di imprese per soddisfare le sue diverse esigenze di consumo. Fra imprese e
aziende erogative si sviluppano, così, intensi flussi reali (beni e servizi) e finanziari (scambi di moneta), in
assenza dei quali né le une né le altre potrebbero esistere e funzionare.
Una prima classificazione è quella che distingue:
• imprese di produzione diretta
• imprese di produzione indiretta
• imprese di servizi
La prima categoria comprende tutte quelle imprese la cui produzione comprende trasformazioni di
carattere fisico-tecnico della materia. Alla seconda categoria, invece, appartengono imprese la cui
produzione non comporta alcuna trasformazione visibile della materia, ma realizzano invece un
trasferimento nel tempo e nello spazio. Le imprese della terza categoria, infine, non producono beni, ma
servizi. Esse cioè rendono disponibili condizioni che facilitano lo svolgimento di altre attività.
1.2 - I SOGGETTI DELL'AZIENDA
I soggetti che “stanno dietro” all'azienda sono:
• soggetto giuridico
• soggetto economico
Il soggetto giuridico si configura come il soggetto a cui fanno capo gli effetti giuridici conseguenti allo
svolgimento dell'attività aziendale (è il titolare dei diritti e dei doveri dell'azienda). Il soggetto giuridico
non è l'azienda stessa, il nostro Codice Civile, infatti, non riconosce allo strumento azienda soggettività
giuridica. Esso allora va ricercato nel titolare, ossia nel proprietario dell'azienda. Ma chi può essere il
titolare di un'azienda?
• persona fisica
• società
Nel caso in cui l'impresa appartenga a una singola persona fisica si parla di azienda individuale, che si
caratterizza per la responsabilità illimitata del titolare (il proprietario risponde delle obbligazioni contratte
nell'esercizio dell'azienda con tutto il suo patrimonio personale, indipendentemente da quanta parte di
tale patrimonio ha effettivamente investito nell'azienda). Altrimenti siamo di fronte ad una azienda
collettiva. La società è caratterizzata dal conferimento, da parte di due o più persone, di beni o servizi
per l'esercizio in comune di un'attività economica con lo scopo di dividerne gli utili.
Elementi chiave della società sono:
• presenza di più persone fisiche
• conferimento di una ricchezza iniziale
Il conferimento della ricchezza ha una duplice funzione: innanzitutto fornisce una dotazione di capitale per
l'avvio dell'attività e inoltre costituisce una garanzia patrimoniale per le obbligazioni assunte dall'azienda.
Esistono diversi tipi di società ma la distinzione fondamentale è tra:
• società di persone
• società di capitali

Le principali società di persone sono:


• società in nome collettivo (S.n.C)
• società in accomandita semplice (S.a.S)
Nelle società di persone, le obbligazioni assunte dall'azienda trovano copertura nel patrimonio sociale.
Tuttavia, se questo non è sufficiente per far fronte a tali obbligazioni, i soci sono chiamati a rispondere con
il loro patrimonio personale. La responsabilità che lega i soci è illimitata e solidale, ogni socio quindi,

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

risponde delle obbligazioni contratte nell'esercizio dell'impresa con tutto quanto possiede personalmente,
salvo poi rivalersi sugli altri soci per la parte da essi dovuta. E' doveroso ricordare che, nel caso della S.a.S
esistono due tipi di soci: i soci accomandanti e i soci accomandatari. I primi sono responsabili solo nei
limiti del capitale sottoscritto e non partecipano all'amministrazione della società, i secondi invece sono
responsabili illimitatamente e solidalmente delle obbligazioni sociali e ad essi è riservata
l'amministrazione.
Le principali società di capitali invece sono:
• società a responsabilità limitata (S.r.L)
• società per azioni (S.p.A)
• società in accomandita per azioni (S.a.p.A)
Le società di capitali sono persone giuridiche. La persona giuridica è un organismo riconosciuto
dall'ordinamento giuridico come soggetto di diritto, ossia come un'entità con capacità giuridica propria e
distinta da quella dei singoli che concorrono a formarla.
La società quindi è titolare dell'azienda e ne rappresenta il soggetto giuridico. Essa risponde delle
obbligazioni contratte nell'esercizio dell'impresa con il suo patrimonio. I soci, a differenza delle società di
persone, hanno responsabilità limitata al patrimonio apportato nella società. Ciò spiega perché la legge
prescriva dei limiti minimi per il patrimonio di cui deve essere dotata la società di capitali.
Con il termine soggetto economico si vuole indicare chi ha il controllo dell'impresa, ossia chi ne
determina le scelte di fondo (ma anche chi è portatore del rischio patrimoniale). Nelle aziende individuali
il soggetto economico è rappresentato dal titolare e quindi coincide con il soggetto giuridico. Anche nelle
società di persone il soggetto economico, essendo rappresentato dai soci, coincide con quello giuridico,
mentre nelle società di capitali la situazione è leggermente più complessa. Il soggetto economico risulta
individuabile o nel capitale di maggioranza o nel capitale di comando o nei manager. Il capitale di
maggioranza si ha quando alcuni soci hanno conferito una quota di capitale maggiore rispetto agli altri e
quindi sono loro che prendono le decisioni. Il capitale di comando, invece, si ha quando una porzione,
anche limitata, di capitale, consente il controllo dell'azienda, questo perché soprattutto nelle grandi
società per azioni la gran parte dei soci è “distante” dalla vita dell'azienda. In una situazione ancora più
avanzata, il controllo dell'azienda è totalmente affidato ai manager. Nelle grandi imprese statunitensi ad
esempio, il cui capitale sociale è frazionato fra moltissimi soci, ognuno dei quali possiede una quota
irrilevante, trova spazio la figura del manager. I manager sono delle figure altamente specializzate nella
gestione di grandi aziende delle quali, di fatto, prendono il controllo. In questo caso chi controlla l'azienda
può non essere proprietario di alcuna quota del capitale sociale. Individuare il soggetto giuridico e il
soggetto economico dell'azienda è molto importante ai fini pratici, conoscere il soggetto giuridico ad
esempio, è essenziale per tutti coloro che con questa vengono in contatto. Se inoltre, si vogliono
comprendere le logiche che muovono l'azione di un'impresa non si può prescindere dall'identificazione del
suo soggetto economico.
1.3 - AZIENDA PUBBLICA E AZIENDA PRIVATA
Sotto un profilo giuridico, l'azienda è pubblica quando il suo soggetto giuridico è pubblico o quando pur
essendo distinto dallo Stato opera nel suo interesse (Regioni, Province, Comuni). Solitamente le aziende
pubbliche operano nella gestione dei servizi pubblici come acqua, rifiuti, etc, anche se ultimamente nel
nostro Paese sono sempre meno a causa della privatizzazione. Un'azienda comunque può essere
considerata pubblica anche se il suo soggetto economico è pubblico, ad esempio quando lo Stato è socio
di imprese che sono private (in questo caso il soggetto giuridico rimane privato mentre il controllo
sull'impresa è pubblico).
L'economia contemporanea è caratterizzata dalla presenza dei gruppi aziendali. Con questo termine si
fa riferimento a più aziende che, pur mantenendo la loro autonomia giuridica, fanno tutte capo a una
società madre, detta capogruppo. Nel gruppo, dunque, troviamo più imprese, ciascuna con un proprio
soggetto giuridico, ma governate da un solo soggetto economico comune, ravvisabile nella società
capogruppo. Il controllo esercitato dalla capogruppo può essere diretto o indiretto.
I gruppi aziendali possono essere di due tipologie:
• industriale
• finanziario
Nel gruppo industriale, le varie imprese che ne fanno parte operano tutte nello stesso settore
produttivo o in settori fra loro collegati da rapporti di complementarietà tecnico-produttiva. La
costituzione del gruppo parte dalla volontà della società madre di integrare, a monte e/o a valle, la
propria attività produttiva. L'integrazione, oltre che in senso verticale, si può sviluppare in senso
orizzontale (un'impresa potrebbe voler acquistare il comando di altre imprese concorrenti per accrescere
la propria forza competitiva nel settore). Il gruppo finanziario invece consente di svolgere un'attività di
impresa riducendone il rischio. La diversificazione che il gruppo permette di ottenere fa si che eventuali
condizioni “di magra” in un settore vengano controbilanciate da condizioni favorevoli in altri. Il gruppo,
comunque, non va confuso con l'azienda divisa, la differenza tra i due è che nell'azienda divisa tutte le
unità elementari mantengono lo stesso soggetto giuridico oltre che lo stesso soggetto economico.

Capitolo Secondo
2.1 - L'AMBIENTE GENERALE

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

L'azienda non vive “sotto vuoto”, piuttosto è in continua relazione di scambio con l'ambiente. Da esso
l'azienda attinge input necessari al suo funzionamento e vi riversa output frutto della sua produttività.
L'azienda risulta essere influenzata dalle condizioni che caratterizzano l'ambiente, condizioni che possono
essere vincoli, che limitano l'attività aziendale, oppure opportunità potenzialmente portatrici di vantaggi.
D'altro canto, attraverso il flusso dei propri output, l'azienda è in grado, sia pur in misura minore, di
influenzare l'ambiente in cui vive e opera.
L'ambiente con il quale l'azienda si confronta è complesso e si divide in due tipi:
• ambiente generale
• ambiente specifico
L'ambiente generale è talmente ampio che è possibile suddividerlo in più sub-ambienti, i principali sono:
• fisico
• socio-culturale
• politico-legislativo
• tecnologico
• economico
Il sub-ambiente fisico fa riferimento alle condizioni naturali del contesto in cui l'azienda vive, clima,
idrografia, vie di comunicazione, numerosità e distribuzione della popolazione sono tutti aspetti che
concorrono a definirlo. Il sub-ambiente socio-culturale trova espressione nel complesso di gusti, usanze,
conoscenze, valori culturali e religiosi che animano i comportamenti delle persone. L'attività
imprenditoriale influenza i gusti e i valori di un dato contesto e concorre a definire la suddivisione in classi
sociali. Il sub-ambiente politico-legislativo si ritrova nel sistema politico e nell'insieme di norme che
definiscono l'ordinamento giuridico di un Paese. Al contempo l'imprenditoria può condizionare il sistema
politico-giuridico orientando le norme in direzioni a essa favorevoli. Il sub-ambiente tecnologico è
rappresentato dal complesso delle conoscenze di ordine scientifico e tecnologico presenti in un dato
contesto. Il sub-ambiente economico, infine, riguarda l'organizzazione generale dell'attività economica,
la quale si può presentare come un'economia di tipo capitalista, collettivizzata, mista. Dati come PIL e
inflazione risultano molto importanti per far capire all'impresa il contesto in cui si vuole inserire o è già
inserita.
2.2 - L'AMBIENTE SPECIFICO
Ogni azienda, in relazione alla specifica attività di produzione svolta, si colloca in un settore e si
confronta con determinati mercati di acquisizione e sbocco. L'ambiente specifico è il livello ambientale
che più direttamente condiziona la produzione dell'azienda e da essa viene condizionato.
È necessario però soffermarci un attimo sul settore. Il settore, può essere inteso come un aggregato di più
aziende assimilabili sotto uno o più dei seguenti aspetti:
• processi di acquisizione dei fattori produttivi.
• processi di produzione di determinati beni e servizi.
• processi di vendita-distribuzione di tali beni su particolari mercati o segmenti di mercato.
Ragionando in questi termini, ogni azienda può simultaneamente appartenere a settori diversi:
• settore delle aziende acquirenti un medesimo fattore produttivo.
• settore delle aziende aventi processi di trasformazione omogenei.
• settore delle aziende che soddisfano un medesimo bisogno sul mercato.
A volte l'appartenenza a un dato settore è definita ricorrendo a un criterio merceologico, facendo, cioè,
riferimento alla gamma dei prodotti collocabili sui mercati di sbocco. L'indeterminatezza settoriale però,
può permanere anche seguendo un criterio merceologico. Lo stesso bisogno infatti può essere soddisfatto
con prodotti:
• identici
• dello stesso tipo, ma con caratteristiche differenti dal punto di vista qualitativo, della forma, etc
• di tipo diverso
Le caratteristiche dell'ambiente specifico risultano definite dall'interazione di diverse forze competitive;
le principali sono:
• fornitori
• clienti
• imprese concorrenti già presenti nel settore
• prodotti e servizi sostituitivi
• potenziali nuovi concorrenti
Tali forze sono quelle che maggiormente interagiscono con l'impresa, determinando il livello di
competizione del settore.
Si pensi, in primo luogo, ai fornitori. Soprattutto nel caso in cui un'azienda di piccole/medie dimensioni si
trovi di fronte ad un grande produttore, quest'ultimo avrà un notevolissimo potere contrattuale e una
grande libertà nel definire i prezzi e i tempi di consegna, condizionando profondamente l'attività delle
piccole imprese acquirenti. Passando ai clienti, l'azione esercitata da questa forza competitiva è così
evidente da non meritare esempi esplicativi. Per quanto riguarda i concorrenti, è evidente come questa,
per molti aspetti, sia la prima forza che caratterizza un settore, condizionando strutture e comportamenti
di ogni impresa che in esso si venga a collocare. Infatti, se le imprese concorrenti sono numerose, il
prodotto/servizio difficilmente differenziabile e l'espansione del settore lenta, per la singola impresa sarà

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

difficile agire all'interno di quello spazio. È anche grazie a questo che in alcune situazioni si sviluppano
delle opportunità di collaborazione tra le aziende. I concorrenti che determinano le caratteristiche di un
settore non si limitano, comunque, alle imprese che già vi operano. Imprese di altri settori si profilano
quali concorrenti potenziali, a volte più temibili di quelli già esistenti. Se le barriere all'entrata sono
basse e se il settore è in forte sviluppo e consente elevati guadagni, con tutta probabilità in esso
entreranno gradualmente altre imprese che renderanno la competizione più dura da sostenere. Talvolta
tuttavia, si tratta di fare i conti anche con l'azione sostituitiva esercitata da prodotti/servizi, offerti su altri
mercato, che soddisfano gli stessi bisogni ai quali l'impresa si rivolge. Tale effetto è particolarmente forte
quando il rapporto qualità/prezzo è favorevole al prodotto sostituitivo. Le forze brevemente richiamate
sono fra loro strettamente interrelate e interagenti e concorrono a definire un vero e proprio sistema
competitivo con il quale l'impresa si deve misurare.
2.3 – DINAMISMO AMBIENTALE, INNOVAZIONE E RISCHIO D'IMPRESA
L'ambiente è dinamico e quindi, in quanto aperta all'ambiente, ogni azienda, se vuole sopravvivere e
svilupparsi, deve adeguarsi al cambiamento in atto nell'ambiente. Ne deriva che l'azienda è in continuo
movimento e che le posizioni di equilibrio raggiunte dall'azienda verso l'ambiente generale e le forze
competitive non sono mai definitive. In questo senso, si parla di equilibrio dinamico dell'organismo
aziendale. Il dinamismo dell'azienda, tuttavia, non va intenso in senso passivo (ossia di mera risposta al
mutare dell'ambiente), al contrario, deve essere visto come una continua tensione ad anticipare e
orientare tale mutamento. Ciò è possibile se l'azienda si sforza di promuovere essa stessa il cambiamento
nell'ambiente attraverso l'innovazione, proponendo cioè, qualcosa di diverso che sappia imprimere una
determinata direzione al dinamismo ambientale. Attraverso l'innovazione, in altre parole, l'impresa cerca
di governare il cambiamento a proprio favore, acquisendo una posizione di vantaggio rispetto ai
concorrenti che tale cambiamento sono costretti a subire. L'innovazione può riguardare i prodotti o i
processi con i quali i prodotti vengono realizzati. Non tutte le innovazioni, comunque, hanno lo stesso
impatto sulle condizioni di sviluppo dell'impresa. La forza dell'innovazione, infatti, dipende dalla sua
imitabilità, ossia dalla facilità e rapidità con la quale può essere riprodotta da altri. In questo senso, alcune
innovazioni si presentano come semplici miglioramenti e arricchimenti di altre già impiegate dalle
imprese. Si parla, in proposito, di innovazioni incrementali o marginali. Più raramente, invece, le
innovazioni hanno caratteri e contenuti decisamente rivoluzionari, tanto da qualificarle come innovazioni
radicali. Laddove, dunque, non sappia costantemente rinnovarsi, l'impresa è inevitabilmente destinata
all'obsolescenza. Proprio la necessaria ricerca di un equilibrio all'interno di un ambiente complesso in
continua evoluzione, e quindi conoscibile solo parzialmente, rende la vita dell'impresa dominata da un
costante stato di incertezza, che si traduce in rischio. Il rischio si presenta, in sostanza, come una
componente ineliminabile del “fenomeno impresa” ed esprime la possibilità che si verifichino e si
abbattano sull'impresa eventi capaci di pregiudicare lo svolgimento, in maniera economica, dell'attività di
produzione. L'intensità dell'incertezza che domina gli eventi futuri dipende dall'intensità della
competizione che caratterizza il settore di attività dell'impresa e dalle dinamiche dei mercati di acquisto
dei fattori produttivi e di sbocco della produzione, nonché dal verificarsi di eventi casuali che investono
l'ambiente nella sua generalità. Il rischio è riconducibile alle condizioni che modellano l'ambiente in cui
l'impresa opera, sia generale che specifico. Tali condizioni sono amplificate o attenuate dalle scelte
compiute dal soggetto economico in tema di struttura produttiva e fonti di finanziamento. Più tali scelte
rendono l'impresa rigida, meno questa sarà capace di adeguarsi alle dinamiche ambientali. Il rischio può
riguardare specifici aspetti dell'operare aziendale:
• rischio operativo (non riuscire a vendere i propri prodotti).
• rischio di credito (non riuscire ad ottenere un finanziamento).
• rischio tecnologico (avere impianti obsoleti).
• rischio finanziario (non riuscire a pagare puntualmente un debito).
• rischio di cambio (subire una sfavorevole variazione dei cambi).
• rischio di tasso (patire un rialzo dei tassi di interesse sui finanziamenti ottenuti).
Con riferimento a questi fenomeni si parla di rischi specifici d'impresa. I vari rischi specifici sono
collegati e per questo si parla di sistema dei rischi d'impresa. Questi legami fra rischi specifici danno
luogo al cosiddetto effetto di riproduzione dei rischi, secondo tale effetto ogni evento rischioso può
generarne altri, con un andamento a cascata.
Le varie condizioni di rischio specifico concorrono, dunque, a esprimere una più generale condizione di
rischio, si parla quindi di rischio economico generale d'impresa.

Capitolo Terzo
Per nascere e funzionare, ogni azienda deve essere caratterizzata dalla presenza di tre elementi
fondamentali: il capitale finanziario, inteso come l'insieme degli investimenti e dei finanziamenti necessari
per esercitare l'attività di produzione; le persone, che attraverso le loro idee e il loro lavoro concorrono ad
alimentare il capitale intellettuale e la coordinazione necessaria per assicurare che le relazioni tra capitale
finanziario e le persone siano impostate in maniera tale da realizzare un sistema armonicamente
funzionante.
3.1 - IL CAPITALE FINANZIARIO
Innanzitutto, i fondamentali elementi costituitivi dell'azienda possono essere distinti in due classi:
• elementi che rappresentano il capitale finanziario.

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

• elementi che esprimono il capitale intellettuale, riconducibile, prevalentemente, al fattore umano.


Il capitale finanziario si presenta simultaneamente sotto due aspetti:
• gli investimenti, ossia le forme di impiego dei mezzi monetari.
• i finanziamenti, ossia le fonti da cui tali mezzi provengono.
3.1.1 - GLI INVESTIMENTI
Il capitale si configura, come abbiamo detto, come un complesso di investimenti. Una prima categoria di
investimenti è rappresentata dai fabbricati, ovviamente la produzione realizzata dall'impresa richiede
l'ausilio di determinati macchinari e attrezzature oltre che di impianti. Accanto a elementi di natura
materiale sono necessari anche elementi immateriali come le conoscenze, il know how o i brevetti. Nella
stessa logica si collocano anche altre forme di investimento “immateriale”, come i marchi. Le
partecipazioni invece, sono investimenti aziendali con il quale l'impresa Alfa impiega il suo capitale non
per acquisire un particolare bene, ma per acquistare una parte del (o tutto il) capitale di un'altra impresa.
I vari investimenti richiamati concorrono a definire la struttura produttiva dell'impresa. Siamo, in
pratica, di fronte a investimenti che vengono impiegati lungo un ampio arco di tempo, ed è per questo
che si parla di capitale fisso o immobilizzazioni. Impianti, macchinari, etc, vengono definiti
immobilizzazioni tecniche e distinte tra materiali e immateriali. Contrapposte alle immobilizzazioni
tecniche troviamo le immobilizzazioni finanziarie, come le partecipazioni. Le immobilizzazioni,
comunque, non sono sufficienti per realizzare la produzione, una parte del capitale infatti deve essere
investito nelle materie prime. Senza la disponibilità in magazzino di tale fattore, l'impresa non potrebbe
svolgere con tranquillità i suoi processi produttivi. D'altro canto è logico supporre che non tutti i prodotti
siano venduti, ed è per questo che fra gli elementi che formano il capitale troveremo anche le scorte di
magazzino di prodotti finiti. In conclusione, anche le scorte di magazzino, nel loro complesso,
rappresentano un insieme di elementi nei quali si trova impiegato parte del capitale dell'impresa. Nella
pratica commerciale, le vendite vengono negoziate prevalentemente a termine, ossia non in contanti e
concedendo dilazioni pagamento, l'impresa quando vende i suoi prodotti acquisisce quindi un diritto di
credito. In sostanza è come se Alfa investisse parte del capitale nei suoi clienti, e per questo i crediti
verso clienti costituiscono un ulteriore elemento del capitale. Infine, la cassa e i depositi bancari
rappresentano moneta che l'imprenditore volontariamente mantiene non investita allo scopo di
fronteggiare evenienze particolari. Scorte, crediti e disponibilità liquide sono investimenti che si
ricollegano allo svolgimento del ciclo operativo aziendale e che vanno a formare il capitale circolante
dell'impresa. I componenti del capitale circolante, pur restando gli stessi come genere, si rinnovano
costantemente come specie. Le scorte di magazzino, ad esempio, sono sempre presenti, ma i singoli
elementi che le formano vengono regolarmente sostituiti in seguito a nuovi atti di acquisto e di vendita.
Capitale fisso e capitale circolante vanno a formare il capitale di funzionamento dell'impresa, ossia il
complesso di beni, materiali o immateriali, nonché di diritti, a disposizione dell'imprenditore per lo
svolgimento della sua attività economica.

3.1.2 - I FINANZIAMENTI
I finanziamenti rappresentano le forme di approvvigionamento del capitale o anche le fonti di provenienza
dei mezzi finanziari necessari per gli investimenti. Guardando alla provenienza, si fa sostanzialmente
riferimenti a chi e con quale vincolo ha conferito il capitale. In questa prospettiva, i capitali devono essere
forniti anzitutto dal soggetto o dai soggetti che costituiscono e promuovono l'azienda, questi mezzi
finanziari assumono la denominazione di capitale sociale. Il capitale sociale è frazionato in quote,
ognuna rappresentativa di una parte di esso, e vengono assegnate ai soci in proporzione al capitale
versato. Nel caso delle S.p.A, le quote sono rappresentate da particolari titoli dette azioni. Il possesso
delle azioni attribuisce il diritto a:
• partecipare alla conduzione dell'azienda (tale diritto si realizza mediante l'esercizio del diritto di
voto nelle assemblee).
• ottenere il rimborso del capitale.
• percepire una parte degli utili conseguiti.
E' necessario aprire una parentesi per quanto riguarda le azioni. Anzitutto esistono diverse tipologie di
azioni, le principali sono quelle ordinarie, privilegiate e di risparmio. Le azioni ordinarie consentono il
pieno esercizio dei diritti in precedenza menzionati. Le azioni privilegiate, invece, di solito pongono alcune
limitazioni all'esercizio del diritto di voto ma irrobustiscono gli altri. Chi le possiede, cioè, è privilegiato
nella ripartizione degli utili conseguiti dalla società, inoltre, in caso di liquidazione della società, i

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

possessori delle azioni privilegiate verranno rimborsati del capitale conferito (che eventualmente residua
dopo il pagamento di tutti i debiti) prima degli altri azionisti. Le azioni di risparmio, infine, escludono il
diritto di voto, ma privilegiano il diritto al rimborso del capitale e, soprattutto, alla partecipazione agli utili.
Le azioni di risparmio però possono essere emesse soltanto da società quotate in borsa.
Tornando al discorso principale, se la produzione si svolge in modo economico, l'impresa consegue degli
utili. Questi possono essere distribuiti ai soci come remunerazione del capitale che hanno investito
nell'attività produttiva oppure possono essere trattenuti dall'impresa andando a costituire quelle che si
definiscono riserve. Le riserve rappresentano dunque una sorta di “risparmio” attuato dall'impresa che
dà vita all'autofinanziamento, un finanziamento generato cioè dall'impresa stessa. Capitale sociale e
riserve costituiscono nel loro insieme i finanziamenti propri o fonti interne dell'impresa. Essi sono
sottoposti integralmente alle sorti dell'azienda. I soci, infatti, non hanno la garanzia di ottenere un
rendimento da tali capitali, né di essere rimborsati, se non dopo che l'impresa, terminata la sua attività,
ha rimborsato tutti i debiti contratti. In questo senso, si parla di capitale di rischio. I capitali necessari
alla costituzione e al funzionamento dell'impresa, oltre che dal soggetto economico, possono essere
ottenuti da terzi. Nascono così, i finanziamenti di terzi o fonti esterne. La loro acquisizione comporta,
per l'impresa, il sorgere di debiti da rimborsare a terzi creditori. In questo senso, si parla di capitale di
credito. Anche i capitali ottenuti in prestito sono soggetti alle sorti dell'impresa, tuttavia, per essi è
contrattualmente prevista una remunerazione periodica e un termine entro il quale deve avvenire il
rimborso. La maggior parte dei finanziamenti esterni è tradizionalmente collegata all'attività delle banche.
I principali finanziamenti concessi dalla banca si possono presentare nelle seguenti forme tecniche:
• apertura di credito in conto corrente
• anticipazione su pegno di beni
• anticipazione su crediti
• mutui
Fra le forme tecniche di finanziamento si posso includere anche i “prestiti di firma”. Essi non riguardano
erogazioni di denaro, ma si traducono in garanzie prestate dalla banca a favore dell'impresa nei confronti
di terzi. Servono, indirettamente, per consentire all'impresa di ottenere più facilmente capitali a credito da
altri soggetti. Forme tipiche di prestito di firma sono:
• la fidejussione
• l'avallo
• l'accettazione
L'apertura di credito in conto corrente è un contratto con il quale la banca mette a disposizione
dell'impresa cliente una somma di denaro per un certo periodo, in genere indeterminato, ma riservandosi
la possibilità di revocare il prestito in ogni momento. L'anticipazione è un finanziamento caratterizzato
dalla combinazione di un contratto di prestito con un contratto di pegno su beni di varia natura concessi
in garanzia. Sulla base dei beni ottenuti in pegno, la banca concede all'impresa una somma di denaro di
pari valore di tali beni, prudenzialmente decurtato del cosiddetto scarto di garanzia. Con l'anticipazione di
crediti, invece, la banca anticipa una somma di denaro all'impresa a fronte di crediti che la stessa vanta
nei confronti dei propri clienti. I mutui, infine, sono caratterizzati dai seguenti elementi:
• i fondi sono erogati di solito a fronte di un determinato piano di investimenti.
• il prestito viene supportato da garanzie reali (tipicamente ipoteca) e, talvolta, anche da garanzie
personali (es fidejussioni).
• normalmente, si tratta di somme di un certo rilievo.
Il rapporto di mutuo si articola in due momenti chiave:
• l'erogazione della somma da parte dell'istituto di credito.
• il rimborso graduale da parte dell'impresa, secondo un prefissato piano di “ammortamento
finanziario”. Il piano prevede scadenze periodiche nelle quali l'impresa paga alla banca una rata
di ammortamento del mutuo, comprensiva di una parte del capitale preso a prestito e degli
interessi sino a quel momento maturati.
Un'ulteriore forma di finanziamento esterno è costituita dall'emissione di prestiti obbligazionari. Si tratta
di un canale finanziario aperto solo ad alcune imprese, infatti per il nostro Codice Civile, possono emettere
obbligazioni solo le società di capitali. Le obbligazioni sono titoli il cui valore nominale rappresenta una
quota di debito dell'impresa. Il loro possesso conferisce i seguenti diritti:
• percepimento, a scadenze fisse, di un determinato interesse.
• rimborso del capitale pari al valore nominale dell'obbligazione.
Le obbligazioni, per l'impresa che le emette, sono cosa ben diversa dalle azioni. Le prime rappresentano
capitale di debito, le seconde capitale di rischio.
Una fondamentale fonte di finanziamento esterno è, infine, costituita dal credito commerciale, ossia dalle
dilazioni di pagamento concesse all'impresa dai diversi fornitori. Si tratta, in questo caso, di una forma di
finanziamento indiretto, poiché l'impresa non negozia specificatamente una somma di denaro.
Per ogni impresa si configura poi una distinzione tra:
• debiti di finanziamento
• debiti di regolamento (o funzionamento)
Nel caso dei debiti di finanziamento, il rapporto fra l'impresa e i terzi ha per oggetto il denaro stesso;
per i debiti di regolamento, invece, il rapporto fra l'impresa e i terzi ha per oggetto fattori produttivo.
Nella stessa prospettiva dei debiti verso fornitori si collocano i debiti verso dipendenti, ossia il

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

Trattamento di Fine Rapporto (TFR). L'impresa infatti, è tenuta a versare a ogni dipendente (al termine del
rapporto di lavoro), una somma il cui importo è proporzionale al numero di anni durante i quali il
lavoratore ha lavorato presso l'impresa e alla retribuzione percepita. Si tratta quindi di una situazione di
finanziamento indiretto, non dissimile da quella che sorge nei rapporti con i fornitori.
Le fonti di finanziamento brevemente richiamate si differenziano oltre che per la provenienza e la natura
del vincolo che le lega all'impresa (di terzi o proprie) anche in relazione alla durata temporale di tale
vincolo. C'è quindi una distinzione tra finanziamenti:
• a medio/lungo termine
• a breve termine
I primi sono rappresentati da finanziamenti della durata lunga (oltre i cinque anni) o media (da uno a
cinque anni), esempi di finanziamenti a medio/lungo termine sono dati dai mutui e dalle obbligazioni.
I finanziamenti a breve termine hanno, invece, una scadenza compresa nell'anno. Sono tali quindi i
finanziamenti concessi dai fornitori.
I finanziamenti a breve termine si ripartiscono a loro volta tra finanziamenti:
• a breve in senso stretto.
• a breve che si rinnovano per rotazione.
• a breve che si rinnovano tacitamente.
I finanziamenti a breve in senso stretto corrispondono ai finanziamenti avente un breve ciclo di
estinzione che, giunti alla scadenza, vengono rimborsati ed esauriscono la loro funzione (es: anticipazione
bancaria). I finanziamenti a breve che si rinnovano per rotazione, invece, una volta scaduti e
rimborsati, si riformano nuovamente, per importi sostanzialmente analoghi (es: debiti verso fornitori). I
finanziamenti che si rinnovano tacitamente sono rappresentati solitamente dalle aperture di credito
in conto corrente (in mancanza di situazioni particolari infatti, la linea di fido viene regolarmente
rinnovata).
3.2 - IL CAPITALE INTELLETTUALE
Il capitale intellettuale dell'impresa è rappresentato dalla massa di esperienze, competenze e
condizioni particolari che la caratterizza. A differenza di quello finanziario, il capitale intellettuale presenta
caratteristiche qualitative più che quantitative. Attribuirgli un valore monetario è molto difficile. Tanto più
che la gran parte degli elementi intangibili non può essere acquistata come un qualsiasi altro fattore
produttivo.
Le componenti di tale patrimonio sono tre:
1. capitale umano
2. capitale relazionale
3. capitale strutturale

1. Il capitale umano
Il capitale finanziario, da solo, non può produrre alcun risultato. Esso deve essere “messo in moto” dalle
persone, ed è per questo che il capitale umano viene inteso come una componente fondamentale
dell'azienda. Il lavoro necessario per far funzionare l'impresa, comunque, non è tutto dello stesso tipo.
Possiamo infatti distinguere tra:
• lavoro imprenditoriale
• lavoro attuativo
Il lavoro imprenditoriale è di tipo ideativo, creativo, costantemente teso a identificare le migliori
combinazioni fra i diversi fattori della produzione e a ricercare nuove e profittevoli opportunità verso le
quali rivolgere l'attività dell'impresa. E' un lavoro, dunque, il cui svolgimento si traduce essenzialmente
nelle scelte concernenti:
• il prodotto (cosa produrre)
• il mercato (per chi produrre)
• la tecnologia (come produrre)
Il lavoro imprenditoriale deve essere affiancato da un'attività più attuativa, in molti casi materiale,
attraverso la quale concretizzare le idee imprenditoriali. E' questa la funzione del lavoro attuativo, che,
nelle imprese di grandi dimensioni è messo in pratica da individui diversi dall'imprenditore (lavoro
subordinato). L'abilità, le competenze, l'esperienza e la creatività che caratterizzano il fattore umano di
un'impresa si rivelano determinanti per un economico sfruttamento delle risorse produttive. Non a caso
due imprese con identica dotazione quantitativa e qualitativa di investimenti possono conseguire risultati
molto diversi perché dotate di un fattore umano con caratteristiche differenti. Proprio per sottolineare il
rilievo economico del fattore umano, si propone il concetto di capitale umano, accanto a quello, già
esaminato, di capitale finanziario.
2. Il capitale relazionale
L'impresa vive nell'ambiente e instaura costantemente relazioni con soggetti terzi che possono contribuire
a decretarne il successo o il fallimento. Il complesso delle conoscenze alla base delle relazioni che
l'azienda crea con dipendenti, clienti, fornitori, finanziatori, istituzioni e interlocutori sociali ha un
potenziale valore che può essere definito capitale relazionale. Particolarmente importanti, nella

