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La rappresentazione dell’eroe nel mondo germanico: il Beowulf

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BEOWULF: IL POEMA (dispensa basata sull’introduzione del Beowulf di C. Brunetti,


Carocci, 2003)

Si tratta di un poema di genere epico-eroico scritto in inglese antico, di 3182 versi allitteranti, di
datazione incerta; occupa un posto di rilievo in tutta la letteratura anglosassone, anzi in tutta la
letteratura germanica antica, in quanto è l’unico poema epico completo di questo genere, scritto in
un’antica lingua germanica.
Composto, non sappiamo decidere quando, tra il 700 e il 1000, è tramandato in un unico
codice, il ms London, British Library, Cotton Vitellius A XV (X secolo), insieme ad altri testi di
mirabilia in traduzione inglese. Il codice, infatti, è concepito come una minuscola biblioteca di
meraviglie o come di enciclopedia di difformità: Le Meraviglie d’Oriente, La Lettera di Alessandro
ad Aristotele, una passione di San Cristoforo (concepito come gigante cinocefalo) e ancora un testo
poetico di argomento Biblico, la Giuditta, anch’esso (per certi versi, come la descrizione di
Oloferne con tratti bestiali) si presenta a soggetto meraviglioso.
Il tema di fondo è quello del mostruoso. I mostri del Beowulf appartengono a due tipologie
elencati nei versi di Maxims II (un’opera di carattere gnomico del corpus poetico anglosassone): il
gigante che dimora solitario nella palude e il drago che vive nel tumulo vecchio e fiero dei tesori.
Attraverso questa galleria di mostri il Beowulf, incarna nei suoi versi, l’eterna lotta tra il Bene e il
Male, tra la giovinezza e la vecchiaia, tra la vita e la morte, luce contro tenebre. E non solo: il suo
autore anonimo, presenta una rivisitazione dell’età eroica in chiave cristiana (più precisamente in
prospettiva veterotestamentaria): è una celebrazione dei valori e dei riti e della gioia della sala
guerriera che però si intreccia con il racconto del dolore delle faide con mostri e tra i popoli, ed è,
ancora, elegia sulla labilità dell’esistenza umana, della caducità della storia degli uomini e delle
nazioni.
La disputa sulla datazione del poema ha assorbito a lungo la riflessione critica (oscillando
tra il 650 e l’850. La materia del poema è interamente scandinava, cosa che sembra presupporre un
periodo di interesse per la cultura nordica impensabile dal IX secolo in poi (nel clima di ostilità e
terrore introdotto dalle razzie vichinghe) e una raffinatezza logica e tecnica sviluppatasi almeno con
l’età mdi Beda (VII-VIII secolo). La localizzazione è strettamente legata all’ipotesi della datazione:
Nella brillante età di Beda, lo sfondo più adatto sarebbe forse la corte del dotto re Aldfridh di
Northumbria, morto nel 705; pensando invece all’VIII secolo, non si può evitare di vedere nel
poema un riferimento diretto al re Offa di Mercia. Uno strumento di datazione particolarmente
suggestivo è lo splendido tesoro funerario trovato nel 1939 a Sutton Hoo nel Suffolk, (l’antica
Anglia orientale). Nella sepoltura all’interno di una nave interrata, databile tra il 625 e il 655, si
sono trovati armi e gioielli con caratteristiche sorprendentemente simili a molte descrizioni del
Beowulf: elmo con fregi a figure di cinghiale, un liuto. Uno scudo con larga borchia centrale, una
cotta di maglia.

La Storia
vv.1-63 (prologo): Genealogia degli Scylding e funerale di Scyld.
Il poema di apre con un riferimento alla gloria dei re danesi e alla loro genealogia. Si accenna al
capostipite della stirpe danese, Scyld, al suo arrivo misterioso dal mare (come Mosè), che giunge
come una benedizione a risollevare le sorti del popolo danese in un periodo di crisi. Scyld ha poi un
figlio, Beowulf (da non confondere con il protagonista del poema, che in realtà è un principe dei
Geati), a sua volta padre di Healfdene; quest’ultimo è padre di Hrothgar, il re protagonista delle
vicende narrate nel poema. Il prologo si conclude con il racconto del funerale di Scyld, riaffidato al
mare da dove era venuto, carico di tesori.

vv. 64-193: Heorot e Grendel


Hrothgar, al culmine della sua potenza, fa costruire una grande sala, Heorot (Cervo), in cui
intrattenere il seguito di guerrieri con banchetti, feste, canti e dove distribuire doni con grande
generosità. Il canto dello scop (v. 90a) accosta la costruzione di Heorot a quella della creazione del
mondo (cfr. Inno di Caedmon). Le urla di gioia, la musica, le risate che provengono da Heorot
suscitano l’invidia del gigante cannibale, Grendel, che vive non lontano in una fosca palude.
Discende dalla stirpe di Caino, vive al bando, nelle regioni di confine, nella patria dei mostri, è un
solitario, privo di gioie. L’invidia scatena la sua furia, e Grendel inizia a tormentare ogni notte
Hrothgar e i suoi seguaci; si presenta regolarmente ogni notte e fa strage di guerrieri per ben dodici
anni e a nulla valgono le preghiere agli idoli pagani dei Danesi. Le incursioni notturne di Grendel
cominciano a circolare anche fuori dalla Danimarca, i naviganti ne portano notizie fino alla terra dei
Geati e attraggono la curiosità e lo spirito di avventura del nipote di Hygelac, re dei Geati, un
principe possente e valoroso.

