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RUNE - RUNE

Filologia germanica (Università degli Studi di Palermo)

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RUNE

1. Definizione del fuþark e origine del termine "runa"

I Germani, prima di adottare l’alfabeto latino, avevano un proprio sistema di scrittura di tipo epigrafico, utilizzato
per stendere testi di una certa brevità su pietre o su oggetti mobili di varia natura e diverso materiale (osso, corna di
animali, legno, metallo).
Le forme ted. Rune, ingl. ned. dan. norv. rune, sved. runa hanno il significato specifico di “segno di scrittura” e
costituiscono una nuova formazione dotta (del XVII secolo, forse di origine scandinava), derivata da una parola
ampiamente testimoniata in tutte le lingue germaniche antiche, ma in via di estinzione già nella fase antica o in
quella media: got. as. aat. rūna, ags. an. rūn < germ. *rūnō con significato di “mistero, segreto”. Ad un certo punto
non viene attestata dalle fonti e va in disuso, per poi essere riesumata negli ambienti culturali della Scandinavia nel
XVII secolo.
Raunen (aat. Runen) – Parlare a bassa voce e in segreto, sussurrare
L’iscrizione runica più antica risale al 160 d.C ed è iscritta sul Pettine di Vimose, ritrovato sull’Isola di Fiona, in
Danimarca. Si tratta di un pettine in corno di cervo, che riporta l’iscrizione “harja”. Questa iscrizione può essere
interpretato o come il nome del guerriero a cui l’oggetto appartiene, o il nome dell’oggetto stesso.

Sulla base di otto epigrafi runiche del V e del VI secolo, il runologo danese Wimmer ha ricostruito una serie
comune di 24 segni, alla quale si attribuisce il nome di futhark, dalla lettura dei primi sei segni che la compongono.
La successione delle lettere non corrisponde a quella greca e latina, e per questa ragione non si
potrebbe parlare in effetti di “alfabeto”, bensì di “serie runica”. L’antico fuþark in forma completa è
attestato in tre iscrizioni:
1) nella pietra di Kylver (Gotland), che, datando alla prima meta del V secolo, è a tutt’oggi la più antica iscrizione a
riportare un futhark;
2) nella bratteata di Vadstena
3) nella bratteata di Grumpan (Svezia).
In forma incompleta è documentato nella colonna di Breza (ex Jugoslavia), nella fibula di Charney (Borgogna).
In seguito, attraverso una serie di modificazioni, semplificazioni o ampliamenti, la serie runica originaria di 24
segni venne alterata per poter essere adeguata alle innovazioni fonologiche delle diverse lingue germaniche, sicchè
nell’area delle Lingue del Mar del Nord (o Ingevoni) la serie viene allargata prima a 28 e poi a 33 segni, mentre in
Scandinavia il futhark viene ridotto a soli 16 segni.

2. Il valore fonetico e semantico dei segni runici

Ogni runa aveva un nome, il cui fonema iniziale ne dava (in base al criterio dell’acrofonia) il valore
fonetico. Ad es., la runa aveva per nome germ. *fehu “bestiame; ricchezza” e il suo valore
fonetico era quello della fricativa labiodentale sorda /f/.; il nome della runa /t/ era germ. tīwaz (il
dio della guerra, anticamente il dio celeste per eccellenza). Unica eccezione è rappresentata dalla
runa , il cui nome germ. *algiz "alce" contiene il valore fonetico in posizione finale, dal momento
che in germanico non sono note parole con –z (-R) in posizione iniziale.
I nomi delle rune sono tramandati per la prima volta in manoscritti dell’altomedioevo (runica manoscritta) e in
alcune poesie (nei cosiddetti poemi runici), ma si ha motivo di ritenere che la loro formulazione sia contemporanea
alla nascita delle rune stesse.
 Nel ms. Wien, Österreichische Nationalbibliothek, 795 si conserva un fuþorc ingevone di 28 segni con i relativi
nomi.
 L’Abecedarium Nordmannicum, tramanda i nomi dei 16 segni della serie runica recenziore di area scandinava.
I nomi delle rune sono in gran parte derivati dalla sfera religiosa e delle pratiche magico-oracolari e si riferiscono
essenzialmente a esseri divini, demoni, animali sacri e piante connesse con le cerimonie di culto, nonché a
fenomeni naturali ed atmosferici. Es. u = uruz “uro” (sorta di
bue selvatico, animale ritenuto sacro).

