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serie on line di antropologia

a cura di Gianfranco Biondi e Olga Rickards Universit di LAquila Universit di Roma Tor Vergata

2.a

BIODEMOGRAFIA
Gianfranco Biondi

Anno accademico 2004-2005

BIODEMOGRAFIA
1. INTRODUZIONE
Il termine demografia deriva dal greco demos, cio popolo o popolazione, e graphein, cio scrivere o disegnare, ed indica lo studio statistico delle popolazioni. Ovvero, i suoi fenomeni di stato quindi il numero degli abitanti che in un certo momento storico incidono su un territorio e la loro suddivisione per sesso e classe det e quelli di movimento quindi i flussi migratori e i ricambi generazionali. Il suo atto di nascita pu essere fatto risalire al 1662, quando linglese John Graunt (1620-1674) ha pubblicato il libro Natural and Political Observations. Mentioned in a Following Index, and Made upon the Bills of Mortality, in cui erano riportati i suoi studi sulla mortalit a Londra. Il termine demografia, per, stato introdotto dal francese Achille Guiliard solo nel 1855, allorch ha dato alle stampe il volume Elments de statistique humaine ou dmographie compare. Nel corso dei cento anni successivi al lavoro di Graunt, gli studi demografici sono stati rivolti prevalentemente alla mortalit non tanto per indagare scientificamente il fenomeno, quanto per riuscire a definire lammontare delle rendite vitalizie e per avere la prima vera sistemazione scientifica della materia stato necessario attendere la seconda met del Settecento, quando lo svizzero Jean-Louis Muret (1715-1796) ha definito gli indici demografici relativi alle nascite, ai matrimoni e alle morti ed ha assunto il ruolo di pioniere nelluso dei rispettivi tassi. Un ulteriore contributo allaffermarsi della demografia come scienza stato fornito dal tedesco Johann Peter Sssmilch (1707-1767) e dallinglese Thomas Robert Malthus (1766-1834), il cui libro Essay on the Principles of Population as It Affects the Future Improvement of Society, pubblicato nel 1798, ha fortemente influenzato il pensiero di Charles Robert Darwin e Alfred Russell Wallace: cio, ha fortemente influenzato e condizionato la teoria dellevoluzione organica ed ha enucleato il rapporto inscindibile che esiste tra lo studio biologico, o antropologico, e quello sociologico delle popolazioni umane. Dopo Malthus, la biodemografia ha assunto il compito di analizzare le popolazioni sotto il profilo della loro numerosit, della loro organizzazione e distribuzione territoriale, dei loro spostamenti, o correnti migratorie, e della loro struttura per et, per sesso, per condizioni economiche, per livello di istruzione, per tratti etnico-religiosi e per caratteristiche biologiche. Compito precipuo del biodemografo quello di raccogliere i dati relativi ai comportamenti demografici delle popolazioni attuali e di quelle del passato e di elaborare delle proiezioni e previsioni sul futuro delle popolazioni. La proiezione estende al futuro landamento che un qualsiasi fenomeno ha nel presente, o che ha avuto in un periodo passato pi o meno lungo e pi o meno lontano, e permette di immaginare cosa potrebbe avvenire ad una certa data se il trend di quel fenomeno fosse di un certo tipo: per esempio, se la immigrazione nel paese A dal paese B si mantenesse al tasso attuale x allora tra n anni la comunit B

raggiungerebbe la dimensione y; mentre la previsione fornisce un modello in cui possibile inserire delle variabili per disegnare gli scenari futuri. I dati relativi ai fenomeni demografici sono raccolti dagli uffici anagrafici dei comuni mediante le registrazioni anagrafiche e di stato civile e dallISTAT, Istituto Nazionale di Statistica, che effettua ogni dieci anni il censimento generale della popolazione (2001, 1991, 1981, ecc.); per i dati precedenti la met dellOttocento si deve ricorrere invece agli archivi parrocchiali. La nostra societ, come le altre societ occidentali, mantiene da alcuni secoli le registrazioni scritte dei tre eventi demografici fondamentali che riguardano la vita biologica, emozionale e sociale degli individui e, quindi, della popolazione: la nascita, il matrimonio, che corrisponde a quella che pu essere definita lorganizzazione sociale della perpetuazione della specie, e la morte. Queste registrazioni sono dei veri e propri documenti, sono cio testimonianze dellesistenza e delloperato degli uomini, e sono raccolte, specialmente per gli ultimi tre o quattro secoli, nei registri degli stati delle anime, dei battesimi, dei matrimoni e dei funerali conservati negli archivi ecclesiastici o parrocchiali. Gli archivi rappresentano cos la memoria storica delle identit collettive locali e come tali costituiscono delle banche dati indispensabili per ricostruire la struttura delle societ a cui si riferiscono.

2. SELEZIONE NATURALE E BIODEMOGRAFIA


La selezione naturale, che ha carattere qualificante nella teoria evoluzionistica darwiniana, esplica praticamente la sua funzione mediante lazione di due meccanismi demografici: la sopravvivenza differenziale, che garantisce agli individui idonei di rimanere in vita fino allet della riproduzione e consegna gli inidonei alla morte (questo meccanismo pu essere letto anche al contrario e allora si parla di mortalit differenziale); e la fecondit differenziale, che consente ai pi idonei di lasciare una prole pi numerosa e ai meno idonei di lasciare meno figli o di non lasciarne affatto. Per misurare il livello della selezione naturale, quindi, si devono stimare la sopravvivenza e la fecondit differenziali dei genotipi considerati e si tenga ben presente che la sopravvivenza e la fecondit sono definibili quantitativamente, cio misurabili, solo se sono riferite ad un preciso ambiente. La selezione naturale, infatti, interviene sugli individui come conseguenza dalle condizioni ambientali e se queste mutano, possono cambiare sia la pressione che il segno della selezione: cio, un genotipo pu essere favorito in un certo ambiente e sfavorito in un altro. Pur se parliamo della selezione in relazione ai genotipi, evidente tuttavia che essa agisce sugli individui, sul loro fenotipo, perch sono questi che sopravvivono o muoiono o si riproducono, non certo i geni. Dire che un certo genotipo vantaggioso, o svantaggioso, in un certo ambiente vuol dire solo che lo il fenotipo da esso controllato. E, inoltre, se vero che la selezione naturale esplica la sua funzione sui singoli individui, altrettanto vero che la popolazione che si evolve e non gli individui: lunit elementare dellevoluzione, infatti, proprio 2

