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"Il cibo flessibile"- M.

Franchi
Sociologia Delle Organizzazioni
Università di Torino (UNITO)
25 pag.

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Introduzione
Le principali questioni su cui si concentra il dibattito attuale sull’alimentazione sono:
l’aumento dei prezzi delle materie prime, i drammi dell’obesità, le contraffazioni alimentari,
i rischi e le paure del cibo globale.
Il cibo diventa oggetto di interrogazione: l’importanza dell’alimentazione cresce insieme
all’attenzione verso il corpo e la salute, il cibo sembra assumere il carattere magico di sostanza
risanatrice, di via personale di controllo delle proprie condizioni di vita. Il tema del cibo è
immediatamente ricondotto al tema della salute; il cibo diventa così qualcosa di
profondamente intimo e collettivo, di individuale e sociale allo stesso tempo.
Con il cambiamento dei valori del cibo, le aziende sono alle prese con la sfida di leggere ed
interpretare le ambivalenze, coniugare i nuovi saperi con le tendenze sociali, inventare
prodotti e messaggi in grado di corrispondere alle nuove situazioni del cibo. Gli addetti
dell’industria alimentare sono 390.000 e possiamo dire che oggi il cibo è spettacolo (ES: i
grandi chef oggi sono famosi come se fossero attori).
Il cibo contemporaneo riassume i tratti di un’epoca: è flessibile, si adatta alle situazioni in cui
è consumato ed è segnato da contraddizioni in quanto è fonte di piacere ed è occasione di
ansia e frustrazione allo stesso tempo.
I consumi del cibo si intrecciano con le nostre strategie di vita, con le pratiche quotidiane e
con il sistema delle relazioni in cui siamo collocati. Il cibo entra nel nostro corpo, diventa
parte di ciò che siamo: è, per eccellenza, un bene di consumo incorporato.
Ha cessato di essere un fatto privato, gestito nella sfera domestica, simbolo della cura della
donna-madre nella famiglia, per divenire un fenomeno agito all’esterno della casa.
L’aumento delle famiglie nucleari, l’invecchiamento della società (che determina l’uso di un
cibo che deve essere più salutare) e la nuova etnicità (che comporta una diversificazione delle
cucine) il mondo culinario sta andando in contro, già da un po’, a dei cambiamenti.
Non tutto può essere spiegato in termini di gusto, termine che Bouridieu aveva già
considerato nella sua dimensione sociale e non meramente soggettiva; Marvin Harris si
spinge ad analizzare i tabù alimentari nel tentativo di spiegare in che modo la scelta di ciò che
è buono sia formalmente condizionata da fattori economici, religiosi e ambientali. Harris
ritiene che le scelte alimentari sono sempre determinate da un calcolo dei vantaggi e degli
svantaggi economici.
Sul versante opposto si collocano le analisi di Levi-Strauss, orientate sull’interpretazione del
ruolo simbolico del cibo come ponte tra natura e cultura. Il cibo ha la funzione di nutrimento
che però non si esaurisce nel mero piano materiale, ma si colora di profonde valenze affettive.
Il cibo, in tutte le culture, viene associato al dono, infatti è un segno di benvenuto: da sempre
lo scambio di doni alimentari accompagna le ricorrenze collettive.
Il concetto di cibo flessibile riassume i connotati del cibo nella società odierna e il carattere
chiave ed unificante delle tendenze che attraversano il nostro rapporto con l’alimentazione.
La flessibilità non descrive solo la capacità di adattamento alla pluralità delle nuove
situazioni, descrive soprattutto il nostro oscillare tra queste.

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Capitolo 1: “Una chiave di lettura delle ambivalenze”
La crescita dei consumi coincide con il miglioramento nelle condizioni di vita e con un
ampliamento degli spazi di libertà. I comportamenti alimentari sono divenuti un fenomeno
generalizzato. Lo spostamento verso l’etica del piacere spiega il punto assunto dal cibo, che
può essere considerato la più universale strategia di auto-gratificazione. Si assiste a
un’erotizzazione delle immagini del cibo, il cui intento è di associare il cibo ad emozioni
intense (ES: diffusione dei foodblogger).
Altra importante tendenza del consumo è la personalizzazione, la richiesta di cibo;
ultimamente i cuochi mescolano ricette e ingredienti che provengono da culture e Paesi
differenti e questo è il simbolo di un mondo etnico, infatti possiamo dire che i cibi simulano
una sorta di viaggio culturale che i consumatori si aspettano di compiere.
Le Breton sostiene che l’alimento è un oggetto sensoriale totale a significare il ruolo chiave
che detiene il senso del gusto.

Il rincaro dei prezzi alimentari interessa tutto il mondo e ha diverse cause: aumento dei prezzi
dei cereali ( il cui aumento ha conseguenze sull’intera catena alimentare), le politiche agricole,
le speculazioni finanziarie, l’uso dell’etanolo come carburante alternativo, i cambiamenti
climatici e la diminuzione delle scorte di cibo.
Il peso della quota di spesa dedicata ai consumi alimentari è in netto calo; si riduce la quota
di reddito relativo messo a disposizione per l’alimentazione, a fronte di una serie di spese
vincolate, per acquistare beni durevoli (ES: auto, mobili, elettrodomestici).
I consumi segnalano profonde disuguaglianze e la compresenza di situazioni di agiatezza e di
povertà. In Italia le difficoltà degli strati più deboli a seguito dell’aumento dei prezzi spiegano
la crescita del discount e dei marchi commerciali, fenomeni che rappresentano oggi una delle
più diffuse strategie di risparmio.
Contemporaneamente emerge il fenomeno degli sprechi (le famiglie italiane sono quelle che
sprecano di più in Europa) le ragioni sono dovute nella maggior parte dei casi all’eccesso di
acquisti (magari per offerte speciali) e a prodotti scaduti. Cambia anche la composizione dei
consumi alimentari degli italiani: crescono quelli dei prodotti salutisti, etnici, pronti e di lusso,
rimangono stabili quelli dei prodotti di base come pane, pasta e latte.
In una società prevalentemente agricola come quella dei primi Anni ‘50, vi era una diffusa
autosufficienza alimentare, ma l’introduzione di massa degli elettrodomestici ha contribuito
alla grande mutazione dei comportamenti. Le tecnologie più recenti (ES: dalle tecniche di
conservazione ai forni microonde) hanno accentuato ulteriormente la possibilità di una
gestione flessibile dei consumi domestici.

L’osservatore sul capitale sociale Demos-Coop ha individuato cinque gruppi di


consumatori:
1. Gruppo dei casalinghi—> che rappresenta esattamente 1/3 del totale ed è composto
da persone più anziane bassa scolarità e da casalinghe che vivono il cibo come routine
e non vanno a mangiare fuori;
2. Gruppo del fitness—> costituisce poco più di 1/5 del totale, è composto
prevalentemente da giovani orientati a tenersi in forma, mangiando prodotti biologici;
3. Gruppo fast food—> è composto da persone che lavorano e sono costrette a mangiare
fuori per la pausa pranzo;
4. Gruppo slow food—> si tratta del gruppo più raffinato costituito da giovani, istruiti
ed esigenti che praticano turismo enogastronomico e mangiano frequentemente
prodotti biologici;

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5. Gruppo dei militanti—> composto da consumatori impegnati e preoccupati per
l’insicurezza alimentare.
Il cibo è:
• un’importante occasione di socialità: quasi 2/3 degli italiani si recano a mangiare fuori
casa almeno una volta al mese e quasi 1/3 almeno una volta la settimana;
• un’attività del tempo libero che ha implicazioni economiche sempre più importanti
anche per il turismo;
• spettacolo: il 50% di noi ha seguito programmi televisivi dedicati alla cucina o al vino;
• valenza culturale: i cuochi e i gastronomi hanno acquisito lo status di intellettuali;
• Fonte di incertezza e di paura: la globalizzazione porta rischi di malattie che cambiano
rapidamente le abitudini alimentari (ES:morbo della mucca pazza, influenza aviaria).
Il dibattito sull’OGM (organismi geneticamente modificati) o sull’impatto ambientale
della produzione della carne conferma la rilevanza che le questioni alimentari vanno
assumendo nell’opinione pubblica.
Una serie di fenomeni emergenti nelle grandi città e che si propagano con estrema rapidità
segnalano l’emergere di un vissuto mobile che precede la traduzione in specifiche scelte di
consumo (ES: Negli USA chiamano flexitarian coloro che seguono un regime alimentare
flessibile e mescolano un regime vegetariano con hamburger e pizza).

In un’epoca di individualismo narcisistico, come la nostra, il corpo è materiale e ideale al


tempo stesso: materiale in quanto ricettore di sensazioni, ideale in quanto ingloba i riferimenti
a modelli esterni, dunque in questo senso è un corpo sociale. Il corpo è al contempo soggetto,
ossia centro di esperienza, e oggetto, vale a dire prodotto da costruire e manipolare.
Il corpo-prodotto convive con il corpo-vetrina. La spinta all’edonismo (concezione
filosofica che spinge a soddisfare i piaceri) propone una nuova funzione del corpo, che diviene
corpo-senso, esito e strumento della nuova centratura del soggetto su di sé. Le tendenze
all’estetizzazione della vita quotidiana altro non sono che l’espressione diretta di una ricerca
di gratificazioni e di risposte a quelle che vengono percepite come esigenze peculiari o
personali. Il corpo diviene una sorta di progetto personale, un prodotto da costruire; modelli
estetici di massa propongono l’immagine della magrezza e, di conseguenza, l’etica del
controllo. Il regime dietetico è un segnale di disciplina permanente verso noi stessi. Si assiste
a un’impennata delle spese sanitarie: l’ottimizzazione della salute non passa solo attraverso
le pratiche tecnico-scientifiche, ma ancora di più attraverso la sorveglianza a cui ognuno di
noi è deputato.

