Sei sulla pagina 1di 73

L

EZIONI DI
MedicINA legalE

Raffaella Rinaldi
LA MEDICINA LEGALE E’
IL PUNTO DI CONTATTO
TRA SAPERE MEDICO E
SAPERE GIURIDICO

DE REBUS MEDICIS SUB


SPECIE JURIS
MEDICINA LEGALE

❖Il suo insegnamento ha lo scopo di portare l’attenzione


su questioni di interesse giuridico e sociale che hanno
attinenza con le scienze sanitarie.

❖Prepara il professionista a sostenere adeguatamente il


suo ruolo e la sua professione.
Scarsa consapevolezza della valenza

giuridica e, prima ancora, medico

legale di tutte le prestazioni

professionali

R. Rinaldi
Voi diventerete
I GARANTI
della tutela della salute
della persona assistita

(ovvero: assumerete il dovere, giuridicamente


riconosciuto, di impedire eventi lesivi di altrui
beni)
R.
A CHI FACCIAMO
RIFERIMENTO?

COSTITUZIONE
CODICE PENALE
CODICE DI PROCEDURA PENALE
CODICE CIVILE
CODICE DI PROCEDURA CIVILE
CODICE DEONTOLOGICO
Costituzione

Art. 32
Art. 2 Art. 38

Normativa delegata

Tutela
Tutela della salute del danno
del cittadino da trattamento
sanitario
ART 2: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle
formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di
solidarietà politica, economica e sociale»

Art.32: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della
collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.
La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.

ART. 38: «Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al
mantenimento e all'assistenza sociale.
I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in
caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.
Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale.
Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato.
L'assistenza privata è libera.
Partizione della medicina legale
Medicina legale generale: comprende le nozioni preliminari, le
finalità, l’esposizione della metodologia, analizza la
dottrina della causalità.

Medicina legale penalistica: studia i rapporti che intercorrono tra la medicina


legale ed il diritto penale

Medicina legale civilistica: studia i rapporti che intercorrono tra la medicina


legale ed il diritto civile

Patologia forense : principali attività del medico legale e le basi per l'analisi
delle lesività di maggiore interesse nell'ambito della
patologia forense.

Etica e Deontologia : studia le norme etiche e deontologiche che disciplinano


l’esercizio della professione

Psicopatologia Forense: applica le conoscenze della psichiatria al diritto penale


e civile

e molto
altro…
Partizione della medicina legale

Tossicologia forense

Ematologia forense

Ost e Gin. forense

Odontoiatria forense

Medicina sociale

Medicina legale del SSN

Medicina legale militare

Med. Leg. delle Assicuraz.


ecc….
Programma
Nozioni preliminari: definizione e partizione della medicina legale. Compiti e finalità. Metodologia medico legale. Concetto di danno in generale.

Il rapporto di causalità. Criteriologia medico-legale.

Medicina legale penalistica. Nozioni di diritto penale. I reati in generale. Elementi psicologici del reato. Forme di responsabilità in ambito penalistico. Delitti contro la vita.
Omicidio, istigazione al suicidio, infanticidio. Delitti contro l’incolumità individuale, delitto di percosse, delitto di lesione personale, delitti colposi contro la salute pubblica,
maltrattamenti.

L’imputabilità. La pericolosità sociale. La capacità di stare in giudizio. La circonvenzione di incapace.

Medicina legale civilistica Nozioni di diritto civile. Diritti della persona. Capacità giuridica, concetto di nascita, estinzione della capacità giuridica, maggiore di età e
capacità di agire. Interdizione inabilitazione, amministrazione di sostegno.

Il diritto alla salute ed il diritto all’autodeterminazione. Il Consenso informato. Legge 219/18 Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di
trattamento.

Deontologia medica. Il codice di deontologia. Referto. Denuncia di reato. Denunce sanitarie. Segreto professionale. Omissione di soccorso. Cartella clinica. Responsabilità
professionale in ambito penale e civile . Legge 24/2017 “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità
professionale degli esercenti le professioni sanitarie”

Cenni di Tanatologia forense e lesività medico-legale.

• TESTI CONSIGLIATI

di Luca N.M., Feola T. Manuale di Medicina legale, Edizioni Minerva Medica, Torino, 2016 (da aggiornare con le nuove leggi sul Consenso informato (L.219/18)e
responsabilità professionale (L23/2017).

Da studiare solo i capitoli relativi al programma.


RAPPORTO DI

CAUSALITÀ
NOZIONE DI RAPPORTO
CAUSALE
Con l’espressione rapporto di causalità si intende il
legame che intercorre tra due fenomeni, per cui l’uno
assume figura di effetto rispetto all’altro.
La valutazione del rapporto o nesso causale riguarda i
rapporti esistenti tra uno o più antecedenti ed un
susseguente: di norma in medicina legale si tratta di
stabilire se tra un antecedente lesivo - capace, cioè, di
determinare una modificazione peggiorativa dello stato
anteriore della persona - e un evento dannoso o
pericoloso concernente la persona stessa vi è un
rapporto di causa ad effetto e non una semplice
successione cronologica.
STRUTTURA DEL RAPPORTO
CAUSALE
Antecedenti: una o più cause lesive

Rapporto o nesso
di azione lesiva per la
causalità persona umana
materiale

Susseguente: evento di danno o


di pericolo
La causa in senso medico-legale

La causa in senso medico-legale può


essere definita come quell’antecedente,
di interesse e di valore giuridici, dal
quale dipende (in concorso o meno con
altri fattori) l’avverarsi della
modificazione peggiorativa della
persona, anch’essa di rilevanza giuridica.
CAUSA CAUSA CAUSA CAUSA