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

prospettiva del capitale relazionale, sono i rapporti che legano l'impresa al mercato, sia quello dei prodotti
e servizi offerti dall'impresa, sia quello delle risorse (specie quelle finanziarie). Marca, notorietà,
affidabilità e immagine sono tutte espressioni di risorse intangibili che maturano negli scambi di mercato
e che concorrono a formare la componente relazionale del capitale intellettuale.
3. Il capitale strutturale
Un ulteriore insieme di elementi che concorrono ad alimentare il capitale intellettuale è rappresentato
dalla conoscenza accumulata nell'impresa in merito alle interazioni che si determinano fra capitale
umano, capitale relazionale e capitale finanziario. Da tale conoscenza prende vita il capitale strutturale.
Un primo ordine di fattori nei quali trova espressione questa dimensione del capitale intellettuale può
essere individuato negli assetti istituzionali dell'impresa. La veste giuridica adottata e la localizzazione dei
centri di produzione, ad esempio, sono esempi di condizioni immateriali “istituzionali” che esercitano un
ruolo determinante sull'attività economica. A questi fattori si possono aggiungere le conoscenze
codificate in brevetti, procedure, formulari, schede tecniche, archivi, etc. condivise dal personale e
trasmissibili nel tempo e nello spazio. In conclusione, il contributo del capitale intellettuale ai risultati
ottenuti dall'azienda è tanto maggiore quanto più efficiente ed efficace è la gestione delle sue componenti
e, soprattutto, delle interdipendenze che esistono fra esse. La cultura aziendale è rappresentata dalla
massa di informazioni interne ed esterne all'azienda.
3.3 - IL SISTEMA AZIENDALE
Le strette relazioni tra il capitale finanziario e il capitale intellettuale configurano l'impresa come un vero e
proprio sistema, ossia un insieme di elementi interrelati e interagenti. Più in particolare, un sistema
socio-tecnico, dove il fattore umano rappresenta la componente sociale e il capitale finanziario quella
tecnica.
Gli elementi caratterizzanti il sistema aziendale sono due:
• la sua articolazione in sub-sistemi che rappresentano aree funzionali di attività
• le condizioni di coordinazione che devono pervadere e legare fra loro i singoli elementi del
sistema e le aree funzionali
3.3.1 - LE AREE FUNZIONALI DEL SISTEMA
Il sistema d'impresa si configura necessariamente come un sistema aperto, o meglio, selettivamente
aperto, proteso a rispondere alle sollecitazioni dall'esterno che risultano più giovevoli alla sua economia.
L'impresa è per natura articolata e complessa, così complessa da richiedere una specializzazione e
differenziazione dell'attività di produzione. Solo in questo modo la complessità può essere fronteggiata e
governata a favore dell'impresa. La specializzazione porta ad articolare il sistema d'impresa in
sottosistemi. Ciascun sotto-sistema esprime una determinata area funzionale dell'impresa. A ogni area
funzionale corrisponde un insieme di attività attraverso le quali l'organismo aziendale esplica la propria
attività produttiva. Articolandosi in aree funzionali, il sistema d'impresa può affrontare più agevolmente la
complessità e mettere a punto le soluzioni più opportune.
Le principali aree funzionali che si affermano nell'ambito di ogni sistema d'impresa sono di tre ordini:
• operativo-caratteristiche
• ausiliarie
• informazione e controllo
Le aree operativo-caratteristiche abbracciano le funzioni che investono direttamente l'oggetto di
attività dell'impresa e la connotano come un’impresa che produce un prodotto A piuttosto che servizi
finanziari. Esse si articolano in:
• area della produzione
• area del marketing
• area della ricerca e sviluppo
L'area della produzione riguarda tutte le attività che appartengono alla concreta combinazione e
trasformazione dei diversi fattori produttivi nel prodotto che l'impresa vuole vendere. L'area del
marketing raccoglie tutte le attività attraverso le quali l'impresa si pone in contatto con il mercato.
Nell'area di marketing rientra ogni operazione di studio del mercato, di promozione e pubblicizzazione, di
individuazione dei bisogni e dei gusti dei consumatori; ciò consente di stabilire cosa e quanto produrre.
L'area della ricerca e sviluppo costituisce il cuore dell'innovazione. Essa promuove le attività di studio,
investigazione e sperimentazione protese a individuare e realizzare prodotti, o modalità di svolgimento
delle attività aziendali, nuovi o relativamente nuovi.
Le aree ausiliarie esplicano funzioni di supporto rispetto all'attività caratteristica. Esse si articolano in:
• finanza
• personale
La prima comprende tutte le attività di raccolta e di impiego dei capitali monetari necessari al
funzionamento dell'impresa mentre la seconda concerne le attività di acquisizione del fattore lavoro e il
suo corretto impiego nell'impresa.
Le aree di informazione e controllo, invece, si distinguono in:
• pianificazione e controllo
• sistema informativo
La prima area si occupa della definizione degli obiettivi verso i quali orientare l'attività economica e inoltre
controlla che le molteplici attività dell'impresa si svolgano in modo coerente con gli obiettivi prefissati. La

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

seconda area si riferisce a tutte le attività di raccolta, elaborazione e diffusione delle informazioni
all'interno dell'impresa, essa infatti non può lavorare se priva di informazioni sull'ambiente generale e
specifico in cui si muove e su come la sua attività si viene realizzando. E' importante sottolineare che
tutte le aree sono strettamente collegate tra di loro.
3.3.2 - LA COORDINAZIONE E L'ORDINE DEL SISTEMA
Come per tutti i sistemi, anche per quello aziendale vale la proprietà olistica, secondo cui un sistema è
sempre diverso dall'aggregato risultante dalla somma delle sue parti costituitive. In pratica, se i diversi
elementi presenti nell'impresa sono fra loro coordinati e formano un tutt'uno armonicamente funzionante,
il valore del sistema è maggiore del valore dei singoli elementi che lo compongono. Accanto ai fattori quali
capitale finanziario e capitale intellettuale si afferma quindi, anche il fattore coordinazione. In pratica è
necessario che persone e beni siano tra loro ordinati e combinati secondo opportuni rapporti qualitativi e
quantitativi. Il raggiungimento e il mantenimento delle condizioni di coordinazione richiede che vi sia un
ordine nel funzionamento dell'impresa. Tale ordine è, innanzitutto, combinatorio, in quanto la proporzione
dei vari fattori che compongono il complesso aziendale deve essere costantemente rivista e rivisitata a
seconda delle condizioni dell'ambiente in cui l'impresa si muove e delle risorse a sua disposizione. La
coordinazione sistemica esige inoltre che le operazioni aziendali siano ordinate in senso spaziale e
temporale (ordine sistematico). Tutte le operazioni infatti sono nello stesso momento correlate tra loro
poiché concorrono a un medesimo fine. Infine, alla coordinazione sistemica si giunge quando la naturale
evoluzione delle diverse forze esterne all'impresa e interne a essa trova composizione unitaria ( ordine di
composizione), venendo controllata e sfruttata per il raggiungimento degli obiettivi aziendali. In assenza
di tutte queste condizioni, nell'impresa si manifestano fenomeni di entropia, di confusione e, a causa di
questo, l'attività di produzione non può svolgersi in modo economico.
3.4 - I VALORI GUIDA DEL SISTEMA AZIENDALE
Il sistema aziendale non è “autonomo”, il suo comportamento è dettato dagli obiettivi perseguiti dal
soggetto economico che lo governa. Gli obiettivi del soggetto economico sono legati indissolubilmente
alla cultura che esso possiede e ai valori che tale cultura esprime. In questo senso, ogni azienda si
presenta come un sistema con obiettivi e comportamenti propri e diversi da quelli delle altre realtà
aziendali. Tutte le aziende, comunque, sono accomunate dalla volontà di sopravvivere e svilupparsi
durevolmente nel tempo. Perseguono, cioè, un obiettivo sovraordinato: quello della durabilità. Una volta
costituita, l'azienda può servire da strumento per soddisfare i bisogni umani, solo se riesce a prosperare
durevolmente nel tempo. Il raggiungimento di questo fine sovraordinato richiede che la cultura del
soggetto economico sia ispirata ad alcuni fondamentali valori-guida. Un primo valore-guida è quello
dell'economicità. Il fine economico rinvia all'esigenza di realizzare costantemente un rapporto ottimale
fra risorse impiegate e risultati ottenuti. Se l'impresa distrugge più beni di quelli che produce, non può
soddisfare i bisogni dell'uomo, tenuto conto che essa opera in un contesto in cui le risorse sono per
definizione scarse. L'economicità trova la sua espressione di sintesi più immediata nel conseguimento del
profitto. Tuttavia, le imprese concentrate sull'obiettivo di massimizzare, a ogni costo, i propri risultati
economici ottengono, nei fatti, risultati scadenti. Ogni cliente nel momento in cui si accosta all'impresa,
non cerca solo un prodotto “nudo e crudo”, bensì un insieme di servizi dei quali indubbiamente il prodotto
è parte, ma non sempre la più importante. Qualità, prestigio, sicurezza, garanzie, assistenza, sono tutti
elementi che concorrono a definire un concetto di prodotto più ampio, il concetto di sistema prodotto. È
quindi evidente che l'impresa, per poter acquisire e mantenere la propria clientela, deve porsi di fronte al
cliente non con la logica di “vendere per vendere”, ma ragionare secondo una logica di servizio rispetto al
cliente. Deve, cioè, essere costantemente protesa a comprendere le esigenze del cliente e il loro
cambiamento. Diversamente, l'impresa perde di attrattività per il cliente il quale può, in ogni momento,
rivolgersi alle altre imprese che offrono in competizione lo stesso prodotto. Ciò che differenzia l'impresa
rispetto alle altre, e ad esse le fa preferire è l'attenzione al cliente. Accanto all'economicità si afferma,
quindi, un secondo valore guida del sistema d'impresa: la competitività. L'impresa inoltre, è al centro di
una fitta trama di interessi facenti capo a soggetti diversi che conferiscono all'impresa le risorse
necessarie al suo funzionamento, offrono opportunità ma pongono anche limiti. Solo quando l'impresa sa
porre attenzione agli interessi di questi attori sociali (stakeholder), valorizzare le risorse e le opportunità
che da essi attinge, solo allora potrà contare sul loro consenso e sulla loro collaborazione. Consenso e
collaborazione senza le quali le risorse saranno scarse e le opportunità effimere, i vincoli sempre più forti
e numerosi; l'impresa in breve tempo, non potrà più sopravvivere. Indubbiamente, l'attenzione agli
interessi dei diversi attori sociali è onerosa e comporta sacrifici. Rispettare i bisogni della forza lavoro, ad
esempio, pagare le imposte, rimborsare puntualmente i debiti contratti o curare l'ambiente naturale
costa. Tuttavia non farlo determina inevitabilmente perdita di consenso, riduce le risorse e le opportunità,
da un lato, e dall'altro, aumenta i vincoli. Emerge così una terza fondamentale dimensione del finalismo
d'impresa, quella della socialità, legata alla valorizzazione delle diverse risorse attinte dall'ambiente. In
conclusione, il fine ultimo dell'impresa è un fine composito in cui emergono tre fondamentali dimensioni:
• economica
• competitiva
• sociale
Le relazioni fra le tre dimensioni non sono piramidali, bensì circolari. Ogni dimensioni in pratica, è
ugualmente importante. Un'attenzione eccessiva a una soltanto di esse, a scapito delle altre, produce
squilibrio nel sistema d'impresa e quindi, nel tempo, ne causa la fine.
3.5 - LA FORMULA IMPRENDITORIALE

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

Alla base di ogni impresa e del suo successo, si trova una sorta di formula. Anche se ogni impresa
costituisce una realtà a sé stante, i componenti essenziali di tale formula appaiono i seguenti:
a) i mercati, o più ampiamente i sistemi competitivi verso i quali l'azienda indirizza la sua offerta
(quindi: clienti, fornitori, concorrenti, prodotti sostituitivi, potenziali concorrenti).
b) i prodotti offerti.
c) la struttura di cui l'azienda si avvale, ossia il complesso di risorse umane, finanziarie e
tecnologiche, materiali e immateriali, attraverso le quali si realizzano i prodotti e si servono i
mercati prescelti.
d) la proposta progettuale che l'impresa rivolge alle forze economiche, sociali e politiche alle quali
richiede le risorse e i consensi necessari per realizzare l'attività di produzione in modo economico.
e) il sistema degli attori sociali chiamati in causa (gli stakeholder), ossia i detentori di interesse a
vario titolo coinvolti nella vita dell'impresa e interessati alla sua proposta progettuale.
La formula imprenditoriale presenta, quindi, due dimensioni distinte, ma complementari:
• competitiva, che ruota intorno al sotto-insieme formato dalle variabili: mercato, prodotto,
struttura.
• sociale, relativa al sottoinsieme espresso dalla natura della proposta progettuale e dal sistema
degli attori sociali coinvolti.
3.6 - L'AMMINISTRAZIONE ECONOMICA DELL'AZIENDA
L'osservazione in termini essenzialmente statici di componenti quali: soggetto economico e giuridico,
lavoro, capitale, cultura, etc, non può esaurire l'analisi di un fenomeno così particolare e complesso come
quello aziendale. L'azienda deve essere analizzata, oltre che guardando ai suoi elementi costituitivi,
anche in chiave dinamica. Ciò significa guardare a modalità, tempi e intensità con cui i diversi elementi si
combinano dando luogo alla concreta esistenza e alle molteplici manifestazioni di vita dell'azienda. Le
manifestazioni di vita dell'azienda devono essere amministrate per far si che l'impresa sopravviva.
L'amministrazione economica dell'impresa si indirizza lungo tre fondamentali direttrici o momenti:
• organizzazione
• gestione
• rilevazione

A ciascuna direttrice corrispondono determinate attività da svolgere, specifici problemi da risolvere e


particolari modelli concettuali e strumenti da utilizzare. In ogni caso, i tre momenti dell'amministrazione
economica non sono separati, nella realtà i problemi organizzativi, gestionali e rilevativi sono
strettamente collegati nel tempo e nello spazio. La distinzione serve dunque solo a finalità di
semplificazione.

Capitolo Sesto
6.1 - LA GESTIONE ORGANIZZATA DELL'AZIENDA
La gestione è rappresentata dal complesso di operazioni, compiute dal fattore umano sul capitale,
attraverso le quali si espleta la funzione di produzione per lo scambio di mercato, propria dell'impresa. La
gestione è strettamente collegata all'organizzazione. Questi legami fra organizzazione e gestione si
manifestano a livello di struttura e di sistemi operativi. La struttura definisce i criteri di divisione del
lavoro e, dunque, le modalità di svolgimento delle operazioni di gestione, mentre i sistemi operativi
evidenziano i meccanismi di informazione pianificazione e controllo. Le operazioni di gestione sono solo
l'aspetto visibile di un fenomeno più complesso entro il quale possiamo individuare tre momenti distinti
ma complementari:
• cognitivo
• decisionale
• operazionale
Il momento cognitivo è testo a conoscere la realtà entro la quale agire; quello decisionale determina
l'azione da svolgere e in quello operazionale l'attività decisa viene compiuta e, in seguito, sottoposta a
controllo. Le operazioni di gestione vere e proprie si caratterizzano per il fatto di essere organizzate, ossia
volute e preordinate. I fenomeni casuali invece, non costituiscono fatti di gestione in senso proprio.
L'attività di gestione è estesa e complessa, è tuttavia possibile individuare indipendentemente dalla
specifica attività svolta dall'impresa:
• i tratti comuni della gestione.
• alcuni principi fondamentali, di carattere generale, che siano di guida nello svolgimento delle
molteplici operazioni di gestione, tali da assicurare all'impresa la possibilità di sopravvivere e
svilupparsi.
6.2 - LE FASI DELLA GESTIONE: PROVVISTA, TRASFORMAZIONE, SCAMBIO
La gestione di qualsivoglia impresa si può concepire come un grande processo articolato in tre fasi
fondamentali:
• provvista
• trasformazione
• scambio

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

La fase della provvista comprende tutte le operazioni mediante le quali l'impresa acquisisce i diversi
fattori produttivi necessari per svolgere la sua attività. I fattori produttivi sono sostanzialmente di due
ordini:
• a fecondità semplice
• a fecondità ripetuta
I fattori a fecondità semplice trovano utilizzo integrale in un unico atto produttivo, ad esempio le
materie prime cedono tutta la loro utilità nel momento in cui vengono utilizzate. I fattori a fecondità
ripetuta partecipano, invece, a più atti produttivi, ad esempio i macchinari si “consumano” gradualmente
man mano che si realizzano più prodotti. I fattori produttivi possono essere sia materiali che immateriali.
Fra i fattori produttivi un ruolo di spicco spetta al denaro, si tratta di un fattore particolare, la cui
disponibilità condiziona quella di tutti gli altri. Le problematiche legate alla provvista del denaro danno
vita ad una nuova fase a se stante: quella del finanziamento. Le fasi della gestione diventano in tal
modo, quattro.
• finanziamento
• provvista
• trasformazione
• scambio
La fase della trasformazione raccoglie tutte le operazioni attraverso le quali vengono elaborati i fattori
produttivi in prodotti che saranno poi oggetto di scambio sul mercato. La fase dello scambio, infine,
raccoglie tutte le operazioni attraverso le quali l'impresa colloca sui mercati di sbocco i risultati della
trasformazione. Questa fase completa e da senso a tutto il processo di gestione. Esaminando le fasi della
gestione, risulta evidente che quelle di provvista e di scambio mettono in contatto l'impresa con l'esterno,
mentre, la fase di trasformazione è prettamente interna all'azienda. In relazione a ciò si distingue tra:
• gestione interna
• gestione esterna
6.3 - IL SISTEMA DELLE OPERAZIONI DI GESTIONE
La gestione dell'impresa non è rappresentata da un unico grande processo, al contrario è la combinazione
di tanti processi elementari, ognuno dei quali suddiviso nelle fasi indicate che, a loro volta, raccolgono
operazioni omogenee. I singoli processi elementari e le operazioni di cui si compongono sono
strettamente collegati nel tempo e nello spazio:
• nel tempo, in quanto la gestione ha un andamento ciclico. Alla fase di provvista segue la
trasformazione e poi lo scambio. Con lo scambio la gestione non termina, ma si riattiva attraverso
una nuova fase di provvista e così via. Ogni processo elementare, quindi, è condizionato dai
processi che lo hanno preceduto e condiziona quelli che lo seguiranno.
• nello spazio, in quanto in ogni istante vengono attivati simultaneamente più processi elementari
che in varia misura si sovrappongono.
Nella realtà, dunque, la gestione non si presenta come una successione ordinata di fasi distinte, ma come
un sistema di operazioni e processi nei quali le operazioni che si trovano in diverse fasi sono strettamente
correlate e interdipendenti.

Capitolo Settimo
7.1 - DAL SISTEMA DELLE OPERAZIONI AL SISTEMA DEI VALORI
Le operazioni di gestione esterna vengono esaminate considerando i loro effetti sul piano:
• finanziario
• economico
Dal sistema delle operazioni si passa, così, al sistema dei valori, espressi in termini monetari, che si
formano in seguito alle operazioni.
7.1.1 - I VALORI FINANZIARI
Osservare la gestione sotto il profilo finanziario significa considerare i movimenti di moneta che le
operazioni di provvista e scambio determinano. In termini generali, i movimenti di moneta possono essere
di due ordini:
• uscite
• entrate
Le uscite corrispondono a variazioni diminuitive della massa di moneta, ed è per questo che si parla di
variazioni finanziarie negative (o passive). Le entrate corrispondono a variazioni aumentative della
massa di moneta, e si parla, in proposito, di variazioni finanziarie positive (o attive). Le variazioni
finanziarie conseguenti alle operazioni di gestione determinano il formarsi, nell'impresa, di valori
finanziari. In pratica, un'entrata di denaro in cassa è una variazione finanziaria (positiva), mentre la
consistenza della cassa è espressione di un valore finanziario (attivo).
In generale, guardando alla gestione esterna:
• le operazioni della fase di provvista danno luogo a variazioni finanziarie negative.
• le operazioni della fase di scambio danno luogo a variazioni finanziarie positive.

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

Le variazioni finanziarie e i valori che ne derivano presentano un diverso grado di immediatezza


monetaria. Si distingue tra:
• disponibilità liquide in cassa e nei conti correnti bancari e postali.
• crediti e debiti di regolamento (o di funzionamento).
Le disponibilità liquide fanno riferimento a entrate in senso stretto, ossia di moneta contante. Queste,
con i loro movimenti, esprimono il momento terminale di tutte le operazioni di provvista e di scambio. I
crediti e i debiti di regolamento, invece, rappresentano entrate e uscite differite nel tempo; come tali,
sostituiscono temporaneamente il denaro contante.
7.1.2 - I VALORI ECONOMICI DI REDDITO
Osservare la gestione sotto il profilo economico significa considerare il contributo delle operazioni di
gestione alla produzione di ricchezza. L'attenzione, quindi, è concentrata sul processo produttivo visto nei
suoi due “attori” chiave:
• fattori produttivi
• prodotti
I primi costituiscono le risorse (ricchezza) impiegate nel processo produttivo (dunque la ricchezza
consumata). I prodotti invece rappresentano i risultati del processo produttivo (dunque la ricchezza
creata). Fattori produttivi e prodotti sono considerati in termini di valore monetario a essi attribuibile. Il
riferimento al valore monetario nasce dell'esigenza di misurare il risultato netto del processo produttivo.
Tale misura di sintesi è possibile solo se i vari elementi del processo vengono espressi impiegando
un'unità di misura omogenea. In particolare:
• i valori monetari assegnati ai fattori produttivi vanno sotto il nome di valori di costo.
• i valori monetari assegnati ai prodotti vanno sotto il nome di valori di ricavo.
La somma algebrica dei costi e dei ricavi esprime il reddito. Il reddito si configura come il risultato netto,
espresso in termini di valore monetario, dell'attività produttiva svolta dall'impresa.
Alla determinazione del reddito:
• i costi concorrono con segno meno, essi rappresentano variazioni economiche negative.
• i ricavi contribuiscono con segno più, essi rappresentano variazioni economiche positive.
Se, al termine della gestione, i ricavi sono maggiori dei costi, ciò significa che la ricchezza generata
dall'impresa è maggiore di quella consumata e il reddito, che avrà segno positivo, si definisce utile. Se i
ricavi sono minori dei costi, invece, la ricchezza distrutta dall'impresa è maggiore di quella che l'impresa è
stata capace di generare e il reddito, che avrà segno negativo, si definisce perdita. In via generale,
guardando alle fasi del processo produttivo sotto il profilo economico:
• le operazioni della fase di provvista determinano variazioni economiche negative.
• le operazioni della fase di scambio causano variazioni economiche positive.
7.1.3 - LE RELAZIONI FRA VALORI FINANZIARI E VALORI ECONOMICI
L'aspetto finanziario e l'aspetto economico sono fra loro correlati. In generale, infatti, ogni operazione di
gestione dà simultaneamente luogo a entrambi i valori:
• da un lato, determina un movimento di moneta (l'aspetto finanziario vuole esprimere l'entità e il
segno di quel movimento di moneta).
• dall'altro, fa sorgere un componente di reddito (l'osservazione economica indica “cosa c'è dietro”
a un'entrata o a un'uscita).
L'aspetto finanziario costituisce, in termini di valore, l'aspetto originario dell'operazione. Infatti, il valore
attribuibile a una variazione di moneta è espresso dalla consistenza della moneta stessa. L'aspetto
economico costituisce, in termini di valore, l'aspetto derivato. Infatti, i costi e i ricavi presentano un
valore che è misurato, ossia che deriva il suo ammontare, dai movimenti di moneta che hanno luogo nel
momento in cui si acquisiscono i fattori produttivi e si scambiano i prodotti.
L'aspetto finanziario, in sostanza, è misuratore del derivato aspetto economico. In questo senso:
• un costo si dice sostenuto (finanziariamente sostenuto) nel momento in cui si verifica l'uscita.
• un ricavo si dice conseguito (finanziariamente conseguito) nel momento in cui si verifica l'entrata.
In sintesi, osservare la gestione nell'aspetto finanziario significa guardare cosa accade, per effetto della
gestione, alla massa monetaria dell'impresa; osservarla nell'aspetto economico significa guardare cosa
accade in seguito alla gestione, al processo di produzione della ricchezza che è alla base dell'attività
d'impresa.
Il profilo finanziario e quello economico esprimono le due fondamentali esigenze che “dominano” la
gestione di qualsivoglia impresa:
• la prima esigenza è quella di ricercare un costante equilibrio fra i flussi monetari in uscita e quelli
in entrata. L'impresa, infatti, deve essere in grado, con la moneta a sua disposizione e le entrate
posticipate, di far fronte agli impegni di pagamento immediati e posticipati.
• la seconda esigenza è quella di realizzare un'eccedenza dei ricavi sui costi, ossia dar vita a un
processo produttivo che generi e non distrugga ricchezza. In mancanza di tale condizione,
l'impresa non assolve alle sue funzioni di strumento per soddisfare i bisogni dell'uomo.
7.2 - I VALORI DERIVANTI DALLE OPERAZIONI DI GESTIONE
Volendo applicare il modello di rappresentazione della gestione è opportuno precisare che entrate e
uscite, costi e ricavi sono solo “macro-classi” generali. Esistono, infatti, entrate e uscite di varia natura. I

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

movimenti di denaro possono avvenire sotto forma di denaro contante oppure di debiti o crediti di
regolamento, i quali, a loro volta, si qualificano diversamente in ragione del soggetto al quale fanno
riferimento (debiti verso fornitori, debiti verso dipendenti, etc.), della garanzia, e così via. Anche i costi
possono essere di varia natura: costi per provvista di materie prime, di lavoro, di impianti, etc. Lo stesso
vale per i ricavi.
Non tutti i fatti di gestione, tuttavia, presentano un doppio profilo finanziario ed economico. In numerose
circostanze, l'operazione di gestione si esaurisce nella sfera finanziaria. In questo caso siamo di fronte ad
una permutazione finanziaria, ossia, una sorta di scambio tra due valori finanziari. Si consideri, in
proposito, il seguente fatto di gestione:
5. Riscosso metà del credito verso i clienti → VFP – Denaro in cassa & VFN – Crediti v/clienti
Le permutazioni finanziarie sottolineano che non tutte le operazioni di gestione producono effetti sul piano
della creazione di ricchezza da parte dell'impresa; ossia, non tutte le uscite si collegano a costi e non tutte
le entrate si collegano a ricavi. L'osservazione dei singoli profili non consente di avere una visione chiara e
completa, per questo sorge la necessità di una costante osservazione di entrambi i profili
contemporaneamente.
7.3 - L'AMPLIAMENTO DEL SISTEMA DEI VALORI
Alcune importanti operazioni di gestione non possono essere espresse impiegando il sistema dei valori sin
qui presentato. Occorre, dunque, procedere a un ampliamento di tale sistema.
7.3.1 - I VALORI ECONOMICI DI CAPITALE
Ricordiamo che l'approvvigionamento di capitali può avvenire da due fonti:
• dall'imprenditore/soci, sotto forma di capitale di rischio.
• da terzi, sotto forma di capitale di credito.
La rappresentazione e l'interpretazione di questi fatti di gestione richiedono di integrare il modello sin qui
costruito
7. Costituzione del capitale sociale per 300 mediante conferimento da parte dei soci → VFP – Denaro
in cassa
Le difficoltà sorgono al momento di individuare l'altra faccia dell'operazione. Lo schema generale, infatti,
alle entrate correla i ricavi. In questo caso, però, non si può parlare di ricavi. Tuttavia, se l'aspetto
economico è quello che ha a che fare con la “ricchezza”, evidentemente siamo di fronte a un fatto che
presenta connotati economici. Il capitale conferito altro non è che la ricchezza inizialmente immessa nei
processi produttivi; si tratta, dunque, sempre di valori economici, diversi però da quelli di costo e ricavo.
Questi nuovi valori economici vengono indicati come valori economici di capitale. Sorge dunque una
distinzione nei valori economici, che si dividono in:
• valori economici di reddito
• valori economici di capitale
I valori economici di reddito sono valori di costo e di ricavo, che concorrono alla determinazione del
reddito. I valori economici di capitale sono valori relativi alla ricchezza conferita dai promotori
dell'impresa e alle sue variazioni nette (utile/perdita).
7.3.2 - DEBITI E CREDITI DI FINANZIAMENTO
Le operazioni di raccolta di capitale di terzi offrono, al pari di quelle di approvvigionamento di capitali di
rischio, spunti per una ulteriore “messa a fuoco” del modello di rappresentazione della gestione basato
sul sistema dei valori. A questo proposito, si consideri:
8. Stipulato un mutuo quinquennale con una banca per 250 → VFP – Denaro in cassa
I problemi, anche qui, sorgono al momento di identificare la causale dell'entrata monetaria che si è
formata. Ancora una volta è naturale domandarsi se siamo di fronte ad un ricavo, a ben vedere però, non
siamo di fronte ad un ricavo, ma al formarsi di un debito verso il soggetto che ha erogato quella somma di
moneta. Questo è un debito di finanziamento ed è ben diverso da quelli di funzionamento. I debiti (e i
crediti) di regolamento sostituiscono provvisoriamente pagamenti (e incassi) monetari e hanno come
contropartita eventi economici; i debiti (e i crediti) di finanziamento producono (nel momento in sui si
formano) incassi (e pagamenti) e trovano contropartita in operazioni monetarie.
A questo punto, nei valori finanziari rientrano:
• disponibilità liquide in cassa e nei conti correnti bancari e postali.
• crediti e debiti di funzionamento.
• crediti e debiti di finanziamento.
Ovviamente, anche i valori dei debiti e crediti di finanziamento presentano variazioni positive o negative.
A questo punto il quadro complessivo delle variazioni finanziarie è il seguente:
Variazioni finanziarie positive (entrate) Variazioni finanziarie negative (uscite)
• Aumenti di disponibilità liquide • Diminuzioni di disponibilità liquide
• Aumenti di crediti di regolamento • Aumenti di debiti di regolamento
• Diminuzioni di debiti di regolamento • Diminuzioni di crediti di regolamento
• Aumenti di crediti di finanziamento • Diminuzioni di crediti di finanziamento

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

• Diminuzioni di debiti di finanziamento • Aumenti di debiti di finanziamento


Compiuto questo allargamento di prospettiva, si può tornare al fatto di gestione precedente:
VFP – Denaro in cassa & VFN – Mutuo passivo
Con riferimento al mutuo in precedenza contratto, si supponga che:
9. Rimborsata la prima rata del mutuo, pagando 25 a titolo di quota capitale e 5 a titolo di interessi
passivi
a) Rimborso del capitale per 25 → VFN - Denaro in cassa & VFP – Mutuo passivo
b) Pagamento degli interessi per 5 → VFN - Denaro in cassa & VEN – Interessi passivi
Il modello di rappresentazione e interpretazione della gestione risulta ora arricchito e perfezionato. Le
categorie di valori derivanti dalle operazioni di gestione sono:
Disponibilità liquide Valori di reddito
Valori Crediti/debiti di regolamento Valori di capitale
Valori Economici
Finanziari
Crediti/debiti di
finanziamento

Capitolo Ottavo
8.1 – IL RISULTATO ECONOMICO DELLA GESTIONE. REDDITO TOTALE E REDDITO DI ESERCIZIO
La gestione, come già visto, è un fenomeno ciclico, formata cioè da tanti cicli elementari che si aprono
con la provvista e si chiudono con lo scambio. Ogni ciclo è osservabile sotto due profili: finanziario ed
economico. In questa prospettiva, nell'impresa si manifestano cicli finanziari e cicli economici. I cicli
economici, normalmente, si aprono con il sostenimento di un costo (derivante dalla provvista di un
fattore produttivo) e si chiudono con il conseguimento di un ricavo (derivante dallo scambio sul mercato
del prodotto). Considerando la gestione svolta in un dato lasso di tempo è possibile riconoscere la
presenza di un certo numeri di cicli economici. E' a essi che occorre guardare per giungere a determinare
il reddito, quest'ultimo rappresenta il risultato della gestione. Il concetto di risultato fa riferimento a
qualcosa di concluso, ed è per questo che ai fini della determinazione del reddito, si devono considerare i
costi e i ricavi relativi ai soli cicli conclusi. Il reddito che si riferisce a tutta la vita dell'impresa, si indica con
il termine di reddito d'impresa o reddito totale. Tale reddito però è relativo ad un periodo decisamente
troppo lungo, al soggetto economico interessa di più una determinazione del reddito a intervalli periodici
(ad esempio al termine di ogni anno di attività). Tale periodo, solitamente compreso tra il 1° gennaio e il
31 dicembre, prende il nome di periodo amministrativo. Denominando esercizio il complesso delle
operazioni svolte entro un periodo amministrativo, si tratta di determinare non più il reddito totale, bensì
il reddito di esercizio. Come componenti del reddito di esercizio, è bene ricordare che devono essere
considerati solo i costi e i ricavi derivanti da cicli che si sono svolti e completati nel periodo di riferimento.
Il problema principale è che prendendo in considerazione un periodo di tempo e volendo determinarne il
reddito, ci troveremo di fronte a molti cicli che ancora sono in corso di svolgimento. Questo perché, come
già sottolineato, la gestione è un fenomeno continuo nel tempo e nello spazio. Un corretto calcolo del
reddito di esercizio presuppone, quindi, di distinguere i costi e i ricavi relativi a cicli conclusi da quelli
relativi a cicli in corso, che si completeranno solo in seguito e che, come tali, non devono incidere sul
reddito d'esercizio. Determinare, rispetto a certi costi, se e in che misura questi hanno trovato conclusione
nei correlativi ricavi (e viceversa), risulta in concreto estremamente difficile. I cicli attivati nell'impresa
sono, infatti, moltissimi. Il riferimento ai cicli economici di gestione dunque, anche se da un lato aiuta a
inquadrare concettualmente il problema della determinazione del reddito di esercizio, dall'altro non
consente di risolvere concretamente tale problema. La strada da percorrere è quindi un'altra. Costi e
ricavi possono essere considerati come valori relativi a ideali serbatoi di servizi. In particolare:
• i costi esprimono il valore dei servizi contenuti nei fattori produttivi da impiegare nella produzione.
• i ricavi rappresentano il valore dei servizi contenuti nei prodotti creati con la produzione.
Ai fini del calcolo del reddito di periodo, è ai servizi che si deve fare riferimento. Si tratta, cioè, di
contrapporre il valore dei servizi effettivamente consumati nel periodo a quello dei servizi effettivamente
ceduti a terzi in quel periodo. Ciò significa che:
• un costo sarà da attribuirsi a un esercizio se e nella misura in cui, in quell'esercizio, i servizi ai
quali quel costo si riferisce sono stati sfruttati.
• un ricavo sarà da attribuirsi a un esercizio se e nella misura in cui, in quell'esercizio, i servizi ai
quali si riferisce sono stati effettivamente creati e ceduti a terzi.
8.2 - LA DETERMINAZIONE DEL REDDITO DI ESERCIZIO
Si propone adesso un semplice esempio per capire la questione precedente. Questa è la situazione
dell'impresa Alfa:
VALORI FINANZIARI VALORI ECONOMICI
Disponibilità liquide Valori di reddito
Denaro in cassa 220 > Costi

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

Crediti e debiti di regolamento Acquisto merci 200


Crediti verso clienti 200 Impianti 400
Debiti verso fornitori 200 Stipendi 100
Debiti e crediti di finanziamento Interessi passivi 5
Mutui passivi 225 > Ricavi
Vendita merci 400
Valori di capitale
Capitale Sociale 300

