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Medicina sociale

La medicina sociale è nata in Inghilterra nel 1972 quando i servizi sanitari iniziarono ad occuparsi
della salute delle popolazioni e non più del singolo soggetto. Essi iniziarono a investire più sulla
prevenzione che sulla cura e questa strategia portò ad un risparmio non indifferente.

La medicina sociale è lo studio della salute nel senso più ampio:

• ricerca i determinanti della salute (mortalità, fasce d’età, reddito, povertà, educazione, fattori
ambientali…)
• tiene conto delle influenze genetiche: studia l’esistenza di cluster più suscettibili a certe
malattie
• sul piano applicativo studia e indica le modalità più idonee affinché tutta la popolazione sia
dotata e usufruisca dei mezzi di ordine preventivo, curativo e riabilitativo propri della
medicina; le sue finalità si concretizzano nel mantenimento o nella realizzazione del benessere
dell’uomo inserito nella società.

Se lo scopo della medicina sociale è quello di studiare la salute per far in modo che le persone
rimangano in salute più a lungo possibile occorre definire il concetto di salute.

Concetto di salute

Evoluzione del concetto

A- La salute è intesa come assenza di malattia

B- La salute non è semplicemente l’assenza di malattia, è qualcosa di positivo, un’attitudine felice


verso la vita ed una lieta accettazione delle responsabilità che la vita stessa comporta per l’individuo
(Sigerist, 1941)

C- La salute è un completo benessere fisico, mentale e sociale e non consiste solamente in una assenza
di malattia o di infermità (Atto di Fondazione OMS, 1946)

D- La salute è una condizione di armonico equilibrio dinamico funzionale, fisico e psichico


dell'individuo dinamicamente integrato nel suo ambiente naturale e sociale (Seppilli, 1966) –
considera i determinanti di salute

La salute come diritto

Il diritto alla salute è uno dei diritti umani fondamentali internazionalmente riconosciuti.

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È stato menzionato per la prima volta nel 1946 nella Costituzione dell’Organizzazione Mondiale della
Sanità (OMS): nel preambolo si afferma che “il godimento delle migliori condizioni di salute fisica e
mentale è uno dei diritti fondamentali di ogni essere umano, senza distinzione di razza, religione,
opinione politica, condizione economica o sociale”

Lo stato Italiano, all’atto della fondazione della repubblica (1947) scrive all’art. 32 della Costituzione:

• la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della


collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.

• Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione
di legge.
• La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.

La Dichiarazione universale dei diritti umani (ONU, 10 dicembre 1948) sancisce che ogni persona
ha diritto ad un adeguato livello di vita che assicuri a lui e alla sua famiglia, la salute e il benessere,
inclusi il cibo, il vestiario, l'abitazione, l'assistenza medica e i servizi sociali, e il diritto alla sicurezza
in caso di disoccupazione, malattia, disabilità, vedovanza e vecchiaia.

Medicina sociale

La medicina sociale è una scienza interdiscliplinare ovvero lavora, prende spunto e collabora con
altre discipline:

• Igiene: disciplina biomedica per la prevenzione e la promozione della salute.


• Statistica sanitaria e Epidemiologia: discipline affini alla Medicina Sociale che hanno per
oggetto lo studio dei fenomeni collettivi che interessano la salute.
• Sanità Pubblica: l’insieme degli sforzi organizzati della società per le politiche per la salute
pubblica, la prevenzione delle malattie, la promozione della salute e per favorire l’equità
sociale nell’ambito di uno sviluppo sostenibile.
• Sociologia: studia le situazioni sociali e le relazioni interpersonali all’interno della collettività.
• Economia sanitaria: ha come oggetto lo studio dei costi delle malattie nonché degli oneri
economici che la tutela della salute comporta sia a livello collettivo sia a livello individuale.

Aree di intervento

• prevenzione delle malattie


• promozione della salute delle popolazioni
• miglioramento dell’efficienza e dell’efficacia dei servizi sanitari
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Prevenzione e promozione

I termini spesso usati come sinonimi ma in realtà indicano dei modi di azione differenti.

Prevenzione delle malattie à Individuare e rimuovere le cause e i fattori di malattia

Promozione della salute à Individuare e potenziare i fattori di benessere

Prevenzione delle malattie

La prevenzione è un atto a carico della sanità ovvero delle strutture sanitarie: il termine prevenzione
evoca un concetto negativo, significa operare contro qualcosa che potrebbe determinare un danno,
significa assumere un atteggiamento di difesa nei confronti dei determinanti della perdita di salute
siano essi esterni (ambiente) o interni (stili di vita). Riguarda Interventi messi in atto per evitare la
comparsa di una malattia, o di una sua specifica manifestazione o di un suo aggravamento o recidiva
fino a un possibile evento fatale:

• identificazione e rimozione/riduzione dei fattori causali o di rischio di una malattia


• misure volte ad arrestare l’evoluzione di una malattia già insorta e a ridurne le conseguenze

Es. campagne vaccinali, di diagnosi precoce oppure di eliminazione dei fattori di rischio. Fanno parte
della prevenzione poi tutte le attività che riducono le conseguenze di una malattia che già c’è stata.

Promozione della salute

La promozione è un atto a carico del singolo: il termine promozione evoca un concetto positivo,
significa operare a favore di tutto ciò che dà valore alla vita e alla persona.

La promozione della salute:

• studia come si crea la salute e cosa può essere fatto per restare sani il più a lungo possibile
• opera per motivare le persone a scegliere uno stile di vita sano in maniera consapevole e
autonoma

Processo che consente alle persone di esercitare un maggiore controllo sulla propria salute e di
migliorarla. Affinché questo avvenga, è necessario intervenire:

• a livello personale-comportamentale, rafforzando le risorse di salute


• a livello strutturale, creando i pre-requisiti e le condizioni di vita che permettano di mettere in
pratica stili di vita sani.

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Interventi a livello personale-comportamentale:

• campagne d’informazione e sensibilizzazione


• es. trasmette strumenti e saperi che permettano alle persone di nutrirsi in maniera più
equilibrata, di fare più attività fisica, di gestire i rapporti sociali in maniera più soddisfacente
e di occuparsi meglio di se stessi e degli altri

Interventi a livello strutturale:

• sostenere lo sviluppo di condizioni e ambiti di vita in grado di favorire la salute


• combattere le diseguaglianze sociali e di salute
• offrire nuovi orientamenti ai servizi sanitari

Salutogenesi

È tutto ciò che crea salute e che permette alle persone, anche in situazioni di forte avversità (un
trauma, una malattia cronica, la disabilità, precarie condizioni socioeconomiche, ecc), di compiere
scelte consapevoli di salute utilizzando risorse (interne ed esterne) accrescendo le proprie resilienza
e capacità pro-attiva. - Aaron Antonovsky, 1923-1994

È salutogenesi l’insieme di tutte quelle attività che si fanno per far in modo che in una popolazione
si crei salute.

Nel disegno c’è un fiume in cui da un lato c’è una sponda e da un altro c’è la cascata.

- La parte del fiume che scorre tranquilla rappresenta quei momenti della vita in cui il soggetto
vive in assenza di malattia, in salute.
- La cascata indica i momenti in cui la persona ha una malattia.

Death Deseas: nel disegno la persona cade e non sarà più possibile tirarla su. Questo rappresenta
quelle situazioni in cui la malattia conduce alla morte.
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Curative: nel disegno è la persona che sta cadendo nella cascata. Gli interventi curativi ovvero
terapeutici possono ripescare e salvare la persona mentre sta cadendo. È cura tutto quello che cerca
di restituire salute come farmaci, interventi, terapie, ecc.

Protective: nel disegno è la barriera prima della cascata. Gli interventi protettivi sono quei interventi
offerti dai servizi sanitari al cittadino senza che questo se ne accorga. Es. il magnesio protegge dalle
malattie cardiovascolari. Lo stato decide di inserire dosi aggiuntive di magnesio nelle reti idriche
destinate all’uso umano.

Preventive: nel disegno è il soggetto con il salvagente. Es. il servizio sanitario dice al cittadino che
farà una campagna di prevenzione e che fornirà un integratore a base di magnesio.

Health Education: nel disegno è il soggetto che nuota a rana. Il servizio sanitario dice ai cittadini
come assumere magnesio (cioccolato, piselli, fagioli, datteri, acque dure, ecc.)

Promotion: nel disegno è il soggetto che nuota vicino alla sponda. Si passa al livello della promozione
se il cittadino mette in pratica i suggerimenti proposti dall’educazione alla salute.

Passaggio da salute a malattia

La medicina sociale studia come mai ad un certo punto una persona o una popolazione si ammala.

In passato, la linea di demarcazione tra lo stato di salute e quello di non-salute era collocata in
corrispondenza del segno (2). Fino a meta anni ’90 le malattie più frequenti erano infettive e per
questo il passaggio da salute a malattia era rapidissimo.

Attualmente la linea di demarcazione fra salute e malattia viene collocata in corrispondenza del punto
(1), nel senso che anche una semplice condizione di esposizione a fattori di rischio rappresenta già,
di per sé, uno stato di non-salute. Oggi il passaggio tra lo stato di salute e di malattia conclamata
avviene nel corso degli anni ed è sempre più complicata comprendere i fattori che condizionano certe
malattie.

Sono numerosi i fattori che determinano l’insorgenza di una malattia:

• Agenti causali (cause): agenti diretti di malattia, svolgono un ruolo eziologico determinante
nell’inizio e nello sviluppo della malattia, sono in rapporto di causa-effetto con la malattia.

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• Fattori di rischio: attori comportamentali e ambientali che aumentano la probabilità che la
malattia si verifichi (es. fumo, dieta scorretta…). I fattori di rischio messi insieme e ripetuti
possono stare alla base dell’insorgenza di numerose malattie.

• Fattori protettivi: variabili costituzionali, comportamentali e ambientali associate a un minor


rischio di insorgenza di malattia.

Come si fa a capire come intervenire nei confronti di malattie causate da agenti causali o da fattori
di rischio? La medicina sociale non analizza le singole patologie ma effettua una classificazione in
due categorie: malattie infettive e cronico degenerative. Per fare questo la medicina sociale studia
la storia naturale delle malattie.

Storia naturale delle malattie

Per storia naturale si intende il decorso della malattia (nel singolo e nella comunità) senza l’influenza
di interventi terapeutici. Tale conoscenza permette di mettere in atto misure di prevenzione per ridurre
i casi di malattia. Ogni malattia ha la sua propria storia naturale, ogni formulazione generale è
necessariamente arbitraria.

Sulla base di alcune caratteristiche comuni della storia naturale (causa, periodo di incubazione,
esordio clinico, contagiosità, decorso, esito) possono essere distinti 3 raggruppamenti

• monocausali (agente eziologico singolo): malattie infettive, intossicazioni, malattie


genetiche…
• pluricausali (agenti eziologici multipli e aspecifici = fattori di rischio): cronico-degenerative
• malattie a eziologia sconosciuta: sclerosi multipla, Alzheimer…

Malattie infettive

Le malattie infettive (monocausali) sono patologie (per lo più acute) causate dal contatto con un
agente causale singolo (patogeno) che può essere rappresentato da:

• batteri (procarioti)
• virus
• funghi
• protozoi
• elminti
• artropodi
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Batteri

- Gruppo microbico più grande presente in natura.


- Diffusione ubiquitaria (aria, acqua, suolo, bioma): non tutti sono patogeni, molti svolgono
funzioni utili e vivono in simbiosi con l’uomo.
- Presentano forme diverse ma di norma hanno dimensioni pari a 1-2 µm.

Sono procarioti e quindi non hanno membrana nucleare (il genoma è libero nel citoplasma). Essi
hanno 1 cromosoma circolare con circa 5000 geni. Vi è la presenza di plasmidi i quali contengono
informazioni che spesso fanno acquisire potere il patogeno. Hanno una parete cellulare rigida e in
base a come questa si presenta li dividiamo in Gram+ e Gram-. Non hanno organuli per la respirazione
e la fotosintesi.

Possono essere aerobi, anaerobi o aerobi, obbligati o facoltativi.

I batteri creano malattia perchè:

• si tratta di ceppi batterici invasivi


• producono sostanze tossiche (esotossine e endotossine)

Esotossine:

• sostanze proteiche sintetizzate in forma solubile in particolar modo dai Gram+


• vengono escrete nel mezzo circostante e/o rilasciate in seguito a lisi cellulare
• se entrano nel circolo ematico si legano a specifici recettori cellulari (specificità cellulare)
risultando tossiche o letali per le cellule dell’ospite
• botulino e tetano

Endotossine:

• sono costituite dal lipide A del lipolisaccaride (LPS) che costituisce il rivestimento esterno
dei batteri Gram- .
• sono prodotte, quindi, solo dai batteri Gram- .
• vengono liberate alla morte del batterio. Per alcune patologie infatti è meglio non utilizzare
antibiotici.

I batteri si riproducono prevalentemente per divisione diretta (20-30 minuti per ogni generazione).
Possono formare una struttura detta spora che gli conferisce resistenza in ambienti non favorevoli alla
loro sopravvivenza. Es. i batteri anaerobi.

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Dal punto di vista antropocentrico i batteri si distinguono in:

1. Saprofiti: specie non patogene che hanno come habitat abituale l’ambiente esterno.
2. Commensali: specie non patogene che hanno come habitat abituale cute e mucose. Ci aiutano
nello svolgimento delle nostre funzioni vitali.
3. Patogeni: microrganismi che tendono a provocare malattia.

Saprofiti e commensali, in particolari condizioni (es. persone particolarmente fragili) possono


assumere il ruolo di patogeni: si parla in questo caso di patogeni opportunisti.

Virus

Sono particelle infettanti subcellulari ovvero parassiti intracellulari obbligatori. Da soli,


nell’ambiente esterno non si replicano ma necessitano di utilizzare le strutture di altre cellule. Hanno
dimensioni dell’ordine del nm.

Sono di norma costituiti da una molecola di DNA (virus a DNA) o di RNA (virus a RNA) circondate
da un involucro proteico (capside). Possono avere un rivestimento esterno (envelope lipoproteico)
derivato dalla membrana citoplasmatica o nucleare della cellula che hanno parassitato.

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La presenza di proteine (es. la proteina spike) che stanno su quello che circonda il materiale genetico
del virus è importante perché consente al virus di entrare all’interno di specifiche cellule. I virus sono
parassiti intracellulari obbligati ovvero se non trovano la cellula adatta muoiono.

L’acido nucleico virale codifica per le informazioni genetiche necessarie alla riproduzione del virus,
mentre la cellula ospite mette a disposizione tutte le attività enzimatiche necessarie alla replicazione

Il destino della cellula infettata può essere:

• rapida lisi che libera molti nuovi virus che andranno a parassitare nuove cellule.
• graduale e prolungato rilascio delle particelle virali

Protozoi

Sono eucarioti unicellulari non fotosintetici, possono assumere varie forme e dimensioni. Si
differenziano dai batteri perché il loro genoma è racchiuso all’interno di una membrana nucleare.
Molti sono a vita libera, mentre altri sono parassiti di uomo ed animali (es. toxoplasmosi). Sono
provvisti di tutti gli organuli cellulari, a volte di vacuoli pulsanti (1 o 2), e di organi fotosensibili.

Si muovono tramite flagelli, ciglia o pseudopodi (amebe)

Possono essere trasmessi per ingestione o a seguito della puntura di insetti.

Il ciclo riproduttivo è vario e complesso. Si possono riprodurre:

• asessualmente per divisione semplice o multipla o per gemmazione


• per via sessuata
• diverse specie presentano alternanze di generazioni sessuate e asessuate che spesso
differiscono morfologicamente tra loro

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Possono produrre forme di resistenza dette cisti.

Elminti (vermi)

Parassiti invertebrati distinti in :

A - Anellidi: non sono di interesse sanitario (lombrichi)

B - Platelminti

• vermi piatti
• simmetria bilaterale
• sono ermafroditi e si riproducono mediante fecondazione interna, con sviluppo diretto o
attraverso fasi larvali
• distinti in cestodi (tenia) e trematodi (Fasciola epatica)

C- Nematodi

• lunghi vermi cilindrici con estremità assottigliate


• simmetria bilaterale
• dimensioni molto variabili
• possiedono uno strato muscolare complesso

Storia naturale delle malattie infettive

Fattore causale = agente eziologico

Unico: può causare da solo la malattia, cioè non richiede l’esposizione concomitante ad altri fattori
causali.

Specifico: in grado di intervenire nel determinismo di quella (e solo quella) forma morbosa. Es. se mi
espongo al patogeno dell’influenza mi posso prendere solo quella e non il morbillo per esempio.

Indispensabile: se non c’è esposizione all’agente causale, non c’è insorgenza di malattia. Es. finchè
il Sars-Cov2 non girava nessuno si è ammalato.

Gli agenti eziologici delle patologie infettive sono causa necessaria, ma non sufficiente, di malattia.
Es. positivi asintomatici: possono essere infettata ma non esordire in malattia.

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Fasi che caratterizzano la storia naturale di una malattia infettiva:

Momenti ezio-patogenetici:

1. Esposizione all’agente eziologico: finché non si è esposti all’agente patogeno non si ha


malattia.
2. Contagiosità: non tutte le malattie infettive sono contagiose.
3. Incubazione: momento il cui il patogeno o si replica o produce la tossina. In questa fase il
patogeno si adatta all’ambiente ovvero al ph, ai nutrienti, ecc. Finché non si possiede una
quantità sufficiente di patogeno o tossina non compare la sintomatologia.
4. Periodo prodromico- comparsa di sintomi aspecifici: la carica batterica si innalza e si
manifestano i sintomi. Ognuno ha i propri.
5. Malattia conclamata (o manifesta): la sintomatologia è tendenzialmente uguale per tutti.
6. Esito: Fino al Sars-Cov2 non si moriva più di malattie infettive. L’esito di una malattia
infettiva è la regressione che può portare a:
- Completa guarigione della persona
- Istaurazione di uno stato di equilibrio tra il patogeno e il sistema immunitario della
persona dando origine ad un portatore che è formalmente guarita ma non ha eliminato
completamente il patogeno.

Malattie infettive

La possibilità di causare malattia è legata a:

1. Infettività
2. Patogenicità
3. Virulenza
4. Carica infettante

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1. Infettività

Capacità di un microrganismo di penetrare e replicare in un ospite. L'infettività (in un determinato


ospite) è definita dal rapporto: INFETTI / ESPOSTI

Es. tutte le volte che sentiamo parlare di Rt

2. Patogenicità

Capacità propria dei microrganismi parassiti di causare un danno all’ospite che si esprime con uno
stato di malattia. Dipende da:

• invasività: capacità di diffondersi e aggredire direttamente tessuti e organi


- i microrganismi invasivi sono capaci di invadere tutto l’organismo (morbillo, rosolia)
- i microrganismi non invasivi esplicano la loro capacità lesiva preferenzialmente in
alcuni organi o apparati (epatite)
• tossigenicità: capacità di produrre tossine

Definita dal rapporto: MALATI / INFETTI

3. Virulenza

Differente grado di patogenicità che possono presentare ceppi differenti della stessa specie di
microrganismo.

- dipende dallo stipite microbico e da caratteristiche che può assumere come ad esempio
presenza di capsula o fimbrie
- dal punto di vista clinico viene valutata in base alla gravità del decorso della malattia

Definita dal rapporto: CASI GRAVI / MALATI

4. Carica infettante

Numero minimo di microrganismi necessari per provocare l’infezione nel 50% dei soggetti
suscettibili. Definisce la capacità di un microrganismo patogeno di penetrare, attecchire e
moltiplicarsi nell’ospite

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Stabilità: il tempo durante il quale un microrganismo può rimanere infettante al di fuori dell’ospite.
Es. quanto resiste il Sars-Cov2 sulle superficie.

Contagiosità: capacità di un microrganismo patogeno di passare da un soggetto recettivo ad un altro.

- Malattie infettive contagiose causate da agenti che, eliminati da un malato, in modo diretto o
indiretto giungono al soggetto recettivo.
- Malattie infettive non contagiose: la trasmissione degli agenti responsabili richiede
l’intervento di specifici vettori (malaria) o di particolari evenienze (tetano).

Ricapitolando…

L’infezione rappresenta il risultato della penetrazione di un agente patogeno in un ospite sano, ciò
non implica né la comparsa della malattia né la possibilità di trasmettere ad altri la malattia

Si parla di malattia infettiva quando l’infezione ha determinato la comparsa di sintomi (non


necessariamente il rapporto malati/infetti = 1)

Si parla di malattia contagiosa quando l’agente infettante eliminato dal soggetto malato può
raggiungere e penetrare in un soggetto sano.

Trasmissione malattie infettive

Si trasmettono nella popolazione attraverso diverse modalità che ne costituiscono la catena


epidemiologica.

Gli elementi fondamentali della catena epidemiologica sono:

• sorgente di infezione: soggetto (uomo o animale) infetto, ammalato o portatore (precoce,


convalescente, cronico) che elimina gli agenti infettivi nell’ambiente.
• serbatoio di infezione: specie animale o vegetale, o ambiente, nel quale i microrganismi
patogeni abitualmente vivono e si moltiplicano. Es. legionellosi, malattia che si annida nei
condizionatori.
• oggetto dell’infezione: individuo sano (non malato di quella malattia) e recettivo, cioè in grado
di contrarre l'infezione. Non tutti siano oggetto di infezione per tutte le malattie.

Altri:

• porta di uscita del patogeno


• modalità di trasmissione
• porta di ingresso del patogeno

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Sorgenti e serbatoi di infezione

Uomo: costituisce la più importante sorgente d’infezione. Le sorgenti sono sia i casi d’infezione
clinicamente manifesta che i portatori.

Animali: costituiscono la sorgente di numerose infezioni che possono essere trasmesse naturalmente
all’uomo (zoonosi: un patogeno che salta da una specie all’altra.)

Terreno: vi si trova un numero notevole di specie di microrganismi, ma solo pochi sono patogeni per
l’uomo (es. Clostridium tetani)

Vie di uscita e di ingresso dei patogeni

Dalla sorgente di infezione i patogeni possono essere eliminati all’esterno con secreti, escreti e
materiale purulento.

Le vie di uscita dall’ospite di questi materiali sono:

• la via fecale (feci)


• la via genito-urinaria (secrezioni vaginali, urine)
• la via respiratoria (secrezioni nasali e faringee, espettorato)
• la cute (materiale purulento, risposta infiammatoria all’agente patogeno)

Quelle che sono le vie di uscita sono anche le vie di entrata. Una volta emesso dalla sorgente, il
patogeno può penetrare in un organismo sano attraverso:

• mucose del tratto respiratorio (attraverso la respirazione)


• mucose del tratto digerente (attraverso acqua o alimenti)
• mucose del tratto genito-urinario (attraverso rapporti sessuali non protetti)
• cute non integra (ferite e ustioni)

Modalità di trasmissione

La via percorsa da un patogeno per passare da un organismo malato ad uno sano può essere:

• verticale
• orizzontale (diretta o indiretta)

Verticale (madre-figlio): le infezioni trasmesse per via verticale sono dovute a quei patogeni che:

• attraversano la doppia parete della placenta (trasmissione trans-placentare (prenatale) –


Toxoplasmosi, Rosolia, AIDS, epatite B

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• infettano il neonato durante il parto attraverso lo scambio di sangue (perinatale). Se la madre
ha una malattia diagnosticata viene consigliato lei il parto cesareo.
• infettano il neonato durante allattamento (postnatale) Se la madre ha una malattia
diagnosticata viene consigliato lei di non allattare.

Trasmissione orizzontale diretta: è seguita da tutti quei agenti patogeni che nell’ambiente esterno
resistono molto poco. Per questo motivo è costituita dal passaggio diretto di un agente infettivo da
una sorgente ad una persona suscettibile. La trasmissione orizzontale diretta riguarda infatti malattie
trasmesse durante i rapporti sessuali oppure tramite morsi e graffi, tatuaggi, piercing, trasfusioni di
sangue (trasmissione iatrogena), strumenti medici, estetici, ecc. Es. Sifilide, Epatite B, Epatite C,
HIV, HPV.

Trasmissione orizzontale indiretta: avviene per mezzo di veicoli (cose inanimate come una stoviglia
non pulita, bottiglia da cui hanno bevuto persone infette) o vettori (esseri viventi) che agiscono da
intermediari fra la riserva d’infezione e la persona suscettibile.

Sorgente di infezione -> Veicoli / Vettori -> Oggetto della infezione

Principali veicoli

Acqua e alimenti: l’acqua è fra i più importanti veicoli sia per la gravità delle malattie che può
trasmettere che per l’entità delle epidemie alle quali può dare origine.

• Alcune infezioni che possono essere trasmesse attraverso l’acqua: colera, tifo, paratifo, epatite
A, ecc.
• Alcune infezioni che possono essere trasmesse attraverso gli alimenti: salmonellosi,
botulismo, anisakiasi (sushi) ecc. L’ HCCP oggi tiene sotto controllo le attività che vengono
svolte dall’industria alimentare. Le principali fonti di rischio oggi riguardano la
manipolazione e non la produzione a livello industriale.

Oggi nell’acqua del rubinetto non ci sono patogeni ma qualche anno fa e nei paesi meno sviluppati
non è così.

Aria: gocciole di flugge/droplets. Goccioline microscopiche emesse parlando, respirando,


starnutendo e tossendo che contengono muco, residui epiteliali, leucociti e agenti infettanti.

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Suolo: continuamente soggetto a contaminazioni può effettuare:

• veicolazione diretta: gli agenti eziologici permangono per lungo tempo nel terreno e da qui
sono assunti dall’uomo o dagli animali (es. tetano)
• veicolazione mediata: il suolo interviene nella trasmissione delle infezioni in quanto può
favorire lo sviluppo di vari vettori o può consentire la contaminazione di acque profonde (es.
zanzare)

Superfici

Mani: es. pensiamo a quanto si sono raccomandati di disinfettare le mani durante la pandemia; studi
sul manico del carrello della spesa.

Principali vettori

I principali vettori sono le zanzare, mosche, zecche o altri animali come alcuni roditori: sono
esseri viventi che dopo aver assunto i patogeni alla sorgente li disperdono nel mondo esterno o li
inoculano in un organismo sano.

• vettori meccanici: spostano l’agente patogeno da un oggetto all’altro (es. mosca).


• vettori obbligati o biologici: vettori all’interno dei quali si compie una parte del ciclo vitale
dell’agente patogeno. (es. zanzare del genere anopheles che consentono al plasmodio della
malaria di completare il proprio ciclo vitale)

Trasmissione indiretta

Sulla base dei veicoli e dei vettori implicati nella trasmissione indiretta si possono distinguere malattie
che si trasmettono per:

• via aerea
• via oro-fecale
• attraverso la puntura di insetti

Via aerea

Via di eliminazione: mucosa delle vie respiratorie


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• L’agente eziologico soggiorna per un periodo (più o meno breve) nell’ambiente esterno (poco
resistenti all’ambiente esterno)
• La trasmissione avviene nelle immediate vicinanze del malato (fonazione, tosse, starnuti)

Vie di ingresso nell’ospite recettivo: apparato respiratorio

• Si trasmettono con questa modalità infezioni respiratorie acute e alcune patologie


esantematiche (morbillo, varicella…) e il covid-19
• Importante il ruolo delle mani!

Via fecale-orale

Feces, Foods (and water), Fingers, Flies

Vie di penetrazione: cavità orale (ingerimento dei patogeni con il cibo)

I microrganismi ingeriti possono:

• determinare malattie localizzate nel canale alimentare (come nel colera)


• diffondersi e provocare lesioni in altri organi (come nella poliomielite)

Vie di eliminazione: feci. Dalle feci possono tornare a contaminare il cibo attraverso diverse modalità

• mani sporche
• mosche (vettori)
• acque contaminate

Alcune ricerche

Alcuni scienziati hanno analizzato una ciotola di noccioline in un bar e vi hanno riscontrato tracce di
urina appartenenti a 27 persone diverse…

Nel 2003 a Londra sono stati raccolti campioni di noccioline gratuite in 6 bar Le analisi hanno rilevato
che 4 contenevano enterobatteri presenti nelle feci.

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Nel 2000, l’American Society Microbiology ha chiesto a 1000 persone se si lavassero le mani dopo
aver usato il bagno pubblico e il 95% ha risposto di sì. I ricercatori però non erano convinti, così
hanno nascosto delle telecamere per vedere come si comportava davvero le persone. La percentuale
di quelli che si lavavano effettivamente le mani è risultata del 38%.

La diffusione di queste malattie è connessa a:

• contaminazione alimentare
• contaminazioni delle reti di distribuzione dell’acqua potabile
• assenza o inadeguatezza della rete fognaria
• uso delle deiezioni animali come fertilizzanti
• modalità scorrette di produzione, manipolazione e trasporto degli alimenti
• abitudini alimentari (consumo di frutti di mare crudi)
• viaggi internazionali (consumo di acque non potabili)

Vettori

In alcuni casi le malattie si trasmettono solo se sono coinvolti alcuni vettori

Per lo più sono insetti:

• Malaria - malattia potenzialmente mortale causata da parassiti trasmessi alle persone


esclusivamente attraverso le punture di zanzare Anopheles
• Peste – trasmessa all’uomo tramite il morso della pulce dopo che questa è stata infettata da
roditori malati
• Chikungunya - malattia virale acuta, causata da un virus trasmesso dalla zanzara tigre
• Febbre da virus Zika – malattia virale acuta trasmessa da zanzare appartenenti al genere Aedes
Modi di comparsa delle malattie infettive nella popolazione

Modi di comparsa delle malattie infettive nella popolazione

Epidemia

Più casi di malattia si presentano in una stessa popolazione entro un breve periodo di tempo
originando da un caso indice.

In una epidemia, si possono calcolare:

• intervallo seriale = periodo di tempo che intercorre tra l’inizio della malattia nel caso indice
e l’inizio nel primo dei casi secondari.

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• quoziente di attacco secondario = % di soggetti recettivi che si ammalano in seguito al
contatto con il caso indice.

Pandemia

La malattia interessa l’intera popolazione mondiale. Si verifica quando appare un nuovo patogeno a
seguito di un salto di specie:

• è un processo naturale per cui un patogeno degli animali evolve e diventa in grado di infettare,
riprodursi e trasmettersi all'interno della specie umana
• avviene in genere a seguito di un contatto prolungato tra l'uomo e l'animale portatore del
patogeno originale

Endemia

L’agente patogeno è stabilmente presente in una popolazione manifestandosi con un numero di casi
uniformemente distribuito nel tempo.

Sporadicità

Casi isolati di una malattia in una popolazione dove la stessa non è presente allo stato endemico.

Importanza dello stato di portatore

Portatore sano - soggetto infetto privo di sintomatologia, ma che può risultare contagioso

Portatore precoce - i patogeni vengono diffusi nella fase di incubazione della malattia

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Portatore convalescente – è avvenuta la guarigione, ma il soggetto continua la diffusione dei patogeni

Portatore cronico – l’infezione persiste a lungo, con diffusione dei patogeni anche in assenza di
sintomi clinici

Storia naturale delle malattie cronico-degenerative

Sono malattie più caratteristiche dell’età anziana e principali cause di morte nei paesi maggiormente
industrializzati, sono rappresentate da numerose malattie:

• malattie cardiovascolari
• tumori
• broncopneumopatie cronico ostruttive
• malattie dismetaboliche (ipercolesterolemia, diabete…)
• malattie mentali (Alzhaimer)

Le malattie croniche richiedono anche decenni per manifestarsi clinicamente e dato il lungo decorso,
ci sono molte opportunità di prevenzione secondaria.

Agenti eziologici multipli e aspecifici

È necessario tenere conto degli agenti eziologici multipli e aspecifici in quanto queste, sono
malattie pluricausali.
Esistono diversi fattori di rischio, che sono fattori associati positivamente al rischio di sviluppare
una malattia, ma che non sono né sufficienti né indispensabili per determinarla, si possono distinguere
fattori di rischio:

• modificabili
• non modificabili

La presenza di uno o più fattori di rischio, pur aumentando la probabilità di sviluppare malattia, non
è una condizione che ne determina necessariamente l’insorgenza

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Modificabili

Comportamentali (stili di vita)

• Fumo di tabacco
• Alimentazione per eccesso
• Sedentarietà
• Sovrappeso e obesità
• Alcool
• Droga

Ambientali

• Inquinamento atmosferico
• Inquinamento idrico
• Contaminazioni alimentari

Non modificabili

• Età
• Sesso
• Suscettibilità genetica individuale

NB. Un fattore di rischio può esserlo per malattie diverse tra loro

Caratteristiche principali:

• assenza di agente eziologico


• presenza di fattori di rischio
• assenza di trasmissibilità

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Malattie infettive vs. cronico-degenerative

Esiste un legame tra malattie infettive vs. cronico-degenerative, infatti gli agenti eziologici di
malattie infettive sono riconosciuti fattori di rischio per patologie tumorali:

Principali differenze tra malattie infettive e malattie cronico-degenerative

TABELLA IMPORTANTE

Fenomeni sanitari più rilevanti nei secoli

1. XIX SECOLO: Peste, Vaiolo, Colera, Malaria, Tubercolosi.


La transizione epidemiologica del XX secolo con conseguenti variazioni del tasso di mortalità tra il
1900 e il 2000 e le realizzazioni del 20° secolo: Potabilizzazione acqua, miglioramento nel
trattamento degli alimenti (es. refrigerazione), miglioramento delle condizioni igieniche generali,
diffusione delle vaccinazioni
2. XIX SECOLO: Malattie cardio- e cerebrovascolari, Tumori maligni, Incidenti stradali, AIDS,
Malattie dismetaboliche (diabete, obesità, sindrome metabolica)

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Malattie sociali

Caratteristiche delle malattie sociali

L’accertamento della malattia in un individuo comporta conseguenze sociali importanti: può


ingenerare dei diritti sociali e può dispensare da alcune responsabilità. Alcuni fenomeni sociali sono
fortemente legati a specifiche patologie: tossicodipendenza-AIDS-carcere-prostituzione
omosessuale ed eterosessuale.
In teoria tutte le malattie sono malattie sociali ma, in senso stretto, per malattie sociali si intendono
patologie che hanno un’ampia diffusione (alta incidenza) nei vari strati sociali e notevoli costi
economici.
La malattie sono definite sociali in seguito ad approvazione del Parlamento e sono quindi inserite in
una specifica tabella, il DM 20 dicembre 1961 fa una prima classificazione delle malattie sociali,
aggiornata negli anni successivi fino ad oggi.

Nell’attuale elenco compaiono:

• malattie infettive (tubercolosi, poliomielite, sifilide, AIDS…)


• malattie cronico-degenerative (malattie cardiovascolari, tumori, diabete di tipo2…)
• abuso di alcool
• tabagismo
• tossicosi da stupefacenti…

Le malattie sociali determinano danni:

• al singolo individuo colpito


• di ordine economico e sociale

Le malattie sociali sono così definite perché determinano danni al singolo individuo colpito e danni
di ordine economico e sociale, inoltre una malattia sociale è caratterizzata anche dal fatto che la sola
assistenza sanitaria (terapia) può non risultare sufficiente nel contrastarla.
Occorre effettuare la prevenzione per impedirne l’insorgenza e accertare i sintomi più precoci, gli
strumenti di prevenzione e di accertamento diagnostico precoce devono essere disponibili per la più
ampia fascia di popolazione a rischio di malattia, la comunità deve condurre studi ed impegnare
mezzi economici e di intervento perché ciò si realizzi.

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Livelli di prevenzione

Questa spiegazione è valida sia per le malattie infettive che cronico degenerative. Successivamente
verranno trattate separatamente.

1. Prevenzione primaria: promozione e mantenimento della salute attraverso interventi


individuali o collettivi effettuati sulla popolazione sana.
2. Prevenzione secondaria: identificazione precoce della malattia o delle condizioni a rischio
seguita dall’immediato intervento terapeutico per interrompere o rallentare l’evoluzione del
processo morboso. È dedicata specialmente ai soggetti affetti da malattie cronico degenerative
che si trovano in quella lunga fase di latenza che va dalle prime alterazioni cliniche fino alla
condizione clinica manifesta.
3. Prevenzione terziaria: prevenzione delle complicanze di una malattia in atto ed irreversibile.
È dedicata a coloro che hanno superato una patologia che tuttavia ha lasciato delle invalidità.
Es. ictus in un anziano, una neoplasia. La prevenzione terziaria ha l’obiettivo di far riacquisire
le abilità perdute e/o di far in modo che una malattia non si ripresenti.
4. Prevenzione quaternaria: si tratta di una prevenzione molto recente ed è dedicata alle persone
che provano incertezza sul proprio stato di salute.

N.B. se all’esame chiede i livelli bisogna dire per primo a chi sono dedicati gli interventi e gli
obiettivi.

Prevenzione primaria

Si attua nello stadio di pre-malattia o stadio di suscettibilità: gli interventi sono dedicati infatti a
persone sane e l’obiettivo è quello di far rimanere le persone sane al più lungo possibile.

Al fine di eliminare o ridurre le cause e i fattori di rischio possono essere messe in atto le seguenti
strategie:

• interventi legislativi: interventi sull’ambiente di vita e di lavoro. Es. norme contro il fumo,
norme sui DPI, norme sull’abbigliamento, ecc. sui luoghi di lavoro
• educazione sanitaria: rimozione di comportamenti nocivi e induzione di comportamenti
positivi
• vaccinazioni: potenziamento delle capacità di difesa dell’organismo

Per alcune malattie è sufficiente l’applicazione di un solo metodo, mentre per altre è necessario far
ricorso a diversi metodi contemporaneamente.

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Valutazione dell’efficacia di un intervento di prevenzione primaria

Se un intervento di prevenzione primaria funziona ci si aspetta una riduzione del numero dei nuovi
casi di malattia (incidenza) e in tempi più lunghi una riduzione della mortalità. La riduzione dei
decessi si vede un po' dopo per via del periodo di latenza della malattia.

Prevenzione secondaria

Si attua nello stadio subclinico o latente della malattia.

È un atto di natura clinico-diagnostico che si presenta sottoforma di test di screening o di diagnosi


preoce. Questi ultimi tuttavia non sono considerati test diagnostici in quanto sono frequenti i casi di
falsi positivi a causa del rilevamento di alterazioni simili a quelle ricercate.

L’obiettivo è la scoperta e la guarigione dei casi di malattia prima che essi si manifestino
clinicamente. Il vantaggio della diagnosi precoce in fase preclinica è che la terapia darà maggiori
probabilità di guarigione definitiva. La finalità della prevenzione secondaria è quindi la riduzione
della mortalità. La prevenzione secondaria tuttavia non ha influenza sulla riduzione dell’incidenza
delle patologie.

Valutazione dell’efficacia di una campagna di screening

Nel caso della diagnosi precoce non ci si aspetta una riduzione dei nuovi casi di malattia (la malattia
è già presente al momento della diagnosi) ma una riduzione della mortalità.

Effetto paradosso dei test di screening: appena iniziato lo screening sembra aumentare il test di
incidenza. Quando si dà avvio ad una campagna di prevenzione secondaria si iniziano a fare tanti test.
Quando si rilevano i soggetti positivi questi sono stati scoperti con molto anticipo rispetto ad una
25
situazione di assenza del test di screening o di diagnosi precoce. L’anticipazione di diagnosi è la
responsabile dell’insorgenza di questo picco nel grafico.

Prevenzione terziaria

La prevenzione terziaria è finalizzata a limitare le conseguenze fisiche e sociali causate da incidenti


o malattie già manifeste o sintomatiche. La prevenzione terziaria non agisce solo a livello di
riabilitazione fisica ma anche a livello dell’assistenza psicologica al paziente e i familiari dello stesso.
La prevenzione terziaria cerca di far in modo che una persona che è stata correttamente curata non
abbia ricadute.

Due sono le modalità operative della prevenzione terziaria:

• Limitazione della disabilità: ha l’obiettivo di evitare la progressione della malattia o limitare


il danno causato da un incidente.
• Riabilitazione: ha come obiettivo la riduzione della disabilità prodotta dalla menomazione,
rafforzando non solo le funzioni residue del paziente ma anche aiutandolo ad utilizzare
funzioni alternative.

