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DEMOETNOANTROPOLOGIA
La salute mentale delle popolazioni indigene
Korowai, Indonesia
Uno dei principi costitutivi dell'OMS afferma che “il godimento del più elevato standard di
salute raggiungibile è uno dei diritti fondamentali di ogni essere umano senza distinzione di
razza, religione, fede politica, condizione economica o sociale". L’Organizzazione Mondiale
della Sanità considera la salute come "uno stato di completo benessere fisico, mentale e
sociale e non meramente l'assenza di malattia o infermità".
Le Popolazioni Indigene
È stato stimato che esistono circa 5000-6000 gruppi distinti di popolazioni indigene che
vivono in oltre 70 paesi del nostro pianeta. Il numero totale si avvicina a 250 milioni di
persone, approssimativamente il 4-5% della popolazione mondiale. Questa popolazione è
assai lontana dall’essere omogenea. Mentre potrebbe essere vero che le popolazioni
indigene condividano uno stretto attaccamento alla loro terra, comunemente prive della
prerogativa di nazione, soggette alla marginalità economica e politica ed oggetto di
discriminazione culturale ed etnica, esse mostrano un’ampia diversità negli stili di vita,
storia, culture, organizzazione sociale e realtà politica.
Le società indigene tendono a considerare sè stesse parte integrante dell’ordine universale,
a cui esse partecipano spiritualmente, che mantengono un’ influenza su ciò che accade al
nostro ambiente complessivo, come pure intima parte della Madre Terra, contribuendo e
partecipando a ciò che essa produce. Appunto per questo, nella maggior parte della nostra
storia passata, le società indigene sono state “vittime del progresso”. Ciò ha molto a che
vedere con la dimensione dell’armonia, sentimento che unisce un senso di appagamento,
sicurezza e realizzazione con un apprezzamento del calore dell’ambiente, la positiva
simbiosi degli elementi, la soddisfazione del benessere dell'essere umano, una coscienza
pacifica, in altre parole una combinazione di eventi. Questo sincronismo è l’elemento
naturale delle popolazioni indigene e c’è un urgente bisogno di riportarlo alla sua
precedente integrità.
Nel 1982, il Comitato economico e sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC) ha creato il Gruppo
di lavoro sui Popoli indigeni (WGIP), finalizzato allo sviluppo degli standard dei diritti umani
per la tutela dei popoli indigeni. ll Gruppo di lavoro è stato il risultato di uno studio del
relatore speciale José R. Martinez Cobo sul problema della discriminazione esercitata su di
essi. Nel 1985, il Gruppo di Lavoro ha iniziato a redigere un progetto di Dichiarazione sui
Diritti dei Popoli Indigeni. Nel 1993, ha raggiunto all’unanimità l’accordo su un testo finale
per il progetto che venne presentato alla Sottocommissione per la prevenzione della
discriminazione e la tutela delle minoranze e approvato dalla stessa nel 1994, il progetto è
stato poi inviato alla Commissione sui Diritti Umani delle Nazioni Unite, che ha adottato la
Dichiarazione nel giugno 2006.
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Diciassette dei quarantacinque articoli della Dichiarazione riguardano la cultura indigena e
le relative forme di tutela e promozione, rispettando il diritto dei popoli indigeni ad
intervenire a livello decisionale e permettendo l’accesso a varie forme di risorse, come
quelle finalizzate all’insegnamento delle lingue indigene.
Gli articoli confermano il diritto all’autodeterminazione dei popoli indigeni e ne riconoscono
i diritti ai mezzi di sussistenza e alle terre, ai territori e alle risorse.
Riconosce ai popoli indigeni, privati dei propri mezzi di sussistenza e sviluppo, il diritto a
richiedere un giusto ed equo risarcimento.
Condanna la discriminazione contro di essi, ne promuove la partecipazione piena e attiva in
tutti gli ambiti che li riguardano, nonché il diritto a diversificarsi e a perseguire il proprio
approccio in materia di sviluppo economico e sociale.
La Dichiarazione fa riferimento, tanto a livello individuale quanto collettivo, a diritti culturali
e di identità, al diritto a educazione, salute, lavoro, lingua. Il testo afferma che i popoli
indigeni hanno il diritto di godere pienamente di tutti i diritti umani e delle libertà
fondamentali, tanto collettivamente quanto individualmente, secondo quanto riconosciuto
dalla Carta delle Nazioni Unite, dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e dalla
disciplina legislativa internazionale sui diritti umani.
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Himba, Namibia.
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Huli, Nuova Guinea.
Le foto mozzafiato qui riportate provengono dalla raccolta di Jimmy Nelson pubblicata nel
suo libro “Before they pass away” del 2013.
Stando a quello che afferma Nelson, la sua missione consiste nel far sì che il mondo non
dimentichi il passato: “La cosa più importante per me è quella di creare una raccolta
fotografica che persista nel tempo, un lavoro che vuole essere un registro etnografico di un
mondo che sta svanendo rapidamente”.
Le sue immagini sembrano provenire dal XIX secolo, forse perché lo sono davvero:
echeggiano una visione colonialista che è ancora oggi profondamente distruttiva per i
popoli che vi si oppongono.
