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MEDICINA DEL LAVORO

Prof. Ledda
Appunti di Flavia Iovino
POLO B

La ​medicina del lavoro​ è quella branca della medicina che si occupa della prevenzione, della diagnosi
e della cura delle malattie causate dalle attività lavorative.
I principi generali riguardo la tutela dei lavoratori sono contenuti nella Costituzione della Repubblica.
In questi due articoli sono riassunti alcuni diritti fondamentali del cittadino:
- Art. 1 “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”;
- Art. 32 “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse
della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”;
- Art. 35 “La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni. Cura la formazione
e l’elevazione professionale dei lavoratori. Promuove e favorisce gli accordi e le
organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro”
- Art. 41 “L’iniziativa economica privata è libera: non può svolgersi in contrasto con l’utilità
sociale, o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità”
La medicina del lavoro​ è la disciplina medica che per eccellenza deve contribuire al rispetto della
garanzia di congruenza tra due pari diritti: lavoro e salute.
Poco potrà fare riguardo la mancanza del primo, seppur considerando come spesso la mancanza del
lavoro possa tradursi in una mancanza di salute per ragioni fisiche, psichiche o sociali.
Molto può invece nei confronti del secondo diritto.
Quindi, la medicina del lavoro, è una disciplina specialistica rivolta allo studio di un capitolo speciale
di patologie umane quelle la cui insorgenza può essere legata alle attività lavorative, esplicate nei
diversi settori del lavoro. E’ l’anello centrale che lega il mondo del lavoro, la salute umana e la
medicina.
Indagare la clinica, la natura, i meccanismi patogenetici delle malattie professionali comprendendo
anche il loro trattamento terapeutico e riabilitativo è parte della disciplina. Ma ancora più
importante è la prevenzione delle malattie professionale sia quindi come prevenzione primaria che
poi secondariamente per perseguirne l'obiettivo della regressione, o quantomeno dello stabilizzarsi
dei singoli quadri patologici (prevenzione terziaria).
La medicina del lavoro deve:
- basarsi sulla ricerca scientifica ed epidemiologica, clinica e traslazionale
- impedire che il lavoro possa provocare danno alla salute del lavoratore
- curare e riabilitare il lavoratore che abbia conseguito un danno dalla propria professione
Il ​medico del lavoro​ dovrebbe conoscere tutte le branche della medicina, avendo delle solide radici
per quanto riguarda l’epidemiologia, la tossicologia, la statistica, la fisica, microbiologia, fisiologia e
le scienze mediche di base in generale per avere piena conoscenza di quali sono i fattori di rischio e
come essi si comportano all’interno dell’uomo nell’ambiente professionale.

La medicina del lavoro è nata molto tempo addietro, “i lavori causano danno e le arti manuali hanno
una cattiva fama presso le comunità civili” a detta di Ippocrate e già nel medioevo nasce il primo
trattato di Agricolae che parlò per primo della distinzione tra infortunio e malattia professionale e di
come ad ogni esposizione corrisponda un organo bersaglio (se mi espongo alle polveri, l’organo
bersaglio sarà il polmone). Paracelso, più avanti, disse: “tutto è veleno, solo la dose fa in modo che il
veleno non faccia effetto”.
Il vero primo padre della medicina del lavoro fu il Professor Bernardino Ramazzini (nato nel 1833 e
morto nel 1914), un Italiano, che scrisse il primo trattato di medicina del lavoro, nonostante la sua
intensa attività professionale di medico e docente, egli si dedicò all’osservazione degli ambienti di
lavoro e alla comunicazione con i lavoratori più umili per valutare le caratteristiche dei loro disturbi:
nell’indagine nella popolazione lavorativa egli formula dei suggerimenti per evitare in oltre 50 tipi di
occupazione danni probabilmente legati ad esse. La sua famosa espressione “prevenire è meglio che
curare” esprime la sua dedizione a questa tematica.
Successivamente, nel 1818, viene pubblicato il primo trattato di tossicologia in cui le malattie
professionali e gli infortuni vengono catalogati anche dato il boom di industrializzazione.
In Italia, a Milano, il Professor Luigi Devoto volle a tutti i costi un reparto dedicato ai soggetti che
subivano infortuni o soffrissero di malattie professionali.

La WHO definisce la ​salute​ come: “stato di completo benessere fisico psichico e sociale e non la
mera assenza di malattia”.
Sui determinanti di salute la disciplina medica riconosce:
- età, sesso, fattori ereditari
- stile di vita
- rete sociale
- condizioni generali socio-economiche ed ambientali tra cui:
- l’ambiente lavorativo
- qualità di vita e di lavoro
Il ​lavoro​ può essere definito come un estrinsecazione di energie fisiche e psichiche dirette alla
produzione di beni e servizi, necessari o utili alla collettività.
L'obiettivo della medicina del lavoro è quello di interrompere la catena (LAVORO-)RISCHIO-DANNO
in ambiente lavorativo con interventi di prevenzione tecnica e medica.
Il DRP del 30 Luglio 1965 (n. 1124) che dispone dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul
lavoro e le malattie professionali spiega che:
1. L’​infortunio​ è un qualunque evento che rechi un danno alla persona verificatosi per ragioni
di lavoro, nell’ambiente di lavoro ed in un periodo di tempo breve (causa violenta che porta
all’effetto entro un turno di 8h).
2. Per ​malattia professionale​ si intende il danno al lavoratore che si verifica in un periodo di
tempo più lungo (causa non violenta).
Le malattie professionali sono malattie che possono manifestarsi solo in presenza sul luogo di lavoro
di uno specifico agente nocivo, sono meglio diagnosticabili:
- malattie ad eziologia occupazionale (mesotelioma maligno pleurico correlato all’esposizione
alla fibra di asbesto).
- malattie ad insorgenza multipla che con specifici indicatori strumentali o laboratoristici
possiamo identificane l’agente eziologico in ambito lavorativo (asma professionale, ipoacusia
da rumore, anemia da piombo).
3. Le ​malattie correlate al lavoro​ hanno eziologia multipla ma non esistono specifici indicatori
per l’agente eziologico (stress lavoro correlato DPCO), la diagnosi differenziale è molto
critica, tuttavia, seguendo il metodo scientifico spesso è possibile risalire alla probabilità che
questo accada.
Lo schema proposto dal NIOSH (National Institute for Occupational Safety and Healt) dell’agenzia
federale degli Stati Uniti permette di valutare l’eziologia professionale di una malattia, si articola in 6
passaggi:
1. EVIDENZA LEGATA ALLA PATOLOGIA: di che patologia si tratta? quale certezza diagnostica si
ha per la patologia in esame? quali evidenze scientifiche supportano o confutano la
diagnosi?
2. EPIDEMIOLOGIA: quali dati epidemiologici sono disponibili? i dati supportano il legame
eziologico professionale?
3. EVIDENZA DI ESPOSIZIONE: quale evidenze ci sono a supporto del fatto che il tempo, la
frequenza e l'intensità di esposizione siano compatibili con l’insorgenza della patologia?
4. CONSIDERAZIONI SU ALTRI FATTORI EZIOPATOGENETICI: quali altri fattori potrebbero essere
messi in causa?
5. VALIDITÀ DELLA LETTERATURA: ci sono informazioni contrastanti al riguardo in letteratura?
6. CONCLUSIONI: sintesi dei passaggi precedenti

In Italia esiste un Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (INAIL), un ente
pubblico sottoposto alla vigilanza del ministero del lavoro, fondato nel 1888 che garantisce
l'assicurazione (obbligatoria) per tutti i dipendenti (mentre non rientrano nella copertura
assicurativa dell’INAIL i lavoratori con p.IVA e i MMG ad esempio).
Esiste l’obbligo di segnalazione all’autorità giudiziaria (ASP, ispettorato del lavoro, organo di vigilanza
dell’ASL) di un probabile infortunio o malattia legata al lavoro, di responsabilità di qualunque medico
sia per favorire gli organi competenti sulle future attività preventive e di sorveglianza sia a scopo
epidemiologico.
La denuncia INAIL è a carico del lavoratore o del datore di lavoro anche grazie alla consultazione del
medico MMG o di pronto soccorso: si va a dimostrare il riconoscimento di una malattia
probabilmente legata all’ambiente lavorativo.

Il decreto legislativo 81 del 2008 (con le sue successive modifiche) è il testo unico in materia di salute
e sicurezza in ambiente di lavoro che oggi viene utilizzato per quanto concerne l’uso di DPI, la
segnaletica, la manipolazione di manuale da carico, le sostanze pericolose, gli agenti biologici e tutte
le disposizioni in ambito civile e penale riguardo la salute e la sicurezza in ambiente lavorativo.
Principi fondamentali del decreto Lgs 81/08:
- Al datore di lavoro sono assegnati degli obblighi specifici raramente delegabili (il direttore
generale di un’azienda ospedaliera, l’amministratore di una società X sono le figure che
rappresentano il datore di lavoro).
- E’ obbligatorio valutare il rischio aziendale.
- E’ obbligatorio definire le figure del medico competente e del rappresentante dei lavoratori
per la sicurezza.
- Sono previsti obblighi generali di tutela.
L’art. 2​ definisce chi è il lavoratore:
E’ la persona che indipendentemente dalla tipologia contrattuale svolge un’attività lavorativa
nell’ambito di un'organizzazione pubblica o privata, con o senza retribuzione, anche al solo fine di
apprendere un’arte o un mestiere (vigili del fuoco, studenti, ecc.) escludendo i servizi domestici e
familiari della propria abitazione.
L’art. 15​ da delle misure generali di tutela:
Il datore di lavoro deve provvedere a valutare o a far valutare tutti i rischi per la sicurezza dei
lavoratori e deve stabilire un piano di prevenzione in modo che il luogo di lavoro sia sempre più
sicuro cercando di eliminare qualsiasi rischio.
L’art. 25​ delinea la figura del medico competente:
Egli è un medico che si fa carico di collaborare con il datore di lavoro (DDL) e con il servizio di
prevenzione e protezione alla valutazione dei rischi (RSPP), che debba fare la sorveglianza sanitaria,
che debba predisporre anche azioni preventive per la salute dei lavoratori (veri e propri programmi
di prevenzione sulla salute: favorire l’attività fisica, la dieta mediterranea, gestire i turni notturni,
ecc.), e possedere una cartella sanitaria di rischio per ogni lavoratore (contenente dati altamente
sensibili e da egli custodita fino alla cessazione dell’incarico mantenendo il segreto professionale),
fornendo informazioni al lavoratore e dando le opportune spiegazioni riguardo agli interventi di
sorveglianza e ai sopralluoghi (almeno una volta l’anno con cadenza differente in base alla
valutazione dei rischi), ecc.
Il medico competente è un medico laureato in medicina ed in possesso dell’abilitazione, essere
docente di medicina del lavoro o altri insegnamenti affini (igiene e medicina preventiva o medicina
legale) o essere specializzato in medicina del lavoro, o deve essere autorizzato da un precedente
decreto legislativo (per coloro che esercitavano). Deve aver frequentato un master abilitante alle
funzioni di medico competente.
Il ruolo di medico competente potrebbe essere assunto da impiegati delle forze armate qualora
abbiano avuto un’esperienza in medicina del lavoro per almeno 4 anni.
Il medico competente è uno tra i medici più controllati, oltre all’ordine professionale deve essere
iscritto ad un albo specifico (elenco istituito dal ministero della salute) in cui il medico ha l’obbligo di
portare a termine gli ECM determinati ogni triennio.
L’art. 39​ chiarisce quale possa essere l’attività del medico competente: spesso è un libero
professionista che svolge la sua attività in più aziende.
L’ICHO (Commissione Internazionale per la Salute sul Lavoro) è una società internazionale non
governativa professionale i cui obiettivi sono promuovere il progresso scientifico, la conoscenza e lo
sviluppo della salute e della sicurezza sul lavoro in tutti i suoi aspetti.
L’ICHO è stata fondata a Milano nel 1906 ed è una commissione permanente che consta di più di
2000 professionisti provenienti da più di 20 paesi del mondo.
La legislazione italiana si affida a questa organizzazione per designare gli obblighi ed il lavoro della
figura del medico competente.
L’art. 41 ​parla della sorveglianza sanitaria: che consta di una visita medica preventiva (intesa a
constatare la presenza di eventuali controindicazioni al lavoro, al fine di valutare la sua idoneità alla
mansione specifica), delle visite mediche periodiche (monitorandolo nel tempo, in genere ogni anno,
ogni due anni con una periodicità definita anche in base al rischio del lavoratore stesso), delle visite
mediche su richiesta (richieste direttamente dal lavoratore all’occorrenza), visite mediche in
occasione del cambio di mansione e in cessazione dell’attività lavorativa. Non possono essere
rischieste visite mediche con lo scopo di accertare lo stato di gravidanza o in altri casi vietati dalla
normativa vigente.
Alla fine di ogni visita medica, il medico competente aggiorna la cartella sanitaria di rischio ed
emette un giudizio nei confronti del lavoratore: IDONEITA’, IDONEITA’ PARZIALE (temporanea o
permanente con determinate limitazioni), INIDONEITA’ (temporanea o permanente, in questo caso il
datore di lavoro dovrebbe predisporre un nuovo incarico al lavoratore garantendo lo stesso
compenso economico di quello di provenienza).
Ovviamente, il lavoratore può anche non accettare il giudizio del medico competente e in questo
caso può fare un ricorso (entro 30 giorni dalla comunicazione del giudizio) all’organo di vigilanza, il
quale può disporre ulteriore accertamenti a conferma, modifica o revoca del giudizio stesso.
- momento CLINICO (a livello individuale del singolo lavoratore):
1. deve identificare i soggetti affetti da particolari patologie o fattori di rischio individuali,
ricercando eventuali condizioni di malattia in uno stadio precoce, evitando un eventuale
peggioramento associato all’attività lavorativa.
2. deve monitorare nel tempo lo stato di salute del lavoratore e valutare la prevalenza ed
incidenza di malattia in funzione dell’età, sesso e della loro distribuzione alle varie mansioni.
- momento PREVENTIVO (a livello di gruppo lavorativo):
1. deve contribuire alla valutazione del rischio collettivo mediante studi retrospettivi ed
identificare quali lavoratori sulla base psicofisica sono in grado di sopportare delle condizioni
lavorative maggiormente impegnative.
2. deve valutare l’adeguatezza delle misure di prevenzione e raccogliere dati clinici per
confrontare gruppi di lavoratori nel campo ed in diversi contesti lavorativi.
Quindi i 6 step basati sul metodo scientifico che si intrecciano nel corso della sorveglianza sanitaria
sono:
1. identificare lavoratori a rischio per i quali vanno previste misure protettive più cautelative;
2. identificare i casi di malattia professionale;
3. identificare alterazioni precoci dello stato di salute per intervenire prima che la condizione di
aggravi;
4. contribuire alla valutazione dei rischi
5. verificare nel tempo l’adeguatezza delle misure di prevenzione;
6. raccogliere dati clinici per operare nei confronti dei lavoratori nel tempo;

Quando si presenta un paziente bisogna sempre chiedere qual è l’arte che eserciti, bisogna sempre
tenere presente che il soggetto potrebbe presentare una patologia correlata al lavoro o una malattia
professionale.
Nel corso dell’​anamnesi lavorativa​, il paziente deve descrivere, in ordine cronologico, tutte le attività
che ha svolto sin’ora. Il medico competente richiede questa procedura anamnestica già alla prima
visita preventiva per qualsiasi tipo di lavoro (manuali e lavori di concetto).
E’ obbligatorio che ogni medico del lavoro denunci la presenza di malattie professionali pregresse e
se il lavoratore ha già una pratica assicurativa avviata presso l’INAIL.
Ovviamente è importante descrivere nel dettaglio il luogo di lavoro, il tipo di mansione che si esegue
e una tipica giornata “tipo”, le misure protettive DPI impiegate, descrivere gli strumenti di lavoro che
si utilizzano e le sostanze presenti ed i loro usi.
Nell’anamnesi lavorativa si deve poi descrivere la condizione microclimatica e di ventilazione del
posto di lavoro, riferire l’esposizione ad ambienti rumorosi o a vibrazioni, ad agenti tossici (ad
esempio inalanti), al calore, a note sostanze cancerogene, radioattive o radiazioni.
Bisogna poi descrivere i programmi di medicina del lavoro e di sorveglianza sanitaria, di igiene
industriale, di monitoraggio biologico eventualmente prima effettuati (se effettuati).
Tutto questo è importante considerando il concetto di “latenza”, è probabile che un lavoratore
esposto a determinati fattori ambientali possa sviluppare una patologia in qualche modo correlata o
causata direttamente dalle sue esperienze lavorative, anche pregresse.
Inoltre è anche importante dichiare quali sono gli hobby, lo sport praticato, le abitudini del tempo
libero se ne ha del lavoratore perché anche alcune pratiche fuori dall’ambiente lavorativo (pittura,
saldatura, lavorazione del legno, ecc.) possono esporre a dei rischi che è bene considerare
all’anamnesi. Anche le sostanze eventualmente utilizzate per la pulizia non solo degli ambienti di
lavoro ma anche casalinghi, l’uso di contenitori o stoviglie a fini alimentari di particolari materiali.
L’​anamnesi familiare​ è essenziale, il medico competente deve venire a conoscenza di eventuali
fattori genetici predisponenti (carenza di G6PD, sferocitosi, sindrome di Gilbert, diabete mellito,
ecc.) per consentire al lavoratore di lavorare in sicurezza.
E’ poi opportuno inviare al proprio medico competente l’​anamnesi fisiologica​ delle proprie abitudini
di vita (dieta, attività fisica, sessuale, la riproduzione, tossici voluttuari), l’​anamnesi patologica
remota​ (per la presenza di episodi patologici pregressi non correttamente inquadrati: bronchiti,
condizioni simil-influenzali o episodi patologici noti come epatopatie, allergie, ecc.), ​l’anamnesi
patologica prossima​ (salute dei colleghi di lavoro, presenza di sintomi o assenza di sintomi durante
l’allontanamento dal luogo di lavoro, ecc.).
Nella nostra regione esistono 4 siti di interesse nazionale: l’area industriale di Milazzo, Siracusa,
Biancavilla (a causa della contaminazione naturale di fluodoadenite) e Gela. Sono tutti luoghi che
all’anamnesi ambientale dovrebbero essere ovviamente riferiti se luoghi di abitazione: esiste la
possibilità che sia stata l’esposizione abitativa a determinati fattori ambientali e non l’ambiente
lavorativo a creare eventualmente problematiche di salute nel soggetto considerato.
Dovrebbe infine anche essere considerato il lavoro del coniuge: in passato si sono verificati casi di
mogli di soggetti che lavoravano in impianti di eternit (amianto) ammalatesi di mesotelioma pleurico
poiché procedevano alla pulizia delle tute di lavoro.
Anche l’eventuale esposizione ad eventi accidentali: incendi, sversamenti di sostanze tossiche, ecc.
L’inquinamento delle acque, l’inquinamento ambientale (es. ETNA, esalazioni vulcaniche).
Il lavoratore stesso FIRMA per presa visione la cartella sanitaria, assumendosi la responsabilità di
eventuali omissioni.

