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Giovanni Paolo II, Allocuzione ai partecipanti alla conferenza internazionale sulla
nutrizione, 5 dicembre 1992. Tale espressione è stata ripresa da papa Francesco in
apertura dell’Expo delle Idee, quando ha sottolineato come ci sia cibo per tutti, ma
non tutti possono mangiare (cfr. Francesco, Video-messaggio per l’incontro di 500
rappresentanti nazionali e internazionali: “Le idee di Expo 2015 - verso la carta di
Milano” 7 febbraio 2015).
2
Secondo la FAO nel periodo 2012-2014 ci sono state circa 805,3 milioni di persone
denutrite; di queste il 98% (più di 790,7 milioni) vivono nei Paesi in via di sviluppo. Anche
se le proiezioni indicano una flessione rispetto al periodo precedente (840 milioni nel
2010-2011, 12% della popolazione mondiale, un individuo su otto) la proporzione rimane
sostanzialmente invariata (i denutriti a Sud raggiungevano 824 milioni che rappresenta
sempre il 98% del totale). Cfr. FAO, The State of Food Insecurity in the World 2014, Fao
Roma 2014 anche in www.fao.org
3
Malnutrizione non significa solo carenza di micronutrienti ma anche eccessi alimentari:
attualmente si stima che circa 1 miliardo e mezzo di adulti è in sovrappeso e altri 475
milioni sono obesi. Cfr. International Obesity Task Force 2010 su www.iaso.org. Sulla
malnutrizione cfr. anche Indice globale della fame. La sfida della fame nascosta, Milano
2014, su cesvi.org e Dichiarazione di Roma sulla nutrizione in Seconda Conferenza
internazionale sulla nutrizione,Roma 19-21 novembre 2014, su fao.org.
4
Questi gli ultimi dati della International Obesity Task Force in www.iaso.org
5
È stato recentemente calcolato che il sistema alimentare mondiale è in grado di produrre
oggi poco meno di 2.800 calorie a persona ogni giorno, a fronte di un reale fabbisogno
calorico medio pro capite per un individuo adulto di 2.550 calorie. Così in J. Ziegler,
Preface, in C. Golay, J. Ziegler, C. Mahon, S.A. Way, The Fight for the Right to Food,
Londra, Palgrave Macmillan, 2011, p. XIII.
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Dati Fao del 2011 evidenziano il problema degli sprechi: a livello mondiale 1,3 miliardi
di tonnellate di cibo vanno perse ogni anno, sprecate; cifra che equivale a oltre la metà
del raccolto annuale di cereali, un terzo circa della produzione totale di cibo di cui
circa 670 milioni di sprechi nei paesi industrializzati. In Europa, la quantità ammonta
a 89 milioni di tonnellate, ovvero a una media di 180 kg pro capite. Cfr. in tal senso J.
Gustavsson, C. Cederberg, U. Sonesson, Swedish Institute for Food and Biotechnology
(SIK) Gothenburg, Sweden, Global food losses and food waste – Extent, causes and
prevention, Rome, FAO, 2011. Il problema degli sprechi non esiste solo su scala globale
ma anche nazionale. Secondo la Coldiretti oltre 10 milioni di tonnellate vanno sprecate
ogni anno anche in Italia, con una perdita economica che ammonta a circa 37 miliardi di
euro, che sarebbero sufficienti a nutrire 44 milioni di persone.
7
«Quando una persona arriva al punto di non avere nulla da mangiare, è perché tutto
il resto è stato negato. Si tratta di una forma moderna di esilio. È la morte in vita».
Così J. De Castro, Presidente del Comitato Esecutivo della FAO 1952-1956, che è stato tra
i primi a dimostrare che la denutrizione cronica è da attribuire non al clima, ma a fattori
politici, economici e sociali. Cfr. il discorso di De Castro in FAO, 2004, Right to food case
study: Brazil. IGWG RTFG /INF 4/APP.1. p. 9 su www.fao.org (accesso al 15 ottobre 2014).
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Dal punto di vista economico questa prospettiva è stata elaborata dal Nobel Amartya
Sen, che, nell’esaminare le cause delle carestie ha sviluppato un approccio di analisi per
attribuzione (entitlement approach), il quale si contrappone al più tradizionale approccio
della disponibilità di cibo ( food availability approach); per entitlement approach si fa
riferimento alla capacità degli individui di avere il comando nel cibo attraverso i mezzi
legali disponibili in una società (ivi compresi l’uso delle possibilità di produzione,
opportunità di scambio, attribuzioni nei confronti dello Stato, ecc.). Cfr. A. Sen, Risorse,
Valori e Sviluppo, Bollati Boringhieri, Torino, 1992, pp. 177-188.
9
Il “diritto al cibo adeguato” è garantito da fonti internazionali di diverso livello.