vv. 194-661: Beowulf a Heorot


Beowulf raccoglie un seguito di 14 uomini e con loro parte per la Danimarca a bordo di una nave.
Il suo arrivo è sviluppato in 4 dialoghi: all’arrivo, sulla sponda danese, con la sentinella costiera
che, bloccandolo con la sua lancia possente (anche nel film c’è questo elemento dell’asta), lo
interroga sulla sua identità e provenienza (tema dell’eroe sulla spiaggia); con il messaggero di
Hrothgar, alla soglia della sala; con Hrothgar e con Unferth. Con quest’ultimo ne nasce un alterco,
un duello verbale dal quale si apprende di una gara giovanile di nuoto (o gara a remi) contro Breca
di Bronding, nel corso della quale Beowulf uccide 9 mostri marini.
Al termine delle presentazioni e dell’impegno solenne da parte di Beowulf, di distruggere Grendel,
Hrothgar si ritira affidando la sala all’eroe.

vv. 662-836: la lotta con Grendel


Prima di coricarsi, B. formula un altro impegno solenne, quello di affrontare il mostro a mani nude,
senza armi, corpo a corpo; il mostro sopraggiunge nella notte, una luce maligna gli balena negli
occhi, scardina la porta della sala e subito divora un guerriero del seguito di B.; ma poi ne segue un
corpo a corpo spaventoso, nel quale B. strappa il braccio al mostro che, ferito a morte, fugge per
andare a morire nella sua palude.

vv. 837-1250: celebrazioni


All’alba i Danesi accorrono da ogni dove per ammirare il braccio mostruoso appeso come trofeo;
alcuni seguono la scia di sangue lasciata da Grendel fino allo stagno e al ritorno un guerriero bardo
improvvisa un canto di lode in onore di B., in cui fa riferimento a Sigemund (padre di Sigurdhr) e
all’uccisione del drago e anche a un exemplum negativo, Heremod, che aveva provocato molte
sciagure al popolo danese. Seguono festeggiamenti solenni anche a Heorot, dove Hrothgar,
affermando di considerare ora B. come un figlio, lo ricopre di doni B. in segno di riconoscenza: una
bandiera, un elmo, una cotta, una spada, otto cavalli e un guidrigildo per il suo guerriero ucciso da
Grendel. A questo punto lo scop racconta l’episodio di Finn (vv. 1068-1159a), la storia di una faida
tra Danesi e Frisoni. Anche la regina Wealhtheow, che consiglia però al marito di conservare la
successione ai figli legittimi, senza estenderla a B., fa dono al Geata di una collana che in seguito
Hygelac perderà nella sfortunata spedizione in Frisia.

vv. 1251-1650: la lotta con la madre di Grendel


Ma quella notte, si presenta a Heorot la madre di Grendel per vendicare la morte del figlio e uccide
un consigliere caro al re. Allora, B., appreso dell’esistenza anche della madre del mostro e della loro
dimora nella palude, vi si reca a cercarli. Giunti nella palude, i guerrieri scoprono con raccapriccio
che la testa del consigliere e amico del re stava infilzata su un picco. Unferth (ormai riappacificato
con B.) gli dona la sua spada, Hrunting e B. si immerge nello stagno; la madre di Grendel lo
trascina in una caverna sotterranea illuminata da un fuoco; qui ha luogo un corpo a corpo con
l’essere mostruoso e alla fine, grazie anche all’aiuto di una spada portentosa e gigantesca che trovà
lì appesa la uccide definitivamente. Il sangue caldo e velenoso dei mostri scioglie la lama della
spada portentosa e B. fa ritorno a Heorot.

vv. 1651-1798: l’elsa e il discordo di Hrothgar.