La corretta raccolta di tutte le informazioni anamnestiche permette di effettuare eventuali indagini


diagnostiche di approfondimento nella fase di sorveglianza sanitaria, in modo molto più accurato nei
confronti dello specifico paziente (RX, esami tossicologici, audiometria, pletismografia digitale,
spirometria, ecc.).

L’art. 28​ del decreto Lgs. 81/08 parla della valutazione del rischio: essa deve riguardare tutti i rischi a
cui il lavoratore è sottoposto compresi quelli riguardanti lo stress lavoro-correlato, le lavoratrici in
stato di gravidanza (secondo quanto previsto dal decreto legislativo 151/01), nonchè quelli connessi
a differenze di genere, età (aging and work, l’età media della forza lavoro europea sta aumentando,
anche in questo momento pandemico ad esempio i medici in pensione sono tornati al lavoro al fine
di dare una mano al SSN), provenienza da altri paesi e quelli correlati allo specifico contratto del
lavoratore.
L’art. 15​ indica le misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di
lavoro, e sono:
a) la valutazione di tutti i rischi per la salute e sicurezza;
b) la programmazione della prevenzione, mirata ad un complesso che integri in modo coerente
nella prevenzione le condizioni tecniche produttive dell'azienda nonché l'influenza dei fattori
dell'ambiente e dell'organizzazione del lavoro;
c) l'eliminazione dei rischi e, ove ciò non sia possibile, la loro riduzione al minimo in relazione
alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico;
Per​ rischio​ si intende la probabilità che sia raggiunto il limite potenziale per cui una determinata
attrezzatura di lavoro possa essere danno per i singoli lavoratori. Dal potenziale di arrecare danno
(pericolo) il lavoratore può giungere in una condizione di probabilità conclamata che il rischio
colpisca il lavoratore, per fare due esempi limite:
c’è uno squalo in mare e si decide di fare una nuotata;
durante un temporale si lascia l’abitazione per ripararsi sotto ad un albero;
Il ​pericolo​ rappresenta il potenziale di arrecare un danno, il rischio la probabilità.
Per questo un obiettivo fondamentale della medicina del lavoro è quello di valutare e calcolare il
rischio.
La valutazione del rischio viene effettuato dal medico competente insieme alla figura dell’RSPP:
l’approccio della medicina del lavoro è uguale in qualunque ambiente lavorativo, andando a
contestualizzare in ogni settore la valutazione specifica.
Una volta individuato il rischio bisogna tentare di eliminarlo. Per farlo esistono una serie di misure
preventive:
- ELIMINARE O SOSTITUIRE IL RISCHIO
- CONTROLLARE LA SORGENTE
- IMPLEMENTARE LE PROCEDURE OPERATIVE
- DPC
- DPI
In una gerarchia di controlli per cui, in realtà, in termini di prevenzione e protezione più efficaci sono
quelli che alla base riducono il rischio senza lasciare al singolo individuo la possibilità di applicare la
riduzione del rischio (tramite l’uso di dispositivi di protezione individuale, ad esempio).
Per​ danno​ si intende una lesione o un’alterazione dello stato di salute già verificatesi in seguito
all’esposizione ad un fattore di rischio o pericolo.
Se la probabilità di incontrare il rischio è altamente improbabile, perché ad esempio il danno si può
verificare solo a seguito di una concatenazione di eventi improbabili e la gravità del danno sarebbe
comunque lieve (l’infortunio sarebbe di natura temporanea con effetti reversibili) abbiamo una
situazione di BASSO RISCHIO, un basso INDICE DI RISCHIO (< 4 pt, R = P x D). Quando il rischio è
molto probabile ALTO o ALTISSIMO, alto INDICE DI RISCHIO, il datore di lavoro deve prendere delle
decisioni immediate per la salvaguardia della salute e sicurezza dei lavoratori, è inammissibile
esporre i lavoratori ad un rischio alto o altissimo.
Ad esempio i rischi specifici per gli operatori sanitari sono questi (suddivisi in 5 categorie):
1. BIOLOGICO: HBV, HCV, HIV, TBC, altri agenti infettanti (scabbia, meningite, morbillo, rosolia,
varicella, ecc.).
2. FISICO: radiazioni ionizzanti e non ionizzanti, radioisotopi, rumore, vibrazioni, microclima,
illuminazione.
3. CHIMICO: farmaci chemioterapici antiblastici, gas anestetici, sterilizzanti (formaldeide,
glutaraldeide, acido peracetico, ossido di etilene, ecc.), detergenti e disinfettanti, reagenti di
laboratorio (acidi, solventi, ecc.).
4. ALLERGOLOGICO: agenti sensibilizzanti cutanei e respiratori (lattice, formaldeide,
glutaraldeide, farmaci, ecc.).
5. ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO: infortuni (sul tavolo operatorio ad esempio),
movimentazioni manuali di carichi pesanti, posture incongrue, lavoro notturno (correlato ad
alcuni tumori come mammella e colon), stress lavoro correlato.

RISCHIO BIOLOGICO
Il termine rischio biologico indica la probabilità di sviluppare una malattia, quasi sempre di tipo
infettivo, a seguito dell’esposizione ad agenti biologici, microrganismi o colture cellulari.
Il rischio biologico, in inglese BIOHAZARD indica il termine ed il simbolo associati all’avvertimento
per evitare l'esposizione senza le dovute precauzioni e per indicare la corretta procedura di
smaltimento dei rifiuti connessi.

Il testo unico da nell’art. 267 delle definizioni precise e puntuali riguardo:


AGENTE BIOLOGICO
Qualsiasi microrganismo anche se geneticamente modificato, coltura cellulare ed endoparassita
umano che potrebbe provocare infezioni, allergie o intossicazioni.
MICRORGANISMO
Qualsiasi entità microbiologica, cellulare o meno, in grado di riprodursi o trasferire materiale
genetico.
COLTURA CELLULARE
Il risultato della crescita in vitro di cellule derivate da organismi pluricellulari.

Nel 1974, nel manuale: “Classification of Etiologic Agents on the Basis of Hazard” vengono classificati
in 4 livelli di rischio gli agenti infettivi e le attività di laboratorio.
Venne quindi per la prima volta introdotto il concetto di classificazione dai Centers for Diseases
Control and Prevention (USA).
Tale suddivisione, è stata ripresa nelle varie edizioni del “Biosafetyin Microbiologicaland
BiomedicalLaboratories” (BMBL) dei CDC; e nel “Laboratory biosafety manual” del WHO e
rappresenta tuttora una linea guida fondamentale per la valutazione e la classificazione del
potenziale rischio biologico connesso alle varie attività biomediche e microbiologiche svolte in
laboratorio.
1:​ Presentano poche probabilità di causare malattie in soggetti umani. -> rischio BASSO individuale e
collettivo.
2:​ Possono causare malattie nell’uomo e costituiscono un rischio per i lavoratori; è poco probabile
che si propaghino nella comunità e sono di norma disponibili efficaci misure profilattiche e
terapeutiche (i.e. Clostridium tetani, Staphilococcus spp., Candida spp., virus del morbillo, virus della
parotite, virus della rosolia, varicella zoster virus). -> rischio MODERATO a livello individuale e
LIMITATO a livello collettivo.
3:​ Possono causare malattie gravi nell’uomo e costruire un serio rischio per i lavoratori; possono
propagarsi nella comunità, ma di norma sono disponibili efficaci misure profilattiche e terapeutiche
(i.e. Salmonella typhi, Mycobacterium tuberculosis, HIV, HBV, HCV). -> rischio ELEVATO a livello
individuale e LIMITATO a livello collettivo.
4:​ Possono provocare malattie gravi in soggetti umani e costituire un serio rischio per i lavoratori e
possono presentare un elevato rischio di propagazione nella comunità. Non sono di norma
disponibili efficaci misure profilattiche e terapeutiche (i.e. virus Ebola). -> rischio ELEVATO sia a
livello individuale che collettivo.
La classificazione del rischio biologico è utile al fine di identificare la comunicazione agli organi di
vigilanza riguardo l’identificazione di un rischio biologico: il datore di lavoro ha l’obbligo di
comunicare il rischio biologico.
2:
1. comunicare agli organi di vigilanza entro 30 giorni prima dell’inizio dei lavori
3​:
1. comunicare agli organi di vigilanza entro 30 giorni prima dell’inizio dei lavori;
2. valutare il rischio e le conseguenti misure preventive (i.e. contenimento fisico) e protettive,
tra cui il programma di emergenza per proteggere i lavoratori contro i rischi di esposizione;
3. iscrivere gli addetti ai lavori in un registro, istituito ed aggiornato dal datore di lavoro, in cui
deve essere riportato, per ognuno, l’attività svolta, l’agente utilizzato e gli eventuali casi di
esposizioneindividuale.
4:
1. comunicare all’organo di vigilanza entro 30 giorni prima dell’inizio dei lavori;
2. richiedere l’autorizzazione al Ministero della Salute (bisogna dimostrare di essere in grado di
lavorare con questi agenti di rischio);
3. valutare il rischio e le conseguenti misure preventive (i.e. contenimento fisico) e protettive,
tra cui il programma di emergenza per proteggere i lavoratori contro i rischi di esposizione;
4. i lavoratori addetti devono essere iscritti in un registro, istituito ed aggiornato dal datore di
lavoro, in cui deve essere riportato, per ognuno, l’attività svolta, l’agente utilizzato e gli
eventuali casi di esposizione individuale.
Gli agenti biologici presentano alcune peculiarità che ci permettono di classificarli meglio nelle 4
classi di rischio:
INFETTIVITA’​: numero di microrganismi necessari a causare un’infezione, è una grandezza misurabile
che normalmente viene indicata come DI50 (Dose Infettante) ed esprime il numero di microrganismi
necessari per causare un’infezione rilevabile nel 50% degli animali sottoposti a contagio
sperimentale.
TRASMISSIBILITA’​: capacità dell’agente di trasmettersi ad altri soggetti.
PATOGENICITA’​: capacità dell’agente di produrre una malattia dopo essere penetrato
nell’organismo.
NEUTRALIZZABILITA’​: possibilità di avere strumenti terapeutici o preventivi (i.e. vaccini).
Gli agenti biologici possono causare principalmente 3 tipi di malattie:
1. INFEZIONI;
2. ALLERGIE;
3. TUMORI.
In ambito occupazionale calcoliamo un:
- rischio biologico ​GENERICO​: presente in tutti gli ambienti di lavoro (rischio di contrarre un
virus influenzale in ambiente di lavoro).
- rischio biologico ​SPECIFICO​: proprio della mansione svolta, si suddivide in rischio biologico
DELIBERATO (una determinata attività prevede l’uso intenzionale di agenti biologici, ad
esempio nei laboratori di ricerca, questo è un rischio del ricercatore che studia il SARS-CoV
2) e POTENZIALE (esposizione non intenzionale ad agenti biologici, ad esempio colleghi che
lavorano in un reparto COVID-19).
Gli agenti biologici possono essere poi suddivisi per via di trasmissione:
- respiratoria: per inalazione di aerosol o polveri contaminati da microrganismi; rappresenta il
caso più frequente.
- orale: derivante dal trasporto di agenti patogeni attraverso il meccanismo mano-bocca,
prevalentemente legato a cattive abitudini procedurali ed igieniche.
- parenterale occulta: determinata dall’inoculo accidentale di microrganismi, attraverso
mucose o cute lesa (ferite presenti o generate durante il lavoro).
In relazione al tipo di veicolo si riconoscono 5 macro categorie:
1. Rischio biologico da contatto con agenti patogeni veicolati da essere umani.
2. Rischio biologico da veicoli organici.
3. Rischio biologico da contatto con animali.
4. Rischio biologico da contatto con veicoli vegetali.
5. Rischio biologico da veicoli non organici (pensiamo ai casi di Legionellosi che si possono
verificare nei luoghi di lavoro, il veicolo è inorganico).
Le malattie più comunemente trasmesse da agenti biologici presenti in ambiente sanitario sono:
- HBV
- HCV
- HIV
- Tubercolosi
- Tetano
- Morbillo
- Parotite
- Rosolia
- Varicella
La maggior parte di esse, sono tutte quante patologie prevenibili da vaccino (escludendo l’HCV e
l’HIV) pertanto la prevenzione primaria ha un ruolo fondamentale in questo caso.