Innanzitutto esso è riconosciuto in fonti di scala globale di tipo universale, come l’articolo 25
Dichiarazione Universale Diritti dell’Uomo (1. Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita
sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare
riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi
sociali necessari; ed ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità,
vedovanza, vecchiaia o in altro caso di perdita di mezzi di sussistenza per circostanze
indipendenti dalla sua volontà; 2. La maternità e l’infanzia hanno diritto a speciali cure ed
assistenza. Tutti i bambini, nati nel matrimonio o fuori di esso, devono godere della stessa
protezione sociale) e l’articolo 11 Convenzione internazionale sui diritti economici sociali e
riflessione sul “diritto al cibo adeguato”, inteso come il diritto di ogni esse-
re umano «ad avere un accesso regolare, permanente, libero, sia direttamente
sia tramite acquisti monetari, a cibo quantitativamente e qualitativamente
adeguato e sufficiente, corrispondente alle tradizioni culturali della popola-
zione di cui fa parte il consumatore e in grado di assicurare una vita psichica
e fisica, individuale e collettiva, priva di angoscia, soddisfacente e degna»10.
Questa definizione di diritto al cibo indica un elemento importante: la risposta
alla fame non è data solo dall’accesso a un cibo quantitativamente sufficiente,
ma anche dall’accesso a un cibo culturalmente adeguato, che nutra la dignità
dell’affamato, oltre che il suo corpo11. Il cibo, secondo le carte internazionali
e le loro interpretazioni autentiche12, è adeguato quando:
culturali (1. Gli Stati Parti del presente Patto riconoscono il diritto di ogni individuo ad un
livello di vita adeguato per sé e per la sua famiglia, che includa alimentazione, vestiario, ed
alloggio adeguati, nonché al miglioramento continuo delle proprie condizioni di vita. Gli Stati
Parti prenderanno misure idonee ad assicurare l’attuazione di questo diritto, e riconoscono
a tal fine l’importanza essenziale della cooperazione internazionale, basata sul libero
consenso: 2. Gli Stati Parti del presente Patto, riconoscendo il diritto fondamentale di ogni
individuo alla libertà dalla fame, adotteranno, individualmente e attraverso la cooperazione
internazionale, tutte le misure, e fra queste anche programmi concreti, che siano necessarie:
a) per migliorare i metodi di produzione, di conservazione e di distribuzione delle derrate
alimentari mediante la piena applicazione delle conoscenze tecniche e scientifiche, la
diffusione di nozioni relative ai principi della nutrizione, e lo sviluppo o la riforma dei
regimi agrari, in modo da conseguire l’accrescimento e l’utilizzazione più efficaci delle
risorse naturali; b) per assicurare un’equa distribuzione delle risorse alimentari mondiali
in relazione ai bisogni, tenendo conto dei problemi tanto dei paesi importatori quanto dei
paesi esportatori di derrate alimentari). In secondo luogo, in coerenza con una generale
linea di tendenza alla settorializzazione e regionalizzazione dei diritti, anche il diritto al
cibo è stato declinato sia in carte universali che proteggono categorie specifiche di
individui (donne, fanciulli, indigeni, contadini, pescatori,…), che in carte di livello
regionale e in particolare quelle elaborate dall’Unione Africana (la Carta Africana dei
diritti dell’uomo e dei popoli, il Protocollo alla Carta Africana dei diritti dell’uomo e
dei popoli relativo ai diritti delle donne, la Carta Africana dei diritti e del benessere
dei bambini) e dall’Organizzazione degli Stati americani (in particolare dalla Carta
dell’Organizzazione degli Stati americani, la Dichiarazione dei diritti dell’uomo nel
continente americano, la Convenzione americana dei diritti dell’uomo o Patto di San
José, il Protocollo aggiuntivo alla Convenzione americana dei diritti dell’uomo detto
anche Protocollo di San Salvador).
10
J. Ziegler, Dalla parte dei deboli. Il diritto all’alimentazione, Milano, Tropea, 2004
(Le droit à l’aliméntation, Paris, Mille et une nuits, Librairie Arthème Fayard, Paris,
2003), p. 49.
11
S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, Roma-Bari, Laterza 2012, pp. 108-109.
12
L’interpretazione “autentica” dell’art. 25 Patto sui diritti sociali economici e culturali
è stata offerta dal Comitato per i diritti economici sociali e culturali mediante il General
Comment n. 12. (General comment E/C.12/1999/5 del 5/12/1999). Per un quadro della
tutela internazionale del diritto al cibo adeguato cfr. C. Golay, J. Ziegler, C. Mahon,
S.A. Way, The Fight for the Right to Food, cit; sulla giustizia abilità di tale diritto cfr.
C. Golay, Droit à l’alimentation et accès à la justice, Bruxelles, Bruylant 2011; per i
documenti e i report prodotti dallo Speciale relatore per il diritto al cibo O. De Schutter
cfr. il sito www.srfood.org.
13
Su queste definizioni cfr. Cfr. General Comment n. 12 (n. E/C.12/1999/5 del 5/12/1999
in ww2.ohchr.org).
14
14 A. Soma, Le droit de l’homme a l’alimentation: contenu normatif et mécanismes
juridiques de mise en œuvre. Mémoire pour l’obtention du Diplôme d’Etudes
Approfondies (D.E.A.) en droit, Febbraio 2006, pp. 20-21.
15
Cfr. Par. 18 General Comment n. 12, cit.