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3. Origine della scrittura runica: teorie passate e recenti

L’inventio del F. è indice di un atteggiamento comune alle genti germaniche che, giunte in contatto con il mondo
classico, si preoccupano di affermare la propria identità culturale.” A tal proposito, è possibile operare un confronto
con l’alfabeto gotico elaborato da Wulfila, il cui intento fu indubbiamente quello di creare un alfabeto “nazionale”,
sia pur utilizzando modelli stranieri, desunti dalle civiltà classiche e cristiane del mondo mediterraneo.
Di recente la teoria di una derivazione latina del futhark è stata proposta da A. Quak. Lo studioso olandese perviene
alle seguenti conclusioni:
1) per quanto attiene alla datazione, l’ipotesi avanzata vorrebbe la nascita delle rune intorno alla fine del I o
all’inizio del II secolo d.C.;
2) in riferimento al modello utilizzato, Quak non ha dubbi che l’origine della scrittura runica debba essere ricercata
nei contatti tra Germani e Romani databili ai primi secoli dell’era cristiana, contatti che si sono verificati, in
particolar modo, nella zona renana.

4. Tecniche di incisione delle rune, ambiti di utilizzazione, supporti e relativa terminologia

I Germani non usavano le rune per la stesura di documenti e, per la compilazione di manoscritti, ad eccezione di
qualche caso raro e particolare, come la cosiddetta Scaanske Lov, una raccolta di norme giuridiche danesi, databile
all’inizio del XIII secolo e vergata in caratteri runici in un manoscritto denominato, proprio per questo motivo,
codex runicus. Usate inizialmente da un esiguo numero di individui, le rune divennero in un secondo momento una
scrittura pubblica, sebbene la sua fruizione fosse pur sempre limitata ad una cerchia di lettori assai ristretta. I testi
runici venivano graffiti su superfici dure con la punta di uno strumento acuminato. La terminologia relativa alle
tecniche scrittorie comprende, infatti, verbi che indicano l’azione di “incidere”, “intagliare”, “scalfire” (ma anche
“dipingere, colorare”): germ. *wrītana “incidere”. In antico alto-tedesco il termine, nel senso di “usare segni di
scrittura” cade in disuso con la diffusione del Cristianesimo e la conseguente adozione dell’alfabeto latino.
La tradizione runologica, inoltre, distingue due diverse figure cui attribuisce funzioni differenti: quella del
Runenmeister e quella del Runenritzer. Il primo conosce il futhark ed è in grado di comporre e stendere un testo
runico; il secondo è un semplice artigiano, che poteva anche
essere illetterato e la cui funzione era semplicemente quella di incidere o dipingere le rune (in base ad un modello
prestabilito). Spesso entrambe le funzioni erano svolte da un’unica persona, e si parla quindi di runografo.
Un uso presente in tutti i tempi e diffuso presso tutte le civiltà è la riduzione del testo epigrafico al marchio di
proprietà o alla firma dell’artigiano. Molte, infatti, sono, nelle varie tradizioni runiche delle singole popolazioni
germaniche, le iscrizioni formate da una sola parola, ad esempio un antroponimo, maschile o femminile, inciso su
un oggetto mobile (arma, monile, pettine, amuleto, ecc.). Può trattarsi del nome del possessore, del donatore o
ancora dell’artigiano cui si deve la manifattura e/o l’incisione delle rune stesse. Esiste, a tal riguardo, un repertorio
di formule cui i lapicidi e maestri di rune attingono per stesura dei testi epigrafici.
Gli schemi formulari individuati sono fondamentalmente due:
1) Il tipo cosiddetto “alfabetico”, che si realizza nella compilazione di un futhark, ovvero nella successione di
caratteri runici, senza alcun apparente significato o di significato indecifrabile;
2) il tipo che presenta la formula “autografa” del maestro di rune, ossia la firma dell’artigiano o del lapicida;
nell’ambito di questo secondo modello si notano due varianti principali: a) il firmatario si limita ad apporre il suo
nome (o il suo appellativo) e b) indica esplicitamente l’operazione che compie (“incidere, dipingere, tracciare,
scrivere”).
Sia nel primo, che nel secondo caso può esprimersi in prima persona, secondo lo schema “Io mi chiamo N”, ovvero
“Io, N, ho fatto questo”. Nel secondo caso, si possono trovare anche frasi espresse in terza persona: “N. ha fatto
questo”.
Infine, a questi due – che costituiscono i modelli di più ampia diffusione nella produzione runica – è possibile
aggiungerne un terzo, rappresentato dalle iscrizioni di “dedica”, che presentano solitamente uno o più antroponimi.
 I testi in prima persona si riscontrano in Scandinavia dal V al VII secolo. I migliori esempi sono l’amuleto di
Lindholm (ek erilaR sa wilagaR ha(i)teka “Io, ErilaR, sono chiamato SawilagaR”) e il corno B di Gallehus (ek
HlewagastiR holtijaR horna tawido).
 I testi in terza persona, con i verbi per “scrivere, dipingere, intagliare”sono un’imitazione dell’uso romano. Un
esempio e l’iscrizione di Freilaubersheim, su fibula in argento, databile alla seconda metà del VI secolo: Boso
wraet runa þ(i)k Daþena golida “Boso incise la runa. Te D. ha salutato”.
 Un esempio di iscrizione di “dedica” e rappresentato, invece, dall’epigrafe sul pendente aureo di Wijnaldum B
(hiwi, “mater familias”), del corpus frisone.