I ​vaccini ​sono dei preparati ad elevato potere antigenico in grado di indurre immunità attiva nei
riguardi di determinati patogeni, al fine di proteggere dalle rispettive infezioni o dalla malattia.
Gli ambienti di vita e di lavoro sono potenzialmente contaminati da microrganismi patogeni e le
persone possono, in determinati momenti, essere contagiose per una o un’altra malattia infettiva.
Una malattia infettiva può verificarsi essenzialmente in presenza di due condizioni: da un lato una
esposizione efficace, dall’altro la recettività della persona esposta all’agente infettante in causa.
In ambito lavorativo la possibilità che si verifichi una esposizione efficace dipende dalla natura e
dalle modalità dell'attività svolta, dagli ambienti, dalle aree geografiche e da specifiche condizioni
accessorie co-presenti.
Il rischio di ammalarsi può essere maggiore (rischio GENERICO AGGRAVATO) a causa della
concentrazione di soggetti infetti, dei materiali contaminati e delle peculiari caratteristiche dei
compiti svolti e il rischio di contagio diviene ancora maggiore (rischio SPECIFICO) a causa di un
contatto non protetto con un soggetto contagioso o con materiali infetti (ciò ad es. si verifica in
ambito sanitario per la tipologia di pazienti e di manovre assistenziali, per le caratteristiche delle
attrezzature e degli ambienti, per l’organizzazione del lavoro (procedure operative e carichi di
lavoro).
Il Codice Civile all’art. 2087​ stabilisce che «l’imprenditore è tenuto ad adottare, nell’esercizio
dell’impresa, le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono
necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro».
Anche ​il Parlamento Europeo nella Direttiva 2000/54/CE​ ribadisce l’importanza della profilassi
vaccinale a carico del datore di lavoro.
Ne consegue che, attraverso il Medico Competente, il Datore di Lavoro assolve tale obbligo
assicurando ai lavoratori anche la necessaria copertura vaccinale laddove prevista e attuabile.
Il ​piano di prevenzione vaccinale​ (2017-2019) è il documento di riferimento in cui si riconosce la
priorità in sanità pubblica di ridurre o eliminare la diffusione delle malattie infettive prevenibili da
vaccino attraverso l’individuazione di strategie efficaci e omogenee da implementare sull’intero
territorio nazionale.
Tra gli obiettivi del piano, per i professionisti sanitari è previsto un adeguato intervento di
immunizzazione per quanto riguarda: influenza, HBV, MPR, anti-varicella e pertosse.
L’immunizzazione attiva degli operatori sanitari, non solo è importante per la protezione del singolo
operatore ma è una forma di garanzia nei confronti dei pazienti ai quali l’operatore potrebbe
trasmettere l’infezione determinando danni gravi o addirittura fatali.
Anche per noi studenti dell’area sanitaria le vaccinazioni sono fortemente raccomandate.
Nonostante le raccomandazioni però le coperture non sono soddisfacenti: in Spagna su 560 O.S.
(non vaccinati durante l’infanzia per DTP) presso ospedali pediatrici solo il 51% ha Ig protettive
contro B. pertussis, in Francia su 550 studenti di medicina coperture osservate: 79% MMR, 24%
Meningite, 5% Influenza, anche in Italia la situazione è tale: su 5336 operatori sanitari distribuiti sul
territorio italiano i non vaccinati erano il 20,8% del campione.
Questo ha delle ricadute sostanziali sulla popolazione e tra gli OS con la nascita di epidemie anche
nella popolazione sanitaria (ad esempio di morbillo).
La vaccinazione antiinfluenzale è raccomandata, e offerta gratuitamente, ad alcune categorie di
lavoratori:
1. Medici e personale sanitario di assistenza nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e
socioassistenziali.
2. Soggetti addetti a servizi pubblici di primario interesse collettivo: personale degli asili nido,
insegnanti scuole dell’infanzia e dell’obbligo; addetti poste e telecomunicazioni; dipendenti
pubblica amministrazione e difesa; forze di polizia incluso polizia municipale; volontari servizi
sanitari di emergenza; personale di assistenza case di riposo.
3. Personale che, per motivi occupazionali, è a contatto con animali che potrebbero costituire
fonte di infezione da virus influenzali non umani: detentori di allevamenti; addetti all’attività
di allevamento; addetti al trasporto di animali vivi; macellatori e vaccinatori; veterinari
pubblici e libero-professionisti.
Uno studio pubblicato sul Journal of Hospital Infection ha evidenziato come all’aumentare
dell’aderenza vaccinale antinfluenzale degli operatori sanitari cala il tasso di influenza tra i pazienti in
cura presso la struttura ospedaliera, un’altro ha stimato come la vaccinazione antinfluenzale tra
operatori sanitari potrebbe contribuire alla riduzione dei costi diretti e indiretti connessi
all’influenza.
La formazione e la diffusione di materiale esplicativo tra gli operatori sanitari sono delle strategie per
l’aumento dell’aderenza alla vaccinazione antinfluenzale.
Perché esiste una scarsa aderenza alla vaccinazione anti-influenzale? Probabilmente si tratta della
diversa percezione che gli OS hanno nei confronti della patologia influenzale, la si ritiene banale, e
non si considera come una possibile infezione correlata all’assistenza (cioè trasmissibile e
potenzialmente dannosa per il paziente e per l’operatore stesso).
L’ultimo ministro in Italia che si è occupato concretamente delle vaccinazioni è stata la Lorenzin che
con ​la legge 73 del 2017​ ha ricordato quali fossero le vaccinazioni obbligatorie e l’introduzione di
vaccinazioni fortemente consigliate come obbligatorie (ora 10 in totale, obbligatorie per l’iscrizione
alla scuola materna) e ha creato un registro nazionale delle vaccinazioni.
Il rifiuto da parte del lavoratore di sottoporsi ad un trattamento vaccinale, può verificarsi in due
diversi contesti:
1) un lavoratore si rifiuta quando la vaccinazione è obbligatoria per quella categoria lavorativa,
cioè è imposta da un preciso riferimento legislativo.
2) un lavoratore si rifiuta quando vaccinazione non è codificata da una norma di riferimento,
ma rappresenta uno strumento di prevenzione efficace del rischio infettivo previsto dalla
valutazione dei rischi e dal protocollo sanitario.
Poiché il diritto alla salute ha natura indisponibile il lavoratore non può rifiutare le vaccinazioni
purché ciò sia previsto dalla legge (art. 32 Costituzione: nessuno può essere obbligato a un
determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge).
Il rifiuto del lavoratore a sottoporsi alla vaccinazione oltre ad avere un rilievo penale in relazione a
quanto prevede l’art. 20 del decreto Lgs 81/08, impone anche al datore di lavoro l’attivazione di una
doverosa procedura disciplinare (art. 7 legge n.300/1970).