L’elsa della spada miracolosa riporta incisa la lotta dei giganti primordiali e il diluvio; segue un
discorso solenne di Hrothgar a B. e un banchetto in onore dell’eroe.

vv. 1799-2199: congedo e ritorno in patria


Partenza dei Geati per la patria, altro panegirico di Hrothgar nei confronti di Beowulf, di cui loda la
forza, ma anche la saggezza e la prudenza nel parlare. Altri doni per B. Simmetricamente all’andata,
anche il ritorno di B. e dei suoi seguaci è scandito dal 4 incontri: con Hrothgar, con la sentinella
danese, con quella geata e infine con Hygelac. A quest’ultimo B. narra le imprese compiute in
Danimarca e aggiunge nuovi particolari, come quelli di una sacca (guanto) di pelle in cui Grendel
infilava le sue vittime; sempre a Hygelac regala tutti i doni ricevuti dal re danese, ricevendone in
cambio la spada del nonno e l’assegnazione di terre. In quest’occasione, l’autore aggiunge che – da
ragazzo, B. era considerato fiacco e indolente e per questo non ricevesse onori dai Geati.

vv. 2200-2323: il drago e il tesoro pagano


Il racconto continua con un’ellissi narrativa di oltre cinquant’anni. Beowulf è ormai re dei Geati,
quando un drago viene svegliato nel suo regno da un ladruncolo che ruba una coppa del tesoro
custodito dalla bestia. Il drago si infuria e comincia a seminare morte e distruzione col suo alito di
fuoco.

vv. 2324-2537: Beowulf va ad affrontare il drago


Sezione ricca di digressioni e riferimenti alle guerre svedesi

vv. 2538-2711a: la lotta con il drago


Beowulf va all’ingresso del tumulo e lancia un urlo di guerra. Il drago lo attacca e lo avvolge nelle
fiamme; il suo seguito si dilegua per paura e rimane al suo fianco solamente il giovane nipote
Wiglaf che lo assiste nella lotta contro il drago. In un secondo attacco B. viene ferito mortalmente
dal drago che lo afferra con le sue zanne, Wiglaf lo colpisce al collo e al ventre e B. lo finisce col
coltello. Ma di lì a poco morirà, dopo avere visto i tesori custoditi dal drago.

vv. 2711-3182: morte di Beowulf e suo funerale


B., sentendo vicina la morte, va a sedersi all’ingresso del tumulo, facendo un bilancio della sua vita;
alla sua morte, segue un discorso di rimprovero da parte di Wiglaf nei confronti dei guerrieri
codardi che si sono dati alla fuga, abbandonando il loro signore. Il corpo del drago è gettato in
mare. Viene preparata la pira, seguono lamenti di guerra di una donna geata e di dodici cavalieri
attorno al tumulo dell’eroe.
FINE

La storia, l’intreccio, temi e motivi


La grandezza e il fascino del poema risiedono nell’intreccio di vicende, temi, motivi, episodi e
digressioni che si alternano e si intersecano nella struttura dell’opera. Una componente meravigliosa
(la lotta contro i mostri) si confonde e si sovrappone con una storico-leggendaria (re e popoli
scandinavi dell’età eroica, a partire da Scyld e della genealogia degli Scylding introdotti nel
prologo, fino alle guerre svedesi e ai presagi di morte che seguono alla morte di B.); e queste due
componenti si combinano con la storia di un eroe, di un guerriero dalle qualità eccezionali, che
vanta forza e coraggio unite a prudenza e saggezza. La narrazione è scandita da tre grandi momenti
(la lotta contro Grendel, contro la madre e contro il drago) e inserita in una cornice simmetrica
rappresentata dal funerale di Scyld e da quello di Beowulf, che rispettivamente aprono e chiudono il
poema.
Beowulf colpisce per l’alto livello tecnico con cui è trattato il metro e con la felicità con cui
è espressa quella mescolanza di idealismo eroico e cupo fatalismo che sembra essere stata parte
integrante del temperamento germanico. E in effetti, la complessità e ricchezza del poema sembra
potersi al meglio identificare nella nozione del CONTRASTO. Contrasti e paralleli che si
interfacciano nel testo, unificano gli elementi strutturali di base, i personaggi, i temi. La tecnica
unificatrice consente al poeta di introdurre le molteplici digressioni che coesistono nel poema. Il
primo grande contrasto è quello tra gioventù e vecchiaia, cui si lega quello tra successo e fallimento
e, in un senso più ampio, tra l’ascesa e il declino delle nazioni, contrasto questo visibile anche nel
tono che informa i versi, indubbiamente eroico nella prima parte ed elegiaco nella seconda.
Della vita di B. si narrano due imprese terminali, della giovinezza e della vecchiaia: la prima
conclude il suo apprendistato di giovane guerriero e ne afferma la gloria; la seconda,
coraggiosamente, affronta il suo destino di morte. È un Bildungsroman, un romanzo di formazione,
che descrive la crescita morale e spirituale del protagonista, la cui vita si intreccia con la storia dei
Danesi e la stirpe di Caino (da cui Grendel discende) nella prima parte, con la storia geata e le
vicende del tesoro pagano nella seconda parte. E intanto, il poema è costellato di riferimenti ad
episodi della vita del protagonista: l’inizio dell’apprendistato a sette anni presso il nonno materno,
la gara adolescenziale con Breca, il ritorno solitario dalla Frisia dopo la morte dello zio Hygelac, 1
l’offerta del trono geata, la successione al trono dopo la seconda guerra svedese. Il filo rosso
tematico è quello della faida tra uomini e mostri e fra nazioni (e anche fra Dio e i giganti),
dell’ostilità permanente e irriducibile a cui sono avviluppati individui e popoli, che ne minaccia
l’esistenza e la gioia e che sembra, alla fine, doverli travolgere. Gloria e destino del guerriero,
prosperità e avversità dei popoli e labilità della loro presenza storica: il poema si chiude con i Geati
che celebrano le lodi di Beowulf, la cui morte sembra però prefigurare l’inizio della loro fine.
Tenete presente che i Geati (documentati ancora in epoca pre-documentaria, nell’attuale Götaland,
Svezia centro-meridionale) vengono assai presto sconfitti e assorbiti dagli Sviones (Tacito), ovvero
Sviar, i futuri Svedesi.

