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CAPITOLO 3

I 7,4 miliardi di persone che abitano il mondo sono distribuiti in maniera disomogenea sulla superficie.
Quando i geografi vogliono studiare la pressione esercitata da una certa popolazione su un territorio,
calcolano la sua densità, che può essere aritmetica o fisiologica. La densità aritmetica è il rapporto tra la
superficie di un’area e il numero dei suoi abitanti (di solito si misura in kmq); la densità fisiologica è il
rapporto tra la superficie agricola produttiva di un determinato territorio e il numero dei suoi abitanti.

La fertilità (o fecondità) indica la possibilità di avere dei figli, e fa riferimento al numero di nascite all'interno
di una determinata popolazione. I principali cambiamenti nella demografia di molte popolazioni sono
dovuti al numero delle nascite (natalità) e delle morti (mortalità), indici condizionati da fattori biologici,
economici, sociali, politici e culturali. Per misurare la fertilità, i geografi utilizzano due indicatori: tasso di
natalità (numero annuo nati vivi ogni mille abitanti) e tasso di fecondità (numero medio annuo dei nativi
per donna in età feconda tra 15 e 50 anni). Quando il primo indicatore ha un valore di 2,1, si dice che la
popolazione ha raggiunto il “livello di sostituzione delle generazioni”, indicando che la popolazione si
riproduce senza diminuire di numero. La fertilità varia da paese a paese, e quest’ultimo può decidere di
regolare la riproduzione, e di conseguenza la fecondità, attraverso le “leggi anti natalità”, proprio come è
successo in Cina con la politica del figlio unico (nel 2016 è stata attuata la politica del secondo figlio). Varia
anche in base all’uso di pratiche contraccettive e ai modelli culturali. In alcuni paesi, infatti, i figli vengono
considerati come un investimento economico, per il contributo che possono portare alla famiglia in termini
di lavoro e guadagni.

Il tasso di mortalità è il rapporto tra il numero delle morti in una certa popolazione in un dato periodo di
tempo e l'ammontare medio della popolazione nello stesso periodo (numero hanno morti ogni mille
abitanti). I Paesi con un basso tasso di mortalità sono per esempio il Qatar e il Kuwait (due morti ogni mille
abitanti). I Paesi con un alto tasso di mortalità sono, invece, il Lesotho (Africa settentrionale) e la Sierra
Leone (con 23 morti per epidemie e AIDS). Anche la mortalità è influenzata da altri fattori, come ad
esempio fattori naturali (terremoti e altri disastri naturali), diffusione di epidemie, guerre e guerriglie locali
presenti soprattutto nel sud del mondo, dalla mancanza di strutture sanitarie in particolar modo nelle zone
molto povere. Questo, però, non significa che la mortalità sia sempre maggiore nelle aree povere: ad
esempio in Danimarca la mortalità è maggiore rispetto all’Honduras (nell’America Centrale). La speranza di
vita indica la lunghezza media della vita delle persone in base ai tassi di mortalità correnti nel paese dove
vivono. Anche se varia da Stato a Stato, l’Africa è il continente nel quale la speranza di vita è mediamente
inferiore, mentre in zone come Grecia, Sardegna, Giappone e California la speranza di vita è aumentata
notevolmente contando numerosi centenari tra la popolazione. Un secondo importante indicatore della
qualità della vita di una popolazione è il tasso di mortalità infantile, ovvero il numero di nati ogni mille che
muoiono prima di compiere un anno di età, in particolare nell’Africa subsahariana dove sono ancora diffuse
malnutrizione, mancanza di acqua potabile e guerre civili.

