La commedia dell’arte
nella sua dimensione
europea
Istituto Ellenico di Studi Bizantini
ACRINET
e Postbizantini di Venezia
In copertina:
COMITATO EUROPEO
Giandomenico Tiepolo,
DIREZIONE GENERALE Pulcinella innamorato, 1797.
EDUCACIONE E CULTURA ISBN 960-88505-0-9 Ca’ Rezzonico (Venezia).
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ISBN: 960-88505-0-9
Copyright: ACRINET
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CONTENTS
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5 ...................... LA
RETE EUROPEA PER LA TRADIZIONE AKRITICA
"ACRINET"
Fuli Papagheorghiu
7 ...................... PREMESSA
Prof. Chryssa Maltezou
Direttore dell'Istituto Ellenico
9 ...................... "STRATHIOTTI
PALICARI": VENEZIA, LA DIFFESA DEL
DOMINIO E LA TRADIZIONE MILITARE BIZANTINA
Ennio Concina
27 ...................... LA
COMMEDIA DELLE LINGUE SULLA SCENA
VENEZIANA DEL SECONDO CINQUECENTO
Piermario Vescovo
41 ...................... GREEK
THEATRE PRACTICE AND COMMEDIA
DELL’ ARTE: A LATE RE-DISCOVERY
Platon Mavromoustakos
51 ...................... "SON
D’ ILLIRICA PATRIA, PATRIA FAMOSA AL MONDO":
SPUNTI DI RIFLESSIONE SUL TEATRO GOLDONIANO E LA
DALMAZIA
Anna Scannapieco
87 ...................... COMICI
E BUFFONI TRA ITALIA E BAVIERA
NEL XVI SECOLO
Daniele Vianello
95 ...................... IL
MITO DELLA COMMEDIA DELL’ ARTE IN RUSSIA
DEL PRIMO NOVECENTO
Raissa Raskina
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riassunti di tutte le comunicazioni, come "fascicolo di riferimento".
Parallelamente agli incontri scientifici si è inoltre organizzato un numero
rilevante di manifestazioni culturali, con la presenza di balli e canti ispirati alla
tradizione popolare akritica, di rappresentazioni folcloristiche e di frammenti
provenienti dalla tradizione erudita con epicentro gli akriti-eroi. Sulla base della
ricerca scientifica e della collezione di materiale originale ed erudito, che
documenta la comune tradizione akritica dell'Europa, è stata anche organizzata
una mostra itinerante sul tema "Gli Akriti d'Europa", presentata in Grecia, Francia
e Spagna, mentre esposizioni su tema particolare dedicate a tradizioni ed eroi
nazionali hanno avuto luogo in Italia e Bulgaria. L'esposizione greca, costituita da
64 panelli e da un importante numero di oggetti, dopo il giro in quattro città, è finita
a Paleochora in Creta, dove è stato fondato un Museo della Tradizione Akritica
Europea, sotto l'egida del Ministero della Cultura e dell'Accademia di Atene.
Gli esponenti, che con la loro collaborazione hanno contribuito mediante
instancabile lavoro, la loro specializzazione scientifica ed il loro entusiasmo, alla
materializzazione delle attività della Rete Europea per la tradizione Akritica,
provengono da cinque paesi europei e sono:
Esponente Responsabile del Programma
- PRISMA - Centro di Studi per lo Sviluppo
Responsabile della coordinazione scientifica
- Accademia di Atene, Centro di Ricerca del Folclore Greco
Soci del programma
- Ministero della Cultura, Direzione della Cultura Popolare
- Università dell' Europa
- Università I della Sorbona, Panteon
- Consiglio Superiore delle Ricerche Scientifiche di Spagna, Istituto di Filologia,
Dipartimento di Studi Bizantini e Neoellenici
- Istituto Ellenico di Studi Bizantini e Postbizantini di Venezia
- Università di San Clemente di Ocrida a Sofia, Dipartimento di Filologia Slava,
di Etnologia e di Letteratura Bizantina.
Desideriamo esprimere i nostri ringraziamenti alla Direzione Generale “Educazio-
ne e Cultura” del Comitato Europeo, che ha contribuito al finanziamento delle
attività di ACRINET nell'ambito del più largo programma CULTURE 2000 e ha
così concorso in modo decisivo alla realizzazione dell'importante lavoro, presen-
tato nella presente edizione.
Fuli Papagheorghiu
Responsabile dell'Amministrazione Interstatale
e della Coordinazione del Programma ACRINET
Direttrice Generale del Centro di Studi per lo Sviluppo PRISMA
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PREMESSA
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“STRATHIOTI PALICARI”:
VENEZIA, LA DIFESA DEL DOMINIO
E LA TRADIZIONE MILITARE BIZANTINA
Ennio Concina
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Locuzioni frequentemente ricorrenti in M. Sanudo, I Diarii, Venezia 1878-1902, passim. Quanto alla
citazione datata 1451: Archivio di Stato, Venezia ( in seguito IA.S.V., Senato Mar, reg. 4, cc.77v-78v.
4
Marchesino e Nicolò̀ Zorzi, figli di Giacomo da Negroponte, fratello di Antonio il Cavaliere,
signore di Caristo: Sanudo, I Diarii, op. cit., vol. 1, coll. 379, 1087, 1109; vol. 7, coll. 184, 269,
701. M.Sanudo, le vite dei dogi (1474-1494), Padova 2001-2, p. 420; vol. 2.
5
G. Priuli, I Diarii, a cura di A. Segre, vol. 1, Città di Castello 1913, p. 95.
6
Sanudo, I Diarii, op. cit., vol. 1, col. 497.
7
Si vedano principalmente: E. Muir, Il rituale civico a Venezia nel Rinascimento, Roma 1984;
Lina Urban, Processioni e feste dogali, Vicenza 1998.
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8
F. Corner, Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia e di Torcello, Padova 1758, pp.
58-59.
9
Sanudo, I diarii, op. cit., vol. 1, col. 497. Si veda anche lidem, le vite, op. cit., vol.2
10
Op. cit., col. 53 (20 febbraio 1496).
11
Op. cit., coll. 763-766.
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H. Noiret, Documents inédits pour servir à l’ histoire de la domination vénitienne en Crète de 1380 à
1485, tirés des archives de Venise, Parigi 1892, pp. 514-515 (11 ottobre 1471). La questione è
esaminata con maggiore ampiezza nel nostro “Tempo novo”. Venezia e il Quattrocento, in corso di
pubblicazione presso Marsilio Editori, Venezia.
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A.S.V. Senato Mar, reg. 11, c. 22 r (8 maggio 1479); ibidem, Luogotenenza della Patria del Friuli, b.
272, reg. G; D. Malipiero, Annali Veneti dall’ anno 1457 al 1500, Firenze 1843: preso de dar a quei
de Scutari la terra de Gradisca in Friul sul Lisonzo e de divider el territorio arativo in 150 parti fra
l o r o; R. Corbellini, “Analisi storica della città”, in C. Visintini, Gradisca. Analisi della fortezza
veneta, Trieste 1985, pp. 14-21; E. Concina, “Il rinnovamento difensivo nei territori della Repubblica
di Venezia nella prima metà del Cinquecento. Modelli, dibattiti, scelte”, in Architettura militare nell’
Europa del XVI secolo, Atti del Convegno di studi (Firenze, 25-28 novembre 1986), a cura di C.
Cresti-A. Fara-Daniela Lamberini, Siena 1988, pp. 93-96. A.S.V., Senato Mar, reg. 4, 77v-78v
14
Rimandiamo al nostro “ 'In vera pictura': Venezia, le città del Dominio, il Mondo. 1459 'more
veneto'”, in La vita nei libri: edizioni illustrate a stampa del Quattro e Cinquecento dalla
Fondazione Giorgio Cini, catalogo della mostra, a cura di M. Zorzi, Venezia 2003, pp. 151-156.
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Rimandiamo al nostro L'Arsenale della Repubblica di Venezia. Tecniche e istituzioni dal medioevo
all'età moderna, Milano 1984, pp. 54-58.
16
B.M.V, Cod. Marc. Lat. 59 (coll. 4152); Antonii Beccatelli Siculi cognomento Panhormitae
Epistolarum Gallicarum libri quatuor; accedit etiam ejusdem Epistolarum Campanarum liber;
his praemittuntur epistolae sex ex cod. mss. nunc primum in lucem erutae, Napoli 1746, pp.
366-368; Fr. Barbaro, Epistolario, a cura di C. Griggio, Firenze 1999.
17
M. Zorzi, La Libreria di San Marco. Libri, lettori, società nella Venezia dei Dogi, Milano 1987,
pp. 98-99.
18
E. Concina, Navis. L'umanesimo sul mare (1470-1740), Torino 1990, pp. 26-182.
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l'insegn amento della storia. Il condottiere non ignarus litterarum saprà studiare
e riprendere le regole dei Lacedemoni quando si tratterà di ordinare uno schiera-
mento per lo scontro frontale; se invece dovrà combattere una guerra di agguati e
di imboscate dovrà tener conto delle esperienze di Timoteo, di Ificrate e di Annibale.19
Dibattiti, discussioni di campo. Sullo sfondo, in questo stesso ambiente
dell'Alviano e dello Scipioni, sappiamo della presenza di un gruppo di capi
stradioti (Costantino Boccali, Repossi Busichio, Teodoro Manassi, Nicolò Rali,
e i Paleologi Costantino, Giovanni, Nicolò e Teodoro, oltre a numerosi altri);
ma, per ora almeno, non ci è possibile documentare una qualche loro parteci-
pazione diretta ai conversari teorici.
Tuttavia, una linea assai precisa di rapporto fra armi e lettere risultava
stabilita. E questa avrebbe raggiunto coerenza sistematica nella cerchia di
Francesco Maria della Rovere, duca di Urbino, capitano generale di Venezia
dal 1523 al 1538, del suo rappresentante permanente a Venezia Giovan Jacopo
Leonardi (che ne prolunga gli interessi oltre la metà del XVI secolo) e del figlio
del primo, Guidubaldo II della Rovere.20 Cerchia di elevatissimo tono culturale
oltre che militarmente tecnico. Entro la quale, anzi, i programmi di renovatio,
l'esperienza diretta sul campo del militar a la stratiotta e lo studio della storia e
della trattatistica militari bizantine, oltre che di quelle romane, giungeranno a
incrociarsi in termini ben documentabili.
In sintesi, Francesco Maria della Rovere, oltre che come condottiero, è
riconosciuto per tutto il secolo come il massimo promotore del rinnovamento
dell'arte della guerra: delle tattiche e delle strategie, delle gerarchie decisionali,
del controllo militare del territorio, dei principi della fortificazione urbana.
Nell'ambito della tradizione familiare (i duchi d'Urbino infin dalle fasce sono
riputati i signori di quello stato capitani, perciochè egli nascono con autorità
grande con tutta Italia scrive nel 1547 Federico Badoer),21 Francesco Maria
secondo l'opinione generale dei contemporanei è colui che senza contradizione
alcuna ottenne il principato alli giorni suoi nell'arte della guerra.22
19
V. Fausto, Orationes quinque eius amicorum cura quam fieri potuit diligenter impressae,
Venezia 1551, ff. 48v-49v.
20
Si vedano principalmente: I Della Rovere. 1508-1631, catalogo della mostra, a cura di G. G.
Scorza, Pesaro 1981; T. Scalesse, “Introduzione” a G. G. Leonardi, Il libro delle fortificazioni
dei nostri tempi, Roma 1975; E. Concina, La macchina territoriale. La progettazione della
difesa nel Cinquecento Veneto, Roma-Bari 1983, pp. 15-62.
21
Relazioni degli Ambasciatori Veneti al Senato, a cura di A. Segarizzi, vol. 2, Bari 1968 (ristampa
anastatica dell'ed. 1913), p. 180.
22
G. B. Leoni, Vita di Francesco Maria di Montefeltro della Rovere III Duca d'Urbino, Venezia
1605, p. 450. Quanto al tema di queste pagine, del resto, non va neppure trascurata la ben nota,
antica familiarità di Federico da Montefeltro con il Bessarione.
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23
B.M.V., Cod. Marc. Ital. VII 109 (coll. 7805), cc. 174v-176r: lettera a Giovan Jacopo Leonardi,
edita da ultimo in Concina, La macchina, op. cit., pp. 105-106.
24
Osservazione già di A. J. Toynbee: per la mentalità romano-orientale la guerra era un'attività
intellettuale e l'essenza dell'arte della guerra consisteva nel raggiungere gli obiettivi attraverso
un impiego massimo di acme intellettuale e un minimo di forza bruta (in A. J. Toynbee,
Costantino Porfirogenito e il suo mondo, trad. M. Stefanoni, Firenze 1987, p. 124).
25
P. Aretino, Lettere: Il primo e il secondo libro, a cura di F. Flora, Milano 1960, p. 288, lettera no
1 (13 novembre 1537).
26
Leoni, Vita, op. cit., p. 454.
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27
G. Degli Agostini, Notizie istorico-critiche intorno la vita e le opere degli scrittori viniziani, vol.
2, Venezia 1754, p. 459.
28
F. M. della Rovere, Discorsi militari, Ferrara 1583, ff. 14v-17v.
29
Quanto al Bua e all'Arianiti rimandiamo anche alle voci di H. J. Kissling e F. Babinger in
Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, rispettivamente vol. 14, 1972, pp. 747-748 e vol. 4,
1962, pp. 141-143. Per il Boccali, si veda anche E. A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, vol.
1, Venezia 1824, pp. 249-250.
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Della Rovere, Discorsi militari, op. cit., ff. 22v-24r, con alcune correzioni di convenienza rispet-
to al testo del manoscritto conservato presso la Biblioteca del Museo Correr di Venezia, Cod.
Cicogna 2862, XIX, c. 10 r-v.
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Op. cit.
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anco inviarlo a persona, cui più si convenisse, scrive l'editore, e a tutto 'l mondo
ne fa chiarissimo testimonio l'universal concorso, che ogni dì si fa a lei da gli
huomini più intendenti et più valorosi; ma si spera anco che i celebratissimi
scritti suoi in cotal materia, quando appariranno in pubblico, ne debbano dare
intiera contezza, et por silentio a tutti gli altri, che dopo voi verranno) .32 E
ulteriori notevoli sviluppi vanno sottolineati.
Si è già accennato agli stretti legami tra Francesco Maria della Rovere, il
Leonardi e l'aristocrazia vicentina, in gran parte dedita al mestiere delle armi al
servizio della Repubblica di Venezia. E altri hanno sottolineato da tempo i
rapporti fra tale ambiente e gli interessi di Andrea Palladio alla scienza milita-
re (i disegni illustrativi ai Commentari di Cesare editi nel 1574-75, gli studi e i
disegni perduti per l'interpretazione - una volta ancora - delle regole della
castrametatio a partire da Polibio).33 Frattanto, il vicentino Valerio Chiericati -
in stretto rapporto con il Palladio e direttamente seguace del Leonardi dal punto
di vista della teoria della fortificazione - come uomo d'arme è più volte
impegnato nello stato da mar: inviato da Venezia a Cipro (1560 e/o 1568),
inviato a Creta nel 1574 (dove muore nel 1576) su sollecitazione del provvedi-
tore Jacopo Foscarini per formar nuove compagnie [di fanti] per li contadi,
come aveva già fatto nel 1573 in Friuli, nel Trevigiano e nel Feltrino.34 Il princi-
pio del risvegliar l'antico Marte, l'antica disciplina militare che anch'egli riaffer-
merà nel suo trattato della Militia rimasto inedito è seguito alla lettera: si tratta
di rifarsi, reinterpretandoli, ai modelli della falange e della legione; si tratta, a
Creta, di descrivere, ordinare, armare et esercitare le genti atte alla guerra di
quell'isola, con le sue leggi et ordini militari antichi.35
Con le sue leggi et ordini militari antichi: e dunque riprendendo in conside-
32
Dedicatoria di Gabriele Giolito, che fra l’ altro si afferma “in debito” verso il Leonardi.
33
J. R. Hale, “Andrea Palladio, Polybius and Julius Caesar”, Journal of the Warburg and Courtauld
Institutes 40 (1977), 245-246.
34
Rimandiamo principalmente a L. Puppi, Andrea Palladio, Milano 1973, pp. 281-283 e alla
biografia, ancora del Puppi, del Chiericati, in Dizionario Biografico, op. cit., vol. 24, Roma
1980, pp. 693-696; ma si veda anche L. Pezzolo, “Aspetti della struttura militare veneziana in
Levante fra Cinque e Seicento”, in Venezia e la difesa del Levante. Da Lepanto a Candia, 1570-
1670, catalogo della mostra, Venezia 1986, pp. 86-96.
35
Dedicatoria di Filippo Pigafetta premessa a Documenti et avisi notabili di guerra ne' quali s'insegn a
distintamente tutta l'arte militare, non solo di formare gli esserciti et ogni apparecchiamento di
guerra, ma anco di ogni maniera di battaglia et ogni altra cognitione spettante ad informare un perfet -
to soldato et capitano, di Leone Imperatore. Ridotto dalla greca nella nostra lingua per M. Filippo
Pigafetta, con le annotationi del medesimo ne' loghi che n' hanno di mestieri, Venezia 1602. Sul
Pigafetta: A. Da Schio, “La vita e le opere di F. Pigafetta”, in F. Pigafetta, La descrizione del territo -
rio e del contado di Vicenza (1602-1603), a cura di A. Da Schio e F. Barbieri, Vicenza 1974, pp. 12-
14; G. Lucchetta, “Viaggiatori, geografi e racconti di viaggio dell'età barocca”, in Storia della cultura
veneta, Il Seicento, vol. 4/II, Vicenza 1984, pp. 201-250.
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razione l'arte militare del mondo bizantino. Che in effetti dovrà essere oggetto
di nuovo studio, partendo dai Taktikà di Leone VI (il trattato di Leone impera -
tore de gli apparecchi della guerra), la cui traduzione - al tempo che egli navigò
in Cipri, tra il 1560 e il 1568, appunto - viene affidata dal Chiericati al cugino
Filippo Pigafetta, uomo di scienza (questi pure in rapporto con Palladio per
Polibio) oltre che uomo d'arme.
Dopo la scomparsa dello stretto et amato parente, il Pigafetta rivedeva t u t t o
quel primo lavoro mio et raffrontandolo con altri testi greci, che dianzi non
hebbi. Collazionava il manoscritto di cui già in precedenza era in possesso con
altri appartenenti a Jacopo Contarini (intendente di tutte le belle cose, sia
architettura, pittura, scultura o strumenti bellici, armonici et matematici)36 ed a
Gian Vincenzo Pinelli. Si apprestava quindi ad approfondirne l'interpretazione
tenendo conto dello Strategikon attribuito a Maurizio e di Onosandros, ma
anche di autori come Giorgio Cedreno e Giovanni Zonara e degli Oracula
L e o n i s. E confrontava poi alcuni dettagli relativi ad armi e vestimenti con ciò
che hoggidì è rimasto, nel Levante, presso greci, albanesi e turchi. L'opera
sarebbe stata data alle stampe nel 1602, dedicata a Jacopo Alvise e Marc'
Antonio Corner. Dichiaratamente come riaffermazione della lunga attitudine
rinascimentale di adattare quei buonissimi ordini antichi all'ottime armi
moderne; e in aperta polemica con chi li avesse a ritenere hoggimai ranci et
invecchiati.37
36
Dedicatoria di G. Porro in V. Scamozzi, Discorsi sopra le antichità di Roma, Venezia 1582.
37
Dedicatoria di Filippo Pigafetta premessa a Documenti et avisi, op. cit.
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spettatori, possiamo chiarire che il suo impiego sulle scene è stato il primo a
cadere (salvo la scoperta futura di qualche altro testo fin qui sconosciuto);
toccherà poi alla poesia con le ultime prove del venerando Burchiella, che
mostrava di comporre ancora nel 1572, quando aveva settantasette anni,
accettando l'ipotesi del Fabbri, che sia nato intorno al 1495. Infine tocce alla
prosa extrateatrale che, in realtà, non aveva mai dato grande segno di vitalità
nella precedente letteratura greghesca, con una lunga novella - esempio
singolare, tardo e isolato - di Celio Malespini (la II 54 delle Duecento novelle
pubblicate a Venezia nel 1609), nella quale ha una larga parte un servitore
greco, che si esprime nel greghesco della tradizione soprattutto teatrale, ma
oramai tarda e sterile collazione di termini e locuzioni di accatto, non più intese
nel loro significato: Lucia Lazzerini, studiando le varie lezioni della locuzione
cach_ labernachi, risolta come κακc λαµπρή νά’ χης ‘che tu abbia la mala
pasqua’, ha dimostrato che questa espressione nel brano malespiniano si era
oramai ridotta a una “intrusione gratuita”, che nulla poteva più dire sul valore
greghesco della formula. Siamo all'ultimo atto di quella felice esperienza
letteraria.