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Le situazioni del cibo riflettono la tensione tra solitudine/socialità, con il termine solitudine
non ci riferiamo ad una tendenza verso l’individualità che si esprime in alcuni fenomeni quali
la perdita di peso delle aggregazioni comunitarie e la scomposizione della vita sociale. Si
configura, così, una società mobile, permeata dall’etica del mutamento assunto come
orizzonte di valore e come criterio guida.
Il secondo asse, piacere/salute, descrive l’ambivalenza degli orientamenti in permanente
tensione tra tentazioni edonistiche e trasgressive e preoccupazioni per i potenziali effetti
nocivi di queste.
Gli assi individualità/socialità e piacere/salute ci consentono di collocare le complesse
tendenze che interessano il cibo; l’incrocio tra i due assi dà luogo a quattro tipologie e di
comportamenti alimentari che rappresentano altrettante aree che catalizzano le tendenze del
consumo:
1. Snackizzazione del cibo—> si colloca nell’intersezione tra l’orientamento al piacere
e l’individualizzazione degli stili di vita; situazioni in cui il cibo si consuma in
solitudine, in modo veloce. La snackizzazione implica l’essere permanentemente
sommersi in situazioni che non consentono pause;
2. Ritualizzazione—> scaturisce dall’intersezione tra tendenza al piacere e ricerca di
socialità. La pratica del mangiar fuori subisce un numero ampio e crescente di
declinazioni. Il cibo è importante soprattutto in quanto veicolo o pretesto di una
situazione sociale;
3. Medicalizzazione—> l’intersezione tra individualità e orientamento alla salute è
emblematicamente interpretata dal tema delle diete, dalla crescita dei cibi energetici e
degli integratori;
4. Eticizzazione del cibo—> l’incrocio tra dimensione della socialità e orientamento alla
salute trova espressione nelle preoccupazioni alimentari e dà luogo a una sorta di
etnicizzazione del cibo.

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Capitolo 2: “Frammenti di cibo”
Molti fenomeni sociali convergono nel produrre una crescente flessibilità del cibo. Il termine
flessibilità indica l’adattabilità, ma anche la pluralità delle situazioni a cui il cibo si
accompagna, la versatilità delle forme in cui esso si presenta. I consumi alimentari
rispecchiano i mutamenti e i caratteri di questa società, infatti il cibo è soggetto a un continuo
processo di adattamento per fenomeni strutturali, ambientali e culturali. La rapida capacità di
adattamento a contesti diversi è un tratto dell’élite nomade che, anche attraverso il cibo,
ostenta il proprio dominio dei vincoli spazio-temporali che sono, invece, propri della massa
dei localizzati, di coloro che compiono ogni giorno gesti identici.

La vendita delle verdure pronte ha superato quella delle verdure fresche (aumento del 23%
tra il 2008 e 2007). La tendenza all’uso di piatti pronti sembra aver raggiunto l’apice negli
USA, dove grazie ai cibi pronti, i supermercati americani triplicano i prezzi dell’insalata; tale
crescita di consumi è supportato anche dal miglioramento delle tecnologie di conversazione
e di packing.
Un altro esempio di cibo flessibile è il consumo del pane, acquistato in anticipo e utilizzato al
bisogno. Si assiste a una regressione del consumo di pane all’interno delle mura domestiche
e a un incremento dell’uso fuori casa. Ciò è dovuto al cambiamento delle abitudini, al grande
aumento dei single, alla diversa gestione degli orari di lavoro e del tempo libero; crescono,
invece, i prodotti etnici e regionali (ES: piadina, pane azzimo, pani kebab).

I single spendono molto di più di coloro che vivono in famiglia. Le ragioni sono correlate ad
economie di scala, ma soprattutto agli stili di vita e al fatto che i single ripiegano molto di più
su piatti confezionati, e si concedono spesso prodotti orientati all’auto-gratificazione, come
compensazione della solitudine. Per quanto riguarda i consumi, si segnalano in forte crescita
birra, caffè, ma anche frutta e ortaggi. I single, oltre a saltare i pasti, non tengono conto del
giusto apporto di calorie e non danno alcuna importanza alla regolarità degli orari. Gli effetti
possono essere malessere, continue variazioni di peso, carenza di vitamine e minerali. La
maggior parte dei single basa la propria alimentazione solo sull’esigenza di rimanere in forma,
abusa del fuori pasto, alterna periodi di diete rigide ad un eccessivo consumo di cibi grassi e
alcolici tra aperitivi e cene. I single tendono a compensare con attività fisica e palestra le
scorrette abitudini alimentari. Secondo una ricerca condotta dall’agenzia di incontri Speed
Date, è cresciuto l’interesse dei single alla partecipazione di eventi legati alla buona tavola:
nel sito dell’agenzia si trovano proposte di dinner date, per professionisti che non hanno
tempo per incontrare nuove persone normalmente. Anche l’apprendimento delle tecniche
della cucina può essere un’occasione d’incontro, come dimostra la crescita dei corsi di cucina
in tutte le città.
Tra coloro che vivono da soli ci sono anche gli anziani, la cui attenzione alla salute porterà
alla ricerca di nuovi prodotti.

Ai cibi tipici dell’intimità familiare si affiancano i cibi dei luoghi di ristorazione, di altri spazi
della vita (ES: distributori automatici nelle scuole e nei posti di lavoro). La destrutturazione
delle abitudini alimentari tradizionali si fonda su processi sociali come l’aumento del lavoro
femminile, la crescente difficoltà di spostamenti nelle aree urbane, la scarsa disponibilità di
tempo durante l’orario di lavoro inducono a consumare il pranzo fuori casa. L’atomizzazione
del consumo del pasto porta alla ricerca di soluzioni alternative rispetto a quelle tradizionali
ancora in uso nelle piccole città e in ambienti rurali. Fra i luoghi di consumo extra-domestici
ci sono i bar, ristorante/pizzeria, la mensa aziendale. Per la cena dominano ristoranti, trattorie,

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osterie, pizzerie. A pranzo, quasi 1/3 del campione dichiara di limitarsi a un panino, al
secondo posto il primo piatto, al terzo la pizza. Nessuno di questi supera il prezzo di 10 euro.
Gli snack sono diventati parte irrinunciabile dei regimi alimentari e talvolta sostitutivi del
pasto tradizionale. Il consumo di merendine è stato favorito dalla frammentazione dei pasti e
dallo stile di vita che porta sempre più persone fuori casa. Dagli Anni ‘90 tale mercato è in
continua crescita e la fascia principale dei consumatori è compresa tra i 14 e i 35 anni.
Oltre 1/3 degli italiani acquista abitualmente bevande e cibo presso le macchinette, fra i
prodotti più acquistati ci sono bevande fredde e acqua minerale ed uffici e ospedali sono
luoghi più gettonati. Nelle università sono stati inseriti alimenti dietetici, nelle scuole le
macchinette automatiche potrebbero trasformarsi in uno strumento di educazione alla sana
alimentazione orientando la domanda verso latte e frutta secca. I distributori automatici
diventano, inoltre, concorrenti principalmente dei bar, soprattutto per l’erogazione di caffè.

L’espressione cibo di strada si riferisce alla pratica culinaria basata su preparazione,


esposizione, consumo e vendita di prodotti alimentari in strade e mercati. Lo street food è una
pratica quotidiana, infatti almeno il 50% dei consumi in città è svolto presso venditori
ambulanti. Lo street food oggi è un fenomeno moderno, risponde alla de-sincronizzazione dei
tempi sociali, è legato alle esigenze di lavoro, all’incessante movimento notturno che
caratterizza la vita delle grandi città (NB: l’espressione “Food around the clock” esprime
efficacemente questo fenomeno). In questo contesto, si sviluppa anche il food design per
nuove confezioni.

L’etica del desiderio trova nel cibo un luogo di espressione perfetto: il desiderio di cibo si
rinnova rapidamente grazie al bisogno di nutrizione. Il rapporto con il cibo è segnato dal
binomio memoria-sorpresa: il ricordo di ciò che ha prodotto una sensazione piacevole
provato spinge alla ripetizione, il desiderio cerca sempre nuove strade per esprimersi e cerca
l’emozione nelle novità.
La moda del finger food esprime questo desiderio fuggevole e senza barriere. L’ultima
declinazione del finger food è rappresentata dalle bolle di sapore: biglie, perle, palline che
contengono aperitivi, dessert, condimenti, ma anche pietanze di carne.
Oggetto di desiderio non è più da tempo il cibo abbondante, ma il cibo raro: non quello che
riempie, ma quello che stuzzica. È evidente la lontananza dal passato, quando l’abbondanza
del cibo segnava di per sé una situazione di privilegio sociale. Soprattutto nel corso del 1900,
mangiare molto cessa di essere un privilegio: l’abitudine di mangiare molto, propria delle
classi alte si ridefinisce come pratica popolare del proletariato urbano e dei ceti contadini.

Il cibo si mescola con i luoghi di vendita di altri beni e servizi: sono sempre più frequenti
fenomeni di ibridazione ovvero luoghi in cui il cibo viene accostato alle più diverse attività
(ES: Eataly che fa sia da ristorante che da supermercato). Negli ultimi tempi si sono
moltiplicati anche i luoghi di ristorazione che propongono altre forme di intrattenimento o di
servizio (ES: ristoranti che svolgono attività culturale, altri con punti vendita di moda, altri
con mostre e proiezioni cinematografiche), il ristorante diventa, così, showfood, propone
spettacoli non convenzionali e tenta un coinvolgimento totale del cliente.
Da tempo ormai si è imposta la tendenza a coniugare shopping e ristorazione: molti negozi
hanno aperto il piano bar restaurant, dove si può mangiare a tutte le ore.
Anche gli oggetti rimandano al cibo: i sapori dei cibi sono evocati nei prodotti dedicati alla
cura del corpo (ES: sali da bagno al cioccolato).

