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Riassunto libro "Gli anziani

che verranno"
Sociologia
Università degli Studi di Genova
46 pag.

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GLI ANZIANI CHE VERRANNO Stefano Poli

PARTE I

Baby Boomer → appartenenti alle coorti di età nati tra il 1946 e il 1965 (in questi anni si verifica un boom
demografico caratterizzato dal significativo incremento delle nascite registrato tra l’immediato dopoguerra
e la metà degli anni ’60, prima negli USA poi anche nei Paesi Occidentali). Dapprima i demografi si
riferiscono unicamente a un fenomeno demografico (tasso di natalità), l0attribuzione di significato
generazionale è successiva. Chi è nato nell’immediato dopoguerra non avverte tanto la propria peculiarità
demografica, ma la associa a un’identità generazionale più precisa definita da fattori socioculturali più
complessi. Distinzione tra:

 Boomer → prima coorte del boom demografico (1946-1965)


 Jones → seconda coorte del boom demografico (1955-1965)

Classificazione dell’Istat:

 Boomer prima coorte → generazione dell’impegno, protagonista delle grandi battaglie sociali e
delle trasformazioni culturali degli anni ’60 – ‘70
 Boomer seconda coorte → generazione dell’identità, declinati alla realizzazione degli obiettivi
personali e dell’auto-affermazione

Il Baby Boom vede diverse interpretazioni, perché tale tendenza delle nascite fu davvero molto variabile a
livello internazionale. Grafico 1 → Australia e USA videro una crescita della natalità significativa e
prolungata. L’Italia sperimentò subito dopo la guerra elevati picchi di natalità, presto seguiti da una rapida
discesa e da una ripresa più ridotta. La Spagna vede un andamento simile all’Italia. In Francia il fenomeno è
più consistente rispetto all’Italia. In Gran Bretagna si ebbero solo due picchi di fecondità, nel 1947 e nel
1964. In Germania non si ebbe un vero e proprio Baby Boom, se non un lieve aumento delle nascite nei
primi anni ’60.

In Italia il Baby Boom non si rivelò così significativo. Verso la fine degli anni ’50 la natalità riprese fino al
picco di fecondità del 1964, ultima tappa prima del progressivo calo delle nascite con il Baby Bust. Proprio
per la variabilità del fenomeno, le spiegazioni in letteratura rinviano a una pluralità di fattori sottostanti le
scelte riproduttive della generazione, tre ipotesi:

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1. Genitorialità ritardata → per via dei tragici eventi della Seconda guerra mondiale, per cui il
recupero della natalità sarebbe l’effetto di una genitorialità posticipata per via del conflitto
rimandando a tempi migliori. In secondo luogo, in alcune nazioni pesantemente coinvolte dal
conflitto, l’inizio del Baby Boom è persino anticipato e coevo alle tragedie del periodo bellico.
Infine, molte delle madri del Baby Boom, specie quante ebbero il primo figlio nella prima metà degli
anni ’50, durante gli anni del conflitto erano probabilmente troppo giovani per divenire madri in
base ai canoni socioculturali del tempo. Divennero madri dopo la fine delle ostilità perché durante
la guerra erano troppo giovani per farlo
2. Reddito relativo → quale determinate delle scelte procreative, per cui la fecondità aumenterebbe
quando le aspirazioni materiali delle famiglie sono più basse rispetto alle loro attese di ricchezza
negli anni a seguire, e scenderebbe in presenza di migliori aspettative di benessere materiale. Le
prospettive individuali di consumo sono basate su aspirazioni materiali che si formano presto nella
vita, quando si è ancora nella famiglia di origine. Le decisioni di genitorialità si formano tra i giovani
adulti in base alle loro attese di benessere nel resto della vita. È probabile che i genitori dei
Boomer, pur sollevati dalla fine del conflitto, avessero aspirazioni materiali più basse nel breve
periodo, aspetto che li avrebbe indotti a investire nella formazione della famiglia, spiegando così
l’elevata fecondità conseguente
3. Boom dell’exploit tecnologico → che semplificò la vita domestica, riducendo il costo/opportunità
dell’avere figli e interrompendo il secolare declino della fecondità, dovuto alla continua crescita dei
salari nella società industriale. Tale ipotesi può valere più per la seconda coorte del Baby Boom,
nata dopo e in una fase di consolidamento e di effettiva diffusione tecnologica nelle case degli
italiani

Grafico 2 → il Baby Boom in Italia si è concentrato soprattutto nelle natalità in quegli anni registrata in
Meridione, mentre appare ben più contenuto nel resto del Paese. Mentre al Centro-Nord la fecondità resta
per lo più sotto o prossima alla soglia di sostituzione di 2,1 figli per donna almeno fino ai primi anni ’60, i
valori al Sud sono stabili sui tre figli per donna.

Ciò significa che il Baby Boom del secondo dopoguerra interessa per lo più solo una parte del Paese,
essenzialmente quella che incontrerà un maggior ritardo nella ricostruzione e nello sviluppo economico,
conservando più a lungo i modelli familiari tradizionali e soffrendo in quegli stessi anni l’emigrazione verso

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le aree più produttive del Nord del Paese. I numeri di questa generazione sono davvero impressionanti se si
pensa che i Boomer di prima fascia, nati tra il 1946 e il 1955, ai dati del 2020risultano pari a circa mezzo
miliardo su una popolazione di poco più di sette miliardi di individui sul pianeta. Tabella 1 → la loro
consistenza è rilevante anche in Italia, dove raggiungono quasi i sette milioni di persone. Se i Boomer
pesano poco meno del 6% della popolazione mondiale, in Italia arrivano all’11,5%: oltre un italiano su dieci
appartiene a questa generazione. Tra i Boomer prevalgono di poco le donne. Il rapporto a livello globale tra
maschi e femmine in questa generazione è di circa 0,9 uomini per ogni donna. Naturalmente, anche in
ragione della diversa incidenza dei fattori d’invecchiamento dall’alto e dal basso, il peso demografico dei
Boomer, oggi compresi in un’età tra i 65 e i 74 anni, varia in base ai diversi contesti geografici. Risulta
proporzionalmente meno consistente nelle aree più povere del pianeta (nei Paesi meno sviluppato
rappresenta appena il 2,4%), mentre è ben più consolidata nelle zone economicamente più ricche. A livello
global la prima coorte dei Boomer rappresenta il 63,0% degli over 65, ovvero, quasi due terzi dei senior del
pianeta. La longevità è inversamente proporzionale alla diffusione della povertà: nei contesti meno
sviluppati l’aspettativa di vita è più bassa e la quota degli anziani più attempati si riduce per la loro minore
sopravvivenza. In Italia i Boomer sono minoritari tra i senior, contando per il 49,1% degli over 65. Ciò
dipende proprio dall’elevata presenza di persone over 75 e dalle opportunità mediamente più elevate
d’invecchiare a lungo. Questo rinvia alle diverse aspettative di longevità dei Boomer di prima coorte, che a
livello globale registrano una speranza media di vita residua a 65 anni pari a 15,6 anni per gli uomini e a
18,3 anni per le donne. Il dato sale molto in Italia, dove i maschi e le femmine della coorte 1946-1955
possono attendersi in media rispettivamente ben 19,3 e 22,5 anni di vita rimanenti. Ciò è importante
perché richiama la loro necessità di programmare e pianificare in anticipo una buona fetta di esistenza
rimanente. Molti Boomer, spesso poco propensi a farsi da parte per ragioni di età, probabilmente mirano a
rendere ancora espressivi e densi di significato gli anni di vita restanti

Nel 2021, l’intera coorte dei primi Boomer ha superato il 65esimoanno di età ei più nazioni sono intorno ai
74 anni. Tali estremi cronologici non sono casuali, perché, sul piano statistico, i 65 anni rappresentano l’età
tipica in cui la maggior parte delle persone si è ormai ritirata dal lavoro, così come, sul piano
epidemiologico, i 75anni definiscono, in media, l’inizio di una maggior incidenza di cronicità, malattie e
minore autonomia nella popolazione in età avanzata. L’invecchiamento dei Boomer assume particolare
interesse proprio perché vissuto da una generazione che, già distintasi per una cesura verso il passato,

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persino ora, all’ingresso dell’anzianità, mostra elementi di rottura e mutamento rispetto alla
rappresentazione tradizionale dell’età avanzata. I Boomer godono tutt’oggi dei vantaggi di una vita adulta
vissuta in un più diffuso benessere, che tutela il loro invecchiamento con buone garanzie di welfare,
insieme ai progressi della medicina e della tecnologia. Ciò fa di loro i protagonisti ideali dell’invecchiamento
attivo e in salute, preconizzando una generazione di anziani mediamente più sani. I Boomer si distinguono
spesso per una propensione espressiva e profondamente generativa, che prende campo proprio nel
momento in cui vanno in pensione, condizione che, oggigiorno, si traduce sempre meno in un completo
ritiro anche dalle attività fondamentalmente produttive. Invecchiare in salute non è un privilegio di tutti gli
esponenti di questa generazione. Si può trascendere nella negazione della fisicità dell’invecchiamento,
impedendo così di venire a patti con il proprio mutamento fisico, costringendo a mascherare e a rifiutare il
decadimento, nonché riproducendo socialmente improprie dicotomie tra corpi sani e malati. Generazione
dell’impegno → accezione “impegnata” di questo gruppo per età è attribuita al suo essere stata
protagonista delle grandi battaglie e delle trasformazioni culturali degli anni ’70, ai movimenti giovanili del
’68 e all’autunno caldo del ’69, situazioni vissute da molti Boomer come studenti e operai, e precursori della
rivoluzione culturale che ne è conseguita, proprio quale risultato della loro partecipazione. È stata la prima
generazione a definire un ruolo attivo e partecipe della gioventù quale soggetto di confronto con le
istituzioni e l’establishment. La rilevanza dei Boomer come categoria sociale, e soprattutto, la loro reciproca
identificazione variano oggi in base ai contesti e alle vicende storiche attraversate da questa generazione in
posizioni e condizioni non per forza omogenee. Anche il contesto territoriale gioca un ruolo chiave.
Tuttavia, anche Oltralpe è cresciuta l’attenzione all’eterogeneità generazione dei Boomer, non per forza
legata ai movimenti sociali anzidetti. Anzi, come dimostrato da Pagis, tra i Boomer francesi si riconosce
spesso una vocazione più conservatrice, meno progressista e assai lontana dal celebre “Il est interdit
d’interdire!”, con cui molti giovani francesi invocavano all’epoca maggiore libertà. Il ’68 ha giocato un ruolo
imprescindibile nella formazione dei valori di questa generazione. I Boomer appaiono come un gruppo per
età dotato di significative disponibilità economiche ed elevata propensione al consumo. Sono stati i primi
nella società occidentale a vivere e sperimentare la rivoluzione dei consumi di massa, che ha diffusamente
trasformato il gusto e gli stili di vita delle persone. Essi rappresentano la prima generazione cresciuta in un
‘epoca di benessere, giunta a pretendere che i bisogni e i desideri individuali siano soddisfatti e a credere
nell’importanza delle proprie scelte come fonte di affermazione. Tale disponibilità di risorse, unita al
ritrovato tempo libero e ai loro molteplici interessi, li rende appetibili sul mercato, che li qualifica come i
consumatori ideali per cui progettare e ideare prodotti e servizi dedicati. Landon Jones → conseguente
curva della distribuzione della popolazione per età al “maiale ingoiato dal pitone”, ovvero alla presenza di
una coorte dalle dimensioni cospicue quanto poco sostenibili da quanti l’avrebbero seguita (accezione
negativa). Questa generazione subisce non pochi stereotipi omologanti e, altrettanto spesso, è ritratta in
modo non sempre positivo. I Boomer, proprio per il loro posizionamento biografico in alcune fasi
significative dell’evoluzione storica in senso socioculturale, sono raffigurati quale generazione di passaggio
o ponte nelle molteplici dimensioni valoriali della transizione tra modernità e postmodernità. Provenendo
da un mondo rigidamente impostato e tradizionalista, in gioventù ne hanno attaccato le strutture stesse,
rivoluzionando il modo di vivere e di pensare, creando così le premesse per la società contemporanea e
l’evoluzione culturale postmoderna (esempio la famiglia). Hanno promosso negli anni ’70 le leggi sul
divorzio e sull’aborto e realizzato la riforma del diritto di famiglia.

Distinzione tra:

 Coorte → insieme delle persone nate negli stessi anni. I membri di una coorte condividono una
caratteristica anagrafica (età) da cui discendono conseguenze sociali (diritto di voto). Hanno
confini precisi perché sono costruite su carta.
 Generazione → insieme di persone consapevoli di condividere una medesima posizione nella
storia, vivendo gli stessi eventi sociali e culturali in una data fase della vita. I membri di una
generazione agiscono e partecipano a destini comuni anche in funzione di una memoria

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collettiva, che genera l’identità diffusa e consapevole di una generazione. Hanno confini più
sfumati, sia perché la forza dell’’esposizione agli stessi fenomeni varia a seconda dell’età, sia
per la varietà delle singole esperienze individuali.

Secondo Mannheim gli elementi fondanti della coscienza di appartenenza, che può accomunare coloro che
si riconoscono in una generazione riguardano l’attribuzione di un significato comune e riconosciuto. Questo
realizza una memoria collettiva derivata dall’esperienza comune in eventi storici a cui si è partecipato o
assistito. Sia la coorte che la generazione restano costrutti del ricercatore. La coorte potrebbe definirsi
come una “generazione in sé”, mentre i componenti di una generazione sono accomunati da quello che
Mannheim definisce Zeitgeist: il sentimento condiviso per un’epoca e lo spirito unico di una generazione,
possono essere considerati una “generazione per sé”. Una terza accezione del termine generazione “in sé e
per sé”, la generazione come costrutto culturale. Si intrinseca con la seconda e la influenza: spesso accade
che la consapevolezza dei membri di una generazione sia filtrata dalle rappresentazioni fornite da studiosi e
media di comunicazione. L’identità collettiva di una generazione si forma in un combinato di effetti storici e
di acquisizione di consapevolezza diffusa. Le persone tendono a formare i loro sistemi di valore proprio
durante l’età pre-adulta, mentre i sistemi di valore delle generazioni più vecchie si sono, per lo più, già
consolidate. Schewe e Meredith arrivano addirittura a definire con precisione operativa tale periodo,
individuandolo nella fase compresa tra i 17 e i 23 anni, ovvero nel passaggio tra la fine dell’adolescenza e
una prima età adulta.

 Effetto del corso della vita si riferisce all’influenza che la collocazione dell’individuo in una
certa fase del suo ciclo biografico può avere sui suoi comportamenti politici e culturali,
nonché sulle condizioni e le possibilità riferite a una specifica fase della vita.
 Effetto di coorte: influenza del periodo di socializzazione nella fase formativa e il suo
perdurare oltre la gioventù. Produce cambiamenti che caratterizzano una popolazione nata
in un certo momento della storia, ma che resta indipendente dal processo
d’invecchiamento
 Effetto di periodo: eventi e/o tendenze peculiari di un certo momento storico, che
influenzano tutte le generazioni e non solo quelle più giovani. Si realizza in un momento
specifico e interessa uniformemente tutti i gruppi per età, quindi tutte le generazioni
presenti in quel dato punto della storia.

Un primo passaggio consiste in una definizione operativa delle diverse fasi biografiche dei Boomer in modo
da intercettare gli effetti di corso della vita. Proporre dei confini cronologici agli effetti di corso della vita
anche per collocare gli stessi in un arco storico-temporale. Si deve dare importanza alla fase di formazione
valoriale giovanile dei Boomer, che ha indubbiamente contribuito a definire l’identità generazionale, specie
in relazione alla profonda rivoluzione culturale che ne ha caratterizzato la gioventù. Seguendo una
prospettiva longitudinale, è possibile pervenire alle caratteristiche odierne dell’identità generazionale dei
Boomer. Applicando una prospettiva trasversale e risultante solo da condizioni attuali, si ricaverebbe una
visione spuria, definita unicamente dalle loro condizioni nel primo invecchiamento, senza considerare
l’intero percorso. Si possono stabilire i limiti cronologici della gioventù tra i 17 e i 23 anni, dal 1963 al 1978.
Si può definire la fase adulta, il cui inizio, è derivabile dalla fine della fase giovanile (24 anni), inizia quando i
più vecchi sono già abbondantemente entrati nella maturità. L’anzianità inizierebbe con il pensionamento.
Molti Boomer hanno iniziato a lavorare presto, a un’età in cui molti giovani di oggi stanno ancora
studiando. Buona parte della giovinezza coincide già con l’inizio della fase lavorativa per cui possono aver
anticipato il pensionamento. Una parte di questa generazione ha goduto dell’opportunità di andare in
pensione molto presto, grazie alle cosiddette pensioni baby, introdotte nel 1973 e abolite effettivamente
solo nel 1955 con la riforma Dini (40-50 anni). Molti hanno continuato a lavorare in altre forme. L’ingresso
di questa generazione nell’età avanzatasi può individuare intorno al compimento dei 60 anni di età da parte
dei primi Boomer, nati nel 1946. È utile ipotizzare una mappa degli eventi e dei periodi storici significativi,

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che, succedendosi nelle fasi biografiche precedenti definite, ricostruisca la combinazione tra effetti di corso
della vita e di coorte alla luce degli effetti di periodo. Nella Tabella si associano le diverse fasi dell’esistenza
dei Boomer agli accadimenti della storia, sia in Italia si a livello internazionale fino ad oggi.

La mappa delle fonti: si è proceduto all’analisi della generazione Boomer partendo da sotto-campioni riferiti
a questa coorte e ricavati da indagini trasversali ripetute nel tempo, scelte in base ad adeguate
caratteristiche, al fine di limitare il più possibile le criticità pocanzi esposte. Si è cercato di indagare una

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pluralità di fonti che fossero operate da istituti altamente specializzati e che offrissero ampi database
ricavati da osservazioni ripetute in più edizioni negli anni. Per ogni fonte si è selezionato il sotto-campione
dei Boomer nati tra il 1946-1955. Le analisi sono state condotte nella consapevolezza di cogliere un dato
puramente indiziario, anche se non sempre statisticamente rappresentativo. L’analisi della generazione in
esame è stata realizzata abbinando ai dati di fonte secondaria un’indagine qualitativa, condotta attraverso
interviste biografiche a Boomer testimoni qualificati e diretti degli eventi nel tempo. L’indagine qualitativa è
realizzata attraverso racconti di vita della durata di circa un paio d’ore, specificamente declinati per
indagare in una ricostruzione prospettica da parte dei Boomer le principali fasi della loro esistenza,
esplorando la percezione delle attuali condizioni socioeconomiche e di salute, le pratiche e i comportamenti
relativi allo stile di vita abituale, nonché gli aspetti identitari ed espressivi. Si è ritenuto di primaria
importanza il genere, perché la componente femminile di questa generazione è stata antesignata di un
percorso di emancipazione e di conquista di diritti che hanno rivoluzionato il ruolo e la posizione della
donna nella società. Un secondo fattore chiave è il titolo di studio, che in un miglior e diffuso accesso
all’istruzione ha costruito un elemento fondante per le traiettorie socioeconomiche di molti appartenenti a
questa generazione. Il nostro campione riparte tra un 43% di soggetti che non vanno oltre la licenza media,
un 37% in possesso di qualifica o diploma e poco meno del 20% di laureati. Un terzo fattore riguarda il
luogo di nascita, cercando intervistati disponibili sia tra persone autoctone sia nate fuori regione, non tanto
per ragioni di territorialità in sé, quanto più per le possibili esperienze di migrazione, abbastanza rilevanti
nel percorso biografico di questa generazione. Circo il 20% del campione qualitativo risulta essere nato
fuori regione. Sono state raccolte 51 intervistate, condotte tra il 2018-19 tra persone residenti nell’area
metropolitana genovese e in età tra i 65 e i 74 anni. L’area genovese è stata oggetto di migrazioni da fuori
regione specie quando il capoluogo ligure rappresentava un vertice del cosiddetto Triangolo Industriale
nella fase espansiva degli anni ’60-’70 e successivamente, dagli anni ’80 in poi ha visto un declino
economico caratterizzato da un’alternanza di recessioni e stagnazioni ma non troppo deprivato. Metodo di
analisi degli stessi contributi qualitativi condotto secondo i criteri della teoria del posizionamento: tale
approccio è frequente nella gerontologia sociale, perché aiuta a ridurre lo spazio tra le prospettive sociali e
individuali circa i processi d’invecchiamento e si traduce in un’analisi narrativa rispetto a fatti e a eventi
riconducibile a tre elementi principali, ovvero il posizionamento, le trame narrative e le forme linguistiche
rinvenibili nella ricostruzione degli eventi da parte dei senior. Le posizioni sono come gli intervistati
collochino sé stessi e gli altri nella narrazione di eventi o periodi. È fondamentale per interpretare i ruoli
ricoperti dai Boomer dagli altri compartecipi agli eventi, quali attori di una situazione o di un processo. Le
trame narrative sono le narrazioni individuali e sociali che descrivono, spiegano e interpretano le posizioni
stesse. La narrazione di circostante e fatti svela le percezioni dell’attore circa il vissuto sperimentato e
restituisce la sua interpretazione dei fatti. La ricostruzione dell’atto narrativo va riferita anche alle forme
linguistiche usate per mettere in scena le trame e le posizioni anzidette, assegnando così, a parole e termini
utilizzati un ruolo interpretativo fondamentale.