La determinazione del reddito presuppone che l'attenzione si focalizzi sui valori economici, in particolare
su quelli economici di reddito. La somma algebrica di questi valori è pari a -305. Alfa ha quindi subito una
perdita? Se ragioniamo in termini di serbatoi di servizi la risposta è no. Alcuni valori, infatti, devono essere
tolti, rinviandoli a esercizi futuri; altri mancano e devono essere aggiunti.
8.2.1 – LE RETTIFICHE SOTTRATTIVE AI VALORI DI COSTO E DI RICAVO: VALORI D'ESERCIZIO E
VALORI ANTICIPATI
Rimanendo nell'ambito dell'esempio di prima, soffermiamoci sugli impianti. Si tratta ovviamente di un
bene a fecondità ripetuta e per questo difficilmente al termine di un periodo amministrativo, i servizi
ottenibili dagli impianti saranno esauriti. Esaurita sarà solo una parte di essi, ed è proprio questa parte
che dovrà concorrere alla formazione del reddito d'esercizio. Essa viene denominata quota di
ammortamento. Per determinare la quota di ammortamento è necessario tener conto di tre elementi:
1. il valore da ammortizzare
2. il periodo di ammortizzamento
3. il criterio di ripartizione del valore sul periodo
Soffermiamoci adesso su ognuno di questi elementi
1. Il valore da ammortizzare corrisponde al valore originario del bene oggetto di ammortamento. Tale
valore, solitamente, coincide con il costo sostenuto per l'acquisto dell'immobilizzazione tecnica,
eventualmente maggiorato di oneri accessori. Talvolta, tuttavia, la determinazione del valore da
ammortizzare è problematica poiché il bene è auto costruito o apportato da un socio. In questi casi la
determinazione del valore è maggiormente permeata di soggettività. In particolare, nel caso di beni frutto
di processi interni di produzione, si tratta di aggregare i valori di costo dei diversi fattori impiegati in tale
produzione.
2. Il periodo di ammortamento del bene viene definito facendo riferimento alla sua:
• vita fisica
• vita utile
Il riferimento obbligato è alla vita utile, che esprime il periodo durante il quale il bene fornirà
effettivamente un contributo positivo alla produzione dell'azienda. La vita utile, solitamente più breve
della vita fisica, non è facile da quantificare. La sua stime presuppone, infatti, previsioni sul manifestarsi
di fenomeni genericamente definibili di obsolescenza.
3. Definito il valore da ammortizzare e stimata la vita utile, si tratta di scegliere un metodo di
ripartizione per suddividere il valore da ammortizzare rispetto al tempo di ammortamento prefissato. Si
tratta in pratica di definire la quota del costo del fattore produttivo da imputare a ogni anno del periodo di
vita utile. Tale quota è appunto detta la quota di ammortamento. Il metodo più diffuso di ammortamento è
quello a quote costanti. La logica di questo metodo è molto semplice. Ipotizziamo che l'immobilizzazione
tecnica sia un impianto il cui costo d'acquisto è 1.000 e che la sua vita utile sia stimata in 10 anni.
L'importo di ogni quota annuale di ammortamento è pari a 100. Considerazioni simili a quanto detto per
gli impianti possono essere fatte per le merci. È estremamente probabile che Alfa abbia impiegato nei
processi produttivi solo una parte delle merci acquistate, l'altra parte resterà quindi come scorta di
magazzino e verrà impiegata nei periodi amministrativi successivi. Ai fini del calcolo del reddito solo la
quota di costo corrispondente alla parte di merci effettivamente impiegata e consumata nei processi
produttivi deve essere computata. Ciò richiede di attribuire un valore alla scorta di magazzino. I
riferimenti per la valutazione sono i seguenti:
• costo di acquisto o di produzione.
• valore di realizzo (desumibile dall'andamento del mercato).
Il costo di acquisto viene utilizzato per la valorizzazione di rimanenze di materie prime, merci e
semilavorati quando siano acquistate da terzi. Il costo di produzione si utilizza invece per la valorizzazione
di prodotti finiti e semilavorati derivanti dal processo di produzione aziendale. Una volta definita la
configurazione di costo da utilizzare per i diversi beni che costituiscono le giacenze, si rende necessario
scegliere una logica con cui identificare e attribuire il costo alle rimanenze. La soluzione migliore è quella
di individuare i diversi elementi che compongono il magazzino e determinare per ciascuno di essi il costo
specificatamente sostenuto per acquistarli o produrli. L'individuazione e l'attribuzione di un costo
specifico agli elementi delle rimanenze non è però sempre attuabile a livello pratico. Ciò accade quando le
rimanenze sono costituite da un numero cospicuo di beni fungibili, ossia beni con caratteristiche e

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

funzionalità analoghe tali da renderli intercambiabili. Laddove tali beni siano stati acquistati o prodotti in
varie epoche a costi diversi e siano stati a più riprese venduti o impiegati nella produzione,
l'individuazione del costo specifico risulta praticamente impossibile o troppo dispendiosa. In questi casi,
per determinare il costo delle rimanenze si può ricorrere a tre metodi:
• costo medio ponderato
• LIFO (last in first out)
• FIFO (first in first out)
Con il primo criterio si procede a fare una media ponderata, con il criterio FIFO si valuta il magazzino al
prezzo delle merci acquistate più recentemente, in quanto si suppone che lo scarico del magazzino
riguardi per prime le merci di più lontana acquisizione. Il LIFO, infine, opera al contrario: la valutazione è
al costo più remoto, supponendosi vendute per prime le merci ultime acquistate. In ogni caso, qualora il
valore di realizzo desumibile dall'andamento del mercato sia inferiore al valore di costo, onde evitare
sopravvalutazioni, è necessario esprimere la rimanenza a tale minor valore. Tornando all'esempio di Alfa,
supponiamo che solo la metà delle merci acquistate sia stata venduta. Il valore delle rimanenze sarà
dunque pari a 100.
E' necessario distinguere in due componenti alcune voci di costo al momento di determinare il reddito:
• la componente che rappresenta il costo di esercizio, la quale corrisponde al valore della quota
dei servizi, offerti dal fattore produttivo, già “consumati” nei processi svolti nel periodo
amministrativo.
• la componente che rappresenta il costo anticipato, la quale corrisponde al valore della quota dei
servizi, offerti dal fattore produttivo, non ancora “consumati” nei processi e, dunque, da utilizzare
in futuro.
Ovviamente, solo i costi di esercizio devono essere considerati ai fini del calcolo del reddito. Quanto
appena detto per i costi vale anche per i ricavi. Supponiamo ad esempio, che un'impresa abbia ceduto in
affitto, il 1° ottobre, un magazzino, per un anno, ottenendo il pagamento anticipato di tutti i canoni di
affitto. Alla fine dell'anno il ricavo conseguito fa riferimento a servizi che ancora non sono stati messi a
disposizione di colui che ha preso in affitto il magazzino. Solo una parte di tale ricavo, pertanto, deve
essere computata come ricavo nel calcolo del reddito di esercizio; la parte restante si configura come
ricavo anticipato. Volendo formulare un principio generale, possiamo affermare che il calcolo del reddito
di esercizio impone di operare rettifiche sottrattive sui valori economici di reddito. Queste servono per
individuare, in senso ai costi e ricavi che si sono finanziariamente manifestati nel periodo, le quote da
rinviare al futuro e, quindi, residualmente quelle di pertinenza del periodo amministrativo.

8.2.2 - LE RETTIFICHE INTEGRATIVE AI VALORI DI COSTO E DI RICAVO

Per la corretta determinazione del reddito d'esercizio non basta separare i costi e i ricavi di esercizio da
quelli anticipati. Si consideri sempre l'impresa Alfa e si supponga che nei futuri periodi amministrativi,
qualora i clienti riscontrino difetti, l'impresa dovrà sostenere dei costi per intervenire sui prodotti venduti.
Siamo di fronte a un costo per l'impresa, il quale avrà la sua manifestazione finanziaria in futuro, nell'anno
in cui i difetti del prodotto si manifesteranno. Tuttavia, tale costo è di competenza dell'esercizio nel quale
la merce è stata venduta; costituisce, per così dire, un elemento da contrapporre ai ricavi per definire
l'effettivo “guadagno” realizzato attraverso la vendita. L'impresa deve quindi fare un accantonamento a
fronte di un evento di futura manifestazione costituendo uno specifico fondo. Per fare ciò l'impresa si
baserà sulle esperienze passate, considerando le statistiche relative alla difettosità dei prodotti venduti e
all'onerosità degli interventi compiuti. Avremo quindi una VFN – Fondo garanzie prodotti e una VEN –
Accantonamento per garanzie su prodotti. Il processo di accantonamento è l'espressione più significativa
della fase di integrazione dei valori economici necessaria per determinare il reddito di competenza
dell'esercizio. Visto in questa prospettiva, tale processo si articola su due piani:

• accantonamenti per spese future


• accantonamenti per rischi

Gli accantonamenti per spese future nascono dall'esistenza di alcuni costi i quali maturano nel corso
di uno o più esercizi, ma hanno la loro manifestazione finanziaria in uno o più esercizi successivi a quello
di maturazione. Non sarebbe corretto imputare questi costi interamente al reddito dell'esercizio in cui essi
si manifestano finanziariamente. E' chiaro che gli accantonamenti a spese future e i relativi fondi fanno
riferimento a fenomeni che generano la formazione di costi, dei quali l'ammontare monetario, e talvolta la
scadenza, non sono determinabili con esattezza, ma solo sulla base di stime. Considerando gli eventi
richiamati, in concreto, al termine di ogni anno, l'impresa deve:

• procedere a individuare l'esistenza di costi a manifestazione differita


• stimare la quota di essi maturata nell'esercizio
• misurarla presuntivamente e inserirla nel sistema dei valori computando, da un lato, un costo
dell'esercizio e, dall'altro, evidenziando il fondo spese che misura l'onere derivante dall'evento
futuro.

Il fondo rappresenta un debito presunto poichè l'importo della spesa non è conoscibile con esattezza.
Esso, dunque, corrisponde a un valore finanziario. Gli accantonamenti per rischi, invece, nascono dal

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

fatto che la gestione di un'azienda è contrassegnata da molteplici rischi. Accanto al rischio generico
d'impresa, che si riferisce all'eventualità di un risultato negativo di gestione, si presentano molteplici
rischi specifici, relativi a particolari operazioni di gestione avviate nell'esercizio. Tali rischi si manifestano
concretamente sotto forma di maggiori costi o minori ricavi legati a tali operazioni. In generale, al termine
di ogni anno, deve:

• esaminare alcune particolari operazioni di gestione


• individuare probabili rischi a esse legati
• quantificare tali rischi in termini di sostenimento di costi (o di minori ricavi)
• misurare presuntivamente tali oneri
• inserirli nel sistema dei valori, da un lato, computando un costo dell'esercizio, e dall'altro,
evidenziando il fondo rischi che misura l'onere derivante all'evento futuro

Il fondo rischi rappresenta una sorta di debito presunto che misura l'onere derivante dall'evento rischioso;
presunto perché l'importo della spesa non è conoscibile con esattezza e anche il suo effettivo
sostenimento non è certo, ma solo probabile. Si tratta, dunque, di un valore finanziario. La differenza tra
gli accantonamenti per spese future e quelli per rischi sta nel fatto che mentre per i primi l'onere e la
relativa manifestazione finanziaria futura sono certi, per i secondi sono solo probabili. Gli accantonamenti
non sono gli unici costi a dare origine a rettifiche integrative. Nel caso dell'impresa Alfa, ad esempio, è
stato contratto nel corso dell'esercizio un mutuo del quale è stata pagata la prima rata, comprensiva di
una quota di rimborso del capitale e degli interessi maturati al momento della contrazione. La seconda
rata verrà pagata nel periodo amministrativo successivo. Gli interessi che in quel momento saranno
pagati sono relativi alla disponibilità di un capitale del quale l'impresa ha potuto godere in parte anche
nell'esercizio precedente. Quegli interessi, dunque, competono in parte all'esercizio nel quale la rata del
mutuo verrà pagata e in parte all'esercizio precedente in proporzione al periodo di godimento del capitale.
Seguendo la logica applicata agli accantonamenti, al calcolo del reddito deve partecipare anche una
quota dei futuri interessi passivi. Per questo avremo una VFN – Debiti per interessi su mutui e una VEN –
Interessi passivi. Questi semplici esempi consentono di ritornare sul principio generale in precedenza
enunciato, completandolo. Ai fini del calcolo del reddito, i valori economici di reddito non solo devono
essere decurtati di determinati importi mediante rettifiche sottrattive, ma devono anche essere
completati con rettifiche integrative. Le rettifiche integrative servono per attribuire al reddito quote di
costi e ricavi che, pur manifestandosi finanziariamente in anni futuri, sono già in parte di competenza
dell'esercizio, perché relativi a servizi già consumati o già ceduti.
8.2.3 - COMPETENZA ECONOMICA E COMPETENZA FINANZIARIA DEI VALORI DI COSTO E DI
RICAVO
Le rettifiche necessarie per giungere a una corretta determinazione del reddito di esercizio evidenziano
che, dato un periodo amministrativo di riferimento e determinati valori di costo e ricavo, quei valori
possono competere finanziariamente a quel periodo senza che vi competano economicamente e
viceversa. Emergono, in sostanza, due criteri di competenza dei costi e dei ricavi:

• Competenza finanziaria. Un costo, o un ricavo, compete finanziariamente al periodo nel quale


ha avuto la sua manifestazione monetaria, immediata o differita, ossia sotto forma di movimento
di denaro oppure originando un debito o un credito di regolamento
• Competenza economica. Un costo, o un ricavo, compete economicamente al periodo nel quale i
servizi relativi al costo hanno trovato effettivo impiego o i servizi relativi al ricavo sono stati
effettivamente creati e ceduti a terzi; ciò a prescindere da quando quel costo o quel ricavo ha
avuto o avrà la sua manifestazione finanziaria

Il costo degli impianti, ad esempio, pesa finanziariamente, per tutto il suo importo, sul periodo nel quale è
avvenuto l'acquisto. Tuttavia, esso compete economicamente, per quote, a più periodi amministrativi, i
periodi nei quali l'impianto contribuirà alla produzione aziendale. Rileggendo secondo la competenza
economica si è passati da una perdita di 305 a un'utile di 81. E' evidente che il reddito non è una quantità
certa. La sua determinazione è legata a valutazioni, di eventi futuri, che sono in larga parte, discrezionali
è soggettive. Il reddito quindi, risulta essere influenzato da valori comuni a due o più esercizi la cui
ripartizione si basa su:

• stime
• congetture

In generale, ogni determinazione preventiva del valore correlato a un evento futuro costituisce una stima.
La stima è incerta, perché soggetta, in varia misura, all'incertezza del manifestarsi dell'evento in relazione
al quale è stata determinata. L'attendibilità della stima, comunque, può essere effettivamente misurata.
Si pensi, ad esempio, ai crediti/debiti di regolamento espressi in moneta estera. A causa dell'oscillazione
dei cambi, l'ammontare di tali componenti di reddito può essere determinato solo in via stimata, salvo
aggiustarlo in un secondo momento. Per numerosi altri valori calcolati in via preventiva, invece, non è
possibile neppure una verifica successiva della loro attendibilità in quanto il calcolo si basa su delle
congetture. E' questo il caso della quota di ammortamento da attribuire all'esercizio, la cui

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

determinazione è basata su ipotesi-finzione. Essa non esprime alcuna approssimazione al vero, dal
momento che non esiste un valore vero verificabile successivamente. Al massimo, la quota di
ammortamento potrà essere giudicata congrua tenuto conto dei criteri logici e delle ipotesi su cui si è
basata la sua determinazione. Oltre a non essere una quantità certa, il reddito è una quantità astratta.
Esso non si identifica in nessun valore specifico. In particolare, il reddito è una quantità economica che
non corrisponde ad alcuna somma di denaro in cassa. Esso, infatti, nasce dalla contrapposizione di costi e
ricavi opportunamente rettificati e integrati. Può accadere così, che l'impresa consegua un utile senza un
euro in cassa oppure che subisca una perdita per aumentando la sua liquidità.

8.3 - LE RELAZIONI FRA REDDITO E CAPITALE

La determinazione del reddito utilizza solo alcuni valori fra quelli che il sistema di rappresentazione della
gestione mette a disposizione. Molti altri non partecipano a tale calcolo. Si tratta dei:

• valori finanziari
• valori economici di capitale
• valori economici di reddito che non sono di competenza dell'esercizio (costi e ricavi anticipati)

Ma cosa rappresentano nel complesso tali valori ? Per capirlo richiamiamo quelli di Alfa:

Denaro in cassa Debiti verso fornitori


220 200
Crediti verso clienti Mutui passivi
200 225
Scorte di merci Debiti per interessi
100 4
Impianti Fondo garanzie prodotti
300 10
Capitale sociale
300

Si nota subito che i valori derivanti dalle operazioni di gestione che non hanno concorso alla
determinazione del reddito esprimono il capitale, ossia l'insieme degli investimenti e finanziamenti
disponibili per svolgere le produzioni future. Capitale e reddito, dunque, sono strettamente collegati,
infatti, data una massa di valori, quelli che non partecipano alla determinazione del reddito rappresentano
elementi del capitale e viceversa. Questo perché:

• il reddito esprime il risultato dei cicli di gestione conclusi


• il capitale è riconducibile ai cicli ancora in corso di svolgimento

Proprio i collegamenti fra capitale e reddito suggeriscono un modo più agevole per il calcolo del reddito
d'esercizio. In pratica, una volta determinato il capitale, attraverso le rettifiche sottrattive e integrative è
possibile distinguere ciò che non è capitale e che è quindi reddito. Gli elementi che compongono il
capitale sono individuabili attraverso l'inventario. Con esso si ricercano, descrivono e classificano gli
elementi costituitivi del capitale e si attribuisce ad essi un valore. Ritorniamo ora ai valori dell'esempio
Alfa, il totale degli investimenti è 820, quello dei finanziamenti 739, la differenza tra i due è 81 e
corrisponde all'utile conseguito. Questa nuova ricchezza è di proprietà dei promotori dell'impresa e
rappresenta un incremento dei capitali da questi investiti nell'azienda, ossia del capitale di rischio.
Nell'esempio il capitale di rischio passa così da 300 (capitale sociale) a 381 (capitale sociale + utile). Il
reddito si può quindi definire anche come la variazione (incremento in caso di utile e riduzione in caso di
perdita) subita dal capitale di rischio, in un dato periodo, in seguito allo svolgimento della gestione.

8.3.1 - IL CAPITALE NELL'ASPETTO QUANTITATIVO-MONETARIO: ATTIVITA', PASSIVIT' E FONDO


NETTO DI VALORI

L'esame delle relazioni fra reddito e capitale consente di compiere un'analisi di quest'ultimo in chiave
quantitativa, esprimendo i vari elementi che lo compongono in una determinata unità di misura comune:
la moneta. In questo senso, si parla di espressione quantitativo-monetaria del capitale. Parlando di
capitale, infatti, l'esigenza di quantificazione è insopprimibile, essendo implicita nel concetto stesso di
capitale il quale è quantitativo prima ancora che qualitativo. Muovendosi in questa prospettiva, è
necessario adottare una diversa terminologia. Piuttosto che di investimenti si parla di attività, il termine
vuole significare valori relativi a elementi a disposizione dell'impresa per svolgere la sua attività. I
finanziamenti di terzi (sostanzialmente corrispondenti ai debiti dell'azienda) si indicano come passività.
Questo termine sta ad indicare gli importi relativi agli impegni, alle obbligazioni contratte dall'impresa per
ottenere i mezzi monetari necessari ad acquisire parte delle attività, parte, cioè, degli investimenti. I
valori dell'attivo patrimoniale sono rappresentati da:

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

• valori finanziari, i quali possono essere costituiti da denaro, crediti di regolamento e crediti di
finanziamento
• valori economici di reddito, espressi da costi anticipati

I valori del passivo sono:

• valori finanziari costituiti da debiti di regolamento e da debiti di finanziamento


• valori economici di reddito (ricavi anticipati)

E' necessario ricordare che nei termini attività e passività sono contenuti implicitamente due segni
algebrici. In particolare:

• le attività rappresentano valori con segno positivo (+)


• le passività rappresentano valori con segno negativo (-)

L'attribuzione del segno è funzionale alla determinazione di una differenza fra le due grandezze. Tale
differenza esprime il fondo netto di valori, il quale indica la consistenza, in termini monetari, della
ricchezza di pertinenza del soggetto economico. Se l'importo delle attività è maggiore di quello delle
passività, il fondo netto di valori è positivo e si indica come capitale o patrimonio netto. Viceversa, se
l'importo delle attività è minore di quello delle passività, il fondo netto di valori è negativo e si indica
come deficit patrimoniale. La determinazione di fondo netto di valori assume molto importanza nella
vita di un impresa. E' importante per l'imprenditore, il quale è costantemente proteso a verificare se la
ricchezza che ha investito a rischio, nell'impresa, aumenta o diminuisce. E' importante per i terzi, che
vedono nel capitale netto e nelle sue variazioni, la garanzia delle obbligazioni assunte dall'impresa nei
loro confronti. Le grandezze adottate [attività (A), passività (P) e fondo netto (N)] consentono di esprimere
la fondamentale uguaglianza quantitativo-monetaria del capitale. Tale uguaglianza mette in
evidenza le relazioni che legano fra loro queste grandezze: A=P+N. Tradotto significa che l'entità degli
investimenti, presenti nel capitale di funzionamento di un'impresa in un dato istante, è pari alla somma
dei finanziamenti di terzi e dei mezzi propri. Nel corso della vita dell'impresa, la relazione fra i valori del
capitale può modificarsi. Ad esempio, al momento t0, in fase di costituzione dell'impresa, le relazioni
saranno le seguenti: A=Nt0. Quando si forma la base di capitale dell'azienda, previo conferimento dei
soci promotori, il valore della ricchezza investita è pari al valore del capitale netto dell'impresa, questo
perché ancora non sono sorti debiti e quindi non esistono valori di passività. Una volta che, per espandere
gli investimenti, si acquisiscono capitali di terzi, la relazione diventa: A=P+Nt0. Questa è l'uguaglianza
che caratterizza la normale vita dell'impresa in fase di funzionamento. Successivamente, l'impresa
procederà a investire il denaro liquido nei fattori necessari alla produzione. Se la produzione aziendale si
svolge convenientemente, generando utili, e se tali utili vengono trattenuti nell'impresa, l'uguaglianza
permane, pur mutando il valore dei suoi membri. In caso di utile di esercizio, avremo quindi: A=P+Nt0+U
(dove u sta per utile). Quando la produzione non si svolge in modo economico, l'impresa distrugge più
ricchezza di quanta ne riesce a creare. Di conseguenza, il valore degli investimenti, si ridurrà. Non si
ridurranno però i debiti che nel frattempo sono stati contratti per realizzare tali investimenti. La parte di
valore degli investimenti perduta, dunque, è da attribuirsi anzitutto al capitale netto. Questo è il capitale
di rischio, immediatamente soggetto alle fortune dell'attività aziendale. L'uguaglianza in caso di perdita di
esercizio sarà: A=P+Nt0-P (dove p sta per perdita). Qualora le perdite raggiungano la consistenza del
capitale netto, l'uguaglianza diventa: A=P. Se l'erosione di valore continua, l'uguaglianza si trasforma
nella seguente: A+D=P (dove d sta per deficit patrimoniale). In questa situazione, una parte del passivo
risulta scoperta; si tratta tuttavia di una situazione estrema, difficilmente un'impresa può giungere a
questo punto. Se le perdite continuano, si giunge a questa situazione: D=P. In questo caso il valore delle
attività è completamente azzerato, mentre resta la massa delle passività.

8.4 - LE AREE DI GESTIONE E LE FIGURE DI REDDITO

Ogni impresa si caratterizza, in primo luogo, per un complesso di operazioni attraverso le quali ottiene e
cede la produzione che ne costituisce la ragion d'essere. Queste operazioni rappresentano il “motore”
dell'attività economica, condizionando in profondità i risultati della gestione. Si parla, in proposito, di
gestione operativa o caratteristica. La gestione operativa deve essere alimentata finanziariamente
dalle operazioni attraverso le quali l'impresa si approvvigiona dei capitali monetari. Questa è denominata
gestione finanziaria. Gestione operativa e finanziaria, nel loro complesso, esprimono quanto
abitualmente avviene nell'impresa, definiscono cioè l'ambito della gestione ordinaria. Talvolta però, le
attività di gestione escono dal loro ambito usuale e si presentano estranee rispetto a quanto normalmente
avviene nell'impresa. Le operazioni che determinano questo passaggio presentano caratteri di
straordinarietà. Si parla, così, di gestione straordinaria. Infine, ogni impresa è impegnata sul versante
fiscale, è possibile individuare anche una gestione tributaria. Sulla base di questa distinzione fra
operazioni di gestione, è utile distinguere e raggruppare i costi e i ricavi di esercizio considerando l'ambito
di gestione dal quale provengono. Avremo così:

• costi e ricavi operativi


• costi e ricavi finanziari

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

• costi e ricavi straordinari


• costi tributari

Di conseguenza, il complessivo reddito di esercizio dell'impresa può essere suddiviso in alcuni risultati
parziali, capaci di evidenziare il contributo delle diverse aree di gestione al conseguimento del risultato
economico. Una possibile articolazione del reddito di esercizio è:

La scomposizione del reddito in aree di gestione è di grande importanza, infatti le figure di reddito che da
essa emergono assumono diverso rilievo ai fini del giudizio sulle condizioni economiche dell'impresa. E'
possibile effettuare una lettura qualitativa del reddito legata alle aree di gestione che hanno concorso alla
formazione del reddito. Per esempio, un risultato di esercizio positivo grazie al contributo di operazioni di
natura straordinaria non potrà essere giudicato positivo. Il reddito, per esprimere una stabilizzata
attitudine a creare ricchezza, non deve derivare da circostanze eccezionali, ma dalle operazioni che
vengono svolte quotidianamente nell'impresa. Adottando questa logica, la figura di reddito più importante
è rappresentata dal reddito ordinario e, in particolare, da quello operativo. Ai fini dell'analisi qualitativa
del reddito, occorre anche tener presente che la vita dell'impresa può essere caratterizzata da eventi
casuali e imprevisti, quali furti, incendi, etc. In teoria, la casualità dovrebbe portare a non considerare tali
eventi come fatti di gestione. La gestione, infatti, è costituita dal complesso delle operazioni volute e
preordinate che il fatto umano compie sul capitale. Per questo, riferendosi ai fenomeni casuali si parla
talvolta di fatti extra-gestione, proprio a volerne sottolineare l'estraneità. Tuttavia, poiché vengono ad
incidere sul risultato di esercizio, questi eventi sono ricondotti alla gestione straordinaria e definiti come
insussistenze e sopravvenienze. Il termine insussistenza fa riferimento a eventi che comportano il venir
meno di un elemento patrimoniale, producendo una variazione nella consistenza della ricchezza netta
dell'impresa. Se è un elemento attivo a venir meno, si parla di insussistenza passiva, che si tramuta poi in
un costo di esercizio. Un'insussistenza si configura attiva quando è un elemento passivo a venir meno. Il
termine sopravvenienza, al contrario, si ricollega a eventi che comportano il sorgere di un elemento
patrimoniale. Se l'elemento è attivo, si parla di sopravvenienza attiva (es: vincita premio in denaro), se
l'elemento è passivo, si parla di sopravvenienza passiva (es: dopo una verifica viene alla luce un debito
che non si riteneva di avere).

Capitolo Nono

9.1 - EQUILIBRIO ECONOMICO OGGETTIVO E SOGGETTIVO. IL COSTO DEL CAPITALE

Indipendentemente dalla specifica attività svolta, ogni impresa deve:

• costantemente verificare che le entrate di moneta siano in grado di far fronte alle uscite derivanti
dalle operazioni di gestione
• sostenere costi e conseguire ricavi, consumare ricchezza nei processi produttivi e recuperarla,
grazie alla vendita dei prodotti ottenuti da quei processi

L'economia aziendale si sforza di formulare alcuni principi generali secondo i quali condurre e giudicare la
gestione di ogni impresa. Fra questi emergono:

• il principio dell'equilibrio economico


• il principio dell'equilibrio finanziario

L'equilibrio economico riguarda le relazioni che devono sussistere fra i valori di ricavo e quelli di costo
perché le modalità di svolgimento della gestione si possano considerare compatibili con gli obiettivi
dell'impresa, ossia soddisfare durevolmente nel tempo i bisogni umani attraverso la creazione di
ricchezza.

Le relazioni fra valori di ricavo e di costo si possono variamente configurare:

• Ricavi < Costi → Disequilibrio economico assoluto


• Ricavi = Costi → Disequilibrio economico relativo
• Ricavi = Costi + Oneri Figurativi → Equilibrio economico oggettivo
• Ricavi > Costi + Oneri Figurativi → Equilibrio economico soggettivo

Il primo caso è il più banale e non merita spiegazioni. Nel caso di disequilibrio economico relativo invece,
non siamo di fronte ad un reale pareggio tra costi e ricavi, questo perché viene trascurata la
remunerazione di alcuni importanti fattori impiegati nella produzione. E' evidente che i mezzi finanziari

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

dei promotori dell'impresa sarebbero potuti essere investiti in impieghi alternativi e dare dei frutti. Per
esempio, sarebbero potuti essere investiti nei BOT italiani (che danno una remunerazione sicura), i
promotori quindi, rinunciano a una opportunità di guadagno, sostengono cioè un costo opportunità, pari
agli interessi non guadagnati. In pratica, perché “il gioco valga la candela”, è necessario che i ricavi della
gestione coprano non solo i costi, ma anche il costo rappresentato dalla mancata remunerazione del
puro capitale. L'uguaglianza dell'equilibrio economico diventa pertanto: Ricavi = Costi +
Remunerazione del puro capitale. Però tutto ciò ancora non basta, investendo nell'impresa invece che
in BOT, non solo si perde un'opportunità di guadagno alternativa, ma si rinuncia a un guadagno sicuro per
un guadagno carico di rischi. Il rischio al quale sottostà l'impresa dipende, anzitutto, da fattori di natura
operativa, ossia legati al dove e come l'impresa svolge la sua attività. Risulta quindi cruciale il settore in
cui l'impresa opera. Operare in un mercato caratterizzato da una forte concorrenza e da una domanda
volatile, presenta livelli di rischio superiori a quelli che si corrono rivolgendosi a un mercato stabile e con
ampi margini di sviluppo. Oltre a ciò, anche la struttura produttiva dell'impresa è importante, una
struttura rigida (ossia caratterizzata da costi fissi) tende ad amplificare le condizioni di rischio. Accanto
alla componente operativa del rischio si colloca anche quella finanziaria. Anche affidarsi maggiormente a
capitali di terzi risulta essere più rischioso che usare in misura maggiore il capitale di rischio. Questo è
dovuto all'effetto esercitato dagli interessi passivi che non si adeguano ad una ipotetica riduzione del
risultato operativo. In conclusione, rischio operativo e rischio finanziario vanno a configurare il rischio
complessivo al quale è sottoposta l'attività dell'impresa. Il soggetto economico, per il sostenimento di tale
rischio, deve ottenere un'adeguata remunerazione, altrimenti il “gioco non vale la candela”. L'uguaglianza
dell'equilibrio economico varia quindi un'altra volta e diventa: Ricavi = Costi + Remunerazione del
puro capitale + Remunerazione del rischio (operativo e finanziario). I costi legati alla
remunerazione del puro capitale e del rischio vanno sotto il nome di oneri figurativi. Si tratta, cioè, di
costi non finanziariamente sostenuti, ma relativi a rinunce che i conferenti il capitale di rischio compiono
investendo nell'impresa. Il costo del capitale, in sostanza, rappresenta il rendimento che un dato
capitale dovrebbe fruttare per compensare il puro impiego del denaro e il rischio che corre l'investitore. In
generale, l'eguaglianza Ricavi = Costi + Oneri Figurativi esprime l'equilibrio economico oggettivo.
A ben vedere, per gli investitori, l'equilibrio economico oggettivo rappresenta una condizione di
indifferenza. Infatti, quando i ricavi eguagliano i costi più gli oneri figurativi, la gestione remunera tutti i
fattori impiegati nella produzione, ma non offre niente di più. Quel qualcosa in più rappresenta l'extra-
profitto, ossia un surplus di guadagno. Si entra così in una condizione di equilibrio economico
soggettivo, che si caratterizza per l'uguaglianza: Ricavi = Costi + Oneri Figurativi + Extra-profitto.
E' importante sottolineare che per valutare le condizioni di equilibrio economico di un'impresa occorre
visionare il reddito netto da essa conseguito. Tuttavia, non si deve considerare il reddito in valore
assoluto, ma in percentuale rispetto al capitale che è stato investito per ottenerlo. Proprio per questo
viene usato il ROE (Return On Equity), che esprime il tasso di remunerazione facendo il rapporto fra
reddito netto e capitale netto. La determinazione del ROE, tuttavia, da sola non basta a comprendere se
l'impresa è in equilibrio economico oppure no. Occorre mettere a confronto il ROE con il costo del capitale
di rischio attribuibile all'impresa. Avendo ragionato in termini relativi per il reddito, è necessario fare lo
stesso per il costo del capitale e per gli oneri figurativi. In pratica, si tratta di individuare un tasso di
redditività minima attesa (Ke) da porre a confronto con il ROE utilizzato. Disponendo dei due ingredienti
menzionati, ROE e Ke, è possibile verificare le condizioni di equilibrio economico, infatti:

• ROE < Ke → Disequilibrio economico


• ROE = Ke → Equilibrio economico oggettivo
• ROE > Ke → Equilibrio economico soggettivo

Il problema diventa ora, quello di quantificare il tasso di rendimento minimo atteso (Ke). Ricordando le
componenti degli oneri figurativi, il primo elemento da considerare nel Ke è il rendimento offerto da
investimenti privi di rischio. Solitamente si fa riferimento ai rendimento dei titoli di stati sovrani
caratterizzati da elevata solvibilità i quali presentano, di fatto, un rischio nullo. Questa prima componente
viene denominata tasso risk-free (Rf). Il secondo elemento che forma il Ke è il premio per il rischio
sopportato investendo in un'impresa. Per fare ciò di norma si considera il rendimento medio, in un dato
arco di tempo, di un ampio e diversificato portafoglio di titoli azionari quotati. Il concetto di base è che
l'investimento in borsa rappresenta l'espressione tipica dell'investimento in capitale di rischio. Una volta
conosciuto il rendimento del mercato azionario (Rm), il premio per il rischio (Rp), viene
determinato come differenza tra Rm e Rf. Il premio per il rischio, tuttavia, fa di “tutta l'erba un fascio”, in
quanto espressione di una media di rendimenti. Poiché, come già accennato, ogni impresa è
caratterizzata da proprie condizioni operative e finanziarie che possono accentuare o diminuire la sua
rischiosità rispetto alla media del mercato, è necessario moltiplicare Rp per β, che in pratica consente di
“iniettare” in Rp le condizioni di rischio proprie della singola impresa. Un β > 1 amplifica il premio per il
rischio e segnala che l'azienda presenta una rischiosità superiore alla media di mercato; un β < 1 indica
che l'impresa presenta una rischiosità inferiore a quella media. In conclusione, la formulazione del Ke è:
Ke = Rf + β x (Rm – Rf).