Il poema è ricco di digressioni più o meno lunghe, che fanno riferimento a numerose altri
episodi e leggende del mondo germanico pagano o della storia di queste popolazioni e che danno
varietà e sfondo alla storia principale. Quattro sono i rinvii all’episodio di Hygelac (fatto storico
narrato da Gregorio di Tours, ma anche nel Liber Monstrorum); svariati accenni (specie nella
seconda parte) alle guerre svedesi; ancora vengono menzionati fatti e cose della mitologia nordica
(la collana dei Brisinghi); a Welund, il fabbro leggendario, artefice della cotta di maglia che
Beowulf riceve in dono dal nonno Hrethel (v. 455); a Sigemund, eroe leggendario della saga dei
Volsunghi, uccisore di un drago (vv. 875, 884, la cui impresa, però, nella leggenda dei Nibelunghi
viene attribuita il figlio Sigfrido-Sigurdhr). La digressione più lunga è senz’altro quella
dell’episodio di Finn (vv. 1068-1159). In uno scontro in Frisia è ucciso il capo danese Hnaef, ma le
perdite subite spingono il capo frisone Finn a stringere un patto con i superstiti danesi e con il loro
1
Il riferimento (che compare nel poema 4 volte) all’incursione in Frisia di Hygelac, zio materno di B., è in realtà un
avvenimento storico documentato nella Historia Francorum (III, 3) di Gregorio di Tours, databile al 520. Si tratta di un
assalto per mare nelle Gallie, contro i Franchi (qui assimilati ai Frisi) da parte di un gruppo di Danesi capeggiati dal loro
re Chlochilaicus, per distruggere il regno di Teoderico (511-533), successore di Clodoveo. Chlochilaicus viene però
ucciso dal figlio di Teoderico e la flotta danese è sconfitta in una battaglia navale. L’avvenimento ha lasciato un’eco nel
Liber Monstruorum, una compilazione di mirabilia, di probabile originie inglese (VII-VIII secolo), all’inizio del quale
si parla della corporatura gigantesca di Huiglaucus, re dei Geti, ucciso dai Franchi, le cui ossa sono conservate in
un’isola alla foce del Reno e mostrate come cosa mirabile a quanti arrivano da lontano.
nuovo capo Hengest. Hildeburh, danese, moglie di Finn e sorella di Hnaef, fa ardere nella stessa
pira il fratello e il propiro figlio, pure caduto nello scontro. Hengest resta tutto l’inverno con Finn,
ma a primavera, sollecitato anche dai suoi, scatena la vendetta e Finn è ucciso nella sua sala. I
danesi ritornano in patria con Hildeburh. Lo scontro iniziale è parzialmente raccontato in un altro
testo, la Battaglia di Finnsburg, dove i Danesi (ospiti dei Frisoni) sono attaccati di notte in una sala
e si battono per 5 giorni senza perdite.
Alla non linearità del racconto contribuiscono anche i commenti gnomici, l’amplificazione
dei discorsi e la predilezione per l’alone emotivo dei fatti più che la loro diretta narrazione: la gioia,
il terrore, l’angoscia, il lamento, l’aspettativa e ogni forma di impatto che cose, uomini e fatti hanno
sull’animo: la lucentezza delle armi, l’orrido di un paesaggio, l’imponenza di una figura, la
desolazione di un verso di un uccello. I fatti, gli episodi vengono quasi evocati, più che narrati
direttamente: la lotta di Beowulf e Grendel in Heorot è una zuffa notturna di cui possiamo solo
immaginare di vedere solo forme indistinte e Grendel stesso è visualizzato come una nera ombra di
morte, una sagoma oscura nel buio del paesaggio, con una luce maligna negli occhi. E mentre i due
squassano la sala, la scena è udita più che vista. Una delle scene più impressionanti del poema, la
colluttazione tra B. e Grendel è raccontata dall’esterno della reggia e solo nelle sue conseguenze o
nelle sua manifestazioni estreme: si vedono le panche divelte che schizzano via dalla soglia, si
sentono il fracasso, le pareti che tremano, il terribile ululato del mostro.

