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STORIA MINIMA DELLA POPOLAZIONE NEL MONDO

Capitolo I
Spazio e strategie della crescita demografica
Una terra densamente popolata è la prova implicita di un assetto sociale stabile, di rapporti umani
non precari, di risorse naturali ben sfruttate, solo una popolazione numerosa può poi mobilitare le
risorse umane per costruire case e citta, strade e ponti, porti e canali

L’evoluzione demografica non è stata uniforme nel tempo, si è sviluppata attraverso cicli di
espansione, ristagno e perfino riduzione, la cui interpretazione, anche per i periodi storici non
avvolti nelle nebbie, non è agevole!
Ci sono dei vincoli e argini che bisogna porre all’evoluzione demografica:
1. Condizionamenti biologici connessi cioè con le leggi di mortalità e riproduttività, dalle
quali dipende la velocità dell’accrescimento demografico
2. Condizionamenti ambientali determinano le forze di attrito che tali leggi incontrano,
regolando ulteriormente la velocità di crescita.
I biologi hanno identificato due grandi categorie di strategie vitali
Fanno parte della strategia K gli uomini che investono moltissimo anche nell’allevamento della
prole.
Due principi sono importanti:
1. La rilevanza della relazione tra popolazione e ambiente cioè come quell’insieme di
condizioni di vita ( ambiente fisico, clima, nutrimento) che determinano la
sopravvivenza.
2. La relazione tra riproduttività e mortalitàè la funzione dell’intensità degli
investimenti parentali
Molte specie sono sottoposte a cicli rapidi e repentini che ne modificano la numerosità in crescita
o in diminuzione (sono noti i cicli quadriennali dei piccoli roditori in Scandinavia).
Altre specie invece conservano un equilibrio.
Vi sono dunque:

 Popolazioni in rapida crescita o in rapida diminuzione

 Popolazioni più o meno stabili


La specie umana obbedisce a leggi di variazioni temporali assai più lente, si riscontrano lunghi
cicli di crescita o di flessione che in alcuni casi hanno addirittura portato all’estinzione (a Santo
Domingo, dopo l’approdo di Colombo).
Inoltre le velocità di variazione della specie umana possono essere molto diverse anche in contesti
assai simili e su periodi assai lunghi.
In ogni intervallo di tempo, una popolazione (P) varia di numero per effetto dei flussi di rinnovo o
entrata (le nascite N e le immigrazioni I) e di estinzione o uscita (i morti M e le emigrazioni E).
Lasciamo da parte immigrazioni ed emigrazioni, la variazione della popolazione dP è:
dP= N-M

Da una popolazione all’altra, una popolazione si accresce (o diminuisce o resta invariata) se coloro
che accedono al periodo riproduttivo sono in grado a loro volta di portare alla riproduzione un
numero superiore (inferiore o uguale) di individui.
Il risultato è la conseguenza di due fattori:
1. Il numero di figli che ciascun individuo mette al mondo
2. L’intensità della mortalità lungo l’arco della vita fino al termine dell’età riproduttiva
La capacità di crescita di una popolazione può esprimersi quindi con due misure:
1. Il numero di nascite cioè il numero di figli messi al mondo da una generazione di donne
nel corso della vita riproduttiva e nell’ipotesi di assenza di mortalità.
2. La speranza di vita alla nascita indica la durata media di una generazione di nati
Il numero di figli per donna dipende a sua volta da due fattori:
1. Frequenza delle nascite può essere scomposto in 4 segmenti:

 Un periodo di infecondabilità dopo ogni parto poiché l’ovulazione viene sospesa

 Il tempo medio di attesa, cioè il numero medio di mesi che concorrono dalla ripresa
normale dell’ovulazione al concepimento.

 La durata della gravidanza, circa 9 mesi.

 La mortalità intrauterina  su circa 5 gravidanze circa 1 non arriva a termine per


aborto spontaneo
Se si sommano i valori minimi la frequenza delle nascite è tra 1,5 e 3,5 anni
2. Periodo fertile utilizzato per la riproduzione cioè fattori prevalentemente culturali
determinano l’età di accesso alla riproduzione:

 L’età del matrimonio  tra i limiti minimi che sono i 15 anni e i limiti massimi che
ora hanno superato i 25 anni

 Termine del periodo fertile in media ai 50 anni di età


La riproduttività umana oltre ai condizionamenti della fecondità deve superare anche il severo
filtro della mortalità: riproduttività e mortalità non sono indipendenti tra loro nelle varie specie
viventi e nemmeno in quella umana:
 Quando il numero di figli è molto alto, i rischi di morte nella prima infanzia sono più elevati
e la forte competizione per le risorse in ambito familiare possono determinare una
diminuita resistenza a tutte le età

 In popolazioni dove la mortalità è bassa o si è abbassata un’elevata fecondità è alla lunga


incompatibile per l’accrescimento eccessivo della popolazione.
Nelle popolazioni umane si ha una forte eliminazione dopo la nascita e nella prima infanzia, per
la fragilità all’ambiente esterno. I rischi di morte raggiungono un minimo nella tarda infanzia e
nell’adolescenza e si elevano a partire dalla maturità per il graduale indebolimento dell’organismo.
Inoltre da un punto di vista strettamente genetico, la sopravvivenza dopo le età riproduttive (dopo
i 50 anni) non ha alcuna rilevanza dato che non altera il patrimonio genetico di una popolazione.
Durante l’età riproduttiva invece più alta è la mortalità più forte è il suo effetto selettivo.
Tuttavia la maggiore sopravvivenza degli adulti e degli anziani può avere delle conseguenze
biologiche indirette  la loro presenza favorisce l’accumulo e la trasmissione delle conoscenze e
favorisce gli investimenti parentali e quindi può concorrere alla migliore sopravvivenza delle
nuove generazioni.
Lo spazio strategico della crescita è assai vasto ma solo una piccola porzione può essere
permanentemente occupata da una popolazione: i meccanismi di crescita devono fare i conti con
le condizioni ambientali con le quali interagiscono ma dalle quali sono in qualche misura frenati.
Nelle varie epoche, le capacità riproduttive furono diversissime in funzione dell’evoluzione tecnica
e sociale
Capitolo II
sviluppo demografico tra scelta e costrizione
Lo sviluppo demografico si esplica con forza variabile nell’ambito di uno spazio strategico vasto
che permette velocità di accrescimento o di riduzione molto considerevoli che possono portare
una popolazione a grandi numeri o all’estinzione.

La crescita demografica si sviluppa in proporzione alla crescita delle risorse disponibili risorse
non sono immobili e statiche poiché si espandono sotto l’azione incessante dell’uomo.

Nuove terre vengono abitate e sfruttate, le conoscenze mutano, le tecniche si modificano.

Abbiamo individuato tre grandi cicli di popolamento:

1. dai primi abitatori alla transizione del neolitico,

2. dal neolitico alla rivoluzione industriale,

3. dalla rivoluzione industriale ai giorni nostri.

All’interno di queste fasi lo sviluppo è avvenuto irregolarmente, con periodi di accelerazione, di


ristagno e regressione.
Lo sviluppo demografico si muove compresso tra due grandi sistemi di forze:

quelle della costrizione e quello della scelta

 Sono forze di costrizione: clima, patologie, terra, energia, alimenti, spazio, modi di
insediamento. Queste forze sono variabili e interdipendenti pur essendo accomunate sotto
due profili:

A. la rilevanza per il cambiamento demografico

 Dalla terra derivano alimenti e fonti di energia che condizionano il


quadro di sopravvivenza di una popolazione.

 Il clima condiziona la fruibilità della terra ed è correlato al sistema delle


patologie.

 Queste ultime collegate anche all’alimentazione hanno rilevanza su


riproduzione e sopravvivenza.

 Spazio e modi di insediamento sono collegati alla densità della popolazione


e alla trasmissione delle patologie.

B. la lenta modificabilità cioè la durata di una generazione o della vita umana. E’


evidente che le risorse alimentari ed energetiche possono essere accresciute con la
messa a coltura di nuove terre, che dall’aggressione delle patologie e delle epidemie
ci si può difendere ostacolandone la diffusione, tuttavia la popolazione deve
adattarsi a convivere con i fattori costrittivi..

La transizione demografica del neolitico

Con la rivoluzione del neolitico  l’uomo iniziò a:

 seminare e coltivare migliorando con la selezione le qualità nutritive di grani e alberi.

 Riuscì ad addomesticare alcune specie di animali e da cacciatori e raccoglitori si fanno


agricoltori diventando nel tempo da mobili a sedentari.

Col diffondersi dell’agricoltura il popolamento si accresce stabilmente di molti ordini di


grandezza.

Antropologi e demografi riconducono le cause di questa accelerazione a più cause.

o Nel periodo paleolitico ha poco senso riferirsi alla popolazione mondiale essendo di fronte a
piccoli aggregati composti da poche centinaia di unità in precario equilibrio con l’ambiente.
Una teoria classica parte dal presupposto che l’accelerazione della crescita sia la
conseguenza del migliore livello di nutrizione assicurato dal sistema agricolo e quindi la
diminuita mortalità questa teoria è stata rimessa in discussione affermando che nelle
popolazioni agricole sedentarie sia la mortalità sia la fecondità si accrescono ma la seconda
più della prima e questo spiega l’accelerazione demografica

o Una teoria più recente ritiene invece che la dipendenza da colture poco variate, la
maggiore sedentarietà, la maggiore densità con l’aumentano dei rischi di trasmissione delle
malattie infettive aumenterebbero la mortalità ma aumenterebbe anche la fecondità che
consentirebbe una più rapida crescita.

Perché la mortalità è più elevata negli agricoltori rispetto ai cacciatori?

1) è spiegata dal fatto che il livello nutritivo dal punto di vista della qualità peggiorerebbe
con la transizione all’agricoltura

2) con l’insediamento stabile si pongono le condizioni per l’insorgenza, la diffusione e la


conservazione di malattie infettive e parassitarie più rare o sconosciute in popolazioni mobili
e a bassa densità.

o Malattie che si trasmettono per contatto nelle popolazioni statiche aumentano con
la contaminazione del suolo dell’acqua dei ricoveri permanenti anziché occasionali.

o La sedentarietà inoltre aumenta anche la trasmissibilità di quelle infezioni


provocate da vettori il cui ciclo di vita è interrotto da frequenti spostamenti
come avviene con le pulci le cui larve si riproducono in nidi, giacigli, alloggi più
che sul corpo di animali e persone.

o Inoltre alcune tecniche agricole sarebbero responsabili della diffusione di


patologie come la malaria alimentata dallo sviluppo dell’irrigazione e dalla
creazione di depositi di acqua stagnante.

Cohen dice che il confronto tra cacciatori e raccoglitori con i successivi agricoltori,
vede questi ultimi più esposti a infezioni, parassitismo e peggiore alimentazione

A questo punto l’unica spiegazione che giustifica il rapido accrescimento è data dalla maggiore
fecondità degli agricoltori:
La grande peste e il declino demografico dell’Europa

Attorno all’anno 1000 la popolazione europea inizia una fase di crescita destinata a durare tre
secoli:

 Si fondano nuove città

 aree abbandonate si popolano

 le coltivazioni si espandono occupando anche terre meno fertili.

La popolazione europea di accresce di 2 o 3 volte.

Tra la fine del 1200 e gli inizi del 1300 il ciclo di crescita si va esaurendo.

Complesse sono le cause che ne determinano il rallentamento.

 economia meno vigorosa con l’esaurimento delle terre migliori

 l’arresto del progresso tecnico, è soggetta a carestie più frequenti dovute a condizioni
climatiche più sfavorevoli.

 CAUSA FONDAMENTALE: Verso la metà del 1300 un evento catastrofico cioè la


PESTE e di lunga durata provoca un netto declino del popolamento che sarebbe sceso di
quasi 1/3 tra il 1340 e il 1400 per diminuire ancora fino alla prima metà del 1500, prima di
iniziare un recupero che riporterà la popolazione a livelli anteriori la crisi verso la metà del
1500.

LA PESTE: appare in Sicilia alla fine del 1347 e percorre tutta l’Europa spostandosi gradualmente
verso est fino a raggiungere la Russia. Il numero dei decessi conta circa 80 milioni di abitanti

COME? Il bacillo responsabile della peste viene da Hong Kong e si trasmette per mezzo della
pulce ospite di ratti e topi. Il bacillo non uccide la pulce ma infetta il suo ospite. Quando il topo
muore deve trovare un altro ospite , un altro topo o l’uomo, diffondendo l’infezione. La peste
trasmessa per via cutanea provoca un rigonfiamento delle ghiandole linfatiche del collo, delle
ascelle e dell’inguine. L’infezione provoca febbre alta, stato comatoso, insufficienza cardiaca,
infiammazione degli organi interni. Nei 2/3 o 4/5 dei casi si moriva. La trasmissione avveniva
attraverso il trasporto di merci contenenti pulci o topi infetti. Coloro che la contraggono e ne
guariscono acquisiscono una immunità di breve durata.

La peste che appare in Europa seppure non nuova mancava da 6 o 7 secoli, dall’epoca di
Giustiniano. Quest’ultima diffusa nel Mediterraneo orientale colpisce l’Italia e l’Europa nel 541-
544. la peste del 1347 sbarca a Messina con alcune galere genovesi provenienti dai porti del mar
Nero. Questa non è che la prima di una serie di ondate epidemiche.

COSA CAUSA LA PESTE?


 La diminuzione delle nascite accentua l’azione demografica negativa dell’epidemia

 L’alta mortalità scioglie i matrimoni e disgrega i nuclei familiari.

 Le città svuotate, i villaggi abbandonati, le campagne deserte,

Al termine della crisi si produce un contraccolpo:

 si recuperano i matrimoni rinviati, i vedovi si risposano, riprende la fecondità delle coppie.


Tutto si traduce in una ripresa transitoria della natalità.

 Il saldo tra nascite e morti migliora.

 I nuovi nuclei familiari hanno più facile accesso alle risorse dovute allo spopolamento
operato dalla peste.

 La nuzialità aumenta e si rafforzano le capacità di crescita della popolazione.

 Si abbassa l’età per il matrimonio.

La catastrofe degli indios d’America: microbi antichi, popolazioni nuove

Tragici sono gli effetti del contatto tra bianchi europei, coloni, esploratori o marinai, e le
popolazioni indigene del Nuovo Mondo, del Pacifico e dell’Oceania.

COLOMBO

La popolazione di Santo Domingo terra in cui sbarcò Colombo fu sottoposta ad una sorta di
censimento, ma dopo l’epidemia vaiolo del 1518/19non rimasero che poche migliaia di abitanti
destinati all’estinzione.

PERCHE’?

Il rapido declino delle popolazioni indigene nei 30 anni successivi alla conquista fu determinato:

 dal fatto di non essere immuni a una serie di patologie che erano sconosciute in America
comuni in Eurasia e nei confronti delle quali i conquistatori europei avevano sviluppato
un buon adattamento. Malattie in Europa relativamente innocue (morbillo, influenza)
divennero mortali per gli indigeni. Questo fenomeno viene chiamato effetto “terreno
vergine”. Il paradigma terreno vergine della popolazione e della sua conseguente
vulnerabilità alle nuove patologie fornisce una spiegazione convincente al declino
demografico del continente nei due secoli successivi alla conquista, anche se si possono
desumere due problematiche:

1. la prima  è che non vi sono prove storiche di epidemie mortali prima del vaiolo del
1518

2. la seconda che il paradigma terreno vergine tende a nascondere altre cause del
declino demografico quali gli ostacoli alla riproduzione imposti dalla dislocazione
sociale prodotta dalla conquista.
ALTRE CAUSE:

 La ricerca dell’oro vedeva troppi indios nelle miniere e per lunghi periodi, con il
conseguente abbandono delle altre attività produttive, il lavoro eccessivo, le condizioni
avverse delle miniere, i maltrattamenti, le separazioni dalle famiglie producevano alta
mortalità e bassa fecondità delle loro donne

 il sistema dell’encomienda (pratica di attribuire gli indigeni agli spagnoli in stato di


servaggio)  spostava gli indios da una parte all’altra dell’isola per i frequenti passaggi da
un padrone all’altro e la vita comunitaria veniva stravolta, inoltre gli encomenderos timorosi
di perdere i loro indios li sfruttavano imponendo eccessivi carichi di lavoro, maltrattamenti,
concubinato e sottrazione delle donne dal pool riproduttivo.

furono le principali cause della catastrofe.

La conquista spagnola  determinò un profondo sradicamento economico e sociale creando le


condizione per l’alta mortalità e la ridotta fecondità.

Cuba, Portorico e Giamaica subirono lo stesso disastro di Hispaniola.

.Il declino varia a seconda delle situazioni ma il meccanismo è lo stesso quando il colono
effettua il contatto opera la trasmissione dell’agente patogeno dalla popolazione di origine a quella
vergine e la malattia si diffonde con grande virulenza.

 Non furono però solo le malattie ad influenzare la catastrofe delle popolazioni


americane, bensì anche le tecnologie e le conoscenze superiori a quelle delle
popolazioni indigene.

Per l’arricchimento era necessaria la mobilitazione del lavoro indigeno perla ricerca dell’oro
e nella ripartizione di indios tra i conquistatori, una vera e propria confisca forzosa del
lavoro indigeno. La costruzione delle città, il trasporto.

In molte parti del continente la conquista si impose con le armi con conseguenze di distruzione,
carestia e fame:

 Il Perù fu devastato dalla guerra di conquista. Spagnoli e portoghesi sottrassero le donne


indigene alla società e al pool riproduttivo indigeno.

 Nell’emisfero australe nelle missioni gesuitiche protette dallo sfruttamento dei coloni, i
padri indussero la popolazione ad abbandonare il seminomadismo e la promiscuità
massimizzando la fecondità, esse conobbero nel 1600 e 1700 una forte espansione
demografica.

Africa e America e la tratta degli schiavi

Tra il 1500 e il 1870 – quando la tratta fu abolita -9,5 milioni di africani furono deportati come
schiavi in America.

Una interpretazione malthusiana è che questa sottrazione di ingenti risorse umane, migliorasse le
prospettive di sopravvivenza delle popolazioni vittime delle tratte che le rendite del traffico
aumentassero il livello di vita, anche se poi le popolazioni tributarie di schiavi subirono un ristagno
se non un declino in quanto il traffico riguardava individui giovani, più uomini che donne in piena
età riproduttiva.

Gli effetti riguardanti il regime demografico della collettività africana che si formò nel nuovo
mondo sono deducibili dal confronto del flusso cumulato nei tre secoli con lo stock di popolazione
esistente nel 1800. Tale stock composto da individui sopravviventi e i loro discendenti indica un
rapporto pari a meno di 1 il che indica l’incapacità della popolazione africana di sostenersi nel
nuovo continente.