Nelle persone affette da artrofie invalidanti, negli infartuati e nei paraplegici, ha particolare
importanza:

• riabilitazione fisica
• assistenza psicologica

La prevenzione terziaria non ha alcun impatto nel tasso di incidenza e in quello di mortalità in quanto
entra in azione quando la malattia è già stata curata e le terapie non hanno più la possibilità di riportare
il soggetto in piena salute.

Prevenzione quaternaria

Riguarda la prevenzione della medicina non necessaria e la medicalizzazione di condizioni non


mediche. Il termine è stato introdotto alla fine degli anni 80, in seguito alla diffusione di una
percezione di incertezza sul proprio stato di salute anche tra persone sane:

• richiesta maggiore di esami diagnostici (i check up generali in assenza di sintomi o fattori di


rischio)
• ricorso a terapie inutili o dannose

Pazienti e medici tendono a sovrastimare i benefici e sottostimare i danni di interventi di prevenzione


e di cura.
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È necessario conoscere il rapporto benefici-danni delle terapie e degli interventi preventivi per
abbandonare procedure inutili. Es. il sistema del dosaggio PSA per tumore alla prostata ha causato
interventi non necessari.

Ambiti di applicazione:

• Giovani in salute che hanno incertezza del proprio stato di salute. Es. molti al primo sintomo
iniziano a cercare in rete tutte le possibili cause arrivando ad un’autodiagnosi e alla
consapevolezza di aver bisogno di un medico. Tanti altri si affidano a terapie e sistemi di
integrazione dannosi.
• Anziani fortemente medicalizzati spesso sottoposti a terapie eccessive rispetto a quanto
possono sopportare organicamente. Non esiste un confine preciso che definisca quando
cercare di prevenire una patologia se la probabilità di morire di altre malattie fortemente
correlate all’età diventa preponderante. La prevenzione quaternaria in questo campo ha
l’obiettivo di proteggere gli anziani da eccessivi trattamenti medici inappropriati e limitare
l’intervento medico sugli stessi a quelli necessari e accettabili da un punto di vista etico. La
deprescrizione di farmaci e di trattamenti preventivi nell’anziano è un tema delicato di
prevenzione quaternaria che deve coinvolgere nella scelta il medico, i pazienti e i caregiver.

La prevenzione quaternaria utilizza l’educazione sanitaria per contrastare l’eccessiva


medicalizzazione.

…riassumendo…

Solo per indicare le misure di prevenzione delle malattie infettive si usa il termine “profilassi”.

Prevenzione primaria delle malattie infettive

Nelle malattie occorre tenere presente:

• sorgente di infezione: uomo o animale malato portatore di una specifica malattia infettiva
• oggetto di infezione: oggetto sano e ricettivo
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Affinché un agente patogeno passi da una sorgente ad un oggetto di infezione si possono attivare
varie modalità:

• trasmissione diretta
• trasmissione indiretta con veicoli o vettori

Lo scopo della prevenzione primaria delle malattie infettive è far in modo che i soggetti sani e recettivi
non si ammalino e quindi riassunto:

• evitare il contagio (l’infezione)


• evitare la malattia

Strategie:

1. Scoprire e rendere inattive le sorgenti e i serbatoi di infezione


2. Interrompere la catena di trasmissione modificando fattori ambientali e comportamentali
(educazione sanitaria) che favoriscano la persistenza e la diffusione di patogeni. Combattere
i veicoli o i vettori di infezione consente di raggiungere ugualmente lo scopo della
prevenzione primaria.
3. Aumentare la resistenza alle infezioni attraverso la vaccinazione

La medicina sociale ha come obiettivo la scoperta e l’inattivazione delle sorgenti e dei serbatoi di
infezione attraverso indagini epidemiologiche che consentono la ricostruzione della catena di
trasmissione, l’identificazione della sorgente di infezione e la neutralizzazione della sorgente.

1. Sorgenti d’infezione

Se la sorgente d’infezione è un animale solitamente viene abbattuto.

Se la sorgente è un uomo malato o portatore:

• Isolamento: separazione del soggetto malato da tutte le altre persone eccezione fatta per il
personale sanitario (divisione malattie infettive). L’isolamento si fa in ospedale.
• Contumacia: obbligo per il malato di permanere in un determinato luogo (ospedale o
domicilio proprio) per il periodo prescritto osservando le prescrizioni igienico-sanitarie
imposte dall’autorità sanitaria.
• Sorveglianza sanitaria: obbligo di sottoporsi ai controlli decisi dalle autorità sanitarie senza
limitazioni di spostamento. (attualmente si chiama “sorveglianza attiva” per soggetti vaccinati
che hanno avuto contatti con positivi)

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2. Interruzione della catena di trasmissione

Modifica dei comportamenti

• fornire chiare informazioni sulle modalità di trasmissione degli agenti microbici patogeni.
• far sì che i comportamenti validi diventino abituali per ognuno

Esempi: Quando è iniziata la pandemia la prima cosa che è stata detta è stata che il virus si
trasmetteva per via aerea e resisteva tot tempo su determinate superfici. Dal Ministero della Salute
sono state prodotte delle vignette per bambini per far comprendere loro i comportamenti da tenere.
Altri esempi: igiene personale, rifiuto di rapporti sessuali a rischio, no alla droga, no allo scambio
di siringhe.

Interventi legislativi

• es. “pacchetto igiene”, una serie di interventi legislativi che hanno il fine di evitare che gli
alimenti diventino veicoli di agenti patogeni.

Bonifica dell’ambiente

• potabilizzazione dell’acqua, depurazione dei liquami


• lotta ai vettori attraverso la disinfestazione
• sterilizzazione e disinfezione dei veicoli
• sanificazione di ambienti e/o materiali venuti a contatto con malati

Disinfestazione

• procedura atta ad eliminare i vettori


• si utilizzano insetticidi (insetti) o rodenticidi (topi, ratti…)

Disinfezione

Si tratta della distruzione dei soli microrganismi patogeni allo scopo di impedirne la persistenza
nell’ambiente e la diffusione a soggetti recettivi.

La disinfezione non uccide tutte le forme microbiche presenti in un substrato ma è attiva solo sulle
forme patogene, molto più fragili rispetto ai microrganismi ambientali i quali resistono più a lungo e
in diverse condizioni.

Per la disinfezione si utilizza il calore o disinfettanti come mercurio, argento, rame, alcol etilico e
l’alcol isopropilico, bromo, cloro e iodio, formaldeide e glutaraldeide, acqua ossigenata, …) Per il
Covid è stato consigliato l’alcol etilico al 75%.
29
La disinfezione è attiva su due modalità:

• Se la disinfezione uccide tutti i batteri l’azione che in questo caso è irreversibile è detta
battericida.
• Se la disinfezione inibisce la duplicazione e vi è quindi solo l’arresto della crescita batterica
l’azione viene detta batteriostatica. La crescita batterica può riprendere se il disinfettante
viene allontanato o neutralizzato)

Sterilizzazione

La sterilizzazione determina la distruzione di ogni forma vivente incluse le spore (alcuni


microorganismi quando percepiscono che l’ambiente mina alla propria sopravvivenza racchiudono il
proprio genoma all’interno delle spore). La sterilizzazione in realtà fornisce la probabilità inferiore a
1/1.000.000 di trovare un microrganismo sopravvissuto in un lotto sottoposto a sterilizzazione.

La sterilizzazione si può ottenere con:

- calore secco (stufa) – 180°C per 1 ora. Questo metodo è utilizzato per i metalli, il vetro
ma non per i liquidi che evaporerebbero. Es. lo utilizzano i dentisti
- calore umido (autoclave) – 121°C, 1 atm, 15 minuti. L’autoclave consente la
sterilizzazione dei liquidi. Es.il latte UHT (lungo periodo di conservazione) è un latte
che è stato sterilizzato in questo modo.
- radiazioni non ionizzanti (raggi ultravioletti UV). Consentono la sterilizzazione delle
superfici. Es. usati nelle sale operatori e in alcune cucine di ristoranti chic
- radiazioni ionizzanti (raggi gamma) si tratta di radiazioni molto penetranti. Es. usate
per il trasporto a lunga distanza di alimenti imballati

Aumento delle resistenze alle infezioni (del soggetto sano e recettivo)

• Resistenze aspecifiche: cute e mucose → barriere alla penetrazione dei microrganismi. Tutto
ciò che contribuisce a mantenerne l’integrità ha come conseguenza quella di evitare l’ingresso
di microrganismi. Il mantenimento in buone condizioni generali costituisce una possibilità di
resistenza alle infezioni.

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• Chemioprofilassi: somministrazione di chemioterapici ed antibiotici per prevenire l’infezione
(chemioprofilassi primaria) o per prevenire la manifestazione della malattia (chemioprofilassi
secondaria, postesposizione) in soggetti presumibilmente esposti (o stanno in un ambiente a
rischio o hanno avuto un contatto con un positivo). Es. per andare a visitare paesi dove la
malaria è endemica si fa una chemioprofilassi. Il trattamento inizia una settimana prima della
partenza e termina una settimana dopo il ritorno. Un altro esempio più vicino riguarda la
somministrazione di fampicina ai contatti di un positivo alla Meningite meningococcica.
• Immunoprofilassi: intervento che mira a proteggere da specifiche infezioni agendo sul sistema
immunitario conferendo resistenza specifica nei confronti di un microrganismo patogeno. Due
modalità:
- sieri immuni: immunizzazione passiva, da subito efficacie ma poco duratura
- vaccini: immunizzazione attiva, efficace dopo un po’ di tempo ma molto duratura.

…un pò di immunologia…

Il sistema immunitario è costituito da un insieme di componenti cellulari e solubili che reagiscono e


comunicano tra loro. La sua funzione è quella di distinguere tra:

• "self": noi e le nostre componenti genetiche


• "non-self": microrganismi, cellule tumorali, organi trapiantati, sostanze estranee come le
tossine. I trapiantati devono prendere farmaci immunosoppressori altrimenti il sistema
ucciderebbe l’organo.

L’obiettivo è quello di conservare il “self e disattivare ed eliminare il “non-self”. Per svolgere i suoi
compiti, il sistema immunitario ha evoluto due meccanismi:

1. Immunità innata (naturale):

• rapida, aspecifica e sempre attiva


• responsabile della protezione iniziale contro i patogeni

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• non possiede memoria

L’immunità innata comprende vari meccanismi generici di protezione che agiscono allo stesso modo
su tutti i patogeni, impedendogli di entrare e di diffondersi nell’ospite. Si manifesta con
l’infiammazione ed è costituita da:

• barriere epiteliali (cute, mucose dei tratti gastrointestinale e respiratorio…)


• cellule (macrofagi, cellule dendritiche e Natural Killer)
• proteine plasmatiche (citochine, fattori del complemento, proteina C reattiva)

Se il patogeno non viene bloccato dai meccanismi dell’immunità innata, vengono attivate le vie
dell’immunità adattativa. La risposta innata e quella adattativa collaborano per eliminare l’infezione
nel modo più efficace possibile.

2. Immunità adattativa (acquisita)

• lenta ma specifica
• elimina definitivamente i patogeni
• si attiva al primo incontro con il patogeno
• possiede memoria

Due tipi di risposte:

• cellulo-mediata - i linfociti T (timo) attaccano direttamente l’antigene invasore


• anticorpo mediata - i linfociti B (midollo osseo) si trasformano in plasmacellule che
sintetizzano e secernono anticorpi

Gli anticorpi o immunoglobuline sono proteine con una struttura che vede una regione comune uguale
per tutti e una variabile ovvero specifica per ogni tipo di antigene (struttura caratterizzante l’agente
patogeno). Gli anticorpi sono prodotti al primo contatto con l’agente patogeno in quanto sulla
superficie di quest’ultimo vi è l’antigene specifico che serve da una parte al microorganismo per
aggredire le cellule ma dall’altra consente al nostro organismo di riconoscere tale struttura come non
self e avviare la produzione di anticorpi specifici.

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Gli anticorpi sono raggruppati per struttura chimica e funzioni in cinque diverse classi:

• IgE
• IgA
• IgD
• IgM: questi anticorpi sono prodotti subito la prima volta che viene attività l’immunità
anticorpo-mediata. Non sono molto affini allo specifico antigene ma riescono a bloccarlo. Gli
IgM a questo punto vanno a parlare con i linfociti B e fanno selezionare dei cloni particolari
che sono i linfociti della memoria che producono gli IgG
• IgG: sono molto più precisi e abbondanti degli IgM e durano tutta la vita

Per aggredire e distruggere le nostre cellule i microorganismi devono entrare dentro le cellule stesse
o produrre tossine. Per entrare all’interno delle nostre cellule devono aprire delle “serrature” della
cellula”. Se l’anticorpo non è presente il microorganismo entra e si lega a strutture analoghe
complementari della cellula dette recettori. Se l’anticorpo è presente esso si lega ai recettori e il
microorganismo non riesce entrare all’interno della cellula. Questo meccanismo funziona in maniera
analoga per i virus e i batteri.

Ci sono dei casi come quelli dell’AIDS in cui il microrganismo risiede all’interno della cellula senza
ucciderla. La cellula rimane pur sempre infetta.

Quindi gli anticorpi possono:

• evitare che i batteri penetrino nelle cellule


• evitare che i virus penetrino nelle cellule
• evitare che le tossine prodotte da batteri entrino nelle cellule
• uccidere cellule bersaglio

Ci sono due tipi di risposta immunitaria adattativa:

Primaria: si verifica al primo incontro con l’antigene e il nostro sistema immunitario inizia a produrre
IgM e cellule della memoria che iniziano a produrre IgG. In seguito, aumenta il numero di anticorpi
circolanti nel plasma sanguigno che poi diminuiscono di nuovo

Secondaria: in seguito a un nuovo incontro con lo stesso antigene, c’è una rapida divisione delle
cellule della memoria e un intervento immediato delle IgG

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Per aumentare le difese di un uomo nei confronti di un agente patogeno possiamo:

• somministrare anticorpi già sintetizzati (immunoprofilassi passiva a sieroprofilassi)


• stimolare il sistema immunitario di un soggetto a produrre specifici anticorpi
(immunoprofilassi attiva a vaccinoprofilassi)

Immunoprofilassi passiva e attiva

Strategie vaccinali

Possiamo utilizzare quello che sappiamo del nostro sistema immunitario con due modalità:

Immunoprofilassi passiva: somministrazione di anticorpi già preformati

Immunoprofilassi attiva: comando al nostro organismo di produrre anticorpi

Immunoprofilassi passiva

Profilassi (specifica) post-esposizione

L’immunoprofilassi passiva consiste nella somministrazione di anticorpi preformati ovvero pronti a


svolgere immediatamente un ruolo antinfettivo nel ricevente. L’organismo di chi riceve non deve far
niente se non accogliere gli anticorpi e aspettare che l’attività venga svolta.

L’efficacia è immediata ma di breve durata (2-6 settimane) in quanto non essendo prodotti dal nostro
organismo dopo un certo periodo vengono disattivati.

Si ottiene somministrando due tipi di sieri:

• sieri omologhi: anticorpi presi da altri uomini. Essendo derivati dalla nostra stessa specie
durano più a lungo.
• sieri eterologhi: anticorpi presi da animali (generalmente da bovini e equini). Hanno una
durata inferiore a quella degli omologhi
• anticorpi monoclonali: anticorpi preparati in laboratori.

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Cosa è il siero?

Il sangue è un tessuto composto da una parte corpuscolata e una parte liquida (plasma). Il plasma
contiene proteine, nutrienti, prodotti del metabolismo, ormoni e elettroliti inorganici e i fattori per la
coagulazione. Il siero è il plasma privato dei fattori di coagulazione, e contiene gli anticorpi (gamma
globuline) ed altre proteine (albumina in massima parte).

N.B. Il vaccino anti-covid in molte occasione è stato chiamato erroneamente siero.

Sieri omologhi

Immunoglobuline normali ottenute dal siero di numerosi donatori (>1000 x una persona): morbillo,
parotite, varicella, epatite e altri virus di norma presenti nella popolazione generale. Tutti
probabilmente abbiamo avuto queste malattie o siamo stati vaccinati per queste.

Immunoglobuline iperimmuni: ottenute dal siero di donatori (circa 100 x una persona) che possiedono
un elevato tasso di Ac verso un determinato microrganismo (vaccinati da poco o superamento recente
della infezione naturale). Rabbia, tetano, morbillo, rosolia, parotite, varicella-zoster, HBE

Per il Covid sono stati preparate le immunoglobuline di sintesi e iperimmuni.

Sieri eterologhi

Le immunoglobuline di origine animale vengono preparate immunizzando animali di grossa taglia


inoculando l’antigene per via intramuscolare in quantità subletali. Si preparano sempre due sieri: uno
equino e uno bovino. Gli animali di grossa taglia si utilizzano per fare salassi più grandi. Come per
quelli omologhi si procede con il salasso dell’animale vaccinato, il recupero del siero e la
dealbuminizzazione. Es. siero antivipera in quanto non ci sono molti uomini che sono stati pizzicati.

Gli anticorpi non essendo di origine umana (non self) al momento della somministrazione scatenano
una risposta immunitaria. Questo abbassa la durata della protezione che non è magiore alle 2
settimane.

Possono essere causa di ipersensibilità conseguenti alla produzione di anticorpi contro le proteine del
siero eterologo, che fungono da antigene nei riguardi dell’organismo ricevente (shock anafilattico e
malattia da siero).

Il profilo elettroforetico delle proteine è la tecnica utilizzata per studiare le proteine presenti nel
sangue. Nel diagramma a ogni picco corrisponde una specifica classe di proteina. Nel nostro sangue
la maggiore è l’albumina ma gli anticorpi stanno all’interno delle gamma proteine. Quando si prende
il siero animale ottengo sicuramente gamma proteine ma anche tutte le altre. Le tecniche di
35
purificazione del siero tendono a eliminare il più possibile le proteine che non servono ma non è mai
totale e quindi il siero contiene anche altre tracce di proteine. Se una persona è allergica può incorrere
nello shock anafilattico e nella malattia da siero. Per questo non possono mai essere somministrati a
casa.

Sieri omologhi/eterologhi di comune impiego

Anticorpi monoclonali (mAb)

La tecnica per produrli è stata messa a punto nel 1975 da George Jean Franz Köhler, César Milstein
e Niels K. Jerne (Nobel per la medicina nel 1984).

L’anticorpo viene fatto esprimere da un topolino e successivamente si preleva e si lega a pezzi di


anticorpi umani e si costruisce in vitro. Si tratta di anticorpi tra loro identici in quanto prodotti da un
clone originato da un’unica cellula ottenuta in laboratorio fondendo un linfocita B che produce quello
specifico anticorpo con una cellula che può riprodursi indefinitamente.

• Emivita di 23 giorni
• Aree terapeutiche: cancro, malattie autoimmuni (morbo di Crohn, artrite reumatoide),
trapianto, osteoporosi, immunoterapia contro SARS-CoV-2

Gli anticorpi monoclonali sono presenti in tutti quei farmaci il cui nome finisce per “mab”

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Immunoprofilassi attiva: vaccini

Secondo la definizione della Farmacopea Ufficiale “i vaccini sono preparazioni contenenti sostanze
antigeniche capaci di indurre una immunità attiva e specifica nell’uomo nei confronti di un agente
infettante, di una tossina o di un antigene elaborato da esso”. La Farmacopea Ufficiale è un testo dove
sono contenuti e descritti tutti i farmaci che si possono commercializzare in Italia.

In questa definizione non c’è la descrizione dei vaccini contro il Covid-19. Per questo motivo l’AIFA,
agenzia che controlla i farmaci in Italia aggiunge: “i vaccini sono medicinali biologici che hanno lo
scopo di prevenire una o più malattie infettive attraverso la stimolazione del sistema immunitario
(produzione di anticorpi, attivazione di specifiche cellule) e la conseguente acquisizione della
cosiddetta immunità attiva”.

In altre parole, un vaccino deve stimolare la risposta immunitaria (produzione di anticorpi) verso una
specifica malattia senza causare la malattia.

Storia della vaccinazione

Nel 1796 il medico inglese Edward Jenner ha l’intuizione di diffondere il vaccino (Cowpox virus)
per proteggere la popolazione nei confronti del vaiolo umano (virus Variola major e Variola minor).
A quei tempi non si sapeva nulla del sistema immunitario ma il vaiolo costituiva una grande problema
sanitario e sociale. Jenner a casa sua aveva a disposizione un allevamento di mucche e ad un certo
punto si accorge che queste prendevano una malattia che procurava delle pustole alle mammelle
molto simili a quelle provocate dal vaiolo umano. Jenner nota che le donne che mungevano non si
ammalavano di vaiolo anche durante le epidemie. Egli ipotizza che quelle pustole contenevano una
forma di vaiolo non contagiosa per gli umani ma efficace per proteggere gli stessi dal vaiolo. Jenner
raccoglie quindi il materiale delle pustole e lo deposita sulla pelle di un bambino. Seguentemente a
questa procedura il bambino non si ammala e inizia la sperimentazione sui militari. Questa è
riconosciuta come la prima vaccinazione resa disponibile per l’umanità nella storia. Il termine vaccino
deriva proprio da vacca.

Nel 1885 Pasteur scopre la possibilità di attenuare il virus della rabbia. Pasteur per un lungo periodo
studia il vaccino della rabbia senza ottenere risultati. Demotivato a causa dell’insuccesso decide di
chiudere il laboratorio. Dopo un periodo di tempo riapre il laboratorio e si accorge che il virus che
aveva depositato sulle piastre prima della chiusura del non era più in grado di produrre la malattia.
Quello che aveva scoperto ma ancora non lo sapeva è l’attenuazione virale. Quando un agente
patogeno viene messo in condizione di stress pur di sopravvivere muta il suo genoma verso un profilo

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che consente la sopravvivenza ma che causa la perdita di quei geni che consentono la patogenicità.
L’attenuazione virale viene utilizzata ancora oggi nella produzione dei vaccini contro la poliomielite.

Negli anni compresi tra il 1923 e il 1925 Gaston Leon Ramon mette a punto un metodo per la
produzione di una anatossina difterica. Egli si accorge che la patogenesi della difterite è mediata dalla
produzione di una tossina del microorganismo che causa la mattia e scopre che le persone possono
essere immunizzate anche attraverso l’introduzione di una tossina alterata alla quale è stata eliminata
la patogenicità ma mantenuto intatto l’aspetto antigenico. La tossina alterata diventa anatossina (non
più tossica) ma mantiene quella parte che consente alla tossina di entrare dentro la cellula e di attivare
il sistema immunitario.

Nel 1954 Salk sviluppa il vaccino a virus uccisi contro la poliomielite (ancora somministrato in Italia).
Nel 1956 Sabin mette a punto quello costituito da virus viventi attenuati (sulla base della scoperta di
Pasteur). Essi hanno messo a punto due vaccini diversi contro la poliomielite, una malattia che a quei
tempi paralizzava e uccideva tantissime persone. Essi hanno messo a punto ma brevettato il vaccino
(non hanno preso i soldi, tonti)

Nel 1998 Rappuoli ha realizzato un vaccino contro per la Neisseria meningitidis di tipo B con la
tecnica "reverse vaccinology". Egli riesce a trovare il vaccino contro una forma di meningite molto
complessa. Si tratta di un microorganismo molto furbo: nasconde al sistema immunitario i suoi
determinanti antigenici, le chiavi per entrare nella cellula.

Classificazione dei vaccini

In base alla modalità di preparazione si possono raggruppare i vaccini in diverse classi:

1. vaccini a microrganismi inattivati (uccisi)


2. vaccini a microrganismi viventi attenuati
3. vaccini antitossici
4. vaccini ad antigeni microbici purificati
5. vaccini polisaccaridici coniugati
6. vaccini a DNA ricombinante
7. vaccini edibili da piante geneticamente modificate
8. vaccini ottenuti mediante reverse vaccinology
9. vaccini a vettore virale
10. vaccini a mRNA

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1. Vaccini a microrganismi uccisi (inattivati)

Sono costituiti da virus o da batteri uccisi con mezzi fisici (calore, raggi UV) o chimici poi allontanati
dalla formulazione finale (formolo, fenolo, acetone, β-propiolattone – il più utilizzato) che ne
rispettano l’integrità antigenica.

Sono stabili, sicuri (c’è solo il microorganismo morto), non richiedono particolari modalità di
conservazione, possono essere liofilizzati e risospesi in soluzione fisiologica al momento della
somministrazione.

Generalmente i trattamenti di inattivazione portano a delle modificazioni nella struttura antigenica


dei microrganismi e questo, oltre all’assenza di una fase moltiplicativa all’interno dell’organismo,
porta ad una diminuita immunogenicità di questi vaccini rispetto ai viventi attenuati. Ne consegue la
necessità di due o tre somministrazioni nella fase iniziale della vaccinazione (per attivare le cellule
Igg) e la necessità di dosi di richiamo (booster) per mantenere una adeguata copertura anticorpale nel
tempo.

Fra i vaccini virali uccisi sono in uso l’antirabbico e l’antipolio di Salk (IPV, Iniettabile Polio Virus
in cui iniettabile significa che viene somministrato con una puntura sul braccio come la maggior parte
dei vaccini).

2. Vaccini vivi attenuati

Si tratta del modo di preparare i vaccini suggerito da Pasteur. Il microorganismo patogeno non viene
ucciso ma viene messo in condizioni tali da mutare il suo genoma e perdere la sua patogenicità. Sono
costituiti da virus o da batteri vivi che mantengono la capacità di moltiplicarsi nell’organismo del
vaccinato, stimolando le sue difese immunitarie, ma sono incapaci di provocare manifestazioni
cliniche di malattia. La stabilità dell’attenuazione è il fattore più critico, i patogeni moltiplicandosi
potrebbero riacquisire virulenza.

Il microorganismo si replica fino a quando il sistema immunitario non è così forte da uccidere il
microorganismo contenuto dal vaccino. Il microorganismo tuttavia, trovandosi in un ambiente
favorevole, potrebbe mutare il suo genoma e riacquistare virulenza dando origine alla malattia.
Questo si potrebbe verificare in persone che hanno una lenta risposta immunitaria.

I vaccini vivi attenuati stimolano la produzione di tutte le classi di Ig e sono stati messi a punto con
ripetuti passaggi in terreni colturali o in colture cellulari in condizioni di moltiplicazione non ottimali.
Devono essere conservati non interrompendo la catena del freddo, per evitare che il microrganismo
muoia parzialmente o totalmente.
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Trattandosi di microorganismi vivi, questi vaccini non sono stabili come i precedenti: devono essere
protetti dalla luce e dal calore e devono essere aggiunti antibiotici per proteggerli da contaminazioni.
È un vaccino delicato ed è difficile portarlo in paesi poveri e non sviluppati.

L’aspetto positivo è che è possibile somministrarlo attraverso la stessa via in cui si prende la malattia
quindi anche per via orale ecc. In genere:

• è sufficiente una sola somministrazione


• inducono una risposta immunitaria superiore ai vaccini inattivi

Attualmente sono usati i vaccini vivi virali contro il morbillo, la rosolia, la parotite, la varicella, la
poliomielite (vaccino di Sabin, OPV in cui o sta per orale). Nel caso dell’OPV era stato stimato che
il vaccino causasse malattia su un caso ogni due milioni di somministrazioni.

3. Frazioni di microrganismi

Perché quando si fa il vaccino per il Covid-19 tutti hanno dolore al braccio? Il dolore è causato dal
fatto che appena viene somministrato il vaccino c’è una risposta immunitaria innata, l’infiammazione
che causa il dolore, la febbre, ecc. La reazione testimonia che il sistema immunitario ha riconosciuto
come non self il vaccino e per questo si è attivato. In alcuni casi la reazione potrebbe essere anche
molto importante, in specie se il vaccino è dedicato ai bambini. Alcuni gruppi di ricerca hanno detto
che questa cosa dipende da quanto è grande il microorganismo che si sta oculando: più è grande più
è alta che ci sia un’alta risposta immunitaria. Da qui è nata l’idea di frammentare i virus mantenendo
i determinanti antigenici. I vaccini di questo tipo vengono detti “split” e in questa maniera sono
costruiti i vaccini antinfluenzali.

Tuttavia, per ovviare al problema dell’alta risposta immunitaria al momento dell’inoculazione si è


pensato di prendere esclusivamente il determinante antigenico, la parte sufficiente ad attivare il
sistema immunitario. È in questa maniera che sono nati i vaccini ad antigene puruficati.

4. Vaccini Antigeni purificati

Per costruire questo vaccino prima si uccide il corpo batterico, poi si vanno ad individuare e isolare i
determinanti antigenici (quelle cose che consentono di entrare nelle cellule). I determinati antigenici
andranno a costituire il vaccino. Per alcuni microrganismi è noto che certi antigeni di superficie
svolgono un ruolo essenziale per la loro virulenza e nella induzione della risposta immunitaria
dell’ospite

L’impiego di antigeni protettivi offre il vantaggio di poter utilizzare vaccini purificati da altre
componenti tossiche dei microrganismi e di ridurre le reazioni indesiderate.
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Appartengono a questa categoria:

• antinfluenzali a subunità costituiti dagli antigeni di superficie emoagglutinina e


neuroaminidasi
• antiepatite B (antigene di superficie HBsAg ottenuto con la tecnica del DNA ricombinante)

Non tutti vaccini ad antigeni purificati funzionano nella stimolazione del sistema immunitario. Alcuni
antigeni infatti sono costituiti da zuccheri, sono polisaccaridici. Questi antigeni funzionano bene negli
adulti ma non nei bambini che ancora non hanno un sistema immunitario sviluppato. I bambini prima
dello svezzamento, nutrendosi esclusivamente di latte che è altamente zuccherino, non sviluppano le
capacità in quanto farebbero un danno a sé stessi. Gli antigeni costituiti da zuccheri sono presenti in
microorganismi che causano le meningiti, malattie molto diffuse fra i bambini. A tale proposito si è
pensato di “appiccicare “all’antigene polisaccaridico qualcosa che il sistema del bambino riconosce
in modo tale da fargli sviluppare l’anticorpo. Si è scelto di appiccicare proteine.

5. Vaccini Antigeni purificati polisaccaridici

Se l’antigene è un polisaccaride, il sistema immunitario dei lattanti non riesce a riconoscerlo come
tale. Quindi per attivare il sistema immunitario il vaccino viene coniugato chimicamente ad una
matrice proteica, scelta sulla base della sua elevata immunogenicità

Attualmente sono disponibili diversi vaccini costituiti da antigeni purificati coniugati o non coniugati:

• antimeningococco (Neisseria meningitidis) coniugato tetravalente (Mcv4), contro i sierotipi


A, C, W135 e Y
• antipneumococco (Streptococcus pneumoniae) polisaccaridico 23-valente, coniugato 13-
valente (PVC13)
• anti Haemophilus influenzae di tipo b (coniugato)

6. Vaccini Anatossine o tossoidi

Alcuni microorganismi non sono invasivi, ma producono danni al corpo umano attraverso le tossine
emesse le quali entrano in circolo nel sangue. In questi casi occorre costruire un vaccino che riconosca
e blocchi la tossina prima che raggiunga l’organo target. Tali vaccini sono costituiti dalla tossina
stessa che è stata manipolata per toglierne la patogenicità. Le manipolazioni possono avvenire in
maniera differente: con l’alta temperatura, sostanze chimiche, sostituzione di un amminoacido nel
sito attivo della patogenicità. Contengono esotossine prodotte dai batteri patogeni (bacillo difterico e
tetanico) che sono state trattate in maniera tale da perdere la loro tossicità (tossina detossificata) pur
mantenendo il potere antigene.
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I vaccini così ottenuti sono chiamati anatossine o tossoidi

• i batteri vengono fatti crescere in un adeguato mezzo di coltura quindi allontanati (filtrazione
o centrifugazione)
• il terreno viene trattato per l’inattivazione della tossina (temperatura o mezzi chimici)
• l’anatossina viene raccolta e purificata
• Si possono preparare anche attraverso manipolazione genetica (nuovo anatossivaccino
antidifterico)
• glicina in posizione 52 del frammento A della tossina sostituita con un acido glutammico
(CRM197)

7. Vaccini a DNA ricombinante

Questa tecnica consente di modificare il DNA di un organismo inserendo in esso i geni di un altro
organismo

Una volta identificato il frammento di DNA che codifica per la proteina di interesse immunologico:

(1) si isola il frammento di DNA

(2) lo si inserisce in un plasmide

(3) si introduce il plasmide in un vettore di espressione (E. coli, alcuni lieviti )

(4) alcuni accetteranno il gene e produrranno il ricombinante

(5) altri, la maggior parte, no

Spiegato in modo più concreto:

Occorre individuare e studiare il genoma dell’agente patogeno (1) e in particolare individuare e


tagliare (isolare) quella parte che codifica per il determinante antigenico (segmento verde). A questo
punto il segmento viene inserito all’interno di un microorganismo non patogeno (es E. Coli [escerikia
coli], lieviti, ecc.). Con una particolare tecnica si “convince” il microorganismo ad accettare il
genoma che non è suo e farlo esprimere. Il microorganismo inizia così a produrre i determinanti
antigenici dell’agente patogeno. A questo punto occorre raccogliere questi determinanti antigenici e
allontanare l’agente non patogeno che li ha prodotti e costruire il vaccino.

I vaccini di questo tipo sono innocui in quanto non contengono l’agente in nessun modo.

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L'attuale vaccino contro l’epatite B è stato il primo vaccino virale ad essere prodotto con tali tecniche,
clonando il gene dell'antigene HBs nel lievito Saccharomyces cerevisiae, che può essere coltivato in
grandi quantità e da cui l'antigene può essere estratto facilmente

7. Vaccini edibili

Sono iniziati studi per lo sviluppo di vaccini commestibili a seguito di un appello dell’OMS

• lo sviluppo di vaccini poco costosi


• somministrabili per via orale
• che non richiedessero refrigerazione
• da utilizzare prevalentemente nelle zone più povere e disagiate del mondo

Il principale metodo prevede l’incorporazione del gene codificante per l’antigene da riprodurre, in un
plasmide “navetta” propagabile in Agrobacterium tumefaciens

Questo batterio infetta numerose specie vegetali e funge da vettore dei geni che interessa inserire nel
genoma delle cellule della pianta che si vuole trasformare

La cellula vegetale (provvista di parete cellulosica) protegge al suo interno le molecole antigeniche
durante il transito nello stomaco-

Quando la parete cellulare si disgrega il carico antigenico viene liberato nel lume intestinale

Il contatto degli antigeni con le cellule della mucosa intestinale dovrebbe stimolare una risposta sia
sistemica che mucosale con produzione di IgA secretorie

Gli studi per lo sviluppo di vaccini edibili sono indirizzati principalmente verso agenti causali di
patologie diarroiche gravi (virus Norwalk, rotavirus, Vibrio cholerae ed Escherichia coli
enterotossigena) responsabili, ogni anno, di quasi 3.000.000 di morti, principalmente tra i bambini
nei Paesi in via di sviluppo

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8. Vaccini Reverse vaccinology

Tecnica molto complessa che consistente nella realizzazione di un vaccino attraverso lo studio al
computer dei geni del batterio

Con questa tecnica è stato preparato il vaccino contro il meningococco di tipo B

• il 14 gennaio 2013 la Commissione europea ha rilasciato l’autorizzazione all’immissione in


commercio valida
• in tutta l’Unione europea dal 2014 vaccinazione offerta in Italia

9. Vaccini a vettore virale

Contengono una versione modificata dell’adenovirus dello scimpanzé, non più in grado di replicarsi

Nel genoma dell’adenovirus viene inserito il gene che codifica per l’antigene. I geni virali servono al
vettore per penetrare nella cellula e portare nel suo nucleo l’informazione per la produzione
dell’antigene. Una volta prodotto, l’antigene può stimolare una risposta immunitaria specifica, sia
anticorpale che cellulare. Poco dopo aver svolto la sua funzione, il virus vettore presente nel vaccino
viene eliminato dall’organismo

10. Vaccini a mRNA

Contengono l’mRNA che codifica per l’antigene. Le molecole di mRNA sono inserite in
nanoparticelle lipidiche (proteggono e facilitano l’ingresso dell’mRNA nelle cellule)

Una volta penetrato nelle cellule l'mRNA viene usato dai ribosomi che leggono le istruzioni genetiche
e avviano la sintesi dell’antigene
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L’antigene viene visualizzato sulla superficie della cellula e identificato dal sistema immunitario
come estraneo con successiva stimolazione di anticorpi specifici e attivazione di cellule T

L’mRNA non entra nel nucleo delle cellule e quindi non interagisce né modifica il DNA. L’mRNA
si degrada naturalmente dopo pochi giorni una volta svolta la sua funzione.

Costituenti di un vaccino

• Antigene(i) immunizzante(i) oppure mRNA o DNA codificante l’antigene


• Liquido di sospensione: soluzione fisiologica o acqua distillata sterile
• Stabilizzanti: gelatina e albumina, usati in alcuni vaccini per stabilizzare l’antigene
• Adiuvanti: sostanze che, aggiunte al vaccino, aumentano l’immunogenicità, attraverso
l’attivazione e/o il prolungamento dell’effetto stimolante e permettono di ridurre la quantità
di antigene ed il numero di dosi. Sono generalmente costituiti da alluminio o sali di alluminio.
Il loro impiego è essenziale quando i componenti del vaccino sono costituiti da anatossine o
da antigeni proteici semplici (peptidi), ottenuti con la tecnica del DNA ricombinante.

Possono essere presenti delle tracce di sostanze utilizzate nel processo di produzione del vaccino

Vaccini combinati: in un’unica siringa, vaccini per più malattie. Es. vaccino esavalente (Difterite-
tetano-pertosse acellulare, Polio, Hib, Epatite B). I principali vantaggi dei vaccini combinati
(polivalenti) sono:

• minor numero di visite preparatorie


• minori disagi per il bambino e per la famiglia
• maggiore accettabilità (che comporta, conseguentemente, una maggiore compliance)
• maggiore copertura
• minori costi di gestione (appalto, distribuzione, somministrazione, registrazione)

Vaccini: innocuità ed efficacia

Valutati con una serie di saggi di laboratorio, in vitro e in vivo, prima di passare alla sperimentazione
sull’uomo (trial preventivi)

Innocuità:

• per i vaccini vivi attenuati consiste nell’incapacità di causare la malattia di cui sono
responsabili i corrispondenti microrganismi virulenti

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• per i vaccini a microrganismi uccisi, anatossine, polisaccaridici, antigeni purificati, bisogna
accertare che essi non producano effetti tossici, fenomeni di sensibilizzazione o altre reazioni
indesiderate di entità tale da renderne pericoloso l’uso nell’uomo

Efficacia immunizzante: valutata in rapporto alla risposta anticorpale (sieroconversione), stimolata


negli animali da esperimento e nell‘’uomo

Efficacia protettiva: valutata con studi di epidemiologia sperimentale (trial preventivi) 30 Vaccini:
innocuità ed efficacia

Le fasi preliminari si svolgono in laboratorio (in vitro) e servono a identificare la componente del
microrganismo in grado di stimolare il sistema immunitario. Il vaccino viene quindi testato su animali
da esperimento (in vivo). Successivamente la tollerabilità e l’efficacia protettiva vengono studiate
nell’uomo (trial preventivo). Il trial è suddiviso in tre fasi, ognuna approvata e controllata dalle
agenzie regolatorie del farmaco (internazionali e nazionali) e dai comitati etici.

• Studi di Fase I: partecipano alcune decine di volontari e hanno lo scopo di confermare


nell’uomo la sicurezza del preparato e valutarne la tollerabilità (frequenza e gravità degli
effetti collaterali del vaccino)
• Studi di Fase II: partecipano centinaia di volontari e hanno lo scopo di confermare la sicurezza
e la tollerabilità del vaccino e dimostrarne l’immunogenicità e l’efficacia protettiva
• Studi di Fase III: partecipano migliaia di volontari (multicentrici) e hanno l’obiettivo di
confermare la sicurezza, la tollerabilità, l’immunogenicità e l’efficacia protettiva del vaccino
su una popolazione molto ampia di soggetti

Terminate positivamente le fasi della ricerca clinica, il vaccino ottiene l’autorizzazione all’utilizzo da
parte delle agenzie regolatorie internazionale e nazionali che acquisiscono e valutano
indipendentemente i risultati degli studi di fase I, II, III.