La società guerriera
Il Beowulf è sostanzialmente la grande celebrazione della società guerriera germanica, le cui
istanze, i cui valori e principi si affermano nell’era delle grandi migrazioni e invasioni barbariche
(375-568). E’ l’esaltazione di un mondo aristocratico e guerriero, i cui personaggi sono noti a tutta
la compagine germanica antica e che già Tacito descrive nella Germania a proposito del comitatus.
Gli ideali della poesia eroica sono quelli propri di una classe aristocratica, virile e guerresca, quale è
quella che si afferma nell’età delle migrazioni (375-568).2 Al centro di questa società sta il signore
con il suo seguito; signore e guerrieri sono uniti da un legame, giuridico ed etico, che sta al di sopra
di qualunque altro vincolo, sia pure quello di sangue: il legame della fedeltà reciproca fino alla
morte. Nei capp. 13 e 14 della Germania, Tacito parla di questo nucleo dell’antica società
germanica, designandolo con un termine ben preciso, divenuto poi tecnico, di comitatus, che indica
propriamente l’insieme dei comites (colleghi).
In base al legame di fedeltà è un disonore per il guerriero tornare dalla battaglia senza il
proprio principe, come si legge nel cap. 14 della Germ.: “Quando si viene a battaglia, è vergognoso
per il principe lasciarsi superare in valore, ed è vergognoso per il seguito non uguagliare il valore
del principe. Inoltre è cosa infamante ed ignominiosa per tutta la vita l’essere ritornati dalla
battaglia sopravvivendo al proprio principe”. Storiografi greci e romani (es. Procopio) raccontano,
infatti, di casi in cui gruppi di Germani, morto il loro condottiero, preferivano farsi uccidere anziché
tornare a casa senza il loro capo (per la citazione dalla Battaglia di Finnsburg, v. infra.)
Tra i compiti del signore del comitatus rientra l’obbligo di curarsi delle esigenze materiali
dei suoi uomini, e non limitatamente a quelle relative alla vita militare: Tacito riferisce anche che i
membri del comitatus esigono e ricevono dal loro signore “cavallo e lancia” e che “contano come
stipendio (cedunt pro stipendio) banchetti e sfarzi (epulae et apparatus), sebbene rozzi, tuttavia
abbondanti (quamquam incompti tamen largi...)”. Non è in caso, del resto, che il termine ingl. Lord
derivi da un antico composto ags. *hlāf-weard > hlaford “custode del pane”.
Questi si svolgono nella sala, luogo che, nel “teatro” eroico germanico, assume particolare
importanza, essendo essa molto spesso centro e cornice della vita dei membri del comitatus e del

2
In passato, si è tentato di rintracciare le origini del canto eroico all’epoca di Tacito, che negli Annali (II, 88) fa
menzione di alcuni canti commemorativi in onore di Arminio. In realtà, l’ipotesi più credibile è che questi canti in onore
di Arminio appartengano piuttosto ad una poesia di tipo genealogico. Il canto eroico, vero e proprio, nasce invece molto
più tardi, per l’appunto, nell’età delle migrazioni.
proprio principe: lì, infatti, arrivano i messaggeri e vengono prese le decisioni; lì, bevendo idromele
e birra, gli eroi si vantano delle gesta compiute (il dōm) o promettono future prodezze al proprio
signore; lì, fra gli ospiti, può scoppiare la lite sanguinosa, e lì chi viene da lontano, porge omaggio
al re; lì, infine, il principe promette ai suoi sudditi il ricco bottino e lì questo viene distribuito poi
dalle sue mani.
Il capo del seguito ha, infatti, anche il dovere di essere generoso verso i propri uomini; per
questa sua qualità egli viene chiamato “dispensatore d’oro”, “donatore degli anelli” (ags. beaggifa,
sincgifa, goldwine gumena).
La fedeltà del guerriero verso il proprio signore è intimamente connessa con il codice
d’onore, che costituisce la spina dorsale etica della poesia eroica germanica. Nella Battaglia di
Finnsburg la lotta dei bravi seguaci di Hnæf viene parafrasata con la seguente immagine titpica:

(vv. 37-40) “Ne gefrægn ic næfre wurþlicor æt wera hilde


sixtig sigebeorna sel gebæran,
ne næfre swanas hwitne medo sel forgyldan
ðonne Hnæfe guldan his hægstealdas.”

“Giammai udii sessanta uomini in battaglia


più degnamente, meglio comportarsi,
né ripagar meglio spumante idromele
di quanto a Hnæf tributarono i suoi seguaci”

La mancata osservanza di tale dovere verso il proprio signore è un marchio d’infamia per tutta la
vita. L’esempio più celebre di dedizione al proprio signore ci è offerto dalla Battaglia di Maldon,3
che si riferisce ad un episodio riportato nella Cronaca, all’anno 991. Riallacciandosi alla più antica
tradizione epica, il poema ha per soggetto uno dei tanti scontri che si ebbero fra Inglesi e Danesi per
la supremazia del territorio anglosassone. Come abbiamo puntualizzato, gli antichi poemi epico-
eroici non prendevano a soggetto avvenimenti storici recenti e neppure recavano tracce di un
sentimento patriottico nazionale (come fa invece, la BdM). Ciononostante, the Battle of Maldon è
molto simile, nello spirito, a quell’antica poesia. È la storia di una sconfitta inglese disastrosa, in
cui, tra gli altri, trova la morte, l’ealdorman Byrhtnoth, in un disperato e coraggioso tentativo di
arrestare le forze danesi. Questo testo esemplifica la grande storia dei seguaci fedeli, che
preferiscono morire con il proprio signore per vendicarne la morte e per risparmiarsi il vergognoso
ritorno a casa senza di lui. Quando l’ealdorman Byrthnoth muore, ecco ciò che succede:

(vv. 203b-208) “Ealle gesawon


heorðgeneatas þæt hyra heorra læg.
Þa ðær wendon forð wlance þegenas,
unearge men efston georne:
hi woldon þa ealle oðer twega,
lif forlætan oððe leofne gewrecan”

“Tutti videro,

3
Verso la fine del periodo anglosassone, la vecchia nota eroica, per tanto tempo silenziosa, ritorna in due bei poemi di
soggetto contemporaneo. Il primo è la Battaglia di Brunanburg, riportato dalla Cronaca all’anno 937: esso celebra la
vittoria ottenuta da Æthelstan, re del Wessex e da Edmondo suo fratello, contro le forze alleate di Olaf re di Norvegia,
Costantino re di Scozia e dei Britanni del regno di Strathclyde. Si avverte una notevole differenza tra la sostanza epica
di questo poema e quella della tradizione anglosassone precedente. In Beowulf e negli altri poemi l’accento era posto
sull’eroe individuale, le cui origini nazionali avevano scarsa importanza: egli era un eroe germanico e come tale godeva
dell’ammirazione di tutti i popoli germanici, senza alcun pregiudizio nazionale. In The Battaglia di Brunanburg, invece,
trova espressione un forte sentimento patriottico: la vittoria è una conquista delle forze inglesi sui nemici norvegesi,
scozzesi e gallici. L’altro è la Battaglia di Maldon.
i compagni del focolare che il loro padrone giacque.
Allora avanzarono i valorosi guerrieri,
gli uomini prodi si affrettarono con impeto:
tutti vollero una delle due cose,
o perdere la vita o vendicare il loro caro (signore)”.

Uno dei compagni esprime il desiderio di vendicare il suo signore con queste parole:

(vv. 246-253a) “Ic þæt gehate, þæt ic heonon nelle


fleon fotes trym, ac wille furðor gan,
wrecan on gewinne, minne winedrihten.
Ne þurfon me embe Sturmere stedefæste hæleð
wordum ætwitan, nu min wine gecranc,
þæt ic hlafordleas ham siðie,
wende fram wige; ac me sceal wæpen niman,
ord ond iren”.

“Io giuro che di qui non mi muovo


neanche di un piede; voglio invece andare avanti all’attacco
per vendicare nel combattimento il mio amato signore.
Le genti di Stourmer, i costanti guerrieri, non potranno
rimproverarmi con le loro parole per il fatto che io, ora che
il mio signore è venuto meno, senza il mio lord, torni a casa,
diserti questa lotta; piuttosto l’arma mi dovrà cogliere (rapire),
la punta del giavellotto e il ferro della spada”.

Come i seguaci del principe hanno il dovere di rimanere fedeli al proprio signore fino alla
morte, così il principe ha l’obbligo di curarsi delle esigenze materiali dei suoi uomini. Il Widsith
esalta costantemente la liberalità dei numerosi principi visitati dal poeta, i quali sovente gli
regalarono gioielli e bracciali d’oro, come ricompensa per il suo canto. Il più generoso si dimostrò
Alboino:

(vv. 70-74) “Swylce ic wæs on Eatule, mid Ælfwine,


se hæfde moncynnes, mine gefræge,
leohteste hond lofes to wyrcenne,
heortan unhneaweste hringa gedales,
beorhtra beaga, bearn Eadwines.”

“Anche in Italia fui io con Alboino,


il quale ebbe, del genere umano, a mia conoscenza,
la mano più pronta ad acquistar lode,
il cuore più generoso nel donare anelli,
lucenti armille, il figlio di Aduino”.

Tra i motivi che spingono l’eroe all’azione, oltre ad interessi materiali, come la conquista dell’oro,
armi e corazze, ve n’è uno che sta alla base di tutti (a cui già abbiamo accennato) e ne costituisce il
denominatore comune: l’orgoglio, l’onore, la gloria, il dōm, l’impulso a rendersi immortali. Tali
valori sono posti al di sopra del vincolo di parentela o di amicizia. Come dimostrano le numerose
espressioni del linguaggio poetico anglosassone denotanti la “gloria”, tale concetto deve avere
avuto un ruolo particolare nella poesia eroica ed encomiastica precristiana. La gloria è il compenso
dell’eroe pagano: egli continuerà a vivere dopo la morte (onorevole), e non nell’aldilà o in un regno
di gloria, ma sulla bocca della gente che racconterà le sue avventure. Dall’onore leso, scaturisce
l’impellente necessità della vendetta, che ovviamente è vendetta di sangue (tratto, questo, presente
anche nell’istituzione della Sippe, tipico, anche se non esclusivo, della cultura germanica primitiva).
La Battaglia di Finnsburg (da quanto possiamo dedurre dai pochi frammenti rimasti) e il Poema dei
Nibelunghi. tanto per citare solo due esempi, sono imperniati del motivo della vendetta. L’onore
leso, o la paura di perderlo, costituisce uno dei motivi centrali anche nel Carme di Ildebrando.