EFFETTO

Schema di rapporto o nesso concausale


Il rapporto cronologico

Stabilire se tra un antecedente (possibile


causa) ed un susseguente (effetto
concretamente verificatosi) sussiste un
rapporto di causalità materiale significa
accertare che tra i due fenomeni esiste un
legame effettivo e non una semplice
successione cronologica.
Infatti, tra gli attributi della causa vi è sempre
quello di precedere l’effetto. Ma questo
attributo non è sufficiente per assegnare
all’antecedente il valore di causa rispetto al
susseguente.
Gli antecedenti
Gli antecedenti sono i fenomeni che si sono verificati
prima o che hanno preceduto nel tempo la verificazione
dell’effetto, ma che non necessariamente ne sono stati la
causa.
Sotto il profilo causale, gli antecedenti possono essere
distinti e classificati come:
a) indifferenti o estranei alla produzione dell’evento
susseguente;
b) condizionali (condizioni preesistenti che hanno reso
possibile l’azione della causa lesiva);
c) causali in senso proprio, ossia cause vere e proprie
dell’evento susseguente.
ANTECEDENTI CONDIZIONALI O
CONDIZIONI

Le condizioni possono essere definite come


quegli antecedenti costitutivi dello stato
anteriore, in assenza dei quali la causa non può
agire o non può produrre quel determinato
evento del quale la condizione è antecedente
necessario.
Per esempio: uno stato di predisposizione
morbosa, una condizione patologica
predispo-nente, una condizione fisiologica (lo
stato di gravidanza nei confronti dell’aborto).
Art. 40 c.p.
(Rapporto di causalità)

Nessuno può essere punito per un fatto


preveduto dalla legge come reato, se l’evento
dannoso o pericoloso, da cui dipende la esistenza
del reato, non è conseguenza della sua azione od
omissione.
Non impedire un evento, che si ha l’obbligo
giuridico di impedire, equivale a cagionarlo.
In termini giuridici, l’azione o il facere
(causalità commissiva o attiva) è equiparata
all’omissione o al non facere (causalità omissiva
o passiva), sempre che l’omissione riguardi un
comportamento che l’autore del non-fatto o
della non-azione aveva l’obbligo giuridico di
porre in essere.
Art. 41 c. p. (Concorso di
cause)
Il concorso di cause preesistenti o simultanee o
sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione od
omissione del colpevole, non esclude il rapporto di
causalità tra l’azione od omissione e l’evento.
Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità
quando sono state da sole sufficienti a determinare
l’evento. In tal caso, se l’azione od omissione
precedentemente commessa costituisce per sé un reato,
si applica la pena per questo stabilita.
Le disposizioni precedenti si applicano anche quando la
causa preesistente o simultanea o sopravvenuta consiste
nel fatto illecito altrui.
Classificazione delle concause

anatomiche

preesistenti fisiologiche

patologiche
simultanee

sopravvenute
Cause o concause preesistenti
Si identificano con gli antecedenti condizionali o condizioni.
Esempi di cause preesistenti di carattere anatomico:
• il decorso in sede anomala di un vaso importante;
• l’anomalia di posizione di visceri (ectopia renale; situs viscerum inversus,
…);
Esempi di cause preesistenti di carattere fisiologico:
• lo stato di ripienezza dello stomaco oppure della vescica;
• lo stato di distensione da gas delle anse intestinali;
• lo stato di gravidanza o lo stato mestruale, …
Esempi di cause preesistenti di carattere patologico:
• particolare vulnerabilità delle ossa per processi osteomielitici o
neoplastici;
• diatesi emorragiche;
• diabete mellito;
• rottura di un aneurisma in seguito a un trauma contusivo;
cecità bilaterale per perdita dell’occhio superstite in soggetto monoculo,

Cause o concause simultanee

Sono cause che agiscono contemporaneamente ad


altre.
Esempio: la possibilità di penetrazione nell’organismo di
germi contemporaneamente a quella del mezzo
vulnerante che li ospita, così che alla ferita prodotta
dal mezzo stesso si associa anche il maggior danno
causato dall’infezione.
Cause o concause sopravvenute
Sono cause che agiscono successivamente ad altre.
Gli effetti determinati da queste cause si sovrappongono a quelli
determinati dall’azione del colpevole, talvolta aggravandoli e talvolta
dando origine ad una serie causale completamente autonoma.
L’art. 41 c. p. prevede che le concause sopravvenute escludono il
rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a
determinare l’evento. Questo si verifica soltanto quando l’azione
della causa soprav-venuta determina l’evento escludendo l’azione di
altre cause.
Esempi di concause sopravvenute che non escludono il rapporto di
causalità:
• infezione secondaria a ferita, che conduce prima a setticemia e poi
a morte;
• complicazione anestesiologica in soggetto operato per ferita da
arma da fuoco, …
I criteri più adottati sono
comunque i seguenti:

Criterio cronologico
Criterio qualitativo
Criterio quantitativo
Criterio modale
Criterio cronologico
L’analisi di questo criterio è fondata sul duplice
presupposto che l’antecedente debba sempre
precedere l’evento lesivo o dannoso o pericoloso (così
da escludere la preesistenza di quest’ultimo al primo) e
che il nesso temporale, cioè l’intervallo di tempo
intercorso fra i due, sia stimato sufficiente e
adeguato, rispetto a quanto stabilito dalle comuni
conoscenze scientifiche, ai fini dell’ammissione del
nesso in questione nel caso concreto.
Dunque, criterio cronologico significa anche studio del
periodo di incubazione e di latenza, quindi analisi
dell’effettiva adeguatezza tra ciò che si è verificato
nella pratica e ciò che è noto dalle conoscenze
scientifiche su quel determinato argomento.
Criterio qualitativo

Consiste nello studio e nel confronto tra le


caratteristiche qualitative dell’evento lesivo e quelle
proprie delle conseguenze dannose, dimostrando la
stretta connessione reciproca delle stesse.
La qualità si riferisce alle caratteristiche specifiche di
un fatto, di un mezzo lesivo, di un reperto, di un esito
etc., caratteristiche che valgono a distinguere quel
reperto, quel mezzo, quella lesione, da tutti gli altri.
Il criterio quantitativo

Questo criterio deve essere applicato sia alla forza viva


da cui è animato il mezzo lesivo, sia al grado di resistenza
organica della parte interessata dal trauma, sia alla
quantità di effetti lesivi prodotti dal mezzo stesso.
Il quantum di danno è da considerare in ogni caso come la
risultante di due quantità: quella energetica del mezzo
lesivo e quella della resistenza organica che ad essa si
oppone.
A titolo d’esempio basterà ricordare come si possono
avere conseguenze diverse con traumi della stessa entità
a seconda che siano interessate ossa sane oppure ossa
osteoporotiche.
Criterio modale

Consiste nel verificare la corrispondenza fra la sede di


applicazione e la modalità lesiva della forza traumatica,
la modalità di produzione, di manifestazione e di
evoluzione della lesione, le caratteristiche specifiche
della stessa, la modalità di consolidamento degli esiti
ecc.
È nota ad esempio la frequenza con cui si producono
le cosiddette lesioni da contraccolpo.
Si parla più propriamente di traumi diretti o di
modalità d’azione diretta se esiste una assoluta
corrispondenza topografica fra la sede di
applicazione del trauma e la sede di produzione e di
comparsa degli effetti lesivi.
Si parla invece di traumi da contraccolpo quando la
lesione si obiettiva a distanza (trauma indiretto) o
nella sede opposta al punto di impatto del trauma.
Ne costituiscono esempi talune lesioni scheletriche
che si obiettivano nei precipitati e che si producono
appunto con meccanismo di contraccolpo: fratture ad
anello della base cranica, in corrispondenza del
forame occipitale, nelle cadute sui piedi, oppure nelle
stesse evenienze: la frattura bilaterale del collo del
femore ecc.
Un tipico esempio di trauma da contraccolpo è il
cosiddetto «colpo di frusta» della colonna cervicale,
così frequente a riscontrarsi nella pratica peritale a
seguito ad esempio di un tamponamento auto-auto.
Si tratta di un movimento di iperestensione e quindi di
iperflessione del capo. Il rachide cervicale subisce al
momento del tamponamento una sollecitazione
funzionale in iperestensione. Subito dopo il guidatore
del veicolo tamponato frena bruscamente per una
reazione istintiva ed allora il capo iperesteso viene
bruscamente sollecitato ad una violenta iperflessione
in avanti.
Da ciò il nome di colpo di frusta o di trauma a fionda.
Si potranno osservare allora lesioni distrattive o
lacerazioni dell’apparato legamentoso, lesioni
muscolari, delle radici nervose, etc.
Si pensi ad esempio ai casi di ematoma epidurale
oppure di ematoma intradurale (o subdurale) post
traumatico.
L’intervallo libero, necessario perché si formi la
raccolta emorragica responsabile della compressio
cerebri, può essere di alcune ore, di giorni, di
settimane e talora perfino di alcuni mesi dal momento
del trauma.
Analogamente si possono citare le rotture traumatiche
della milza (rotture in due tempi), anche se talvolta la
cosiddetta latenza corrisponde al riconoscimento
tardivo dei segni di anemia acuta.
Medicina legale penalistica
studia i rapporti tra il diritto
penale e la medicina legale
Art. 1 Codice Penale

“nessuno può essere punito per


un fatto che non sia
espressamente preveduto dalla
legge come reato, né con pene
che non siano da essa
stabilite”
.Raffaella Rinaldi
Breve vademecum sulla classificazione dei reati
di utilità in ambito medico-legale

Delitti: sono i più gravi, puniti con pene dall’ergastolo alla reclusione, alla multa .
Contravvenzioni: meno gravi, puniti con l’arresto o l’ammenda

Secondo l’elemento psicologico del reato:


DOLOSO: secondo l’intenzione. Coscienza e volontà di ledere
PRETERINTENZIONALE: oltre l’intenzione
COLPOSO: contro l’intenzione (si realizza per imprudenza imperizia e negligenza)

Reati commissivi: realizzati mediante una condotta attiva, facendo quello che non si
doveva fare
Reati omissivi: derivano da un comportamento astensivo o passivo, non facendo cioè
quello che si doveva o si poteva fare

Reati procedibili d’ufficio: quando il procedimento penale è promosso dallo stato


tramite gli uffici titolati all’azione penale
Reati procedibili a querela: mediante iniziativa privata, la cui procedibilità è
subordinata alla volontà del soggetto offeso o danneggiato
Delitti contro l’incolumità
individuale
Percosse e Lesioni personali
Risponde del delitto di PERCOSSE (Art. 581 c.p.) «Chiunque
percuote taluno, se dal fatto non deriva una malattia nel
corpo o nella mente, è punito a querela della persona offesa
… Tale disposizione non si applica quando la legge considera
la violenza come elemento costitutivo o come circostanza
aggravante di un altro reato».