In Brasile e nei Caraibi che assorbirono la stragrande maggioranza del flusso, il sistema
demografico si manteneva grazie ad una sostenuta e continua importazione di nuove leve che
riempivano i vuoti aperti dall’elevatissima mortalità, non sufficientemente ricompensata dalla bassa
riproduttività.

Solo nell’America ispanica e ancora di più negli Stati Uniti la riproduttività degli schiavi era alta.
Le ragioni della tragedia africana nei Caraibi e in Brasile stanno tutte nelle condizioni di vita
imposte dalla perdita della libertà, dalle modalità di cattura e di trasporto, dal lavoro massacrante
nelle piantagioni di zucchero, dalle condizioni avverse all’adattamento climatico e alimentare.

Inoltre le unioni erano meno frequenti e gli intervalli tra i parti più lunghi, la durata del periodo
riproduttivo minore.

CAUSE MATERIALI:

Difficile era l’acclimatamento, tanto che gli schiavi che arrivavano spesso morivano nei primi tre
anni. In Brasile la vita utile di un giovane schiavo in una piantagione era compresa tra i 7 e i 15
anni. La speranza di vita degli schiavi maschi era stimata in 18 anni contro la media di 27 della
popolazione brasiliana e dei 35 degli schivi negli Stati Uniti. Noti sono infatti i massacranti cicli di
lavoro nelle piantagioni di canna, il regime alimentare era vario ed adeguato, ma l’igiene negli
acquartieramenti era pessima, la cura dei malati e degli inabili scarsa.

ALTRE CAUSE:

Oltre agli elementi materiali che costituiscono la causa diretta della mortalità ve ne sono altri di
più difficile valutazione:

 il regime di privazione della libertà che scoraggiava la solidarietà familiare e


comunitaria impedendo i contatti tra schiavi di piantagioni diverse,

 l’incapacità di sperimentare efficienti meccanismi di difesa di fronte alle costrizioni


esterne accrescendo la loro vulnerabilità.

 Il problema quindi erano i padroni che pur ammettendo unioni libere o occasionali, non
incoraggiavano o ostacolavano il matrimonio tra schiavi, insidiandone la stabilità
familiare e la riproduttività, facendo assumere un segno meno a bilancio tra nascite e
morti
Quando venne abolita la schiavitù, il governo ordinò ai proprietari di Campos che facessero sposare
i propri schiavi, alcuni obbedirono, ma altri risposero che era inutile maritare le donne negre che
non avrebbero potuto allevare i loro figli. Queste infatti dopo il parto erano obbligate a lavorare
nelle piantagioni di canna sotto il sole cocente e quando finalmente potevano tornare dalle loro
creature il loro latte era insufficiente.

I Francesi del Canada, artefici di un successo demografico

Nella provincia canadese del Québec poche migliaia di pionieri immigrati nel 1600 sono i
progenitori della maggior parte degli abitanti di oggi.

Nonostante:

 il clima rigido e inospitale,

 favoriti dall’abbondanza delle risorse naturali e

 della disponibilità della terra

si sono moltiplicati rapidamente.

Nel 1680 l’insediamento francese sulle rive del San Lorenzo in Canada è ben radicato e nei 100
anni successici il nucleo iniziale si moltiplicherà per oltre 10 volte.

Le particolarità di questo gruppo di pionieri e dei suoi discendenti, si possono riassumere in tre
elementi:

1. elevata nuzialità e bassa età al matrimonio

2. alta fecondiàman mano che la società si radicalizza le figlie dei pionieri hanno anche
loro una elevata fecondità come le loro madri

3. mortalità relativamente bassa  a tenere bassa la mortalità dovette concorrere:

 la bassissima densità del popolamento e quindi bassa trasmissibilità e diffusione


di infezioni ed epidemie

 ma anche un fattore di selettivitàInfatti chi era in grado di sostenere un lungo e


gravoso viaggio per poi reggere il confronto con un paese inospitale, doveva essere
in possesso di integrità e forza fisica. E qui la selezione era determinante perché
la mortalità incombeva su chi non era in grado di sostenere il viaggio ed
adattarsi alla nuova patria

Le sorti divergenti delle popolazioni autoctone e dei colonizzatori fu funzione oltre dell’impatto di
nuove patologie anche del differenziale dei livelli di organizzazione sociale e tecnologica delle
popolazioni che vennero a contratto . Gli europei erano in possesso di fonti di energia (cavallo,
trazione animale) di tecnologie (utensili, esplosivi) superiori a quelle degli indigeni, inoltre si
coprivano ed alloggiavano meglio. Gli animali importati si adattarono e si riprodussero
velocemente, così come le piante. Le capacità di conquistare l’ambiente dettarono le regole del
successo demografico della colonizzazione europea del continente americano e oceanico.
Irlanda e Giappone: due isole, due storie

 L’Irlanda uno dei paesi più poveri dell’Europa, sottomessa all’Inghilterra, con una
economia agricola vive una condizione di arretratezza.

Nonostante la miseria la popolazione cresce rapidamente, perfino più dell’Inghilterra che è tra i
paesi europei più dinamico.

Gli irlandesi alla fine del 1600 sono circa 2 milioni, nel 1841 qualche anno prima della grande
fame, sono 8 milioni.

 Il Giappone ai primi del 1600 conosce un risveglio interno che porta la popolazione a
triplicarsi nei successivi 120 anni, per poi subire un ristagno.

1) Il caso dell’Irlanda  è stato analizzato da Connell, la cui tesi evidenzia la predisposizione


degli irlandesi al matrimonio precoce, ostacolata dalla difficoltà di acquisire un podere sul
quale costruire casa e famiglia. Una volta rimosso l’ostacolo, e innescata la fortuna della
patata la nuzialità aumenta e determina un’alta fecondità che abbinate ad una mortalità non
troppo elevata determina il tasso di accrescimento. Questo equilibrio finisce per diventare
precario con l’eccessivo incremento demografico.

La grande fame del 1846/47 sconvolgerà l’intero assetto demografico venutosi a creare.
Come scrive Connell gli irlandesi erano propensi al matrimonio precoce ma non esistevano le
condizioni per sposarsi presto in quanto i grandi proprietari tendevano a mantenere gli affittuari
in una economia di sussistenza manovrando la leva dell’affitto e ostacolando i miglioramenti
del livello di vita. La terra ottenuta, sostenuta da un fatto nuovo, la grande diffusione della
patata, introdotta alla fine del 1500 e gradualmente affermatasi, sarebbero connesse con la più
alta produttività e con una popolazione sempre più dipendente dal consumo della patata,
considerata di alto valore nutritivo. Quindi, la disponibilità di nuova terra resa produttiva dalla
coltivazione della patata rendono possibile la bassa età del matrimonio e l’alta nuzialità degli
irlandesi che combinate con l’alta fecondità e la bassa mortalità costituiscono una
combinazione di elementi che alzano il tasso demografico fino al periodo precedente la grande
fame.

Ma la lunga e sostenuta crescita demografica in una società rurale dove la terra è elemento
limitante alle risorse non poteva continuare all’infinito.

Un fungo danneggia gran parte del raccolto di patate del 1845 e lo distrugge, l’inverno del
1846/47 porta la fame, la povertà, le migrazioni di massa, le epidemie e le febbri di tifo. La
grande fame segna la fine del regime demografico legato alla patata che aveva assecondato
la forte crescita ma aveva reso fragile, di fronte alla carestia, a popolazione.

Nei decenni successivi si crea:

 un nuovo regime fondiario


 un nuovo assetto matrimoniale basato sul tardo matrimonio e sull’alto celibato

 l’emigrazione di massa provocano una diminuzione sostenuta della popolazione.

2) Il caso del Giappone vede invece il regime Tokugawa , che copre oltre due secoli di storia,
un periodo di pace interna, di chiusura all’esterno e una penetrazione cristiana di
restaurazione del confucianesimo durante il quale la società si prepara alla modernizzazione.
Prima la produzione era destinata a pagare le imposte fondiarie e a sovvertire i bisogni
individuali a prezzo della miseria, ma quando vendere divenne il fine principale della
produzione, le sofferenze si trasformarono in lavoro mediante il quale si poteva arricchire
migliorare il livello di vita. L’estensione della terra coltivata si raddoppiò ed il modello di
coltivazione si tramutò da estensivo ad intensivo.

Nel secolo successivo questa impetuosa ondata di crescita si ritira, nel 1870 cade il regime
Tokugawa e inizia il ristagno.

Sicuramente influisce:

 il controllo della produzione di bambini, per mezzo, più che del ritardato matrimonio,
dell’aborto e dell’infanticidio, ampiamente praticati in tutte le classi sociali.

 Un’altra interessante spiegazione riguarda la trasformazione dell’agricoltura, che


implicò, si migliori condizioni di vita ma anche un notevole aumento di lavoro sia
per gli uomini ma anche per le donne.

A differenza del sistema demografico irlandese che si frantuma con la grande fame e la grande
emigrazione, il sistema giapponese è graduale, non imposto da eventi traumatici.

La Cina e l’Europa

Con il secolo XVIII buona parte del mondo sembra entrare in una fase di accelerazione
demografica.

Il benessere aumenta e anche l’espansione demografica

1) Il caso della Cina Alcuni autori sottolineano la plasticità del sistema demografico
cinese, capace ad adattarsi alle costrizioni esterne con varietà di meccanismi:

 In primo luogo, il ricorso all’infanticidio che permetteva di regolare il numero e il


genere dei figli. Questo colpiva soprattutto le femmine. L’infanticidio selettivo e la
più alta mortalità femminile dovuta alle minori cure dei genitori verso le bambine,
generava una forte distorsione nel mercato matrimoniale dove le giovani donne
scarseggiavano.

Il risultato era che le donne si sposavano molto giovani mentre gli uomini in età avanzata o
rimanevano celibi.
Infine, forte rilievo avevano i meccanismi di adozione di bambini allevati da genitori
adottivi. Così il sistema demografico cinese era caratterizzato da molteplici celte che
bilanciavano l’amore col matrimonio, la continenza con la passione, l’amore genitoriale con
la decisione di uccidere i figli e con l’adozione.

Durante la prima metà dell’800 la Cina avanzò a ritmo rallentato anche a causa di conflitti
interni e due carestie. Inoltre al Cina di fine ‘800 è ancora ben lontana dalla modernità.

2) L’espansione europea ha meccanismi e vicende ben diverse.

Tra il 1750 e il 1850 la popolazione europea subisce una netta accelerazione nonostante la
peste e la rivoluzione francese e le guerre napoleoniche che devastano l’Europa per venti
anni, la carestia del 1816/17, il tifo ed infine il colera. Ciononostante la popolazione
aumenta vigorosamente.

Le cause dell’attenuazione delle grandi crisi di mortalità sono di natura:

 Biologica l’effetto di un processo di adattamento tra agente e ospite ha portato


all’attenuazione della virulenza di alcune patologie

 Economica attinenti non solo al progresso agricolo, ma anche al miglioramento


dei trasporti e quindi alla redistribuzione delle derrate tra aree di abbondanza e
aree di penuria.

 Sociale riguardano invece l’attenuazione della trasmissibilità delle infezioni


grazie ad una maggiore igiene privata e pubblica

McKeown sostiene l’accelerazione demografica del ‘700 sarebbe la conseguenza del declino
della mortalità la cui causa è da ricondurre al migliore livello alimentare.

Questa tesi si scontra con altre considerazioni: nuove colture è vero si erano diffuse, la patata fra
tutte, ma questo non significò miglioramento del consumo pro capite. Spesso, le nuove colture
provocarono l’abbandono di consumi più pregiati, immiserendo la dieta.

Altre considerazioni indirette, vedono la generalizzata diminuzione dei salari reali e quindi
diminuzione del potere di acquisto, destinato all’acquisto di alimentari.
Capitolo III

Rendimenti decrescenti e crescita demografica

Ci sono due punti di vista di segno opposto sulla questione dell’effetto dello sviluppo demografico
sullo sviluppo economico nelle società agricole
Il concetto dei rendimenti decrescenti è al centro del pensiero di Malthus e Ricardo cioè
l’apporto di lavoratori aggiuntivi a uno stock fisso di capitale potrà si far aumentare la produzione
complessiva ma il contributo all’aumento produttivo di ciascun lavoratore aggiuntivo sarà
decrescente.

La diminuzione del prodotto pro-capite è inerente alla legge dei rendimenti decrescenti
conseguente all’aumento di popolazione per uno stock fisso di terra e capitale.

L’adozione di un’invenzione che faccia aumentare la produzione sia per unità di lavoro che per
unità di terreno implica un aumento delle risorse disponibili gli effetti positivi sono però
temporanei perché la crescita demografica tende ad annullare tutti i benefici così conseguiti,
inoltre non c’è progresso che possa espandere in continuazione la produttività di risorse come la
terra, che sono fisse.

Malthus afferma l’inconciliabilità delle potenzialità di crescita della popolazione che se non
controllata cresce in progressione geometrica e quella delle risorse necessarie alla sopravvivenza, in
particolare il cibo, crescono solo in progressione aritmetica.  la capacità moltiplicativa della
popolazione fa deteriorare il rapporto tra risorse e abitanti fino a quando non entrano in
azione dei freni.

I freni sono detti repressivi alla crescita demografica  fame, epidemie e guerre che riducono la
numerosità della popolazione e ristabiliscono un rapporto più adeguato con le risorse, fino a
quando un nuovo ciclo negativo si instaura e la capacità produttiva della popolazione non trova un
freno di altra natura  cioè il desistere al matrimonio.

Si deducono quindi 4 punti fermi:

nn

Quando la popolazio cresce la domanda di alimenti cresce e quindi il prezzo aumenta, il lavoro
viene meno remunerato perché la sua offerta si espande. La conseguenza di un aumento dei prezzi e
di una diminuzione dei salari provoca il declino dei salari reali e il peggioramento delle condizioni
di vita della popolazioni.
MA questo peggioramento NON può essere senza fine e bisogna riportare un equilibrio che deve
avvenire:
 O sotto il freno preventivo (cioè riduzione della nuzialità)  percorso 1
 O sotto l’incosciente rotta che passa per il suo rifiuto e quindi che porta inevitabilmente
all’aumento della mortalità, cioè del freno repressivo  percorso 2

Le conferme della storia


Malthus postula che in assenza dei freni preventivi la popolazione sia costretta periodicamente a un
rialzo della mortalità per il deterioramento delle condizioni di vita.
MA se questi freni prudenziali vengono posti in azione allora la crescita viene messa sotto
controllo e ne segue un processo di accumulazione delle risorse e di miglioramento stabile delle
condizioni di vita, però i freni preventivi operano lentamente e solo in popolazioni molto
civilizzate e l’azione prevalente è stata quella dei freni repressvi.
Per quanto riguarda il lungo periodo l’azione negativa del deteriorarsi delle condizioni di vita
dovrebbe essere più consistente che nel breve infatti l’effetto frenante sulla crescita diventa
meno importante e insufficiente a spiegare l’alternanza dei cicli di crescita e di contrazione, ma
questi devono essere spiegati con l’azione NON transitoria dei freni repressivi e preventivi  cioè
di durature modificazione della mortalità e della nuzialità in conseguenza di periodi di
miglioramento o peggioramento delle condizioni di vita
Pressione demografia e crescita economica
Gli economisti del XVII e del XVIII secolo erano convinti che la povertà di molti paesi, pur
ricchi d possibilità fosse connessa con lo scarso popolamento ed erano favorevoli alla crescita
demografica

Una popolazione numerosa e crescente era il sintomo più importante della ricchezza anzi era la
causa principale della ricchezza.  l’accrescimento demografico significava una moltiplicazione
delle risorse e contribuiva a far accrescere il reddito individuale.
Questa opinione era generalizzata alla fine XVIII e gli sviluppi negativi di breve perido con la
prima rivoluzione industriale indurranno Malthus a rovesciare la prospettiva.
Può lo sviluppo demografico essere generatore di sviluppo economico?
 Se le risorse fisse sono sostituibili oppure abbondati, questo può avvenire e la storia lo
dimostra
Perché mai una crescente pressione demografica sulle risorse crea essa stessa le premesse per
lo sviluuppo?  Teoria proposta da Ester Boserup
 è naturale attribuire la variabile densità del popolamento nelle aree rurali al grado di fertilità
del suolo, ma questa interpretazione può essere rovesciata  è l’incremento della
popolazione che genera le condizioni per l’adozione di modi e tecniche di sfruttamento del
suolo via via più intensivi e quindi la crescita demografica è causa e non conseguenza dei
mutati metodi di coltivazione cioè determina il passaggio verso sistemi di utilizzazione
del suolo sempre più intensivi e con riposo più corto che permettono di nutrire una
popolazione cresecente
 MA questo processo di intensificazione della coltivazione va di pari passo con
un’intensificazione del lavoro occorrente e in molti casi con una diminuzione della sua
produttività
 Ogni agricoltore quindi dovrà lavorare più a lungo, cioè la sua produttività tende a
diminuire quando il popolamento si fa troppo elevato in rapporto alla terra disponibile, gli
agricoltori sono spinti ad utilizzare nuove tecniche di lavoro che permettono con più lavoro
individuale di ottenere maggiore produzione per unità di terra disponibile.
Pressione demografica e sviluppo: esempi dall’età della pietra e dall’epoca moderna
La spiegazione della transazione dalla caccia alla raccolta all’agricoltura si affida a due
meccanismi:
1. Quello dell’invenzione o innovazione
2. Quello della sua diffusione
L’invenzione di nuove tecniche permette una maggiore e stabile produzione, l’uomo modifica
l’ambiente e pone le condizioni dell’aumento della popolazione.
Cohen rovescia i termini del problema: è la crescita demografica che obbliga i gruppi di
cacciatori e raccoglitori ad allargare la gamma della raccolta e varietà meno pregiate e nutrienti
9.000 anni fa i cacciatori e raccoglitori cominciano ad essere constretti ad allagare artificialmente
tale gamma di alimenti scegliendo la coltivazione.
La tesi si basa su due argomentazioni:
1. L’agricoltura è costituita da una serie di comportamenti e tecniche che non sono sconosciuti
ai cacciatori e raccoglitori, ma non adottati perché non necessari
2. La dieta si sarebbe detiorata in qualità e varietà poiché la pesca e la caccia sono un cibo
più ricco e nutriente e completo. Quindi questa transizione non sarebbe stata di per sé
conveniente e inolte il lavoro richiesto sarebbe stato assai più gravoso di quello proprio dei
cacciatori, spesso considerata come un naturale modo di vita
Quindi  l’agricoltura permette di produrre una maggiore quantità di alimenti che sostengono
popolazioni più dense e unità sociali di maggiori dimensioni, però a costo di una riduzione della
qualità della dieta, una minore stabilità dei raccolti e una quantità di lavoro uguale o probabilmente
maggiore per unità di nutrimento  l’agricoltura si diffonde quando la crescita demografica
impone una maggiore produzione per unità di spazio
Spazio, terra e sviluppo
Per molto tempo il benessere della popolazione è dipeso dalla disponibilità di spazio e di terra

I modelli di Malthus e Boserup ruotano attorno al ruolo dello spazio


Lo studio dello sviluppo demografico di lungo periodo deve farsi tenendo conto della
dimensione SPAZIO, con la quale si sintetizza tutto ciò che esso è collegato terra, prodotti della
terra, caratteristiche che modellano le forme di insediamento.