9.2 - L'EQUILIBRIO ECONOMICO A VALERE NEL TEMPO

La valutazione delle condizioni di equilibrio economico deve tener conto del periodo di tempo al quale si
fa riferimento. La gestione infatti, è un sistema di processi collegati nello spazio e nel tempo. Ciò significa

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

che ogni processo di gestione è influenzato dai processi che lo hanno preceduto e influenza quelli che lo
seguiranno. La suddivisione in periodi amministrativi è una forzatura e serve solo per farsi un'idea del
risultato di esercizio, idea che oltretutto è approssimata, a causa delle quantità stimate e congetturate
che concorrono alla determinazione del reddito. Il reddito di ogni esercizio, come già detto, è idealmente
collegato ai redditi degli esercizi precedenti e futuri, poiché deriva da processi che sono fra loro collegati.
La gestione, in pratica, procede per tempi economici che non coincidono, se non raramente e
casualmente, con i tempi amministrativi aventi la durata convenzionale di un anno. L'esperienza
dimostra che ogni prodotto, e più ampiamente ogni settore nel quale l'impresa opera, presenta un proprio
ciclo di vita scandito da alcune fasi: nascita, sviluppo, maturità, declino. Solitamente, nella fase di
nascita i costi sono alti a causa delle consistenze spese di marketing necessarie per lanciare il prodotto.
Talvolta è necessario praticare prezzi di vendita contenuti, accettando di vendere anche sotto costo pur di
far apprezzare il prodotto e conquistare quote di mercato. Man mano che le vendite crescono, si assiste
ad una significativa riduzione dei costi unitari di produzione dovuta anche all'effetto esperienza, mentre
restano alti i costi di marketing. Nella fase di maturità si consolida il processo di riduzione dei costi e si
massimizza l'effetto esperienza. Senza un'adeguata differenziazione, tuttavia, i prezzi cominciano a
flettere per sostenere le vendite in un mercato che si avvia alla saturazione e per contrastare la
competizione divenuta intensa. Si entra infine nella fase di declino che sarà tanto più lenta quanto più
l'impresa è riuscita a conquistarsi una solida posizione di mercato. I risultati economici, dunque, durante
le fasi iniziali del ciclo di vita possono essere negativi senza che questo sia motivo di allarme. A periodi di
perdite seguiranno periodi di utili. La lettura dei risultati economici alla luce del ciclo di vita suggerisce,
peraltro, di verificare il grado di coerenza fra tali risultati e la fase del ciclo di vita attraversata
dall'impresa. Se, infatti, è “fisiologico” che nelle fasi “difficili” (nascita e momenti iniziali) del ciclo il
reddito possa essere anche negativo, viva preoccupazione deve destare il manifestarsi di perdite nelle fasi
più favorevoli. Segnali di allarme vengono lanciati anche nel caso di risultati decisamente positivi nelle
fasi iniziali del ciclo di vita. Questi, infatti, possono essere spia di politiche gestionali “miopi” basate sul
contenimento di costi necessari per sostenere la crescita. Attraverso politiche di questo tipo, l'impresa si
pregiudica le future possibilità di espansione. Tuttavia, la valutazione dell'equilibrio economico non può
prescindere dalle condizioni che si verificano nei singoli periodi amministrativi. La situazione di un'impresa
che presenti globalmente condizioni di equilibrio economico, raggiunte attraverso redditi di periodo
costantemente positivi, è sicuramente migliore rispetto a quella di un'altra impresa che ottenga, sempre
globalmente, tale equilibrio passando attraverso esercizi in perdita, anche pesante, compensati da
esercizi in utile. La capacità dell'impresa di equilibrare nel tempo i risultati economici è legata alla
strategia di portafoglio adottata, ossia dalle scelte concernenti:

• le ASA o i prodotti su cui continuare a impegnarsi


• le eventuali nuove ASA su cui investire
• le ASA da abbandonare

In relazione alla scelta compiuta, il portafoglio di ASA dell'imprenditore si può configurare come:

• orientato alla crescita


• orientato al profitto
• equilibrato

Per comprendere questa distinzione occorre inquadrare ogni ASA secondo due coordinate:

• il potenziale di crescita e, quindi, il grado di attrattività economica attribuibile all'ASA


• la forza competitiva che l'impresa è in grado di esercitare nell'ASA

Incrociando le due coordinate si individuano almeno quattro quadranti nei quali possono essere collocate
le ASA di riferimento. Dietro ai diversi quadranti si ritrova il concetto di ciclo di vita. Nel quadrante
question mark si collocano, infatti, le ASA in fase embrionale, le cui prospettive di sviluppo (e anche le
incertezze) sono decisamente notevoli. Tuttavia, per sfruttare tali prospettive sono richiesti forti
investimenti materiali e immateriali. Nel quadrante star si collocano quelle ASA che l'impresa è riuscita a
spingere oltre la fase embrionale. Esse offrono significative opportunità di sviluppo purché l'impresa
sappia costantemente investire per rafforzare e accrescere ulteriormente la sua capacità di competere. Il
quadrante cash cow esprime aree d'affari ormai mature e nelle quali l'impresa ha acquisito una posizione
di forza. Si tratta di business che non richiedono più massicci investimenti di risorse e offrono buoni
profitti. Il quadrante dog, infine, raccoglie aree d'affari scarsamente attrattive perché in declino e nelle
quali non ha una posizione di rilievo. Alla luce di tutto ciò è evidente che:

• tanto più la scelta dell'impresa ricade su ASA collocabili nei quadranti del tipo question mark e
star, tanto più il portafoglio esprime un orientamento globale dell'impresa alla crescita e allo
sviluppo
• mentre un portafoglio basato principalmente su ASA collocabili nel quadrante cash cow rileva una
scelta di contenimento degli investimenti

Entrambi i portafogli si rivelano sbilanciati. Il primo richiede massicci e costanti impieghi di risorse e, nel
caso del quadrante question mark, assistiamo ad un portafoglio molto rischioso. Il secondo portafoglio

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

invece, punta tutto a trarre profitti da aree ormai mature e dove non sono richiesti massicci investimenti.
Una situazione equilibrata invece, è rappresentata da un portafoglio che accanto ad ASA in forte crescita
e bisognose di risorse, presenta un robusto nucleo di ASA mature i cui buoni risultati economici possono
essere impiegati per finanziare le ASA in fase di crescita o fronteggiare eventuali perdite che da esse
possono derivare. Per un accurato apprezzamento delle condizioni di equilibrio economico assume
importanza anche la configurazione di reddito alla quale riferirsi: operativo, ordinario, netto. Il reddito da
prendere a riferimento è necessariamente il reddito ordinario. Ciò che caratterizza questa configurazione
di reddito è l'indipendenza da valori derivanti da fenomeni straordinari di gestione. Poiché in quanto
straordinari, essi non si prospettano come ripetibili nel tempo, e quindi non devono essere considerati nel
momento in cui si vuole verificare se l'impresa ha una stabilizzata attitudine a coprire congruamente i
propri costi.

9.3 - LE DETERMINANTI DELL'EQUILIBRIO ECONOMICO

L'equilibrio economico è una condizione che non si determina spontaneamente nel sistema d'impresa e
inoltre, una volta raggiunto, va mantenuto nel tempo. Occorre per questo, individuare i fattori critici da cui
tale equilibrio deriva. Tali fattori sono quattro e sono:

1. prezzi di vendita
2. volumi di vendita
3. prezzi di acquisto
4. quantità di fattori produttivi acquistati e impiegati

1. I prezzi di vendita, altrimenti definibili come prezzi-ricavo, sono interpretabili come sintesi economica
delle condizioni operanti nel settore-mercato dove l'impresa svolge la sua attività. In questo senso, la
definizione del prezzo deve essere inquadrato all'interno del più generale problema del confronto fra
l'impresa e le diverse forze competitive che caratterizzano quel settore. In particolare, la determinazione
del prezzo è fortemente influenzata dal potere che i clienti possono esercitare sull'impresa. I clienti, che
sono per loro stessa natura espressione della domanda, se risultano essere “forti” possono condizionare il
prezzo, impedendone o contrastandone l'aumento. La forza che i clienti possono esercitare è rilevante
quando:

• i clienti sono concentrati o acquistano in grandi volumi


• il prodotto che acquistano è un componente del loro prodotto e ne influenza considerevolmente il
costo
• i clienti sono in grado di produrre essi stessi il prodotto che acquistano
• i clienti operano in settori che non consentono di lucrare alti profitti, da cui nasce un forte
incentivo a ridurre il più possibile i costi di approvvigionamento

La determinazione del prezzo, tuttavia, non dipende solo dal potere dei clienti, ma anche da altre forze
competitive, in particolare dalle altre imprese concorrenti già operanti nel settore, dai possibili nuovi
entranti e dall'esistenza di prodotti sostituitivi. Per quanto riguarda le imprese concorrenti che operano
nel settore, quando queste sono numerose o equivalenti per potere e dimensioni, si crea una forte rivalità
che può sfociare in battaglie al ribasso dei prezzi, così da accaparrarsi e mantenere fette di domanda. Lo
stesso accade se l'espansione del settore è lenta o se le barriere all'uscita (ad esempio il possedimento di
impianti fissi molto specializzati e quindi non economicamente riconvertibili ad altre produzioni) sono alte.
Per quanto riguarda i possibili nuovi concorrenti, se siamo di fronte ad un innalzamento dei prezzi (che
offre quindi la possibilità di ampi margini di profitto) è normale assistere ad un interessamento di imprese
operanti in altri settori. Il loro ingresso nel settore può stravolgere gli assetti competitivi presenti e così
causare forti rivalità da cui derivano cadute della redditività dell'impresa. Infine, nel caso in cui alcuni
prodotti sostituitivi presentino un rapporto qualità-prezzo migliore del prodotto della nostra impresa, essi
rappresentano una notevole minaccia.

2. I ricavi sono determinati, nel loro ammontare, anche dai volumi di vendita. Le forze competitive
richiamate concorrono a condizionare le quote di mercato che l'impresa è in grado di conquistare e
mantenere, da esse ovviamente discendono i volumi di produzione e di vendita. La conquista ed il
mantenimento delle quote di mercato dipendono strettamente dalle scelte di strategia competitiva
compiute dall'impresa. Le scelte di strategia competitiva comprendono sicuramente: il prezzo di vendita,
la qualità dei prodotti offerti, il loro contenuto tecnologico, il livello di innovazione che essi presentano e il
sistema di servizi e supporto dei prodotti. Anche la rete commerciale e i canali distribuitivi, le attività
pubblicitarie e promozionali fanno parte della strategia. I volumi di vendita però, sono profondamente
condizionati prima di tutto dalla capacità produttiva dell'impresa. La capacità produttiva è legata al
volume di fattori produttivi che l'impresa riesce ad acquisire e combinare, dunque alle dimensioni stesse
dell'impresa.

3. Anche i prezzi di acquisto, definibili anche come prezzi-costo, mettono in rilievo il tema dei rapporti
fra l'impresa e le forze competitive del settore in cui essa opera. Fondamentali, qui, sono le circostanze
che concorrono a definire il potere negoziale dei fornitori dell'impresa. I fornitori, infatti, possono
esercitare il proprio potere contrattuale nei confronti delle imprese di un settore aumentando i prezzi o

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

riducendo la qualità dei beni o servizi offerti. Fornitori forti, pertanto, possono far lievitare i costi
dell'impresa, comprimendone i margini di profitto se questa non è in grado di far riversare sui prezzi di
vendita l'aumento dei costi. I fornitori sono forti quando:

• non devono competere con altri beni/servizi alternativi


• sono potenzialmente in grado di operare una integrazione a valle della propria attività, ossia
possono acquisire le aziende clienti
• non vedono nell'impresa che riforniscono un cliente importante, al contrario, se la ritengono
importante imporranno un prezzo-costo ragionevole e offriranno assistenza come ricerca e
sviluppo

4. Quando la forza dei fornitori è elevata, l'impresa non potrà manovrare i prezzi-costi dei fattori produttivi
e, poiché la necessità di tenere sotto controllo i costi è insopprimibile, cercherà di agire sulle tipologie,
quantità e modalità di impiego dei fattori produttivi. In questa prospettiva un ruolo fondamentale è
ricoperto dai livelli di efficienza che caratterizzano i processi aziendali. L'efficienza fa riferimento al
rapporto input/output nei processi produttivi; sta a indicare la capacità di massimizzare tale rapporto,
riducendo l'input a parità di output o aumentando l'output a parità degli input. L'efficienza trova
espressione nella produttività aziendale, ossia nell'attitudine dei processi svolti nell'impresa a utilizzare
le risorse a disposizione evitando gli sprechi. Attraverso gli incrementi di produttività è possibile
aumentare i rendimenti dei vari fattori impiegati nella produzione e, quindi, acquistare e consumare
minori dosi di risorse per ottenere la stessa o anche una maggiore produzione. La manovra della
produttività risulta essere la strada maestra da seguire per ridurre i costi. In particolare, essa costituisce
l'indispensabile risposta ad aumenti esogeni dei prezzi di acquisto: attraverso il raggiungimento della
massima efficienza possibile nello svolgimento dei processi produttivi, l'impresa potrà compensare
l'incremento dei prezzi di acquisto attraverso i recuperi di produttività, consentendo al prodotto di restare
inalterato e così anche il relativo costo gravante sulla gestione. Accrescere i livelli di produttività richiede,
comunque, idonee scelte organizzative e specifici investimenti di capitale. Le prime, definendo le
modalità di svolgimento del lavoro, sono il naturale presupposto per un efficiente impiego delle risorse, i
secondi invece sono essenziali per acquisire mezzi materiali e immateriali grazie ai quali lavorare
efficientemente. Da non trascurare sono anche le iniziative di formazione e addestramento del personale
per renderlo idoneo ad applicare nuove e migliori modalità di lavoro. L'efficienza, vista quale espressione
del principio economico del minimo mezzo o del massimo risultato deve essere inquadrata all'interno del
concetto di equilibrio economico a valere nel tempo. L'efficienza è solo una condizione parziale della
economicità della gestione. In questo senso la produttività trova un vincolo nei livelli qualitativi della
produzione ottenuta. I rendimenti dei processi produttivi infatti, potrebbero essere fortemente accresciuti
a scapito dei livelli qualitativi dei prodotti ottenuti. Così facendo, però, si otterrebbero miglioramenti di
economicità illusori; questo perché la minor qualità dei prodotti, una volta percepita dal mercato, si
tradurrebbe in minori vendite o a prezzi minori. In sostanza, l'efficienza si deve coniugare con l'efficacia,
ossia con la capacità dell'impresa di conseguire gli obiettivi di output. Inoltre, l'ottenimento di elevati
livelli di produttività non può essere in contrasto con l'esigenza di mantenere il più possibile flessibili le
strutture e i processi aziendali. Tale esigenza è irrinunciabile quando l'impresa opera in un contesto molto
dinamico come quello odierno. L'incapacità di adattarsi rapidamente ed economicamente ai cambiamenti
porterà ben presto l'impresa in condizioni pessime. La flessibilità dell'impresa è strettamente collegata
alle tipologie di fattori produttivi richiesti dei processi produttivi e alle modalità di impiego di tali fattori. In
questa prospettiva i fattori produttivi si possono distinguere in:

• fattori produttivi a disponibilità rigida


• fattori produttivi a disponibilità elastica

I fattori produttivi a disponibilità rigida sono quelli i cui servizi vengono acquisiti in quantità
determinate in relazione a certe possibilità di loro impiego. L'utilizzazione di tali servizi, inoltre, non è
differibile, trattandosi di servizi che svaniscono con il decorrere del tempo. Essi, dunque, qualora non
vengano sfruttati risultano sprecati.
I fattori produttivi a disponibilità elastica, invece, possono essere acquisiti e impiegati nel momento
in cui se ne manifesta l'effettivo fabbisogno e nella misura di tale fabbisogno. Quanto più le combinazioni
produttive dell'impresa sono dominate da fattori rigidi, tanto più i costi che promanano da tali fattori non
potranno elasticamente adeguarsi alle variazioni dei volumi di produzione e di vendita. Comunque, con
riferimento ai fattori di disponibilità rigida si parla di costi fissi mentre per i fattori a disponibilità elastica
di costi variabili.

Qualunque scelta di gestione, sia pur motivata dalla volontà di accrescere i livelli di efficienza
dell'impresa, si può rivelare di fatto antieconomica nel medio-lungo periodo, se si accompagna
all'irrigidimento dei processi aziendali. Tale irrigidimento, infatti, causa l'aumento del rischio operativo e
quindi anche del costo del capitale. Il fabbisogno di fattori a disponibilità rigida, tuttavia, sia pur in varia
misura, è sempre presente in qualsiasi impresa. E' possibile però ottenere condizioni di maggiore
elasticità attraverso:

• l'esternalizzazione (outsourcing) dei processi di produzione. Una manovra rivolta in questa


direzione è costituita dal ricorso a lavorazioni presso terzi, cioè affidate ad altre aziende, sino ad

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

arrivare a limitare il ciclo produttivo svolto nell'impresa alla sola progettazione o al solo
“confezionamento” del prodotto
• l'acquisizione di fattori rigidi a “impiego polivalente”, idonei cioè, a essere agevolmente impiegati
in produzioni diversi

In conclusione, il principio dell'equilibrio economico si deve tradurre in una serie di criteri economici
particolari, quali quelli dell'efficienza, produttività, efficacia e flessibilità, adatti a risolvere i diversi
problemi che si pongono nella concreta realtà aziendale. Tuttavia, le decisioni prese seguendo tali criteri
devono sempre essere convalidate alla luce del contributo che possono offrire a creare le condizioni per
un equilibrio economico a valere nel tempo. Tale equilibrio, ricordiamo, non può mai darsi per acquisito
del tutto. Al contrario, la continua evoluzione di queste circostanze può sovvertire le posizioni di equilibrio
raggiunte. In questo senso, sistema dei prezzi-ricavo e dei prezzi-costo, efficienza, efficacia e flessibilità
concorrono a dar corpo al concetto di rischio economico della gestione, ossia alla possibilità che il flusso
dei ricavi non riesca a remunerare convenientemente tutti i diversi fattori impiegati nella produzione.

9.4 - I COSTI

Il raggiungimento di condizioni di equilibrio economico impone di tenere sotto costante controllo i costi. E'
necessario però, mettere a fuoco alcune distinzioni e classificazioni dei costi utili per una approfondita
interpretazione degli andamenti aziendali.

9.4.1 - I COSTI VARIABILI E COSTI FISSI

I costi possono essere classificati in base al loro comportamento al variare del volume di produzione. Si
distingue cosi tra:

• costi variabili
• costi fissi

I costi variabili risultano variare, secondo un determinato rapporto, al variare del volume di produzione
(costi variabili di produzione) o di vendita (costi variabili commerciali) di un prodotto. Essi sono
riconducibili a fattori produttivi a disponibilità elastica. Esempi di costi variabili (di produzione) sono
costituiti dai costi delle MP, della manodopera diretta, etc.

L'inclinazione della retta (coefficiente a) dipende dal costo variabile medio unitario (cvu), ossia
dall'ammontare dei costi variabili dei fattori produttivi diviso per la produzione espressa come numero di
pezzi, metri, etc. Avremo quindi, un costo variabile medio per ogni pezzo prodotto. Il cvu dipende da
condizioni di prezzo (se il costo del fattore produttivo aumenta, la retta dei costi si inclinerà
maggiormente verso l'alto) e da condizioni di efficienza (se grazie ai recuperi di produttività diminuisce la
quantità di fattori produttivi impiegati allora la retta si inclinerà verso il basso). Per semplicità, solitamente
viene presupposto che i costi variabili siano proporzionali, ossia varino nella stessa direzione e con
intensità proporzionata alla variazione del volume produttivo. Nella realtà, tuttavia, il rapporto che lega
l'andamento dei costi variabili ai volumi di produzione può anche essere di altro ordine. In questo senso i
costi variabili oltre che proporzionali possono essere:

• progressivi
• degressivi

I costi variabili progressivi variano in maniera più che proporzionale al variare della produzione. Il
costo variabile medio unitario non è costante, bensì proporzionale secondo una relazione del tipo:
y=ax^2. Il costo dei fattori produttivi presenta questo andamento progressivo quando si intensifica la
produzione oltre il normale grado di sfruttamento degli impianti.

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

E' y=ax^2 -------->

I costi variabili degressivi, invece, variano nello stesso senso del volume produttivo, ma con minore
intensità. Sono, in altre parole, costi meno che proporzionali. Il loro andamento è rappresentato da una
funzione del tipo: y=a√x. Il costo medio unitario ha un andamento inversamente proporzionale agli
incrementi dei volumi di produzione. Un esempio è rappresentato da fattori produttivi per i quali l'impresa
riesce ad ottenere sconti di quantità sugli acquisti.

Ai costi variabili si contrappongono i costi fissi, ossia costi che restano invariati al variare dei volumi di
produzione o vendita. Essi sono riconducibili a fattori produttivi a disponibilità rigida. Un esempio di costi
fissi è rappresentato dall'affitto dello stabilimento dove si svolge la produzione. Graficamente i costi fissi
si rappresentano tracciando l'andamento di una funzione del tipo y=a, ossia di una costante.

I costi fissi incidono sull'unità di prodotto in misura minore mano a mano che la produzione cresce.

E' necessario però fare una precisazione. I costi fissi sono tipicamente legati alla struttura aziendale e alla
conseguente capacità produttiva dell'impresa. Tali costi, pertanto, restano fissi finché le variazioni dei
volumi di attività si mantengono entro la capacità produttiva massima della struttura. Graficamente,
l'andamento dei costi fissi in relazione al variare dei livelli di capacità produttiva è:

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

I costi fissi di struttura sono, dunque, anch'essi proporzionali: lo sono però alla capacità produttiva.
Sempre ai costi fissi si possono ricondurre anche i costi relativi a iniziative pubblicitarie, promozionali, di
formazione del personale e a progetti di ricerca e sviluppo. Questi costi possono essere definiti come
costi fissi di sviluppo o di politica. A differenza dei costi di struttura, più strettamente legati alla
capacità produttiva, quelli di sviluppo possono essere variati con una certa facilità. Tuttavia, il fatto che
l'importo dei costi di sviluppo possa cambiare di anno in anno non significa che non siano costi fissi; fissi
infatti, sta a significare non di importo costante, ma da sostenere indipendentemente dai volumi di
produzione e vendita realizzati. Non mancano, infine, molteplici costi con andamento semivariabile,
ossia costi che presentano una componente fissa e una componente variabile. Ad esempio lo sono i costi
di forza motrice: accanto al canone (costo fisso) si pongono i costi direttamente misurati allo sfruttamento
dell'energia in relazione al volume di attività produttiva realizzato (costo variabile). La distinzione fra costi
variabili e fissi risulta utile come supporto ai processi decisionali e nelle analisi concernenti la redditività
aziendale. Anzitutto, la distinzione è essenziale per individuare il volume di produzione e vendita
critico, ossia il volume al di sotto del quale l'impresa è in perdita, mentre al di sopra, consegue un utile.
La determinazione della produzione critica si fonda su particolari calcoli che vanno sotto il nome di analisi
del punto di pareggio o Break Even Analysis (B.E.A). Tale analisi può essere effettuata sia
algebricamente che graficamente. Seguendo la via algebrica, il punto di pareggio si individua attraverso
la seguente espressione:

q x pu = cf + cvu x q
[1]

q = quantità, pu = prezzo unitario, cf = costi fissi, cvu =costo variabile medio unitario

I valori impiegati nell'analisi del punto di pareggio sono, di regola, relativi all'area operativa della
gestione; si tratta, dunque, di costi operativi e di utile e perdita operativi. Sulla base della precedente
espressione, la quantità di pareggio risulta essere:

q = cf / (pu – cvu)
[2]

ESEMPIO:
1. Costi fissi operativi = 1.000
2. Costi variabili operativi, per ogni unità di prodotto, in media = 3
3. Prezzo di vendita unitario = 8

Sarà → q = 1.000 / (8 – 3) = 1.000 / 5 = 200 Unità

L'impresa quindi dovrà produrre e vendere 200 unità di prodotto se vorrà perlomeno recuperare tutti i
costi operativi sostenuti, ottenendo un risultato operativo pari a 0

All'impresa non interessa tanto il volume di equilibrio, bensì conoscere il volume di produzione
necessario per ottenere un utile soddisfacente. Tale valore può essere ricavato partendo dalle
precedenti espressioni:

q = (utile desiderato + cf) / (pu – cvu)


[3]

ESEMPIO
1. Costi fissi operativi = 1.000
2. Costi variabili operativi, per ogni unità di prodotto, in media = 3
3. Prezzo di vendita unitario = 8
4. Utile operativo desiderato = 5.000

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

Sarà → x = (5.000 + 1.000) / (8 – 3) = 6.000 / 5 = 1.200 Unità

Per conseguire il livello di utile desiderato, dunque, l'impresa dovrà produrre e vendere, a quel dato
prezzo, 1.200 unità di prodotto

Analogamente, partendo dai ricavi di vendita conseguiti, sulla base della [2] è possibile determinare il
fatturato di pareggio. Questo sarà dato da:

Fatturato di pareggio = cf / [1 – (cv / fatturato effettivo)]


[4]

Conoscere il fatturato di pareggio aiuta a misurare il margine di sicurezza, ossia di quanto


percentualmente i ricavi di vendita si possono ridurre prima di entrare nell'area di perdita. Maggiore è il
margine di sicurezza, minore è il rischio che l'impresa corre di subire perdite a causa di una contrazione
delle proprie vendite. Il margine di sicurezza dipende dalla struttura dei costi, ossia dalla ripartizione
dei costi operativi aziendali fra fissi e variabili. Infatti, più rigida è la struttura dei costi, ossia maggiore è il
peso dei costi fissi, più volatile si presenta la redditività aziendale, ossia piccole riduzioni dei volumi di
produzione e vendita danno luogo a forti variazioni del reddito. Un'impresa con una struttura più rigida
rispetto ad un'altra risulta essere quindi meno sicura. Questo perché i costi fissi agiscono come “leva” che
moltiplica l'effetto esercitato dalla variazione dei ricavi sul risultato operativo, ed è per questo che si
parla, in proposito, di effetto di leva operativa. Va ricordato che i costi variabili si possono adeguare alle
variazioni dei volumi di produzione e vendita, mentre i costi fissi restano invariati.

La struttura dei costi, dunque, concorre a definire il grado di rischio operativo della gestione. Tale rischio è
ovviamente determinato anche dai settori/mercati ai quali l'impresa si rivolge. Settori nei quali le vendite
sono scarsamente influenzate dagli andamenti generali dell'economia, presentano gradi di rischio
operativo più contenuti. Anche l'intensità della competizione che caratterizza il settore influenza il livello
di rischio operativo: più questa è intensa, maggiore è il rischio.

Il punto di pareggio, come già accennato, può essere determinato anche per via grafica. La retta dei costi
partirà da un dato valore delle y corrispondente all'ammontare dei costi fissi. L'inclinazione della retta
dipenderà dall'ammontare del costo variabile medio unitario. Dall'origine, invece, partirà la retta dei ricavi
e la sua inclinazione dipenderà dal prezzo unitario: più alto è il prezzo, più inclinata sarà la retta. E'
immediatamente riscontrabile un punto nel quale la retta dei ricavi e quella dei costi si incontrano: è il
punto di pareggio o Break Even Point (BEP). A sinistra di quel punto i costi superano i ricavi (e quindi
l'impresa opera in perdita), mentre a destra i ricavi superano i costi (e si entra nell'area di utile). L'analisi
del punto di pareggio si fonda su ipotesi semplificatrici che ne limitano la validità e la portata applicativa.
Le principali ipotesi sono:

• netta distinzione fra costi fissi e costi variabile, mentre nella realtà aziendale è presente un
continuum entro cui si collocano costi in varia misura fissi e variabili
• la quantità prodotta è uguale a quella venduta
• assenza di elasticità della domanda al variare del prezzo
• costi variabili puramente proporzionali

Ciò nonostante, la BEA permette di mettere in risalto le fondamentali relazioni esistenti fra le variabili
chiave della redditività operativa aziendale, e cioè:

• costi operativi
• prezzi di vendita
• volumi di vendita

Si tratta, dunque, di un modello di rappresentazione della realtà aziendale la cui utilità è rilevante per
indagini sia retrospettive che prospettiche. In queste ultime la BEA consente di effettuare simulazioni per
valutare le conseguenze di variazioni dei costi operativi/prezzi di vendita/volumi di vendita sulla
redditività aziendale. E' per questo che la BEA trova impiego nella formazione del budget. Attraverso il
budget, infatti, si definiscono gli obiettivi da raggiungere nell'arco di un periodo amministrativo. Tali

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

obiettivi vengono assegnati alle diverse aree funzionali che sono variamente chiamate allo svolgimento
della gestione. Fra le aree funzionali, l'area marketing e l'area produzione rivestono un ruolo
fondamentale. Gli obiettivi assegnati all'area di marketing sono essenzialmente obiettivi di volumi di
vendita e di relativi ricavi. Determinando il budget commerciale si va a trovare il più conveniente binomio
prezzo-quantità di vendita al fine di raggiungere i livelli di redditività che l'impresa, nel suo complesso, si
è fissata come obiettivo. Gli obiettivi dell'area produzione, invece, sono obiettivi di livelli di costo da
sostenere in relazione a determinati volumi di produzione necessari per alimentare i processi di vendita.
In questo quadro l'analisi del punto di pareggio, permettendo di coniugare prezzi, quantità e costi e di
verificare il loro effetto sulla redditività aziendale, offre elementi preziosi per programmare gli obiettivi da
realizzare nel periodo di budget in termini di volumi e prezzi di vendita, da un lato, e volumi e prezzi di
produzione, dall'altro. Il ricordo alla BEA inoltre, è fondamentale nel momento in cui si deve progettare
un'azienda e definirne la capacità produttiva, cioè nella fase di start-up. In questo momento, i promotori
dell'impresa dovranno predeterminare i costi fissi connessi a una certa struttura dell'azienda e stimare
l'entità dei costi variabili della produzione. Partendo da questi valori e attraverso un'analisi del mercato, si
formuleranno ipotesi di volumi e di prezzi di vendita, se l'analisi mostrerà l'impossibilità di riuscire a
vendere certi volumi a certi prezzi, sarà allora il caso di rivedere le ipotesi su cui si fonda la creazione
dell'azienda.

L'analisi costi-volumi-profitto segnala la rilevanza di una grandezza economica: il margine lordo di


contribuzione. Questo è dato dalla differenza fra ricavi di vendita e costi variabili, ossia:

Ricavi di vendita
- Costi variabili
= Margine lordo di
contribuzione

Il margine di contribuzione è utile per valutare la redditività della produzione e, dunque, per scegliere su
quali di queste concentrare gli sforzi dell'impresa. Dal momento che i costi fissi devono essere comunque
sostenuti, è ovvio che la redditività dell'impresa dipenderà dallo scarto fra i ricavi e i costi variabili. Proprio
tale scarto assicurerà poi la copertura dei costi fissi e la formazione dell'utile aziendale.

Si supponga che l'impresa Alfa produca tre prodotti A, B, C. I relativi valori siano i seguenti:

Prodotto Quantità Prezzo Unitario Ricavo Costo Variabile Unitario Costo Variabile Totale
A 500 2 1.000 1,3 650
B 100 8 800 5 500
C 100 5 500 2 200

Si supponga che i costi fissi siano pari a 800. Con un semplice calcolo è possibile individuare il margine
lordo di contribuzione dei tre prodotti:

• MLC prodotto A: 350


• MLC prodotto B: 300
• MLC prodotto C: 300

Alla luce di quanto osservato, l'impresa dovrebbe “spingere” sul prodotto che presenta il margine di
contribuzione più elevato. Esso, infatti, potrà maggiormente concorrere alla copertura degli inevitabili
costi fissi e alle formazione di un reddito positivo. Il prodotto A, dunque, appare quello su cui puntare.

Tuttavia, un ragionamento corretto non può limitarsi al margine di contribuzione totale di ogni prodotto. E'
evidente che questo dipende largamente dai volumi di vendita di ogni prodotto. L'analisi, pertanto, deve
essere affinata guardando al margine lordo di contribuzione unitario (MLCu), ossia il margine relativo
a ogni unità di prodotto venduta. Il MLCu si ottiene così: prezzo unitario di vendita – costo variabile
unitario; ossia margine lordo di contribuzione totale diviso per il numero di unità prodotte e vendute .
Tornando all'esempio, avremo:

• MLCu prodotto A: 0,7


• MLCu prodotto B: 3
• MLCu prodotto C: 3

Ragionando in termini unitari, le cose cambiano: il prodotto A non è più il prodotto maggiormente
redditizio. Infatti, per ogni unità venduta di A, lucriamo un margine di 0,7 mentre per i prodotti B e C il
margine è di 3. Il più alto margine lordo di contribuzione di A deriva dal fatto che i volumi di vendita di
tale prodotto sono più elevati rispetto a quelli degli altri due. A parità di fattori però, all'impresa conviene

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

“spingere” su B e C. Ragionando in questi termini, ulteriori elementi per impostare il giudizio di


convenienza posso essere ottenuti calcolando il margine lordo di contribuzione percentuale. Questo
si ottiene dividendo il MLC di ogni prodotto per l'importo dei relativi ricavi. In tal modo, si riesce ad
apprezzare il contributo offerto, alla copertura dei costi fissi e alla formazione del reddito, da ogni 100
unità monetarie (euro, dollari, etc) di fatturato di quel prodotto. Tornando all'esempio avremo:

• prodotto A: 350 / 1.000 = 35%


• prodotto B: 300 / 800 = 37,5%
• prodotto C: 300 / 500 = 60%

Secondo questa ulteriore prospettiva è il prodotto C quello che presenta un assorbimento dei ricavi da
parte dei costi variabili più basso rispetto agli altri prodotti. Le determinazioni quantitative a cui si è fatto
cenno offrono all'impresa indicazioni preziose per decidere in modo razionale, tuttavia, la valutazione dei
prodotti e la scelta di quali privilegiare riposano anche sulla considerazione di altri fattori. Cruciali, in
particolare, appaiono i fattori di marketing propri di ogni prodotto. Va considerato che, anche se un
prodotto sulla carta è più redditizio e presenta un MLCu o MLC percentuale più alto, è possibile che
riscontri notevoli difficoltà (a causa della concorrenza, del suo prezzo, etc) a essere venduto in volumi tali
da raggiungere un margine di contribuzione totale che consenta di ottenere effettivamente soddisfacenti
livelli di redditività.