Fight for the Right to Food, cit. pp. 18-22 e C. Golay, Droit à l’alimentation et accès à la
justice, cit., pp. 81-112. Sui doveri di rispettare, proteggere e rendere effettivo il diritto
al cibo cfr. O. De Schutter, International human rights laws, Cambridge, 2010, pp. 242-
253; C. Golay, op. cit., pp. 119-121 e pp. 132-139.
19
Cfr. sul punto C. Golay, op. cit. pp. 124-138 che esprime queste valutazioni in ordine
al diritto al cibo in quanto tale, (la declinazione di tali caratteristiche nella dimensione
religiosa del diritto al cibo, invece, costituisce una proposta dell’autrice).
20
Si pensi a una PA che con un capitolato d’appalto per la fornitura della mensa scolastica
si autolimita inserendo una clausola relativa alla fornitura di cibo koescher o helal per
bambini ebrei o mussulmani. Nel momento in cui assume tale scelta e non adempie alla
26
L’art. 117 Cost. I co. («La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel
rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e
dagli obblighi internazionali») è stato riconosciuto dalla Corte Costituzionale (a partire
dalle c.d. “sentenze gemelle”, Corte cost., sent. 22-10-2007, n. 348 e Corte cost., sent.
22-10-2007, n. 349/2007 in www.cortecostituzionale.it) “punto d’accesso” nel nostro
ordinamento delle disposizioni contenute dai Trattati internazionali diversi da quelli
posti a fondamento dell’Unione europea (come la Convenzione europea sui diritti
dell’uomo). Per una sintesi della portata interpretativa di tale norma cfr., ex multis, P.
Caretti, con la collaborazione di G. Tarli Barbieri, I diritti fondamentali. Libertà e
diritti sociali, Torino, Giappichelli, 2011, 165-168.
27
Tale disposizione (Art. 3: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali
davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni
politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli
ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei
cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione
di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese»)
corrisponde a quella di cui al par. 18 del General comment 12 (su cui cfr. supra). Su
questi aspetti cfr. A.G. Chizzoniti ‒ M. Tallacchini (a cura di), Cibo e religione: diritto
e diritti ‒ Quaderni del Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università Cattolica del
Sacro Cuore, Roma ‒ Lecce, Libellula edizioni, 2010 oppure in www.olir.it.
28
Art. 7 Cost.: «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine,
indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le
modificazioni dei Patti accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di
revisione costituzionale». Art. 8 Cost.: «Tutte le confessioni religiose sono egualmente
libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto
di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento
giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese
con le relative rappresentanze». Cfr. su questi aspetti A.G. Chizzoniti, La tutela della
diversità: cibo, diritto, religione, pp. 19-46 in A.G. Chizzoniti ‒ M. Tallacchini (cur.),
Cibo e religione: diritto e diritti, cit. p. 29. Sulla qualificazione di confessione religiosa,
intesa come “formazione sociale caratterizzata dal fattore religioso, cfr. R andazzo
B., Art. 8, in Bifulco R. ‒ Celotto A. ‒ Olivetti M. (a cura di), Commentario alla
costituzione, Vol. I, Torino, Utet giuridica 2006, pp. 193-216, in particolare p. 196.
29
Ad esempio, evidenzia questo aspetto A.G. Chizzoniti, op. cit. p. 40.
30
Cfr. Bin R. ‒ Pitruzzella G., Diritto Costituzionale, Torino, Giappichelli 2012, p.
549. Art. 19: «Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in
qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato
o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume». Per un
inquadramento di tale norma cfr. anche M. R icca, Art. 19, in R. Bifulco ‒ A. Celotto ‒
M. Olivetti (a cura di), Commentario alla costituzione, Vol. I, cit., 420-440.
31
Per una descrizione di tali facoltà cfr. P. Caretti, op. cit., pp. 226-229.
32
Art. 20: «Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d’una associazione
od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali
gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività».
33
Cfr. R. Bin ‒ G. Pitruzzella, op. cit, 549.
34
Tali divieti limitano l’accesso al cibo da parte dei musulmani in modalità diverse: o
perché impediscono di accedere ad alcune tipologie di alimenti (il maiale, quelli non
macellati secondo le norme, le bevande fermentate come gli alcolici) o perché prevedono
l’astensione dal cibo in alcuni periodi particolari, come nel mese di Ramadan. L’idoneità
alimentare islamicha è definita halal.
35
I divieti alimentari obbediscono a vari tipi di criteri: l’appartenenza dell’alimento
a specie impure (si pensi alla carne di maiale) o in preparazione idonee (si pensi alle
particolari tecniche di macellazione). La tradizione alimentare giudaica non è fatta solo
di limitazioni ma è anche scandita da una serie di festività religiose che hanno tutte
estrema rilevanza per quel che riguarda i rituali e le connesse regole alimentari: se lo
Yom Kippur è il digiuno per antonomasia, durante la Pesach, (Pasqua), è imprescindibile
commemorare la fuga dall’Egitto mangiando, possibilmente in piedi, pane azzimo.