Un altro aspetto della relazione tra terra spazio e sviluppo riguarda i MOVIMENTI MIGRATORI
 la specie umana moderna, detto uomo anatomicamente moderno, si sarebbe diffusa dall’Africa
all’Asia occidentale, all’Europa e poi verso l’Asia orientale raggiungendo per ultime l’America e
l’Australia.

Possiamo fare delle considerazioni specifiche considerando la rivoluzione neolitica e


l’introduzione dell’agricoltura nel vicino oriente e in Europa.  è un processo che è iniziato
9.000 anni addietro nell’area originaria del vicino oriente e terminato 5.000 anni fa nelle isole
britanniche.

Ci sono due teorie


In Europa 3 sono le caratteristiche di rilievo del continente

Per meglio comprendere le relazioni tra spazio e mutamento demografico bisogna approfondire 3
linee di analisi:
1. Le vicende dell’occupazione di spazi vuoti o semivuoti all’interno del territorio insediato
è il fenomeno che accompagna la crescita demografica dall’XI al XIII secolo, dove la
popolazione europea si moltiplica per due o tre volte. Tra l’anno 1000 e l’anno del 1300
gran parte delle foreste che crescevano nelle aree pianeggianti dell’Europa centro-
occidentale furono rase al suolo. I terreni leggeri erano molto ricercati in quanto semplici da
coltivare, si mettevano a coltura nuove terre, si consolidava di conseguenza la popolazione
mediante la costruzione di borghi e città nuove. Questo processo è ben documentato in
Italia, in Spagna, in Francia e in Germania.
2. La trasformazione dello spazio esistente, mediante dissodamenti, disboscamenti,
prosciugamenti  le bonifiche concorrono a sostenere il popolamento medievale si
costruiscono argini per regimare le acque dei fiumi e proteggere i terreni avvenne anche
nella pianura padana. Il fenomeno delle bonifiche riappare con forza dopo la crisi del
XIV- XV secolo quando la ripresa demografica si riprende con successo:
 in Inghilterra si bonificano numerose aree umide e paludose
 in Francia si bonificano le aree costiere del Nord e della Provenza e Linguadoca.
 In Olanda  tra la fine del XV e la metà del XVII secolo il riscatto di terra dal
mare, mediante dighe assume dimensioni formidabili in risposta all’espansione della
popolazione e alla crescita del prezzo dei cereali.
3. L’espansione al di fuori dell’area d’insediamento per emigrazione e colonizzazione di nuovi
territori l’Europa riceve popolazione e fornisce popolazione
Nel periodo tra Medioevo e rivoluzione industriale, in Europa, ci sono 3 grandi movimenti
Numero e benessere
Non sono pochi gli studiosi che si sono cimentati col problema dell’esistenza e della
determinazione di un optimum di popolazione  si può definire economicamente come
quella popolazione teorica che massimizza il benessere individuale e che, se accresciuta
o diminuita di un’unità, lo diminuirebbe frazionalmente  è un concetto statico e poco
applicabile a popolazioni dinamiche.

Le dimensioni di una popolazione producono i loro effetti mediante 2 meccanismi


Rendimenti crescenti o decrescenti?
La storia degli ultimi 10.000 anni insegna che l’umanità è riuscita a moltiplicare il proprio
numero per 1.000 e, nello stesso tempo, ad aumentare le risorse a disposizione di ogni
individuo:
 I sostenitori dell’ineluttabilità dei rendimenti decrescenti ciò è avvenuto
perché i limiti delle risorse fisse non sono stati toccati sia perché questi sono stati
spostati mettendo a coltura nuove terre, sia perché le risorse sono state utilizzate in
maniera più produttiva grazie a innovazioni e scoperte. MA alcune risorse
sarebbero però insostituibili e non vi è innovazione o invenzione che possa alla lunga
evitare l’avvento di una fase di rendimenti decrescenti e quindi di impoverimento.
 Il punto di vista opposto: non ci sono ragioni per ritenere inevitabile l’avvento
della fase dei rendimenti decrescenti gli eventuali rendimenti decrescenti delle
risorse fisse sarebbero comunque e ovunque più che compensati dal rendimento
crescente dell’ingegno umano e dalle condizioni via via più favorevoli prodotte
dalle maggiori dimensioni demografiche.
Ma la rapida crescita demografica può alla lunga accompagnarsi a un inatteso sviluppo, ma nel
medio periodo comporta pesi gravissimi e anche l’innovazione ha il suo prezzo:
La rivoluzione verde in India  determinarono una maggiore produzione di grano (cereale
costoso), consumato soprattutto dalle classi medie, mentre i poveri si nutrivano di riso o di pane di
qualità inferiore. Poiché il grano era più redditizio si cominciò ad estendere la sua coltivazione a
danno de legumi (dieta dei poveri). La produzione di grano tra il 1960 e il 1980 aumentò del 72%
contro un aumento della popolazione del 57%  la dieta dei poveri soffrì un degrado. Però alla
lunga la rivoluzione verde significò più lavoro e più reddito anche per i poveri, compensando gli
iniziali effetti negativi del peggioramento della dieta.  ciò che è negativo nel medio periodo,
può essere positivo nel lungo e viceversa.

CAPITOLO 4
La demografia contemporanea verso l’ordine e l’efficienza

1. Dalla dispersione all’economia


Durante gli ultimi due secoli l’Occidente ha vissuto un periodo di grandi trasformazioni. La lenta
crescita avveniva con un grande spreco di energie demografiche (le donne dovevano mettere al
mondo una mezza dozzina di figli per poter essere rimpiazzate dalla generazione successiva). 
società dell’antico regime inefficienti sotto il profilo demografico e caratterizzate dal “disordine
demografico”.

Probabilità che un figlio morisse prima di un genitore, o un nipote prima del nonno e che il
naturale ordine di precedenza tra generazioni venisse sovvertito.
Durante gli ultimi due secoli:
 Nasce si sviluppa e termina il ciclo demografico moderno dell’Occidente;
 La popolazione europea si moltiplica per 4;
 La speranza di vita passa da valori compresi tra 25 e 35 anni a oltre 80;
 Il numero di figli per donna scende da 5 a meno di 2;
 Natalità e mortalità scendono da valori compresi per lo più tra il 30 e il 40‰ a valori
prossimi al 10.

“TRANSIZIONE DEMOGRAFICA” o “RIVOLUZIONE INDUSTRALE”


 Complesso processo di passaggio dal disordine all’ordine e dalla dispersione all’efficienza
prodottasi durante l’epoca contemporanea.
In alcuni paesi (quelli in via di sviluppo) questo processo è in corso, in altri (quelli arretrati) questo
processo è appena iniziato e in altri ancora (quelli più avanzati) volge al termine.
Lo spazio strategico è “traversato” da curve di isocrescita (rappresentano il luogo delle
combinazioni di speranza di vita- e di numero di figli per donna-Tft che danno luogo ad un identico
tasso di crescita). Spazio che nell’attualità si è fortemente dilatato per la precipitosa discesa della
mortalità nei paesi in via di sviluppo che hanno occupato (in assenza di pari discesa di fecondità)
un’area delimitata da curve di isocrescita comprese tra 2% e 4%.
Nei paesi europei la transizione degli ultimi 200 anni non ha avuto un’esplosione del tasso di
accrescimento, ma una graduale modificazione in parte parallela di mortalità e fecondità  le
varie popolazioni hanno occupato un’area delimitata da curve di isocrescita comprese tra 0 e
l’1,5%.

La transizione demografica ha avuto fasi diverse:


1) Inizio della fase di discesa (sia della mortalità che della fecondità)
2) Fine di queste fase e la sua durata
3) Distanza minima e massima tra le due variabili.

1) L’inizio del declino della mortalità precede il declino della fecondità. Il distacco tra le due
componenti (l’incremento naturale) si accresce fino a raggiungere un massimo. Con
l’accelerarsi del declino della natalità e il rallentare di quello della mortalità, le due curve si
avvicinano nuovamente e l’incremento naturale si comprime per ritornare a bassi livelli.
2) Vi è l’ipotesi che, una volta avviato, il declino della natalità e della mortalità prosegua senza
interruzioni fino al raggiungimento dei bassi livelli finali.
3) La durata della transizione, la velocità della discesa delle due curve, la distanza tra di esse,
assumono variabilità notevole nei vari paesi. È funzione di questi parametri l’aumento della
popolazione durante la fase della transizione, il rapporto tra popolazione alla fine e
popolazione all’inizio della crescita può chiamarsi moltiplicatore di transizione.
Il primo motore del mutamento nella discesa della mortalità risale alla seconda metà del XVIII
secolo, a causa di fattori esogeni (minor incidenza di cicli epidemici, la scomparsa della peste), di
minore incidenza delle carestie per la migliore organizzazione economica e di pratiche sociali e
culturali che concorsero a frenare la diffusione delle malattie infettive e a migliorare le condizioni
di sopravvivenza.
Diminuzione della mortalità  accelerazione della crescita  maggiore pressione sulle risorse 
stimolo per i meccanismi riequibrilatori che abbassano la natalità (per rallentata nuzialità e per la
diffusione del controllo volontario delle nascite).

Il nuovo punto di equilibrio si raggiunge al termine del processo di declino della mortalità.
Si tratta questo di un adattamento del “modello malthusiano” (=adeguamento della popolazione
alle risorse avviene frenando la crescita  natalità sempre più svincolata dal biologico e sottoposta
a controllo individuale).
Il sorgere della società industriale e urbana provoca:
 Aumento del “costo” dei figli;  Molla che spinge alla restrizione della fecondità
 Figli produttori di reddito e autonomi a età molto tarda (≠società agricola);
 I figli richiedono maggiori “investimenti” in termine di salute, istruzione e benessere;
 I figli precludono occasioni di lavoro, soprattutto per la donna.
Con il nuovo regime “economico” contemporaneo poche nascite sono in grado di compensare le
poche morti, anche se ora le società contemporanee non sembrano disposte a produrre neanche
quelle poche nascite necessarie per l’equilibrio demografico.

2. Dal disordine all’ordine: l’allungamento della vita


Seconda metà XVIII sec:
- La mortalità comincia a dare segni di declino;
- La durata della vita si allunga;
- La naturale sequenza gerarchica della morte si stabilisce saldamente.

ciò inserisce ordine nei processi vitali, disordinati per la forte componente di imprevedibilità e
casualità nella morte dovuta a due fattori:
1- Frequenza e irregolarità delle grandi crisi di mortalità che falcidiavano contingenti di ogni
età e condizione;
2- Rischio di sovvertimento di un ordine naturale e cronologico della morte, collegato all’età
(possibilità che un figlio morisse prima dei genitori).
Un primo aspetto della transizione della mortalità è connesso con la diminuzione dell’intensità e
della frequenza delle crisi di mortalità  rialzi repentini, rispetto al livello normale di mortalità, di
durata limitata.
Crisi:
o Catastrofi legate a distruzioni di guerra

o Catastrofi legate a carestie

o Catastrofi legate a epidemie ricorrenti o episodiche


Durante il XIX secolo ai progressi nell’organizzazione economico-sociale si aggiungono quelli nel
controllo delle malattie infettive (con la vaccinazione contro il vaiolo e l’individuazione degli agenti
patogeni). Nello stesso secolo la mortalità declina nonostante le stragi causate dalla guerra, dalla
pandemia influenzale, dalle guerre civili, dall’olocausto…

I regressi della mortalità possono essere analizzati sotto due aspetti:


a) Contributo che i minori rischi di morte alle varie età hanno dato all’allungamento della
speranza di vita;
b) Misura dei guadagni di vita conseguenti al declino dei vari gruppi di cause di morte.
(verifica di queste modalità del declino fatta da Caselli)
La transizione della mortalità nei paesi sviluppati è stata relativamente lenta (data mediana per i
paesi europei: 1903):
 Tra il 1750 e il 1850 Inghilterra, Francia e Svezia guadagnano meno di un mese di speranza
di vita per ogni anno di calendario;
 Inghilterra, Francia, Svezia, Usa e Olanda guadagnano 2 mesi di speranza di vita tra il 1850-
59 e il 1880.
La transizione non è ancora finita, ma è di sicuro rallentata.
I regressi della mortalità vanno in parallelo, nell’ultimo secolo e mezzo, con il progresso economico
e sociale, includendo l’espandersi delle risorse materiali, tecniche e culturali che rendono più
agevole la sopravvivenza. I fattori che probabilmente sono stati preponderanti nel regresso della
mortalità sono:
 Fattori culturali e sociali nella prima fase di transizione;
 Fattori economici nella seconda fase;
 Fattori medici e scientifici nell’ultima fase ancora in corso.
Al crescere del valore pro capite si hanno alti guadagni di in una prima fase della transizione, e
guadagni via via decrescenti in seguito, fino all’ultima fase nella quale a incrementi anche cospicui
di ricchezza corrispondo scarsissimi guadagni di .
Oltre ad un certo livello di benessere per la sopravvivenza è influente anche la disponibilità di beni.

Nella fase di transizione gli incrementi di prodotto si sono riflessi in forti guadagni di sopravvivenza
 più cibo, miglior vestiario, migliori case, maggiori cure mediche.
Gli effetti esigui o ininfluenti avvengono quando gli incrementi di prodotto si riversano su
popolazioni già prospere.

3. Dall’alta alla bassa fecondità


L’abbassamento della fecondità è stato altrettanto graduale e differenziato nelle sue manifestazioni
territoriali della transizione della mortalità.
I fattori che determinano la produzione dei figli (combinazione di fattori biologici e sociali)
potevano influenzare sensibilmente la natalità. Ma il decisivo contributo al declino della natalità è
stato il controllo volontario delle nascite.
Regolatore “forte”, sconosciuto se non in alcuni gruppi assai ristretti e particolari (nobiltà,
borghesia urbana) appare i Francia verso la fine del ‘700 e si diffonde rapidamente in tutta Europa
durante la seconda parte dell’800.
Curve di “isofecondità” = luogo delle combinazioni di fecondità legittima e nuzialità che danno
luogo alla medesima “fecondità generale” (indicatore del ritmo di produzione dei figli, fortemente
correlato con il numero medio di figli per donna, Tft).
Gli indicatori di fecondità legittima () e di nuzialità () dicono:
 riassume l’intensità della fecondità femminile nel matrimonio: tale intensità è rapportata al
valore max (=1) storicamente riscontrato in una popolazione normalmente costituita. Prima
della diffusione del controllo volontario era compreso circa tra 0,6 e 1.
La diffusione del controllo delle nascite si manifesta con un declino “continuo” del livello di
fecondità legittima.
 è una misura della proporzione delle donne in età feconda che sono coniugate  sintesi
degli effetti dell’età al matrimonio e della proporzione di coloro che si sposano.
Nel 1870 la fecondità ha un’estensione notevole: si va da livelli inferiori a 0,3 per la Francia (che già
controllava la fecondità) a valori intorno al 0,5 nei paesi dell’Europa orientale con alta nuzialità e
alta fecondità legittima.

In più di un caso l’abbassamento di avviene in presenza di un aumento di.


Vi è una data in cui si verifica un abbassamento della fecondità legittima del 10%  declino
irreversibile.  tappa importante nel processo di transizione demografica e sintomo che al
tradizionale sistema della regolazione delle nascite (matrimonio) se ne sta sostituendo uno nuovo.

 La data più precoce è quella della Francia (1827);


 Quella più tardiva è quella della Russia europea e dell’Irlanda (1922);
 Per Belgio, Danimarca, GB, Germania, Olanda e Svizzera tale data è compresa tra il 1880 e il
1900;
 Per Svezia, Norvegia, Austria e Ungheria tra il 1900 e il 1910;
 Per Italia, Grecia, Finlandia, Portogallo e Spagna tra il 1910 e il 1920.
Le aree più tardive iniziano il declino decisivo nel decennio anteriore alla metà del ‘900.
Gli indicatori della “produzione” si sono evoluti nel tempo. L’indicatore migliore è il Tft (num
medio di figli per donna) calcolato con riferimento a generazioni di donne nate a date intervallare
da un quarto di secolo.
La Russia, i paesi usciti dal sistema socialista e il Giappone hanno una fecondità pericolosamente
bassa.  questo ciclo avrà termine?

Relazioni tra Tft e Pil pro capite nei paesi industrializzati nel 1870, 1913, 1950 e 2000:

 Andamento della relazione speculare rispetto a quella che lega il prodotto pro capite ed ;

 La crescita del Pil pro capite si accompagna a sostenute diminuzioni della fecondità;

 A incrementi del Pil si accompagnano regressi via via minori della fecondità, fino a
diventare progressivamente nulli nella presente fase di maturità economica.
Nei due secoli trascorsi, la trasformazione sociale ed economica è stata importante nel
determinare la discesa della fecondità, come risulta dal ritardo delle zone più arretrate o
periferiche  tutto questo è avvenuto con delle eccezioni:
- Il declino della fecondità ha inizio in Francia, zona rurale e meno avanzata e ricca
dell’Inghilterra nel pieno della Riv industriale;
- In molti paesi il ritmo del declino della fecondità nelle varie subaree si spiega in limitata
misura con indicatori sociali ed economici come il grado di istruzione, il grado di ruralità, di
industrializzazione, di urbanizzazione;
- Spesso fattori più finemente culturali prevalgono sull’azione dei fattori di benessere:
l’appartenenza a un gruppo linguistico, a un’etnia, il modo di intendere o praticare la fede
religiosa, l’adesione politica.
Guardando all’intero processo nessuna popolazione ha resistito a lungo con alta fecondità al
diffondersi del benessere e alla caduta della mortalità. La transizione demografica è stata parte
integrante della trasformazione della società.