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1. Anzitutto una preliminare ripartizione del campo, nel rapporto tra l'argo-
mento sul quale mi è stato chiesto di intervenire e il titolo che reca questo
incontro, dedicato alla dimensione europea della commedia dell'arte. Sul
secondo e generale fronte sono certamente tra coloro che parteggiano per un uso
ristretto della categoria di “commedia dell'arte”. Un uso che distingua, anzitutto,
dalla storia il mito del XIX e XX secolo - confusione che permetteva ad
Allardyce Nicoll di intendere in maniera tanto inattendibile quanto eloquente
commedia dell'arte come “commedia della bravura” - dal significato originario
dell'etichetta, o quantomeno, da quello acquisito nel suo emergere dal gergo delle
c o m p a gnie teatrali, a quanto sappiamo, verso la metà del XVIII secolo, dunque
nel suo identificare qualcosa che altre definizioni o categorie non bastavano a
definire.
Per la necessità prioritaria in campo storiografico di separare l'esperienza
reale delle compagnie professionali italiane dal mito retrospettivo di un teatro
delle maschere, dell'improvvisazione, del primato corporale e acrobatico, basti
rinviare al testo fondamentale di Ferdinando Taviani, Il segreto della Commedia
dell'arte. La memoria delle compagnie italiane del XVI, XVIII e XVIII secolo
(Firenze 1982: con ricca antologia di letteratura storica e critica a cura di Mirella
Schino). Altre ricerche, negli ultimi decenni, hanno cominciato a tracciare una
storia dell'esperienza delle compagnie professionali italiane tra la fine del XVI e
del XVIII secolo, fuori da un raggio semplicemente erudito, nell'ambito più
vasto della storia del teatro a statuto commerciale europeo (su questo fronte
ricorderò il libro, assai rilevante, di Siro Ferrone, Attori mercanti corsari. La
commedia dell'arte in Europa tra Cinque e Seicento, Torino 1993).
Per quel che riguarda, molto più modestamente, i miei interessi di studio in
questo settore, mi sono occupato circa un decennio fa soprattutto della questio-
ne del significato originale dell'etichetta, tra Goldoni, Baretti e Gozzi, che identi-
fica nel linguaggio di mezzo Settecento non una categoria e nemmeno una
tradizione, ma a delle pièces particolarmente diffuse, come Il Convitato di pietra
o Pantalone mercante fallito. Nel suo apparire sempre al plurale - le commedie
dell'arte o anche, per sciogliere ogni dubbio, parallelamente le commedie del
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L'opposizione più ampia - e che davvero appare tra i tratti essenziali della
storia del teatro italiano - è quella tra monolinguismo e plurilinguismo, e che
riguarda anche, più generalmente, la difficoltà dell'impiego dell'italiano come
lingua del teatro e la plurima ricchezza delle letterature dialettali in rapporto alla
scena. La caratterizzazione in un ampio ventaglio di lingue distingue la tradizio-
ne italiana da altre tradizioni, anche e in particolare nel plurilinguismo riferito
all'assortimento delle parti fisse che caratterizza la “commedia dell'arte”. Come
la scelta monolinguismo/plurilinguismo (ovvero: caratterizzazione linguistica
non imitativa o imitativa dei personaggi) s'imponga agli snodi essenziali della
storia teatrale italiana - e grossomodo, potremmo dire, specialmente prima e
dopo la commedia dell'arte - vorrei mostrare riprendendo qui un'esemplificazio-
ne, di cui mi sono già servito in altra occasione, che coinvolge due scritture di
carattere apologetico: due testi composti a Venezia a difesa dai pregiudizi del
pubblico, di fronte a un medesimo problema, visto però da due prospettive
diverse, rese opposte dalla tradizione intercorsa, a distanza di due secoli.
All'autore del secondo testo - Carlo Goldoni - il primo non era senz'altro noto,
e il fatto di ripassare per le medesime argomentazioni, invertendole completa-
mente di segno, può essere un indice per cercare di comprendere quanto accadu-
to tra l'una e l'altra testimonianza. Nel 1546, dovendo presentare al pubblico
veneziano Il Travaglia, Andrea Calmo ricorre alla penna di un'illustre difensore,
il teologo domenicano Sisto Medici. La difesa considera, dunque, anzitutto le
regioni degli avversari del plurilinguismo, presentandole come legittime:
So che li vostri generosi spiriti amano le comedie di subbietti arguti e
giocondi, ma però di casi facili da intender con parole cotidianamente
u s a t e, dove le persone da diverse patrie parlino nel nostro idioma in
modo che noi rallegriamo i spirti e faciamo solletico e gatuzole alle
orecchie del cuore.
Si tratta di una sintetica descrizione del principio monolinguistico, secondo
cui la lingua resta sempre quella del pubblico quale sia lo statuto linguistico dei
personaggi che agiscono in scena. Ma a questa convenzione viene subito opposto
un principio di inverosimiglianza, che riguarda non tanto le azioni uniformabili
nel segno convenzionale della lingua di chi ascolta - una commedia tutta di greci
o inglesi o francesi e che, quindi, parleranno uniformente in italiano - ma,
diciamo così, il differenziale linguistico che alcuni personaggi pongono rispetto
alla loro immediata estrazione dalla quotidianità, al luogo del contatto e dello
scambio, e quindi della confusione e della mescolanza, delle lingue. Il luogo dove
lo “straniero” deve esprimersi attraverso una lingua che non gli appartiene e che
spesso non domina:
Vorrebono costoro [i detrattori del plurilinguismo] che un greco o dalmati -
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no, parlando in italiano, favellasse con gli accenti e i modi toscani, il che
non è men fori dell'ordinario che se un bergamasco avesse a parlar in
fiorentino o un fiorentino in bergamasco.
È qui evidente che la scelta del plurilinguismo - anche appoggiandosi alla
reale esperienza della lingua franca - si pone pur sempre all'interno del nostro
idioma: qui lo scarto dalla semplice “simulazione”, che si accontenta di un effetto
coloristico e non consente la modulazione e lo scambio dialogico. Di conseguen-
za, la scelta di una risorsa più ampia non può che avvenire nella mescolanza
delle altre lingue con l'italiano.
I due modelli di “messa a fuoco” dello statuto linguistico della commedia che
qui Medici brevemente e acutamente descrive - monolinguismo azzerato sull'ita-
liano d'uso e plurilinguismo come espressione di differenze dentro il registro
italiano - dovrebbero essere reciprocamente alternativi, ma in realtà, osservando
il campione reale della drammaturgia del Calmo qui coinvolto, non lo sono.
D'altra parte è evidente, a un'analisi più attenta, che solo uno statuto monolin-
guistico assoluto abolisce le differenze, mentre l'apertura del plurilinguismo non
può disdegnare non solo l'apertura del ventaglio alle lingue della realtà - che,
evidentemente, il teatro manipola sempre scenicamente - ma della stessa lingua
“artificiale”. E Calmo e compagni - che sembrano partire da un plurilinguismo
organico, dove ruoli e lingue rispondono all'estrazione dalla realtà (bullo di
quartiere che parla in gergo, stradioto che parla in greco, facchino che si esprime
in bergamasco, contadino che parla in pavano, e così via) - imbocca in seguito la
strada che non gli nega alcuna possibilità, tra babele della piazza veneziana
reale e lingua letteraria. Se La spagnolas è una commedia dove tutti i personag-
gi parlano una lingua diversa - greghesco, todesco, bergamasco, pavano,
veneziano eccetera -, opere di data successiva come la Rodiana e il Travaglia
mescolano personaggi che parlano il toscano letterario (pur essendo di bassa
estrazione sociale, come per esempio i servi) ad altri caratterizzati dalla differen-
ziazione dei registri connotativi. Ciò non perché Calmo non si renda conto della
differenza dei piani, ma anzi, al contrario, perché le sue opere più complesse
sono definite non solo dal comico delle lingue in contatto ma dei modelli in
contatto, facendo reagire, e talora esplodere comicamente, le convenzioni della
commedia d'impianto letterario nell'orizzonte del genere che le riceve.
In fondo, si potrebbe osservare, l'alternanza in compresenza della scelta del
monolinguismo e del plurilinguismo, o meglio della caratterizzazione sociolin-
guistica e geolinguista, si mostra già operativa nei generi narrativi. Ci sono, per
esempio, alcune novelle del Decameron - tra l'altro, immenso serbatoio di
personaggi e trame per la commedia cinquecentesca - dove alcune piccole colori-
ture dialettali sono espressive di ambientazioni precise e “realistiche” (per
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P PIERMARIO VESCOV
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5. Tra i due esempi che abbiamo messo in campo - o meglio oltre un sistema
di libera pratica del plurilinguismo in una pretesa organica di corrispondenza
di lingue e di caratteri e al di qua di un rigido statuto di azzeramento della
lingua sul carattere - si snoda, dal punto di vista della composizione linguistica,
la compresenza di sistemi - ancorché ripartiti - che caratterizza l'esperienza
del teatro italiano di tradizione attoriale, tra la seconda metà del XVI e la fine
del XVIII secolo. In questa eredità linguistica e nella possibilità di fare proprie
altre lingue di comunicazione “veicolare” con altri pubblici - si pensi al rappor-
tarsi al francese nella secolare esperienza della Comédie italienne come
lingua-base o seconda lingua della comunicazione col pubblico - sta indubita-
bilmente uno dei nessi essenziali, per tornare al nostro titolo, che caratterizza-
no la dimensione europea della commedia dell'arte.
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Platon Mavromoustakos
I have to say right from the beginning that, as it often happens in a conference
orientated towards historical approaches or literary tradition, my paper is si-
tuated in the margins of the subject of this meeting organized by professor
Chryssa Maltezou and the Acrinet with this wonderful hosting of the Greek In-
stitute of Venice. It is situated in the margins for an additional reason: my pa-
per refers to acting and performance history rather than textual analysis and
furthermore it has to do with recent, contemporary, developments of theatre
practices instead of presenting events having happened long centuries ago.
I shall also say as an introductory note that tracing influences of theatre
practices from one country's theatre traditions to another country's theatre ac-
tivities is rather an uneasy task since we have a huge lack of evidence. As you
know national archives give rather an insignificant space for theatrical docu-
ments, and the amount of narrative sources on theatre practice is quite rare in
most of the cases, and even if existing, the information given, if it is not du-
bious, it is not as much detailed as we would desire. This is much more evident
if we refer to Greek theatre, due to obvious historical reasons.
Still we have some rare references that make us believe that there might be
some important moments of encounters between Commedia dell'Arte actors
and practices within the Greek world mainly in the Ionian Islands to be added
to the influences retraced in the Cretan texts.1 Apart the much advertised tour
of Antonio Molin in Corfu and Crete during the 16th century and the perfor-
mance of La Fanciulla in 1583,2 there are two more intriguing mentions of the
1
For a complete approach on the problems of theatre historiography in Greece and detailed
bibliographical evidence see W. Puchner, “Μεθ ο δ ολογ ικ οί πρ οβλη µ ατισ µ οί και ιστ ο ρ ικ ές
π ηγές για το ελληνικό θέ ατρο του 18ου και 19ου αιώνα. Προοπτικ ές και διαστά σ ει ς ,
περ ιπ τ ώ σ ει ς ", P a r a b a s i s 1 (1995), 11-112.
2
See N. Panayotakis, “^O Antonio Molino στcν Κέρκυρα, στcν Κρήτη καd στc Βενετ ί α” ,
Ariadni 5 (1989), 261-278, and idem, “Le prime rappresentazioni teatrali nella Grecia Moder-
na: Antonio Molino a Corfù e a Creta”, Thesaurismata 22 (1992), 245-360. See also St. Kakla-
manis, “^H χρονολόγηση τοÜ Κατσούρµπου”, in ‰Eρευνες γιa τe πρόσωπο καd τcν âποχc τοÜ
Γεωργίου Χορτάτση, Iraclion 1993, pp. 35-37.
41 A
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3
P. L. Duchartre, The Italian Comedy, New York 1966, p. 77.
4
J. Casanova de Seingalt, Mémoires. Histoire de ma vie, Paris 1993, chapter XIV, pp. 176-238.
5
On the matter see P. Mavromoustakos, “Το ιταλικό µελόδραµα στο θέατρο Σαν Τζιάκοµο της
Κέρκυρας (1733-1798)”, Parabasis 1 (1995), 147-191.
6
Je vis avec plaisir un Venitien que je connaisais et qui jouait Pantalon, trois actrices qui pouvaient
plaire, un Polichinelle, un Scaramouche, et le tout me parut assez passable (in Casanova,
Mémoires, op. cit., pp. 224-227).
7
On the matter see Puchner, “Μεθοδολογικοί προβληµατισµοί”, op. cit., 80; Mavromoustakos,
“Το ιταλικό µελόδραµα”, op. cit., 161.
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idea on Greek theatre practice history would not change. The Commedia del-
l'Arte never penetrated in a significant way Greek theatre practices but we can
only retrace some echoes of the characters in several of the Greek texts.
We have to wait until almost the end of the 20th century to find, in a
strange way, concrete interest for Commedia dell'Arte. It is quite funny to see
that this interest for Commedia dell'Arte is due to the revival of the interest
of Greek theatre practitioners for Carlo Goldoni, the writer to whom Euro-
pean history is indebted the great reform of the Commedia dell'Arte and the
final transformation of the genre.
The influence of Goldoni in Greek theatre is much more important dating from
the 18th century due mainly to translations of his plays and some quite early
performances of his opera librettos in the island of Corfu.8 Performing Goldoni in
the 19th century is relatively frequent9 and the same goes for the first years of the
20th century. But really frequent presentation of Carlo Goldoni's works by Greek
scenes is obvious within the last 35 years of the 20th century and this fact is
clearly illustrative of the Venetian author's growing popularity. It must be noted
that this recent trend in the repertoire choices of Greek theatrical companies is
the end product of a long-term speculation that can be detected in the European
scene from the start of the previous century. At the same time, we must also state
that the scenical approach in the Goldonian plays was determined from the ini-
tial questioning that characterized the first performances in our century. Further-
more we could say that this new approach of Goldoni's collective works was es-
sentially determined by two different approaches, opposing at most, but also one-
sided (partial). On the one side we are in a position to detect a naturalistic ap-
proach (without doubt C. Stanislawski and the performance of Locandiera by the
Art Theatre of Moscow introduced this trend into the European scene); on the
other hand we can recognize an approach that is based on the image that the
20th century formed for the stylisation of the Commedia dell'Arte acting (the
emergence of which can be largely attributed to the director Max Reinhard and
the performance of Il servitore di due padroni in 1923). These two different ap-
proaches would come to determine Goldoni's treatment until recent times.10
8
See Mavromoustakos, “Το ιταλικό µελόδραµα”, op. cit., 165.
9
On Goldoni and his inf luence during the 19th century see D. Spathis, Ο διαφωτισµός και το
νε ο ελληνικό θέατρο, Thessalonica 1986, more specifically his paper “Gheorgios N. Sutsos
traduce/riadatta Guarini, Metastasio, Goldoni” delivered at the conference Testi letterari italiani
tradotti in greco (dal '500 ad oggi), ed. M. Vitti, Messina 1994, pp. 163-172 and Anna Tabaki, Η
νε ο ελληνική δραµατ ο υ ργία και οι δυτ ικές της επιδράσεις (18ος-19ος αι.). Μια συγκριτική
προσέγγιση, Athens 1993.
10
A clear and complete evaluation of tendencies in modern direction is provided by B. Dort in
“Pourquoi Goldoni ajourd'hui”, Théâtre Réel, Essais Critiques 1967-1970, Paris 1971, pp.78-91.
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11
Strehler's direction is often defined by the director's tendency of repeating the same plays, gradual-
ly altering the way in which he views the play. Without doubt, the most quite evident example of
the above is the frequent staging of the Servant of Two Masters, a play that has invariably determi-
ned both the career course and the reputation of Strehler himself. This particular play was first put
up on stage by Strehler in 1947. It stayed on stage over the course of the following two years
(1948-49). In 1952, a new version was introduced, which remained on the repertoire of the Piccolo
Teatro until 1956. A third version was introduced in 1963 which was performed up to 1968, with
a fourth version following in 1973; in 1977 a fifth version was presented which has remained in
production up to the present date. (All information with regard to Strehler's performances is
derived from the magazine of the Piccolo Teatro di Milano). For a more detailed approach see also:
Catherine Douël Dell'Agnola, “Cinq versions d' 'Arlequin'. Evolution de la scénographie”, in
Strehler, Paris 1989 [Les Voies de la création théâtrale 16], pp. 141-153.
12
This quote is derived from the prologue of the first collection of his comedies; Mario Barrato
was the first to point out its great importance for the further understanding of Goldoni's works.
An extract of Barrato's study (in Greek) has been published in the theatre magazine Theatrica
Tetradia 16, under the title “Ο µαθητευόµενος της πραγµατικότητας”,13-15.
13
See B. Dort, “Στρέλερ και Γκολντόνι”, Theatrica Tetradia 16, 17; idem, “Goldoni le bourgeois
contre Gozzi l'aristocrate”, Le Monde Dimanche, 20 February 1983, which deals with more
recent performances of Goldoni in France.
14
In Le Monde Dimanche, 20 February 1983.
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Strehler's directions sparked off renewed interest for the relation of Goldoni's
work and the Commedia dell'Arte in Greek theatre practice.
With respect to Goldoni's recent performance list, we must note that for some
time, his plays were absent from the Greek scene of the immediate post-war era.15
Being much more approached in an academic way it is almost normal that his
texts where more or less neglected by innovating theatre groups. We must also
postulate that a new interest in his plays has been brought due to certain
important performances in the last few decades.
The first performance to re-kindle interest for Goldoni was that of the Servitore
di due padroni (translation by Gerasimos Spatalas) - directed by Giorgos Lazanis
at the Veaki Theatre, the stage belonging to the famous Karolos Koun Art Theatre.16
After 1976, Goldoni starts to appear more frequently in Greek scenes - while
in the twenty years ever since that first staging other important significant
performances further renewed interest for this particular writer.17
Goldoni's works would continue to be presented not only by Athenian scenes
- but would also invariably constitute the basic core of the annual programme
of municipal theatres - from the mid-1980's onwards, Goldoni would become
frequently seen in Greek performance lists.18
15
Quite indicative of the limited interest registered by modern Greek theatre practitioners is the
repertoire of the National Theatre of Greece. From a first list of performances of Goldoni's works by
the National Theatre, it is rather evident that, despite the fact that his plays have always figured
prominently in the repertoire of some of the major theatrical companies, nevertheless, within a
wider perspective, Goldoni has had a relatively small presence. The National Theatre first perfor-
med a play of Goldoni in 1933, La locandiera directed by Photos Politis, its first director. Between
1933 and up to 2003 the Goldonian performances of the National Theatre have been the following:
Servitore di due padroni (Υπ η ρ έτης δύο κυρίων) directed by Dimitris Rondiris in 1937, Il ventaglio
(Η βεντά λ ι α ) directed by Takis Mouzenidis in 1941, again La locandiera directed by Costis
Michaelidis in 1950, Il burbero di buon cuore (O κα λόκαρδος γρινιάρης), and La bottega del caffè
(Το κα φ ε νείο) directed by Socrates Karantinos in 1951 and 1968 consecutively. Since that year
only L'impresario delle Smirne (Ο ιµπρεσ ά ρ ι ος της Σµύρνης) directed by Giorgos Remoundos was
played in 1993. (Information for these performances is provided by the chronological catalogue of
performances in the volume 60 Χρόνια Εθνικό Θέατρο 1932-1992, Athens 1992, pp. 207-220 and
the more recent catalogue compiled by Giorgina Kakoudaki annexed in 100 Χρόνια Εθνικ ό
Θέατρ ο, [Athens] 2000 and the annual survey Epilogos for the years 2001-2003).
16
Premiered in October 29, 1976 with sets and costumes of Damianos Zarifis included in the casting
several of the most important actors of the group such as Reni Pittaki (Beatrice), Giorgos Armenis
(Troufaldino), Vassilis Papavassileiou (Dottore), Andonis Theodorakopoulos (Florindo) et.al.
17
Among the performances of recent years it is worth singling out that of Le baruffe chiozzote
(Καυ γά δ ες στην Κιότζα) directed by Spyros A. Evangelatos at the National Theatre of Northern
Greece in 1980 and I rusteghi (Οι αγροίκοι) directed by Lefteris Voyatzis in 1983.
18
In the period between 1984-1986, the Municipal Regional Theatres (created in 1982 in several Greek
t o wns) frequently perform Goldoni's plays, as well as new companies created by actors and directors
belonging. Every Municipal and Regional Theatre in Greece has performed at least one play of
Goldoni. As for example of this practice we could mention the director Vassilis Papavassileiou who
has directed La bottega del caffè (Το καφενείο) in the Municipal Regional Theatre of Larissa in 1984
and La casa nova (Το καινούργιο σπίτι) in the theatre group he created in 1985.
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Fig. 1 and 2: Two characteristic moments of the Arlechino servitore di due padroni directed
by Giorgio Strehler. In the five versions of the performance the main role was played
by the actors Marcello Moretti (from 1947 to 1961) and Ferruccio Soleri
(from 1963 to 1977).
(Photographs published in the programme of the performance)
Fig. 3, 4 and 5: Arlechino servitore di due padroni at the Karolos Koun Art Theatre directed
by Giorgos Lazanis. The actor Giorgos Armenis in the main role.
(Karolos Koun Art Theatre Archive - Photo by D. Argyropoulos)
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Fig. 6: La Moscheta at the Karolos Koun Art Theatre directed by Giorgos Lazanis.
Fig. 7: I due gemelli veneziani at the Karolos Koun Art Theatre directed
by Mimis Kouyoumtzis.