Ogni popolazione è caratterizzata da una specifica composizione, data dalle caratteristiche dei gruppi che la
compongono. Uno degli strumenti a tale scopo è la “piramide dell’età”, un istogramma che rappresenta la
composizione di una popolazione divisa per classi di età e per genere (M e F). La loro forma è determinata
in particolare dai tassi di natalità e se ne possono individuare di tre categorie: popolazione a forte crescita
(ad esempio nelle Filippine), popolazione a crescita lenta (come in Australia) e popolazione in declino (come
nel caso del Giappone dove oltre il 22% della popolazione è ultrasessantenne e quindi entro il 2050 la
popolazione anziana sarà quattro volte maggiore della popolazione giovane). La piramide dell’Italia ha la
tipica forma dei paesi con la popolazione in declino, rispetto agli anni ’60 caratterizzati dal baby boom.
L’indice di dipendenza, invece, è il rapporto tra la popolazione in età lavorativa e la popolazione con meno
di 15 anni e più di 65 anni. Una popolazione ha un “tasso di crescita naturale” quando il numero delle
nascite è superiore al numero delle morti, senza considerare i flussi migratori ovviamente. Questo tasso
può essere pari a 0 (come nel caso dell’Austria nel 2012, dove sia il tasso di natalità che quello di mortalità
erano di 9 ogni mille abitanti) oppure negativo (come in Russia dove ci sono stati 12 nati e 15 morti ogni
mille abitanti). Spesso i demografi si servono del tasso di crescita naturale per calcolare il tempo del
raddoppio della popolazione, ovvero il numero di anni necessario affinché questa duplichi la propria
dimensione per una consistenza futura. Il modello che mette in relazione i cambiamenti della crescita
naturale della popolazione per dei cambiamenti sociali derivati dal progresso in medicina,
nell’urbanizzazione e nell’industrializzazione è la “transizione demografica”. Esso è, infatti, il passaggio di un
paese, nel corso del tempo, da tassi di natalità e mortalità elevati a valori molto inferiori. La transizione
demografica, però, ha il grosso limite di non prendere in considerazione le migrazioni, offrendo perciò una
rappresentazione solo parziale dei cambiamenti demografici. I geografi hanno, inoltre, osservato che
quando un paese entra nella transizione demografica si verifica un cambiamento anche nella tipologia delle
malattie che colpiscono la popolazione, che passano dall’essere infettive (si diffondono da persona a
persona attraverso agenti patogeni, quali virus e batteri) a croniche (portano al deterioramento del corpo,
come l’artrosi, o patologie legate a uno stile di vita, come diabete e malattie cardiache).

La sessualità è l’elemento fondamentale dell’identità sociale e individuale, che deriva da orientamenti,


attitudini, desideri e pratiche di tipo sessuale. Il genere, invece, raggruppa le caratteristiche culturali e
sociali che nel pensare comune di una società vengono attribuite all’appartenenza al sesso maschile o
femminile. La nostra identità di individui viene plasmata non solo dal nostro sesso, ma anche dal nostro
genere, così come dall’etnia alla quale apparteniamo, dalle nostre origini familiari ecc. I ruoli di genere
variano da un luogo ad un altro e possono determinare talvolta disuguaglianza di genere nell’accesso delle
risorse, come in Tanzania (Africa orientale) dove vi è la concezione che gli uomini debbano lavorare mentre
le donne occuparsi della casa e dei figli, oppure in Arabia Saudita dove la donna non può ricoprire certe
mansioni, non può guidare e non può uscire di casa senza espresso consenso da parte di un uomo. Questo
non avviene soltanto in Tanzania, anzi è un fenomeno abbastanza diffuso nel resto del mondo tanto da
essere oggetto principale nei movimenti femminili per l’uguaglianza. Ad esempio le donne del Bangladesh
(in sud Asia) che rivendicano parità di diritti dal momento loro possono ereditare i debiti del marito ma non
le proprietà. L’indice di mascolinità è uno strumento per analizzare la composizione di una popolazione per
sesso mettendo in rapporto le due percentuali. Sono diversi i fattori che possono determinare una disparità
tra gli uomini e le donne di una popolazione, ad esempio i tassi di mortalità (maggiore negli uomini e
minore nelle donne per la loro maggiore durata media della vita), guerre e migrazioni. In India e in Cina
l’indice di mascolinità è particolarmente elevato. Inoltre, in questi paesi a mutare l’equilibrio della
popolazione è “l’aborto selettivo” in caso di bambine femmine.

Nella teoria ottocentesca dell’economista inglese Thomas Malthus, egli si chiedeva se fosse possibile
incrementare l’attività produttiva per sfamare tutti dal momento che si era in presenza di un elevato
aumento demografico, che in caso contrario avrebbe condotto senza ombra di dubbio ad ostacoli
repressivi, quali carestie e/o epidemie. Per evitare questi terribili eventi, secondo Malthus le persone
avrebbero dovuto mettere in atto degli ostacoli preventivi, ovvero matrimoni tardivi e astinenza sessuale.
Inoltre, si affermò l’idea che ogni territorio e il mondo intero abbia una certa capacità di carico, che limita
dunque le propri risorse al numero di persone che possono viverci in condizioni di vita accettabili.

Uno dei principali problemi legati all'aumento della popolazione è quello dell’insicurezza alimentare, ovvero
l'impossibilità fisica o economica di alcune persone di accedere al cibo a causa di fattori quali povertà,
sovrappopolazione, guerre e conflitti o disastri naturali. La più grave conseguenze della povertà è la fame,
che può essere legata a forme di denutrizione (alimentazione insufficiente) e malnutrizione (alimentazione
carente di alcuni alimenti indispensabili, come le proteine e le vitamine).