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Gli aperitivi stimolano la creatività tanto in luoghi pubblici quanto in casa. La ricerca di
proposte sorprendenti è alla base di iniziative, per lo più di breve durata prima di una serata.
Uno studio prestato a Toronto sostiene che chi mangia davanti alla televisione assume il 44%
di cibo in più rispetto a quanto non farebbe a monitor spento. Il collegamento tra trash
televisivo e cibo spazzatura appare molto diretto (ES: immagini di bambini che divorano
merendine). Sette italiani su dieci si lasciano andare al cosiddetto junkfood che si basa sulla
propensione a mangiare deriva in parte all’esigenza di riequilibrare la passività indotta dalla
TV. In modo analogo si spiega l’aumento dei consumi di cioccolata: si tratta di un consumo
che ha spesso un valore consolatorio rispetto alle insoddisfazioni. Il cosiddetto craving, ossia
la voglia irrefrenabile che assomiglia a dipendenza, è un fenomeno in continua espansione
nei Paesi occidentali dove il consumo pro capire raggiunge circa i 7 kg all’anno.

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Capitolo 3: “I nuovi riti del mangiare”
La pratica del mangiare fuori è cresciuta per una serie di fattori: la crescita dei livelli di
benessere e per l’incremento delle spese per il tempo libero.
I luoghi in cui si consuma cibo sono prima di tutto spazi della socialità, dove prendono forma
i comportamenti di consumo, si creano i tratti distintivi di determinati gruppi che condividono
gusti e pratiche, la frequentazione di un luogo di ritrovo. Le aggregazioni danno vita ad
abitudini (ES: come quelle dell’aperitivo): i locali diventano punti di riferimento e di incontro.
Gli street bar sono diventati il simbolo di questo “andare per luoghi” in cui cibo, tempo,
socialità si legittimano reciprocamente. Negli street bar si sta in piedi, si mangia in piedi, la
provvisorietà segna l’apertura della situazione ad altri non previsti sviluppi. Non si decide a
priori, non si programma cosa fare, ci si incontra quasi per caso. Il fenomeno degli street bar
è relativamente recente, ma è esploso col diffondersi delle località turistiche alle aree urbane
e alle piccole città, sono dislocati nelle vie di più intenso passaggio in cui è possibile mangiare
e bere chiacchierando in piedi. Le maggiori città del nord hanno reso l’aperitivo un vero e
proprio rito serale: l’appuntamento è nei locali più trendy della città. La moda dell’aperitivo
assume declinazioni locali (ES: nel Nord Est è lo spritz, La merenda sinoira piemontese).

Mangiare fuori è un’abitudine molto diffusa nella nostra società, ma talvolta si va fuori
restando dentro casa, a cena da amici. Tale pratica denota l’importanza della socialità legata
al cibo e sembra riprendere piede dopo una fase in cui l’approdo al ristorante sanciva
l’accesso a una condizione privilegiata. Diversi fattori spiegano la popolarità del fenomeno:
1. il cambiamento dei modelli di famiglia
2. il cambiamento nella struttura professionale.
La società urbana aveva strutturato il consumo del pasto, affidando alle donne il ruolo di
approvvigionamento, l’apprendimento della cucina era parte della trasmissione del sapere
domestici che le generazioni femminili tramandavano: l’ingresso delle donne sul mercato
lavorativo pone in secondo piano queste abilità, legittima lo spreco della spesa veloce e
un’ancora più veloce preparazione del pasto. Per i giovani che consumano cibo da soli è il
segno di un processo di affrancamento da un controllo familiare. L’individualizzazione dei
pasti corrisponde all’individualizzazione delle scelte di vita.
Il mangiare fuori rappresenta una fonte di soddisfazione che compensa il diffuso senso di
insoddisfazione che sembra pervadere il tempo presente.

La cucina italiana vive un periodo di crescente gloria a New York. L’Italian Culinary
Institute, grazie al boom di tutto ciò che riguarda l’Italia negli ultimi due anni, ha raddoppiato
le vendite della rivista “La cucina italiana”. L’Italian Style nel cibo manifesta una
straordinaria forza attrattiva, si diffonde la moda di aperitivi a base di vino italiano
accompagnato da prodotti made in Italy. Le pizzerie e le trattorie sono divenute locali di
moda, le catene italian style hanno 1200 punti di ristoro: in esse i visitatori s’illudono di
provare i sapori della cucina italiana pagando in media 15 $ a testa.

Il renting è la nuova moda per cui si va a casa di qualcuno a bere, giocare, guardare un film
dalle 19 alle 23, per non interferire con il lavoro facendo tardi. Si delinea così un’area a metà
tra il consumo domestico tradizionale e quello extra-domestico della ristorazione. Si tratta di
un’area che configura nuove tipologie di cibi (ES: per lo più finger food) e che incentiva i
consumi alimentari di lusso. I menù a domicilio con un modello in franchising si è
rapidamente imposto sull’intero territorio nazionale. Il prezzo del cuoco a domicilio varia a

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seconda del numero degli invitati e del menù: si tratta di artigiani che si mettono ai fornelli e
preparano tutto al momento, scelgono i piatti insieme al padrone di casa. La cucina a domicilio
ha intercettato bisogni diversi, dall’intrattenimento alla dieta, alle intolleranze alimentari al
glutine e al lattosio. Il risparmio di tempo, la buona qualità, la possibilità di restare in un
ambiente rilassato convergono tra le ragioni che danno impulso a questa modalità di
ristorazione.

Anche nel cibo il lusso tende ad associarsi al concetto “su misura”. I costi elevanti sono una
prova dell’esclusività; Il lusso ha iniziato a investire anche il fast food, che in qualche caso
assume declinazioni da cucina d’autore.
L’esigenza di trovare soluzioni adeguate alla società di massa porta alla ribalta il fenomeno
delle catene eccellenti: Come in altri settori del mercato anche nella ristorazione comincia ad
emergere un’offerta low cost (prezzi bassi, ma senza rinunciare alla qualità). Si tratta di una
strategia che consente a un numero più elevato di clienti di mangiare fuori. Il Gambero Rosso
dal 2007 pubblica una guida low cost dedicata a un pubblico giovane: i locali vengono distinti
secondo fasce di prezzo, per un costo massimo di 30 euro.

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Capitolo 4: “L’imperativo della buona vita: il potere magico del cibo”
L’idea che l’alimentazione sia importante per il benessere fisico e psichico ha origini lontane:
radicate nel pensiero greco, sostenuta da Ippocrate e dalla scuola araba, attraversa il
Medioevo. Intorno all’anno 1000 la scuola salernitana propone i principi della medicina
greca, in parte rielaborata dagli arabi. Nel 1200 il “Regimen sanitatis salernitanum” diviene
il libro di igiene più popolare ed è tradotto in diverse lingue volgari. Il regolamento dietetico
occupa un ruolo centrale. Il capitolo alimentare si chiude con un appello alla moderazione nel
mangiare e nel bere.
I consigli sull’alimentazione sono veicolati dai medici, ma prima ancora dai religiosi, come
dimostra Santa Ildegarda, una monaca vissuta in Germania, che considerava l’alimentazione
un elemento importante per avere purezza di emozioni. I suoi consigli ruotano intorno
all’esigenza di nutrirsi di energia vitale attraverso alimenti provenienti direttamente dal suolo
e non trattati. Anche Sant’Agostino esalta le virtù del vino, che rinvigorisce lo stomaco
debole, ristora dalla spossatezza e guarisce le ferite del corpo e dell’anima, scaccia afflizione
e tristezza, allontana la stanchezza, procura gioia e accende la voglia di conversare fra amici.
Il male nel cibo è soprattutto legato all’eccesso: solo riti legittimi consentono rare occasioni
di trasgressione.
L’arte culinaria, che nel Medioevo del mondo arabo è oggetto di un genere letterario a sé
stante, è considerata una branca rispettabile della medicina teoretica. Il significato di costumi
alimentari deve, quindi, essere interpretato in chiave religiosa. Le abitudini alimentari del
Medioevo latino fanno i conti con la penuria, con le carestie, ben prima che con le prescrizioni
religiose. Il nutrimento di base era costituito da zuppe e polenta, mentre la carne era riservata
a un élite. I contadini si accontentavano di alimenti vegetali e latticini. Il pane diventa un
alimento del popolo solo nel basso Medioevo, mentre il vino è sempre presente. I pasti
incominciano con la prima colazione, seguita verso le 09.00 da una seconda colazione, un
pasto a mezzogiorno e verso le 18.00 da una cena. La preparazione dei cibi era molto
semplice, i contadini preparavano il pane con farina di segale e avena, mentre il pane di
frumento era dei ceti più elevati.
Il cibo aveva una centralità come via di congiunzione tra la materia e lo spirito, termine che
pone una sorta di mediazione tra corpo e anima. A lungo il rapporto con il cibo resta vincolato
a due elementi:
1) L’orizzonte della carestia;
2) la mortificazione del desiderio.
Quando la Chiesa elabora i 7 peccati capitali, dopo il 1270, classifica la gola al quinto posto:
il goloso è una figura dell’intemperanza, che va contro l’ordine voluto da Dio.
Equilibrio e parsimonia sono le indicazioni etiche e pratiche, ma resta assolutamente estranea
l’idea del cibo come piacere che arriverà soltanto nel Rinascimento.
Nel 1600 e nel 1700, la cucina acquista un valore estetico: Bartolomeo Scappi, nel 1500,
codifica in un monumentale lavoro le nuove conoscenze di materie prime e di tecniche,
coniugandole con i principi organizzativi necessari a gestire moderne pratiche di ristorazione.
Si afferma il carattere analitico della cucina che distingue i sapori, superando il modello di
cucina basato sulla mescolanza dei sapori in nome dell’equilibrio.