Dopo l’autorizzazione all’utilizzo il nuovo vaccino viene tenuto sotto controllo per rilevare effetti
collaterali e/o problemi eventualmente sfuggiti agli studi clinici precedenti (effetti molto rari o che si
manifestano a lungo/lunghissimo termine, o solo in condizioni particolari).

Dopo la commercializzazione, è possibile valutare l’efficacia sul campo (efficacia protettiva) ovvero
la capacità di prevenire le malattie causate dal microrganismo contro il quale il vaccino induce la
risposta.

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Vaccini: controindicazioni ed effetti indesiderati

Pur correttamente preparati, controllati e somministrati, possono presentare:

• controindicazioni temporanee (terapie che agiscono sul S.I., eventi febbrili)


• controindicazioni persistenti (malattie neurologiche in evoluzione, reazioni a precedenti
vaccinazioni, allergie a componenti dei vaccini)
• effetti indesiderati (febbre, irritabilità, reazioni locali)

Secondo la Farmacopea Ufficiale “i vaccini sono preparazioni contenenti sostanze antigeniche capaci
di indurre una immunità attiva e specifica nell’uomo nei confronti di un agente infettante, di una
tossina o di un antigene elaborato da esso”

Secondo AIFA “i vaccini sono medicinali biologici che hanno lo scopo di prevenire una o più malattie
infettive attraverso la stimolazione del sistema immunitario (produzione di anticorpi, attivazione di
specifiche cellule) e la conseguente acquisizione della cosiddetta immunità attiva”

Da un punto di vista epidemiologico i vaccini rappresentano un intervento di prevenzione primaria


che mira non solo alla protezione del singolo individuo ma che ha come obiettivi il controllo,
l’eliminazione e, dove è possibile, l’eradicazione della malattia infettiva

• Controllo di una malattia infettiva: grazie ad interventi di prevenzione, la sua incidenza nella
popolazione si riduce significativamente e non si hanno più manifestazioni epidemiche (in
Italia: tubercolosi e tetano)
• Eliminazione di una malattia infettiva: in una determinata Regione o Paese non si osservano
più casi di malattia, pur essendo ancora presenti serbatoi di infezione (difterite essendo
possibile lo stato di portatore cronico)
• Eradicazione di una malattia infettiva: scomparsa in tutto il Mondo sia della malattia che
dell’agente infettivo così che non si potranno più verificare nuovi casi a meno che l’agente
eziologico non venga reintrodotto dall’uomo stesso

Vaiolo: eradicazione

Nel dicembre del 1979 la Commissione Globale per la Certificazione del vaiolo concluse che
l’eradicazione del vaiolo era stata raggiunta. Nel 1979 è stata sospesa in Italia la vaccinazione
antivaiolosa. Nel maggio 1980 l’Assemblea Mondiale di Sanità ha dichiarato solennemente che il
“mondo e la sua popolazione si erano liberate dal vaiolo”. In Italia l’obbligo della vaccinazione
antivaiolosa è stato definitivamente abrogato nel 1981.

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Criteri di eradicazione

• Microrganismo geneticamente stabile


• Trasmissione interumana
• Assenza di serbatoi non umani - tetano non eradicabile
• Periodo di contagiosità breve, (no portatori cronici)
• Quadro clinico specifico con pochi casi asintomatici
• Esistenza di un vaccino efficace, che dia immunità permanente, così come l'infezione naturale
• Al momento si sta tentando l’eradicazione della poliomielite e del morbillo

Herd immunity

È un effetto positivo aggiunto delle vaccinazioni quando si riescono ad ottenere tassi di copertura
molto elevati.

Quando in una popolazione si riesce a vaccinare una proporzione non inferiore al 95% degli individui
esposti si determina una “immunità di gregge”.

Anche gli individui non vaccinati risultano protetti dalla malattia.

Le vaccinazioni possono essere definite come un “intervento sociale collettivo”. Riducendo il numero
di individui suscettibili all’infezione e la probabilità che la stessa possa esitare in malattia, determina
il controllo della trasmissione.

Il beneficio delle vaccinazioni è:

• diretto, derivante dalla vaccinazione stessa che immunizza totalmente o parzialmente la


persona vaccinata
• indiretto, in virtù della creazione di una rete di sicurezza, a favore dei soggetti non vaccinati,
che riduce il rischio di contagio

Strategie delle vaccinazioni

• Vaccinazione di massa: immunizzazione entro un determinato e breve arco di tempo di tutte


le coorti d’età (inclusi i nuovi nati) comprendenti una significativa percentuale di soggetti non
immuni
• Vaccinazione di due o più coorti: immunizzazione di due o più coorti di soggetti suscettibili
di diversa età.

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Giornate nazionali di vaccinazione (NIDs): gigantesche campagne vaccinali condotte in modo
sincronizzato in vaste aree dell’Africa e dell’Asia per un breve periodo di tempo (da 1 a 3 giorni)
durante il quale viene somministrata una dose di vaccino a tutti i bambini del gruppo target senza
tener conto dell’eventuale storia vaccinale precedente.

Piano nazionale di prevenzione vaccinale

In Italia fino al 1999 le diverse vaccinazioni sono state introdotte con singoli provvedimenti in
successione cronologica, man mano che il progresso scientifico e tecnologico ha reso disponibili
vaccini sicuri ed efficaci senza che le vaccinazioni fossero inserite in un quadro organico di medicina
preventiva e senza una precisa definizione degli obiettivi che si intendeva conseguire

Alcune di esse sono state rese obbligatorie per determinate classi di età o categorie, mentre altre sono
state raccomandate, lasciando la loro esecuzione alla programmazione regionale e locale o alla
iniziativa di medici e famiglie meglio documentate e più illuminate

Alcune regioni, mediante delibere, hanno fornito non solo le vaccinazioni, ma anche indicazioni sui
calendari vaccinali da adottare, che però non risultavano omogenee in tutta Italia

Esigenza di definire in maniera globale ed omogenea la politica vaccinale, con l’obiettivo di


raggiungere i tassi di copertura vaccinale dei Paesi più avanzati, in linea con le raccomandazioni
dell'OMS e del Piano Sanitario Nazionale

Nascono così i Piani Nazionali di Prevenzione Vaccinale

• 1999 - 2000
• 2005 – 2007
• 2008 – 2010
• 2010 – 2012
• 2012 – 2014
• 2016 – 2018
• 2017 – 2019

Aggiornati periodicamente sulla base della disponibilità di nuovi vaccini e dei profili epidemiologici
delle malattie infettive. In ogni PNPV era contenuto il calendario vaccinale.

Nell’ultimo PNPV erano ancora presenti:

• vaccinazioni obbligatorie per legge, contro: difterite, tetano, poliomielite, epatite B

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• vaccinazioni raccomandate contro: pertosse, morbillo, parotite, rosolia, varicella, infezioni
da Haemophilus influenza b (Hib), meningococco C, meningococco B, pneumococco,
Rotavirus, influenza e papillomavirus

Era intenzione del PNPV 2017-2019 superare l’obbligo vaccinale e convertirlo in adesione
consapevole 47 MA…. calo delle coperture vaccinali

Movimenti antivaccinali

L’opposizione alla vaccinazione ha radici lontane:

le intuizioni di Jenner, furono ostacolate dagli ambienti ecclesiastici e conservatori per la


commistione animale/uomo, verso il 1850, in Gran Bretagna, originarono i primi movimenti di
opposizione, che si diffusero poi anche negli Stati Uniti. Intorno al 1950, nascono i movimenti anti-
vaccinali dell’era moderna, con ricorso ad interventi televisivi. Recentemente, i movimenti che si
oppongono alle vaccinazioni si sono concentrati sulla diffusione delle informazioni attraverso
Internet. Sono una variegata galassia molto attiva con cui è difficile dialogare perché le motivazioni
che sottendono l’atteggiamento “negazionista” sono estremamente diverse e quindi non è quasi mai
possibile utilizzare gli stessi argomenti.

Falsi miti ed effetti collaterali imputati alle vaccinazioni

Vaccino morbillo-parotite-rosolia (MPR) e autismo

Wakefield nel 1998 pubblicò su “The Lancet” la correlazione, oggi smentita, tra il vaccino trivalente
MPR e la comparsa di autismo

La pubblicazione fu oggetto di un'accurata inchiesta che evidenziò, come la sua ricerca fosse condotta
in modo irregolare e con finalità economiche

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Si scoprì che Wakefield era stato pagato per supportare cause giudiziarie contro le case farmaceutiche
produttrici dei vaccini, e che egli stesso aveva brevettato un proprio sistema di vaccini, per sostituire
il trivalente

Cosa succede se calano le coperture

In Italia nel 2017 si sono verificati 4.991 casi di morbillo (nel 2016 i casi erano stati 862, aumento
del 479%)

Il 44% dei casi ha avuto necessità di ricovero e un ulteriore 22% è ricorso al Pronto Soccorso

L’epidemia ha causato 4 decessi per morbillo 1 persona di 41 anni e 3 bambini di 1, 6 e 9 anni

Decreto legge vaccini

Legge 31 luglio 2017, n. 119 (G.U. Serie Generale , n. 182 del 05 agosto 2017)

Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 7 giugno 2017, n. 73, recante disposizioni
urgenti in materia di prevenzione vaccinale.

Dieci vaccinazioni obbligatorie da zero a 16 anni: anti-poliomielitica, anti-difterica, anti-tetanica,


anti-epatite B, anti-pertosse, anti-Haemophilus influenzae tipo b, anti-morbillo, anti-rosolia, anti-
parotite, anti-varicella.

L’obbligatorietà per le ultime quattro (anti-morbillo, anti-rosolia, anti-parotite, antivaricella) è


soggetta a revisione ogni tre anni in base ai dati epidemiologici e delle coperture vaccinali raggiunte.
Sono, inoltre, indicate ad offerta attiva e gratuita, da parte delle Regioni e Province autonome, ma
senza obbligo vaccinale, le vaccinazioni: anti-meningococcica B, anti-meningococcica C, anti-
pneumococcica, anti-rotavirus.

Scuola e vaccini

Il rispetto degli obblighi vaccinali diventa un requisito per l’ammissione all’asilo nido e alle scuole
dell’infanzia (per i bambini da 0 a 6 anni): dalla scuola primaria (scuola elementare) in poi i bambini
e i ragazzi possono accedere a scuola e fare gli esami, ma, in caso non siano stati rispettati gli obblighi,
viene attivato dalla Asl un percorso di recupero della vaccinazione ed è possibile incorrere in sanzioni
amministrative da 100 a 500 euro. Sono esonerati dall’obbligo i bambini e i ragazzi già immunizzati
a seguito di malattia naturale, e i bambini che presentano specifiche condizioni cliniche che
rappresentano una controindicazione permanente e/o temporanea alle vaccinazioni

51
Obiettivi del nuovo PNPV

1. Mantenere lo stato Polio free


2. Perseguire gli obiettivi del Piano nazionale di eliminazione del morbillo e della rosolia
congenita (PNEMoRc) e rafforzare le azioni per l’eliminazione
3. Garantire l’offerta attiva e gratuita delle vaccinazioni, l’accesso ai servizi e la disponibilità
dei vaccini per tutti.
4. Prevedere azioni per i gruppi di popolazione difficilmente raggiungibili e con bassa copertura
vaccinale. Es. anziani non assistiti, senzatetto, immigrati.
5. Elaborare un piano di comunicazione istituzionale sulle vaccinazioni per contrastare
l’influenza mediatica dei no-vax attraverso ricerche e supporti scientifici. Es. la Società
Italiana di Igiene e Medicina Preventiva ha aperto un sito che si chiama Vaccinar-si contente
tutte le informazioni sui vaccini contro il Covid-19.

I costi delle mancate vaccinazioni

Perché tanta insistenza nel vaccinare? ci sono due aspetti:

• mantenere la popolazione in salute


• motivi economici: numerosi studi calcolano i costi delle terapie necessarie ad una persona
malata non vaccinata mettendoli a confronto con i costi delle vaccinazioni. Gli studi di
farmacoeconomia condotti hanno tutti evidenziato il vantaggio economico delle
vaccinazioni

In questo secondo aspetto sono state prese in considerazione:

• le risorse legate all’acquisto e alla somministrazione dei vaccini


• le ospedalizzazioni
• i morti
• le spese conseguenti la necessità di curare le malattie non prevenute
• la perdita di giornate lavorative e scolastiche per malattia
• le riduzioni di prestazioni fornite dal sistema previdenziale (INPS)
• la perdita di anni vita a causa della malattia

…gli effetti del decreto…

In Italia nel 2019, rispetto al 2016 quando è entrato a regime il Decreto Lorenzin:

incremento delle coperture (a 2 anni) per nove delle dieci vaccinazioni divenute obbligatorie

52
• antipoliomielite (dal 93,3 al 96,5 %)
• antidifterico (93,6-96,0 %)
• antitetanica (93,7-96,8 %)
• antipertosse (93,6-95,98 %)
• antiepatite B (93-95,83 %)
• Anti-Haemophilus influenzae B (93,1-95,29 %)
• antimorbillo (87,3-95,16 %)
• antiparotite (87,2-95,04 %)
• antirosolia (87,2-88,21 %)
• varicella (46,1-58,42 %)

Relativamente alle coperture delle vaccinazioni raccomandate:

• antipneumococco (88,4-92,0 %)
• antimeningococco C (80,7-79,44 %)

Esiste ancora uno dei tre virus della polio in Afghanistan e in Pakistan che sono rimasti fuori dalla
campagna vaccinale.

Prevenzione secondaria e terziaria delle malattie infettive

Abbiamo visto come la prevenzione primaria la si possa effettuare attraverso l’isolamento, la


contumacia, disinfezione, sterilizzazione, vaccini (arma più potente di prevenzione primaria).

La prevenzione secondaria è finalizzata a scoprire se ci sono dei casi di persone malate che ancora
non hanno subito manifestazioni cliniche. Le malattie infettive non si prestano alla prevenzione
secondaria a causa della loro breve incubazione e il loro decorso acuto. Per fare prevenzione
secondaria infatti è necessario che ci sia un tempo abbastanza lungo (anche di anni) tra il contatto con
la causa della malattia e l’esordio clinico della stessa. La prevenzione secondaria la si può effettuare
solo nel caso di malattie con un lungo periodo di incubazione tra cui le principali sono la tubercolosi
e l’HIV. Attraverso screening per tubercolosi e la ricerca markers per HIV. Lo scopo di questo livello
di prevenzione è quello di aggredire la malattia in uno stadio ancora non troppo avanzato, quando
ancora la malattia stessa non ha arrecato danni troppo gravi all’organismo.

Gli interventi di prevenzione terziaria sono quegli interventi effettuati dopo la malattia e anche in
questo caso si prestano solo le malattie infettive che cronicizzano (epatite B,C, HIV). Si tratta di
interventi finalizzati a evitare il riacutizzarsi delle malattie e aumentare la sopravvivenza o migliorare
la qualità della vita.
53
Malattie infettive di rilevanza sociale: tubercolosi

Malattie infettive di rilevanza sociale

Le malattie infettive nei paesi industrializzati sono ancora un problema sanitario per:

• l’incompleta adozione della prevenzione (infezioni ospedaliere, malattie prevenibili con


vaccini)
• le mutate condizioni sociali (TBC): all’interno della stessa popolazione le persone vivono
condizioni sociali totalmente differenti. Le fasce più basse sono particolarmente colpite dalle
malattie infettive
• la selezione di germi virulenti o resistenti agli antibiotici: alcuni farmaci, utilizzati dal primo
dopo-guerra si mostrano inefficaci. una volta con un po’ di mal di gola si prendeva subito
l’antibiotico. Oggi a causa di questo fenomeno si chiede di assumerlo solo in condizioni di
accertata necessità.
• l’aumento delle persone immunocompromesse: questa condizione di salute è causata o da
malattie pregresse o dall’età. Essendo l’Italia un paese senile questo rappresenta un problema
sanitario.
• possibili pandemie: Il nostro sistema sanitario, grazie alle certezze rappresentate dagli
strumenti sanitari di cui disponiamo, ha deciso di investire più sulle malattie cronico-
degenerative che su quelle infettive. Al momento dell’arrivo del Covid-19 tutto la strategia
messa in atto è stata sconvolta e si è visto come gli ospedali non fossero in grado di affrontare
pazienti affetti da malattie infettive.

In Italia c’è una legge che viene aggiornata periodicamente contenete l’elenco delle malattie sociali.
Tra le malattie infettive ci sono:

• tubercolosi che richiede rinnovata attenzione a causa della sua diffusione in particolari gruppi
di popolazione a rischio.
• AIDS che in questo momento ha una bassa diffusione ma si tratta di una malattia grave che
colpisce non più i tossicodipendenti e gli omosessuali ma la popolazione giovane in generale
e può essere evitata tramite interventi di prevenzione primaria.

Tubercolosi (TB o TBC)

Tisi, deperimento, mal sottile, piaga bianca sono i termini che sono stati usati, nel corso della storia,
per definire la tubercolosi. Questa malattia era particolarmente diffusa nella prima metà degli anni
’90 ma oggi risulta essere dimenticata, considerata non più come pericolosa. Oggi in realtà ci sono

54
delle riaccensioni e pertanto i medici sono chiamati a rivedere i protocolli medici da mettere in atto.
La mancata preoccupazione circa le pericolosità delle malattie infettive è diffusa in tutti i paesi
industrializzati che si sentono tranquilli grazie alla disponibilità di vaccini, antibiotici, conoscenze,
strutture sanitarie, ecc.

Il 24 marzo 1882, dopo lunghi anni di ricerca, Robert Koch annunciò alla comunità scientifica la
scoperta dell’agente eziologico della TB. Egli ha scoperto che non è un solo microorganismo a dare
la malattia, ma un gruppo di myco-batteri raggruppati nel Mycobacterium tuberculosis complex. Tale
complesso include il M. tuberculosis (conosciuto proprio come bacillo di Koch) e M. africanum che
sono patogeni per l’uomo e M. bovis che invece è patogeno principalmente per il bestiame (anche
seattraverso la via alimentare può arrivare lo stesso all’uomo)

Il gruppo di batteri identificato da Koch risulta essere molto resistente ad agenti chimici (disinfezione)
e fisici (bollitura). È quindi molto complicato debellarlo dall’ambiente. Muore sotto i raggi UV: se
non esposto alla luce solare può sopravvivere in ambiente esterno anche per alcuni mesi. A differenza
degli altri batteri che per duplicarsi impiegano 20 minuti i batteri della tubercolosi crescono e si
duplicano molto lentamente. Questa ultima caratteristica fa si che la sua concentrazione nell’ambiente
risulti bassa.

Il fatto che non sopravvivessero alla luce solare e che si replicassero molto lentamente faceva pensare
che le persone potessero ammalarsi con difficoltà. Questo pensiero venne contraddetto da una
pubblicazione di Rudolf Ludwig Karl Virchow (1821-1902) il quale afferma che la tubercolosi è una
malattia infettiva fortemente condizionata da “determinanti clinici e sociali” della malattia (stato
immunologico, povertà, malnutrizione, scarsa igiene, comportamenti individuali). Egli intuisce che
non è sufficiente essere infettati dal bacillo per ammalarsi, ma che esistono altri fattori in grado di
intervenire sulla comparsa della malattia.

Per la prima volta si è parlato di una co-partecipazione degli stili di vita e dell’ambiente esterno e
quindi di una genesi multifattoriale di una malattia infettiva. Per questo motivo Virchow viene
considerato il padre della medicina sociale e igienistica.

Visto che questa malattia risultava facile da trasmettere all’interno di alcuni ambienti, Hermann
Brehmer (1826 –1889), un medico tedesco cercò di arginare questa malattia inventando i “sanatori”.
Egli fu il primo a comprendere che era necessario separare i malati dei sani. Nasce quindi il concetto
di isolamento. Inoltre, visto che il microorganismo era suscettibile alla luce dei raggi solari, i sanatori
avevano delle grandi terrazze in cui batteva il sole.

55
Questa malattia è stata considerata fino agli anni 50 una malattia grave, invalidante e alla lunga
mortale proprio per l’assenza di terapie. Nel II dopoguerra compaiono i primi farmaci: nel 1944,
Selman Abraham Waksman (1888-1973), un microbiologo e agronomo russo di origine ebraica, nota
che coltivando degli streptomiceti era possibile isolare una sostanza (che chiamò Streptomicina) in
grado di uccidere dei batteri tra i quali la tubercolosi. Sembra che la maggior parte del lavoro sia stata
fatta da Albert Schatz, a quei tempi studente di dottorato del Professor Walksman e oggi riconosciuto
co-autore della scoperta. Waksman rinunciò ai proventi del brevetto del farmaco, devolvendoli alla
ricerca contro la TB e altre malattie

Successivamente altri farmaci sono stati scoperti altri farmaci:

• nel 1946 il Tiosemicarbazone e l’acido Para-Amino-Salicilico


• nel 1952 l’Idrazide e l’Acido Nicotinico
• nel 1966 la RifampicinaU

Modalità di trasmissione

1. La malattia si trasmette di norma per via aerea da un individuo con TB polmonare o laringea
tramite goccioline di saliva, secrezioni bronchiali, starnuti.

2. Le mucche affette da mastite tubercolare possono trasmettere la malattia all’uomo attraverso


il consumo di latte non pastorizzato.

Per trasmettere l’infezione bastano pochissimi bacilli: si calcola che meno di 10 bacilli sono
sufficienti stabilire l’infezione polmonare in un ospite suscettibile. Alcuni studi dimostrano che basta
anche un solo bacillo perché sfrutta il nostro sistema immunitario a suo favore.

Non tutte le persone contagiate dai batteri della TBC si ammalano subito: il sistema immunitario può
contrastare l’infezione e il batterio può rimanere quiescente per anni, pronto a sviluppare la malattia
al primo abbassamento delle difese

Cenni clinici

In linea di principio, dopo l’inalazione di M. tuberculosis si possono osservare 4 diverse reazioni nei
soggetti sani:

1. Eliminazione immediata del micobatterio: Il 70% delle infezioni la malattia non appare a
causa della bassa numerosità di agenti patogeni che penetrano all’interno dell’organismo il

56
quale attraverso il sistema immunitario riconosce la presenza del batterio e lo combatte in
maniera ufficiale.
2. Infezione latente: il paziente è malato ma non dimostra molte manifestazioni cliniche. Nei
polmoni però potrebbe rimanere il micobatterio della tubercolosi racchiuso in granuloma
formato dal nostro sistema immunitario.
3. Tubercolosi primaria – rapida progressione della malattia attiva: situazione in cui la malattia
effettua il suo normale decorso. Il nostro sistema immunitario non riesce a contrastare l’agente
patogeno e quindi si osserva la malattia clinicamente manifesta.
4. Tubercolosi secondaria o post-primaria o miliare – riattivazione dopo anni dall’infezione
primaria: situazione in cui dalla fase di latenza questi agenti patogeni riescono a riattivarsi
dando origine ad una malattia vera e propria (tubercolosi secondaria) che può rimanere
confinata al livello dei polmoni oppure può essere trasportata in vari distretti.

Il bacillo tubercolare attacca più frequentemente i polmoni anche se può colonizzare anche ossa, reni,
pleura e meningi. I polmoni per funzionare necessitano che gli alveoli funzionino correttamente e
sfortunatamente nel caso della tubercolosi ad essere attaccati sono proprio gli alveoli. I bacilli,
penetrati attraverso l’inspirazione di materiale infetto (polvere, goccioline di saliva ecc.), superano la
trachea e i bronchi e giungono agli alveoli respiratori (parenchima polmonare).

Negli alveoli i micobatteri sono fagocitati dai macrofagi (attivati dal nostro sistema immunitario),
che li inglobano senza però eliminarli completamente. La risposta immunitaria specifica determina
la formazione di un granuloma (tubercolo) costituito da vari tipi di cellule (linfociti, macrofagi,
fibroblasti...). Le cellule che hanno fagocitato il bacillo della tubercolosi non riescono ad ucciderlo e
a quel punto si organizzano all’interno degli alveoli in granulomi. Il granuloma nasce con l’obiettivo
di circondare il bacillo in un’ambiente non adatto a lui. Al centro del tubercolo si forma (da macrofagi
uccisi) il caseum, una sostanza che somiglia molto al formaggio grattugiato, che riduce il contenuto
d’ossigeno nel tubercolo. In questo modo si crea un ambiente non idoneo alla crescita del bacillo di
Koch (aerobio). Il bacillo è ridotto in uno stato di “ibernazione”: sopravvive ma non prolifera perché
si trova intrappolato in una struttura chiusa, con bassa tensione di ossigeno. L’alveolo perde la
capacità respiratoria.

I batteri riescono ad uscire quando il sistema immunitario si allenta e a quel punto possono sfuggire
dai granulomi e andare ad attaccare altri organi.

Quella descritta è l’infezione latente e se è molto importante porta alla degenerazione del polmone
visualizzabile addirittura con raggi x. Se la risposta immunitaria non è sufficiente oppure i batteri
escono dal granuloma per poi ridiffondersi si ha la malattia vera e propria. (TB primaria)
57
Anche la TB latente può evolvere in tubercolosi clinicamente attiva (tubercolosi secondaria) anche
diversi anni dopo l’istaurarsi dell’infezione. Il rischio di riattivazione aumenta in tutti i casi di
immunodepressione, come AIDS, assunzione di droghe, malattie ematologiche ecc.

Il focolaio polmonare primario può assumere dimensioni notevoli, distruggere i bronchi e provocare
focolai di polmonite secondaria.

Inoltre attraverso la via linfatica i bacilli tubercolari possono entrare nel torrente sanguigno e
provocare forme disseminate acute di cui le principali manifestazioni sono la tubercolosi miliare e la
meningite tubercolare.

Riassumendo, in seguito all’infezione si verificano diverse possibilità cliniche:

• tubercolosi primaria (polmonite tubercolare) - se la moltiplicazione dei bacilli continua


• tubercolosi secondaria (o post-primaria) -
• tubercolosi miliare - se i bacilli si disseminano in altre parti dei polmoni o in altri siti

La TB polmonare non trattata può portare a disabilità e morte

Cenni clinici

• Incubazione da 4 a 12 settimane
• La prima infezione tubercolare nella maggior parte dei casi decorre in modo asintomatico, o
con sintomi aspecifici (tipo influenza)

Sintomatologia della TB polmonare

• debolezza generale, tosse persistente con muco purulento (contenente i bacilli), affanno
(dispnea) e presenza di sangue nell’espettorato (emottisi), perdita di peso, dolore toracico,
sudorazioni e sensazione di freddo, febbre modesta (37,5-38° C) solo verso sera che scompare
durante la notte
• il paziente è stanco, pallido, facilmente irritabile

Sintomatologia della TB miliare

I sintomi della malattia dipendono dall’organo colpito (Pleurite, meningite, pericardite…)

58
Diagnosi

Per accertare l’infezione il metodo più diffuso è il test della tubercolina (test di Mantoux),
un’iniezione intradermica della tubercolina, un estratto di bacilli tubercolari (antigeni). Se la reazione
di Mantoux è positiva significa che il sistema immunitario è venuto a contatto con il batterio della
TB. (Tipo prick test ma qui si controlla dopo un giorno)

La reazione viene classificata come:

• negativa: se l’indurimento dermico sviluppato dall’inoculo è inferiore a 2 mm di diametro


• dubbia: se l’indurimento dermico va da 2 a 4 mm di diametro
• positiva: se l’indurimento dermico è uguale o superiore a 5 mm di diametro
• intensamente positiva: se la papula si necrotizza centralmente Reazione di Mantoux

Un test tubercolinico positivo comporta la necessità di una radiografia del torace per accertare la
presenza di TB polmonare.

Per la conferma è necessario fare test sui materiali infetti (sputo, catarro). Il test è positivo se si
evidenzia la presenza del microrganismo.

Mortalità per tubercolosi in bambini sotto i 5 anni, nel periodo dal 1895 al 2008

Epidemiologia della TB nel Mondo

L’OMS ha dichiarato la TB un’emergenza sanitaria globale - dati nel 2019 del mondo

• 10 milioni di persone hanno contratto la tubercolosi


• 1.4 milioni di persone sono morte a causa della malattia
• si stima che 1.2 milioni di bambini si siano ammalati di tubercolosi
• si stimano 465.000 nuovi casi con resistenza alla rifampicina
• I casi si verificano principalmente nei Paesi in via di sviluppo

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Epidemiologia della TB in Italia

i casi di TBC continuano a scendere:

• 2010 - casi segnalati 4.692 (8 casi/100.000 abitanti)


• 2019 – casi segnalati 3.346 (5,5 casi/100.000 abitanti)

Per fare un confronto, nel 1955 erano stati notificati 12.247 casi di tubercolosi (25,3 casi/100.000
abitanti).

Nel 2016 sono stati notificati:

• 70 casi di TB multiresistente (il 2,6% del totale dei casi notificati)


• 7 casi estremamente multi resistenti 21 Tubercolosi (TB o TBC)

L'Italia è definita dall’OMS un Paese “a bassa endemia”: si registrano meno di 10 casi di malattia
ogni 100.000 abitanti. Tuttavia i casi in Italia sono concentrati in alcuni gruppi a rischio:

• cittadini non italiani (2/3 dei casi notificati)


• operatori sanitari
• tossico-dipendenti
• sieropositivi per l’HIV

La tubercolosi è una malattia fortemente associata alle condizioni in cui vivono le persone

• condizioni igieniche molto scarse


• stato di malnutrizione e cattive condizioni generali di salute

Secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, le decine di milioni di rifugiati che
vivono in condizioni molto precarie in diversi Paesi del mondo, a seguito di guerre o di catastrofi
naturali, sono a rischio molto alto di sviluppare TB.

Tenere sotto controllo la TB nei campi profughi e rifugiati, soprattutto in zone dove l’incidenza della
TB è già molto alta (es. Africa) è una priorità assoluta.

La TB tende a interagire in modo drammatico con il virus HIV

• HIV indebolisce il sistema immunitario


• se chi è sieropositivo viene infettato da tubercolosi, si ammala di TBC molto più facilmente
di chi è infetto ma non sieropositivo

La TB è la principale causa di morte tra le persone sieropositive.

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Prevenzione e trattamento

Norme igieniche generali: igiene nei contatti interpersonali, disinfezione ambientale, controllo dei
prodotti lattiero-caseari, adozione di regimi alimentari equilibrati.

Norme igieniche specifiche:

• identificazione e trattamento precoce (chemioprofilassi) dei contatti di un nuovo caso di TB


attiva
• vaccinazione con vaccino vivo e attenuato BCG (bacillo di Calmette-Guérin) dei soggetti a
rischio di contagio (es. personale sanitario, contatti e conviventi di pazienti) che risultino
negativi al test tubercolinico

Vaccino vivo e attenuato BCG

Prende il nome dai medici ALC Calmette e C Guérin che lo hanno preparato e introdotto nel 1921.
BCG contiene Mycobacterium bovis, reso avirulento da particolari condizioni di coltura (230 passaggi
su patate trattate con sali biliari). Questo vaccino non è efficace al 100% ma risulta protettivo anche
per altre patologie. Recentemente, il BCG ha trovato anche impieghi che ne sfruttano l’azione
immunostimolante aspecifica

• potenzia la risposta contro i patogeni del tratto respiratorio inferiore, induce protezione contro
i parassiti intestinali, i neonati vaccinati con il vaccino contro la tubercolosi ammalano meno
di polmonite (27%)
• usato nel trattamento del carcinoma uroteliale non invasivo della vescica 26 Tubercolosi (TB
o TBC)

Una revisione di studi presenti nella letteratura scientifica ha rivelato che il vaccino BCG riduce del
19-27% le probabilità di contrarre la tubercolosi e diminuisce del 71% la progressione di una
tubercolosi già attiva

Contribuiscono alla riduzione dell’incidenza anche:

• l’educazione sanitaria della popolazione


• l’eliminazione delle condizioni di disagio sociale ed emarginazione che rendono gli individui
più suscettibili

La vaccinazione antitubercolare è sempre controindicata nei Paesi a bassa endemia, sia negli adulti
sia nei bambini con infezione da HIV a causa della bassa efficacia.

61
Nei Paesi ad alta prevalenza di TB, soprattutto in età pediatrica, l’OMS raccomanda la vaccinazione
dei soggetti con infezione da HIV asintomatici allo scopo di prevenire forme tubercolari disseminate.

L’efficacia del vaccino è dubbia negli adulti con infezione da HIV. Alcune ricerche dimostrano che
negli scolari inglesi è stata valutata un’efficacia di circa l’80% del vaccino mentre in uno studio
condotto su studenti della Georgia negli Stati Uniti non ha mostrato effetto protettivo.

La TB è una malattia curabile e la terapia elettiva è a base di antibiotici e chemioterapici di sintesi in


diverse combinazioni. La terapia dura a lungo, da 6 mesi a 18-24 mesi

Sta aumentando la circolazione di ceppi di bacillo tubercolare multiresistenti ai farmaci


antitubercolari ovvero resistenti ai due antibiotici più efficaci (isoniazide e rifampicina). Si stima che
nel 2016 ci siano stati 600.000 nuovi casi con resistenza alla rifampicina, il farmaco più efficace
contro la tubercolosi. La tubercolosi multi-farmacoresistente rappresenta un grave problema per la
salute pubblica e una minaccia per la sicurezza sanitaria. Anche nel paziente immunocompetente, la
multiresistenza trasforma una malattia curabile in una condizione pericolosa per la vita. Nella TB
resistente a rifampicina e isoniazide la terapia fallisce e si osservano recidive e decessi superiori alle
forme di TB causate da germi sensibili.

L’insorgenza della resistenza è il risultato di una cattiva gestione del caso clinico

• mancato riconoscimento di un paziente non compliante (non segue le prescrizioni)


• insufficiente “educazione” del paziente: bisogna spiegare al pazient che la profilassi
antibiotica va completata sempre anche se i sintomi scompaiono
• errata prescrizione terapeutica

La Giornata mondiale della tubercolosi viene celebrata il 24 marzo di ogni anno, in ricordo del 24
marzo 1882, quando Robert Koch annunciò alla comunità scientifica la scoperta dell’agente
eziologico della malattia. Serve per sensibilizzare Istituzioni, organizzazioni della società civile,
operatori sanitari e altri attori coinvolti nella lotta alla tubercolosi, a collaborare e unire gli sforzi per
fermare la malattia e ridurre il numero di decessi ad essa correlati. A livello mondiale è necessario
raggiungere l’obiettivo della strategia “End TB” di porre fine alla tubercolosi entro il 2030.

L’evento pandemico Covid-19 ha messo a rischio il progresso fatto per porre fine alla tubercolosi e
per garantire un accesso equo alla prevenzione e all’assistenza nel mondo.

La Regione europea ha sviluppato un suo specifico piano di azione per gli anni 2016- 2020 con i
seguenti obiettivi:

62
• ridurre del 35% i decessi per TB
• ridurre l’incidenza della TB del 25%
• raggiungere un tasso di successo del trattamento del 75% tra i casi di TBC multi-
farmacoresistenti

Rischi infettivi nelle comunità scolastiche e sportive prevenibili da vaccino: malattie batteriche
invasive (meningiti e sepsi batteriche) HPV Tetano.

Rischi infettivi nelle comunità

I momenti di aggregazione sociale, che stiamo vivendo con la Sars Cov 2 (scuola, lavoro, attività
sportive, viaggi…) facilitano la possibilità di contrarre malattie infettive. La trasmissione delle
malattie infettive all’interno di una comunità dipende dai seguenti fattori:

• le caratteristiche dell’agente patogeno (modalità di trasmissione, dose infettante,


sopravvivenza nell’ambiente);
• le caratteristiche igieniche della comunità (condizioni ambientali e personali, l’indice di
affollamento, modalità di preparazione e somministrazione di cibi e bevande…) ;
• la frequenza di infezioni asintomatiche e di portatori sani (i portatori asintomatici sono
rischiosi per la diffusione delle malattie, in quanto non presentano sintomi e non è facile
individuarli.)
• le condizioni immunitarie specifiche per quella malattia e generali (copertura vaccinale)
• l’età dei componenti della comunità

Esempi di malattie infettive che interessano le comunità scolastiche sono:

• morbillo
• parotite
• rosolia
• varicella

Si trasmettono tutte per via aerea.

Sia durante l’incubazione che nella fase acuta della malattia il malato può contagiare altre persone
che a loro volta, se si ammalano, rinnovano il ciclo del contagio. Queste malattie vengono prevenute
con la vaccinazione, che risulta obbligatoria per l’infanzia. (Il c.d. ‘’Decreto Lorenzin’’)

63
Malattie batteriche invasive

Le malattie batteriche invasive (Mib) sono caratterizzate da una elevata frequenza di gravi
complicanze e la vaccinazione è l’unico strumento per contrastarle.

I batteri che sono più frequente causa di Mib sono 3:

• Neisseria meningitidis (meningococco)


• Streptococcus pneumoniae (pneumococco)
• Haemophilus influenzae b (emofilo o Hib)

Questi batteri colonizzano zone del corpo che sono normalmente sterili. Possono dar luogo a
meningiti e sepsi.

Tutti questi batteri possiedono una struttura detta capsula

Una struttura polisaccaridica (polimero di zucchero) che si trova anche all’esterno della parete
cellulare, l’obiettivo di questa capsula è nascondere al di sotto di questo strato polisaccaridico la
struttura complessa della parete cellulare del batterio.

Rivestendo la cellula batterica, rende difficile la fagocitosi (che per avere luogo correttamente
richiede un contatto fagocita/batterio) e questo ostacola l’avvio della reazione immunitaria. La
presenza di diversi polisaccaridi nella capsula di batteri della stessa specie, è responsabile
dell’esistenza di diversi sierotipi solo alcuni dei quali pericolosi per l’uomo.

Haemophilus influenzae b (Hib)

Negli anni 50 si ritenne per un breve periodo che l’HIB fosse l’agente eziologico dell’influenza, in
seguito si scoprì che in realtà si trattava di un virus. Esistono più sierotipi di Haemophilus influenzae
ma il tipo b è il batterio più importante nella patologia umana e può causare polmoniti e meningiti.Il
50% dei bambini sotto di 1 anno d’età ha avuto almeno un’infezione da Hi. Al 3° anno quasi il 100%
ha superato un’infezione da Hi, entrandoci a contatto. I tipi più comuni di malattia causata da Hib
sono la meningite, l’epiglottite, la polmonite e l’artrite.

Meningococco (Neisseria meningitidis)

Sono dei cocchi, dei batteri (i bacilli sono quelli a bastoncino) rotondeggianti (0,8-1 µm), appaiati a
formare coppie. Sulla base degli antigeni polisaccaridici della capsula si distinguono 9 gruppi
sierologici:

- 4 principali e noti da tempo (A, B, C e D)

64
- altri detti minori, identificati successivamente (X, Y, Z, 29E, W135)

- A, B, C, W135 e Y hanno come ospite unicamente l'uomo

- Come causa di malattie invasive, causano in particolare la meningite o la sepsi.

Pneumococco (Streptococcus pneumoniae) à ‘Pneumonie’ sta a indicare che nell’adulto da luogo


a patologie a livello del polmone, generalmente polmonite, ma anche meningite, batteriomia etc.

E’ un cocco, strepto significa a catenelle. Ha forma rotondeggiante, uniti in catenelle.

Si stima che il 20-60% dei bambini e il 5-10% degli adulti siano portatori dello Streptococcus
pneumoniae. Nella maggior parte dei casi il portatore non sa di ospitare il germe perché, in condizioni
normali di immunità, lo Pneumococco si localizza nelle vie aeree senza dare alcun disturbo. La
capsula determina la presenza di sierotipi diversi, alcuni sono più frequentemente associati con
manifestazioni morbose umane.

L’immunità conferita da un sierotipo non protegge necessariamente dagli altri. Determina


l’insorgenza di otite, sinusite o congiuntivite.