La percossa è un atto doloso violento, quindi con l’intenzione


di provocare tale sofferenza, privo di conseguenze lesive e
limitato a produrre una sensazione fisica dolorosa della
parte colpita, accompagnata in genere da una reazione
vasomotoria fugace con arrossamento della parte colpita.

La percossa non comporta alterazione dell’integrità


somatica della persona a differenza della lesione personale
dove dal fatto deriva uno stato di malattia.
«La differenza fra lesioni personali e percosse dipende esclusivamente
dalle conseguenze cagionate al soggetto passivo dall’azione del reo: si
configura il delitto di percosse se dal fatto deriva al soggetto passivo
soltanto una sensazione fisica di dolore, quello di lesione se ne deriva
una malattia, ancorché l’intenzione dell’agente sia stata soltanto quella
di percuotere».
(Cass. Pen. Sez. V, 26 febbraio 1981, in Cass. Pen. 737, 1982)

«Poiché i reati di percosse e di lesioni personali volontarie hanno in


comune l’elemento soggettivo, che consiste nella volontà di colpire
taluno con violenza fisica, l’unica differenza fra i due reati va ravvisata
nelle conseguenze che la violenza produce, essendo il reato di percosse
caratterizzato dalla condizione che la violenza non abbia cagionato, al
di fuori di un’eventuale sensazione dolorosa, effetti patologici
costituenti malattia, e cioè non si siano prodotte alterazioni organiche
o funzionali sia pure di modesta entità».
(Cass. Pen. Sez. 1, 11 giugno 1985)
Per il configurarsi della fattispecie delittuosa sono importanti

✔La condotta violenta diretta a percuotere.

✔L’effetto materiale dell’atto, vale a dire la


sofferenza fisica arrecata.

✔L’elemento psicologico o dolo, cioè l’intenzione di


cagionare tale sofferenza.
La CONDOTTA consiste nell’esercitare una violenza fisica su
parti corporee della persona altrui.

Il delitto si perfeziona nello stesso atto del percuotere un’altra


persona, ovvero battere, colpire con le mani o i piedi o con un
oggetto, malmenare, urtare, infliggere dolore.

L’atto del percuotere, indica una precisa modalità d’azione e


individua una condotta tipica, pertanto le percosse costituiscono
un reato a forma vincolata, che non può essere commesso con
un mezzo qualsiasi, bensì richiede l’impiego di atti violenti, che
sono soltanto quelli contusivi.

L’azione viene esercitata di solito con un mezzo di offesa


naturale ma non sono esclusi altri mezzi contundenti impugnati o
lanciati da distanza in modo da offendere l’incolumità senza
cagionare conseguenze morbose. Ne costituiscono degli esempi
gli atti di sferrare un pugno, un calcio, afferrare con forza o
violenza, strattonare, pizzicare etc, così da arrecare all’altro
una sofferenza.
Gli EFFETTI della percossa si immedesimano con la sensazione
dolorosa del punto colpito, che tuttavia può mancare, senza
escludere il reato, quando la percossa cade, ad esempio su una
regione corporea anestetica o coperta da spessi indumenti.

Rientra nei limiti della percossa la reazione vasomotoria, cioè


l’immediato pallore della cute da vasocostrizione contusiva e
l’arrossamento da vasodilatazione secondaria, purché non ne
consegua l’edema sieroso o l’ecchimosi.

Vi può rientrare, altresì, la


diminuita sensibilità locale,
rappresentata dalla lieve
ipoestesia o dal senso di intorpidimento
della parte colpita.

In ogni caso gli effetti della percossa sono fugaci e si


dileguano completamente.
L’elemento psicologico è rappresentato dalla consapevole volontà
di percuotere o DOLO e ciò esclude il delitto colposo di
percosse, non previsto dal codice penale.

«I reati di percosse e di lesioni personali volontarie hanno in comune


l’elemento soggettivo che consiste nella volontà di colpire taluno con
violenza fisica. L’unica differenza fra i due reati va ravvisata nelle
conseguenze che la violenza produce.
Infatti, il primo è caratterizzato dalla condizione negativa, per cui
la violenza non abbia cagionato, al di fuori di un’eventuale sensazione
dolorosa, effetti patologici costituenti malattia e cioè non si siano
prodotte alterazioni organiche o funzionali, sia pure di modesta
entità.
Pertanto, nel caso in cui, a seguito delle percosse subite, la vittima
riporta un trauma contusivo, che determini un’alterazioni delle
normali funzioni fisiologiche dell’organismo della parte lesa, tali da
richiedere un processo terapeutico con specifici mezzi di cura ed
appropriate prescrizioni mediche, si configura il delitto di lesioni
volontarie»
(Cass. Pen. Sez.1, 23 luglio 1985)
LESIONI PERSONALI

✔La lesione personale rappresenta un reato a forma libera,


perché i mezzi usati per ledere possono essere di qualsiasi
natura (materiali o immateriali, diretti o indiretti), provvisti di
capacità lesiva sul corpo o sulla psiche o entrambi.

✔La lesione personale è un reato di evento perché, affinché


esso sussista, bisogna che si verifichi qualcosa al di là
dell’azione del reo, ossia uno stato di malattia.