la popolazione. Lidoneit (pi correttamente ladattabilit), o fitness, darwiniana non altro che il numero medio di figli che gli individui portatori di un certo genotipo lasciano alla generazione successiva. E, quindi, lidoneit di un gene in un determinato ambiente si valuta semplicemente a partire della numerosit delle copie che il gene lascia di s stesso alle generazioni future. La costruzione di una generazione di figli da parte di una generazione di genitori si basa sullinterazione che avviene allinterno della popolazione tra i comportamenti demografici e i fattori esterni. Come mostrato in Tabella 1, infatti, la biologia, lambiente, leconomia, la sociologia e la tecnologia influenzano il comportamento demografico dei singoli individui; che a sua volta determina i valori dei parametri demografici: la fecondit, la natalit, la nuzialit, la mobilit e la mortalit; che a loro volta modulano le caratteristiche della popolazione: la sua numerosit, la sua struttura per sesso e classe di et e la sua distribuzione geografica. I parametri demografici e le caratteristiche della popolazione, poi, intervengono in retroazione sul primo blocco biologia, ambiente, economia, sociologia e tecnologia e in questo modo si determina uno schema di flusso.
Tabella 1. Schema delle relazioni biodemografiche AMBIENTE ECONOMIA SOCIOLOGIA clima sviluppo cultura geologia lavoro istruzione ricchezza classe famiglia Comportamento demografico della persona DIVORZIO Struttura della popolazione

BIOLOGIA genotipo morfologia fisiologia malattia

TECNOLOGIA agricoltura industria abitazione trasporto sanit

NASCITA

MATRIMONIO Numerosit della popolazione

MIGRAZIONE Distribuzione territoriale della popolazione

MORTE

3. I FENOMENI BIODEMOGRAFICI
LA FECONDIT (vedi Appendice I) La capacit di procreare definita in biologia fertilit e la sua manifestazione concreta o fecondit, cio la reale riproduttivit di una donna (ma anche di una coppia o di una popolazione), misurata sul numero delle nascite. Il comportamento riproduttivo dipende certamente dalla effettiva possibilit che hanno le coppie di procreare, ma condizionato anche da altri fattori di tipo ambientale, culturale, economico e sociale che determinano un vero e proprio controllo delle nascite, volontario o meno. Tra questi, il livello nutrizionale, la diffusione di alcune malattie, let al matrimonio e lesistenza di tab sessuali esercitano uninfluenza rilevante sulla procreazione; cos come la esercitano le pratiche contraccettive e le tecniche di fe3

condazione artificiale. Fino a tempi recenti, le societ occidentali regolavano la fecondit prevalentemente agendo sulla nuzialit, ma oggi questultima ha perso molta importanza, dato che non poche nascite avvengono fuori dal matrimonio. Inoltre, lenorme sviluppo della tecnologia applicata alla riproduzione consente attualmente di superare il limite superiore, o menopausa, del periodo fecondo delle donne: che compreso tra 14 e 49 anni. E si tenga anche presente che il limite inferiore del periodo fecondo, o menarca (cio la comparsa della prima mestruazione nella pubert), si abbassato notevolmente in Europa e nel Nord Amarica nel corso dei secoli XIX e XX, soprattutto per il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie e nutrizionali: in Norvegia let media al menarca superava i 17 anni verso la met dellOttocento e un secolo dopo era scesa sotto i 13 anni e mezzo; e valori pi o meno analoghi sono stati rilevati in Danimarca, Finlandia, Svezia, Germania, Inghilterra e Stati Uniti. In molti paesi in via di sviluppo, un efficace controllo delle nascite esercitato dellallattamento, che di solito protratto piuttosto a lungo nel tempo per la scarsit di altro cibo e durante il quale sono vietati spesso i rapporti sessuali. La fecondit diminuita notevolmente in tutte le societ occidentali a partire dalla fine dellOttocento, ma lItalia (insieme alla Spagna) che sta conoscendo la denatalit pi accentuata, con 1,26 figli per donna, anche se negli ultimi anni si assiste ad una leggera ripresa. Numero medio di figli per donna in Italia anno n 1995 1,18 1996 1,19 1997 1,20 1998 1,21 1999 1,22 2000 1,24 2001 1,25 2002 1,26 Numero medio di figli per donna in Europa nel 2002 stato n Austria 1,29 Belgio 1,65 Danimarca 1,74 Finlandia 1,73 Francia 1,90 Germania 1,29 Grecia 1,29 Irlanda 1,98 Lussemburgo 1,70 Paesi Bassi 1,69 Portogallo 1,42 Regno Unito 1,63 Spagna 1,25 Svezia 1,57

La fecondit una delle componenti che concorrono a determinare la dinamica demografica delle popolazioni e il tasso di fecondit totale stima il numero medio di figli che ciascuna donna genera nel corso della sua vita feconda. Il TFT consente di valutare il comportamento riproduttivo delle popolazioni nel corso di ogni anno e quindi di interpretare il meccanismo del ricambio 4