(Karolos Koun Art Theatre Archive - Photo by D. Argyropoulos)
Although the works of Goldoni that we are aware of are only but a small
fraction of his prolific play-writing production, his impressive volume of
works, we must state that nowadays the Greek scene tends to run side by side
with that of the rest of Europe, at least with respect to the choice of plays
that are produced; at the same time, we must admit that acting by itself often
presents significant solutions for the further investigation of the relationship
of Goldoni's works to the previously existent Commedia dell'Arte. Within
this line of reasoning, one can add the effort to display the lesser known texts
by Goldoni, which are based on the forms of the Commedia dell'Arte and that
not only do they deviate from the established form of the self-improvising
scenario of the commedia's canovacci, but also attempt to introduce elements
of a more rational approach to theatre by following the great model that the
work Servitore di due padroni presented for both the writer and for the European
stage of the 20th century in general. Probably to this fact is also due a sudden
interest also for the play of Ruzzante La Moscheta that has been performed
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19
Two interesting performances have been produced. The first one in 1977, almost immediately
after the success of Arlechino, by the Karolos Koun Art Theatre and the second in 1982 directed
by Spyros Vrachoritis with his group in Volos.
20
Premiered in February 10, 1994 directed by Mimis Kouyoumtzis, one of the successors of
Karolos Koun in the direction of the Art Theatre with sets and costumes of Lili Pezanou, music
by Philippos Tsalachouris, the performance included in the casting several of the most important
actors of the group young generation.
21
The Venetian Twins are included in Bettinelli's first edition of Goldoni's comedies (1750) and in
that of Paperini in 1755; it is not included in Pasquali's edition (1751) which was published
while Goldoni was still alive. After its great success in Venice, this play was later performed in
Vienna (1751) where it was soon after published in translation (1752 and 1756). The above
information is derived from Anna Fonte's entry note that accompanies the publication of
Goldoni's works by the Bibliothéque de la Pleiade (pp. 1486-1487).
22
C. Goldoni, Mémoires de m. Goldoni pour servir à l'histoire de sa vie et a celle de son théâtre,
Paris 1992, p. 243.
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Goldoni thought that this marvellous actor could perform without wearing
a mask and still triumph on stage. For this reason, he wrote a comedy that was
only performed for one night, as it did not go down well with the audience.
To regain his confidence, the actor himself chose to perform in a comedy
while wearing a mask. This took place in the next performance, of the play
L'uomo prudente. However, Goldoni was still not willing to refrain from any
further attempts to establish the actor in parts that did not demand his face to
be uncovered. The theatrical company then introduced I due gemelli veneziani
that Goldoni had written for the same Pantalone in the summer of 1747 when
the Mendebach Company was still in Pisa. This play, first performed in Venice
in the autumn of 1748 and with 23 consecutive performances in the following
two years, proved to be a sterling success.
Goldoni's request found its definite expression in the comedy The Venetian
T w i n s. The use of the motive of twins was very popular to the scenario writers
of the Commedia dell'Arte. Disguised faces that by the end of the play prove to
be brothers and sisters, lost children in shipwrecks are discovered after many
episodes full of misunderstandings which are based on the fact that the audience
is aware that each part is un-familiar with the other one during the course of
the misunderstanding, which is the most tried and trusted method in European
comedy.
We see it in the works of both Shakespeare and Regnard as well as many
other writers after Goldoni; without doubt its original inception belongs to
Plautus. The scenic presentation of two, sometimes four or even six identical
faces, with the misunderstandings that the simultaneous presence of so many
identical faces is capable of bringing about, gave theatrical action a inexorable
new find.23 Goldoni, just like Regnard did (in his own version of the Menaichmoi)
revives the old theme by bringing in contrast the natural likeness with the
tremendous difference in characters by juxtaposing the "happy, smart, pleasant"
character of one part to the "uncouth and dismal" character of the other. Cesare
Darbes, who lead both roles, would get a triumphal reception by the audience.
Aside from the potential that the likeness motive can offer to the development
23
It is possible to single out many scenarios for improvisation by actors of the Commedia
dell'Arte that not only reproduce the motive of similarity but also reproduce the essence of
Goldoni's work itself. It must be noted that the works that belong to the era before the I due
gemelli veneziani have served as the obvious pre-cursor to this play and have influenced the
writer to a much greater extent than any of the plays belonging to his contemporaries. For
example, from the scenarios of the Flaminio Scala, which was published for the first time in
1611, two such works can be distinguished: The Old Twins and The Twin Captains. See
Scenarios of the Commedia dell'Arte. Flaminio Scala's Il Teatro delle Favole Rappresentative,
transl. by H. F. Salerno, New York 1992.
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of a plot full of surprises, it can also present itself as a classic trick for self-
improvisation from actors of the Commedia dell'Arte that were used to playing
all parts wearing a mask and by following certain ploys that were easily
recognisable to the audience. In The Venetian Twins Goldoni took away these
tricks and determined a new use for each role, which although known previously,
are nevertheless presented through a new point of view that tends to subvert
any preconceived theatrical image that might be developed by contemporary
audiences. The request for the renewal of theatrical script is satisfied with
Goldoni's work; however this leads to the emergence of a new request which is
up to theatrical practice to satisfy.
We can assume that this request makes us return to the initial conflict: the
conflict between the free improvised acting of the Commedia dell'Arte and the
more reserved and self esteemed acting that characterises "serious" comedy.
For theatre practitioners today the balance leans towards improvisation and
t h e r efore we can assume that popular motives and acting traditions of
Commedia dell'Arte become a reason for the renewal of modern approaches to
comedy. Our contemporary idea of what the Commedia dell'Arte techniques
have been affects the work of the directors. Still a new question arises: are we
repeating a conflict between popular theatre forms and "serious" theatre more
than three centuries after the conflict of Goldoni and Gozzi? And if so where
are we referring to: the World or the Theatre? Still Commedia dell'Arte
remains the form that obliges us to remodel our vision towards theatre.
A 50
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* Il presente contributo è stato all'origine di una più ampia indagine, che ha condotto alla realiz-
zazione dell'edizione critica della Dalmatina, nell'ambito dell'Edizione Nazionale delle Opere di
Carlo Goldoni (Venezia, Marsilio). D'ora in poi tutte le citazioni di questa tragicommedia - di
assoluta centralità nel disegno critico qui delineato - si intenderanno tratte da tale edizione,
indicata sinteticamente come Dalmatina, EN.
1
Salvo diversa avvertenza, le citazioni goldoniane si intendono tratte da C. Goldoni, Tutte le
o p e r e, a cura di G. Ortolani, 14 voll., Milano 1935-1956: al titolo dell'opera farà immediata-
mente seguito l'indicazione del volume e di pagina; nel caso di citazione dal corrispettivo maior
di questa edizione (40 voll., Venezia 1907-1960), le indicazioni saranno precedute dalla sigla
MV. Per quanto riguarda le citazioni a testo, esse sono desunte, rispettivamente, da La birba (X
1228) e da La dalmatina (EN, I.3.61-62).
2
Sull'oggettivo rilievo dell'engagement profuso dal commediografo veneziano nella discussione
spettacolare di tematiche di emergente interesse politico, cfr. il fondamentale contributo di G.
Cozzi, “Note su Carlo Goldoni, la società veneziana e il suo diritto”, Atti dell'Istituto Veneto di
Scienze, Lettere ed Arti 137 (1978-1979), 141-157 (ora in idem, La società veneta e il suo
diritto. Saggi su questioni matrimoniali, giustizia penale, politica del diritto, sopravvivenza del
diritto veneto nell'Ottocento, Venezia 2000, pp. 3-17). Nell'ambito dell'Edizione Nazionale delle
Opere di Carlo Goldoni, hanno sinora messo a frutto e sviluppato tale prospettiva interpretativa
le edizioni critiche de L'uomo prudente (a cura di P. Vescovo, Venezia 1995), de Il padre di
famiglia e de La buona madre (entrambe a cura di Anna Scannapieco, Venezia 20022 e 2001).
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1. Il «mercanta de castradina»
L a prima tessera documentaria ci riporta alla - per così dire - preistoria del
teatro goldoniano: si tratta de La birba, intermezzo per musica rappresentato al
Teatro San Samuele di Venezia nel carnevale 1734-1735. Come ebbe a raccontare
l'autore stesso - ben quarant'anni dopo, nella prefazione al tredicesimo tomo dell'
edizione Pasquali3 - il motivo ispiratore del vivacissimo intermezzo sarebbe
derivato dall'attenta e divertita osservazione di una delle più caratteristiche scene
cittadine: Trattenendomi di quando in quando nella piazza San Marco, in quella
parte che dicesi la Piazzetta, e veggendo ed attentamente osservando quella
p r o d igiosa quantità di vagabondi, che cantando, suonando o elemosinando,
vivono del soave mestier della birba, mi venne in mente di trar da coloro il sogget -
to di un intermezzo giocoso; e mi riuscì a maraviglia.4 Riattivando in realtà una
delle più antiche tradizioni spettacolari “spontanee” che la storia veneziana
3
Il tomo in questione venne pubblicato nel 1775. Per la ridefinizione cronologica dell'edizione
Pasquali, i frontespizi dei cui volumi recano tutti la stessa data convenzionale del 1761, cfr.
Anna Scannapieco, “Scrittoio, scena, torchio: per una mappa della produzione goldoniana”,
Problemi di critica goldoniana 7 (2000), 214-217.
4
I 720. Cfr. anche Mémoires I, capp. XXXV-XXXVI: j'avois calqué la petite piece sur les batteleurs
de la place Saint-Marc, dont j'avois bien étudié le langage, les ridicules, les charges et les tours
d'adresse. Les traits comiques que j'employois dans les intermedes étoient comme de la graine que
je semois dans mon champ pour y recueillir un jour des fruits mûrs et agréables. […] La Birba fit le
plus grand plaisir (I 162 e 164).
5
A Venezia, vivacissima città cosmopolita, d'afflusso internazionale, convenivano numerosi i
cantastorie, che a Rialto o in piazza San Marco intrattenevano per pochi soldi popolani e gentiluo -
mini. […] Di questo affollato concorso di gente d'ogni provenienza nazionale e sociale abbiamo
dovizia d'informazioni letterarie e iconografiche. Ci sono alcune eloquenti pagine di straordinaria
freschezza, che Tommaso Garzoni dedica all'attività di cerretani e cantimbanchi resoconto nel
migliore stile giornalistico su quante ciurmerie, industrie, inganni, spettacoli e “prove ridicolose” si
svolgevano quotidianamente a Venezia e sulle figure più rappresentative di quante scenette
all'aperto, senza copione e senza canovaccio, si recitavano a San Marco […]. A pubblico interna -
zionale lingue eterogenee […]. È naturale che ad un siffatto pubblico, predisposto ad ascoltare e
anche ad apprezzare le imitazioni linguistiche per quel che di sadico è nascosto in ogni parodia del
comportamento alieno, si rivolgessero i cantimbanchi (M. Cortelazzo, “Esperienze ed esperimenti
plurilinguistici”, in idem, Venezia, il Levante e il mare, Pisa 1989, pp. 34-35).
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6
Possiamo fondatamente ritenere che i cantimbanca del XVI secolo usassero spesso trarre dal loro
repertorio la figura dello slavo, che divideva col tedesco, il greco, il bergamasco e il contadino
pavano, il favore, se così si può dire, della folla degli ascoltanti, molto divertiti, evidentemente,
delle parodie di atteggiamenti e di parlate di gruppi “estranei” non ancora assorbiti, per costumi e
lingua, nella comunità veneziana e, quindi, facilmente derisi come out-group; con l'avvertenza che
la “letteratura schiavonesca” - quel complesso, a dire il vero piuttosto modesto, di poesie e poemet -
ti popolari con riflessi nel teatro, scritti a Venezia nel corso del Cinquecento, ma attribuibili alla
prima metà del secolo, con la manifesta intenzione di rendere, a scopo “ridicoloso”, l'imperfetta
parlata veneziana degli Slavi (Schiavoni), che confluivano numerosi nella città dei Dogi per
ragioni di occupazione, di commercio e di milizia (op. cit., p. 46) - vede la sua fortuna legata alla
personalità dell'autore-attore che ne fu massimo promotore (Zuan Polo), e che tende pertanto ad
esaurirsi nel corso dello stesso secolo che ne aveva visto la fioritura (op. cit., pp. 50-51).
7
Si potrebbe considerare una varietà in minore di quella “commedia delle lingue sulla scena
veneziana” illustrato in questo stesso volume dal contributo di Piermario Vescovo, ferme restan-
do le fondamentali distinzioni operate dallo studioso tra “plurilinguismo di modulazione” e
“plurilinguismo simulativo”, tra “comico di interferenza” e “comico impressivo-coloristico”:
distinzioni a cui pertanto senz'altro rinviamo, come a categorie d'analisi atte a interpretare anche
il fenomeno richiamato in questa sede.
8
Nella ricerca di elementi caratterizzanti il modo di parlare veneto da parte dei Dalmati del litorale (dei
Ragusei, solitamente), ricorrono, sì, all'immissione nel discorso cantato sulle piazze o recitato sulla
scena di alcune parole croate (poche e le più diffuse, certamente, e note comunemente anche a Venezia)
inserite in movenze morfosintattiche ritenute tipiche e, comunque, immediatamente riferibili per
allusione ad un insieme etnico-linguistico ben preciso, ma l'ordito e la trama del tessuto parlato
restavano nettamente veneziani e le chiazze spurie potevano fare spicco proprio perché in episodica
opposizione all'uniformità idiomatica generale (M. Cortelazzo, “Contributo della letteratura schiavo-
nesca alla conoscenza del lessico veneziano”, in idem, Venezia, il Levante e il mare, op. cit., p. 173).
Una descrizione sistematica delle caratteristiche di tale linguaggio è in idem, “Il linguaggio schiavone-
sco nel Cinquecento veneziano”, Venezia, il levante e il mare, op. cit., pp. 125-165, in part. pp. 132-164).
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9
Per la citazione del relativo passo, cfr. infra, n. 31.
10
Niente a che fare con la parlata del levantino Isidoro - per l'esattezza, Caicchia Isidura - il
personaggio delle Donne de casa soa a cui si fa solitamente riferimento per documentare presunte
tracce di schiavonesco in Goldoni, a partire da una segnalazione di Isidoro Del Lungo (Florentia.
Uomini e cose del Quattrocento, Firenze 1897, p. 356). Cfr. ad esempio M. Zorič, Italia e Slavia.
Contributi sulle relazioni letterarie italo-jugoslave dall'Ariosto al D'Annunzio, Padova 1989, p. 91,
che ne parla come di un'annotazione realistica e scherzosa sugli effetti dei contatti linguistici ed
etnici nella Venezia cosmopolita del '700 e può essere riallacciato alla veneta “letteratura schiavo -
nesca” del primo '500. In realtà la parlata di Isidoro - come agevolmente rilevabile dall'analisi delle
sue relative occorrenze (cfr. Le donne de casa soa, I.9-10, II.11-12, IV.4-6, V.1-2 e 4-ultima in V
1210-1212, 1225-1227, 1247-1252, 1256-1261, 1262-1268) - è genericamente levantina (e non
a caso il personaggio stesso si dichiara di Corfù: cfr. V 1211), anche se dall'“etnocentrico” punto di
vista dei suoi interlocutori veneziani la percezione complessiva del personaggio sfuma frequente-
mente i propri contorni in una confusa identità greco-dalmata (cfr. V 1205: El barba che v'ho dito
veste alla levantina, / Che el par uno de quei che vende castradina; e V 1244: El sarà levantin, o pur
qualche schiaon, / De quei: Tasé vu can, e parla ti patron).
11
La parlata di Cechina-Stiepo Bruich è infatti sfuggita sia allo zelante scrutinamento degli italiani-
sti di area slava sia all'acutezza d'analisi e d'interpretazione di un Gianfranco Folena: nessun riferi-
mento a inserti schiavoneschi è infatti rintracciabile nella puntuale disamina del plurilinguismo del
Goldoni librettista comico realizzata dallo studioso (cfr., in formulazione sintetica, G. Folena,
“Goldoni librettista comico”, in idem, L'italiano in Europa. Esperienze linguistiche del Settecento,
Torino 1983, p. 323, n. 18: Il Calepinus septem linguarum del Goldoni librettista comico compren -
de, con l'italiano (“tosco” o “romano” o “lombardo”) e il veneziano (e gli inserti di bolognese e
napoletano come idioletti di maschere o di canterine), il francese, il tedesco e l'inglese (che di solito
fanno tutt'uno), la lingua franca levantina (con specificazioni turchesche o grechesche), il latino dei
medici […], dei notari […], dei pedanti […], con punte maccheroniche; per il mancato rilievo dello
schiavonesco nella Birba, cfr. anche i n f r a, n. 12); solo un cenno, relegato a margine e lasciato
criticamente inerte, nello studio in cui un'allieva di Folena, Nica Berlanda, è venuta sviluppando
l'analisi del linguaggio degli intermezzi (Nica Berlanda, “Il linguaggio del Goldoni dagli intermezzi
al 'Campiello' ”, Atti del il’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti 118 (1959-60), 270 n.).
12
Si riconsideri il modo in cui Goldoni presenterà la genesi della B i r b a tanto nelle Memorie italia-
ne quanto nei Mémoires (cfr. le relative citazioni s u p r a, n. 4). La mistificante semplificazione
retrospettiva è stata acutamente rilevata da Folena: la scoperta goldoniana del dialetto, non più
come convenzione caratteristica e giocosa, […] si compie attraverso una serie di prove che hanno
il loro punto di riferimento […] nell'esperienza plurilinguistica e pluristilistica dell'improvviso e
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ascendenti per così dire indigeni e popolari che erano stati propri della
tradizione di piazza nella Venezia cinquecentesca: una tradizione che - come
appunto documentato dal nostro intermezzo - poteva avere ancora risonanza
nell'offerta teatrale settecentesca e rispetto a cui i successivi sviluppi
dell'itinerario artistico goldoniano sapranno prendere cospicue e non più
colmabili distanze.
Anche nella valutazione di questa tessera schiavonesca ben si potrà
sottoscrivere quanto già da tempo autorevolmente argomentato sul
plurilinguismo goldoniano - tanto caratteristico degli intermezzi (e, in parte,
della produzione giocosa) quanto progressivamente sempre più estraneo,
come residuo artificiale dell'improvviso, alle commedie -, cioè il suo non
rivestire funzione realistica, caratterizzante, ma soltanto ludica, il suo
inserirsi nella tradizione delle metamorfosi e dei travestimenti, ingrediente
comico puramente giocoso, vero e proprio lazzo mimico-verbale-musicale.13
E tuttavia un peculiare aspetto della tradizione spettacolare ed editoriale di
questo intermezzo consente di sfumare alquanto, nella valutazione dell'
inserto schiavonesco, la misura di quella dimensione assolutamente
"mimico-verbale-musicale" e di relativizzare quindi la portata della sua
immediata - in quanto solo convenzionale e giocosa - spendibilità spettacolare:
alludo alla circostanza per cui solo nei primi allestimenti - quelli veneziani, o
comunque di area veneta - figurò il ruolo e la parlaura di Cechina-Stiepo
Bruich, espunti sin dalla ripresa milanese del 1743 e poi per sempre rimossi
nella tradizione editoriale del testo.14 Una riprova - mi pare - evidentissima
del loro essere stati pensati interamente all'interno di quella variante spetta-
colare indigena di cui si diceva e che - senza nulla togliere al carattere
nella sua lenta e progressiva riduzione. Di questo itinerario Goldoni ha voluto cancellare le
tracce, con quel suo anacronistico ricercare nella sua esperienza passata le sue ragioni presenti.
Così egli ci presenta il dialetto di un intermezzo giovanile, la Birba, quasi negli stessi termini che
usa con ben diversa ragione per la lingua dei gondolieri nella prefazione della Putta onorata, che
è il primo effettivo manifesto del suo “realismo” linguistico […]. […] prospettiva non c'è bisogno di
dire quanto a posteriori, secondo una poetica maturata assai tardi: chi legge il Gondoliere, la
Pelarina e soprattutto la Birba, si trova davanti al linguaggio più stilizzato e convenzionale
dell'opera buffa; e nella Birba i tre personaggi parlano, oltre a un italiano appunto da melodram -
ma giocoso, ben tre dialetti canonici così dell'opera buffa come delle maschere, veneziano,
napoletano e bolognese, e quel veneziano non è diverso dagli altri (G. Folena, “Il linguaggio del
Goldoni dall'improvviso al concertato”, in idem, L'italiano in Europa, op. cit., p. 137).
13
Folena, “Goldoni librettista comico”, op. cit., pp. 314-315.
14
La redazione originaria - oltre che nella princeps Valvasense del 1735 - figura solo in un esempla-
re s.d. di Venezia-Bassano; l'allestimento milanese del 1743 - documentato dall'edizione Ghislandi
- elimina del tutto gli inserti relativi al personaggio Cechina-Stiepo e in tale versione il testo del
libretto sarà riprodotto nelle successive collettanee dei libretti goldoniani (vol. 4, Venezia (Tevernin)
1753; vol. 4, Torino (Olzati) 1757; vol. 8, Venezia (Savioli) 1770; vol. 41, Venezia (Zatta) 1794).