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Assai diffusa era anche la pratica di incidere iscrizioni runiche di carattere monumentale su
pietre, come quelle che si ritrovano in area anglosassone (ricorderemo la croce di Ruthwell), e, soprattutto, in
Scandinavia, dove l’impiego della scrittura runica su grandi lastre (stele) di pietra avrà enorme diffusione durante
tutta l’epoca vichinga, per continuare fino al XIV secolo. Il più delle volte tali stele avevano carattere funerario.
Di solito questi testi contengono due nomi: uno del defunto e l’altro dell’autore dell’epigrafe.
 Raramente si trovano indicazioni sul defunto, come si legge nella pietra norvegese di Kjølevik, dove
sono indicati i presunti rapporti di parentela tra il defunto e l’autore del testo: HadulaikaR /ek
hagustaldaR / hlaaiwido magu minimo “HadulaikaR (riposa qui). Io, HagustaldaR, ho sepolto mio
figlio”.
 Oppure indicano circostanze sulla morte, come nella pietra svedese di Möjbro: frawaradaR ana Hahai
slaginaR “Frawaradar e stato ucciso a cavallo”.

5. Usi magici delle rune

È opinione concordemente accettata il fatto che le rune fossero utilizzate anche per scopi magici e di culto, almeno
inizialmente. Le rune avevano valenza simbolica ed erano impiegate nelle arti magiche e nelle cerimonie religiose.
Tacito, al cap. X della Germania, descrive un rituale divinatorio (quello della Mantica), durante il quale si
incidevano su delle schegge di legno alcune notae (le rune), che poi il sacerdote o il pater familiae interpretava per
trarre gli auspici. Nella letteratura norrena sono presenti svariati passi che contengono riferimenti ad uno stretto
rapporto tra rune e magia, ad esempio, nel Hávamál (Canzone dell’Eccelso); nel For Skírnis (Viaggio di Skirnir);
nel Sigrdrífomál (Canto di Sigrdrifa).

6. I poemi runici

Un discorso a parte meritano i poemi “runici”, ovvero quei componimenti poetici elaborati sui nomi delle stesse
rune. Il piu antico e l’Abecedarium Nordmannicum, tramandato in un unico manoscritto del IX secolo, proveniente
da Fulda; è un documento molto breve, redatto in una lingua ibrida che mescola tratti dell’antico sassone con
elementi dell’antico alto-tedesco e del norreno e riguarda i nomi delle 16 rune della serie recenziore scandinava.
Non si tratta di opere di notevole spessore letterario. Sono per lo più perifrasi dei nomi delle rune, corredate di
immagini banali con qualche allusione cristiana. L’intento era evidentemente quello di fornire un supporto per la
memorizzazione delle rune e dei relativi valori fonetici e semantici.