Nell’ambito della prevenzione delle malattie trasmissibili la sorveglianza sanitaria deve considerare
tutti gli aspetti di carattere organizzativo, tecnico, logistico-strutturale, formativo, giuridico ed
economico ed il rischio per il paziente e per l’operatore sanitario ad esse associato. Per la
prevenzione di tali patologie è di fondamentale importanza parlare di RESPONSABILITA’ SANITARIA.
L’articolo 5 comma 1 della legge Gelli Bianco, fa espressa menzione all’obbligo degli esercenti le
professioni sanitarie di ATTENERSI alle linee guida o, in mancanza di queste, alle buone pratiche
clinico-assistenziali nell’esercizio della propria professione.
Il PNPV (piano nazionale dei vaccini) rappresenta un ottimo esempio di “buone pratiche clinico
assistenziali” e TUTTI gli operatori sanitari devono attenersi alle raccomandazioni in esso contenute
in merito alla prevenzione delle malattie infettive trasmissibili al paziente da parte dell’esercente la
professione sanitaria.
Le infezioni ospedaliere sono delle “complicanze” legate all’assistenza sanitaria, esse sono causate
dalla presenza di microrganismi patogeni opportunisti in ambiente ospedaliero, le H.C.A.I.: Health
Care Acquired Infections sono, per definizione, quelle infezioni che non erano presenti (quindi non
erano manifeste clinicamente, né erano in incubazione) all’ingresso del paziente nell’ambiente di
ricovero o di assistenza, ed insorgono durante il ricovero e la degenza o, più raramente, dopo le
dimissioni del paziente.
Nell’ipotesi di infezione ospedaliera, la Struttura Sanitaria ha l’onere di documentare di aver posto in
atto e rispettato le più idonee ed efficaci misure, come il controllo dello stato di salute dei
dipendenti e degli operatori (basti pensare che costituisce fattore favorente le infezioni anche il fatto
che infermieri e medici possano operare in precarie condizioni di salute).
Qualora venisse accertata la trasmissione di una infezione in ambito nosocomiale ad un paziente per
mezzo di un operatore non vaccinato, per la legge 24/2017 l’operatore risponde se la situazione si
verifica di responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario (articolo 6 comma
1 della legge Gelli Bianco). La scelta di non vaccinarsi potrebbe causare gravi danni al nostro
paziente.
RISCHIO FISICO
Dai dati provvisori relativi ai lavoratori italiani soggetti a sorveglianza sanitaria nel 2013, risulta che
più di 4 mln di lavoratori sono soggetti a sorveglianza sanitaria per esposizione ad agenti fisici.
Gli agenti fisici che sono definiti agenti di rischio di natura fisica dall’art. 180 del decreto Lgs. 81/08
sono: il rumore, i campi elettromagnetici, la radiazione ottica artificiale, le vibrazioni mano-braccio,
le vibrazioni corpo-intero, le radiazioni ottiche naturali e l’atmosfera iperbarica.
IL RUMORE
Per quanto riguarda il rumore, sono esistite leggi specifiche, del 1991 e 2006, fino alla nascita del
decreto 81/08 che al capo II del titolo VII definisce le regole di protezione dei lavoratori contro i
rischi di esposizione al rumore.
Per rumore si intende qualunque suono indesiderato, sgradito o pericoloso per l’orecchio umano. Il
rumore è in realtà un insieme di suoni con caratteristiche diverse.
Il suono è la variazione di pressione di un’onda che si propaga nel mezzo fisico (aria, acqua, ecc.),
questa variazione pressoria viene percepita dall’apparato uditivo che la trasforma in sensazione
sonora.
Le caratteristiche fondamentali del suono sono: frequenza ed intensità.
La frequenza rappresenta il numero di oscillazioni compiute dall’onda in un secondo (unità di misura:
hertz Hz). I suoni acuti hanno frequenze alte (6000-8000 Hz o più ), mentre quelli gravi hanno basse
frequenze (250-500 Hz o meno). L’orecchio uomano percepisce suoni con frequenze comprese tra 20
e 20000 Hz.
L’intensità è la quantità di energia posseduta dall’onda sonora (unità di misura: decibel dB). Gli
effetti della percezione di un suono ad alta intensità possono variare, da nessuno a ipoacusie
reversibili ed irreversibili sino a gravi danni all’udito (per intensità superiori ai 130 dB, anche soglia
del dolore percepito).
I lavoratori a rischio fisico da rumore sono chi lavora nell’industria metalmeccanica, tessile,
estrattiva, negli impianti di macinazione.
Gli effetti sulla salute si distinguono in:
EFFETTI UDITIVI - danni uditivi (effetto irreversibile ed oggettivabile, es. lesione timpanica) , disturbo
(effetto reversibile che dopo l’allontanamento dalla sorgente rumorosa cessa) e fastidio (non
comporta nessun effetto, ma il rumore interferisce con la loro attività o i lavoratori temono un
danno per la salute), l’ipoacusia è l’effetto uditivo più frequentemente causato dal rumore, si tratta
di una riduzione della capacità uditiva dovuta al danneggiamento delle cellule ciliate.
La perdita di udito derivante da esposizione al rumore non deve essere confusa con la sordità totale
o parziale dovuta a lesioni del nervo acustico a causa di malattie.
Piuttosto si tratta di una perdita di udito progressiva, che si sviluppa nel corso di un certo numero di
anni (all'incirca 5-10 anni).
Alla perdita di capacità uditiva si accompagnano, soprattutto nei primi tempi di esposizione ed alla
fine del turno di lavoro, gli acufeni (ovvero percezioni di ronzii o fischi acuti), oltre alla sensazione di
"orecchio pieno", lieve mal di testa, senso di fatica e di intontimento.
EFFETTI EXTRAUDITIVI - possono essere molto gravi ed importanti, tali da compromettere la salute
dell’uomo, ma non sono facilmente correlabili al rumore. Coinvolgono i seguenti apparati e sistemi:
- Apparato cardiocircolatorio (ipertensione, IMA)
- Apparato digerente
- Sistema endocrino
- Sistema neuropsichico (ansia, insonnia)
- Effetti ormonali (alterazione della funzionalità tiroidea, alterazioni mestruali)
L’art. 188 del decreto Lgs. 81/2008 decreta:
a) la Pressione acustica di picco (Ppeak): valore massimo della pressione acustica istantanea
ponderata in frequenza "C";
b) il Livello di esposizione giornaliera al rumore (LEX, 8h): [dB(A) riferito a 20 μPa]: valore medio,
ponderato in funzione del tempo, dei livelli di esposizione al rumore per una giornata lavorativa
nominale di otto ore, definito dalla norma internazionale ISO. Si riferisce a tutti i rumori sul lavoro,
incluso il rumore impulsivo;
c) il Livello di esposizione settimanale al rumore (LEX, w): valore medio, ponderato in funzione del
tempo, dei livelli di esposizione giornaliera al rumore per una settimana nominale di cinque giornate
lavorative di 8h, definito dalla norma internazionale ISO.
Il rumore può essere misurato attraverso il FONOMETRO che esprime il valore in dB. Questo
strumento ha l'obiettivo di simulare il più possibile la percezione dell’orecchio umano. E’ costituito
da un microfonino collegato ad un amplificatore che converte in segnale elettrico la registrazione e
da un corpo di lettura in cui viene rappresentato il livello di intensità sonora (misurato con il “filtro di
ponderazione A”, dB A, filtro che rappresenta con buona approssimazione ciò che l’orecchio umano
percepisce).
Il datore di lavoro deve:
- Considerare il livello, il tipo e la durata dell'esposizione (inclusa ogni esposizione a rumore
impulsivo);
- I valori limite di esposizione e i valori di azione di cui all'articolo 189;
- Tutti gli effetti sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori particolarmente sensibili al rumore,
con particolare riferimento alle donne in gravidanza e ai minori;
- Per quanto possibile a livello tecnico, tutti gli effetti sulla salute e sicurezza dei lavoratori
derivanti da interazioni fra rumore e sostanze ototossiche connesse con l'attività svolta e fra
rumore e vibrazioni;
- Tutti gli effetti indiretti sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori risultanti da interazioni fra
rumore e segnali di avvertimento o altri suoni che vanno osservati al fine di ridurre il rischio
di infortuni;
- Le informazioni sull'emissione di rumore fornite dai costruttori dell'attrezzatura di lavoro in
conformità alle vigenti disposizioni in materia;
- L'esistenza di attrezzature di lavoro alternative progettate per ridurre l'emissione di rumore;
- Il prolungamento del periodo di esposizione al rumore oltre l'orario di lavoro normale, in
locali di cui è responsabile;
- Le informazioni raccolte dalla sorveglianza sanitaria, comprese, per quanto possibile, quelle
reperibili nella letteratura scientifica;
- La disponibilità di dispositivi di protezione dell'udito con adeguate caratteristiche di
attenuazione.
Se si supera il valore inferiore d’azione bisognerebbe mettere a disposizione i DPI ed effettuare
sorveglianza sanitaria su richiesta del lavoratore o del medico competente. Se si supera il valore
superiore d’azione allora bisogna esigere che i lavoratori indossino i DPI e segnalare l’accesso ai locali
di lavoro. Quando si superano i valori limite di esposizione è necessario adottare misure immediate
per riportare l’esposizione al di sotto dei valori limite.
I DPI sono costituiti da materiale fonoassorbente come cuffie (poste al di fuori del ccondotto uditivo)
e tappi (posti internamente).
Gli inserti auricolari (tappi o filtri) assicurano una attenuazione del rumore che può variare da 15 dB
fino a più di 20 dB, a seconda della frequenza. Per questo sono adatti per molte situazioni lavorative
dove l’esposizione quotidiana personale a rumore è inferiore a 100dB.
Il DdL deve sottoporre a sorveglianza sanitaria i lavoratori la cui esposizione al rumore ecceda i valori
superiori d’azione.
Di norma 1 volt all’anno o con periodicità diversa decisa e motivata nel documento di valutazione dei
rischi dal medico competente; Se viene superato il valore inferiore ma non quello superiore, il
lavoratore può fare richiesta di sorveglianza sanitaria.
LE VIBRAZIONI
Il rischio da vibrazioni si inquadra nel capo terzo, titolo ottavo del decreto Lgs. 81/08.
Le vibrazioni sono oscillazioni meccaniche generate da onde di pressione che si trasmettono
attraverso corpi solidi. Sono generate da utensili meccanici o macchine che durante il funzionamento
trasmettono energia al corpo umano o a porzioni di esso causando alterazioni funzionali od
organiche.
Le vibrazioni sono caratterizzate da:
- Frequenza: v (Hz o cicli/sec), le basse frequenze si riscontrano sui mezzi di trasporto causano
“mal di trasporto”, le medie frequenze sono causate da mezzi di trasporto quali treni,
trattori, gru, ecc.
- Periodo: T (sec)
- Lunghezza d’onda: λ (m)
- Ampiezza: A (m, m/s, m/s2) spostamento in metri dalla posizione di equilibrio.
I principali settori coinvolti da tale rischio fisico sono: l’industria manifatturiera, estrattiva, l’edilizia e
la manutenzione stradale, l’agricoltura, i servizi di trasporto.
HAV vibrazioni hand-arm: vibrazioni meccaniche che, se trasmesse al sistema mano- braccio
nell’uomo, comportano un rischio per la salute e la sicurezza dei lavoratori, causano in particolare
disturbi vascolari (sindrome delle dita bianche, white-fingers, rallentamento della circolazione del
sangue con vasocostrizione delle arteriole delle dita della mano), osteoarticolari, neurologici
(riduzione della sensibilità tattile e difficoltà a manovrare gli oggetti) e muscolari (lesioni a carico dei
sistemi osteoarticolari dell’arto superiore: polso e gomito). L’insieme di tali lesioni è definito
“​sindrome da vibrazioni mano-braccio​”.
WBV vibrazioni whole-body: sono vibrazioni meccaniche che vengono trasmesse al corpo intero,
principalmente causano lombalgie e traumi al rachide, alterazioni dell’apparato gastroenterico, del
sistema nervoso periferico, dell’apparato riproduttivo femminile e del sistema cocleo vestibolare.
Secondo l’art. 201 del decreto 81/08 i ​valori limite​ (il superamento è vietato e comporta un rischio
certo per il lavoratore che si espone al rischio senza strumenti di protezione) di ampiezza delle
vibrazioni mano-braccio e corpo-intero si attestano a 5 m/s2 e a 1 m/s2, mentre i ​livelli d’azione​ (a
partire da cui devono essere attuate particolari operazioni a tutela dei lavoratori: informazione e
interventi mirati alla riduzione del rischio, controllo sanitario) sono di 2,5 m/s2 e di 0,5 m/s2.
Il rischio da vibrazioni meccaniche può essere osservato e valutato senza misurazioni sulla base di
banche-dati INAIL-ISPESL o fornite dal produttore dell’attrezzatura. La valutazione può anche essere
diretta misurando con l’accelerometro l’ampiezza delle vibrazioni a cui il lavoratore viene
sottoposto.
Il datore di lavoro deve:
- considerare il livello, il tipo e la durata dell’esposizione comprendente vibrazioni
intermittenti e urti ripetuti, i valori limiti e valori d’azione;
- gli eventuali effetti sulla salute e sicurezza dei lavoratori particolarmente sensibili;
- gli eventuali effetti indiretti sulla sicurezza dei lavoratori risultanti da interazione con
rumore, ambiente di lavoro o altre attrezzature;
- le informazioni fornite dal costruttore dell’attrezzatura.
- l’esistenza di attrezzature alternative per ridurre i livelli di esposizione;
- il prolungamento del periodo di esposizione al di là delle ore lavorative in locali di cui è
responsabile;
- le condizioni di lavoro particolari (come basse temperature);
- le informazioni raccolte dalla sorveglianza sanitaria.
Se i valori d’azione venissero superati il datore di lavoro elabora ed applica un programma specifico
che comprende: la ricerca di altri metodi di lavoro che richiedono minore esposizione a vibrazioni, la
scelta di attrezzature di lavoro adeguate, che espongono a un minor livello possibile di vibrazioni il
lavoratore, la fornitura di attrezzature accessorie per ridurre i rischi da lesioni (maniglie o guanti per
vibrazioni mano-braccio e sedili antivibranti per vibrazioni corpo-intero, DPI come guanti antivibranti
costituiti da nitrile, pelle o jersey e materiali di rinforzo con polimeri viscoelastici), ecc.
I lavoratori esposti a livelli di vibrazioni superiori ai valori limite devono essere sottoposti a
sorveglianza sanitaria OGNI ANNO, o secondo diversa periodicità decisa dal medico competente.
VIDEOTERMINALI
Il videoterminale è uno schermo alfanumerico o grafico incluso nella postazione di lavoro (insieme di
attrezzature munite di videoterminale con tastiera, mouse, sedia, piano di lavoro, stampante, ecc.).
Chi utilizza il videoterminale in modo sistematico o abituale è il lavoratore che, dedotte le
interruzioni, lo utilizza per più di 20 ore settimanali.
Per VDT si intendono: PC, tutte le attrezzature munite di un dispositivo di visualizzazione dei dati
(macchine a controllo numerico, calcolatrici, registratori di cassa, sistemi montati sui mezzi di
trasporto).
La prevenzione ha l'obiettivo di fornire indicazioni per lo svolgimento dell’attività e l’uso del
computer per evitare l’insorgenza di disturbi visivi, muscolo-scheletrici e la fatica mentale.
I lavoratori, prima di essere adibiti a questo tipo di attività sono sottoposti ad una visita medica per
evidenziare eventuali malformazioni strutturali che potrebbero renderli non idonei allo scopo o a
maggior rischio. Gli esami oculistici degli occhi e della vista possono essere effettuati ogni 5 anni o
ogni 2 anni per gli ultracinquantenni o per gli idonei con prescrizioni o limitazioni.
Il lavoratore videoterminalista ha diritto ad un'interruzione della sua attività con pause di almeno 15
minuti ogni 2 ore di lavoro continuativo.
Il rischio da VDT può dipendere non solo dalle attrezzature, ma anche dall’ambiente: illuminazione,
rumore, radiazioni e microclima, influiscono sui rischi.
Lo spazio di lavoro dovrebbe essere sufficiente a permettere un cambio di posizione, le pareti
dovrebbero essere di colore chiaro e non riflettenti, la temperatura e l’umidità confortevoli,
dovrebbe esserci un ricambio d’aria adeguato, il rumore ambientale dovrebbe essere contneuto per
non disturbare l'attenzione e non eliminare la comunicazione verbale. Bisogna poi evitare la
presenza di riflessi sullo schermo, avere un’illuminazione sufficiente e le fonti luminose dovrebbero
essere perpendicolari allo schermo, le finestre con tende e schermate, idem le luci artificiali,
schermate.
Il piano di lavoro dovrebbe avere una superficie ampia, possibilmente di colore chiaro per per
disporre i materiali ed una profondità ampia per consentire la corretta distanza dallo schermo. La
superficie dovrebbe avere un’altezza di 70-80 cm e consentire un comodo movimento degli altri
inferiori e per riporre la sedia. La sedia dovrebbe consentire libertà di movimento all’operatore ed
essere comoda, imbottita, spostabile, ma stabile con possibilità di venire regolata.
Lo schermo dovrebbe essere orientabile ed inclinabile, l’immagine dovrebbe essere stabile, senza
interferenze e dare buona definizione ai caratteri. Lo spigolo superiore dello schermo deve essere
posto un po’ più in basso dell’orizzontale che passa per gli occhi dell’operatore ad una distanza
compresa tra 50-70 cm. La tastiera ed il mouse dovrebbero essere posizionati sul tavolo in modo da
dare appoggio alle mani e agli avambracci del lavoratore.
Inoltre si potrebbe aggiungere un leggio portadocumenti, poggiapiedi, un supporto monitos ed una
lampada da tavolo (per integrare l’illuminazione artificiale o naturale).
I rischi per la salute comprendono:
- bruciore oculare
- ammiccamento frequente
- visione annebbiata o sdoppiata
- secchezza oculare
- lacrimazione
- fastidio alla luce
- mal di testa
- intorpidimento muscolare
- rigidità
- dolore
- formicolii
- perdita di forza
- irritabilità
- insonnia
- cefalea
- ansia
- depressione
- nausea
Durante l’attività di lavoro in VDT è opportuno eseguire alcuni esercizi per prevenire i fastidi
muscolari ed oculari:
1. OCCHI: muovere lentamente gli occhi in su e in giù, muovere gli occhi a destra e a sinistra,
seguire con la sguardo, con capo fermo, il perimetro del soffitto: prima in senso orario e poi
in senso antiorario.
2. CAPO: intrecciare la mani sulla testa (in posizione seduta) sul capo e spingerlo lentamente
verso il basso, inclinare la testa all’indietro ed effettuareuna rotazione del capo sul collo
mantendneo la schiena eretta, volgere il capo verso destra e sinistra mantenendo la schiena
eretta.
3. SCHIENA: alla posizione seduta portare in alto un braccio, con il gomito piegato a toccare le
scapole, mantenere la posizione per 20 secondi, oppure rilassare la schiena abbandonando
le braccia lungo le gambe, abbassare il mento e lasciarsi cadere lentamente in avanti fino a
far toccare il dorso delle mani a terra, dalla posizione eretta con le braccia rilassate lungo i
fianchi sollevare ripetutamente le spalle con movimento deciso.
RISCHIO DA MOVIMENTAZIONE MANUALE DEI CARICHI
Attività lavorative di movimentazione manuale dei carichi che comportano per i lavoratori rischi di
patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso-lombari.
Circa il 24% dei lavoratori soffre di mal di schiena, il 22% lamenta dolori muscolari che provocano
sofferenza fisica, danno economico e assenteismo.
Tra i lavoratori gli operatori sanitari, i facchini, i lavoratori edili, i meccanici, saldatori, gli agricoltori,
gli addetti ai traslochi, gli addetti alle pulizie, ecc. sono i professionisti più a rischio.
Per movimentazione manuale dei carichi si intendono tutte quelle operazioni di trasporto, sostegno,
sollevamento, deposizione, tirare, spingere e spostare carichi ad opera di uno o più lavoratori che
per le loro caratteristiche e in conseguenza alla situazione ergonomicamente sfavorevole
comportano patologie da sovraccarico.
La maggiorparte delle patologie sono a carico di strutture osteo-articolari, muscolo-tendinee e
neuro-vascolari (rigidità a collo, schiena, spalle, braccia, mani, senso di peso, fastidio o
intorpidimento).
L’art. 168 e 169 decretano che è necessario adottare le misure organizzative necessarie e ricorrere a
mezzi appropriati, in particolare attrezzature meccaniche, per evitare la necessità di una MMC da
parte dei lavoratori. Qualora non sia possibile evitare la MMC ad opera dei lavoratori ricorre a mezzi
appropriati e fornisce ai lavoratori mezzi adeguati.
Il datore di lavoro deve:
a) fornire ai lavoratori le informazioni adeguate relativamente al peso ed alle altre
caratteristiche del carico movimentato;
b) assicurare ad essi la formazione adeguata in relazione ai rischi lavorativi ed alle modalità di
corretta esecuzione delle attività;
Lo sforzo fisico può presentare un rischio da patologie di sovraccarico nei seguenti casi:
- Quando è eccessivo;
- Quando può essere effettuato soltanto con un movimento di torsione del tronco;
- Quando può comportare un movimento brusco del carico;
- Quando è compiuto con il corpo in posizione instabile;
- Lo spazio libero è insufficiente per l’attività richiesta;
- Il pavimento è ineguale, presenta rischi d’inciampo e scivolamento
- Il posto di lavoro non consente la movimentazione manuale dei carichi ad un’ altezza di
sicurezza o in una buona posizione;
- Il pavimento e il piano di lavoro presentano dislivelli;
- Il pavimento o il punto d’appoggio sono instabili;
- La temperatura, l’umidità o la ventilazione sono inadeguate;
- Il lavoratore è inidoneo;
- Gli indumenti indossati sono inadeguati;
- La sua formazione è stata inadeguata o insufficiente.
Per quanto riguarda le azioni di sollevamento, viene ormai universalmente adottatto il metodo
NIOSH. Il modello più recente (1993) determina il cosidetto RWL (Recommended Weight Limits​),
tramite un equazione che che dato un peso massimo sollevabile in condizioni ideali, analizza e
assegna un fattore demoltiplicativo agli elementi sfavorevoli di
una determinata movimentazione.
Tale fattore può assumere valori compresi tra 1 (condizioni ottimali) e 0 (condizioni peggiori).
E’ possibile attraverso calcoli complessi elaborati dal NIOSH, stabilire il massimo peso movimentabile
per ciascun lavoratore, che viene indicato sottoforma di numeri che hanno il seguente significato: >
0,75 situazione accettabile, tra 0,75 e 1 situazione ai limiti che richiede specifici interventi, > 1
situazione a rischio che necessita di interventi immediati.
La movimentazione si caratterizza per:
RIPETITIVITA’: ripetizione nel tempo con le stesse modalità e cadenza dei cicli lavorativi.
FREQUENZA: numero di azioni tecniche nell’unità di tempo;
FORZA: carico fisico richiesto all’arto superiore per l’esecuzione del gesto;
POSTURA: posizione assunta durante l’attività;
TEMPI di RECUPERO o PAUSE: tempo nel quale si lascia riposare gli arti;
Gli uomini possono sollevare dopo i 18 anni un peso di 30 kg, le donne di 20 kg.
Comunque resta indispensabile fare degli accertamenti preventivi per valutare eventuali
controindicazioni alle mansioni assegnate e accertamenti periodici per controllare lo stato di salute
del lavoratore esposto (cadenza a seconda dell’età e dell’indice di rischio).
Per la prevenzione cosa si può fare?
INTERVENTI STRUTTURALI/IMPIANTISTICI (automatizzazione dei processi)
INTERVENTI ORGANIZZATIVI E METODOLOGICI (progettazione dei posti di lavoro, scelta degli
strumenti di lavoro)
INTERVENTI EDUCATIVI
La radiazione è il fenomeno di trasporto di energia nello spazio. Le radiazioni possono essere:
ionizzanti o non ionizzanti.
La normativa riguardante la contaminazione radioattiva comprende il decreto Lgs. del 17 marzo
1995 (modificato nel 2000), le direttive di Euratom in materia di radiazioni ionizzanti.
Le pratiche sono costituite da 3 principi:
PRINCIPIO DI GIUSTIFICAZIONE - Le pratiche debbono essere giustificate, anteriormente alla loro
prima adozione, dai loro vantaggi economici, sociali o di altro tipo rispetto al detrimento sanitario
che ne può derivare. Le pratiche sono sottoposte a verifica per quanto concerne gli aspetti di
giustificazione ogniqualvolta emergano nuove ed importanti prove della loro efficacia e delle loro
conseguenze.
PRINCIPIO DI OTTIMIZZAZIONE - L’esposizione deve esser mantenuta al livello più basso
ragionevolmente ottenibile tenuto conto dei fattori economici e sociali.
PRINCIPIO DI LIMITAZIONE DELLE DOSI - la somma delle dosi derivanti da tutte le pratiche non deve
superare i limiti di dose stabiliti per i lavoratori esposti, gli apprendisti, gli studenti e gli individui
della popolazione.
Per lavoratore esposto al rischio fisico causato da radiazioni sono tutti coloro siano suscettibili,
durante l’attivita’ lavorativa, superiore a uno qualsiasi dei limiti fissati per le persone del pubblico.
I lavoratori non esposti sono coloro che ricevono un’esposizione non superiore a questi limiti.
I LIMITI DI DOSE vengono decretati con il decreto Lgs. 230/95 e sono diversi sulla base della sede
esposta considerata o per equivalente di dose di esposizione globale. I lavoratori, suddivisi per
categorie A, B e popolazione restante possono essere sottoposti a certe dosi di Sievert (100 mSv, 20
mSv, 6 mSv, 1 mSv per anno).
RADIAZIONI IONIZZANTI
Sono costituite da fotoni o particelle od onde elettromagnetiche dotate di elevato contenuto
energetico ed un potere altamente penetrante nella materia. Durante il percorso, queste radiazioni
hanno la capacità di far spostare da un atomo all’altro gli elettroni incontrati.
La terra ed i suoi abitanti sono da sempre immersi in un campo di radiazioni ionizzanti. Il campo di
radiazione non è omogeneo ed è estremamente variabile in funzione di alcune caratteristiche
generali: latitudine e longitudine, altitudine, caratteristiche dei suoli e dei terreni, stili di vita e
abitudini alimentari. Gli abitanti della terra sono primariamente esposti alle radiaizoni del Radon
(rappresenta il 55% delle sorgenti di radiazioni negli ambienti di vita), alle radiazioni cosmiche, ai
raggi X o ad altri trattamenti di medicina nucleare.
L’assorbimento di energia attraverso i processi fisici di ionizzazione ed eccitazione delle molecole dei
tessuti viventi, può interferire con i processi biologici e può pertanto danneggiare il corpo umano.
Diverse cellule sono particolarmente suscettibili alle radiazioni ionizzanti assorbite: spermatogoni nel
testicolo, linfociti nelle linfoghiandole, nella milza e nel timo, ovociti nell’ovaio, eritroblasti,
mieloblasti e megacariociti nel midollo osseo, le cellule apiteliali dell’intestino tenue, le cellule
germinali della cute, gli annessi cutanei, l’epitelio del cristallino nell’occhio, l’endotelio vasale (il
fegato, i reni, il polmone, le cellule muscolari, connettivali e gli osteociti hanno scarsa suscettibilità
alle radiazioni ionizzanti).
Le radiazioni ionizzanti si dividono in 4 categorie:
1. Radiazione Alfa Elevata capacità di ionizzazione, limitata capacità di diffusione in aria,
limitata capacità di penetrazione (non oltrepassano un foglio di carta e lo strato più esterno
della pelle. Sono pericolose per l’organismo se si ingeriscono o si inalano sostanze in grado di
produrle.
2. Radiazione Beta Debole potere penetrante, non riescono a penetrare nella pelle oltre 1 cm.
Sono pericolose per l’organismo se si ingeriscono o si inalano sostanze in grado di produrle.
3. Raggi Gamma Forma di radiazione elettromagnetica ad altissima frequenza. Attraversano i
tessuti a seconda della loro energia e possono essere bloccate da schermature in ferro,
piombo e calcestruzzo.
4. Raggi X Onde elettromagnetiche ad altissima frequenza, utilizzate per la ricerca diagnostica.
Attraversano tessuti e corpi a seconda della loro energia e possono essere bloccate da
schermature spesse in ferro, piombo e calcestruzzo.
Il datore di lavoro deve:
- Acquisire tutte le informazioni necessarie alla valutazione del rischio;
- Informare e formare i lavoratori sui rischi specifici a cui sono esposti, sulle norme di
protezione sanitaria, sulle conseguenze derivanti dalla mancata osservanza delle prescrizioni
mediche, sulle modalità di esecuzione del lavoro;
- Delimitare le aree soggette a radiazioni, classificare i lavoratori a seconda dell’esposizione;
- Organizzare norme interne di protezione con riguardo alla specificità degli ambienti di
lavoro;
- Controllare che non vengano superati i limiti di esposizione dei lavoratori
- Attuare regole particolari che tutelano donne lavoratrici in età fertile
- Allertare entro 3 giorni, in caso d’incidente, l’APAT (agenzia per la protezione dell’ambiente
e per i servizi tecnici), la Direzione Provinciale del Lavoro ed i componenti organi del servizio
sanitario nazionale;
Il lavoratore deve:
- Osservare le disposizioni del datore di lavoro, ai fini della protezione individuale e collettiva;
- Usare secondo istruzioni i dispositivi di sicurezza, i mezzi di protezione e di sorveglianza
dosimetrica e segnalarne eventuali deficienze;
- Non rimuovere nè modificare i dispositivi e gli altri mezzi di sicurezza, di segnalazione, di
protezione e misurazione;
- Non compiere di propria iniziativa, operazioni o manovre che non sono di loro competenza;
- Sottoporsi alla sorveglianza medica;
RADIAZIONI NON IONIZZANTI​ (​NIR​)
Le radiazioni non ionizzanti identificano lo spettro di frequenza elettromagnetiche con energia
inferiore a 12 eV e non riescono a produrre ionizzazione.
Le NIR a loro volta si suddividono in una sezione ottica e in una non ottica.
La sezione ottica comprende:
- le radiazioni UV che vanno da una lunghezza d’onda da 100 a 400 nm
- la luce visibile da 400 a 760 nm
- l’infrarosso da 760 nm ad 1 mm
Vengono anche compresi tra le NIR per motivi pratici anche i campi magnetici statici e gli ultrasuoni
(benché si tratti di onde meccaniche e non elettromagnetiche).
Le NIR rappresentano un fattore di rischio fisico onnipresente, non solo sul luogo di lavoro. I livelli di
esposizione di fondo a queste radiazioni comunque è del tutto trascurabile se si considera
l’emissione di tali radiazioni da parte di particolari strumenti, tecnologie e mezzi di comunicazione:
Ad esempio, SORGENTI CON POSSIBILITÀ DI SOVRAESPOSIZIONE sono: l’arco elettrico, le lampade
germicide, lampade per fotoindurimento di polimeri, fotoincisione, luce nera, le lampade dei locali di
intrattenimento (discoteche), fari dei veicoli, lampade LED, lampade ad alogenuri metallici, lampade
scialitiche (usate in sala operatoria), lampade abbronzanti.
SORGENTI CHE SUPERANO I LIMITI DI SOVRAESPOSIZIONE NELL’ARCO DI MINUTI sono: lampade
fluorescenti usate in acquari e terrari, corpi incandescenti come metallo o vetro fuso, i riscaldatori
radiativi a lampade e le apparecchiature con sorgenti IPL per uso medico ed estetico.
I RISCHI INDIRETTI a cui si va incontro per:
- sovraesposizione alla luce visibile, sono: disturbi temporanei visivi quali abbagliamento o
accecamento temporaneo;
- associati alle apparecchiature/lavorazioni che utilizzano ROA, sono: stress termico, contatto
con superficie calda, rischio elettrico;
- rischio di incendio o di esplosione della sorgente o del fascio di radiazioni emesso;
- di natura chimica e biologica, sono: per le sorgenti laser causate dai fumi o aerosol o le
polveri associate al loro impiego;
- rischio criogenico (dovuto al gas di raffreddamento della sorgente);
- radiazioni collaterali concomitanti (ottiche e ionizzanti);
I RISCHI DIRETTI vanno a:
I bersagli più vulnerabili all’esposizione a tali raggi, principalmente OCCHI e PELLE.
La tipologia degli effetti dell’esposizione dipende dalla lunghezza d’onda della radiazione incidente,
mentre dall’intensità dipendono la possibilità che questi effetti si verifichino e la loro gravità.
- L’occhio è l’organo più vulnerabile nei confronti della luce, i danni possono essere retinici di
natura fotochimica, alterazioni retiniche caratterizzate da piccoli addensamenti di pigmento,
discromie, effetti catarattogenici di origine fotochimica e termica, fotocheratocongiuntivite
o ustioni corneali.
I danni maggiori per la struttura oculare si hanno con lunghezze d’onda dal visibile
all’infrarosso da 400 nm a 1400 nm, a causa dell’azione focalizzante sulla retina da parte del
cristallino.
L’istintiva barriera data dalla chiusura delle palpebre a questa luce, non garantisce una
protezione per l’occhio.
- La pelle può andare incontro a reazioni fotochimiche a seguito di esposizione a ROA. Una
reazione fotochimica avviene quando un fotone che colpisce una molecola ne determina una
mutazione provocando denaturazione o coagulazione delle proteine, frammentazione del
suo nucleo.
Esiste una capacità cellulare intrinseca di riparare il danno cellulare, ma elevate dosi possono
comunque produrre una lesione.
UVC ed UVB causano fotocheratite, fotocongiuntivite ed eritema cutaneo, UVA cataratta, tumori
cutanei, invecchiamento cutaneo, la luce visibile reazioni di fotosensibilità e lesioni termiche
fotochimiche alla retina, infrarosso A e B cataratta e bruciatura di retina e cornea rispettivamente,
infrarosso C bruciatura della cornea e della pelle.
I meccanismi che producono una lesione termica hanno bisogno di grandi quantità di energia
radiante, cioè il soggetto dovrebbe esporsi ad un’elevata dose di ROA e farlo in breve tempo.
La lesione termica è tanto più grave in funzione della ridotta capacità di un tessuto di dissipare
calore (questo in base alla sua vascolarizzazione e alla sua idratazione). Esposizioni anche molto
brevi (es. laser pulsati) possono causare cambiamenti repentini di tipo esplosivo.
Man mano che le caratteristiche fenotipiche degli individui variano da un fototipo I (pelle bianco
latte) a VI (pelle marrone scuro) tanto più difficilmente le reazioni della pelle per esposizione
saranno gravi, ovviamente a seconda della dose e del tempo di esposizione. Il fototipo I non si
abbronza mai e si scotta facilmente, il fototipo VI si abbronza intensamente senza arrossarsi.
Nel caso di radiazioni emesse da fasci laser, molto spesso gli effetti dannosi risultano irreversibili.
Questo è dovuto alle caratteristiche che il fascio laser possiede. Anche per questo si parla spesso di
rischi indiretti da laser come incendi ed esplosioni.
Un laser è un dispositivo in grado di emettere un fascio di luce coerente (i fronti d’onda della luce
laser hanno identica fase nello spazio e nel tempo) monocromatica (costituita da una singola
lunghezza d’onda, mentre la luce bianca è una combinazione di radiazioni ad ampio spettro diffuso)
e concentrato nello spazio in modo rettilineo in una certa direzione (a differenza della luce naturale,
emessa dalla sorgente in ogni direzione).
I danni da fasci laser coinvolgono principalmente il cristallino. L’interazione tra la radiazione ottica
laser con l’occhio può provocare nessun danno, per laser di classe 1 e 2, danni a carico di cornea e
cristallino da laser di classe 3A e danni gravi con potenziale rischio di combustione con laser di classe
3B e 4.
I soggetti maggiormente coinvolti in incidenti laser sono tecnici, ricercatori ed operatori sanitari.
I DPI sono essenziali per prevenire questi danni, è opportuno dare la giusta protezione ad occhi e
viso: occhiali con oculare doppio o singolo, maschere a scatola o a coppa, ripari facciali (per
saldatura).
I soggetti maggiormente sensibili al rischio da esposizione sono le donne in gravidanza, i minorenni,
gli albini e gli individui di fototipo I, i portatori di collagenopatie, i lavoratori affetti da lesioni maligne
o premaligne, i lavoratori affetti da xeroderma pigmentosus o da acne fotoindotto o fotoaggravato,
soggetti affetti da alterazioni retiniche o portatori di corpi colloidi, soggetti epilettici o in trattamento
cronico ciclico con farmaci fotosensibilizzanti (sulfonamide, tetracicline, disinfettanti, coloranti,
composti fenolici, oli essenziali, diuretici, FANS, ecc.).
La sorveglianza sanitaria deve tenere anche conto della variabilità del lavoratore, ci sono alcuni
lavoratori più sensibile al rischio e deve essere effettuata per prevenire e scoprire tempestivamente
effetti negativi per la salute e prevenire effetti a lungo termine negativi e il rischio di malattie
croniche. Deve essere effettuata prima di adibire il lavoratore alla mansione che comporta
l’esposizione al rischio (anamnesi familiare e personale verso patologie cutanee ed oculari o malattie
pregresse che potrebbero essere una concausa allo sviluppo di future patologie cutanee ed oculari),
poi, periodicamente ogni anno. Qualora il lavoratore venga esposto a radiazioni ottiche oltre i limiti
identificati nocivi per la salute il medico competente decide quali sono gli esami e i controlli sanitari
adeguati a cui il soggetto dovrebbe sottoporsi dopo la fine dell’esposizione.
Accanto alla visita dal medico del lavoro, spesso il lavoratore viene invitato ad effettuare una visita
specifica dal dermatologo e dall’oculista e ad effettuare accertamenti ematologici di natura
chimica-clinica che il medico competente può prescrivere.
CAMPI ELETTROMAGNETICI
Per campo elettromagnetico si intende una perturbazione dello spazio prodotta dalla presenza di
cariche elettriche positive o negative (campo elettrico) insieme ad una perturbazione dello spazio
prodotta dal movimento delle cariche elettriche che formano correnti elettriche o magneti
permanenti (campo magnetico). Questi campi concatenati determinano la propagazione nello spazio
di un campo elettromagnetico.
I campi elettromagnetici possono nascere da sorgenti:
NATURALI: sole, stelle, fulmini
ARTIFICIALI: ripetitori televisivi, ripetitori telefonici, elettrodi, telefonini, elettrodomestici
Il corpo umano assorbe l’energia a radiofrequenze e a microonde e la trasforma in calore con
possibili danni a: cervello, occhi, stomaco, ecc.
Nella valutazione del rischio da campi elettromagnetici bisogna considerare:
- Livello, spettro di frequenza, durata e tipo di esposizione;
- Valori limite di esposizione e valori d’azione;
- Effetti sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori;
- Effetti indiretti come l’interferenza con attrezzature e dispositivi medici, rischio propulsivo di
oggetti ferromagnetici;
- Esistenza di attrezzature alternative;
- Disponibilità di azioni di risanamento;
- Informazioni raccolte dalla sorveglianza sanitaria
- Sorgenti multiple di esposizione;
- Esposizioni simultanee a campi di frequenze diverse;
Effettuata la valutazione del rischio il datore di lavoro ha l’obbligo di informare e formare i lavoratori
ed i loro RLS (rappresentante per la sicurezza dei lavoratori).
Il D.Lgs. 81/2008 prevede che la sorveglianza sanitaria venga effettuata di norma una volta l’anno
salvo diversa richiesta del medico competente.