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15
Oltre alle convenzionali formaggia salada e botarga fumada, si riconsideri la menzione, meno
abusata, delle candella ma Cattarina, rinomate candele di Cattaro. Merita ricordare che
Pastrovicchio, nel distretto di Cattaro, occupava il litorale del contado di Budua fino al confine
turco di Antivari per lo spazio di 10 miglia marittime; tra i suoi maggiori prodotti, oltre olio,
vino e pesca, proprio la confezione delle carni salate e affumicate di castrato (cfr. V. Lago,
Memorie sulla Dalmazia, Venezia 1869, vol. 1, parte seconda, pp. X-XI), molto diffuse a
Venezia principalmente per la vendita che ne facevano appunto gli schiavoni negli stazi
disposti lungo la riva a loro intitolata.
16
Per una sintetica panoramica di tali scritti, cfr. Zorič, Italia e Slavia, op. cit., pp. 82-84 e 106-
112; per un'acuta problematizzazione delle modalità rappresentative in essi riscontrabili, cfr. L.
Wolff, Venice and the Slavs. The Discovery of Dalmatia in the Age of Enlightenment, Stanford
- California 2001, in part. pp. 29-40, 54-55 e 265-270.
17
Così nell'ideazione e nella realizzazione drammaturgica di un giovanissimo Carlo Gozzi,
apprendista militare a Zara che scopre e battezza in terra dalmata la sua futura vocazione
teatrale: Io fui in Dalmazia una servetta celebre in sul teatro, nella commedia improvvisa. […]
Bilanciando il genio de' miei ascoltatori e la nazione a cui doveva presentarmi, inventai un
genere di servetta non più veduta. […] Lasciai da un canto la favella toscana, che usano le
servette de' nostri teatri d'Italia, e perché aveva appresa la favella illirica soffribilmente,
m'apparecchiai ad esprimere i miei sentimenti ne' dialoghi e ne' soliloqui improvvisi col dialet -
to veneziano alterato e dalla pronunzia e da molti vocaboli illirici italianizzati, a tal modo che
il mio linguaggio era un gergone faceto (C. Gozzi, Memorie inutili, vol. 1, a cura di G. Prezzolini,
Bari 19342, pp. 78-79, dalla parte prima, capp. X-XI).
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conserva intatta, nel portamento e nel suo stesso "gergone faceto",17 la brutale
rozzezza delle origini, esibita sin dai canonici mustachi e poi dispiegata in
comportamenti variamente belluini, tanto nell'espressione dell'aggressività
(Mi ella strangolar / E ti, razza de puorco, sbudellar; Se cortelada / voler, mi
te la dar), quanto in quella - non meno grezza e grottesca - dell'affabilità (Se
ti star bon amigo, / Se ti star bona femena, / Co mi cantar, ballar. […] / Se ti no
ballar / Mi te sbusar. / Se ti no cantar / Mi te mazzar).18 Una ragione di più per
valutare in tutta la sua portata la trasmutazione che queste modalità rappre-
sentative subiranno al termine del “viaggio goldoniano” attraverso la
Dalmazia: allorché - come già accennato, e come si avrà modo di considerare
meglio in seguito - il simpatico troglodita Stiepo Bruich da Pastrovicchio,
mercanta de castradina in una sorta di austero e non del tutto rassicurante
contrappasso, risorgerà sotto le spoglie del capitano Radovich di Cattaro,
leggendario alfiere della gloria illirica, paladino integerrimo del Leon generoso
che dolcemente impera.
2. La «vezzosa ragusea»
18
Anche in questo caso soccorre il ricordo di una delle tante descrizioni al vetriolo lasciateci da
Gozzi: Quelle fiere facinorose senza la menoma educazione, intendono d'esser suddite e vorreb -
bero conciliare però la sudditanza col poter rubare e assassinare a lor senno […]. Fui presente
alla rassegna di quella specie d'antropofaghi che fu data alla marina della città di Zara […]. Ad
ogni paio di que' lestrigoni rassegnati si dispensavano le paghe anticipate promesse, e quelli,
per mostrare della contentezza, abbaiavano una non so quale loro canzone, facevano de' strani
balletti presi per mano dinanzi all'E.S. e passavano nel naviglio (op. cit., pp. 68-70 [parte prima,
cap. IX]; i tondi sono miei).
19
La locandiera andò in scena al Sant'Angelo nel carnevale 1752-1753. La stretta contiguità
ideativa dei due personaggi fu puntualmente rilevata da Ortolani nella nota apposta all'editio
maior d e l l 'omnia (MV, XXVIII 627-628) ed è poi divenuto motivo topico della riflessione
critica.
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specie agli italianisti di area slava), propensi in genere a valutarlo nei termini
di un cordiale omaggio del cosmopolita Goldoni alla città dalmata, quando
non addirittura in quelli di uno specifico tributo rivolto all'amico raguseo
Stefano Sciugliaga.20 Ma è proprio lo sviluppo drammaturgico di quel motivo
(il nesso avvenenza-mistero, seduzione-natura ragusea) a scoraggiare simile
prospettiva interpretativa (peraltro già di per sé intrinsecamente inconsistente),21
dato che lo scioglimento della vicenda si incarica di contornare le lusinghe
della vezzosa ragusea con tratti giocosamente farseschi:22 che è quanto dire
20
È interessante notare che allo Sciugliaga il Goldoni non dedicò nessuna delle sue numerose
opere teatrali. […] Ma trovò, pare, un'altra maniera per onorarlo con un'opera: è da accettare
l'opinione, secondo cui l'autore volesse esprimere all'amico particolare attenzione con uno dei
suoi migliori melodrammi comici, La calamita de' cuori […] un elemento fondamentale della
sua struttura [la non accidentale connotazione ragusea della protagonista] è ispirato dal gentile
desiderio del commediografo di offrire una soddisfazione all'amico raguseo (F. Čale, “Stefano
Sciugliaga in Garmogliesi difensore del Goldoni”, Studia Romanica et Anglica Zagrabiensia 21-
22 (1966), 201-257, in part. 220-222; analoghe considerazioni lo studioso ribadirà a più
riprese in successivi contributi: “Goldoni e gli stranieri: 'La vedova scaltra' e 'La calamita de'
cuori' ”, in Stimmen der Romania. Festschrift für W. Theodor Elwert zum 70 Geburtstag,
Wiesbaden 1980, pp. 151-157; idem, “La 'Dalmatina' di Goldoni tra patriottismo conformisti-
co e cosmopolitismo illuministico”, Studi goldoniani 8 (1988), 171-184). Anche in questo caso,
come spesso accade in materia goldoniana, tale approccio interpretativo era stato già tracciato
dalle note dei curatori dell'omnia, e da quelle silenziosamente mutuato (cfr. MV, XXV 89, dalla
Nota storica di Edgardo Maddalena alla Dalmatina: forse col pensiero rivolto all'amico
[Sciugliaga], il Goldoni nella Calamita de' cuori, libretto per musica, fa dell'eroina Bellarosa
una “vezzosa ragusea” fiera della sua città).
Carattere il più saggio e il più prudente del mondo, suo vero amico ed interessato all'estremo per
i suoi vantaggi e per l'onor suo, era definito lo Sciugliaga da Goldoni in una lettera a Francesco
Vendramin dell'11 luglio 1763 (XIV 293). Già determinante presenza nel difficile periodo della
polemica con Chiari e, ancor più, nella complessa vertenza con l'editore Bettinelli (cfr. I.
Mattozzi, “Carlo Goldoni e la professione di scrittore”, Studi e problemi di critica testuale 4
(1972), 95-153, part. 122-127 e 145-153), lo Sciugliaga sarà figura centrale degli anni sessan-
ta, nella sua qualità di rappresentante presso il Vendramin degli interessi dell'autore, da questi
autorizzato ad interventi anche di tipo compositivo sui testi (cfr. XIV 292-293 e 851).
Quand'anche si volesse ritenere che il sodalizio con il raguseo fosse già ben definito all'altezza
del 1752 (ma non si dispone di alcun dato documentario al riguardo), rimarrebbero comunque
oscure le ragioni per cui Goldoni avrebbe dovuto esprimere un tributo d'amicizia nei termini di
un dramma giocoso, e per di più attraverso la peculiare caratterizzazione di un personaggio che
- come vedremo - alla nazionalità ragusea attribuisce connotati farseschi. E non a caso forse,
nella citata analisi di Čale manca qualsiasi riferimento proprio a questa circostanza (per cui cfr.
infra, n. 22) e più in generale ricorrono fraintendimenti interpretativi visibilmente derivati da un
vero e proprio pre-giudizio valutativo (si considerino ad esempio le seguenti affermazioni: La
scoperta che Bellarosa è Ragusea […] risultando dal desiderio del Goldoni di compiacere con
lodi alla sua città natale confrontata con tante famose città italiane acquista un valore struttu -
rale ed una connotazione poetica tutt'altro che indifferenti; laddove ciascuna delle famose città
italiane rispetto a cui si affermerebbe la presunta primazia ragusea è evocata in chiave palese-
mente caricaturale: Firenze e Genova ad esempio per lo spirito parsimonioso dal taccagno
Pignone, Napoli e Brescia per la “braveria” dallo smargiasso Saracca ecc.).
21
Si veda quanto già segnalato nella precedente nota.
22
Allorché, nello snodo conclusivo della vicenda, la protagonista si accinge a soddisfare la
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curiosità degli astanti fornendo ulteriori elementi di conoscenza relativi alla propria identità, lo
spasimante che è riuscito ad essere eletto suo sposo le toglie precipitosamente la parola di bocca
temendo gli effetti di una rivelazione che si annuncia imbarazzante (e che come tale è immedia-
tamente fatta risuonare nei commenti degli altri personaggi): BELLAROSA Nacqui in Ragusi, /
di nobile son figlia; / partita per piacer dal suol natio… GIACINTO Queste son cose ch'ho da
saper io. Bisogno ora non c'è / Ch'altri le sappia, e le direte a me. ARMIDORO Misero sventu -
rato! SARACCA Oh che veleno! (III.ultima, in XI 46).
23
La toponomastica cittadina ancora oggi distingue luoghi “ragusei” (la calle e il ponte ad essi
intitolati, nel sestiere di Dorsoduro) e luoghi “schiavoni” (primo tra tutti, la celebre riva ad essi
intitolata, che si protende per più di mezzo chilometro verso il sestiere di Castello e l'estremità
orientale della città).
24
Insieme a Venezia, Ragusa fu la maggiore repubblica marinara adriatica e rimase l'unica a poter
fronteggiare la Serenissima Dominante in termini di analogie strutturali: sorta anch'essa in isole
lagunari a seguito di movimenti migratori reattivi, sino all'annessione napoleonica nelle
Province Illiriche seppe salvaguardare la propria sostanziale autonomia rispetto alle pressioni
espansionistiche dei potenti domini limitrofi, nonché tutelare con fortuna i propri interessi
commerciali, fino a costituire - sotto quest'ultimo profilo e proprio nel Settecento - una vera e
propria spina nel fianco dell'Adriatico Impero della Serenissima. Per una panoramica complessi-
va, cfr. P. F. Palumbo, “La Repubblica di Ragusa nelle relazioni fra le due sponde adriatiche”,
Quaderni di Storia e Civiltà 7 (1988), 3-30; sulle ragioni che determinarono l'ascesa settecente-
sca di Ragusa, ai danni di Spalato, sino allora porto per antonomasia della Dalmazia (ragioni
sostanzialmente legate agli effetti della cattiva amministrazione veneziana che appunto ne
determinarono il declino), cfr. M. Berengo, “Problemi economico-sociali della Dalmazia veneta
alla fine del Settecento”, Rivista storica italiana 66, 4 (1954), 469-510 , in part. 497-498.
25
Per una rapida rassegna delle presenze ragusee in questi due autori, cfr. M. Zorič, Dalle due
sponde. Contributi sulle relazioni letterarie italo-croate, a cura di Rita Tolomeo, Roma 1999,
pp. 105-119. Anche nel caso di questo contributo si ha tuttavia la sensazione che la ricogn i-
zione analitica sia spesso viziata da pre-giudizi interpretativi (cfr. ad esempio quanto si legge
op. cit., p. 113: Tutto ciò sta a dimostrare quanto, in Italia, fossero tenuti in considerazione sia
Ragusa che i ragusei, e contribuisce a farci capire i motivi per i quali questi personaggi, nell'am -
bito del teatro rinascimentale italiano, potessero essere rappresentati (basti pensare al messer
Proculo di Calmo ed al messer Biagio di Dolce) con simpatia ed in un contesto comico dai toni
moderati, come figure classiche di anziani, rese attuali da ben precise caratteristiche individuali
che li configurano quali precursori della maschera veneziana di Pantalone).
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26
Si riconsideri quell'episodio della Lucerna (1625) di Francesco Pona relativo alla vicenda della
ragusea Ormonda, superlativo paradigma del prototipo povera-ma-bella, con tutto quello che ne
consegue (la fortuna fattami nascere in Ragusi fanciulla di bassissimi parenti, accordatasi con la
natura attese a colmarmi delle più eccellenti bellezze che da Elena in qua fossero state vedute in
creatura mortale): una bellezza ineffabile, e seduttiva in grado estremo, delle cui risorse
Ormonda saprà avvalersi presto e appieno. Rapita infatti dai consueti corsari, ancora fanciulla,
ne sa spegnere la ferocia conducendoli sino a morte nella contesa delle sue bellezze (la mia età
toccava allora il quindicesimo anno, e già sollevarsi gentilmente vedeansi nel seno mio le due
collinette di neve nelle quali Amore nutre i suoi fuochi. E tutta succosa il corpo nella svelta e
maestosa statura dava di me stessa uno spettacolo agli occhi, che non sapeano punto volgersi
altrove […]. E vagheggiandomi pure e ammirandomi quello e questo aspirando a possedermi, ecco
che, pretendendo ognuno, cominciano a contender tra loro; […] s'accende nel naviglio la più
orribile zuffa che possa la morte su la scena d'un marittimo teatro rappresentare); acquisita poi
nel serraglio di Maometto il Grande, riesce - attraverso una studiatissima arte seduttiva - a
incatenare in prigionia d'amore il gran sultano (aspirava a tiranneggiare il tiranno dell'Oriente
[…] E questa superba avidità mi insegnava artifici tali che non i baci e le lascivie premeditava, ma
quasi i sonni, le positure, i respiri. […] Gli studi […] non furno vani, perché, fatta con assidua
teorica discepola sopra i maestri, alla prima giacitura così soggiogai ogni sentimento di
Maomette ch'egli ebbe per meraviglia l'uscirmi vivo dalle braccia). Pur ritrovandosi all'apice del
potere e del piacere, l'infida e insaziabile Ormonda pensa bene di godersi le grazie di uno schiavo
r i n e g a t o: scoperta l'infedeltà della donna, Maometto la diede in potere di duecento ferocissimi
soldati, perché l'un dopo l'altro, stancandosi senza intermissione ne' suoi amplessi, la riducesse -
ro a morire. Cosa che puntualmente accade, nonostante le straordinarie risorse della famelica
Ormonda: Alle prime lance, confesso ch'io resi indomita: e già più di trenta di quei giovani
s'erano nella lotta resi per vinti che fresca ancora m'affrontava co' nuovi combattitori (Le citazioni
sono tratte da Fr. Pona, La lucerna, a cura di G. Fulco, Roma 1973, pp. 196-207).
Merita inoltre ricordare che il motivo della schiava ragusea ricorre frequentemente anche nei
repertori teatrali: e proprio con tale titolo poteva andare in scena nel 1758 al teatro San Luca di
Venezia una commedia nuova di Ferdinando degli Obizzi, estimatore e pubblico apologeta di
Goldoni.
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Per l'ambientazione ragusea, il più calzante modello drammaturgico di riferimento potrebbe
essere il Capitano del Dolce: anche se il protagonista eponimo è in realtà di origine senese, egli
è comunque e non a caso proposto come prototipo di cittadino raguseo, soldataccio ottuso,
brutto e libidinoso, nonché pronto a involarsi le donne altrui. Anche Orazio Sbocchia, il capita-
no impostore della commedia goldoniana, ha i connotati del gloriosus che in realtà è sprovve-
duto e pavido, e del losco seduttore.
28
La veneziana Bettinelli (1750-1757) e la fiorentina Paperini (1753-1757), e molte delle ristam-
pe “pirata” che da quelle derivarono (la bolognese San Tommaso, la napoletana Venaccia, la
pesarese Gavelli): cfr. Scannapieco, “Scrittoio, scena, torchio”, op. cit., 224-242. È probabile che
sull'origine della scelta onomastica abbia inciso una volontà tra l'autoironico e il narcisistico di
effigiare in commedia una delle considerazioni che saranno poi formulate nella prefazione al
vol. XVII Pasquali: un poeta comico lasciarsi gabbare da un Impostore! Cent'altri sono caduti
nella mia medesima rete ma io doveva cadervi meno degli altri. Io che aveva dipinto un Ludro
imbroglione nel Momolo Cortesan, un Trappola nel Prodigo, un Marcone scroccone di piazza
nella Bancarotta, mi sono lasciato gabbare, soverchiare, scroccare da un Frappatore! (I 755).
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29
Come già accennato, l'episodio è infatti narrato nella prefazione al diciassettesimo tomo
Pasquali: cfr. I 753-755. Per la data di pubblicazione di questo tomo cfr. supra, n. 3
30
Come si ricorda nei Mémoires I, cap. XIX (I 87) il fratello dell'autore aveva condotto la sua
formazione militare a Zara (dove una ventina d'anni dopo avrebbe sperimentato il proprio
noviziato militare anche un Carlo Gozzi), sotto la tutela di un parente, Girolamo Visinoni, che
ricopriva la ragguardevole carica di capitano dei dragoni e aiutante maggiore del provveditore
generale di Dalmazia e Albania. In seguito era entrato a far parte dell'esercito del Duca di
Modena, da cui si era congedato tra la fine del 1741 e l'inizio del 1742, in cerca di più remune-
rativi ingaggi. Ed è proprio in questa congiuntura che si sarebbe dato l'incontro col sedicente
ingaggiatore raguseo. Pare peraltro che lo stesso Gian Paolo Goldoni già un paio d'anni prima,
a Venezia, si fosse direttamente compromesso in questioni di reclutamenti illeciti e fosse stato
in quanto tale tenuto sotto controllo dall'autorità giudiziaria (cfr. la documentazione allegata
nelle note a Mémoires I, cap. XLIV, in MV, XXXVII 299-300).
31
Tutte le citazioni sono tratte da Mémoires I, cap. XLIV. Merita riportare per esteso i passaggi
più significativi: Je viens de faire [parla Gian Paolo Goldoni] la connoissance d'un capitaine
ragusien, d'un homme…d'un homme comme il n'y en a pas. Il est en correspondance avec les
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del dettaglio narrativo - non certo risolvibile, come si è avuto modo di consta-
tare, in esigenze di stilizzazione comica - si produca appunto solo ad un
mezzo secolo di distanza dagli eventi narrati; e, quel che più conta, con
pubblicazione realizzata in terra straniera: quella Parigi in cui l'ormai
anziano commediografo poteva ben sentirsi al riparo dalle conseguenze di
così imbarazzanti rivelazioni. La mancata percezione delle sostanziali novità
che la narrazione dei Mémoires propone rispetto a quelle precedenti è, a ben
vedere, causa ed effetto ad un tempo della singolare deformazione prospettica
con cui la critica ha sempre guardato all'episodio del raggiratore raguseo.
Gustato come scena di commedia, interamente risolto nella briosa comicità
delle sue macchiette e degli incresciosi ma pur sempre divertenti effetti di
un'impostura subita, l'episodio non è mai stato considerato per quello che è,
e per quello che gli stessi elementi informativi contenuti nella narrazione dei
Mémoires consentivano di conoscere e di valutare: l'espressione cioè di uno
dei reati a cui nel corso del Settecento il governo veneziano guardò con
allarme crescente - il grave disordine di attrappar sudditi ne' stati nostri per
servizio di altri sovrani - e a cui cercò di opporre una legislazione sempre più
vigile e repressiva. Il grave disordine, per di più, poteva assumere connotati
particolarmente molesti ed umilianti per una Serenissima Dominante costretta
a misurarsi - nei ripetuti quanto vani tentativi di debellarlo - con gli effetti
delle proprie insufficienze politiche: perché il dominio indiscusso degli
ingaggiatori clandestini rimase, lungo tutto il secolo, quella Dalmazia che se
aveva fornito - e continuava a fornire - il nerbo più qualificato e fedele dell'
esercito veneziano, era anche provincia in cui la sostanziale latitanza
amministrativa del governo aveva alimentato condizioni di povertà endemica:
quelle stesse che rendevano agevole per gli ingaggiatori clandestini delle
principales Cours de l'Europe; il a des commissions qui font trembler; il est chargé de faire des
recrues pour un nouveau Régiment de deux mille esclavons; mais, ô ciel! si le Gouvernement de
Venise venoit à le pénétrer, nous serions perdus. Mon frere… mon frere… J'ai lâché le mot, vous
connoissez l'importance de la discrétion. […] il s'agit d'une place de capitaine pour moi; j'ai servi
en Dalmatie, comme vous savez; mon ami le sait aussi […] vous serez l'auditeur, vous serez le
grand juge du Régiment. […] finit par mettre sous mes yeux les lettres-patentes, écrites en langue
Italienne, par lesquelles il étoit chargé de recruter deux mille hommes de nation Illirique, pour
un nouveau Régiment, au service de la Puissance dont il tenoit la commission. […] je lui
demandai d'abord par quel hasard nous serions assez heureux, mon frere et moi, pour intéres -
ser sa bienveillance en notre faveur. Monsieur votre frere, répondit-il, est un homme qui peut
être très-utile à mes intérêts. Il connoît la Dalmatie et l'Albanie, où il a servi, ce sont les deux
provinces qui peuvent fournir de beaux hommes pour mon Régiment. Je compte le munir de
lettres et d'argent, et l'envoyer y faire des recrues. - Mon frere se jette au col du ragusien. - Vous
verrez, vous verrez, mon ami; je vous emmenerai des dalmatiens, des albanois, des croates, des
morlaques, des turcs, des diables; laissez-moi faire, Gospodina, Gospodina, dobro jutro,
Gospodina (I 200-202).