generazionale. Un valore del tasso di fecondit inferiore a 2,1 (o tasso di sostituzione, che quello necessario per rimpiazzare nella generazione successiva i due partner della coppia) indica un invecchiamento e un calo della popolazione, mentre valori superiori a 2,1 garantiscono il progressivo aumento e ringiovanimento della popolazione. LA NATALIT (vedi Appendice I) Misura la frequenza delle nascite in una popolazione in un dato periodo di tempo, che generalmente coincide con un anno di calendario. Si tratta di un fenomeno particolarmente rilevante, se osservato nel suo sviluppo diacronico, in quanto permette di valutare levoluzione di una popolazione: quindi la sua crescita o diminuzione e il suo invecchiamento. Il tasso di natalit definito dal rapporto tra il numero totale dei nati vivi nel periodo di tempo considerato e lammontare della popolazione media nello stesso periodo, moltiplicato per 1.000. Tasso di natalit (t)=[N(t)/Pmed(t)]x1.000 in cui: (t)=periodo di tempo considerato (un anno) N(t)=numero dei nati nellanno t Pmed(t)=[P(1.1.t)+P(31.12.t)]/2 La popolazione media data dalla media tra la popolazione presente al 1 gennaio dellanno (t) e la popolazione presente al 31 dicembre dello stesso anno. LA SPERANZA DI VITA ALLA NASCITA (vedi Appendice I) Indica il numero medio di anni che una persona di una certa societ pu aspettarsi di vivere al momento della sua nascita ed stimata a partire dai tassi di mortalit registrati nellanno considerato. La speranza di vita alla nascita costituisce, insieme con la mortalit infantile, uno dei parametri pi significativi delle condizioni sociali, economiche e sanitarie di una comunit o di un paese e si configura, quindi, non solo come un indicatore demografico ma anche come un indicatore del livello di sviluppo di un paese. La durata massima della vita di noi umani si aggira sui 120 anni; tuttavia, la lunghezza della vita varia molto da persona a persona, essendo legata non solo allinformazione contenuta nel genoma di ognuna di esse ma anche allambiente in cui vivono le popolazioni e al loro stile di vita. La demografia in grado di stimare statisticamente la speranza di vita di un neonato, ovviamente, per, non pu indicare quanti anni in concreto vivr quel bambino. Nel corso del XX secolo la speranza di vita nelle societ occidentali aumentata drasticamente, passando dai 50 agli 80 anni, ed oggi la speranza di vita maggiore si osserva nelle donne giapponesi: circa 83 anni. I popoli pi longevi sono quello giapponese, con 81,9 anni, e quello del Principato di Monaco, con 81,2 anni; ed anche interessante osservare che si sta riducendo la differenza tra maschi e femmine: negli Stati Uniti, per esempio, la differenza tra i due sessi era di 7,8 anni a favore delle donne nel 1979, ma nel 2002 essa scesa a 5,4 anni. Allaumento della speranza di vita hanno contribuito sia la possibilit che hanno 5

avuto le popolazioni di soddisfare i propri fabbisogni nutrizionali, che il miglioramento imponente verificatosi nelle condizioni igieniche e i notevoli progressi della medicina. LA MORTALIT INFANTILE (vedi Appendice I) la mortalit che colpisce i bambini tra la nascita e il primo compleanno ed imputabile a due tipi di cause: quelle endogene, legate alla gravidanza, al parto e ai difetti congeniti del bambino; e quelle esogene, dipendenti dalle malattie infettive, dalle condizioni igienico-sanitarie inidonee e dalla scarsa alimentazione. Le prime cause determinano la morte dei bambini nei primi giorni o nelle prime settimane di vita e sono quelle che ancora oggi fanno registrare circa 10 decessi ogni 1.000 bambini nati nei paesi sviluppati. Per contro, negli altri paesi si arriva mediamente a 8 bambini su 100 che non raggiungono il primo compleanno. La mortalit infantile ha condizionato pesantemente lo sviluppo demografico dellItalia fino alla transizione demografica, tanto che ancora allinizio del XIX secolo ben il 25% dei nati moriva nel corso del primo anno di vita e non pi del 50% arrivava alla pubert. Ecco perch livelli anche elevati di fecondit non riuscivano a garantire che una crescita decisamente modesta della popolazione. La mortalit infantile si ottiene rapportando il numero dei bambini morti entro il primo anno di vita e relativamente allunit di tempo considerata, generalmente un anno, al numero dei bambini nati vivi nello stesso anno, moltiplicato per 1.000. Il tasso di mortalit infantile un parametro molto importante in quanto costituisce un indicatore essenziale del livello di sviluppo di un paese in relazione alle sue caratteristiche sanitarie, sociali ed ambientali. Tasso di mortalit infantile (t)=[M0(t)/N(t)]x1.000 in cui: (t)=periodo di tempo considerato (un anno) M0(t)=bambini morti entro il primo compleanno nellanno considerato N(t)=bambini nati vivi nellanno considerato LA MORTALIT (vedi Appendice I) Lintensit con cui la morte colpisce le popolazioni realizza il principale fattore negativo del loro movimento naturale e losservazione delle sue cause rende conto dellazione della stessa selezione naturale: nel passato, nellattualit e nellavvenire. Tra i determinanti della mortalit si possono individuare quelli legati allambiente ecologico (dal clima alle infezioni parassitarie ed alimentari) e quelli socio-economici, culturali e politici; e c, infine, levento a cui facciamo comunemente riferimento con il termine morte per vecchiaia. Dal punto di vista demografico possibile dividere la nostra vita in due fasi: dal concepimento fino al primo anno di et e di cui il tasso di mortalit infantile rappresenta la stima dellevento morte e poi tutto il resto dellarco dellesistenza. Il tasso di mortalit definito dal rapporto tra il numero totale dei decessi nel periodo di tempo considerato e lammontare della popolazione media nello stesso periodo, moltiplicato per 1.000. 6

Tasso di mortalit (t)=[M(t)/Pmed(t)]x1.000 in cui: (t)=periodo di tempo considerato (un anno) M(t)=numero dei decessi nellanno t Pmed(t)=[P(1.1.t)+P(31.12.t)]/2 La popolazione media data dalla media tra la popolazione presente al 1 gennaio dellanno (t) e la popolazione presente al 31 dicembre dello stesso anno. IL TASSO DI CRESCITA (vedi Appendice I) Misura la percentuale di cui una popolazione aumenta o diminuisce la sua numerosit in un periodo di tempo definito, generalmente un anno. Attualmente, la popolazione dei paesi sviluppati si accresce con un tasso annuo di circa 0,25%, mentre i paesi in via di sviluppo crescono sei volte di pi. Dato il basso tasso di fecondit che si osserva in Italia, si prevede che la popolazione totale possa scendere nei prossimi 50 anni di circa il 20%.