IL MICROCLIMA
E’ l’insieme degli aspetti fisici che caratterizzano l’aria degli ambienti confinati,
intendendosi per tali tutte quelle infrastrutture più o meno separate dall’ambiente esterno nelle
quali, proprio per questa separazione, l’aria assume delle caratteristiche diverse da quelle climatiche
della località in cui ci si trova.
Il microclima è la situazione climatica in cui il soggetto non è costretto ad attivare meccanismi di
regolazione e non sente caldo o freddo: è soddisfatto per la propria situazione termica.
Gli elementi microclimatici da considerare sono:
- Temperatura dell’aria: adeguata al metodo di lavoro e agli sforzi fisici imposti ai lavoratori, le
finestre, i lucernari, le pareti vetrate dovrebbero evitare un soleggiamento eccessivo. Gli
impianti di condizionamento devono garantire nella stagione invernale una temperatura tra i
18 ed i 20 °C, in estate una differenza di temperatura tra interno ed esterno di massimo 7 °C.
- Umidità relativa: dovrebbe essere mantenuta tra il 40 ed il 60% in inverno, tra il 40 ed il 50%
in estate.
- Ventilazione: nei luoghi di lavoro chiusi i lavoratori devono disporre di aria salubre in
quantità sufficiente e se ottenuta mediante impianti di aerazione questi dovrebbero sempre
funzionare, essere controllato, pulito e sottoposto a sanificazione e manutenzione.
- Scambi termici tra uomo e ambiente
- Caratteristiche degli elementi costruttivi
La valutazione viene effettuata con riferimento livello di benessere o disagio termico provato dagli
occupanti. Esistono diversi criteri per la valutazione del comfort termico in ambiente moderato. (es.
Indice di Fanger).
Per il calcolo dell’indice di Fanger si chiede al personale di valutare secondo una scala numerica, da
+3 a -3 se l’ambiente è molto caldo, caldo, leggermente caldo, neutro, fresco, freddo, molto freddo.
Gli ambienti FREDDI: richiedono un sensibile intervento del sistema di termoregolazione per limitare
la potenziale eccessiva diminuzione della temperatura nel nucleo corporeo e degli altri distretti.
Gli ambienti CALDI: gli ambienti potrebbero essere considerati caldi se si svolgono lavori pesanti, in
questo caso bisognerebbe meccanizzare alcune o tutte le operazioni o ripartire il carico tra più
persone o se c’è un’elevato carico radiante, in questo caso è necessario minimizzare i punti da cui si
vede la sorgente radiante, aumentare i periodi di riposo, isolare le pareti delimitanti le sorgenti,
usare schermi riflettenti il calore, usare abiti termoriflettenti se si è vicini alla sorgente radiante.
I luoghi di lavoro devono disporre di sufficiente luce naturale, inoltre devono essere dotati di
dispositivi che consentano un’illuminazione artificiale adeguata per salvaguardare la sicurezza, la
salute e il benessere dei lavoratori
Le superfici vetrate illuminanti ed i mezzi di illuminazione artificiale devono essere tenuti
costantemente in buone condizioni di pulizia ed efficienza.
- Gli impianti di illuminazione non devono rappresentare un rischio d’infortunio per i
lavoratori;
- L’illuminazione di sicurezza dovrebbe essere sempre presente e di sufficiente intensità, se
necessaria;
- I mezzi di illuminazione sussidiaria devono essere tenuti in posti noti al personale e
conservati in costante efficienza;
L’illuminazione naturale:
Il fattore di luce diurna (rapporto fra l’illuminamento sul piano di lavoro e l’illuminamento esterno ) è
sempre ≤ 1 e si esprime in centesimi o in percentuale.
Sono ritenuti soddisfacenti i seguenti fattori di luce diurna:
0,6% per lavori grossolani
1,5% per lavori medi,
3,0% per lavori fini, 6,0% per lavori finissimi.
L’illuminazione artificiale:
L’impianto di illuminazione influisce sulla capacità visiva, sull’attività, sulla sicurezza e sul benessere
delle persone. È indispensabile, pertanto, che soddisfi le specifiche esigenze degli utenti.
L’illuminazione artificiale può essere:
- generale;
- generale orientata sul posto di lavoro;
- localizzata del singolo posto di lavoro (solo se è coordinata con l’illuminazione generale);
- supplementare(in caso di esigenze particolari);
Per i posti di lavoro occorre prevedere un illuminamento di esercizio di almeno 200 lux , a meno che,
per motivi legati all’attività che vi si svolge, non si richiedano eccezioni.
In locali, nei quali è prevista la costante presenza di persone alle quali non compete uno specifico
compito visivo, l’illuminamento deve essere non inferiore a 100 lux.