36
Nell’induismo, la mucca è considerata come un simbolo di ahimsa (non-violenza),
dea madre e portatrice di buona fortuna e ricchezza. Per questa ragione, le mucche sono
sacre nella cultura indù e dar loro da mangiare è un atto di devozione […]. Diversi stati
dell’India hanno approvato leggi per proteggere le mucche, mentre molti Stati non hanno
restrizioni sulla produzione e il consumo di carne bovina. Lo Stato del Madhya Pradesh
ha approvato una legge, nel gennaio 2012, ovvero il Gau-Vansh Vadh Pratishedh
(Sanshodhan) Act, che rende la macellazione della mucca un reato grave. Nello Stato
del Gujarat, la legge di conservazione degli animali, entrata in vigore nell’ottobre 2011,
vieta l’uccisione di mucche e l’acquisto, la vendita e il trasporto delle carni bovine.
Al contrario, Orissa e Andhra Pradesh consentono la macellazione dei bovini con un
protocollo di macellazione certificato. Negli Stati del Bengala occidentale e del Kerala, il
consumo di carne bovina non è considerato un reato. Contrariamente agli stereotipi, un
numero considerevole di indù mangiano carne, e molti sostengono che le loro scritture,
come ad esempio i testi vedici, non ne vietano il consumo. Nel sud del Kerala, per
esempio, la carne di manzo costituisce quasi la metà di tutta la carne consumata da tutte
le comunità, fra cui gli induisti (voce Cultura dell’India in Wikipedia.it). Va evidenziato
come quelle che in alcuni stati indiani sono leggi civili, in Italia sono invece RAR.
37
A.G. Chizzoniti, La tutela della diversità: cibo, diritto, religione, in A.G. Chizzoniti,
M. Tallacchini (a cura di), Cibo e religione: diritto e diritti, cit., p. 20.
38
Regolamento (Ce) N. 1099/2009 del Consiglio del 24 settembre 2009 relativo alla
protezione degli animali durante l’abbattimento; la materia era precedentemente regolata
dalla direttiva 93/119/EC relativa alla protezione degli animali durante la macellazione
o l’abbattimento. Tale regolamento è entrato in vigore dal 2013 anche in Italia. Prima di
esso in Italia la materia era regolata dall’art. 9 RD 20/12/1928 n. 3928 (Approvazione
del regolamento per la vigilanza sanitaria delle carni), abrogato dall’art.19, comma 7,
lettera a) D.Lgs. 18 aprile 1994, n. 286, poi dalla L. 439/78, e dal D.Lgs 333/1998 che
attua la normativa comunitaria sul benessere animale. Sulle differenze regolatorie di
queste diverse discipline cfr. F. Pezza ‒ P. Fossati, Le macellazioni rituali nella storia
normativa, in A.G. Chizzoniti ‒ M. Tallacchini (cur.), Cibo e religione: diritto e diritti,
cit., pp. 245-260.
39
Cfr. la seguente premessa: «l’obiettivo del presente regolamento, vale a dire assicurare
un’impostazione armonizzata per quanto concerne le norme relative al benessere degli
animali durante l’abbattimento…».
40
Cfr. il n. 15 «Il protocollo n. 33 enfatizza inoltre la necessità di rispettare le disposizioni
legislative o amministrative e le tradizioni degli Stati membri in materia particolare di
riti religiosi, tradizioni culturali e patrimonio regionale nella definizione e attuazione
delle politiche comunitarie riguardanti, fra l’altro, l’agricoltura e il mercato interno. È
pertanto opportuno escludere dall’ambito di applicazione del presente regolamento gli
eventi culturali, laddove la conformità alle prescrizioni relative al benessere altererebbe
la natura stessa dell’evento in questione.» e il n. 18: «La direttiva 93/119/CE prevedeva
una deroga alle pratiche di stordimento nel caso di macellazioni rituali effettuate nei
macelli. Poiché le norme comunitarie in materia di macellazioni rituali sono state
recepite in modo diverso a seconda del contesto nazionale e considerato che le normative
nazionali tengono conto di dimensioni che vanno al di là degli obiettivi del presente
regolamento, è importante mantenere la deroga allo stordimento degli animali prima
della macellazione, concedendo tuttavia un certo livello di sussidiarietà a ciascuno
Stato membro. Il presente regolamento rispetta di conseguenza la libertà di religione e
il diritto di manifestare la propria religione o la propria convinzione mediante il culto,
l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti, come stabilito dall’articolo 10 della
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea».
41
Gran Bretagna e Irlanda, ad esempio, ne avevano definito il significato, sottolineando
47
L’art. 9 Legge 26 luglio 1975, n. 354 Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla
esecuzione delle misure privative e limitative della libertà prevede che «Ai detenuti
e agli internati è assicurata un’alimentazione sana e sufficiente, adeguata all’età, al
sesso, allo stato di salute, al lavoro, alla stagione, al clima». Tale disposizione, che va
inquadrata all’art. 27 c. 3 Cost. («Le pene non possono consistere in trattamenti contrari
al senso di umanità») rievoca altri ordinamenti in cui si riconosce ai detenuti “il diritto
al cibo adeguato” con fonte costituzionale (Cfr. l’art. 35 della Costituzione sudafricana).