✔L’elemento psicologico permette di distinguere forme dolose


(intenzione di provocare una lesione) o colpose (aggredire
senza l’intenzione di provocare una lesione, che tuttavia si
verifica).
DELITTO DI LESIONE PERSONALE (Art. 582 c.p.)

«Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale


deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la
reclusione … . Se la malattia ha una durata non superiore ai
venti giorni e non concorre alcuna delle circostanze aggravanti
previste dagli articoli 583 e 585, … il delitto è punibile a
querela della persona offesa”.

In questa fattispecie di reato è previsto il dolo (elemento


psicologico) che sebbene sia generico, prevede la volontà e la
coscienza di ledere ed offendere, con la propria azione od
omissione, l’altrui incolumità
(animus laedendi).
Il legislatore piuttosto che sul tipo di azione o di condotta, si
indirizza sul tipo di evento, per cui è sufficiente, affinché esso
sussista, che la condotta stessa, anche se non «violenta» (ad
esempio somministrazione di cibi scarsi o nocivi) si trovi in
relazione causale con il verificarsi di una condizione di malattia.

L’EVENTO è rappresentato dalla malattia fisica o psichica della


persona offesa, riconducibile con nesso causale alla condotta del
soggetto agente.

Cosa si intende per malattia?

Per la nostra scuola medico legale, la malattia deve essere


definita come una modificazione peggiorativa dello stato
anteriore, avente carattere dinamico, estrinsecantesi in un
disordine funzionale apprezzabile di una parte o di tutto
l’organismo, che si ripercuote sulla vita organica e soprattutto di
relazione e che necessita di un intervento terapeutico, per
quanto modesto (Gerin).
Più sinteticamente, si suole intendere:

«Ogni processo morboso a carattere evolutivo che colpisca la


sede delle funzioni somatiche o la sede delle funzioni psichiche,
accompagnato da disturbi funzionali locali o generali,
obiettivamente rilevabili».

Ovvero ogni processo morboso che ha un inizio, una evoluzione ed


una risoluzione (guarigione totale o parziale con postumi).

La malattia, quindi, non è uno stato né un esito ma è un fenomeno


dinamico e cioè evolutivo.

Sia l’inizio che la sua evoluzione e durata assumo particolare


rilevanza giuridica, vuoi ai fini della verifica del rapporto di
causalità, vuoi sulle diverse conseguenze sul piano penale e
pertanto sulla gravità della pena.
Il concetto di malattia acquista dunque
significato antitetico rispetto a quelli di stato, di postumo o di
esito.
Perciò solo quando si parla di esiti, la dinamicità del processo
morboso deve considerarsi ormai definitivamente spenta.
Inoltre proprio tenendo conto della diversa durata della malattia
oltre che della diversa gravità degli esiti sarà possibile distinguere
in vario modo le lesioni personali.
Da ricordare, che in medicina, la lesione di un organo o di un tessuto
da cui non derivi alcun disordine funzionale, neppure momentaneo o
localizzato, non deve considerarsi malattia.
Quindi la malattia deriva dall’esistenza di un disordine funzionale,
generale o locale, da cui deriverà l’altro importante requisito del
danno alla vita di relazione.
Nel concetto di malattia ritroviamo come dal processo di alterazione funzionale
o di modificazione peggiorativa dello stato anteriore, derivi una sofferenza per
l’individuo che ne è affetto, sofferenza che si traduce anche in disturbi
soggettivi riferiti dal paziente oltre che in segni clinici obiettivi e tali da
giustificare la necessità dell’intervento diagnostico o terapeutico, cui consegue
una limitazione della vita di relazione della persona.

Tanto più il soggetto presenta una compromissione della sua capacità di


autogestire la propria condizione di sofferenza maggiore sarà la necessità di un
intervento terapeutico e viceversa in caso contrario.

Pertanto il processo di alterazione funzionale diventa medicolegalmente


importante in quanto esso si ripercuote sulla vita di relazione della persona e la
limita causando perciò una disfunzione non solo della vita individuale ma della
stessa vita collettiva o sociale.
Per malattia nel corpo s’intende qualsiasi patologia che
incida sull’integrità fisica della persona, anche se con
scarsa importanza clinica (ecchimosi, escoriazioni e
graffiature etc.), che pertanto non possono
considerarsi semplici percosse.

Per malattia nella mente, invece, s’intende qualsiasi


alterazione, anche transitoria, delle facoltà psichiche,
da qualunque causa prodotta, purché abbia i caratteri
di un fatto patologico compatibile
con i quadri classici della psichiatria
o con le ripercussioni mentali di
una malattia somatica (nevrosi reattiva,
sindrome ansiosa, cefalea, shock emotivo).
La legge distingue sulla base della durata della
malattia e della gravità delle conseguenze quattro
diversi gradi di lesioni personali dolose:

✔LIEVISSIME

✔LIEVI

✔GRAVI

✔GRAVISSIME
❖ La lesione personale è LIEVISSIMA quando dalla lesione
deriva una malattia nel corpo o nella mente di durata non
superiore ai 20 giorni. È la forma più tenue di lesione,
punibile a querela della persona offesa che non prevede
l’obbligo di referto.