4. LA NUMEROSIT DELLA POPOLAZIONE


La specie Homo sapiens si originata in Africa circa 150.000 anni fa e nel corso della sua storia ha attraversato tre fasi principali di espansione demografica. Al momento della migrazione verso lEurasia, iniziata attorno a 100.000 anni fa, il genere umano doveva contare circa 50.000 persone e da allora ha preso lavvio la prima fase espansiva. E nel suo corso, che durato fino allavvento delle pratiche agricole (nella mezzaluna fertile lagricoltura stata inventata circa 11.000 anni fa; Tabella 2), la numerosit della popolazione salita a circa 5 milioni di persone. Successivamente, e fino alla rivoluzione industriale che iniziata in Inghilterra verso la fine del secolo XVIII, si realizzata la seconda fase di espansione demografica, che ha fatto salire la numerosit della popolazione del mondo a circa 800-900 milioni di persone. Noi oggi stiamo vivendo la terza fase di espansione demografica, che in soli due secoli ha portato la popolazione dellintero globo a superare i 6 miliardi di persone e che, secondo le previsioni dellONU, dovrebbe farla aumentare ancora nei prossimi decenni, fino a raggiungere la cifra di circa 9 miliardi di persone nel 2050 (Tabella 3). Tabella 2. Sviluppo dellagricoltura Area geografica Periodo Mezzaluna fertile 11.000 a.fa Bacini dello Yangzi e del Fiume giallo 9.000 a.fa Nuova Guinea 9.000-6.000 a.fa Africa sub-sahariana 5.000-4.000 a.fa Messico e America meridionale 5.000-4.000 a.fa America settentrionale 4.000-3.000 a.fa

La fase di espansione demografica in corso avanzata assai pi rapidamente di quanto non fosse avvenuto con le due che lhanno preceduta e nel 2050 dovrebbe registrare un incremento della popolazione totale del pianete di ben dieci volte maggiore rispetto a quella dellet pre-industriale e di poco meno del doppio rispetto allinizio del terzo millennio. E un simile evento si tradurr nella necessit di dover raddoppiare da oggi ad allora la capacit portante della Terra, in modo da garantire la sopravvivenza di un numero cos elevato di persone. Ma fino a che punto potremo spingerci e fino a che punto lumanit potr crescere? Nonostante lenorme sviluppo delle conoscenze scientifiche, non abbiamo ancora delle risposte soddisfacenti a questa domanda. Sappiamo, invece, perch nel corso degli ultimi due secoli lincremento demografico ha subito un cambiamento tanto radicale: le cause vanno ricercate soprattutto nel miglioramento delle condizioni nutrizionali e igienico-sanitarie che sono state realizzate nei paesi industrializzati e che poi si sono diffuse, almeno in parte, anche in altri paesi. Leccezione a questa tendenza rappresentata dallAfrica, dove il rischio della malnutrizione e delle malattie assai alto e dove lorganizzazione sociale e politica espone le popolazioni ad un alto pericolo di morte. Tabella 3. Sviluppo demografico della popolazione mondiale Periodo Popolazione Note (in milioni) 150.000 a.C. 0,05 Origine dellHomo sapiens 10.000 a.C. 5 Invenzione dellagricoltura nel Neolitico 4.000 a.C. 15 500 a.C. 153 0 252 Nascita di Cristo 500 207 1000 253 1340 442 Peste nera 1500 461 1600 578 1700 771 1800 900 1900 1.610 1950 2.504 2000 6.122 2025 8.205 2050 9.000 Previsione ONU La popolazione mondiale non stata e non omogeneamente distribuita nelle varie aree geografiche del mondo. Dal Cinquecento ad oggi, lAsia stata il continente che ha assorbito oltre la met dellintera popolazione mondiale, con una fluttuazione decisamente contenuta: dal 53% del 1500 al 66,2% del 1800. Anche lEuropa, abitata pi o meno da un quinto della popolazione mondiale, non ha subito forti fluttuazioni: dal 18,2% del 1500 al 25,8% del 1900; mentre nei 8

cinque secoli che sono passati dalla scoperta delle Americhe, avvenuta nel 1492, lAfrica ha visto addirittura dimezzare la sua popolazione (Tabella 4). Tabella 4. Evoluzione percentuale della popolazione per continente dal 1500 al 1950 Continente 1500 1600 1700 1800 1900 1950 Africa 18,9 19,6 13,5 10,7 8,4 8,8 America 9,2 2,2 2,3 2,5 10,1 13,2 Asia 53,0 58,5 64,9 66,2 55,3 54,7 Europa 18,2 19,2 18,9 20,4 25,8 22,8 Oceania 0,7 0,5 0,4 0,2 0,4 0,5 In Europa, dal III al VII secolo d.C. la popolazione diminuita da 44 a 22 milioni di persone a causa delle guerre legate alle invasioni barbariche ed alla peste del 541-544 d.C. Inoltre, la peste del 1348, cio la morte nera, ha elevato il tasso di mortalit di oltre dieci volte, uccidendo 25 milioni di persone in soli due anni. Oltre oceano, la conquista europea delle Americhe si tradotta in un genocidio della popolazione nativa, che passata nel nord da 5 milioni a 600 mila individui dal 1500 al 1900, mentre in Messico la popolazione nativa scesa di oltre 5 milioni di persone dal 1548 al 1605.

5. LA TRANSIZIONE DEMOGRAFICA
Il concetto di transizione demografica identifica il passaggio demografico, o successione di fase, che caratterizza la storia di tutte le popolazioni coinvolte nel cammino verso la modernit. In particolare, si tratta di una transizione da un equilibrio a crescita nulla o ridotta, legato ad alti tassi di fecondit e mortalit, ad un altro equilibrio sempre a crescita nulla o ridotta, ma in questo caso legato a bassi tassi di fecondit e mortalit. E i due equilibri sono anche indicati come equilibrio pre-transizione ed equilibrio post-transizione. Lintera storia della vita di una popolazione pu essere divisa in tre periodi temporali: nel primo sia la natalit che la mortalit sono elevate, ma la natalit leggermente pi alta e cos la numerosit della popolazione si mantiene costante o cresce leggermente; nel secondo i due fenomeni demografici decrescono entrambi, ma la mortalit scende molto rapidamente mentre la natalit tende ad abbassarsi pi lentamente nel tempo e cos la popolazione va incontro ad un accrescimento decisamente rapido, entrando nella fase della transizione demografica; nel terzo sia la natalit che la mortalit sono mantenute a tassi molto modesti e la popolazione pu rimanere pi o meno stabile per un certo tempo, ma finir poi per scivolare lungo una condizione di declino. In molti paesi europei, la mortalit ha iniziato a diminuire con lavvento del secolo XIX, soprattutto grazie ai progressi effettuati in campo agricolo; ed ha poi continuato nella sua discesa per merito dei miglioramenti che hanno interessato la medicina: a partire dagli studi di Louis Pasteur (1822-1895), indirizzati al9