4. L’emigrazione europea; fenomeno irripetibile


Altro elemento molto importante per la transizione demografica sono state le emigrazioni.  alla
fine del XVIII secolo oltre 8 milioni di persone di origine europea popolano le due metà del
continente americano.
Le molle dell’emigrazione sono:
o Economiche  perché la rivoluzione industriale e il progresso tecnico accrescono la
produttività e rendono eccedentarie masse di lavoratori;
o Demografiche  perché la transizione implica un forte “moltiplicatore” demografico
aggravando i problemi posti dai mutamenti economici.
La disponibilità di terra e di spazio in America, sia a Nord che a Sud e, in minor misura in Oceania e
la domanda di lavoro in queste società emergenti, crea le condizioni per le trasmigrazioni di massa.
Molti investimenti vennero diretti alla costruzione delle reti ferroviarie, la cui lunghezza si
quadruplicò in Nord America tra il 1870 e il 1913, richiamando masse di lavoratori immigrati.
Secondo O’Rourke e Williamson i movimenti migratori di massa tra Europa e America che
accompagnarono questo processo di globalizzazione determinarono un aumento dei salari reali, un
miglioramento degli standard di vita e una riduzione della povertà nei paesi di origine. Ebbero un
impatto notevole sui mercati del lavoro americani dove moderarono i salari reali, determinarono
nuove povertà e ridussero il livello di vita dei precedenti immigrati e dei lavoratori nativi con i quali
i nuovi arrivati entrano in competizione.
La globalizzazione impedì che il divario Europa-America divenisse incolmabile.
Le mete più ambite furono USA, Argentina, Uruguay, Canada, Brasile, Australia, Nuova Zelanda e
Cuba. Nel primo quindicennio del secolo il flusso ha superato il 3‰ all’anno, pari circa a 1/3
dell’incremento naturale.  al netto dei rientri, l’Italia tra il 1861 e il 1961 ha perso 8 milioni di
abitanti.
L’emigrazione ha certamente avuto conseguenze benefiche:
 Ha reso possibile un rapido accrescimento economico nelle zone di partenza;
 Ha permesso di utilizzare la risorsa lavoro là dove questa era più produttiva, accrescendo le
risorse per l’intero sistema;
 Alleggerisce la pressione demografica per l’afflusso sul mercato del lavoro.
Le cause della grande migrazione europea sono molte. Essa ha radici:
o nell’accelerazione della crescita del XIX secolo e nella formazione di eccedenti demografici
non assorbiti dal sistema economico;
o nell’esistenza di terre e capitali in America e di una vigorosa domanda di popolamento e
manodopera;
o nei differenziali tra redditi e salari domestici e quelli oltreoceano;

o nel contemporaneo restringersi del mondo per la minore onerosità e maggior rapidità dei
trasporti.
Vi sono poi tra complessi fenomeni legati a queste cause:
a) la crescita della popolazione rurale, la disponibilità di terra in Europa e fuori di Europa e
la produttività in agricoltura.
Nella seconda metà del XVIII secolo in tutti i paesi europei (no Inghilterra) attorno ai ¾ della
popolazione erano occupati in agricoltura.  proporzione che scende durante il secolo
successivo. Ma, a causa del vigoroso aumento demografico la numerosità della popolazione
agricola cresce durante la prima parte del secolo, stabilizzandosi nella sua parte finale.
L’espansione demografica accresce la domanda di alimenti soddisfatta con l’aumento della
terra coltivata. Nonostante sia presente nuova terra nel Nord dell’Europa e a Est dell’Elba,
la produttività resta bassa  si moltiplica a dismisura la terra coltivata fuori dall’Europa.
I bassi costi di produzione nelle aree di nuovo insediamento europeo e l’abbassamento dei
costi di trasporto marittimo sono alla base della caduta dei prezzi delle derrate agricole 
crisi delle campagne europee aa partire dagli anni 70 dell’800. Per aumentare la dinamicità
della produttività vengono inoltre introdotte in Europa le macchine.
b) La dinamica naturale della popolazione delle campagne.
Nelle campagne il controllo della fecondità si diffonde con ritardo rispetto alle aree urbane
causando un’accelerazione della crescita naturale durante il periodo di transizione e il
miglioramento delle condizioni sanitarie determinano una crescita della fecondità.
c) Il contemporaneo sviluppo delle attività non agricole.
Rapidità con cui vengono create in Europa attività di lavoro nei settori non agricoli 
sbocchi alternativi alla popolazione delle campagne. Dove questo è anticipato il fenomeno
migratorio è basso o si conclude presto; dove è in ritardo l’emigrazione tende a essere
massiccia.

 I paesi in cui l’occupazione agricola declina o è stazionaria negli ultimi decenni del secolo
hanno bassa emigrazione transoceanica (Svizzera, Danimarca, Belgio, Inghilterra e
Germania).
 I paesi dove l’occupazione rurale cresce fortemente (Finlandia, Norvegia, Italia e Spagna)
hanno forte emigrazione.
L’esperienza europea non può essere trasposta ai paesi in via di sviluppo, soprattutto perché
non esistono più paesi “vuoti” aperti all’emigrazione e perché le politiche migratorie pongono
forti vincoli agli spostamenti umani.
Comunque la globalizzazione dell’economia tende ad ampliare le disuguaglianze economiche,
accentuando le differenze di reddito tra paesi ricchi e paesi poveri, e rafforzando le spinte
migratorie. Tuttavia, essa sostiene la crescita. Quando i livelli di benessere vengono raggiunti il
costo dell’emigrazione aumenta riducendo la propensione a emigrare.
5. I risultati della transizione
La transizione demografica lascia le popolazioni europee profondamente mutate nella loro
dinamica e nella loro struttura.
L’alto grado di “efficienza” raggiunto ha numerose implicazioni:
il caso italiano è tipico del continente europeo e ha valore più generale  la posizione dell’Italia
nel contesto dei 16 paesi occidentali, dal 1870 al 2000, è fino al 1913 di arretratezza con più alta
fecondità e mortalità, ma nel 2000 risulta in avanguardia con i livelli tra i più bassi.
Nel 1981 in Italia si assiste ad un enorme aumento della sopravvivenza: il 98% di ogni generazione
arrivava all’età riproduttiva (15 anni) e il 42% toccava l’età di 80 anni. Questi dati contro il 58 e il 9%
del 1881.
Meno ovvie sono le misure di nuzialità e struttura familiare, le quali implicano:
 Stabilità e mutamenti a un tempo. Stabile è l’età al matrimonio e la proporzione di donne
che rimangono nubili alla fine del periodo riproduttivo  conferma che nel mondo
occidentale il regolatore matrimoniale ha esercitato un’influenza ridotta nel quadro dei
mutamenti verificatasi. In corrispondenza alla riduzione della fecondità si è ridotta
l’utilizzazione dello spazio riproduttivo (età media al parto e età media all’ultimo figlio).

Nel regime moderno l’ultimo figlio raggiunge l’età adulta quando la madre, o il padre, sono ancora
giovani (attorno ai 50 anni) e con una lunga frazione del ciclo di vita davanti a loro; in regime antico
i genitori con una durata di vita più corta, avevano attorno ai 60 anni (anziani nel contesto
dell’epoca) al raggiungimento della vita adulta da parte dell’ultimo figlio.
 La diminuzione della fecondità è anche responsabile delle minori dimensioni familiari (3
componenti per famigli nel 1981 contro il 4,5 dell’anno prima).
 La discesa della natalità ha inoltre provocato l’assottigliarsi delle classi di età più giovani e il
corrispondente rafforzamento delle età anziane  invecchiamento demografico
La “proiezione” nel tempo di ciò che sarebbe successo se le leggi di mortalità e di fecondità del
1881 non fossero mutate nel tempo, permettendo alla popolazione di arrivare ad una stabilità, è
interessante.  ma nel 1981 questo avrebbe portato a implicazioni sconvolgenti: qualora la
fecondità restasse quella che era, così come la mortalità, il tasso di incremento diventerebbe
negativo per quasi l’1% all’anno, implicano il dimezzarsi della popolazione in 71 anni, mentre la
struttura per età subirebbe un forte invecchiamento.

Oggi le popolazioni sono molto più economiche di 100 o 200 anni fa ma hanno anche acquisito
anche numerose vulnerabilità:
o L’ordine demografico non ha eliminato i rischi di disordine

o Le strutture familiari sono assai più esili e quindi più fragili di fronte ad un rischio

o L’invecchiamento appesantisce la dinamica sociale

o Una fecondità molto bassa genera costose diseconomie che risultano insostenibili nel lungo
periodo.

6. Le relazioni tra crescita demografica e crescita economica: considerazioni teoriche


Esistono teorie contrapposte sull’antagonismo o il sostegno tra crescita economica e crescita
demografica.
A partire dal XIX secolo l’espansione demografica dell’Europa avvenga in presenza di prezzi
decrescenti e salari crescenti  il faticoso equilibrio tra popolazione e terra si incrina e si rompe e
crescita economica e demografica iniziano a sostenersi l’un l’altra. Questo però non è il quadro
generale e si intuisce che precisare i contorni e il senso delle relazioni tra economia e popolazione
diviene difficile.

Schumpeter assegnava un ruolo secondario alla popolazione nel processo di sviluppo economico
perché secondo lui l’impulso alla crescita economica derivava dai nuovi beni di consumo, i nuovi
mezzi di produzione e di trasporto, dai nuovi mercati…
Il problema risulta essere ancora una volta quello dei rendimenti dei fattori di produzione e se
questi siano tendenzialmente crescenti o decrescenti. Nelle economie non più monosettoriali e
agricole si accresce la dipendenza da altre risorse naturali, anch’esse legate alla terra (carbone,
ferro e altri materiali)  esse però sono finite e per questo in futuro la loro scarsità potrebbe
essere un ostacolo alla produzione. La scarsità di terre non si è fatta sentire non solo per l’apertura
del continente nordamericano ma anche per il forte aumento della produttività agricola quando si
è arrestato il processo di messa a coltura di nuove terre.

Tornando alla relazione tra sviluppo economico e sviluppo demografico: tra il 1820 e il 2000 la
popolazione dei 4 paesi leader dell’Occidente (GB, Francia, Germania e Usa) è aumentata di 5,6
volte, contro un aumento del Pil di 107 volte, il prodotto pro capite (indicatore del benessere
individuale) si è moltiplicato per 19. Se dunque il prodotto pro capite è andato raddoppiando ogni
40 anni negli ultimi due secoli, si può trarre l’impressione che l’incremento demografico abbia
esercitato un’azione frenante assai modesta.
Vi sono alcuni fattori legati alla crescita demografica che possono aver contribuito ad accelerare lo
sviluppo economico:
1) Fattori puramente demografici  mutamenti avvenuti con la transizione demografica,
giudicati positivi per divere ragioni:
 La diminuzione della mortalità e la minore incidenza di malattie e patologie nel
corso della vita hanno fatto aumentare non solo la durata della vita, ma anche
l’efficienza della popolazione;
 La rispondenza della mortalità a un ordine gerarchico-cronologico ha reso possibile
comportamenti legati a una razionalità di più lungo periodo;
 La diminuzione della natalità ha ridotto il dispendio di energie e di risorse per
l’allevamento della prole e ne ha accresciuto l’impiego verso attività più produttive;
 La struttura per età si è modificata in senso favorevole alle età più produttive,
migliorando il rapporto tra popolazione produttrice di reddito e popolazione
economicamente inattiva.
La bassissima fecondità degli ultimi decenni, il forte invecchiamento, l’esaurirsi dei
benefici effetti del declino della mortalità portano a ritenere che si sia arrivati a una fase
di svolta che introduce un ciclo decrescente di efficienza della popolazione.
2) Fattori di scala e dimensionali  molti studi hanno confermato l’esistenza di guadagni netti
di efficienza e produttività per singoli settori d’industria in conseguenza dell’allargamento
del mercato. I fattori di scala non derivano solo dalla crescita demografica, ma anche
dall’aumento delle dimensioni dell’economia e della maggiore integrazione tra i mercati.
Ma comunque il contributo della demografia ai guadagni di scala dovrebbe essere stato
significativo.
Se i vantaggi di un aumento dimensionale sono evidenti per piccole popolazioni, essi lo
sono assai meno per quelle grandi. L’abolizione delle barriere al commercio intle e la
crescente integrazione delle economie può costituire un fattore sostitutivo degli
ampliamenti demografici nell’acquisire vantaggi dimensionali.
La crescita economica appare avere un effetto positivo per le prospettive di allargamenti del
mercato che ingenera. Con una popolazione che si espande gli imprenditori sono spinti ad
assumere nuove iniziative e a rafforzare quelle intraprese imprimendo forza agli
investimenti e ingenerando sviluppo.
3) Stock delle conoscenze e progresso tecnico il progresso della “conoscenza
sperimentata” avviene perché esistono individui di ingegno che creano nuova conoscenza.
Con un’ipotesi restrittiva questi “creatori” si contano in proporzione alla popolazione.
Tuttavia la creazione di nuova conoscenza si avvantaggia di fattori di scala e quindi avrebbe
rendimenti crescenti. Non si può compensare completamente un eventuale minor
numero di potenziali creatori o di istituzioni con una maggiore intensità degli investimenti
in istruzione e ricerca: una collettività grande resterebbe sempre avvantaggiata su una
piccola. Alla “conoscenza” applicata con capitali adeguati si deve attribuire il progresso
tecnico vero motore dello sviluppo.
Le dimensioni demografiche contribuiscono significativamente allo sviluppo economico.
Tutto questo è sostenibile in astratto ma non storicamente  contributo economico di
paesi piccoli (Inghilterra e Olanda) contro quello dato da paesi grandi.
È possibile che nell’arco dei due secoli considerati la crescita demografica sia stata più un incentivo
che un ostacolo alla crescita economica.
Per ragioni speculari ci attendiamo che declino e invecchiamento demografico avranno nei
prossimi decenni effetti opposti.

7. Le relazioni tra crescita demografica e crescita economica: osservazioni empiriche


L’andamento di economia e popolazione è contrassegnato da una vigorosa espansione tra Prodotto
globale e pro capite.
Prodotto globale (PIL)  esprime il valore della produzione di beni e servizi, con esclusione delle
transazioni con l’estero, ed è espresso a prezzi costanti.
Kuznets è il caposcuola delle analisi aggregate e sostiene che vi siano dei fattori che complicano gli
effetti della crescita demografica e impediscono una chiara associazione tra di essa e la crescita del
prodotto pro capite: la relativa disponibilità di risorse naturali, l’epoca di inizio del processo di
crescita moderno e l’assetto istituzionale.
Per riuscire a conoscere al meglio i rapporti popolazione-economia bisogna far riferimento anche
ai grandi cicli dell’epoca moderna. Keynes attribuì l’espansione del tasso di formazione del capitale
in GB tra il 1860 e il 1913 all’incremento demografico, oltreché all’aumento del benessere. Inoltre,
asserì che il rallentamento demografico tra le due guerre si sarebbe riflesso sulla domanda reale
creando sovrapposizione e disoccupazione.
Kuznets tentò di porre in evidenza la relazione tra cicli demografici ed economici negli USA. La
crescita del benessere attirava migrazione e promuoveva i matrimoni facendo accelerare la crescita
demografica, la quale provocava un’accelerazione degli investimenti sensibili allo sviluppo
demografico (abitazioni, ferrovie).  accelerazione avvenuta a spese degli investimenti in altri beni
capitali (macchine e strutture industriali incidendo negativamente sulla produzione e il consumo e
quindi provocando un rallentamento della crescita demografica, con l’inizio di un nuovo ciclo.
Tornando all’Europa, è difficile spiegare il contributo dei fattori demografici alle fasi dello sviluppo
economico e questo in ragione della loro lenta azione. Tuttavia l’analisi resterebbe incompleta se
non tenesse conto di diversi fattori demografici:
1. La struttura geo-demografica del continente europeo e le sue conseguenze per
l’organizzazione spaziale politico-economica. Anteriormente alla 1GM 5 grandi paesi (GB,
Francia, Germania, Austria-Ungheria e Italia) dominavano la scena europea, contenendo
più di tre quarti della popolazione totale. Il resto della popolazione era distribuita in una
dozzina di piccoli paesi. Dopo la 1GM e il Trattato di Versailles (modifica i confini nazionali)
l’Europa risultava divisa in 22 Stati e i grandi paesi si ridussero a 4 (smembramento Impero
austro-ungarico). Dopo la 2GM e la “separazione” dell’Europa orientale, la
compartimentazione del continente si è approfondita.  separazione svanita con
l’unificazione della Germania, lo smembramento dell’Unione Sovietica e l’allargamento
dell’UE a 27 Stati. Questi eventi hanno anche trasformato le economie di scala legate alle
dimensioni dei mercati e allo spazio economico.
2. Crescita delle aree urbane e delle grandi città catalizzatrici dello sviluppo. Infatti, la
crescita urbana richiede forti investimenti in costruzioni e infrastrutture ad alta tecnologia.
Vi fu sia in Europa che fuori un’alta crescita urbana prima della 1GM e un rallentamento
successivo.
3. Mobilità e migrazioni. Esse misurano la capacità di un sistema di redistribuire
efficacemente le risorse umane. Da qui la storia europea recente può suddividersi in 3
periodo:
a) Il 1° termina con l’introduzione delle restrizioni all’immigrazione nei paesi transoceanici.
Fu caratterizzato da un forte processo redistributivo che sospinse masse di persone
verso destinazioni transoceaniche. Durante lo stesso periodo vi furono però anche
migrazioni intraeuropee. Le barriere delle migrazioni erano scarse e il mercato intle del
lavoro era relativamente fluido e flessibile nonostante le difficolta e il costo dei
trasporti.
b) Il 2° periodo (tra le due guerre) fu caratterizzato dalla chiusura delle destinazioni
extraeuropee e dalla progressiva compartimentalizzazione interna del continente. Il
mercato del lavoro si restrinse e frazionò.
c) Il 3° periodo (successivo alla 2GM) fu caratterizzato dall’esaurimento delle migrazioni
extraeuropee, da una notevole redistribuzione demografica nell’Europa occidentale e
dalla crescente disponibilità di lavoro extraeuropeo. Fase che si chiude negli anni ’70 ’80
con l’esaurirsi del serbatoio migratorio dell’Europa mediterranea e l’introduzione di
politiche restrittive all’immigrazione da fuori continente.
Queste analisi dimostrano che nel corso degli ultimi due secoli la crescita demografica non ha
intralciato lo sviluppo economico. Anche sottoscrivendo l’ipotesi di neutralità ne risulta che quei
paesi che hanno avuto maggiore sviluppo hanno anche assunto posizioni di preminenza.
Es. Stati Uniti e Francia:
tra il 1870 e il 2000 hanno avuto un uguale sviluppo del Pil Pro capite nonostante il tasso di crescita
della popolazione fosse maggiore per gli USA. Risultato: le dimensioni economiche dei due paesi
che stavano in rapporto 1,4 a 1 nel 1870, oggi stanno in rapporto di 6,5 a 1.  sotto un profilo
geopolitico quello che conta è la dimensione globale dell’economia.