❖ La lesione personale è LIEVE se da essa deriva una malattia


nel corpo o nella mente di durata superiore ai 20 giorni ma
inferiore ai 40 giorni. È procedibile d’ufficio, il referto è
obbligatorio.
❖ La lesione personale è GRAVE se la durata
della malattia o dell’incapacità di attendere
alle ordinarie occupazioni supera i 40 giorni
o se si configura alcuna delle circostanze
aggravanti previste dall’art. 583 c.p.
(«Circostanze aggravanti») quali una
malattia che metta in pericolo la vita della
persona, ovvero se il fatto produce
l’indebolimento permanente di un senso o di
un organo. Tale reato è procedibile
d’ufficio, dunque il referto è obbligatorio.
✔ MALATTIA NEL CORPO O NELLA MENTE DI DURATA
SUPERIORE AI 40 GIORNI

La durata della malattia corrisponde al tempo durante il quale


evolvono i fenomeni morbosi reattivi e riparativi fino all’avvenuta
guarigione. Si considera cessata la malattia quando l’organismo
nel suo complesso o l’organo singolo sia stabilizzato nella sua
funzionalità. Non rientrano nella malattia i processi latenti di
riparazione anatomica che continuano anche dopo la ripresa
funzionale in totale assenza di sintomi clinici (es. organizzazione
della cicatrice di una ferita, il consolidamento del callo osseo di
una frattura, il riassorbimento del sangue stravasato di un
ematoma).

La malattia che rende grave la lesione personale supera i 40 giorni


ma deve avere un limite di prognosticabile cessazione altrimenti
se la sua durata fosse illimitata, essa si trasformerebbe in
malattia certamente o probabilmente insanabile e quindi in una
lesione gravissima.
✔ INCAPACITÀ DI ATTENDERE ALLE ORDINARIE
OCCUPAZIONI PER UN PERIODO SUPERIORE AI 40
GIORNI

Indica l’impedimento, totale o parziale, della persona lesa di


svolgere le attività consuete della vita di relazione.

Le «ordinarie occupazioni» sono quelle abituali e lecite che


fanno parte della vita di un individuo, le occupazioni
lavorative e quelle extra-lavorative purché non saltuarie.

Rientrano quindi anche quelle sportive, gli hobbies, le


attività economiche, quelle di studio, etc., sempre che si
tratti di occupazioni lecite e che facciano parte della vita
ordinaria ed abituale della persona lesa.
Nel definire tale periodo si deve tener conto della
sostanziale equiparazione stabilita dal Codice fra malattia
ed incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni.

Nella durata dell’incapacità rientra anche il periodo di


convalescenza, poiché è certo che come nella malattia,
anche durante questa fase il soggetto è costretto a
limitare la propria vita di relazione e la propria capacità di
espletare le abituali attività della vita quotidiana.

Se a causa di una lesione personale il soggetto patisce una


malattia che duri 25 giorni, ma una volta che questa si è
esaurita, l’incapacità ad attendere alle ordinarie
occupazioni si protrae per ulteriori 20 giorni, questa
ulteriore durata sarà sommata al periodo della malattia,
cosicché in tutto si avranno 45 giorni di incapacità, fra
malattia e convalescenza.
✔ MALATTIA CHE METTE IN PERICOLO LA VITA DELLA
PERSONA OFFESA

Dal punto di vista medico-legale si tratta di una circostanza


aggravante che si realizza solo quando sussiste l’ATTUALITÀ
del pericolo di vita per la persona lesa con la conseguenza che
la persona stessa viene a trovarsi sul punto di morire.

Occorre che la lesione interessi funzioni di vitale importanza


(attività cardiaca, nervosa, respiratoria) causando un pericolo
concreto e immediato, anche se di breve durata e poi
fortunatamente scampato.

Ciò che rileva è che in un momento sia pur breve sia stato
diagnosticato, come conseguenza della lesione subita,
l’imminente verificarsi dell’evento mortale. Il giudizio sulla
malattia che mette in pericolo la vita della persona offesa
deve essere inteso come giudizio diagnostico espresso sulla
base della effettiva realtà e gravità della compromissione
delle funzioni cardiaca, respiratoria e nervosa.
Il pericolo deve essere attuale e non solo genericamente
potenziale, né deve essere desunto da possibili o prevedibili
complicanze future, non ha alcun valore giuridico la previsione di
una futura eventuale successione di fenomeni clinici sfavorevoli.

I fenomeni clinici sui quali il giudizio circa il pericolo di vita va


basato devono essere già realizzati al presente.

In ogni caso il pericolo per la vita della persona offesa deve


derivare dalla condizione di malattia.
Esempi di malattia che mettono in pericolo la vita possono essere
gravi condizioni di shock con impegno del sistema nervoso,
dell’apparato respiratorio e/o cardio-circolatorio così da far
ritenere imminente la morte (shock allergico con edema
polmonare, shock emorragico acuto, etc).

La presenza di tale pericolo rende grave la lesione


indipendentemente dalla durata della malattia e dalle sue
conseguenze debilitanti.
✔ INDEBOLIMENTO PERMANENTE DI UN SENSO O DI UN
ORGANO

Si ha quando i postumi già stabilizzati della lesione riducono l’efficienza di


un senso o di un organo, con effetti menomativi stabili e durevoli.
Ovverosia la presenza di esiti stabilizzati al cessare della malattia,
senza possibilità di un reale recupero funzionale completo della
struttura interessata.

Il termine «permanente» sta a significare che l’indebolimento obiettivato


deve essere durevole nel tempo, nel senso che durerà a lungo e che non
è possibile esprimersi sul quando ed in che misura esso potrà regredire.