La diffusione di massa di elementi di psicologia clinica ha prodotto una sorta di


consapevolezza diffusa di soggettività. Corpo e spirito non sono più contrapposti, ma vengono
riproposti in un binomio indissolubile. Si sviluppa, così, una sorta di mercato alimentare per
l’anima, in cui assieme al cibo si vende la spiritualità: l’obiettivo è la ricerca dell’equilibrio e
della stima di sé. L’industria alimentare si propone di interpretare questo ruolo del cibo come

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veicolo di salute (ES: i cibi biologici). Il cibo può rappresentare un’esplicita strategia per
costruire la propria identità, come lo dimostrano alcuni regimi alimentari in cui si intrecciano
motivazioni salutistiche ed ambientali (ES: vegani e vegetariani).
L’espressione “Healthy style”, che il marketing fa propria, esprime la tendenza diffusa a
scandire la quotidianità con pratiche e consumi orientati al mantenersi in forma. Si sono
affermati sul mercato prodotti a ridotto contenuto di zuccheri e grassi, arricchiti di fibre,
vitamine e minerali (ES: derivati del latte, surgelati, acqua e bevande, snack salati). Grazie ai
sistemi di allevamento e a mangimi più bilanciati, si cerca di indurre una trasformazione
salutista dei prodotti alimentari. Le tecnologie alimentari sono state un fattore decisivo
nell’aprire campi di intervento, per modificare i prodotti inserendo sostanze o riducendone
altre al punto che si è anche affermata una scienza, la nutrigenomica, che studia le
componenti bioattive del cibo.

Il fenomeno dei nutraceutici, o cibi funzionali, è nato in USA attorno al 1990: il termine si
riferisce ad ogni sostanza alimentare che offra, in aggiunta alle sue naturali proprietà, benefici
medici e salutisti, incluso il trattamento di malattie. L’utilizzo di questi cibi ha come obiettivo
il miglioramento delle condizioni fisiche curare, ridurre e prevenire stati patologici più gravi.
L’area del “Functional food” si estende ai “Functional drinks” e agli “Energy drinks”, alle
bevande consumate nel tempo libero e nelle attività sportive con funzioni rivolte a migliorare
lucidità e vigore.

Il successo dello yogurt ha origine dagli studi batteriologici di uno scienziato russo che
collegava gli effetti benefici di un’alimentazione a base di yogurt alla longevità dei popoli
che da sempre ne facevano uso. Questa idea si è fissata nella mente del grande pubblico e lo
yogurt è entrato a fare parte dei riti purificatori che accompagnano l’esistenza quotidiana. Gli
yogurt si sono poi evoluti e ora appartengono al regno dei probiotici.
Il biologico è un mercato che ha raggiunto i 2,5 miliardi di fatturato; i motivi di interesse sono
i seguenti: il biologico esclude l’uso di sostanze chimiche, prevede solo l’utilizzo di concimi
organici o minerali e tecniche di lavorazione dolci, richiede controlli di organismi
specializzati, non determina impatti negativi sull’ambiente a livello di inquinamento di acque,
terreni ed aria. La qualità superiore giustifica, agli occhi di chi consuma, prodotti biologici a
un prezzo più alto. Dal punto di vista sociale, tutto ciò esprime un diffuso e forte desiderio di
rinascita; la ricerca di prodotti per l’eterna giovinezza si sposa con il mito del ritorno alle
origini, ad un mondo originario incontaminato che si traduce in un orientamento verso il
locale per contrastare i rischi di omologazione connessi al cibo industriale.

L’idea del cibo sintetico si è tradotta nell’idea alla base degli integratori alimentari, che hanno
l’obiettivo di concentrare sostanze in grado di produrre effetti più intensi rispetto ai normali
alimenti e di sostituire le carenze della normale alimentazione. Il consumo degli integratori
si diffonde rapidamente; i consumatori hanno stili di vita moderni, sono informati, hanno titoli
di studio e reddito superiore alla media.
In Italia lo spazio degli integratori è ancora marginale nella distribuzione, al contrario, negli
USA si trovano lunghi scaffali che propongono in barattoli giganteschi integratori per ogni
esigenza e fascia d’età. Integratori e vitamine hanno rivitalizzato il mercato delle caramelle:
la vitaminizzazione delle caramelle ha consentito un rilancio del settore. La mania delle
vitamine si è affermata in America a partire dal 1960: già allora la metà degli americani
assumeva regolarmente vitamine come supplementi all’alimentazione. La presunta carenza
vitaminica è alla base del successo di questo business, senza che vi sia in realtà alcuna idea

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su quali effetti abbiamo le vitamine sull’organismo. Un discorso analogo riguarda la
diffusione in forte crescita delle bevande energetiche che sono però ora sotto accusa per gli
effetti distorcenti sugli stati d’umore (ES: eccessiva euforia).
La nuova frontiera è rappresentata dall’associazione tra cibo e bellezza: in ragione della
generale paura dell’invecchiamento, gli individui sono positivamente orientati verso prodotti
che oltre ad avere effetti interni, producono benefici esterni (ES: la dermonutrizione, che
sostiene che i benefici delle sostanze siano visibili sulla pelle). Riviste e rubriche sui principali
quotidiani hanno contribuito a moltiplicare i discorsi sul rapporto tra cibo e salute. Tra i
diversi media si nota che la strategia editoriale è quella di esaltare la forma fisica come
elemento prioritario sul quale fondare un ideale di donna autonoma nelle scelte, che si prende
cura di sé e alla ricerca di un benessere psico-fisico globale. Allo stesso modo, viene fatto
passare il messaggio di un ideale di maschio che disponga di fisicità e di abilità pratico-
cognitive necessarie per dominare le situazioni sociali e il rapporto con l’universo femminile.
Gli argomenti centrali sono l’educazione al consumo, l’auto-cura e la dieta.
Internet rappresenta un potente mezzo destinato a popolare luoghi della distribuzione.
Comincia a profilarsi l’era del cibo digitale: attraverso un codice visuale collocato sulla
confezione, chi acquista potrà ricevere informazioni sulle valenze nutrizionali dei prodotti,
mettersi in relazione con esperti del settore, medici e nutrizionisti. L’utilizzo di tali tecnologie
favorisce un contatto diretto tra consumatore e impresa, e consente enormi sviluppi per
iniziative promozionali o di marketing, infatti, tramite l’utilizzo di internet l’azienda
trasforma il consumatore in una sorta di collaboratore esterno che diventa un tester del
prodotto; si innesca, così, una comunicazione bi-direzionale.

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Capitolo 5: “Le ansie alimentari e l’eccitazione del cibo”
Gli interrogativi su cosa e quanto produrre non investono più solo il piccolo segmento degli
ambientalisti (ES: crescente attenzione alle implicazioni ecologiche sulla produzione della
carne, crescente attenzione alla piaga dell’obesità), ma questo è stato anche il tema centrale
della Quarta Conferenza mondiale sul futuro della scienza, in cui sono stati presentati cinque
progetti per curare un mondo ammalato di cibo (ES: aumentare la produttività dei terreni
attraverso l’ottimizzazione dei cicli di produzione agricola; utilizzare l’energia solare per
attivare i processi di desalinizzazione e portare così acqua dagli oceani ai suoli desertici;
migliorare e diffondere le biotecnologie per incrementare la resa in condizioni ambientali
sfavorevoli; ridurre il consumo di carne nei paesi occidentali; promuovere l’educazione a
un’alimentazione corretta).
Decidere cosa mangiare è motivo di ansia, che si correla con la preoccupazione che gli
equilibri naturali siano definitivamente compromessi dall’affermarsi del cibo industriale.
L’ansia è un derivato diretto dell’abbondanza, ovvero una grande scelta che provoca
incertezza, enfatizzata dal fatto che molti alimenti si rivelano dannosi per la salute.
Il cambiamento è stato così violento da determinare quello che Pollan, riferendosi
all’America, definisce un vero e proprio disordine alimentare. Egli sostiene che gli
americani siano dei “mangiatori disfunzionali”, ossessionati dalla magrezza, mentre
diventano sempre più obesi. L’autore, ritenendo che il disordine alimentare derivi dalla
perdita di vicinanza tra produzione e consumo del cibo, si propone di raccontare come viene
prodotto, coltivato e distribuito il cibo degli americani attraverso la descrizione di 3 modelli
alimentari paradigmatici: le coltivazioni industriali, l’agricoltura biologica e l’agricoltura per
l’autoconsumo. Il primo segnala l’enorme impatto ecologico dei consumi alimentari: prodotto
da un grande dispendio di carburanti e una quantità spropositata di risorse. Dagli Anni ’80 il
governo ha deciso di pagare gli agricoltori un prezzo garantito per ogni bushel di mais messo
sul mercato. L’incentivo per l’agricoltore a produrre sempre di più ha generato la corsa ai
fertilizzanti, ai semi prodotti dall’industria chimica ed alla distruzione di tutte le coltivazioni
diverse dal mais.
Frequenti casi di frode e di falsi alimentari: sui mercati esteri sono messi in circolazione
prodotti che richiamano la tradizione italiana e che hanno in comune con questa solo l’effetto
evocativo. Gli esperti ritengono che nelle società avanzate i rischi in materia di sicurezza degli
alimenti non sono mai stati così bassi, ma gli individui li avvertono come maggiori. Nella
percezione influisce in modo determinante la sensazione del controllo individuale: la
percezione al rischio aumenta con la responsabilità individuale nel controllo della propria
salute e la consapevolezza di dover esercitare una scelta.
Il senso di ansia aumenta a seguito delle ricorrenti segnalazioni di pericolo da parte dei media,
notizie alle quali seguono smentite e rassicurazioni da parte dei produttori (ES: vicende della
mozzarella di bufala campana).
Ognuno consuma la propria ansia da solo, affrontandola come una questione privata
vivendola come un risultato di errori e fallimenti personali.
Per Beck, nell’epoca moderna, cambia la natura dei rischi a cui siamo esposti ed aumentano
quelli indotti dall’uomo (ES: l’inquinamento). La perdita di riferimenti stagionali, la forte
dipendenza dai cibi trasformati, il passaggio da cibi radicati a delocalizzati, il moltiplicarsi di
esperienze culinarie disponibili per effetto della globalizzazione, il proliferare di un’offerta
alimentare artificiale concorrono a produrre la sensazione di una perdita del contatto diretto
con il cibo e le sue origini; a ciò si aggiungono i messaggi nutrizionali contradditori che
rendono difficile la scelta.