7. Il corpus anglosassone

Il processo di trasformazione che il fuþark germanico13 di ventiquattro caratteri subisce nell’area ingevone si
articola in due fasi. Dapprima la serie runica originaria viene innovata attraverso l’aggiunta di un gruppo di quattro
segni; successivamente, forse a partire dal VII-VIII secolo circa, ha luogo, con molta probabilità in Northumbria,
un ulteriore ampliamento della serie runica ingevone.
Il documento più antico che tramanda la serie runica di ventotto segni è uno scramasax (un tipo di spada corta) del
IX secolo, rinvenuto nel 1857 nei pressi di Battersea sul Tamigi.

SCRAMASAX

Lo scramasax (detto anche hadseax, sax, seaxe, scramaseax, seax e sachsum) era un arnese da
taglio, caratteristico dei popoli germanici, con un solo margine tagliente ("filo"). Pare che venisse usato
generalmente come attrezzo, ma che avesse pure valenza di arma in situazioni estreme.
Ne è stata rinvenuta una gran varietà di fogge, con dimensioni comprese tra 7,5 e 75 cm; i più grandi (detti
langseax) erano verosimilmente armi, i più piccoli (hadseax), attrezzi, mentre gli intermedi svolgevano le due
funzioni. Lo scramasax faceva parte del corredo militare comunemente utilizzato dai Longobardi, come attestano le
diverse guarnizioni da fodero in lamina d'oro lavorata a giorno pervenute.
Lo stesso nome del popolo sassone potrebbe derivare proprio da seax, un'innovazione per cui al tempo erano noti.

Il repertorio runico anglosassone annovera una novantina di iscrizioni riportate su supporti di varia
tipologia. Molte epigrafi sono incise su oggetti mobili di diversa natura (monete, anelli, spille, fibule, armi o parti
di armi, urne, pettini, bratteati, cofanetti) fabbricati con svariati materiali (oro, argento, leghe di rame, bronzo,

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terracotta, osso, legno, giaietto, pietra). Fanno parte del corpus runico anglosassone anche alcune epigrafi incise su
steli di pietra e croci localizzate in particolare nella Northumbria e nella Mercia.
La tradizione runica si è sviluppata in Inghilterra attraverso due diverse fasi evolutive: il periodo arcaico, compreso
tra il V e il VII secolo, che coincide con l’era pre-cristiana; e il secondo periodo, che si fa partire dal VII secolo, e
che mostra chiaramente l’influsso della civiltà mediterranea e della scrittura (epigrafica e alfabetica) latina,
manifestandosi attraverso la produzione di documenti runici in cui forte e l’impronta della cristianizzazione, evento
culturale epocale che sembra fungere da linea spartiacque fra questi due periodi.

PETTINE DI WHITBY

Il pettine di Whitby (VII secolo), presenta una breve iscrizione runica di chiara
ispirazione cristiana, in lingua latina e in antico inglese: d[æ]us mæus, god aluwaludo helipæ Cy-,
da tradurre come “Dio mio, Dio onnipotente aiuti Cy-”.
Anglo-Saxon bone comb with runic inscription, 7th century, presenta una breve iscrizione runica di chiara
ispirazione cristiana, in lingua latina e in antico inglese: d[æ]us mæus, god aluwaludo helipæ Cy-, da tradurre
come “Dio mio, Dio onnipotente aiuti Cy-”

RELIQUIARIO DI SAN CUTHBERT

Il reliquiario di San Cuthbert (VII secolo), custodito all’interno della cattedrale di Durham, è decorato con una serie
di immagini intagliate nel legno, che rappresentano personaggi delle Sacre Scritture. Il reliquiario reca anche i nomi
dei personaggi raffigurati (sebbene in alcuni casi non siano più leggibili), incisi sia con lettere dell’alfabeto latino
che in caratteri runici.

Come è noto, l’opera di evangelizzazione della popolazione anglosassone viene attuata con estrema cautela da parte
dei monaci missionari, che mostrano grande rispetto e indulgenza nei confronti dei riti pagani ancora diffusi nella
comunità locale. È a tale atteggiamento tollerante della Chiesa che probabilmente si deve l’affermarsi di questa
originale combinazione fra due culture diverse, quella cristiana e quella germanica e che, sul piano della scrittura,
porta ad una compenetrazione tra l’alfabeto latino e il sistema runico.