Le malattie batteriche invasive sono:

• batteriemia (batterio nel sangue)


• polmonite (spesso mortale negli anziani)
• meningite
• osteomielite (infezione delle ossa)
• sepsi

Tra i fattori che favoriscono la malattia:

1. età
• meningococco/sepsià bambini piccoli, adolescenti e giovani adulti
• pneumococcoà bambini e anziani
2. Stagionalità
• la malattia è più frequente tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera (casi sporadici si
verificano tutto l’anno)
3. Vita di comunità
• le persone che vivono e dormono in ambienti comuni (studenti, reclute) hanno un rischio più
elevato di meningite da meningococco e di Hib

65
LE MENINGI

Ci troviamo all’interno del nostro cervello, l’encefalo è rivestito da tre membrane (meningi) dette
anche “madri” per la loro funzione protettiva e nutritiva. Prendono il nome di:

• pia madre, legata al sistema nervoso centrale, aderisce intimamente alla sostanza nervosa
sottostante, seguendone tutte le irregolarità superficiali, ha funzione principalmente trofica.
• aracnoide, si trova sopra la pia madre in superficie, questa membrana e la pia madre
delimitano lo spazio sub aracnoideo che è ripieno di un liquido ‘liquor’.
• dura madre, la più esterna formata da un tessuto connettivo compatto, ha funzione
principalmente protettiva.

Gli spazi compresi fra la pia madre e l’aracnoide contengono il liquido cefalorachidiano porta i
nutrienti al sistema nervoso centrale. Si trova in tutte le cavità del sistema nervoso centrale (liquor)
che:

• fornisce nutrimento alle cellule del SNC e rimuove i cataboliti.


• svolge funzioni protettive, assorbe i traumi cranici.
• regola la pressione intracranica, più sarà il liquido e maggiore sarà la pressione intracranica,
meno sarà il liquido e minore sarà la pressione esercitata.

definizioni

E’ l’infiammazione acuta delle meningi, generalmente aracnoide e pia madre e può interessare anche
il liquor (liquido cefalorachidiano). Il quadro clinico delle meningiti è simile, qualunque sia l’agente
patogeno chiamato in causa, si parla di meningiti batteriche, fungine (forma rara, causata da miceti
quali Cryptococcus neoformans in pazienti immunocompromessi (spesso associata ad AIDS) , virali
o date da protozoi( forma rara, molto grave, spesso ad esito infausto, causata dalle specie
Acanthamoeba, Balamuthia e Naeleria).

Meningiti batteriche

Cenni clinici

La trasmissione avviene per via aerea, tutti e tre i microrganismi patogeni colonizzano in prima
istanza il nasofaringe, in alcuni casi possono accedere al torrente circolatorio e superando la barriera
ematoencefalica possono arrivare al sistema nervoso centrale e dunque nello spazio sub-aracnoideo
ed il liquido cefalo-rachidiano. Se i microrganismi riescono ad attuare questi passaggi la situazione
si complica e il sistema centrale si ritroverebbe sostanzialmente senza difese nei confronti dei batteri.

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Per l’elevata concentrazione di nutrienti, il liquor costituisce un substrato ottimale per lo sviluppo di
agenti infettanti, una volta che la barriera emato-encefalica viene superata.

La patologia inizia in modo brusco, con febbre, cui seguono vari sintomi di sofferenza meningea:

• cefalea (dipenderà dal fatto che aumenta la pressione endocranica che può andare a
comprimere alcuni centri del nostro sistema nervoso centrale, andando ad innescare il vomito
cerebrale a getto, non preceduto da nausea) A causa di questa pressione endocranica
susseguono poi:
• fotofobia
• rigidità nucale
• irritabilità
• obnubilamento del sensorio
• letargia (fino al coma)

Segni meningei

I bambini che presentano una meningite assumono una posizione definita a cane di fucile: schiena
curva e gambe piegate. (Schiena decubito laterale, capo iperesteso (rigor nucale), tronco iperesteso e
muscoli addominali contratti, cosce e gambe flesse)

• segno di Brudzinski (I): con paziente supino e estremità estese, se si solleva passivamente il
collo, la flessione risulta difficoltosa e provoca la flessione riflessa delle gambe.
• segno di Brudzinski (II): con paziente supino e estremità estese, il sollevamento passivo arto
inferiore provoca un analogo movimento contro laterale.
• segno di Kernig: a paziente supino, la flessione di una coscia sul bacino con gamba estesa e
ginocchio bloccato risulta dolorosa e difficoltosa (flessione riflessa ginocchio controlaterale)

Le meningiti possono manifestarsi in forma insidiosa con sintomi non specifici, che durano per 2-5
giorni, prima che inizi il quadro classico della meningite.

Per quanto riguarda la forma classica i sintomi e i segni di meningite iniziano e si sviluppano in 1-2
giorni

Mentre per quanto riguarda la forma fulminante si presenta con aggravamento improvviso, estese
manifestazioni emorragiche, stato di shock, con conseguente morte del soggetto.

▪ Esame autoptico su soggetto deceduto per meningite batterica: congestione acuta dei vasi meningei
e presenza di essudato purulento nei solchi cerebrali

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▪ Esame autoptico su soggetto deceduto per meningite acuta da meningococco: la pinza solleva la
dura madre

▪ sotto sono visibili aracnoide e pia madre che appaiono edematose, purulente (freccia gialla) e
presentano numerose zone emorragiche (freccia rossa).

Sepsi

Precedentemente la malattia era nota come setticemia. Malgrado sia meno conosciuta di altre malattie
ha un tasso di letalità 5 volte superiore all'ictus e 10 volte all'infarto, la sua mortalità nei casi più gravi
può raggiungere il 70%. La sua incidenza è in continuo aumento. In Europa si contano più di 700.000
casi (60.000 dei quali in Italia) di sepsi all’anno di cui 1 su 5 ha esito fatale. Per aumentarne la sua
consapevolezza nella popolazione è stata istituita la giornata mondiale della sepsi (World Sepsi Day)
il 13 settembre 2013.

Il termine sepsi (dal greco antico σήψις, sēpsis, "putrefazione") indica una complicazione
potenzialmente letale che si verifica in presenza di una risposta immunitaria travolgente ed esagerata
verso un’infezione batterica. In questi casi le sostanze chimiche rilasciate nel sangue dal sistema
immunitario per combattere l’infezione innescano un’infiammazione sistemica (che coinvolge
l’intero organismo) e causano la formazione di coaguli di sangue e diffuse emorragie, questi possono
ridurre o interrompere il flusso sanguigno verso organi e tessuti periferici, privandoli così di sostanze
nutritive e ossigeno.

I sintomi iniziali più comuni di sepsi sono:

• febbre
• brividi
• aumento della frequenza di respirazione e del battito cardiaco (>90 battiti/min)
• eruzioni cutanee
• confusione
• disorientamento

I medici sono in genere in grado di diagnosticare la sepsi attraverso un esame del sangue che valuti:

• il numero di globuli bianchi


• la concentrazione di altri marcatori di infezione

Se viene curata con tempestività (antibiotici e liquidi somministrati tramite flebo) le probabilità di
sopravvivenza del paziente aumentano.

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Nei casi più gravi uno o più organi vanno incontro a una completa incapacità di svolgere la propria
funzione (insufficienza d’organo), la pressione sanguigna diminuisce così drasticamente da esporre
il soggetto a conseguenze fatali (shock settico) e si osserva morte dei tessuti (cancrena).

Malattie batteriche invasive

sequele

Gravi sequele neurologiche nel 25-30% dei casi (sopravvissuti) che possono essere:

• alterazioni dell’udito, fino alla sordità;


• alterazioni della vista;
• paresi nervi cranici (oculomotore e facciale);
• difficoltà di apprendimento;
• idrocefalo;
• convulsioni ricorrenti;

In caso di sepsi, i casi più gravi possono comprendere possibili amputazioni.

Malattie batteriche invasive ESEMPIO

Beatrice Maria detta "Bebe" Vio, schermitrice italiana, campionessa olimpica e mondiale di fioretto
individuale paralimpico. Nata a Venezia (4 marzo 1997), e residente a Mogliano Veneto (TV), è
seconda di tre fratelli; nella scherma (attività coltivata in parallelo allo scautismo) fin dall'età di cinque
anni e mezzo, a fine 2008 fu colpita, a 11 anni, da una meningite fulminante che le causò un'estesa
infezione, con annessa necrosi, ad avambracci e gambe di cui si rese necessaria l'amputazione. Non
fu vaccinata perché i suoi genitori non erano propensi alla vaccinazione.

Malattie batteriche invasive: dati epidemiologici

Nel 2016, in Italia, sono stati segnalati:

• 1462 casi di malattia invasiva da Streptococcus pneumoniae (pneumococco)


• 232 da Neisseria meningitidis (meningococco)
• 140 da Haemophilus influenzae

In Italia la letalità della meningite è stata, nel 2016, di circa:

• 2 - 5% per Hib
• 10% nei casi da pneumococco
• 12% nei casi da meningococco
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• il 23% nel caso in cui il ceppo di meningococco è stato il C

TIPI DI VACCINI per le malattie batteriche invasive

Haemophilus influenzae siero tipo b

Dal punto di vista della prevenzione , l’unico strumento che abbiamo è la Vaccinazione. Sono
disponibili vaccini contro Haemophilus influenzae siero tipo b, e sono disponibili alcuni sierotipi di
pneumococco e di meningococco. Si tratta di un vaccino a microrganismi inattivati (frammenti del
batterio) e coniugati (cioè legato ad una proteina per renderlo più efficace), si somministra per via
intramuscolare . Il vaccino esiste anche come preparazione separata, ma in genere si somministra, nel
primo anno di vita, con un vaccino unico chiamato esavalente (contiene 6 vaccini: Difterite-Tetano-
Pertosse, Polio, Epatite B e, appunto Hib) in un'unica siringa (vaccino "combinato").

Scheda vaccinale: Prima dose al 3° mese di vita, seconda dose al 5° mese di vita e terza dose all'11°-
13° mese di vita.

Pneumococco

Esistono più di 90 tipi di pneumococco ma il vaccino protegge da quelli più frequenti. Esistono due
tipi di vaccino:

- polisaccaridico 23-valente, utilizzabile soltanto nei bambini sopra i due anni e prevalentemente negli
adulti.

- coniugato 13-valente (PVC13) che protegge nei confronti dei 13 ceppi responsabili della maggior
parte delle infezioni più gravi nei bambini.

Meningococco

In base al sierotipo i vaccini possono essere inattivati (frammenti del batterio), coniugati e ottenuti
con una tecnica particolare che è la reverse vaccinology. Il vaccino coniugato contro il sierotipo C
(MenC) si può somministrare a partire dal terzo mese di vita e protegge solo dal sierotipo C. Il vaccino
coniugato tetravalente (Mcv4), disponibile da poco tempo protegge dai sierotipi A, C, W135 e Y. Il
vaccino ottenuto con la reverse vaccinology contro il meningococco di tipo B, può essere utilizzato
in lattanti di età pari o superiore a 2 mesi.

Tutti si somministrano per via intramuscolare.

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In caso il soggetto non sia vaccinato il trattamento prevede una terapia antibiotica.

L’identificazione del batterio che causa la malattia è importante sia per orientare la terapia antibiotica
del paziente, sia per definire se è necessaria la profilassi dei contatti. In caso di meningite da
meningococco e, in misura minore da Haemophilus influenzae b, i contatti stretti del malato hanno
un maggior rischio di ammalarsi rispetto alla popolazione generale. (si attua una profilassi preventiva
per stimare i contagi)

È inoltre indicata la profilassi antibiotica (chemioprofilassi) e sorveglianza.

Papillomavirus (HPV, Human papilloma virus)

Un virus ad alta prevalenza che causa il cancro, un agente biologico che causa tumori. Si tratta di
piccoli virus a DNA. Sono stati identificati circa 200 tipi di HPV che infettano l’uomo, tutti
epiteliotropi, nel senso che crescono sugli epiteli, quei tessuti che separano il nostro organismo
dall’esterno, ne troviamo due tipi epitelio cutaneo rivolto verso l’esterno e le mucose che rivestono
le cavità interne del nostro corpo.

• Circa 160 sono risultati associati a patologie della cute (verruche cutanee)
• Circa 40 sono risultati associati a patologie della mucose del tratto ano-genitale, sia benigne
(verruche) che maligne (lesioni neoplastiche).

L’ HPV si trasmette per via diretta attraverso il contatto con cute o mucose ma possiamo trovare altre
modalità di trasmissione, possono essere coinvolti nella trasmissione di HPV molti veicoli per quel
che concerne i papillomi umani (il papilloma potrebbe essere trasferito tramite rasoi, asciugamani,
pavimenti bagnati delle docce delle palestre) ma la principale modalità di trasmissione è rappresentata
dalla via sessuale.

Cenni clinici

Tipicamente, gran parte delle infezioni da HPV si risolvono naturalmente senza sintomi e sono
benigne (entro 12-18 mesi). In alcuni casi abbiamo delle lesioni cutanee: verruche comuni, palmari e
plantari o verruche intorno alla bocca.

Nei casi di papilloma virus che causano lesioni delle mucose abbiamo:

- Genotipi a basso rischio maligno

- Genotipi a rischio intermedio

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- Genotipi a alto rischio oncogeno (espone il soggetto a un rischio elevato di una trasformazione
dell’infezione in tumore)

I tipi di HPV a basso rischio associati a lesione benigne sulle mucose sono:

- condilomi acuminati

- condilomi piani

I condilomi generalmente non provocano disturbi ma tendono ad aumentare di numero e ad estendersi


nelle aree circostanti, per questo motivo vanno eliminati rapidamente, attraverso crioterapia
(bruciatura con azoto liquido freddo), laser-terapia, diatermocoagulazione (bruciatura con calore),
applicazione locale di farmaci con funzione immunomodulante (imiquimod, interferone) o citotossica
(podofillina), asportazione chirurgica.

Poiché l’HPV tende a rimanere annidato nella sede in cui è avvenuto il contagio, i condilomi possono
riformarsi a distanza di mesi/anni dalla loro eventuale rimozione. Una donna in gravidanza può
trasmettere il virus al proprio bambino durante il parto naturale, nel caso il bambino venga colpito
durante il parto la sede più comune di papillomi sono le corde vocali.

I tipi di HPV a medio ed alto rischio sono associati a neoplasie ano-genitali e al tumore della cervice
uterina. Si stima che HPV 16 e HPV 18 siano responsabili di oltre il 70% dei casi di tumore alla
cervice uterina, includendo anche i tipi di HPV 31, 33, 35, 45, 52 e 58 sono coperti quasi il 90% dei
tumori della cervice uterina causati da papilloma virus.

Storia naturale dell’infezione

L’infezione da HPV è molto frequente nella popolazione, si stima che fino all’80% delle donne
sessualmente attive si infetti nel corso della vita con un virus HPV (picco di prevalenza nelle donne
fino a 25 anni di età) che non è necessariamente un papilloma virus ad alto rischio. Numerosi studi
concordano nel ritenere il numero dei partner sessuali e la giovane età al momento del primo rapporto
sessuale, i fattori di rischio più rilevanti per l’acquisizione dell’infezione da HPV.

La storia naturale dell’infezione è condizionata dall’equilibrio che si instaura fra ospite e virus.

Spesso l’infezione da HPV è autolimitante, in alcune situazioni possiamo avere una regressione senza
che il soggetto sia consapevole di aver avuto l’infezione da HPV. In alcuni casi si ha la persistenza
dell’infezione virale, il virus rimane per lunghissimo tempo all’interno delle cellule dell’epitelio
colpito.

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La maggior parte delle infezioni da HPV è transitoria (il virus viene eliminato dal sistema immunitario
prima di sviluppare un effetto patogeno). Il 60-90% delle infezioni si risolve spontaneamente entro
1-2 anni dal contagio

- regressione

- possibile persistenza dell’infezione virale

- progressione

Il tempo che intercorre tra l’infezione e l’insorgenza delle lesioni precancerose è di circa 5 anni,
mentre la latenza per l’insorgenza del carcinoma cervicale può essere di decenni (20-40 anni. Il fumo
di sigaretta, l’uso di contraccettivi orali, l’elevato numero di parti, la presenza di altre malattie
sessualmente trasmesse sono cofattori nella carcinogenesi cervicale che favoriscono la progressione
da infezione a lesioni preneoplastiche.

Prevenzione primaria:

Non c’è altra misura di prevenzione primaria se non la vaccinazione.

Al contrario di altre patologie infettive dove il virus è presente o nel sangue o nei liquidi biologici,
liquido seminale o vaginale dove il profilattico ha una copertura importante al 90% come nella
diffusione dell’HIV o dell’Epatite C, per quanto riguarda il papilloma virus questa protezione è molto
più bassa perché il virus non è presente nei fluidi biologici o nel sangue ma è presente sull’epitelio,
pertanto potrebbero esserci parti non coperte dal profilattico che potrebbero venire a contatto e
trasmettere comunque il Papilloma virus. Per cui l’unica misura di prevenzione primaria è appunto la
vaccinazione.

In Italia sono disponibili 3 diversi vaccini contro l'infezione da HPV:

• vaccino bivalente: contiene i sierotipi 16 e 18 e viene somministrato solo alle femmine;


• vaccino tetravalente: contiene oltre ai sierotipi 16 e 18, anche i sierotipi 6 e 11 e può essere
somministrato a maschi e femmine;
• vaccino nonavalente: contiene i sierotipi 6, 11, 16, 18, 31, 33, 45, 52 e 58 e può essere
somministrato a maschi e femmine.

Sono vaccini prodotti con la tecnica del DNA ricombinante, nuovi dal punto di vista tecnologico, non
vi è alcuna possibilità che il vaccino provochi l'infezione da HPV.

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In generale la somministrazione del vaccino prevede:

- 2 dosi per i soggetti tra i 9 e 14 anni inclusi


- 3 dosi per i soggetti di età superiore ai 14 anni.

La protezione immunologica del vaccino supera, secondo studi recenti, gli 8 anni e pertanto non è
evidente attualmente alcuna necessità di una dose di richiamo

Sono in corso studi che daranno progressivamente informazioni sempre più affidabili sulla durata
della protezione della vaccinazione.

In Italia la vaccinazione è offerta attivamente e gratuitamente alle ragazze e ai ragazzi nel dodicesimo
anno di vita dal 2007, con un’adesione, per le ragazze, di circa il 70%, è al di sotto delle aspettative,
in quanto la bambina a 12 anni è seguita dal pediatra e questo causa confusione nei genitori , che non
sono propensi ad ascoltare un ragionamento che preveda le abitudini sessuali future per le proprie
figlie. Oggi viene offerto anche ai ragazzi perché si cerca di diminuire la circolazione del virus che
prevede una relazione diretta tra i partner.

Il vaccino è preventivo, non ha alcuna efficacia terapeutica, se la donna ha già in corso l’infezione
prima di aver fatto il vaccino esso non è in grado di contrastare l’HPV. Per poter essere efficace deve
essere effettuato prima dell'esposizione al virus, preferibilmente prima dell'inizio dell'attività
sessuale, anche se si è dimostrato efficace anche in femmine e maschi oltre l’inizio dell’attività
sessuale, per questo motivo, aver già iniziato l’attività sessuale non è una controindicazione alla
vaccinazione.

Inoltre la vaccinazione non sostituisce l’abituale screening del collo dell'utero e quindi le donne
devono comunque effettuare il Pap test regolarmente secondo le regole dello screening nazionale (che
vedremo più avanti parlando della prevenzione dei tumori).

Tetano

Agente infettivo, il tetano si prende dall’ambiente.

Il batterio è normalmente presente nell’intestino degli animali e viene eliminato con le feci.

Il Clostridium tetani è un bacillo anaerobio obbligato, sporigeno, lui non vuole ossigeno e siccome
nell’atmosfera c’è la presenza di ossigeno, si trasforma in spora, una forma di resistenza in cui è in
grado di sopravvivere anche per anni.

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La spora ha un diametro superiore alla larghezza del corpo batterico e una disposizione terminale che
gli conferisce un tipico aspetto a bacchetta di tamburo, le spore, protette dalla luce solare, possono
restare vive e virulente per molti anni nel terreno. Le spore tetaniche sono ubiquitarie.

La forma vegetativa si sviluppa se:

• ci sono condizioni ottimali di temperatura (37°C)


• il pH è di 7,0-7,5
• non c’è ossigeno

La forma vegetativa di Cl. tetani produce una tossina di natura proteica, chiamata tetanospasmina che
agisce selettivamente sul sistema nervoso centrale (neurotossica). Il Cl. tetani ha un potere invasivo
limitato e nell’infezione naturale resta localizzato nel punto d’ingresso, nei tessuti vitali esiste una
tensione di ossigeno superiore a quella che permette la moltiplicazione del germe quindi, nella grande
maggioranza dei casi, le spore introdotte nell’organismo vengono fagocitate e distrutte prima che si
sviluppino. Affinché insorga la malattia è necessario che la lesione comporti condizioni di anaerobiosi
favorevoli alla germinazione delle spore e alla produzione della tossina.

Cenni clinici

Veniamo a contatto con il Cl. Tetani attraverso le ferite, la spora penetra nelle ferite cutanee. Si parla
spesso di chiodo arrugginito ma in realtà è la ferita a produrre il tetano. Le ferite più pericolose sono
le lacerocontuse (non quelle profonde), quelle che facciamo cadendo dalla bicicletta, strusciando per
metri sull’asfalto,attraverso le quali si raccolgono decine di milioni di spore del tetano con la
conseguente formazione di un ematoma, un ampia zona in cui il sangue non circola correttamente e
le zone di anaerobiosi andranno a produrre il tetano. In condizioni di anaerobiosi (es. nei tessuti
necrotici) la spora germina e dà origine alla forma vegetativa che produce la tossina, la quale si lega
prima alle terminazioni nervose periferiche e poi attraverso il circolo ematico e il sistema linfatico
viene trasportata al Sistema Nervoso Centrale (SNC).

A livello del SNC interferisce con il rilascio di molecole (neurotrasmettitori) che regolano il
rilassamento della muscolatura che si verifica dopo una contrazione, una volta legata, la tossina non
può essere neutralizzata. Se veniamo colpiti dal tetano i muscoli cominciano a contrarsi e si tratta dei
muscoli masticatori, a seguire i muscoli oculari e si continua con la rigidità nucale e tutti gli arti
vengono contratti.

Il nome della malattia deriva dal greco τέτανος (tetanòs) che significa spasmo, tensione, rigidità.
Infatti la mancanza di inibizione motoria, con contrazione contemporanea dei muscoli antagonisti ed

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agonisti determina contrazioni e spasmi diffusi. Il più delle volte il tetano coinvolge i muscoli
scheletrici di tutto il corpo, rare volte è localizzato ai muscoli vicini alla ferita. Il periodo di
incubazione varia da 2 a 30 giorni (10 giorni in media), ma nei soggetti sottoposti a sieroprofilassi
può essere molto più lungo. La sintomatologia inizia di solito con cefalea, malessere, rigidità dei
muscoli masticatori, del collo e del dorso ,gli spasmi dei muscoli facciali provocano una caratteristica
espressione del viso con un sorriso fisso e sopracciglia sollevate (risus sardonicus). Seguono spasmi
ai muscoli faringei con difficoltà nella deglutizione, a quelli del collo e del dorso con opistotono, a
quelli della parete addominale e, infine, a quelli degli arti.

Il paziente è lucido, si lamenta dei dolori causati dagli spasmi e spesso presenta febbre, sudorazione
e tachicardia, la sintomatologia si aggrava nei giorni successivi, le contrazioni dei muscoli respiratori
e laringei possono determinare la morte per asfissia acuta. Le contrazioni possono essere così forti da
determinare anche fratture delle vertebre o di altre ossa.

La letalità complessiva oscilla intorno al 40-60%, ma è maggiore:

▪ in caso di ferite gravi, specie se a carico degli arti superiori

▪ nei casi con breve periodo d’incubazione

Oltre il tetano da ferita esistono anche:

- tetano puerperale

- tetano post-abortivo

- tetano neonatale (i bambini prendono il tetano per le cattive condizioni igieniche)

Tutti sono favoriti da cattive condizioni igieniche durante la gravidanza o l’assistenza al parto.

Epidemiologia

Il tetano è una malattia cosmopolita, la sua incidenza aumenta dai poli all’equatore per raggiungere
il massimo in alcuni Paesi in via di sviluppo delle zone tropicali. In Italia è una malattia sporadica,
ma tra il 2001 e il 2010 sono stati notificati 594 casi (incidenza annua media di 1 caso per milione di
abitanti)

- 471 si sono verificati tra ultra 64enni (incidenza 4,1/milione abitanti)

- 111 nella fascia d’età 25-64 anni

- 3 nella fascia 15-24 anni

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- 404 dei 594 casi erano donne, con un’incidenza tre volte superiore rispetto agli uomini (5.2 e
1.4/1,000,000 di abitanti rispettivamente)

Nello stesso periodo sono stati riportati 169 decessi.

La stragrande maggioranza dei casi di tetano si verificano negli anziani, perché il tetano è presente
per la vaccinazione ai nuovi nati, per l’accesso alle scuole elementari. In particolar modo nei maschi
ci sono diverse situazioni in più per cui si possa fare un richiamo per l’antitetanica, per particolari tipi
di lavoro, carpentieri, metalmeccanici.

La vaccinazione avviene ogni 10 anni dall’avvenuta vaccinazione.

Prevenzione

La prevenzione viene effettuata con la vaccinazione con anatossina. In Italia la vaccinazione


antitetanica è stata resa obbligatoria:

• dal 1938 per i militari


• dal 1963 (Legge del 5 marzo 1963, n. 292) per i bambini nel secondo anno di vita e per alcune
categorie professionali considerate più esposte a rischio di infezione (lavoratori agricoli,
allevatori di bestiame, ecc).
• dal 1968 la somministrazione è stata anticipata al primo anno di vita e il calendario vaccinale
vigente prevede la somministrazione di tre dosi al terzo, quinto e dodicesimo mese di età.
• una dose di richiamo viene eseguita nel sesto anno e un’altra a 14 anni.

La somministrazione di tre dosi di vaccinazione antitetanica conferisce una protezione molto elevata
(efficacia > 95%) per almeno 10 anni (esecuzione di richiami).

Dalla introduzione della vaccinazione ad oggi in Italia si è osservato un calo progressivo della
malattia. Al contrario di quanto avviene per le malattie che si trasmettono da persona a persona, per
il tetano il raggiungimento di coperture vaccinali elevate in età pediatrica non consente di ottenere un
effetto di protezione indiretta di popolazione.

Ogni persona suscettibile è a rischio di contrarre l’infezione, questo, associato alla presenza
ubiquitaria nell’ambiente delle spore tetaniche rende impossibile l’eliminazione della malattia.

L’obiettivo del programma di vaccinazione è il controllo dei casi e l’eliminazione del tetano
neonatale

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Trattamento

• Sieroprofilassi;
• Ig iperimmuni umane ottenute da soggetti vaccinati contro il tetano;

La somministrazione non comporta effetti collaterali, è indicata per tutti i soggetti che abbiano
riportato: ferite; morsicature d’animali; ustioni; qualsiasi lesione con necrosi dei tessuti; è necessario
procedere alla pulitura e disinfezione (H2O2 ) della ferita; somministrare antibiotici per via generale,
sedativi e anestetici generali e accertarsi dello stato vaccinale del soggetto.

Malattie infettive di rilevanza sociale

Aids

AIDS: Sindrome da immunodeficienza acquisita. Malattia che va ad intaccare l’efficacia e il buon


funzionamento del sistema immunitario.

La sindrome è stata riportata per la prima volta in letteratura scientifica nel 1981, anche se già negli
anni Settanta erano stati segnalati casi isolati di AIDS negli Stati Uniti e in altre aree del mondo (Haiti,
Africa ed Europa).

Nel 1981, i Centers for Disease Control and Prevention (CDC di Atlanta) segnalarono sul loro
bollettino epidemiologico un aumento improvviso e inspiegabile di casi di polmonite da
Pneumocystis carinii in giovani omosessuali. Successivamente sono stati segnalati dai CDC nuovi
casi di pazienti omosessuali con un raro tumore dei vasi sanguigni, il sarcoma di Kaposi.

Con la pubblicazione di questi dati, si fa strada la consapevolezza di essere di fronte a una nuova
malattia, che sembra riguardare omosessuali e tossicodipendenti.

Alla fine del 1981, la malattia non ha ancora un nome. Si cominciano a leggere le definizioni più
disparate:

• The Lancet parla di “gay compromise sindrome”


• sui quotidiani nazionali di diversi Paesi si leggono espressioni come “immunodeficienza gay-
correlata (Grid)”
• “cancro dei gay”, “disfunzione immunitaria acquisita”
Nel maggio del 1983, i ricercatori Robert Gallo (University of Maryland a Baltimora) e Luc
Montagnier (Istituto Pasteur di Parigi, Premio Nobel per la medicina 2008) pubblicarono sulla rivista
scientifica “Science” due studi indipendenti sull’identificazione di un nuovo retrovirus ritenuto la

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causa dell’AIDS. Al virus si diede il nome di HIV. Nello stesso anno la malattia appare anche in
Italia.
Con il passare del tempo diventa una delle malattie con maggiore impatto sociale ed economico nel
mondo. Maggiormente presente nei paesi in via di sviluppo.
La malattia vera e propria (aids) rappresenta lo stadio clinico terminale dell’infezione da parte del
virus HIV e determina uno stato patologico in cui si ha una riduzione delle funzioni del sistema
immunitario.
Agente infettivo
L’agente eziologico dell’AIDS è il virus dell’immunodeficienza umana (HIV, Human
Immunodeficiency Virus), si tratta di un virus a RNA e proprio per questo appartiene alla famiglia
dei retrovirus. Sono chiamati retrovirus proprio perché per sviluppare altre particelle virali, attivano
un meccanismo che funziona al rovescio rispetto a quello che si pensava fosse il dogma della biologia
(dna>rna>proteine).
Questi virus possiedono un enzima che gli consente di trasformare l’rna in dna.
Ne sono stati identificati due tipi:
▪ HIV-1 (circola in tutto il mondo)
▪ HIV-2 (più limitato all’Africa occidentale, a patogenicità inferiore rispetto all’HIV-1, con più
lenta progressione di malattia e a più bassa trasmissione materno-fetale)
Modalità di trasmissione
L’unica riserva di infezione è rappresentata dall’uomo malato o sieropositivo, il virus infatti ha una
moderata resistenza nell’ambiente esterno (sopravvive 3 ore nell’ambiente esterno e 3 giorni se si
trova in un liquido o tessuto organico) quindi si trasmette per via diretta (contatto diretto tra la
sorgente di infezione e l’oggetto di infezione) attraverso:

• rapporti sessuali (vaginali, anali, oro-genitali) con soggetti HIV-infetti, non protetti dal
preservativo
• contatto di cute o mucose danneggiate con secrezioni corporee HIV-infette (sangue, liquor o
sperma)
• mediante esposizione diretta a sangue HIV-infetto (scambio di siringhe, contatto con aghi o
altri oggetti taglienti, trasfusioni di sangue non controllato per l’HIV)
Il virus può essere trasmesso anche per via verticale dalla madre al figlio durante la gravidanza, il
parto e l’allattamento al seno, il rischio che una donna sieropositiva possa trasmettere l’infezione al
feto è stimato intorno al 20% e si riduce al 4% somministrando antivirali alla madre durante la
gravidanza e al neonato nelle prime 6 settimane di vita.

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Nel tempo si sono diffuse numerose false credenze rispetto alle modalità di trasmissione del virus.
NON viene trasmesso tramite normali rapporti sociali (per esempio tramite i baci o lo scambio di
posate), né con le punture di zanzare o altri insetti ematofagi.
Il prof. Fernando Aiuti (immunologo protagonista della lotta all’Aids in Italia) si è battuto molto
contro le false credenze e proprio per dimostrare il fatto che il virus non può trasmettersi tramite
saliva, nel 1991 baciò una sua paziente sieropositiva (Rosaria Iardino).
Patogenesi
Il virus penetra nell’organismo umano attraverso le modalità sopra descritte. Una volta riversatosi nel
sangue della persona che è stata infettata, va a ricercare delle cellule bersaglio. Si tratta delle uniche
cellule che contengono un recettore che consente al virus di poter entrare all’interno della cellula
stessa per potersi riprodurre.
Il recettore in questione, è una proteina denominata CD4, che si trova in cellule importanti per il
nostro sistema immunitario. Tra queste:
• linfociti T di tipo CD4 (T helper o T4)
• linfociti B (quelli che producono gli anticorpi)
• cellule dendritiche follicolari dei linfonodi
…quelle sopra citate sono tutte cellule fondamentali nella risposta adattativa verso molteplici
agenti patogeni (risposta antircopale)
• cellule nervose
Attraverso il legame con il recettore CD4, il virus riesce ad entrare all’interno della cellula ospite.
Una volta entrato all’interno della cellula, il virus attraverso un particolare enzima (trascrittasi
inversa), trasforma il patrimonio genetico a RNA in un doppio filamento di DNA.
Il DNA appena trasformato (virale), viene poi inserito all’ interno del nucleo della cellula e si inserisce
nel DNA della cellula infetta (entra a far parte del suo genoma).
La cellula infettata può rimanere inattiva per mesi o anni, comportandosi come una cellula non infetta.
(cellule latentemente infette: serbatoio di HIV ineliminabile).
Se invece il virus si replica, dopo aver assemblato tutti i componenti, viene espulso dalla cellula per
gemmazione e può penetrare in altre cellule e distruggerle.
La cellula parassitata dal virus viene quindi poi distrutta, dunque, tante più cellule vengono
parassitate, tanto maggiore è la compromissione del sistema immunitario.
Cenni clinici
L’infezione da HIV distrugge i linfociti CD4+ e provoca un grave deficit del sistema immunitario
dell’organismo, che protegge da molte infezioni e tumori.

80
L’immunodepressione aumenta il rischio di contrarre infezioni e altre malattie, esponendo il paziente
a un’ampia varietà di gravi quadri clinici.
La malattia si manifesta secondo fasi diverse, con diversa sintomatologia e gravità, nelle ultime fasi
il soggetto malato può essere colpito da infezioni opportunistiche per lui letali e da tumori rari
(sarcoma di Kaposi).
Fasi della malattia
Dopo essere entrata in contatto con l’HIV, una persona può diventare sieropositiva (positiva al test
per HIV) e comincia a produrre anticorpi contro il virus, rilevabili nel sangue con un semplice
prelievo ematico.
1. Fase di infezione primaria da HIV e sindrome acuta: dopo la penetrazione del virus si osserva
una iniziale elevata concentrazione di HIV nel sangue (viremia) Il soggetto infettato può:
essere asintomatico oppure presentare manifestazioni cliniche simili alla mononucleosi
infettiva (febbre, stanchezza, ingrossamento dei linfonodi) che si esauriscono nel corso di
alcune settimane.
2. Fase di latenza clinica : è il periodo di incubazione della malattia vera e propria (AIDS) e può
durare anche molti anni. Durante tale stadio asintomatico si osserva il progressivo calo del
numero dei linfociti T CD4 circolanti, rendendo dunque il sistema immunitario sempre meno
efficacie. È possibile vivere per anni da sieropositivi senza alcun sintomo e scoprire il contagio
solo al manifestarsi di una o più malattie indicative di AIDS, questo avviene quando i linfociti
sono fortemente ridotti di numero. Per individuare precocemente l’infezione occorre
sottoporsi al test per la ricerca di anticorpi anti-HIV.
3. Fase conclamata dell’AIDS : si verifica quando insorgono di una o più malattie indicative di
AIDS :marcata diminuzione dei linfociti T CD4 (fino a un numero inferiore a 300-400/mm3),
nuovo aumento del virus nel sangue (viremia), grave quadro clinico:
• febbre
• notevole dimagrimento
• diarrea persistente
• anoressia
• neuropatie periferiche
• gravi patologie infettive secondarie causate da microrganismi opportunisti
(abitualmente innocui per le persone immunocompetenti) che evolvono con inconsueta
gravità

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Le infezioni opportunistiche più frequenti sono: polmonite causata dal protozoo Pneumocystis carinii
o da citomegalovirus, toxoplasmosi viscerale, candidosi del cavo orale, esofagea e polmonare,
infezioni disseminate da virus herpes simplex, tubercolosi.
Ma le due principali problematiche sono rappresentate da:
- encefalopatia da HIV (AIDS-dementia complex)
▪ pensiero ed espressione rallentati
▪ difficoltà di concentrazione
▪ apatia
▪ movimenti rallentati e scoordinamento muscolare
- insorgenza di neoplasie
▪ sarcoma di Kaposi - cancro raro, causato dall'Herpesvirus umano 8 (HHV-8) che attacca
l’apparato vascolare (vasi sanguigni). I tumori appaiono come macchie rosse e viola su pelle, bocca,
polmoni, fegato, o nel tratto gastrointestinale.
▪ linfomi primitivi del sistema nervoso centrale – cancro raro derivato dalla proliferazione
anomala dei linfociti B nel sistema nervoso centrale
Test per la ricerca di anticorpi anti-HIV
Obiettivo dei test: rintracciare gli anticorpi prodotti dall’organismo una volta entrato in contatto con
il virus.
La sieropositività implica che l’infezione è in atto e che è dunque possibile trasmettere il virus ad
altre persone. La comparsa degli anticorpi, però, non è immediata. Il tempo che intercorre tra il
momento del contagio e la positività al test HIV è detto “periodo finestra”.
Il “periodo finestra” è di 1-3 mesi (mediamente 4-6 settimane) e in questo periodo la persona, pur
risultando sieronegativa, può trasmettere l’infezione.
I test possono essere effettuati prelevando un campione di sangue da una vena del braccio. Oggi
esistono anche test rapidi che possono essere effettuati sia su una goccia di sangue che sulla saliva. I
test rapidi sul sangue sono molto sensibili, mentre quelli sulla saliva hanno una sensibilità più bassa
e possono dare falsi negativi.
In Italia, i test rapidi non sono acquistabili individualmente e vengono praticati in presenza di
personale qualificato presso ambulatori medici o nell’ambito di campagne di sensibilizzazione sul
territorio
La Legge italiana (135 del giugno 1990) garantisce che il test sia effettuato solo con il consenso della
persona e non è obbligatorio, ma se si sono avuti comportamenti a rischio sarebbe opportuno
effettuarlo. Per eseguire il test non serve ricetta medica, è gratuito e anonimo.

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Le persone straniere, anche se prive di permesso di soggiorno, possono effettuare il test alle stesse
condizioni del cittadino italiano (D.Lgs 25 luglio 1998, n.286).
Per tutte le coppie che intendono avere un bambino sarebbe opportuno sottoporsi al test per la
sicurezza del neonato.
Il risultato viene comunicato esclusivamente alla persona che lo ha effettuato. Sapere precocemente
di essere sieropositivi al test dell’HIV consente di effettuare tempestivamente la terapia
farmacologica che permette oggi di migliorare la qualità di vita e vivere più a lungo.
Una indagine epidemiologica condotta in un gruppo di soggetti risultati sieropositivi ha evidenziato
che:
• il 30,7% delle persone ha eseguito il test per la presenza di sintomi che facevano sospettare
un’infezione da HIV
• il 27,5% per aver tenuto un comportamento a rischio
• il 12,2% lo ha scoperto casualmente a seguito di controlli di routine
L'Auto Test o Self Test HIV
In Italia, è disponibile in farmacia (non è necessaria la prescrizione medica) un esame di screening
monouso a risposta rapida per la ricerca degli anticorpi anti-HIV-1 e/o anti-HIV-2, che consente di
avere i risultati in 15 minuti. Funziona rilevando la presenza di anticorpi IgG e IgM anti-HIV-1 e
HIV-2 attraverso un prelievo di sangue dal polpastrello delle dita (attualmente l’unico distribuito è
l’Autotest della Mylan). Il risultato è affidabile se il test viene eseguito a distanza di 3 mesi dall’ultimo
comportamento a rischio.
Come viene effettuato:
1. Una piccola quantità di sangue viene prelevata da un polpastrello, con un apposito strumento
monouso presente all’interno della confezione
2. Si lascia reagire il sangue all’interno di una provetta
3. Dopo 15 minuti si può leggere il risultato
Un soggetto maggiorenne può acquistare il test in tutte le farmacie e parafarmacie al prezzo
consigliato di € 20.00, senza obbligo di ricetta medica.
La possibilità di effettuare il test in autonomia, la riservatezza, la rapidità dei risultati, sono gli
elementi allettanti di questa opportunità, ma:
• viene meno la possibilità di essere sostenuti e orientati nel caso in cui il test sia positivo
• fare il test è un momento delicato e a volte molto stressante, meglio non affrontarlo in
solitudine e farsi sostenere da una persona vicina.
Per questi due motivi, l’autotest è sconsigliato.