la ricerca biomedica per la cura delle malattie mediante i prodotti chimici, e fino allavvento degli antibiotici, realizzatosi nellarco temporale che va dal 1928, quando fu scoperta la penicillina, ai primi anni dopo la Seconda Guerra Mondiale. La natalit, per contro, ha iniziato ad abbassarsi in modo rilevante solo a partire dalla met dellOttocento ed stato proprio questo scarto che ha determinato la transizione nelle nostre popolazioni. La transizione demografica sembra essere associata soprattutto con lo sviluppo economico: infatti vi sono oggi notevoli differenze demografiche tra i paesi sviluppati e i paesi in via di sviluppo. Nei primi ligiene e la medicina sono state efficaci nel ridurre le cause di morte postnatale e quindi nellallungare la vita media alla nascita1. I paesi sviluppati, tuttavia, non sono stati affatto altrettanto efficaci nel controllo delle cause di morte prenatale: prevalentemente verso gli aborti spontanei. E infatti, mentre la mortalit nei periodi preriproduttivo (da 0 a 14 anni per le donne e da 0 a 20 anni per gli uomini) e riproduttivo si attesta nei paesi sviluppati a circa il 3% e il 6% e sale nei paesi in via di sviluppo a circa il 30% e il 20%, quella prenatale raggiunge circa il 20% in entrambi i blocchi di paesi. La transizione demografica nei paesi europei stata di lunga durata, circa due secoli, ed ha fatto crescere la popolazione ad un tasso del 2% per anno; nei paesi in via di sviluppo, invece, il fenomeno si realizza il tempi molto pi brevi, ma ad un tasso superiore, che va dal 2% al 4% per anno.

6. LA PARENTELA
Gli allevatori di bestiame ma ci vale anche per le piante accoppiano parenti molto stretti per ottenere individui con particolari caratteristiche. Questo tipo di accoppiamento prende il nome di inincrocio e gli individui che da esso si originano costituiscono quelle che si chiamano linee pure o inincrociate. Nelluomo, per motivi culturali e sociali, i matrimoni tra parenti stretti sono molto ridotti, anche se non completamente interdetti, e tra quelli in genere ammessi ci sono gli accoppiamenti tra zio/a e nipote e tra cugini. Leffetto genetico dellinincrocio consiste nellaumento della frequenza degli omozigoti e, di conseguenza, nella possibilit che si manifestino i fenotipi relativi a geni recessivi rari. Poich molti di questi geni sono dannosi, nella popolazione aumenta quella parte della variabilit che determina patologie anche gravi e che in condizioni di accoppiamento casuale rimane nascosta. Popolazioni geograficamente o socialmente isolate possono essere caratterizzate da alte frequenze di matrimoni tra parenti, tanto da essere definite isolati genetici, e quando i componenti di tali comunit, per emigrazione o immiBodmer W.F. & Cavalli Sforza L.L. Genetica, eveluzione, uomo, vol. II, Genetica di popolazione e genetica biometrica. Mondadori, Milano, 1977, p. 49.
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grazione, iniziano a contrarre matrimoni con membri di altre comunit si verifica il fenomeno chiamato rottura degli isolati. Quando si tratta questo argomento, la parentela che viene considerata quella di sangue e non quella acquisita attraverso il matrimonio, ovvero laffinit; e pertanto pi appropriato parlare di consanguineit (inbreeding) che non di parentela e quindi di accoppiamento consanguineo, che coinvolge due individui che hanno almeno un antenato in comune. Questi individui sono geneticamente pi simili, rispetto ad altri presi a caso dalla popolazione, perch possono avere, con una probabilit ben definita e che corrisponde al grado di consanguineit, alleli uguali che sono copie di quelli dellantenato comune: cio, essi possiedono alleli uguali per discesa (e sono detti autozigoti). La somiglianza genetica tra due individui, X ed Y, misurata dal coefficiente di consanguineit F ed esprime: la probabilit che due alleli estratti a caso dallo stesso gene in due individui siano uguali per discesa. Il coefficiente di consanguineit tra due individui fornisce anche: la probabilit che ha lindividuo nato dai due di essere omozigote in un gene per due alleli uguali per discesa. Quando due alleli sono uguali ma non derivano da un antenato comune o meglio non derivano da un antenato comune identificabile, perch molto lontano nel tempo, o derivano da mutazioni identiche si parla di alleli uguali in stato ed in questo caso lindividuo detto allozigote. Due alleli possono essere uguali in stato ed anche per discesa se si trovano in uno stesso individuo omozigote e possono essere uguali per discesa e non in stato se sono copie dello stesso allele che si trovano in individui diversi (vedi Appendice II, Figure 1 e 2). In Appendice III sono riportati gli alberi genealogici dei matrimoni consanguinei pi comuni e per i quali si calcola usualmente il valore F della consanguineit. Consideriamo, a titolo esemplificativo, il caso relativo alla progenie del matrimonio zio/a-nipote. I genitori A e B hanno per un certo gene due alleli ciascuno, a/b e c/d, e affinch I possa essere omozigote per lallele a necessario che A lo trasmetta sia ad X che ad Y, cio ad entrambi i genitori di I. Ora, la probabilit che A lo trasmetta ad X pari ad 1/2 ed ancora pari ad 1/2 la probabilit che X lo trasmetta ad I. Inoltre, pari ad 1/2 la probabilit che A lo trasmetta a C, ancora 1/2 la probabilit che C lo trasmetta ad Y ed infine 1/2 la probabilit che Y lo trasmetta ad I. Quindi, la probabilit che I sia omozigote per discesa per lallele a uguale al prodotto delle singole probabilit: 1/2x1/2x1/2x1/2x1/2=1/32 e il valore di F, cio la probabilit totale e quindi relativa ai quattro alleli, :