RISCHIO CHIMICO
Il rischio chimico è il rischio dovuto all’esposizione a sostanze o composti chimici presenti
nell’ambiente di lavoro ed in grado di determinare una alterazione dello stato di salute.
Può essere valutato in base alla stima dell’esposizione, alla curva dose-risposta e alla
caratterizzazione del pericolo chimico a cui si va incontro.
Gli agenti chimici possono essere classificati secondo:
- il loro stato fisico, ovvero se si trovano nell’ambiente sotto forma liquida, di gas, di vapori;
- in base alla loro origine: tossine animali o vegetali, prodotti di combustione (idrocarburi
policiclici aromatici);
- in base ai loro usi: pesticidi, farmaci, solventi, plastificanti;
- in base all'organo bersaglio come epatotossici, nefrotossici, neurotossici;
- in base al meccanismo d’azione: inibitori enzimatici, agenti metaemoglobinizzanti;
- in base agli effetti sull’organismo: interferenti endocrini, cancerogeni, immunosoppressori;
Si parla pertanto di 3 livelli di rischio chimico:
1. Esposizione volontaria o involontaria ad una dose elevata di agente chimico per una breve
durata.
2. Esposizione occupazionale ad una dose media di agente chimico per una media durata (la
vita lavorativa è di circa 35 anni, e questa esposizione è quella studiata in medicina del
lavoro).
3. Esposizione cronica ad una dose bassa di agente chimico per una lunga durata (medicina
ambientale, tossicologia sperimentale).
La tossicologia professionale è la scienza che studia l’interazione delle sostanze o dei composti
chimici con l’organismo umano. Possiamo dividere questa scienza in:
- Tossicocinetica che studia il destino metabolico della sostanza o del composto: qual’è
l’esposizione e la dose che danneggia il lavoratore, come l’agente tossico interagisce con
l’organo bersaglio.
- Tossicodinamica che studia il meccanismo di azione del tossico: come l’agente tossico
reagisce con il recettore bersaglio.
La tossicità di un agente chimico è sempre messa in relazione alla dose dell’agente considerato.
Per dose si intende la concentrazione dell’agente tossico o di un suo prodotto di trasformazione. La
curva dose-risposta indica l’effetto dell’agente all’aumentare della dose, da nessuno (intervallo
dose-soglia) all’effetto massimo (intervallo di aumento direttamente proporzionale, fino al plateau).
Quindi abbiamo diversi momenti:
- ESPOSIZIONE
- INTERAZIONE CON IL BERSAGLIO
- MODO DI AZIONE
- EFFETTO TOSSICO
Le fasi della tossicocinetica e della tossicodinamica sono intricate in modo complesso nel modificare
la potenziale tossicità dei tossici e delle tossine: cioè l’avvicinamento di queste sostanze al sito
bersaglio. Questo fenomeno è modulato da una serie di fattori: distribuzione ai siti bersaglio e non
bersaglio, riassorbimento, eliminazione, detossificazione.
I meccanismo di azione di vari agenti che espongono a rischio chimico dipende dall’agente
considerato:
AGENTI TOSSICI (es. metalli);
AGENTI IRRITANTI (es. acidi, basi);
AGENTI SENSIBILIZZANTI (es. lattice);
AGENTI CANCEROGENI;
AGENTI MUTAGENI (es. antiblastici) possono produrre o aumentare la frequenza di difetti genetici
ereditari;
Alcune sostanze o composti possono avere più effetti, ad esempio la formaldeide è un’agente
irritante, sensibilizzante e cancerogeno.
Ovviamente il tutto deve essere analizzato alla luce di possibili interazioni tra le sostanze che
possono dar luogo ad effetti sinergici, di potenziamento o di antagonismo.
Tutti i fenomeni di interazione sono sottoposti a ferree leggi legate alla presenza di bersagli che
posseggono o meno un’affinità chimica per le sostanze.
Gli effetti qualitativi e quantitativi di una sostanza estranea al nostro organismo dipendono dalla
concentrazione che essa o i suoi metaboliti raggiungono all’organo bersaglio che non dipende solo
dalla quantità a cui l’organismo viene esposto ma anche ad altri fattori che coinvolgono la via di
assorbimento, di distribuzione, il metabolismo, l’affinità di legame e la via di eliminazione.
Quando una sostanza tossica penetra il nostro organismo attraverso il tratto respiratorio,
gastrointestinale, cute o annessi, ecc. essa si concentra in particolari siti di deposito (stomaco, reni,
fegato e bile, sangue, ecc.) e viene escreta attraverso feci, urina, aria espirata, latte materno e altre
secrezioni. La maggior parte delle malattie professionali o lavoro-correlate dipendono
dall’esposizione a sostanze che entrano in contatto con l’organismo attraverso l’apparato
respiratorio.
Affinché una sostanza sia assorbita, metabolizzata ed escreta, essa deve oltrepassare la membrana
cellulare: doppio strato fosfolipidico fluido con proteine globulari inserite sul versante idrofobico. I
due lati della membrana plasmatica presentano composizioni chimiche e funzioni differenti.
Il nostro organismo possiede delle barriere: emato-encefalica, placentare ed emato-testicolare,
fondamentalmente per
Le fasi del metabolismo di uno xenobiotico dipendono dalla natura del tossico: idrofila, polare,
lipofila, molto lipofila e metabolicamente stabile o agenti alchilanti.
- Le sostanze idrofile vengono mobilizzate a livello extracellulare e percorrono solitamente la
circolazione sanguigna.
- Le sostanze polari diventano idrofile dopo aver provveduto ad una fase di bioinattivazione
(coniugazione).
- Le sostanze lipofile devono prima essere bioattivate (ossidate, dirotte, idrolizzate) poi
bioinattivate e mobilizzate.
- Le sostanze molto lipofile e metabolicamente stabili tendono ad accumularsi nel tessuto
adiposo, ci sarà una fase di bioattivazione ma si tenderà ad ottenere legami covalenti
tissutali come avviene negli agenti alchilanti, questi reagenti diventano degli intermedi
reattivi che rimarranno all’interno del corpo a lungo.
Tutti i prodotti bioinattivati che giungono alla circolazione sanguigna possono essere escrete tramite
le urine, la bile e le feci.
Tutte le sostanze, comprese quelle idrofile possono organizzarsi in coniugati idrolizzati durante la
fase di escrezione e tornare indietro alla fase di (ri-)assorbimento.
Le sostanze tossiche che non vengono eliminate diventano dei BERSAGLI MOLECOLARI che vanno a
colpire: proteine, lipidi, macromolecole complesse e DNA.
Non sempre l’esposizione ad una sostanza tossica conduce ad un danno permanente all’organismo
in quanto, questo, attraverso i meccanismi di detossificazione, di riparo al danno stesso e di risposte
adattative è in grado di prevenire, revertire e compensare i potenziali effetti tossici a livello tissutale
o di organi. Lo sviluppo della tossicità avviene solo quando essa o i suoi metaboliti reattivi siano in
grado di bloccare i meccanismi protettivi o di rendere inefficaci i sistemi di adattabilità messi in atto
dall’organismo in risposta all’insulto provocato in risposta all’esposizione temporanea o continua ad
uno xenobiotico.
Teniamo sempre a mente i concetti di:
Dose​: sostanza chimica o metabolita o prodotto di interazione con molecola bersaglio, misurato in
un compartimento accessibile (biomarkers di dose e dose al bersaglio sono: sangue, urine, addotti
dell’emoglobina, addotti del DNA ecc.).
Effetto​: alterazione biochimica o funzionale misurabile, che in funzione della sua entità può indicare
un potenziale rischio per la salute o una malattia (biomarkers di effetto sono: mutazioni in oncogeni
o geni soppressori, parametri citogenetici, proteinuria, dosaggio ormonale, antigeni tumore-specifici
circolanti, markers tumorali ecc.).
Suscettibilità: condizione congenita o acquisita che predispone agli effetti indesiderati degli agenti
chimici.
Nel caso dell’esposizione agli agenti chimici il calcolo del rischio dipende dalla “dose senza alcun
effetto avverso” detta NOAEL “no observed avverse effect level”, conoscere questo valore è
essenziale per stimare l’ADI “admissible daily intake” di una sostanza che non è altro che il rapporto
tra il NOAEL ed il SF “safety factor”.
Esistono dei valori limite di soglia emanati da varie istituzioni o stati nazionali che in ambito
occupazionale è necessario ed opportuno studiare:
- PEL (creato dall’OSHA)
- TLV (più utilizzto in ambito occupazionale)
- MAK
- VL (utilizzato nella CE)
Il TLV (Threshold Limit Value) è diviso in 3 categorie:
TVL-TWA (Time Weighted Average): rappresenta la concentrazione media, ponderata nel tempo,
degli inquinanti presenti nell’aria degli ambienti di lavoro nell’arco dell’intero turno lavorativo.
Indica il livello di esposizione al quale si presume che, allo stato delle attuali conoscenze scientifiche,
il lavoratore possa essere esposto 8 ore al giorno, per 5 giorni alla settimana, per tutta la durata della
vita lavorativa, senza risentire di effetti dannosi per la salute.
TVL-STEL (Short Term Exposure Limit): rappresenta le concentrazioni medie che possono essere
raggiunte dai vari inquinanti per un periodo massimo di 15 minuti, e comunque per non più di 4
volte al giorno con intervalli di almeno 1 ora tra i periodi di punta.
TVL-C (Ceiling): rappresenta la concentrazione che non può essere mai superata durante tutto il
turno lavorativo (valore limite di soglia).
Questi 3 indicatori devono essere monitorati costantemente nell’aria del luogo di lavoro.
In medicina del lavoro c’è un capitolo molto importante: quello che riguarda il BIOMONITORAGGIO.
Per poter controllare lo stato di salute dei lavoratori si utilizzano gli INDICATORI BIOLOGICI, essi si
possono suddividere in 3 macrocategorie:
- indicatori di ESPOSIZIONE (vanno ad investigare l’esposizione, la dose e la dose al bersaglio).
- indicatori di SUSCETTIBILITÀ (indicano per quanto tempo il nostro lavoratore si è esposto e
se si è esposto, dando informazioni sulla dose, dose al bersaglio e se si ha un’alterazione
della funzione o della struttura).
- indicatori di EFFETTO (indicano le informazioni sulla dose al bersaglio, alterata funzione o
struttura e malattia).
Con il monitoraggio biologico quindi si misurano gli agenti tossici o i loro metaboliti nei tessuti,
secreti, escreti, nell’aria espirata o in ogni combinazione di questi, allo scopo di valutare
l’esposizione ed il rischio per la salute in rapporto ad appropriati riferimenti (indicatori biologici).
Bisogna sempre fare in modo che l’esposizione del paziente nel tempo ad una determinata sostanza
non determini effetti sul suo stato di salute. Quando però la dose con cui il lavoratore entra in
contatto determina effetti metabolici (sub-critici prima e critici poi), la probabilità che nascano
alterazioni allo stato di salute complessivo del paziente aumenta, fino ad una fase di intossicazione
preclinica (con alterazioni precoci) e clinica (con segni e sintomi caratteristici).

Il ​cancro​ è una patologia caratterizzata da mutazioni, proliferazione e crescita cellulare aberrante le


cui cause sono ascrivibili ad agenti virali, radiazioni ionizzanti e sostanze chimiche.
Quindi il cancro è una patologia che si sviluppa e manifesta lentamente caratterizzata da un periodo
di latenza relativamente lungo tra l’esposizione alla sostanza cancerogena e lo sviluppo di malattia.
Il primo che ipotizzò la correlazione professionale con il cancro fu il Dr. Percivall Pott, che osservò
come gli spazzacamini presentassero visibili lesioni a livello scrotale, compatibili con la patologia
neoplastica. Egli fu il primo ad associare l’attività lavorativa alla nascita della patologia tumorale, la
causa di ciò era, per lui, la fuliggine che si insinuava nelle pieghe inguinali di questi soggetti.
Molti altri studiosi, dopo di lui approfondirono questa ipotesi.
La ​cancerogenesi​ è un processo multi-step che inizia con l’interazione di un agente cancerogeno
endogeno o esogeno con il DNA. Tre stadi ben distinti e definiti sono coinvolti in questo processo:
1. INIZIAZIONE mutazione di un oncogene;
2. LATENZA la cellula mutata può permanere in questo stato per un tempo indefinito;
3. PROMOZIONE la cellula mutata si trasforma (punto di non ritorno) quando subisce uno
stimolo proliferativo in cellula tumorale;
Un composto inerte all’interno dell’organismo (sia che venga assunto dall’esterno che prodotto
internamente) può, come abbiamo spiegato in precedenza, diventare un bersaglio molecolare
(metabolita reattivo) che può produrre tra le altre alterazioni a carico di substrati, anche alterazioni
al DNA. Le alterazioni genetiche potrebbero determinare o la morte della cellula, o mutazioni
positive o nessun effetto. Tuttavia, esistono mutazioni definite persistenti che causano una
trasformazione cellulare. L’intervento del sistema immunitario potrebbe ripristinare le condizioni di
normalità o riparando il DNA o eliminando la cellula trasformata. Quando questo non avviene, prima
o poi, a partire da quella cellula, si sviluppa un processo tumorale.
Il cancro può essere correlato all’esposizione ad alcune sostanze o miscele o correlato a certe
circostanze di esposizione (lavoro a turno o lavoro notturno).
L’IARC (International Agency for Research on Cancer), agenzia facente parte dell’organizzazione
mondiale della sanità, individua per sostanze, miscele e circostanze di esposizione, 4 GRUPPi di
cancerogenicità:
GRUPPO 1: sostanze cancerogene per l’uomo (cancerogeni CERTI)
GRUPPO 2:
2A: probabili cancerogeni umani
2B: possibili cancerogeni umani
GRUPPO 3: non classificabili come cancerogeni
GRUPPO 4: sostanze non cancerogene per l’uomo
I risultati della classificazione IARC sono riportati nelle Monographs on the Evaluation of
Carcinogenic Risk to Humans, dedicate a tutti gli agenti o a specifici gruppi cancerogeni. Ogni anno la
IARC organizza una commissione per rivalutare la classificazione dei cancerogeni in base alle nuove
evidenze scientifiche e grazie all’aiuto dei massimi esperti in materia, tutte i risultati saranno
riportati su the Lancet.

La formaldeide è una molecola comunemente utilizzata in ambito sanitario, commercialmente nota


anche col nome di formalina. Le sue caratteristiche tossiche impongono una particolare attenzione
durante la sua manipolazione e, in caso di contatto, vanno seguiti precisi accorgimenti a seconda che
si tratti di contatto cutaneo, inalazione accidentale, ingestione fortuita o spruzzo accidentale sugli
occhi.
La formaldeide, per le sue caratteristiche, è utilizzata per assolvere a molteplici funzioni in numerosi
ambiti:
- Possiede una potente azione battericida, motivo per il quale è utilizzata nelle soluzioni
acquose dei disinfettanti domestici e nella produzione di tessuti a livello industriale. Questa
sua azione viene sfruttata anche per la conservazione di materiale biologico e nelle tecniche
di imbalsamazione;
- E’ impiegata come vernice collante di pannelli in legno di truciolato o nobilitato; è inoltre
contenuta nei pannelli fonoassorbenti dei controsoffitti e nelle pareti divisorie degli uffici
“open space”;
- Viene utilizzata nella tintura tessile nell’applicazione con i naftoli per il trattamento
successivo di alcune tinture ottenute con coloranti diretti con lo scopo di migliorarne le
solidità all’acqua ed ai lavaggi in generale;
Gli effetti della formaldeide dipendono dalla sua concentrazione:
- 0.16 mg/m3 è la soglia per la percezione degli odori;
- 1,9 mg/m3 è la soglia per l’irritazione degli occhi;
- 3,1 mg/m3 è la soglia per l’irritazione della gola;
- 3,7 mg/m3 è la soglia per la percezione di una sensazione pungente ad occhi e naso;
- 6,2 mg/m3 comincia la lacrimazione e la marcata irritazione delle vie aeree superiori;
- 25 mg/m3 forte lacrimazione che perdura per un’ora;
- 60 mg/m3 polmonite, edema polmonare, pericolo di morte;
- 125 mg/m3 morte;
La formaldeide è un potente agente sensibilizzante per la cute e le mucose respiratorie.
L’allergia è tendenzialmente un fenomeno individuale, ma la probabilità di svilupparla è tanto più
elevata quanto più elevata è l’esposizione.
Nei soggetti sensibilizzati una crisi allergica si verifica anche in seguito ad esposizione a dosi molto
basse e per tempi brevi di formaldeide.
Le evidenze scientifiche hanno mostrato un’associazione (evidenza epidemiologica) tra l’esposizione
a formaldeide e l’insorgenza di tumore al rinofarige, naso-sinusale e leucemie.
In ospedale i processi che prevedono la manipolazione di formaldeide sono:
- la manipolazione di campioni biologici in SO/DH/DS
- la conservazione dei campioni biologici
- il trasferimento di campioni biologici in anatomia patologica
- la loro processazione istologica
- l’archiviazione dei campioni ed il loro smaltimento
Quindi sono esposti al pericolo di tossicità chimica della formaldeide tutto il personale SO/DH/DS, gli
operatori del trasporto e dello smaltimento dei campioni biologici ed il personale del reparto di
anatomia patologica e di istologia.
L’RSPP ha il compito di effettuare la valutazione dei rischi, considerando anche il rischio chimico,
nelle varie organizzazioni. Per quanto riguarda la formaldeide, dato che non è possibile eliminare il
rischio (non esiste un prodotto equivalente), oggi si cerca di ridurre il rischio alla fonte come misura
preventiva (evitando la manipolazione diretta del composto) e come misura protettiva l’utilizzo di
DPI e DPC.