Gli Usa sarebbero quindi leader del mondo se la crescita demografica fosse stata più modesta?

CAPITOLO 5
Le popolazioni dei paesi poveri

1. Una fase straordinaria


Con l’esaurirsi del ciclo di crescita delle popolazioni ricche, le popolazioni povere ne iniziano uno
del tutto straordinario e irripetibile. La popolazione dei paesi meno sviluppati vede nel 2010
moltiplicato per 5 il miliardo e più di individui stimato verso il 1900.  eccezionalità: rapidità
dell’accelerazione demografica (tra il 1900 e il 1920 si stima il tasso di sviluppo della popolazione
del mondo povero in qualcosa meno del 6‰ all’anno; questo tasso raddoppia nel 1950 e raggiunge
la max accelerazione durante gli anni ’60 con il 24‰) cui fa seguito negli ultimi due decenni un
sensibile rallentamento.
Il mondo ricco (Europa e sue proiezioni transoceaniche), invece, nell’arco di due secoli di sviluppo
ha solo superato il ritmo di aumento del 10‰.

Le ragioni di questo divario si riassumono tutte quante nel fatto che: nel mondo ricco la transizione
demografica è avvenuta lentamente sotto l’impulso di una graduale riduzione della mortalità, cui
si è accompagnata una riduzione della natalità. La gradualità della riduzione della mortalità è la
conseguenza dell’accumularsi di conoscenze del XVIII secolo. Nel mondo povero i livelli di mortalità
sono restati elevatissimi fino ma epoca recente (nel 1950 la speranza di vita era ancora 40 anni),
ma a partire dal quarto e quinto decennio del secolo scorso il patrimonio di conoscenze è arrivato
anche al mondo povero così da diminuire la mortalità. La natalità però non ha seguito, o ha seguito
con ritardo e con minor velocità, il declino della mortalità.
Bisogna però tener da conto che il mondo povero si diversifichi molto in base alle numerose zone.
Il divario tra popolazioni più sviluppate e popolazioni meno sviluppate è enorme:
 Oggi (2005-2010) la speranza di vita delle prime è 77 anni, quella delle seconde 66
 Il numero medio di figli per donna nelle prime è 1,7, nelle altre 2,7
 Il tasso di incremento delle popolazioni povere è triplo di quello delle popolazioni ricche.
 Nel 1950 (inizio della transizione demografica) i livelli di mortalità corrispondevano a quelli
europei della metà del XIX secolo, ma non era così per la fecondità, poiché i 6 figli per
donna erano assai superiori ai livelli prevalenti nell’Occidente sviluppato un secolo prima.
 freno alla nuzialità non attuato nei paesi poveri
Ciò che conferma ulteriormente l’instaurarsi di un processo di transizione irreversibile è che sono i
paesi a più bassa mortalità ad avere anche una fecondità più ridotta. Questo avviene perché lo
sviluppo del benessere materiale incide in direzione opposta sulla speranza di vita (innalzandola) e
sulla fecondità (abbassandola) e perché il miglioramento della sopravvivenza comincia ad avere
un’influenza diretta sulla fecondità rendendo non necessaria e più costosa una prolificazione
elevata.

2. Le condizioni della sopravvivenza


Non vi sarebbe sviluppo senza l’abbassamento della mortalità e senza che il disordine venga
sostituito dall’ordine gerarchico-cronologico della sopravvivenza e della morte. La riduzione della
mortalità infantile e giovanile e una delle condizioni per la riduzione della fecondità e del passaggio
da un regime di “dispendio” a uno di economia demografica.
I progressi della sopravvivenza passano per la riduzione della mortalità nei primi anni di vita  le
NU hanno stimato che le probabilità di un neonato di morire prima del 5° compleanno fossero pari
a 94‰ nel 2000-2005, nell’insieme dei paesi meno sviluppati; mentre i livelli nei paesi ricchi erano
appena il 10‰.

La riduzione della mortalità dell’infanzia è un obiettivo prioritario, anche perché favorisce la


modernizzazione del comportamento riproduttivo e si associa a un miglioramento del livello di
salute.
Cause della mortalità infantile:
o Malattie infettive tipiche della prima infanzia;

o Alta incidenza di diarrea e gastroenterite connessa con condizioni igieniche precarie;

o Diffusione della malnutrizione;


o Malaria.

È stato calcolato che il 33% dei decessi è dovuto a patologie neonatali, il 22% alla diarrea, il 21%
alla polmonite, il 9% alla malaria e il 3% all’Aids.
A tutto però c’è un rimedio: le malattie dell’infanzia possono essere prevenute con programmi di
vaccinazione e immunizzazione; la diarrea e le gastroenteriti con miglioramenti dell’igiene e
dell’ambiente; la malaria con le disinfestazioni; la malnutrizione con programmi di integrazione
alimentare e contrastando l’abbandono precoce all’allattamento. Inoltre l’intervento medico può
contrastare gli esiti letali.
Però, la complessità delle cause dell’alta mortalità infantile rende difficili i programmi di intervento,
quando si debba passare da una mortalità “intermedia” a una mortalità bassa, simile a quella dei
paesi sviluppati.
La relazione tra speranza di vita e Pil pro capite ha un andamento assai simile a quello verificato nel
passato nei paesi occidentali: forte ascesa della speranza di vita col passaggio da livelli di Pil pro
capite molto bassi a livelli più alti, ma un suo attenuarsi con il successivo crescere del reddito.  la
crescita del benessere materiale ha effetti progressivamente minori sull’allungamento della
speranza di vita.
Questa relazione corrisponde ad una prima fase di progresso notevole della mortalità legato
all’introduzione di tecnologie massicce (antibiotici, disinfestazioni col Ddt, vaccinazioni). 
diminuzione della mortalità in Sri Lanka alla fine degli anni ’40.
Negli anni ’70 sono maturate critiche all’impostazione di programmi sanitari, nei paesi poveri, che
tendevano a riprodurre i modelli del mondo ricco, e affidati quindi allo sviluppo di centri
ospedalieri, cliniche e scuole.  spesso sistemi incapaci di servire tutta la popolazione.
Alla fine degli anni ’70 gli organismi intli preposti alla salute (Oms e Unicef) hanno lanciato una
strategia (Primary Health Care) con la partecipazione attiva delle comunità e basata su un
personale paramedico che usa tecnologie semplici ma efficaci.  strategie molto difficili da
applicare perché debbono agire in una gran varietà di settori della vita sociale.
Nei primi anni ’50 Nigeria e Thailandia avevano lo stesso reddito pro capite, ma la speranza di vita
della prima era di ben 16 anni inferiore a quella della seconda. Alla svolta del millennio Cuba, Cile e
Corea del Sud avevano la stessa speranza di vita (78-79 anni), ma con redditi reali pro capite diversi
(2.500, 10.000 e 15.000 dollari).
Queste disparità notevoli sono la prova che l’accumulo dei beni materiali da solo non garantisce il
progresso sanitario. Sono spesso le condizioni di consapevolezza e conoscenza a livello
comunitario, familiare e individuale che mancano. In particolare vediamo come lo sviluppo
dell’istruzione, soprattutto quella femminile, costituisca un elemento importante e necessario per
il progresso sanitario  il fatto che alcuni paesi islamici abbiano ancora livelli di mortalità elevati è
stato messo in relazione con lo stato di subordinazione e con la mancanza di istruzione della
donna.
L’Oms ha calcolato che il 90% delle morti nei paesi poveri sono causate da polmonite, diarrea,
tubercolosi, malaria, morbillo e Hiv/Aids. Per alcune di queste malattie sono oggi disponibili cure a
basso costo.
L’alta mortalità e l’alta incidenza delle malattie generano una perdita di anni di vita e per coloro che
sopravvivono una diminuzione degli anni di vita vissuti in buona salute.
Requisito per quasi tutte le
componenti dello sviluppo.

Gli indicatori di sopravvivenza ci danno una visione parziale della situazione. Un significativo
miglioramento delle nostre conoscenze su questo aspetto è il calcolo degli anni di vita in buona
salute perduti per causa di morte prematura o disabilità.  vengono calcolate 2 quantità:
1- Il numero degli anni di vita perduti ottenuti per differenza tra l’età alla morte e la speranza
di vita corrispondente in una popolazione con bassa mortalità;
2- Il numero di anni di vita in buona salute perduti in seguito a malattie o accidenti.
Anni perduti per morte prematura
+
Anni perduti per infermità
=
Ammontare degli anni perduti
L’incidenza max si ha in Africa sub-sahariana, mentre quella minima in Asia orientale.
3. Breve geografia della fecondità
Durante gli ultimi decenni la fecondità del mondo povero non è restata immobile. Il numero medio
di figli per donna è diminuito di oltre 3 unità:

 La Cina ha ridotto la fecondità sotto il livello del rimpiazzo (da 6,2 a 1,2)

 In Africa la fecondità è diminuita di poco (da 6,6 a 4,6 figli per donna)

 Sensibile cambiamento in Asia meridionale

 Diminuzione sensibile anche in Asia sud-orientale (da 6 a 2,3)

 E in America Latina (da 5,9 a 2,3)


La situazione ricorda quella del mondo occidentale all’inizio del secolo scorso, quando
coesistevano aree con forte controllo della fecondità (Francia) e aree dove ancora prevaleva una
prolificità di tipo “naturale” (es. regioni mediterranee).
Il declino della fecondità ha continuato il suo cammino anche nel primo decennio del nuovo
millennio. Anche in Africa sub-sahariana il controllo delle nasciate ha iniziato a diffondersi. Il
Brasile, l’Iran e il Vietnam hanno raggiunto livelli di fecondità inferiori al livello di rimpiazzo.
 Il livello di fecondità quale espresso dal Tft è determinato da: fattori prevalentemente
biologici (intervallo tra i parti, durata dell’allattamento, frequenza dei rapporti sessuali,
mortalità uterina) che determinano la fecondità naturale;
 La velocità e l’intensità di accesso alla riproduzione;
 Incidenza del controllo delle nascite.
Il livello iniziale della fecondità dei paesi poveri (6 figli per donna) si situava a livelli molto più alti
rispetto a quelli del mondo occidentale prima dell’inizio del declino delle nascite a causa di una
nuzialità più elevata.  l’età al primo matrimonio era molto bassa e quasi ovunque nessuno o
quasi nessuno risultava escluso dal matrimonio.

L’indagine mondiale sulla fecondità (Wfs) mostrava che verso la fine degli anni ’70 l’età media al
primo matrimonio era:
 Africa  19,8
 Asia e Pacifico  21
 America Latina e Caraibi  21,5
Questi livelli erano già cresciuti di 1-1,5 anni rispetto ai livelli prevalenti 15 anni prima.
Questa situazione sta cambiando con una crescita dell’età delle donne alla prima unione in
conseguenza del rafforzarsi delle loro prerogative (maggiore istruzione, capacità di produrre
reddito, minore disparità di diritti dentro e fuori della famiglia).
Il ritardo del matrimonio deve tradursi in un aumento dell’età alla maternità.  le nascite al di
fuori del matrimonio sono rarissime in Asia, ma frequenti e normali in Africa, America Latina e
Caraibi.
Il freno decisivo alla fecondità però è quello del controllo volontario delle nascite. Una prevalenza
della contraccezione (sugli altri metodi) attorno al 70% e oltre implica bassi livelli di fecondità come
avviene nei paesi ricchi. La Wfs per i 38 paesi in via di sviluppo aveva segnalato alla fine degli anni
’70 una prevalenza della contraccezione tra le donne coniugate in età riproduttiva pari ad appena il
10% in Africa, al 23% in Asia, al 40% in America Latina e Caraibi.  circa 3 donne su 4 tra quelle
che praticavano il controllo utilizzavano metodi “moderni”.
La durata dell’allattamento ha contribuito in senso contrario alla riduzione  essa infatti porta ad
un accorciamento degli intervalli tra i parti e avrebbe comportato un aumento del 31% del Tft. Tutti
gli altri fattori invece hanno contribuito alla riduzione:
 Aumento della contraccezione -93%
 Età più alta al matrimonio -28%
 Aborto -10%
La relazione tra Pil pro capite e Tft in 28 grandi paesi in via di sviluppo (a inizio anni ’50 e ’80 e
2000) non si discosta da quella per i paesi ricchi: al crescere del livello del reddito la fecondità
diminuisce, con riduzioni via via minori.
La via dello sviluppo tracciata in maniera molto approssimativa da Pil pro capite si accompagna a
percorsi molto differenziati della fecondità.
4. Le condizioni e le prospettive del declino della fecondità.
Le politiche demografiche
Perché avvenga il declino della fecondità sono necessari mutamenti nei programmi riproduttivi
delle coppie. Ci si chiede cosa determini la “domanda” di figli da parte dei genitori e quali fattori
possano modificare questa domanda che rimane molto alta nei paesi poveri.
1) La conservazione e la sopravvivenza costituiscono un valore innato nella specie umana,
come in altre specie animali. La fecondità deve quindi compensare la mortalità.  quando
questa è elevata quella deve essere altrettanto alta.
In molti casi le coppie sono portate ad avere molti figli per assicurarsi contro il rischio di
non avere eredi sopravviventi. Questo può provocare una fecondità aggregata più elevata
del livello generale di mortalità
In quasi tutti i paesi poveri la mortalità è diminuita, ma ciò non è stato per la fecondità.
Questo è dovuto in primis al basso costo dell’allevamento dei figli; i figli in aree rurali
possono essere un guadagno per i genitori (lavoro infantile e giovanile).
2) I genitori considerano i figli una garanzia di aiuto economico e materiale, oltreché affettivo,
nelle età anziane.
3) In molti casi il contesto culturale richiede un alto numero di figli: mezzo di affermazione per
la famiglia, strumento di integrazione tra generazioni successive, manifestazione di
adesione a radicati principi religiosi.
L’ignoranza dei metodi di controllo delle nascite, l’indisponibilità di contraccettivi e l’inadeguatezza
delle strutture medico-sanitarie possono comportare un’alta fecondità o un frequente ricorso
all’aborto. Esistono poi delle legislazioni restrittive alla distribuzione della contraccezione
rafforzano la barriera al declino della fecondità.
Se queste sono le condizioni per un’alta fecondità allora il suo abbassamento deve prevedere la
modificazione di tutto ciò:
 Abbassamento della mortalità;
 Fecondità controllata indipendentemente dalle condizioni socio-economiche;
 Aumento del costo relativo all’allevamento dei figli  le donne dovrebbero rinunciare al
reddito, obbligo scolastico per i figli, migliore benessere e quindi investimenti sui figli;
 Creazione di meccanismi istituzionali di protezione sociale (no richieste di aiuto per
anziani);
 Politica attiva di sostegno alla pianificazione familiare;
 Abolizione di divieti legislativi;
 Diffusione della conoscenza di metodi e tecniche;
 Accessibilità economica ai metodi contraccettivi;
 Accettabilità psicologica dei metodi contraccettivi.
Alcuni interventi sono più semplici o circoscritti di altri e quindi possono essere oggetto più agevole
di politiche attive. La pianificazione familiare costituisce dagli anni ’50, per esempio, un’area
preferenziale di intervento.  durante gli anni ’50-’60 questi interventi sono stati osteggiati da
gran parte dei paesi poveri.
 1934, Conferenza sulla popolazione di Bucarest convocata dalle NU. Cina, Algeria, Brasile e
Argentina capeggiarono un gruppo di paesi contrari a sostenere politiche dirette ad
abbassare il tasso d’incremento della popolazione. A queste politiche erano invece
favorevoli molti paesi asiatici.
 1984, Conferenza di Città del Messico convocata dalle NU. Tutti i paesi concordavano sul
fatto che la crescita demografica andasse urgentemente frenata con politiche ad hoc.
 1994, Conferenza delle NU su Popolazione e sviluppo tenuta al Cairo. Ribadito quanto
affermato nella conferenza di Città del Messico.
Una posizione assai diffusa sostiene che molte donne che desidererebbero limitare la loro
fecondità sono incapaci di farlo o perché non conoscono le tecniche contraccettive, o non sono
disponibili o sono troppo costose. Quindi rendendo la contraccezione più agibile si accelera il
declino della fecondità.
Prendendo due variabili:
a) Un indice di sviluppo
b) Un indice dello sforzo in tema di pianificazione familiare
Si può notare che il declino di fecondità avviene nei paesi dove ambedue gli indici hanno il livello
alto medio; mentre la fecondità rimane elevata nei paesi a basso sviluppo e con programmi
inesistenti o deboli.
Meno ovvio è che il declino è stato minimo nei paesi con alto livello di sviluppo ma carenti
programmi di pianificazione. Lo sviluppo senza adeguati programmi rallenta la discesa della
fecondità, mentre la loro combinata azione li accelera.
Altri sostengono che l’incidenza della contraccezione sia bassa quando la fecondità è alta e
viceversa. Tutte le politiche che aumentano l’offerta di contraccettivi stimolano anche il loro utilizzo
e determinano un ulteriore declino della fecondità. La contraccezione è quindi solo uno strumento
mediante il quale desideri, aspirazioni e motivazioni possono essere realizzati.
Un altro punto di vista sottolinea gli aspetti della “domanda” dove per domanda si intendono i figli
effettivamente voluti dai genitori.  la teoria sostiene che la fecondità è determinata dalle
aspirazioni della donna e della coppia. Popolazioni con alta fecondità hanno anche una domanda
elevata di figli e qualora l’offerta di contraccezione e di servizi di pianificazione familiare fosse
consistente, ciò avrebbe scarsa rilevanza e la fecondità resterebbe comunque alta. Una bassa
domanda di figli corrisponde in genere a una bassa fecondità anche in assenza di pianificazione
familiare.
Ciò che determina il livello di fecondità sono le motivazioni, le aspettative e i desideri.
La variazione da paese a paese della fecondità effettiva è spiegata dalla variazione della fecondità
desiderata: quando la prima è alta, anche la seconda è alta e viceversa.
Non esiste correlazione tra fecondità effettiva e fecondità non desiderata: con la diminuzione della
fecondità effettiva verso modelli di prole ridotta non c’è diminuzione della fecondità non desidera.
Quindi si può dire:
 La fecondità è guidata da motivazioni e desideri;
 La contraccezione è un efficiente mezzo per controllare la fecondità ma la sua disponibilità
ha poca influenza sulla fecondità effettiva e non riduce la quota di fecondità non desiderata;
 Le politiche dirette a ridurre la fecondità debbono agire sul fronte della “domanda” di figli,
incidendo sulle propensioni, motivazioni e desideri delle coppie.
È comunque chiaro che tipologie riproduttive di prole ridotta non possono essere introdotte dalle
sole politiche di pianificazione familiare.
Paul Demeny ha identificato 4 fattori importanti nel determinare l’abbassamento della fecondità:
1- I costi sopportati dai genitori per allevare ed educare i figli;
2- Il costo-opportunità dei figli per i genitori;
3- Il contributo che il lavoro dei figli dà al bilancio familiare;
4- Il contributo dei figli alla sicurezza economica dei genitori che raggiungono la vecchiaia.
È l’associazione di politiche (come quelle che incentivano la responsabilità dei genitori, che
incoraggiano la donna a entrare nel mercato del lavoro, che rafforzano l’obbligo scolastico dei figli)
con programmi per la pianificazione familiare e la salute riproduttiva di madri e bambini, con facile
accesso alla contraccezione e il ricorso all’aborto, che accelerano l’abbassamento della fecondità.
5. India e Cina
Verso la metà degli anni ’80 quasi tutti i governi del mondo dichiararono di sostenere politiche di
pianificazione familiare (127 paesi).
India e Cina contengono quasi la metà della popolazione dei paesi in via di sviluppo è per questo
meritano un’attenzione particolare.