Il trattamento criminale, spesso genocida, riservato a molti popoli indigeni è sostenuto
proprio da una rappresentazione che non suscita in noi null’altro che una malinconica pena
per la perdita di una parte di storia. Naturalmente non c’è nulla di male nella nostalgia, ma
è molto grave presentare i crimini contro l’umanità come qualcosa di storicamente
inevitabile, di naturale e inarrestabile.
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La realtà dei brutali attacchi sferrati contro i popoli indigeni non dovrebbe essere rimossa
dal contesto fotografico.
I fattori di stress ai quali i popoli indigeni del mondo sono stati e continuano ad essere
esposti (epidemie, razzismo, violenza, perdita di territori e dislocazione, alti tassi di
morbosità e mortalità) si rivelano nei tassi relativamente alti di disordini mentali e problemi
comportamentali. Questi includono il ritardo mentale, l’epilessia, la depressione e l’ansia, il
suicidio e l’abuso di sostanze. Tuttavia, vista la diversità dei gruppi e l’assenza di una seria
attività dell’epidemiologia psichiatrica, non possiamo affermare con alcun grado di certezza
che lo status di salute mentale ed i bisogni di trattamento di un gruppo possono essere
estrapolati da un altro.
La creazione di una base di conoscenze è un passo essenziale nello sforzo di far incontrare
i servizi di salute mentale con i bisogni di trattamento delle popolazioni indigene del
mondo. Prima di tutto dobbiamo conoscere la distribuzione e la frequenza dei disordini
mentali tra popolazioni indigene: senza una comprensione dei bisogni di trattamento
diventa difficile sviluppare efficaci programmi di servizi. Dobbiamo comprendere le
credenze e gli atteggiamenti delle comunità riguardanti la malattia mentale ed i modi in cui
i popoli indigeni categorizzano i disordini mentali. Poiché i criteri diagnostici sono stabiliti
da popolazioni nord americane ed europee possono non essere appropriati per altre
popolazioni, potrebbe essere necessario ricalibrare gli algoritmi dei sintomi per arrivare a
diagnosi valide tra popoli diversi. Oltre a ciò, devono essere stabiliti appropriati regimi di
trattamento per specifiche popolazioni indigene, non soltanto per le tecniche usate in
psicoterapia, ma anche per la farmacologia. Nonostante sia stata dimostrata l’efficacia della
psicofarmacologia in diverse popolazioni, in realtà vi sono diverse differenze etniche e
nazionali nella risposta a tutti i farmaci psicotropi, cosicché la pratica del dosaggio ottimale
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ed i profili degli effetti collaterali variano significativamente tra le diverse popolazioni.
Devono essere stabilite linee guida per un determinato gruppo prima di avventurarsi in
regimi farmacologici che potrebbero dimostrarsi dannosi. In ultimo, anche se l’ampia
maggioranza delle popolazioni indigene non ha accesso all’assistenza biomedica
occidentale, tutti i gruppi umani hanno sviluppato sistemi attraverso i quali tentano di
combattere la malattia e ristabilire la salute degli individui malati.
Da una rassegna della letteratura internazionale emerge che l’abuso di sostanze, la
depressione e il suicidio rappresentano le aree di maggior bisogno riguardo la salute
mentale dei popoli indigeni. Questi problemi non possono essere separati dai contesti
sociali, culturali e storici in cui hanno luogo. Un approccio strettamente biomedico alla
depressione, per esempio, è insufficiente quando gli individui che cercano aiuto si trovano
costantemente di fronte a condizioni di vita che generano angoscia. Ciò non vuole
suggerire che il trattamento della depressione che si avvale dell’uso della psicofarmacologia
o della psicoterapia o di entrambe non è potenzialmente efficace. Ma indica che qualsiasi
programma sulla salute mentale per le popolazioni indigene deve offrire una psichiatria di
comunità con vedute abbastanza ampie per indirizzare allo stesso tempo i bisogni degli
individui e le realtà locali in cui essi vivono. Stabilire un programma efficace sulla salute
mentale per gli indiani Tarahumara del Messico settentrionale richiede una comprensione
del fatto che il loro concetto di malattia mentale si riferisce più direttamente a
comportamenti antisociali che ad altri sintomi di malattia mentale. Anche il concetto di
malattia organica prende forma da considerazioni culturali. Per esempio, i Tamang del
Nepal riconoscono il ritardo mentale principalmente dalla presenza di problemi del
linguaggio piuttosto che da sintomi di deficit cognitivi.
Conclusioni
Probabilmente la sfida più grande è che la condizione di salute delle popolazioni indigene
pretende dagli operatori sociali e dai clinici della salute mentale di trovare nuove strategie
attraverso le quali gestire la sofferenza degli individui e la sofferenza delle comunità.
Troppo spesso antropologi e sociologi accusano gli psichiatri di trasformare i problemi
sociali in condizioni mediche. Nondimeno gli esperti delle scienze sociali che collocano la
malattia interamente nell’ambito sociale negano l’esperienza personale della sofferenza. In
conclusione, deve essere trovato un modo per bilanciare queste due prospettive, per
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facilitare la trasformazione di quelle realtà sociali che generano angoscia e, allo stesso
tempo, occuparsi di quegli individui bisognosi di assistenza.
Alex Cohen, La salute mentale delle popolazioni indigene: un panorama internazionale.
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