In Medicina Legale organo è l’insieme delle strutture anatomiche che


esplicano una determinata funzione (ad esempio, per gli arti inferiori
funzione deambulatoria, per le mani funzione prensile, etc.), la cui
lesione comporta un danno alla vita vegetativa e di relazione del
soggetto.
Nel senso rientrano: vista, udito, tatto, olfatto, gusto, che permettono la
percezione del mondo esterno.
Se si deve valutare una menomazione a carico di organi (in senso anatomico)
pari (polmoni, reni, etc) si dovrà tenere conto delle capacità di compenso del
viscere superstite, della funzione residua e della funzione di riserva.

Quindi si parlerà:

•Nel caso di perdita del rene, a rene controlaterale integro, di indebolimento


permanente della funzione uropoietica.
•Nel caso di perdita del polmone, a polmone controlaterale integro, di
indebolimento permanente della funzione respiratoria.
•Nel caso di sordità monolaterale, ad orecchio controlaterale integro, di
indebolimento permanente della funzione uditiva.

La perdita di un rene subita da soggetto già mono-rene è valutata come


lesione gravissima, in quanto costituisce perdita dell’uso di un organo e non
solo indebolimento, del pari la perdita di un occhio per un monocolo.

Si deve sottolineare che l’eventuale correzione dell’indebolimento (utilizzo di


protesi o di interventi chirurgici) non esclude il delitto, in quanto non si ha
recupero funzionale naturale e nessuno può essere costretto a sottoporsi ad
alcun trattamento.
❖ La lesione personale è GRAVISSIMA se la malattia è
certamente o probabilmente insanabile o se si configura
alcun’altra delle circostanze aggravanti stabilite dall’art.
583 c.p. che verranno singolarmente considerate. Tale reato
è procedibile d’ufficio, dunque vi è obbligo di referto.

✔ MALATTIA CERTAMENTE O PROBABILMNETE


INSANABILE

Si considera insanabile una malattia quando essa, non essendo


suscettiva di reversione neppure con i sussidi dell’arte
sanitaria, durerà certamente o probabilmente tutta la vita.
Non occorre che l’insanabilità della malattia sia assoluta e
certa, è sufficiente che essa sia probabile ed è tale quando,
in base ai criteri della prognosi clinica, si ritenga che vi
siano scarse speranze di reversione del processo morboso
(emisezione traumatica del midollo spinale, un diabete, una
cirrosi epatica, etc) .
✔PERDITA DI UN SENSO

Abolizione definitiva di una delle funzioni sensitive


specifiche (es. sordità e cecità bilaterali). Si ha la perdita
anche quando la funzione non è completamente spenta, ma è
ridotta in misura tale da rendere praticamente inutilizzabile
quel poco di attività residua. Per gli organi duplici la perdita
sussiste quando entrambi sono funzionalmente spenti,
mentre la perdita di uno solo costituisce indebolimento.

✔PERDITA DELL’USO DI UN ORGANO

Soppressione funzionale di un organo, per perdita anatomica


o per distruzione del parenchima funzionale.
✔ PERDITA DI UN ARTO O MUTILAZIONE CHE RENDE
L’ARTO INSERVIBILE

L’arto si considera perduto quando si ha la mutilazione


traumatica o l’amputazione chirurgica o quando ne sia abolita
la funzione per una paralisi nervosa, in base al principio che
la perdita funzionale equivale a quella anatomica. Nonostante
la duplicità degli arti sussiste anche quando è perduto uno
solo di essi. La mutilazione che rende l’arto inservibile è
rappresentata dalla perdita anatomica di una mano o di un
piede, senza le quali l’arto è inutilizzabile.

La mutilazione parziale della mano o del piede determina


l’indebolimento permanente dell’organo della prensione o della
deambulazione (lesione grave), mentre la paralisi della mano o del
piede che non può considerarsi mutilazione è considerata
ugualmente lesione gravissima in quanto determina la perdita
dell’uso dell’afferramento o della locomozione.
✔ DIFFICOLTÀ GRAVE E PERMANENTE DELLA FAVELLA

Per favella s’intende il linguaggio articolato o parlato a mezzo del quale l’uomo
comunica agli altri il proprio pensiero.

Assumono notevole valore soprattutto i disturbi afasici, disartrici, quelli nei quali il
danno foniatrico consegue a menomazioni permanenti e gravi dell’apparato
fonatorio sia a livello periferico (laringeo, palatale, linguale, buccale, labiale,
dentale) sia a livello centrale.

Di solito deriva da alterazione dei centri nervosi del linguaggio o talora da lesioni
distruttive delle labbra, della lingua, del palato o del massiccio facciale, in questi
casi possono aversi gravi dislalie multiple e talora vera e propria impossibilità
all’eloquio.

Mentre gli esiti di lesioni locali (frattura della mandibola, rotture degli incisivi,
etc.), o di alterazioni delle corde vocali con afonia o disfonia interferiscono sulla
potenza vocale senza realizzare l’impedimento alla favella in quanto è abbassato
il tono della voce ma la parola viene espressa ed articolata in modo ancora
intellegibile.

Questi casi vanno valutati attentamente, in quanto raramente danno luogo a una
reale grave difficoltà della favella, più frequentemente rientrano nelle lesioni
gravi (indebolimento permanente dell’organo fonatorio).
✔ PERDITA DELLA CAPACITÀ DI PROCREARE

La funzione procreativa si considera perduta nell’uomo o nella


donna quando vi è l’incapacità di effettuare il coito
(impotentia coeundi) o quando sia impossibilitata la
fecondazione (impotentia generandi).