COFANETTO DI AUZON

Un mirabile esempio di ibridazione tra epigrafia runica, contenuti germanici e tematiche cristiane è tangibilmente
rappresentato dal cofanetto Franks (VIII secolo), ritrovato intorno alla metà del XIX secolo ad Auzon, in Francia, e
oggi conservato presso il British Museum di Londra.
La denominazione del reperto deriva da August W. Franks, l’archeologo inglese che ne fece dono al British
Museum. Si tratta di uno scrigno fabbricato con osso di balena e che serviva probabilmente a contenere oggetti
preziosi o reliquie. Il cofanetto reca sia sui quattro pannelli laterali che sul coperchio una serie di iscrizioni runiche
in dialetto northumbrese e, sul pannello posteriore, tre parole in caratteri latini. Inoltre è riccamente ornato con
una serie di sculture a bassorilievo di soggetti eterogenei: vi si trovano raffigurate scene derivate da leggende e miti
di origine germanica, come il fabbro Weland nella sua fucina e suo fratello Egill, l’arciere; immagini tratte dalla
storia e dalle leggende romane, ossia la conquista di Gerusalemme da parte di Tito (70 d.C.) e Romolo e Remo
allattati dalla lupa; e ancora la rappresentazione di un episodio biblico, l’adorazione dei re Magi (quest’ultima
scena è peraltro accompagnata da una piccola disascalia che presenta, incisa in caratteri runici, la parola mægi). I
motivi pagani e cristiani che si incrociano e si sovrappongono nel cofanetto Franks sembrano essere collegati ai
temi della ricchezza e dei doni preziosi (con un velato riferimento al contenuto del cofanetto), enfatizzati anche
dall’uso della runa feoh “ricchezza” e della runa giefu “dono”, che forniscono l’allitterazione del testo runico sul
pannello frontale.

CROCE DI RUTHWELL

Un’altra preziosa testimonianza di questo singolare sincretismo tra elementi di tradizioni diverse, e che al tempo
stesso costituisce un interessante esempio di intreccio di epigrafia e letteratura, è rappresentato dalla croce di
Ruthwell, un monumento archeologico che reca, incisi in caratteri runici, alcuni versi in dialetto northumbrese del
poema allitterante il Sogno della Croce, tramandato, in forma completa, nel ms Vercelli, Biblioteca Capitolare
CXVII.39 Si tratta di una croce celtica in pietra dell’inizio dell’VIII secolo, che poggia su di una colonna

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rettangolare di forma affusolata, alta ca. 5,28 metri. Intorno alla metà del XVII secolo, la croce – che fino ad allora
si trovava accanto all’altare della Chiesa di Ruthwell nel Dumfriesshire (Scozia) – venne smontata e in parte
deturpata; alcune sezioni furono interrate nel cimitero attiguo alla chiesa, mentre altre furono impiegate per
pavimentarne la navata. Nel 1802 i resti del monumento vennero recuperati e riassemblati e nel 1887 la croce fu
ricollocata dentro la chiesa, nella sua posizione originale.
La croce, sebbene danneggiata, presenta nei quattro lati, una serie di sculture e di decorazioni a rilievo. Le sezioni
più ampie (nord e sud) sono intagliate con scene bibliche ispirate alle Sacre Scritture: la crocifissione,
l’annunciazione, Gesù nell’atto di guarire un cieco, Maria Maddalena che lava i piedi del Cristo, San Paolo e
Sant’Antonio che spezzano il pane, Cristo al Giudizio con la mano destra alzata in segno di benedizione e i piedi
poggiati su due animali, San Matteo e il suo angelo. Queste immagini sono inoltre circondate da una serie di
citazioni e parafrasi bibliche in lingua e scrittura latina.
Le sezioni meno estese (est e ovest) sono scolpite con motivi ornamentali che presentano tralci di vite intrecciati e
corpi di animali attorcigliati (serpenti o uccelli) in forma stilizzata, che fanno parte della tradizione iconografica
anglosassone e celtica. Il testo runico, che corre lungo il bordo esterno di queste due sezioni, corrisponde ai versi
vv. 39-64a del poema del Codice di Vercelli e si divide in quattro parti, che risultano frammentarie dal momento
che alcune porzioni della croce sono andate irrimediabilmente distrutte. La conservazione di questo componimento
antico inglese sia in tradizione manoscritta che epigrafica rappresenta un caso eccezionale nella storia della
letteratura anglosassone. La relazione tra i due testimoni del poema e a tutt’oggi materia di dibattito. Probabilmente
il documento runico costituisce un’epitome di un originale anglico del 700 circa, mentre la redazione contenuta nel
codice sarebbe una copia sassone occidentale più tarda di un ulteriore esemplare northumbrese, generalmente
datato intorno all’inizio dell’VIII secolo. Tale testo northumbrese sarebbe antecedente all’iscrizione di Ruthwell, di
cui peraltro avrebbe costituito una fonte.