INDIA:
Il rallentamento demografico rientra negli obiettivi del governo indiano dal 1952:
 1951-56, 1956-61  primi due piani quinquennali, prevedono la costituzione e
coordinamento di centri per la pianificazione familiare;
 1971-1976  quinto piano quinquennale, obiettivo: tasso di natalità del 25‰ nel 1984
Successi assai limitati, la fecondità diminuisce di pochissimo, le donne che ricorrono alla
contraccezione sono solo il 14% e il metodo di controllo prevalente era la sterilizzazione.
 Il governo di Indira Gandhi nel 1976 decise un’accelerazione dei programmi. 
Dichiarazione del ’76: varava serie misure e incoraggiava le legislature dei vari stati a varare
disposizioni che rendessero obbligatoria la sterilizzazione dopo il terzo figlio  ondata di
opposizioni  rallentamento del programma
 1986-90  settimo piano quinquennale, obiettivo: conseguimento di una caduta fecondità
analoga a quella verificatasi in Cina durante gli anni ’70. Prevedeva maggiori risorse per la
pianificazione familiare, un aumento degli incentivi monetari per gli utenti, un forte
aumento delle sterilizzazioni e della diffusione della spirale e di altri metodi contraccettivi,
l’integrazione con i servizi per la maternità e l’infanzia.
 1976-77  programma di sterilizzazione

Nonostante l’aumento delle risorse durante gli anni ’80 si è verificata una forte diminuzione
della qualità dei sistemi di pianificazione familiare e delle azioni di sanità pubblica a causa
dell’eccessiva burocratizzazione e centralizzazione dei programmi.
In anni più recenti il governo ha seguito politiche più duttili e diversificate.
Un’indagine del 2005-06 ha stimato un tasso di fecondità totale per l’intero paese di 2,7
figli per donna; il 56% delle donne utilizzano metodi di controllo della fecondità; la maggior
parte dei contraccettivi sono ottenuti da fonti pubbliche.
Nelle aree urbane la fecondità è a livello di rimpiazzo e le popolazioni del sud ne sono
ormai al di sotto, anche se alcuni Stati popolosi hanno ancora un’elevata fecondità.
 2000  “politica di popolazione nazionale”, obiettivo: stabilizzare la popolazione nel 2045
Il governo indiano dichiara che la nuova politica demografica rifiuta la coercizione e sarà
basata sul consenso informato e i principi democratici.
In India assistiamo però ancora ad un sistema diffuso e grave che mina il rapporto tra i sessi e crea
un grande squilibrio nella composizione per genere: la preferenza delle coppie per i figli maschi.
CINA:
 1956  prima campagna per il controllo delle nascite, obiettivo: costruire una rete di
assistenza, produrre contraccettivi, creare un clima di ricettività.
Ma con il fallimento del “Grande balzo in avanti” (programma economico sociale) il
programma subì una brusca frenata, iniziò una grande carestia è aumentò la mortalità.
 1969-61  seconda campagna, creazione del Dipartimento per la pianificazione familiare.
Introduzione della spirale e del ritardo del matrimonio. Sospesa a causa della Rivoluzione
culturale.
 1971  terza campagna, si basa su 3 principi: matrimonio ritardato (23 anni nelle
campagne e 25 nelle città per le donne), più lungo intervallo tra le nascite (4 anni), minor
numero di figli (2 nelle città e prima 3 poi 2 nelle campagne)
La spirale era usata dalla metà delle coppie praticanti la contraccezione e la sterilizzazione
da quasi 1/3, il resto usava altri metodi. Molta diffusione aveva anche l’aborto gratuito e
rapido.
 1979  limitazione delle nascite a un solo figlio per coppia (con eccezioni per le minoranze
etniche, le aree di confine e le coppie in situazioni particolari)
Attraverso il certificato del figlio unico le famiglie avevano accesso ad alcuni benefici.
 Il declino si arrestò nella prima parte degli anni ’80 e si è perfino invertito.
 Rafforzamento della politica del figlio unico. (se due figli unici si sposano possono avere due
figli, chi ha una bambina come primogenito può avere un secondo figlio).
La politica del figlio unico dovrebbe essere abbandonata per almeno 3 ragioni fondamentali:
1) Le preferenze delle coppie si orientano ormai verso un numero di figli ridotto e la politica
coercitiva entra in contrasto con le aspirazioni e i modi di vita delle giovani coppie.
2) Rapporto tra i sessi alterato dalla preferenza per un figlio maschio (120 nati maschi per 100
nate femmine)  aborto selettivo
3) Rapido invecchiamento della popolazione
Nonostante le grandi difficoltà la politica cinese ha raggiunto obiettivi maggiori rispetto all’India. Le
ragioni del successo sono:
a) La trasformazione sociale della Cina è stata più rapida e più efficiente anche in campo
sanitario  la mortalità si è ridotta più velocemente che in India
b) Il sistema politico cinese ha permesso la messa in opera delle direttive di politica
demografica
c) Una rete di distribuzione e assistenza molto fitta ed efficiente ha puntato su una pluralità di
mezzi di controllo delle nascite, incluso il ricorso all’aborto
d) Una società più ricettiva di altre regioni della riduzione della fecondità.
Nel 2025 la popolazione della Cina sarà meno numerosa di quella dell’India nelle varie età fino a 35
anni. Solo nelle classi anziane la popolazione cinese eccede fortemente quella dell’India. Il
sorpasso dell’India sulla Cina avverrà nel 2021. Tra il 1950 e il 2025 la popolazione indiana si sarà
moltiplicata per quasi 4 volte, quella della Cina 2 volte e mezzo.
- La rapida frenata della Cina ha senza dubbio contribuito alla spettacolare crescita
economica degli ultimi vent’anni, ma il paese dovrà fare i conti con il rapido invecchiamento
- La sostenuta crescita dell’India ha frenato la modernizzazione del paese e aggravato
problemi sociali, ma non ha represso la crescita economica ed eviterà alla società indiana
violenti mutamenti strutturali.

6. Fertilia e Sterilia
Fertilia e Sterilia sono due popolazioni immaginarie che rappresentano nel migliore dei modi i
paesi poveri.

STERILIA FERTILIA
Sbocco sul mare, al centro di Dedite all'agricoltura. All' Senza sbocchi sul mare, ha
scambi e traffici marittimi. epoca della decolonizzazione un'etnia e una cultura
popolazione mista di etnie avevano uguali dimensioni e tradizionalmente compatte.
diverse. Con l'indipendenza caratteristiche demografiche, Con l'indipendenza si instaura
divengono egemoni le classi con fecondità non controllata una coalizione di latifondisti.
mercantili. e mortalità elevata anche se  Si limita a riconoscere
• primi atti politici: diminuita. Alto tasso di il diritto delle coppie a
liberalizzazione degli incremento compreso tra 2 e decidere quanti figli
scambi, vigorosa 3%. avere, ma non mette in
campagna per la atto alcuna politica di
pianificazione delle pianificazione
nascite.  personale familiare. Il controllo
specializzato con una delle nascite si
rete mobile di diffonde lentamente.
consultatori +  2 figli per donna
liberalizzazione  I giovani scendono al
dell'aborto e 30% (dal 42%)
sterilizzazione +  La forte crescita ha
sovvenzionamento fatto quadruplicare la
contraccettivi.  la popolazione in età
fecondità diminuisce attiva  forte
rapidamente sottoccupazione
raggiungendo il livello agricola
del rimpiazzo.  Megalopoli affollata di
• 1 figlio per donna masse impoverite
• I giovani scendono al (migrazioni)
21% (dal 42%)  Scarse risorse
• Doppio degli anziani monetarie  scarsa
rispetto a Fertilia creazione di risparmi
• Numero dei  Scarse risorse
giovanissimi in età pubbliche  no
scolastica costante  estensione di
risorse pubbliche infrastrutture e servizi
possono estendere e  Diffusione lenta
migliorare l’istruzione dell’istruzione
• Giovani nel mercato  Importatore netto di
del lavoro derrate alimentari (non
• Dimensioni familiari più esportatore a
minori  causa dello scarso
emancipazione della sviluppo
donna accelerata, dell’agricoltura e della
risparmio di risorse per forte urbanizzazione
le famiglie  No sviluppo
• Ammodernamento dell’industria
delle infrastrutture manifatturiera 
• Accresciuta debito esterno
produttività agricola  Lo sviluppo del reddito
• Esportatore netto di pro capite è stato
derrate alimentari modesto
• Reddito pro capite
accresciuto
rapidamente

Queste due città immaginarie però danno per scontato alcune relazioni:
1- Una popolazione rapidamente crescente comporta rendimenti decrescenti del lavoro e altri
fattori produttivi  diluizione del capitale che provoca impoverimento (vantaggio per
Sterilia)
2- Il ridursi delle dimensioni familiari stimola la formazione del risparmio e quindi gli
investimenti (vantaggio per Sterilia)
3- Il rallentamento della crescita demografica comporti una maggiore efficienza delle forze
lavoro e quindi un’accresciuta produttività
4- Fattori di scala connessi con le dimensioni demografiche hanno effetti quasi nulli e non
arrecano alcun vantaggio alla popolazione che più velocemente si accresce
La capacità di mettere un freno all’incremento demografico è elemento determinante per lo
sviluppo.

7. Le ragioni di un paradosso
Nel momento in cui veniva universalmente accettato l’assioma che lo sviluppo demografico
dovesse venir frenato cominciava a vacillare la convinzione che vi fosse una relazione tra sviluppo
numerico umano e sviluppo economico.
Una crescita demografica più veloce, come quella di Fertilia in rapporto a Sterilia, dovrebbe essere
pregiudizievole allo sviluppo economico per una serie di motivi:
1) Lo stock di capitale fisso per lavoratore tende ad assottigliarsi (“diluirsi”) con l’aggiunta di
nuove unità a una popolazione  anche il prodotto pro capite risulta minore. Questo
handicap potrebbe essere neutralizzato qualora si incrementasse il tasso d’investimento
(cioè la quota di Pil destinato ad investimenti) a detrimento della quota di reddito destinata
ai consumi.
I paesi poveri, per accorciare il divario che li separa da quelli più fortunati, dovrebbero
espandere il loro tasso d’investimento a livelli superiori di quelli delle economie sviluppate.
2) Anche le risorse naturali quando sono scarse o costose da acquisire soffrono
dell’incremento demografico più rapido e, alla lunga determinano rendimenti decrescenti.
3) Il capitale umano è soggetto a regole non dissimili da quelle proprie del capitale fisso.
4) La rapida crescita avrebbe anche un effetto distorsivo sulle spese pubbliche, assorbendo
una quota maggiore di quanto avverrebbe in una popolazione più moderatamente
crescente.
5) La rapida crescita demografica induce effetti negativi anche sulla formazione del risparmio
delle famiglie, che rappresenta una quota elevata del risparmio privato e dal quale quindi
dipendono le risorse disponibili per gli investimenti.  quando il carico di figli per famiglia
diminuisce, una quota crescente delle risorse familiari si rende disponibile per il risparmio,
e per gli investimenti.
6) Alcune relazioni precedenti implicano che non si producano positivi effetti di scala col
crescere della popolazione  implicano che non si determinino condizioni migliori per
l’impiego dei fattori produttivi passando da una dimensione a una superiore.
Se gli altri fattori si mantengono costanti, dovrebbe prodursi una diluizione del capitale per
lavoratore nelle popolazioni che crescono più rapidamente. Tuttavia, molti paesi sono riusciti ad
aumentare la quota di Pil per investimento.
L’effetto della “diluizione” del capitale determinato dalla rapida crescita demografica è stato
parzialmente neutralizzato.
Per quanto riguarda le risorse naturali fisse è stato fatto osservare che l’espansione dell’agricoltura,
che ha permesso all’insieme dei paesi in via di sviluppo di aumentare la produzione agricola, è
avvenuta assai più per effetto dell’aumento delle rese che non per la messa a coltura di nuove
terre.
Studi recenti hanno anche messo in dubbio che una rapida crescita demografica determini una
variazione nella destinazione delle spese pubbliche a favore degli “investimenti sociali” e a sfavore
degli investimenti in capitale fisso.
Per quanto riguarda la formazione del risparmio spunti teorici e verifiche empiriche contestano
l’assunto che una popolazione rapidamente crescente debba avere un minor tasso di risparmi a
causa del maggior carico di figli per famiglia  2 meccanismi che neutralizzano quest’effetto:
1- Intensità di lavoro dei componenti adulti delle famiglie non fissa, ma si adatta alle
dimensioni familiari e al numero di figli dipendenti; un maggior numero di dipendenti
determina un’intensificazione dell’attività lavorativa, un aumento delle disponibilità e può
non incidere sul livello di risparmi
2- In una popolazione che cresce rapidamente vi è più alto rapporto tra giovani lavoratori(che
risparmiano) e anziani o ritirati dal lavoro (che hanno risparmi negativo).  oscura
l’eventuale effetto negativo che può essere esercitato sul risparmio.
Infine, il risparmio delle famiglie povere deriva soprattutto dal contributo delle famiglie ricche ed è
poco influenzato dalle dimensioni familiari.
Molti ritengono che lo sviluppo di infrastrutture determinanti per lo sviluppo abbia ricevuto
impulso dalla crescita della popolazione e dalla densità demografica e fattori di scala avrebbero
avuto un significativo favorevole effetto.
Localizzazione geografica, caratteristiche climatiche e biopatologiche, l’accessibilità, la
conformazione, le dotazioni naturali in genere interagiscono con le connotazioni demografiche ed
economiche di un paese.
La mancanza di una relazione diretta e univoca tra sviluppo demografico e sviluppo economico non
significa che essa non esista o sia indeterminabile.

CAPITOLO 6
Il futuro

1. Popolazione e autoregolazione
Il cammino della popolazione mondiale verso “ordine ed efficienza” ha messo in moto due secoli fa
un ciclo di crescita vorticoso che sta spegnendosi nel mondo prospero, ma che è ancora in atto nei
paesi in via di sviluppo.
La popolazione del mondo ha toccato:
• Il 1° miliardo con la macchina a vapore;
• Il 2° miliardo dopo la 1GM, quando volare diventa un normale mezzo di trasporto;
• Il 3° miliardo con le prime esplorazioni spaziali;
• Il 4° miliardo nel 1973;
• Il 5° miliardo nel 1987;
• Il 6° miliardo nel 1998;
• Il 7° miliardo nel 2012.
Ed l’8° miliardo è previsto per il 2025.
Si sono sviluppati nel tempo 2 modi di vedere il futuro:
1) Processo di crescita come molla pronta a scaricare una forza devastatrice accumulata.
Questa teoria è sostenuta dal fatto che sul versante economico i rendimenti decrescenti
prima o poi deterioreranno il benessere acquisito  terra, acqua, aria e minerali sono
risorse fisse e limitate, solo in parte sostituite e destinate ad ostacolare la crescita. Si parla
quindi di incompatibilità tra crescita demografica e deterioramento ambientale.
Oltre all’ambiente, la crescita demografica minaccia anche beni fondamentali come la
salute e l’ordine nei rapporti umani e sociali.
2) Popolazione in grado di adeguarsi alla crescita numerica.
Il progresso e prime e la crescita della produttività agricola.
I costi indotti da attività senza regole (deterioramento ambientale) possono essere
internalizzati (imputati a chi ne è responsabile).
Lo stato del benessere della popolazione è tendenzialmente crescente, sostenuto da
progresso scientifico ed economico, e non vi sono ragioni infondate per temerne
l’inversione.
Inoltre, la storia della crescita della popolazione è stata vista come un continuo compromesso tra
le forze della costrizione e le forze della scelta:
 Forze della costrizione poste da un ambiente ostile, dalle malattie, dalla limitazione del
cibo e dell’energia.
 Forze della scelta fatte di strategie flessibili di matrimonio e riproduzione, di mobilità,
migrazione e insediamento, di difesa dalla malattia.