9.4.2 - COSTI SPECIALI E COSTI COMUNI

I costi aziendali, oltre che in fissi e variabili, possono essere distinti in:

• costi speciali
• costi comuni

I costi speciali sono quelli che si possono attribuire a un “oggetto” (ad esempio un prodotto) mediante
misurazione oggettiva. Il concorso di questi costi è oggettivamente determinabile; si può cioè conoscere
in quale misura il fattore produttivo x è stato consumato per ottenere il prodotto y. Per alcuni costi, però,
le cose stanno diversamente. Il loro concorso alla realizzazione del prodotto non è determinabile in
maniera oggettiva. Non è, cioè, possibile quantificare con precisione in che misura un fattore produttivo x
è stato consumato per realizzare il prodotto y. Ad esempio, se in uno stabilimento vengono allo stesso
tempo fabbricati i prodotti A, B e C, i costi di illuminazione dello stabilimento non sono imputabili a
ciascun prodotto in maniera oggettiva. In molti casi, lo stesso vale per i costi di ammortamento se relativi
a un macchinario impiegato nella produzione dei suddetti prodotti. Questi esempi riguardano una risorsa
che viene utilizzata in comune per produrre più beni. I costi relativi a tale risorsa sono, pertanto, costi
comuni alle diverse produzioni. La qualifica di costo speciale o comune, comunque, dipende dall'oggetto
di riferimento. Ad esempio, il costo di ammortamento di un impianto utilizzato in un determinato reparto
dell'impresa è speciale se l'oggetto al quale si riferiscono i costi è quel reparto; ma se l'impianto concorre
alla produzione di più prodotti distinti, rispetto a ciascuno di essi diventa comune. La distinzione tra costi
speciali e comuni non ricalca quella fra costi fissi e variabili. Infatti, i costi speciali possono essere sia
variabili che fissi (le materie prime usate per la produzione del bene A sono un tipico esempio di costo
speciale variabile, mentre l'ammortamento del macchinario utilizzato esclusivamente per la produzione
dello stesso bene A è un tipico esempio di costo speciale fisso). I costi comuni, invece, sono costi
prevalentemente fissi. Volendo determinare il costo di un prodotto è necessario conoscere anche quanta
parte dei costi comuni si può riferire ad esso, per farlo occorre definire un criterio di ripartizione e da
questo derivare un coefficiente di ripartizione. Si tratta, in sostanza, di individuare una grandezza in
base alla quale attribuire ai differenti prodotti il costo relativo al consumo del fattore comune. Tale
grandezza deve essere oggettivamente misurabile e deve esprimere secondo un rapporto funzionale o
casuale, il concorso del fattore produttivo comune alla realizzazione del prodotto. I criteri di ripartizione
adottabili sono di due ordini:

• base unica
• base multipla

Con base unica i costi comuni vengono considerati complessivamente, senza operare alcuna distinzione
che tenga conto della loro diversa natura. Non si procede, quindi, a distinguere fra costi di illuminazione,
costi di affitto, etc. L'attribuzione dei costi comuni, in ogni caso, è necessariamente soggettiva e più
incerta della quantificazione dei costi speciali. Nel caso della base unica questa soggettività è
particolarmente elevata in quanto si usa lo stesso fattore di ripartizione per costi comuni fra loro anche
molto diversi.

ESEMPIO:
L'impresa Alfa produce i prodotti A e B. Si supponga di aver sostenuto, per la realizzazione di tali
prodotti, costi di illuminazione per 600 e costi di ammortamento per 400. Seguendo il metodo di
imputazione dei costi comuni a base unica, si considera l'importo globale di tali cosi, ossia 1.000. Come
fattore in base al quale compiere la ripartizione si sceglie le ore di manodopera diretta (MOD). Le ore

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

impiegate in totale sono 50, 30 per A e 20 per B. A questo punto basta fare: 1.000 / 50 = 20
A: 20 * 30 = 600
B: 20 * 20 = 400

Il criterio a base multipla cerca di superare le evidenti approssimazioni del criterio a base unica. Esso
distingue i diversi costi comuni in gruppi e, per ogni gruppo, utilizza una base di ripartizione ad hoc.

ESEMPIO:
L'impresa Alfa produce i prodotti A e B. Si supponga di aver sostenuto, per la realizzazione di tali
prodotti, costi di illuminazione per 600 e costi di ammortamento per 400. Seguendo il metodo di
imputazione dei costi comuni a base unica, si considera l'importo globale di tali cosi, ossia 1.000. Come
fattore in base al quale compiere la ripartizione si sceglie le ore di manodopera diretta (MOD) per quanto
riguarda i costi di illuminazione mentre per i costi di ammortamento verranno usate le ore macchina
lavorate dall'impianto al quale l'ammortamento si riferisce. Le ore macchina impiegate in totale sono 40,
15 per A e 25 per B.
A questo punto basta fare:
A → costi di illuminazione per 360, ossia (600 / 50 = 12) x 30
→ costi di ammortamento per 150, ossia (400 / 40 = 10) x 15
Il tutto per un totale di 510. Al prodotto B verranno addossati i restanti costi di 490

Quale che sia la logica di ripartizione adottata, la scelta della base di ripartizione e la conseguente
attribuzione dei costi comuni presenta un forte grado di soggettività. Basi di imputazione diverse
impiegate per ripartire lo stesso ammontare di costi comuni portano a quantificazioni del costo del
prodotto anche profondamente differenti. Molto frequentemente, nella prassi aziendale, la distinzione fra
costi speciali e comuni è sostituita da quelle fra:

• costi diretti
• costi indiretti

I costi indiretti si considerano:

• i costi che non sono oggettivamente attribuibili a un dato oggetto


• i costi per i quali esisterebbe la possibilità materiale di misurarne oggettivamente il contributo alla
produzione di un dato bene, ma manca la convenienza a farlo

Ad esempio, supponiamo che nell'impresa Alfa ci siano tre macchinari ma un solo contatore, in tale
situazione il costo di forza motrice diventa un costo comune, tuttavia esso, volendo, potrebbe essere reso
speciale mediante l'applicazione di altri due contatori. Tutto ciò però potrebbe essere considerato troppo
dispendioso rispetto ai vantaggi ottenibili. E' necessario specificare che:

• i costi speciali possono essere diretti o indiretti


• i costi comuni sono solo indiretti

La distinzione fra costi speciali e comuni, unitamente a quella fra costi fissi e variabili, risulta molto utile
per valutare il contributo offerto dalle varie produzioni alla redditività aziendale. Riprendiamo l'esempio
precedente dei tre prodotti A, B e C. Ragionando in termini di margine di contribuzione prima unitario e
poi percentuale, il prodotto ritenuto migliore era quello C. Però, se fra i costi fissi dell'impresa ve ne sono
alcuni speciali, ossia direttamente legati all'ottenimento di un preciso prodotto, le cose cambiano.
Ipotizziamo ad esempio che i costi fissi, che ammontano a 800, siano così ripartiti:

• fissi comuni 200


• fissi speciali rispetto ad A 100
• fissi speciali rispetto a B 100
• fissi speciali rispetto a C 400

La situazione dei tre prodotti diventa quindi la seguente:

Prodotto A Prodotto B Prodotto C


Ricavo 1.000 800 500
Costi variabili speciali 650 500 200
Margine lordo di contribuzione 350 300 300
Costi fissi speciali 100 100 400
Margine semilordo di 250 200 - 100
contribuzione

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

E' evidente che adesso il prodotto C non offre alcun contributo positivo alla redditività aziendale. I ricavi
che esso genera non sono in grado di coprire i costi specifici legati alla sua produzione. L'esempio mette
in evidenza il margine semilordo di contribuzione, che si determina come differenza fra ricavi di
vendita e costi speciali, ossia:

Ricavi di vendita
- Costi speciali
= Margine semilordo di
contribuzione

Il margine semilordo contrappone ai ricavi di un dato prodotto tutti i costi che l'impresa specificamente
sostiene per realizzarlo e consente di esprimere giudizi più mirati sull'effettivo grado di convenienza delle
diverse produzioni aziendali.

9.4.3 - LA RIPARTIZIONE DEI COSTI COMUNI E LA “CATENA DEL VALORE”

Come già accennato in precedenza, la suddivisione dei costi comuni avviene mediante l'individuazione di
uno (o più) coefficienti di ripartizione. Al fine di ottenere la migliore ripartizione possibile, i coefficienti
individuati devono possedere due caratteristiche: essere oggettivamente misurabili ed esprimere secondo
un rapporto funzionale o casuale, il concorso del fattore produttivo alla realizzazione del prodotto.
Approfondiamo ora questo secondo aspetto. I coefficienti di ripartizione precedentemente proposti hanno
natura volumetrica, vengono cioè determinati partendo da volumi di input (ore di MOD, ore di macchina,
etc) o da volumi di output (numero unità prodotte). La scelta di un parametro di natura volumetrica in
alcuni casi può risultare quella più semplice ed efficace. Tuttavia, alcuni costi comuni vengono mal ripartiti
mediante coefficienti volumetrici, per ovviare a questo è necessario chiedersi “che cosa fa” un fattore
produttivo X nell'ambito del processo produttivo. La realizzazione di un prodotto è il frutto di una serie di
attività che vengono svolte seguendo un determinato processo. Il nesso fra costi e attività è più forte di
quello fra costi e prodotti (anche logicamente, i prodotti vengono realizzati mediante lo svolgimento di
determinate attività le quali, svolgendosi, generano costi). L'attenzione, così, si sposta sulla gestione
interna poiché è qui che si realizzano le attività strettamente trasformative dell'impresa. La gestione
interna può essere vista come una catena del valore dove diverse attività vengono ordinate e poste fra
loro in sequenza così da formare una catena di processi che, partendo dai fattori produttivi (gli input),
determinano come risultato l'ottenimento e la vendita della produzione (gli output). Il valore è la
differenza fra i ricavi dei prodotti o servizi realizzati (output) e il costo delle risorse assorbite nello
svolgimento delle diverse attività (input).

Le attività della catena si distinguono tra:

• attività primarie
• attività di supporto

Le attività primarie sono quelle che concorrono alla realizzazione materiale del prodotto, esse si
suddividono in:

• logistica in entrata, che interessa tutte le attività associate al ricevimento, magazzinaggio e


distribuzione degli input alla funzione di produzione
• attività operative, che fanno riferimento alle attività associate alla trasformazione degli input nel
prodotto finale
• logistica in uscita, che raccoglie le attività di raccolta, magazzinaggio e distribuzione fisica del
prodotto ai compratori

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

• marketing e vendite, che comprendono le attività orientate a procurare i mezzi mediante i quali i
compratori possono acquistare il prodotto e sono indotti a farlo
• servizi, ossia le attività tese a migliorare o a mantenere il valore del prodotto, come l'assistenza
post-vendita

Le attività primarie sono sostenute dalle attività di supporto, le quali forniscono fattori di input,
tecnologie, risorse umane e altri servizi. Le fondamentali attività di supporto sono quattro:

• approvvigionamento, che comprende le attività di acquisto degli input utilizzati all'interno di tutta
la catena del valore
• sviluppo della tecnologia, che riguarda le attività di sviluppo del prodotto o del processo
produttivo
• gestione delle risorse umane, che interessa le attività di ricerca, assunzione, addestramento,
sviluppo e mobilità del personale
• attività infrastrutturali, che fanno riferimento alle attività di natura amministrativa

Ovviamente, quelle richiamate sono solo le macro-attività che seguono lo svolgimento della gestione,
ognuna di esse poi è animata da molteplici sub-attività di carattere più specifico. Questa mappatura delle
attività di gestione interna costituisce il presupposto per ripartire i costi comuni attraverso l'applicazione
della metodologia Activity Based Costing (ABC). Seguendo la logica dell'ABC, i costi comuni vengono
imputati prima alle attività svolte e successivamente ai prodotti che hanno richiesto lo svolgimento di tali
attività. Per il funzionamento dell'ABC si rendono indispensabili tre passaggi:

• identificazione delle attività e dei relativi costi


• individuazione dei cost driver
• attribuzione dei costi delle attività ai prodotti mediante l'utilizzo dei cost driver

Per prima cosa vanno identificate le attività che concorrono alla realizzazione e alla vendita della
produzione, tali attività devono essere ben identificabili e devono generare elevati fabbisogni di risorse.
Individuate queste attività si passa a definire il cost driver. Il termine sta per “causa” dei costi di
un'attività. Esso esprime un criterio per misurare il fabbisogno di attività (e quindi di risorse) che un certo
prodotto genera. Infine si arriva all'attribuzione dei costi ai prodotti moltiplicando il costo della singola
attività per il cost driver individuato.

ESEMPIO:
L'impresa Alfa produce 3.200 prodotti mediante due linee di produzione: X e Y. La linea X realizza due
prodotti, 1.300 di A e 1.300 di B. La linea Y, invece, realizza tre prodotti, 200 di C, 200 di D e 200 di E. I
costi della manodopera indiretta (MOI) ammontano a 960 e sono causati dalle attività di riattrezzaggio
delle linee produttive per il cambio dei prodotti. In particolare ciascun prodotto della linea X viene
immesso in produzione 24 volte all'anno, mentre ciascun prodotto della linea Y viene messo in
produzione 48 volte, per un totale di 192. Se l'attribuzione della manodopera indiretta avvenisse
mediante l'impiego di un coefficiente volumetrico, come per esempio le unità prodotte, il risultato
sarebbe:

A B C D E TOT
Quantità prodotte 1.30 1.30 20 20 20 3.20
0 0 0 0 0 0
Costo MOI attività di 960
riattrezzaggio
Coefficiente di ripartizione 960 / 3.200 = 0,3
Ripartizione della MOI 390 390 60 60 60 960

Se utilizziamo l'ABC, individuando nell'attività di riattrezzaggio l'origine dei costi della manodopera
indiretta e nel numero di riattrezzaggi il cost driver, il risultato al quale giungiamo è il seguente:

A B C D E TOT
Quantità prodotte 1.30 1.30 20 20 20 3.20
0 0 0 0 0 0
Costo MOI attività di 960
riattrezzaggio
Costo della singola attività 960 / 192 = 5
Cost Driver 24 24 48 48 48 192

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

Ripartizione della MOI 120 120 24 24 24 960


0 0 0

Prendendo in esame il prodotto A, con la logica volumetrica i costi di MOI a lui attribuiti ammontano a
390, mentre considerando le attività tali costi scendono a 120.

L'esempio mette in evidenza che l'utilizzo di una base di ripartizione volumetrica, sposta il peso dei costi
comuni da una linea di produzione all'altra. I costi comuni che generano maggiori problemi sono quelli
connessi alle attività di supporto, oltretutto, tali costi, hanno spesso un'incidenza molto elevata sul totale
dei costi dell'impresa. Questo fatto porta, inevitabilmente, ad attribuire maggiori costi alle produzioni
numericamente più consistenti, rispetto a quelle numericamente più contenute, ma più complesse in
termini di attività di supporto. L'effetto è quello di far apparire queste ultime più redditizie (poiché gravate
di minori costi) di quanto non lo siano realmente. L'utilizzo della catena del valore come chiave di lettura
della gestione interna non si rivela utile solo per la corretta attribuzione dei costi comuni ai prodotti
mediante l'utilizzo della metodologia ABC. Attraverso la catena del valore è possibile anche distinguere le
attività strategiche che effettivamente contribuiscono alla generazione di valore dalle altre che non lo
fanno e che pesano oltretutto in termini di assorbimento delle risorse. L'analisi della gestione interna
attraverso la catena dei valori assume una valenza gestionale e strategica poiché spinge al
potenziamento delle attività che generano valore e all'eliminazione di quelle che non lo fanno. Si realizza
così un passaggio dalla misurazione dei costi delle attività attraverso l'ABC, alla loro gestione attraverso
l'Activity Based Management (ABM).

9.4.4 - COSTI PARZIALI E COSTI PIENI

Ogni prodotto nasce dalla graduale aggregazione di vari fattori produttivi, speciali e comuni. Il costo
complessivo dell'oggetto può essere visto come il risultato della stratificazione di tanti costi elementari,
ossia costi dei singoli fattori produttivi coinvolti nel processo di produzione. In questo senso, è possibile
identificare, relativamente a un dato prodotto, una serie di figure di costo. Ogni figura, o configurazione,
deriva dall'addensamento intorno al prodotto di un dato insieme di costi elementari. Si individuano così:

• costi parziali
• costi pieni

I costi parziali esprimono configurazioni di costo ottenute considerando solo alcune delle voci di costo
relative al prodotto; i costi pieni, invece, sono configurazioni ottenute considerando tutte le voci di costo.
Guardando ad un'impresa manifatturiera ad esempio, una prima possibile configurazione di costo è quella
del costo variabile o direct cost. Questa è espressa dalla somma di tutti i costi variabili del prodotto,
industriali e non. Questa configurazione è utile per l'analisi del punto di pareggio e per calcoli di
convenienza economica, ma non offre indicazioni per la soluzione di problemi connessi all'eliminazione di
un prodotto. Da qui, la configurazione a costo primo industriale. Questo risulta dalla somma di tutti i
costi speciali o diretti, rispetto al prodotto, di natura industriale, cioè relativi al processo trasformativo.

In particolare, i componenti fondamentali del costo primo sono:

• materie prime
• manodopera diretta
• forza motrice a contatore

Il costo primo, raccogliendo i costi speciali del prodotto, è una figura di costo sostanzialmente oggettiva.
Essa si rivela importante per la formulazione di giudizi di convenienza economica sulle produzioni attuate
dall'impresa. Il peso della componente industriale sulla struttura dei costi può essere compiutamente
apprezzato solo ricorrendo alla configurazione del costo industriale. Tale costo si ottiene sommando, al
costo primo, i costi comuni o indiretti industriali. Esso esprime il complesso dei costi sostenuti
dall'impresa per svolgere l'attività di produzione del bene. Esempi di costi che concorrono a tale
configurazione sono:

• manodopera indiretta industriale


• ammortamenti degli impianti industriali
• spese di affitto dello stabilimento industriale
• forza motrice indistinta impiegata per alimentare gli impianti industriali

Il costo industriale è sicuramente meno oggettivo del costo primo perché richiede la ripartizione di costi
industriali comuni mediante il ricorso a basi di imputazione. In questo senso, ancor più soggettiva è la
configurazione del costo complessivo o full cost. Questo si ottiene sommando, al costo industriale,
tutti i restanti costi, speciali e comuni, relativi allo svolgimento delle altre attività funzionali dell'impresa,
diversa da quella propriamente produttiva. Esempi di tali costi sono:

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

• costi commerciali
• interessi passivi
• costi amministrativi
• costi tributari

Il costo complessivo trova prevalente impiego nella fissazione dei prezzi di vendita attraverso l'approccio
cost-plus pricing. Il prezzo, in pratica, viene fissato in modo da coprire tutti i costi speciali e comuni
addossabili al prodotto e da assicurare la formazione del margine di utile desiderato. In questa prospettiva
si colloca anche la figura del costo economico-tecnino. Il costo economico-tecnico si ottiene
aggiungendo al costo complessivo gli oneri figurativi, ossia costi relativi alla remunerazione di fattori
particolari che non comportano esborsi monetari, ma che comunque, concorrono alla produzione
aziendale, intesa in senso ampio. Tali fattori sono individuabili: nel capitale proprio investito nell'impresa e
nel rischio grava sull'attività aziendale. Nel caso di un'impresa mercantile, le figure di costo sono in parte
diverse. Manca, in particolare, la figura del costo industriale. L'articolazione delle diverse figure è:

• costo mercantile
• costo complessivo
• costo economico-tecnico

Il costo mercantile è l'omologo del costo industriale delle imprese manifatturiere, esso comprende:

• costi all'origine delle merci acquistate


• costi accessori di acquisto aggiunti in fattura
• costi accessori di acquisto extra-fattura

Al costo complessivo si arriva aggiungendo al costo mercantile i restanti costi speciali e comuni della
combinazione aziendale. Analogamente il costo economico-tecnico si ottiene sommando al costo
complessivo gli oneri figurativi.

9.4.5 - COSTI TECNICI, DISCREZIONALI E VINCOLATI

La rilevazione dei costi, opportunamente classificati, risulta molto preziosa all'imprenditore sotto diversi
profili, tra cui il contributo offerto in sede di programmazione e controllo della gestione. Considerando le
determinanti di un costo in sede di programmazione è possibile distinguere tra:

• costi tecnici
• costi discrezionali
• costi vincolati

Tecnici si dicono quei costi per i quali è possibile individuare un legame di tipo strettamente tecnico con
l'attività aziendale da cui derivano. Esempio tipico sono i costi delle materie prime; per questi, infatti, è
definibile su basi tecniche la quantità di fattore da utilizzare (e quindi il relativo costo) per ogni unità di
produzione. In sede di programmazione, una volta stabilito il livello di attività da raggiungere è così
possibile determinare l'entità di tali costi. I costi discrezionali sono, al contrario di quelli tecnici, costi
che non possono essere determinati istituendo un preciso rapporto tecnico fra una quantità di input e un
risultato atteso. In sede di programmazione, quindi, questi costi non vengono calcolati sulla scorta dei
livelli di attività preventivati, bensì in relazione a particolari scelte di politica aziendali. Le spese di
pubblicità, i costi di formazione del personale, le spese di ricerca e sviluppo sono tutti esempi di costi
discrezionali. In sostanza, nel caso di costi discrezionali, le relazioni di causa-effetto fra volume di attività
e livello di costo risultano invertite: non è il volume di attività che determina il livello dei costi, piuttosto è
l'entità della spesa discrezionalmente fissata che condiziona quantità e qualità dei fattori produttivi da
impiegare, e di conseguenza, dei risultati che ne deriveranno. I costi vincolati, infine, sono conseguenti
a scelte pregresse concernenti la struttura aziendale. Essi, dunque, non sono modificabili in sede di
programmazione. Ciò significa, che una volta definita, a livello di pianificazione, la capacità produttiva o
particolari tecnologie, ne derivano anno per anno certi volumi di costi che sono diretta conseguenza di tali
scelte.

Capitolo Decimo

10.1 - LE RELAZIONI FRA ENTRATE E USCITE MONETARIE. IL FABBISOGNO FINANZIARIO


DELL'IMPRESA

La gestione è caratterizzata da una serie di processi che hanno un andamento ciclico; la si può quindi
considerare un sistema di cicli. I fondamentali cicli da considerare sono:

• ciclo economico
• ciclo finanziario

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

Il concetto di ciclo economico fa riferimento al susseguirsi e ripetersi di costi e ricavi conseguenti alle
operazioni di compravendita. Esso è stato utile per inquadrare i problemi di determinazione del reddito
d'esercizio. Il concetto di ciclo finanziario considera il succedersi di uscite ed entrate conseguenti alle
medesime operazioni di gestione esterna. In particolare, il ciclo finanziario si apre con l'uscita connessa al
pagamento del costo di acquisto dei fattori produttivi e si chiude con l'entrata connessa alla riscossione
del ricavo di vendita dei prodotti. Si parla, in proposito, di ciclo di ritorno del capitale. I due cicli
richiamati sono incastonati all'interno del più ampio ciclo produttivo, ossia l'intervallo di tempo che
intercorre fra l'acquisto dei fattori produttivi e l'incasso del correlato ricavo di vendita. E' logico che,
normalmente, le uscite precederanno le entrate. Pertanto, lo svolgimento della gestione, provoca il
sorgere di un fabbisogno finanziario, ossia la necessità di reperire mezzi monetari per far fronte alle
uscite derivanti dalle operazioni di gestione. In altre parole, occorre disporre del denaro per pagare i costi
in attesa che si rendano disponibili le somme monetarie derivanti dall'incasso dei ricavi.

ESEMPIO

Prendiamo il caso di un'impresa produttrice di ceramica:

• la creta, acquistata a inizio del mese per 300, viene pagata a 30 giorni e serve per dare inizio,
ogni giorno, alla produzione
• la retribuzione di 2.000 di un operaio viene erogata a fine mese
• il costo dell'elettricità in capo al mese ammonta a 500 e viene pagata il 15 del mese successivo
• i prodotti smaltanti per la decorazione hanno un costo mensile di 300 e vengono acquistati il 15
di ogni mese, pagandoli in contanti
• la retribuzione di 2.500 del decoratore viene erogata a fine mese
• gli imballaggi hanno un costo di 100 e vengono acquistati a fine mese, pagandoli dopo 15 giorni
• la produzione viene venduta a fine mese per 6.000 e riscossa dopo 30 giorni

Il ciclo economico si sviluppa lungo un mese. Esso inizia il primo del mese con l'acquisto della creta,
prosegue con il lavoro quotidiano degli operai, lo sfruttamento dell'energia elettrica, l'acquisto degli
imballaggi e termina con la spedizione e cessione del prodotto finito al cliente. Il ciclo finanziario è
invece più movimentato. Il 15 del mese si assiste alla prima fuoriuscita di cassa, per pagare gli smalti. A
fine mese si hanno i pagamenti della creta ed elle retribuzioni, mentre a metà del mese successivo si
hanno i pagamenti dell'elettricità e degli imballaggi. Al termine di quest'ultimo il ciclo finanziario si
chiude, con la riscossione dalla vendita.

Un'impresa è in equilibrio finanziario se è in grado di far fronte, con i mezzi monetari a propria
disposizione, ai fabbisogni finanziari suscitati dalla gestione, non basta però che i volumi delle entrate
siano pari o superiori ai volumi delle uscite. L'equilibrio finanziario è, infatti, una condizione soprattutto di
ordine temporale: è, cioè, indispensabile che, tempo per tempo, le entrate siano tali da coprire le uscite.
L'impresa in altre parole, deve essere in grado di fronteggiare i fabbisogni finanziari nel momento in cui
questi si manifestano. Ottenere l'equilibrio finanziario è evidentemente di vitale importanza, la presenza
di squilibri fra flussi monetari in entrata e in uscita è, infatti, causa di gravissimi danni per l'impresa.

10.2 - FABBISOGNO FINANZIARIO COSTANTE E VARIABILE

Il raggiungimento delle condizioni di equilibrio finanziario è legato alla capacità di soddisfare


adeguatamente i fabbisogni finanziari, sia in termini quantitativi che temporali. Per comprendere natura e
caratteri del fabbisogno finanziario occorre guardare agli investimenti. Sono, infatti, gli investimenti già
compiuti e in attesa di realizzo (ossia in attesa di tornare in forma liquida), che rappresentano gli impieghi
dei capitali monetari operanti dall'impresa e che, dunque, generano il conseguente fabbisogno finanziario.
In questo senso, con riferimento a un dato istante della vita dell'impresa, l'entità del fabbisogno
finanziario trova la sua espressione di sintesi nell'entità del capitale di funzionamento, ossia nel totale
delle attività patrimoniali. Queste, considerate sotto un profilo finanziario, si presentano con
caratteristiche diverse e proprio per questo è possibile individuare tre categorie di attività espressione di:

• investimenti duraturi
• investimenti a rapido rigiro
• investimenti di breve durata

a) Gli investimenti duraturi sono costituiti da impieghi di capitale il cui ciclo di ritorno in forma
monetaria richiede periodi di alcuni anni. Relativamente ad essi si parla di immobilizzazioni, intendendo il
termine in senso finanziario. Il ritorno monetario può avvenire anche in forma indiretta. Ad esempio un
macchinario comporta, inizialmente, un impiego di capitali. Questi poi vengono recuperati gradualmente e
indirettamente mediante i ricavi conseguiti dalla vendita dei prodotti ottenuti con l'impiego del
macchinario.

b) Gli investimenti a rapido rigiro sono rappresentati da impieghi di capitale con un ciclo di ritorno di
breve durata, ma costantemente presenti nell'impresa di funzionamento. Relativamente ad essi si parla di

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

capitale circolante o di esercizio. Tali investimenti nascono come diretta conseguenza del ciclo operativo
aziendale. Tipici esempi di questi investimenti sono:

• scorte di magazzino, formate sia da materie prime in attesa di lavorazione, sia da prodotti finiti in
attesa di vendita
• crediti concessi alla clientela al momento della vendita dei prodotti

A ben vedere, si tratta di investimenti formalmente a breve, ma di fatto, durevoli. Questo perché essi
verranno poi ripristinati, se non nel caso in cui l'azienda voglia cessare la propria attività o ridurla. L'entità
degli investimenti a rapido rigiro è funzione di due fondamentali fattori:

• i volumi di produzione e vendita


• le politiche commerciali attuate dall'impresa; in particolare, le politiche di concessione del credito
e di costituzione di score di magazzino

c) Gli investimenti di breve durata sono investimenti destinati a liquidazione entro un breve lasso di
tempo, solitamente pochi mesi. Essi non hanno manifestazione continua, non sono cioè destinati a
rinnovarsi. Derivano, piuttosto, da condizioni particolari ed eccezionali. All'origine di tali investimenti si
ritrovano varie “causali”:

• intenti speculativi
• eccedenze transitorie di liquidità
• formazione di “punte” negli investimenti a rapido giro

Investimenti a breve che nascono da intenti speculativi possono essere costituiti, ad esempio, da
temporanee espansioni di scorte di merci, qualora vi sia la possibilità di costituirle a costi particolarmente
favorevoli. Le eccedenze transitorie di liquidità, ossia esuberi di massa monetaria a disposizione
dell'impresa, possono determinare temporanei investimenti in titoli che verranno smobilizzati
successivamente. La causale più interessante, tuttavia, è quella costituita dal formarsi di punte di
investimenti a rapido giro. Tali espansioni si possono formare in seguito a

• momentanee condizioni favorevoli di mercato, con conseguente espansione delle vendite


• particolari politiche commerciali attuate dall'impresa. Ad esempio, una temporanea espansione
del credito concesso alla clientela per promuovere la vendita di un nuovo prodotto

Il fabbisogno finanziario dell'impresa è di natura composita. Al suo interno è possibile individuare:

• una parte costante, ossia il fabbisogno finanziario durevole


• una parte variabile, ossia il fabbisogno finanziario fluttuante

La parte costante è da ricondursi agli investimenti duraturi e agli investimenti a rapido giro; la parte
variabile è rappresentata dagli investimenti di breve durata e, in particolare, dalle oscillazioni temporanee
degli investimenti a rapido giro. Va specificato che la durata del fabbisogno finanziario non dipende dalla
durata dei cicli produttivi ma dal ritmo con cui tali cicli si susseguono. Per questo, in un'impresa in
regolare funzionamento, la gran parte del fabbisogno finanziario è di natura durevole.

10.3 – LA COPERTURA DEI FABBISOGNI FINANZIARI. EQUILIBRIO FINANZIARIO ED EQUILIBRIO


PATRIMONIALE

Anche nelle gestioni economiche equilibrate, il fabbisogno finanziario richiesto dall'operare d'impresa
difficilmente trova copertura nel solo flusso di entrate monetarie collegato al flusso dei ricavi. La
realizzazione dell'equilibrio finanziario, dunque, richiede di attingere a fonti di finanziamento. A questo
fine, le “fonti” alle quali fare ricorso sono due:

• capitale di rischio
• capitale di credito

Il capitale di rischio trova espressione:

a) nel capitale sociale


b) nei fondi di riserva, intesi come risparmio d'impresa sugli utili conseguiti

Concentriamoci momentaneamente sul capitale sociale. E' facile capire che la base sociale dell'impresa (o
il singolo imprenditore) difficilmente può disporre dei capitali necessari per fronteggiare i fabbisogni
finanziari “quando” e “per quanto” si manifestano. Esistono, infatti, notevoli vincoli che limitano la
disponibilità del capitale di rischio. Questi vincoli sono essenzialmente di tre ordini:

• vincoli di mercato
• vincoli di rischio

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

• vincoli personali

Quanto ai vincoli di mercato, l'impresa può di fatto avere preclusa la possibilità di aumentare il proprio
capitale sociale per l'assenza di un adeguato mercato dei capitali. Quanto ai vincoli di rischio, questi sono
riconducibili ai criteri di scelta degli investitori e alle capacità economiche-finanziarie dell'impresa. Nelle
imprese a ristretta base sociale, a volte i conferenti capitale pongono un tetto ai mezzi da immettere
nell'impresa al fine di frazionare il rischio complessivamente gravante sul patrimonio personale. Quanto ai
vincoli personali, si tratta di condizioni legate ai rapporti di forza esistenti in seno al corpo sociale.
L'acquisizione di nuovo capitale di rischio, infatti, può alterare tali rapporti, sia perché porta nuovi soci che
modificano l'assetto proprietario, sia perché sposta la maggioranza da un gruppo di soci all'altro.
Comunque, anche quando questi tre vincoli non sono presenti, il ricorso esclusivo al capitale di rischio non
risulta conveniente. Meglio ricorrere, almeno in parte, al capitale di credito; un semplice esempio chiarirà
il perché:

L'impresa Alfa ha investimenti per 100. Il reddito generato dagli investimenti, al lordo delle imposte e
degli oneri finanziari (quindi il reddito operativo) ammonta a 10. Di conseguenza il ROI (reddito operativo /
totale investimenti) è del 10%. Il carico fiscale è del 50%. Gli investimenti sono finanziati totalmente con
capitale di rischio. In questa situazione, il reddito a disposizione dei soci per remunerare il loro
investimento è pari a 5 (10 – 5 di imposte). Le favorevoli condizioni del mercato spingono l'impresa a
espandere gli investimenti, portandoli a 200. Le alternative di finanziamento sono due:

1. ricorso a ulteriori mezzi propri


2. ricorso a debiti bancari aventi un costo medio annuo dell'8%

Si supponga che il ROI resti del 10%. Qualora si seguisse la strada del finanziamento con mezzi propri, la
situazione patrimoniale sarebbe:

Investimenti Capitale Netto


200 200

La situazione economica, invece, sarebbe:

Reddito operativo 20
Oneri finanziari 0
Imposte (10)
Reddito netto 10

La redditività che si prospetta per il capitale di rischio (ROE) sarebbe del 5%, ossia 10 / 200. Se, invece,
fosse stata seguita la strada del finanziamento ricorrendo all'indebitamento, avremmo avuto i seguenti
valori:

Investimenti Capitale Netto


200 100
Debiti v/Banche
100

Reddito operativo 20
Oneri finanziari (8)
Imposte (6)
Reddito netto 6

La circostanza descritta va sotto il nome di effetto di leva finanziaria. Essa indica che ogni qual volta il
rendimento operativo del capitale investito nell'impresa è maggiore del costo che si dovrebbe sostenere
per acquisire da terzi quel capitale, l'impresa trova conveniente finanziare i propri investimenti con mezzi
di terzi. I debiti, dunque non sempre sono “cattivi”, al contrario svolgono una funzione preziosa e
fisiologica nella vita dell'impresa, aiutando a soddisfare i fabbisogni finanziari e consentendo il proficuo
svolgersi della gestione. Il ricorso all'indebitamento, tuttavia, non deve creare condizioni di elevato
rischio finanziario, condizioni cioè che possano pregiudicare le capacità dell'impresa di rimborsare i
debiti contratti nei tempi e nelle quantità pattuite. Ciò significa che, al momento di ricorrere a fonti di
finanziamenti di terzi, l'impresa deve decidere con cura:

• quali debiti contrarre


• quanti debiti contrarre

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

In altre parole, l'equilibrio finanziario della gestione si deve conciliare con la presenza di condizioni di
equilibrio patrimoniale. A questo fine, l'impresa deve scegliere tra le diverse fonti finanziarie di terzi,
quelle più idonee a soddisfare il suo bisogno senza creare condizioni di rischio finanziario. Questa
esigenza chiama in causa la durata temporale del finanziamento al quale fare ricorso, ossia la
classificazione dei debiti in:

• debiti a breve termine, a loro volta distinti in debiti a breve in senso stretto e debiti che si
rinnovano tacitamente o per rotazione
• debiti a medio-lungo termine

I debiti devono essere negoziati guardando la durata del fabbisogno finanziario che sono chiamati a
coprire, la durata del debito infatti, deve essere quanto più possibile proporzionata a quella del
fabbisogno. Nel caso in cui l'impresa si trovi in condizioni di squilibrio e sia chiamata a restituire un debito
senza che i capitali investiti siano ancora stati recuperati, avrà davanti a se due scelte:

• vendere il bene per il quale ha chiesto il finanziamento, così da recuperare i capitali necessari a
rimborsare il debito
• riuscire ad accendere un altro debito grazie al quale finanziare quello precedente

Torna utile, a questo punto, la distinzione fra fabbisogno finanziario costante e variabile. Sulla base di tale
distinzione è possibile proporre alcune correlazioni di massima fra categorie di investimenti, da cui si
originano i fabbisogni, e categorie di finanziamenti atti a coprire, per durata, tali fabbisogni. Le
correlazioni sono tre:

• in primo luogo, gli investimenti duraturi devono essere coperti con finanziamenti altrettanto
duraturi
• in secondo luogo, i finanziamenti effettivamente a breve, per i quali non esiste una concreta
possibilità di rinnovo, devono essere impiegati esclusivamente per finanziare investimenti a breve
termine in senso stretto, ossia capaci di liberare risorse monetarie senza esigerne di nuove
• in terzo luogo, gli investimenti a rapido rigiro, che contribuiscono a formare il capitale di esercizio,
possono trovare conveniente copertura nei debiti a breve che si rinnovano per rotazione o
tacitamente. Questo perché, anzitutto, gli investimenti a rapido rigiro determinano un fabbisogno
costante, e inoltre, i finanziamenti che si rinnovano si caratterizzano per l'elevata stabilità. Tali
finanziamenti inoltre, presentano un notevole grado di elasticità, potendosi rapidamente adeguare
alle variazioni che continuamente subisce l'investimento in capitale di esercizio.