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Anche l’evocazione della tradizione può essere può essere interpretata come risposta a questa
ansia da cibo; il movimento dello slow food sintetizza questa filosofia di ricerca della purezza
perduta, contro il cibo industriale.
Le paure alimentari riflettono l’insieme delle paure che attraversano le società
contemporanee: paura dell’altro, dell’ignoto, dell’imprevedibile. L’antropologia
dell’alimentazione considera l’ansia alimentare un dato costante del nostro rapporto con il
cibo in quanto associa il rischio alimentare al processo d’incorporazione che accompagna il
consumo. Mangiando facciamo entrare dentro di noi un alimento che partecipa alla nostra vita
corporea, in grado di trasformarci; l’alimentazione ci dà la sensazione di controllare la nostra
vita. Le risposte ai rischi alimentari sono irrazionali: quella della rimozione è una della
modalità generali con cui il rischio viene tollerato nella società moderna, a cui segue, dopo
più o meno tempo, la ripresa delle abitudini di consumo. I media hanno spesso l’effetto di
amplificare la paura dei rischi alimentari. Le ansie alimentari sfiorano fenomeni di anoressia
di massa (eccessiva preoccupazione verso il cibo, le sue componenti e le condizioni in cui
viene consumato, che dà luogo a comportamenti fobici e maniacali). Le derive ortoressiche
(una malattia nervosa di chi dedica un’attenzione compulsiva a ciò che mangia) trovano una
sponda in una sorta di delirio del controllo indotto dallo stesso progresso scientifico che
genera l’illusione che sia possibile il governo di ogni eventualità e affida alla tecnologia la
possibilità di fronteggiare l’incertezza della vita.
Le paure alimentari trovano una duplice traduzione sul piano dei comportamenti: da un lato
provocano la richiesta di una maggiore qualità, dall’altro la ricerca di attributi soggettivi. Il
tema della sicurezza alimentare e della tutela del consumatore assume un peso crescente; il
cliente si dice disponibile a pagare di più in funzione della rassicurazione dai rischi.
Gli USA hanno un tasso di obesità pari al 30,6%, il più alto di qualsiasi nazione
industrializzata del mondo. In Italia, secondo i dati diffusi dall’ISTAT, gli obesi sono il 13%,
mentre le persone in sovrappeso il 33%. L’obesità, insieme agli altri disturbi alimentari, è
oggetto di attenzione da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ma anche dei
governi:
• Il governo inglese sta studiando la proposta di un contratto tra cittadini e servizi sanitari
che fissi regole di comportamento per ricevere cure a carico dello Stato. Il diritto alle cure
verrebbe subordinato alla collaborazione alla prevenzione; l’ipotesi comprende anche
l’introduzione di un premio in denaro per chi perde peso. Negli ultimi 20 anni il tasso di
obesità in Gran Bretagna è raddoppiato;
• Il governo giapponese ha varato drastiche misure anti-obesità. Le aziende ed i governi
locali saranno invitati a misurare il giro vita dei dipendenti. Uomini e donne di età
compresa tra i 40 ed i 74 anni sono obbligati a sottoporsi a controlli per valutare
tempestivamente il rischio di obesità ed intervenire immediatamente. A coloro che
superano gli standard viene offerta la consulenza del dietologo; se entro 3 mesi non
provvederanno a riportarsi a peso forma. Dopo altri 6 mesi le persone verranno sottoposte
ad ulteriori controlli: aziende ed enti saranno multati se gli obiettivi non verranno raggiunti.
Il tasso in Giappone è tra i più bassi al mondo ma negli ultimi anni abbiamo osservato un
incremento rapido in corrispondenza di un’occidentalizzazione delle abitudini alimentari e
della diffusione dei fast food.
Più della metà degli adulti americani e circa ¼ dei bambini sono in sovrappeso; i dati
dell’International Association for the Study of the Obesity prevedono che nel 2010 la metà
dei bambini sarà in sovrappeso, 2/3 saranno destinati a restarlo per sempre. In Cina la
percentuale di teenager in sovrappeso è triplicata nell’ultimo decennio; la causa principale è

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lo stile alimentare monotono e principalmente costituito da cibi altamente trasformati e da un
apporto nutrizionale sbilanciato (ES: hamburger, salse e patatine).
Nelle società avanzate l’obesità è oggetto di disapprovazione sociale: Poulain cita una serie
di studi che dimostrerebbero che l’obesità frena la mobilità sociale, penalizza le carriere, si
correla a salari più bassi e così via. Contemporaneamente si assiste alla trasformazione delle
rappresentazioni sociali del grasso, si sviluppa un modello di estetica di magrezza e si afferma
l’equazione magrezza-salute, il che si accompagna ad una stigmatizzazione degli obesi. Ogni
messaggio televisivo e pubblicitario ricorda che solo il corpo magro suscita desiderio
obbligandoci ad una continua misura e contenimento dell’eccesso.
L’epidemia si è estesa anche nei Paesi in via di sviluppo del Terzo Mondo determinando
quello che è stato definito il paradosso alimentare: la combinazione di patologia da
abbondanza e di patologie da privazione di cibo; il numero degli obesi ha superato quello di
coloro che soffrono la fame (ES: in Messico, Egitto e Sudafrica, più della metà degli adulti è
in sovrappeso).
Il Messico è l’esempio più clamoroso di un paese colpito dall’epidemia dell’obesità: le
indagini hanno rivelato che il 71% dei messicani maschi e il 66% delle donne sono obesi o in
sovrappeso. Il cambiamento radicale è dovuto all’urbanizzazione, infatti la città spinge ad
adottare nuove abitudini (ES: guardare la tv, fare spesa al supermercato che riducono il
dispendio di energie ed aumentano il consumo di cibi calorici).
Sia negli USA che nei paesi in via di sviluppo l’obesità è soprattutto un problema dei poveri
che trovano nei supermercati bevande e dolci a basso costo ed una ampia varietà di snack e
bibite industriali.
Nei Paesi in via di sviluppo, negli ultimi 20 anni, l’aumento del consumo di cibi di
provenienza animale è stato responsabile dell’aumento della produzione mondiale di carne,
pollame, pesce, uova e latte.
La spesa sanitaria annua è molto aumentata con il fenomeno dell’obesità, infatti un filone
dell’economia sta assumendo l’obesità come tema di analisi: alcuni economisti hanno
sollevato una forte discussione, in particolare sul rapporto tra modello di sviluppo e spese
sanitarie.
L’obesità è seconda solo al fumo come causa di morte, la spesa sanitaria annua dovuta
all’obesità è destinata a duplicare nei prossimi 20 anni, in misura preoccupante anche tra i
bambini. Gli obesi spesso soffrono di marginalizzazione sociale, riduzione di autostima e
maggiori difficoltà a trovare un partner. Alcuni economisti: osservano la relazione tra obesità
e salari; inoltre hanno scoperto che l’obesità è influenzata da fattori sociali: la più forte si
esercita tra gli amici, chi ha un amico oversize ha un rischio di obesità triplo di chi ha amici
normopeso; il rischio aumenta se questi sono dello stesso sesso. Essi, quindi, sostengono che
la causa dell’obesità non risiede nei geni o nelle cattive abitudini alimentari, ma nei modelli
sociali di riferimento che inconsciamente facciamo nostri. I legami sociali possono avere un
effetto importante sulle politiche di prevenzione del fenomeno, infatti uno studio mostra che
persone obese o non obese tendono a frequentare persone simili.
Mangiando più pasti fuori casa si consumano più calorie, meno fibre e più grassi. I prezzi dei
prodotti fast food sono scesi mentre l’industria del slow food aumenta le porzioni per
migliorare la competitività, i tentativi di introdurre cibi sani non sono andati a buon fine.
Tra le proposte per contrastare il junk food vi è quella di introdurre una tassa e di esporre il
numero di calorie dei prodotti sui menù.
Esistono due categorie di consumatori: quelli che acquistano i prodotti calorici ed economici
per bassa capacità di spesa e quelli dotati di un elevato potere di acquisto e che possono
permettersi di essere in salute, di acquistare alimenti freschi e meno calorici; si crea così quella

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che Finkelstein chiama the ObesEconomy ovvero un’industria della perdita di peso che
include centri e programmi per la dieta, centri fitness, medicine ed integratori.
Uno studio della FAO lancia un allarme sugli effetti inquinanti del consumo di carne:
l’allevamento di bestiame genera più emissioni di CO2 di tutti i mezzi di trasporto messi
assieme. Esistono vere e proprie catene di montaggio che partono dalle fattorie, consumano
enormi quantità di energia, inquinano pozzi, generano quantità di gas serra elevate.
L’aumento dei prezzi di materie prime alimentari riporta in primo piano la questione della
fame del mondo. La situazione alimentare è in forte peggioramento per diverse cause, per la
prima volta la causa è legata ad un eccesso di domanda: la novità è stata l’esplosione dei
consumi alimentari in aree del mondo a forte crescita economica come Cina e India. Un
recente studio dell’ONU ha riproposto l’allarme biocarburanti. La corsa al granoturco per
produrre ecobenzina colpisce i poveri.
Tra i principali responsabili del legame tra cibo ed effetto serra vi è la distribuzione
commerciale dei prodotti e le relative inefficienze di natura logistica. Da anni in Inghilterra
si è avviata una discussione sui food miles, cioè sui km percorsi dal cibo prima di arrivare sui
banchi di vendita. Il cibo che viaggia è produttore di costi occulti di inquinamento, derivanti
dai processi di distribuzione, perciò comincia ad affermarsi l’idea che il cibo non possa essere
giudicato solo per attributi come qualità, rispetto e prezzo, ma anche in base ai km percorsi.
Secondo le stime della Coldiretti, un menù composto da cibi coltivati localmente genera la
metà delle emissioni di CO2. Per coltivare un ortaggio fuori stagione è necessario ricavarne
artificialmente le condizioni ideali di crescita e ciò comporta un maggiore uso di energia e
trattamenti chimici.