Questo processo ha continuamente mutato il punto di equilibrio e ha prodotto lunghi cicli di


crescita e fasi di ristagno o anche di regressione numerica.
L’inseguimento di questo punto di equilibrio non va visto come la conseguenza di meccanismo di
“autoregolazione”. Si tratta invece di un processo faticoso di adattamento che premia le
popolazioni più plasmabili e flessibili e penalizza quelle più rigidi e fragili.
L’autoregolazione in molte popolazioni ha avuto successo, in altre è restata assente o è avvenuta in
ritardo  prezzo pagato: duro tributo alla mortalità o alla regressione demografica (e alla
sparizione).
Guardando al futuro oltre ai numeri della crescita bisogna riflettere sulla disponibilità e
l’adeguatezza dei meccanismi di scelta rispetto alle costrizioni esterne e rispetto al passato.
2. I numeri del futuro
È possibile fare delle previsioni demografiche relativamente plausibili. Ad esempio, nel 2030 la
popolazione con oltre 20 anni apparterrà a generazioni nate prima del 2010 (quindi già note nel
loro ammontare numerico. I giovani con meno di 20 anni deriveranno dalle nascite che avverranno
tra il 2010 e il 2030  incognita che dipende da due variabili:
8. L’ammontare della popolazione in età riproduttiva
9. La propensione a far figli
A più lungo termine le previsioni divengono sempre più incerte  divengono esercitazioni di
“scenario” a carattere illustrativo.
In tempi meno lunghi le previsioni demografiche possono contare su alcune rilevanti forse
d’inerzia. Il grado d’inerzia di una popolazione può essere misurato in vari modi, per esempio
supponendo che la popolazione assuma una fecondità di “rimpiazzo” che alla lunga deve portare
alla crescita zero e che la mortalità rimanga fissa e i saldi migratori siano pari a zero; se questa
popolazione ha un’alta fecondità (struttura per età giovane) essa continuerà a crescere per un
certo tempo. Infatti, nei decenni successivi entreranno in età riproduttiva i molti anni recenti che
metteranno al mondo un numero di nascite molto elevato  nati più numerosi dei decessi che
avvengono in grande maggioranza tra gli anziani. Man mano che entreranno in età riproduttiva le
generazioni nate sotto il nuovo regime di fecondità la massa dei nati andrà assottigliandosi fino ad
approssimarsi a quella dei morti.
Il futuro dei prossimi decenni deve fare i conti con un’inerzia che da sola porterebbe molte
popolazioni a una considerevole crescita demografica.
In Europa, l’inerzia sarebbe responsabile di una diminuzione (forte grado di invecchiamento della
popolazione).
La Cina per comprimere l’inerzia ha dovuto imporre la legge del figlio unico.
Nella maggioranza delle popolazioni la fecondità è lontana dal livello di rimpiazzo e quindi alla
forza d’inerzia si somma il dinamismo imposto dall’alta fecondità.
Alcune previsioni si possono ottenere con la cosiddetta “variabile media” basata sulle ipotesi di
evoluzione di fecondità e mortalità ritenute più plausibili.
Si suppone che la fecondità dei paesi meno sviluppati continui il suo declino passando dai 2,6 figli
per donna del 2010-15 ai 2,2 del 2045-50, e che la speranza di vita alla nascita continui la sua
crescita tra i due periodi, da 67 a 74 anni. Per i paesi sviluppati si ipotizza una ripresa della
fecondità e un ulteriore guadagno della speranza di vita.

Risultati:
1) La popolazione mondiale raggiunge gli 8 miliardi nel 2025 e 9 miliardi nel 2043;
2) Il tasso di accrescimento della popolazione mondiale diminuirà dall’11% (nel 2010-15) al
4,4% (nel 2045-50);
3) Gli incrementi assoluti medi scenderanno da 78 milioni annui (nel 2010-2015) a 40 milioni
(nel 2045-50);
4) Il traguardo di 9,3 milioni per la popolazione dell’anno 2050 dipende dall’effettiva
diminuzione della fecondità che dovrebbe scendere da un Tft pari a 2,45 nel 2000-05 a un
Tft previsto pari a 2,16 per il 2050;
5) Quasi tutto l’aumento della popolazione mondiale tra il 2010 e il 2050 è attribuibile alla
crescita dei paesi in via di sviluppo;
6) Sono forti i mutamenti “geodemografici” il peso della popolazione scenderà da 17,9%
(2010) a 14,1%(2050), in Europa da 10,7% a 7,7%. In Africa invece aumenta dal 14,8% al
23,6%;
7) Il mondo toccherebbe i 10 miliardi nel 2083 e i 10,12 miliardi nel 2100. Nel 2100 il tasso di
incremento sarebbe inferiore a 1 per mille e la popolazione molto prossima alla
stazionarietà.
Nel 1950 4 paesi europei si trovavano tra i 10 paesi più popolosi al mondo, con Usa e Giappone. Di
questi solo gli Usa rimarranno nel gruppo di testa nel 2050. Nessun paese africano si trovava tra i
primi 10 nel 1950, ma Nigeria, Repubblica Democratica del Congo ed Etiopia si troveranno nel
gruppo di testa nel 2050.
In conseguenza della diversità geografica dello sviluppo demografico mutano notevolmente i
rapporti numerici tra paesi o tra aree in tradizionale relazione, a volte armonica altre conflittuale.
Bongaarts e Bulatao sono autori di alcune elaborazioni che ci illustrano il contributo che la
fecondità, la mortalità, le migrazioni e la struttura per età avranno sulla crescita demografica del
XXI secolo. Essi si sono avvalsi delle proiezioni per le quali la popolazione mondiale crescerà da 6,1
miliardi (2000) a circa 10 miliardi (2100). Fino al 2050 le ipotesi di base sono simili a quelle delle
NU; dopo il 2050 la fecondità resterebbe a livello di rimpiazzo e la speranza di vita continuerebbe a
crescere e la popolazione raggiungerebbe la stazionarietà a fine secolo.  l’aumento di 3,9 miliardi
previsto proverrebbe da 4 fonti:
a) La struttura per età iniziale giovane nel mondo in via di sviluppo
b) La fecondità superiore al rimpiazzo
c) Ulteriori riduzioni della mortalità
d) Le migrazioni che però hanno saldo zero
Il rapporto tra la popolazione nel 2100 e quella nel 2000 sarebbe pari a 1,64 (moltiplicatore totale:
incremento del 64%). Questo moltiplicatore totale è il prodotto del moltiplicatore migratorio pari
a 1, del moltiplicatore della fecondità pari a 1,09, del moltiplicatore della mortalità pari a 1,15 e
del moltiplicatore inerziale (la giovane struttura per età iniziale) pari a 1,31.  il contributo netto
della fecondità alla futura crescita è minore di quello della mortalità e quello di quest’ultima è
minore del contributo della componente inerziale.
Nel caso della situazione estrema tra Asia orientale e Africa sub-sahariana:
 In Asia orientale l’effetto della fecondità è negativo (moltiplicatore inferiore a 1) e il
contributo maggiore è dato dal fattore inerziale.
 In Africa sub-sahariana l’alta fecondità è la maggiore responsabile della crescita futura
(moltiplicatore pari a 1,64), seguita dall’inerzia (1,50) e dalla mortalità (1,21).

3. Il divario Nord-Sud e le grandi migrazioni


La globalizzazione prima della 1GM non fu solo un processo economico, ma anche demografico.
 i flussi finanziari e i trasferimenti di beni tra paesi si accompagnarono alla migrazione di decine
di milioni di persone dall’Europa ai paesi oltreoceano (regioni ricche di terre e povere di risorse
umane).

Europa e Americhe più ricche e più vicine.


Nel processo di globalizzazione attualmente in corso se l’integrazione economica ha proceduto
velocemente, ciò non è stato per i trasferimenti umani, più lenti di quelli avvenuti nel precedente
ciclo di globalizzazione. Il saldo migratorio tra i paesi in via di sviluppo e i paesi sviluppati fu pari a
0,7 milioni all’anno negli anni ’60 fino ad arrivare a 3,4 nel primo decennio di questo secolo. 
solo gli Stati Uniti ricevevano oltre 1 milione di immigrati prima della 1GM.
Il “trasferimento” di popolazioni povere verso quelle ricche è divenuto ormai un fenomeno
strutturale.  ogni popolazione affida il suo “rinnovo” a:
o Nuovi nati (rinnovo biologico)

o Nuovi ingressi di migranti (rinnovo sociale) 1/5 circa

Il fenomeno migratorio è talmente complesso che sfugge a una semplificazione dei meccanismi
che stanno alla base ed è assai difficile prevederne il futuro. Flussi migratori e stock migratorio (=
numero di coloro che in ogni paese sono o nati all’estero o sono cittadini stranieri) sono governati
da un intreccio di fattori come:
 La crescita differenziale delle popolazioni
 I dislivelli economici e di livello di vita
 Le norme che regolano le partenze e gli arrivi
 La prossimità o la distanza
Alcune forze oggi in atto continueranno a esercitare un’azione importante sui flussi migratori:
1) Disuguaglianze demografiche. Il tasso di crescita della popolazione in età attiva continuerà
a divergere in modo assai significativo tra paesi ricchi e paesi poveri. Nei primi la natalità
molto bassa comprime la crescita, che diventa flessione, anche netta, per le età più giovani.
Nei secondi la flessione delle nascite è fenomeno recente e contingenti numerosi di giovani
continueranno ad affluire nell’età attiva ancora a lungo.
2) Disuguaglianze economiche. Le disuguaglianze tra mondo sviluppato e mondo in via di
sviluppo sono destinate ad accentuarsi ulteriormente. Tra il 1950 e il 2000 le distanze tra il
reddito pro capite nei paesi occidentali e nei continenti poveri sono cresciute molto.
L’incentivo teorico dello spostamento si è accresciuto, è da presumere che il costo dello
spostamento sia diminuito.
La crescita è spronata dalla tecnologia e c’è una sproporzione tra ricchi e poveri per quanto
riguarda la produzione e il possesso di questa. Le regioni a tecnologia avanzata sono nella
posizione migliore per produrre ulteriore innovazione, con una tipica reazione a catena.
Soltanto quando l’innovazione tecnologica comincerà a rallentare i suoi effetti potranno
diffondersi ovunque con un processo di convergenza. Quindi è presumibile che la forbice
della disuguaglianza continuerà ad ampliarsi.
3) Politiche migratorie. Sono in continua evoluzione. Alcune tendenze evolutive:
a) Verso una severa restrizione dei movimenti dei rifugiati che avevano raggiunto la cifra di
14 milioni alla metà degli anni ’90.
b) Tendenza parallela alla prima. Si sforza di rendere più impermeabili le frontiere
all’immigrazione irregolare; di limitare le migrazioni per motivi familiari; di selezionare
l’immigrazione per motivi di lavoro.  politiche orientate a controlli e selezioni più
severe.
L’integrazione tra popoli è cresciuta molto meno di quella economica. Le barriere ai flussi
migratori però sono state rafforzate e l’azione di quelle forze globali che muovono le
migrazioni è stata frenata.
Nel 2003 il segretario generale delle NU Kofi Annan creò la Global Commission on
Migration and Development la quale si è conclusa con la creazione della International
Global Migration Facility  obiettivo: coordinare le funzioni esplicate da diverse agenzie
(come quelle dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni o dell’Organizzazione
mondiale del commercio. Ma questa proposta è rimasta lettera morta fino ad oggi.
4) Geografie dei sistemi migratori. Non si è avuto in questo processo un allargamento dei
sistemi migratori (=aree caratterizzate da forze centripete di attrazione su un insieme di
aree di provenienza). Di questi sistemi ne esistono 3 o 4:
 Quello che fa perno sul Nord America, con attrazione per provenienze latino-
americane;
 Quello europeo con attrazione nei paesi delle rive Nord ed Est del Mediterraneo;
 Quello delle economie del petrolio degli Stati del Golfo con provenienze
mediorientali e oltre;
 Uno in via di formazione che coinvolge le economie in veloce sviluppo del sud-est
asiatico.
Alcune regioni dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina rimangono del tutto o quasi escluse
dai sistemi intli di scambio.
Questa mancata estensione dei sistemi è dovuta anche a una vischiosa inerzia che lega pesi
di origine e destinazione a causa dei plurimi legami economici, sociali e politici che si
formano nel corso del tempo. Ciò rende difficile gli ingressi nei nuovi sistemi.
Forti disuguaglianze demografiche ed economiche aumentano le tensioni e le pressioni migratorie.
Il risultato sul futuro aumentare dei flussi è incerto, anche se il forte deficit demografico di molti
paesi ricchi richiederà un crescente numero di lavoratori immigrati.
4. La sostenibilità della lunga sopravvivenza
Secondo le previsioni delle NU la speranza di vita nei paesi sviluppati è destinata a progredire da 77
a 83 anni tra 2010 e 2050, e da 67 a 75 anni nei paesi meno sviluppati. Molti paesi europei
dovrebbero raggiungere i 95 anni. Questa fiducia è avvalorata dai progressi della sopravvivenza
grazie alle conoscenze scientifiche e alle tecnologie per controllare le malattie. Inoltre, le condizioni
di vita di base sono migliorate quasi ovunque.
L’ottimismo per il futuro appare giustificato dalle sostenibilità delle tendenze in corso:
1) Sostenibilità biologica. Niente è immutabile nel mondo della biologia, perché vi è una
continua interazione e adattamento reciproco tra gli umani, i microbi patogeni, animali e
insetti. Peste, tifo, vaiolo, tubercolosi e malaria sono andati e venuti, sparendo in alcune
aree e riemergendo in altre.
Negli anni ’50-’60 sulla scia dei successi ottenuti con gli antibiotici e altri farmaci si cominciò
a sperare che le patologie infettive potessero sradicarsi per sempre. Ma la nascita, la
sparizione e la riemersione di molte patologie sono la conseguenza dell’evoluzione
biologica di virus e microbi, dell’interazione tra il mondo animale e quello umano o
dell’azione della società (influenza, febbre gialla, encefalite, Aids, dengue, Ebola…). Altre
malattie che si credevano vinte negli anni ’50-’60 riemergono al deteriorarsi delle
condizioni ambientali.

L’infezione dell’Aids venne identificata nel 1981, ma in Congo era già comparsa nel 1959.
Una persona con l’infezione può trasmettere il virus a una persona sana tramite il contatto
sessuale o a mezzo di trasfusioni o della condivisione di siringhe infette. Donne con
l’infezione possono trasmetterla al feto se incinte o al bambino con l’allattamento. Una
volta acquisita l’Aids occorrono fino a 10 anni prima che si sviluppi e una volta manifestato
la morte è certa. È un fenomeno nuovo, uccide in particolar modo i giovani e i
sessualmente attivi. La sua diffusione è partita dall’Africa equatoriale centrale per poi
spostarsi in tutto il mondo attraverso le migrazioni intli. Nuovi farmaci abbassano il grado di
infezione degli individui positivi al virus e ritardano l’insorgenza dell’Aids, allungandone la
sopravvivenza.
Si calcola che vi siano nel mondo circa 33 milioni di persone affette da Aids. I tassi di
prevalenza dell’infezione tra le persone adulte sono in genere una frazione del punto
percentuale, ma superano l’1,1% nelle popolazioni caraibiche e il 5% in Africa sub-
sahariana.
L’introduzione e la diffusione delle terapie, il cui costo sta rapidamente abbassandosi, una
maggiore conoscenza dei meccanismi di trasmissione e lenti cambiamenti nei
comportamenti rendono le previsioni per il futuro dell’Africa sub-sahariana un po’ meno
fosche di qualche anno fa.
Per evitare disastrosi ma non implausibili scenari occorre che il costo delle terapie
antiretrovirali continui a scendere rapidamente per assicurare a tutti efficaci terapie.
2) Sostenibilità politica. Con il termine “politica” si intende l’intero assetto istituzionale della
società. Una lunga sopravvivenza è il risultato di un processo assai complesso:
 Frutto della graduale accumulazione della conoscenza scientifica
 Frutto della capacità tecnologica
 Frutto della sicurezza ambientale
 Frutto di risorse materiali
 Frutto di efficienti azioni sociali
 Frutto di comportamenti individuali corretti.
Il lento progredire di tutti questi elementi ha determinato l’allungamento della speranza di
vita durante il ‘900. Nei paesi ricchi il progresso della sopravvivenza è stato continuo
durante tutto il ‘900  mantenere questo ritmo per 2 o 3 generazioni significa che nessuno
dei pilastri sui quali si è basato il progresso del secolo passato manifesti cedimenti. Eppure
la storia mostra che dei cedimenti sono possibili (caso dell’ex Unione Sovietica).
3) Sostenibilità economica. Mentre le popolazioni europee hanno una speranza di vita più
alta di quella degli Usa, questi ultimi hanno una mortalità minore tra i molto anziani. Le
ragioni sono legate a un migliore accesso alle cure sanitare (gli anziani sono coperti
integralmente da assicurazione) e all’alto livello tecnologico di queste cure. Nell’attualità
però il declino della mortalità alle età anziane è la prima causa dell’invecchiamento della
popolazione e mano a mano che questo procede determina un’espansione dell’incidenza
della spesa sanitaria sull’intera economia  poiché le risorse pubbliche sono limitate la
salute entra in competizione con l’istruzione, la protezione ambientale, il controllo
dell’illegalità e del crimine.
Le forze che fanno lievitare la spesa sanitaria sono anche altre. Per esempio, tra gli anziani
ancora in vita sono numerose le disabilità e le malattie croniche  la speranza di vita si
allunga, ma cresce la proporzione di questa vissuta in salute non buona.
Oltre certi limiti di spesa la speranza di vita rimane più o meno costante a confermare che
in un determinato momento storico i fattori immateriali, non monetizzabili sono assai
rilevanti per la sopravvivenza umana.

Una lunga durata della vita deve essere:


 Compatibile con il funzionamento della società;
 Sostenuta da un continuo e attento controllo del mondo biologico;
 Garantita da sistemi politici ragionevolmente stabili o che non generino modificazioni
traumatiche;
 Sostenuta da un continuo flusso di risorse per la ricerca, la prevenzione e la cura.
Nel secolo attuale la missione non sarà più estendere la speranza di vita, ma mantenere i guadagni
accumulati, estendendoli al mondo povero, prevenendo inversioni di tendenza e migliorando la
qualità della vita.
5. Limiti mobili
Una popolazione attorno ai 10 miliardi rappresenta una possibilità assai concreta per la fine di
questo secolo  è più difficile dire se la crescita che ci porterà a questo livello di popolamento
possa pregiudicare lo sviluppo economico e sociale. Questo perché la popolazione non è una
“variabile indipendente”, ma reagisce, adattandosi, alle possibilità di espansione che si trova
davanti.
L’individuazione della “capacità di popolamento” (=la popolazione massima sostenibile dati i
vincoli di spazio, il livello di tecnologia, la qualità o il livello di vita e senza produrre degrado
ambientale) è molto difficile e per questo è quasi inutilizzabile a livello pratico. Si tratta infatti di un
concetto sorto in biologia e in ecologia animale per individuare la capacità di sostegno della vita
animale propria di un certo ambiente.  nel caso della specie umana occorrerebbe tener in conto:
10. L’evoluzione della tecnologia
11. La capacità di adattamento
12. La capacità di interazione con l’ambiente in un sistema dinamico complesso e di difficile
simulazione
Tuttavia, viviamo in un ambiente finito e ci si inizia a chiedere se ci sia un limite a tutto questo.
In The Limits to Growth alcuni autori sintetizzano 4 possibili interazioni tra popolazione e Cp
(capacità di popolamento):
a) Al crescere della popolazione anche Cp cresce per effetto
del progresso tecnico e non esiste interazione tra le due
curve;
b) Cp è costante ma la dinamica della popolazione decresce
all’avvicinarsi al limite imposto dalla finitezza ambientale;
c) Continuo aggiustamento (sorpasso e oscillazioni);
d) La crescita della popolazione provoca il collasso ambientale
E questo determina la catastrofe demografica.