L'elasticità è importante perché consente un continuo adeguamento fra le variazioni del fabbisogno
finanziario e le fonti di finanziamento necessarie per assicurare la copertura. Si possono così evitare due
situazioni onerose per l'impresa:

• il formarsi di esuberi di mezzi finanziari nei momenti in cui l'attività aziendale subisce delle
contrazioni. Tali esuberi devono essere impiegati in investimenti facilmente realizzabili per non
creare futuri squilibri, anche a costo di fruttare rendimenti minori alla norma
• Il manifestarsi di carenze di mezzi finanziari nei momenti di rapida e improvvisa espansione
dell'attività aziendale, poiché esse determinano la perdita dei redditi operativi che questa
espansione potrebbe dare

Tuttavia, una copertura totale degli investimenti a rapido rigiro mediante finanziamenti che si rinnovano è
assai pericolosa poiché quest'ultimi sottostanno al rischio di revoca o mancato rinnovo. A fronte di tale
rischio occorre considerare che nell'impresa in funzionamento, la concreta possibilità di smobilizzare
quote del capitale d'esercizio attraverso contrazioni momentanee dell'attività aziendale è limitata. E'
essenziale quindi che gli investimenti che si rinnovano siano sostenuti anche mediante finanziamenti a
medio-lungo termine i quali non sottostanno a revoca. In particolare essi dovrebbero coprire le giacenze di
magazzino, poiché difficilmente convertibili in moneta in tempi rapidi. Il contenimento dei livelli di rischio
finanziario impone anche di porre attenzione all'ammontare dei debiti contratti. Esiste infatti un limite
oltre il quale i debiti risultano troppi, tale limite rappresenta una ulteriore condizione di rischio finanziario,
inteso questa volta come rischio di non riuscire a rimborsare i capitali complessivamente ottenuti in
prestito per gli importi dovuti. Se si considera la possibilità dell'impresa di rimborsare i capitali acquisiti
con vincolo di debito, il problema si pone con urgenza improrogabile al termine della vita aziendale, nel
momento cosiddetto della liquidazione. In questo momento, tutta la gestione è rivolta non alla
continuazione dei processi continuativi, ma alla conversione in moneta del patrimonio aziendale per
rimborsare i debiti e restituire ai soci quanto eventualmente residua. Nel sistema d'impresa, la somma dei
valori dei singoli elementi è inferiore al valore del complesso aziendale che essi concorrono a formare. Le
perdite di liquidazione, ammontano a circa un terzo degli investimenti. E' chiaro che, se il capitale di
rischio non è sufficiente a coprire le perdite di liquidazione, una parte del capitale di terzi non potrà essere
rimborsata.

La copertura degli investimenti nella logica di liquidazione:

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

Dal criterio schematizzato, sicuramente cautelativo e inteso a ridurre notevolmente il rischio finanziario
delle scelte di finanziamento, deriva che i mezzi di terzi non dovrebbero essere più del doppio dei mezzi
propri. In realtà, operare secondo lo schema tracciato può voler dire sacrificare i caratteri tipici dell'attività
imprenditoriale. In particolare, significa porre un limite all'impiego della leva finanziaria, la quale non può
essere spinta oltre un certo rapporto tra capitale proprio e di terzi. Occorre, però, fare necessaria
attenzione alle condizioni di rischio operativo, ossia al complesso delle diverse condizioni che
determinano la volatilità del risultato economico.

10.4 - IL PROCESSO DI AUTOFINANZIAMENTO E GLI ACCANTONAMENTI

Uno strumento attraverso il quale le imprese possono soddisfare il proprio fabbisogno finanziario è quello
dell'autofinanziamento. L'obiettivo dell'autofinanziamento è quello di fronteggiare il fabbisogno finanziario
senza richiedere il contributo di nessuno. E', in pratica, l'impresa che “da sola”, attraverso il flusso dei
propri redditi, risponde al fabbisogno finanziario. Il processo di autofinanziamento si realizza attraverso gli
accantonamenti operati in seno all'impresa. Generalmente, accantonare significa trattenere ricchezza
nell'azienda. La ricchezza può assumere due forme:

• ricchezza netta
• ricchezza lorda

La ricchezza lorda è espressa dai ricavi ottenuti attraverso le vendite. La ricchezza netta, invece, è
espressa dagli utili netti risultanti dalla differenza fra i ricavi e i costi. Si configurano, dunque, due
fondamentali categorie di accantonamenti:

• accantonamenti da utili netti


• accantonamenti da utili lordi

Gli accantonamenti da utili netti vengono operati al momento della distribuzione del reddito di esercizio e
determinano la formazione di componenti del patrimonio netto. Essi trovano espressione nelle riserve in
senso proprio. Gli accantonamenti da utili lordi vengono costituiti al momento della determinazione del
reddito di esercizio e danno vita alla formazione di componenti passivi del patrimonio. Essi si suddividono
in:

• accantonamenti per poste correttive


• accantonamenti per riserve di provvisione

Queste ultime, a loro volta, si distinguono in:

• fondi rischi
• fondi spese future (o fondi oneri)

10.4.1 - GLI ACCANTONAMENTI DA UTILI NETTI

Gli accantonamenti da utili netti si operano decidendo di non distribuire una parte o tutto l'utile di
esercizio. L'utile va così ad accrescere durevolmente ed esplicitamente la consistenza del capitale netto
investito nell'impresa. Sotto il profilo formale, questo fenomeno trova espressione diversa a seconda della
veste giuridica assunta dall'impresa:

• nelle società, l'accantonamento da utili netti si traduce nella costituzione di fondi di riserva (o
semplicemente riserve)
• nelle aziende individuali, l'accantonamento da luogo a un incremento indistinto del capitale netto

I fondi di riserva derivanti dal trattenimento di utili netti si qualificano come fondi di riserva in senso
proprio, la loro costituzione risponde alla finalità di autofinanziamento. Il collegamento tra
autofinanziamento e riserve è immediato: l'impresa, grazie al trattenimento degli utili di esercizio
determina un accrescimento del capitale di rischio che va ad alimentare gli investimenti necessari allo
svolgimento della gestione. L'autofinanziamento resta, comunque, un fenomeno di natura prettamente

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

economica. L'utile di esercizio, infatti, è una quantità economica che non trova necessariamente riscontro
in un dato ammontare di moneta. Il ricorso all'autofinanziamento offre all'impresa opportunità di vario
ordine:

• opportunità economiche. L'autofinanziamento, a differenza di ogni altro genere di finanziamento,


non comporta interessi passivi per l'impresa e non incide quindi direttamente sul reddito
dell'impresa
• opportunità finanziarie. I finanziamenti di terzi impongono all'impresa precisi tempi di rimborso.
L'impresa deve perciò disporre della moneta necessaria a fronteggiare tali rimborsi, con le relative
difficoltà nel procacciarsela
• opportunità politiche. L'acquisizione di finanziamenti dal mercato non è sempre agevole, inoltre,
un aumento del capitale sociale può alterare i rapporti di forza esistenti nella struttura sociale
qualora tale aumento comporti l'ingresso di nuovi soci o il rafforzamento di uno o più di quello già
presenti.

Anche se i vantaggi che derivano dall'autofinanziamento sono molteplici, anche i vincoli che si incontrano
non sono pochi. Anzitutto, l'autofinanziamento, essendo legato al processo di formazione dell'utile, non
consente di sopperire ai fabbisogni finanziari che si manifestano in uno specifico istante di tempo. L'utile e
i flussi finanziari ad esso associati, infatti, si vanno gradualmente formando nel caso del tempo. In
secondo luogo, l'autofinanziamento presuppone una gestione “attiva”, un'impresa che non consegue utili
non può finanziarsi. In terzo luogo, il processo di autofinanziamento deve essere consapevolmente
“governato”. Il reinvestimento degli utili, infatti, mano mano che si vengono formando durante l'anno,
deve essere opportunamente indirizzato, inquadrandolo nella complessiva politica di gestione finanziaria
dell'impresa. Infine, non bisogna scordare che l'autofinanziamento comporta per i soci una rinuncia agli
utili. Va considerato che a volte, alcuni soci non voglio rinunciare ai propri utili. Proprio per questo,
talvolta, l'autofinanziamento non avviene per mezzo della costituzione palese di riserve in senso proprio.
Per evitare che si manifestino resistenze da parte dei soci, il soggetto economico in senso stretto
dell'impresa agisce su alcune valutazioni attraverso le quali si giunge alla determinazione del reddito, con
l'intento di far risultare un utile più contenuto; un utile che potrebbe anche essere interamente distribuito
senza pregiudicare le politiche ai autofinanziamento perseguite dall'impresa. Le voci “manovrabili” sono
ovviamente quelle di più soggettiva e incerta determinazione come le rimanenze di magazzino o gli
ammortamenti. In questi casi, invece di ricorrere alla costituzione di riserve palesi mediante
accantonamento dell'utile, si procede alla formazione di riserve occulte. La costituzione delle riserve
occulte, tuttavia, rappresenta un comportamento da contrastare con fermezza. La manovra dei criteri
valutativi, anche se fatta a “fin di bene”, contrasta con l'esigenza di trasparenza della rappresentazione
dell'attività dell'impresa. E' poi possibile, sempre con la logica delle riserve occulte, mascherare stati di
crisi più o meno gravi, occultando quindi non utili ma perdite. Oltre a quella di autofinanziamento, le
riserve in senso proprio svolgono una funzione di autoassicurazione. A questo proposito è necessario
ricordare la costante presenza, nella vita di un'impresa, del rischio specifico e del rischio generico. Da ciò
nasce la costituzione di riserve con lo scopo di proteggere, secondo una logica di autoassicurazione, il
capitale netto da eventuali perdite di esercizio.

10.4.2 - GLI ACCANTONAMENTO DA UTILI LORDI

Operare accantonamenti da utili lordi significa trattenere nell'impresa ricchezza riaffluita attraverso il
conseguimento dei ricavi. Gli accantonamenti da utili lordi si realizzano mediante l'imputazione al reddito
di costi “particolari”. Particolari, perché espressione di consumi di ricchezza i cui effetti si riveleranno solo
in tempi futuri. E ciò in quanto, tali costi:

• o non presentano direttamente una manifestazione finanziaria (es: ammortamenti)


• o la loro manifestazione finanziaria è di tipo presuntivo e futuro (es: garanzie su prodotti venduti)

Se, ad esempio, nell'azienda Alfa, il reddito viene gravato da costi per accantonamenti ai quali non
corrisponde un effettivo esborso monetario, questi costi “bloccano” in egual misura i ricavi, impedendogli
di formare utile e di defluire dall'impresa. Al costo che viene imputato al reddito di esercizio corrisponde
un elemento patrimoniale passivo, che prende il nome di fondo accantonamento e la cui natura, in
termini di valori, dipende dal genere di accantonamento che si opera. Nella realtà, la ricchezza trattenuta
con l'accantonamento da utili lordi, al pari di quella legata all'accantonamento da utili netti, non è
costituita da risorse monetarie ma, più ampiamente, da moneta impiegata in investimenti in attesa di
realizzo. L'accantonamento da utili lordi, ma anche quello da utili netti, è un fenomeno di natura
eminentemente economica. Non si tratta in alcun modo, come la parola accantonare potrebbe suggerire,
di “mettere dei soldi in un cassetto” in attesa di una loro futura realizzazione. Nella misura in cui opero
accantonamento, faccio si che, in egual misura, le attività, nelle quali è stata reinvestita la moneta affluita
nell'azienda attraverso i ricavi, restino vincolate all'impresa. L'accantonamento presenta anche degli
importanti risvolti finanziari. Infatti, se e in quanto risorse monetarie prodotte dalla gestione possono
restare reinvestite in determinate attività, in quella misura l'impresa è in grado di soddisfare il proprio
fabbisogno finanziario senza ricorrere al contributo di altri soggetti finanziatori. In altre parole,
l'accantonamento da utili lordi concorre al processo di autofinanziamento dell'impresa, ossia alla
copertura del fabbisogno finanziario con risorse prodotte autonomamente dall'impresa senza fare ricorso

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

a fonti di capitale esterne, siano esse fonti di terzi o mezzi derivanti direttamente dalla borsa societaria.
Lo scopo degli accantonamenti è quello di fronteggiare eventi dannosi i quali, verificandosi, vengono a
erodere la consistenza patrimoniale dell'impresa. Sono due le fondamentali categorie di accantonamenti
da utili lordi:

• accantonamenti per poste correttive


• accantonamenti per riserve di provvisione

Gli accantonamenti per poste correttive trattengono nell'impresa la ricchezza lorda necessaria a
controbilanciare gli effetti di eventi dannosi che si sono già manifestati e abbattuti sul patrimonio
aziendale; eventi dannosi che, però, non si ricollegano a esborsi monetari. Questi accantonamenti trovano
la loro espressione tipica negli ammortamenti e nel correlativo fondo ammortamento. Imputando costi per
ammortamento, l'impresa trattiene in egual misura ricavi, ossia ricchezza lorda. La ricchezza trattenuta
serve a fronteggiare la perdita di valore delle immobilizzazioni tecniche. La voce fondo ammortamento
esprime il graduale accumulo delle quote di ammortamento. In termini di valori non si tratta di un valore
finanziario ma di un valore economico di reddito che esprime rettifiche ai costi anticipati. Come già
sottolineato, l'accantonamento ben difficilmente troverà completa corrispondenza nel denaro in cassa.
Piuttosto sarà presente sotto forma di moneta reinvestita, ad esempio investita in crediti e scorte di merci.
Continuando ad effettuare gli accantonamenti, man mano che gli impianti si “svuotano” di valore, cresce
il fondo ammortamento e, in corrispondenza, l'investimento in altre attività patrimoniali (pur procedendo
a distribuire tutto l'utile che in ogni esercizio si viene a formare). Grazie all'accantonamento, l'impresa, al
termine della vita utile dell'impianto, avrà a sua disposizione, non necessariamente la moneta, ma
ricchezza investita pari al costo originariamente sostenuto per acquistare l'impianto ormai del tutto
consumato nella produzione. Non bisogna dimenticare che la perfetta equivalenza tra la quota di
ammortamento stanziata ed entità del “danno” abbattutosi sul patrimonio dell'impresa, ossia la perdita di
utili (il consumo) del bene nei processi produttivi, è tutta da verificare. La quantificazione
dell'ammortamento, infatti, riposa su stime e congetture che sono incerte e approssimate. L'evolversi
degli eventi potrebbe rivelare che la ricchezza trattenuta nell'impresa, in certe quantità e tempi, per
fronteggiare il danno subito è eccessiva o insufficiente.
Gli accantonamenti per riserve di provvisione si collocano in una prospettiva diversa da quelli per
poste correttive. Si tratta sempre di trattenere nell'impresa ricchezza lorda, ma non per fronteggiare
danni già abbattutisi sul patrimonio aziendale, bensì per rispondere a eventi di futura e incerta
manifestazione che ridurranno la consistenza del capitale aziendale e che si ritiene già si vadano
formando nel corso degli esercizi nei quali l'accantonamento viene operato. Esempi tipici di questa
tipologia di accantonamenti sono rappresentati dai:

• fondi spese future


• fondi rischi

I fondi spese future nascono dall'esistenza di alcuni costi che maturano nel corso di uno o più esercizi,
ma hanno la loro manifestazione finanziaria in uno o più esercizi successivi a quello/i di maturazione. Gli
accantonamenti a fondi rischi, invece, nascono per fronteggiare alcuni dei molteplici rischi specifici,
relativi a particolari operazioni di gestione avviate nell'esercizio, che si manifestano concretamente sotto
forma di maggiori costi o minori ricavi legati a tali operazioni di gestione. La differenza tra i due è che nei
fondi spese future l'onere e la relativa manifestazione finanziaria sono certi. Invece, la differenza tra gli
accantonamenti per poste correttive e gli accantonamenti per riserve di provvisione è che mentre i primi
mantengono sostanzialmente invariata la consistenza del patrimonio aziendale, nel caso degli
accantonamenti per riserve di provvisione si ha, sia pur temporaneamente, un incremento di tale
consistenza. Infatti, finché il danno non si abbatte sull'impresa, la ricchezza lorda in essa trattenuta
concorre ad aumentare la massa dell'investimento aziendale. Va sottolineato che se l'evento dannoso non
si verificasse affatto, l'accantonamento operato per fronteggiarlo comporterebbe un duraturo incremento
della massa patrimoniale dell'impresa. Questa considerazione suggerisce che gli accantonamenti per
poste correttive o per riserve di provvisione sono strumenti che possono essere utilizzati per costituire
riserve occulte e realizzare il processo di autofinanziamento basato sul trattenimento nell'impresa di utili
netti. A prescindere da quest'uso, gli accantonamenti, correttamente stimati, danno vita anch'essi a un
processi di autofinanziamento: si parla di autofinanziamento da costi. In ogni caso resta una differenza
rilevante rispetto all'autofinanziamento da utili netti: la temporaneità. Quando il fenomeno dannosi si
realizza, l'effetto di trattenimento della ricchezza viene meno.

10.5 – EQUILIBRIO ECONOMICO, EQUILIBRIO FINANZIARIO E AUTOSUFFICIENZA DEL SISTEMA


D'IMPRESA

Le condizioni di equilibrio finanziario della gestione sono strettamente collegate a quelle di equilibrio
economico. Perché un'impresa possa sopravvivere e svilupparsi durevolmente nel tempo è necessario che
entrambe siano presenti. Fra le due condizioni, tuttavia, quelle di equilibrio economico sono le “più
importanti”. Se un'impresa è in equilibrio economico, significa che i suoi ricavi sono superiori ai suoi costi,
e poiché i ricavi si associano ad entrate e i costi ad uscite, se i ricavi sono maggiori dei costi, nel
complesso anche le entrate saranno maggiori delle uscite. E' anche vero che i ricavi non corrispondono
necessariamente nell'arco del periodo amministrativo a entrate monetarie, così come alcuni componenti

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

negativi di reddito dell'esercizio non si associano ad uscite. Ciò significa che un'impresa può presentare
risultati reddituali positivi, ma avere problemi finanziari. Tuttavia, nel medio-lungo periodo lo sfasamento
tra aspetto finanziario e aspetto economico tende a ricomporsi. E' inevitabile che le condizioni di equilibrio
economico determineranno tendenzialmente la presenza di condizioni di equilibrio finanziario, questo
però non comporta che valga anche viceversa. Tornando al fabbisogno finanziario, esso trova la sua
motivazione nello sfasamento temporale tra il momento di sostenimento delle uscite relative ai costi e
quello di conseguimento delle entrate associate ai ricavi. Proprio per fronteggiare questo sfasamento, si fa
ricorso alle fonti di finanziamento. Il finanziamento, in sostanza, si propone quale strumento per colmare
gli sfasamenti fra il momento di manifestazione del fabbisogno finanziario e il momento in cui i mezzi
monetari riaffluiscono nell'impresa tramite le vendite. Affinché il ricorso ai finanziamenti contribuisca
positivamente al funzionamento dell'impresa è necessario che i costi siano inferiori ai ricavi.
Diversamente, il fabbisogno non nascerebbe da uno sfasamento temporale fra il momento di
sostenimento dell'uscita e quello di conseguimento dell'entrata; nascerebbe, piuttosto, da uno squilibrio
quantitativo fra entrate e uscite. Di fronte a uno squilibrio assoluto (ad esempio uscita integrale e
anticipata e entrate graduali e successive), anche se viene negoziato un finanziamento di durata pari
all'investimento, i “ritorni” dell'investimento non metterebbero mai a disposizione dell'impresa mezzi
monetari sufficienti a rimborsare quel finanziamento. Per questo, la negoziazione di mezzi finanziari si
deve sempre fondare sulla presenza di condizioni di equilibrio economico. L'equilibrio economico, dunque,
costituisce il presupposto essenziale perché l'impresa possa raggiungere condizioni di equilibrio anche
finanziario. Accanto all'autofinanziamento realizzato attraverso il processo di accantonamento troviamo il
risparmio d'impresa, che corrisponde al trattenimento degli utili conseguiti. Nel momento in cui si realizza,
esso accresce la massa dei capitali di rischio presenti nell'impresa. In questo modo, concorre a rafforzare
il patrimonio di rischio rendendolo più “solido” verso gli eventi che lo potrebbero danneggiare. In
particolare, il risparmio d'impresa (reso possibile da flussi di ricavi nettamente superiori a quelli dei costi)
permette di contrastare le erosioni di patrimonio netto che si verificano negli esercizi in perdita senza
imporre all'impresa il ricorso al contributo di altre economie e di mantenere determinati livelli di sviluppo
dell'attività produttiva. Questo dinamico equilibrio tra erosioni e auto-integrazioni di patrimonio esprime la
solidità patrimoniale dell'impresa. La solidità patrimoniale, alimentata dalla solidità economica, si
riverbera sugli aspetti finanziari dell'impresa (un'impresa solida sotto il profilo economico-patrimoniale
attrae i finanziamenti di terzi). Si profila così un sistema di relazioni economiche, patrimoniali e finanziarie
tra:

• reddito d'impresa, solidità economica e solidità patrimoniale-finanziaria


• reddito di esercizio e reddito d'impresa

Solo laddove esistono stabilizzate condizioni di solidità sul piano economico, patrimoniale e finanziario,
derivanti da autonoma capacità di produrre redditi positivi e di risparmiarli, il sistema di impresa risulta
autosufficiente. Le condizioni di autosufficienza si distinguono tra:

• condizioni di autosufficienza oggettiva, ossia reale


• condizioni di autosufficienza soggettiva, o apparente

Le condizioni di autosufficienza possono essere infatti assicurate dall'intervento di terze economie.


L'intervento si può manifestare sotto varie forme:

• conferimenti patrimoniali a copertura di perdite


• mancata o ridotta remunerazione dei fattori impiegati nella produzione
• possibilità di postergare o anche annullare determinati impegni finanziari

Comunque sia, affermare la prevalenza dell'equilibrio economico su quello finanziario non significa
sminuire quest'ultimo. Non soddisfare il fabbisogno finanziario comporta infatti l'impossibilità di sostenere
il processo di investimento richiesto dalle operazioni di gestione. L'insufficienza dei mezzi finanziari è
un'evenienza frequente nella vita delle imprese. Tale evenienza è particolarmente dannosa e determina
uno spostamento di attenzione degli amministratori dalle questioni economiche a quelle finanziarie. In
questa situazione, una scelta di gestione viene giudicata conveniente solo se concorre a riassestare
l'assetto finanziario. Si assiste, quindi, ad una sopravvalutazione dell'aspetto finanziario e ciò porta a
trascurare quello economico. L'insufficienza finanziaria, inoltre, incrina i rapporti con i clienti e con i
fornitori, da qui inizia un processo che, più o meno velocemente, conduce al disequilibrio economico della
gestione, da questo ha origine poi una sfiducia dei finanziatori.

Capitolo Undicesimo

11.1 - RILEVAZIONE E CONTROLLO DI GESTIONE

Per amministrare un'impresa bisogna misurare, rappresentare e interpretare i fenomeni che, in diversa
misura e forma, vengono a interessare la vita dell'organismo aziendale; per fare tutto questo un valido
aiuto è dato dalla rilevazione, che ci fornisce i metodi e gli strumenti. La rilevazione è connessa con gli
altri momenti che caratterizzano la vita dell'impresa, in particolare con la gestione. La gestione, che non è
altro che il complesso dei fatti e delle operazioni attuate dall'impresa, è rappresentata e interpretata dalla

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

rilevazione. Di assoluta importanza sono anche le relazioni che legano la rilevazione all' organizzazione.
Tali relazioni si manifestano guardando ai meccanismi operativi, in particolare a quelli di programmazione
e controllo o, più semplicemente di controllo di gestione. Il processo di controllo di gestione si fonda
essenzialmente sui feed-back, i cui momenti fondamentali sono:

• definizione preventiva di obiettivi da raggiungere e azioni da svolgere nel breve periodo. Obiettivi
e azioni devono essere coerenti e strumentali rispetto alle scelte strategiche
• consuntivazione dei risultati effettivamente raggiunti
• confronto dei risultati con gli obiettivi ed evidenziazione di eventuali scostamenti
• analisi degli scostamenti e individuazione delle loro cause
• adozione dei provvedimenti correttivi atti a rimuovere le cause di scostamento

Il controllo di gestione è sicuramente un “fatto organizzativo”, ma può concretamente operare solo


disponendo di un adeguato apparato di rilevazioni, attraverso il quale misurare, rappresentare e offrire
all'interpretazione del soggetto economico i dati concernenti l'attività aziendale, sia preventivi che
consuntivi. La rilevazione, quindi, fornisce ai meccanismi di controllo di gestione le informazioni
indispensabili perché essi possano funzionare. Poiché le esigenze conoscitive dei sistemi di controllo di
gestione sono diverse, la rilevazione assume diverse forme; le principali sono:

• contabilità generale e bilancio


• contabilità analitica
• budget

La contabilità generale (Co.Ge) raccoglie un complesso di rilevazioni concernenti i fenomeni di


gestione esterna. Essa individua il profilo finanziario ed economico di tali fenomeni. In sintesi, la Co.Ge è
rappresentata dal bilancio. Il bilancio evidenzia il processo di formazione del reddito di un determinato
periodo di riferimento, oltre alla composizione e la consistenza del capitale al termine di quel periodo. La
contabilità analitica (Co.An) rappresenta una forma di rilevazione rivolta a considerare non tanto
l'impresa nel suo complesso, quanto le singole parti dell'impresa e singoli “oggetti” particolari. Tipica
espressione della Co.An è la contabilità industriale (o anche contabilità dei costi). La contabilità
industriale rileva costi e ricavi relativi a combinazioni parziali di operazioni, ossia relativi a:

• attività di singole unità organizzative dell'impresa (reparti, etc)


• singoli prodotti

La contabilità industriale nasce come risposta agli evidenti limiti della Co.Ge, ad esempio con quest'ultima
è possibile sapere quali sono stati i costi sostenuti per il personale, ma non è possibile sapere come questi
costi si sono distribuiti fra i vari reparti che hanno concorso alla produzione. Per questo, l'attenzione
specifica della contabilità industriale è rivolta verso l'interno dell'impresa, in particolare essa si concentra
sui costi. La Co.An, comunque, procede anche a determinazioni analitiche di ricavi relativi a “combinazioni
parziali di processi produttivi” come, ad esempio, singoli prodotti o specifici clienti. Ciò al fine di giungere
alla determinazione dei risultati reddituali particolari di tali combinazioni. Il controllo di gestione
presuppone una fase di programmazione, dove vengono definiti gli obiettivi da perseguire e le azioni da
svolgere per raggiungerli. Il programma presenta contenuti qualitativi e quantitativi, in particolare
quantitativo-monetari. In questo quadro, il budget rappresenta la traduzione in termini quantitativo-
monetari del programma. Esso, dunque, si compone di un sistema di “quantità-obiettivo” sia generali che
particolari:

• le quantità-obiettivo generali sono riferite all'impresa nel suo complesso


• le quantità-obiettivo particolari sono riferite a singole parti dell'impresa, a settori specifici della
sua organizzazione

Gli obiettivi prefissati, oltre a essere suddivisi fra le diverse unità organizzative dell'impresa, sono
adeguatamente “periodizzati”. Il pilastro su cui si fonda il budget è rappresentato dai costi standard,
ossia costi precalcolati ipotizzando che la gestione si svolga secondo modalità caratterizzate da
determinati livelli di efficienza.

11.2 - IL SISTEMA DELLE RILEVAZIONI

Le categorie di rilevazioni in precedenza tratteggiate si possono classificare in base a diversi criteri. Un


primo criterio di classificazione distingue le rilevazioni in base allo specifico strumento adottato per
misurare e rappresentare i fenomeni di gestione. In questa ottica, si distingue tra:

• rilevazioni contabili
• rilevazioni extra-contabili

Le rilevazioni contabili sono quelle che utilizzano, come tipico strumento di rilevazione, il conto e le
relative metodologie contabili. Le rilevazioni extra-contabili ricorrono, invece, ad altri strumenti tratti

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

in buona parte dalla metodologia statistica come tabelle, grafici, etc. Tornando alle tre espressioni di
rilevazione in precedenza esaminate:

• la Co.Ge è una rilevazione prettamente contabile


• la Co.An può essere realizzata sia in via contabile, sia in via extra-contabile
• il budget utilizza largamente metodologie extra-contabili coniugandole con altre contabili

Un secondo criterio di classificazione delle rilevazioni è quello che guarda alla relazione temporale che
intercorre tra il momento della rilevazione e il verificarsi dei fenomeni oggetto di rilevazione. Da ciò, la
distinzione tra:

• rilevazioni antecedenti
• rilevazioni concomitanti
• rilevazioni susseguenti

Sono antecedenti le rilevazioni che si svolgono prima che i fatti di gestione abbiano avuto luogo.
Concomitanti, invece, sono le rilevazioni che si redigono contemporaneamente o a brevissima distanza di
tempo dall'effettivo accadimento di gestione. Infine, susseguenti si considerano le rilevazioni redatte dopo
lo svolgimento dei fatti di gestione con lo scopo di “rendicontare” il risultato di operazioni definitivamente
concluse. Rispetto a questo criterio classificatorio:

• il budget è una tipica rilevazione antecedente


• la Co.An può svolgere sia un ruolo di rilevazione antecedente sia concomitante e susseguente
• la Co.Ge è una rilevazione di ordine sia concomitante che susseguente

Le diverse rilevazioni partecipano in diverso modo al complessivo processo di controllo della gestione,
dando corpo alla logica di feed-back che anima tale processo. Il budget esprime le quantità-obiettivo
attraverso le quali si realizza il controllo antecedente della gestione. La Co.An offre dati analitici per
impostare il controllo concomitante della attività dell'impresa. I dati della Co.An vengono cioè confrontati,
a breve scadenze di tempo, con gli obiettivi contenuti nel budget per evitare il formarsi di scostamenti. La
Co.Ge, infine, raccoglie in quadro generale di sintesi, i risultati conseguiti dall'attività di gestione svolta in
un dato periodo. Una terza importante distinzione è quella fra:

• rilevazioni sistematiche
• rilevazioni elementari

La distinzione è fondata sulla natura dei collegamenti esistenti fra le singole annotazioni attraverso cui si
esplica la rilevazione. In questo senso, si dicono sistematiche le rilevazioni, fra loro collegate, che hanno
lo scopo di determinare l'entità e di seguire le variazioni di un dato oggetto complesso (composto da
oggetti semplici). Un sistema di rilevazioni trae significato e denominazione dall'oggetto complessivo a cui
esso si riferisce. L'oggetto complessivo può essere costituito dal patrimonio dell'impresa oppure dal
reddito da essa conseguito in un certo intervallo di tempo. In sostanza, esistono due fondamentali sistemi
di rilevazione:

• il sistema del reddito


• il sistema patrimoniale

Le rilevazioni semplici invece, riguardano oggetti semplici come per esempio singoli elementi del
patrimonio o del reddito, e hanno lo scopo di determinare consistenze e variazioni, senza cercare però di
coglierne le relazioni.

11.3 - LO STRUMENTO TIPICO DELLA RILEVAZIONE: IL CONTO

Per rappresentare i fatti della gestione, la rilevazione si avvale di diversi strumenti, fra i quali spicca il
conto. Un conto può essere raffigurato con una tabella di questo tipo:

Ogni conto è intestato ad un determinato oggetto, del quale si intende esprimere, in termini monetari, la
grandezza e le variazioni che tale grandezza subisce, in un determinato periodo. La sezione sinistra
prende il nome dare del conto, la sezione di destra è denominata avere. Dare e avere sono termini
convenzionali che non hanno alcun significato.

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

• Quando si inserisce un importo in dare si addebita il conto; quando lo si inserisce in avere, si


accredita il conto
• L'inserimento del primo valore nel conto comporta l'apertura o accensione del conto
• L'inserimento dei successivi valori determinano la movimentazione del conto
• Il conto si chiude calcolandone il saldo, ossia facendo la differenza tra i valori iscritti in dare e in
avere, e inserendo tale saldo nella sezione con importo minore. In seguito a questa manovra, i
totali dare e avere si equivalgono

Alcuni conti, infine, accolgono valori in entrambe le sezioni, questi conti si dicono bifase, altri invece
accolgono valori solo in una sezione e per questo si dicono unifase.