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In caso di esito positivo è indispensabile prendere contatti con il proprio medico ed eseguire un test
di conferma di laboratorio.
Da una valutazione epidemiologica è risultato che solo il 40% degli HIV positivi nel mondo sa di
esserlo e 1 su 2 ha un partner sieronegativo.
La legislazione italiana non prevede, in generale, l’obbligo di esternare il proprio stato sierologico al
compagno/a se sono messe in atto strategie preventive (l’uso del profilattico).
In rispetto al diritto alla privacy (non si può divulgare lo stato sierologico di nessuna persona).

Al contrario, se ci fosse il rischio di contagio:


▪ « La persona con HIV che, consapevole del proprio stato sierologico, contagi il partner può essere
riconosciuto responsabile del reato di lesioni aggravate di cui agli artt. 582-583 del Codice Penale
[...] Trattandosi di lesione gravissima, il reato è perseguibile anche d'ufficio e non solo su querela
della persona offesa. »
Epidemiologia
L’AIDS è diffuso in tutto il Mondo, colpisce prevalentemente i Paesi in via di sviluppo, nel 2016,
erano di 36,7 milioni di persone nel Mondo infettate da HIV (1,8 milioni di nuove diagnosi) delle
quali:
▪ 34,5 milioni adulti
▪ 2,1 milioni bambini con meno di 15 anni
Il numero di decessi per anno continua a diminuire, principalmente per effetto delle terapie
antiretrovirali combinate: 1,9 milioni nel 2005 e 1 milione nel 2016.
I trend temporali mostrano come ci sia stato un aumento esponenziale dei casi fino alla metà degli
anni ’90, poi mettendo in atto strategie di prevenzione, l’incidenza è andata lentamente a diminuire.
D’altro canto, anche la mortalità ha avuto un picco intorno agli anni 2000, poi grazie ai nuovi farmaci
messi a disposizione, la mortalità per AIDS è andata progressivamente calando.
Tutto questo determina un innalzamento della prevalenza, perché cresce l’aspettativa di vita delle
persone malate.
In Italia nel 2016, si sono registrate 3.451 nuove diagnosi di infezione da HIV (5,7 nuovi casi per
100.000 residenti). Incidenza più elevata nel Lazio, nelle Marche, in Toscana e in Lombardia.
Caratteristiche dei soggetti HIV positivi: il 76,9% sono maschi, l’età mediana è di 39 anni per i
maschi e 36 anni per le femmine (incidenza più alta nella fascia d’età 25-29 anni), il 35,8% sono di
nazionalità straniera.
Nel 2016, l’85,6% delle nuove diagnosi è stata attribuibile a rapporti sessuali non protetti:
eterosessuali 47,6%, Msm (men who have sex with men) 38%

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Prevenzione e trattamento
La prevenzione si basa principalmente su: adeguata informazione circa i rischi e le modalità di
trasmissione dell’infezione, azione educativa, adozione di precauzioni per ridurre o annullare il
rischio di infezione per via ematica e sessuale:
• evitare l’uso in comune di siringhe e aghi per l’iniezione di droghe
• non sottoporsi ad agopuntura, mesoterapia, tatuaggi e piercing se gli aghi impiegati non sono
monouso o sterilizzati
• controllare in ambito clinico, con test per l’HIV, tutti gli emoderivati (trasfusioni di plasma,
Y-globuline, fattori della coagulazione ecc.)
• A (abstinence – astinenza nel caso in cui non si voglia fare sesso con il preservativo) B (Being
faithfull – fedeltà) C (Condom-preservativo) D (Drugs – assumere quanto prima possibile
farmaci previsti dalla terapia)
Terapia
Dal punto di vista terapeutico, l’AIDS va gestito come una malattia cronica e vengono utilizzati dei
farmaci che riescono a bloccare il virus prima che entri dentro la cellula oppure se è già entrato, per
evitare che si attivi l’enzima che gli consente di replicarsi: la terapia specifica si basa sull’impiego di
farmaci ad attività antivirale (azidotimidina, didanosina, lamivudina, zalcitabina), che sono in grado
di bloccare l’assemblaggio del virus e la trascrittasi inversa.
Altri farmaci sono invece in grado di ripristinare le risposte immunitarie (interleuchina 2).
Recentemente è stata proposta la terapia detta HAART (highly active anti-retroviral therapy) che
consiste nella combinazione di vari farmaci antiretrovirali, per persone sieropositive con specifici
valori di alcune cellule immunitarie (conta dei linfociti T CD4+) e di carica virale (livello plasmatico
di HIV-RNA.
Occorre inoltre attuare una terapia per le complicanze, come le infezioni opportunistiche (antibiotici)
e i tumori (chemioterapia).
Le attuali strategie terapeutiche, anche se molto efficaci, non consentono la guarigione dall’infezione,
ma permettono di tenerla sotto controllo. Attraverso l’uso del trattamento antiretrovirale, oggi un
soggetto HIV positivo ha un’aspettativa di vita analoga a quella di un soggetto non infetto, con una
buona qualità di vita. Attualmente sono in corso sperimentazione nuove classi di farmaci mirati a
stimolare e supportare il sistema immunitario, piuttosto che a una diretta azione antivirale. Sono in
corso anche molti studi per mettere a punto un vaccino efficace che possa prevenire l’infezione tra
gli HIV negativi, o possa migliorare il decorso della malattia in chi è già infetto.
Esiste infine, la giornata mondiale della prevenzione da HIV che si tiene il primo Dicembre.
Durante tali giornate, si fa prevalentemente attività informativa, attraverso dei seminari.
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Perché è importante la prevenzione in Italia e le giornate nazionali contro l’HIV?
• scende l’età del primo rapporto sessuale
• aumentano i contatti sessuali a rischio, senza protezione (condom)
• aumenta la popolazione immigrata da paesi ad alta prevalenza di HIV
• aumenta l’abuso di alcol (più frequenti rapporti non protetti)
• diminuisce la percezione dell’AIDS come malattia grave e non guaribile

Impatto sociale
C'è ancora discriminazione nei confronti dei malati di AIDS (rifiuto sociale), gli individui affetti da
AIDS possono essere respinti dalla loro comunità.

Malattie cronico degenerative di interesse sociale

Le malattie cronico-degenerative sono quelle maggiormente presenti nella popolazione italiana e


quelle che causano il maggior numero di decessi (soprattutto tumori e malattie cardiovascolari).

Secondo i dati forniti dall’OMS, in Europa e in Italia le malattie cronico-degenerative causano:


• l’86% dei decessi
• il 77% della perdita di anni di vita in buona salute (DALY)
• il 75% delle spese sanitarie
Le malattie croniche iniziano in età giovanile ma si manifestano clinicamente dopo un lungo periodo
di incubazione (anche decenni). Hanno un lungo decorso clinico e necessitano di un’assistenza a
lungo termine. Alla loro base vi è l’esposizione a fattori di rischio (modificabili e non) ma sono legate
anche ad altri determinanti (impliciti), indicati come “le cause delle cause”: stato sociale delle,
popolazioni, politiche ambientali, povertà, globalizzazione (degli stili di vita, ad esempio),
urbanizzazione (tanto meno tiene presente il rispetto ambientale, tanto più rappresenta un fattore di
rischio).
Le principali malattie croniche di rilevanza sociale sono:
• malattie cardio-vascolari
• tumori
• diabete di tipo2

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Malattie cardiovascolari
Rappresentano la prima causa di morte nei Paesi sviluppati, ma anche nei paesi in via di sviluppo
stanno diventando una causa di morte preponderante. Comprendono tutte le patologie a carico del
cuore e dei vasi sanguigni e quelle maggiormente frequenti sono:
▪ cardiopatia ischemica (malattie cardiache coronariche)
▪ ipertensione arteriosa (considerata sia come fattore di rischio che come malattia)
▪ ictus (malattie circolatorie dell’encefalo)
In Italia si registrano: 1 decesso per malattie cardiovascolari ogni 2 secondi, 1 infarto ogni 5 secondi,
1 ictus ogni 6 secondi.
Chi sopravvive a un attacco cardiaco o a un ictus diventa un malato cronico, con la necessità di essere
seguito generalmente attraverso multiterapie che comprendono più categorie di farmaci. In Italia il
4,4% sono cittadini con invalidità di origine cardiovascolare.
Malattie di questo tipo hanno un impatto forte nella popolazione.

La malattia modifica la qualità della vita con costi economici enormi. Stime economiche indicano
che le malattie cardiovascolari costano all’Europa circa 192 miliardi di euro: 57% costi ospedalieri,
21% produttività persa a causa di tali malattie, 22% cure farmacologiche.
In Italia questo costo annualmente è stimato in 16,9 miliardi di euro (204 euro/persona). Nei prossimi
10 anni le malattie del sistema cardiovascolare costeranno in Italia circa 169 miliardi di euro e le
strutture sanitarie non saranno sufficienti ad accogliere tutti i pazienti che avranno bisogno di
interventi.
Le malattie cardiovascolari, trovano al loro esordio, due fattori di rischio importanti:
ATEROSCLEROSI e IPERTENSIONE (considerate quindi come malattie e come fattori di rischio).

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Aterosclerosi
Processo che si verifica nelle arterie e fa si che il vaso sanguigno veda il suo diametro fortemente
ridotto.
L’eziopatogenesi delle malattie cardiovascolari è determinata da una riduzione o un mancato apporto
di sangue ai tessuti cardiaci o cerebrali (ischemia o emorragia). Alla base dell’ischemia vi sono i
processi aterosclerotici. L’aterosclerosi consiste nella formazione della placca aterosclerotica (o
ateroma) che si localizza sulla parete interna dei vasi arteriosi, diminuendone il diametro e di
conseguenza questo può ridurre il flusso ematico.
L’ateroma e costituito da:
• un accumulo di lipidi (tra i quali il colesterolo-LDL, il più pericoloso)
• macrofagi
• cellule muscolari lisce
• LDL (lipoproteine a bassa densità) - trasportatore cattivo di colesterolo: le LDL trasportano il
colesterolo ai diversi organi del nostro corpo, dove viene fatto entrare nelle cellule attraverso
i recettori. Quando il quantitativo di colesterolo presente nel corpo è superiore a quello
utilizzato dalle cellule, le LDL si depositano sulle pareti delle arterie, formando le placche
aterosclerotiche
• HDL (lipoproteine ad alta densità) - Trasportatore buono di colesterolo: le HDL sono, invece,
composti che catturano il colesterolo in eccesso presente nel sangue e lo trasferiscono in altri
distretti dove può essere diversamente metabolizzato (come ad es. nel fegato). Le HDL sono
inoltre in grado di staccare dalle pareti delle arterie il colesterolo già depositato.
Gli ateromi si formano attraverso tre fasi:
1. fase della lesione endoteliale - il danno prodotto da fattori tossici circolanti altera la
permeabilità dell’endotelio, determina l’infiltrazione di lipoproteine e altri fattori
2. fase proliferativa - la reazione macrofagica e la liberazione di fattori di crescita stimolano la
crescita di fibre muscolari lisce e la loro invasione della parete arteriosa
3. fase produttiva – sviluppo della placca con accumulo di materiale connettivale, detriti cellulari
e calcio
In altre parole: prima che il colesterolo si accumuli al di sotto dell’epitelio delle nostre arterie, è
necessaria la rottura di tale epitelio. La prima fase della placca aterosclerotica è proprio una lesione
dell’epitelio che circonda le nostre arterie. Ci sono situazioni che possono favorire tale rottura, come
per esempio alcune sostanze presenti nel fumo possono favorire tale lesione (perché sostanze a forte
attività ossidante) ma anche l’ipertensione favorisce la rottura, a causa di una pressione elevata
all’interno di un vaso sanguigno.
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Nella seconda fase, i globuli bianchi iniziano a migrare all’interno di tale lesione (questo perché il
nostro sistema immunitario è abituato a riconoscere eventuali lesioni nelle nostre strutture) cercando
di tamponarla. In realtà i globuli bianchi, in questo caso, contribuiscono a quella che è la fase
proliferativa dell’ateroma perché iniziano a produrre sostanze che stimolano la duplicazione cellulare,
per la chiusura della lesione. Ma tali sostanze possono stimolare anche la crescita di altre cellule come
per esempio cellule muscolari. Queste ultime iniziano a svilupparsi e a ridurre il diametro del vaso s.
Infine arrivano le lipoproteine, si accumulano nell’ateroma, fino a costituire una massa di volume
elevato che può ostruire in parte o del tutto il vaso arterioso. L’ostruzione determina un mancato
apporto di sangue e quindi di ossigeno al tessuto, con morte cellulare

Vi sono dei valori soglia nell’assunzione di colesterolo che sarebbe bene venissero rispettati

Cardiopatia ischemica
È un’insufficienza cardiaca acuta o cronica causata dalla riduzione o dal mancato apporto di sangue
al miocardio in presenza di processi patologici a carico delle arterie coronarie. Le arterie coronarie
sono particolarmente importanti perché portano nutrienti e ossigeno al muscolo cardiaco. Nel caso in
cui non dovessero più portare nutrienti, ma soprattutto ossigeno, il muscolo cardiaco potrebbe andare
in sofferenza, fino al raggiungimento dell’infarto.
Le manifestazioni cliniche tipiche sono:
1. angina pectoris
2. infarto del miocardio
3. morte improvvisa

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1. Angina pectoris
Tale malattia si manifesta quando un’arteria coronaria inizia a presentare delle placche
aterosclerotiche che però non occludono completamente l’arteria. Il sangue riesce comunque a
defluire ma in minore quantità e con maggiori difficoltà.
Si verifica nelle situazioni in cui le richieste energetiche del cuore aumentano rispetto alla condizione
di riposo.
In condizioni di riposo l’apporto di sangue risulta sufficiente mentre sotto sforzo si verifica uno stato
ischemico:
• si manifesta con un senso oppressivo di costrizione al torace che si irradia al braccio sinistro,
senso di angoscia e di morte
• il dolore non è influenzato dagli atti respiratori o dalla posizione del corpo
Gli episodi sono di norma passeggeri, ma tendono a ripetersi senza causare necrosi cardiaca.
2. Infarto del miocardio
Si verifica se l’ateroma determina l’occlusione dell’arteria coronaria. Le cellule che dovrebbero
ricevere nutrimento, vanno dunque in ipossia e iniziano a morire. Ciò causa necrosi dell’area cardiaca
irrorata dal vaso coronarico occluso. I sintomi sono gli stessi dell’angina pectoris, ma il dolore è
persistente:
• il dolore, o meglio una sensazione di fastidio, oppressione o bruciore, compare al centro del
petto, in corrispondenza dello sterno e spesso si irradia verso la schiena, il collo, la mascella
o il braccio sinistro, in particolare lungo la sua parte interna
• altri sintomi concomitanti possono essere la dispnea (mancanza di fiato) a riposo, disturbi del
ritmo cardiaco (aritmie), palpitazioni, sudori freddi, nausea o vomito
La letalità è elevata e la prognosi è tanto migliore quanto più tempestive sono l’assistenza e la cura.
Circa 3/4 dei decessi avvengono nelle prime ore di insorgenza dei sintomi e al di fuori dell’ospedale.
Tradizionalmente il ritardo evitabile è suddiviso in tre momenti principali:
• il ritardo decisionale, legato al paziente. Temporeggiando, le cellule cardiache (miociti)
iniziano progressivamente a morire.
• il ritardo organizzativo, legato al sistema del soccorso
• il ritardo intraospedaliero
Per riaprire l’arteria coronarica ostruita si può far ricorso a farmaci trombolitici, che sono in grado di
sciogliere il trombo che causa l’occlusione delle coronarie. Per limitare le lesioni muscolari gravi
devono essere somministrati non oltre 6 ore dall’infarto (i risultati migliori si hanno se si interviene
entro 1 ora).

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Fare un intervento di angioplastica: tecnica che consiste nell'inserimento nell’arteria ostruita di un
catetere (un minuscolo tubo) munito di palloncino avvolto in una rete. Il palloncino viene condotto
fino al punto di occlusione del vaso e quindi gonfiato per schiacciare il coagulo di sangue e riaprire
l'arteria. Deve essere effettuata rapidamente, entro 4-5 ore dall’inizio della crisi e si fa in anestesia
locale.
Ma anche fare un by pass: è una specie di ponte utilizzato per far circolare il sangue evitando la zona
dove il passaggio è ostruito. Operazione chirurgica a cuore aperto da svolgere in anestesia totale, che
comporta una degenza ospedaliera di una settimana

Angioplastica con palloncino (a sx) By pass (a dx)

3. morte cardiaca improvvisa


Decesso inaspettato per cause cardiache, che si verifica entro un’ora dalla comparsa dei sintomi o
anche in assenza di questi (l’incidenza in Italia di questa forma patologica è di circa 1 caso × 1.000).
La possibilità di salvare la vita alla persona colpita diminuisce del 10% ogni minuto che passa dopo
l’evento (dopo 5 minuti iniziano i danni irreversibili al cervello).
Il 25% dei pazienti potrebbero essere salvati se venissero defibrillati entro 4/5 minuti. Adesso esistono
anche il defibrillatore semiautomatico.

È un dispositivo che consente di effettuare la defibrillazione delle pareti muscolari del cuore in
maniera sicura, dotato di sensori per riconoscere l’arresto cardiaco. Per il funzionamento del
defibrillatore automatico gli elettrodi vengono applicati sul petto del paziente per mezzo di piastre
adesive. Il dispositivo controlla il ritmo cardiaco e, se necessario, si carica e si predispone per la
scarica.

Ipertensione arteriosa
Definita anche come il “killer silenzioso”, perché molte persone sono ipertese e non ne hanno
consapevolezza.
Si tratta di una malattia che si verifica quando la pressione sistolica e diastolica supera i livelli
normali.

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Si considerano ipertese le persone che in condizioni di riposo presentano:
• pressione minima (diastolica) > 85 mmHg (millimetri di mercurio)
• pressione massima (sistolica) > 130 mmHg
Si distinguono diversi gradi di ipertensione

(*) normale-alta => anche definito sottogruppo borderline (è necessario prestare attenzione)
In tutte le popolazioni, con l’avanzare dell’età, aumenta la prevalenza dell’ipertensione.
L’ipertensione arteriosa conclamata in Italia è un problema che colpisce più del 33% degli uomini e
più del 31% delle donne.
L’ipertensione è una condizione patologica generalmente asintomatica in quanto non causa sintomi
evidenti. Circa il 50% di coloro che sono ipertesi, soprattutto quando si tratta di ipertensione lieve,
non lo sanno.
Un’altra problematica ancora, è determinata dal fatto che, tra coloro che sanno di ipertesi, alcuni
decidono autonomamente di non aver bisogno di essere trattati con intervento farmacologico (circa il
9%).
Circa il 32% ritiene invece che sia importante essere trattati.
I valori di pressione arteriosa non sono costanti, ma variano in rapporto a molteplici fattori: posizione
durante il rilevamento, orario della determinazione (bioritmo), attività fisica praticata dal soggetto,
condizioni psicologiche e fisiche del paziente, atteggiamento di chi effettua il rilevamento.
I cardiologi consigliano di misurarla nell’intervallo di tempo in cui è più alta, quindi circa tra le 18:30
e 19:30.
I soggetti ipertesi hanno una maggiore probabilità di cardiopatia ischemica.
Ciò probabilmente a causa di:
• elevata pressione dentro i vasi sanguigni
• elevata velocità di flusso (turbolenze ematiche)
• lesioni endoteliali e alterata permeabilità endoteliale
L’ipertensione è il principale fattore che contribuisce alla morte prematura nel mondo.

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Ictus cerebrale
Anche noto come apoplessia “colpo apoplettico” è una sindrome vascolare acuta nella quale si
verificano un grave danno al cervello e deficit della funzione cerebrale. Può essere causato da:
• un’ischemia (per processi di aterosclerosi)
• un’emorragia per rottura di un’arteria (es. per presenza di un aneurisma = dilatazione
progressiva della parete di un vaso sanguigno, spesso del tutto asintomatica)
Si possono avere dunque due tipologie di ictus: Ictus emorragico (ruolo importante svolto
dall’ipertensione) e Ictus ischemico (ruolo importante svolto dalle placche aterosclerotiche o la
presenza di coaguli in circolo)
Entrambi sono accomunati dal fatto che, alle cellule del cervello non arriva più nutrimento e dunque
muoiono rapidamente.
In presenza di un ictus la persona può comunque sopravvivere, è fondamentale intervenire quanto più
rapidamente possibile, chiamando immediatamente il 118.
Se i pazienti colpiti da ictus giungono in ospedale entro 2-3 ore dalla comparsa dei sintomi (*) ci sono
le migliori probabilità che possano tornare a casa senza danni permanenti o menomazioni.
Gli effetti dell’ictus possono essere anche molto gravi (soprattutto se non si interviene
tempestivamente) è possibile incorrere nella morte o in gravi deficit sensitivi e motori per lesioni
cerebrali, con emiparesi o emiplegia controlaterale rispetto all’area cerebrale colpita dalla trombosi o
dall’emorragia.

(*) Per capire se effettivamente la persona ha un ictus, analizziamo il significato della sigla FAST
(che innanzitutto sottolinea l’importanza di agire rapidamente)
F= FACE=> controllare il viso della persona e soprattutto l’eventuale incapacità ci muovere e
controllare i muscoli del volto.
A=ARM=> valutare la forza delle braccia. Solitamente si perde l’uso di un solo braccio (es. incapacità
di sorreggere anche le piccole cose)
S=SPEACH=> la persona perde la capacità discorsiva e in particolare quella di collegare il pensiero
alle parole
T=TIME=> se dovessero verificarsi le 3 situazioni precedenti, è necessario chiamare immediatamente
il 118

È stata istituita la giornata mondiale contro l’Ictus, proprio per sottolineare quanto sia importante
chiamare subito i soccorsi in presenza della relativa sintomatologia. Dunque, durante queste giornate

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si cerca di diffondere informazioni che riguardino il riconoscimento dei sintomi e talvolta vengono
offerti degli screening gratuiti (es. ipertensione arteriosa)
Epidemiologia
In Italia la mortalità per le malattie ischemiche del cuore è maggiore negli uomini rispetto alle donne.
Dalla metà degli anni ’70 a oggi, il tasso di mortalità è in lenta e graduale diminuzione.
In Italia la mortalità per le malattie cerebrovascolari è maggiore negli uomini rispetto alle donne ed è
in lenta e graduale diminuzione
Le differenze tra i sessi derivano da molteplici ragioni:
• La più importante delle quali è l’effetto protettivo esercitato dagli ormoni femminili, gli
estrogeni, su cuore e vasi
• Il rischio cardiovascolare delle donne risulta inferiore a quello degli uomini fino alla
menopausa e, dopo un periodo di latenza, si ha un aumento relativamente brusco
• Il diabete nelle donne annulla l’effetto protettivo degli ormoni, pertanto in caso di diabete il
rischio si avvicina a quello degli uomini non diabetici
Il rischio cardiovascolare globale assoluto è un indicatore che permette di valutare la probabilità di
ammalare di un evento cardiovascolare maggiore conoscendo il livello di alcuni fattori di rischio.
Prende in considerazione l’interazione di diversi fattori di rischio (non è la semplice somma del
rischio dovuto ai singoli fattori).
Per la definizione del rischio cardiovascolare sono state costruite 4 carte corrispondenti al genere e
allo stato di diabete (le carte sono suddivise per fumatori e non fumatori)
▪ uomo diabetico ▪ uomo non diabetico ▪ donna diabetica ▪ donna non diabetica
Dunque, la consultazione di tali carte, consente di fare un’ipotesi su quella che potrebbe essere la
probabilità di incorrere in una malattia cardiovascolare nei successivi 10 anni da quando viene svolta
l’indagine.
Nella carta del rischio cardiovascolare occorre identificare il decennio corrispondente alla propria
età e posizionarsi nella casella in cui ricadono i valori di colesterolemia e pressione arteriosa. Il
rischio cardiovascolare è espresso in 6 categorie di rischio MCV (da I a VI): la categoria di rischio
indica quante persone su 100 con quelle stesse caratteristiche sono attese ammalarsi nei 10 anni
successivi

94
Carta del rischio donne diabetiche: Carta del rischio donne non diabetiche

Superati i 60 anni, il fumo aumenta i rischio di sviluppare malattie cardiovascolari, soprattutto se la


donna è diabetica.

Carta del rischio uomini diabetici: Carta del rischio uomini non diabetici:

Si stima che l’80% delle morti premature causate dalle malattie cardiovascolari ischemiche potrebbe
essere evitato controllando i principali fattori di rischio.
Vengono distinti in 3 tipi:
• non modificabili (genetici), come sesso, età, familiarità positiva per cardiopatia ischemica o
malattie aterosclerotiche
• modificabili, come inattività fisica, fumo di tabacco, dieta ricca di grassi saturi e/o
ipercalorica, eccessivo consumo di alcol, diabete mellito, ipertensione arteriosa, elevati livelli
ematici di colesterolo totale o di LDL, bassi livelli ematici di HDL, elevati livelli ematici di
trigliceridi, sovrappeso e obesità
• intermedi
Tra i fattori di rischio appare anche lo stress psichico o emotivo.
Risposte allo stress particolarmente pericolose per la salute sia fisica che psichica sono riscontrabili
in soggetti portati a lottare per ottenere sempre il più possibile nel più breve tempo possibile, a
interpretare e vivere qualsiasi occasione come una sfida da vincere a tutti i costi. Questi soggetti, il
95
cui comportamento è detto di tipo A, sono soggetti a un rischio di cardiopatia ischemica 2-3 volte
superiore rispetto a quello di soggetti più calmi, che vivono in modo più rilassato e meno competitivo
(comportamento di tipo B)

Per ridurre i livelli di stress seguire alcune buone regole:


▪ Dormire e riposare a sufficienza ▪ Dedicare parte del proprio tempo alla cura di se stessi ▪ Mangiare
in modo sano, adeguato e a ritmi regolari ▪ Fare regolarmente esercizio fisico ▪ Utilizzare la
respirazione come tecnica di rilassamento: alcuni esercizi respiratori aumentano la distensione ▪
Abituarsi a parlare con i propri familiari o amici ▪ Parlare al proprio medico, se si attraversa un
momento particolarmente difficile: potrà percepire se si è prossimi a fenomeni depressivi e dare
consigli in merito
Malattie cardiovascolari e gradiente sociale
Inferiore livello di scolarità e disagio sociale peggiorano la salute cardiovascolare. Gli ipertesi, i
dislipidemici, gli obesi, i diabetici sono maggiormente concentrati nelle persone che presentano un
livello di scolarità basso, così come certi stili di vita, quali l’inattività fisica e l’abitudine al fumo. Da
qui deriva la necessità di costruire un’azione tempestiva in termini di prevenzione primaria a partire
dall’educazione a corretti stili di vita fino dalla scuola primaria.

L’indice di deprivazione esprime il livello di svantaggio sociale relativo tramite la combinazione di


alcune caratteristiche della popolazione residente. Esistono diversi indici, ma in generale vengono
calcolati in base a:
• scarsa istruzione
• carenza di lavoro
• condizioni abitative peggiori
• condizioni familiari peggiori (es. madri o padri soli)

L’indice di deprivazione di una popolazione (es. regione, provincia, rione ecc) esprime il livello di
svantaggio sociale relativo tramite la combinazione di alcune caratteristiche della popolazione
residente, rilevate in corrispondenza dei Censimenti della popolazione e delle abitazioni.
Per calcolarlo, occorre prima calcolare tutti gli aspetti che lo riguardano come per esempio il livello
di istruzione della popolazione, livello di occupazione, densità abitativa, percentuale di coloro che
vivono in affitto o in una casa privata, percentuale di famiglie monogenitoriali.

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Calcolati tutti questi indici, vengono poi sommati per ottenere l’indice di deprivazione. È stato visto
che quest’ultimo è fortemente correlato alla mortalità generale. Tanto più basso è l’indice di
deprivazione, tanto più basso sarà il tasso di mortalità in una data popolazione.
INTERVENTI DI PREVENZIONE
Le malattie cardiovascolari sono passibili di interventi di prevenzione primaria, secondaria e terziaria
1. Prevenzione primaria: evitare i fattori di rischio cardiovascolare (educazione sanitaria),
adottare di uno stile di vita salubre per tutta la sua vita (educazione sanitaria), lotta
all’ipercolesterolemia, all’ipertensione, al fumo, alla sedentarietà, riduzione del consumo di
sale
2. Prevenzione secondaria: monitoraggio dell’ipertensione ed eventuale trattamento
farmacologico
3. Prevenzione terziaria: riabilitazione, assistenza psicologica

Tumori

È un termine generico utilizzato per indicare più di 200 forme diverse di malattie che possono colpire
ogni parte del corpo. Tutti i tumori sono accumunati dal fatto che originano da un cambiamento
genetico che si verifica in una singola cellula somatica e che può essere innescato da fattori endogeni
(genetici ereditari, nei confronti dei quali è poco possibile intervenire e prevenire) e da fattori esogeni.

Il nostro organismo è in grado, attraverso processi di riparazione e attivazione del sistema


immunitario, di contrastare i processi di trasformazione. Quando questa capacità viene meno, la
cellula si trasforma, attraverso varie tappe, in cellula tumorale.

La cancerogenesi è un processo lungo e complesso, raramente una singola alterazione genetica è


sufficiente per lo sviluppo del tumore, in genere un agente cancerogeno agisce sul DNA cellulare e
provoca:

1. Iniziazione: processo rapido e irreversibile, la cellula acquisisce le potenzialità per diventare


pericolosa
2. Promozione della crescita neoplastica: processo lento e irreversibile, la cellula riceve altri stimoli
a mutare ancora
3. Progressione della malattia: il tumore si è formato ma potrebbe rimanere dormiente per molti
anni finché non attiva la capacità di costruire i propri vasi sanguigni che portano nutrimento ed
ossigeno alle cellule anonime

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I principali fattori di rischio individuati sono molteplici:

Fattori endogeni:

• fattori ormonali (tumore al seno)


• deficit immunitario
• predisposizione ereditaria
• sesso
• età
Fattori esogeni (ambientali):

• Dieta scorretta (soprattutto di tipo obesogeno)


• Sedentarietà
• Esposizione a cancerogeni chimici, fisici e biologici: asbesto, componenti del fumo di
tabacco, aflatossine che contaminano gli alimenti essiccati come legumi, cereali e frutta secca
non conservati bene, radiazioni ultraviolette e ionizzanti, HBV per l’epatocarcinoma, HPV
per il cancro della cervice uterina, HIV per il sarcoma di Kaposi, batterio Helicobacter pylori
per il cancro dello stomaco ecc.
Numerosi studi cercano di attribuire un peso che indichi l’importanza a questi principali fattori
di rischio nel determinismo di una malattia tumorale, tutti gli studi concordano che il fumo di
tabacco è il principale e maggior fattore di rischio (33%) non solo del tumore ai polmoni ma
in generale anche in altre zone del corpo ma anche l’alimentazione scorretta (che include
anche l’obesità); questi sono entrambi responsabili di circa il 30% di tutte le forme di cancro.
Per fortuna non tutti i tumori sono maligni ma esistono anche i tumori benigni, sono quei casi
in cui le cellule tumorali restano in situ, circoscritte, a formare una massa compatta e non
invasiva.
Il problema è quando il clone di cellule acquista la caratteristica di malignità, le cellule
tendono all’invasione primariamente nell’organo in cui si sta sviluppando e successivamente
alla metastatizzazione, ovvero si staccano cellule che attraverso il circolo sanguigno si
diffondono in tutto l’organismo e formano nuovi cloni di cellule tumorali.
Un tumore maligno è sempre caratterizzato da tre situazioni:
• Iperplasia: eccessiva riproduzione di cellule maligne
• Anaplasia: le cellule che si riproducono perdono permanentemente le caratteristiche
funzionali, dell’organizzazione e della funzione specifica tissutale, es. se era una cellula del
pancreas che doveva produrre insulina mentre si sta sviluppando il tumore maligno la cellula

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perderà la sua capacità iniziale e diventa qualcosa di molto diverso rispetto a quella che
dovrebbe essere la funzione specifica dell’organo in cui si sta sviluppando.
• Metastasi: distacco dal tumore di cellule maligne che vanno a localizzarsi in altre sedi
anatomiche dove causano tumori secondari
Esistono circa 200 tipi di tumori che vengono distinti in:

- carcinomi (tumori solidi che originano da cellule epiteliali - i tumori maligni della mammella,
della cute, degli apparati gastrointestinale, genitale, respiratorio e urinario)
- sarcomi (tumori maligni che si sviluppano nel tessuto osseo, cartilagineo, connettivale, adiposo
e muscolare)
- leucemie e linfomi (le cellule neoplastiche che stanno su tessuti liquidi come per esempio il
sangue, sono in sospensione e riguardano leucociti o linfociti T e B)

Incidenza e mortalità nel Mondo

Le forme tumorali che ogni anno causano più decessi nel mondo sono: cancro del polmone, della
mammella e del colon-retto.

In Italia, al pari degli altri Paesi europei, i tumori maligni rappresentano la seconda causa di morte
dopo le malattie cardiovascolari.

Primi cinque tumori più frequentemente diagnosticati in Italia (stime 2020)

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Prime cinque cause di morte oncologica (Dati ISTAT, 2017)

Tumore al polmone

Non esiste un solo tipo di tumore al polmone, ma diverse tipologie a seconda del tessuto polmonare
interessato.

Il tumore del polmone si può sviluppare in: bronchi, bronchioli, alveoli.

Può costituire una massa che ostruisce il corretto flusso dell’aria quando la massa diventa
eccessivamente estesa, oppure provocare emorragie.

I tumori polmonari sono classificati in base a quattro stadi di gravità crescente, indicati con i numeri
progressivi da 1 a 4. L’1 è un tumore ancora aggredibile dal punto di vista terapeutico mentre il 4 è
eccessivamente avanzato.

La sopravvivenza a 5 anni in Italia è pari al 15,8% (tanti pazienti diagnosticati in stadio avanzato)
mentre a 10 anni è pari al 11% per gli uomini e al 15% per le donne.

Sintomi

Il tumore del polmone in molti casi resta asintomatico nelle sue fasi iniziali, succede a volte che la
malattia venga diagnosticata nel corso di esami effettuati per altri motivi.

Quando presenti, i sintomi più comuni del tumore del polmone sono: tosse continua che non passa o
addirittura peggiora nel tempo, raucedine, presenza di sangue nel catarro, respiro corto, dolore al petto
che aumenta nel caso di un colpo di tosse o un respiro profondo, perdita di peso e di appetito,
stanchezza, infezioni respiratorie (bronchiti o polmoniti) frequenti o che ritornano dopo il trattamento.

Il tumore può diffondersi:

1. per contiguità alle strutture vicine (la pleura che riveste i polmoni, il diaframma…)
2. per via linfatica ai linfonodi, attraverso il flusso sanguigno dando anche metastasi a distanza
Nel caso del tumore ai polmoni le metastasi possono arrivare a colpire quasi tutti gli organi (fegato,
cervello, surreni, ossa, reni, pancreas, milza e cute), si manifestano con sintomi specifici del tessuto
o organo colpito (es. dolore alle ossa, ittero, cambiamenti neurologici come mal di testa o vertigini,
noduli visibili a livello cutaneo…).
100
Diagnosi

In presenza di sintomi sospetti è importante contattare il proprio medico di base che valuterà tutti i
segni e i sintomi e prescriverà i primi esami di approfondimento (es. una radiografia al torace) che
può dare subito l’immagine di eventuale presenza di una massa; in caso positivo il soggetto verrà
invitato a svolgere ulteriori approfondimenti possono prevedere anche l’uso di:

- TAC
- risonanza magnetica
- PET
Per arrivare a una diagnosi certa è necessario effettuare una biopsia che consiste nel prelevare con un
particolare ago una piccola quantità di cellule nella zona del polmone dove si è evidenziata la massa
tumorale che verrà analizzata con il successivo esame istologico.

Se la diagnosi viene confermata la persona verrà inviata a svolgere un altro esame per valutare se la
malattia è diffusa alle ossa e si utilizza in genere la scansione ossea (scintigrafia).

Terapia

L’approccio terapeutico cambia a seconda delle condizioni del paziente e del tipo di tumore; in alcuni
casi il trattamento migliore è la chemioterapia, in altri la radioterapia in associazione alla
chemioterapia.

La chirurgia (eliminazione del tumore mediante l’asportazione dell’area del polmone coinvolta, del
tutto o in parte - lobectomia) è indicata solamente in casi selezionati. In alcuni casi possono essere
utilizzati i farmaci intelligenti che:

• bloccano un fattore di crescita cellulare (EGFR) coinvolto nella proliferazione tumorale


• bloccano l’angiogenesi, cioè la formazione di nuovi vasi sanguigni nel tumore
Fattori di rischio

I principali fattori di rischio del tumore al polmone sono:

1. Fumo di sigaretta attivo (rischio nei medi fumatori aumentato di circa 14 volte, nei forti
fumatori fino a 20 volte) e passivo
2. Esposizione ad amianto (absesto) e metalli pesanti, per lo più contatto con queste sostanze per
motivi di lavoro
3. Esposizione al radon: è un gas che viene emesso da particolari rocce che sono state utilizzate in
passato anche come materiale da costruzione

101
4. Inquinamento atmosferico: lo studio ESCAPE ha evidenziato un aumento del 22% del rischio
di tumore al polmone per ogni aumento di 10 μg/m3 di PM10 (Particolato) e del 18% per ogni
aumento di 10 μg/m3 di PM2.5
5. Storia familiare di tumore del polmone (soprattutto nei genitori o in fratelli e sorelle)
Prevenzione primaria

Come prevenire il tumore al polmone è:

• Eliminare il fumo di sigaretta


• Usare dispositivi di protezione individuale sul luogo di lavoro (maschere…)
• Seguire un regolare esercizio fisico e una corretta alimentazione
Prevenzione primaria secondaria

Non esistono test di screening per persone a rischio elevato, i test studiati sono poco efficaci e non
individuano il tumore precocemente. Tra gli studi ancora in corso, ce ne sono alcuni stanno validando
l’utilità di sottoporre i fumatori ultra cinquantenni a esami annuali come la TC (tac) spirale o l’esame
citologico dello sputo dei pazienti.

Tumore alla mammella

Il seno è costituito da tessuto adiposo e da un insieme di ghiandole (lobuli) unite tra loro a formare
un lobo. In un seno vi sono da 15 a 20 lobi che confluiscono nel capezzolo attraverso piccoli tubi
chiamati dotti galattofori (o lattiferi). È in queste ghiandole che si può sviluppare il tumore.

È dovuto alla moltiplicazione incontrollata di alcune cellule della ghiandola mammaria che si
trasformano in cellule maligne, hanno la capacità di staccarsi dal tessuto che le ha generate per
invadere i tessuti circostanti e, col tempo, anche gli altri organi del corpo.

In teoria si possono formare tumori da tutti i tipi di tessuti del seno, ma i più frequenti nascono dalle
cellule ghiandolari (dai lobuli) o da quelle che formano la parete dei dotti.

Il tumore del seno viene classificato in cinque stadi

- Stadio 0: carcinoma in situ, non è un tumore aggressivo ma può rappresentare un fattore di


rischio per la formazione successiva di una lesione maligna
- Stadio I: cancro in fase iniziale < 2 cm di diametro e senza coinvolgimento dei linfonodi
- Stadio II: cancro in fase iniziale < 2 cm di diametro che però ha già coinvolto i linfonodi sotto
l’ascella oppure è un tumore > 2 cm di diametro senza coinvolgimento dei linfonodi

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- Stadio III: tumore localmente avanzato, di dimensioni variabili, ma che ha coinvolto già anche
i linfonodi sotto l’ascella, oppure che coinvolge i tessuti vicini al seno (per esempio la pelle)
- Stadio IV: cancro già metastatizzato che ha coinvolto altri organi al di fuori del seno
Il tumore alla mammella è il tumore a più elevata incidenza tra le donne in Italia, nel 2020 circa
55.000 nuove diagnosi nelle donne e negli ultimi anni il trend è in aumento.

È la patologia neoplastica a più alta prevalenza nel sesso femminile (834.154 casi nel 2020), il 43%
di tutte le donne che vivono dopo una diagnosi di tumore.

È la prima causa di morte oncologica nelle donne, ma il tasso di mortalità nel 2020 è diminuito di
oltre il 6%, rispetto al 2015.