PARTE II

Un primo spunto nasce dalla caratteristica della profonda scissione culturale rispetto al passato,
conseguenza di una spiccata propensione giovanile al cambiamento e all’opposizione verso le generazioni
precedenti, più tradizionali e conservatrici. Tale propensione è frequente nelle generazioni che seguono
rispetto a chi le precede. Essendo scresciuti nel dopoguerra in una società che si stava espandendo
economicamente, si può dire che i Boomer abbiano potuto abbracciare la vita e tutte le opportunità che
essa aveva da offrire, specie se confrontate con quelle ben più esigue della generazione precedente, che
aveva vissuto il conflitto e a cui toccava la ricostruzione dopo eventi così tragici. Insieme a un consumo
culturale che distingueva i giovani dalle altre fasce d’età, molti maturavano un senso d’insoddisfazione e
contrapposizione a ciò che la società gli proponeva. Rifiutando il materialismo e il conformismo dominanti, i

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Boomer iniziavano a mostrarsi come una gioventù priva di confini e distinzioni che ambiva a un mondo
diverso e a esserne protagonista. L’insoddisfazione per un quieto benessere generò sia propensione
all’impegno sia ribellione. Molti Boomer arrivarono a coltivare una nuova forma di cultura giovanile o
un’autentica controcultura antisistema che si opponeva al mondo degli adulti e sperimentava strade
alternative. Diversi giovani, prendendo consapevolezza e divenendo avanguardia per le generazioni
successive, inventarono la gioventù come soggetto politico. Promuovendo l’immagine diffusa di una
generazione idealista, con un forte senso identitario e morale, molti Boomer iniziarono a riscrivere le regole
e a modificare la cultura, ponendo le basi per i valori della società contemporanea, divenendo testimoni, e
spesso protagonisti, di eventi epocali, quali le proteste del ’68, i movimenti per i diritti civili, il femminismo,
la rivoluzione sessuale e ogni cambiamento culturale e di stile derivante da un’era, che rimodulò buona
parte dei canoni culturali allora dominanti. Spesso si tende a posizionare storicamente i fattori di cesura e
cambiamento soprattutto nella fase apicale della trasformazione, di solito identificata nei movimenti a
partire dal ’68 fino ai primi anni ’70, ovvero dall’inizio della protesta giovanile fino a una conflittualità
sociale più intensa.

 Una fase preliminare e prodromica agli eventi del ’68 riguarda l’infanzia dei Boomer negli anni della
Ricostruzione. È un momento non meno fondante della cesura con il passato, perché ne pone le
premesse, mettendo a disposizione di molti di loro risorse e opportunità che le generazioni
precedenti non avevano conosciuto.
 Una seconda fase definisce la prima formazione valoriale, attraversando gli anni ’60 e culminando
nelle proteste del ’68. È il momento che precede la contestazione, ovvero un intervallo epocale per
il paese, che corrisponde all’apice del boom economico, ma che, al contempo, getta le basi per
l’emancipazione giovanile, anche grazie alla costruzione culturale dei giovani quale categoria di
mercato a cui destinare consumi specifici.
 La fase seguente si ha nel biennio ’68-’69 quale evento spartiacque di un crinale rispetto al passato.
È l’apice simbolico di un’emancipazione ribelle, che sancisce i giovani come categoria politica chiara
e riconosciuta.
 Il passaggio successivo nella gioventù dei Boomer è collocabile subito dopo il ’68 e arriva almeno
fino alla prima metà degli anni ’70. Resta una fase di attesa e di disillusione, perché si inizia
comprendere la difficile concretizzazione degli ideali del ’68. Anche sul piano economico si aprono
fronti di crisi: la crisi petrolifera del ’73 mostra i limiti del modello di sviluppo capitalistico seguito
dall’occidente e in Italia ma non solo, dalla disoccupazione giovanile, che diviene un problema
significativo, anche per le nuove leve in ingresso nel mondo del lavoro. La risposta al disagio è
ideologica, affermandosi tra i giovani un mutamento di valori e atteggiamenti, dovuto allo
scontento e all’insoddisfazione; si realizza talvolta estremizzandosi nel distacco, in un giovanilismo
antagonista, opposto alla tradizione e all’autorità, e autoemarginato dal mondo degli adulti o nella
lotta armata.
 Un’ultima fase corrisponde alla seconda metà degli anni ’70, che conducono alla radicalizzazione
del conflitto sociale e della violenza. Crescono il disagio e la frustrazione tra i giovani che non a caso
confluiscono nelle proteste del ’77. Sono gli anni dell’apice del terrorismo e sono anche gli anni
dell’eroina in cui la piaga della droga inizia a mietere vittime tra quelli che passeranno alla storia
come la Generazione scomparsa. Questa fase rappresenta sempre meno la giovinezza dei primi
Boomer.

L'infanzia e l'adolescenza di questa generazione all'incirca nel periodo a cavallo tra gli anni 50 e la metà
degli anni 60 sono state caratterizzate dalla ricostruzione e successivamente dal lungo decennio del
miracolo economico. L'analisi delle interviste restituisce un'interpretazione del mutamento secondo tre
elementi ricorrenti: la consapevolezza della distanza della generazione precedente, con la guerra
identificata quale punto di cesura, le conseguenze del boom economico e tecnologico, in seguito il distacco
valoriale e l'evoluzione di un rapporto persino contraddittorio con il nuovo benessere. Per chi è nato dopo il

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1950 i primi ricordi d'infanzia iniziano a collocarsi già in una fase in cui il paese aveva iniziato a correre
economicamente. Al contrario, molti boomer più anziani conservano ancora memoria del loro vissuto
infantile nello scenario meno agiato delle prime fasi del dopoguerra. Pur nell'eterogeneità delle condizioni
economiche, tutti i boom intervistati riportano la sensazione di un'infanzia generalmente serena o
quantomeno non afflitta da particolari restrizioni, quali quelle che si possono supporre nella difficile fase
della ricostruzione. Anche se sicuramente molti genitori dei boomer vissero le difficoltà economiche del
dopoguerra, questa almeno dalle parole degli intervistati, non vennero fatte sentire troppi figli. Il distacco
generazionale è evidente, ancorando sul piano simbolico cognitivo a chi era venuto prima le difficoltà della
guerra, evento distante che segna il confine tra loro e chi li ha preceduti. Un secondo fattore la sensazione
del miglioramento progressivo man mano sempre più diffuso che si concretizza in condizioni reali, nel
possesso di beni materiali, ma anche in un mutamento tecnologico che cambia le abitudini di vita. Sono le
premesse per una propensione consumista da parte di una generazione che vive migliori condizioni grazie
al benessere prodotto dei propri genitori. Nel 1951 le differenze economiche del paese sono all'apice, con il
primato del nord-ovest, il nord est e il centro in posizione intermedie, il meridione e le isole fanalini di coda.
In quegli stessi anni si rivelano diversi fenomeni di spostamento della popolazione. Aumenta l'emigrazione
verso l'estero e si verificano processi di immigrazione interna, dal sud e dal nord verso il triangolo
industriale di Genova, Torino e Milano, nonché un maggiore afflusso dalle campagne alle città proprio per
effetto dell'occupazione industriale. I boomer sono stati testimoni di un chiaro effetto di periodo, ovvero di
come l'ingresso degli elettrodomestici nella quotidianità domestica abbia mutato le attività di ogni giorno,
risparmiando tempo e fatica. La tecnologia fa l'ingresso nelle case, liberando tempo e fatica. Ma è
soprattutto una di queste innovazioni tecnologiche e influenzali boomer, quanto la società dell'epoca,
ovvero la televisione. L'avvento della televisione è databile nel 1954 in Italia inizio delle trasmissioni Rai, ma
divenuta oggetto domestico diffuso solo dai primi anni ‘60, è certamente un effetto di periodo che ha
influenzato tutta la società dell'epoca, in particolare, i boomer contribuendo alla socializzazione e alla
formazione valoriale specie per molti giovani negli anni ‘60. In quel periodo la riforma della scuola media
unica è l'estensione dell'obbligo scolastico ai 15 anni accrescono l'uguaglianza di opportunità, principio fino
ad allora inedito nella scuola italiana, a cui si accompagnano la liberalizzazione degli accessi all'università
degli anni 60. Questo crea le premesse per un passaggio all'istruzione superiore di massa, chi può definirsi
un ennesimo effetto di coorte per la generazione dei boomer e una determinante chiave nei loro percorsi di
mobilità sociale, dovuti non solo ad aver vissuto periodi più favorevoli sul piano economico, ma anche
virgola e soprattutto, a migliori premesse sul piano formativo, successivamente spendibili nel sistema
produttivo. È un periodo in cui anche la classe operaia può investire nel capitale umano dei figli,
promuovendo la mobilità sociale internazionale poiché proprio grazie a una migliore produttività
complessa, in quegli anni aumentano anche le sovvenzioni allo studio universitario, che consentono anche
ai figli dei ceti meno abbienti di conseguire una laurea. Già durante la guerra le donne avevano già esperito
un maggiore accesso al mercato del lavoro, per l'assenza di manodopera per molti maschi al fronte, così
come alcune avevano sperimentato un primo accesso all'istruzione, quale forma di investimento futuro,
pure in una società tradizionale patriarcale. Pur in un migliore accesso all'istruzione, buona parte dei
boomer provenivano da famiglie tipiche dell'epoca genitori dallo status socioculturale molto modesto,
meno istruiti e di estrazione più umile, specie al sud e nelle campagne, dove sussistevano ampie sacche di
analfabetismo e disoccupazione. In secondo luogo, l'industrializzazione accelera, favorendo la disponibilità
delle produzioni di base per lo sviluppo delle industrie manufatturiere, che producono beni di consumo
durevoli. Il nuovo sistema è basato sul riconoscimento dei diritti di organizzazione e rappresentanza dei
lavoratori. Il sistema stesso, con la riforma della scuola e dell'università e con un rinnovato modello di
relazioni industriali, ha favorito la contestazione di studenti operai che Uniti in breve mineranno a
sovvertirlo. Sembra all'inizio degli anni 60, il Concilio Vaticano II, indetto da Giovanni XXIII, nel 1962 aveva
portato una revisione della dottrina della Chiesa, specie nei suoi rapporti con la cultura mondana. La prima
giovinezza di boomer, tra la ricostruzione del dopoguerra e il successivo boom economico, era spesso
tipicamente caratterizzata da una cultura tradizionalista e conservatrice, specie in famiglia. L'identità

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giovanile dei boomer si forma nel momento in cui loro stessi divengono oggetto delle attenzioni del
mercato in cui la socializzazione giovanile può fruire di strumenti mediatici di, combinando cinema, musica
e televisione virgola che entrano pienamente nella quotidianità di ognuno e soprattutto dei giovani.
Storicamente il 68 è l'anno evento, il punto di svolta per eccellenza della gioventù dei boomer, che inizia
con le proteste del maggio francese, presto allargata alla contestazione in Italia, fino a riunire la ribellione
studentesca con quella operaia con l'autunno caldo del 69, hanno dei rinnovi contrattuali dei
metalmeccanici. È anche l'anno della primavera di Praga seguita all'anno dopo dal concerto di Woodstock
eventi di elevata portata simbolica nell'immaginario collettivo. Lo scenario internazionale è dominato dalla
competizione della guerra fredda non limitata alla potenza militare all'espansione delle sfere d'influenza tra
Usa e Urss ma per qualche tempo estesa la conquista dello spazio, che culminerà nel 69 con il primo uomo
sulla luna. Il 68 segna un anno di profondo fermento, ma che va collocato in un periodo di Rinascimento
culturale globale anche al di là delle contestazioni. Il 68 fu una rivendicazione contro un sistema che auto
perpetuava le disuguaglianze, imponeva strutture culturali e sociali rigide, patriarcali, non giustificabili sul
piano sociale politico e religioso, da lì la critica al sistema che, in qualche modo coinvolgeva
ideologicamente anche molti tra coloro che non manifestavano in un agivano direttamente. In quell'anno i
più vecchi avevano 22 anni in cui molti potevano già essere nel mondo del lavoro. Al contrario, i più giovani
avevano appena 14 anni quindi probabilmente in posizione ancora marginale rispetto alle contestazioni.
Nel 1968 è la prima metà della coorte dei boomer a prendere parte alla contestazione studentesca. La
seconda metà era forse troppo giovane per partecipare pure iniziano ad avvertire il mutamento del clima
sociale e il nuovo ruolo politico che la gioventù stava assumendo. I più giovani spesso ricavavano
indirettamente l'esperienza da fratelli e sorelle maggiori. Soprattutto, anche il mondo del lavoro era in
fermento e molti boomer che nel 68 già lavoravano, specie si è occupati nelle fabbriche, potevano
facilmente avvicinarsi alla protesta attraverso la lotta operaia. L'università diviene lo spazio materiale
simbolico in qualità di luogo di cultura e cambiamento, della contestazione stessa esplicitata prima nel
confronto tra le istituzioni universitarie gli studenti, nonché tra gli studenti stessi. Dapprima la protesta
nasce nelle università americane e francesi, poi arriva in Italia. Occorre tenere presente che aver fatto
l'università nel 68, al di là del clima sicuramente movimentato, non implica necessariamente adesione ai
valori e agli ideali della protesta anche da parte di altri boomer che in quegli anni stavano formando il loro
sistema di valore. Si intuisce che il 68 era un fenomeno prevalentemente urbano, era più probabile il
coinvolgimento di giovani provenienti da un ambiente cittadino del fermento culturale e ricco di stimoli e
opportunità, rispetto a giovani residenti in campagna o in una dimensione più provinciale, influenzati
ancora da una cultura rurale è più tradizionalista, pertanto meno permeabile e più distante dal mutamento
in atto. La critica al mondo degli adulti nella contestazione studentesca è sostanzialmente un processo di
usurpazione. Questo si traduce nel rifiuto della tradizione e dell'autorità, spesso espresso nella protesta con
violenza comunicativa, se non addirittura fisica, oppure con uno stentato giovanilismo, sfoggiando
atteggiamenti e comportamenti anticonformisti di chiusura e rifiuto del mondo degli adulti e dei loro modi
di essere. La protesta dei giovani boomer trova obiettivo critico spesso nei genitori, che rappresentavano in
qualche modo la personificazione della soggezione alla società borghese e dell'adesione modelli
materialistici di questa proposti. Dalle parole dei boomer intervistati si vince come la ribellione sia
prevalentemente indirizzata verso la figura paterna, al contrario, spesso come hai già visto altrove nel
volume, le madri appaiono molto più aperte e non di rado anticipatori di una modalità femminile di vedere
il mondo sai più aperta. La protesta viene presto canalizzata nella diffusa adesione teorica al marxismo-
leninismo, divenendo la risposta al senso di esclusione provato dai giovani e gli stessi collettivi studenteschi
rappresentano la presa di coscienza da parte di una gioventù che si scopre generazione “per sé”. La
partecipazione attiva al movimento diviene la dimensione caratterizzante della vita sociale e politica di
molti giovani studenti e operai uniti nella protesta e il movimento di quegli anni costituisce la base di una
politica diversa, orientata alla partecipazione alla condivisione. Tuttavia, il fronte politico diviene presto
estremizzato, e la partecipazione alla contestazione evidenzia un fattore di schieramento sempre più
acceso, conseguenza anche di una reazione al sistema, incapace di accogliere e propenso a dividere e a

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reagire in forma repressiva. I giovani del ‘68, per quanto uniti nella lotta contro il sistema e a difesa di esso,
e persino tra loro in conflitto costituiscono una pluralità di unità generazionali, in parte antagonisti, ma
anche più spesso diversamente escluse o controllate dal sistema stesso che mentre in quel momento si
contrappone le divide, lentamente nel tempo riuscirai a inglobarle. Per molti attivisti il 68 resta
fondamentale perché generativo di un portato valoriale anche in seguito determinante. “L'aver fatto il ‘68”
è per molti espressione di orgoglio e distinzione, sia sul piano personale, sia per capacità di visione
condivisa e di azione collettiva. Per altri boomer la valutazione di quel periodo è controversa, se non
negativa, specie nella critica alla violenza, già all'epoca pronta a tracimare virgola e per il diffondersi anche
successivo di un’estremizzazione del confronto politico in ogni contesto. Gli anni 70 sono caratterizzati dalla
critica delle visioni particolaristiche tradizionali e dall'affermazione di valori universali di uguaglianza,
solidarietà, libertà e dignità del lavoro, con una mobilitazione collettiva e la costruzione di un'identità di
classe. Subito dopo il 68 si assiste anche un eterogeneo processo di integrazione sistemica e di parziale
modificazione valoriale. Il periodo post-sessantottino si traduce per molti attivisti nella scelta se proseguire
o meno la contestazione e la lotta per i diritti. Ciò non toglie che questa fase divenga un momento di acceso
conflitto tra culture e sistemi di valori contrapposti, tra la resistenza organizzata dal vecchio sistema di
valori autoritari, gerarchici ed elitari, e le concezioni emergenti, caratterizzate da una combinazione di ideali
e aspirazioni, talvolta utopiche, nonché da diffusi opportunismi, che sfociarono presto in nuove
contestazioni, rivolte e contrapposizione generazionale. La prima metà degli anni 70 vede ampie stanze di
rivendicazione sociale e lavorativa. Lo statuto dei lavoratori del 1970 è conquista fondamentale di quegli
anni risultato di una lotta condotta da operai e impiegati, che consacra i sindacati come espressione e
rappresentanza delle parti sociali e ne sancisce la rilevanza politica. Si tratta di legittime rivendicazioni per
un sistema del lavoro più umano che, permettendo migliori condizioni di vita dentro e fuori le aziende, può
condurre a una società più equa. Inizia un periodo di rivendicazioni spesso concentrate anche nella richiesta
di trattamenti previdenziali e assistenziali, che in seguito caricheranno a dismisura sulla spesa pubblica.
Negli anni 70 inizia una conquista sociale importante come l'assistenza sanitaria universale, ma inizia anche
una stagione di eccessi destinati a gravare in futuro, come la crescita delle baby pensioni e del sistema
retributivo esteso, che preconizza i futuri disastri dell'Inps. In quegli anni si rivendica il salario come
variabile indipendente dalla produttività e si assegna allo stato il ruolo di datore di lavoro, con interventi di
ultima istanza in caso di crisi economiche e al contempo, quale fonte di disoccupazione sicura con il
massimo delle garanzie e delle tutele, prevalendo una concezione passiva delle politiche del lavoro, a
supplire carenze assistenziali senza considerare che proprio in quegli anni il modello del sistema industriale
inizia a mostrare le prime crepe e che la produttività del lavoro inizia a rallentare di conseguenza. La
partecipazione diffusa vede anche un certo protagonismo dei sindacati, ma resta una visione condivisa, più
matura e razionale dell'impeto rivoluzionario e utopico del 68. Inizia la crisi del modello fordista, per la sua
incapacità di comprendere le evoluzioni del mercato e per la prima crisi petrolifera del 1973. Da lì in poi
emerge il fenomeno della disoccupazione giovanile, quando gli effetti del prezzo del petrolio si fanno
sentire di più sull'economia italiana, che per la prima volta dopo decenni, incontra una fase recessiva, per di
più accompagnata dall'aumento dell'inflazione del debito pubblico. Molte battaglie e conquiste civili degli
anni 70 nascono quali esiti di un percorso di evoluzione socioculturale della posizione della donna nella
società, soprattutto nella famiglia e nel mercato del lavoro. Tale percorso ha origini lontane, proprio nelle
madri della generazione boomer, i tempi della resistenza, quando i gruppi di difesa della donna,
mobilitarono l'Unione delle Donne Italiane. L’UDI diviene riferimento associativo di un diffuso
rinnovamento culturale in favore del ruolo delle donne, nei diritti civili e sul lavoro. Nel 1958 spinge
l'approvazione della legge Merlin per la chiusura delle case di tolleranza. Negli anni 60 promuove la
pensione alle casalinghe e la diffusione degli asili nido, sia come supporto al doppio ruolo delle donne come
lavoratrici come madri sia come strumento di socializzazione della crescita e della cura dell'infanzia. Negli
anni 70 inizia a confrontarsi dialetticamente con il crescente movimento femminista sui temi dell'aborto e
la contraccezione. In quegli anni si diffonde il neofemminismo moderno, nato a Trento con il circolo Lotta
Femminista durante la contestazione e proseguito nel Fronte Italiano per la Liberazione Femminile e il