48
Detto regime, introdotto con L. 663/986. Modifiche alla legge sull’ordinamento
penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà ha
introdotto nella L. 354/1975 un’apposita disciplina di cui riportiamo quella in materia di
cibo, prevista all’art. art. 14-quater (Contenuti del regime di sorveglianza particolare): «1.
Il regime di sorveglianza particolare comporta le restrizioni strettamente necessarie per
il mantenimento dell’ordine e della sicurezza, all’esercizio dei diritti dei detenuti e degli
internati e alle regole di trattamento previste dall’ordinamento penitenziario. […]; 3. Le
restrizioni di cui ai commi precedenti sono motivatamente stabilite nel provvedimento
che dispone il regime di sorveglianza particolare; 4. In ogni caso le restrizioni non
possono riguardare: l’igiene e le esigenze della salute; il vitto; il vestiario ed il corredo; il
possesso, l’acquisto e la ricezione di generi ed oggetti permessi dal regolamento interno,
nei limiti in cui ciò non comporta pericolo per la sicurezza; la lettura di libri e periodici;
le pratiche di culto; l’uso di apparecchi radio del tipo consentito; la permanenza all’aperto
per almeno due ore al giorno salvo quanto disposto dall’articolo 10; i colloqui con i
difensori, nonché quelli con il coniuge, il convivente, i figli, i genitori, i fratelli.
49
Art. 9 della L. 26 luglio 1975, n. 354. «Il vitto è somministrato, di regola, in locali
all’uopo destinati. I detenuti e gli internati devono avere sempre a disposizione acqua
potabile. La quantità e la qualità del vitto giornaliero sono determinate da apposite tabelle
approvate con decreto ministeriale. Il servizio di vettovagliamento è di regola gestito
direttamente dall’amministrazione penitenziaria. Una rappresentanza dei detenuti o
degli internati, designata mensilmente per sorteggio, controlla l’applicazione delle
tabelle e la preparazione del vitto. Ai detenuti e agli internati è consentito l’acquisto, a
proprie spese, di generi alimentari e di conforto, entro i limiti fissati dal regolamento. La
vendita dei generi alimentari o di conforto deve essere affidata di regola a spacci gestiti
direttamente dall’amministrazione carceraria o da imprese che esercitano la vendita a
prezzi controllati dall’autorità comunale. I prezzi non possono essere superiori a quelli
comunemente praticati nel luogo in cui è sito l’istituto. La rappresentanza indicata nel
precedente comma, integrata da un delegato del direttore, scelto tra il personale civile
dell’istituto, controlla qualità e prezzi dei generi venduti nell’istituto». Art. 9 della L.
26 luglio 1975, n. 354, Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle
misure privative e limitative della libertà.
50
Cfr. art. 11 DPR 230/2000: «Ai minorenni vengono somministrati giornalmente
quattro pasti opportunamente intervallati. 4. Le tabelle vittuarie, distinte in riferimento
ai criteri di cui al primo comma dell’articolo 9 della legge, sono approvate con decreto
ministeriale ai sensi del comma quarto dello stesso articolo, in conformità del parere
dell’Istituto superiore della nutrizione. Le tabelle vittuarie devono essere aggiornate
almeno ogni cinque anni. Nella formulazione delle tabelle vittuarie si deve anche tenere
conto, in quanto possibile, delle prescrizioni proprie delle diverse fedi religiose».
51
Art. 32: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e
interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti». Sull’individuazione
dell’art. 32 come fondamento costituzionale del diritto alimentare cfr. tra gli altri L.
Costato ‒ P. Borghi ‒ S. R izzioli, Compendio di diritto alimentare, Padova, Cedam,
2011, pp. 51-57 e 151. Va peraltro ricordato che il diritto dell’alimentazione, pur non
identificandosi con il diritto al cibo, ne rappresenta un aspetto centrale, dato che tocca
gli aspetti di food security (sicurezza di accedere a un cibo sufficiente) e food safety
(sicurezza di accedere a un cibo di qualità dal punto di vista igienico sanitaria). Sulla
rilevanza, per il diritto alla salute, dell’attività preventiva, sia quella sanitaria (attinente al
c.d. homo igienicus) che quella extrasanitaria (come quella attinente l’ambiente salubre)
cfr. R. Balduzzi, Salute (diritto alla), in S. Cassese (diretto da), Dizionario di diritto
pubblico, Milano, Giuffré, 2006, pp. 5393-5402, in particolare p. 5395.
52
Così P. Caretti, op. cit., 290-291, che definisce la soggezione speciale nelle strutture
sanitarie come quella situazione che ha inizio nel momento del ricovero e viene a cessare
con quello delle dimissioni e che, per la sua articolazione interna, finisce per incidere
nella sfera della libertà personale dell’interessato.
taluni casi addirittura il diritto alla vita, del degente53. «La ristorazione ospe-
daliera è parte integrante della terapia clinica e il ricorso al cibo rappresenta il
primo e più economico strumento per il trattamento della malnutrizione […].