I Personaggi, descrizione fisica e morale, i mostri


Ma come sono descritti i personaggi principali della vicenda? Quali le loro caratteristiche fisiche,
psichiche, morali e sociali? Quali gli aspetti in comune e quali quelli contrastanti?
In primo luogo, va segnalata la condizione analoga dei due protagonisti del poema, B. e
Grendel, che è una condizione di esule. Entrambi sono, in qualche modo esuli, in quanto diversi
rispetto alla comunità umana, sono degli outsider. B. ha qualcosa dell’esule solitario, o con la
compagnia di uno sparuto manipolo di compagni; questa curiosa sradicatezza gli consente una
grande libertà e semplicità di movimenti. Il suo nome è un nome da esule: Beowulf è una kenning
per orso, ossia lupo delle api. Il giovane B. ha molti tratti esotici e straordinari. Senza vederlo mai in
faccia, sentiamo dire di lui cose suggestive o impressionanti. Dicerie di marinai sulla sua
formidabile forza fisica (la potenza di trenta uomini nella stretta del pugno), cosa che ripete
Hrothgar, quando gli annunciano il suo arrivo; commenti del guardiacoste sulla sua altezza e sul suo
aspetto senza pari; e dell’ambasciatore di Hrothgar sulla sua eccezionale imponenza. E’ grande e
rumoroso, la corazza gli sferraglia addosso e i suoi passi, attraverso la reggia, fanno tremare le
tavole dell’impiantito. C’è da chiedersi dove passa il confine del mostruoso e B., con i suoi muscoli
e la sua smodata statura, sa di essere “eacen”, cioè “fuori norma, eccessivo”. Verrà usato come
gladiatore o ariete; è l’unico che può sbaragliare pericolosi aggressori, orche, mostri marini; è
automatico che si deleghi a lui solo il tremendo duello con Grendel e anche l’inseguimento
subacqueo con la madre di Grendel. E nessun altro che lui potrebbe affrontare il drago, tanto che lui
(consapevole di questa sua condizione), afferma che: “Non è un’impresa per voi, non è a misura
d’uomo, ma solo alla mia”. E in fondo, a forza di inseguire mostri e portenti, si finisce per
somigliare a loro; non solo, soprattutto si può inseguire mostri e portenti, se si è ha in qualche modo
una natura mostruosa. C’è un terribile momento, nell’ultima parte del poema, in cui il drago e
Beowulf, guardandosi in faccia per un momento, si spaventano l’uno dell’altro. B. è rozzo, non è
certo il tipo del cavaliere cavalleresco e cortese dei romanzi arturiani, ma in realtà non è nemmeno
troppo vicino agli eroi vichinghi come Sigfrido. L. Koch ha osservato come probabilmente il tipo di
guerriero che forse più somiglia a Beowulf è quello del Bersekr della letteratura norrena,
imbestialito e travolgente, invulnerabile che affronta la battaglia in stato di trance e che si affida ad
Odino, il dio dell’ira e dell’estasi guerresca, capriccioso, imprevedibile, inquietante, magico.
Ma in realtà è un personaggio assai più complesso di quello che sembra a prima vista. B. presenta
altri tratti che entrano in contraddizione con quelli “mostruosi” appena enucleati: le disarmanti
vanterie, una serie e gentile modestia, l’incoscienza, ma anche la saggezza, gli slanci affettuosi, la
lealtà fuori posto (come quando rinuncia cavallerescamente a usare le armi contro Grendel, che non
ha mai imparato a tirare di scherma. E’ inoltre esperto dell’arte retorica della dialettica, come
vediamo nel suo alterco, nel duello verbale con Unferth, dal quale esce vittorioso. Dimostra, nei
suoi discorsi, senso delle forme e dell’occasione, sensibilità sintattica, tatto, un lessico immaginoso,
una profonda sottigliezza verbale e Hrothgar lo afferma quando dice che “non ho mai sentito fare un
discorso più esperto da uno tanto giovane, tu sei forte nel fisico, maturo nella mente, prudente
quando parli”. Quindi, esperto, prudente, un bersekr con un’ammirevole finezza mentale. Di lui è
stato anche detto che da giovane parla come se avesse una lunga esperienza del mondo. Ha cioè le
diverse virtù delle diverse età della vita, e da vecchio conserverà la forza della giovinezza. Beowulf
rappresenta il guerriero ideale che unisce forza e saggezza: la forza della giovinezza alla saggezza
della vecchiaia.
Se Beowulf è uno straniero d’oltremare, Grendel e sua madre sono definiti subito e con
grande chiarezza esseri dell’Altrove, Creature di Fuori. Appartengono a un paese diverso dal
Mondo di Mezzo abitato dagli uomini: Grendel è il demone crudele, errante famoso della marca che
occupa acquitrini, paludi e luoghi inaccessibili; terra dei mostri, dove era stato condannato a vivere
Caino, il capostipite della sua stirpe; Dio lo bandì, lo condannò a vivere lontano dagli uomini e da lì
genero una stirpe di mostri e deformi: orchi, elfi, spiriti dei morti e giganti. Questo altrove dove
abitano i mostri sembra quasi un luogo indefinito di confine e di passaggio fra i mondi: una
categoria mentale di differenze e di difformità; è uno spazio di rifiuto e di espulsione, dove
rinchiudere l’irrappresentabile e l’insopportabile. I tratti antisociali di Grendel sono conclamati: non
ha né patria, né padre, i due connotati canonici dell’identificazione; non partecipa alla cultura (non
sa usare le armi), calpesta il diritto, non accetta le regole della convivenza (non paga il guidrigildo)
e soprattutto è escluso dalle gioie, dall’esperienza che rende la vita degna di essere vissuta. E’
escluso dal Dream: complesso concetto di civitas festante, piaceri rituali condivisi, la convivialità,
la musica, la conversazione, luce, riscaldamento, affetto, la gioia della sala. Da qui l’aggressività eil
rancore di questo vagabondo solitario e reietto, che non sopporta le provocazioni delle risate, della
musica e delle gioie che provengono da Heorot. E come poi sarà anche il Drago, Grendel è una
creatura della notte cupa e buia; il concetto del buio pesto, pericoloso, invernale, tempestoso è
un’invenzione del mondo germanico. Ed è anche per via delle tenebre che Grendel non si riesce a
scorgere con chiarezza, si vede poco per lampi e dettagli: gli occhi fiammeggianti, la bocca e i denti
insanguinati: E solo il braccio poi potrà essere esaminato per bene, una zampa smisurata, da cui
sbucano raccapriccianti artigli di ferro. Grendel è dunque sì un mostro, ma forse un deforme, un
essere umano che per la sua deformità è stato rifiutato dal consorzio civile e costretto a vivere come
in esilio, come un bandito escluso dalla comunità, alla stessa stregua dei lupi mannari che vivono
soli e braccati nelle foreste buie e tetre del nord. E però, ciononostante, Grendel sembra il
personaggio che esprime maggior pathos di tutto il racconto: ha progetti, voglie, aspettative (benché
insani e frustrati), ha paura e una voce inarticolata che urla una lugubre canzone di pena.
Il drago è invece rappresentato secondo i modelli del mito classico e delle leggende
medievali: anzi, diceva Tolkien, soffre, al limite, di “draconità” eccessiva, di conformità troppo
stretta al tipo. Ha spire scintillanti, coperte di durissime scaglie d’osso, fiato di fuoco, zanne
avvelenate, e figura di serpente (un classico biscione!). Il drago ha le stesse ore di Grendel, una
creatura notturna, delle ore di buio che precedono l’alba, ma è più intelligente e maligno, più
potente e pericoloso. Appartiene a un piano dell’esistenza superiore a quello umano, mentre
Grendel emerge dal basso; ha natura di aria, terra, fuoco, mentre Grendel è solo acquatico.