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Movimento per la Liberazione della Donna di derivazione del Partito Radicale. L'avvento del femminismo in
Italia è decisivo per allargare la rivendicazione dei diritti delle donne introducendo nel nostro paese il
dibattito internazionale sul genere, attraverso le opere di Ann Oakley, e la denuncia del modello patriarcale
di dominazione maschile attraverso il sex-gender system, teorizzato in quegli anni da Gayle Rubin. Proprio
le lotte degli anni 70, promuovendo l'emancipazione della donna, hanno segnato altre vittorie civili, come il
referendum sul divorzio del 1974, la legge sull'aborto del 1978, e la riforma del diritto di famiglia, o
ponendosi e superando i canoni e la visione dominante di matrice cattolica e tradizionalista. Tali riforme
spostano l'attenzione dalla tutela della famiglia alla difesa dell'individuo. In questo periodo si collocano i
primi studi internazionali di Inglehart, che sottolinea il ruolo della gioventù dell'epoca nel cambiamento
valoriale verso il post materialismo e l'espressione di sé. Tra giovani boomer dei primi anni 70 si osserva lo
spostamento la centralità dei bisogni primari a esigenze secondarie più espressive, meno pressanti ma non
meno importanti. Secondo Inglehart, nella forma di una rivoluzione silenziosa la giovinezza dei boomer
diviene la prima testimonianza di una trasformazione valoriale verso una visione assai più post-materialista
dell'esistenza. Questo risulta ancor più evidente per la quota della generazione boomer, in cui il processo è
generato dal complimento dell'espansione dell'istruzione superiore e dei crescenti stimoli delle
comunicazioni di massa, oltre che da una fase ormai avanzata del movimentismo dell'epoca. Lo
spostamento per Inglehart si avrebbe nelle preferenze elettorali, nel declino dei valori tradizionali, come la
legittimità dell'autorità gerarchica, il patriottismo, la religione e la fiducia nelle istituzioni. Lo studio rivela
come i giovani mostrino il bisogno di un modo diverso di intendere le relazioni sociali in una società in cui i
rapporti sono avvertiti come frustranti per mancanza di genuità. Dall'altro, inizia a percepirsi un riflesso
negativo, strumentale e di perenne confronto verso il prossimo. I giovani del ceto medio o della borghesia
erano assai meno conservatori, più innovativi ed espressivi, nonché perlopiù politicamente orientati a
sinistra. Al contrario, chi veniva dal mondo operaio esibiva a livelli più elevati di conservatorismo e
tradizionalismo, insieme a una propensione più acquisitiva e al voto di destra. Il modello culturale
dominante in Italia fino ad allora è legato a una tradizione contadina e rurale, in una visione egocentrica e
particolaristica, che assorbiva l'individuo nella famiglia e in un orizzonte limitato di rapporti primari. Al
contrario, il progresso spinge per rapporti di tipo allocentrico e universalistico, forse più spersonalizzati, ma
anche più aperti all'esterno. La famiglia è avvertita come uno steccato, che separa dall'accesso a una
società più democratica, vista come traguardo per tutti. La scienza scavalca l'ideologia religiosa, liberando la
moralità dall'obbligo della fede e dall'osservanza ai dogmi della Chiesa. Dalla metà degli anni 60 gli Stati
Uniti avevano intensificato le operazioni nella lunga guerra del Vietnam, che iniziata nel 1955 finirà solo nel
1975, creando un fronte di protesta nel mondo e di renitenza alla leva nei giovani americani, molti dei quali
destinati a essere sacrificati in una guerra all'altro capo del mondo, un conflitto feroce e sanguinoso, che
non sentono proprio. In Italia iniziano gli anni di piombo e si avverte l'ombra della strategia della tensione,
con le stragi di Piazza della Loggia e dell’Italicus nel 1974. Tra il 1970 e il 1974, intanto, si fa strada la
propaganda armata delle Brigate Rosse che agita il mondo delle fabbriche. La violenza degli anni 70, che
avrà il suo apice nella seconda metà del decennio con il sequestro di Aldo Moro, emerge l'inadeguatezza di
un'offerta politica incapace di cogliere e incanalare queste nuove dimensioni emergenti e l'escalation della
violenza di quegli anni nasce così dalla mancata mediazione tra il sentimento diffuso di rabbia e frustrazione
degli ideali rivoluzionari, i rigurgiti neofascisti, e la svolta repressiva dello Stato, che arresta la spinta
riformista, ma al contempo, non riesce a far chiarezza sul ruolo oscuro di poteri occulti impegnati in trame e
depistaggi. La violenza del terrorismo, di estrema sinistra o di estrema destra, esplode intorno alla metà
degli anni 70. Nel 1977 nelle scuole e nelle università scoppia una nuova contestazione, non solo contro il
sistema politico e i sindacati, ma anche opposta al modo stesso di organizzare la protesta studentesca.
Disagio sociale, proteste e violenza si avvicendano in un climax che arriva all'apice tragico con il sequestro e
l'assassinio di Aldo Moro nel 1978. La violenza del 68 nasce allora dalla discrepanza tra le aspettative di
valore, ovvero i beni e le condizioni a cui le persone ritenevano di poter aspirare legittimamente, e le
capacità di valore, ovvero quello che in quel momento molti ritenevano di poter realisticamente ottenere.
Questo all'inizio generò rabbia e frustrazione, che sfociarono nella prima fase della contestazione. La svolta

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radicale e violenta già del 68 e, soprattutto, degli anni seguenti rispecchia la separazione tra una prima fase
liberatoria e libertaria della protesta studentesca, presto unitasi alla protesta nel mondo delle fabbriche, e
la successiva fase militante ed estremista, più radicale e aggressiva. Quest'ultima fase radicalizzata definisce
la violenza degli anni 70 in Italia, che la vede divenire uno strumento improprio al servizio di un progetto
rivoluzionario e destabilizzante. Questo passaggio risulta epocale, perché riflette per la prima volta in Italia
una concezione più modernista della violenza, non solo più parte di un progetto razionale del terrorismo,
ma anche debordante nei confronti della popolazione civile, traducendosi intenzionalmente nella diffusione
di un senso di incertezza esistenziale e generando il bisogno di sicurezza delle persone comuni. La critica
alla violenza e il senso di eccesso nascono anche dal fatto che buona parte della generazione in esame
aveva ormai iniziato la fase adulta della vita e osservava i fatti da una posizione integrata nella società, sia
produttivamente sia ideologicamente. La seconda metà degli anni 70 intercetta ancora la gioventù dei
boomer, ma corrisponde anche all’ormai avvenuto ingresso nella maturità dei più vecchi esponenti di
questa generazione, probabilmente in quella fase già nel mondo del lavoro, se non già sposati con figli.
Nella seconda metà degli anni 70 è probabile che buona parte dei boomer si fosse già integrata nel sistema
produttivo e avesse costituito un proprio nucleo familiare, con un conseguente adeguamento al sistema sul
piano dei comportamenti, dei valori e delle aspettative. Un atteggiamento più rivoluzionario dalla seconda
metà degli anni 70 riguarda quelli della seconda coorte. Probabilmente una logica di integrazione
funzionale a nuove esigenze di vita ha portato molti boomer a ricercare una maggior stabilità, magari
proprio abbandonando le forme di contestazione e protesta sperimentata in gioventù, perché ormai non
erano più funzionali e gli obiettivi biografici. Il rifiuto o l'abbandono della contestazione ben si sposano con
un nuovo spirito individualista e la vocazione consumista che, da lì a poco, specie a partire dagli anni 80,
caratterizzerà la fase matura dei boomer. Nella seconda metà degli anni 70, per molti boomer era iniziato
l'abbandono della fase giovanile, e buona parte di loro si confrontava con le criticità dell'età adulta. Più
della metà di questa generazione, nel 1975 aveva varcato ormai i 25 anni. Certo, ancora giovani, ma forse
non più studenti e più probabilmente ormai inseriti nel mondo del lavoro, se non già madri e padri. Un
primo punto di vista è quello degli ex studenti delle classi medio-basse, che, pur avendo avuto accesso a
migliori opportunità di istruzione, con le prime crisi e l'inizio della disoccupazione negli anni 70, dopo la
contestazione del 68, vedono sempre più ridotte le possibilità concrete di tradurre i loro investimenti in
occasioni di mobilità sociale ascendente e, tantomeno, di un impiego gratificante, magari dovendosi
adeguare a impieghi monotoni, ripetitivi e burocratizzati. Una seconda prospettiva, parallela a quella degli
studenti proletari, è dei giovani operai-massa, non specializzati, spesso provenienti dal sud e in condizioni di
deprivazione, alienazione e sradicamento. Animati da una forte etica del lavoro e dall'intenzione di
raggiungere un miglioramento continuo delle condizioni di lavoro anche grazie a una maggiore
partecipazione alla vita di fabbrica, nei primi anni 70 non incontrano strumenti di rappresentanza e di
identificazione del sindacato tradizionale, tendono a professare il rifiuto del lavoro, ritenuto alienante, e
per questo praticano spesso azioni di boicottaggio e rischiano di sperimentare modalità di conflitto più
radicali. Infine, c'è il punto di vista del loro presunto antagonista, ovvero sistema capitalista e borghese
dominante. Con l'avvento della disoccupazione giovanile il capitalismo mostra ancora una volta la sua
evidente contraddizione, da una parte, nel sostenere un'etica del lavoro, promuovendo senso e incentivi
alla vita produttiva, dall'altra, nel non poter offrire tale opportunità lavorativa proprio ai giovani, che in
quegli anni iniziano a sperimentare la mancanza di opportunità lavorative. L'eccesso di tempo libero per i
giovani rischia di essere una minaccia al sistema stesso. I potenziali effetti sovversivi della disoccupazione
giovanile divengono un rischio internalizzato dal sistema che recependo la minaccia e reagisce di
conseguenza. La socializzazione dei giovani, un tempo demandata alla famiglia, è ora pienamente rinviata
l'istruzione. Quest'ultima, specialmente all'università, diviene un apparato dogmatico, funzionale al
sistema, e al contempo repressivo che impone di adeguarsi. Al contempo, ciò rinforza l'antagonismo, la
protesta e l’esclusione di chi non vuole conformarsi. I consumi culturali dedicati diventano uno strumento
espressivo per i giovani, che permette anche di magari con concessioni sui propri monopoli, in un
antagonismo più controllabile rispetto a quello delle fasi storiche precedenti. Multi boomer di quegli anni

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iniziano le loro carriere lineari, come prototipi di affluent worker all'italiana, ovvero quale forza lavoro di
una società del benessere che apprezza la prosperità e mira a conservarla, senza per questo modificare il
proprio sistema valoriale. In questo senso si concretizza la cosiddetta fase del riflusso, in una riduzione della
protesta. Il sistema in quegli anni pone le basi per una sottomissione di molti giovani attraverso l'uso della
droga, soprattutto quanti hanno meno possibilità di integrarsi, e che si mira a isolare dalla lotta di classe,
incanalandosi in una improduttività silente e autodistruttiva. È un processo che nasce già negli anni 60,
quando la corrente underground in Italia aveva promosso nuove tendenze culturali nella poesia, nel teatro,
nel cinema, nella pittura, nella musica e nei fumetti e diffuso nuovi movimenti, come gli hippy, le tendenze
New age e le filosofie orientaleggianti. Si tratta di una parte di gioventù che, proprio focalizzandosi nella
pratica di simili tendenze, cerca la fuga dal mondo, ostentando disinteresse e contrarietà per i valori di una
società che rifiuta e da qui è rifiutata. Sostanzialmente è una gioventù che, autoemarginandosi nella propria
visione alternativa, non è pericolosa per il sistema. Il sistema, abbandonando molti giovani alle droghe e
lasciandoli al loro destino senza offrire alternative, finisce per controllarli, semplicemente emarginandoli e
non curandosene. Negli anni 70 proprio tra i giovani in Italia si avrà l'esplosione improvvisa del consumo di
eroina e la rappresentazione originale dei giovani freak metropolitani lascerà spazio e immagini ben più
drammatiche. Nel 1974 in pochi mesi il consumo di stupefacenti muta radicalmente e tutte le altre droghe
fino allora prevalenti cedono il passo all'eroina. Da lì in poi, tale piaga segnerà buona parte degli anni 80.
L'eroina in quegli anni inizia a mietere vittime tra i giovani, il numero crescente, economicamente descritto
nelle cronache dei giornali con le foto dei corpi abbandonati di giovani morti per overdose, nelle panchine
dei parchi sotto casa e nei primi desolati non-luoghi delle periferie urbane. La droga diviene una piega
sociale, che all'epoca lo stato affronta solo per via normativa, per lo più sanzionando consumo e spaccio,
ma che vede un intervento nel mondo solidale, di area privata e cattolica, con la nascita delle prime
comunità di disintossicazione. Così, una parte della generazione dei boomer passerà alla storia come la
“Generazione scomparsa” uccisa dall'eroina. Negli anni 80 i boomer vivono la prima maturità dei loro 30-40
anni, essendo ormai pienamente entrati nel sistema occupazionale e, nella maggior parte dei casi, avendo
assunto responsabilità familiari. In quegli anni si assiste a una più netta distinzione delle traiettorie in età
matura, quindi alle evidenze di una maggiore diversificazione intragenerazionale, dovuta essenzialmente al
combinato di tre aspetti principali:

1. cresce la disparità di status e per via dei diversi percorsi professionali in cui emerge per molti la
capitalizzazione di un titolo di studio più elevato
2. negli anni 80 aumenta la complessità sistemica, che si riflette nella ristrutturazione del mondo
produttivo. Ciò si traduce per molti boomer in limite o in opportunità in base alle diverse capacità e
dotazioni di capitale culturale e sociale, allargando il gap tra le traiettorie
3. la diversificazione nel sistema produttivo implica un diverso accesso a opportunità acquisitive non
solo in termini di carriera, ma anche rispetto allo stile di vita, i consumi e sul piano valoriale

Gli anni 80 si aprono con la stessa tensione con cui era finito il decennio precedente e il clima inquieto si
trasforma in paura. Le tragedie di Ustica e della stazione di Bologna del 1980, alimentano sospetti, misteri e
matrici e versi, trasmettono un senso di vulnerabilità e, un anno dopo, persino l'attentato a Giovanni Paolo
II, epocale in un paese largamente cattolico, dalla misura di un periodo breve ma denso di lati oscuri. Un
evento esprime la palpabile tensione sociale di quegli anni. Nell’ottobre del 1980 la cassa integrazione di
circa 23.000 tute blu della Fiat, la marcia dei 40.000 a Torino vede sfilare in silenzio per tutta la città i quadri
e gli impiegati, che chiedono di poter rientrare in azienda. Si tratta di una scissione più profonda, che coglie
una frattura latente della forza lavoro, ben rappresentata dai boomer, in un crescente divario di interessi e
valori. Da un lato, gli operai, vittime delle contraddizioni della vita di fabbrica, dove l'ambiente risposta del
modello industriale alla crisi combinerà complesse scelte di ristrutturazione del sistema produttivo con la
sopravvivenza delle partecipazioni statali, già allora anacronistica ma a garanzia di stabilità sociale.
Dall'altro, i colletti bianchi, in netta espansione con l'affermazione del terziario, che costituisce un effetto
assai importante per questa generazione, qualificata e occupata nei servizi. Tale pulsione consumista, che

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unisce impiegati, ma anche operai meglio retribuiti, si combina in quegli anni con l'ambizione acquisitiva di
molti profili più istruiti e qualificati, che guardano alle opportunità di carriera per realizzare le proprie
aspirazioni di mobilità sociale e si adeguano ai canoni richiesti dalla borghesia imprenditoriale e dirigente
che, memore delle contestazioni studentesche di poco tempo prima, esercita il proprio potere controllando
le opportunità in base alle credenziali educative e alle qualificazioni tecniche più elevate. Da un lato, una
parte dei boomer d’istruzione medio-bassa specie quella inserita nella forza lavoro tecnico manuale
dell'industria, in quel momento è desiderosa di partecipare ai consumi e ai cambiamenti tipici di quel
periodo e resta ancorata alla lotta di classe per conservare le tutele conquistate specie nel decennio
precedente. A questi boomer sono assimilabili altri meno istruiti che, occupati in un terziario in espansione,
soprattutto grazie all'apertura del pubblico impiego, finiscono per conquistare anch'essi posizioni lavorative
garantite, seppur magari con salari più bassi e con più limitate possibilità di espressione nei consumi. Anche
questi boomer sono impegnati in azioni di chiusura sociale concentrate sulla rivendicazione sulla difesa dei
diritti acquisiti, continuando l'espansione del debito pubblico. Sono estromessi i lavoratori meno qualificati
e non tutelati, che subiscono gli effetti di esclusione, intensificati dai primi processi di ristrutturazione
industriale, che nei decenni successivi diverrà ancor più esasperata a causa della globalizzazione della
delocalizzazione produttiva dall'altro, proprio il ceto medio si svincola dalla lotta di classe e diversi boomer,
occupati come colletti bianchi in posizioni ben retribuite e stabili si proiettano tipicamente nei consumi,
nell'ostentazione del benessere e nel conformismo tipici di quegli anni. Tale ridefinizione degli stili di vita
appare emblematica nell'evoluzione della televisione, che rappresenta l'espressione tanto delle nuove
tendenze consumistiche in atto della classe media, quanto di come la società stessa in quegli anni stia
cambiando radicalmente. La televisione assume un ruolo centrale nella definizione dei cambiamenti sociali
e degli scenari culturali, spesso filtrandoli proprio nell'angolazione del consumo e dello spettacolo. Tutti i
boomer ricordano perfettamente dove erano e cosa stavano facendo la sera in cui l'Italia vinse i Mondiali di
calcio del 1982 in Spagna. Si tratta di un evento simbolico per un paese che si stava ritraendo su sé stesso,
ma che trova improvvisamente uno slancio, innescando un effetto di periodo che segna anche un
ripensamento valoriale collettivo. Da lì in poi, le criticità sociali ed economiche passano in secondo piano, in
una catarsi diffusa verso un nuovo stile di vita. È l'inizio di un nuovo modello di consumismo, è la
consacrazione della tv privata, della musica pop e delle nuove tecnologie domestiche, diffondendosi
walkman, home computer e videoregistratori. È un paese che vive un rilancio grazie ai consumi, ma che
forse, inconsapevolmente, sta vivendo al di sopra delle proprie possibilità, senza darsi pena persino di
criticità socioeconomiche, che non mancano di palesarsi. È anche il periodo dell'espansione del debito
pubblico, che inizia a crescere proprio negli anni 80, per finalità di consenso sociale piuttosto che di
investimento produttivo, di espansione di cui godono anche inconsapevolmente proprio i boomer. Il mondo
va avanti, raggiungendo al momento forse più rischioso della guerra fredda, quando la contrapposizione tra
superpotenze minaccia con un solo click di tramutarsi in un olocausto nucleare. Senza dubbio, in questi anni
si avverte un miglioramento delle condizioni di vita che spinge un'evoluzione dei bisogni, sempre più
esigenti e complessi. Sono le condizioni strutturali degli anni 80 a permettere ai boomer di tradurre nel
lavoro la loro espressività e il loro bisogno di autorealizzazione, soprattutto, grazie a un sistema che offre
loro garanzie di stabilità, salario e carriera. La politica, condizionata dall'economia e adeguandosi a questa,
diviene sempre più spregiudicata, alimentando corruzione, premendo per il deficit di bilancio e per la
privatizzazione di enti servizi pubblici, nonché iniziando a smantellare il sistema del welfare state dei diritti
fino ad allora esistente. La crisi economica è affrontata con la de-verticalizzazione, l'esternalizzazione e le
ristrutturazioni produttive, secondo il modello Toyotista e preconizzando la delocalizzazione dell'incipiente
globalizzazione. In quegli anni si assiste allo sviluppo del lavoro sommerso che in parte consente di ottenere
le crisi, operando come ammortizzatore di costo e offrendo prestazioni lavorative più flessibili. Le crisi del
modello industriale si fa sentire soprattutto nelle zone economicamente meno sviluppate del paese,
traducendo all’epoca la complessità in forte disoccupazione specialmente al sud. La dimensione lavorativa è
centrale in questo senso, perché fornisce le occasioni per realizzare ambizioni acquisitive, sia materiali,
orientate alla possibilità di consumo, sia simboliche espressi in termini di status. L'espansione