Una corretta alimentazione costituisce uno straordinario fattore di salute e la
nutrizione va dunque inserita a pieno titolo nei percorsi di diagnosi e cura»54.
Accanto a questa funzione principale, se ne sta delineando una accessoria ma
non meno rilevante, ovvero quella di nutrire i pazienti nel rispetto della libertà
personale: a tale scopo sono orientate le disposizioni tese a favorire l’uso
del green public procurement, attraverso il quale le aziende ospedaliere
hanno la possibilità di garantire il diritto al cibo dei pazienti, attraverso la
somministrazione di cibo biologico, proveniente da commercio equo e so-
lidale o a km zero55. Il servizio di ristorazione ospedaliera, dunque, regolato
53
Si pensi alle diete per coloro che sono portatori di patologie alimentari (come bulimia o
anoressia) ma si pensi anche alle forme di nutrizione artificiale, più o meno invasive, che,
ad esempio, interessano i prematuri, gli anziani, i malati terminali o pazienti affetti da
particolari patologie.
54
Così Ministero della Salute, Linee di indirizzo nazionale per la ristorazione
ospedaliera e assistenziale, pp. 4-5, in www.salute.gov.it, che così continua: «mentre
una non corretta gestione del degente dal punto di vista nutrizionale può determinare
complicanze e costituire, quindi, una “malattia nella malattia”. L’aspetto nutrizionale è parte
di una visione strategica più ampia del percorso di salute all’interno di un’attività assistenziale
e clinica di qualità. La ristorazione in ospedale e nelle strutture assistenziali deve divenire
un momento di educazione alimentare e di vera e propria cura. L’intervento nutrizionale ha
come obiettivo, nel primo caso, il mantenimento e la promozione della salute, mentre nel
soggetto affetto da patologia ha anche finalità terapeutiche specifiche e/o di prevenzione
delle complicanze. L’argomento, con le problematiche connesse, assume maggiore
rilevanza qualora lo si affronti per la popolazione anziana nella quale la linea di confine
tra salute e malattia è decisamente più sottile e l’assenza di malattia può non coincidere
propriamente con lo stato di salute e di benessere. Nel 2002, il Consiglio d’Europa ha
emanato le linee guida relative alla corretta alimentazione negli ospedali, esortando le
amministrazioni ospedaliere a porre maggiore attenzione alla ristorazione, intesa come
mezzo di prevenzione della malnutrizione».
55
Cfr. Ministero della Salute, Linee di indirizzo nazionale per la ristorazione
ospedaliera e assistenziale, in www.salute.gov.it, p. 17; cfr. anche disposizioni regionali
come nell’art. 2 della Regione Lazio, L.R. 06 Aprile 2009, n. 10, Disposizioni in materia
di alimentazione consapevole e di qualità nei servizi di ristorazione collettiva per
minori, si legge: «La Regione […] interviene per garantire, nei servizi di ristorazione
collettiva per minori nelle scuole, nei reparti ospedalieri di pediatria anche accreditati
e negli istituti di pena per minori, l’utilizzo di una percentuale non inferiore al 50 per
cento di prodotti agroalimentari tipici e tradizionali nonché zootecnici provenienti
da coltivazioni e allevamenti biologici regionali ed eventualmente nazionali». Sulle
potenzialità degli acquisti pubblici nel garantire il diritto al cibo cfr. De Schutter O.
The Power of Procurement Public Purchasing in the Service of Realizing the Right to
64
Progetti di educazione all’interreligiosità sono diffusi in molti comuni italiani. A
titolo esemplificativo si ricorda quelli promossi dal Comune di Torino, in alcune scuole
dell’infanzia, attraverso i quali il cibo è stato utilizzato come occasione di integrazione
culturale tra bambini (e con essi mamme e famiglie) di culture, provenienze geografiche
e religioni diverse: nel laboratorio di cucina interculturale Cibifavolecanzoni, mamme,
papà, operatori e insegnanti si ritrovavano in un locale della scuola per cucinare,
raccontare piatti di famiglia, assaggiare e conversare. Su questa esperienza cfr. M.
Marcellino – M. Manfredi, Cibo e laboratori interculturali nella scuola dell’infanzia
a Torino, in Baradello M. ‒ Bottiglieri M. ‒ Fiermonte L. – Mascia P. (a cura di),
Cibo e città. Atti del I workshop del progetto europeo “4cities4dev. Access to good,
clean, fair food, Roma, Ancicomunicare, 2012 anche su www.comune.torino.it/
cooperazioneinternazionale/biblioteca, pp. 93-104.