Le stime sulla “capacità di popolamento” della Terra sono vecchie di oltre tre secoli e si basano su
una varietà di criteri:
 Affermazioni apodittiche e categoriche;
 Stime ottenute con l’adattamento e l’estrapolazione di curve matematiche;
 Estensione di densità di popolamento osservate all’intera superficie terrestre.
 Disponibilità di un fattore limitativo per determinare il max popolamento possibile;
 Combinare più fattori limitativi (alimenti e acqua);
 Simulare l’interazione tra più fattori, la sostituibilità tra di essi e l’adattamento dei modi di
vita.
Cohen ha passato in critica rassegna tutti i tentativi noti di stima della capacità di popolamento 
delle 93 stime che riportò:
• 17 danno un Cp inferiore a 5 miliardi
• 28 tra 5 e 10
• 16 tra 10 e 15
• …
Le differenze dipendono sia da metodo che dalle ipotesi, ma curiosamente il “tetto” non aumenta
man mano che ci si avvicina all’epoca contemporanea.
Stime più recenti prendono in conto tecnologie, stili di vita e prospettive basate su situazioni
contemporanee e quindi meno ipotetiche:
♦ De Witt supponendo che il processo di fotosintesi sia il fattore limitativo e che non vi siano
limiti per quanto concerne acqua e minerali perviene alla stima del potenziale riproduttivo
di carboidrati per ettaro di terra disponibile nelle varie aree climatiche.  lo divide per i
consumi energetici pro capite e ottiene un limite teorico di popolamento nel caso che tutta
la terra sia destinata alla produzione. Egli arriva a una stima max di 146 miliardi o di 73
miliardi.
♦ Colin Clark stimando la superficie occorrente per nutrire ogni individuo e soddisfare
consumi primari, è giunto a un max di 157 miliardi per uno standard di vita basso, e a un
min di 47 miliardi con uno standard alto.
♦ Revelle ha calcolato la superficie disponibile per la coltivazione e la produzione ottenibile
con irrigazione e con tecnologie avanzate disponibili, valutando la Cp in 40 miliardi.
Ipotesi queste irrealizzabili, e per questo vengono introdotte ipotesi più realistiche:
♦ Gilland abbassa il limite a 7,5 miliardi con livelli di consumo confortevoli.
Uno studio congiunto Fao-Iiansa sulla base di una carta dei suoli ha individuato varie zone
climatiche e 15 prodotti di base e arriva ad una stima delle potenzialità produttive sulla base di 3
ipotesi:
֎ Ipotesi bassa  prevede l’invarianza dei tipi di coltivazione, tecniche tradizionali senza
fertilizzanti, pesticidi e meccanizzazione;
֎ Ipotesi alta  prevede tutte le tecniche messe a punto dalla rivoluzione verde, piena
meccanizzazione, ampio uso di pesticidi e fertilizzanti;
֎ Ipotesi media  andamenti più realisti.
Per il 1975 le potenzialità di popolamento di quest’area furono valutate in 4 miliardi con l’ipotesi
bassa, 13,7 con quella media e 32,8 con quella altra.
♦ Smil valuta che una realistica riduzione delle inefficienze, irrazionalità e sprechi nel sistema
produttivo, distributivo e di consumo potrebbe far sopravvivere agli attuali livelli di
consumo altri 2,5-3 miliardi di persone e ulteriori input produttivi potrebbero permettere di
alimentare altri 2-2,5 miliardi di persone.

La Terra può sostenere fino a 10-11 miliardi di persone.


Tra il 1970 e il 2000 il consumo di cibo pro capite, nei PVS, è cresciuto di circa ¼ , mentre nello
stesso periodo l’indice dei prezzi alimentari in termini reali si è più che dimezzato.
Ovviamente le differenze tra paesi e regioni sono molto rilevanti.
I limiti di popolamento non riguardano l’alimentazione, come non riguardano neanche le risorse
non rinnovabili (almeno non per il momento), per almeno 3 ragioni:
1- Il rapporto tra riserve e produzione non esprime una tendenza all’aumento durante gli
ultimi decenni
2- I prezzi reali delle materie prime sono diminuiti
3- Il progresso tecnico determina un alto grado di sostituibilità delle risorse non rinnovabili
Quando la scarsità di questa o quella materia prima emerge i prezzi crescono favorendo lo sviluppo
di nuove tecnologie che ne facilitano la sostituzione.
6. Impatto ambientale
Se si considera il tema della capacità di popolamento in un contesto più ampio nel quale non
contano solo la disponibilità di un determinato volume di beni per persona, ma anche i modi di
vita, la qualità dell’ambiente, la disponibilità di spazio… allora il tema diventa insolubile.
La crescita della popolazione durante questo secolo avrà conseguenze notevoli sui modi di vita
degli umani.  avrà un effetto profondo sull’ambiente.
Ehrlich propone un’identità:
I=P×A×T
L’impatto sull’ambiente (I) è funzione dell’ammontare della popolazione (P) moltiplicato per il
flusso di beni prodotti per persona (A) moltiplicato per un fattore che esprime il livello della
tecnologia (T).
Se vogliamo che I rimanga stabile, o diminuisca, e che A rimanga stabile, o aumenti, allora
dobbiamo agire su T o su P. facciamo l’ipotesi che le 3 variabili siano tra loro indipendenti (ipotesi
astratta)  la sola variabile ben identificata è P, della quale conosciamo le dimensioni, il sesso,
l’età, l’attività e la localizzazione sul territorio. Di P possiamo fare anche previsioni, ma lo stesso
non vale per A, il livello di vita. A non è solo funzione dell’economia, delle risorse materiali o
dell’organizzazione della società, ma anche di stili di vita immateriali o di filosofia di vita la cui
natura varia nel tempo e nello spazio. Con T le cose sono ancora più complicate; mentre A può
essere misurato, non c’è una metrica affidabile per misurare la tecnologia e le sue variazioni.
Quest’equazione è utile per inquadrare alcuni aspetti fondamentali dell’attuale sviluppo.
La relazione tra popolazione e sviluppo può essere vista sotto vari aspetti:
a- L’inevitabile crescita del consumo di risorse non rinnovabili nei prossimi decenni  la non
sostenibilità dello sviluppo per un periodo più o meno lungo
b- L’incidenza della crescita demografica e della corrispondente domanda di cibo sulla
produzione e sull’ambiente
c- I mutamenti nell’allocazione dello spazio
d- Il possibile contributo della crescita demografica all’inquinamento atmosferico e quindi al
riscaldamento globale.
7. Limiti emergenti: materie prime e cibo
Il livello di consumo pro capite di materie prime e di energia nelle economie ricche è superiore a
quello delle economie povere. Nei paesi sviluppati il consumo pari a 20 tonnellate pro capite
(2000) sarebbe più che triplo di quanto avvenga nei paesi poveri.  i paesi ricchi contribuiscono al
depauperamento delle riserve di risorse non rinnovabili.
Per quanto riguarda il futuro, i processi di sostituzione, di riciclaggio e i mutamenti nei modelli di
consumo possono determinare una diminuzione nel contenuto di energia e materie prime in
ciascun dollaro addizionale di produzione dei paesi ricchi.
Inoltre le popolazioni dei paesi ricchi cresceranno lentamente o rimarranno stazionarie nei
prossimi anni.  previsioni fondate di una stabilizzazione o di un declino dei consumi di risorse di
base.
Ma le prospettive per i paesi poveri sono diverse. Nei prossimi decenni il ritmo del loro sviluppo
dovrà superare quello dei paesi ricchi se il rapporto tra il benessere dei due mondi deve ridursi.
Poiché il livello di vita delle popolazioni povere è molto basso questo flusso addizionale di beni per
persona dovrà essere ottenuto con alti input di energia, materie prime e spazio per ogni dollaro
di prodotto. Considerando che tra un paio di generazioni le popolazioni saranno raddoppiate di
numero e che il flusso di beni per persona si sarà moltiplicato molte volte, questa crescita anche se
indispensabile non potrà essere sostenuta a lungo.  logica della cosiddetta “curva ambientale di
Kuznets” che prevede che al crescere del reddito si accresca il contenuto di ogni unità di prodotto,
ma a tassi decrescenti, fino a raggiungere un punto di svolta, oltre il quale ogni ulteriore unità di
reddito avrà un contenuto decrescente di risorse. La curva assume la forma di una catinella
rovesciata. Alla lunga anche i paesi poveri potranno percorrere il ramo discendente della curva
(così come comincia ad avvenire nei paesi ricchi). Ma perché ciò avvenga occorre che trascorrano
diverse generazioni e che la popolazione si avvii alla stazionarietà.

L’agricoltura e la domanda di cibo costituiscono un altro limite emergente. Nei prossimi 40 anni la
popolazione mondiale aumenterà di oltre 1/3 e questa crescita implicherà un’espansione
proporzionale della domanda di cibo se si ipotizza che nulla cambi. Ma se il livello di vita migliora
allora aumenterà anche la richiesta di cibo.  le risorse naturali dovranno essere amministrate con
grande cura.
L’espansione della produzione di cereali potrà essere ottenuta sia espandendo la terra da coltivare
sia attraverso l’intensificazione produttiva della terra già coltivata. Estendere le coltivazioni non
può essere un processo che continua per sempre  in molti paesi come in Bangladesh, i limiti
sono già stati raggiunti.
Nell’ultimo decennio del secolo scorso un altro fattore di aumento della produttività sono state le
biotecnologie. Esse, però, sono sì un’alternativa all’intensificazione e all’estensione, ma
costituiscono anche un pericolo per la comunità globale (problemi etici, e rischi per la salute e
l’ambiente).
Il quadro mondiale indica un aumento dei consumi calorici pro capite, ma permangono ampie
differenze tra regioni e paesi. Attorno al 2000, il consumo pro capite nell’Africa sub-sahariana era
pari ad appena 2000 calorie giornaliere, contro circa 3000 per il Nord Africa e il Vicino Oriente.
Alla malnutrizione si associa una maggiore vulnerabilità alle patologie, minore efficienza fisica,
ritardi nell’apprendimento. Ma anche in paesi che hanno consumi calorici adeguati sussistono gravi
carenze di sostanze nutritive essenziali, come per esempio il ferro, il sodio o le vitamine.
Secondo la Fao, il numero di paesi con emergenze nutritive che hanno fatto richiesta di aiuto sono
in costante crescita (dagli anni ’80).
8. Limiti emergenti: spazio e ambiente
I mutamenti nell’utilizzo dei suoli possono mettere in pericolo aree che già si trovano in fragile
equilibrio.
Le alterazioni dell’habitat sono già presenti nella storia fin dal Medioevo al passo con la graduale
erosione del manto boscoso del continente. Si è stimato che l’estensione della terra coltivata si sia
moltiplicata per 6 dal 1700 al 1980, un aumento meno che proporzionale all’espansione della
popolazione.
Si stima che la deforestazione (del bacino amazzonico) abbia intaccato tra il 15 e il 20% del manto
per cause molteplici:
 Per acquisire estensioni da dedicare ad allevamento e coltivazioni agricole sotto la spinta
della domanda di popolazioni in espansione;
 Per la produzione di legname;
 Per la prospezione mineraria e petrolifera;
 Per opere infrastrutturali;
 Per l’immigrazione.
Mutamenti di questa natura se continuassero ancora a lungo provocherebbero una profonda
modificazione della faccia della Terra.
L’incidenza della crescita della popolazione è evidente nel caso di ambienti fragili come le foreste
tropicali.  causa principale: preparazione del terreno per coltivazioni dove avvengono circa 2/3
della deforestazione. Conseguenza: ritirarsi della superficie forestale (direttamente per la crescente
domanda di cibo e di legname e indirettamente per la crescita demografica).
Indagini macro riscontrano una relazione positiva tra tasso di crescita della popolazione e velocità
di deforestazione  relazione debole per opera di altri fattori:
a) La possibilità di intensificazione
b) La densità demografica
c) La legislazione in essere
d) L’assetto istituzionale
Gli studi di casi individuali hanno chiaramente descritto situazioni nelle quali la deforestazione si è
prodotta per effetto della pressione demografica.
In genere, c’è un’interazione tra rapida crescita della popolazione, povertà e degrado ambientale.
La povertà è associata all’alta fecondità poiché i figli sono un’assicurazione contro la vulnerabilità
della vecchiaia. La scarsità di capitale e di risorse di base sostengono l’alta fecondità (i bambini
forniscono lavoro e reddito). L’alta fecondità determina alti tassi di crescita che danneggiano le
risorse ambientali.
Un altro aspetto della trasformazione dell’uso dei suoli che non può continuare per sempre è la
crescita delle aree costruite per uso abitativo, industriale, commerciale o ricreativo.  forza
trainante: urbanizzazione.
Vi è poi nei paesi europei una relazione diretta tra densità della popolazione e proporzione della
superficie costruita: il minimo si trova in Lettonia e il max in Olanda.
Altro problema potenziale è la crescita demografica nelle aree costiere.  alla fine del secolo
circa 2/3 della popolazione mondiale viveva entro 60 km dalla costa. La pressione ambientale sulle
terre e le acque costiere diviene progressivamente più intensa, provocando la vulnerabilità
ecologica di queste aree  disastri naturali.
Vi sono poi delle relazioni tra popolazione, clima e i suoi mutamenti. L’aumento delle emissioni di
gas serra dovuto alla crescita della popolazione e del volume delle attività umane è all’origine del
riscaldamento in atto da qualche decennio. il volume delle emissioni di gas tra il 1970 e il 2004 è
cresciuto dell’80%. Adattando l’equazione di Ehrlich: l’impatto ambientale dovuto ai gas serra I è il
risultato dell’azione congiunta della popolazione, del livello economico e della tecnologia
impiegata (P,A e T).
Il riscaldamento globale, nonostante la specie umana riesca ad adattarsi ad esso, ha molti aspetti
negativi:
1- Una notevole variabilità del mutamento climatico nelle varie aree del globo, con un impatto
particolare in aree fragili o marginali.
2- L’inaridimento di vaste regioni a basse latitudini e una perdita di produttività delle
coltivazioni cerealicole.
3- Una redistribuzione geografica di agenti patogeni e nelle aree soggette a maggiore
riscaldamento un aumento di alcune patologie infettive e della malnutrizione.
4- Un’accresciuta morbidità e mortalità conseguente a ondate di calore, alluvioni e siccità.
La relazione tra crescita demografica e ambiente è influenzata per molte vie dalla natura delle
attività umane e dal numero degli abitanti.
 Lo sviluppo tecnologico potrà neutralizzare parte degli effetti negativi della crescita della
popolazione, aumentando i processi di sostituzione e controllando l’inquinamento.
 L’azione istituzionale potrà raggiungere obiettivi analoghi regolando l’uso dello spazio,
l’accesso alle risorse.
 Mutamenti culturali potranno contribuire a questo fine determinando cambiamenti nei
modelli di consumo e comportamento.

9. Crescita e Valori
I meccanismi di scelta possono essere esaminati sotto due profili differenti:
1) La percezione degli elementi di costrizione
2) Il funzionamento dei meccanismi di scelta e di regolazione

1) La percezione degli elementi di costrizione solleva problemi complessi.  la forza d’inerzia


delle popolazioni è molto forte quindi le correzioni al suo corso possono avere effetti
dilazionati nel tempo. D’altro canto certi segnali di pericolo sono decodificabili solo con
ritardo.
La percezione dei problemi posti dalla crescita demografica nelle società rurali tradizionali
era probabilmente molto più diretta e immediata di quanto non sia nella società moderna.
L’espansione e l’integrazione dei mercati e lo sviluppo del commercio hanno contribuito a
nascondere, alla percezione dell’individuo, il legame tra risorse naturali e beni consumati.
 si rompe il legame diretto tra il protagonista di scelte demografiche (l’individuo) e
l’ambiente, produttore di forze costrittive. Questo legame va lentamente ricostituendosi
con il crescere della consapevolezza nell’opinione pubblica, nelle istituzioni e nei governi.
Sul piano economico i segnali di pericolo dovrebbero provenire dai prezzi, atti a segnalare
l’incombente scarsità dei beni fondamentali e la necessità di rimediarvi contenendo la
domanda quando non sia possibile agire sull’offerta.  non sempre però i segnali risultano
essere adeguati.
2) Con la diffusione del controllo della riproduzione i meccanismi di scelta e di regolazione si
sono rafforzati e ora costituiscono un nuovo strumento di regolazione, che rende la società
molto più flessibile di fronte le costrizioni che deve affrontare.
I successi del controllo della mortalità sono continuati fino ad oggi con consistenti
allungamenti della speranza di vita. Però, ulteriori diminuzioni della mortalità possono
trovare ostacoli nei crescenti costi legati a un innaturale allungamento della vita umana:
costi economici legati alla tecnologia medica e all’assistenza, e costi morali legati alla
sofferenza o alla solitudine.
Vi è poi un altro veicolo di scelta, quello della mobilità umana. Il popolamento del mondo si è fatto
attraverso le migrazioni d’insediamento che hanno efficientemente distribuito la popolazione in
funzione delle risorse esistenti o potenziali. Oggi questa “libertà” di popolamento risulta essere
compromessa.  è andata prevalendo una logica nazionale che guarda alle migrazioni come fatto
marginale, accettabile solo in cornici rigidamente strutturate e in contingenti ridotti. Ad oggi non
esistono più territori vuoti  a una crescente integrazione economica corrisponde un’accresciuta
separatezza di popoli ed etnie. Con la creazione degli stati nazionali le etnie e i gruppi sono refluiti
in recinti politici e quindi non risultano essere più mescolati. Di conseguenza, la migrazione di
insediamento è venuta meno rispetto ad epoche passate.
Si fa sempre più strada l’opinione che il controllo della crescita sia un Valore e come tale non abbia
bisogno di conferme.
Certezza che l’ambiente è finito e che la crescita non può continuare senza limiti  il genere
umano deve iniziare a moderare la crescita e in alcuni casi ad invertirla.
Bisogna tenere presente anche che oltre certi limiti la crescita demografica crea delle diseconomie
di scala  possono riguardare la povertà, l’ignoranza o l’alimentazione. Difatti, la crescita
demografica provoca un gran numero di poveri, di analfabeti e di malnutriti.

In Africa sub-sahariana, la povertà è scesa dal 58% della popolazione nel 1990 al 51% nel 2005, ma
il numero di poveri è cresciuto di quasi cento milioni.
La situazione per analfabetismo e malnutrizione è analoga, con un forte aumento di analfabeti e
affamati.
Un altro tipo di diseconomia di scala è costituito dalle catastrofi naturali o le catastrofi generate
dall’azione umana che richiedono programmi di aiuto che per popolazioni molto popolate sono
difficili da attuare e organizzare.
Si può quindi dedurre da tutto ciò che si sta entrando in una fase storica in cui la crescita della
popolazione smetterà di produrre rendimenti crescenti causando invece forti diseconomie di scala.

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