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F=4x1/32=1/8 Seguendo lo stesso metodo si pu calcolare il valore di F per gli altri tipi di accoppiamenti consanguinei e per la progenie dei matrimoni tra cugini primi si ha: F=4x1/2x1/2x1/2x1/2x1/2x1/2=1/16 ed pari ad 1/64 il valore di F per la progenie dei matrimoni tra cugini secondi. Altri due tipi comuni di matrimoni consanguinei sono quelli detti cugini primi e 1/2 e cugini secondi e 1/2, per i quali il valore del coefficiente di consanguineit risulta essere 1/32 ed 1/128. Come si vede, ad ogni passaggio di generazione si dimezza la probabilit che entrambi i coniugi possiedano lallele ancestrale, ovvero che il figlio sia omozigote per discesa per quellallele. Tabella 5. Valori dei coefficienti di consanguineit F in varie parentele Tipo di accoppiamento Valore di F Grado di parentela secondo il codice canonico zio/a-nipote 1/8 I in II cugini primi 1/16 II cugini primi e 1/2 1/32 II in III cugini secondi 1/64 III cugini secondi e 1/2 1/128 III in IV cugini terzi 1/256 IV cugini terzi e 1/2 1/512 IV in V cugini quarti 1/1.024 V La misura del livello di consanguineit per una popolazione, a , corrisponde alla media dei coefficienti dei suoi membri: a =S piFi in cui: pi la frequenza degli individui consanguinei ed Fi il rispettivo coefficiente di consanguineit e si calcola sui valori di F dei matrimoni contratti dai componenti della popolazione. Per esempio, se consideriamo una popolazione formata da 100 coppie, delle quali 2 sono di zii-nipoti, 5 di cugini primi e tre di cugini secondi, il valore totale della consanguineit nella popolazione : a =2/100x1/8+5/100x1/16+3/100x1/64=0,0025+0,0031+0,0005=0,0061 In generale, nelle grandi popolazioni il valore di a al disotto dell1 e raggiunge valori superiori all1% solo in alcuni isolati. 12

7. I COGNOMI IN BIODEMOGRAFIA
I cognomi si sono affermati in molte societ in quanto hanno risolto in maniera estremamente efficace il problema sociale dellidentificazione delle persone. E sebbene la loro origine sia abiologica, derivando dalla professione, dai tratti somatici, dalla toponomastica geografica, dal patronimico e da altro ancora, la struttura della loro trasmissione alle generazioni successive legata al comportamento riproduttivo degli individui, proprio come avviene per i geni. I cognomi, cio, sono trasmessi ereditariamente ed identificano delle relazioni genetiche. Luso dei cognomi per stimare la proporzione di matrimoni tra cugini primi e per valutare gli effetti biologici della consanguineit fu introdotto nel 1875 da George Darwin2, figlio del famoso naturalista Charles. Linteresse di Darwin per la consanguineit era dovuto al fatto che il padre e la madre, appartenente alla famosa famiglia di produttori di ceramiche Wedgwood, erano cugini primi. Egli suppose che il matrimonio tra persone con lo stesso cognome, che non fossero cugini primi, dovesse essere proporzionale alla frequenza di quel cognome nella popolazione e, pertanto, quel tipo di matrimonio poteva essere frequente solo per cognomi comuni. Darwin calcol la frequenza dei 50 cognomi pi comuni negli atti relativi ai matrimoni pubblicati in Inghilterra nel 1853 e dalla somma dei quadrati di quelle frequenze stim che i matrimoni isonimici attesi tra persone non imparentate dovevano essere circa luno per mille. Leccesso osservato di matrimoni tra persone con lo stesso cognome doveva essere causato, quindi, dalle unioni tra parenti e Darwin utilizz quel valore per stimare la percentuale dei matrimoni tra cugini primi nella popolazione Inglese, che risult essere pari a circa 4,5% nell'aristocrazia, 3,5% nella borghesia, 2,5% nella popolazione rurare e 2% nella popolazione urbana. Lidea di utilizzare i cognomi in biologia umana fu ignorata per circa trenta anni. Infatti, solo nel 1908 Arner3 riprese il metodo di Darwin per stimare la frequenza dei matrimoni tra cugini primi a New York, nel XVIII secolo, e nella contea di Ashtabula nell'Ohio, nel XIX secolo. Le frequenze che Arner calcol risultarono pari a circa 3% ed 1% rispettivamente nelle due popolazioni. Ma anche questo secondo studio fu ignorato. Nel 1960 largomento fu riproposto per la terza volta da Shaw4 che, senza fare cenno ai lavori di Darwin e Arner, fece notare come luso regolare di due cognomi, quello del padre e quello della madre del padre (questo secondo cognome viene cambiato ad ogni generazione), nelle
Darwin G.H. Marriages between first cousins in England and their effects. Journal of the Statistical Society, vol. 38, pp. 153-184, 1875. 3 Arner G.B.L. Consanguineous marriages in the American population. Columbia University Studies in History, Economics and Public Law (XXXI) 3. Longman Green & Co., New York, 1908. 4 Shaw R.F. An index of consanguinity based in the use of the surname in Spanish speaking countries. Journal of Heredity, vol. 51, pp. 221-230, 1960.
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nazioni di cultura spagnola poteva fornire lopportunit per calcolare il grado di consanguineit in queste popolazioni. Infatti, lidentit dei due cognomi in un individuo rivelerebbe un matrimonio isonimico, e quindi consanguineo, nei nonni paterni. Finalmente, a partire dal 1965 i cognomi sono diventati di uso comune nello studio della struttura genetica delle popolazioni umane. In quellanno, infatti, Crow e Mange5 pubblicarono un lavoro, ormai diventato classico, in cui era riportato il modello matematico per la stima della consanguineit a partire dai cognomi. I due autori utilizzarono lisonimia matrimoniale (Im, marital isonymy), cio il numero di coppie di coniugi in cui entrambi i partner hanno lo stesso cognome, per stimare la frequenza dei matrimoni consanguinei, che sono una misura diretta del livello di consanguineit di una popolazione. Essi definirono la consanguineit totale, Ft, stimata a partire dalla isonimia matrimoniale, e le sue componenti casuale (random), Fr, e non-casuale (non-random), Fn, seguendo il modello gerarchico che Sewall Wright6 aveva utilizzato per descrivere leffetto della suddivisione di una popolazione in entit discrete: cio la deviazione dallaccoppiamento casuale (random mating). In quel modello Wright aveva definito FIT (individui-totale) il valore totale della consanguineit e FST (suddivisioni-totale) e FIS (individui-suddivisioni) le sue componenti. Pertanto, i coefficienti di consanguineit dei due modelli sono collegati nelle seguenti relazioni: Ft=FIT Fr=FST Fn=FIS Alti valori di Fr indicano che nella popolazione sono presenti pochi cognomi diversi ed il contrario si osserva quando Fr si attesta su bassi valori. Esattamente come avviene per i geni, leffetto della deriva sui cognomi proporzionale al tempo e bassi valori di Fr sono legati anche ad immigrazione recente. Il cognome ereditato per linea paterna e si comporta, quindi, come un gene legato al cromosoma Y con migliaia di alleli, ma che si esprime sia nei figli maschi che nelle figlie femmine. Per questa ragione si deve assumere che, per ogni livello di relazione di parentela, la linea paterna sia rappresentativa anche della linea materna. E altre due assunzioni sono indispensabili: 1. i cognomi sono monofiletici e condividere il cognome significa condividere lantenato dal quale esso deriva; 2. i due sessi sono ugualmente rappresentati nei migranti7. Isonimia vuol dire semplicemente possedere lo stesso cognome e la sua proporzione nella popolazione (isonimia intrapopolazione) non altro che la
Crow J.F. & Mange A.P. Measurement of inbreeding from the frequency of marriages between persons of the same surname. Eugenics Quarterly, vol. 12, pp. 199-203, 1965; Crow J.F. The estimation of inbreeding from isonymy. Human Biology, vol. 52, pp. 1-14, 1980. 6 Wright S. Coefficients of inbreeding and relationship. American Naturalist, vol. 56, pp. 330338, 1922. 7 Lasker G.W. Surnames and genetic structure. Cambridge University Press, Cambridge, 1985.
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frequenza di coppie in cui entrambi i coniugi hanno lo stesso cognome. Lisonimia pu essere stimata anche tra popolazioni diverse (isonimia interpopolazione) ed in questo caso si considera la frequenza dei cognomi condivisi dalle popolazioni. Crow dimostr, nel lavoro scritto con Mange, che moltiplicando linverso della probabilit che entrambi i componenti di una relazione consanguinea abbiano lo stesso cognome per il valore della consanguineit di quella relazione si ottiene la costante 1/4: il che significa che il tasso di consanguineit in una popolazione pari ad 1/4 il valore della frequenza dei matrimoni tra persone dello stesso cognome, cio F=I/4 In una coppia fratello-sorella (vedi Appendice IV, Figura 1) i due partner hanno sempre lo stesso cognome (pobabilit=1) e la progenie ha un coefficiente di consanguineit pari ad 1/4, pertanto: 1x1/4=1/4; una coppia zio/a-nipote (vedi Appendice IV, Figure 2a, 2b, 3a e 3b) ha una probabilit pari ad 1/2 di condividere lo stesso cognome e la progenie ha un coefficiente di consanguineit pari ad 1/8, anche in questo caso: 2x1/8=1/4; una coppia di cugini primi (vedi Appendice IV, Figure 4a, 4b, 4c e 4d) condivide lo stesso cognome una volta su quattro ed il suo coefficiente di consanguineit pari ad 1/16 ed anche per questa relazione consanguinea si ottiene: 4x1/16=1/4. La stessa regola vale per le altre relazioni consanguinee. Di seguito sono riportate le formule per il calcolo della consanguineit basato sullisonimia matrimoniale (vedi Appendice V): Im=S Sii/N in cui: Sii indica il numero di coppie con lo stesso cognome ed N il numero totale di coppie Fr=S Si1Si2/4S Si1S Si2 in cui: Si1 ed Si2 indicano il numero di volte che liesimo cognome presente nelle due liste dei coniugi, maschi e femmine, ed S Si1 ed S Si2 i due totali, cio N1 ed N2 Fn=(Im-S Si1Si2/S Si1S Si2)/4(1-S Si1Si2/S Si1S Si2) Ft=Fr(1-Fn)+Fn Analogamente a quanto detto per la consanguineit, F, anche lisonimia generale, I, pu essere scomposta in due componenti: Ir, o isonimia casuale, ed In, o isonimia non-casuale. E la frazione casuale stimata dalla probabilit che, allinterno di una popolazione, coppie casuali di cognomi siano uguali. Nel caso 15