Oltre a tener conto del tasso di natalità e di quello di mortalità di un paese, dobbiamo considerare anche le
migrazioni. Essa consiste nello spostamento permanente, o di un lungo termine, di un individuo o un
gruppo di persone dal proprio luogo d'origine ad un altro luogo. La circolazione, invece, è lo spostamento
temporaneo spesso ciclico dal proprio luogo d'origine ad un altro luogo. Esso comprende le migrazioni
temporanee e i movimenti pendolari. Ogni migrazione prevede un’emigrazione (partenza da un luogo) e
un’immigrazione (arrivo in un altro luogo). Il saldo migratorio netto considera i cambiamenti nella
popolazione di un determinato luogo in seguito alle immigrazioni e alle emigrazioni:

Saldo migratorio netto = immigrati - emigrati

Può essere calcolato attraverso l'equazione demografica che considera la crescita naturale di una
popolazione e il suo saldo migratorio in un determinato periodo di tempo. Le migrazioni possono essere
anche volontarie. Queste avvengono in quanto il migrante si confronta con un insieme di fattori di spinta
(push factors) e fattori di attrazione (pull factors) che contribuiscono alla scelta di emigrare. In altri casi le
migrazioni sono necessarie per le condizioni elevate di povertà e insicurezza e dunque per un
miglioramento generale delle proprie condizioni di vita. Tre sono le caratteristiche che incidono
maggiormente sulla scelta migratoria interna: l’età, la ricerca di un’occupazione e le migliori caratteristiche
ambientali e naturali (spesso le persone migrano dalle aree rurali alle città, dal clima freddo al clima mite).
Si parla, invece, di migrazione internazionale quando una persona si trasferisce in maniera permanente o
per un lungo periodo di tempo in uno Stato diverso da quello di origine. Sono minori rispetto a quelle
interne, in quanto quelle internazionali sono più difficili, soprattutto per i costi elevati e per gli aspetti
burocratici. A emigrare in un altro stato sono sempre di più le persone dei paesi in via di sviluppo (sono
circa il 35% dei migranti) che si dirigono verso i paesi industrializzati.

I profughi ambientali sono coloro che emigrano per cause legate ai cambiamenti climatici del pianeta, quali
siccità e desertificazione, innalzamento del livello marino e inondazioni. Comprendono intere famiglie con
bambini a carico che necessitano di cure e di istruzione e anziani non più autosufficienti senza più averi e
questa grava maggiormente sui paesi confinanti che li ospitano, come avviene in Italia essendo un paese di
facile approdo per i migranti dall'Africa. Nell'ultimo secolo i migranti europei si sono sempre trasferiti in
America, sia settentrionale (USA e Canada) che latina (Messico), tanto che questi paesi furono costretti a
fissare delle quote massime di entrata. Oggi, invece, soprattutto negl’ultimi sessant’anni, l'Europa è
considerata tra i paesi più popolati dai migranti. Gli immigrati italiani, spagnoli, portoghesi e greci
preferiscono mete come Francia e Germania soprattutto per una questione lavorativa. Negli anni ’80 e ’90,
con la caduta del blocco sovietico, molte persone, soprattutto bosniaci, sono fuggiti dall’ex Jugoslavia per
chiedere asilo politico (protezione dalla persecuzione garantita da uno stato) e lo status di rifugiato (chi
fugge da un paese a causa di persecuzioni per garantire la propria sicurezza). Le migrazioni in Italia, in
particolar modo in passato, avvenivano soprattutto verso l’America, tanto da formare interi quartieri
popolati da italiani (es. little Italy). Si venne a creare anche la fuga dei cervelli, ovvero l’emigrazione verso
un altro stato di persone più istruite e preparate (ingegneri, medici, insegnati ecc.). Nel 2011 ad arrivare in
Italia, invece, sono popolazioni dell’Africa (Tunisia, Marocco, Libia, Egitto ecc.), che costituiscono il 9% di
tutti i migranti internazionali, sia a causa della guerra sia per le condizioni di estrema povertà in cui
vivevano. L’Asia è il continente che registra la percentuale maggiore dei migranti di tutto il mondo, circa il
25% del totale, la maggior parte dei quali si sposta tra un paese e l’altro dello stesso continente. In alcune
parti dell’Asia, inoltre, alcune donne e, in particolare, i bambini migrano per sfuggire alla piaga del traffico
degli esseri umani, spesso usato per rifornire il mercato della prostituzione o per ottenere forza lavoro da
sfruttare.

Tra gli aspetti fondamentali di un migrante vi è il transnazionalismo, un processo mediante il quale i


migranti costruiscono reti di interazione che legano tra loro il paese d'origine e quello di insediamento. Il
suo sviluppo è favorito dalla globalizzazione. Il risultato di questo processo sono le tipiche rimesse dei
migranti, ovvero le somme di denaro che i migranti inviano in patria ai propri cari che vivono in condizioni
di povertà.

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