65
A titolo esemplificativo si consideri il caso torinese, ove gli utenti della Ristorazione
scolastica della Città di Torino sono attualmente circa 55000, fra questi circa 4500
usufruiscono di un menù alternativo senza carne di maiale, senza alcun tipo di
carne oppure privo sia di carni sia di pesce; altri 1300 seguono un menù dietetico
per patologie legate all’alimentazione. Cfr. www.comune.torino.it/servizieducativi/
ristorazionescolastica
66
Cfr. l’art. 25 del capitolato speciale di gara per il servizio di ristorazione scolastica del
comune di Roma (Procedura per l’affidamento del servizio di ristorazione scolastica
in autogestione periodo 1.1.2013/30.06.2017 capitolato speciale d’appalto su www.
comune.roma.it) che statuisce: «L’O.E.A. è tenuto, senza ulteriori oneri aggiuntivi,
alla preparazione di: Diete speciali per motivi di salute; Diete speciali leggere; Diete
speciali a carattere etico-religioso […]. L’O.E.A. deve garantire, in favore degli utenti
che ne facciano richiesta al Municipio territorialmente competente, diete determinate
da motivazioni etiche o religiose. All’interno di tale categoria rientrano altresì le diete
speciali per vegetariani»; oppure cfr. l’art. 30 del Capitolato speciale di appalto per il
servizio di ristorazione nelle scuole dell’obbligo e nelle scuole e nidi di infanzia, sezione
2, prescrizioni tecniche del Comune di Torino che dice: «Su richiesta dell’utenza devono
essere forniti menù senza carne di maiale, senza carne e senza carne e pesce» su www.
comune.torino.it
67
Si veda ad esempio l’art. 9 del contratto di servizi tra il comune di Milano e l’in
house Milanoristorazione (in www.milanoristorazione.it) secondo il quale: «La Società
dovrà garantire l’erogazione di tutte le diete a carattere etico-religioso e in particolare:
dieta islamica: è prevista la sostituzione di carne suina, prosciutto cotto e pasta ripiena
(se contenente carne di maiale) con legumi o pesce o uova o formaggio alternandoli in
base al menù della settimana; nel caso in cui siano escluse tutte le carni, queste saranno
sostituite alternativamente con legumi o uova o formaggio; dieta vegetariana: è prevista
la sostituzione delle carni con legumi o uova o formaggio, alternandoli nella settimana
in base al menù o, se richiesto, la sostituzione sempre con legumi».
68
Si pensi all’art. 23 del Regolamento del Servizio Refezioni scolastiche della Città
di Venezia: «È concessa, su richiesta del genitore tramite l’istituzione scolastica,
la variazione di menu per motivi religiosi e per i soli alimenti non consentiti dalla
medesima religione»; all’art. 20 del Regolamento per i servizi di Ristorazione scolastica
del Comune di Cuneo: «Possono essere formulate dalle famiglie richieste di menù
personalizzati secondo i seguenti criteri: diete legate a particolari convinzioni religiose o
culturali, i genitori potranno richiedere per i propri figli diete particolari che rispettino le
convinzioni religiose o culturali del nucleo familiare»; oppure all’art. 8 del Regolamento
comunale per la gestione del servizio di ristorazione scolastica di Chiusi della Verna:
«Per motivi etici, culturali e/o religiosi dovrà essere presentata specifica richiesta da
parte del genitore su modulo messo a disposizione dal Comune».
69
Si veda ad esempio la Carta dei servizi della ristorazione scolastica delle scuole del
Comune di Torino, del Comune di Bologna, del Comune di Milano reperibili nei siti
istituzionali dei rispettivi comuni.
70
Cfr. Linee Guida della Regione Lombardia per la ristorazione scolastica e La
ristorazione scolastica. Linee guida della Regione Friuli Venezia Giulia (disponibili sui
rispettivi siti istituzionali).
71
C. Giannone, Mangiare a scuola non è solo un diritto, ma un percorso formativo. Gli
sprechi: fino al 64%, pubblicato il 7 febbraio 2013 in www.ilfattoalimentare.it (articolo
ripreso dalla rivista Ristorando, gennaio/febbraio 2013).
72
Così in Ministero della Salute, Linee di indirizzo nazionale per la ristorazione
scolastica, cit., p. 21, dove si legge che alla ristorazione scolastica è affidata la funzione
di «svolgere un ruolo di rilievo nell’educazione alimentare coinvolgendo bambini,
famiglie, docenti» (p.5), oltre che di «educazione ambientale e di educazione al consumo
e alla solidarietà in cui i ragazzi delle scuole siano coinvolti in merito a: riciclo dei
rifiuti organici (compostaggio); educazione al consumo (accettazione dei cibi, richieste
adeguate alla possibilità di consumo, ecc.); iniziative di solidarietà per la destinazione
del cibo ad enti assistenziali» (p. 25).
73
Cfr. Ministero della Salute, Linee di indirizzo nazionale per la ristorazione
scolastica , cit., dove si evidenzia la valenza interculturale della ristorazione scolastica:
«Adottare la prospettiva interculturale, la promozione del dialogo e del confronto tra
culture, significa non limitarsi soltanto a misure compensatorie quali le diete speciali,
ma organizzare una strategia di reale crescita della qualità fondata anche su criteri di
salute e prevenzione» (pp. 16-17).
74
Art. 41: «L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con
l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
78
Sul tema cfr. F. Leonini, La certificazione del rispetto delle regole alimentari
confessionali: norme statuali e libertà religiosa, in A.G. Chizzoniti ‒ M. Tallacchini (a
cura di), Cibo e religione: diritto e diritti, cit., pp. 144-154.