Sintomi

In genere le forme iniziali di tumore del seno non provocano dolore, uno studio effettuato su quasi
1.000 donne con dolore al seno ha dimostrato che: lo 0,4% di esse aveva una lesione maligna mentre
il 12,3% aveva presenti lesioni benigne (come le cisti) e nel resto dei casi non vi erano lesioni (dolore
provocato solo dalle naturali variazioni degli ormoni durante il ciclo).

Possono invece essere un sintomo:

- eventuali noduli palpabili o addirittura visibili


- alterazioni del capezzolo, perdite da un solo capezzolo, cambiamenti della pelle o della forma
del seno
La maggior parte dei tumori del seno è asintomatico, per questo è importante lo screening
(mammografia).

Diagnosi

Il cancro del seno viene diagnosticato con la mammografia e l’ecografia mammaria (nella donna
giovane, tra i 30 e i 45 anni). Alla eventuale identificazione di noduli o formazioni sospette segue la
biopsia (prelievo di cellule mediante un ago inserito nel nodulo).

Terapia

Quasi tutte le donne con un tumore del seno, indipendentemente dallo stadio, subiscono un intervento
chirurgico per rimuovere i tessuti malati (in passato veniva effettuata una mastectomia totale al seno
della donna, pratica obsoleta che è stata superata in anni recenti con per esempio una quadrantectomia
che rimuove solo parzialmente il seno della donna).

103
Durante l’intervento, il chirurgo procede ad asportare i linfonodi dell’ascella per poter verificare che
non ci sia già stato un interessamento linfonodale e la mammella viene trattata con radioterapia.

Generalmente durante lo stesso intervento si procede alla ricostruzione del seno.

Dopo l’intervento chirurgico vengono definite le terapie mediche precauzionali per ridurre al minimo
il rischio che la malattia possa colpire altri organi (metastasi a distanza), per questa ragione alla
maggior parte delle pazienti viene proposta una terapia con farmaci anticancro (chemioterapia).

Ultimamente si è diffuso anche l’uso della chemioterapia neoadiuvante, ovvero somministrata prima
dell’intervento per ridurre la dimensione e l’aggressività del tumore.

Se necessario la paziente viene sottoposta a radioterapia, che dura pochi minuti e va ripetuta per
cinque giorni la settimana, fino a 5-6 settimane di seguito; in genere il trattamento radioterapico può
essere combinato all’uso di farmaci, come i chemioterapici.

Negli ultimi anni numerose donne possono ricorrere anche alla ormonoterapia che consiste nella
somministrazione di farmaci che bloccano l’attività degli ormoni estrogeni, che si ritiene siano
coinvolti nell’insorgenza e nello sviluppo di almeno 1/3 dei tumori mammari.

La possibilità di essere sottoposte alla terapia ormonale dipende dalla presenza di recettori estrogenici
e/o progestinici sulle cellule tumorali (riscontrabile attraverso l’esame istologico), dalla presenza o
meno di controindicazioni al trattamento e/o di altre patologie associate, se il tumore non presenta
questi recettori, la terapia non è indicata.

In caso contrario la terapia verrà seguita per i 5 anni successivi per contrastare una possibile recidiva.

Fattori di rischio

• Età: più del 75% dei casi di tumore del seno colpisce donne sopra i 50 anni
• Familiarità: circa il 5-7% delle donne con tumore al seno ha più di un familiare stretto malato
(soprattutto nei casi giovanili) i geni che predispongono a questo tipo di tumore sono il
BRCA1 e il BRCA2, le mutazioni di questi geni sono responsabili del 50% circa delle forme
ereditarie di cancro del seno e dell'ovaio. Il test per la ricerca delle mutazioni di BRCA-1 e
BRCA-2 viene eseguito sul DNA dei linfociti e il risultato viene ottenuto nell’arco di quattro-
sei settimane. Il costo del test si aggira intorno ai 500 euro. Il test BRCA può essere effettuato
entro il Sistema Sanitario Nazionale con criteri di accesso al test diversi a seconda della
regione di residenza.
• Fattori riproduttivi: lunga durata del periodo fertile

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• Ormoni: svariati studi hanno dimostrato che livelli elevati di estrogeni facilitano la comparsa
del cancro al seno, per questo tutti i fattori che ne aumentano la presenza hanno un effetto
negativo (es. menarca precoce e menopausa tardiva) e viceversa (es. le gravidanze hanno un
effetto protettivo)
• Obesità
• Fattori dietetici e metabolici
• Esposizione ad alte dosi di radiazioni ionizzanti
Prevenzione primaria

Ci sono tante strategie come per esempio l’esercizio fisico e una dieta con pochi grassi e molti vegetali
(frutta e verdura, in particolare broccoli e cavoli, cipolle, tè verde e pomodori) riducono l’incidenza
del tumore al seno.

Ma anche l’allattamento dei figli aiuta a combattere il tumore del seno, l’allattamento consente alla
cellula del seno di completare la sua maturazione e quindi di essere più resistente a eventuali
trasformazioni neoplastiche

Prevenzione secondaria

1. Autopalpazione:
2. Test di screening
L’autopalpazione è un esame che ogni donna può effettuare comodamente a casa propria. L’esame si
svolge in due fasi:

- l’osservazione permette di individuare mutazioni nella forma del seno o del capezzolo
- la palpazione può far scoprire la presenza di piccoli noduli che prima non c'erano.
A partire dai 20 anni l’esame può essere effettuato una volta al mese tra il settimo e il quattordicesimo
giorno del ciclo, rispettare questi tempi è importante perché la struttura del seno si modifica in base
ai cambiamenti ormonali mensili e si potrebbero creare confusioni o falsi allarmi. In gravidanza o in
menopausa, il momento in cui eseguirlo è indifferente.

Come si esegue l’osservazione? Davanti allo specchio, in un ambiente ben illuminato, osservare le
mammelle tenendo le braccia distese lungo i fianchi, poi appoggiarle sul bacino e spingere forte in
modo da contrarre i muscoli del petto, è importante fare attenzione a un mutamento nel disegno dei
seni (alterazione del contorno, un gonfiore, una retrazione cutanea o un’anomala morfologia dei
capezzoli). Ripetere la stessa osservazione con le braccia ben alzate, mettendo in evidenza la zona
ascellare, e di profilo, per evidenziare irregolarità o vere e proprie sporgenze.

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Come si effettua l’autopalpazione? Sdraiarsi con un cuscino sotto la spalla sinistra e la mano sinistra
sotto la nuca, i seni si appiattiranno e il tessuto si distribuirà uniformemente sul petto. Premere
delicatamente con le dita tese della mano destra (che va posta piatta) il seno sinistro, descrivendo
movimenti circolari. NB: Analizzare anche la zona tra seno e ascella. Ripetere le stesse manovre sul
seno destro. Stringere delicatamente i capezzoli tra le dita per rilevare possibili fuoriuscite di liquido
(siero o sangue)

Quando consultare il medico? Se si osserva:

▪ una irregolarità rispetto al solito della forma e del volume delle mammelle

▪ una variazione del profilo della mammella

▪ un’alterazione della cute (zone raggrinzite o infossate)

▪ eruzioni cutanee

▪ un nodulo al seno o all’ascella

▪ un indurimento sotto la pelle

▪ una irregolarità dell’aspetto del capezzolo

▪ secrezione dal capezzolo

Tumori: prevenzione in generale

In generale per tutte le tipologie di tumori possiamo fare tutte e tre le prevenzioni:

1. Prevenzione primaria: evitare i fattori di rischio (educazione sanitaria), adozione di uno stile
di vita salubre che il soggetto persegue per tutta la sua vita (educazione sanitaria),
vaccinazioni (anti-HPV e anti-HBV), interventi legislativi (divieto di fumo in locali
pubblici…)
2. Prevenzione secondaria: test di screening
3. Prevenzione terziaria: riabilitazione e strategie per la riduzione delle recidive
La prevenzione secondaria si sfiocca su due diversi binari: la diagnosi precoce (che viene effettuata
dal singolo soggetto) e i test di screening (che vengono effettuati dal sistema sanitario nazionale).

La diagnosi precoce si basa sulla attenzione ai sintomi iniziali della malattia e richiede un continuo
stato di vigilanza sui sintomi precoci di malattia o segnali di allarme, tanto da parte del paziente,
quanto da parte degli operatori sanitari, sintomi come:

- nei che cambiano forma, colore o dimensione


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- tosse continua o raucedine
- mal di testa persistente
- …
È rivolta al singolo paziente che si ricorre spontaneamente al medico.

Il vantaggio della diagnosi precoce in fase preclinica è che la terapia darà maggiori probabilità di
guarigione definitiva.

Alcuni esempi di diagnosi precoce sono:

- test genetici neonatali per malattie metaboliche


- assorbimetria a raggi X a doppia energia (DXA), per rilevare eventuale osteoporosi
- valutazione del rischio cardiovascolare, per prevenire le malattie cardiovascolari
- valutazione nutrizionale, per prevenire l’obesità e le malattie correlate

Malattie cronico-degenerative di interesse sociale: test di screening

La differenza sostanziale tra diagnosi precoce e test di screening è data dal fatto che la prima viene
fatta dal singolo che contatta il medico di base che lo indirizzerà, mentre i test di screening sono
delle attività di tipo sanitario, offerti gratuitamente dal SSN e sono dedicati al alcune fasce di
popolazione. Un test di screening non è un test diagnostico vero e proprio.

Programmi di screening

I test di screening sono un insieme di attività organizzate, rivolte ad alcune fasce di popolazione, per
individuare precocemente la presenza di malattia in persone che non ne presentano ancora i sintomi
perché identificare la patologia in una fase precoce permette possibilità di trattamento e guarigione
(o comunque controllo) più alte.
Lo screening può essere selettivo o di massa: nel primo caso viene identificato all’interno della
popolazione un sottogruppo abbastanza ristretto di persone che possono essere più suscettibili ad
una malattia e offrire loro un test di screening. Nel secondo caso viene riservato questo test ad una
grande fetta della popolazione, utilizzando un solo parametro (solitamente l’età).

Inoltre, può essere utilizzato anche come mezzo di tutela per la salute di una comunità confinata
ovvero di coloro che non partecipano allo screening. Ad esempio, quando si ricerca l’HIV in
donatori di sangue così da tutelare la salute di chi lo dona e chi lo riceve.

Un aspetto importante è rappresentato dal fatto che gli screening sono strumenti efficaci per ridurre
le disuguaglianze di salute tra diversi gruppi sociali, essendo accessibili e gratuiti a tutta la
107
popolazione che è stata identificata.
Non tutte le malattie sono soggette a test di screening, questo dipende dalle caratteristiche della
stessa.

I requisiti che la malattia deve avere per essere soggetta a test di screening sono:

• La storia naturale della malattia deve essere ben conosciuta per poterne prevedere
l’evoluzione perché in questo modo, conosco il tempo che mediamente decorre dai primi
danni che si verificano nell’organismo all’esordio della malattia. Questo tempo può essere
utilizzato per fare una diagnosi precoce;
• Deve essere di una certa gravità o di rilevanza sociale;
• Il periodo di latenza in fase asintomatica deve essere sufficientemente lungo;
• Deve essere disponibile un test (clinico, strumentale o di laboratorio) in grado di
differenziare le persone apparentemente sane, ma già malate, da quelle effettivamente sane.
Non deve essere troppo invasivo;
• Devono essere disponibili terapie efficaci, in grado di guarire la malattia o, almeno, di
ritardarne significativamente l’evoluzione letale. Diversamente sarebbe inutile anticipare
una diagnosi.

Il test deve avere a sua volta dei requisiti:

- Di rapida e facile esecuzione


- Non costosi (sostenibili - devono impiegano oculatamente le risorse disponibili)
- Sicuri ed accettati dai pazienti (non invasivi)

Inoltre, devono essere noti due parametri:


1. La sensibilità (no falsi positivi);
2. La specificità (no falsi negativi).

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I test si rivolgono alle persone a maggior rischio di sviluppare una determinata patologia, questo
perché non ha senso sottoporre a screening le persone con possibilità bassissime di sviluppare una
patologia. La loro particolrità è data dal fatto che vengono effettuati a intervalli regolari, affinchè
una malattia possa essere diagnosticata in modo precoce è fondamentale che gli screening siano
riproposti per tutto l’arco di tempo in cui la malattia ha maggiori probabilità di svilupparsi e un
intervento terapeutico dia effettivi vantaggi in termini di guadagno di anni e/o di qualità di vita.
Inoltre, sono articolati in più livelli:

1. Test di screening vero e proprio: la persona riceverà la risposta di positività o negatività ma


ciò non significa che la persona positiva è sicuramente malata perché questi test sono in
grado di svelare diversi tipi di situazioni cliniche, non solo quella della malattia che si sta
cercando.
2. Accertamento diagnostico: una persona risultata positiva, viene invitata ad eseguire specifici
esami di approfondimento che diano una diagnosi definitiva.
3. Percorso terapeutico: studiato in base alle caratteristiche della persona e della malattia.

Questi livelli si stabiliscono in base a studi scentifici, precedentemente fatti alla diffusione nella
popolazione dei test di screening, che determinano:

• la popolazione sulla quale eseguire gli esami;


• gli esami da effettuare e gli iter terapeutici in caso di positività;
• l’intervallo tra due round successivi di screening.

In Italia, secondo le indicazioni del ministero della Salute, il Servizio Sanitario Nazionale fornisce
gratuitamente i seguenti screening:

• tumore del seno


• tumore del collo (cervice) dell’utero
• tumore del colon-retto

I primi due dedicati alla popolazione femmiline, l’ultimo alla popolazione generale.

Screening del tumore al seno

Il test consiste in una mammografia: esame radiologico del seno che permette di individuare il
tumore in una fase molto precoce (identifica noduli di dimensioni inferiori a 1 cm, non ancora
percepibili al tatto).
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Viene eseguito ogni due anni e offerto gratuitamente alle donne di età compresa tra 50 e 69 anni.
In questo modo, l’80-90% delle donne con un tumore di piccole dimensioni e senza linfonodi colpiti
può guarire definitivamente. Secondo la IARC, partecipare allo screening organizzato riduce del
35% la probabilità di morire per cancro della mammella.
Se il referto è negativo, questo viene recapitato a casa, se il referto è positivo la donna verrà
contattata telefonicamente dal responsabile del centro di screening. Ciò accade perché una positività
alla mammografia non equivale a una diagnosi certa di cancro al seno, anche se indica una
maggiore probabilità di essere affette dalla patologia. In questo caso, seguono ulteriori accertamenti
diagnostici:

• una seconda mammografia;


• un’ecografia;
• una visita clinica;
• una biopsia per valutare le caratteristiche delle eventuali cellule tumorali;

Se tutto ciò conferma quello che è stato visto nel test, si dà il via all’iter terapeutico secondo un
preciso protocollo strettamente connesso al tipo di tumore diagnosticato e al suo stadio.
Quante donne in Italia ricevono l’invito?
Nel 2019 la copertura è stata del 89% (3.658.235 inviti effettuati)

▪ 100 % al Nord
▪ 98,5% al Centro.

▪ 66,3 % al Sud

Quante donne in Italia aderiscono all’invito e quante vengono richiamate per ulteriori
accertamenti?

L’adesione al programma è in media del 54% con differenze tra Nord (61%), Centro (53%) e Sud
(40%).
I dati di una tabella risalente al 2019 riportano che su 3 mln di donne invitate, poco meno di 2 mln
si sono recate all’appuntamento. Sono stati nello stesso anno diagnosticati 8.300 carcinomi.

Screening del tumore della cervice uterina

Si tratta di un tumore che colpisce la parte più esterna dell’utero (detta anche collo o portio).
Causato nell’80% dei casi da un’infezione persistente da HPV. Nel 2017 sono stimati 2.300 nuovi
110
casi (pari al 2% di tutti i tumori incidenti nelle donne). Questa neoplasia è più frequente nella fascia
giovanile (4% dei casi, quinta neoplasia più frequente) mentre dopo i 50 anni rappresenta
complessivamente l’1% dei tumori femminili.

Si stima che il rischio di sviluppare un tumore della cervice uterina nell’arco della vita di una donna
è di 1 su 160. Però la sopravvivenza di questo tumore, se non viene aggredito in tempo in Italia è
pari al 68%.
Per lo screening del tumore della cervice uterina vi sono due opportunità:
1. Pap-test
2. Test HPV

Pap-test

Si tratta di un esame semplice e non doloroso: si esegue prelevando con una sorta di tampone del
materiale presente sul collo dell’utero, che viene “strisciato” e fissato su un vetrino da microscopio
e quindi analizzato in laboratorio. Con il Pap-test si possono evidenziare lesioni pre-tumorali e/o
tumorali del collo dell’utero anche molto piccole, che possono essere presenti in assenza di sintomi,
di solito sono curabili con interventi ambulatoriali.
In Italia l’invito al test viene fatto a donne di età compresa tra 25 e 65 anni e viene ripetuto ogni 3
anni. Altre nazioni hanno invece deciso di rendere disponibile il test non appena la donna inizia la
sua vita sessuale.

Test HPV

Visto il ruolo indispensabile di alcuni tipi di virus HPV (ad alto rischio) nello sviluppo del cancro
della cervice uterina, le Regioni sono state sollecitate a integrare il test di screening.

Il nuovo test di screening si basa sulla ricerca dell’infezione dell’HPV ad alto rischio: il prelievo è
simile a quello del Pap-test e il materiale prelevato viene sottoposto a un esame di laboratorio per la
ricerca del virus. L’esame deve essere effettuato non prima dei 30 anni ed essere ripetuto con
intervalli non inferiori ai 5 anni, dai 25 a 30-35 anni l’esame di riferimento rimane il Pap test perché
questa in giovane età la probabilità di avere una infezione da HPV è molto alta senza che questa
assuma una importanza clinica.
Se il test HPV risulta positivo la donna dovrà sottoporsi ad un Pap-test, se anche questo risulta
positivo significa che l’analisi al microscopio ha evidenziato la presenza di cellule con
caratteristiche pre-tumorali o tumorali e la donna viene invitata a effettuare esami di
approfondimento:

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▪ Il primo esame è una colposcopia: l’utilizzo di un apposito strumento (il colposcopio) permette la
visione ingrandita della cervice uterina. In questo modo, il medico è in grado di confermare la
presenza di lesioni pretumorali o tumorali e valutarne l’estensione;

▪ Alla colposcopia può far seguito una biopsia: prelievo di una piccola porzione di tessuto anomalo
da sottoporre a un’analisi che confermi definitivamente le caratteristiche esatte della sospetta
lesione.
La lesione viene considerata tanto più grave quanto più è estesa in profondità nella parete del collo
dell’utero:

1. Nel caso di lesioni che hanno alte probabilità di regredire spontaneamente si preferisce
attendere e valutare nuovamente la situazione dopo un nuovo ciclo di screening;
2. Nel caso di lesioni di gravità intermedia le lesioni vengono rimosse con piccoli interventi
chirurgici, eseguiti in ambulatorio e in anestesia locale;
3. Nel caso di lesioni gravi (molto rare e più frequenti nelle persone che non hanno mai
eseguito esami di screening) la donna deve seguire un iter terapeutico più complesso a
seconda della natura e dell’estensione della lesione.

Quante donne in Italia ricevono l’invito al Pap- test?


Il numero degli inviti e delle donne che hanno fatto il test è in riduzione rispetto agli anni
precedenti, questa è causata dall’introduzione progressiva del test HPV.

Quante donne in Italia ricevono l’invito al Pap-test?


La conversione da Pap‐test a test HPV stata raccomandata nel 2013 dal Ministero della Salute,
pertanto tutte le Regioni avrebbero dovuto implementare lo screening con test HPV primario entro
la fine del 2019, questa riorganizzazione a livello regionale ha denotato importanti disparità tra aree
geografiche: le regioni del sud sono ancora molto indietro rispetto alle altre regioni italiane.

Quante donne in Italia aderiscono all’invito e quante vengono richiamate per ulteriori
accertamenti?
L’adesione è intorno al 40% per Pap-test e 48% per ricerca HPV

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Screening del tumore del colon-retto

Il tumore è dovuto alla proliferazione incontrollata delle cellule della mucosa che riveste l’ultima
parte dell’intestino, la sopravvivenza a 5 anni in Italia è pari al 66% per il colon e al 62% per il
retto, omogenea tra uomini. Le regioni meridionali presentano valori inferiori di circa il 5-8%
rispetto al Centro-Nord.

Mentre la sopravvivenza dopo 10 anni dalla diagnosi risulta leggermente inferiore rispetto a quella a
5 anni, con valori pari al 64% per il colon e al 58% per il retto, omogenea tra uomini e donne. Sono
stimate circa 53.000 nuove diagnosi di tumore del colon-retto nel 2017.

Ricerca del sangue occulto nelle feci (SOF)

E’ un test dedicato alla popolazione maschile e femminile di età tra i 50 e i 69 anni, viene ripetuto
ogni 2 anni.

Consiste nella raccolta (eseguita a casa) di un piccolo campione di feci che viene spedito
direttamente alla ASL di competenza per l’esecuzione di test in grado di evidenziare tracce di
sangue non visibili a occhio nudo.
Nel caso di positività i programmi di screening prevedono l’esecuzione di una colonscopia come
esame di approfondimento che permette di esaminare l’intero colon retto. Oltre a essere un efficace
strumento diagnostico, è anche uno strumento terapeutico quindi nel caso venisse confermata la
presenza di polipi, consente di rimuoverli nel corso della stessa seduta. I polipi rimossi vengono
successivamente analizzati e, in base al loro numero, alle loro dimensioni e alle caratteristiche delle
loro cellule, vengono avviati percorsi terapeutici e di controllo ad hoc.

Quante uomini e donne in Italia ricevono l’invito?


Al Nord la copertura è praticamente completa (oltre il 90%), al Centro sopra l’80%, al Sud è poco
più del 40% (anche se con una costante tendenza all’aumento)

Quanti uomini e donne in Italia aderiscono all’invito e quante vengono richiamate per ulteriori
accertamenti?
L’adesione è intorno al 40%. Nel 2019 il 5,2% ha ricevuto risposta di test positivo ed è stato
invitato ad effettuare una colonscopia, solo il 78% ha eseguito l’esame di accertamento.

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Giornata mondiale contro il cancro

Si celebra il 4 febbraio di ogni anno, momento per riflettere su cosa ognuno può fare per combattere
il cancro, dalle istituzioni agli esperti, dai pazienti ai cittadini, tutti fin dalla giovane età

Il claim dell’ultima campagna triennale 2019-2021 era "I Am and I Will".

Malattie cronico-degenerative di interesse sociale: Diabete di tipo II


Il termine diabete deriva dal greco diabainein, passare (bainein) attraverso (dia), ad indicare
l’eccessiva eliminazione di urina, caratteristica della malattia.

La malattia esiste da tanto tempo, Areteo di Cappadocia (II sec a.C.) già descriveva la malattia “....
la vita è breve, disgustante e dolorosa.... il paziente non può bloccare l’eccessiva sete o l’eccessiva
diuresi. Se limita l’apporto idrico causa dopo un breve intervallo la morte”
In passato, la diagnosi di diabete veniva effettuata attraverso l’assaggio dell’urina (dolciastra =
diabete).
Il Diabete è un disordine cronico del metabolismo caratterizzato da una alterazione del metabolismo
glucidico con elevati livelli di glucosio plasmatici a digiuno (iperglicemia) e con presenza di
glucosio nelle urine (glicosuria).

In condizioni fisiologiche il livello di glucosio ematico (glicemia) è strettamente controllato:

• 80 e 90 mg/dl a digiuno;
• 120 - 140 mg/dl nella prima ora dopo il pasto;
• torna ai valori basali entro due ore dal termine dell’assorbimento dei carboidrati.

E’ normale che la glicemia si innalzi durante i pasti e che torni al livello basali entro due ore dal
termine dell’assorbimento dei carboidrati, se questo non accade significa che siamo nella situazione
di diabete: conseguente alla carenza o al mancato utilizzo dell’insulina.

L’insulina

Nel 1869, studiando al microscopio la struttura del pancreas, il giovane studente di medicina Paul
Langerhans vi individuò delle masse di tessuto diverse dalla struttura dell’organo (isole di
Langerhans).

Nel 1889, Oskar Minkowski, in collaborazione con Joseph von Mering, notò che cani a cui era stato
rimosso il pancreas sviluppavano il diabete. Eugene Opie (1901) scoprì che erano le isole di
Langerhans che regolavano il livello di zucchero nel sangue.
Negli anni successivi si susseguirono diversi tentativi d’isolare il prodotto delle isole di Langerhans,

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ci riuscirono nel 1921 l’inglese John James Macleod e il canadese Frederick Grant Banting, Nobel
per la medicina nel 1923.
Inizialmente l’insulina veniva prelevata da cani (erano necessarie sei settimane per riuscire a
estrarre insulina da un animale) poi dal pancreas fetale di bovino. Nel 1922 iniziò la
sperimentazione clinica: furono iniettate con successo dosi di insulina purificata in bambini
diabetici.

Dal novembre di quell’anno, la casa farmaceutica Eli Lilly cominciò a produrre insulina purificata.

Oggi sappiamo che l’insulina è un ormone proteico, prodotto da gruppi di cellule pancreatiche,
chiamate cellule β delle isole del Langerhans e che l’insulina che viene somministrata ai diabetici è
sintetica e viene prodotta usando tecniche di ingegneria genetica.

Funzioni dell’insulina

L’attività principale dell’insulina consiste nel facilitare il passaggio del glucosio dal sangue alle
cellule (azione ipoglicemizzante - abbassa la glicemia)

Svolge anche altre attività:

• favorire l’accumulo di glucosio sotto forma di glicogeno a livello epatico;


• facilitare il passaggio degli aminoacidi dal sangue alle cellule;
• stimolare la proliferazione cellulare;
• stimolare la produzione endogena di colesterolo.

La diffusione del diabete

Il diabete è una patologia in costante aumento in Italia e nel Mondo, tanto che, per il 2025, l’OMS
prevede che il numero di persone affette da diabete possa raddoppiare. Al momento è considerato
come una vera emergenza di sanità pubblica.
Nel Mondo, circa 177 milioni di persone sono affette da diabete.
In Italia, oltre 3,3 milioni di persone ne sono affette e almeno 1 milione ne soffrono o stanno per
soffrirne senza saperlo.

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Quattro tipi di diabete

Si distinguono 4 tipi di diabete mellito:

• insulino dipendente (tipo I);


• non insulino-dipendente (tipo II);
• diabete gestazionale: condizione temporanea, che si verifica generalmente durante la
seconda metà della gravidanza tende a risolversi subito dopo il parto, anche se le donne
affette da diabete gestazionale sviluppano una più alta probabilità di diventare diabetiche
negli anni successivi al parto;
• associato ad altra patologia.

Diabete di tipo I o insulino-dipendente

Compare per lo più durante l’infanzia, ma può presentarsi fino ai 40 anni di età (anche se accade
raramente). Ha un inizio rapido ed è causato da un deficit di produzione di insulina da parte del
pancreas, le cause sono ancora in studio.

In alcuni casi sembra che sia legato ad una patologia autoimmune, ciò è dovuto alla autodistruzione
delle cellule β delle isole del Langerhans. Pertanto, se solitamente l’insulina facilita il passaggio del
glucosio dal sangue alle cellule e ha azione ipoglicemizzante, in presenza del deficit di insulina ci
sarà una più elevata concentrazione di glucosio nel sangue (iperglicemia) e questo porterà agli
attacchi di fame.
Questo tipo di diabete non è molto frequente rispetto agli altri, rappresenta il 5-10% di tutti i casi di
diabete mellito ed è maggiormente diffuso in Finlandia e in Sardegna.

Diabete di tipo II o non insulino-dipendente

È la forma di diabete più frequente (circa l’85% di tutti i casi di diabete) e comprende la quasi
totalità dei casi nell’adulto, Colpisce di norma dopo i 40 anni ed ha un’insorgenza lenta. Definito
così perché il pancreas produce insulina ma sono, come vedremo, le cellule a rifiutarla.

I livelli di insulina nel sangue risultano normali e l’aumento della glicemia è indotto dalla resistenza
all’ormone (insulino-resistenza) da parte delle cellule. Non tutte le cellule corporee necessitano di
insulina per assorbire il glucosio, ma l’ormone è essenziale per il tessuto muscolare e per quello
adiposo (circa il 60% della massa corporea )e se queste cellule diventano insensibili all’insulina,
l’organismo mette in atto una serie di strategie compensatorie che alla fine portano al diabete di tipo
116
II.

Meccanismo compensatorio:

▪ aumentato rilascio di insulina (iperinsulinemia = elevati livelli dell’ormone nel sangue);

▪ nelle fasi iniziali la compensazione mantiene la glicemia a livelli normali (euglicemia);

▪ successivamente le cellule pancreatiche non riescono ad adeguare la sintesi dell’ormone alle


necessità dell’organismo e si osserva un aumento della glicemia post-prandiale;

▪ nella fase conclamata, l’ulteriore riduzione della concentrazione plasmatica di insulina (dovuta al
progressivo esaurimento delle cellule β) determina la comparsa di iperglicemia anche a digiuno
(diabete di tipo II).

Eziopatogenesi

Nell’eziopatogenesi svolge un ruolo importante la familiarità (componente genetica) e alcuni fattori


di rischio modificabili:

• iperalimentazione (eccesso dietetico-calorico);


• sovrappeso e obesità (accumulo di grasso viscerale);
• mancanza di attività fisica;
• carenza di fibre vegetali non digeribili nella dieta (l’abbondanza di fibre potrebbe ritardare
l’assorbimento dei carboidrati nell’intestino, abbassare i livelli glicemici e migliorare
l’utilizzo del glucosio).

Sintomi

I sintomi classici, comuni a entrambe le forme di diabete, sono rappresentati da:

1. perdita di peso in presenza di un appetito eccessivo (polifagia);


2. emissione eccessiva di urina (poliuria);
3. sete intensa (polidipsia);
4. sensazione di spossatezza;

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La diagnosi viene posta in base ai sintomi clinici e mediante esami di laboratorio di routine:

• rilevazione dei livelli di glucosio nel sangue (iperglicemia);


• rilevazione dei livelli di glucosio nelle urine (glicosuria).

Diabete: complicanze

L’iperglicemia cronica è molto dannosa per l’organismo e con il tempo determina complicanze
gravi in vari organi come:

• occhi;
• reni;
• nervi;
• vasi sanguigni e cuore.

Retinopatia diabetica

Colpisce circa il 20% dei pazienti affetti da diabete mellito, nei registri dell'Unione Italiana Ciechi
si colloca come la prima causa di ipovisone o di cecità in età lavorativa.
Inizialmente è caratterizzata da un aumento della fragilità delle pareti dei vasi sanguigni che si
trovano nella retina (possibile causa di emorragie retiniche) e da una loro alterata permeabilità.
L’oculista con l’esame del fondo dell’occhio può evidenziare queste alterazioni, nella fase più
avanzata della malattia si osserva la proliferazione di nuovi vasi all’interno dell’occhio e questi vasi
neoformati tendono a sanguinare con maggiore facilità.

La prima volta che si verifica un sanguinamento, il paziente vede qualche macchia scura che entro
pochi giorni si riassorbe, se le emorragie aumentano d’intensità, determinano una perdita visiva
sempre maggiore, che in molti casi non regredisce. La retinopatia diabetica non trattata può
condurre alla cecità.

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Stili di vita e salute: Alimentazione e salute
Alimentazione e Nutrizione sono due termini che nell’uso comune vengono utilizzati per indicare la
medesima cosa, in realtà secondo la Comunità Europea per “alimento” si intende qualsiasi sostanza
o prodotto trasformato, parzialmente trasformato o non trasformato, destinato a essere ingerito o di
cui si prevede ragionevolmente che possa essere ingerito da esseri umani. Sono considerati alimenti:
cibo, bevande, gomme da masticare e qualsiasi sostanza, compresa l’acqua, intenzionalmente
incorporata negli alimenti nel corso della loro produzione, preparazione o trattamento. Mentre la
nutrizione è tutto ciò che avviene all’interno del nostro organismo, quando un alimento viene ingerito
viene scomposto nei suoi diversi componenti che vengono utilizzati a vari scopi. Dal punto di vista
sociale ciò che ci interessa è l’alimentazione, convincere quante più persone possibili ad adottare stili
di vita sani.

Nell’alimentazione alcuni aspetti principali risultano connessi con la promozione della salute e la
prevenzione delle malattie, innanzitutto importante è condurre una corretta alimentazione, che è
strettamente connessa alla sicurezza alimentare che consiste nell’accesso a tutti gli abitanti della terra
a cibi sani. Il problema della scarsa disponibilità di cibo riguarda una parte rilevante della popolazione
mondiale (1 miliardo), mentre gran parte della popolazione soffre di sovrappeso e obesità. Inoltre è
importante che il cibo venga conservato in maniera corretta dai produttori del settore alimentare.

Fabbisogni alimentari

Una corretta alimentazione deve essere:

• sufficiente a colmare il fabbisogno della persona ma non deve essere eccessiva;


• varia (con consumo di alimenti diversi che apportino i molteplici nutrienti);
• bilanciata (l’apporto energetico/calorico deve essere assicurato da una assunzione equilibrata
di proteine, lipidi e carboidrati, con la presenza di vitamine, minerali, fibre e acqua).

Una dieta adeguata invece è:

• un determinante primario della salute (una dieta corretta è in grado di mantenere soggetti in
buona salute);
• uno strumento di prevenzione per numerose malattie (cronico degenerative);
• uno strumento per la gestione e trattamento di molteplici malattie, in modo da favorire la
ripresa in un soggetto che ha avuto una diagnosi di malattia, tiene sotto controllo la possibilità
di ricadute.

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Fabbisogno calorico

Per misurare le calorie che una persona assume con l’alimentazione, i nutrizionisti fanno un calcolo
semplice. Espresso in chilocalorie (kcal) o in chilojoule (kj), il fabbisogno energetico totale si calcola
applicando la seguente formula: metabolismo basale (quanta energia consumiamo per mantenerci in
vita mentre siamo a riposo) x livelli di attività fisica. Ciò varia con l’età, il sesso, diverse condizioni
fisiologiche e l’attività fisica svolta.

Fabbisogno energetico medio/die varia per l’uomo e per la donna.

Per l’uomo l’assunzione giornaliera è all’incirca di 2900 calorie, per la donna invece il valore si
aggira intorno alle 2100 calorie, 800 calorie in meno, il fabbisogno diminuisce con l’aumentare
dell’età.

Fabbisogno calorico e di nutrienti

Le calorie che introduciamo vengono assunte tramite i macronutrienti, i più importanti sono i
carboidrati, le proteine e i lipidi (oli e grassi.) Queste diverse macromolecole biologiche forniscono
calorie in vario grado:

• 4,1 kcal/g di proteine;


• 4,1 kcal/g di carboidrati;
• 9,3 kcal/g di lipidi.

Carboidrati e proteine a parità di peso forniscono la stessa entità di calorie, mentre i grassi forniscono
una quantità doppia rispetto ai carboidrati e le proteine.

Le calorie vanno fornite ripartendole in maniera corretta tra:

• proteine (ottenute tramite animali e vegetali)


• lipidi (oli e grassi), con prevalenza di acidi grassi insaturi che proteggono le arterie dai
processi aterosclerotici e assumendo acidi grassi essenziali (acido linoleico [omega 6] e acido
linolenico [omega 3] che l’organismo converte poi in altri acidi grassi polinsaturi.
• carboidrati invece vengono assunti in due modi, troviamo i carboidrati semplici che devono
contribuire per meno del 5% del fabbisogno calorico totale (OMS), e i carboidrati complessi
(polisaccaridi, amidi).

Proteine:

Sono presenti in ogni cellula vivente (vegetale o animale), hanno un ruolo strutturale (ricostruire
nuove cellule e sostituire quelle demolite) e sono indispensabili per un normale funzionamento del
120
nostro organismo (enzimi, emoglobina del sangue ecc. sono proteine). Sono costituite da aminoacidi,
alcuni dei quali il nostro organismo non è in grado di sintetizzare. (sono 8 le proteine che non
riusciamo a sintetizzare e vanno assunte tramite gli alimenti.) Se consumiamo prodotti animali come
carne bianca, rossa, pesce questi amminoacidi essenziali sono presenti, ma un eccessivo consumo di
carne, però, può rappresentare un determinante fattore di rischio causando alcune malattie (tumori).
Nei prodotti vegetali sono presenti le proteine, però anche in quelli più ricchi come i cereali e i legumi,
non esiste un alimento vegetale che contenga tutti gli amminoacidi essenziali e che sia in grado di
riprodursi da soli. (Per chi vuole mantenere uno stile di vita vegetariano i vegetali vanno consumati
in combinazione).

Lipidi:

Costituiscono un gruppo eterogeneo di sostanze non solubili in acqua, sono distinguibili in:

• lipidi di deposito con funzione energetica e protettiva rappresentati principalmente dai


trigliceridi che forniscono energia.
• lipidi strutturali, costituenti fondamentali delle membrane cellulari e intracellulari (fosfolipidi,
glicolipidi e colesterolo).

Gli acidi grassi che rappresentano il 90-98% dei i lipidi introdotti con l’alimentazione, si dividono in:

• saturi – per lo più vengono assunti tramite alimenti di origine animale (burro, strutto, panna,
formaggi… dal punto di vista visivo gli acidi grassi saturi a temperatura di refrigerazione o
temperatura ambiente sono solidi.)
• insaturi – per lo più vengono assunti tramite alimenti di origine vegetale (olive, olio di oliva
e di semi, avocado, frutta secca, a temperatura ambiente sono liquidi) ma si trovano anche in
alimenti animali (pesce azzurro).

Gli acidi grassi essenziali (AGE) sono due lipidi che devono essere necessariamente introdotti con
gli alimenti, in quanto non riusciamo a sintetizzarli:

• acido linoleico (capostipite degli acidi grassi della serie omega 6)


• acido alfa linolenico (capostipite della serie omega 3)

E’ importante assumerli con l’alimentazione perché sono quei grassi che vengono trasformati in grassi
Omega 6 e Omega 3.

Naturalmente vanno assunti senza superare la percentuale giornaliera del 30%, suggerita dall’OMS.

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Carboidrati:

Rappresentano la categoria di macronutrienti che deve essere assunta in maggiore quantità nella
nostra alimentazione quotidiana, facendo attenzione a non assumere troppi carboidrati semplici.
Vanno consumati fino al 60%.

Si dividono in:

• Carboidrati semplici, vengono assorbiti rapidamente dal nostro organismo, se noi


consumiamo miele alla fine del pasto avremo un picco di zucchero nel sangue, con
conseguente iperglicemia, cui segue iperinsulinemia e un brusco calo di zuccheri che si
manifesta avvertendo senso di appetito. Gli zuccheri in questione sono il glucosio (miele), il
fruttosio (frutta e succhi di frutta), il saccarosio (zucchero da cucina bianco o di canna),
lattosio (latte, formaggi freschi). Nelle etichette alimentari la seconda parte della scritta “di
cui zuccheri” indica il contenuto specifico di zuccheri semplici.
• Carboidrati complessi, sono quelli a più lenta digestione, rilasciando energia poco a poco,
agiscono prolungando il senso di sazietà (amido), li troviamo nella pasta, nel pane, nel riso,
patate, castagne, ecc. Dal punto di vista nutrizionale, possono essere suddivisi anche in:
• Carboidrati disponibili, sono digeriti e assorbiti a livello intestinale diventando utilizzabili per
i processi metabolici;
• Carboidrati non disponibili e fibra alimentare, non subiscono i processi digestivi e diventano
substrati per il microbiota intestinale (ossia nutrimento per le cellule intestinali).

Una corretta alimentazione deve prevedere anche l’assunzione di: vitamine liposolubili e idrosolubili,
fibre alimentari non assorbibili e non assimilabili (indigeribili, di origine vegetale, come cellulosa,
pectine, gomme, mucillagini – almeno 30 g/ die), minerali che si dividono in maggiori (calcio,
fosforo, potassio e sodio) e minori (iodio, ferro e magnesio, selenio )e l’acqua (almeno 2 litri al
giorno).

Ogni principio nutritivo assolve un compito diverso:

• energetico (carboidrati e lipidi)


• costruttivo (proteine)
• regolatorio (vitamine, sali minerali, fibre e acqua)
• essenziale (principi non sintetizzabili dall’organismo che devono essere assunti con la dieta).