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potenze straniere […] reclutare soldati in gran numero tra i contadini perenne -
mente assillati dalla fame.32
Per sradicare lo scandaloso e detestabile abuso di defraudare li pubblici stati
de' propri sudditi ed altresì de' soldati, il Consiglio dei Dieci sarebbe giunto a
comminare la pena di morte:33 il decreto, del 9 agosto 1754, veniva emanato
nello stesso anno in cui Goldoni componeva e pubblicava una commedia che
rammemorava - e al tempo stesso rimuoveva in chiave di sublimazione comica
- il proprio concorso in reato di così grave entità. Che la responsabilità penale
del sedicente capitano raguseo fosse in realtà circoscritta alla misura di un
raggiro, ha fatto perdere di vista che così non poteva essere per i soggetti da lui
raggirati: pronti ad impegnarsi nella corresponsabilità di quello che era
considerato un vero e proprio attentato istituzionale. La gustosa figurina del
poeta comico che si lascia gabbare da un Impostore34 ha posto in ombra che il
suo reale interprete era fra l'altro stato, all'epoca dei fatti, un Carlo Goldoni
console della repubblica genovese a Venezia, e in virtù della sua mansione
autorizzato alla frequentazione delle massime istituzioni cittadine35: e pronto
tuttavia, con discutibile pragmatismo, a porgere orecchio a chi gli offeriva
miglior destino, sostenendone gli illeciti disegni e ricevendone in cambio la
lucrosa carica (quindici zecchini il mese di certo, oltre i pingui avventizi che
porta seco l'impiego)36 di auditore di un reggimento composto con fraudolenta
sottrazione a li pubblici stati de' propri sudditi ed altresì de' soldati.
In questa prospettiva meglio si comprenderà come L'impostore fosse stato
commedia ideata e composta per circuiti privati, e come - anche dopo la stampa
- rimanesse escluso dai repertori delle compagnie professioniste; e parrà inoltre
32
Berengo, “Problemi economico-sociali della Dalmazia veneta”, op. cit., 492. Il passo citato rientra
nell'analisi di quel fenomeno migratorio che contrassegnò visibilmente la storia della Dalmazia
veneta nel sec. XVIII: una delle sue principali cause - l'aspetto del fenomeno che riesce più molesto
ed umiliante al governo - è ravvisata proprio nel fatto che gli ingaggiatori clandestini delle potenze
straniere non cessano mai di percorrere il paese, e riescono a reclutare soldati in gran numero tra i
contadini perennemente assillati dalla fame. Il premio d'ingaggio, un salario assicurato, e la libera -
zione dall'incubo della siccità e della carestia, sospingono così folte schiere di Dalmati nell'esercito
russo e, talora, anche in quelli imperiali e prussiani. […] Numerosissimi processi contro gli
“ingaggiatori esteri” in Dalmazia si conservano nell'archivio degli Inquisitori di Stato; nei periodi di
guerra, poi, si avevano delle vere e proprie leve abusive in tutta la provincia, specie al servizio russo
per combattere contro i Turchi. Sul tentativo del governo di debellare il fenomeno dei reclutamenti
clandestini attraverso una fitta rete di informatori, e sulle dimensioni particolarmente estese del
fenomeno in Dalmazia, cfr. P. Preto, I servizi segreti di Venezia, Milano 1994, pp. 495-507; sui
fenomeni migratori e sulle “diserzioni” di sudditi e soldati veneti in Dalmazia, con specifico riferi-
mento al ruolo intermediario svolto da pericolosi concorrenti come Ragusa, cfr. il ricco materiale
documentario contenuto in F. M. Paladini, “Un caos che spaventa”. Poteri, territori e religioni di
frontiera nella Dalmazia della tarda età veneta, Venezia 2002, pp. 157-163.
33
Cfr. Preto, I servizi segreti di Venezia, op. cit., p. 502.
34
Cfr. s u p r a, n. 28.
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del tutto comprensibile che Goldoni non fosse mai tentato di “rimpastare” in
altre forme - come spesso il suo mestiere gli imponeva di fare - quella materia
tanto, di fatto, comicamente efficace quanto, in potenza, politicamente incande-
scente. E anche se gli elementi che a vario titolo fanno gravitare il baricentro
tematico della vicenda verso la Dalmazia - la caratterizzazione ragusea dell'
ufficiale impostore, il reclutamento clandestino da realizzarsi nei domini veneti
d'oltremare, la correità di veneziani anche istituzionalmente in vista - restavano
interamente conclusi nel pre-testo della commedia, di quegli elementi e delle
loro imbarazzanti implicazioni etico-politiche converrà ben ricordarsi all'atto
di valutare La dalmatina, quarta ed ultima tessera documentaria del nostro
excursus: opera composta per un pubblico veneziano, con cui, facendo vibrare
caldi accenti di amor patrio e tracciando la mitografia spettacolare della lealtà
politica e della virtù militare dei soldati illirici, il poeta di compagnia Carlo
Goldoni metteva a segno uno dei più clamorosi successi della sua produzione e
dell'intera offerta spettacolare veneziana del secondo Settecento.37
35
Fui introdotto in Collegio avanti il Doge e li eccellentissimi Savi; distinzione non praticata cogl'al -
tri consoli, e che passerà in esempio a' miei successori: così, in una lettera del 14 gennaio 1741, il
neoconsole dava notizia del privilegio accordatogli (XIV 6).
36
Dalla prefazione alla commedia, V 520-521.
37
Per una valutazione dello straordinario riscontro ottenuto dalla nostra tragicommedia, cfr. i dati
documentari e la relativa interpretazione critica contenuti in Anna Scannapieco, “…gli erarii
vastissimi del Goldoniano repertorio. Per una storia della fortuna goldoniana tra Sette e
Ottocento”, Problemi di critica goldoniana 6 (1999), 143-238, in part. 167-177 e n. 52. A misura-
re il valore paradigmatico di tale riscontro anche dalla prospettiva della committenza, si riconsi-
deri come il proprietario del San Luca - ad un anno di distanza dalla clamorosa accoglienza
tributata alla Dalmatina - poteva rammentare al suo poeta di compagnia che le comedie in presen -
te piacciono quando sono teatrali, e non di parole, o di solo carattere. Nulla più le dico, perché ella
ha veduto, che la sola Dalmatina ha avuto l'assenso del popolo; sicché la conseguenza è chiara
(lettera di Francesco Vendramin a Carlo Goldoni, s.d. [ma luglio 1759], in D. Mantovani, Carlo
Goldoni e il teatro di San Luca a Venezia. Carteggio inedito (1755-1765), Milano 1885 [rist.
anastatica con introduzione di N. Mangini, Venezia 1979], pp. 117-118). Per una più ampia
contestualizzazione del fenomeno qui discusso, cfr. il Commento e la Nota sulla fortuna in
Dalmatina, EN.
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cartoon del mite Goldoni che sa elaborare il trauma della truffa patita ad opera
del capitano raguseo e può quindi liberare in scena la sua “calda simpatia” per
le genti dalmate).38 E soprattutto, per conseguenza, non è mai stata rilevata la
scabrosa contraddizione tra il singolare difetto di amor patrio e il livido sfondo
politico-amministrativo che, sia pur in controluce, animavano il quadro della
commedia destinata a circuiti privati e - per converso - quella straordinaria
strategia del consenso e della “cooptazione identitaria” su cui, come vedremo,
si innerva la tessitura drammaturgica dell'opera ideata per catturare il pubbli-
co teatrale veneziano.
Ben altre ipoteche interpretative hanno d'altronde gravato sulla ricezione della
D a l m a t i n a, l'opera in cui l'engagement politico dell'autore sembra essersi
espresso nei suoi termini più programmatici (e problematici). Infatti, per quanto
sostanzialmente ignorata dalla critica (fatte salve alcune occasionali annotazioni
in margine a quella produzione esotica nel cui indistinto novero viene corrente-
mente inglobata),39 la tragicommedia ha conosciuto una stagione di fortuna
davvero inconsueta per un testo goldoniano: allorché, durante la conferenza di
Versailles e la connessa impresa di Fiume, la sua vischiosa materia rappresenta-
tiva calamitò l'improvviso interesse di studiosi e politici, italiani e slavi, andando
a costituire - come forse non è mai stato osservato40 - uno dei capitoli più interes-
santi delle pratiche di rifunzionalizzazione poste in opera per complessi storico-
letterari italiani. In una temperie in cui l'irredentismo di matrice risorgimentale
38
Così ad esempio nel più recente contributo sulla tragicommedia: Goldoni avrebbe potuto avere un
atteggiamento più duro, magari censorio, nei confronti delle genti dalmate, se avesse lasciato
raffiorare e prevalere su altre considerazioni un ricordo che troviamo registrato nei Mémoires […]
Non era stato un episodio da poco […]. Tutto questo doveva essere stato rimosso dal Goldoni, nel
momento in cui si apprestava a scrivere la tragicommedia della Dalmatina […] se non altro
perché l'episodio del falso reclutatore di milizie durante il periodo del consolato goldoniano [ … ]
aveva già trovato una sua sublimazione giocosa teatrale, con probabile rasserenamento della
memoria, nella commedia L'impostore […]. Dopo quella rimozione o rasserenamento vengono a
trovare possibilità di spazio, per la Dalmatina, gli effetti di ben altre suggestioni (G. Da Pozzo,
“Coerenza e sperimentalità goldoniana nella 'Dalmatina' ”, La Rassegna della letteratura italia -
na 106, 1 (gennaio-giugno 2002), 17-18). Anche in questo caso, l'impostazione interpretativa era
già stata nettamente tracciata nelle note storiche dell'omnia (cfr. MV, XXV 89), e poi variamen-
te rimodulata dalla critica successiva, anche se il particolare sembra sfuggire allo studio citato
(L'episodio [del raguseo profittatore della sua buona fede] non viene di solito ricordato dalla
critica, quando si parla della Dalmatina, forse perché si pensa che esso contraddica l'ammira -
zione per i sentimenti della protagonista dalmata della commedia) .
39
Per un'analisi ragionata della bibliografia critica d'argomento, cfr. D a l m a t i n a, EN.
40
Il fatto che Goldoni's ideology of Adriatic empire was explicitly inserted into the national confronta -
tion between Italians and Slavs over Dalmatia in 1919 è stato acutamente sottolineato da Wolff,
Venice and the Slavs, op. cit., p. 353, sulla scorta tuttavia dell'analisi di uno solo dei vari interventi
che si produssero sull'argomento nel fatidico biennio 1919-1920 (quello di Cesare Levi, per cui cfr.
infra, n. 46): in mancanza delle necessarie integrazioni documentarie, l'entità della manipolazione
ideologica della fonte letteraria non viene pertanto adeguatamente posta in luce. Una rassegna
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abbastanza puntuale degli interventi critici sulla Dalmatina, anche con specifico riferimento a quelli
di nostro interesse, è invece in Čale, “La 'Dalmatina' di Goldoni”, op. cit., 178-184, che si mostra
tuttavia insensibile alle loro implicazioni politico-culturali (su tale contributo cfr. anche infra, n. 52).
41
Dalla temperie risorgimentale a quella irredentista a quella nazionalfascista, la rifunzionalizza -
zione della tradizione italiana e quindi l'invenzione di un diritto esclusivo sulla Dalmazia sulla
base della cultura veneto-italiana e della tradizione giuridica comunale, come pure rispetto alla
storia geopolitica, passa per la manipolazione letteraria, per le ricerche antiquarie e la selezione
faziosa delle fonti storiche. Il culto per le vestigia del cosmo unitario dalmato-istrio-veneto e le
matrici culturali liberal-risorgimentali e irredentistiche sono stati reinterpretati in Italia dalla fine
degli venti e soprattutto nei trenta e nei primi quaranta in funzione delle esigenze del regime e della
competizione con il Reich e il regime ustasa, ma anche di influenze dell'antroposociologia tedesca
(Paladini, “Un caos che spaventa”, op. cit., p. 23).
42
Il riferimento è a Marko Kraljevic, il leggendario eroe epico in cui la poesia popolare serba e croata
aveva celebrato le gesta di un aiducco storicamente esistito (in epoca medievale l'aiducco era il
brigante di strada, che più tardi si trasformerà in protagonista delle insurrezioni e delle guerriglie
contro i turchi). L'ironia della sorte vuole che uno dei più famosi aiducchi settecenteschi,
Stanisalo Soçivizca, avesse come patronimico il nome del protagonista della Dalmatina goldonia-
na, Radovich. Del Soçivizca tracciò una celebre biografia Giovanni Lovrich nell'ambito della sua
polemica replica al Viaggio in Dalmazia (Venezia 1774) di Alberto Fortis (Osservazioni sopra
diversi pezzi del Viaggio in Dalmazia del signor abate Alberto Fortis, coll'aggiunta della vita di
Soçivizca, Venezia 1776), biografia che venne più volte pubblicata come romanzo a sé e da cui
venne anche ricavato un adattamento scenico (A. S. Sografi, Stanislao Soczivicza detto il
f o r m i d a b i l e:andato in scena per la prima volta al Sant'Angelo il 26 dicembre 1797).
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43
G. de Frenzi [L. Federzoni], “'La Dalmatina' di Goldoni”, L'idea nazionale, 14 ottobre 1920.
44
Per un profilo sintetico ma puntuale del Federzoni, uomo politico e intellettuale di punta
dell'Italia primonovecentesca, si veda la voce redatta da A. Vittoria per il Dizionario Biografico
degli Italiani, vol. 45, Roma 1995, pp. 792-801.
45
La commedia vuol essere patetica: ma povera com'è di vero contenuto umano, co' suoi
personaggi privi di vita intima, essa è soltanto sentimentale, nel peggior significato della parola.
E non ci sarebbe altro a dire se da questa mediocre “comédie larmoyante” non si levasse su,
intera e schietta, la nobile immagine della Dalmazia veneta. Storica, dunque e non artistica è
l'importanza della Dalmatina, e tanto più oggi. […] Il fatto è che se Carlo Goldoni fu quella volta
mediocre autor comico fu per contro ottimo politico e diplomatico accorto, senza cessar per
questo d'esser uomo schietto e leale. Anzi la sua fine diplomazia s'esplicò appunto nel rappre -
sentar i dalmati quali erano e volevan essere: “nazione”, com'essi dicevano, e perciò non fusi co'
veneti, ma nella loro affettuosa fierezza a San Marco fedeli fino alla morte. […] Cosa sarà della
Dalmazia? La Conferenza ne disporrà secondo la lettera del patto di Londra? Verrà essa
attribuita alla Serbia? o a quella Confederazione Danubiana di cui si ritorna a parlare di tanto
in tanto? La vedremo unita alla Croazia in uno stato jugoslavo cattolico? O sarà dichiarata
autonoma, come domanda - faute de mieux - l'onorevole Federzoni? Comunque […] in questo,
credo, tutti gli italiani dovranno convenire: che nei nostri rapporti di convivenza o di vicinato
con le popolazioni slave dell'altra sponda è necessario, per l'affermarsi della nostra civiltà,
portare uno spirito che concilii la dignità nostra col rispetto dovuto ai parlanti altra lingua. E
gli slavi alla nostra civiltà dovranno prima o poi riavvicinarsi, riprendendo una gloriosa
tradizione più volte secolare. La finanza straniera non sarà così potente da distruggere ogni
traccia di questa tradizione. […] Non sarà stato inutile […] aver ricordato che i dalmati […] hanno
una gentile ambasciatrice accreditata presso le nostre lettere e un valido patrono in Carlo
Goldoni (P. P. Trompeo, “La Dalmatina”, Le vie del mare e dell'aria 18 (1919), 3-4 e 6).
46
Dall'esame sommario delle opere, nelle quali appaiono personaggi di teatro dei dalmati, si può
concludere che le buone qualità istintive della razza sono sempre messe nella luce migliore, e
cioè: ardimento, che non indietreggia dinanzi alle più perigliose imprese, generosità di
sentimenti, e nobiltà di carattere, e soprattutto amore alla patria ed orgoglio di essere associa -
ta alla secolare gloria di Venezia (C. Levi, “Dalmati sulle scene”, Il Marzocco, 11 maggio 1919).
47
R. M. Ivanovič, “Goldonijeva 'La dalmatina' ”, Hrvatska prosvjeta 7 (1920), 215, cit. in Čale, “La
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pavoneggia a Fiume.47
Il fatto che una tragicommedia in martelliani, capace di sorprendere e conqui-
stare l'immaginario del pubblico teatrale nella Venezia del secondo Settecento,
ma anche di cadere poi in un rapido e irredimibile oblio (nonché di restare
completamente estranea alla pur vivace attenzione con cui l'area slava, e specifi-
camente croata, alimentò la fortuna del teatro goldoniano)48 potesse essere
d'improvviso riesumata, e con tale dovizia di “eteronomi intenti”, ha naturalme-
nte precise radici nella particolare fisionomia del testo stesso, forse il più politi-
camente esposto, come si accennava, di tutta la produzione goldoniana.
Centro gravitazionale della materia rappresentativa non è certo la dalmatina
Zandira, fatta schiava in Marocco e contesa da vari spasimanti (tra cui il
connazionale, nonché promesso sposo, Radovich, il greco Lisauro e i musulma-
ni Ibraim e Alì), e strumentalmente eletta dall'autore a personaggio eponimo in
ossequio ai canoni della sua produzione “esotica” (che definisce rigorosamente
al femminile il baricentro del proprio orizzonte compositivo, dalle Ircane alle
Peruviane, dalle Selvagge alle Georgiane). A delineare con precisione l'argome-
nto fu d'altra parte Goldoni stesso, allorché - nel varare la diffusione a stampa
della tragicommedia, di cinque anni successiva al suo esordio spettacolare - pose
in evidenza che si tratta in essa di una nazione fedele, e benemerita alla
Repubblica Serenissima; si tratta in qualche maniera del nome glorioso de'
veneziani, del valor de' schiavoni, e del rispetto che gli uni, e gli altri esigono
principalmente sul mare.49 Sono affermazioni ricorrenti nella dedica della
Dalmatina, non a caso l'unica tra tutte le “esotiche” a non ricercare legittimità e
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51
Dalla citata dedica della tragicommedia (il tondo è mio); la solenne proclamazione di Gian-
Francesco Pisani a procuratore di San Marco avvenne il 23 aprile 1763: nonostante la lontananza
parigina, Goldoni partecipò alle celebrazioni non solo consacrando al neoeletto la Dalmatina, ma
anche contribuendo alla realizzazione di una sontuosa raccolta di componimenti poetici (Venezia
1763; il contributo goldoniano - Per il solenne ingresso di Sua Eccellenza il signor Giovanni
Francesco Pisani alla sublime dignità di Procur. di San Marco Capitoli tre - si legge ora in XIII
882-898). Per una disamina delle intenzioni argomentative soggiacenti alla strategia celebrativa
della dedica al Pisani, cfr. il relativo commento in Dalmatina, EN.