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Capitolo 6: “L’estetica del gusto, il cibo come smarrimento dei sensi”
Il gusto è il termine più comune a cui ognuno di noi fa riferimento per connotare le preferenze
in fatto di cibo. Il gusto è un prodotto culturale la cui definizione varia nello spazio e nel
tempo. Il gusto è frutto di un insieme di preferenze, di tradizioni, e di abitudini di consumo
trasmesse all’interno di una società, esso è quindi prima di tutto un’esperienza sociale
condivisa.
L’aspetto esteriore è importante: l’attenzione alla dimensione estetica non è più solo un fatto
elitario; tanto nella ristorazione come nelle preparazioni industriali, la dimensione estetica si
mescola alla sostanza (ES: Food design).
Esistono due fenomeni: il mutamento delle abitudini percettive indotto dalle nuove
tecnologie e la dilatazione dei confini dell’estetica che investe, oltre che il corpo, ogni
aspetto della vita.
Il cibo mette in luce il profondo cambiamento intervenuto nel significato del concetto di
estetica, vale a dire il superamento della riduzione cognitivo-visiva in cui la cultura idealistica
lo aveva collocata. Il food design interviene sul prodotto, fino a farlo diventare “urbano”,
sviluppa un’attenzione sulla dimensione funzionale e contribuisce ad un’offerta di alimenti
prệt-à-manger.
Ultimamente si sta diffondendo anche l’estetica del Food Porn, ovvero una pratica che
comporta la pura contemplazione dei cibi esclusivamente in fotografia e che sta facendo
nascere reti di appassionati (ES: nascita dei foodblogger).
Le piccole porzioni sono un’espressione del rilancio del desiderio che deve restare
insoddisfatto; la soddisfazione piena viene considerata in un certo senso volgare.
La mutevolezza caratterizza in larga parte l’offerta del cibo nell’alta ristorazione. L’etica del
mutamento impone il cambiamento come condizione del desiderare ancora, in quanto si ha la
garanzia che ciò che non è piaciuto non ci sarà più.
Quasi tutto gli chef nascono con la gastronomia molecolare: vengono proposte pietanze il cui
gusto, consistenza e temperatura sono fattori totalmente scollegati tra loro, sfruttando la
comprensione dei fenomeni di interazione tra le particelle di carboidrati, proteine e grassi
contenuti nei cibi.
Cardine della cucina scientifica è la revisione dei classici metodi di cottura per creare nuovi
sapori e migliorare i piatti dal punto di vista gastronomico e nutrizionale, anche se la
sperimentazione culinaria spesso è vissuta con sospetto da parte di coloro che considerano la
tradizione una fonte da salvaguardare con cura.
L’estetica odierna del cibo sembra avere bisogno di usufruire liberamente di tutti i sensi, in
modo che il cibo diventi mezzo per vivere un’esperienza. La cucina scopre la dimensione
dell’edizione limitata: Just Cavalli Cafè, a Milano, ha inaugurato la moda delle Fashion
Hours: 3 momenti della giornata dedicati al cibo-spettacolo.
La cucina futurista propone l’esperimento di nuove miscele apparentemente assurde, in nome
del coraggio di osare atti audaci e soluzioni insolite. Questo tipo di cucina deve sollecitare
tutti e 5 i sensi, il banchetto futurista è polisensoriale (ES: il primo tentativo di sovvertire le
abitudini relative al gusto è la “Cena a rovescio” nel 1910).
L’abolizione della forchetta e del coltello si propone di accentuare il piacere tattile, la musica
negli intervalli tra una vivanda e l’altra serve ad accendere la sensualità.
L’ibridazione tra cibo ed arte dà luogo a locali che si propongono come luogo di ristorazione
e come esposizioni artistiche. I piatti sono solitamente bianchi in modo che non interferiscano
con la composizione cromatica della portata. Se nella cucina tradizionale il testo è
impersonale, nella cucina di oggi emerge con chiarezza la centralità del soggetto che produce

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un testo verbale (la ricetta) e materiale (la pietanza), a cui imprime una marca di originalità
che lo rende irripetibile e irriproducibile come un quadro.
L’estetica del gusto è funzionale alla ricerca di nuove forme di convivialità: il ristorante è
luogo di socializzazione, e anche di negoziazione e contraddizione; la vista rappresenta una
sorta di anticipazione dell’esperienza gustativa. Un’antica pratica giapponese, il bento,
diventa simbolo della capacità comunicativa del cibo; essa è la tecnica che trasforma un piatto
in un quadro (ES: riso colorato di azzurro steso nel vassoio per il cielo e fagiolini verdi per il
prato), ma tutto il contenuto deve essere commestibile.
Ultimamente i cuochi hanno conquistato i media, infatti ci sono interi canali dedicati alla
cucina per non parlare degli ascolti dei principali programmi di cucina (ES: Masterchef).
Il vino ha una forte valenza estetica, per la sua simbologia e per il suo carattere culturale,
infatti la figura del gastronomo, l’uomo di gusto attenta alla qualità dei cibi è per lo più
esperto di vini.
Il vino è un oggetto conservabile, contrariamente al cibo; la cantina consente di collezionare
pezzi nati per il consumo ma in un tempo dilatato.
I collezionisti sono conoscitori, la comune condivisione della conoscenza è la condizione per
creare una comunità di esperti che condividono soprattutto un linguaggio (che usa termini
gergali ES: <<Bouquet fiorito, colore caldo, profumi fruttati>> e vengono usati molti
paragoni) e una cultura. L’atto che mira a cogliere il valore estetico del vino è la
degustazione, che consiste nel valutarne le qualità estetiche mediante un esame delle
sensazioni visive, olfattive, gustative e tattili che esso è in grado di offrire. Esistono due
modalità di valutazione/percezione: una finalizzata al giudizio (ES: bontà, integrità, bellezza)
e una alla fruizione emotiva.
Alle acque vengono attribuiti sapori e proprietà, ma il possesso di una bottiglia in edizione
limitata è un segno di distinzione. L’estetica gioca un ruolo decisivo; i particolari design delle
bottiglie d’acqua di lusso ne consentono l’utilizzo come complementi d’arredo (ES: “Evian”)
in quanto la confezione, molto più che il contenuto, ne giustifica il prezzo.
L’industria delle acque minerali nasce verso la fine del 1800 in alcuni Paesi europei a forte
tradizione termale con l’imbottigliamento di acque provenienti da sorgenti famose per le loro
virtù salutari. In Italia i primi tentativi di commercializzazione un’acqua minerale naturale
risalgono al 1890 e a quella data segue la costruzione dei primi impianti di imbottigliamento.
Fino a metà degli Anni ’60 si sviluppa un mercato delle acque naturali ancorato alla
connotazione medico-terapeutica, destinato alle classi più agiate. Negli Anni ’90 l’Italia
diventa il primo Paese al mondo per la produzione di acque minerali naturali, anche per una
maggiore sensibilità a un’alimentazione più sana.
Le variazioni nei prezzi sono sempre maggiori e il costo non è legato alla materia prima, ad
alzare il costo sono, infatti, fattori come il trasporto e la pubblicità (ES: l’acqua desalinizzata
delle isole Hawaii viene venduta in Giappone per le sue capacità di far perdere peso).
La moda delle acque ha dato luogo ad una serie di prodotti a basso contenuto calorico; le
nuove acque hanno sostituito le bibite gassate (ES: nuove fragranze, aromi naturali).