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dell'economia terziaria in quegli anni, sempre più orientata all'uso della tecnologia e alla specializzazione
delle competenze, fornisce i boomer più istruiti occasioni per fare carriera. I mutamenti nell'orientamento
lavorativo sono rilevati anche in Italia, si individua un'evoluzione dell'esperienza lavorativa verso due
significati tanto diffusi, quanto alternativi. Da un lato, una visione più tradizionale ma in declino, tra lavoro e
non lavoro, considerando il lavoro perlopiù come il mezzo della sfera degli scambi. Dall'altro, una crescente
concezione del lavoro quale mezzo di realizzazione personale dell'individuo. Molti appartenenti a questa
generazione, infatti, hanno vissuto assai più per il lavoro, diversamente da chi li ha preceduti, più orientati a
lavorare per vivere in situazioni socioeconomiche diverse. Diversi bomber hanno ancorato le loro identità al
lavoro, detestando la pigrizia e praticando dentro e fuori il contesto organizzativo relazioni fluide e varie.
Per il minor tempo investito nella sfera familiare che secondo più autori concorre a spiegare l'aumento di
tassi di separazione e divorzio tipici di questa generazione. Il lavoro, un tempo esercizio più meccanico
seppur faticoso, diviene sostanzialmente una costante attività di problem solving. Ciò comporta per gli
individui, specie più qualificati, un aumento di opportunità, ma anche una generale diminuzione del
controllo sulle situazioni, aumentando il carico di responsabilità personale e la probabilità di non riuscire a
far fronte alle richieste della società stessa. Si possono individuare quattro profili nella fascia d'età dai 30 ai
40 anni:

1. emerge per tre caratteristiche: modernità, sicurezza e auto centratura. Prevalentemente maschi,
istruiti e inseriti nel mercato del lavoro, esibivano un’appartenenza matura alla società, al passo
con i ritmi dell'innovazione culturale di quegli anni. In armonia con il contesto socioculturale
dominante, gestivano la complessità con impegno e disinvoltura, senza scetticismo ma con
preoccupazione creativa verso quanto appariva loro funzionale. Si tratta di un profilo più istruito,
probabilmente evoluzione di chi era stato un giovane universitario intorno agli anni 70.
L'atteggiamento polemico o di contrapposizione appariva del tutto rovesciato. La critica non era più
al sistema o al modello sociale, come nell'età della protesta, ma si rivolgeva verso quanto fosse
contrario il sistema stesso, in una logica di razionalità e concretezza, profondamente secolarizzate e
per nulla ideologiche, anzi non di rado espressi in forma decise e risoluta
2. persone istruite inserite nel mondo del lavoro, ma non appartenenti a una tipica struttura familiare,
ovvero prevalentemente single, divorziate o appartenenti a coppie senza figli. La peculiarità
emergente era definita, innanzitutto, dalla sospensione del giudizio della cautela, come a
temperare l'azione dell'attesa fiduciosa degli eventi, in silenzio e moderazione. Un profilo
ubbidiente, dotato di moralità e senso delle regole, laico, con un certo gusto per la vita e i consumi
e uno spirito ludico e giocoso orientato all'esperienza e all'espressività
3. un terzo gruppo individuava soggetti con un atteggiamento fortemente orientato alla concretezza,
sia nella quotidianità sia nelle interazioni, ma con due estensioni importanti. Da un lato, erano
integrati nel mondo del lavoro e con un capitale sociale più esteso e meno limitato al solo ambito
familiare, parentale o amicale. Dall'altro, derivano spesso al mondo politico sindacale, non
necessariamente tradotto in reale partecipazione o militanza, ma che lasciava più presagire una più
ampia consapevolezza e volontà di uscire dal privato
4. l'ultimo profilo, a scolarità medio-bassa, esprimeva disagio e marginalizzazione non senza conflitti e
insoddisfazione, dovuti alle difficoltà nel confrontarsi con la modernità dell'epoca, anche solo
cercando di prenderne le distanze. Occupati in professioni poco appaganti e non remunerative,
oscillavano tra valori tradizionali, perlopiù esibiti ma non sentiti, e l'incapacità di gestire la
modernità, per assenza di risorse per comprenderla e farla propria, vivendo faticosamente i margini
della società

I quattro profili della ricerca appena citata, nella loro capacità interpretativa dei 30-40enni dell'epoca, sono
ancora utili per ripensare agli atteggiamenti di quegli stessi boomer di allora, oggi divenuti senior.
L'improvvisa modernizzazione degli anni 70 aveva portato ideali di uguaglianza a ogni costo, in una lunga
corsa ai diritti sganciati dai doveri, e arrivando un'antitesi violenta verso l'autorità tradizionale, che aveva

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finito per allarmare l'imprenditoria produttiva e alla lunga il ceto medio. A lungo, in quel periodo, il
perseguimento del principio egualitario a tutti i costi fu affidato agli automatismi del punto di contingenza
relativo a un aumento del costo della vita. Questo meccanismo fu sottratto alla contrattazione collettiva e
rimase legato all'andamento del tasso di inflazione. Proprio la crescita dell'inflazione appiattì le retribuzioni,
suscitando in buona parte della popolazione una reazione valoriale in senso meritocratico e verso il
riconoscimento delle capacità individuali come elementi di differenziazione retributiva e di status. Cosicché,
gli anni 80 divengono la rivincita del vecchio sistema conservatore, che, pur non potendo esercitare una
restaurazione valoriale, indirizza al mutamento culturale in una nuova forma di controllo sociale,
adeguando i sistemi di valore alla dinamicità economica e professionale di un paese terziario e all'edonismo
del consumo di massa. Inizia la politica della disuguaglianza, dove l'enfasi sui bisogni collettivi cede il passo
al riconoscimento dei meriti personali, contro l'egualitarismo dei privilegi sindacali di casta, che avevano
rallentato lo sviluppo. L'accento si sposta sulle differenze e le responsabilità da collettive divengono
individuali, il rischio privato è sempre più attribuito al cittadino e il pubblico si deresponsabilizza. Gli anni 90
si caratterizzano per il paradigma della discontinuità in un effetto di periodo definito da un mondo sempre
più globalizzato e complesso, dove le esistenze individuali, dapprima per lo più stabili e lineari, divengono
meno controllabili e più incerte. Le contraddizioni già emerse negli anni 80 implodono nel decennio
successivo, quando il mutato assetto geopolitico internazionale scuote l'equilibrio politico italiano e la
necessità di riformare un sistema ormai insostenibile si combina con il processo di trasformazione
socioculturale e valoriale. Negli anni 90 i boomer, ormai tra i 40 e 50 anni, rappresentano la componente
adulta della forza lavoro del tempo. Molti boomer arrivano in questi anni a consolidare impieghi garantiti,
in settori, specie quello pubblico, o aziende private che per dimensioni o per settore produttivo sono state
fino ad allora particolarmente sia tutelate, sia tutelanti, grazie allo stato e al sindacato, che vigilava su
tutele addizionali quali la cassa integrazione, i prepensionamenti, e una sostanziale la licenziabilità e
autonomia del salario dalla qualità e quantità effettiva del lavoro svolto. Tre sono le linee di discontinuità
che pur nascendo al crepuscolo del decennio precedente, si realizzano negli anni 90 e impattano sulla
società italiana:

1. la fine del bipolarismo globale tra modello liberista e socialista, con la dissoluzione dell'unione
sovietica, produce reazioni a catena, dal livello internazionale a quello locale, con rovesciamenti
politici e significativi mutamenti sociali in Italia
2. inizia la globalizzazione, che incide sulla vita e gli atteggiamenti delle persone, dilatando negli
orizzonti, ma generando due processi antitetici di maggiore apertura, o di chiusura e resistenza
3. la fine del compromesso welfaristico-keynesiano conduce al divorzio tra il capitale e il lavoro,
sancendo la perdita di ruolo del mercato del lavoro come istituzione deputata alla redistribuzione
della ricchezza

Un primo effetto di periodo è l'impatto del mutamento sistemico internazionale, specie con la caduta del
muro di Berlino nel 1989 che aveva mandato in crisi le ideologie egualitarie o socialiste e sancito l'egemonia
culturale liberista. L'effetto domino in Italia si riflette a livello politico. Da lì a pochi anni, con Tangentopoli
scompaiono i principali partiti che avevano governato il paese per cinquant'anni, sia per la critica alla
corruzione sia per la loro sopravvenuta inutilità funzionale. La democrazia cristiana perde la sua storica
funzione di baluardo contro eventuali espansioni sovietiche e gli stessi valori cattolici che rappresenta sono
ormai fortemente trasformati dal processo di secolarizzazione. Il partito socialista scompare sotto le
inchieste di corruzione, mentre social democratici, repubblicani e liberali, formazioni minori ma fino allora
determinanti nelle maggioranze parlamentari, si sfaldano rapidamente. Il partito comunista italiano deve
ricostruirsi un'identità ma finisce con frammentarsi in scissionismo e pressioni correntizie che ancora oggi
ne caratterizzano l'anima e le sorti. Nasce Forza Italia e si afferma la Lega Nord, entrambi i nuovi partiti
promuovono un modello di rottura, antistatalista e antipolitico, figlio di quell'epoca, ma anche di un
processo di frammentazione destituente in atto da tempo per l'insostenibilità del modello preesistente. Se i
partiti perdono la capacità di aggregazione, la politica diviene sempre più personalizzata, con leader che

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incarnano non solo più un paradigma ideologico, bensì un modo e una promessa di vivere, secondo un
modello sociale più orientato a logiche privatistiche e meno collettive. L'urgenza di riforme alimenta
pulsioni populiste e ribelli, con proposte di separazioni federaliste, perlopiù in chiave disgregativa, a
ribadire l'affermazione di localismi e particolarismi. Già nei primi anni 90 la propensione centrista tra i
boomer sembra sposare una linea moderata, comunque più laica, dinamica e rampante, segno della cultura
acquisitiva maturata nel decennio precedente, e in proporzione già meno conservatrice del tradizionale
voto democristiano. Dai primi anni 90, il voto di sinistra tende a de-estremizzarsi verso un centrismo
progressista, incontrando favore tra gli appartenenti a questa generazione. La matrice di sinistra, spesso
associabile alla gioventù dei boomer sembra conservarsi in età adulta, però trasformandosi in un
progressismo democratico e abbandonando l’egualitarismo radicale. Si tratta di un'affermazione
importante che in parte evidenzia anche in questa generazione la tendenza a un riformismo più
conservatore e non solo progressista, che si riflette nell’antitesi tra un’affiorante apertura al politeismo dei
valori, più aperto e tollerante, e opposte tendenze tradizionaliste, più votata alla chiusura e alla
conservazione. Il vero segnale alla fine degli anni 90 è il distacco dalla politica e la sfiducia verso i partiti che
si combinano sia con la critica dei fenomeni di corruzione, specie dopo l'inchiesta di Mani Pulite sia con il
nuovo e crescente problema del conflitto di interessi, dalla metà degli anni 90 monopolizzerà buona parte
del dibattito politico, probabilmente finendo con il provare altri problemi più pressanti per il paese. Il
multiculturalismo ma proprio di una società sempre più globalizzata, ha un duplice effetto in parte, grazie al
contatto e all'interazione, favorisce la convivenza di posizioni etiche differenziate previsioni più relativiste e
tolleranti al contempo abbinato alla velocità dei cambiamenti, proprio l'accostamento tra cultura e
profondamente diverse produce resistenze da parte di quanti, autoctoni e conservatori, si sentano più
minacciati dal mutamento e riproducano, pertanto, ostilità all'integrazione culturale aggrappandosi i valori
tradizionali. Nei primi anni 80, i boomer si mostravano più disinvolti della media verso alcune forme di
devianza pecuniari. Tale disinvoltura, forse effetto di propensioni più arriviste e materialiste nella corsa
all'auto affermazione e al successo personale degli anni 80, cala fine secolo. Nel 1999 si osserva, infatti, un
rifiuto più marcato, in cui boomer assolutamente contrari superano in proporzione del valore nazionale.
Nei primi anni 90 si registra un permissivismo diffuso, potenziale effetto sia della pressione fiscale sia di un
latente antistatalismo, per cui l'evasione tributaria è assolutamente inaccettabile appena per poco più della
metà dei casi, tanto tra i boomer, quanto per il totale dei rispondenti. Gli atteggiamenti dei boomer rispetto
ai diversi comportamenti moralmente rilevanti mostrano l'evoluzione di un permissivismo a corrente
alternata. Negli anni 90 si assiste anche nella generazione osservata ha una consistenza tra aperture liberali
e una crescente intolleranza etica, minoritaria ma sempre più diffusa. Questo si coglie anche sul piano
politico, come visto in precedenza, confermandosi una certa permeabilità di questa generazione al voto
verso movimenti indipendentisti e alle formazioni politiche più orientate a regolamentazioni maggiormente
restrittive in tema di immigrazione. Pur senza derivare in più gravi forme di xenofobia, la velocità di crescita
di tali atteggiamenti nel periodo osservato stride con l'immagine di una generazione che in gioventù aveva
esibito visioni ben più pluraliste e democratiche. Il fil rouge del crescente divario tra i boomer verso
polarizzazioni più progressiste o più conservatrici trova piena espressione nella sfera religiosa, che si
estremizza tra forme di marcata secolarizzazione e propensioni tradizionaliste. È forse nel contesto
produttivo che la discontinuità negli anni 90 rispetto al passato trova la sua piena espressione. Proprio gli
importanti cambiamenti nel mercato del lavoro e nel sistema capitalista sanciscono in quel periodo il
definitivo passaggio dalla società industriale al nuovo corso della postmodernità. Con la globalizzazione si
assiste al compimento della global commodity chain, ovvero di un processo integrato di legami economici
internazionali tra aziende e lavoratori, in base al quale le merci vengono raccolte trasformate in beni e
servizi e distribuite ai consumatori di tutto il mondo. Il capitale diviene maggiormente volatile si svincola
sempre più dell'investimento produttivo per indirizzarsi alla componente finanziaria, in grado di assicurare
maggiori margini specie alle multinazionali che in quel decennio si consacrano attori dominanti
dell'economia globale. La componente produttiva diviene minoritaria nella realizzazione del profitto, e si
svincola dal controllo dello Stato del localizzandosi in contesti più favorevoli, meno sindacalizzati e pertanto

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più adattabile alle esigenze del capitale. Anche di fronte a situazioni difficili, negli anni 90 questa
generazione, specie nella sua componente più istruita, di solito aveva ormai raggiunto tali professionalità e
garanzie occupazionali che rendevano meno traumatiche anche eventuali criticità nel passaggio al nuovo
paradigma produttivo. Il peso del passaggio al nuovo sistema produttivo è stato assorbito assai più dalle
generazioni successive piuttosto che dalla generazione in esame che anche all'epoca ha conservato
maggiori garanzie e tutele. I boomer sono stati proporzionalmente meno toccati da tali evoluzioni, poiché
in quegli anni costituiscono la componente meno modellabile da parte della domanda, godendo di redditi
in media più elevati, nonché di sicurezze economiche e giuridiche garantite dalla contrattazione sindacale e
dall'intervento pubblico. Dagli anni 90 in poi i giovani in ingresso nel mercato del lavoro rappresentano un
cocktail vantaggioso per la domanda, perché poco esperti, qualificati, tecnologicamente capaci e
soprattutto più manipolabili grazie alla flessibilità contrattuale. Un primo effetto di periodo si ha dagli anni
80, con un aumento diffuso della propensione orientamenti materialisti ed espressivi, in un crescendo di
salienza complessiva del lavoro nelle biografie individuali. Un secondo effetto di periodo è definito dagli
anni 90, al contempo apice e declino della salienza delle diverse dimensioni riferite al lavoro. Il lavoro
diviene sempre più flessibile e instabile anche il lavoro perde centralità biografica e significato. Dal 2000 i
boomer entrano nella fase calante delle loro carriere e iniziano a specializzarsi al pensionamento. Quando
per molti boomer, all'apice di cartiere stabili e di successo, il passaggio al postfordismo fa sì che il lavoro
inizia a perdere centralità, insieme all'avvicinarsi della fine del proprio ciclo produttivo, in condizioni di ben
diverse e più sfavorevoli le generazioni più giovani fanno il loro ingresso in un mercato del lavoro che
determinerà a lungo negativamente le loro prospettive esistenziali, senza parlare di quelle previdenziali. In
questo senso è comprensibile individuare le ragioni di un implicito differenziale di bilancio da parte delle
generazioni più giovani che possono interpretare la generazione dei boomer come l'espressione di
anacronistica conservazione di privilegi e tutele di una società del benessere di 10-20 anni prima, da cui le
generazioni successive sono sempre state escluse. Questa generazione nasce per lo più in ambienti familiari
tradizionali, ed è ipotizzabile che sia cresciuta secondo modelli più conservatori di stampo patriarcale, ma
pur sempre, almeno esteriormente, con uno squilibrio di genere all'interno di un nucleo orientato secondo
mariti/padri bread-winner e mogli/madri formalmente dedite al lavoro di cura, o comunque con ruoli
familiari relativamente stereotipati. In primo luogo, perché nel periodo bellico lo schieramento degli uomini
al fronte definisce un'occasione sia per le donne meno istruite di lavorare in fabbrica come operaie, sia per
le più istruite di entrare nel terziario e nei servizi. Questo definisce anche l'acquisizione di una
consapevolezza virgola che conduce le madri dei boomer a essere ben più partecipi anche le decisioni
familiari. Specie nell'investimento in capitale umano dei propri figli e in particolare delle proprie figlie. È
nella prima fase adulta che molti boomer definiscono il vero cambiamento, realizzando un'evoluzione
fondamentale nella società italiana, ovvero mutandone il riferimento principale, che passa dalla famiglia
all'individuo. La consacrazione di tale passaggio sia con le leggi sul divorzio e sull'aborto, propria di una
società laica e civile che decide di porre l'individuo al centro e non più la famiglia. La famiglia è stata
progressivamente allontanata dalla parentela, allentando i legami tradizionali. La famiglia si è sempre più
ridotta numericamente, in una nuclearizzazione che ha visto anche cambiamenti nelle tendenze
riproduttive, spesso modificate in funzione dei ruoli sociali dentro e fuori la coppia, spesso riferiti a scelte
sul lavoro e nella carriera professionale, anche grazie alla crescente partecipazione delle boomer al mercato
del lavoro. Partendo dalla situazione familiare nel grafico, salta all'occhio una certa emancipazione e
ritardata dal nucleo di origine per i boomer maschi. Nel 1981, ovvero tra i 27 e i 35 anni, oltre 1/3 dei
rispondenti di genere maschile vivevano ancora con i genitori. Al contrario, appena l'8,7% delle giovani
boomer non aveva ancora costruito un proprio nucleo familiare, mentre l'85% erano già sposate e 4/5
erano pure diventate madri. In quell'anno appena poco più della metà dei maschi del campione in esame
risultava sposato o convivente e solo il 45,9% era diventato padre, evidenziando una marcata tendenza dei
giovani boomer maschi a prolungare il celibato e a ritardare il matrimonio e la genitorialità. Una grossa
fetta delle boomer tra i 27 e 35 anni appare già saldamente vincolata a investimenti familiari e soprattutto
genitoriali. Un certo riequilibrio tra i generi si osserva tra i 36 e 44 anni quando la quota dei boomer che

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vivono ancora con i genitori scende ad appena 1/10 in entrambi i generi. In quella fase biografica almeno 8
boomer su 10 sono sposati e altrettanti sono ormai divenuti genitori di uno più figli. Nel 1999 torna
significatamene a salire tra i maschi il numero di boomer che vivevano con un genitore. Il dato può derivare
da un effetto campionario, ma non è da escludere che proprio il rientro nella famiglia di origine al termine
di una conflittualità coniugale spieghi l'aumento dei maschi che vivevano con almeno un genitore nel 1999.
Nell'edizione del 2009 anche in ragione di un progressivo invecchiamento di questa generazione, almeno
una donna su 10 era diventata vedova tra i 55 e i 63 anni. Il dato ha origine sia naturale, per decesso del
partner, sia per comportamento culturale punto si può affermare che i boomer siano la prima generazione
nella storia contemporanea ad aver sperimentato in modo diffuso è più frequente l'ingresso nell'età
avanzate in condizioni di solitudine e familiare per comportamenti divorzile e di rottura della coppia.
Guardando ai dati del 2018, buona parte dei boomer è ancora sposata, mentre le vedovanze hanno ormai
superato situazioni di separazione o divorzio. La vedovanza incide più tra le donne, spiegandosi con la
minor sopravvivenza maschile e la tendenza a sposarsi con coetanei o di poco più vecchi. Rispetto alle
generazioni precedenti questa generazione soprattutto nella componente femminile, sperimenta prima e in
modo abbastanza diffuso, le traiettorie di progressiva solitudine, dovute non tanto una scissione della
coppia per cause naturali, ma per comportamenti culturali.