in cui le frequenze dei cognomi siano uguali nei due sessi risulter: Ir=S pi2 in cui: pi la frequenza delliesimo cognome Se invece le frequenze dei cognomi sono diverse nei maschi e nelle femmine, allora la formula assumer la forma: Ir=S piqi=S Si1Si2/S Si1S Si2 in cui: pi la frequenza delliesimo cognome nei maschi e qi la frequenza delliesimo cognome nelle femmine La componente casuale del coefficiente di consanguineit, Fr, stima i cognomi condivisi dai mariti e dalle mogli allinterno di una stessa comunit, ma il medesimo ragionamento pu essere utilizzato per analizzare le relazioni genetiche tra popolazioni diverse. In questo caso, per, necessario definire una nuova costante che leghi lisonimia ai geni condivisi da due individui. Cio, che metta in relazione la proporzione di geni condivisi dai partner degli accoppiamenti consanguinei pi comuni con la proporzione di casi di isonimia presenti nelle stesse relazioni. In particolare, i due membri di una relazione zio/a-nipote condividono 4 alleli su 16 (1/4) ed il valore dellisonimia, I, pari ad 1/2 e cos se si moltiplica I per 1/2 si ottiene appunto la quota degli alleli condivisi; analogamente, due cugini primi condividono 2 alleli su 16 (1/8) e lisonimia vale 1/4 ed anche in questo caso moltiplicando I per 1/2 si ottiene la frazione di geni condivisi. Un mezzo, dunque, la costante che mette in relazione la genetica con lisonimia (vedi Appendice VI) e la formula per analizzare le relazioni tra le popolazioni : Ri=S Si1Si2/2S Si1S Si2

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APPENDICE I DISTRIBUZIONE MONDIALE DI ALCUNI PARAMETRI DEMOGRAFICI (www.globalgeografia.com)

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APPENDICE II ALLELI UGUALI PER DISCESA E IN STATO (il quadrato indica il maschio e il cerchio la femmina; il rombo indica un individuo del quale non interessa il sesso)

Figura 1. Nellindividuo omozigote I i due alleli a sono uguali in stato e per discesa, essendo stati ereditati entrambi dallantenato A

Figura 2. Negli individui C e D ci sono due alleli a uguali per discesa ma non in stato

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APPENDICE III ALBERI GENEALOGICI