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Capitolo 7: “Tradizione e adattamento”
Per ciascun di noi vi sono cibi della memoria, che ricordano “molto altro”, che attraversano
il sapore ed hanno il potere di far emergere emozioni ed esperienze. L’attrazione per la
tradizione alimentare è in gran parte sostenuta da sentimenti di nostalgia per una fase della
propria vita irrimediabilmente perduta. La cucina era uno spazio abitativo che si identificava
con la casa, emanava un calore: attorno al fuoco si svolgeva la vita quotidiana per molti mesi
dell’anno. Negli ultimi tempi i surgelati e i precotti entrano nella preparazione di ricette
tradizionali, ma negli ultimi anni si sta riscoprendo un grosso interesse per la cucina
tradizionale (ES: anche la pubblicità enfatizza la riscoperta dei sapori perduti con immagini
vintage).
Le identità alimentari si modificano incessantemente e sono solo parzialmente riconducibili
a situazioni ambientali e geografiche (ES: dieta mediterranea). Ogni tradizione è frutto
dinamico della storia, generato da complessi fenomeni di scambio e di contaminazione. La
tradizione viene risemantizzata, vale a dire trasferita in un differente contesto di significati.
(ES: piatti della cucina povera vengono riproposti ed accostati ad altri cibi).
Quasi tutte le religioni hanno dei precetti che riguardano il consumo, o meno, di alcuni tipi di
cibo; nella cucina ebraica, ad esempio, il termine kosher si riferisce al cibo conforme alle
norme (a livello di macellazione e trattamento degli animali) secondo la religione ebraica, che
col tempo è diventano sinonimo di cibo sicuro (ES: a Roma è sorto il “Mk Kosher”, il fast
food conforme alle norme più grande d’Europa, il 70% dei frequentatori non è di origine
ebraica). La cucina ebraica indica come l’esistenza di una norma religiosa incida nella
creazione di una tradizione alimentare, ma non impedisca alla stessa di subire forti
contaminazione ed inglobare creatività nelle soluzioni alimentari.
Per rendere più facile il rispetto di questi 300 precetti, in Israele si assiste al lancio di prodotti
high tech (ES: la macchina che fa il caffè all’ora stabilita).
In una realtà come quella di oggi bisogna tener conto anche delle abitudini alimentari degli
immigrati; per loro, infatti, la cucina di casa resta a lungo il riferimento privilegiato, un
elemento di difesa delle radici. L’acquisizione di nuove abitudini richiede un passaggio che
avviene attraverso più generazioni: difesa delle tradizioni; sincretismo e sostanziale
omologazione alle abitudini del paese ospitante. La terza generazione perde ogni legame con
l’appartenenza originaria; la volontà d’integrazione si esprime nel rifiuto delle tradizioni
alimentari originarie e nell’adesione di modelli del Paese ospitante. Già da molti anni
assistiamo allo sviluppo dei negozi di cibi etnici nei quartieri della città europee abitati da
immigrati: essi sono espressione del radicamento delle comunità e del processo di ibridazione
dei consumi.
L’ibridazione delle cucine rappresenta un esito inevitabile della società globale (ES: New
York).
Un recente libro propone una sorta di ricerca delle radici della cucina americana, attraverso
la storia di prodotti che la caratterizzano (ES: cioccolato, miele, pomodori, caffè). La ricerca
delle radici intreccia istanze salutiste ed istanze d’identità.
McWilliams racconta la storia della nascita delle abitudini alimentari americane: la
risposta alla ricerca del cibo ha svolto un ruolo fondamentale nella costruzione di un’identità
nazionale. Il controllo sulle produzioni dei cibi, che sono alla base dei processi di
accumulazione economica nel periodo compreso tra il 1650 ed il 1750, ha un’importanza
decisiva negli stessi processi di costruzione dell’indipendenza dalla terra madre. Il filo della
ricostruzione della storia della cucina americana è rappresentata dal rapporto tra la
salvaguardia della tradizione e le esigenze di adattamento imposte tanto delle condizioni
climatiche quanto dalle esigenze delle produzioni agricole (ES: coltivazione di canna da

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zucchero che divenne la più importante fonte di ricchezza per le colonie e che quindi diede
luogo al flusso di schivi dall’Africa). La cultura alimentare americana si costruisce attraverso
la pluralità di anime: la lotta per la sopravvivenza, l’adattamento imposto dalle ragioni
climatiche, la volontà di preservare la tradizione del Paese di provenienza e di esportare la
tradizione religiosa, la lotta per l’indipendenza.
L’intreccio tra importazione di nuove bevande e nuove forme di socialità è particolarmente
evidente con lo sviluppo dei commerci dell’Europa con il Nuovo Mondo (ES: caffè). La
borghesia era soprattutto interessata agli effetti psicofisici della nuova bevanda, in quanto
permetteva di recuperare le sbornie e restituiva in fretta lucidità; il caffè come locale diviene
uno spazio fondante della socialità maschile, come bevanda si sposa alla socialità femminile.
Il thè è l’ultima delle nuove bevande esotiche ad essere introdotta in Europa; per la borghesia,
berlo era un aspetto del processo di civilizzazione che mirava a valorizzare la sobrietà. Nel
corso del 1700 cessò di essere consumo di lusso per divenire consumo di massa, modificando
le abitudini alimentari dell’intera popolazione. I caffè creano uno spazio di distinzione della
classe media che si differenzia dalla popolare clientela delle taverne, infatti anche l’arte e
letteratura trovano posto nei caffè.
In America il consumo di birra e la diffusione delle taverne svolgono un ruolo rilevante nella
costruzione di un mercato nazionale: all’inizio il prodotto era prevalentemente esportato e il
flusso maggiore era indirizzato verso l’Inghilterra. Le taverne svolgono un ruolo
fondamentale nella costruzione di un mercato nazionale e di una cultura alimentare
abbastanza omogenea sull’intero territorio; esse nascono dall’esigenza di controllare il
consumo dell’alcool, ma successivamente diventano luoghi di scambio commerciale, creano
un’interazione tra persone appartenenti a diversi strati sociali e creano il contesto ideale per
lo sviluppo di attività commerciali, diventando, così, centri di transazioni finanziarie e sociale.
La taverna consente la commercializzazione dei prodotti e la creazione di una cucina
americana.

Qualche mese dopo la caduta del muro di Berlino, la McDonald’s Corporation annuncia
l’apertura del suo primo ristorante nella Germania Orientale; nello stesso periodo si tiene la
prima manifestazione del movimento dello Slow Food. Possiamo dire che questi due son
episodi emblematici di come il cibo catalizzi l’aspirazione ad una fase di valorizzazione del
bisogno di consumo dopo la lunga compressione operata del regime comunista.
McDonald’s è l’emblema dell’omologazione, la sua ascesa ha inizio nel 1937 quando i fratelli
Dick e Mac McDonald aprono ad Arcadia un baracchino di hot dog che diviene popolare con
il nome di “California Sexy Hot Dogs”. Nel 1953 il marchio diventa un franchising. Il turn-
over del personale impiegato è tra i più alti. La declinazione locale di modelli di fast food ne
dimostra l’eccezionale capacità pervasiva; l’iper-razionalizzazione facilita l’insediamento
in contesti diversi da quelli d’origine. Il segreto del successo risiede su molti piani:
dall’organizzazione di una catena che comprende l’approvvigionamento delle materie prime,
al sistema distributivo, al marketing: si rivolge al gruppo dei consumatori che ha
l’attaccamento minimo alla tradizione (ES: bambini e giovani; alleanze con aziende di giochi;
spazi di giochi).
Tuttavia questo modello riceve delle critiche per lo sfruttamento del lavoro di giovanissimi
immigrati senza tutele, un sistema di macellazione e di confezione della carne non rispettoso
delle condizioni igieniche e metodi intensivi di allevamento. Il McDonald decide allora di
cambiare le proprie strategie: proponendo meno hamburger e più piatti a base di verdure e
dando un nuovo look ai ristoranti, quindi si può dire che abbia trasformato le critiche dei no-
global e dei salutisti in una strategia di mercato.

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Successivamente il McDonald ha provveduto alla standardizzazione dei pasti che cerca
l’adattamento ai gusti ed alle abitudini locali, ad una diversificazione dell’offerta e a
campagne pubblicitarie che ne danno un’immagine vegetariana e mediterranea.
Nel frattempo si afferma la filosofia del Serial Food che richiama l’efficienza nel soddisfare
il cliente; la calcolabilità dal punto di vista del prodotto; l’enfasi sulla logica di processo che
dà risalto alla velocità ed alla praticità e la definizione dei comportamenti dei lavoratori,
organizzati secondo una logica di ripetizione in cui ogni particolare è minuziosamente
studiato.
Il Fast Food è accusato di rappresentare il prototipo di cibo senza identità, una sorta di non
cibo, anonimo ed artificiale, che viene servito in non luoghi dove delle non persone offrono
non cose attraverso un non servizio.
Negli dieci anni McDonald tenta di sfatare il luogo comune dell’equazione McDonald= cibo
spazzatura e, quindi, decide di rilanciare la propria immagine con un progetto mondiale che
prevede l’inserimento delle informazioni nutrizionali sulle confezioni dei pasti servizi.
Anche il sushi è un cibo globalizzato; il suo successo risiede in una pluralità di motivi che
concorrono a farne un prodotto moderno in quanto dà l’immagine di cibo salubre. Questo tipo
di cibo si oppone alla cultura alimentare dell’abbuffata non più congrua alla società
dell’abbondanza; agisce, inoltre, il fascino del lontano. L’immagine di naturalità è rafforzata
dal fatto che si tratta di un cibo non soggetto a manipolazione: il crudo diviene simbolo
dell’assenza di contraffazione. La preparazione viene effettuata davanti agli occhi del
consumatore.