La prospettiva cristiana
L’età eroica è rivisitata da un poeta cristiano per un uditorio cristiano. E’ stato affermato che più
che un poema “arcaico” che ha assunto coloriture cristiane nel processo di trasmissione, il B. è un
poeta moderno in cui un presente cristiano ripensa un passato eroico e pagano intrecciando al suo
“lascito” di storie e valori guerrieri altre storie e valori. Dio è una presenza constante nel poema,
che viene invocato e ringraziato continuamente, come creatore, rettore, arbitro, padre, giudice. E’
l’eterno signore che da sempre governa gli uomini, regge tempo e stagioni, ha potere su tutto e tutti,
distribuisce doni agli uomini, assegna la vittoria in guerra, soccorre nelle avversità, concede onori.
Il canto della creazione (vv. 90b-98), la progenie di Caino, il rimprovero di paganesimo mosso ai
danesi, il diluvio, il discorso di Hrothgar sulla superbia e la caducità umana, l’inferno dove va
l’anima pagana di Grendel sono tutti elementi cristiani che il poeta intercala alle sue vicende
eroiche, i sentimenti religiosi che intreccia con il racconto e mette in bocca ai personaggi.
E inoltre, la labilità della presenza umana nella storia è un’idea costante che permea tutto il
poema e soprattutto la parte finale, in cui è implicito un senso cristiano di rassegnazione e speranza.
Il cristianesimo del poema è genericamente veterotestamentario, basato sull’idea di un Dio
creatore, giudice e signore.

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