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Se il fabbisogno calorico non viene rispettato si verifica una situazione di malnutrizione, che si
distingue:

1. per difetto à quando non si assumono alimenti in maniera tale da colmare il nostro fabbisogno
energetico giornaliero. Ciò avviene a causa di scelte dietetiche per dimagrire oppure a causa di
disturbi del comportamento alimentare o per assenza di disponibilità di cibo tutto. Ad ogni modo ciò
comporta:

• diminuzione dell’immunocompetenza (maggiore predisposizione a contrarre malattie


infettive)
• deficit di ferro (anemia), di calcio (osteoporosi), di iodio (problemi alla tiroide, gozzo da
carenza alimentare di iodio), di vitamine.
• patologie varie come il marasma che indica una magrezza eccessiva che si accompagna a un
deperimento di tutte le funzioni dei vari organi, la sindrome del ‘’Kwashiorkor’’, il cui nome
indica ‘’la malattia del fratellino’’(nome che riflette lo sviluppo della condizione nel bambino
più grande che è stato tolto dal seno materno in seguito all’arrivo di un fratellino. Compare in
genere dopo lo svezzamento, in quanto ciò implica il passaggio da una dieta ricca di proteine
presenti nel latte materno a una dieta povera di proteine data anche dall’assenza di cibo.)

2.per eccesso à Se si assumono troppe calorie, conseguono sovrappeso e obesità, spesso associate a
ipercolesterolemia, aterosclerosi, ipertensione, cardiopatia ischemica, ictus cerebrale, il diabete di
tipo 2, alcune forme di tumore maligno (cancro della mammella, dello stomaco, del colon-retto).

Disturbi del comportamento alimentare

Nei Paesi sviluppati i disturbi del comportamento alimentari rappresentano una vera e propria
emergenza di salute mentale, di solito si manifestano nell’adolescenza ma negli ultimi anni è avvenuta
un’anticipazione già dai 10 anni in su. Sono più comuni in giovani donne di età compresa fra i 15 e
i 25 anni, nonostante si manifestino pure nella popolazione maschile.

Le più note forme sono l’anoressia e la bulimia che se non trattati in tempi e con metodi adeguati, i
disordini alimentari possono diventare una condizione permanente e nei casi gravi portare alla morte
(solitamente avviene per suicidio o per arresto cardiaco).

Le cause sono molteplici, la familiarità (sono più frequenti nei parenti della persona malata, per
esempio la mamma), la sensazione di essere sottoposti a un eccesso di pressione e di aspettativa o,
all’opposto, di essere fortemente trascurati dai propri genitori, di sentirsi oggetto di derisione per la
propria forma fisica, o di non riuscire a raggiungere i risultati desiderati per problemi di peso ed

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estetici. Possono dipendere anche dall’aver subito situazioni traumatiche (drammi familiari, abusi da
familiari o persone esterne alla famiglia) oppure possono manifestarsi per aderire a un canone estetico
di modello femminile.

A seguito dei DCA possono svilupparsi:

• ulcere intestinali, danni permanenti ai tessuti dell’apparato digerente, disidratazione,


importanti danni al cuore, ai reni e al fegato, al sistema scheletrico (con aumento del rischio
di osteoporosi e fratture), blocco della crescita, danni a gengive e denti, alterazioni del sistema
nervoso (con difficoltà di concentrazione e memorizzazione), emorragie interne, ipotermia
• depressione, basso livello di autostima, senso di vergogna e colpa, difficoltà a instaurare e
mantenere rapporti sociali e familiari, propensione al perfezionismo, sbalzi di umore,
tendenza a comportamenti maniacali.

Anoressia nervosa

Si parla di anoressia quando, riducendo o interrompendo la propria alimentazione, il peso corporeo


scende al di sotto dell’85% del peso normale in riferimento all’età, al sesso e all’altezza. Il paziente
anoressico pur avendo appetito, si rifiuta di assumere il cibo per paura di acquistare peso o diventare
grasso, la persona anoressica diviene ossessionata dal cibo, al punto che la questione alimentare
diventa centrale nella sua vita. Secondo alcune stime, è affetto da anoressia dallo 0,5 al 3,7% della
popolazione, oltre il 90% sono donne.

L’anoressia si manifesta in due modi:

• con restrizioni, determinata dalla riduzione costante della quantità di alimenti ingeriti (salto
del pasto, consumo lento del cibo)
• con abbuffate e successiva eliminazione: alimentazione compulsiva seguita da vomito
autoindotto, uso inappropriato di pillole lassative e diuretiche, iperattività fisica per perdere
peso.

Diagnosticare l’anoressia non è sempre semplice in soggetti molto giovani, perché i cambiamenti
fisici che accompagnano l’adolescenza e che comportano squilibri di peso e altezza possono
mascherarne le prime fasi.

Nelle ragazze uno dei sintomi più classici è l’interruzione del ciclo mestruale per almeno 3 mesi
successivi.

124
Bulimia nervosa

Una persona affetta da bulimia nervosa tende a ingurgitare continuamente cibo, ingerisce quantità
eccessive di cibo in tempi ristretti (di norma nel giro di 2 ore) e di nascosto dagli altri. Ciò che avverte
è la sensazione di non poter smettere di mangiare e non poter controllare il proprio comportamento
dovuto a una forte carica di stress emotivo prima e dopo l’eccessiva ingestione di cibo. Dopo aver
mangiato eccessivamente, c’è la tendenza a colpevolizzarsi e a cercare di porre rimedio tramite
l’induzione del vomito.

Inoltre i bulimici tendono ad assumere diuretici e lassativi, con il passare del tempo il paziente entra
in una fase di depressione e di disgusto di se stesso. A differenza dell’anoressico (sempre sottopeso),
il bulimico può essere normopeso, sottopeso o sovrappeso e il peso può oscillare frequentemente.

Prevenzione

Solo dal 2017 è stata indetta la GIORNATA NAZIONALE DEI DISTURBI DEL
COMPORTAMENTO ALIMENTARE, ed è stato attribuito il fiocchetto lilla: 15 Marzo 2017. In
tutte le regioni in questa giornata si fanno degli incontri dove si parla del disturbo del comportamento
alimentare e dove viene invitata tutta la popolazione.

Obesità

Il concetto di obesità non è sempre stato associato a quello di condizione morbosa: in passato
testimonianze antropomorfe del Paleolitico, come la Venere di Willendorf (circa 23.000 a.c.)
esprimeva il simbolo della fertilità, quindi veniva vista come un aspetto positivo. Il primo a vedere
nell’obesità un fattore negativo nei confronti della salute umana è stato Ippocrate che in uno dei suoi
Aforismi riporta che «la morte improvvisa è più comune nelle persone grasse che non nelle magre».
L’obesità è la seconda causa prevenibile di mortalità nei paesi occidentali. Per valutare il grado di
nutrizione di una persona normo peso sovrappeso o obeso, si calcola l’indice di massa corporea (IMC
o BMI da body mass index) IMC = peso in kg/quadrato dell’altezza in metri (m) (al numeratore ci sta
il peso espresso in kg che viene diviso per il quadrato dell’altezza espresso in metri.) Se il valore che
si ottiene è compreso tra 18, 5 e 25, la persona è normopeso. Se il valore è inferiore a 18,5 la persona
è in situazione di sottopeso, mentre diventa grave la situazione se supera i 40. (la persona è
gravemente obesa.)

Esistono 2 tipi di obesità:

• Androide (a mela, addominale, viscerale) - “maschile”, è un’obesità che interessa la parte


superiore del corpo (viso, collo, spalle, parte dell’addome sopra l’ombelico) si accompagna
125
con uno sviluppo pronunciato della muscolatura. Questa tipica obesità presenta delle
complicanze: diabete, iperlipoproteinemia, ipercolesterolemia, iperuricemia, ipertensione e
aterosclerosi.
• Ginoide (a pera, sottocutanea) - “femminile” interessa la parte inferiore del corpo (anche,
natiche, cosce, parte dell’addome sotto l’ombelico), la muscolatura è molto meno sviluppata
e sulle complicanze ci sono delle opinioni discordi, alcuni sostengono che possano esserci
delle complicazioni e altri no.

Il BMI non è in grado di distinguere tra queste 2 forme, quindi si ricorre alla misurazione della
circonferenza vita (permette di discriminare l’obesità maschile da quella femminile) che si correla
strettamente alla distribuzione viscerale del tessuto adiposo e al rischio di comorbosità. Per l’uomo il
valore giusto deve essere >94 cm, per la donna >80. Se sono compresi valori tra 94 cm e 102 cm per
l’uomo siamo in una situazione di rischio di malattie aumentate. Per la donna diversamente i valori
devono essere compresi tra 80 e 88 e ciò comporta il rischio di complicanze metaboliche associate
all’obesità.

Epidemiologia dell’obesità

L’obesità interessa la maggior parte dei paesi del Mondo, nel 1998 l’Organizzazione Mondiale della
Sanità ha coniato il termine “epidemia globale dell’obesità” o “globesity” per indicare che bisognava
affrontare questa problematica che si era diffusa in tutto il globo. In Italia, nel 2015: più di 1 persona
su 3 della popolazione adulta (35,3%) era in sovrappeso, 1 persona su 10 era obesa (9,8%).
Complessivamente, il 45,1% dei soggetti di età ≥18 anni erano in eccesso ponderale. Questo problema
era più diffuso nelle regioni meridionali che presentavano una percentuale più alta di persone
maggiorenni in sovrappeso. La percentuale di popolazione in eccesso ponderale cresce all’aumentare
dell’età ed è più diffusa tra gli uomini rispetto alle donne. (sovrappeso: 44% vs 27,3%; obesità: 10,8%
vs 9%).

Rispetto a una persona il cui peso è normale quella obesa ha un rischio molto maggiore di essere
soggetto a malattie come:

• diabete mellito 5-12 volte più alto


• malattie cardiovascolari 2 volte più alto
• infarto 2-3 volte più alto
• ipertensione 3-5 volte più alto
• artriti 2-3 volte
• disturbi ormonali e della fertilità 2 volte più alto
126
• cancro 1,4 volte più alto

Altri problemi di salute

• malattie respiratorie
• problemi psicologici

Numerosi studi epidemiologici hanno dimostrato l’aumento del rischio di mortalità per tutte le cause
a partire da un BMI di 25 in poi, il rischio è molto basso nelle persone normo peso, le persone in
sottopeso hanno un rischio più alto. Il rischio man mano è in aumento in relazione al momento del
BMI. (tabella tasso di mortalità e indice di massa corporea).

Obesità nei bambini

Un problema particolarmente grave è l’obesità tra bambini e adolescenti, fin dall’età infantile
presentano:

• difficoltà respiratorie
• problemi articolari
• disturbi dell’apparato digerente
• disturbi di carattere psicologico

Chi è obeso in età infantile lo è spesso anche da adulto. A fronte di questo per prevenire l’obesità in
età adulta, nel 2018 il CREA (centro di ricerca alimenti e nutrizioni) ha prodotto un volume
contenente le linee guida per una corretta alimentazione.

Indicazioni generali:

• variare a tavola le proprie scelte alimentari;


• fare sempre una sana prima colazione ed evitare di saltare i pasti;
• bere ogni giorno acqua in abbondanza (almeno 2 litri);
• consumare almeno 2 porzioni di frutta e 2 porzioni di verdura ogni giorno;
• consumare quotidianamente cereali integrali (pane, pasta, riso ecc.) ;
• mangiare pesce (fresco o surgelato) almeno 2 volte alla settimana;
• consumare legumi, che forniscono proteine di buona qualità e fibre;
• limitare il consumo di grassi, in particolare di quelli animali, privilegiando l’olio extravergine
di oliva;
• non eccedere nel consumo di sale (meno di 5 g/giorno);
• limitare il consumo di dolci e di bevande caloriche nel corso della giornata.
127
Il consumo di frutta, verdura e legumi esercita un effetto benefico sull’organismo anche perché alcuni
componenti svolgono un’azione di tipo antiossidante (contrastano l’azione dei radicali liberi coinvolti
nei processi di invecchiamento e che sono all’origine di varie forme tumorali), contribuiscono al
controllo del peso, perché ricchi di fibre.

Per contrastare l’ipertensione arteriosa occorre usare poco sale, la riduzione progressiva del consumo
di sale riduce la pressione arteriosa, migliora la funzionalità di cuore, vasi sanguigni e rene, e aumenta
la resistenza delle ossa. Diminuendo il consumo di sodio a meno di 2 g/giorno, si potrebbe ridurre la
pressione sistolica fino a 8 mmHg e la diastolica fino a 4.

- Pesce, contiene grassi buoni ha un effetto protettivo dovuto al tipo di grassi contenuti (omega-3)
che riducono il rischio di malattie cardiovascolari.

- Carne, è importate privilegiare le carni magre (pollo, tacchino, coniglio) limitando il consumo di
carni rosse e grasse (maiale, oca, anatra). Andrebbe evitato il consumo di insaccati, perché spesso
contengono i nitrati che vengono trasformati nel nostro organismo in sostanze ad alto potere
cancerogeno.

- Acqua, il nostro corpo è composto di oltre il 60% di acqua, ma ogni giorno ne perdiamo una parte
attraverso il sudore, l’urina, la respirazione, per compensare queste perdite occorre bere circa 2,5 litri
al giorno per mantenere l’equilibrio nel corpo. Sarebbe meglio consumare acqua dura, ricca di Calcio
e Magnesio, quando si compra un’acqua imbottigliata va controllato il residuo fisso, che dovrebbe
essere almeno superiore a 100 mg/l .

La dieta mediterranea

La dieta mediterranea è un modello nutrizionale ispirato agli stili alimentari tipici negli anni cinquanta
del XX secolo di alcuni paesi del bacino mediterraneo (Italia, Spagna, Grecia e Marocco). È
riconosciuta dall’UNESCO come bene protetto, è stata inserita nella lista dei patrimoni orali e
immateriali dell’umanità nel 2010. Il suo «scopritore» è stato Ancel Keys, per primo ha osservato che
le popolazioni del bacino del Mediterraneo, che consumavano in prevalenza pasta, pesce, prodotti
ortofrutticoli e utilizzavano esclusivamente olio d’oliva come condimento, presentavano una
percentuale di mortalità per cardiopatia ischemica molto più bassa dei soggetti di paesi come la
Finlandia, dove il regime alimentare quotidiano includeva molti grassi saturi (burro, strutto, latte,
carne rossa). Per confermare la sua ipotesi ha dato avvio a uno studio epidemiologico conosciuto
come: Seven countries study, iniziato nel 1958 attraverso cui ha valutato le abitudini alimentari e gli
stili di vita di 12.763 uomini di sette paesi: Stati Uniti, Italia, Finlandia, Grecia, Paesi Bassi, Giappone
e due nazioni dell’ex Jugoslavia (oggi la Croazia e la Serbia). Ha proposto il calcolo di un indice
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(MAI = mediterranean adeguacy indenx) per valutare l’adesione alla dieta mediterranea e ha
correlato i consumi alimentari con l’incidenza e la mortalità di malattie cardiovascolari. E’ un
questionario semplice in cui vengono chieste le abitudini alimentari, dove ad ogni domanda viene
attribuito un punteggio per capire la vicinanza o lontananza con la dieta mediterranea. Tanto più
siamo vicini alla dieta mediterranea e più lontana sarà la possibilità di incorrere in una malattia
cardiovascolare.

La piramide alimentare

Nel 1992 il dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti ha elaborato per la prima volta una
riproduzione grafica a forma di piramide che illustrava le modalità di consumo consigliato per una
sana alimentazione giornaliera, nella piramide gli alimenti venivano misurati non in grammi ma in
porzioni, alla base venivano posti quelli che dovevano dare il maggior contributo all’apporto calorico
totale; all’apice quelli dovevano fornire il minor contributo. Successivamente altre piramidi sono
state costruite, attualmente quella che viene considerata la migliore in termini di promozione e
prevenzione della salute umana è la piramide della dieta mediterranea.

Sulla base della piramide si trovano i cibi che vanno consumati sempre a tutti i pasti (frutta e verdura,
olio, cereali integrali), e invece una volta al giorno occorre scegliere tra pesce, pollame, uova, alimenti
come tofu, soia, frutta secca ecc. Importante è cercare di limitare a un consumo settimanale i latticini,
perché nell’adulto il latte può indurre a proliferazione di cellule anche tumorali a livello del seno per
la donna, anche se tutt’ora ci sono degli studi in corso.

La piramide è eco sostenibile, è stato visto infatti che consumano più risorse ambientali i cibi che
stanno all’apice della piramide mediterranea, mentre consumano poche risorse ambientali i cibi che
stanno alla base.

La piramide della dieta mediterranea non solo suggerisce un’alimentazione molto sana ma indica
anche un’alimentazione ecosostenibile. (impronta ecologicaà area biologicamente produttiva di
mare e di terra necessaria a rigenerare le risorse consumate da una popolazione umana e ad assorbire
i rifiuti prodotti di 12,3 m2 /giorno; immette nell’atmosfera circa 2,2 kg di CO2 /giorno.)

La dieta nordamericana comprende prevalente consumo di carne e di alimenti contenenti alte


concentrazioni di zuccheri e grassi. (impronta ecologica di 26,8 m2 /giorno, immette nell’atmosfera
circa 5,4 kg di CO2 /giorno.

129
Gli effetti di una corretta alimentazione

È universalmente accettato che un calo ponderale, anche modesto, dell’ordine del 5-10% del peso
iniziale, ma mantenuto nel tempo, è sufficiente a:

• ridurre gli eventi cardiovascolari, la mortalità per malattie cardiovascolari e la mortalità per
ogni causa in pazienti con precedenti infarti del miocardio.
• abbassare la mortalità per diabete in misura superiore al 30% e la mortalità per ogni causa di
oltre il 20% in pazienti con diabete di tipo 2.
• diminuire del 58% il rischio di sviluppare diabete di tipo 2 in soggetti in sovrappeso e con
intolleranza glucidica.
• migliorare, tanto da consentire di ridurre o sospendere la terapia farmacologia, sia
l’ipertensione arteriosa, che le anomalie dell’assetto lipidico e glucidico.

Cibi ultraprocessati

Si tratta di cibi che tra gli ingredienti non comprendono niente di naturale, sono alimenti lavorati che
non si trovano nelle nostre cucine. Tra gli ingredienti troviamo additivi il cui scopo è quello di imitare
le qualità sensoriali di ingredienti naturali, o di mascherare le qualità sensoriali indesiderabili del
prodotto finale.

Gli alimenti ultra-processati hanno almeno una o più di queste caratteristiche:

• elevate quantità di grassi totali, grassi saturi, zuccheri e sale;


• scarso contenuto di fibre, vitamine e minerali;
• contenere sostanze come acrilamide, ammine eterocicliche e idrocarburi policiclici aromatici,
a seguito dei trattamenti termici;
• additivi alimentari come nitriti e nitrati nelle carni conservate;
• contaminanti da imballaggi (es. interferenti endocrini come il bisfenolo).

Alcuni cibi ultra-processati:

• Pasti liofilizzati o «fortificati» e sostituti di piatti


• Zuppe, minestre, spaghetti e dessert istantanei confezionati
• Formaggio industriale o formaggio spalmabile con altri ingredienti oltre latte, panna e sale
• Pollame e pesce in crocchette o bastoncini
• Salumi, salsicce, hamburger, hot dog e altri prodotti a base di carne con aggiunta di nitriti
• Sughi pronti

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• Estratti di carne
• Salse pronte
• Spuntini confezionati dolci o salati
• Biscotti industriali, caramelle, confetteria, gelati, pasticcini, torte industriali e miscele di torte
• Cereali da colazione raffinati e barrette “energetiche”
• Bevande gassate, zuccherate, energetiche e latti aromatizzati
• Creme spalmabili dolci e salate

NutriNet-Santé Study

E’ uno studio di Coorte, iniziato nel 2009 in Francia, in cui sono stati arruolati soggetti con età
superiore ai 18 anni e con possibilità di accesso a Internet. Il reclutamento si è concluso nel gennaio
2018. Attraverso l’uso di questionari validati, sono state raccolte informazioni di tipo socio-
demografico, inerenti il loro stile di vita, di tipo antropometrico, relative alla alimentazione, alla
attività fisica e allo stato di salute. Tutti i questionari sono compilati online. (l’assunzione giornaliera
di alcool, micronutrienti, macronutrienti ed energia viene calcolata utilizzando il database NutriNet-
Santé)

NutriNet-Santé Study – alcuni risultati

Le persone che consumavano il 10% di alimenti ultra-processati rispetto ad altri, avevano il 10% di
rischio di sviluppare tumori, specialmente se la persona era una donna in meno-pausa il tumore più
sviluppato era quello al seno o il tumore del colon retto. Un maggiore consumo di alimenti ultra-
processati è risultato associato inoltre a maggiori rischi di sviluppare malattie cardiovascolari,
coronariche e cerebrovascolari. Questi risultati devono essere confermati in altre popolazioni. Le
autorità sanitarie pubbliche di diversi paesi hanno recentemente iniziato a promuovere il consumo di
alimenti non trasformati o minimamente trasformati e a raccomandare di limitare il consumo di
alimenti ultra processati.

Interventi di prevenzione per una sana alimentazione

• Leggere le etichette
• controllare l’elenco degli ingredienti, che sono elencati in ordine decrescente di quantità (al
primo posto quello presente in quantità maggiore e via via fino a quello presente in quantità
minore)
• più corto è l’elenco, migliore è la qualità…
• non dovrebbe contenere ingredienti che non sono di uso nella cucina domestica…

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• scegliere alimenti senza grassi idrogenati (industriali), con il minor contenuto di grassi totali
e soprattutto di acidi grassi saturi e senza grassi aggiunti
• controllare il paese di produzione ( cercare di acquistare prodotti italiani)
• controllare la data di scadenza
• controllare la tabella nutrizionale (valore energetico, grassi totali, acidi grassi saturi,
carboidrati, zuccheri semplici, proteine, sale)
• Evitare cibi ultra processati.
• Politiche fiscali: tassare i prodotti a più alto contenuto calorico e di grassi e sussidiare il
consumo di quelli “più sani”, anche se in realtà i cibi ultra processati costano meno rispetto a
quelli sani.
• Politiche per la qualità della vita: favorire stili di vita più sani (più piste ciclabili, più piscine,
più piste per correre, più tempo libero…)
• Informazione: informazioni nutrizionali obbligatorie in etichetta;
• Educazione: programmi di educazione all’alimentazione (soprattutto nelle scuole).

Strategie di prevenzione primaria dell’obesità

Un esempio di progetto «OKkio alla Salute».

OKkio alla SALUTE è parte di un più ampio progetto del Ccm “Sistema di indagini sui rischi
comportamentali in età 6-17 anni”, promosso dal Ministero della Salute in collaborazione con il
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Il progetto è iniziato nel 2008, ha una
periodicità biennale, riguarda le classi terze primarie (bambini di 8-9 anni) e prevede l’acquisizione
di informazioni su parametri antropometrici, abitudini alimentari, attività fisica ed eventuali iniziative
scolastiche favorenti la sana nutrizione nei bambini in età scolare.

La fase conoscitiva è avvenuta tramite la somministrazione di questionari:

1. ai bambini con domande che raccolgono informazioni su:


- attività fisica
- comportamenti sedentari (utilizzo di TV e videogiochi)
- alimenti consumati a colazione e merenda nelle ultime 24 ore
2. Ai genitori con domande sugli stessi argomenti ma riferiti ad un periodo di tempo più ampio.
3. Al dirigente scolastico per raccogliere informazioni sull’ambiente scolastico e sulla presenza
di eventuali iniziative di promozione della salute intraprese dalla scuola.

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Le valutazioni antropometriche dei bambini sono state raccolte da operatori delle ASL appositamente
formati e dotati di strumenti identici in tutto il territorio nazionale e registrati in una scheda
antropometrica.

Fase formativa (intervento)à sono stati realizzati alcuni materiali da utilizzare sia all’interno della
Scuola sia in contesti extrascolastici per consentire ai bambini e agli adulti di acquisire conoscenze e
competenze che rendano possibile uno stile di vita salutare. (2 tipi di interventi)

• Forchetta e Scarpetta è un kit educativo multimediale su Cd-Rom, rivolto agli studenti della
Scuola primaria e secondaria di primo grado
• Canguro saltalacorda: sono stati allestiti dei poster per pediatri e totem per le scuole, in
maniera semplice e colorata viene informato il bambino e il genitore in particolare su come
bisogna agire, mangiando frutta e verdura 5 volte al giorno, consumare cereali, latte e yogurth,
carne pesce ecc e in particolare di non saltare la colazione.

(Lo studio OKkio alla Salute avviene ogni due anni e vengono reclutati bambini di 8/9 anni.)

I dati del 2019 mostrano che rispetto all’inizio dello studio:

• il 8,7% non consuma la prima colazione e il 35,6% la consuma in maniera inadeguata.


• il 55,2% consuma una merenda troppo abbondante di metà mattina
• la frutta e/o verdura è consumata dal 24,3% dei bambini
• il 25,4% consuma tutti i giorni bevande zuccherate e/o gassate
• i legumi sono consumati dal 38,4% dei bambini meno di 1 volta a settimana
• il 48,3% e il 9,4% consuma rispettivamente snack dolci e salati più di 3 giorni a settimana.
• I bambini in sovrappeso sono il 20,4%
• I bambini obesi sono il 9,4%
• Le femmine in sovrappeso e obese sono rispettivamente il 20,9% e l'8,8%
• I maschi in sovrappeso e obesi sono il 20,0% e il 9,9% 49 OKkio alla Salute

Non diminuisce però la percezione materna dello stato di salute dei propri figli:

• il 40,3% dei bambini in sovrappeso o obesi è percepito dalla madre come sotto-normopeso
• il 59,1% delle madri di bambini fisicamente poco attivi ritiene che il proprio figlio svolga
attività fisica adeguata
• tra le madri di bambini in sovrappeso o obesi, il 69,9% pensa che la quantità di cibo assunta
dal proprio figlio non sia eccessiva

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• Il 75% delle scuole campionate ha la mensa, il 43% prevede la distribuzione di alimenti sani,
l’81% prevede l’educazione nutrizionale curriculare, il 34% coinvolge i genitori nelle
iniziative delle sane abitudini a tavola.

Alcuni fattori che influenzano le scelte alimentari:

Le problematiche si legano:

• Fattore demografico ( invecchiamento della popolazione; diminuzione della dimensione delle


famiglie
• aumento dei singles; flussi di immigrazione di soggetti con tradizioni alimentari estremamente
diverse).
• Reddito pro-capite in quanto gli alimenti sani sono maggiormente costosi.
• Trasformazioni delle abitudini di vita e di lavoro (pasti fuori casa, nuovi orari di lavoro,
utilizzazione del tempo libero, viaggi, ecc.)
• Crescita culturale generale della popolazione e quella specifica in tema di alimentazione, in
quanto le persone pensano di essere fortemente formate dall’alimentazione ma in realtà hanno
attinto da fonti non corrette. Spesso nel web vengono sponsorizzate delle diete alimentari che
vengono sponsorizzate come un’alimentazione che sia fortemente salubre e contribuisca al
miglioramento fisico, ma in realtà tanti di questi schemi dietetici non sono validi, ma
considerati inefficienti.

Sicurezza alimentare

Dal consumo di alimenti di cattiva qualità igienica possono derivare rischi per la salute dell’uomo.

I contaminanti che l’alimento può veicolare sono:

1. fisici (corpi estranei) - 3% delle contaminazioni


2. chimici (tossine, fitofarmaci, ormoni, additivi, contaminanti xenobiotici ecc.) - 4% delle
contaminazioni
3. biologici (microrganismi e macroparassiti) - 93% delle contaminazioni
1. Contaminazione fisica
Sono contaminazioni accidentali e si verificano quando negli alimenti finiscono dei corpi estranei che possono
essere contenuti nelle materie prime, oppure cadere nel prodotto alimentare in fase di lavorazione come
frammenti di vetro, sassi, legno, plastica, metalli, capelli, peli, insetti o parti di insetti…

Possono derivare anche dalle operazioni di pulizia e di manutenzione degli impianti di produzione,
immagazzinamento e conservazione alimentare.

134
I prodotti alimentari più soggetti a questa contaminazione sono i vegetali (terriccio e frammenti di varia natura
che si cerca di eliminare con lavaggio, setacciatura e vagliatura)

Ci sono delle situazioni particolari come quella che è successa il 18 maggio 2012; un 14enne trova un dito nel
sandwich: È di un impiegato del Fast Food Arby's, fast food cult degli Usa. Ryan Hart, un 14enne di Jackson,
ha trovato nel suo hamburger, oltre a ketchup, formaggio fuso e cetriolini, anche un pezzo di dito umano: un
impiegato del fast food lo aveva «perso» mentre lavorava con l’affettatrice. Grave l'atteggiamento dei colleghi,
che avrebbero continuato il proprio lavoro incuranti dell’incidente. (Fatto che è successo anche a Palermo in
una gelateria).

2. Contaminazione chimica
I contaminati chimici sono molteplici sostanze diverse:

• sostanze tossiche che possono essere presenti naturalmente nell’alimento


• tossine prodotte da muffe (micotossine)
• metalli pesanti, diossine e altri xenobiotici che derivano da inquinamento ambientale
• idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e nitrosammine che derivano da processi di conservazione
(affumicatura) o da processi di cottura
• residui dei processi produttivi (ormoni, fitofarmaci, diserbanti, promotori di crescita, antibiotici,
additivi alimentari volontari, conservanti…)
La provenienza di questi numerosi contaminanti è varia, possono derivare da: materie prime, cessione dei
materiali impiegati per il confezionamento, residui di pratiche agronomiche, veterinarie (antibiotici) e
zootecniche (ormoni), contaminazione ambientale (inquinamento chimico, fallout radioattivo), tecniche di
cottura.

3. Contaminazione biologica
La maggior parte delle contaminazioni alimentari avvengono attraverso la contaminazione biologica. Gli
alimenti possono essere contaminati da:

• microrganismi (batteri, muffe, lieviti e virus)


• macroparassiti (protozoi, elminti, artropodi)
Sono 3 i tipi di germi presenti negli alimenti

• microrganismi alterativi, che determinano modificazioni delle caratteristiche organolettiche e


nutrizionali dell’alimento, ma non causano danni alla salute umana
• microrganismi protecnologici, in grado di produrre alimenti (per esempio, yogurt, formaggi, funghi)
o conferire particolari caratteri organolettici, che servono ad ottenere un prodotto migliore a partire da
una materia prima
• microrganismi patogeni, agenti causali di varie patologie nel consumatore (salmonelle, shigelle,
vibrioni, enterococchi, clostridi, stafilococchi)

135
Come ci finiscono questi contaminanti negli alimenti? La contaminazione può essere:

• primaria: le materie prime sono contaminate in quanto derivano da animali infetti


• secondaria: la contaminazione deriva da fasi di manipolazione dell’alimento nelle quali la
contaminazione può essere dovuta a veicoli (acqua, terra, superfici di lavorazione dell’alimento),
vettori (insetti, roditori) o uomo (portatori, questo tipo di contaminazione viene definita crociata).
Le malattie trasmesse dagli alimenti sono circa 250 e possono dare origine a tre tipi di malattie diverse:

• infezioni alimentari à i microrganismi causano malattia riproducendosi nell’organismo umano,


spesso la malattia è una gastroenterite, un esempio è la salmonellosi
• intossicazioni alimentari à si verificano quando si ingerisce un alimento nel quale sono presenti
sostanze tossiche (particolari proteine dette esotossine) prodotte da batteri patogeni che si sono
moltiplicati nell’alimento, a causare la malattia sono le sole tossine ingerite (non il microrganismo),
un esempio è il Clostridium botulinum
• tossinfezioni in senso stretto à i microrganismi si replicano nell’organismo umano e producono
tossine
Clostridium botulinum

È un agente patogeno particola, è ubiquitario, anaerobio obbligato (non può vivere in presenza di ossigeno e
per questo produce le spore fortemente resistenti alle condizioni esterne), sporigeno e mobile.

La forma vegetativa produce alcune tossine che sono le più potenti tossine biologiche conosciute: 1µg
(microgrammo) contiene circa 1 dose minima letale per l’uomo. Sono proteine termolabili, quindi al momento
della cottura il botulino cessa la sua forma vegetativa e perde di pericolosità per l’uomo.

Nb: La condizione necessaria per la germinazione della spora e la produzione di tossina è l’assenza di ossigeno.

Il cibo fresco può facilmente contenere spore, data l’abbondanza di queste nel terreno, quando il cibo viene
trasformato (ad es. in conserva) se le spore non sono state distrutte, possono trovare nel cibo le condizioni
adatte per germinare e trasformarsi in forma vegetativa. Il C. botulinum si sviluppa ed elabora le sue tossine
negli alimenti solo quando essi si trovano in condizioni di anaerobiosi, basso contenuto salino/zuccherino,
buona disponibilità di acqua e valori di pH > 4,5.

La tossina dopo essere stata ingerita viene assorbita a livello intestinale e raggiunge le fibre nervose che
trasmettono ai muscoli gli impulsi per la contrazione. Il periodo di incubazione è di solito compreso tra 12 e
36 ore, ma può andare da 2 ore a 6 giorni.

Nel primo stadio della malattia possono comparire nausea, vomito, dolore addominale e diarrea, che
generalmente non sono dovuti all’azione del botulino ma ad altri microrganismi presenti nell’alimento.
Successivamente la tossina danneggia la trasmissione dell’impulso nervoso e determina paralisi flaccide
muscolari. Il paziente è cosciente e senza febbre.

136
I primi sintomi caratteristici del botulismo solitamente compaiono entro le circa 24-72 ore dall’ingestione
dell’alimento contaminato e consistono in:

• sdoppiamento della vista, difficoltà di messa a fuoco, difficoltà a tenere le palpebre aperte, dilatazione
delle pupille, secchezza delle fauci e difficoltà di deglutizione, paralisi.
Nei casi più severi, la paralisi dei muscoli coinvolti nella respirazione necessita che venga instaurata una
respirazione assistita (ventilazione meccanica).

Una paralisi parziale può persistere per 6-8 mesi fino a quando la crescita di nuovi fasci nervosi sostituirà
quelli danneggiati.

La morte può sopraggiungere tra il 3° e il 10° giorno.

Sono disponibili presso il Ministero della Salute i sieri antitossici per il trattamento specifico, il trattamento
con l’antitossina è efficace soltanto nei primi giorni dopo l’assunzione dell’alimento contaminato, in quanto
agisce sulla tossina che si trova circolante a livello sanguigno e non ha azione sulla tossina che ha già
danneggiato le terminazioni nervose.

I dati di laboratorio attribuiscono i casi di botulismo principalmente al consumo di:

• conserve vegetali artigianali sott’olio o in salamoia (per esempio funghi, melanzane, etc.) nel 65% dei
casi
• salumi fatti in casa nel 7%
• alimenti commerciali (tonno in scatola, mascarpone, formaggio) nel 14% dei casi
Prevenzione delle malattie trasmesse da alimenti

Nella ristorazione le contaminazioni microbiche degli alimenti sono tenute sotto controllo con l’applicazione
delle norme dell’HACCP (Hazard Analysis and Critical Control Points).

Per la prevenzione in ambiente domestico (che è il principale luogo di intossicazione), è necessario informare
la popolazione circa le buone prassi igieniche.

In particolar modo sono stati individuati dall’OMS 5 punti fondamentali (WHO: Five Keys for Safer Foods)

1. mantieni le mani e le superfici pulite


2. separa gli alimenti crudi e cotti
3. cuoci bene gli alimenti
4. mantieni gli alimenti a idonee temperature
5. usa acqua e ingredienti crudi sicuri
Per la prevenzione del Botulismo l’ISS ha predisposto un volume illustrativo scaricabile da internet e di facile
comprensione.

137
Le conserve e le marmellate fatte in casa dovrebbero tutte essere bollite dopo averle distribuite nei barattoli il
tempo necessario per produrre in modo sicuro conserve alimentari caratterizzate da bassa acidità a bagnomaria
bollente varia da 7 a 11 ore, quello necessario per gli alimenti acidi varia da 5 a 85 minuti.

Ciò nonostante la popolazione disattende tali indicazioni perché non percepisce come rischiosa la
manipolazione in ambito domestico degli alimenti

• fattori demografici: età e genere - maschi tra i 17 e i 26 anni risultano meno informati e quindi più a
rischio
• psicologici: bias dell’ottimismo (capita agli altri ma non a me), illusione di controllo, abitudini
• socio-economici: la percezione del rischio varia in funzione del reddito (minore reddito, minore
percezione del rischio)
Emerge quindi la necessità di sviluppare una forma di comunicazione più efficace per migliorare la sicurezza
alimentare in ambito domestico.

Bevande alcoliche

Le bevande alcoliche non sono nutrienti e fanno acquisire «calorie vuote» ossia apportano calorie
all’organismo ma sono povere (vuote) di macro e micronutrienti.

L’etanolo è in grado di apportare 7 kcal/grammo e per smaltire le calorie di paio di bicchieri di una bevanda
alcolica occorrerebbe: ballare per 35 minuti, camminare per 50 minuti, nuotare per 30 minuti.

Etanolo

È la droga psicoattiva più antica, più nota e più diffusa nel Mondo ed è parte integrante del nostro modo di
vivere, delle abitudini sociali, convenzioni, riti, modi di affrontare la vita e le difficoltà ad essa connesse; ciò
fa sì che esista un notevole grado di tolleranza anche nei confronti di chi ne fa un uso continuo ed esagerato.

È dotato di elevata tossicità e di provato potere cancerogeno ed è emerso che è un fattore di rischio per circa
60 diverse malattie, disturbi e problemi sanitari, produce numerosi danni sociali, familiari ed economici.

Se l’etanolo fosse stato scoperto oggi, i risultati dei test di tossicità non avrebbero permesso la sua immissione
nel mercato, oltre a questo è una droga perché è in grado di indurre stato di dipendenza e stato si assuefazione.

Le raccomandazioni dell’OMS sono:

• fare un uso moderato che consiste nel consumo durante i pasti di: 2-3 unità alcoliche al giorno per
l’uomo, 1-2 unità alcoliche al giorno per le donna e 1 unità alcolica al giorno per gli anziani. L’unità
alcolica corrisponde alla quantità di alcol contenuta in un bicchiere di vino piccolo (125 ml) di media
gradazione o in una lattina di birra (330 ml) di media gradazione o in un bicchierino di superalcolico
(40 ml).

138
• Per i giovani fino a 18 anni, l’OMS raccomanda l’astensione totale dal consumo di alcol (non sono
ancora in grado di metabolizzare adeguatamente l’alcol)
Consumi di alcol diversi dalle raccomandazione dell’OMS sono considerati comportamenti a rischio come il
consumo abituale eccessivo di vino, birra o altri alcolici, che supera le quantità raccomandate ma anche gli
episodi di ubriacatura concentrati in singole occasioni (binge drinking = oltre 6 bevande alcoliche in un tempo
ristretto con la finalità di ubriacarsi) o qualsiasi tipo di consumo per i ragazzi sotto i 18 anni.

Il consumo di alcol

Secondo l’OMS (2014) in media ogni persona nel Mondo (di età maggiore ai 15 anni) consuma ogni anno 6,2
litri di alcol puro, dato che solo il 38,3% della popolazione beve alcolici, coloro che bevono davvero
consumano una media di 17 litri di alcol puro/anno.

L’Unione Europea è la regione con il più alto consumo di alcol al mondo.

In Italia sono circa 35.000.000 i consumatori di bevande alcoliche, tra questi circa 800.000 sono minori, ai
quali la vendita e somministrazione di bevande alcoliche sarebbe vietata. Oltre 5.600.000 di persone, in
particolare adulti in età produttiva e anziani, eccede su base quotidiana le quantità di alcol tollerate dalle linee
guida e in maniera sempre più crescente fuori pasto.

In Italia il binge drinking è la modalità prevalente di consumo di alcol per 1.700.000 giovani (il 17% dei
giovani tra i 18 ed i 24 anni di età) il 21,8% maschi e l’11,7% femmine.

Sempre in Italia circa la qualità del bere, sono in calo i consumi esclusivi di vino e birra, soprattutto fra i
giovani e le donne, e in aumento quelli di aperitivi, amari e superalcolici, in aggiunta a vino e birra, specie tra
giovani, adulti sopra i 44 anni e anziani.