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Capitolo 8: “Le preferenze impossibili. Verso un cibo fusion?”
Mentre gli individui sono impegnati in una perenne negoziazione con se stessi per mediare le
contraddizioni che segnano il rapporto con il cibo, le imprese si trovano di fronte alla difficoltà
di basare le previsioni su criteri sufficientemente fondati. Ciò accade in un contesto in cui le
materie prime alimentari hanno iniziato un trend tumultuoso destinato a durare e che inverte
una lunga fase di prezzi bassi durata quasi 100 anni. A questa inversione di rotta
contribuiscono fattori come l’aumento del numero di individui delle economie emergenti che
sono abbastanza ricchi da potersi nutrire come occidentali. La questione dei costi ha a che
fare con la questione del petrolio, le moderne tecniche agricole richiedono un notevole
dispendio energetico; sotto accusa sono soprattutto le politiche dei biocarburanti, principale
causa dell’aumento dei prezzi.
I consumi legati all’alimentare sono sostanzialmente stabili anche in tempi di crisi, ma la
riduzione delle risorse economiche ha portato ad un consistente aumento della marca
commerciale.
La competizione globale complica maggiormente gli scenari, aumentando la concorrenza tra
imprese.
La crisi economica accentua l’infedeltà alla marca; le vendite vengono realizzate attraverso
le promozioni. Ciò che si verifica non è solo una sensibile riduzione della capacità di
acquisto del ceto medio, ma soprattutto la crescita della segmentazione della società,
sempre più polarizzata tra un’area in grado di accedere a consumi di alta gamma ed un’area
sensibile agli aumenti di prezzo.
Secondo uno studio della Coldiretti, a seguito dei rincari dei prezzi, 3 italiani su 4 avrebbero
cambiato abitudini alimentari variando il menù anche in modo drastico e facendo diffondere
i mercati rionali e l’abitudine agli approvvigionamenti nei luoghi di coltivazione.
L’esperienza di Eataly, il supermercato di qualità aperto a Torino, segna il successo del cibo
di qualità.
Coloro che sono disposti a lasciare sugli scaffali i biscotti con un marchio storico per
acquistarne altri con il nome del supermercato non sono solo individui che hanno bisogno di
risparmiare, ma persone poco attente alla pubblicità, consumatori informati che sanno che
talvolta è la stessa azienda nota a fornire prodotti venduti con il marchio della distribuzione.
Il successo dei marchi commerciali è legato alla possibilità di risparmio, ma anche alla
varietà dell’offerta ed alla capacità di innovazione proposta. L’orientamento per il risparmio
non si verifica in generi che hanno un forte contenuto emozionale (ES: prodotti di bellezza)
ma investe invece il cibo.
La politica di marca commerciale può essere considerata una chiara dimostrazione del potere
contrattuale della distribuzione nei confronti dell’industria. Gli effetti dello sviluppo delle
marche commerciali sono contrastanti: da un lato, i produttori leader vedono minacciata la
loro posizione proprio da quei prodotti che non rappresentano più la semplice imitazione dei
corrispondenti prodotti di marca industriale; dall’altro, nascono opportunità per
collaborazioni.
In questa società ossessionata dal corpo e dal dover controllare l’alimentazione per
mantenerlo in forma, il cibo è sottoposto ad una sorta di doppio vincolo: da un lato è fonte di
piacere; dall’altro è privazione e questo induce una continua tensione verso soluzioni di
compromesso (ES: aumento consumo di dessert a basso impatto calorico).
Negli ultimi anni, inoltre, si investe in cibi in grado di migliorare la salute e quindi le
aziende collaborano con nutrizionisti e dietisti; in quanto si pensa che l’industria alimentare
avrà sempre più bisogno di una validazione scientifica dei nuovi prodotti e si troverà nella
necessità di creare sistemi di competenze integrate e complementari.

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Al momento la ricerca più difficile è quella di un equilibrio necessario tra il sapore e la
salubrità; il compromesso tra dovere e piacere spinge non tanto verso cibi light, ma piuttosto
a tagliare le porzioni: si riduce l’impatto calorico e si esercita il proprio personale controllo.
In Europa, l’Italia può vantare il primato sul piano della qualità. La provenienza nazionale
degli alimenti gioca un ruolo importante nella percezione della sicurezza alimentare: ci si fida
più dei prodotti nazionali. Il sentimento di fiducia alla base delle scelte d’acquisto si connette
non solo alla marca, ma coinvolge l’intero contesto ambientale (ES: nei giorni successivi alla
campagna mediatica sull’emergenza rifiuti, le vendite dei prodotti provenienti dal territorio
campano sono drasticamente crollate).
La crisi contribuisce ad indurre una nuova eticità nel consumo, a partire dalla sostenibilità
ambientale e dalla lotta agli sprechi (ES: cala il consumo dell’acqua in bottiglia). Ecotariani
è il neologismo coniato per definire i consumatori che pensano all’impatto ambientale; il
termine indica tutti quegli individui che si nutrono esclusivamente di cibi sostenibili, prodotti
in modo esclusivamente ecologico con attenzione alle fonti energetiche. Esistono anche dei
gruppi di acquisto solidale (GAS) che, in accordo con una fattoria, si fanno carico della
distribuzione diretta per eliminare completamente la distanza dalla produzione al consumo.
L’approccio con cui il marketing guarda il consumo è centrato sulle preferenze individuali;
così sono stati proposti modelli fondati sugli stili di vita o sui cosiddetti siti valoriali.
L’influenza dei media e delle immagini proposte dalla moda, danno luogo ad eterogenei
sistemi di riferimento destinati a variare rapidamente. Non solo gli individui cambiano
rapidamente preferenze, ma le stesse preferenze cambiano in ragione delle situazioni in cui
essi sono inseriti nel corso della giornata. Il problema che ogni consumatore deve affrontare
consiste nel fatto di ottenere, dato un certo bilancio monetario, il massimo di utilità del
consumo. Le scelte sono il frutto di sistemi di negoziazione interpersonale per mediare
preferenze, per lo più in contraddizione, ma anche di negoziazioni interne all’individuo stesso.
Il consumatore sceglierebbe prima le caratteristiche e poi i beni che le possiedono. Egli è un
essere sociale ed è, quindi, impossibile immaginare un soggetto isolato dalle preferenze degli
altri individui. L’industria alimentare si trova a dover far fronte ad una sostanziale difficoltà
nel formulare previsioni e per farlo usa il teorema dell’impossibilità di Arrow che sostiene
che quando la scelta è complicata, nel senso che si deve scegliere tra più di due alternative e
le preferenze degli individui sono diverse tra loro, non vi è modo di prevenire a una scelta
univoca che rispetti il criterio di maggioranza. Il Paradosso Arrow conferma l’impraticabilità
di logiche di segmentazione fondate sull’univocità delle scelte di consumo e per avanzare
un’altra ipotesi teorico-pratica: l’individuo consuma in relazione alle situazioni in cui è
coinvolto e non in relazione ad uno standard predeterminato.
Roland Barthes avanza l’ipotesi che l’alimentazione si stia organizzando attorno a due
grandi poli: da una parte l’attività e dall’altra il tempo libero; questo è dovuto alla
flessibilizzazione della vita contemporanea: da una parte il cibo solitario, consumato per
ragioni funzionali di tempo e di costo; dall’altro, il cibo relazionale, cibo che mediano i
processi di aggregazione e di socialità, a cui si dedicano risorse economiche e di tempo
maggiori.
I significati attribuiti ai prodotti hanno implicazioni notevoli sulla percezione dei prezzi, così
si tende a considerare giusto l’innalzamento del prezzo di un prodotto correlato a situazioni
connotate da una carica emozionale.
I nuovi comportamenti di spesa hanno dimostrato come la flessibilità si divenuta un criterio
cardine decisivo (ES: crescita esponenziale di alimenti preparati per un uso veloce).

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Negli ultimi anni l’innovazione si è concentrata in direzione salutista, con l’aggiunta di
componenti che hanno dato luogo a cibi funzionali sempre più specializzati e diversificati, o
con l’eliminazione di componenti ad alto impatto calorico.
L’industria si trova di fronte anche ad un ulteriore dilemma: la difesa di ciò che ha acquisito
lo status di tradizione o l’apertura verso prodotti che appartengono ad altre culture alimentari.
Vi sono due fazioni che si organizzano in base a due orientamenti culturali: il primo, pone
l’enfasi sulla dimensione locale, sul cibo regionale, sulla tipicità del prodotto; il secondo
mette l’accento sull’innovazione delle tecniche come delle proteste gastronomiche e sulla
dimensione globale (ES: cucina etnica).
Tradizione ed apertura al nuovo sono i due tratti inscindibili che compongono la flessibilità
del cibo.

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Epilogo: “Le tre figure di scambio”
Bacone propone la metafora delle tre figure di animali:
• ragno—> costruisce la tela con lo scopo di procurarsi cibo. Simbolo di approccio
autarchico (produce da sé il proprio strumento di approvvigionamento);
• formica—> ha bisogno di uscire dal formicaio per nutrirsi: raccoglie e accumula derrate
alimentari, non le produce o modifica, agisce per sé e per la comunità ma non produce
valore aggiunto nello scambio con l’esterno. Simbolo di un approccio comunitario (lo
scambio è orientato dall’esterno all’interno e finalizzato al consumo);
• ape—> crea alimenti mentre si alimenta, si nutre del nettare e lo trasforma in cibo prezioso
per tutti i membri dell’alveare; compie un’attività di trasformazione dell’alimento di cui si
nutre in cibo. Simbolo del mercato (dà luogo ad un processo di trasformazione).
La metafora evoca il passaggio da una società di cacciatori-raccoglitori a una di coltivatori e
poi a quella di produttori. Il cibo procurato attraverso la caccia necessita solo dello
strumento/arma per vincere sulla preda, il cibo coltivato avvia i processi di conservazione
delle derrate alimentari, impone la loro organizzazione, mentre il cibo dello scambio moderno
allude non solo all’organizzazione industriale e alla relativa commercializzazione dei
prodotti, ma anche alla dimensione sociale e relazionale implicita nel consumo.
Il ragno, inoltre, rievoca il ritorno alle origini, la speranza di coltivazioni genuine non
contaminate dalle produzioni può tradursi nell’auspicato ritorno ai cicli delle stagioni, oppure
nella valorizzazione delle produzioni locali (ES: movimento dello Slow Food, battaglia contro
gli OGM, mercati rionali).
La formica rimanda al mito della distribuzione, ovvero all’illusione che un’efficiente
distribuzione saprà interpretare le nuove tendenze e sostenere i consumi alimentati.
L’ape ripropone la centralità dei processi di trasformazione e anche dei processi di
innovazione del prodotto ci ricorda che il cibo è scambio, e nutrimento, per sé e per gli altri.
Cucinare significa simbolicamente sottomettere la natura e ridurla a cultura. Gli storici
dell’alimentazione hanno più volte sottolineato che il cibo è scambio, ibridazione continua e
che la tradizione locale non è altro che un lungo processo di sedimentazione. Nell’epoca del
cibo globale, la contaminazione deve essere assecondata: il cibo fusion non è più una
minaccia di perdita della tipicità delle produzioni.

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