Il grafico seguente riporta il quadro evolutivo della condizione occupazionale lungo l'arco della vita
produttiva dei boomer.

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Tra i 27 e 35 anni tre boomer su quattro erano occupati, emergono chiare differenze di genere. Infatti,
lavorava la quasi totalità degli uomini, contro solo poco più della metà delle donne. Sebbene un simile tasso
di occupazione femminile per l'epoca possa già ritenersi significativo, si fa strada tra le boomer una netta
distinzione tra quanti avevano investito anche nella sfera occupazionale e quante invece ne erano rimaste
fuori, o magari, ne erano uscite precocemente, per esempio per sopraggiunte ragioni familiari, come la
maternità. La maggior partecipazione delle donne al mercato del lavoro era iniziata già dai primi anni 70,
perché, proprio tra le giovani boomer cresceva la contrapposizione culturale tra la figura della donna
relegata a ruoli tradizionali e l'emancipazione femminile per mezzo del lavoro, rafforzata anche dal
desiderio di capitalizzare il titolo di studio da parte di quante avessero investito nella propria istruzione. Nel
1990 gli uomini risultano pressoché interamente occupati, mentre tra le donne resta alta la quota delle
casalinghe. Nei primi anni 90, per la prima volta si riscontra un 3,5% di ritirati dal lavoro tra le donne e uno
0,8% tra gli uomini. Trattandosi di persone poco più che quarantenni e in buona salute è troppo presto per
ipotizzare un pensionamento dovuto all'età anagrafica. Il fenomeno può spiegarsi nelle pensioni baby,
ovvero la possibilità, sorta dal 1973 in Italia per le lavoratrici della pubblica amministrazione, sposate e con
figli virgola di lasciare l'impiego dopo 14 anni, sei mesi e un giorno. La misura si estendeva a vent'anni per
gli altri statali e a 25 per tutti i dipendenti privati. I dati del 1999, tra i boomer cresce l'occupazione
femminile: il 60,3% delle donne lavora, mentre le casalinghe calano al 32,9%. Dalla metà degli anni 90, inizia
una nuova fase di partecipazione delle donne al mercato del lavoro, ma questa volta per ragioni diverse. Il
fenomeno è riconducibile al cosiddetto effetto del lavoratore aggiunto, cioè la necessità delle donne di
prendere parte al mercato del lavoro per mantenere lo stesso tenore di vita, fronte di un progressivo
impoverimento relativo al ceto medio. I dati di quell'anno testimoniano i primi significativi problemi di
disoccupazione tra i boomer maschi, dove coloro che avevano perso il lavoro arrivano al 6,9%. Specie tra gli
uomini con professionalità manuali, emerge il problema di una disoccupazione di lunga durata per le
difficoltà nel ritrovare un lavoro che permetta di conservare uno stile di vita adeguato. In quegli anni una
propensione al ritiro anticipato si osserva soprattutto tra gli uomini, più facilmente tra i lavoratori manuali.
In media, si può affermare che entro la fine del secolo scorso un boomer su 20 sia andato in pensione tra i
45 e i 53 anni. Nel 2009 il diffuso processo di ritiro dal lavoro si intensifica, perché, avendo ormai raggiunto
un'età tra i 53 e 63 anni, una significativa parte dei boomer ha ormai maturato l'età pensionabile anche sul
piano anagrafico. I boomer pensionati sono almeno 1/3, con una marcata prevalenza tra i maschi rispetto
alle femmine, è dovuta anche al fatto che in quell'anno più di una donna su 5 si dichiara casalinga. La
consacrazione del passaggio a un modello post-fordista nei decenni a cavallo degli anni 2000 abbia definito

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un ulteriore allargamento del gap nelle condizioni socioeconomiche tra la maggior parte degli esponenti di
questa generazione, in genere meno colpita da simili cambiamenti, e una quota, per quanto minoritaria, di
boomer che, spesso per ragioni di minor qualificazione di una già persistente vulnerabilità occupazionale,
sia stata travolta da tali processi sistemici. Da lì a pochi anni, la riforma Fornero (legge n.214/2011) sposta
in avanti il requisito anagrafico per il ritiro dal lavoro, seguito delle rigorose misure adottate dall’allora
governo Monti nell'emergenza economica che il paese stava attraversando. Come dal seguente grafico, nei
primi anni 80 l'occupazione degli appartenenti a questa coorte è nettamente concentrata nel terziario: circa
il 60% rientra nella classe media impiegatizia e quasi 10% alla classe di servizio. Nel 1981 solo un boomer su
5 appartiene alla classe operaia qualificata e appena 1/10 svolge attività manuali meno specializzate e più
generiche. Nel 1990 i dati confermano la crescita delle professioni impiegatizie quella dovuta anche al
recupero della partecipazione femminile nel mercato del lavoro. Al contrario, le condizioni operaie meno
qualificate mostrano una manifesta flessione. Si riflette un chiaro effetto di periodo nel passaggio dell'Italia
da un modello produttivo industriale un'economia tipicamente terziaria, processo che investe pienamente
le traiettorie occupazionali della coorte osservata.

Da un lato, i boomer più qualificati hanno perlopiù raggiunto posizioni di vertice. all'opposto, per i meno
qualificati cresce il divario. Infatti, in proporzione le attività manuali meno specializzate aumentano al 15%
in ambo i generi. La generale terziarizzazione dell'economia, che marginalizza inevitabilmente il lavoro
manuale, a cui si aggiungono le dinamiche di ristrutturazione secondo i canoni post-industriali, volte a
generare una revisione dei ruoli aziendali, e i processi di automatizzazione produttiva che aumentano il gap
tecnologico e l'obsolescenza dei lavoratori manuali meno qualificati. Questo restringe l'incidenza delle
posizioni mediane. Anche tra i boomer si assiste a polarizzazione tra lavori più qualificati e meno qualificati
tipica di quegli anni, dove l'espansione della tecnologia e la crescente concorrenza produttiva e
occupazionale a causa dei processi di globalizzazione, se offrono opportunità i più qualificati, crescono le
difficoltà per molti lavoratori meno specializzati.

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Tra i 36 e 44 anni, nel 1990, si assiste a una generale stabilizzazione dei redditi su un livello medio almeno
per un boomer su tre, mentre i livelli più bassi interessano meno di un caso su 10. Si coglie un maggior
divario di genere nelle fasce di reddito superiori. Un reddito elevato è dichiarato solo dal 22,8% delle donne
contro il 28,7% degli uomini. Le disuguaglianze si affermano ancor di più nella fase tra i 45 e 53 anni quando
questa generazione, pur in posizione occupazionale consolidata, incontro al passaggio a un'economia
globale e post-fordista. Qui iniziano sia la fase apicale delle carriere dei boomer più istruiti sia le difficoltà
per i meno qualificati. Ciò si riflette anche sui livelli di reddito che infatti tendono a polarizzarsi tra i livelli
più alti e più bassi, riducendo sempre più la fascia salariale media. L'impoverimento del ceto medio si
conferma nel decennio successivo, quando i boomer hanno tra i 55 e 63 anni. I dati del 2009 vedono un
35,8% dei redditi alti contro un 40,3% bassi, assottigliando al 23,9% i livelli medi. Va considerato che in
questa fase alcuni boomer iniziano a ritirarsi dal lavoro avendo raggiunto l'età pensionabile, situazione che
riduce almeno in parte l'afflusso di risorse economiche rispetto alla fase di piena attività. Nel 2018, ovvero
quando i boomer hanno un'età compresa tra i 64 e 72 anni, i livelli di reddito di questa generazione
cristallizzano le disuguaglianze progressive generate nelle fasi precedenti di partecipazione al mercato del
lavoro. Se le caratteristiche di quel mercato del lavoro hanno consentito maggiori opportunità a chi aveva
conseguito un livello di istruzione più elevato è altrettanto vero che anche chi non aveva particolari
ambizioni acquisitive o di carriera ha potuto integrarsi adeguatamente e senza particolari scosse magari
non concentrando la propria espressività nella fase lavorativa. Si tratta di una generazione che, pur con
differenze ha vissuto il progressivo declino della società industriale, fino alle contraddizioni della
contemporaneità che, pur non senza qualche criticità, può essere affrontata oggi da molti con un bagaglio
di risorse materiali e simboliche virgola che consente loro una gestione meno turbolenta delle difficoltà
odierne rispetto alle generazioni precedenti e successive. Il passaggio dal materialismo al post materialismo
nasce dalla combinazione tra fattori di scarsità e di socializzazione culturale. Da un lato, la priorità di valore
si riferisce alla scarsità o all'abbondanza. Dall'altro, abbondanza o scarsità in periodi più o meno floridi,
producono un sedimento valoriale che nel tempo induce al materialismo chi ha vissuto la scarsità e al post
materialismo chi ha conosciuto il benessere. Su tali premesse, il grafico seguente mostra il trend degli
orientamenti post-materialisti e materialisti dal 1981 al 2018.

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Si osserva un crescendo post-materialista dagli anni 80, con un picco del 32% nel 1990, ma da lì in poi
l'incidenza del post materialismo declina inesorabilmente fino al dato più recente, il 2018, quando i boomer
si pongono al 16,9% sotto la media complessiva. I boomer si distaccano progressivamente da iniziali visioni
strettamente materialiste, proprie delle generazioni più vecchie, chiaramente ancorate alla
sperimentazione di periodi di scarsità virgola e anticipano al post materialismo le generazioni successive.
Dalla fine degli anni 90, anche tra i boomer si assiste al ritorno del materialismo, riavvicinandosi alle visioni
delle coorti più anziane. Le generazioni più giovani, succedendosi e invecchiando man mano si sono
spostate su una dimensione materialista per via della crescente incertezza esistenziale dovuta al
peggioramento delle condizioni e a opportunità assai più ridotte. Al contrario, sul piano dei valori, i boomer
più istruiti, grazie a migliori condizioni e tutele, tutt'oggi conservano spesso atteggiamenti spiccatamente
post-materialisti, magari abbinate a forme di rinnovata espressività giovanile, anche perché ben lontani da
un materialismo derivato dalla scarsità, che caratterizza invece l'atteggiamento sia di diversi boomer meno
qualificati sia quello delle generazioni più vecchie e più giovani meno dotate di risorse. Considerando il fatto
che questa generazione da poco entrata nell'età avanzata, è utile avere un quadro della percezione che i
boomer hanno del bilancio complessivo della propria esistenza e di quanto si sia evoluto nel tempo il senso
di controllo sulla propria vita. Il grafico seguente mostra a livello generale, la soddisfazione esistenziale che
è aumentata negli anni 80, più o meno stabilizzandosi fino al 2018. I boomer manifestano per tutta la serie
una soddisfazione più elevata, fino al picco proprio nell'ultima rilevazione del 2018, Specie tra i livelli di
istruzione medio alti mentre in meno istruiti tornano ai livelli campionari. Un andamento simile si osserva
nel senso di libertà e controllo sulla propria vita virgola che, in generale, sale negli anni 80, si inclina di poco
nel decennio successivo, cala di colpo nel 2009, per recuperare nel 2018. I boomer meno istruiti,
presumibilmente con professionalità manuali gli operai, osservano un declino vistoso e continuo per
almeno vent'anni e si riprendono a buoni livelli solo nell'ultima rilevazione. I profili di istruzione media
ricalcano andamenti prossimi o poco superiori alla media del campione, pervenendo un maggior senso di
libertà e controllo sulla propria vita nel 2018.

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Guardando alla religiosità, il grafico seguente mostra che la popolazione italiana tra i 65 e 74 anni, il 35,4%
dei boomer si dedica alla pratica religiosa almeno una volta a settimana, il 44,6% meno di una volta a
settimana è il 20% e non praticante. Sono prevalentemente le donne a dichiararsi attivamente praticanti
almeno una volta a settimana. Il 24,7% dei maschi si dichiarano un praticante, solo il 15,7% tra le femmine.
La religiosità dei boomer va rapportata la secolarizzazione, quella progressiva perdita funzionale della
religione quale collante strutturale delle diverse sfere della vita, nel sacro nel profano, in una tendenza di
più generale deistituzionalizzazione, da tempo in atto in Occidente, e che si traduce in una realizzazione del
quotidiano, senza, tuttavia, arrivare a un ateismo prevalente, ma privatizzando il sacro, con progressivo
distacco dalle istituzioni religiose e declino della religiosità tradizionale. Il grafico seguente rapporta tale
processo alle generazioni in base ai dati delle realizzazioni tra il 1981 e il 2018.

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In media l'appartenenza una confessione religiosa scende dal 93,6% del 1981 al 79,8 del 2018. Sul piano
dell'età il processo di secolarizzazione meno marcato tra le generazioni più vecchie, ancorate a canoni per
lo più tradizionalisti. Nel grafico seguente, prima di analizzare l'evoluzione dell'auto percezione politica
boomer occorre, osservare la tendenza complessiva, riassumibile in due effetti di periodo.

Il primo consiste in un progressivo spostamento da sinistra al centro con un aumento anche dei
posizionamenti a destra nell'auto percezione politica virgola che dai primi anni 80 arriva al suo apice nella

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rilevazione del 1999. Segue una seconda fase di accertamento progressista, rilevato tra il 2009 e il 2018
quando il posizionamento sull'asse diviene più complesso, anche per una collocazione tutt'altro che precisa
nella dicotomia sinistra a destra da parte di molte formazioni politiche negli ultimi decenni. La media delle
generazioni oggi ultrasettantacinquenni e anagraficamente più vecchie dei boomer, parte già da posizioni
più moderate, centriste e conservatrici negli anni 80, accentrarsi sempre di più almeno fino al 2010 e
convergere verso centrosinistra nell'ultima indagine del 2018. Tra le generazioni più giovani dei boomer si
osserva un posizionamento inizialmente progressista negli anni 80. Man a mano cresce una tendenza
conservatrice e centrista che, nel 2018 arriva a collocarsi più verso il centrodestra rispetto alla media della
popolazione. I boomer appaiono una generazione significativamente sempre più a sinistra della media
nazionale. Nel 2018 i boomer superano a destra la media del campione. È utile guardare proprio alle
intenzioni di voto per le singole informazioni politiche nell'indagine del 2018 come dal grafico seguente.

Senza dubbio, si conserva il marcato radicamento dei boomer verso il partito democratico, e persino un
ritorno al partito comunista. Secondo l'indagine del 2018 i boomer mostrano altrettanto una tendenza
superiore alla media nelle preferenze verso la Lega, verso Forza Italia in favore di partiti centristi. Questa
generazione sembra altrettanto attratta, seppure in misura inferiore alla media, anche dalle nuove
formazioni politiche negli ultimi decenni, su tutte il Movimento 5 stelle. Guardando al livello di istruzione i
boomer con titolo di studio più basso spiccano per l'evoluzione complessiva secondo polarizzazioni più
radicali. La vocazione della sinistra si è sempre più orientata al culto dell'individualismo, attirando profili più
istruiti, emancipati e progressisti, ma, soprattutto perdendo per strada una significativa parte del ceto
medio e operaio, non di rado, negli ultimi decenni a vantaggio di nuove formazioni politiche. Le strategie
delle formazioni di centrodestra, mirando a scrollarsi il pesante fardello del fascismo, hanno man mano
riverniciato il senso di comunanza, tragicamente interpretato dai nazionalisti del 900 in un consenso
intorno alla rabbia e alla diversità, declinato secondo le paure proprie di categorie progressivamente negli
anni. Il grafico seguente illustra l'andamento nelle edizioni 1981-2018 dell'orientamento verso alcune
principali forme di protesta. In genere, tutte le forme di protesta crescono tra gli anni 80 e 90, si
stabilizzano nei due decenni e cavallo del millennio e calano nel 2018. L'unica eccezione si riscontra nella
disponibilità a partecipare a uno sciopero non organizzato, la sola forma di protesta in leggero aumento alla
fine del periodo. È interessante che la media dei boomer si collochi a fine serie, nel 2018, sempre su
incidenze inferiore alla media campionaria in tutte le forme di protesta, esibendo, quindi, una visione assai
meno contestatrice. I boomer meno istruiti appaiono più conservatori vicini agli orientamenti delle
generazioni più anziane, mentre gli esponenti più istruiti di questa coorte conservano spesso propensioni
contestatari, in genere, persino superiori a quelle dei più giovani.

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PARTE III

La potenziale disponibilità economica accresce l’interesse verso i Boomer, portandoli a essere dipinti come
l’avanguardia della Silver economy. Tale possibile vantaggio economico induce spesso a rappresentarli quali
consumatori senior ideali, destinatari di un’offerta di beni e servizi a loro dedicati, volti a soddisfare le loro

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esigenze di fruizione culturale e tempo libero, ma riproducendo la costruzione sociale di stereotipi rispetto
a questo gruppo per età, assai più eterogeneo anche in termini di risorse materiali e simboliche. Si
ritrovano accorpamenti impropri in un’unica generazione di tutti i nati dal ’46 al ’64, quando in realtà, si
tratta di gruppi per età culturalmente distinti da un diverso legame generazionale tra gli appartenenti alla
prima o alla seconda coorte del Baby Boom: i primi Boomer sono per lo più pensionati, la seconda coorte è
in prevalenza ancora occupata e si affaccia solo adesso al pensionamento. Tali rappresentazioni
prettamente economiciste ricalcano stereotipi ageisti che negando una complessità ben più ampia vede i
Boomer ora in negativo, quali insostenibile carico per il sistema a scapito delle generazioni più giovani, o li
raggruppa in un profilo di consumatori senior, esigenti, benestanti e pronti a spendere ricchezza. La tabella
restituisce il dettaglio del reddito dei Boomer al 2016 operando un confronto con le altre generazioni e il
resto del campione nazionale. La coorte dei nati tra il ’46 e il ’54 è nelle prime posizioni sia rispetto al
reddito annuale netto individuale, sia a quello equivalente disponibile, oltrepassando i 17.000€ in entrambi
gli indicatori, decisamente superiori ai corrispondenti valori medi nazionali, di poco oltre i 14.000€. In
media, il reddito di un Boomer costituisce poco più della metà del reddito complessivo della famiglia di cui
fa parte.