Alcol e fumo sono frequentemente associati soprattutto tra gli uomini.

Assorbimento e distribuzione dell’alcol nell’organismo

Viene rapidamente assorbito da parte di tutto il tratto gastro-intestinale:

• il 5% circa nella bocca


• il 15% nello stomaco
• l’80% nell’intestino tenue
Poco dopo un’ora si raggiunge il tasso massimo di alcolemia, che poi diminuisce progressivamente tornando
al livello basale entro 4 ore. Attraverso il circolo sanguigno viene distribuito a tutto l’organismo, in particolar
modo raggiunge il fegato dove viene decomposto (80-90%) dall’enzima alcol-deidrogenasi e da altri sistemi
enzimatici.

Le quantità di alcol che vengono metabolizzate dall’organismo variano da 60 a 200 mg/kg/ora, questo significa
che un soggetto di 70 kg può metabolizzare circa 7g di alcol ogni ora.

139
NB: una parte viene metabolizzata anche a livello del tratto digerente (in particolare nello stomaco) sempre ad
opera della alcol-deidrogenasi. L’alcol-deidrogenasi presente nello stomaco riduce la quantità di alcol che
arriva all’intestino e che può essere assorbita, questo enzima è presente in quantità minore nella donna (pari a
circa la metà rispetto a quella dell’uomo), per questo la donna non può assumere le stesse quantità di alcol
dell’uomo, ma circa un 50% in meno.

Percentuali variabili tra il 2 e il 10% vengono eliminate attraverso l’urina, le feci, il respiro, il latte materno, le
lacrime, il sudore, la traspirazione.

La curva alcolemica può subire sensibili variazioni in funzione di molteplici fattori, i più importanti dei quali
sono:

• la quantità di alcol ingerito


• il ritmo e la frequenza delle assunzioni nel tempo
• la concentrazione delle bevande alcoliche utilizzate
• la presenza di cibi nello stomaco al momento dell'assunzione
• la qualità dei cibi stessi
La curva alcolemica è responsabile di alcuni degli effetti dell’alcol.

Effetti dell’alcol

Gli effetti sono molti, a breve o a lungo termine e danneggiano molti organi, dipendono dalla concentrazione
di alcol nel sangue (tasso alcolemico o alcolemia).

Il tasso alcolemico si misura in grammi di alcol/litro di sangue: un tasso alcolemico di 1g/litro indica che in
ogni litro di sangue del soggetto è presente 1 grammo di alcool puro (può venire espresso anche nella forma
1/1000 oppure 0,1 %).

Che cosa succede in relazione al picco alcolemico e gli effetti dei diversi tassi alcolemici (intossicazione acuta):

• Da 0,2 a 0,5 per mille (spesso sottovalutato): riduzione della capacità visiva e uditiva, calo
dell’attenzione, della concentrazione e della capacità di reazione, del senso critico e della capacità di
giudizio, aumento della disponibilità al rischio
• Da 0,5 per mille: aumento della disinibizione e della presunzione
• Da 0,8 per mille: restringimento del campo visivo (effetto tunnel = il campo visivo tende a restringersi
impedendo di vedere ostacoli e veicoli lateralmente), euforia, crescente disinibizione
• Da 1 a 2 per mille: stato di ebbrezza confusione, disturbi del linguaggio, dell’orientamento,
disinibizione e conseguente sopravvalutazione di sè, perdita della capacità critica; a partire da questo
stadio sono possibili crisi epilettiche
• Da 2 a 3 per mille: stato di stordimento rilassamento muscolare, offuscamento della memoria e della
coscienza, stato confusionale, vomito

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• Da 3 a 5 per mille: stato di paralisi perdita di coscienza, perdita di memoria, respiro debole, ipotermia,
perdita dei riflessi
• Oltre il 4 per mille: paralisi, coma, escrezione incontrollata, arresto respiratorio e possibile decesso.
Le evidenze scientifiche suggeriscono che l’allegria alcolica raggiunga un picco quando la concentrazione di
alcol nel sangue è pari allo 0,5-0,6 per 1.000, dopo questa soglia, prevalgono gli effetti negativi. Chi non vuole
rinunciare a un bicchiere o due dovrebbe mantenersi entro questo limite.

Sulle decisioni di ciascuno ha un forte ruolo anche la pressione sociale: decidere di fermarsi in un contesto in
cui tutti gli altri continuano a bere è, anche inconsapevolmente, molto difficile

Abuso cronico (alcolismo)

Per alcolismo si intende una serie di diverse condizioni patologiche (di ordine fisico, psichico e sociale) indotte
dal consumo eccessivo e cronico di alcol.

L’alcolismo è definito dalla contemporanea presenza di:

• perdita di controllo del consumo di alcolici


• modificazione del modello di consumo con comparsa di desiderio compulsivo
• incapacità di rinunciare all’assunzione di alcol (dipendenza), dovuta all’irresistibile desiderio legato
al piacere dell’assunzione (dipendenza psichica), con tendenza ad aumentare la dose per mantenere lo
stesso effetto (tolleranza) e per evitare la sintomatologia dell’astinenza (dipendenza fisica)
• cambiamento dello stile di vita con tendenza all’isolamento, fino alla perdita delle abituali relazioni
sociali
• problemi familiari (o della rete sociale) che possono giungere alla disgregazione del tessuto familiare.
I danni più evidenti da abuso di alcol sono a carico del sistema nervoso centrale, l’alcol può danneggiare le
cellule nervose sia direttamente sia indirettamente alterando le arterie cerebrali, con degenerazione del tessuto
nervoso e rischio di emorragie.

Le manifestazioni cliniche a breve termine più frequenti sono:

• allucinosi alcolica: le allucinazioni sono solitamente uditive, ma occasionalmente possono essere


visive, tattili o olfattive
• psicosi (o sindrome) di Korsakoff: amnesia con confabulazione (consiste nella costruzione fantastica
di falsi ricordi riferiti a situazioni ed avvenimenti irreali), confusione mentale, cambiamenti di
personalità improvvisi, apatia
• delirio di gelosia: il decorso più comune va dal dubbio alla certezza del tradimento del coniuge, che si
associa alla continua ricerca di prove, attraverso un continuo controllo del partner, con forte
partecipazione affettiva (scoppi d’ira o chiusura) ▪ coinvolge soprattutto uomini in età avanzata
• delirium tremens: di solito è causato dall’astinenza da alcool in soggetti affetti da alcolismo cronico,
si verifica solo negli individui che hanno assunto elevate quantità di alcol per più di un mese circa
141
dopo 3 giorni dall’inizio dell’astinenza e si protrae per altri 3 o 4 giorni, le persone possono essere
vittime di allucinazioni, gli effetti fisici includono tremore, brividi, battito cardiaco irregolare e
sudorazione, in casi più rari si può verificare una ipertermia o un attacco epilettico, che possono portare
alla morte.
Gli effetti dell’alcol a lungo termine sono:

1. Danni a carico dell’apparato gastro-enterico: gravi stati infiammatori con tendenza alla
cronicizzazione (gastrite cronica atrofica dell'alcolista) e perforazioni della mucosa (ulcere allo
stomaco o all’intestino), emorragie
2. Danni al fegato: steatosi epatica (fegato grasso), epatite alcolica (distruzione delle cellule epatiche),
cirrosi
3. Danni a carico dell’apparato cardiovascolare: piastrinopenia (riduzione delle piastirne che possono dar
origine ad emorragie importanti)
4. Può causare tumori della bocca, della faringe, dell’esofago e della mammella
5. Può causare danni al sistema cardio-circolatorio (lesioni arteriose)
L’alcol è inoltre responsabile di molti danni indiretti (danni alcol-correlati), dovuti a comportamenti associati
a stati di intossicazione acuta: comportamenti sessuali a rischio, infortuni sul lavoro, episodi di violenza ma
anche incidenti stradali provocati dalla guida in stato d’ebbrezza.

Si stima che in Europa sia attribuibile all’uso dannoso di alcol il 25% dei decessi tra i ragazzi di 15-29 e il 10%
dei decessi tra le ragazze di pari età.

La normativa attuale italiana stabilisce come valore limite legale il tasso di alcolemia di 0,5 g/litro, guidare un
veicolo oltre questo limite costituisce un reato. Nel 2016 si sono registrate 41.000 violazioni del codice della
strada per guida in stato d’ebbrezza (giovani sotto i 24 anni e gli ultra65enni).

Circolano "leggende" riguardo alla possibilità di ritardare l’assorbimento dell’alcol: mangiare patate, cipolle,
liquirizia, cibi grassi, oppure aggiungere zucchero alle bevande ecc. In realtà la diffusione dell’alcool e il suo
metabolismo obbediscono a meccanismi insensibili a tutto ciò.

Per evitare i danni dell’alcol alla guida è necessario non bere o bere in modo molto moderato, oppure bere
alcolici a bassa gradazione, comunque, rispettare i tempi di smaltimento da parte del fegato.

Stima delle morti alcol-correlate nei Paesi dell’Unione Europea (2006):

1. Cirrosi epatiche 66.000


2. Tumori alcol-correlati 60.000
3. Incidenti stradali 28.000
4. Incidenti sul lavoro e domestici 27.000
5. Neuro-psicosi alcoliche 26.000
6. Suicidi 10.000

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7. Omicidi 2.000
Totale 219.000

Alcol e gravidanza

L’alcol è particolarmente pericoloso per il bambino, gli effetti di danno sulla gravidanza e sul prodotto del
concepimento sono:

• effetto teratogeno diretto


• parti prematuri, per anomalie di contrazione della muscolatura uterina, durante le ultime settimane di
gestazione
• fetopatia alcolica (descritta per la prima volta nel 968), caratterizzata da: microencefalia, ritardo di
crescita prenatale, ritardo di crescita postnatale, disfunzione dei movimenti fini, difetti cardiaci,
anomalie dei genitali esterni, anomalie dell’orecchio interno, ritardo mentale.
Malgrado ciò il 14% delle donne italiane consumano alcolici durante la gravidanza.

Binge drinking

Perché il binge drinking?

La maggior parte dei giovani bevono e si ubriacano per ragioni positive, per enfatizzare uno stato d’animo di
per sé già positivo e non allo scopo di non pensare ai propri problemi o di superare il proprio senso di
inadeguatezza.

Una minoranza di giovani lo fa per ragioni negative, per problemi personali e difficoltà di rispondere alle attese
sociali, l’alcol viene considerato come mezzo attraverso cui dimenticare preoccupazioni, allentare freni
inibitori e timidezza «È più facile rifiutare una sigaretta che un chupito».

Interventi di prevenzione

Tre obiettivi principali:

• agire sulle bevande alcoliche: cercare di rendere le bevande alcoliche meno nocive possibile, ciò può
ottenersi promuovendo la lotta alle sofisticazioni, cercando di migliorare i prodotti (es. vini DOC)
abbassando il contenuto alcolico
• l’ambiente sociale: ridurre il consumo globale pro capite di alcol esercitando un’azione diretta su:
prezzo e pubblicità degli alcolici, produzione di bevande non alcoliche, regolamentazione dei punti di
vendita e proibizione della vendita ai giovani sotto una certa età (16 anni)
• soggetti singoli e/o popolazione generale far conseguire una consapevole presa di coscienza sulla
gravità degli effetti derivabili dall’uso dell’alcol mediante una diffusa e adeguata attività di educazione
sanitaria e pubblicizzare i servizi per le dipendenze (SERT o SERD), i centri di disassuefazione ai
quali gli alcolisti possono rivolgersi

143
Alcuni consigli del Ministero della Salute

Ricordare che l’alcol non è un nutriente e che il suo abuso può provocare danni alla salute.

Le bevande alcoliche fanno ingrassare, non esiste una quantità di alcol sicura o raccomandabile, privilegiare,
nel bere, bevande a bassa gradazione alcolica (vino e birra) ed evitare i superalcolici, bere al pasto principale
e mai a digiuno, bere moderatamente ed evitare di mettersi alla guida se si è bevuto, evitare di mescolare
diversi tipi di bevande alcoliche, fare attenzione all’interazione fra farmaci e alcol ed evitare di bere alcolici in
gravidanza e durante l’allattamento, sotto i 16 anni o in caso di patologie e sovrappeso.

Sono campanelli di allarme: vuoti di memoria, frequenti dimenticanze, senso di solitudine, depressione, bere
appena svegli

Stili di vita e salute: abitudine al fumo


Fumo di tabacco

Secondo l’OMS, il fumo di tabacco è a pari merito con l’alimentazione, il più importante fattore di rischio
per le malattie cronico-degenerative. Pertanto, ritiene che ‘’la sigaretta è uno strumento di morte verso cui la
neutralità non è possibile’’ (Organizzazione Mondiale della Sanità).
Secondo i dati che abbiamo a disposizione, il fumo di tabacco è la prima causa di morte evitabile nella UE.
La IARC ovvero l’Agenzia Internazionale Ricerca sul Cancro ha inserito il fumo in classe I = cancerogeno
certo per l’uomo.
In Europa, la conoscenza di questa abitudine, avviene tramite le prime notizie relative al fumo di tabacco che
si trovano in uno scritto del frate dominicano Bartolomé de las Casas intitolato “Historia General de las
Indias” in cui viene descritto come le popolazioni native dell’America erano solite fumare in pipe di pietra
un’erba denominata “tabago”.
In generale, nelle popolazioni dei nativi americani il fumo aveva un ruolo nei riti magici, sia come elemento
propiziatorio che come ipnotico per favorire il raggiungimento dell’estasi (fondamentale per la
comunicazione con gli dei).
Dopo la seconda spedizione verso le Indie di Cristoforo Colombo, un frate di nome Romano Pace riportò in
Europa alcune piante di tabacco. L’ambasciatore francese in Portogallo, Jean Nicot, portò in dono ai sovrani
francesi foglie e semi della pianta e consigliò alla regina di Francia, Caterina de’ Medici, l’utilizzo delle
foglie essiccate e triturate per curare le emicranie di cui soffriva il Delfino (tabacco da fiuto). Come
riconoscimento, i sovrani Enrico II e Caterina de’ Medici dettero alla pianta il nome di “Erba Nicotina” (dal
nome dell’ambasciatore).
La pianta viene inizialmente utilizzata nella medicina popolare per curare ulcere e piaghe (le proprietà
curative si trovano descritte anche in casi di morsi di serpente, raffreddore, mal di testa, vertigini e perfino
peste).

144
Verso la fine del 1800 nascono le prime manifatture industriali di sigari e sigarette e si radica il consumo di
massa. Fino agli anni ‘50 del XX secolo le conoscenze sulla tossicità del fumo erano pressoché assenti fino a
quando, nel 1938, Raymond Pearl evidenzia che i fumatori vivono meno a lungo dei non fumatori. Questo fu
il primo campanello d’allarme sulla pericolosità del fumo che venne poi confermato nel 1954 dallo studio di
coorte di Richard Doll e Bradford Hill sui medici britannici e il fumo, mettendo in evidenza come la
mortalità per tumore al polmone e per malattie cardiovascolari era molto più elevata nei fumatori rispetto ai
non fumatori con RR altissimo.

Da questo momento in poi, iniziarono a chiedersi cosa rendesse il fumo così tossico.

Così iniziarono tra il 1960 e 1970, i primi studi in vitro e in vivo sulla tossicità del fumo di sigaretta. In Italia,
prof.ssa Giuseppina Scarsennati Scorzolini fondatrice del gruppo di Igiene della facoltà di farmacia
all’Unipg, fu la prima donna nel nostro paese ad aver condotto i primi studi in vitro e in vivo sulla tossicità
del fumo di sigaretta. Per condurre questi studi ha chiesto la collaborazione ad un istituto parigino con cui ha
realizzato una macchina che simula l’aspirazione del fumo di una persona, ancora presente in dipartimento.

Il fumo di sigaretta è costituito da una miscela di oltre 7.000 composti prodotti dalla combustione del tabacco
ed esistono tre tipi di esposizione al fumo:

1. Fumo attivo: fumo che viene trasportato nei polmoni dal fumatore stesso;
2. Fumo passivo o di seconda mano: fumo che viene emesso dal fumatore con gli atti respiratori o dalla
sigaretta tra un tiro e un altro;
3. Fumo passivo di terza mano: fumo che si deposita sulle superfici e su qualsiasi cosa presente
nell’ambiente.

Fumo di sigaretta
Il fumo di sigaretta può essere suddiviso, da un punto di vista tossicologico, in due fasi:

- Fase solida (particolato)

Rappresenta il 5% in peso del fumo di sigaretta, costituita da un aerosol di particelle e polveri con diametro
inferiore a 2,5 μm (micrometri), contenente sostanze tossiche e cancerogene (idrocarburi policiclici
aromatici, nitrosammine aromatiche, ...) e nicotina.

145
Il particolato, privato della nicotina e dell’acqua, è denominato catrame.

- Fase volatile

Rappresenta il 95% in peso del fumo di sigaretta, contiene numerose sostanze irritanti e cancerogene
(monossido di carbonio, benzene, toluene, butadiene, acetaldeide, formaldeide, acido cianidrico, ammonica,
acroleina, cloruro di vinile, 2-naftilamina, ...)
Delle oltre 7.000 sostanze isolate dal fumo di tabacco, solo 500 sono note (le restanti non sono state
identificate) e cambiano da sigaretta a sigaretta. La composizione dipende:

• tipo di pianta;
• tecniche agronomiche;
• trattamenti dopo il raccolto (essiccatura, stagionatura);
• La combustione della sigaretta (880°C) che modifica la struttura dei componenti del tabacco,
producendo sostanze ed effetti sconosciuti.

Dal punto di vista tossicologico i componenti più importanti sono:

▪ sostanze tossiche

-nicotina (1828 Jean Nicot ne stabilisce la tossicità);

-monossido di carbonio (si lega ai globuli rossi e rende inattiva l’emoglobina e di conseguenza non riesce a
legarsi altro ossigeno);
-acido cianidrico.

▪ sostanze cancerogene (contenute principalmente nel catrame): bloccano la capacità di autodepurarsi che
hanno i nostri polmoni.

▪ sostanze irritanti e ossidanti

146
Sostanze tossiche: nicotina

La nicotina è una sostanza tossica ma raggiunge in 8-10 secondi il cervello, dove stimola la liberazione di
dopamina e adrenalina che danno un effetto di lieve stimolazione ed euforia fisica e mentale. Pertanto,
l’effetto eccitante di lieve euforia rappresenta un meccanismo di rinforzo motivazionale che spinge ad
accendere altre sigarette per mantenere costante il livello di nicotina nell’organismo. Però, provoca
vasocostrizione delle arterie coronarie e può essere causa di aritmie, tachicardia, aumento della pressione
arteriosa e questo può aumentare la probabilità di infarto. Tutte queste manifestazioni si osservano già dopo
le prime 2 o 3 sigarette della giornata, ma se la dose di nicotina è regolare ma se il fumatore dovesse decidere
di smettere di fumare, supportandosi con cerotti o gomme, questi effetti sono ridotti o assenti. Inoltre, tra gli
aspetti negativi della nicotina, vi sono:

• aumento della coagulabilità del sangue a causa di un aumento di fibrinogeno e dell’aggregabilità


piastrinica;
• diminuzione HDL (colesterolo buono) e aumento LDL (colesterolo cattivo);
• riduzione del tasso degli estrogeni;
• menopausa più precoce;
• osteoporosi post-menopausa più intensa;
• azione co-cancerogena: di per se non è una sostanza cancerogena ma se somministrata insieme a
sostante cancerogene può avere questa azione.

La tossicità della nicotina è molto simile a quella dell’acido cianidrico, se un uomo fosse esposto a 40-60 mg
di nicotina morirebbe in 5-30 minuti. Chiaramente, nelle sigarette, i mg di nicotina non sono così elevati.
Infine, nel fumatore si instaura una situazione di avvelenamento cronico quindi piccole dosi di quella
sostanza tossica, possono portare alla situazione sopracitata.

Esempi di mg di nicotina di alcune sigarette:

• Muratti: circa 0,7 mg di nicotina e 8 mg di catrame


• Marlboro: circa 0,8 mg di nicotina e 10 mg di catrame
• MS: circa 1 mg di nicotina e 11 mg di catrame

Sostanze cancerogene: il catrame

Il catrame è il residuo secco che si forma nella porzione a più bassa temperatura di combustione della
sigaretta, contiene numerosi cancerogeni chimici o co-cancerogeni quali:

• idrocarburi aromatici policiclici (benzopirene, dimetilantracene etc.)


• amine aromatiche (nitrosamine ritenute agenti eziologici del cancro della vescica)

147
• polonio 210 (sostanza radioattiva presente nelle foglie di tabacco che diventa pericolosa quando
viene bruciata e diviene volatile, respirabile. E’ particolarmente pericolosa quando in particolar
modo quando la temperatura supera gli 800°C (durante l’aspirazione 880°C, tra una tirata e l’altra
830-840°C).Questo nuclide radioattivo (emissione alfa) con emivita di 138 giorni si attacca alla
frazione particolata e con questa si deposita a livello dei bronchi, l’emissione radioattiva altera il
DNA favorendo l’insorgenza dei tumori. Inoltre, il catrame partecipa alla paralisi dei sistemi di
depurazione polmonare, intasa gli alveoli e diminuisce l’efficacia del sistema immunitario.

Sostanze irritanti

Le sostanze irritanti provocano il blocco dei sistemi di depurazione dei polmoni, inibendo il movimento
ciliare, non solo in riferimento al fumo ma a tutto ciò che respiriamo.

Patologie tabacco-correlate
I risultati di studi recenti hanno associato il fumo ad un aumentato rischio per tumore e malattie degenerative
in numerosi organi. Il fumo influenza negativamente quasi ogni organo e causa oltre 50 malattie, riducendo
la salute e l’aspettativa di vita dei fumatori.

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Sul grafico a destra viene riportato uno studio effettuato tenendo sotto controllo per anni soggetti di sesso
maschile (oltre 4.000) di età compresa tra i 30 e i 60 anni.

È stata messa in relazione la probabilità di avere un infarto in relazione all’età e alle sigarette fumate, si
evince che i soggetti fumatori hanno maggiore rischio di infarto.
Un’altra patologia tabacco-correlata è l’enfisema polmonare dato dal fatto che il fumatore compromette
l’unità funzionale del polmone: costituita di base da diversi alveoli, separati tra di loro per consentire lo
scambio tra l’anidride carbonica presente nel sangue e l’ossigeno. Nel fumatore, però, le pareti che
costituiscono i vari alveoli finiscono per essere lesionate e alcuni alveoli confluiscono tra loro fino a
distruggere tutta la struttura dell’acido polmonare. Da qui la capacità limitata di scambiare anidride
carbonica e ossigeno (enfisema).

Effetti del tabacco sulla fertilità


Nell’uomo:

• spermatogenesi diminuita;
• aumenta la probabilità di impotenza (l’80% degli uomini impotenti sono fumatori).

Nella donna:

• diminuzione della fertilità;


• allungamento del tempo necessario al concepimento dopo l’interruzione della contraccezione.

Fumo e gravidanza

Durante la gravidanza il fumo provoca:

• riduzione del peso alla nascita forse per le sue proprietà vasocostrittrici;
• aumento della mortalità perinatale;

Alcune complicazioni della gravidanza, sono più comuni nelle donne che fumano:

• l’aborto spontaneo (aumento del 30-70%)


• parto prematuro (aumento del 40%)
• placenta previa (aumento del 25-90%)
• morte improvvisa del lattante (sudden infant death sindrome, SIDS) durante il sonno
• la nicotina viene escreta nel latte in quantità sufficiente a provocare tachicardia nel bambino

Malgrado questi dati, le donne che fumano durante la gravidanza, in Italia sono il 16%

149
Tabagismo

• Il Tabagismo nell’ICD-10 è stato classificato come malattia;


• inserito nel Settore V - Disturbi psichici e comportamentali;
• con il Codice F17 - Disturbi psichici e comportamentali dovuti all’uso di tabacco.

Fumo passivo
Accanto alla problematica del fumo attivo, è presente quella del fumo passivo che ha la composizione
chimica simile a quella del fumo attivo.

Anche questo è stato inserito dalla IARC in classe I = cancerogeno certo per l’uomo.

Ad essere maggiormente esposti al fumo di terza mano sono i bambini che, giocando a terra, raccolgono la
polvere sulle mani e, portandole alla bocca, ingoiano quantità elevate di “fumo di terza mano”.

Hanno una esposizione al fumo di terza mano 20 volte maggiore rispetto a quella degli adulti.
Gli effetti più immediati dell’esposizione al fumo passivo sono: irritazione agli occhi e al naso, mal di testa,
secchezza della gola, vertigini, nausea, tosse e altri problemi respiratori.

Inoltre, i non fumatori che inalano fumo passivo vengono colpiti da molte delle malattie di cui soffrono i
fumatori attivi. Stime dell’ISTAT indicano che circa il 26,5% degli italiani vivono con fumatori, la quota
maggiore dei fumatori passivi riguarda l’Italia meridionale e insulare.

4.000.000 sono bambini (0-13 anni) esposti al fumo passivo, 6.000.000 sono donne.

Fumo passivo – normativa


Come attività di prevenzione primaria è stata ideata la seguente normativa: la Legge n.3 del 16/01/03, art.51
«Tutela della salute dei non fumatori», in vigore dal 10/01/2005. Si applica nei luoghi pubblici ma non ci
sono restrizioni per il fumo in casa.

All’inizio vi era il divieto di fumare nei locali chiusi ad eccezione di quelli privati non aperti ad utenti o al
pubblico, e quelli riservati ai fumatori e come tali contrassegnati, nel 2013 è stato aggiunto anche il divieto
nelle aree all’aperto di pertinenza delle scuole.

Dal 2 febbraio 2016 è entrato il vigore il D.lgs. n. 6/2016 che sancisce il divieto di fumo in auto in presenza
di minori e donne in gravidanza e nelle pertinenze esterne degli ospedali e degli istituti di ricovero e cura a
carattere scientifico (IRCCS) pediatrici, nonché nelle pertinenze esterne dei singoli reparti pediatrici,
ginecologici, di ostetricia e neonatologia.

150
Epidemiologia del tabagismo in Italia

Indagine DOXA del 2017


Questa indagine ci dice che:

• i non fumatori sono il 65,1%


• gli ex fumatori sono il 12,6%
• sono 11,7 milioni i fumatori in Italia e rappresentano il 22,3% della popolazione (22,0% nel 2016)
• diminuiscono gli uomini tabagisti: 6 milioni rispetto ai 6,9 milioni del 2016
• aumentano le donne fumatrici, che da 4,6 milioni del 2016 salgono a 5,7 milioni (20,8%)
• si fuma di più tra i 25 e i 44 anni (il 28%)
• si fumano in media 13,6 sigarette al giorno
• l’età in cui si accende la prima sigaretta è di 17,6 anni per i ragazzi e 18,8 per le ragazze
• il 12,2% dei fumatori ha iniziato a fumare prima dei 15 anni
• si fumano principalmente sigarette confezionate (94,3%) sebbene continui a crescere il consumo di
sigarette fatte a mano (più diffuso tra i giovani)

Percentuale di fumatori standardizzati per età, per sesso e grado d’istruzione (Italia, 2010)

L’abitudine al fumo risulta più diffusa tra le persone con diploma di scuola media inferiore e con difficoltà
economiche

La sigaretta elettronica

• La maggior parte (83,4%) degli utilizzatori fumano anche le sigarette tradizionali, vengono
consumate maggiormente le e-cig contenenti nicotina e chi ha usato la sigaretta elettronica dichiara
di aver diminuito il consumo di sigarette tradizionali leggermente (il 13,8%) o drasticamente
(l’11,9%), mentre il 34,9% non ha cambiato abitudine tabagica. Infine, l’11,7% ha ripreso il
consumo delle sigarette tradizionali. Soltanto nel 14,4% dei casi l’e-cig ha portato a smettere
definitivamente.

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Perché si inizia a fumare?

• Fumo come momento socializzante;


• Fumo come modalità di adeguamento al gruppo;
• Fumo come risposta al bisogno di sicurezza;
• Fumo come strumento di gratificazione orale;
• Fumo come mezzo per scaricare la tensione e rilassarsi;
• Fumo come compensazione o risarcimento psicologico;
• Fumo come modo per contravvenire le regole;
• Fumo per sentirsi liberi di scegliere.

Disassuefazione dal tabagismo


Il fumo causa assuefazione e dipendenza ma diverse strategie che si sono dimostrate efficaci

per smettere di fumare come il consiglio del medico, terapia individuale o di gruppo, l’utilizzo del
bupropione (antidepressivo) ma anche l’ipnoterapia e l’agopuntura sono stati proposti come terapie per la
disassuefazione dal fumo. Il 90% dei fumatori ha smesso di fumare da solo.
Per dissuadere dal tabagismo vengono inseriti sui pacchetti:

• Scritte indicanti le conseguenze del fumo;


• Telefono Verde Fumo (Istituito dall’ISS)

Inoltre, vengono organizzate diverse campagne di sensibilizzazione.

Gli effetti della disassuefazione


Durante la cessazione dell’abitudine tabagica:

• le prime 24h sono le più difficili;


• i sintomi di astinenza sono intensi per i primi 4 giorni, entro primo mese si riducono ma per alcuni
mesi si possono presentare sensazioni di malessere (affaticabilità, irritabilità, difficoltà di
concentrazione, aumento dell’appetito).

E’ possibile ridurre il desiderio impellente di una sigaretta (che dura solo pochi minuti) con diverse strategie
come bere qualcosa, fare una passeggiata, masticare una gomma o una caramella senza zucchero. La
mancata assunzione di nicotina, che ha azione anoressizzante, può far aumentare leggermente di peso (al
massimo 2-3 chili)
Ma entro 20 minuti dall’ultima sigaretta si normalizzano la pressione arteriosa e il battito cardiaco e torna
normale la temperatura di mani e piedi, entro 8 ore scende il livello di anidride carbonica nel sangue e si
normalizza il livello ematico di ossigeno, entro 24 ore diminuisce il rischio di attacco cardiaco, entro 48 ore
iniziano a ricrescere le terminazioni nervose e migliorano i sensi dell’olfatto e del gusto, entro 72 ore si
rilassano i bronchi e migliora il respiro.
152
Da 2 settimane a 3 mesi migliora la circolazione, camminare diventa meno faticoso, da 3 mesi a 9 mesi
diminuiscono affaticamento, respiro corto e altri sintomi come la tosse, e aumenta il livello generale di
energia. Entro 5 anni la mortalità per cancro polmonare diminuisce ed entro 10 anni diminuisce il rischio di
altri tumori maligni (cavo orale, laringe, esofago, vescica, reni, pancreas)

Riduzione del rischio di morte per tumore al polmone dopo la sospensione del fumo

Stili di vita e salute: attività fisica e doping

Attività fisica

L’attività fisica è uno dei mezzi principali per incrementare la salute fisica e mentale. I dati statistici
confermano tendenza delle popolazioni sviluppate alla sedentarietà. Secondo l’OMS la sedentarietà causa nel
Mondo 1,9 milioni di decessi/anno, in Europa circa 600 mila decessi/anno

perchè nello svolgimento delle attività quotidiane, di vita, lavorative o di tipo ricreativo, vi è una sempre
minore richiesta di impegno fisico data la disponibilità di mezzi tecnologici e di trasporto pubblici e privati e
il crescente orientamento verso svaghi passivi (televisione, cinema, spettacoli musicali e sportivi, teatro
ecc.). Ciò fa venir meno di occasioni e desiderio di movimento

Sedentarietà

In Italia, nel 2015 secondo i dati Istat i sedentari erano più di 23 milioni (39% della popolazione di 3

anni e più) e la sedentarietà è maggiore nelle donne rispetto agli uomini. Inoltre, le persone di oltre 65 anni
hanno una maggiore % di sedentari e il Mezzogiorno presenta la quota più bassa di persone che praticano
sport nel tempo libero.

Gli studi epidemiologici hanno evidenziato che gli adulti fisicamente inattivi sono maggiormente esposti a
molte malattie croniche:

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• ictus cerebrale, coronaropatia ipertensione
• diabete tipo 2
• cancro del colon-retto (+++), della mammella (++), dell’endometrio (+) e della prostata (+)
• disturbi psicologici (come l’ansia e la depressione)
• malattie muscolo-scheletriche (osteoporosi e le artriti)

Attività fisica e salute

L’attività fisica svolta regolarmente per mesi e anni produce effetti salutari a lungo termine e riduce il rischio
di insorgenza della patologie croniche.

Occorre iniziare in modo graduale (start slowly):

• gli eventi cardiaci (come angina e infarto miocardio) sono poco frequenti se si svolge un’attività
fisica regolarmente, mentre il rischio aumenta quando viene svolta occasionalmente un’intensa
attività aerobica da parte di persone con stile di vita sedentario;
• In presenza di patologie croniche (come diabete, cardiopatia, osteoporosi e artrosi) è opportuno far
valutare dal medico curante i limiti delle proprie condizioni, entro cui svolgere l’attività fisica.

È fondamentale evitare l’inattività: anche 60 minuti alla settimana di attività aerobica di moderata intensità
sono sufficienti per promuovere la propria salute.

L’attività fisica aiuta a:

• controllare il peso corporeo (riduzione dell’adiposità viscerale, addominale e totale);


• ridurre il rischio di malattie cardiovascolari;

Il rischio di tali malattie viene ridotto dalla pratica di almeno 150 min/settimana di attività aerobica di
moderata intensità;
• ridurre il rischio di diabete mellito di tipo 2 e di sindrome metabolica; in presenza di diabete di
tipo 2, l’attività fisica regolare influisce positivamente sul controllo dei livelli di glucosio nel sangue.
• ridurre il rischio di alcuni tipi di cancro;
• migliorare la salute mentale e l’umore;
• migliorare la capacità di svolgere attività quotidiane e di prevenire le cadute;
• aumentare la possibilità di una vita più lunga.

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Cosa è la sindrome metabolica? Si manifesta quando sono presenti 3 dei seguenti 5 fattori:

Linee guida per l’attività fisica

Come stabilire i livelli di attività fisica raccomandati?

L’OMS ha scelto la grandezza facilmente misurabile, che è il tempo dedicato all’attività fisica integrata da
indicazioni di intensità dello sforzo. Tutti gli esercizi raccomandati sono di intensità moderata o vigorosa
(Intensità moderata = esercizio da 3 a 6 volte più intenso dello stato di riposo; Intensità vigorosa = esercizio
con livelli superiori a 6 volte lo stato di riposo).

L’OMS raccomanda agli adulti, anziani compresi, di praticare almeno 150 minuti a settimana di attività
fisica di tipo aerobico a intensità moderata. Bambini e giovani dovrebbero praticare un totale di almeno 60
minuti al giorno di attività fisica, da moderata a intensa. A chi è impossibilitato per motivi di salute a
praticare le quantità di attività consigliate, si raccomanda di mantenersi fisicamente attivo nei limiti delle
proprie capacità e condizioni, anche attraverso attività a bassa intensità.

Educazione sanitaria

Un importante metodo di prevenzione primaria e di promozione della salute, sia per le malattie infettive che
per le cronico-degenerative è rappresentato dall’educazione sanitaria. L’ Educazione Sanitaria è un processo
di comunicazione interpersonale, diretto a fornire le informazioni necessarie per un esame critico dei problemi
della salute ed a responsabilizzare gli individui ed i gruppi sociali nelle scelte che hanno effetti - diretti ed
indiretti - sulla salute fisica e psichica dei singoli e della collettività.

Un intervento di educazione sanitaria deve:

● far acquisire conoscenze;


● indurre modifiche di atteggiamenti scorretti;
● indurre adozione di comportamenti corretti.

Atteggiamento: Orientamento mentale (culturale, psicologico…) verso un determinato aspetto della realtà,
influenzato dai propri bisogni, aspettative, valori, rete di relazioni.
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Comportamento: Risposta ad uno stimolo che provoca nell’individuo una serie di dinamiche che interessano
la personalità ed evoca tutta una serie di esperienze precedenti, le risposte dei singoli allo stesso stimolo
possono essere diverse, come diverse sono le storie, le esperienze psico-relazionali e, conseguentemente, le
personalità di ciascun individuo.

I progetti di educazione sanitaria dovrebbero agire in 3 ambiti:

1. il sapere (area cognitiva) - incrementare le conoscenze del soggetto o del gruppo riguardo: i danni per
la salute prodotti da comportamenti insalubri, i benefici per la salute apportati da comportamenti
positivi
2. il saper essere (area affettiva/sociale) - proporre obiettivi mirati a modificare gli atteggiamenti di un
individuo attraverso la conoscenza dei significati relazionali ed emotivi legati a certi comportamenti
3. il saper fare (area psico-motoria, abilità pratiche) – conseguire modifiche durevoli dei comportamenti,
attraverso la trasmissione non solo e non tanto di informazioni, quanto di strumenti (anche culturali)
per conferire ai soggetti capacità critiche e coinvolgimento responsabile nelle scelte

Comunicazione

Le tipologie principali della comunicazione sono due:

● comunicazione unidirezionale (o “lineare”): È sostanzialmente informativa (informazione


sanitaria). Non esiste rapporto diretto tra e fonte dell’informazione e ricevente, il messaggio arriva in
modo passivo. Ricorrendo alla propria esperienza il ricevente decodifica, la percezione del messaggio
soggettiva; possibili fraintendimenti. Raggiunge molte persone in poco tempo. Si attua attraverso
manifesti, spot televisivi…
● comunicazione bidirezionale (o “circolare”): Modalità di comunicazione molto efficace, rivolta
principalmente a gruppi limitati di persone. Tipici metodi bidirezionali sono: colloquio, discussione,
dibattito, lavoro di gruppo. Possibili scenari: operatore sanitario-paziente, insegnante-classe.
Sono possibili approcci diversi:

- Approccio persuasorio (io ti consiglio per il tuo bene)

- Approccio accademico (io so e ti insegno)

- Approccio attivo/partecipativo= condivisione dei contenuti, si chiede al destinatario di essere


propositivo

Il comunicatore non si limita a trasmettere informazioni sugli argomenti di sua conoscenza, deve anche sapersi
porre in posizione di ascolto.

Solitamente si distinguono tre canali comunicativi che sono gli elementi della comunicazione:

● canale verbale - ciò che si dice con le parole


● canale paraverbale - il modo in cui si parla (tono, volume, ritmo)
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● canale non verbale - il corpo, la postura, i gesti e la mimica del volto

Il messaggio

Per superare gli errori dei messaggi pubblicitari occorre dare informazioni attendibili, vere, chiare e
comprensibili. È importante anche spiegare che la scienza è un processo dinamico e che le informazioni del
passato potrebbero essere state superate da evidenze più recenti.

● NON fornire informazioni incomplete, contraddittorie o confuse


● Non sovrastimare né sottostimare un rischio
● Evitare messaggi che tendono a far apparire un rischio come un «dato di fatto» non modificabile

Il ricevente

Il ricevente può:

● respingere il messaggio
● memorizzarlo ma non cambiare il proprio stile di vita
● interpretarlo in maniera diversa da quella prevista dall’emittente
● dare luogo a una serie di azioni

Esempio di educazione sanitaria: educazione tra pari

L’educazione tra pari si basa sul principio che è possibile utilizzare l’influenza che il gruppo dei pari esercita
su conoscenze, atteggiamenti e comportamenti dei singoli individui. L’educazione tra pari fornisce e diffonde
informazioni ad individui o gruppi attraverso un messaggero che è simile al gruppo target per caratteristiche
quali età, sesso e bagaglio culturale, ha avuto esperienze simili ed ha un livello di considerazione tale da poter
esercitare una grande influenza sul gruppo di pari.

Il peer educator, come dovrebbe essere: attivo, vitale, easy going (alla mano), accettato e rispettato dai
coetanei, disponibile, capace di controllare un gruppo, paziente, gentile. Non sono essenziali le capacità
scolastiche, ma quelle legate alla sfera emotiva, relazionale, sociale

Quali compiti dovrebbe svolgere: partecipare all’organizzazione e realizzazione delle diverse fasi del progetto
(analisi del bisogno...), condurre interventi in piccoli gruppi o gruppi allargati, redigere materiale informativo
(poster, opuscoli, slogan…), rispondere alle domande dei ragazzi, se capace.

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