52
Cfr. Maddalena, Nota storica alla Dalmatina, op. cit., in part. pp. 90-91 e idem, La “Dalmatina” del
G o l d o n i, Roma 1927 (estratto dalla Nuova Antologia, 16 luglio 1927). A riprova di quanto si
s e gnalava a testo sulla varia pertinenza con cui tale motivo è stato modulato nei contributi critici
successivi, cfr. ad esempio come per Francesco Del Beccaro sia evidente che La Dalmatina rappre -
senta un atto sincero d’ amor patrio in un momento in cui la Serenissima aveva bisogno del consen-
so e dell’ appoggio morale di tutti i suoi figli. […] pensò di dedicarla a Gian Francesco Pisani, procura -
tore di San Marco, del quale sottolinea - dopo accenni alle giustificate apprensioni del momento -
l’ “eroico, costante amore” per la patria veneziana (F. Del Beccaro, “L’ esperienza ‘esotica’ del
Goldoni”, Studi goldoniani 5 (1979), 90; sono evidenziate in tondo le affermazioni del tutto destituite
di fondamento storico o documentario); o come per Giovanni Da Pozzo sia possibile sottolineare che
mentre l’ eroe dalmata Radovich è il personaggio che menziona più volte la patria, riflesso forse del
debito veneziano verso i combattenti schiavoni; […] mai invece quel sostantivo viene pronunciato da
Argenide, punita forse come personaggio, in qualche modo, per il fatto di essere figlia di un greco,
gente alla quale da parte veneziana, e non solo da quella, veniva assegnata un’ idea di fede mancata
(Da Pozzo, “Coerenza e sperimentalità goldoniana nella ‘Dalmatina’ ”, op. cit., 28): trascurando del
tutto che il termine ‘patria’ risuona anche nelle vibranti performances di Canadir, cioè quel padre di
Argenide chiamato in causa dallo stesso studioso (cfr. inoltre i n f r a, n. 91). Il nesso patriottismo-
apologia dei dalmati è discusso anche in Čale, “La ‘Dalmatina’ di Goldoni”, op. cit., incline a ritenere
che si esageri quando il trionfo teatrale della Dalmatina si mette in relazione con le lodi dell’ autore
indirizzate alle virtù eccezionali dei dalmati e con la loro devozione al Leone (p. 171), e pronto invece
a esaminare quel nesso nella prospettiva delle due categorie interpretative del conformismo patriot -
tico e del cosmopolitismo illuministico: alla prima andrebbe ascritto il tendenzioso corredo autoese-
getico della dedica e la manciata di versi strumentalmente distribuiti nella tessitura drammaturgica
a glorificazione della patria, e precisamente del suo espansionismo politico e militare - fatto che
contraddice, confesseranno tutti, alla sua [di Goldoni] mentalità democratica e popolare (p. 172); alla
seconda andrebbe ricondotta invece la ragione sostanziale del successo della pièce (le sue radici
ispirative […] vanno collegate, invece, all’ unico tra i motivi di umanità goldoniana in esso presenti, all’
amicizia e alla stima reale per la gente oltre l’ Adriatico, sentimento sincero il quale, però, […] a Goldoni
non era comodo esprimere a Venezia senza contaminarlo con quello della patria, p. 173). L’ idea di
fondo è che mentre l’ acclamazione alla potenza del conquistatore-padrone temibile ma giusto suona
come un cliché retorico, i versi di lode al carattere dei dalmati riflettono la simpatia più volte dimo -
strata dall’ autore alla gente d’ oltre mare (p. 176): che è modo, come ognuno ben vede, per proiettare
sull’ effettivo cosmopolitismo goldoniano, un conformismo patriottico di “altra sponda”. Sul rappor-
to tra cosmopolitismo e patriottismo nella cultura europea illuministica e nella tessitura ideologica
della tragicommedia goldoniana, mi permetto di rinviare all’ “Introduzione” alla Dalmatina, EN.
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53
“L’ autore a chi legge”, op. cit.
54
Dal Viaggio in Dalmazia di Fortis (e in particolare dal suo celebre e pluritradotto capitolo dedicato
ai Costumi de’ Morlacchi) al romanzo di Giustina Wynne Rosenberg (Les Morlaques, Venezia
1788) al saggio di Giulio Bajamonti sul “Morlacchismo d’ Omero” (in Nuovo giornale enciclopedico
d’ Italia, marzo 1797) la “morlaccomania” settecentesca si espresse in un crescendo che non
mancherà di fruttificare anche nel secolo successivo. Sulle radici storico-culturali del fenomeno,
e sulla sua fenomenologia settecentesca, cfr. le fondamentali pagine di F. Venturi, Settecento
riformatore, vol. 5, L’ Italia dei lumi, t. 2, La Repubblica di Venezia (1761-1797), Torino 1990, pp.
347-424; per le elaborazioni letterarie e ideologiche del tema, cfr. anche Zorič, Italia e Slavia, op.
c i t ., pp. 94-105 e, soprattutto, Wolff, Venice and the Slavs, op. cit., passim.
55
Nell’ introdurre i capitoli delle sue memorie “dalmatiche”, Gozzi sentiva non a caso l’ esigenza
di misurarsi con il punto di vista espresso (e ormai imposto) dal Viaggio in Dalmazia di Fortis,
chiamandolo esplicitamente in causa e in qualche modo ridimensionandone l’ attendibilità
documentaria. Si consideri almeno la conclusione del lungo excursus: Questa narrazione […]
potrebbe anche destare il sospetto ch’io abbia voluto porre in disegno di cattivo ritratto i popoli
de’ villaggi della Dalmazia. Convien sofferire qualche mia osservazione […] (Gozzi, Memorie
inutili, op. cit., pp. 68-70, la citazione a p. 70; per avere un “assaggio” delle osservazioni che
venivano proposte dopo il passo citato, cfr. quanto di seguito menzionato a testo). Gli eventi
narrati nelle Memorie inutili relativi alle esperienze fatte in Dalmazia fanno riferimento al
periodo 1741-1744 (e sono distribuiti tra p. I, capp. IV- XIV, e p. II, capp. XLVII-XLVIII).
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delle belle femmine, che pendono, la maggior parte, alla robustezza maschile,
e tra le morlacche de' villaggi que' Pigmaleoni che volessero consumare qualche
staio di sabbia nel ripulirle, avrebbero de' bei simulacri animati), la loro “ontologi-
ca” e mercenaria sensualità (Le donne illiriche sono meno fedeli in amore delle
donne italiane; […] accecate e sforzate dal loro temperamento ardente, dall'effetto
del clima, dalla lor povertà, e sedotte facilmente dalla lor credulità a mancare di
fede);56 il Gozzi che a Zara vive la sua educazione sentimentale con varie corsare
di Venere57 e che sperimenta il proprio noviziato teatrale ideando e interpretando
la “sua” dalmatina, quella Luce buffoncella servetta che è degna antitesi dell'eroi-
ca Zandira goldoniana.58 Eppure, accenti che nella bocca sensuale e mendace di
una delle varie femmine dalmate gozziane avrebbe potuto suscitare solo le più
grevi risate - Amor sull'alme impera, / Ma un'illirica donna usa a parlar sincera59
- inaugurarono, nella nuova rappresentazione goldoniana, la modulazione di
un'inedita struttura di atteggiamento e di riferimento.60 Davvero imponente
insomma la trasmutazione prospettica che dovette prodursi in quell' autunno del
1758 nel veneziano teatro di San Luca, allorché l'appassionata Caterina
Bresciani61 entrava in scena scandendo con fierezza:
56
Op. cit., pp. 71-72 (dalla parte prima, cap. IX).
57
Op. cit., p. 92 (p. I, cap. XII): la memorabile definizione è riservata alla “dalmatina” che domina nei
capitoli zaratini della prima parte, Tonina (una delle più belle giovanotte popolane che vedesse
occhio umano […]. Ella aveva di molti spasimanti, e le sue cattiverie, i suoi nascondigli e l’ esca
che sapeva dare a parecchi merlotti, diveniva cosa materiale e da poche lire, e nondimeno ella
sapeva venderla de’ zecchini, op. cit., p. 89); meritevoli di una citazione integrale sarebbero i capitoli
della seconda parte che recuperano in analessi il noviziato erotico dell’ autore: una narrazione che
- come ha efficacemente sintetizzato Larry Wolff - demonstrated an imperial pattern of seduction,
coercion, and exploitation (Wolff, Venice and the Slavs, op. cit., p. 36). Sarà opportuno natural-
mente sottolineare che dietro il rabbioso conservatorismo, il plateale approccio “imperialista” di
un Carlo Gozzi si esprime comunque una capacità diagnostica delle miserie e delle condizioni di
sfruttamento coloniale in cui versava la Dalmazia settecentesca che è invece programmaticamente
estranea alle sublimate (e sublimanti) rappresentazioni goldoniane: ma le implicazioni di tale
tema sono senz’ altro meritevoli di separata e distesa trattazione.
58
I miei scorci muliebri dalmatini; le mie malizie in sugli aneddoti noti de’ miei compagni e della città,
esposte con arti decenti e con delicatezza; i miei rimproveri; la mia ostentata castità; i miei riflessi,
i miei lamenti, fecero tanto ridere il provveditore generale e tutti gli ascoltatori, che mi fu accordata
universalmente la vittoria di poter essere considerata la più valente e buffoncella servetta che sia
comparsa in sui teatri (Gozzi, Memorie inutili, op. cit., pp. 78-79 (parte prima, cap. XI).
59
Dalmatina, EN, I.6.35-36.
60
Per la definizione di tale categoria critica, d'obbligo il riferimento alla produzione di Edward W.
Said (in particolare Orientalismo. L'immagine europea dell'Oriente, Milano 1999 e Cultura e
imperialismo. Letteratura e consenso nel progetto coloniale dell'Occidente, Roma 1998).
61
Lo stesso autore, nella prefazione alla commedia, riconosceva all'interprete un ruolo essenziale
nel clamoroso riscontro spettacolare dell'opera: la valorosa signora Catterina Bresciani ha
sostenuto con tanto spirito, e verità il carattere della dalmatina, che ha meritato gli applausi di
tutti, e specialmente degli schiavoni (dall' “Autore a chi legge”, in Dalmatina, EN. Sulla Bresciani,
cfr. ivi il relativo commento).
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Dalmatina, EN, I.3.19-22, 28, 30-34.
63
Travolgimento e modifica che, giusta le fondamentali indicazioni di Hans Robert Jauss, si
producono attraverso la negazione di esperienze familiari o la presa di coscienza di esperien -
ze che giungono ad espressione per la prima volta (H. R. Jauss, “Storia della letteratura come
provocazione nei confronti della scienza della letteratura”, in Storia della letteratura come
p r o v o c a z i o n e, a cura di P. Cresto-Dina, Torino 1999, pp. 166-225, la citazione a p. 197). Sullo
straordinario riscontro spettacolare dell'opera, cfr. quanto segnalato s u p r a, n. 37; si consideri
inoltre la testimonianza dello stesso autore: La mia Dalmatina è una di quelle commedie che
in Venezia principalmente mi hanno fatto il maggior onore. Ho veduto il popolo interessato ad
accoglierla, e farle festa (dalla dedica al Pisani, op. cit., in D a l m a t i n a,EN).
64
J'avois lu les Amazones de Madame du Boccage: j'imaginai une piece à-peu-près du même genre;
mais elle avoit choisi les héroïnes du Termodonte pour sujet d'une tragédie, et je pris une femme
courageuse et sensible de la Dalmatie pour le sujet d'une tragi-comédie, que j'intitulai la Dalmatina
(Mémoires II, cap. XXXIV, in I 390; in questo stesso luogo ricorre anche la definizione, citata a
testo, della Du Boccage come Sapho Parisienne). Merita sottolineare che solo nei Mémoires (e
dunque in un contesto particolarmente favorevole a tale tipo di dichiarazioni) l'autore esplicitò il
presunto modello, per la Dalmatina, del dramma della Du Boccage, mentre nessun riferimento a
possibili fonti presenta la sede più deputata al riconoscimento della genealogia letteraria del testo,
cioè la prefazione dell'opera (spazio appunto spesso utilizzato dall'autoesegesi goldoniana; per
limitarsi ad un esempio tratto dalla produzione “esotica”, si veda come la prefazione della
Peruviana - in IX 743-744 - istruisca il lettore sui rapporti genetici che legano la pièce al romanzo
di Madame de Graffigny). La critica non ha mancato di rilevare l'insussistenza e la pretestuosità
della tardiva indicazione dell'autore: Chiunque abbia la pazienza di leggere quei due drammi (e non
so per quale dei due ce ne voglia di più!) vedrà che nel lavoro del Goldoni non c'è proprio nulla del
francese, e che la è stata soltanto una cortesia del Goldoni verso la Du Bocage, da lui conosciuta di
persona [ … ] l'asserire di doverle la Dalmatina (cfr. recensione di E. Maddalena a C. Rabany, Carlo
Goldoni. Le théâtre et la vie en Italie au XVIII siècle, Parigi 1896, in Ateneo veneto, anno 20, 1
(aprile-maggio 1897), 271; cfr. anche idem, “Noterelle goldoniane. 'La Dalmatina' ”, Il Dalmata,
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Zara 8 agosto 1891, nº 73: di fatto i due drammi non hanno nulla di comune, né per il contenuto né
per gli episodi, e si piglierebbe un granchio a voler riguardare questo come fonte di quello). Un labile
legame potrebbe tutt'al più essere riconosciuto nella figura dell'amante, conteso fra due donne -
punto del resto onde muove già la Sposa persiana - e in quel tanto di ardimentoso e di guerresco
ch'è nel linguaggio e negli atti della protagonista Zandira che dalla violenza del corsaro si difende
con la scure (idem, La “Dalmatina” del Goldoni, op. cit., p. 4). La figura dell'amante conteso - nella
Dalmatina rappresentato dal greco Lisauro - documenta d'altronde un legame della tragicommedia
goldoniana con un romanzo di Barthélemy Marmont du Hautchamp (Rethima ou la Belle
Georgienne, 1735-36), che, come è stato persuasivamente argomentato, influenza il plot narrativo
di ben tre “esotiche” goldoniane (Dalmatina, Bella selvaggia e Bella giorgiana): nello specifico della
Dalmatina, tale possibile legame è riconoscibile nel fatto che la protagonista destinata, all'inizio
della vicenda al serraglio del Gran Serraglio della Porta Ottomana con altre fanciulle georgiane a
titolo di tributo, viene salvata durante il viaggio per mare e affidata ad un greco, Brigandini, che
promette di farla educare e di sposarla e che poi invece si rivela un perverso (Del Beccaro,
“L'esperienza 'esotica' del Goldoni”, op. cit., 96-97). Sorprende pertanto che al rapporto con il
dramma della Du Boccage sia tornato a prestare attenzione - e nella totale indifferenza a quanto
posto sinora in luce dalla letteratura critica d'argomento - il più recente contributo sulla Dalmatina
(Da Pozzo, “Coerenza e sperimentalità goldoniana nella 'Dalmatina' ”, op. cit., 19-21).
65
Cfr. G. Ortolani, “Patria e libertà nei teatri veneziani del Settecento”, Gazzetta di Venezia, 2 gennaio
1926. L’ opera del Chiari chiamata in causa è Cordova liberata dai Mori (andata in scena al Sant’
Angelo nello stesso autunno 1758 in cui al San Luca trionfava La dalmatina). Per un’ analisi del
rapporto tra le due pièces, cfr. comunque infra.
66
L'utilizzo del repertorio del Salmon per la cosiddetta “trilogia persiana” è oggi puntualmente
ricostruito in Pieri, “Commento”, in Goldoni, La sposa persiana, op. cit.; mentre ne hanno
illustrato il rapporto con La bella georgiana i contributi di N. K. Orlòvskaja, “'La bella
Georgiana' di Carlo Goldoni”, Trudy tbilisskog gosudarstvennogo universiteta 101 (1962), 81-
96 e N. Kaucisvili, “A proposito della 'Bella georgiana' del Goldoni”, Studi goldoniani 1 (1968),
135-142..
Mai rilevate invece, e nemmeno ipotizzate, le suggestioni che, anche in riferimento alla
Dalmatina, Goldoni avrebbe potuto ricavare dal repertorio del Salmon. Esse figuravano nella parte
seconda del t. XX, Che comprende la città di Venezia, il Dogado, il trivigiano, il bellunese, il feltrino,
il Friuli, l'Istria, la Dalmazia e Levante veneto (edito nel 1751). Giova considerarne una possibile
campionatura: a) sulle virtù militari dei dalmati e la loro fedeltà alla Serenissima: Il mare tuttavia
in molti luoghi supplisce a' mancamenti della terra colle abbondanti pescagioni […]: fonte da cui
traggono in gran parte i suoi abitatori la sussistenza, congiungendolo a quello, che lor somministra
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l'arte militare, cui siccome genti animose, robuste, e frugali pajono dalla natura istessa inclinati. Le
migliori truppe di marina della Repubblica si traggono per lo più da questa provincia: né in verun
tempo hanno dato segni di viltà o di timore; tutta la nazione Dalmatina generalmente si pregia di
singolare fedeltà verso il suo Principe, e di marzial valore, e nelle recenti guerre della Repubblica ne
ha copiose testimonianze. b) Sullo specifico del valore bellico nella popolazione di Cattaro, a cui
appartiene il goldoniano Radovich: oltre alle moderne fortificazioni, e un grosso presidio, la piazza
[di Cattaro] siccome frontiera è guernita di buone artiglierie, di magazzini, e d'altri militari attreccj;
e i suoi abitanti possono computarsi come altrettanti buoni e animosi soldati. c) Sulla fierezza
muliebre: [nei dintorni di Zara, a Selve o Silba, 600 ab.] la campagna, non gran fatto feconda di
biade e vino, è coltivata dalle femmine, le quali in oltre sono tanto animose e gagliarde, che
occorrendo, sarebbono sufficientissime a guardare la villa dagl'insulti dei corsari; [durante gli
assedi turchi di Sebenico, 1539 e 1569] ritentatane da essi [turchi] la espugnazione, ne riportarono
tanto maggior confusione e vergogna quanto che usciti già dalla città in partita contra il nimico
quasi tutti gli uomini, le sole femmine, rinnovando gli antichi esempi di Salona si difesero con tal
vigore, che giunto l'ultimo soccorso, furono costretti i turchi a levare il campo, ed andarsene; dicesi
che [Salona, città vicino Spalato, un tempo nobile e vasta, sede degli antichi Re dell'Illiria] assedia -
ta da' Romani a' tempi di Augusto, fosse gagliardamente difesa dalle femmine, che uscite valorosa -
mente di notte posero il fuoco al campo Romano, e lo costrinsero a ritirarsi. E in vero le donne del
paese de' giorni nostri non lasciano dubitare della verità del racconto, robuste e animose come sono
(T. Salmon, Lo stato presente di tutti i paesi, e popoli del mondo naturale, politico e morale. Con
nuove osservazioni, e correzioni degli antichi e moderni viaggiatori [1725-1738], vol. XX, p. II, Che
comprende la città di Venezia, il Dogado, il trivigiano, il bellunese, il feltrino, il Friuli, l'Istria, la
Dalmazia e Levante veneto, Venezia 1751, pp. 301, 326, 327, 331-332, 409, 445-446. Sulla larga
diffusione negli ambienti intellettuali della città, nonché sugli errori dell'opera, cfr. P. Preto, Venezia
e i turchi, Firenze 1975, pp. 411-412 e relativa bibliografia ivi citata).
67
Per un Pietro Nutrizio Grisogono, ad esempio, le donne al par delle lacedemoni, riguardano con
disprezzo i bisogni a quali la natura non le ha assoggettate e sono instancabili più che gli uomini
alla fatica e alla sofferenza (P. N. Grisogono, Riflessioni sopra lo stato presente della Dalmazia,
Firenze 1775, cit. in Venturi, Settecento riformatore, vol. 5, t. 2, cit., p. 349). Sul valore bellico delle
donne dalmate si vedano le esemplificazioni documentarie prodotte in A. Berlam, “Le milizie
dalmatiche della Serenissima ossia i fedeli Schiavoni”, La Rivista dalmatica 59 (1988), 4, 311.
68
È la sintomatica espressione con cui veniva designando la Dalmazia Marco Foscarini nell'orazione
pronunciata al Maggior Consiglio il 17 dicembre del 1747 (Degli inquisitori da spedirsi nella
Dalmazia, ora in E. Morpurgo, Marco Foscarini e Venezia nel secolo XVIII, Firenze 1880, pp. 195-
235; la citazione a p. 231). Sul valore politico e culturale di tale orazione, cfr. infra, n. 84.
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69
La dalmatina, I.3.35-44 (sono versi che la protagonista pronuncia durante la sua prima comparsa
in scena) e V.ultima.76-80, in Dalmatina, EN.
70
Così il provveditore generale di Dalmazia e Albania Antonio Priuli nella sua relazione consuntiva
del marzo 1670, in Commissiones et relationes venetae, vol. 8 (annorum 1620-1680), a cura di
G. Novak, Zagabria 1977 [Monumenta spectantia historiam Slavorum meridionalium 51], p. 15.
71
Cfr. P. Del Negro, “La politica militare di Venezia e lo stato da mar nel Sei-Settecento”, Studi
Veneziani n.s. 39 (2000), 120: Se nel Tre-Quattrocento erano i greci di Cipro e delle altre isole del
Mediterraneo orientale ad essere designati quali oltramarini, fin dal Cinquecento tale etichetta
era stata estesa a tutti coloro che erano di lingua greca e in seguito anche a coloro che parlava -
no lingue diverse dal greco, ma che erano di rito greco. Infine, a partire dagli anni a cavallo tra
Sei e Settecento si era gradualmente imposta l'identificazione degli oltramarini anche, se non
soprattutto con gli schiavoni, in larga maggioranza croati, della Dalmazia. Un fenomeno questo,
dello spostamento del baricentro militare all'interno dello stato da mar dai greci agli slavi, che si
può ricondurre, in parte, alla significativa ristrutturazione territoriale dei domini veneziani, che
aveva visto sul fronte della Grecia perdite significative come quella di Candia oppure conquiste
effimere come quella della Morea e al contrario una costante, ancorché relativamente parsimo -
niosa, dilatazione dei possedimenti veneziani in Dalmazia a spese degli Ottomani.
72
Così nell’ espressione di un Morosini, cit. in E. Concina, Le trionfanti et invittissime armate
venete. Le milizie della Serenissima dal XVIº al XVIIIº secolo, Venezia 1972, p. 31.