Nella donna si considera anche l’impotentia parturiendi dovuta


a cause che impediscono l’espletamento del parto per vie e
mezzi naturali, tra le quali sono frequenti le viziature
pelviche da fratture multiple del bacino male consolidate.
La possibilità del parto cesareo, essendo un mezzo
artificiale, non esclude l’aggravante.

Nessun rilievo per lo stesso motivo può essere conferito alle


tecniche di fecondazione artificiale, quali mezzi idonei ad
ovviare alle condizioni di incapacitas generandi.
Non può sussistere l’aggravante in quegli individui che per
senilità o per causa patologica avevano già perduto la capacità di
procreare.
Ad esempio la perdita delle ovaie o dei testicoli in una donna o in
uomo già sterili non deve essere considerata «perdita della
capacità di procreare». In tali casi potrà configurarsi semmai
altra circostanza aggravante come ‘malattia o incapacità ad
attendere alle ordinarie occupazioni per più di 40 giorni’ o
‘indebolimento permanente delle funzione endocrina’.
Lo stesso vale per la perdita dell’utero in una donna anziana.

Va riconosciuta nel caso di lesioni in soggetti impuberi, i quali


vengono privati della possibilità di esplicare in futuro la funzione
riproduttiva.
Si può perdere ciò che, per quanto ancora non si possiede,
sicuramente si possiederà: ad esempio si parlerà di perdita della
capacità di procreare nel caso di perdita dei testicoli in
soggetto impubere e sano.
✔ DEFORMAZIONE O SFREGIO PERMANENTE DEL VISO

Non è necessario che la menomazione interessi direttamente il volto,


quanto che faccia risentire su di esso i suoi effetti.

Lo sfregio consiste in un’alterazione permanente dei tratti fisionomici


che turba sensibilmente l’armonia del viso, rendendola meno bella e
meno espressiva (es: cicatrici visibili anche se di limitata
estensione).
Ciò vale anche in tema di danno estetico. Il medico tiene conto nella
valutazione del danno, della «funzione naturale».

Per deformazione (sfigura-deturpa) si intende una grave alterazione


dei lineamenti del viso, con cancellazione della normale fisionomia.
(es: cicatrici retratte, cheloidee ed estese del viso dovute ad ustioni,
causticazioni o radiazioni; gravi asimmetrie di un’emifaccia da esiti
di fratture, scalpo, amputazione di un padiglione auricolare,
schiacciamento massivo della piramide nasale).
LESIONE PERSONALE COLPOSA (Art. 590 c.p.)

«Chiunque cagiona ad altri, per colpa, una lesione


personale, è punito con la reclusione … o con la multa …».

Nelle lesioni colpose manca la volontà di produrre l’evento


(cioè la malattia). Dunque, questo, anche se preveduto, non è
voluto dall’agente, ma si verifica a causa di negligenza o di
imprudenza o di imperizia, ovvero per inosservanza di leggi,
regolamenti, ordini e discipline (art. 43 c.p., 3 comma).

Da un lato la vittima non avrebbe certamente riportato la


lesione suddetta, se il colpevole non avesse attuato la
condotta delittuosa in esame; dall’altro il soggetto attivo non
ha voluto in alcun modo con quel suo comportamento arrecare
un’offesa all’incolumità fisica o psichica del soggetto passivo.
❖ LESIONE COLPOSA SEMPLICE: malattia di durata
non superiore a 40 giorni.

❖ LESIONE COLPOSA GRAVE: malattia di durata


superiore a 40 giorni. Sono previste le stesse
circostanze aggravanti dell’art. 583 c.p. relativo alle
lesioni personali dolose.

❖ LESIONE COLPOSA GRAVISSIMA: corrisponde per


circostanza all’omologa dolosa.

Le pene sono aumentate in caso di lesioni colpose gravi e


gravissime secondarie a violazioni del codice della strada
o a quelle relative alla prevenzione degli infortuni sul
lavoro.
Le LESIONI PERSONALI COLPOSE sono tutte
procedibili a querela della persona offesa.

Viene fatta eccezione per quelle gravi e


gravissime che derivino da violazioni delle
norme per la prevenzione degli infortuni sul
lavoro o relative all’igiene del lavoro o che
abbiano determinato una malattia
professionale.

In questi casi si procede d’ufficio con


obbligatorietà di referto e rapporto.
PROCEDIBILITA’ LESIONI PERSONALI

DOLOSE COLPOSE

LIEVISSIME A querela A querela

SEMPLICI
LIEVI D’ufficio A querela

GRAVI D’ufficio A querela (*)

GRAVISSIME D’ufficio A querela (*)

(*) Tuttavia, nel caso di lesioni personali colpose gravi e gravissime derivate
dall’inosservanza di norme poste a tutela di infortuni, malattie professionali e
igiene del lavoro bisogna procedere d’ufficio.

In tutti i casi in cui si proceda d’ufficio, sussiste l’obbligo di referto.


DIFFERENZE TRA PERCOSSA E LESIONE PERSONALE

Elemento Percossa Lesione personale

Soggettivo dolosa dolosa o colposa

Azione commissiva commissiva od omissiva

Mezzi contusivi di ogni tipo

Evento assenza di malattia malattia

Procedibilità a querela a querela o d’ufficio

Referto esenzione esenzione o obbligo

Caratteri forma vincolata forma libera


reato di pura condotta reato di evento

Pena reclusione o multa reclusione

Potrebbero piacerti anche