8. Iscrizione sulla punta di lancia di Kowel

Appartenente alla metà del III secolo, questa iscrizione si trova sulla punta di una lancia trovata nel
1858 in un campo nei pressi di Kowel, in Volinia, nell’Ucraina nord-occidentale. Verso la fine del
secolo andò dispersa; fu ritrovata a Varsavia nel 1939 e poi nuovamente dispersa. L’iscrizione e
sinistrorsa e va letta come segue:
tilarīds
Essa si compone di due elementi: tila, preposizione o avverbio (cfr. norr. e ags. til “a, verso”) e rīds, nomen agentis:
germ. *rīðana- “cavalcare” (propriamente “muoversi, lanciarsi”) > norr. rīða, ags. rīðan, aat. rītan. L’interpretazione
dell’iscriz ione sarebbe dunque “chi cavalca cola, chi si lancia cola”.

CORNI DI GALLEHUS
I corni d'oro di Gallehus sono due corni costruiti in oro, uno più corto dell'altro, scoperti a Gallehus,
in Danimarca. Il più lungo dei due venne ritrovato nel 1639, mentre il secondo nel 1734. Si crede che i corni
vadano datati al V secolo, e vi sono raffigurate figure mitologiche di origine incerta. Il più piccolo dei due contiene
un'iscrizione in proto-norreno, e per la precisione in fuþark antico.
L’iscrizione recita “Io, Hlewagast, figlio di Holt, feci il corno”. Si tratta di un vero e proprio testo germanico,
poiché presenta il fenomeno della rotazione consonantica (germ. horn-lat. korn) (germ. ek-lat. ego).
Sintatticamente presenta lo schema soggetto-oggetto-verbo, e dal punto di vista metrico ha l’allitterazione nello
stesso fonema in posizione iniziale, che è accentato.
I corni originali vennero rubati e fusi. Sono state prodotte alcune copie basate sulle illustrazioni degli originali, oggi
in mostra presso il Museo Nazionale Danese di Copenaghen e presso il Museo Moesgaard (Danimarca). Dopo la
ricostruzione, le copie dei corni sono state rubate (e ritrovate) due volte.

BRATTEATE DI GRUMPAN, FUNEN E VADSTENA


Grumpan  Questa bratteata risale al VI secolo d.C., è un monile a forma di moneta.
Vi è l’immagine di una figura che cavalca un cavallo sulle nuvole. La zampa del cavallo è biforcuta, quindi
possiamo immaginarlo o con otto zampe o otto piedi. Sembra che il cavallo Sleipnir, il cavallo di Odino. Troviamo
anche un uccello, un corvo o un acquila, animali legati ad Odino e, ovviamente, le rune. Probabilmente queste sono
legate ad Odino.

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Funen Le brattetate sono considerate come amuleti portafortuna. In quella di Funen, vi è l’iscrizione alu, che
potrebbe significare ‘’bevanda’, sempre legata alla figura di Odino. In questo oggetto, dunque, c’è un possibile
collegamento con la magia.

Vadstena  Il bratteato di Vadstena è un bratteato in oro rinvenuto a Vadstena nel 1774.


Quando il bratteato di Vadstena venne trovato, un orefice stava per riciclare l'oro fondendolo, ma venne fermato da
un chierico locale. Si crede che il bratteato sia stato coniato verso la fine del VI secolo. Al centro si vede un
animale a quattro zampe ed una testa umana, e davanti a questi un uccello separato dal resto con una linea (questa
immagine viene comunemente associata ad Odino nell'iconografia dei bratteati). Questo esemplare è famoso
soprattutto per contenere l'elenco completo dell'alfabeto runico in Fuþark antico.