Capitolo Dodicesimo

12.1 - LA CONTABILITA' GENERALE E IL METODO DELLA PARTITA DOPPIA

Norme civili e fiscali impongono alle aziende di “tenere” una propria Co.Ge. Si tratta di un sistema di
rilevazioni concernenti un oggetto complesso, oggetto che si vuole misurare e di cui si vogliono seguire le
variazioni. Il sistema di rilevazione che caratterizza la Co.Ge delle imprese italiane è il sistema del
capitale e del risultato economico che costituisce un affinamento del sistema del reddito. In
sostanza, si tiene sotto osservazione l'oggetto complesso reddito, visto nei singoli oggetti elementari
(costi e ricavi) che lo determinano. Oltre al sistema del reddito “puro”, un altro sistema di scritture
largamente diffuso è il sistema patrimoniale. Questo è rivolto a misurare composizione, entità e
variazioni dell'oggetto complesso patrimonio aziendale. La Co.Ge si avvale, come strumento di
rilevazione, del conto. La rappresentazione dei fenomeni aziendali attraverso conti non può avvenire in
forma libera, ma deve seguire regole ben precise. Tali regole sono congegnate opportunamente così da
operare i raggruppamenti e i riepiloghi necessari per seguire e misurare le evoluzioni dell'oggetto
complesso di riferimento, ossia per giungere alla composizione del bilancio. Le regole che disciplinano la
tenuta dei sistemi di rilevazione si definiscono metodo di rilevazione. Il più noto fra i metodi di scritture
è il metodo della partita doppia, che si fonda sul principio dualistico, secondo il quale i fatti
amministrativi devono essere osservati simultaneamente sotto due aspetti, mantenendo una visione
sistematica degli stessi. Ciò significa che l'impiego della partita doppia presuppone che si scelgano due
aspetti sotto i quali considerare i fenomeni oggetto di rilevazione, aspetti che si ritengono particolarmente
utili per le informazioni che possono fornire sul piano amministrativo. I due aspetti oggetto di
osservazione vengono denominati:

• originario
• derivato

L'aspetto originario è l'aspetto del fenomeno che viene osservato per primo, mentre l'aspetto
derivato rappresenta il successivo momento di osservazione, quello nel quale si rilegge il fenomeno sotto
un altro aspetto. Inoltre, ogni evento rilevato dà luogo a una doppia rilevazione: una volta in dare e una
volta in avere. Dal metodo della partita doppia derivano tre principi fondamentali:

• in qualunque momento, il totale degli addebiti è uguale al totale degli accrediti


• in qualunque momento, il totale dei saldi dei conti con eccedenza in dare è uguale al totale dei
saldi dei conti con eccedenza in avere
• se, in un certo momento, i saldi di dare e di avere di tutti i conti si raccolgono opportunamente in
un unico conto, questo conto si spegne (e presenta quindi saldo pari a zero)

Muovendosi da questi principi, una rilevazione in partita doppia viene denominata:

• semplice, quando all'addebitamento di un conto corrisponde l'accreditamento di un solo altro


conto
• composta, quando all'addebitamento (o accreditamento) di un conto corrisponde
l'accreditamento (o addebitamento) di più conti
• complessa, quando presenta simultaneamente accreditamenti e addebitamenti di più conti

12.2 - IL SISTEMA DI RILEVAZIONE DEL CAPITALE E DEL RISULTATO ECONOMICO

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

Il sistema di rilevazione del capitale e del risultato economico prende in esame le operazioni di gestione.
Tale esame si sviluppa secondo il modello interpretativo della gestione come sistema di valori. Esso si
traduce nella rilevazione, mediante conti, dei valori generati dalle operazioni di gestione esterna. Secondo
tale modello, le categorie di valori derivanti dalle operazioni di gestione esterna sono le seguenti:

Valori Finanziari Valori Economici


Disponibilità liquide Valori di reddito:
Crediti e debiti di regolamento - Costi
Crediti e debiti di finanziamento - Ricavi
Valori di capitale

Sotto il profilo finanziario, le operazioni di gestione esterna producono variazioni nella massa monetaria
(variazioni finanziarie) a disposizione dell'azienda. In prima approssimazione, le variazioni diminuitive si
indicano come uscite o, più propriamente, come variazioni finanziarie negative; quelle aumentative si
indicano come entrate o, più propriamente, come variazioni finanziarie positive. Per variazioni finanziarie
si intendono sia quelle immediate (di denaro) sia quelle differite sotto forma di debiti e crediti di
regolamento, sia quelle relative alla formazione e al rimborso di crediti e debiti di finanziamento. Sotto il
profilo economico, le operazioni di gestione esterna causano la formazione di componenti di reddito. I
componenti negativi di reddito si indicano come costi ed esprimono variazioni economiche negative, ossia
sacrifici sostenuti dall'azienda per acquisire utilità produttive. I componenti positivi del reddito si indicano
come ricavi ed esprimono variazioni economiche positive, ossia benefici che l'azienda consegue cedendo
a terzi beni e servizi. Nel profilo economico vengono compresi anche i valori derivanti dalle operazioni
compiute sulla ricchezza netta dell'impresa, sia nel momento costituitivo che successivamente (in questo
caso siamo di fronte a variazioni di netto patrimoniale). L'aspetto finanziario e quello economico sono fra
loro strettamente correlati ma anche distinti. Correlati, in quanto l'aspetto finanziario misura in termini
monetari l'attività della variazione economica. In particolare:

• le variazioni finanziarie negative misurano costi o riduzioni di patrimonio netto


• le variazioni finanziarie positive misurano ricavi o aumenti di patrimonio netto

In questo senso, rispetto alle singole operazioni di gestione:

• le variazioni finanziarie costituiscono l'aspetto originario


• le variazioni economiche rappresentano l'aspetto derivato

I due aspetti, però, sono anche distinti, in quanto espressioni di differenti problematiche e dinamiche della
gestione.

12.3 - CONTI FINANZIARI E CONTI ECONOMICI

Rilevare contabilmente il reddito e il capitale significa esprimere, attraverso il linguaggio contabile, le


operazioni di gestione esterna. In pratica si va a rappresentare, attraverso conti, la consistenza e la
tipologia delle variazioni finanziarie e delle variazioni economiche che si associano a tali operazioni. A
questo fine, la Co.Ge prevede l'impiego di due serie di conti:

• conti finanziari
• conti economici

Serie, perché due soli grandi conti, uno finanziario e l'altro economico, non permetterebbero di
rappresentare in modo corretto, le diverse tipologie di entrate e uscite e di costi e ricavi che
caratterizzano la gestione di ogni impresa. Esaminando più da vicino le due serie di conti, i conti
finanziari si suddividono in:

• conti accesi alle disponibilità liquide


• conti accesi a debiti e crediti di regolamento
• conti accesi a debiti e crediti di finanziamento

Per quanto concerne i conti economici abbiamo:

• conti economici di reddito


• accesi a componenti negativi di reddito, ossia a costi
• accesi a componenti positivi di reddito, ossia a ricavi
• conti economici di capitale, accesi al patrimonio netto considerato nelle sue parti ideali. Tipico
conto di capitale è il conto Capitale sociale che si utilizza per esprimere l'aspetto economico di
operazioni particolari come quella della costituzione dell'azienda

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

Conti finanziari e conti economici

Il funzionamento dei conti del sistema è determinato secondo una convenzione. Questa stabilisce che i
conti finanziari funzionano sostanzialmente in modo bifase secondo lo schema:

A questo punto, le variazioni finanziarie positive sono rappresentate da:

• incrementi di denaro in cassa e valori simili


• incrementi di crediti di regolamento (come crediti v/clienti)
• incrementi di crediti di finanziamento (come mutui attivi concessi a società controllate)
• decrementi di debiti di regolamento (come pagamenti di debiti v/fornitori)
• decrementi di debiti di finanziamento (come rimborsi di mutui passivi ottenuti da banche)

Di contro, sono variazioni finanziarie negative:

• decrementi di denaro in cassa e valori simili


• incrementi di debiti di regolamento (come debiti v/fornitori)
• incrementi di debiti di finanziamento (come mutui passivi ottenuti da banche)
• decrementi di crediti di regolamento (come riscossione di crediti v/clienti)
• decrementi di crediti di finanziamento (come rimborsi di mutui attivi concessi a società
controllate)

Sempre per convenzione, i conti economici di reddito hanno funzionamento unifase secondo lo schema:

I conti economici di capitale, infine, di regola hanno funzionamento bifase. Le variazioni sono regolate
secondo il seguente criterio:

I conti di capitale, comunque, sono pochi e vengono impiegati di rado. Nelle società, denominazioni
ricorrenti dei conti di capitale sono:

• capitale sociale
• riserve
• utile di esercizio (perdita di esercizio)

Nelle aziende individuali, esempi di conti di capitale sono rappresentati dai conti:

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

• capitale netto
• deficit patrimoniale
• utile di esercizio (perdita di esercizio)

E' necessario ricordare che esistono anche i conti di interferenza o conti transitori. Si tratta di conti
che svolgono una funzione meramente strumentale, operando quali conti di contropartita temporanea di
altri conti propri del sistema, onde consentirne l'apertura o la chiusura.

Capitolo Tredicesimo

13.1 - IL PIANO DEI CONTI

Per procedere alle rilevazioni, prima di tutto, l'azienda deve definire quali conti utilizzare. In altre parole,
l'impresa deve elaborare un proprio piano dei conti. Il piano dei conti individua i conti che l'impresa
ritiene utile impiegare per rappresentare adeguatamente i fatti di gestione. Esso specifica la
denominazione di ogni conto e quali valori farvi confluire. In questo senso, il piano dei conti dovrebbe
svolgere una funzione di guida esplicativa per chi è chiamato ad utilizzarlo, così da ottenere il più elevato
grado di uniformità nella rilevazione dei fatti di gestione. Ovviamente, le denominazioni dei conti che
formano il piano dipendono dal tipo di attività svolta dall'impresa. La definizione del piano contabile
risente anche del grado di complessità della gestione aziendale. In ogni caso, un piano troppo sintetico,
con conti aventi superficie operative molto ampia, riduce la capacità informativa della Co.Ge.

13.2 - LE RILEVAZIONI CONTINUATIVE

Le rilevazioni in Co.Ge seguono le operazioni di gestione man mano che queste si svolgono, al termine del
periodo amministrativo di riferimento, poi, occorre tirare le fila dei valori rilevati per misurare la
consistenza e la composizione dell'oggetto complesso al quale il sistema di rilevazioni guarda. Tuttavia,
poiché la gestione si svolge senza interruzioni, la Co.Ge deve immediatamente riprendere a rilevare i fatti
amministrativi, considerando i valori consuntivi, determinati alla fine di un periodo amministrativo, come
valori di partenza del periodo successivo. E' dunque possibile individuare tre distinti momenti rilevativi
della Co.Ge:

• rilevazioni continuative
• rilevazioni di chiusura
• rilevazioni di apertura

Concentriamo ora l'attenzione sul primo momento della rivelazione. A tal fine, consideriamo le principali
operazioni in cui si articola il complessivo ciclo di gestione esterna di un'impresa. Questo, come noto,
parte dalla raccolta dei mezzi monetari e prosegue con l'investimento di tali mezzi in fattori produttivi. Si
passa poi alla fase di disinvestimento attraverso la vendita dei beni e servizi prodotti con il conseguente
recupero dei capitali investiti e remunerazione dei finanziatori.

13.2.1 - LA RILEVAZIONE DELLE OPERAZIONI DI FINANZIAMENTO

Un primo fondamentale gruppo di operazioni di gestione dell'impresa riguarda la provvista dei capitali
monetari. Come già detto i mezzi monetari dell'impresa possono derivare direttamente dai soci o da terzi
esterni all'impresa.

Consideriamo il conferimento iniziale operato dai soci per dotare l'azienda di una base patrimoniale.
- In data 2/1, Alfa si costituisce ricevendo un conferimento in denaro per 1.000
Contabilmente avremo: Cassa (D) per 1.000 e Capitale netto (A) per 1.000

Il finanziamento dell'imprenditore generalmente non è sufficiente a soddisfare tutto il fabbisogno


finanziario derivante dagli investimenti da realizzare. Alfa decide quindi di rivolgersi ad una banca per
raccogliere ulteriore capitale.
- In data 1/3, Alfa contrae un mutuo pari a 500, l'operazione è regolata sul c/c bancario

Contabilmente avremo: Mutui passivi (A) per 500 e Banca x c/c (D) per 500

13.2.2 - LA RILEVAZIONE DELLE OPERAZIONI DI ACQUISTO DEI FATTORI PRODUTTIVI E DI


VENDITA DI PRODOTTI

I fattori produttivi sono costituiti dai beni e servizi necessari per lo svolgimento della gestione. Essi si
possono distinguere in fattori a fecondità ripetuta e fattori a fecondità semplice.

Consideriamo, in primo luogo, i fattori a fecondità ripetuta

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

- In data 2/3, Alfa procede all'acquisto di automezzi per 800, pagamento a termine, da regolarsi metà
nell'anno in corso e metà nell'anno successivo

Contabilmente avremo: Automezzi (D) per 800 e Debiti v/fornitori (A) per 800

Lo svolgimento dell'attività produttiva richiede anche l'acquisto di fattori di consumo:

- In data 15/3, Alfa acquista merci per 600, pagamento a termine

Contabilmente avremo: Merci c/acquisti (D) per 600 e Debiti v/fornitori (A) per 600

- In data 1/4, Alfa prende in affitto un immobile per un anno pagamento in contanti anticipato di un
importo di 120

Contabilmente avremo: Fitti passivi (D) per 120 e Debiti v/fornitori (A) per 120

L'interpretazione è analoga al caso precedente. Qui siamo in presenza dell'acquisto di servizi e non di un
bene materiale.

- In data 15/04 Alfa commissiona a un'agenzia specializzata la progettazione e realizzazione di un


proprio marchio. Le spese di consulenza professionale e di registrazione sostenute, pari a 150, vengono
pagate mediante assegno bancario

Contabilmente avremo: Spese di consulenza (D) per 150 e Banca x c/c (A) per 150

L'interpretazione è analoga al caso precedente. Qui siamo in presenza di spese per servizi volte alla
costituzione di un bene immateriale: il marchio aziendale

Fra i fattori produttivi impiegati dall'azienda bisogna annoverare anche il lavoro prestato dai dipendenti.

- In data 27/04 Alfa retribuisce il personale assunto pagando, con assegno bancario, 400

Contabilmente avremo: Retribuzioni (D) per 400 e Banca x c/c (A) per 400

- In data 3/5, Alfa vende prodotti per 1.500, pagamento a termine

Contabilmente avremo: Merci c/vendite (A) per 1.500 e Crediti v/clienti (D) per 1.500

13.2.3 - LA RILEVAZIONE DELLE OPERAZIONI DI RISCOSSIONE DI CREDITI E PAGAMENTO DI


DEBITI

Periodicamente, secondo le scadenze convenute, l'impresa procede a riscuotere i crediti e a pagare i


debiti sorti in seguito alle operazioni di scambio.

- In data 3/6 Alfa riscuote, a mezzo banca, parte dei crediti verso clienti per un importo complessivo di
800

Contabilmente avremo: Crediti v/clienti (A) per 800 e Banca x c/c (D) per 800

Il fatto di gestione proposto costituisce un esempio di permutazione fra conti finanziari. Nessun conto
economico, infatti, viene chiamato in causa. Passando ai debiti, quelli da pagare sono i seguenti:

1. debiti di regolamento verso fornitori, derivanti da operazioni di acquisto di merci e automezzi


2. debiti di finanziamento verso banche, derivanti dalla contrazione di un mutuo

1. - In data 15/06 Alfa paga parte del debito verso fornitori, per un importo di 1.000

Contabilmente avremo: Debiti v/fornitori (D) per 1.000 e Banca x c/c (A) per 1.000

2. Il debito di finanziamento, sotto forma di mutuo passivo, prevede un piano di rimborso a rate costanti
semestrali posticipate comprensive di capitale e interessi ognuna di importo pari a 100. Il pagamento
della prima rata è il 31/8, della seconda il 28/2/n+1. La prima rata è composta da 35 di quota capitale e
65 di interessi passivi.

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

- In data 31/8 Alfa paga, a mezzo c/c bancario, la prima rata del mutuo

Contabilmente avremo: Interessi passivi (D) per 65, Mutui passivi (D) per 35 e Banca x c/c (A) per
100

13.3 - LA SITUAZIONE CONTABILE AL TERMINE DEL PERIODO AMMINISTRATIVO

A questo punto, essendo giunti al 31/12, occorre redigere la situazione contabile dell'azienda Alfa. Si
tratta di raccogliere, in un prospetto di sintesi, i conti del piano dei conti, indicandone il movimento e il
relativo saldo. La situazione contabile offre il “materiale grezzo” per la redazione del bilancio e inoltre
consente di formarsi un'idea, anche se approssimativa, dei movimenti di valori che hanno interessato la
gestione dell'impresa. La situazione contabile offre anche la possibilità di compiere un controllo generale
della correttezza delle registrazioni precedentemente effettuate. Per il noto principio della partita doppia,
infatti, se si è operato correttamente, il totale dei saldi dare deve corrispondere a quello dei saldi avere. In
questo senso, si parla anche di bilancio di verifica.

Capitolo Quattordicesimo

14.1 – L'ASSESTAMENTO DEI CONTI E LA REDAZIONE DELL'INVENTARIO

Giunti al termine del periodo amministrativo, occorre tirare le fila della gestione, procedendo alla sintesi
dei valori contabili. La sintesi dovrà mettere in evidenza il reddito prodotto dalla gestione e la
composizione del capitale dell'impresa. A tal fine occorre redigere il bilancio di esercizio. Redigere il
bilancio richiede di costruire due fondamentali conti riepilogativi:

• il Conto Economico
• lo Stato Patrimoniale finale

Il Conto Economico riassume tutti i costi e i ricavi di competenza dell'esercizio. La differenza fra tali
valori indicherà se l'impresa ha conseguito un utile oppure subito una perdita. Nella sua essenziale
configurazione contabile, il conto economico presenta il seguente contenuto:

Lo Stato Patrimoniale finale riassume tutti i valori che formano il capitale dell'impresa, ossia gli
investimenti in essere al termine dell'esercizio (attività) e i finanziamenti di ogni tipi a cui si è fatto ricorso
per alimentare quegli investimenti (passività e netto). Nella sua sintetica configurazione contabile, lo
stato patrimoniale finale presenta il seguente contenuto:

Torniamo, ora, alla situazione dei conti al 31/12 dell'impresa Alfa. Si nota la presenza di:

• conti finanziari
• conti economici di reddito che accolgono costi e ricavi
• un conto economico acceso al capitale netto

Sulla base di questi conti si deve procedere a determinare il reddito di esercizio. E' necessario però
ricordare, che esistono alcune conclusioni generali in precedenza fatte, che si ripropongono adesso in
chiave contabile. La prima conclusione è che il saldo di determinati conti accesi a costi (e ricavi) presenti
in Co.Ge alla fine dell'esercizio è di importo eccedente rispetto a quanto compete all'esercizio. Deve,
perciò, essere decurtato, rinviando la parte eccedente, e quindi non di competenza, agli esercizi futuri. Ciò
comporta che si debba operare una suddivisione fra:

• conti accesi a costi (ricavi) di esercizio


• conti accesi a costi (ricavi) anticipati o sospesi

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

Concentrandoci sui costi, quelli di esercizio sono espressione di utilità produttive già consumate; quelli
anticipati esprimono utilità acquistate (e dunque costi sostenuti) anticipatamente rispetto al loro
sfruttamento nella produzione. Al momento di determinare il reddito del periodo amministrativo, solo i
conti accesi a costi di esercizio dovranno essere considerati come componenti negativi del reddito di quel
periodo. I conti accesi a costi anticipati, invece, verranno sospesi dal calcolo del reddito dell'esercizio e
confluiranno fra le attività patrimoniali, rappresentando utilità a disposizione dell'impresa ancora da
sfruttare. Essi, poi, negli esercizi successivi si trasformano in conti accesi a costi di esercizio nella misura
in cui le utilità dei fattori produttivi ai quali i costi si riferiscono vengono consumate. La seconda
conclusione generale è che al termine dell'esercizio, i conti della Co.Ge non contengono i valori di alcuni
costi (e alcuni ricavi) che, pur di competenza nell'anno, avranno la loro manifestazione finanziaria solo in
futuro. Occorre, dunque, procedere a valutare l'entità di tali costi (e ricavi) “aggiungendoli” ai valori
contabili dell'anno di competenza.

Mettendo insieme le due conclusioni appena dette, emerge che, a fine anno, per individuare i risultati
della gestione e redigere il bilancio, è necessario preliminarmente compiere delle rettifiche, da un lato
stornando e, dall'altro, integrando i valori della Co.Ge. Tutto questo lo si fa attraverso le rilevazioni
contabili di assestamento, le quali si suddividono in:

• rettifiche sottrattive (o di storno)


• rettifiche integrative (o di imputazione)

Grazie alle scritture di assestamento, le operazioni di gestione che sono state oggetto di rilevazione sono
riconsiderate alla luce del principio della competenza economica. Per operare le rilevazioni di
assestamento è necessario prima redigere l'inventario. L'inventario è l'operazione tecnico-contabile
attraverso la quale si opera la ricognizione e la determinazione qualitativa e quantitativa del capitale
dell'impresa. La redazione dell'inventario si configura come un processo articolato in cinque fasi
fondamentali:

• ricerca degli elementi attivi e passivi che concorrono a formare il capitale


• descrizione di tali elementi
• ripartizione per classi qualitative omogenee
• valutazione
• raffigurazione secondo opportune forme espositive

Fra le fasi elencate, quella della valutazione è la più delicata; l'attribuzione di valore agli elementi del
capitale, infatti, richiede largamente l'impiego di stime e congetture e per questo è necessario fissare
alcuni criteri che aiutino a fare ciò. La prima e più importante fonte di regole alle quali il redattore del
bilancio deve attenersi si trova nel Codice Civile. Dal momento che il bilancio è il documento con il quale
l'impresa presenta ai terzi i risultati della sua gestione, è evidente che la redazione di questo documento
deve essere conforme alla norma civile, la quale è costantemente protesa a fissare regole che disciplinino
i rapporti fra terzi, onde favorire una ordinata convivenza sociale. Ovviamente, le norme del Codice Civile
non possono entrare nei dettagli tecnico-contabili della redazione del bilancio. La norma, per sua natura,
regola fattispecie generali e inoltre, in alcuni punti, il Codice può risultare di dubbia interpretazione. Da
qui, il ricorso a un'altra fonte: la prassi contabile qualificata. Nel nostro paese, la prassi contabile trova
la sua più autorevole espressione nell'Organismo Italiano di Contabilità (OIC). L'OIC “parla” attraverso
specifici documenti, detti principi contabili, nei quali si affrontano i vari problemi legati alla redazione del
bilancio, fornendo indicazioni su come risolverli. La prassi contabile, tuttavia, non sostituisce la norma
civile, bensì la integra e ne aiuta l'interpretazione e l'applicazione. Infine, parlando di bilancio, non è
possibile trascurare la normativa fiscale. I rapporti tra bilancio e normativa fiscale sono delicati e
controversi, questo perché il fisco mira ad evitare sottrazioni di ricchezza alla tassazione. Per questo, le
regole fiscali non devono avere rilievo nella redazione del bilancio, essendo il bilancio un fatto
prettamente contabile e civilistico. Le regole fiscali devono essere applicate esclusivamente nella
redazione della dichiarazione dei redditi, la quale parte dai valori di bilancio e li rilegge alla luce delle
disposizioni fiscali.

14.2 - LE RETTIFICHE SOTTRATTIVE

Le rettifiche sottrattive hanno la finalità di “togliere” dai saldi già contabilizzati la parte che non è di
competenza economica dell'esercizio. Le principali rettifiche di storno sono le seguenti:

• ammortamenti
• rimanenze di magazzino
• risconti
• capitalizzazione dei costi

Determinare il valore da attribuire a queste rettifiche presuppone il ricorso a specifici criteri di


valutazione. L'esame delle rilevazioni di storno, sarà, dunque, accompagnato, laddove necessario, dalla
schematica illustrazione di tali criteri.

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

14.2.1 - L'AMMORTAMENTO

Le immobilizzazioni tecniche esprimono investimenti destinati a fornire la loro utilità per più periodi
amministrativi. E' dunque logico che il costo di tali fattori produttivi venga opportunamente ripartito fra i
vari anni durante i quali essi offrono i loro servizi. In questo quadro, si colloca l' ammortamento, il quale
rappresenta il processo tecnico-contabile di ripartizione del costo di un fattore produttivo a utilità
pluriennale fra i vari anni di competenza. Con l'ammortamento, il costo delle immobilizzazioni tecniche
viene diviso in due parti:

• il costo corrispondente alla quota di ammortamento, che deve essere considerato un costo di
competenza dell'esercizio
• il restante costo ancora da ammortizzare, che costituisce un costo anticipato di durata
pluriennale, ossia la cui competenza dovrà essere ripartita fra un certo numero di esercizi futuri,
proseguendo nella procedura di ammortamento

Insomma, con la procedura di ammortamento, in seno ai costi delle immobilizzazioni tecniche acquisite
dall'impresa, si viene a compiere una separazione fra:

• costo di esercizio, rappresentato dalla quota di ammortamento che esprime utilità già cedute
nella produzione passata
• costo anticipato o pluriennale, rappresentato dal valore netto contabile (valore originario – quote
di ammortamento) che esprime utilità da cedere nelle produzioni future

I conti che accolgono i valori di fattori produttivi in grado di fornire utilità a più esercizi, vengono
qualificati come conti economici di reddito accesi a costi anticipati (o pluriennali). In generale,
dunque, al momento dell'assestamento, in seno ai costi economici di reddito accesi ai costi, si viene a
creare una distinzione tra:

• conti accesi a costi di esercizio


• conti accesi a costi anticipati

La quota di ammortamento parteciperà alla determinazione del reddito di esercizio e, quindi, confluirà nel
Conto Economico fra i costi di esercizio. Il valore netto contabile dell'immobilizzazione ancora da
ammortizzare andrà a formare le attività dell'impresa e, quindi, confluirà nello Stato Patrimoniale finale.

Vediamo ora come si introduce il valore dell'ammortamento in Co.Ge. Per farlo, torniamo all'esempio
dell'azienda Alfa. Guardando all'esempio, i beni oggetto di ammortamento sono rappresentati dagli
automezzi. Supponiamo che il processo di valutazione abbia assunto il valore di costo di acquisto del bene
come valore da ammortizzare e abbia individuato in 10 anni la durata della vita utile. Adottando un
criterio a quote costanti avremo, dunque, una quota di ammortamento annua pari a 80. Contabilmente
avremo: Automezzi (A) per 80 e Ammortamento automezzi (D) per 80. Il conto Ammortamento
Automezzi è un conto economico di reddito che esprime un costo di esercizio: dunque, una variazione
economica negativa. Esso accoglie la quota del costo degli automezzi che si ritiene abbia partecipato alla
produzione economica dell'esercizio e che, quindi, è di competenza dell'esercizio. Il conto Automezzi, per
quanto detto in precedenza, si qualifica come conto economico di reddito acceso a costi anticipati. Esso,
in seguito alle operazioni di assestamento, accoglie costi anticipati, di competenza di futuri esercizi. Lo
stesso risultato contabile si può avere anche seguendo una strada diversa che prevede l'impiego di un
particolare conto denominato fondo ammortamento. La funzione di tale conto è quella di correggere
indirettamente il conto al quale l'ammortamento si riferisce. Contabilmente abbiamo: Fondo amm.to
automezzi (A) per 80 e Ammortamento automezzi (D) per 80.

14.2.2 - LE RIMANENZE DI MAGAZZINO

Un ulteriore fondamentale passaggio delle scritture di assestamento è rappresentato dalla valutazione


delle rimanenze di magazzino. Se a fine anno un'impresa decidesse di mettere a confronto i costi di
acquisto con i ricavi di vendita delle merci, non otterrebbe un risultato significativo. Questo perché i costi
di acquisto delle merci comprendono anche quelli relativi a merci non ancora vendute. In conformità al
principio della competenza, per rendere omogeneo il confronto dei valori, bisognerà “agire” in modo tale
che a determinare il reddito di esercizio concorra solo il costo della merce venduta e non anche quello
della merce acquistata, ma ancora giacente in magazzino. Anche nel caso delle merci, dunque, si
ripropone il problema di distinguere tra:

• il costo corrispondente alle merci acquistate e già vendute, che deve essere considerato un costo
di competenza dell'esercizio
• il costo delle merci acquistate e non ancora vendute, che costituisce un costo anticipato, perché
relativo a fattori produttivi acquisiti anticipatamente al loro impiego

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

In termini contabili, ciò significa che occorre attribuire, in sede di inventario, un valore alla merce in
rimanenza e stornarlo dai costi di acquisto. Lo storno si opera in modo indiretto, senza correggere il saldo
del conto acceso ai costi di acquisto. Riprendendo l'esempio dell'impresa Alfa, supponiamo che le
rimanenze siano state valutate 200, contabilmente avremo: Merci (D) per 200 e Merci c/rimanenze
finali (A) per 200. Il conto Merci è un conto economico di reddito che esprime un costo anticipato. Per
quanto riguarda il conto Merci c/rimanenze finali si tratta di un conto chiamato a svolgere la funzione di
storno indiretto dei costi di acquisto delle merci. Può, dunque,essere qualificato come conto economico di
reddito acceso a rettifiche di costi. Tale conto, infatti, al momento di operare la sintesi di bilancio,
confluirà nel conto riassuntivo del reddito nella sezione dei ricavi.

Il problema cruciale di questa fase dell'assestamento risiede nell'attribuzione di valore alle rimanenze.
Come si ricorderà, i riferimenti per la valutazione sono i seguenti:

• costo di acquisto o di produzione


• valore di realizzo desumibile dall'andamento del mercato

Per ragioni di prudenza, fra i due valori bisogna prendere quello di importo minore.

14.2.3 - I RISCONTI

Il risconto fa riferimento a costi o ricavi che hanno avuto la loro manifestazione finanziaria nell'esercizio di
chiusura, ma sono da ritenersi, in parte, di competenza economica dell'anno futuro. Il risconto esprime,
appunto, la parte di costo o ricavo di competenza futura. In particolare:

• i risconti relativi a costi si definiscono risconti attivi e costituiscono costi anticipati


• i risconti relativi a ricavi si definiscono risconti passivi e costituiscono ricavi anticipati

La peculiarità dei risconti sta nel fatto che:

• il loro importo è proporzionale al tempo


• le operazioni a cui si riferiscono sono a cavallo fra due o più esercizi

Tornando all'impresa Alfa, ricordiamo che in data 1/4 era stato preso in affitto un immobile per un anno
pagando anticipatamente l'intero canone annuo di locazione, pari a 120.

Siamo di fronte ad un risconto attivo. Il pagamento di 120, già contabilizzato, misura un costo relativo a
servizi in parte di competenza dell'anno concluso e in parte di competenza dell'anno futuro. Occorre,
dunque, correggere il saldo del conto acceso ai Fitti passivi, individuando la parte del valore di costo
rilevato che è stata sostenuta in anticipo. In questo caso, l'intero costo di 120 fa riferimento a 12 mesi di
affitto, il costo di ogni mese quindi ammonta a 10. Poiché i mesi di impiego dell'immobile che ricadono
nell'esercizio futuro sono 3, il costo non di competenza da stornare ammonta a 30. Contabilmente avremo
Risconti attivi (D) per 30 e Fitti passivi (A) per 30.

14.2.4 - LA CAPITALIZZAZIONE DEI COSTI

Nella logica delle rilevazioni di storno si colloca anche il problema della capitalizzazione di alcune voci di
costo. In pratica, i fattori produttivi e i relativi costi che ancora devono essere utilizzati, essendo
espressione di cicli produttivi in corso di svolgimento, devono concorrere a formare il capitale.
Riprendiamo l'esempio dell'impresa Alfa. Durante l'esercizio erano stati sostenuti costi relativi alla
realizzazione e registrazione del marchio aziendale. In questo caso, è plausibile che tali spese possano
produrre i loro effetti di stimolo alla vendita in esercizi successivi a quello nel quale sono state sostenute.
Pertanto, il costo rilevato in contabilità deve essere rinviato ai futuri esercizi, capitalizzandolo.
Capitalizzare un costo significa riconoscere che esso ha un'utilità che va oltre l'esercizio nel quale è stato
finanziariamente sostenuto. Pertanto, il costo non viene considerato un componente negativo di reddito di
quell'esercizio, ma viene rinviato ai successivi esercizi, diventando un elemento attivo del capitale di
funzionamento. Il costo capitalizzato verrà, in futuro, attribuito all'esercizio o agli esercizi di competenza,
ad esempio attraverso una procedura di ammortamento. Contabilmente, la capitalizzazione si sostanzia in
una rettifica sottrattiva di costi. Tale rettifica può seguire due procedimenti:

• diretto

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

• indiretto

1. Con la capitalizzazione mediante rettifica diretta, i costi vengono capitalizzati correggendo


direttamente il saldo del conto economico di reddito nel quale essi sono stati originariamente rilevati.
Ipotizzando che Alfa decida di capitalizzare come marchio l'intero importo delle spese sostenute,
contabilmente abbiamo: Marchi (D) per 150 e Spese di consulenza (A) per 150. In seguito a questa
rettifica il conto Spese di consulenza risulta chiuso. In contropartita, fra i valori contabili si afferma quello
del marchio, il quale rappresenta un fattore produttivo immateriale a carattere pluriennale. Il costo del
marchio, in quanto costo pluriennale, deve essere sottoposto a procedura di ammortamento. Poniamo di
ammortizzare il marchio a quote costanti in 10 anni. Ricorrendo alla costituzione di un fondo
ammortamento, avremo: Ammortamento marchi (D) per 15 e Fondo Amm.to marchi (A) per 15.
Marchi, che rappresenta un conto economico di reddito acceso a costi anticipati (o pluriennali), affluirà
nello Stato Patrimoniale finale fra le attività e verrà trattato alla stregua di una immobilizzazione
immateriale, ripartendolo, mediante ammortamento, fra gli esercizi nei quali si ritiene potrà esercitare un
effetto positivo sui risultati aziendali. Fondo ammortamento marchi, invece, come conto economico di
reddito acceso a rettifiche di costi anticipati, verrà riepilogato sempre nello Stato Patrimoniale finale, ma
fra le passività, a correzione indiretta del conto Marchi. La quota di ammortamento affluirà nel Conto
Economico fra i costi di esercizio.

2. Con la capitalizzazione mediante rettifica indiretta, i conti economici di reddito che rilevano costi da
capitalizzare sono fatti confluire per il loro intero importo nel Conto Economico. Successivamente, sono
corretti facendo ricorso a una specifica voce contabile che verrà riportata sempre nel CE, ma fra i ricavi.
Ovviamente, non si tratta di un ricavo in senso proprio, ma di un espediente per operare la correzione
indiretta dei costi presenti nella sezione opposta del CE. Ipotizzando che una generica impresa Beta
quantifichi l'ammontare dei costi relativi all'auto produzione di un impianto in 100. Contabilmente
avremo: Impianti (D) per 100 e Incrementi di immobilizzazioni per lavori interni (A) per 100.
Il conto Impianti accoglie in dare una variazione economica negativa la quale misura il valore di costo
anticipato attribuito alla nuova costruzione in economia. Nelle sintesi di bilancio, esso verrà epilogato fra
le attività dell' SPf, non diversamente dalle immobilizzazioni tecniche acquisite da terzi. Nel corso degli
esercizi nei quali verrà impiegato per la produzione, l'impianto costruito in economia sarà, dunque,
soggetto a procedura di ammortamento. Il conto Incrementi di immobilizzazioni per lavori interni,
accreditato in contropartita, è un conto economico di reddito acceso a rettifiche di costi. Esso rileva una
variazione economica positiva, svolgendo la funzione di storno indiretto dei vari costi di produzione. Tale
conto, infatti, affluirà nel CE nella sezione dei ricavi. Nella sezione opposta, invece, confluiranno tutti i
diversi costi di produzione sostenuti, sia quelli relativi alla produzione principale, sia quelli generati dalla
produzione degli impianti. Alla determinazione del reddito, concorrerà solo la differenza fra l'importo dei
costi e quello degli incrementi delle immobilizzazioni.