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APPENDICE IV INCIDENZA DELLA ISONIMIA NEI MATRIMONI CONSANGUINEI

Figura 1. Fratello-sorella maschio femmina ROSSO

maschio ROSSO

femmina ROSSO

maschio ROSSO

Figura 2a. Zio-nipote femmina

maschio ROSSO

maschio ROSSO

femmina

femmina ROSSO

maschio ROSSO

Figura 2b. Zio-nipote femmina

maschio ROSSO

femmina ROSSO

maschio

femmina

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maschio ROSSO

Figura 3a. Zia-nipote femmina

femmina ROSSO

maschio ROSSO

femmina

maschio ROSSO

maschio ROSSO

Figura 3b. Zia-nipote femmina

femmina ROSSO

femmina ROSSO

maschio

maschio

Figura 4a. Cugini-primi maschio femmina ROSSO

femmina

maschio ROSSO

maschio ROSSO

femmina

maschio ROSSO

femmina ROSSO

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Figura 4b. Cugini-primi maschio femmina ROSSO

femmina

maschio ROSSO

femmina

maschio

maschio ROSSO

femmina

Figura 4c. Cugini-primi maschio femmina ROSSO

maschio

femmina ROSSO

maschio ROSSO

femmina

maschio

femmina ROSSO

Figura 4d. Cugini-primi maschio femmina ROSSO

maschio

femmina ROSSO

femmina ROSSO

maschio

maschio

femmina

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APPENDICE V ESEMPIO DI CALCOLO DELLISONIMIA E DELLA CONSANGUINEIT (formule)

Im=Sii/N in cui Sii indica il numero di coppie con lo stesso cognome ed N il numero totale di coppie Im=3/40=0,0750

Si1Si2/N1N2=Ir=21/1600=0,0131 in cui Si1 ed Si2 indicano il numero di volte che liesimo cognome presente nelle due liste ed N1 (Si1) ed N2 (Si2) i due totali Fr=Si1Si2/4Si1Si2 Fr=21/4x1600=21/6400=0,0033 Fn=(Im-Si1Si2/Si1Si2)/4(1-Si1Si2/Si1Si2) Fn=(0,0750-0,0131)/4(1-0,0131)=0,0619/3,9476=0,0157 Ft=Fr(1-Fn)+Fn=0,0033(1-0,0157)+0,0157=0,0189

Im [(1 De Santis x De Santis)+(1 Papiccio x Papiccio)+(1 Giorgetta x Giorgetta)]/40= =3/40=0,075

Si1Si2/Si1Si2=Ir [(1 Clissa x 1 Clissa)+(2 Cocciolillo x 1 Cocciolillo)+(2 De Santis x 1 De Santis)+(3 Giorgetta x 4 Giorgetta)+(1 Papiccio x 1 Papiccio)+(1 Piccoli x 1 Piccoli)+(2 Romagnoli x 1 Romagnoli)]/(40x40)= =[(1x1)+(2x1)+(2x1)+(3x4)+(1x1)+(1x1)+(2x1)]/(40x40)=21/1600=0,0131

Ri=Si1Si2/2Si1Si2

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1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40

Tabella 1. Elenco dei cognomi di 40 coppie ZARA TANCREDA PETRELLA STANISCIA LISCIA TANCREDA DI CROCE DI FLORO COCCIOLILLO IORIO LAURENZO PETTA MASCIOTTA GLIOSCA GRECO MARINO IANIERI CLISSA GIORGETTA VILLACI CAPRI MANSO LISCIA MASTRANGELO DI LENA QUAGLIA ROBERTO FERRANTE DI CROCE DESIATO DE SANTIS GIORGETTA VETTA BUCCHIANICO DE SANTIS DE SANTIS SURIANI COLELLA GALLO GABRIELE D'AMBROSIO PICCOLI BARTOLINO CIANFAGNA ZARA FIORE LAURENZO PETTA OTTAVIANO GIORGETTA MENNA LALLI DANIELE STANISCIA COCCIOLILLO BARISANO PAPICCIO PAPICCIO BARTOLINO ROMAGNOLI PETRELLA STANISCIA GIORGETTA PETTA DANIELE STANISCIA CLISSA PALUMBO DI CROCE MARINO GIORGETTA GIORGETTA PICCOLI COCCIOLILLO ROMAGNOLI GIORGETTA MICHILLI PETTA ROMAGNOLI CISTRIANI

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1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40

Tabella 2. Elenco ordinato alfabeticamente sui due cognomi BARTOLINO BARISANO BARTOLINO BUCCHIANICO CAPRI CIANFAGNA CLISSA CISTRIANI COCCIOLILLO CLISSA COCCIOLILLO COCCIOLILLO D'AMBROSIO COLELLA DANIELE DE SANTIS DANIELE DESIATO DE SANTIS DI FLORO DE SANTIS FERRANTE DI CROCE FIORE DI CROCE GABRIELE DI CROCE GIORGETTA DI LENA GIORGETTA GALLO GIORGETTA GIORGETTA GIORGETTA GIORGETTA GLIOSCA GIORGETTA IORIO GRECO LALLI IANIERI MANSO LAURENZO MARINO LAURENZO MARINO LISCIA MASTRANGELO LISCIA PALUMBO MASCIOTTA PAPICCIO MENNA PETTA MICHILLI PETTA OTTAVIANO PETTA PAPICCIO PETTA PETRELLA PICCOLI PETRELLA QUAGLIA PICCOLI ROMAGNOLI ROBERTO STANISCIA ROMAGNOLI STANISCIA ROMAGNOLI STANISCIA SURIANI STANISCIA VETTA TANCREDA ZARA TANCREDA ZARA VILLACI

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APPENDICE VI ALLELI CONDIVISI

RELAZIONE ZIO-NIPOTE

A livello XC X, con genotipo a/c C, con genotipo a/d, si accoppia con un individuo di genotipo n/m A livello XY sono possibili i genotipi a/c a/n a/c a/m a/c d/n a/c d/m quindi 4 su 16 alleli (1/4) sono condivisi nella relazione tra zio e nipote ed I vale 1/2; se si moltiplica I per 1/2 si ottiene appunto la frazione di alleli condivisi: 1/2x1/2=1/4. Il risultato identico se si usano gli altri genotipi possibili: b/c e b/d.

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RELAZIONE CUGINI PRIMI

A livello CD C, con genotipo a/c, si accoppia con un individuo di genotipo j/k D, con genotipo a/d, si accoppia con un individuo di genotipo v/w A livello XY sono possibili i genotipi j/a a/v j/c a/w k/a d/v k/c d/w quindi 2 su 16 alleli (1/8) sono condivisi nella relazione tra cugini primi ed I vale 1/4; se si moltiplica I per 1/2 si ottiene appunto la frazione di alleli condivisi: 1/4x1/2=1/8. Il risultato identico se si usano gli altri genotipi possibili: b/c e b/d.

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