PIETRA DI KYLVER

La prima pietra con inciso l'intero futhark antico è la pietra di Kilver, ritrovata a Stanga nel Gotland, datata V
secolo. Nel futhark le rune Perth e Eihwaz sono scambiate di posto, Ansuz e Berkana sono speculari e
infondo troviamo la runa Teiwaz multipla: probabilmente si tratta di un'invocazione al dio Tyr.

FIBULA DI CHARNEY
Trovata a Charney in Francia, è datata 550-600 d. C.
Un lato presenta un futhark in cui mancano le ultime tre rune, mentre l'altro lato mostra due iscrizioni:
“uþafaþai : iddan : liano”

La traduzione:
Al marito Iddo, da Liano. “Liano” è un nome femminile.

LANCIA DI KRAGEHUL
Il reperto è un bastone di lancia ritrovato a Fyn, in Danimarca. È stato trovato nel 1877 durante gli scavi di
un sito sacrificale a Kragehul nel sud dell'isola di Funen.
Sul luogo sono stati trovati alcuni depositi di equipaggiamenti militari del periodo che va dal 200 al 475 d. C.
Probabilmente la lancia appartiene all'ultimo deposito.
L'scrizione in Futhark antico recita:
“ek erilaR asugisalas e muha haite”

L’iscrizione tradotta si legge come "“Io E. di A., sono chiamato Uha”

AMULETO DI LINDHOLM
L'amuleto è un pezzo di osso trovato a Skane, in Svezia, datato tra il II e il IV sec. d. C.

L’iscrizione recita: ek erilaR sa wilagaR ha(i)teka


Traduzione: “Io, ErilaR, sono chiamato SawilagaR

MONETA DELL’EAST ANGLIA

Moneta dell’East Anglia, testo ‘Beonna’ scritto in caratteri dell’alfabeto latino e runici.

COLONNA DI BREZA

Colonna in pietra del VI secolo ca., rinvenuta nel 1930 scorso tra i resti di quella che doveva essere stata
un’antica chiesa cristiana. Ritrovata in Jugoslavia. Come la Fibula di Charney, la colonna riporta il futhark
incompleto.

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PIETRA RUNICA DI ROK


La pietra runica di Rok si trova nell'omonimo villaggio, nell'Ostergotland in Svezia. È una delle pietre
runiche più famose ed è considerata il primo pezzo di letteratura svedese scritto. Per questo motivo segna
l'inizio della storia della letteratura svedese. Si presume sia stata incisa intorno IX sec. d. C.
È ricoperta di rune sui cinque lati ed è in buon stato di conservazione. Sulla pietra si trova una citazione del re
ostrogoto Teodorico il Grande.

PIETRA RUNICA DI EINANG


È una pietra runica situata vicino a Fagernes, in Norvegia con un'iscrizione in antico futhark in Proto-
Norreno, datata IV secolo d.C.
E' una delle più antiche pietre runiche situata nel suo luogo di origine e forse la prima iscrizione con il nome
“runo”cioè "runa", usato nel suo significato originale di “segreto”.

L'iscrizione dice: "(Ek go)ðagastiz runo faihido"


che tradotto significa: "(Io, Gu)dagastiz ho scritto le rune"

PIETRA RUNICA DI NOLEBY


È una pietra con incise le Rune dell'antico futhark in lingua proto norrena, scoperta ne 1894 nella fattoria di
Stora Noleby nel Västergötland in Svezia e datata 600 d. C.
La pietra recita, tra le altre, le parole “runo ... raginakundo” che significa “rune di origine divina”, parole che
appaiono anche sulla più tarda pietra runica di Sparlösa e nell' Hávamál dell'Edda Poetica. Essa rappresenta
un documento importante nello studio della mitologia norrena poiché attesta come l'uso di espressioni e
contenuti dell'Edda Poetica siano originali della storia scandinava.
L' iscrizione recita: “Io preparo le divine rune...per Hakoþuz”.
La pietra è conservata nel Museo Svedese delle antichità nazionali a Stoccolma.

MONETA DI SKANOMODY

Moneta del VI-VII secolo, conservata al British Museum che riporta il Fuþorc frisone. L’iscrizione recita
skanomodu.

TERPEN

Piccoli rialti di terreno innalzati dagli antichi abitanti per rifugiarvisi coi loro armenti al montare delle maree, e
su alcuni di questi rialti son fabbricati dei villaggi.

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