14.3 - LE RETTIFICHE INTEGRATIVE

La redazione dell'inventario mette in evidenza che, al termine dell'esercizio, la Co.Ge non contiene alcuni
costi (e alcuni ricavi) che, pur di competenza dell'anno, avranno la loro manifestazione finanziaria solo in
futuro. Occorre, dunque, procedere a valutare l'entità di tali costi (e ricavi) aggiungendoli ai valori
contabili dell'anno di competenza. Da qui, la seconda categoria di rilevazioni di assestamento: le
rettifiche integrative. Le principali rettifiche integrative riguardano:

• fondi spese future


• fondi rischi
• imposte dell'esercizio
• ratei

14.3.1 - I FONDI SPESE FUTURE

I fondi spese future hanno origine dall'esistenza di alcuni costi i quali maturano nel corso di uno o più
esercizi, ma hanno la loro manifestazione finanziaria in uno o più esercizi successivi a quello di
maturazione. Non sarebbe corretto imputare tali costi interamente al reddito dell'esercizio in cui essi si
manifestano finanziariamente; corretto è, invece, imputarli agli esercizi di competenza. In concreto, al
termine di ogni anno, l'impresa deve:

• procedere ad individuare l'esistenza di costi a manifestazione differita


• stimare la quota di essi maturata nell'esercizio
• misurarla presuntivamente e rilevarla in contabilità, accantonandola in un opportuno fondo spese
future

In termini contabili, tutto ciò significa movimentare due conti, Accantonamento per spese future (D) e
Fondo spese future (A). E' necessario sottolineare che il termine “fondo”, nel caso delle spese future,
non significa altro che debito (in corso di formazione) per.. Un tipico esempio di fondo spese future è
costituito dal fondo per garanzie su prodotti venduti. Si tratta di accantonamenti operati per far fronte ai
costi che l'impresa dovrà sostenere in futuro per riparazioni di prodotti venduti in un determinato esercizio

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

e ancora in garanzia. Nella logica dei fondi spese future si collocano anche i debiti per TFR. Ricordiamo
che in Italia, in determinate situazioni, i dipendenti ricevono una data somma di denaro al momento
dell'interruzione del rapporto di lavoro. L'ammontare di tale somma è proporzionale alla retribuzione
annua corrisposta al lavoratore e alla durata del rapporto di lavoro. Siamo, dunque, di fronte a un costo
che avrà manifestazione finanziaria nell'esercizio in cui il lavoratore interromperà il suo rapporto di lavoro
con l'azienda, ma che, tuttavia, matura durante tutti gli esercizi per i quali il rapporto si è protratto. In
ragione di queste osservazioni, ne deriva che il 31/12 di ogni anno, è necessario procedere a calcolare la
quota di indennità di fine rapporto maturata, misurarla con un'uscita presunta e rilevarla in contabilità. In
sostanza, i conti movimentati sono Trattamento di fine rapporto (D) e Debiti per trattamento di
fine rapporto (A). Alla fine di ogni anno, se il rapporto di lavoro è ancora in essere, l'azienda dovrà
procedere a stimare il costo per TFR maturato, che confluirà nel CE dell'esercizio fra i componenti negativi
di reddito. Il conto debiti per TFR, di conseguenza, aumenterò il suo importo totale nella misura del nuovo
accantonamento.

14.3.2 - I FONDI RISCHI

Accanto al rischio generico d'impresa, si prospettano rischi specifici, relativi a particolari operazioni di
gestione avviate nell'esercizio. I rischi si manifestano concretamente sotto forma di maggiori costi o
minori ricavi legati a tali operazioni di gestione. I fondi rischi intendono fronteggiare quest'ultima
categoria di eventi. In sostanza, al 31/12 l'azienda deve:

• esaminare alcune particolari operazioni di gestione


• individuare possibili rischi a esse legati
• quantificare tali rischi in termini di sostenimento di costi (o di minori ricavi)
• misurare presuntivamente tali oneri
• rilevarli in contabilità come costi dell'esercizio, accreditando, in contropartita, un fondo rischi

In termini contabili, tutto ciò significa movimentare due conti: Accantonamento per rischi (D) e Fondo
rischi (A). Fondo rischi rileva una VFN che esprime una sorta di debito di regolamento presunto, il quale
misura l'onere derivante dall'evento rischioso. Presunto poiché l'importo della spesa non è conoscibile con
esattezza. I fondi rischi presentano molteplici punti in comune con i fondi spese future, la differenza tra i
due è che nei fondi spese l'onere e la relativa manifestazione finanziaria futura sono certi, nei fondi rischi
sono solo probabili. Ispirato alla logica dei fondi rischi è anche il fondo svalutazione crediti. Essendo i
crediti largamente diffusi, l'azienda ha la necessità di valutare la quota di tali crediti di dubbia esigibilità e
di imputarla come costo, per evitare che l'esercizio che ne risenta sia quello in cui le insolvenze hanno la
loro manifestazione. Tornando all'esempio Alfa, la situazione contabile evidenziava crediti verso clienti
ancora da riscuotere per 700, supponiamo che l'importo per perdite presunte su tali crediti sia stimato in
20. Contabilmente avremo: Perdite presunte su crediti (D) per 20 e Fondo svalutazione crediti (A)
per 20.

14.3.3 - LE IMPOSTE DELL'ESERCIZIO

Al termine di ogni esercizio l'impresa deve conteggiare fra i suoi costi anche le imposte da pagare allo
Stato sul reddito conseguito. Il meccanismo di pagamento delle imposte è articolato in tre distinti
momenti. Nel corso di ogni esercizio l'impresa è chiamata a versare due acconti all'Erario, uno nel mese di
giugno e l'altro a novembre. L'importo di tali acconti ammonta a una percentuale, definita dalla legge,
delle imposte dovute sui redditi dell'esercizio precedente. In pratica, ogni anno si anticipano imposte
supponendo che l'impresa guadagni almeno quanto l'anno precedente, e che sia dunque gravata da un
pari carico tributario. In occasione del pagamento degli acconti, contabilmente avremo: Banca x c/c (A) e
Imposte e tasse (D). Al termine dell'esercizio si “tirano le somme” e si misura il reddito prodotto,
calcolando l'entità delle imposte effettivamente dovute all'Erario. Si possono quindi verificare due
situazioni:

• le imposte pagate in acconto sono maggiori di quelle dovute sui redditi effettivamente conseguiti
nell'esercizio
• le imposte pagate in acconto sono minori di quelle dovute sui redditi effettivamente conseguiti
nell'esercizio

Nel primo caso l'impresa vanta un credito verso l'Erario che deve essere opportunamente rilevato in
Co.Ge, contabilmente avremo: Crediti verso l'Erario (D) e Imposte e tasse (A). L'ammontare della
variazione è pari all'eccedenza delle imposte già pagate in acconto rispetto a quelle dovute realmente. Se
invece le imposte pagate in acconto sono minori di quelle dovute sui redditi effettivamente conseguiti
nell'esercizio, l'impresa deve rilevare un debito verso l'Erario per quanto a esso ancora spettante.
Secondo la normativa vigente, tale debito verrà pagato nel giugno dell'esercizio successivo a quello di
conseguimento dei redditi. Il pagamento del debito viene, così, ad aggiungersi a quello del primo acconto.
In questo caso, siamo di fronte a un costo che avrà la sua manifestazione finanziaria in un esercizio
futuro, ma che compete economicamente all'esercizio in cui sono stati prodotti i redditi ai quali le imposte
si riferiscono. Tale costo non può essere fatto gravare sull'esercizio in cui si manifesta finanziariamente. Al

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

contrario, mediante una rettifica di integrazione, deve essere attribuito all'esercizio di competenza
economica. Contabilmente avremo: Debiti tributari (A) e Imposte e tasse (D). L'ammontare della
variazione è pari all'eccedenza delle imposte dovute rispetto a quelle già pagate in acconto.

14.3.4 - I RATEI

L'azienda Alfa in data 1/3 aveva stipulato con la banca un contratto di mutuo. Il finanziamento prevedeva
rate di rimborso costanti, comprensive di capitale e interessi, aventi cadenza semestrale e importo di 100.
Il primo pagamento del mutuo è stato contabilizzato il 31/8. Giunti al 31/12, non abbiamo alcun dato
contabile relativo alla quota di costi per interessi passivi maturata a partire dall'1/9 e che avrà scadenza il
28/2 dell'anno successivo. Parte di tale quota di interessi costituisce evidentemente un costo di
competenza dell'esercizio in chiusura. L'esercizio, infatti, ha beneficiato del capitale del mutuo per 4 mesi.
Lasciare che gli interessi passivi compresi nella rata del mutuo vengano rilevati e addossati al reddito
dell'esercizio successivo, quando la rata verrà effettivamente pagata, comporta una violazione al principio
di competenza economica. Urge quindi un intervento di assestamento. In particolare si tratta di
quantificare la quota di interessi maturata nel corso dell'esercizio che si è chiuso e aggiungerla ai costi di
tale periodo. Ci troviamo adesso nel campo dei ratei. I ratei sono poste contabili attraverso le quali si
misurano finanziariamente quote di costi (o di ricavi) di competenza dell'esercizio, che maturano in
proporzione al decorrere del tempo, la cui effettiva manifestazione finanziaria si avrà solo nell'esercizio/i
successivo/i.

Lo sfasamento temporale all'origine dei ratei

I ratei che misurano quote di costi si indicano come ratei passivi; quelli che misurano quote di ricavi,
come ratei attivi. In termini strettamente contabili, i ratei sono valori finanziari, una sorta di debiti (i
ratei passivi) o di crediti (ratei attivi) di regolamento in corso di formazione. Il loro tratto peculiare, per
molti versi simile ai risconti è:

• si ricollegano a operazioni a cavallo fra due o più esercizi


• il loro importo viene calcolato sulla base di un computo temporale

Tornando all'esempio di Alfa, supponiamo che la composizione della seconda rata del mutuo sia: quota
interessi passivi 60 e quota capitale da rimborsare 40. Considerando che gli interessi maturano in
proporzione al decorrere del tempo (60 per 6 mesi, ossia 10 al mese), è logico ripartire il loro importo in
due tranche: 40 maturati fra il 1/9 e il 31/12 e 20 maturati fra l'1/1 e il 28/2. La prima tranche è di
competenza dell'esercizio e va ad aggiungersi agli interessi maturati fra l'1/3 e il 31/8 che sono già stati
contabilizzati. Contabilmente avremo Ratei passivi (A) per 40 e Interessi passivi (D) per 40.

14.4 - LA CHIUSURA DEI CONTI ALLA FINE DELL'ESERCIZIO

Una volta ultimate le operazioni di assestamento, bisogna raccogliere opportunamente i valori contabili in
“prospetti di sintesi” che indichino il reddito conseguito nel corso dell'esercizio e la composizione del
capitale alla fine di esso. E' questo lo scopo delle scritture di chiusura. Con esse si chiudono
gradualmente tutti i conti e si passa a costruire il bilancio di esercizio. La chiusura viene operata per
tappe:

• chiusura dei conti accesi a costi e ricavi di esercizio


• chiusura del Conto Economico
• chiusura di tutti i conti accesi a valori finanziari, a costi e ricavi anticipati e a valori economici di
capitale

Prima di procedere con le tappe occorre redigere una nuova situazione contabile, esaminando come si
presentano i conti dopo l'assestamento. Dopo aver chiuso un conto, in contropartita, all'accreditamento di
un conto, seguendo le regole della partita doppia, si avrà l'addebitamento di un altro conto, tipicamente il
Conto Economico che ha la funzione di riepilogare i costi e i ricavi di competenza dell'esercizio. A questo
punto, nel dare del CE figurerà un importo pari al saldo di chiusura del conto che abbiamo chiuso. Ad
esempio, avremo:

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

14.4.1 - LA REDAZIONE DEL CONTO DIMOSTRATIVO DEL REDDITO O “CONTO ECONOMICO”

La prima tappa del processo di chiusura dei conti porta alla redazione del Conto Economico, ossia del
conto dimostrativo del reddito di esercizio. A questo fine, occorre procedere a chiudere tutti i conti accesi
a costi e ricavi dell'esercizio. Ciò richiede di determinare i saldi di tali conti e di inserirli nel conto
riassuntivo del reddito, ossia nel CE. In particolare:

• i saldi dei conti accesi ai costi di esercizio vengono inseriti nel dare del Conto Economico
• i saldi dei conti accesi ai ricavi di esercizio vengono inseriti nell'avere del Conto Economico

In termini prettamente contabili, si tratta: da un lato, di accreditare i singoli conti accesi ai costi di
esercizio per un importo pari al loro saldo e, in contropartita, addebitare per tali importi il CE. Dall'altro
lato occorre addebitare per importi pari al loro saldo i conti accesi a ricavi dell'esercizio accreditando in
contropartita, per tali importi, il CE. Al termine di questa fase, il contenuto del CE sarà il seguente:

Prendiamo in analisi il caso dell'azienda Alfa. I conti accesi ai costi di esercizio e i loro relativi saldi sono i
seguenti:

• Merci c/acquisti - 600


• Fitti passivi - 90
• Retribuzioni - 400
• Interessi passivi - 105
• Ammortamento automezzi - 80
• Ammortamento marchi - 15
• Accantonamento garanzie prodotti - 30
• Accantonamento vertenze giudiziarie - 10
• Perdite presunte su crediti - 20
• Imposte e tasse - 160

I conti accesi ai ricavi di esercizio e i loro relativi saldi sono i seguenti:

• Merci c/vendite - 1500

A questo conto si aggiunge quello acceso alle rimanenze finali di merci. Il conto presenta un saldo avere
di 200. Tale valore non è, tuttavia, un ricavo di esercizio in senso proprio, esso rappresenta piuttosto una
correzione indiretta del costo delle merci acquistate; è, cioè, da intendersi come una rettifica di costi di
esercizio.
In seguito alla chiusura dei conti accesi a costi e ricavi di esercizio, in contropartita al Conto Economico,
quest'ultimo presenterà il seguente contenuto:

Conto Economico
Dare Avere
Merci c/acquisti Merci c/vendite
600 1.500
Fitti passivi Merci c/rimanenze finali
90 200
Retribuzioni
400
Interessi passivi
105
Ammortamento marchi
15
Ammortamento automezzi
80
Accantonamento garanzie prodotti

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

30
Accantonamento vertenze giudiziarie
10
Perdite presunte su crediti
20
Imposte e tasse
160

Totale costi Totale ricavi


1.510 1.700

Una volta riepilogati i conti accesi a costi e ricavi di esercizio, si passa a chiudere il Conto Economico. Per
farlo, occorre determinare il suo saldo:

• se i ricavi di esercizio sono maggiori dei costi di esercizio si configura un saldo (inteso come
eccedenza) avere, il quale esprime il conseguimento di un utile di esercizio
• se i ricavi di esercizio sono minori dei costi di esercizio si configura un saldo (inteso come
eccedenza) dare, il quale misura il sostenimento di una perdita di esercizio

Se presenta una eccedenza avere, il Conto Economico si chiude addebitandolo per il valore del suo saldo
e accreditando in contropartita il conto Utile di esercizio. In caso opposto il Conto Economico viene
accreditato per il valore del suo saldo, addebitando in contropartita il conto Perdita di esercizio.
In seguito alle rilevazioni di chiusura, il CE si chiude e dimostra la consistenza e la composizione del
reddito di esercizio, evidenziandone la tipologia e l'entità dei costi sostenuti e dei ricavi conseguiti
dall'impresa durante il periodo amministrativo come conseguenza dello svolgimento dell'attività di
gestione. Dal CE è così possibile trarre elementi di giudizio concernenti il profilo economico della gestione.

14.7 - LA RIAPERTURA DEI CONTI ALL'INIZIO DELL'ESERCIZIO

Al 31/12 si chiudono i conti e si redige il bilancio d'esercizio, all'1/1 la gestione riprende e la contabilità si
riapre. La riapertura dei conti prende le mosse dallo Stato Patrimoniale finale. Tutti i conti in esso
raccolti vengono riaperti secondo la loro logica di funzionamento:

• i valori espressivi di attività, mediante il loro addebitamento, cioè in dare


• quelli rappresentativi delle passività e del netto, mediante il loro accreditamento, cioè in avere

Si riapriranno, dunque, mediante addebitamento, i conti accesi alla giacenza di cassa e banca, ai crediti
verso clienti ancora da riscuotere, agli impianti, etc. Di contro, si riapriranno, mediante accreditamento, i
conti accesi alle esposizioni bancarie (banche c/c passivi), ai fornitori, ai fondi accantonamento, ai mutui
passivi, ai risconti passivi, al capitale netto, etc. Gli addebitamenti e gli accreditamenti vengono operati
accreditando e addebitando, in contropartita, il conto di interferenza Stato Patrimoniale iniziale. Tale conto
è, per così dire, speculare al conto Stato Patrimoniale finale. E' infatti ovvio che la composizione e la
consistenza del capitale all'1/1 corrispondono a quelle del capitale al 31/12 dell'anno precedente. Per lo
stesso motivo, al termine della riapertura, l' SP finale risulterà spento in quanto il totale della sezione dare
equivaglierà quello della sezione avere.

Capitolo Quindicesimo

15.1 - IL VALORE ECONOMICO DEL CAPITALE: SCOPI E CRITERI DI DETERMINAZIONE

E' frequente che il soggetto economico si interroghi sul complessivo valore dell'impresa. Questa curiosità
nasce da motivazioni di natura diversa:

• la cessione dell'azienda (o di una parte di essa)


• la conoscenza degli effetti delle strategie e delle politiche di gestione adottate

Prescindendo dalle ragioni che portano l'imprenditore a interrogarsi sul valore dell'impresa, quello che
viene ricercato è il valore economico del capitale (W) o capitale economico, ossia il valore della
combinazione sistemica di tutti gli elementi che formano l'azienda. E' facile intuire che la ricerca di questo
valore non è semplice e, soprattutto, non è esente da elementi di soggettività. Il processo di valutazione
deve essere quanto più possibile:

• razionale
• dimostrabile
• neutrale

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

Esistono vari metodi che permettono di riuscire a calcolare il valore economico del capitale, questi metodi
si dividono in due grandi famiglie:

• metodi misti
• metodi puri

I metodi misti giungono alla determinazione del valore economico del capitale utilizzando,
contemporaneamente, sia l'informazione reddituale che quella patrimoniale. Prende corpo così, il metodo
di valutazione misto patrimoniale-reddituale. I metodi puri, invece, sono basati su un unico tipo di
informazione. Da qui discendono due criteri di valutazione: il metodo reddituale e il metodo patrimoniale.
I metodi puri di tipo patrimoniale hanno il pregio di prendere in considerazione il valore del patrimonio
dell'impresa valutata, ma tralasciano la capacità della stessa impresa di produrre redditi in futuro. Il limite
è talmente forte da aver fatto cadere in disuso questo tipo di valutazione. I metodi puri di tipo reddituale,
al contrario, enfatizzano l'aspetto del reddito, tralasciando quello del patrimonio. Il loro largo impiego
deriva dalla prevalenza che viene attribuita alle capacità reddituali future dell'impresa, rispetto al valore
del patrimonio.

15.2 - IL METODO MISTO PATRIMONIALE-REDDITUALE

Il metodo misto patrimoniale-reddituale arriva a determinare il valore dell'impresa guardando,


contemporaneamente, sia il valore del patrimonio attuale, sia le capacità di generare reddito. In questo
senso i passaggi critici della valutazione sono due:

• la determinazione del capitale netto sostanziale


• la stima dell'avviamento

15.2.1 - IL VALORE SOSTANZIALE DEL CAPITALE

E' importante anzitutto determinare il capitale netto sostanziale (K), ossia l'espressione a valori
correnti del capitale netto contabile. Il passaggio dal capitale netto contabile al capitale netto sostanziale
avviene attraverso due differenti tipologie di operazioni:

• la correzione di valori esistenti


• l'aggiunta di valori non espressi dal sistema contabile

Con la correzione dei valori esistenti, le voci di Attivo e Passivo che emergono dalla contabilità vengono
riespresse a valori correnti. Le principali voci interessate da questo processo sono:

• immobili
• impianti e macchinari
• crediti
• rimanenze di magazzino
• fondi per rischi e oneri

Gli immobili devono essere valutati al loro valore di mercato. Spesso è questa la voce patrimoniale che
risente maggiormente degli effetti distorsivi che il trascorrere del tempo produce sui valori contabili
espressi a costo storico. La correzione avviene guardando al valore reale, ossia al valore che si riscontra
sul mercato per beni simili. Questo ragionamento vale anche per gli impianti e macchinari. Anche se gli
effetti causati dal trascorrere del tempo possono essere meno marcati, grazie ad un ciclo di vita più breve
rispetto agli immobili, ci troviamo di fronte ad una correzione più difficile poiché la determinazione del
valore corrente di un impianto usato può non trovare spunto da valori di mercato per beni simili. In questi
casi, i parametri che devono essere presi come riferimento sono il costo di riproduzione dell'impianto
(ossia le spese che l'impresa deve sostenere per riprodurre internamente l'impianto in oggetto) o il suo
costo di sostituzione (nel caso in cui la riproduzione non sia possibile, si guarda al costo necessario per
costruire o acquistare un bene basato su tecnologie e materiali correnti che possa rimpiazzare il bene in
uso). Per i crediti deve essere valutata la loro esigibilità. Laddove si verifichi l'esistenza di crediti iscritti
per valori superiori alla loro effettiva esigibilità, si deve procedere alla decurtazione di questi maggiori
importi. Per quanto riguarda le rimanenze di magazzino si possono verificare contemporaneamente due
situazioni: la presenza di prodotti obsoleti iscritti a valori troppo alti e la presenza di prodotti che sono
iscritti a valori di costo più bassi di quelli di mercato. Nel primo caso si deve procedere a una riduzione di
valore, nel secondo, invece, ad adeguare il magazzino al valore di mercato. Infine, sono da esaminare con
attenzione gli accantonamenti per rischi e oneri. Molto spesso, infatti, i valori accantonati non sono
adeguati alle circostanze che li hanno originati. Anche in questo caso gli accantonamenti o sono in
eccesso rispetto ai costi che devono fronteggiare, oppure sono insufficienti. Nel primo caso si ridurranno i
fondi per rischi e oneri, mentre nel secondo caso si procederà ad un loro aumento. Naturalmente l'importo
della riduzione o dell'aumento deve essere attentamente valutato anche se non è affatto semplice. Le
rettifiche richiamate, tuttavia, non bastano, bisogna anche guardare alla presenza di eventuali “beni” non
rappresentati dalla contabilità. Si tratta dei cosiddetti beni immateriali invisibili. Alcuni esempi sono: il
valore di un marchio creato internamente, il valore del know-how impiegato nell'impresa, il valore di una

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

rete di vendita, etc. Definire concretamente cosa sia un bene intangibile e individuare criteri per una sua
valutazione non è semplice. Una classificazione utile è quella che distingue fra:

• intangibili di marketing
• intangibili di tecnologia

Gli intangibili di marketing sono quei plusvalori originati dalla capacità dell'impresa di interagire con il
mercato e, quindi, di costruirsi un marchio, di fidelizzare i clienti, di creare reti di vendita, etc. Gli
intangibili di tecnologia, invece, fanno riferimento a tutti quei plusvalori che si legano direttamente alla
capacità dall'impresa di realizzare la sua produzione, quindi la capacità di innovare, di formulare nuovi
brevetti, di dotarsi di personale qualificato, etc. Per chiarezza, un bene per essere considerato intangibile,
deve essere:

• trasferibile, cioè separabile e cedibile a terzi


• misurabile nel suo valore

In conclusione, per passare dal valore di capitale netto contabile a quello di capitale netto sostanziale è
necessario esprimere i valori contabili di Attivo e Passivo a valori correnti e far emergere il valore dei beni
immateriali non presenti in contabilità.

Valore sostanziale del capitale (K) = Capitale netto di bilancio + Beni imm. inv +/- Maggiori o minori valori
correnti

15.2.2 - L'AVVIAMENTO

Parlando del valore K, si tratta di un'informazione patrimoniale rilevante che va integrata con la
valutazione delle condizioni reddituali. Entra così in gioco la valutazione dell'avviamento. L'avviamento
trova la sua giustificazione nei redditi futuri dell'impresa e si presenta solo laddove tali redditi siano
maggiori rispetto a quanto sarebbe normale attendersi. Per determinare la presenza e l'entità
dell'avviamento è necessario conoscere due elementi:

• un valore di reddito (R)


• il tasso di remunerazione atteso (i)

R rappresenta il flusso di reddito annuale che l'impresa sottoposta a valutazione è in grado di garantire al
soggetto economico. Il tasso di remunerazione i, invece, rappresenta il rendimento minimo atteso da un
investimento di capitali in una determinata attività imprenditoriale. Soffermandosi su R, esso deve essere:

• prospettico (reddito che plausibilmente l'impresa sarà in grado di generare in futuro)


• normalizzato (ossia reddito ordinato al nette delle imposte gravanti sulla gestione ordinaria)
• medio (vengono considerati più redditi che abbracciano un lasso di tempo di più anni)

Il tasso di remunerazione (i), invece, corrisponde al costo del capitale il quale esprime quanto deve
rendere l'investimento nell'impresa per giustificare i livelli di rischio che esso comporta. Si tratta del tasso
Ke già individuato per la quantificazione degli oneri figurativi ai fini della determinazione dell'equilibrio
economico. Laddove dal rapporto fra il reddito attesto (R) e capitale netto sostanziale emerga un tasso di
redditività superiore al costo del capitale e, dunque, al tasso di remunerazione i, l'impresa presenta
condizioni di avviamento (goodwill).

ESEMPIO
Si ipotizzi la seguente situazione: K = 1.000 R = 120 i = 10%

Il rendimento previsto del capitale netto sostanziale è uguale a:

R = 120/1.000 = 12% Il rendimento minimo atteso, invece, è pari a i, ossia al 10%. La


differenza
K tra rendimento previsto (12%) e rendimento minimo atteso
(10%) è
all'origine della presenza di un avviamento

In base a quanto fin qui affermato, la formula del valore economico del capitale potrebbe essere scritta
così: [1]
W=K+A
La lettura di questa nuova formulazione di W suggerisce che il valore economico del capitale può essere
calcolato mediante la somma di due addendi:

• il valore del patrimonio netto rettificato (K)


• il valore dell'avviamento (A) determinato in modo autonomo

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

Si parla a tal proposito, di determinazione di W con stima autonoma dell'avviamento. Resta da


quantificare l'avviamento (A). In questo caso il valore di A è dato dalla trasformazione dei sovraredditi
futuri in un valore di capitale attuale. Il valore del sovrareddito da capitalizzare si ricava dalla seguente
differenza: [2]
R – (K x i)
Moltiplicando il capitale netto sostanziale (K) per il tasso di remunerazione atteso (i) otteniamo il valore di
reddito ritenuto normale per quell'investimento imprenditoriale; sottraendo questo valore dal reddito
prospettico ® si giunge alla determinazione del sovrareddito.

ESEMPIO

Si ipotizzi la seguente situazione: K = 1.000 R = 120 i = 10%

In base a queste informazioni il sovrareddito previsto è uguale a:


R – Ki = 120 – (1.000 x 0,1) = 120 – 100 = 20
La capitalizzazione del sovrareddito (e quindi la determinazione di A) può avvenire in due modi:

• con capitalizzazione illimitata del sovrareddito


• con capitalizzazione limitata a n anni del sovrareddito

Quando si ipotizza che il sovrareddito possa protrarsi indefinitamente, la [1] viene riscritta così: [3]
W = K + R – Ki
i
La formula [3] determina W attraverso la somma di K e della capitalizzazione perpetua della differenza fra
il reddito prospettico R e il reddito normale atteso, calcolato moltiplicando il valore di capitale netto
sostanziale K per il tasso i; tale differenza rappresenta il sovrareddito dell'impresa. Per arrivare
all'avviamento, i sovraredditi vengono poi capitalizzati sempre al tasso i che esprime la remunerazione
ritenuta normale per le condizioni di rischio proprie di quell'investimento imprenditoriale, in quanto il
conseguimento dei sovraredditi è sottoposto alle medesime condizioni.

ESEMPIO
Si ipotizzi la seguente situazione: K = 1.000 R = 120 i = 10%

In base a queste informazioni, il valore economico del capitale calcolato con il metodo misto
patrimoniale-reddituale, con capitalizzazione illimitata dei sovraredditi è:

W = 1.000 + 120 – 1.000 x 0,1 = 1.000 + 20 = 1.000 + 200 = 1.200


0,1 0,1

200 Rappresenta l'ammontare dell'avviamento

Quando, al contrario, si ritenga che il sovrareddito non possa essere mantenuto oltre un certo numero di
anni, la determinazione di W con stima autonoma dell'avviamento avviene così: [4]

Il secondo addendo della formula esprime la capitalizzazione del sovrareddito per un numero “n” limitato
di anni. Otterremmo lo stesso risultato se lo riscrivessimo nel seguente modo: [5]

Quest'ultima formulazione ha il pregio di consentire la determinazione dell'avviamento considerando


valori di reddito diversi nel corso degli anni. Si tratta, cioè, di utilizzare non più un unico reddito medio
normalizzato, ma i singoli redditi degli anni di previsione

ESEMPIO
Si ipotizzi la seguente situazione: K = 1.000 R = 120 i = 10% n=5 → (anni di durata del
sovrareddito)

In base a queste informazioni, il valore economico del capitale calcolato con il metodo misto
patrimoniale-reddituale, con capitalizzazione limitata dei sovraredditi è:

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

76 Rappresenta l'ammontare dell'avviamento. Il suo importo, rispetto all'esempio precedente, è minore,


perché la capitalizzazione è relativa a un numero limitato di redditi

Gli esempi proposti mettono in evidenza come l'avviamento non sia altro che una riserva occulta di
valore che si palesa nel momento in cui si valuta il complesso aziendale considerando la sua capacità
reddituale. Non sempre l'avviamento, però, è un valore in più da aggiungere al capitale netto sostanziale.
Può anche avvenire che l'avviamento sia negativo (badwill). L'avviamento è negativo quando il reddito
prospettico (R) è inferiore al reddito normale atteso (Ki). In questa situazione, il valore del capitale netto
sostanziale viene ridotto dall'avviamento negativo per rendere coerente il valore complessivo
dell'investimento W con il reddito R che esso potrà garantire.

ESEMPIO
Si ipotizzi la seguente situazione: K = 1.000 R = 120 i = 10%

In base a queste informazioni il valore economico del capitale calcolato con il metodo misto
patrimoniale-reddituale, con capitalizzazione illimitata dei sovraredditi è:
W = 1.000 + 80 – 1.000 x 0,1 = 1.000 + -20 = 1.000 – 100 = 80
0,1 0,1

Gli effetti di un avviamento negativo sono evidenti. Il valore economico del capitale è inferiore al valore
sostanziale del capitale netto. Infatti, i valori di R ritenuti non congrui spingono ad attribuire un valore
inferiore al complesso aziendale. Solo così il rapporto fra reddito atteso (R=80) e investimento nel
capitale aziendale (800) è del 10% (80/800) e corrisponde alla remunerazione normale attesa (i)
15.3 - IL METODO REDDITUALE
Un'impresa, dato il ruolo che è chiamata a svolgere, vale non tanto per quel che è oggi, ma per quanto
potrà fruttare domani. Da qui, il largo impiego che viene fatto del metodo reddituale di valutazione del
capitale economico. Determinare il valore economico del capitale guardando esclusivamente alle
potenzialità reddituali chiama in causa due elementi già conosciuti:

• il valore di reddito futuro (R), o reddito prospettico


• il tasso di remunerazione atteso (i)

In termini logici, per un investitore che desideri ottenere dal suo investimento un rendimento almeno pari
a i, il capitale (W) da impiegare in un'impresa dalla quale ci si attende in futuro una produzione perpetua
di redditi pari a R, è dato dalla formula: W = R [6]
i

ESEMPIO
Ipotizzando che il reddito futuro atteso sia pari a 120 e che l'attesa di remunerazione sia pari al 10%, il
valore economico del capitale ammonta a: W = R / i = 120 / 0,1 = 1.200
E' cioè razionale investire 1.200 per avere un reddito annuo di 120 se si ritiene che, per
quell'investimento, tenuto conto dei rischi che comporta, il 10% di rendimento sia soddisfacente.

Il metodo reddituale non mette in evidenza il valore dell'avviamento. A tale valore, tuttavia, è possibile
giungere confrontando il valore W ottenuto attraverso la formula [6] con quello del capitale netto
sostanziale (K). Ossia: [7]

ESEMPIO:
Ipotizzando che il reddito futuro atteso sia pari a 120 e che il tasso di remunerazione sia del 10%, il
valore economico del capitale risulta: W = R / i = 120 / 0,1 = 1.200
Si supponga ora che il capitale netto sostanziale (K) = 1.000
L'avviamento ammonta, allora, a 200, ossia: 1.200 – 1.000
L'esempio chiarisce che la differenza tra il metodo misto patrimoniale-reddituale e il metodo reddituale è
che con il metodo reddituale, il valore dell'avviamento non è esplicitato dalla formula valutativa, ma è in
essa inglobato
ESEMPIO:
Si riprendano i dati dell'esempio precedente, ossia: K = 1.000 R = 120 i = 10%

In base a queste informazioni il valore economico del capitale calcolato con il metodo reddituale è il
seguente:

W = R / i = 120 / 0,1 = 1.200

Lo stesso risultato si ottiene ricorrendo al metodo misto patrimoniale-reddituale, con capitalizzazione

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)


lOMoARcPSD|4150312

illimitata dei sovraredditi. Infatti: W = 1.000 + 120 – (1.000 x 0,1) = 1.000 + 20 = 1.000 + 200 =1.200
0,1 0,1
La formula [6] per la determinazione di W è basata sul presupposto che:
• il reddito abbia durata indefinita
• il reddito (R) sia sempre lo stesso
In concreto, possono presentarsi situazioni nelle quali questi presupposti vengono meno. Guardando,
infatti, alla produzione perpetua del reddito, possono esistere imprese per le quali questa ipotesi non è
plausibile. Si pensi, ad esempio, a una impresa che basa la sua attività su una concessione dalla durata
limitata di n anni. In questi casi, l'ipotesi della produzione di reddito illimitata nel tempo non è certamente
razionale. La formula valutativa, quindi, deve essere riscritta ponendo come condizione la cessazione del
flusso reddituale a una certa data. In particolare, la determinazione di W deve avvenire attraverso
l'utilizzo della seguente formula che adotta una rendita limitata a un numero n di anni: [8]

ESEMPIO:
Ipotizzando che il reddito atteso futuro, per i prossimi sette anni (n = 7), sia pari a 100 e che l'attesa di
remunerazione sia pari al 10%, il valore economico del capitale ammonta a:

Possono presentarsi casi nei quali occorre fare riferimento a più valori diversi di R. Si pensi, ad esempio, a
quelle imprese che in ragione della particolare fase del ciclo di vita attraversata, produrranno,
nell'immediato futuro, redditi diversi a quelli che si realizzeranno una volta che tutti gli investimenti
saranno andati a regime. In questi casi, la determinazione di W deve avvenire attraverso la
capitalizzazione di un dato reddito R per i primi n anni, mediante l'utilizzo della [8], con l'aggiunta di un
valore finale (terminal value) che sintetizza il valore economico del capitale originato dai redditi prodotti
stabilmente dall'impresa oltre l'n-esimo anno di previsione e che deve essere calcolato utilizzando un
valore di R diverso da quello adottato per i primi anni. Nella sua forma più semplice il Terminal Value (TV)
si determina attraverso: la capitalizzazione del reddito prospettico a partire dall'anno n+1, usando la
formula della rendita perpetua; la successiva attualizzazione del valore così ottenuto [9].

Combinando la [8] con la [9] si arriva a una diversa formulazione del valore economico del capitale [10]:

ESEMPIO:
Ipotizzando che il reddito medio atteso futuro, per i prossimi sette anni (n = 7), sia pari a 90, che il
reddito previsto dall'ottavo anno in poi sia pari a 100 e l'attesa di remunerazione sia del 10%, il valore
economico del capitale sarà pari a:

Scaricato da Marta ferrari (marta.ferrari.uk1995@gmail.com)

Potrebbero piacerti anche