La prevalente appartenenza dei Boomer a coppie nucleari, in genere senza figli o con figli, per lo più adulti,
ancora conviventi, in cui, di solito, è rinvenibile almeno un secondo percettore di reddito, in grado di
contribuire economicamente al bilancio familiare, a ulteriore garanzia di una certa stabilità economica. Ben
diversa appare la situazione dei Grandi anziani, in cui spesso le condizioni di vedovanza definiscono spesso
situazioni di persone che vivono da sole, in cui il reddito è interamente a disposizione dell’unico
componente. Le generazioni più giovani, come i Millennial, nati tra gli anni ’80 e la fine del secolo scorso,
percepiscono redditi netti individuali certamente più bassi corrispondenti in media al 30,5% dell’intero
reddito familiare. Questo conferma la frequente dipendenza economica di buona parte di questa coorte da
altri percettori conviventi. Nel confronto tra redditi i Boomer superano anche generazioni anagraficamente
più vicine, come i Silenti, nati tra gli anni ’30 e il ’45 e di poco più anziani, o la coorte più giovane del Baby
Boom, i c.d. Jones nati tra il ’50 e il ’64. Il vantaggio dei Boomer si spiega anche nel particolare effetto di
corso della vita attraversato dalla generazione in esame, che associa la prima fase di ritiro dal lavoro a una
numerosità familiare più ridotta, per di più strutturata in coppie dove spesso entrambi i partner sono
percettori di reddito e accrescono reciprocamente la propria disponibilità pro-capite. I Silenti, più avanti
negli anni rispetto ai Boomer, iniziano a veder crescere le situazioni unipersonali e a dover contare
maggiormente solo sulle proprie entrate. È assai probabile che i Jones, più spesso appartenenti a nuclei con
figli ancora presenti in casa e non ancora economicamente indipendenti, debbano ancora sostenere
familiari più giovani, in media riferibili per età alle generazioni nate dopo la metà degli anni ’90. Al di là
delle entrate e della loro corrispondenza alle necessità effettive, è importante osservarne la composizione.

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La tabella descrive le diverse fonti di reddito dei Boomer, mettendone a confronto con le altre generazioni
e la media del campione nazionale.

Si osserva che al 2016 il reddito dei Boomer è composto per almeno due terzi da pensioni o altri
trasferimenti. Al 2016 almeno un decimo delle entrate dei Boomer derivano ancora da lavoro dipendente.
Più marginale risulta la quota di reddito derivante da lavoro autonomo e da impresa. La distribuzione
percentuale delle fonti di reddito appena descritta rispecchia la fase biografica di chi sta entrando in
quiescenza, senza aver completamente abbandonato l’attività lavorativa. Se il reddito costituisce un
elemento essenziale del bilancio economico di una persona, definendo entità e flusso delle entrate, la
ricchezza rappresenta, soprattutto per i Boomer, un asset altrettanto basilare, poiché costituisce il fondo di
garanzia che permette di contrastare imprevisti e avversità, nonché di affrontare meglio le incertezze
dell’invecchiamento. Tale razionalità di bilancio, dovendo tener conto sia del mutamento della principale
fonte di reddito, sia della necessità di pianificare l’ultima fase della vita con prospettive di crescente
dipendenza, finisce per influenzare i comportamenti di consumo e risparmio, in un trade off tra le spese per
necessità o per soddisfare desideri e, dall’altro, la tendenza all’accantonamento di risorse a garanzia del
futuro. Nella tabella, la ricchezza equivalente disponibile a livello individuale risulta per i Boomer
mediamente pari a 118.502€. A prima vista appare sensibilmente più ridotta rispetto alle disponibilità
patrimoniali delle generazioni più avanti negli anni, come nel caso dei Silenti e, soprattutto, dei Grandi
anziani. Tali differenze vanno rilette rispetto all’incidenza della ricchezza equivalente individuale sul
patrimonio familiare. Per i Boomer questa conta poco più della metà della ricchezza complessiva, mentre
incide almeno per ben due terzi, quando non di più, tra le generazioni più vecchie.

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Non meno importante è la capacità di accantonare risorse, tipica delle generazioni entrate nella fase
avanzata del corso della vita. Nel 2016 i Boomer sono ancora riusciti a risparmiare, adeguandosi al trend di
accantonamento tipico delle generazioni più anziane, che realizza un particolare life cycle effect orientato
all’accumulo di risorse in previsione di una riduzione di reddito per il ritiro dal lavoro. Nella tabella,
seguendo una caratteristica tipica della ricchezza degli Italiani, nel 2016 anche per i Boomer le attività reali
costituiscono la principale componente del patrimonio.

Il 70,8% del patrimonio dei Boomer deriva da immobili (in larga misura la residenza di proprietà), un 14,3%
da oggetti di valore e un residuo 3,3% da fabbricati aziendali. Anche se l’incidenza delle attività reali
complessive è diminuita dal 2006, da quando hanno iniziato ad andare in pensione i Boomer sembrano
essersi convertiti al mattone, a scapito dell’investimento in oggetti di valore. Il patrimonio aziendale scende
lievemente, sebbene a ciò concorra probabilmente la chiusura di attività in seguito a ritiro dal lavoro, al di
là di un possibile effetto della crisi dal 2008. I Boomer pur seguendo una tendenza diffusa, propendono
ancor più della media all’investimento in immobili di proprietà. Si tratta di una ricchezza stabile e concreta,
corrispondente probabilmente a una programmazione anticipata nel tempo, che dà i suoi frutti proprio
quando i Boomer entrano nella prima fase dell’invecchiamento. In parte, ciò si collega alla cultura italiana
dell’investimento immobiliare che guarda alla proprietà della casa di residenza, magari da trasmettere alle
generazioni successive, e mira alla possibilità di generare rendite grazie agli affitti, nonché a migliori chance
di accesso al credito attraverso possibili pegni di garanzia. Tale comportamento può riflettere un bisogno di
stabilità e concretezza, conseguenza sia dell’effetto di periodo di una crisi economica recente, sia
dell’effetto di corso della vita, per la particolare fase biografica attraversata da chi sta andando in pensione
e deve programmare il restante futuro in un momento di incertezza economica generalizzata, ormai una
costante degli ultimi decenni. Tale atteggiamento spiega la minore propensione a rischiosi investimenti in
capitale più volatile. Come si evince nella tabella, non solo il capitale finanziario è residuale ma soprattutto
è concentrato in fattispecie meno dinamiche e più sicure, mirando soprattutto a una garanzia di
rendimento. Il capitale finanziario è costituito prevalentemente da depositi e buoni fruttiferi postali.

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Interessante l’incidenza delle passività finanziarie sul patrimonio come si vede nella tabella seguente.
Infatti, i Boomer appaiono mediamente più indebitati rispetto alla media nazionale. Si tratta in netta
prevalenza di impegni verso banche società finanziarie, che pesano sul patrimonio in misura superiore
rispetto al campione nazionale e alle altre generazioni. Più residuale l’incidenza delle altre famiglie o debiti
commerciali. I Boomer risultano la generazione che ha visto aumentare maggiormente il peso dei debiti sul
capitale complessivo. Da un lato, si sono indebitati, ma dall’altro, hanno avuto comunque, accesso al
credito, perdi più in un momento in cui i tassi non erano esattamente favorevoli. L’indebitamento può
nascere dalla necessità di mantenere lo stesso livello di consumi, specie in concomitanza di una fase
recessiva internazionale. È possibile che il mantenimento del livello di consumi si sia attuato ricorrendo ai
risparmi già accumulati.

La tabella seguente riporta il livello individuale equivalente dei consumi osservabile nei diversi gruppi per
età, mostra l’entità dei consumi equivalenti a livello individuale da parte dei Boomer nel 2016 sia
sensibilmente più elevata di quella di ogni altra generazione. Risalta il deciso balzo dei consumi di questa
generazione di +30,7%a partire dal 2006, come più volte ribadito, coincidente con il mutamento in cui
buona parte di questa coorte inizia a ritirarsi dal lavoro.

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È più facile che, per conservare un livello di consumi adeguato, abbiano dovuto attingere a risparmi,
vendere beni o indebitarsi. Inoltre, chi è nelle fasi avanzate della vecchiaia spesso può contare su redditi e
patrimoni familiari solo unipersonali, e destinati in larga misura a coprire la spesa per beni e servizi non
durevoli per il crescente bisogno di cure e assistenza. Trattasi per lo più di spese per necessità,
probabilmente meno dettate dal gusto o dallo stile di vita e non di rado affrontate con difficoltà. Il
consistente aumento dei consumi tra i Millennial indica quanto questa generazione abbia pagato l’aumento
dei prezzi, in ragione di redditi assai più limitati e discontinui, nonché della difficoltà a emanciparsi dalla
necessità di un sostegno economico provvisto da altri familiari percettori di reddito. Il notevole incremento
dei consumi dei Boomer dal 2006 parte da basi ben diverse che combinano la crescita di spesa con redditi
più stabili e patrimoni più solidi. Le generazioni più giovani mostrano una propensione ai consumi
maggiore, ma associata a redditi più ridotti e incerti. Il valore aumenta perché sono costretti a spendere
proporzionalmente di più in rapporto a entrate più modeste. Sono più obbligati a destinare la maggior
parte delle entrate ai consumi necessari alla sussistenza, per di più non riuscendo a risparmiare, da cui
deriva una più alta propensione media al consumo. La Generazione X mostra consumi più bassi, ma la
propensione al consumo più elevata di ogni altra generazione, è una generazione tipicamente di
transizione, la prima da ver incontrato la flessibilità del mercato del lavoro, in cui molti hanno vissuto una
stabilizzazione tardiva nei percorsi lavorativi, e che in questo momento rappresentano una generazione
adulta che messa su famiglia sostiene spesso figli a carico ancora minorenni. Le generazioni con un reddito
più elevato e stabile consumano proporzionalmente meno per sopravvivere e possono dedicare più denaro
a spese non strettamente necessarie, oppure ad accumulare risparmi. Come si vede dal grafico la
propensione media ai consumi dal 2016 ricalca un effetto di periodo, perché cresce per tutte le generazioni,
segno che nessuno è riuscito a risparmiare, ma si è stati costretti a spendere in proporzione di più o a
ricorrere ai risparmi per mantenere il tenore precedente.

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Proprio l’andamento dei Boomer mostra due momenti chiave osservabili nel grafico. Il primo, nel 2016,
quando pur una crescita generalizzata della propensione media al consumo, il corrispondente valore per i
Boomer inizia a collocarsi costantemente al di sotto della media nazionale, in un posizionamento assai più
prossimo a quello delle generazioni più anziane. Il secondo momento chiave è il passaggio dal 2012 in poi,
da quando la crisi, raggiunto il suo picco, inizia ad allentare un minimo la presa e la propensione ai consumi
rallenta. La propensione dei Boomer resta stabile, eventualmente attingendo ai risparmi o contenendo le
spese per quanto possibile. Questo primo riscontro stempera la rappresentazione dei Boomer come
consumatori benestanti pronti a farsi sedurre dalle offerte di mercato, perché dotati di maggiori
disponibilità economiche. La tabella seguente dettaglia l’incidenza dei diversi beni di spesa sui consumi
complessivi al 2016. Seguendo la tendenza generale, i Boomer destinano solo una quota residuale
all’acquisto di beni durevoli e si concentrano assai di più nelle spese per beni non durevoli. Per quanto in
beni durevoli restino una componente minima dei consumi, nel 2016 l’acquisto di mezzi di trasporto da
parte dei Boomer è al di sotto della media nazionale, mentre superiore alla stessa è quella dei beni reali. In
proporzione sembra preferiscano acquistare un immobile più che un’auto nuova. Nel 2016 il 43,2% dei
consumi complessivi di questa generazione sono stati destinati all’acquisto di generi alimentari. LA quota
rimanente degli altri consumi non durevoli identifica uno dei comparti più interessanti per la Silver
economy, in quanto essenzialmente costituito da servizi alla persona, facilmente trasferibili e adattabili alle
esigenze dei Boomer, tipicamente aperti alle novità, abituati al cambiamento nei gusti e non contrati a
espressioni edoniste. La crescita dei consumi, specie dopo la pensione, indica indubbiamente i Boomer
come target interessante per la Silver economy, ma senza eccedere in rappresentazioni improprie di una
generazione consumista, ovvero tendendo bene conto dell’eterogeneità delle situazioni, individuali e
familiari, che caratterizzano le possibilità reali ed effettive, nonché i bisogni, spesso riferibili ad altri soggetti
economicamente dipendenti, in famiglia o nel sistema di parentela, con cui i Boomer si confrontano
quotidianamente. I Boomer risultano una generazione in condizioni favorevoli giustificando l’attenzione che
la Silver economy riserva loro. Da poco in pensione, con redditi individuali mediamente elevati, spesso
rappresentativi solo della metà delle entrate familiari, fino a oggi sembrano essersi potuti permettere un
tenore di vita quanto meno stabile, sia nel passaggio ai trasferimenti pensionistici quale fonte principale di
reddito, sia in seguito alla pesante recessione economica internazionale iniziata nel 2008. Mostrano
patrimoni individuali significativi, che costituiscono solo una parte della ricchezza familiare disponibile,

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prevalentemente composta da beni concreti e sicuri, quali proprietà familiari, e depositi bancari. Pur a
fronte di vantaggi economici evidenti per la generazione in esame, i Boomer propendono al risparmio tipica
delle generazioni anziane, specie considerando i consumi reali rispetto alle disponibilità effettive, che
mostrano, tutto sommato, una significativa tendenza all’accantonamento, al di là della spesa, sia in vista di
quello che p un possibile trasferimento di ricchezza alle generazioni successive, sia prevedendo una
necessaria riserva a cui affidarsi nel momento in cui il declino della salute possa condurre a un
depauperamento delle risorse accumulate. Questo si traduce specie sul piano economico individuale in una
pressione ansiogena e latente, conseguenza di una quotidianità incessante orientata alla dinamicità,
all’esperienza del momento e a un flusso d’informazioni continuo, ingente e non di rado contradittorio, che
rende sempre più difficile effettuare decisioni lineari e programmazioni di medio-lungo-periodo. È ver o che
molti Boomer avvertono il pensionamento quasi come una chance liberatorio per mettersi alle spalle tal
pressione, sicuramente sentita anche in modo diffuso specie negli ultimi anni della propria vita lavorativa.
Tuttavia, il pensionamento equivale a una perdita di controllo sulla propria esistenza e accresce il livello di
incertezza. L’ingresso nell’età avanzata conduce a bilanci e il percorso tracciato da quelle giovani donne,
all’epoca con un’intera vita davanti, trova un esisto nelle condizioni attuali di molte esponenti, ormai
senior, di quella generazione. Lo svantaggio economico di molte Boomer conferma quanto, tutt’oggi, sia
ancora lungo e complesso il cammino intrapreso da quell’avanguardia, che rivendicava il superamento delle
discriminazioni di genere, ma che persino oggi, in età avanzata, evidenzia profonde disuguaglianze
strutturali. Ciò nonostante, una quota rilevante delle donne di questa generazione ha svolto in prevalenza il
ruolo di casalinga, per buona parte della vita economicamente dipendente da partner bread-winner,
quindi, è possibile che molte, non essendo mai entrate formalmente nel mercato del lavoro, o avendolo
fatto solo per brevi periodi, non abbiano mai maturato contributi sufficienti per adeguati redditi
pensionistici in età avanzata. Le disparità del reddito potrebbero derivare anche da un particolare effetto di
coorte conseguente le possibilità di pensionamento anticipato, ovvero, ipotizzando che una parte delle
donne di questa generazione abbia approfittato per andare in pensione il prima possibile grazie a
normative più favorevoli, ma riducendo i contributi e conseguendo in età avanzata pensioni più basse. Ci
sono tre fattori:

1. bilanci familiari, condizionati da esigenze economiche e di cura che a fronte di stipendi in media più
elevati del partner, abbiano indotto in passato molte a privilegiare la carriera del marito
rinunciando alla propria per dedicarsi alla famiglia
2. cultura segregante e tradizionalista, che assegna unicamente alla donna i ruoli di cura anzidetti con
un effetto di latenza
3. aumento del titolo di studio e il raggiungimento di un più elevato grado di istruzione da parte delle
giovani a promuovere la loro permanenza in attività, accedendo a migliori retribuzioni e
opportunità di carriera, e divenendo anche più competitive nei bilanci economici familiari rispetto
ai propri partner

Sono soprattutto le donne Boomer a pagare oggi, come lavoro di cura verso anziani e nipoti e come
sostegno ai figli e alle figlie precarie, il prezzo del progressivo smantellamento dello Stato sociale. I livelli di
istruzione di questa generazione nel 2016: il 69,2% non supera la licenza media inferiore, il 21,0% è
diplomato, il 9,8% laureato. Questi senior ricchi e istruiti sono il target ideale per chiunque voglia investire
nel design e nella creazione di prodotti e servizi per l'economia dell'invecchiamento. Al contrario, per i
boomer meno istruiti, l'entità dei loro consumi è meno della metà di quella del profilo precedente, hanno
visto aumentare le proprie spese. Chi ha avuto una traiettoria standard, in carriere operaie o impiegatizie,
sarà stato probabilmente indotto ad andare in pensione il prima possibile. Al contrario, chi ha sviluppato
carriere più prestigiose e professionalità elevate tende a continuare l'attività e ad andare in pensione il più
tardi possibile, quasi perché obbligato per legge, proprio perché è meno conveniente rinunciare ai vantaggi
materiali simbolici della permanenza in attività. Va osservata la progressiva riduzione dei nuclei familiari dei
boomer tra il 2002 e il 2016. La percentuale di persone sole in questa generazione è praticamente triplicata

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ed è destinata inevitabilmente a crescere a causa del progressivo invecchiamento della generazione in
esame. Le famiglie unipersonali restano un elemento rilevante per questa coorte già in età più giovane, non
solo per il progressivo aumento delle situazioni di vedovanza con il passare degli anni, ma anche per la
frequenza di separazioni e divorzi. Al di là della dimensione sociale e relazionale della struttura familiare di
appartenenza, la composizione della stessa diviene una determinante rispetto alle disponibilità di risorse
equivalenti pro capite, in base al numero e al tipo di componenti, nonché, soprattutto se e quanto questi
siano percettori di reddito e contribuiscono tanto al patrimonio, quanto i consumi complessivi. Anche il
contesto territoriale gioca un ruolo importante nel determinare le diversità nelle condizioni
socioeconomiche tra gli appartenenti a questa generazione, dove le differenze appaiono più marcate
laddove un Boomer risieda in un piccolo comune o in più ampio contesto metropolitano, piuttosto che in
zone del paese più o meno economicamente avvantaggiate. Ciò significa che i consumi dei Boomer
residenti nei piccoli centri, pur non esagerati come entità consentono un tenore migliorabile, ma adeguato
rispetto al costo della vita. Consumi ben più elevati si hanno tra i Boomer nei comuni con più abitanti. In tali
contesti i Boomer spendono di più per conservare il tenore di vita sia come entità di spesa sia in
proporzione al reddito disponibile, ma hanno visto calare nel tempo la loro capacità di risparmio. I Boomer
delle grandi città mostrano sì consumi elevati e crescenti, ma anche buona capacità di risparmio per entrate
migliori. Sei profili di cluster:

1. Questo profilo è meno consistente ma interessante, perché, a fronte di redditi cospicui e patrimoni
elevati, mostra anche i livelli di consumi altrettanto significativi, spendendo copiosamente in beni
durevoli e non durevoli. Acquistano mezzi di trasporto e beni reali, spendono cifre importanti anche
in altri consumi non durevoli. Anche le spese per l'abitazione sono le più elevate punto i consumi
non durevoli residuali eccedono di 1/3 le spese alimentari. Non spendono tanto per necessità,
quanto più per le spese accessorie, richiamando un consumo ricercato probabilmente declinato
secondo gusti e stili di vita distintivi e al tempo stesso esigenti. Quasi il 60% dei casi a un livello di
istruzione medio alto, almeno 1/5 dei casi sta ancora lavorando. Poco più della metà fa parte di
coppie senza figli e quasi 1/3 vive con partner e figli. I 2/3 vivono al Nord Italia e ben il 40,8% in città
di medie dimensioni. Emerge un profilo agiato di borghesia senior, forse più evidente nella provincia
ricca oltre in contesti metropolitani, che esprime il proprio benessere anche, e soprattutto nei
consumi in uno stile di vita distintivo e dispendioso.
2. Questo cluster raggruppa molti Boomer ormai in pensione che vivono da soli. Composto per 2/3 da
donne, raccoglie situazioni tipiche di famiglie unipersonali, prevalendo persone celibi/nobili o
divorziate, o in stato di vedovanza. Il cluster accoglie la totalità dei Boomer in famiglia
monoparentali con figli. Il reddito è nella media, supportato da patrimoni consistenti. Il livello dei
consumi appare decisamente nella media, probabilmente avvantaggiato da una minore necessità
per spese alimentari, con un più ampio margine per spese in altri beni e servizi non durevoli. La
propensione media al consumo indica una discreta capacità di spesa, accompagnata da qualche
possibilità di risparmio. Il titolo di studio, basso in 2/3 dei casi è medio alto nella quota rimanente,
agisce da fattore di differenziazione interna al profilo in esame.
3. L'etichetta del profilo ricalca l'evoluzione senior dell'acronimo Double Income, no Kids, ideato negli
anni 80, nell’incipiente carriera dei Boomer, riferito a quelle coppie dove entrambi i partner
percepivano redditi lavorativi e rinunciavano ad avere figli in favore della vita professionale.
L'immagine rimanda un profilo di Boomer istruiti e qualificati, spesso ancora in attività o da poco in
pensione, conviventi con partner nelle stesse condizioni, senza figli dipendenti. Ben 2/3 dei casi
rientranti in questo cluster fanno parte di coppie senza figli punto il titolo di studio è elevato: 2/3
diplomati e 1/3 laureati. Un quarto dei casi è ancora occupato. Il 43,7% di donne nel profilo
conferma la significativa presenza di donne istruite e ancora al lavoro. Emerge un profilo con redditi
elevati, rispondenti alle necessità è pari ad appena la metà del reddito familiare complessivo, a
conferma che anche i partner sono percettori di redditi. Anche la dotazione patrimoniale è discreta,

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considerando la probabile presenza di un altro partner che detiene quote di ricchezze equivalenti.
Pur con spese decisamente superiori alla media, la propensione media e i consumi mostra che
spendono solo la metà del reddito, risparmiando in egual misura.
4. I consumatori prudenti corrispondono a profili di Boomer in egual misura maschi e femmine, con un
reddito di poco al di sotto della media. Simili entrate bastano a coprire solo poco più della metà
delle esigenze familiari. I consumi sono leggermente più bassi, a fronte di una propensione di spesa
appena più elevata. Possono comunque contare su buone riserve patrimoniali, anche questo frutto
di gestione economiche propense ad accantonare risorse per fronteggiare eventuali emergenze. La
proporzione dei consumi non durevoli residuali sulle spese alimentari indica un certo margine per
possibili consumi superflui pur di poco sotto la media, confermando più attenzione alle spese
rispetto ad altri profili benestanti. Vivono praticamente tutti in coppie senza figli, ormai emancipati e
autonomi. Questo cluster è interamente composto da pensionati con titolo di studio basso,
esponenti di una lower middle class, e non da profili altamente istruiti, professionalmente qualificati
e magari ancora attivi in attività. 2/3 vivono al Nord e 1/3 al centro Italia. Si identifica un profilo di
senior che può riferirsi a una classe impiegatizia meno qualificata o alla working class, residenti in
piccoli centri, ormai ritirato dal lavoro e oculatamente parsimoniosa, probabilmente più per
necessità che per scelta.
5. I bread winner sono un profilo interamente maschile. Si distribuiscono in coppie senza figli o con figli
ancora presenti in famiglia. Prevalentemente in condizione non professionale evidenziano un livello
di istruzione basso. Mostrano entrate ridotte per lo più derivati da trasferimenti pensionistici e
corrispondenti quasi al 70% delle entrate familiari complessive, da cui la loro declinazione quali
principali percettori di reddito nei nuclei di appartenenza. Le loro entrate coprono solo tre quarti
delle necessità, probabilmente costringendo un tenore di vita meno pretenzioso. Dispongono di un
patrimonio assai più ridotti. Tale scarsità di risorse si riflette in consumi molto bassi. Per di più
denotano un certo livello di spese per l'abitazione, conseguenza della persistenza di rate per mutui o
spese per affitti o per manutenzione che incidono sulle spese complessive. In prevalenza risiedono in
contesti urbani di dimensioni medio grandi e 2/3 di loro abitano al sud e nelle isole. Si tratta di un
profilo di Boomer maschio, meno istruito e di probabile estrazione operaia o comunque con
esperienza lavorativa in attività manuali, che probabilmente ha vissuto da sempre mantenendo la
famiglia quale percettore principale e si ritrova tutt'oggi a farlo, grazie alla propria pensione, ma
vivendo in condizioni più incerte e modeste.
6. Composto esclusivamente da donne, questo cluster può definirsi la controparte femminile del
profilo precedente. In questo gruppo rientrano donne Boomer in condizione non professionale che,
ad analisi più approfondita, si dichiarano per 2/3 casalinghe solo per 1/3 pensionate. Sono un profilo
con redditi bassi e decisamente insufficienti, bastevoli a coprire solo il 18% delle necessità. Appena il
15,9% delle entrate familiari deriva dal già loro limitato reddito, segno di una spiccata dipendenza
economica dai propri partner, vivendo in coppie, con o senza figli. Anche la ricchezza disponibile è
altrettanto bassa. Ne consegue un livello di consumi decisamente basso e in larga misura destinato
alle spese alimentari. 2/3 delle donne rientranti in questo cluster vivono in meridione. Emerge un
profilo femminile doppiamente discriminato sia per scarsità di risorse sia per la dipendenza
economica da partner, specchio di un profilo finanziariamente subordinato e con poche risorse, a
dimostrazione che molte donne Boomer sono rimaste escluse dal processo di emancipazione
femminile di cui questa generazione è stata protagonista e, oggigiorno, entrate nell'età avanzata,
soffrono di una grave penalizzazione reddituale.

Il concetto di embodiment è una nozione ampiamente esplorata in ambito sociologico, sta a d’indicare il
riconoscimento di una stretta relazione tra il nostro modo di essere, al contempo, entità sociali e organismi
biologici, e le implicite conseguenze sul piano delle dinamiche culturali.

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1. In primis, il nostro corpo racconta storie sulla nostra esistenza e le nostre condizioni, parla di noi,
della nostra salute e della nostra biologia, per di più, senza interpellarci
2. In secondo luogo, non sempre le storie che il corpo riferisce di noi corrispondono alle narrazioni che
ne facciamo noi stessi
3. Infine, il corpo, se lasciato libero, racconta inopportunamente storie che le persone non possono o
non vogliono raccontare, perché non ne sono in grado, o perché è socialmente proibito farlo o
perché esse stesse preferiscono non raccontarle

Le tre linee di narrazione corporea raccontano del particolare rapporto, non sempre positivo e funzionale,
tra il corpo, nella sua più manifesta espressività, e la percezione di sé, spesso affetta da dissonanze volte a
negare la nostra realtà fisica e a preferire l’immaginifico o il mascheramento dell’immagine. La costruzione
sociale della negatività del corpo che invecchia si tramuta in un messaggio di inaccettabilità
dell’invecchiamento fisico. I Boomer vivono una posizione scomoda:

 Da una parte, prevalendo una concezione esistenziale intesa come processo unidirezionale e
ineluttabile, tra la polarità positiva della giovinezza e la mestizia della vecchiaia e della morte, sono
richiamati all’ingresso nell’ultima fase della vita.
 Dall’altra, quasi abbinando una narrazione prometeica al tratto di generazione vincente per
definizione, hanno ancora qualche freccia all’arco, ovvero: negare l’invecchiamento, occultarlo, o
sperimentare nuove esperienze finché è possibile

Di conseguenza:

1. Una prima strategia passa dalla negazione materiale del corpo che invecchia, ovvero la sua assenza
e il suo occultamento nelle narrazioni e rappresentazioni, benché sia visibile e chiara la presenza di
una fisicità attempata
2. Una seconda prospettiva vede il mascheramento dell’invecchiamento in base ai canoni imposti
dalle traiettorie ideali delle biografiche postmoderne che specie grazie agli avanzamenti della
medicina, possono sempre più camuffare gli effetti dell’età
3. L’ultima prospettiva esplora la corrispondenza, non sempre lineare, tra l’invecchiamento identitario
e performance fisiche

L’industria culturale, attraverso la pubblicità, il cinema, la moda o la cosmesi, pone continuamente il corpo
al centro di ogni rappresentazione sociale dell’invecchiamento, quale costante simbolica e culturale che
definisce l’essere o non essere anziano. Questo definisce una dicotomia da “dentro o fuori” in base alle
immagini: infatti, è l’apparenza fisica della persona che sta invecchiando a classificarla automaticamente
come ascrivibile o meno all’età avanzata. Tanto la materialità dell’invecchiamento, quanto l’implicita
sensazione di caducità, rimangono saldamente ancorate all’esteriorità visibile nel mutamento fisico,
nonché, soprattutto, alla misura in cui tale mutamento esteriore si manifesta e ha origine proprio da
disuguaglianze strutturali. Il corpo e le condizioni di salute di un Boomer che ha svolto per trent’anni un
lavoro manuale sono, di solito, ben diverse da quelle di chi, pur appartenendo alla stessa generazione, ha
svolto attività intellettuali altamente qualificate. L’invecchiamento del corpo implica un invecchiamento del
sé. Oggi la relazione tra il sé e il corpo è costruita culturalmente in una simmetria cogente e imprescindibile
tra l’esperienza soggettiva del sentire d’invecchiare e l’apparenza esterna del proprio invecchiamento
corporeo. Per chi vive in modo giovanile il proprio ingresso nell’età avanzata, sentendosi oggettivamente
più giovane di quanto appaia o rispetto all’età anagrafica, la tensione tra identità e corrispondente
corporeità anziana divien elemento critico e centrale delle narrazioni biografiche. La questione è che la
realtà dei Boomer rispecchia spesso situazioni ben diverse dalle rappresentazioni, partendo da
preoccupazioni concrete, conseguenze dell’insicurezza economica, dalla paura di esser marginalizzati o di
non riuscire domani a curarsi, perché divenuti non autosufficienti e pesando sui propri cari. Percezioni e
rappresentazioni spesso discrepanti, in una dissonanza continua tra l’inevitabilità dell’essere l’obbligo

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sociale dell’apparire in modo diametralmente opposto. L’ossessione dell’eterna giovinezza, tipica della
società postmoderna, operando una continua denigrazione simbolica della fisicità della vecchiaia, lascia
poche opportunità per sperimentare un invecchiamento corporeo che possa risultare adeguatamente
significativo sul piano biografico e corrispondente ai tempi della propria fisicità reale e oggettiva. Le
tecniche per mantenersi in forma, insieme al fascino immaginifico operato nelle dimensioni della cosmesi,
dell’esercizio fisico, dei prodotti farmaceutici e anti-aging, orientati a definirci come intramontabili e senza
età, divengono gli strumenti e i mezzi socialmente stabiliti per l’invecchiamento di successo,
paradossalmente attraverso la negazione e la resistenza all'invecchiamento stesso. Il mascheramento fisico
si applica soprattutto alle donne Boomer, spesso con orizzonti culturali e personali più profondi e complessi
e la costrizione della bellezza nel definire una femminilità di successo e capace di trionfare sull’età. Gli
uomini non sono esclusi, ma la pressione riguarda più le prestazioni, sulla resistenza e sulla tonicità del
corpo, tipicamente maschile, di potere e di marcata agentività e controllo sulla propria vita. Il modello di
riferimento delle rappresentazioni non è, infatti, l’operario in pensione, ma il senior brillante, vincente e di
successo, culturalmente esigente e dalle aspettative elevate, espressione di una posizione sociale
dominante, che può permettersi di restare tale a prescindere dall’età. La riflessione non è tanto sulla
volontà individuale di sentirsi e restare in salute il più possibile, bensì sul latente condizionamento
strutturale, che nega e stigmatizza la possibilità di invecchiare anche fisicamente, soprattutto a chi non può
permettersi di contrastare il processo. Katz osserva due aspetti del processo di occultamento:
l’abbigliamento e la consapevolezza corporea. Il guardaroba del Boomer diviene un contesto tanto di
distinzione quando di possibile stigmatizzazione. La pressione sociale stabilisce dei codici di abbigliamento
appropriati in base all’età, definendo così un ordine morale del modo di vestire, definito da microcodici, che
stabiliscono l’appropriatezza per colore, misure, stile, indossabilità, stagionabilità, accessibilità di prezzo.
Alle donne Boomer si inizia a consigliare vestiti più laschi, più lunghi, con colori meno sgargianti, evitando di
apparire troppo giovani o sensuali, e attenendosi a codici di abbigliamento stereotipati per età che, se
contraddetti, rischiano di generare discredito o derisione. Il Boomer maschio dovrà adeguarsi a un codice di
vestiario e di attrezzatura specialistica. La presa di coscienza corporea spiega la frequente tendenza di chi si
affaccia alla pensione a frequentare palestre, scuole di danza, praticare la corsa, sport estremi. La
consapevolezza corporea diviene un processo materiale per cui i significati simbolici del proprio fisico sono
formati attraverso pratiche, che non sono solamente sportive ma, al contempo, occasioni sociali ed
espressioni culturali. La sensazione della fisicità arriva alla constatazione dei limiti e delle criticità che il
corpo comunica e che la persona interiorizza come il passaggio a una fase di invecchiamento, non
necessariamente di completo declino, ma quanto meno, di riduzione delle prestazioni. Il dolore,
l’impedimento fisico, divengono ola spia della disfunzionalità. Il corpo non corrisponde più alla percezione
del sé, e l’incapacità a eseguire una prestazione può condurre il Boomer ad autodefinirsi come malato in
ragione dell’obiettivo prestazionale non conseguito. Si associa alla percezione dell’età modificando
l’identità di sé da una situazione “normale” a una condizione di “vecchio”. La percezione di disfunzionalità
definisce l’embodiment della paura. Un ulteriore elemento è la velocità della performance. Il corpo
funzionale è concepito come una fisicità dinamica e in grado di fare le cose in fretta. Si parla di un obbligo
sociale alla prontezza di risposta e alla rapidità di esecuzione in tempi brevi, magari sovrapponendo più
attività contemporaneamente, secondo i canoni di una quotidianità postmoderna che vede l’individuo
costantemente stimolato e attivo. Si tratta di un gruppo per età che può disporre del proprio tempo,
gestendolo autonomamente, senza necessariamente vincolarsi a orari produttivi o scadenze troppo
vincolanti. La velocità diviene una dimostrazione simbolica di una mantenuta capacità di performance,
rinnovando una necessità di esibizione e conferma sociale del non essere ancora vecchi perché in grado di
fare molte cose e in fretta. La minima riduzione dell’agentività personale suggerisce la discriminante tra
sano e malato e spinge alla ricerca di soluzioni quanto agisce da fattore ansiogeno. Il corpo degli altri,
specie se malato, offre una possibilità di paragone, prevalentemente mirata a cercare nel confronto con chi
sta peggio confortanti conferme della propria salute, quasi in una sperimentazione indiretta e mirata a
scongiurare l’avvento del declino fisico. Altro aspetto ricorrente è la paura del declino cognitivo. L’aumento

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dell’incidenza epidemiologica dell’Alzheimer e delle varie forme di demenza senile contribuisce ad
aumentare la soglia di attenzione in una generazione che ha aspettative di longevità elevata, probabilmente
più sul piano fisico che sul piano della completa conservazione fino all’ultimo delle capacità cognitive. Il
declino mentale può essere indirettamente sperimentato dai Boomer nell’esperienza di cura di anziani
familiari, spesso genitori sopravvissuti, ma affetti da simili gravi patologie. L’invecchiamento fisico è negato,
mascherato, più o meno mediato con un inganno esteriore o comunicativo. Cosa spinge i Boomer ad
assecondare la pressione a restare giovani il più a lungo possibile? Il semplice “star bene” suona un
automatismo di risposta banale e scontato, che necessita interpretazioni più complesse. Il timore
dell’abbandono, talvolta mediato nella rassegnazione alla solitudine, sembra la paura più autentica dei
Boomer. La malattia è scontata, persino la morte può esser gestita e l’oblio essere ritenuto consolatorio ma
come milioni di anni fa, l’individuo teme di essere abbandonato dal gruppo, dalla comunità in cui, con cui,
ha vissuto fino ad allora. Può essere naturale che per chi come i Boomer, entrando nell’invecchiamento,
debba confrontarsi con il senso di declino, praticare la sperimentazione fisica in senso quasi catartico di
vivere esperienze a tutti i costi, usando il corpo come uno strumento per provare emozioni nel tentativo di
conservarne a lungo le capacità. Va considerato anche il fatto che quelle esperienze e quel vivere
sperimentando a tutti i costi hanno un prezzo. Non considerando tale costo si finisce per concentrarsi su
una concezione unicamente agita da parte dell’individuo senior, senza valutare la cogenza strutturale e le
pressioni sociali all’adeguamento che premono su questa generazione. In genere, le cure informali sono
fornite dalla rete primaria, in primis coniuge e figli adulti. Ma non va dimenticato che questa generazione,
al di là dei più elevati tassi di separazione e divorzio, deve fare i conti con il Baby Bust dalla fine degli anni
’60, ovvero una generale diminuzione della natalità conseguente anche a comportamenti riproduttivi più
contenuti che essa stessa ha non di rado adottato. Questo evidenzia il fatto che i Boomer rischiano di
incontrare una carenza di caregiver informali, in ragione degli stessi mutamenti demografici e socioculturali
della società contemporanea. Spesso, i Boomer sono associati a una visione d’invecchiamento in salute,
specie considerando le significative aspettative di longevità che interessano questa coorte di nascita. La
fonte Istat più adatta a una prima ricognizione sullo stato di salute dei Boomer è l’indagine annuale
Multiscopo, volta a rilevare aspetti fondamentali della vita quotidiana degli individui e delle famiglie
italiane. I dati relativi alla salute e allo stile di vita consentono una disaggregazione per classi di età che
permette di individuare gli appartenenti alla generazione Boomer e l’aggregato degli over 75. Ogni 100
Boomer circa 44 godono di buona salute, un’incidenza che appare abbastanza prossima a quella della
coorte più giovane, dove i soggetti pienamente sani salgono a 57 ogni 100. Le persone in buona salute sono
circa 48 ogni 100 tra i maschi contro neppure 40 ogni 100 tra le donne. Lo stato di salute complessivo è
minato dall’insorgenza di malattie croniche, dove almeno 75 Boomer ogni 100 lamentano una qualche
cronicità. L’ipertensione è la cronicità più comune, con un tasso di 44 casi ogni 100, senza particolari
differenze di genere. Tra i Boomer emergono, altresì, forme più gravi di mialgie articolari, causate da artrosi
e artriti, con un tasso d’incidenza ben più superiore tra le donne rispetto agli uomini. Buona parte delle
patologie anzidette vedono una maggior cronicizzazione tra i Boomer, segno che, al di là dell’implicito
aumento dell’età, probabilmente in questa generazione si ha uno stile di vita che non corrisponde
esattamente e in modo diffuso ai canoni di un modello d’invecchiamento sano e attivo. Il consumo abituale
di farmaci tra i Boomer riguarda ben 76 casi ogni 100, senza differenze di genere, ma pur sempre elevato. In
questa generazione si assiste a una certa propensione a un uso intenso di farmaci, che suggerisce anche
una maggior frequenza di possibili situazioni di abuso. Alcuni studi evidenziano la particolare diffusione di
tale fenomeno tra le donne in questa fascia di età. Il consumo di tabacco rappresenta una peculiarità
specifica di questa generazione. Tra i Boomer, ogni 100 persone, 15 si dichiarano fumatori. I Boomer sono
una generazione però di ex fumatori. Coloro che hanno perso il vizio sono almeno 35 su 100. Tra i Boomer,
coloro che non hanno mai fumato sono appena 49 su 100. Si tratta infatti di una generazione che tuttora
fuma più di quanto non facesse in passato e in proporzione maggior rispetto alle generazioni più giovani. Il
consumo di sigarette è cresciuto rapidamente in Italia, raggiungendo il suo apice proprio nelle fasi giovanili
della generazione Boomer, cresciuta in un periodo in cui il fumo diviene un consumo di massa, specie negli