LAVORO A TURNI E LAVORO NOTTURNO


Un tempo, fino a 50-60 anni fa il lavoro a turni ed il lavoro notturno erano richiesti solo in particolari
aree lavorative, specialmente in ambito sanitario, delle comunicazioni, dei trasporti, nell’ambito
della pubblica sicurezza e nell’industria chimica e siderurgica.
Oggi la società moderna, considerando la disponibilità dei servizi che vuole offrire h24, ha fatto sì
che il lavoro notturno e a turni si diffondesse praticamente a tutti i settori lavorativi.
Il lavoro notturno costa di più, però l’impresa, ottimizza questi costi con la maggiore produzione, a
vantaggio della società.
L’uomo è un mammifero, un animale diurno, ed il lavoro notturno porta alla desincronizzazione dei
suoi ritmi biologici.
EFFETTO BIOLOGICO del lavoro a turni o notturno: perdita della ritmicità circadiana.
EFFETTO OCCUPAZIONALE del lavoro a turni o notturno: aumento del rischio di eventi accidentali.
EFFETTO PERSONALE del lavoro a turni o notturno: influenza negativa sociale e familiare.
EFFETTO SANITARIO del lavoro a turni o notturno: deterioramento delle condizioni di salute
dell’individuo.
Il lavoro notturno è stato ritenuto un fattore concausale di gravi disastri, come:
l’incidente nucleare di Three Mile Island (1979)
l’esplosione di fabbrica di pesticidi a Bhopal (1984)
l’incidente nucleare di Chernobyl (1986)
l’esplosione del Challenger Space Shuttle (1986)
il naufragio della petroliera Exxon Valdes (1989)
Gli obiettivi attuali sono quelli di coinciliare:
1. salute
2. benessere sociale
Pertanto lo scopo della medicina del lavoro è quello di valutare l’impatto del lavoro notturno sulla
salute e cercare delle strategie d’intervento.
La problematicità del lavoro notturno per la salute e la sicurezza dei prestatori d’opera è stata
sempre presente nella legislazione italiana.
Tuttavia, specialmente in un primo momento, il legislatore si è interessato in modo preponderante
alla correlazione tra lavoro notturno e condizioni particolarmente delicate caratterizzanti
determinati gruppi di lavoratori.
La Legge 977/1967 statuisce, all’art. 15, il divieto di adibire i minori al lavoro notturno, salvo
particolari condizioni di deroga.
Più nello specifico, la prestazione lavorativa del minore può protrarsi non oltre le ore 24 e, in tale
caso, il minore deve godere, a prestazione compiuta, di un periodo di riposo di almeno 14 ore
consecutive (art. 17, comma 1).
Per quanto riguarda gli adolescenti dopo il compimento del sedicesimo anno, questi possono essere
(seppur eccezionalmente e per il tempo strettamente necessario) adibiti al lavoro notturno quando
si verifica un caso di forza maggiore che ostacola il funzionamento dell’azienda, purché tale lavoro
sia temporaneo e non ammetta ritardi, non siano disponibili lavoratori adulti e siano concessi periodi
equivalenti di riposo compensativo entro tre settimane (art. 17, comma 2).
La legge con il decreto Lgs. del 26 marzo 2001, n. 151 ha aggiunto il divieto per le donne di essere
adibite al lavoro, dalle ore 24 alle ore 6, dall’accertamento dello stato di gravidanza fino al
compimento di un anno di età del bambino.
La medesima disposizione avverte, altresì, che non sono obbligati a prestare lavoro notturno la
lavoratrice madre di un figlio di età inferiore a tre anni o, in alternativa, il lavoratore padre
convivente con la stessa e la lavoratrice o il lavoratore che sia l’unico genitore affidatario di un figlio
convivente di età inferiore a dodici anni.
Con il decreto Lgs. del 26 marzo 2001, n. 151 non è obbligata a prestare lavoro notturno la
lavoratrice madre adottiva o affidataria di un minore, nei primi tre anni dall'ingresso del minore in
famiglia, e comunque non oltre il dodicesimo anno di età o alle stesse condizioni, il lavoratore padre
adottivo o affidatario convivente con la stessa (art. 11, comma 1, decreto Lgs. 15 giugno 2015, n. 80).
Peraltro, non sono obbligati a prestare lavoro notturno neppure la lavoratrice o il lavoratore che
abbiano a proprio carico un soggetto disabile ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104.
Come appare evidente, si tratta di normative che ruotano attorno alle specificità di determinati
soggetti: fanciulli, soggetti diversamente abili e donne (in seguito genitori).
Non si evince, invece, il disegno una disciplina protettiva del lavoratore notturno in quanto tale, in
quanto persona, al di là degli status che esso si trovi a ricoprire.
Su un piano di una più generale regolamentazione del lavoro notturno può essere citato, in primo
luogo, l’art. 2108, comma 2 del ​codice civile​: la legge si limita ad imporre una maggiorazione
economica rispetto al lavoro diurno.
Solo con il decreto Lgs. 26 novembre 1999, n. 532 (Disposizioni in materia di lavoro notturno, a
norma dell’articolo 17, comma 2, della Legge 5 febbraio 1999, n. 25) la legislazione italiana ha inteso
recepire a tutti gli effetti un nuovo fattore di rischio specifico.
Tale Decreto è stato, pochi anni dopo, sostituito e abrogato l’8 aprile 2003 con l’attuazione delle
direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti altri aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro.
Inoltre, con la Circolare del 3 marzo 2005, n. 8 (che disciplina alcuni aspetti dell’organizzazione
dell’orario di lavoro), il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ne ha chiarito maggiormente
alcuni aspetti.
Il lavoro notturno​ è definito secondo la legge dal lavoro che si svolge durante il periodo notturno: un
totale di 7 ore consecutiva che comprendono l’intervallo tra la mezzanotte e le 5 del mattino
successivo.
Il lavoratore notturno​ è:
- qualsiasi lavoratore che durante il periodo notturno svolga almeno tre ore del suo tempo di
lavoro giornaliero impiegato in modo normale.
- qualsiasi lavoratore che svolga durante il periodo notturno almeno una parte del suo orario
di lavoro secondo le norme definite dai contratti collettivi di lavoro.
- qualsiasi lavoratore che svolga lavoro notturno per un minimo di 80 giorni lavorativi all'anno
(riproporzionato in caso di lavoro a tempo parziale).
Con il decreto legislativo dell’8 aprile 2003, n. 66 si stabiliscono nell’art. 11 i requisiti dei lavoratori
che possono essere esclusi dall’obbligo di effettuare lavoro notturno e nell’art. 13 si chiarisce come
l’orario di un lavoratore notturno non possa superare le 8 ore in media nelle 24 ore.
Concretamente, nel 2008, con il decreto Lgs. 81, il lavoro notturno non è trattato esplicitamente tra
le materie di tutela della salute dei lavoratori, restano sempre in vigore le leggi precedenti.
Il medico competente, che svolge un’adeguata sorveglianza sanitaria anche per i lavoratori notturni
deve pensare ad una serie di strategie di intervento: non esiste un sistema di turnazione
biologicamente ottimale, per cui bisogna intervenire seguendo criteri bio-ergonomici.
Il sistema maggiormente promosso è lo schema di rotazione in “ritardo di fase” cioè il lavoratore
svolge prima un turno di mattina, poi il pomeriggio ed il terzo giorno la notte, in questo modo si
favorisce il naturale allungamento dei ritmi biologici e garantisce giorni di riposo più o meno
omogenei tra ciascun turno.
Qualora non fosse possibile attuare questo schema di rotazione, sarebbe comunque opportuno
decidere con largo anticipo quali sono i turni di ogni lavoratore, limitare al massimo le notti
consecutive che comunque devono essere distanziate tra loro da 24 ore di riposo.
Ci sono alcuni lavoratori esposti ad un altro rischio: il JET-LAG. Tipico dei lavoratori di compagnie
aeree, ma anche per tutti gli altri lavoratori che devono spostarsi da parte a parte del globo
giornalmente. Si è visto che i lavoratori che viaggiano verso l’oriente abbiano una difficoltà maggiore
a risincronizzare l’orologio biologico rispetto a chi viaggia verso l’occidente.
Una cosa essenziale è la promozione della salute:
Semplici parametri raccolti durante la visita medica (altezza, peso, BMI, circonferenza vita, pressione
arteriosa, abitudine al fumo, etc.) unitamente alla considerazione della tipologia di attività e alla
natura della turnistica, sono, infatti, elementi sufficienti per rilevare le caratteristiche più importanti
della popolazione lavorativa e quindi calibrare adeguatamente il tipo di intervento che si vuole
realizzare.
I programmi di promozione della salute (previsti dall’Art. 25 del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i.) possono
essere organizzati volontariamente dai datori di lavoro.
- La partecipazione a tali programmi da parte dei lavoratori è facoltativa (anche se questi
interventi dovrebbero essere resi più accattivanti possibile per favorire una certa affluenza).
- Un intervento, per essere realmente efficace, deve prendere in considerazione le specifiche
caratteristiche della realtà aziendale nella quale è in procinto di essere realizzato.
È necessario, quindi, prevedere un’iniziativa che contempli tutte le seguenti azioni:
- valutazione dei rischi cui la popolazione lavorativa è esposta;
- condizioni globali di salute della popolazione lavorativa;
- strategie di sensibilizzazione e formazione;
- offerta di approfondimenti diagnostici e percorsi terapeutici;
- indicazione di comportamenti preventivi.
Nel 2005 una review di 72 studi statunitensi ha concluso che ogni dollaro investito in un programma
di promozione della salute ha generato un risparmio medio, per ciascun lavoratore, di 3,48 dollari di
cure per la salute e di 5,82 dollari in termini di riduzione dei costi dall’assenteismo.
In totale, ogni dollaro speso, ha prodotto un ROI (Returns On Investment) di 4,30 dollari.
Per cui una valutazione dei rischi ben eseguita e l’attuazione di strategie di intervento realmente
efficaci hanno un ritorno economico per l’azienda, anche se per i datori di lavoro potrebbe sembrare
un costo inutile, i soldi spesi nella promozione della salute sono tutti riguadagnati.

La IARC ha recentemente classificato il lavoro a turni ed il lavoro notturno come possibili carcinogeni
2A, questo tipo di lavoro aumenta il rischio di ammalarsi di tumore alla mammella, al colon ed alla
prostata. Le categorie di lavoratori più a rischio sono coloro che lavorano nel settore sanitario, nelle
industrie, nel settore economico (in borsa) e nei trasporti.

La cronobiologia è lo studio delle attività biologiche dell’organismo in funzione del tempo.


L’uomo ha delle ritmicità all’interno del nostro organismo, una prima ritmicità la possiamo
riconoscere nella mitosi e nel ciclo cellulare, un’altra è il battito cardiaco, il ciclo mestruale.
Quanti ritmi esistono?
ULTRADIANI: durata inferiore alle 20h
CIRCADIANI: 20h +/- 4h
DIANI: 24h +/- 2h
INFRADIANI: più di 28h
CIRCASEPTANI: durata di circa 7g +/- 3g
CIRCADISEPTANI: 14g +/- 3g
CIRCAVIGINTANI: 21g +/- 3g
CIRCATRIGINTANI: 30g +/- 5g
CIRCANNUALI: 12 mesi +/- 2 mesi
Il ritmo circadiano è seguito dal ritmo sonno-veglia, dalla regolazione della temperatura corporea,
della pressione arteriosa, della secrezione surrenalica, ipofisaria ed epifisaria, dalla disivione
cellulare.
L’intuizione che un sistema vivente cambi tra il giorno e la notte è antichissimo, già Adostene di Taso
notò come le foglie di betulla si richiudessero di notte. Nel 1729, Jean Jacques d’Ortus de Mairan
sperimentò come una pianta, abituata dal ritmo luce-buio, conservasse la memoria di queste fasi
anche quando mantenuta sempre al buio. Carlo Linneo nel 1751 constatò come esistessero diverse
fasi nell’arco dell’anno e delle stagioni in cui certe piante si alternano, per la fioritura, la
fruttificazione, ecc.
Negli anni 50 dello scorso secolo, il Prof. Franz Halberg dell’Università del Minnesota pubblica il
“Journal of Circadian Rhythms”, introducendo nella pratica clinica medica il concetto di circadiano
dandone la definizione: è la scienza che investiga e quantifica i meccanismi della struttura temporale
biologica, incluse le manifestazioni ritmiche della vita.
Di recente, nel 2017 hanno ricevuto il premio Nobel per la medicina tre biologi genetisti, il Prof. Hall,
il Prof. Rosbash ed il Prof. Young per le loro scoperte sui meccanismi molecolari che controllano il
ritmo circadiano. Per cui oggi conosciamo perfettamente la complessa base genetica, di
organizzazione biologica dei ritmi circadiani: tutta una serie di fattori di trascrizione, proteine (come
CRY1 e 2, PERs) capaci di riparare il DNA, cioè su quello che viene degradato durante la giornata.
Queste proteine tra loro si complessano per svolgere la loro funzione: durante il giorno queste
proteine vengono rilasciate mentre durante la notte rientrano nel nucleo per riparare i danni
genetici. Quindi, durante il giorno gli impulsi che causano stress ossidativo vanno a creare danni alle
proteine, al DNA, ecc. ma in contemporanea i livelli dei biomarcatori delle proteine deputate alla
riparazione del DNA risultano bassi mentre durante le ore notturne i livelli di tali biomarcatori
(8-oxoguanina) salgono.
Vi è uno stimolo ambientale, la luce solare, che attiva all’interno dell’epifisi il rilascio di un ormone,
formato a partire dal triptofano, fondamentale nel controllo del ritmo sonno/veglia: la melatonina.
Fisiologicamente la propensione al sonno raggiunge un picco massimo durante la notte, dopo le 19
(e dopo pranzo), mentre il picco di veglia si aggira nell’orario diurno verso le ore 11.
La secrezione di melatonina avviene principalmente durante la notte, con una produzione massima
alle ore 00. La melatonina coordina la produzione di altri ormoni: TSH, leptina, grelina, testosterone,
cortisolo, GH, insulina, ecc.
La cronodistruzione​ è quello che noi intendiamo con conseguenza della distruzione dei ritmi
circadiani, è stato visto che la disorganizzazione cronotemporale derivante ad esempio dalla
disorganizzazione della giornata del lavoratore a turni può avere delle ripercussioni sulla
performance lavorativa, sulla salute e sulla vita sociale e familiare del lavoratore.
La cronodistruzione è stata correlata al cancro, alla depressione, ai disordini metabolici, alle malattie
cardiovascolari e neurodegenerative.
Il disallineamento dei ritmi circadiani causa un aumento del rilascio di grelina (che regola il senso di
fame) mentre riduce il rilascio di leptina (che regola il senso di sazietà). E’ stato visto che i lavoratori
notturni tendono a mangiare di più e ad essere in sovrappeso.
Anche gli effetti della deprivazione di sonno sono stati studiati ed è stato visto come una sua cronica
deprivazione possa condurre il lavoratore all’aumento dei livelli di insulina (nonostante i livelli di
glucosio nel sangue risultino normali), che causa un’insulino-resistenza e aumenta il rischio di soffrire
di diabete di tipo II.
In medicina del lavoro è importante studiare la cronobiologia per riuscire a definire gli interventi da
proporre al datore di lavoro e valutare la predisposizione e la possibilità di un lavoratore di seguire
un orario lavorativo da turnista o notturno.
Sappiamo ad esempio che dopo i 40 anni si riduce la capacità di riposare durante il giorno e
l’adattamento al disallineamento dei ritmi circadiani risulta più lento dopo questa età.
Anche il genere influisce moltissimo, le donne sembrano sviluppare disturbi correlati al lavoro
notturno o a turni in anticipo rispetto agli uomini, forse in relazione all’impegno che le donne
durante il giorno rivestono nelle questioni familiari o in relazione al ciclo mestruale.
Chi fa prevenzione nei luoghi di lavoro deve fornire una serie di suggerimenti per migliorare la vita
dei suoi dipendenti:
- Pagare ai dipendenti la palestra, per favorire l’attività fisica.
- Far conoscere ai dipendenti i propri turni in largo anticipo.
- Suggerire ai lavoratori quali sono gli alimenti più adatti alla propria attività lavorativa.

MEDICINA DI GENERE
La medicina di genere è importante perché bisogna avere un approccio genere-orientato nella
prevenzione in diversi ambiti: nutrizionale, ambientale e della sicurezza sul lavoro. Infatti le
differenze di genere possono far variare giustamente i biomarcatori diagnostici, prognostici e
predittivi associati al rischio genere-associato di sviluppare diverse patologie (il tutto determinato
dai diversi meccanismi patogenetici associati alle patologie che differentemente colpiscono uomini e
donne con una certa prevalenza in un sesso o nell’altro) e la risposta alla terapia che un uomo o una
donna possano avere (per garantire l’appropriatezza della cura).
La medicina di genere indaga tutti gli aspetti della salute umana focalizzando la propria attenzione
sulle disparità di genere.
Il sesso​ è la classificazione biologica del genere che si basa sulla distinzione degli individui in maschi e
femmine in relazione alla loro funzione riproduttiva.
Il genere​ comprende i comportamenti e le attività che una società considera specifici per l’uomo e
per la donna ed il modo di vedersi come maschi o femmine in relazione al proprio ruolo sociale.
Il decreto Lgs. 81/08 promuove nell’art. 6, 28, ecc. la considerazione delle differenze di genere nella
valutazione dei rischi professionali e nella predisposizione delle misure di prevenzione.
Bisogna quindi pensare in un’ottica di genere e valutare le differenze di genere: bisogna individuare i
rischi ed i pericoli attraverso l’analisi dei processi e l’attuazione di misure tecniche e procedurali di
prevenzione e protezione atte a ridurre la probabilità di danno (infortuni e malattie professionali) al
lavoratore, anche sulla base delle differenze di genere.
L’Istituto Superiore di Sanità ha sviluppato un software che valuta il rischio ed il pericolo per genere,
questo è uno strumento importantissimo che può essere utilizzato sul luogo di lavoro.
Oggi la distribuzione degli uomini e delle donne vede come vi sia una maggioranza di datori di lavoro
di sesso maschile, di dirigenti di sesso maschile e di preposti di sesso femminile.
Le donne sembrano sempre aver avuto al contrario degli uomini, come uno studio del 2003 ha
evidenziato, un maggiore giudizio di idoneità rispetto agli uomini alle mansioni a loro preposte.