79
Sul reato di offesa alla religione dello Stato mediante vilipendio di persone e del reato
di turbamento delle funzioni religiose cfr. art. 403 c.p e 405 c.p come interpretati da
Cort. cost. 188/1975, nella quale si ricorda che «Il vilipendio, dunque, non si confonde né
con la discussione su temi religiosi, così a livello scientifico come a livello divulgativo,
né con la critica e la confutazione pur se vivacemente polemica; né con l’espressione
di radicale dissenso da ogni concezione richiamantesi a valori religiosi trascendenti,
in nome di ideologie immanentistiche o positivistiche od altre che siano. Sono, invece,
vilipendio, e pertanto esclusi dalla garanzia dell’art. 21 (e dell’art. 19), la contumelia,
lo scherno, l’offesa, per dir così, fine a sé stessa, che costituisce ad un tempo ingiuria
al credente (e perciò lesione della sua personalità) e oltraggio ai valori etici di cui si
sostanzia ed alimenta il fenomeno religioso, oggettivamente riguardato».
80
Sul tema F. Leonini, La certificazione del rispetto delle regole alimentari confessionali:
norme statuali e libertà religiosa, cit., pp. 144-154.
81
Art. 47: «La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina,
coordina e controlla l’esercizio del credito. Favorisce l’accesso del risparmio popolare
alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto
investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese».
82
Così Baroncelli S., Art. 47 in Bifulco R. ‒ Celotto A. ‒ Olivetti M. (a cura di),
Commentario alla costituzione, Vol. I, Torino, Utet giuridica 2006, p. 950.
83
Cfr. art. 5 Statuto Banca etica, in www.bancaetica.it.
84
Cfr. S. Alvaro, La finanza islamica nel contesto giuridico ed economico italiano, in
Consob, Quaderni giuridici – 6/2014, pp. 6-7 anche in www.tief2014.org: «Nell’Islam i
precetti contenuti nella Legge di Dio, la Shari’ah, non hanno una valenza limitata alla
sola sfera privata, ossia al rapporto intimo tra uomo e Dio, ma costituiscono principi
validi e cogenti per ogni settore della vita della comunità dei credenti (l’Umma). Il
fedele musulmano è tenuto ad osservare tali precetti anche nella sfera pubblica, sociale,
giuridica ed economica. È per questa ragione che l’economia e la finanza islamica
vengono intese, in prima approssimazione, come quell’insieme di pratiche, transazioni e
contratti che sono conformi ai dettami della Shari’ah, ossia alla Legge di Dio».
85
Cfr. S. Alvaro, op. cit., pp. 9-10.
Conclusioni
Il diritto al cibo accettabile da un punto di vista religioso non è tutelato dalla
Costituzione in modo esplicito e diretto. È stato tuttavia possibile una sua
ricostruzione costituzionalmente fondata poiché tale posizione giuridica ha
radici profonde, individuabili nelle disposizioni fin qui menzionate (artt. 3, 7,
8, 13, 19, 20, 32, 33, 34, 41, 43 Cost.). Da queste radici traggono la loro linfa
importanti ramificazioni, rappresentate dalle singole misure che consentono a
detenuti, studenti, malati, consumatori di poter accedere a un cibo conforme
alle rispettive prescrizioni religiose
Ma alla solidità e varietà delle radici (e cioè i diritti fondamentali di dignità
costituzionale) su cui si innerva il diritto al cibo e alla varietà delle ramifica-
zioni (e cioè le politiche pubbliche tese ad attuarli), si contrappone una grande
assenza: manca cioè quel che sta nel mezzo, ovvero un tronco robusto, il trait
d’union tra la linfa proveniente dai tanti diritti fondamentali – di rilievo costi-
tuzionale – e le misure che rendono effettiva la dimensione religiosa del di-
ritto al cibo. La circostanza che la Costituzione non tutela la dimensione reli-
giosa del diritto al cibo ma la dimensione alimentare della libertà religiosa ha
quindi una sua rilevanza. Da questa specifica configurazione, infatti, discende
la non obbligatorietà, per le amministrazioni pubbliche, di rendere effettivo
il diritto al cibo accettabile da un punto di vista religioso. Le misure descritte
nei casi ivi accennati (vitto dei detenuti, ristorazione scolastica o ospedaliera)
sono rimesse alla discrezionalità amministrativa delle autorità pubbliche e,
eccetto il caso della detenzione, sovente manca il presidio normativo, non
solo di grado costituzionale ma anche di grado legislativo ordinario.
Il punto allora è proprio questo: è accettabile, in un Paese civile, democra-
tico e plurale, che il diritto di mangiare secondo le proprie regole religiose
sia rimesso alle scelte amministrative di singole autorità pubbliche, locali o
centrali che siano?
Se questo fosse accettabile, allora il problema della configurazione di un dirit-
to al cibo religiosamente accettabile non si porrebbe; se non lo fosse – come si
ritiene che sia – emerge la necessità di disegnare un diritto al cibo accettabile
da un punto di vista religioso costituzionalmente fondato, dotato delle tutele
adeguate a garantirne la piena effettività.