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73
Da non confondere con “cappelletti” o “albanesi”, gli schiavoni di Dalmazia conobbero una loro
propria regolarizzazione istituzionale durante la guerra di Candia; in precedenza le milizie
irregolari dalmate, preesistenti, ausiliarie da secoli delle armate venete, erano valorose bensì,
ma indisciplinate e dedite al saccheggio […], dopo le esperienze fatte nella lunga guerra di
Candia, si formarono i primi reggimenti regolari di schiavoni, in cui primeggiavano i bocchesi,
che ebbero agio di distinguersi nelle guerre che ebbero luogo precipuamente fra il 1684 e il
1718, nelle armate di Cappello, di Cornaro, di Dolfin, di Grimani e di Mocenigo, perfezionan -
dosi sempre più sino alla caduta della Repubblica (Berlam, “Le milizie dalmatiche”, op. cit.,
312-313). Anche Radovich è un “bocchese” (Cattaro è il suol nativo del mio consorte eletto […]
prole de' Radovicci, stirpe gloriosa, antica, I.3.55 e 61): le Bocche di Cattaro (apertura di un
diramato golfo che intacca profondamente la costa all'estremità meridionale della Dalmazia)
furono teatro di guerre lunghe e logoranti, nelle quali i bocchesi a fianco dei veneziani compiro-
no prodigi di valore celebrati da tutta l'Europa.
74
Dalla prefazione alla “commedia”, in Dalmatina, EN.
75
Per la natura dell’ opera e i suoi tempi di composizione, cfr. Scannapieco, “Scrittoio, scena, torchio”,
op. cit., 190-191.
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76
Per il solenne ingresso di Sua Eccellenza il signor Giovanni Francesco Pisani, op. cit., in XIII 892.
77
Cfr. M. Viroli, Per amore della patria. Patriottismo e nazionalismo nella storia, Roma-Bari
1995, in part. pp. 63-92.
78
Così Giorgio Morosini in un rapporto al Senato del 1673, cit. in Berlam, “Le milizie dalmati-
che”, op. cit., 305.
79
Gli schiavoni costituivano, fra le altre cose, la più appariscente nota di colore dell'esercito veneto
settecentesco e in quanto tali erano utilizzati come la più scelta guardia d'onore dei pubblici rappre -
sentanti (Concina, Le trionfanti et invittissime armate venete, op. cit., p. 32). La loro è una uniforme
di barbarico splendore che ben si addice, nel Settecento, agli ormai tramontati sogni veneziani, e che
le documentazioni iconorafiche consentono di descrivere in dettaglio: l'ufficiale indossava una
velada di panno, naturalmente cremisi [colore prescritto dal 1724], foderata di “taffettà blu”,
impreziosita di gallonatura d'oro, bottoniere ed asole dorate, paramani di panno bleu gallonati
anch'essi; camisiola ancora turchina, cintura d'oro, lunghi calzoni attillati, stivaletti ed al fianco la
larga schiavona dal fodero di pelle nera luccicante di fornimenti anch'essi dorati. Come copricapo il
colbacco, il “berrettone” della terminologia veneta, di pelo d'orso bruno e panno rosso (op. cit., p. 37).
80
Così viene definita la tragicommedia nella dedica al Pisani, op. cit.
81
La scena è in Marocco, a Tetuan; ad un’ ambientazione barbaresca era non a caso stato legato
il presumibile esordio della produzione esotica goldoniana: cfr. Anna Scannapieco, “Alla ricerca
di un Goldoni perduto: ‘Osmano re di Tunisi’ ”, Quaderni Veneti 20 (dicembre 1994), 9-56.
82
La strategia politico-militare adottata dalla Serenissima a partire dalla guerra di Candia prevedeva
una neutralità più che mai disarmata in terraferma e una mobilitazione in armi a Venezia e nelle
sue retrovie marittime, lo stato da mar, i domini dai quali, tra l'altro, la Repubblica sperava di poter
trarre le truppe necessarie alla protezione della città lagunare. […] Da una parte uno stato da terra
neutrale, dall'altra uno stato da mar base di una politica militare attiva: ecco, in estrema sintesi, la
contraddizione di fondo della strategia della Serenissima (cfr. Del Negro, La politica militare di
Venezia, op. cit., p. 117). Sullo stato da mar era dunque proiettata l'esigenza di ridefinire e salvaguar-
dare l'identità dello stato marciano, con l'avvertenza che mentre nel '600 gli scenari di guerra erano
stati Candia, Dalmazia, Albania veneziana (litorale montenegrino), Morea, Egeo e sue isole, isole
Ionie e costa greca prospiciente; nel secondo Settecento essi risultano dislocati nel Mediterraneo
occidentale, dove la Serenissima fronteggia quei barbareschi (i corsari musulmani che avevano le
loro basi a Tripoli, Tunisi e Algeri) di cui è preciso riflesso nella Dalmatina. Non è quindi condivisi-
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bile la pur suggestiva interpretazione data al riguardo da Larry Wolff, secondo cui la dislocazione
nel Marocco musulmano della vicenda con protagonista l'eroina dalmata sarebbe stata funzionale
all'orientalizzazione della Dalmazia, a sua volta resa necessaria dall'esigenza di porre in scena t h e
formulation of an ideology of Adriatic empire (cfr. Wolff, Venice and the Slavs, op. cit., pp. 25-27).
83
Paladini, “Un caos che spaventa”, op. cit., p. 14. Com'è noto, la perdita della Morea (1718) aveva
segnato una profonda cesura ideologica nella politica veneziana e in particolare nelle sue
prospettive mediterranee. Già il futuro doge Carlo Ruzzini, all'epoca delle trattative ministro
plenipotenziario veneto, aveva potuto vedere alcuni preziosi vantaggi nei nuovi acquisti
dalmatici (la cosiddetta “linea Mocenigo”) connessi alla perdita della Morea: da una parte [il
contraccambio] avrebbe comunque potuto accentuare una vocazione continentale per lo stato
da mar, nella prospettiva dell'apertura commerciale sui Balcani e soprattutto nella speranza di
poter produrre sulle stesse regioni oltremarine quanto bastasse alla loro autosufficienza.
Dall'altra, esso offriva comunque una base per la riorganizzazione dei rapporti tra potenze
concorrenti sul quadrante balcanico: una base per garantire gli spazi e i tempi della neutralità e
del raccoglimento di Venezia, che sullo scacchiere adriatico-orientale conviveva da secoli con
un continuo stato di guerra e di guerriglia (cfr. op. cit., pp. 25-27).
84
Venturi, Settecento riformatore, vol. 5, t. 2, op. cit., p. 424. Nella sua orazione Foscarini sosteneva
appassionatamente la necessità di un energico intervento in Dalmazia (la primogenita provincia
era stata abbandonata allo sfruttamento di funzionari che accentravano nelle proprie mani poteri
militari, giudiziari, amministrativi e fiscali); formulava una vibrante denuncia del fiscalismo,
delineando una viva “rappresentazione” della comun desolazion che i depredatori delle provincie
avevano portato tra i Morlacchi e inchiodando in una dettagliata analisi gli errori e le colpe
commesse nella politica agraria, nella pastorizia, nelle finanze. Foscarini ottiene l'invio degli
“inquisitori”, ma i risultati furono molto scarsi: il problema della Dalmazia non poteva essere
seriamente affrontato su un piano puramente politico […]. Anche là, la via di una tentata riforma
passava attraverso le trasformazioni economiche, agricole, fondiarie. La legge del 1755 verrà ad
inaugurare una nuova fase anche in questo secolare problema dei rapporti di Venezia con il
dominio (F. Venturi, Settecento riformatore, vol. 1, Da Muratori a Beccaria (1730-1764), Torino
1969, pp. 285-287). Inoltre, come è stato osservato, l'orazione di Foscarini costituì un momento
propulsivo nell'elaborazione di una politica di ricolonizzazione e di integrazione nel Dominio
marciano dei territori dalmato-albanesi (Paladini, “Un caos che spaventa”, op. cit., p. 69); l'investi-
mento politico che, a partire da quell'orazione, il governo marciano espresse nei confronti della
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originali tra i molti che […] erano andati sviluppandosi nelle province venete
negli ultimi decenni del Settecento;84ed appena tre anni prima della Dalmatina
era stata varata quella legge Grimani85 che costituiva il primo punto d'approdo
del processo di radicale ripensamento politico dell'identità marciana avviato
dall'orazione di Foscarini.
Certo si può ben dubitare che la tragicommedia goldoniana partecipi
effettivamente di un movimento riformistico le cui principali caratteristiche
erano e sarebbero state una capacità eccezionale di analisi della società in cui
era stato chiamato ad operare così come un impegno particolarmente vigoroso
nell'affrontare i problemi morali e politici che nascevano dall'incontro e dalla
convivenza di popolazioni tanto diverse di mentalità, di lingua, di vita.86 E si può
anzi a ragion veduta sospettare che la teatralizzazione delle virtù illiriche fosse
funzionale ad una esigenza - se non consapevole, certamente stringente - di
sublimare le inquietanti smagliature che, come già accennato, proprio nel corso
del Settecento erano andate sempre più distintamente delineandosi nella
“primogenita provincia”.87 Una solidarietà d'intenti, quella tra Dominante e
province illiriche, variamente compromessa, se nel corso di due secoli il funzio-
sua “primogenita provincia” fece sì che lungo i cinque decenni che portarono a Campoformido
[1747-1797] s'avvicendarono diversi tentativi […] di reimpostare gli assetti proprietari e societari,
di sostenere un'economia stagnante e di volgere le attività periferiche alle esigenze del centro, di
colonizzare terre ritenute spopolate e decisamente disastrate da due secoli di guerriglia, di pacifi -
care territori e comunità travagliati da acerba conflittualità rurale e interconfessionale, di render
certa la proprietà lungo una frontiera aperta e permeabile. Le progettualità venete furono condizio -
nate da contrastanti esigenze interne ma anche da quelle della “competizione” internazionale. Esse
furono influenzate dalla pressione del modello asburgico, dalle riforme e dalla rinnovata vitalità
del Litorale austriaco e di Trieste - senz'altro -, ma soprattutto dall'esperienza di militarizzazione
dei territori liminari croati (op. cit., p. 15). Dal nostro punto di vista, è senz'altro da sottolineare con
Larry Wolff che gli interessi politici espressi da Foscarini nel '47, nonostante il suo conservatori-
smo, encouraged a younger generation of Venetians to think critically about their institutions, and
by making Dalmatia a serious subject for reformers, he put that province prominently on the
agenda of the Enlightenment in Venice (Wolff, Venice and the Slavs, op. cit., p. 41).
85
Sulla legge agraria intitolata al suo promotore (Francesco Grimani, provveditore generale in
Dalmazia e Albania) e promulgata nel luglio del 1755, cfr. Berengo, “Problemi economico-
sociali della Dalmazia veneta”, op. cit., pp. 474-477 e Paladini, “Un caos che spaventa”, op. cit.,
pp. 131-141 e passim.
86
Venturi, Settecento riformatore, vol. 5, t. 2, op. cit., p. 424.
87
Per i fenomeni dei movimenti migratori e del reclutamento clandestino, cfr. s u p r a, n. 32. Cfr.
inoltre Concina, Le trionfanti et invittissime armate venete, op. cit., p. 40, che analizza la decadenza
settecentesca delle milizie schiavone, ricordando la crescente difficoltà degli arruolamenti e la
dilagante mancanza di disciplina; lo studioso non manca peraltro di rimarcare come proprio dal
nucleo militare dalmata, pur irrimediabilmente sfoltito nei ranghi, si sarebbe poi espresso l’
unico atto di difesa della Serenissima agonizzante. Per una disamina dei dati documentari e
storiografici relativi a tale circostanza, che sembra per tanti aspetti ricavare il suo fondamento
mitopoietico proprio dalla tragicommedia goldoniana, mi permetto di rinviare all’ “Introduzione”
e al “Commento” di Dalmatina, EN.
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È quanto si legge ne Lo Squitinio del Generalato di Dalmazia, una critica serrata delle istituzioni
veneziane redatta negli anni quaranta del Settecento, per cui cfr. Paladini, “Un caos che spaven -
t a ”, op. cit., pp. 42-50. In tale scritto, che giungeva a formulare la minaccia esplicita di rescissione
della sudditanza, riprendendo […] topoi classici della letteratura dell' “antimito”, l'immagine
d'equità che legittimava da secoli la dominazione veneta viene capovolta […] in un fosco quadro
d'oppressione (op. cit., pp. 44 e 46). La celebrazione dell'ottimale contemperanza di rigore e
clemenza che avrebbe connotato - secondo la “letteratura del mito” - il buongoverno della
Serenissima risuona invece a chiare note nella partitura drammaturgica della tragicommedia
goldoniana (cfr. il Commento a Dalmatina, I.3, EN).
89
È la tesi, peraltro argomentata con grande finezza d'analisi, del più volte citato Larry Wolff: The
province [Dalmazia e Albania] became the focus for Venice's final fantasies of imperial
resurgence, as the gondola of state glided toward political annihilation at the century's end. […]
Dalmatia was Venice's America, though small in size and close at hand, just across the Adriatic,
replete with savage tribes and civilizing missions; the Venetian Enlightenment fashioned a richly
elaborated ideology of empire upon the province's slender territorial base. Nel concentrarsi su
questi interessi dalmatici la cultura illuministica veneziana contribued culturally to an agenda
of imperial concerns: the political coherence of the Adriatic empire, the economic development
and even exploitation of provincial resources, the cultivation of the patriotic loyalty of the Slavs
to the Venetian Republic of San Marco, and the disciplinary administration of the Morlacchi in
the name of civilisation (Wolff, Venice and the Slavs, op. cit., pp. 5-8).
90
Nella definizione mitografica che, nella parte conclusiva della pièce, la protagonista traccia del
cor magnanimo dei valorosi, la fisionomia dell'eroe illirico a cui lei sta pensando (il promesso
sposo Radovich) è chiaramente disegnata sulla filigrana di quell'eroe militare di estrazione
patrizia di cui, fra gli altri, avevano già fornito paradigmatica interpretazione vari membri della
famiglia del dedicatario della tragicommedia, Gian Francesco Pisani: cfr. il commento a V.5.75-
94 in Dalmatina, EN.
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Sui modi in cui la critica ha valutato la caratterizzazione dell'elemento greco si veda quanto
documentato e discusso nell' “Introduzione” e nel “Commento” di D a l m a t i n a, EN: la sostanziale
uniformità e continuità dell'approccio interpretativo sono inversamente proporzionali alla sua
sussistenza critica, come consentono di constatare - oltre che le stesse dichiarazioni dell'autore
- la centralità e la complessità drammaturgiche del personaggio di Lisauro (per certo non risolvibile
in una rappresentazione manichea del “greco mendace”), nonché la stessa varietà con cui è
modulata la declinazione drammaturgica della rappresentanza greca (accanto a Lisauro, agiscono
- e con connotazioni inequivocabilmente positive - il padre Canadir, assennato interprete dell'
onore e del patriottismo, e la sposa abbandonata Argenide, capace di esprimere virtù concorrenziali
a quelle della protagonista Zandira); d'altronde, come sinteticamente scandisce Radovich, Grecia
è patria onorata, madre d'eccelsi eroi (Dalmatina, EN, IV.6.55).
92
Il corsaro Alì figura complessivamente in solo cinque scene (delle complessive 51), peraltro
concentrate nelle “espansioni” spettacolari della pièce (tre scene del secondo atto e due del quarto):
per una più completa definizione critica del personaggio, cfr. il relativo commento in Dalmatina, EN.
93
La dalmatina V.1.57b-66, op. cit.
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Se uniforme è la distribuzione dei tre personaggi nello sviluppo della trama (Ibraim è assente solo
nell'atto quarto, Radovich e Zandira nel terzo), diverso è il grado della loro frequenza in scena
(di contro alle 18 presenze di Ibraim, Zandira e Radovich ne contano rispettivamente 16 e 13).
95
Se ne consideri la seguente campionatura (ma per un quadro più completo cfr. Dalmatina, EN):
Ed io ch’ esser mi vanto giusto governatore (I.1.18); benché in Affrica nato, la tirannia ho in
orrore (I.3.98); [a Zandira] ti amo, è ver, lo ridico, ma la ragion mi appaga ( I . 3 . 1 3 0 ); [ad Alì]
punir poss’ io l’ orgoglio d’ un’ anima sì ardita. / Ma all’ amor, all’ etade, al tuo valor perdono, /
sai che le stragi abborro, sai che crudel non sono. / Cangia lo stil protervo, il tuo dover compren -
di (II.7.40-43); Proteggo i monsulmani, ma vuo’ nella mia sede / che di Maometto i servi non
manchino di fede (II.13.5-6); [ad Argenide] Frena il duol furibondo. Cangia le voci insane, / sei
nell’ Affrica, è vero, ma non fra tigri ircane. / Lisauro è in libertade; ma ancor fra noi risiede /
dove punir si suole chi manca altrui di fede (III.11.23-26); Pria che si rende Argenide agli avidi
mercanti, / di renderle giustizia vuo’ procurare innanti: / del pubblico interesse si aspetta a me
la cura, / ma ho pietà degli schiavi per legge di natura. / So che se alcun de’ nostri degli Europei
va in mano, / trova dai cuor pietosi un trattamento umano. / Ed io serbo nell’ alma questo
pensiero impresso, / uso quella pietade che piaceria a me stesso (V.1.49-56). Altrettanto signifi-
cativo il riconoscimento che viene dagli altri personaggi: [Zandira:] La virtù, la giustizia regna
per tutto il mondo: / gradisco i doni tuoi (I.3.99-100); [il greco Canadir, sull’ amministrazione
della giustizia espressa da Ibraim:] Non te lo dissi, o figlia, veglia de’ numi il zelo (III.11.31).
Cfr. inoltre la successiva citazione a testo.
96
Op. cit., V.ultima.29-32.
97
Op. cit., II.6.25-26.
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L’ Amore della Patria, o sia Cordova liberata dai Mori; perocché con quest’ ultimo titolo più
popolare fu ella prodotta la prima volta su’ teatri di Venezia nell’ autunno dell’ anno 1758 e vi
fece dello strepito per dieci sere continue. Io medesimo non la giudico molto regolare nelle sue
parti; ma a diferenza d’ altri non pochi l’ ho sempre giudicata agli occhi del volgo, che non
esamina le cose sì per minuto, d’ un sicuro riuscimento (P. Chiari, “Osservazioni sopra le
Commedie del Tomo presente”, in Commedie in versi, vol. 7, Venezia 1760, p. 3).
99
Op. cit., atto IV, scena 5, p. 61.
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Op. cit., atto II, scena 1, pp. 22-23.
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1
L'argomento è oggetto di un volume, di prossima pubblicazione (Bulzoni ed., 2004). Parte del
lavoro sui buffoni veneziani è già pubblicata in D. Vianello, “Tra inferno e paradiso: il 'limbo' dei
buffoni”, Biblioteca Teatrale 49-51 (1999), 13-80.
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In area diversa rispetto a quella qui analizzata ed in tempi non sospettabili di sopravvivenza
dell'antico, si pensi agli interventi buffoneschi di Tristano Martinelli nelle commedie di
Giambattista Andreini. Analogamente, la particolarissima commedia Li buffoni di Margherita
Costa è opera di fusione e di forti contaminazioni tra i due versanti. Dedicata al buffone
Bernardino Ricci, in arte Tedeschino, essa è introdotta da un prologo in cui la disputa tra
Buffoneria e Commedia ben evidenzia storiche divergenze ed autonomia dei rispettivi ambiti. Altro
esempio significativo per una possibile revisione della storia della buffoneria è il trattato di
Bernardino Ricci, intitolato Il Tedeschino ovvero Difesa dell'Arte del Cavalier del Piacere. La
qualifica di “Cavalier del Piacere” rispecchia una lunga tradizione di analoghe investiture. Buffoni,
assurti al grado di cavaliere, popolano epoche e corti diverse; nel Cinquecento e nel Seicento essi
sembrano utilizzare il titolo per nobilitare il proprio mestiere. La ragionata apologia del Ricci, colto
esponente della buffoneria seicentesca, sottolineando la convenevolezza ed il decoro quali
atteggiamenti morali propri del buffone, si costruisce sulle pretese origini antiche e colte della
buffoneria, con il preciso intento di contrapporsi alla praticata “difesa” dell'arte comica (a riguardo
si veda B. Ricci, Il Tedeschino overo Difesa dell'Arte del Cavalier del Piacere. Con l'epistolario e
altri documenti, a cura di T. Megale, Firenze 1995, con particolare riferimento alle pp. 16-18).
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Si vedano ad esempio [s.a.], Una historia bellissima…, [Venezia 1513 ca], oggetto di un prezioso
studio di V. Rossi (Novelle dell'altro mondo, Bologna 1929); [s.a.], Il Lamento di Domenego Taglia
c a l z e, [Venezia 1513], che ha trovato debita attenzione in un saggio di Paola Ancillotto e Luigina
Berti (“Il lamento del buffone Tagliacalze”, Filologia Veneta 1 (1988), 227-258); A. Caravia, Il
Sogno dil Caravia, Venezia 1541, ristampato recentemente da Elena Benini-Clementi (Riforma
religiosa e poesia popolare a Venezia nel Cinquecento. Alessandro Caravia, Firenze 2000). A
proposito cfr. R. Guarino, Teatro e Mutamenti. Rinascimento e spettacolo a Venezia, Bologna
1995, pp. 185-232; e Vianello, “Tra inferno e paradiso: il 'limbo' dei buffoni”, op. cit., 13-80.