Il decreto Lgs. 81/08 prevede la valutazione dei rischi dovuti ad aspetti organizzativi e al rischio
intrinseco biologico, fisico e chimico.
1. L’organizzazione del lavoro può condizionare il rischio connesso all’attività lavorativa
maschile e femminile. La segregazione comporta un’esposizione a rischi diversi per qualità
(tipo di danno) e quantità (numero di danni):
- SEGREGAZIONE ORIZZONTALE: alcuni settori lavorativi presentano prevalentemente
l’occupazione di uno dei due sessi.
- SEGREGAZIONE VERTICALE: all’interno di uno stesso settore generalmente le
mansioni affidate alle donne sono diverse rispetto a quelle affidate agli uomini.
I danni da stress lavoro-correlati possono influenzare l’insorgenza di patologie in tutti gli
apparati e i sistemi dell’organismo umano interessando: il sistema cardiovascolare
(ipertensione), endocrino (malattie tiroidee, ciclo mestruale, obesità, malattie tiroidee),
gastrointestinale (gastrite, ulcera, colite), nervoso (depressione, nevrosi, insonnia, ansia),
dermatologici (psoriasi, alopecia, dermatite).
Per il sesso femminile lo stress è doppio perché a quello lavorativo si aggiunge quello dovuto
al carico delle cure parentali.
2. Per la valutazione dei rischi fisici, biologici e chimici è opportuno orientare i programmi di
prevenzione sui luoghi di lavoro ed è necessario conoscere le diversità biologiche e
funzionali che contraddistinguono l’essere maschile da quello femminile.
Questo perché esistono una serie di differenze che possono influenzare la cinetica degli
agenti tossici: le differenze di peso e superficie corporea, l’entità e la distribuzione del
pannicolo adiposo, il volume plasmatico, l’attività detossificante degli enzimi epatici
(citocromo P450), la velocità di svuotamento gastrico, la VGF.
Queste differenze sono in grado di modificare la relazione tra dose di esposizione e dose
biologica efficace a livello degli organi bersaglio.
Gli inquinanti in ambiente di lavoro possono espletare un’azione tossica variabile in base alla
quantità assorbita dall’organismo (BODY BURDEN). A parità di esposizione, donne e uomini
hanno un diverso carico biologico.
Le soglie di esposizione o valori limite di riferimento (TVL) per i rischi di natura chimica sono
tradizionalmente elaborate in modalità “neutra” senza considerare le differenze di genere
anche se la soglia di tossicità per ogni individuo varia in base al sesso e ad altri fattori (età,
genetica, stili di vita, abitudini personali, etnia, ecc.).
L’asma bronchiale è una patologia molto comune e le crisi asmatiche possono scatenarsi anche a
seguito di un’esposizione a sostanze presenti in ambiente lavorativo. Sono stati descritti più di 200
fattori in grado di scatenare asma professionale, ad esempio isocianati, materiali plastici, vernici,
colle.
L’asma bronchiale ha una forte differenza di genere, perché mentre in età scolare è prevalente nel
sesso maschile, questa differenza si allarga repentinamente durante l’attività lavorativa, dai 25 ai 65
anni rispetto agli uomini.
Il rischio ergonomico di sovraccarico biomeccanico di soffrire di patologie come tendiniti e sindrome
del tunnel carpale è maggiore nelle donne, infatti gli strumenti di lavoro sono spesso progettati per
un “lavoratore maschio medio”.
Possono essere messe in atto tutta una serie di azioni per promuovere la valutazione del rischio in
un ottica di genere, in che modo?
- condividendo con la medicina del lavoro l’approccio della medicina di genere
- valutando le caratteristiche biologiche e fisiologiche che possono determinare effetti diversi
anche parità di esposizione e mettere in atto azioni per gestire il rischio genere specifico
- progettando postazioni di lavoro, attrezzature e DPI ergonomici, per renderli adatti alla
variabilità antropometrica della forza lavoro
- analizzando i processi produttivi, l’organizzazione del lavoro e le mansioni in modo da
ridurre i “rischi emergenti”
- analizzando la suscettibilità al rischio rispetto all’età e alla tipologia contrattuale
Il compito difficile della medicina del lavoro è PROTEGGERE SENZA DISCRIMINARE, l'obiettivo è
quello di migliorare ed estendere le tutele e la prevenzione individuando gli elementi di differenza
senza creare ostacoli all’inserimento e permanenza dell’individuo nel mondo del lavoro.

STRESS LAVORO CORRELATO


Il benessere​ è uno stato mentale dinamico caratterizzato da un’adeguata armonia tra capacità,
esigenze ed aspettative di un individuo, ed esigenze ed opportunità ambientali.
Nel corso degli ultimi 30 anni ha preso piede la convinzione che l’esperienza dello stress correlato al
lavoro eserciti influenze negative sulla salute e sulla sicurezza degli individui, nonché per la salute
dell’organizzazione di appartenenza.
Giusto per dare un’idea:
I primi ad evidenziare che lo stress lavoro correlato influisse negativamente sulla qualità del lavoro
furono degli olandesi, infatti, durante quel periodo, tra il 1981 ed il 1994, nei Paesi bassi si registrò
un aumento dal 21 al 30% dei lavoratori che avevano ricevuto una pensione di invalidità a causa di
disturbi correlati allo stress.
Nel 1998 si è registrato che in Inghilterra, a causa delle assenze dal lavoro, sono stati persi 10,2
miliardi di sterline dall’economia inglese.
Il 71% dei dirigenti britannici hanno evidenziato come secondo loro i problemi di natura psicologica
siano correlati allo stress lavorativo e che in generale il 60% dell’assenteismo è causato da disturbo
da stress.
Sono circa 550 milioni i giornate quelle perse dai lavoratori negli USA, il 54% collegate a stress sul
lavoro. Dalle proiezioni elaborate dal National Health Interview Survey, 11 milioni di lavoratori negli
USA dichiarano come lo stress lavoro correlato comprometta la propria salute.
Lo stress lavorativo, dopo i problemi muscoloscheletrici (alla schiena) è il più frequente problema di
salute correlato al lavoro, interessa circa 1 lavoratore su 4 e può verificarsi in qualunque settore e in
organizzazioni di qualunque dimensione, indipendentemente dalla tipologia di contratto.
Per questo esiste una normativa che riguarda questa condizione: l’accordo europeo sullo stress sul
lavoro dell’8 ottobre 2004.
Lo stress​ non è una malattia ma un'esposizione prolungata allo stress può ridurre l’efficienza sul
lavoro e causare problemi di salute. L’obiettivo è offrire ai datori di lavoro e ai lavoratori un modello
che consenta di individuare, prevenire o gestire lo stress lavorativo.
Lo stress lavoro correlato è oggetto della valutazione dei rischi come da decreto Lgs. 81/08.
L’accordo europeo ha la finalità di accrescere la consapevolezza e la comprensione da parte dei
lavoratori e del datore di lavoro sull’argomento, offrire un quadro di riferimento per cogliere i
segnali di stress ma la normativa non concerne la violenza, le molestie e lo stress post-traumatico.
La NOSH definisce lo stress correlato al lavoro come un insieme di reazioni fisiche ed emotive
dannose che si manifestano quando le richieste poste dal lavoro non sono commisurate alle
capacità, alle risorse o alle esigenze del lavoratore. Lo stato di stress può essere definito come
caratterizzato da elevati livelli di ansia ed eccitazione, accompagnati da senso di inadeguatezza.
La prima definizione di stress fu di un certo Seyle che nel 1973 formulò che: “lo stress è la risposta
fisiologica dell’organismo di fronte ad ogni richiesta operata su di esso”.
Le cause di stress potrebbero anche essere dovute a rapidi cambiamenti di temperatura, alla
variazione delle abitudini alimentari, variazioni dell'impiego, un trasloco, la perdita del congiunto, in
tutti questi casi e molti altri il soggetto avrà una reazione da stress descritta da Seyle come
“sindrome generale di adattamento”. Questa sindrome comprende gli stressors, che sono le reazioni
biologiche dell’organismo agli stimoli esterni e le risposte generali non specifiche dell’organismo
messe in atto dall’asse ipotalamo ipofisi surrene.
In questa sindrome si distinguono 3 fasi:
1. fase di ALLARME
2. fase di RESISTENZA
3. fase di ESAURIMENTO
Tutti i sistemi vulnerabili allo stress (endocrino, digerente, immunitario, respiratorio e
cariovascolare) rispondono: produzione di corticosteroidi, flogosi locale o sistemica, ecc.

STRESS FISICI: temperatura, umidità, rumore, vibrazioni, carenza di ossigeno;


STRESS FISIOLOGICI: fatica, perdita di sonno, saltare i pasti, malattie;
STRESS PSICOLOGICI: fattori sociali o emozionali come divorzio, lutto, malattia di un caro;

Ciascun individuo da un’importanza relativa agli accadimenti, questo è stato dimostrato da uno
studio condotto nel 1988 che ha verificato la LIFE EVENTS SCALE, un elenco di 102 avvenimenti
oggettivamente verificabili per ognuno di cui è stato richiesto di attribuire un punteggio avendo
come riferimento il valore di 500 per il matrimonio. E’ stato visto che tra gli eventi di vita connessi al
lavoro la perdita o il fallimento negli affari ha raggiunto un punteggio di 510. Nella scala degli stress
gli eventi con punteggi più alti sono stati la morte del coniuge o del figlio, il divorzio, mentre in
ultima posizione il possesso di un animale domestico.
Gli stressors hanno la caratteristica di essere cumulativi e possono causare uno “stress overload”.
Giornalmente ogni individuo percepisce uno stress correlato alla famiglia, allo stato finanziario, alla
salute o alla carriera, questo è noto come “daily stress”, più raramente le normali operazioni
possono diventare più impegnative e causare un “cockpit stress”. Lo “stress acuto” si manifesta
invece a seguito di emergenze o condizioni metereologiche particolari.
Esistono essenzialmente 3 approcci differenti per la definizione e lo studio dello stress:
1. approccio TECNICO: lo stress sul lavoro è una caratteristica dannosa dell’ambiente di lavoro.
2. approccio FISIOLOGICO: lo stress è un effetto fisiologico agli stimoli avversi.
3. approccio PSICOLOGICO: lo stress sul lavoro è un’interazione dinamica tra persona e
ambiente di vita e lavoro.
I primi due approcci ignorano nell’ambito del processo globale di stress, il ruolo individuale di fattori
cognitivi e situazionali. Mentre il terzo approccio presta attenzione a fattori ambientali e ai fattori
psicosociali dello stress lavoro correlate. Attualmente il terzo approccio ha per questo ottenuto
maggior consenso.
Secondo l’impostazione psicologica, il soggetto è portato ad attivare un PROCESSO ESTIMATIVO in
cui si domanda “ho un problema?” quindi “cosa farò in proposito?”. L’elaborazione di una strategia
di comportamento/adattamento è definita COPING.
Le strategie di COPING principali sono 5:
1. ricerca di supporto sociale
2. rinvio delle azioni mediante rilassamento e spostamento dell'attenzione
3. sviluppo di maggiori capacità per affrontare il problema
4. spiegazione razionale del problema
5. ricorso ad un impegno spirituale

La risposta allo stress ha lo scopo di risolvere definitivamente o momentaneamente la situazione, di


evitare possibili conseguenze negative o di sviluppare un adattamento che consenta di sopravvivere
rispetto alla situazione stressante imposta.
La risposta allo stress avviene sia su un’asse NERVOSO che ENDOCRINO.
L’asse nervoso è rappresentato dal sistema simpatico e dalla porzione midollare del surrene. Grazie
alla liberazione di catecolamine, esse generano una risposta “ergotropa” che consente di far
affrontare l’evento in modo rapido e adeguato: reazione di “lotta o fuga”.
L’asse endocrino è costituito dalla porzione corticale dei surreni che secernono ormoni
corticosteroidi, il principale di cui è il cortisolo. Questa risposta è stata definita “adattativa” perchè
questi ormoni, immessi in circolo garantiscono la risposta utile all’evento stressante.
Lo stress entro certi livelli è considerato utile tanto da essere definito “sale della vita” (condizione di
EUSTRESS). Tuttavia, il ripetersi di eventi stressanti conduce a un attivazione psicologica esagerata e,
col tempo alla comparsa di campanelli d’allarme, come l’abbassamento delle difese immunitarie e lo
sviluppo di varie malattie (condizione di STRESS).
Venendo al problema dello stress lavoro correlato, anche in questo caso lo stress può essere
fisiologico, “buono”, eustress o “cattivo”, ACUTO o CRONICO. Lo stress lavoro correlato è causato
dall’esposizione a rischi ​psicosociali ​ma anche ​fisici​.
I rischi psicosociali sono le interazioni tra contenuto del lavoro, gestione, organizzazione del lavoro,
ambiente di lavoro, e le competenze e le esigenze dei lavoratori.
Levi, nel 1984 ha raggruppato le diverse caratteristiche psicosociali del lavoro in base a 4 elementi:
- sovraccarico quantitativo
- carico qualitativamente ridotto
- mancanza di controllo sul lavoro
- mancanza di supporto sul lavoro
L’ambiguità di ruolo sul lavoro causa scarsa soddisfazione e stress lavorativo, così come il conflitto di
ruolo (svolgere un’attività in conflitto con i propri ideali, o essere posti in più posizioni incompatibili
tra loro, come per i cosiddetti “ruoli di confine” tra più reparti), la mancata progressione di carriera,
l’insicurezza dell’impiego, un basso livello di retribuzione, l’incongruenza di posizione (rispetto alle
proprie capacità), la non presenza di autonomia decisionale ed il controllo, la violenza sul lavoro, il
conflitto tra lavoro e famiglia (specialmente per le lavoratrici), la sindrome del “tempo libero
sprecato”, il lavoro a turni, ecc.
Il rischio fisico di stress può essere ad esempio correlato all’ambiente malsano, al rumore, al clima
troppo caldo o troppo freddo, umido, alle posizioni non ergonomiche di lavoro, all’esposizione ad
agenti chimici o i lavori eccessivamente rischiosi (per lo stato di imminente pericolo che vive di
continuo il lavoratore).

Gli effetti dello stress che si ripercuotono sulla salute possono essere:
EFFETTI SOCIALI E PSICOLOGICI:
- malattie mentali: nevrosi reattiva (ansia, tensione emotiva, depressione, irritabilità, scarsa
concentrazione).
- alcolismo e abuso di stupefacenti.
- malattie psicogene: nausea, cefalea, vertigini, astenia.
- assenteismo fisico (assenza dal lavoro) e psichico (scarsa concentrazione)
- aumento di infortuni sul lavoro (per la diminuita vigilanza ed attenzione del lavoratore
causata dall’abuso di alcol, dall’astenia psicofisica, ecc.)
EFFETTI FISICI E FISIOLOGICI:
- malattie cardiovascolari: angina pectoris, infarto (è stata rilevata una più alta incidenza di
infarto del miocardio nelle categorie lavorative dirigenziali), ipertensione, aumento dei livelli
di colesterolo ematico.
- malattie gastrointestinali: gastrite, ulcera, rettocolite ulcerosa, colon irritabile.
- iperglicemia, asma o eczema, diabete, diminuzione dei linfociti NK e depressione delle difese
immunitarie (aggravamento di neoplasie).
I sintomi più frequenti dello stress sono:
- perdita della concentrazione
- disinteresse nelle attività
- irritabilità
- assenteismo
- pessimismo
- distraibilità
- litigiosità
- irrequietezza
- ansia
- sospettosità
- gelosia eccessiva
I gruppi maggiormente vulnerabili allo stress sono: i lavoratori giovani o anziani, gli immigrati, i
disabili e le donne. L’INAIL riconosce lo stress lavorativo come malattia professionale, è obbligatoria
la denuncia.
Nei luoghi di lavoro le misure attuabili per prevenire, eliminare o ridurre lo stress sono:
1. comunicazione efficace: per chiarire gli obbiettivi aziendali ed il ruolo di ogni lavoratore,
offrire sostegno a ciascuno di essi, coinciliare le responsabilità e autonomia dei lavoratori.
2. formazione: per accrescere la consapevolezza dello stress e affrontarlo o adattarsi al
cambiamento.
3. informare e consultare: per accrescere il senso di appartenenza e risolvere i conflitti.
4. ridurre al minimo i rischi fisici
5. consentire ai lavoratori di partecipare alle decisioni che hanno ripercussioni dirette sul loro
lavoro.
6. adattare i carichi di lavoro alle capacità e alle risorse di ciascuno.
7. assegnare le mansioni in modo che il lavoro risulti sempre stimolante.
8. evitare ambiguità riguardo le prospettive di sviluppo professionale e la sicurezza sul posto di
lavoro.
9. offrire possibilità di interazione sociale.
10. definire con chiarezza i ruoli e le responsabilità.
Nell’ambiente sanitario lo stress lavoro correlato è particolarmente comune, specialmente in questo
periodo di pandemia in cui viene richiesto agli operatori sanitari sempre maggior impegno:
reperibilità, conversione dei reparti, stigma sociale, allontanamento dai propri cari, contatto diretto
con il virus.
Con il termine BURN-OUT si intende una sindrome derivante da stress cronico sul posto di lavoro
non adeguatamente gestito caratterizzata da: esaurimento delle risorse psicologiche, sentimenti
negativi o cinici verso il lavoro e gli altri, ridotta efficacia professionale, adozione di comportamenti
non salutari, sottostima della percezione del rischio.
Per questo motivo l’INAIL in collaborazione con l’ordine degli psicologi, CNOP ha creato un servizio
dedicato alla gestione dello stress per gli operatori sanitari. La finalità di questa iniziativa è favorire
l’attivazione uniforme del servizio in tutte le aziende sanitarie locali attraverso un task-force di
psicologi che possano ottimizzare gli strumenti utilizzati per la tutela degli operatori sanitari con
consulenze psicologiche.

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