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anni ’60. Il consumo di sigarette tra le Boomer è proporzionalmente inferiore, perché buona parte delle
giovani italiane di quella generazione subiva ancora gli effetti di tabù sociali e religiosi e un’emancipazione
ancora in fieri specie sul piano dei consumi. L’indagine SHARE aiuta a cogliere le determinanti sociali ed
economiche più predittive di una maggior propensione a uno stile di vita attivo e in salute. Si tratta di un
campione numericamente significativo e adeguatamente rappresentativo della popolazione senior in Italia
nel 2017, su cui si sono realizzati alcuni indici specifici. Rispetto agli uomini, le donne appaiono di poco più
propense a uno stile d’invecchiamento sano e attivo. Un’elevata qualità di vita percepita è associabile a una
maggior tendenza a praticare comportamenti più dinamici e salutisti. Al pari, tanto più si riducono le
difficoltà economiche, tanto più aumenta la propensione a stili di vita più attivi e partecipi. Uno status
elevato è la determinante sociale ed economica più predittiva tanto di una propensione tanto di una
propensione culturale, quanto di possibilità materiali per i Boomer di condurre uno stile di vita più
dinamico e partecipe. Al crescere degli anni di istruzione aumenta uno stile di vita più attivo, anche in
ragione di professionalità più qualificate e maggiori disponibilità economiche. Si evidenza come tra le
donne di questa generazione, specie con titolo di studio più basso, sia prevalente uno stile di vita meno
attivo rispetto agli uomini. Le donne di questa generazione che hanno potuto aver accesso a più lunghi anni
d’investimento in capitale umano non solo hanno potuto essere coinvolte in un processo di emancipazione
culturale ed economica, ma godono oggi di maggiori propensioni e stili di vita atti a promuovere un
invecchiamento più dinamico, partecipe e in salute, addirittura proporzionalmente con maggiori vantaggi
rispetto alla controparte maschile. È assai più probabile che una più ampia percentuale di Boomer rimaste
casalinghe e con un più basso livello d’istruzione soffra oggi di un peggior differenziale di salute già al primo
ingresso nell’età avanzata. Le reali condizioni di salute e lo stile di vita dei Boomer sembrano non
corrispondere pienamente alle narrazioni di una generazione caratterizzata da un certo benessere sul piano
fisico e cognitivo, bensì a una chiara eterogeneità complessiva e a una profonda diversificazione dovuta a
fattori strutturali. Spesso emerge un atteggiamento più giovanile, meno preoccupati di compromettere la
salute con possibili eccessi, piuttosto che realmente propenso a fronteggiare rischi dell’invecchiamento.
Distinguendo tra quei Boomer che hanno iniziato a invecchiare in modo sano e proattivo, e quelli che
mostrano già limitazioni fisiche e/o mentali, nonché quelli che sono entrati nella fase senior con poche
risorse materiali e grandi responsabilità familiari. Anche dalle interviste condotte emerge come molti
Boomer distinguano tra invecchiare male e invecchiare bene, legando il primo alla passività e il buon
invecchiamento alla capacità di essere attivi e autonomi nella gestione della propria salute, conservando i
propri ruoli sociali. Il tema dell’invecchiamento attivo si ibrida con la partecipazione sociale, ambito più
espressivo del protagonismo collettivo di questa generazione, il concetto di partecipazione sociale dei
senior implica non solo elementi di integrazione e appartenenza, ma anche di attività collettiva all’interno
della società e per la stessa. Tra i senior la partecipazione sociale può assumere varie forme e la sua
definizione in letteratura non è uniforme. Ne consegue una mancanza di consenso intorno a una definizione
condivisa di partecipazione sociale dei senior. Il loro modo d’intendere l’invecchiamento e le loro stesse
esigenze sono assai meno declinate a una richiesta di protezione dall’incipiente vulnerabilità e molto più
orientate alla valorizzazione individuale, con la conservazione dell’autonomia e l’opportunità d’esprimere
fino alla fine un protagonismo attivo a livello sociale. La partecipazione diviene per molti Boomer strumento
di trasformazione riflessiva rivolta verso gli altri, pur partendo da un naturale tratto ben più riflettivo.
L’ingresso nel pensionamento produce in molti Boomer la necessità di ripensare quelle stesse istanze
identitarie, per nulla sopite dal processo d’invecchiamento. Tale fase riflessiva, nella forma di una più o
meno tacita conversazione e riflessione interiore, impone un ripensamento dei propri ruoli: in famiglia, ma
soprattutto in termini produttivi. Attraverso tale percorso di valutazione interna, il processo appena
descritto si concluse nel transito da una riflessività puramente a specchio a una riflessività relazionale e
dialogica verso gli altri che si concretizza in una generatività espressiva di un talento. Conseguentemente, la
partecipazione può declinarsi quale consapevolezza del proprio ruolo civico. CI sono 5 forme di
partecipazione sociale dei Boomer:

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 Allungamento della vita lavorativa
 Attività socialmente produttive
 Volontariato
 Attività politica
 Attivismo sociale

Il prolungamento della vita lavorativa dei Boomer spesso di lega a motivazioni espressive, ma anche a scelte
economiche. Questo si riscontra più spesso tra i più istruiti e tra chi abbia meno obblighi familiari,
permettendo di restare attivi, proiettandosi e arricchendosi socialmente e culturalmente. Alcuni studi
hanno dimostrato che proprio di Boomer sono importanti generatori di capitale sociale, più attivi anche di
altre fasce d’età, nella partecipazione dei cittadini e della comunità, essendo maggiormente coinvolti nelle
forme di partecipazione civica individuale e collettiva. Il volontariato costituisce una delle vie di
partecipazione sociale più praticate tra i Boomer, perché consente loro di mantenere un ruolo sociale da
posizioni meno impegnative, permette di ristabilire in modo significativo il dialogo con la società dopo la
pensione, ma con sufficiente flessibilità e ridotta responsabilità (per ragioni di soddisfazione personale e
ragioni puramente altruistiche). La partecipazione attraverso le attività politiche spesso è associabile a
migliori risorse economiche e a un più elevato livello d’istruzione, nonché alla maggiore ricchezza di
capitale sociale, di cui molti appartenenti a questa generazione possono disporre. L’attivismo civico è una
delle attività con il maggior potenziale nel promuovere la partecipazione sociale di questa generazione,
esplicandosi in molteplici espressioni, che, come detto, confluiscono a determinare quell’astrazione
collettiva di grey power. Questa si definisce in un’azione collettiva rivendicativa da parte dei senior, che si
articola tanto rispetto a nuove richieste sociali, politiche e di rinnovamento culturale, contro l’ageismo, la
discriminazione in base all’età e a contrasto dei processi di marginalizzazione degli anziani, ma, non di
meno, si estende alla lotta per i diritti e migliori condizioni per i giovani, assegnando un ruolo fondamentale
e trasversale proprio alle relazioni intergenerazionali. Sono riconoscibili almeno tra ambiti peculiari per i
Boomer, ovvero i contesti associativi di natura più ludica e culturale, propensione all’apprendimento
permanente e l’inclusione tecnologica. L’associazionismo ludico-ricreativo non va considerato quale
espressione esclusivamente ricreativa, perché spesso tali occasioni di socializzazione si combinano proprio
con forme di partecipazione sociale, espressamente generative di attività sociale di utilità collettiva. Dopo il
pensionamento per molti Boomer si assiste a una relativa continuità nel coinvolgimento in attività che
implicano l’apprendimento. Lo sviluppo o l’apprendimento di nuove attività implica per i Boomer una
molteplicità di vantaggi (soddisfazione delle proprie aspirazioni educative e un miglioramento della salute e
maggiori opportunità sociali). L’inclusione tecnologica, attraverso la Rete, i social e le ICT, consente ai
Boomer opportunità di aggiornamento, di partecipazione e di protagonismo sociale. È evidente che ci
troviamo davanti a una generazione di silver surfer che utilizza regolarmente la Rete e le sue possibilità.
L’indagine SHARE permette di osservare ulteriori fattori di partecipazione, quali la frequentazione di circoli
sportivi e associazioni rispetto alla fruizione culturale, l’apprendimento permanente nella prospettiva del
life long learning e l’inclusione digitale, rilevata nell’accesso a Internet nell’ultima settimana. Tali dimensioni
oltre a intersecarsi e a rafforzarsi tra loro, vanno rilette alla luce di diverse variabili strutturali, quale quelle
osservate nel capitolo precedente rispetto al modello interpretativo dell’invecchiamento attivo e in salute,
ovvero il genere, la qualità della vita, la salute percepita, il numero di componenti familiari, il livello
d’istruzione e la situazione economica. La tabella seguente analizza l’incrocio tra le dimensioni della
partecipazione sociale da parte dei Boomer pocanzi definite e le diverse variabili strutturali. Il 10,5% dei
Boomer coinvolti nell’indagine è tuttora occupato, con una netta prevalenza del genere maschile. Il fatto di
essere ancora in condizione lavorativa è decisamente associabile a un livello medi alto di qualità percepita
della vita. L’associazione al livello d’istruzione appare trasversale ai diversi titoli di studio, così come la
condizione economica. Il fatto di essere ancora al lavoro può associarsi tanto a una necessità di conservare
entrate adeguate e sufficienti in situazioni meno privilegiate, quanto a un maggior convenienza per i
Boomer con professionalità più qualificate. I Boomer occupati sembrano aver meno tempo per i nipoti

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mentre è più frequente un carico di cura di persone anziane. Il 7,3% si dedica al volontariato, l’8,0% segue
percorsi di life long learning, il 14,0% frequenta circoli sportivi e culturali, il 20,7%mostra un adeguato
accesso a internet. Solo il 2,7% svolte attivismo civico o politico. Il 10,1% dei Boomer è impegnato nella cura
dei nipoti, il 15,7%nell’assistenza agli anziani. Sono soprattutto le donne a essere più impegnate nelle
attività socialmente produttive rivolte alle persone, nel 68,8% dei casi di custodia di minori e nel 57,0% dei
casi di assistenza ad anziani non autosufficienti. Le situazioni di cura risultano più associabili a livelli di
istruzione medio-bassi. Il fattore più predittivo sembra essere la permanenza nel mercato del lavoro, non a
caso, ben il 41,4% dei Boomer che seguono i corsi di life long learning risulta anche occupato. L’attività
politica o di civicness dei Boomer, seppur residuale, vede una leggera prevalenza maschile e pare
associabile a livelli più elevati di qualità della vita e di salute percepita. Sembra più frequente in situazioni
familiari con due o più persone, nonché tra i livelli d’istruzione medio bassi e in condizioni economiche
adeguate. L’incrocio con i titoli di studio si concentra su livelli di istruzione medio-bassi, così come le
situazioni di disagio economico appaiono minoritarie.

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La tabella che verrà riporta i diversi modelli di regressione logistica binaria delle molteplici dimensioni della
partecipazione sociale tra i Boomer. Ciascun modello è analizzato in tabella rispetto ai rapporti di
probabilità risultati statisticamente significativi per le diverse variabili introdotte nel modello, dove, rispetto
al valore di riferimento indicato, un rapporto di probabilità tanto più superiore a 1 indica una maggiore
associazione alla dimensione, viceversa al di sotto di 1 una associabilità inversa. La persistenza nel mondo
del lavoro tra i Boomer sembra riguardare soprattutto gli uomini, preferibilmente chi è più istruito e in
buona salute. I maggiori impegni comportano una riduzione del tempo di cura dei nipoti o di altre forme di
partecipazione sociale, come il volontariato, entrambe attività meno conciliabili per chi lavora. Aumentano
le possibilità di apprendimento permanente. Il lavoro di cura mostra una profonda genderizzazione al
femminile. Questo può nascere sia da un fattore culturale sia da accorsi di conciliazione e gestione
intrafamiliare, come confermato dal valore predittivo dell’aumentare del numero di componenti. Il carico di
cura delle persone è diversamente associabile al livello di istruzione; infatti, chi è più istruito sembra meno
propenso a fare il nonno ma più frequentemente costretto a occuparsi di parenti anziani. L’accesso a
internet risulta assai predittivo, probabilmente per una relazione spuria che collega le pratiche di nonnità
con migliori condizioni complessive sul piano dell’integrazione, che si estendono anche alla dimensione
digitale che favorisce scambi e comunicazione. Il modello interpretativo circa le pratiche di volontariato tra i
Boomer mostra come soprattutto le donne siano propense a tali attività. Tale propensione aumenta tra chi
è più istruito e tra chi è più soddisfatto della propria qualità di vita, a conferma di una relazione simmetrica
e circolare tra il benessere individuale e simili pratiche. Il modello per il life long learning osserva
un’associazione crescente in base al livello di qualità di vita percepito, al livello di istruzione, nonché
all’essere ancora in attività lavorativa. La frequentazione di circoli sportivi e culturali sembra più diffusa tra i
maschi. L’inclusione digitale sembra privilegiare maggiormente gli uomini e associarsi più a livelli di
istruzione medio e alto, alle migliori condizioni economiche e all’essere ancora al lavoro, tutti indizi di
migliore integrazione e agentività individuale, ma che si integrano anche con altri fattori predittivi, meno
individualizzati e più socialmente orientati, quali la cura dei nipoti e la pratica del volontariato. L’inclusione
digitale s’intreccia naturalmente con le migliori condizioni individuali ma anche con fattori di integrazione
sociale attiva.

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I dati mostrano chiaramente l’esistenza di un’interazione positiva e di reciproco rinforzo tra i processi
partecipativi e il benessere soggettivo che soprattutto per i Boomer si riflettono in un aumento di agentività
e autostima. Tali azioni, concretizzandosi nell’espressione di un talento sociale rivolto al prossimo
producono bene comune che può tradursi in un riconoscimento collettivo del contributo sociale di questa
generazione. Di fronte all’invecchiamento, i Boomer esibiscono un manifesto rifiuto di essere posti ai
margini della società e concretizzano attraverso una significativa produttività sociale il loro desiderio di
continuare a essere attivi. L’invecchiamento di questa generazione comporta sempre più un profondo
cambiamento della partecipazione sociale non solo a livello individuale, ma anche a livello meso e a livello
micro. A livello meso, nelle organizzazioni e in particolar modo nel mondo dell’associazionismo,
l’eterogeneità espressiva di questa generazione e l'ampio spettro di possibilità con cui manifesta e traduce
concretamente la propria volontà di attivazione mostrano la necessità di ripensare, costruire e organizzare
nuove forme dell’azione partecipativa. A livello macro, specie sul piano politico, tenuto conto dei numeri
dei Boomer e dell’enorme risorsa che costituiscono per il resto della collettività, occorre considerare la
necessità di un ri-orientamento delle politiche rispetto alla specifica domanda di equità, di riconoscimento
dei diritti e di migliori opportunità di partecipazione sociale che i Boomer esprimono. Trasformando in un
percorso formale, diffuso e organizzato la tensione individuale dei Boomer alla partecipazione sociale, si
potrà innescare un percorso culturale più ampio, che conduca a un ripensamento complessivo
dell’immagine futura dell’anzianità, emancipandola dalle rappresentazioni del deficit, del declino e della
marginalità, per tradurla sempre più in un’immagine positiva e socialmente impegnata. L’espressione “OK
Boomer” è uno slogan che da qualche tempo ritorna frequentemente a livello mediatico a indicare una
replica volta a ignorare o deridere i Baby Boomer e coloro che sono percepiti come antiquati o fuori dal
mondo, in quanto considerati retaggio di valori sorpassati, di paternalismi, o perché visti come privilegiati e
poco attenti alle criticità dei giovani. A un’osservazione meno attenta potrebbe sembrare un tipico
fenomeno social, destinato a concentrarsi nella cultura giovanile e ad esaurirsi al suo interno, in
un’espressione di rifiuto e condanna verso le generazioni anziane. Da allora, l’espressione non solo è
divenuta virale, ma ha trovato applicazione in senso culturale e politico, in risposta critica a qualsiasi
resistenza alle innovazioni tecnologiche, all’urgenza di politiche ambientali efficaci e a ogni forma di
opposizione o inazione di fronte alle istanze dei giovani e alle loro generali condizioni di svantaggio.
L’utilizzo dell’espressione ha scatenato l’interesse dei media e dell’industria culturale, ormai ampiamente
indirizzata a farne un marchio commerciale registrato per abbigliamento, gadget e ogni tipo di

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merchandising. Ma è la musica a divenire un canale di diffusione privilegiato. Si è cercato di interpretare i
fenomeni nella prospettiva di Mannheim, fondata sul fatto che il problema delle generazioni non è che
tanto nella mera definizione dei loro confini per tratti o caratteristiche tipiche, bensì nei rapporti
intergenerazionali, ovvero nella mediazione tra passato, presente e futuro, dove la società è preservata,
rinnovata e trasformata dall’interazione tra i nuovi membri della società che rinnovano ogni giorno il
contatto con il patrimonio culturale esistente. La sociologia delle generazioni di Mannheim ha cercato di
comprendere la complessa interazione tra la posizione generazionale e la collocazione sociale degli
individui, emergendo nel periodo tra le due guerre mondiali, una fase densa di rapidi cambiamenti sociali e
di intensi sconvolgimenti. All’epoca la questione delle classi sociali costituiva la principale forza di
mobilitazione collettiva, generata dal combinato della posizione delle persone all’interno della
stratificazione sociale e della loro consapevolezza di tale collocazione. Oggi, dopo quasi un secolo dopo, le
classi hanno da tempo perso capacità di mobilitazione politica, così come la coscienza di classe è assai più
stemperata e la classe ha perso buona parte del suo valore euristico. Tale problematizzazione dei Boomer
quale generazione colpevole, privilegiata o insensibile alle istanze giovanili, è ben più specifica e definita nel
target di quanto fosse negli anni ’60 la critica alla società tradizionale, implicando una pericolosa
personificazione ben più focalizzata e mirata verso un gruppo distinto di persone. Questo ha due effetti:

 Di isolare il posizionamento generazionale di un individuo da altri aspetti della sua biografia, che
possono influenzarne atteggiamenti, comportamenti e condizioni. Ovvero, di dimenticare la
profonda eterogeneità intragenerazionale.
 Di situare impropriamente il confronto in termini di apparente conflitto intergenerazionale, ma in
realtà, più declinato tra recente passato e immediato futuro, senza la mediazione di un più ampio
contesto storico e culturale che possa aver prodotto la situazione attuale nel tempo e altrettanto
possa mutuare in futuro le condizioni e le relazioni tra le generazioni stesse.

Più volte si è richiamata la metafora dei Boomer quali “generazione ponte”, specie quando essi si ritrovano
mediatori tra diverse e opposte culture generazionali o altre volte ancora, declinati come generazione
“sandwich”, compressi in una posizione intermedia tra i bisogni dei figli o dei più anziani, dove spesso tali
pressioni contrappongono le esigenze familiari al desiderio di vivere con meno fardelli l’ultima fase della
propria vita. La capacità di mediazione culturale di molti Boomer si riscontra anche in una marcata
propensione alla partecipazione sociale, spesso perché molti propendono per un uso flessibile della nozione
di obbligo familiare, per cui i trasferimenti e le pratiche culturali avvengono anche al di là dei confini della
famiglia nucleare o dell’ascendenza genitoriale, facendo sì che proprio l’intergenerazionalità divenga un
impegno culturale rilevante.

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