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4
J. Starobinski, Ritratto dell’ artista da saltimbanco, Torino 1991.
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5
Cfr. K. Trautmann, “Italienische Schauspieler am bayerischen Hof”, Jahrbuch für Münchner
Geschichte 1 (1889), 259-430.
6
P. Aretino, Le sei giornate, a cura di G. Aquilecchia, Roma-Bari 1980, p. 46; per le Lettere di
Lasso cfr. H. Leuchtmann, Orlando di Lasso, Briefe, Wiesbaden 1977, pp. 66-67 lettera nº 7, p.
70 lettera nº 8. Sull'argomento, ed in particolare sul “recitar dietro cortina” in quanto incarna-
zione significativa dello specifico spettacolare e dello statuto monologico tipico della contraffa-
zione buffonesca, si veda Vianello, “Tra inferno e paradiso, il 'limbo' dei buffoni”, op. cit., 17-33.
7
I Dialoghi compaiono in due edizioni, una monacense del 1568 ed una veneziana del 1569,
edizioni che non differiscono molto tra loro: M. Troiano, Discorsi delli triomfi, giostre, apparati, e
delle cose più notabili fatte nelle sontuose nozze dell'Illustrissimo et Eccellentissimo Signor Duca
G u g l i e l m o, Monaco 1568; idem, Dialoghi di Massimo Troiano: ne' quali si narrano le cose più
notabili fatte nelle nozze dello Illustriss. & Eccell. Prencipe Guglielmo, Venezia 1569. L'edizione
veneziana è stata ristampata in Germania da H. Leuchtmann (a cura di), Die Münchner
Fürstenhochzeit von 1568... Deutsche Übertragen, mit Nachwort, Anmerkungen und Register
Versehen, Monaco 1980.
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8
Sulla Narrentreppe si vedano, tra gli altri, F. Mastropasqua, “Lo spettacolo del Recueil Fossard”,
in F. Mastropasqua - C. Molinari, Ruzante e Arlecchino: tre saggi sul teatro popolare del
Cinquecento, Parma [1970] [Quaderni di Ricerca dello Studio Parmense 2], pp. 91-125; F.
Rauhut, “La commedia dell'arte italiana in Baviera: teatro, pittura, musica, scultura”, in Studi
sul teatro veneto fra rinascimento ed età barocca, a cura di Maria T. Muraro, Firenze 1971
[Civiltà veneziana, Studi 24], pp. 241-271; Caterina Limentani Virdis, “Committenza, teatro,
pittura a Landshut nella seconda metà del Cinquecento”, Filologia Veneta 1 (1988), 259-278,
in part. 261; M. A. Katritzky, “Orlando di Lasso and the commedia dell'arte”, in Orlando di
Lasso in der Musikgeschichte, Monaco 1996, pp. 133-155, in part. p. 137. A. Leik, Frühe
Darstellungen der Commedia dell'arte: eine Theaterform als Bildmotiv, Neuried 1996, pp. 40-77.
Si tratta di voci più o meno omogenee che, sulla base di una gratuita interpretazione di notizie
e singoli episodi, considerano il ciclo come registrazione visiva dello spettacolo del 1568
descritto nei Dialoghi di Massimo Troiano, sottolineando somiglianze dirette tra alcune scene
della celebre commedia ed altrettante immagini presenti nella scala, e rilevando in entrambi una
chiara allusione alle nozze di Guglielmo V e Renata di Lorena.
9
Cfr. le immagini della scala qui riportate.
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atletici) farebbe pensare ad attori celati sotto i costumi, sebbene, a mio parere,
le immagini propongano generici interpreti nei panni di personaggi. 10 Allo
stesso modo, i gruppi di figure affrescati sono chiaramente modulati sui topoi
delle scene comico-buffonesche, acquisite e rielaborate dalla commedia
all'italiana (con particolare riferimento ai contrasti, alle lotte, alle serenate,
agli intrighi, alle messaggerie ruffianesche, ai giochi d'azzardo e ai lazzi
acrobatici); e non possono, pertanto, essere interpretati come puntuali descri-
zioni di una specifica commedia realmente rappresentata. Le posture di Dame
e Capitani, di Zanni e Pantaloni che animano le pareti e i soffitti del castello
esprimono atteggiamenti comici riscontrabili anche nella realtà extra-teatrale
delle maschere; dunque rinviano anche ad altre esperienze (danze in masche-
ra e travestimenti carnevaleschi). È l'insieme di tutti questi elementi a strati-
ficarsi nell'immaginario comico collettivo, fissato e diffuso attraverso la
moda decorativa tardo-rinascimentale in maniera a u t o n o m a, parallela e
svincolata dagli spettacoli stessi.
Tenendo conto della problematicità d'analisi insita in molti altri documen-
ti iconografici, vorrei sottolineare la felice indeterminatezza di quelle
immagini, piuttosto che individuare semplicistiche corrispondenze. Parlare di
precisi legami tra figure dipinte e loro referenti spettacolari diventa possibile
solo dopo aver individuato distanze effettive (in questo caso, tra l'insieme dei
diversi fenomeni spesso arbitrariamente classificati sotto la “mitica” etichet-
ta comune di “commedia dell'arte” e l'iconografia ad essa legata). Il valore
documentario di molte immagini legate alle maschere italiane andrebbe
pertanto rivisto, tenendo presente che la pittura di genere (cui per lo più esse
appartengono) non mira a riprodurre fedelmente una realtà particolare, ma
propone essenzialmente meta-realtà. Come tale, difficilmente può essere
utilizzata per fornire attendibili notizie sui comici e le loro esibizioni. Lo
spessore spettacolare attribuito a quelle immagini risulta così ridimensiona-
to; mentre sembra auspicabile che sia le fonti iconografiche e letterarie
indicate, sia la documentata pluricompetenza di artisti, musicisti, gioiellieri,
comici e buffoni italiani in area tedesca possano venire complessivamente
considerate in un'ottica multidisciplinare che colga il carattere liminale e
poliedrico, spesso sfuggente e trasgressivo dei fenomeni qui visitati.
L'analisi proposta addita l'opportunità di ulteriori approfondimenti.
10
Ad esempio, la postura dei Pantalone presenti nella scala non è quella di vecchi, ma di giovani
dal fisico atletico. Sulla controversa questione della fisicità nella rappresentazione sono note e
discusse le proposte di Taviani relative alle attitudini delle figure del Recueil Fossard. Cfr. F.
Taviani, “Un vivo contrasto. Seminario su attrici e attori nella Commedia dell'Arte”, Teatro e
Storia 1 (1986), 26-75, in part. 48.
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Alcuni spunti, degni di ulteriori indagini, sono tuttavia già stati indicati. Ciò
che emerge è la necessità di tener distinti gli spettacoli dei cosi detti comici
dell'arte da quelli buffoneschi e dal più vasto fenomeno d'irradiazione
europea di motivi tipici della cultura italiana del Rinascimento.
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1
J. Starobinski, Ritratto dell’ artista da saltimbanco, a cura di C. Bologna, Torino 1984, p. 51.
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In Italia è uscita presso Marsilio Editori nel 1981 la traduzione della prima parte della monografia
di Miklasevskij a cura di Carla Solivetti
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3
La monografia inizia con questa definizione: Gli elementi essenziali che servono a definire la
commedia dell'arte sono la creazione collettiva degli attori che elaborano in comune il testo
dello spettacolo e l'assenza di un autore singolo della pièce (K. Miklasevskij, La commedia
dell'arte, trad. di Carla Solivetti, Venezia 1981, p. 9).
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4
V. Mejerchol'd, Stat'i. Pis'ma. Reci. Besedy, 2 voll., Mosca 1968, in part. vol. 1, p. 215.
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5
G. Fuchs, Revoljucija teatra, San Pietroburgo 1911, p. 174. Fuchs, i cui saggi ebbero indubbia
inf luenza sul regista russo, riporta qui le parole del protagonista del romanzo di Goethe La
vocazione teatrale di Wilchelm Meister.
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6
Mejerchol’d, Stat’i. Pis’ma. Reci. Besedy, op. cit., vol. 2, p. 197.
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1
W. Puchner, “O ρόλος της µουσικής στο Kρητικό θέατρο”, in idem, Mελετήµατα θεάτρου. Tο
Kρητικό θέατρο, Athens 1991, pp. 179-210.
2
In fact there are musical elements in the intermedia and the baroque tragedy Z e n o n, but no
theatrical play is conceived as a libretto for musical composition.
3
See W. Puchner, “Scenic space in Cretan theatre”, Mandatoforos 21 (1983), 43-57 and in Greek
in the cited volume Puchner, Mελετήµατα θεάτρου, op. cit., pp. 153-178.
4
N. Panayotakis, “‰Eρευναι âν Bενετί÷α”, Thesaurismata 5 (1968), 45-118, esp. 62, plate H'.
5
N. Panayotakis, “Nέες ε¨δήσεις γιa τe Kρητικe Θέατρο”, in Kρητικe θέατρο. Mελέτες, Athens
1998, pp. 141-168, esp. p. 147.
6
A. Vincent, “Commedia dell’ Arte in Crete? The evidence of Santo Zeno”, Thesaurismata 24
(1994), 263-273.
7
One of the academic discourses at the end of the manuscript (written before 1640), which replies
to questions, asks, if the god of love, Eros, were to perform comedy, what part would he play. The
possibilities which are discussed are all stereotypic comic roles of Commedia dell’Arte (Capitano,
Dottore Gratiano, Trappolino; the Italian text in Vincent, “Commedia dell'Arte”, op. cit., 271-
273). That means that the delivering of or reading of this discourse presupposes familiarity with
the comic figures of Commedia dell’Arte, but it does not prove actual performance of that genre in
Crete. Anyway, Santo's description of Trappolino seems to be based on eyewitness of a perfor-
mance, not just reading of scenarios. Vincent comes to the conclusion that it seems unlikely to
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observation of Linos Politis and Alfred Vincent that the Cretan comedy is
linked to Commedia Erudita and not to Commedia dell’Arte seems to be right:
there is no trace of using masks or half-masks, the words of the dialogue are
not improvised but written down, and the Cretan towns of the 17th century
were not able to guarantee the survival of a professional troupe of 13-15
members (at the end of every comedy the whole troupe passed over the stage
and said some words of epilogue, so that we know how many actors were used
for the performance).8
The case of the Ionian Islands is different;9 here some theatre activity can be
traced in the 16th and 17th century.10 But indirect evidence for performances of
Commedia dell’Arte professional troupes and performances of the stereotype
comic characters of the genre is available only for the 18th century. There is a
series of indirect proofs for a contact of the Ionian Islands with Commedia
dell’Arte: in chronological order: 1. the comic scenes at the end of the tragedy
Iphigenia by Petros Katsaitis (1720); 2. a report of Casanova in his Memoirs
that he hired a Commedia dell’Arte troupe in Otranto and brought the actors as
impresario to the island for a whole season (c. 1745); 3. the linear structure of
the comedy The Comedy of the Pseudodoctors by Savoyas Rusmelis (1745); 4.
the comedy Chasis by Dimitris Guzelis (1795), as well; 5. the existence of folk
theatre played with masks in Zante and Kefalonia ('homilies'), which can be
documented from the second half of the 19th century.
postulate performances of professional theatre companies in Crete because of the long sea voyage
and the comparatively small population of the Cretan towns. It is easier to think of amateur
troupes, former students of the University of Padua, merchants who had lived in Venice, profes -
sional soldiers, government officials appointed from Venice, and so on (270), or also young
members of the Academy. But one difficulty remains: the miming and declamation of the
different Italian dialects, which is characteristic for Commedia dell’Arte comic types. Conclusion:
For the moment, then, the source or sources of Santo's knowledge must remain an open question.
On the whole, though, it seems most probable that he and his audience had actually seen perfor -
mances of Commedia dell'Arte (271). Insofar as we have no hard evidence for such performances
in Crete at that time, it should be assumed that his experience was somewhere in Italy.
8
G. Chortatsis, Kατζούρµπος. Kωµωδία, ed. L. Politis, Iraclion 1964, p. µ ζ '; M. A. Foscolo,
Φορτουνάτος, ed. A. Vincent, Iraclio 1980, p. µζ'; W. Puchner, “Θεατρολογικά προβλήµατα στ ό
Kρητικό καί ^Eφτανησιακό θέ ατρο (1550-1750)”, in idem, E é ρ ωπαϊκc Θεατρολογία. ≠Eνδεκα
Mελετή µ ατα, Athens 1984, pp. 139-157, esp. p. 151. The older opinion of M. Lamberts, “Der litera-
rische Charakter der Kretischen Dramen Σ τά θης und Γύπαρις”, Byzantinische Zeitschrift 41
(1941), 319-339), that the plays of the Cretan theatre were acted with masks, today is considered to
be wrong. For the recent bibliography see Literature and Society in Renaissance Crete, ed. D. Holton,
Cambridge 1991 (and in Greek 1996).
9
And also the comparable islands of Dalmatia and the town of Dubrovnik/Ragusa, where traces
of an impact of Commedia dell’Arte can also be seen before the 17th century (Puchner,
Mελετήµατα θεάτρου, op. cit., p. 500).
10
N. M. Panayotakis, “Le prime rappresentazioni teatrali nella Grecia Moderna: Antonio Molino a
Corfù e a Creta”, Thesaurismata 22 (1992), 345-360.
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Ad 1: some of the figures of the three comic scenes at the end of Iphigenia
are mainly senseless contaminations of comic types of the Commedia dell’Arte
(of Covielo, Scappino, Truffaldino), others are connected with the comedies of
Molière (Sganarelle, Pourceaugn a c ) ;11 without recapitulating the whole discus-
sion how Lixuri or Argostoli in 1720 can be connected with Paris 50 years
before, we can say that this is some indirect proof of a contact with Commedia
dell’Arte (this is also evident in the linear and loosely linked structure of
independent episodes).12
Ad 2: Jean Jacques Casanova (de Seingalt, 1725-1798) writes in his
Mémoires or Histoire de ma vie, which gives an itinerary of his adventurous
life from 1734-1774, that he also visited Corfu, where he hired as an impresa-
rio a troupe of Commedia dell’Arte actors from Otranto (a Pantalone, three
women actors, a Polichinelle, and a Scaramuccio, 20 actors in all, with a book
of repertoire and six big boxes with baggage), which gave performances during
the carnival of 1745 on the island.13 According to the new opinions in resear-
ch into Casanova, the multifarious episodes of his Mémoires do not seem to be
altogether imaginary as was thought before. The episode of Corfu could very
well be true, in the light of the possibilities of the context of the other indirect
evidence we have for the case.14
Ad 3: The linear structure of episodes, loosely linked together, as is charac-
teristic of the Commedia dell’Arte c a n e v a s i, can be found in the comedy The
Comedy of Pseudodoctors by Savoyas Rusmelis in 1745.15 Although the comic
figure of the dottore in the Italian tradition is usually a lawyer, the figure of
the false doctor arguing in Latin and curing with obscure and rough methods
is not unknown, in Cretan comedy and the Greek theatre of the time.16
Ad 4: The same holds good for the comedy Chasis by Dimitrios Gouzelis,
11
W. Puchner, “O Πέτρος Kατσαΐτης και το Kρητικό θέατρο”, in idem, Mελετήµατα θεάτρου,
op. cit., pp. 261-324, esp. pp. 298ff.
12
W. Puchner, “ M ολ ι έρ ος και Kατσαΐτης. Iχν ηλ α σ ί ες σε µια θαµπή συ σχέτ ιση ”, Porfyras 104
(2002), 167- 181.
13
This episode has been translated into Greek and published in Tachydromos 1105 - 1112 (1975).
It is also the factual basis for a comedy of Dionysios Romas, Casanova in Corfu (1978).
14
W. Puchner, “Mεθοδολογικοί προβληµατισµοί και ιστορικές πηγές για το ελληνικό θέατρο
του 18ου και 19ου αιώνα” in idem, ∆ραµατουργικές αναζητήσεις, Athens 1995, pp. 141-344,
esp. pp. 278ff.
15
Critical edition by Glykeria Protopapa-Bubulidu in: Σαβόγιας Pούσµελης, Athens 1971, pp. 37-
94. See also Th. Grammatas, Νεοελληνικό θέατρο. Iστορία - δραµατουργία, Athens 1987, pp.
27ff.
16
See W. Puchner, “H µορφή του γιατρού στην πρώιµη νεοελληνική δραµατουργία”, in idem,
∆ιάλογοι και διαλογισµοί, Athens 2000, pp. 93-118.
17
D. Gouzelis, O Xάσης, το τζάκωµα και το φτιάσιµον, ed. Z. Synodinos, Athens 1997.
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P WALTER PUCHNER
(1790, 1795) where the independence of the episodes is really striking.17 The
play is just a conglomeration of different scenes, edited by chance, around the
central figure of the b r a v o. So it is not strange that there are different variations
of the play.18
Ad 5: In the opinion of many scholars, this play is linked to the folk theatre,
of the 'homilies' in the islands of Zante and Cefalonia, which has a similar
structure, is played with a half mask and a singing declamation during
Carnival time, but the texts are not improvised but written down. Nevertheless
the repertoire of this folk theatre is not only comic: versions of Erotokritos,19
Erophile and the Sacrifice of Abraham of the Cretan literature of the
Renaissance are played, together with dramatizations of popular readings of
the 19th century.20 The term 'milima' for a small scene can be found for the first
time in the Eugena legend play in 1646 by Teodoro Montselese from the island
of Zante.21 Besides the influences of Commedia dell’Arte, we can assume also
customary origin of the plays in the framework of the carnival-disguises and
dialogues.22 Anyway, one of the adaptations of the melodramatic provincial
play The Lover of the Shepherdess by Dimitris Coromilas (1891) gives some
evidence of the survival of the comic spirit, of Commedia dell’Arte in Zante
folk theatre: in the sentimental plot a A r l e c c h i n o-like figure is introduced, who
comments in many soliloquies on the plot and speaks the dialect of the island.23
All the specific indications, together with the cultural context of the Ionian
Islands in the 18th century, form a slight and delicate basis of evidence that
there was at least the knowledge of Commedia dell’Arte, if real performances
cannot be proved. The mechanisms of the visiting of Italian opera troupes were
established only in the last decades of the 18th century.
There are also some indications of influence of plays by Venetian comedy-
writers influenced by Commedia dell’Arte, such as Gozzi and Goldoni. It is
18
Glykeria Protopapa-Bubulidu, “A \ νέ κδ ο τ οςZακυνθινc κωµωδία τοÜ ∆ιον. Λουκίσα”, Parnassos
7 (1965), 255-276.
19
W. Puchner, “Zum Ritterspiel in griechischer Tradition”, Byzantinische Zeitschrift 91 (1998),
435-470.
20
W. Puchner, “Kretische Renaissance- und Barockdramatik in Volksaufführungen auf den Sieben
Inseln”, Osterreichische Zeitschrift für Volkskunde 30, 79 (1976), 232-242.
21
T. Montselese, Eéγένα, ed. M. Vitti, Napoli 1965, p. 31.
22
M. G. Meraklis, “Το πρόβλημα της προέλευσης των ομιλιών”, Philologika 5 (1981), 34-38. For
further bibliography see also W. Puchner, Το λαϊκό θέατρο στην Ελλάδα και τα Βαλκάν ι α,
Athens 1989, pp. 181 -185.
23
M. A. Alexiadis, ^O A
\ γαπ ητ ικeς τÉς Bοσκοπούλας. ‰Aγνω στη Zακυνθινc “^Oµιλία” τοÜ \Aλέκου
ΓελαδÄ. Συµβολc στcν öρευνα τοÜ ζακυνθινοÜ λαϊκοÜ θεάτρου, Athens 1990.
24
P. Mavromustakos, “Tο ιταλικό µελόδραµα στο θέατρο Σαν Tζιάκοµο της Kέρκυρας (1733-
1798)”, Parabasis 1 (1995), 147-192, esp. 163.
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25
Op. cit., 164f.
26
Op. cit., 165f.
27
G. N. Sutsos, \Aλεξανδροβόδας ï àσυνείδητος. Kωµωδία συντεθεÖσα âν öτει÷ αψπε‹: 1785, ed.
D. Spathis, Athens 1995, pp. 274ff.
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Manlio Cortelazzo
Professore emerito di Dialettologia italiana, Università di Padova
Piermario Vescovo
Docente di Letteratura teatrale italiana, Università Ca' Foscari di Venezia
Platon Mavromoustakos
Professore di Studi teatrali, Università di Atene
Anna Scannapieco
Docente di Lingua italiana e Storia della critica, Università Ca' Foscari di
Venezia
Daniele Vianello
Docente di Storia del teatro, Università La Sapienza di Roma
Raissa Raskina
Dottore di ricerca in Storia del teatro e dello spettacolo, Università
La Sapienza di Roma
Walter Puchner
Professore di Studi teatrali, Università di Atene
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La commedia dell’arte
nella sua dimensione
europea
Istituto Ellenico di Studi Bizantini
ACRINET
e Postbizantini di Venezia
In copertina:
COMITATO EUROPEO
Giandomenico Tiepolo,
DIREZIONE GENERALE Pulcinella innamorato, 1797.
EDUCACIONE E CULTURA ISBN 960-88505-0-9 Ca’ Rezzonico (Venezia).