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BISOGNO DI SICUREZZA
Parliamo di sicurezza perché molte azioni che vengono effettuate su un paziente a livello medico, a
livello infermieristico o a livello del personale di supporto, sono invasive, quindi contengono in sé un
rischio, il quale può essere più o meno alto in relazione a quelle che sono le condizioni del
paziente. Oltre alle azioni, manovre, procedure che andiamo a fare sul paziente, anche l’ospedale in
sé ha dei rischi, come ad esempio nel reparto di radiologia, nel quale si accede esclusivamente
protetti, in quanto le radiazioni ionizzanti a lungo andare possono provocare dei danni alla salute
degli operatori e dei pazienti: se ad esempio, non è noto che una donna è incinta, l’infermiere ha il
compito di accertarsene, a meno che non è la paziente stessa ad escludercelo.
Secondo l’OMS:
“La sicurezza dei pazienti è uno dei fattori determinanti la qualità delle cure e pertanto è uno degli
obiettivi prioritari che il servizio sanitario nazionale si pone. Lo sviluppo di interventi efficaci è
strettamente correlato alla comprensione delle criticità dell’organizzazione e dei limiti individuali,
richiedendo una cultura diffusa che consenta di superare le barriere per la attuazione di misure
organizzative e di comportamento volti a promuovere l’analisi degli eventi avversi ed a
raccogliere gli insegnamenti che da questi possono derivare. La sicurezza dei pazienti quindi si
colloca nella prospettiva di un complessivo miglioramento della qualità e poiché dipende
dall’interazioni delle molteplici componenti che agiscono nel sistema, deve essere affrontata
attraverso l’adozione di pratiche di governo clinico che consente di porre al centro della
programmazione e gestione dei servizi sanitari i bisogni dei cittadini, valorizzando nel contempo il
ruolo e la responsabilità di tutte le figure professionali che operano in sanità.”
Quindi, l’operatore sanitario di tutti i livelli, deve essere cosciente che quello che fa o non fa
all’interno della struttura può provocare un danno. Quel danno, a seconda le condizioni del paziente,
può essere più o meno grave. Per quanto più possibile ogni azione deve essere volta alla
protezione dal rischio.
L’OMS è l’organismo sanitario internazionale nato a New York nel 1946 e identifica la salute
come uno stato di benessere fisico-psichico e la considera come fattore non solo individuale ma
anche collettivo. Quindi per salute non si intende solo l’omeostasi fisica, ma entrano in gioco
quelle che sono le componenti psicologiche e sociali. In questo modo l’individuo viene
considerato nelle sue tre dimensioni, cioè biologica, ambientale e sociale. Questa visione va a
contrapporsi a quella che è la visione tradizionale del concetto di salute, cioè l’assenza di sintomi o
in generale assenza di malattia. Quindi un individuo depresso, nonostante non presenti malattie,
non è in salute.
Il concetto di salute va di pari passo con il concetto di benessere. Un individuo raggiunge lo stato di
benessere nel momento in cui ogni bisogno è stato soddisfatto. É quindi soggettivo, perchè
ogni individuo ha bisogni differenti.
La salute nel suo complesso è un concetto dinamico, che può mutare, ad esempio nell’uomo a
seconda della società in cui si esprime. É importante altresì considerare gli aspetti ambientali,
come il clima, il grado di temperamento, le condizioni di salubrità, ecc..
Art. 32 della costituzione italiana: La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto
dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può
essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.
Se un paziente arriva in ospedale e deve fare una terapia, si rifiuta e nega quindi il consenso
all’esecuzione di questa terapia, l’infermiere è tenuto a spiegargli i rischi a cui va incontro.
L’infermiere però deve essere sicuro e accertarsi che il paziente è in grado di intendere e di
volere su quella che è la sua situazione fisica, perché in quel caso il paziente potrebbe anche
dire NO e subentra quello che è lo stato di necessità. A quel punto non è più il paziente a decidere
per se stesso ma è il primo tutore legale, quindi un parente ad esempio. Nel caso in cui non
dovesse esserci alcuna persona da consultare per prendere una decisione sul paziente, c’è un
pericolo per la vita del paziente e non è in grado di intendere e di volere, la procedura verrà
eseguita. Nel caso in cui il paziente è in grado di intendere e di volere e nega il consenso,
l’infermiere non è tenuto ad eseguire la procedura.
I concetti di salute, malattia e cura, sono fortemente influenzati da variabili culturali e sociali, che
implicano notevoli differenze sul piano delle politiche socio-sanitarie, della prevenzione e del
trattamento di una patologia, a seconda del Paese in cui la malattia si manifesta. Per fare alcuni
esempi significativi, si puó richiamare il problema della relazione tra personale sanitario e
pazienti e quello relativo all’accesso ai servizi sanitari, che mutano a seconda dell’organizzazione
politica e della struttura sociale. In particolare, emergono profonde differenze tra Paesi
industrializzati e Paesi in via di sviluppo. Accoglienza e informazioni in merito ai cittadini della vita
collettiva è uno dei fattori rilevanti per l’analisi del livello di salute della popolazione.
Ad esempio, in un paziente testimone di Geova, è possibile procedere con una trasfusione solo nel
caso in cui è incosciente e non c’è nessuno che può decidere per lui.
RISCHIO CLINICO
“Danno o disagio imputabile, anche se in modo involontario, alle cure mediche prestate durante
il periodo di degenza, che causa un prolungamento del periodo di degenza, un peggioramento
delle condizioni di salute o la morte”.
• Riconoscere le motivazioni, anche etiche, per l’impegno nei confronti della prevenzione e della
gestione del rischio clinico nella pratica professionale quotidiana.
- Scegliere ed applicare interventi per la prevenzione dei rischi e per la gestione degli eventi avversi
e delle relative conseguenze;
Il Clinical Risk Management rappresenta l’insieme di varie azioni complesse messe in atto per
migliorare la qualità delle prestazioni sanitarie e garantire la sicurezza del paziente basata
sull’apprendere dall’errore.
CONTENZIONI
Atto sanitario assistenziale che utilizza mezzi chimici-fisici-ambientali applicati direttamente
all’individuo o al suo spazio circostante per limitarne i movimenti.
TIPI DI CONTENZIONE
Contenzione fisica: applicazione di presidi sulla persona o uso degli stessi come barriera
nell’ambiente che riducono o controllano i movimenti.
Classificazione:
Consenso informato
Secondo l’articolo 35 di deontologia medica il consenso informato racchiude tutti quelli che sono i
rischi della procedura che si sta andando ad effettuare, ad esempio un intervento chirurgico, una
procedura invasiva, la somministrazione del mezzo di contrasto, l’esecuzione di una trasfusione. Si
chiama informato perché il medico informa il paziente di tutto quello che potrebbe succedere
quindi qual è il rischio rispetto al beneficio di quella procedura; quindi, firmando il paziente si
prende la responsabilità che questa procedura venga condotta sul proprio fisico. La firma del
consenso informato, e la spiegazione di ciò che è scritto in quel foglio è compito del medico;
l’infermiere deve essere a conoscenza di questa procedura perché è tenuto a controllare che il
consenso informato sia stato firmato, in quanto molte volte capita che quest’ultimo è relativo a
una procedura medica come ad esempio un intervento chirurgico, un’emo-trasfusione e se
l’infermiere non ha controllato che quest’ultimo sia stato firmato e quindi non è stato fatto firmare e
per un motivo fortuito succede qualcosa al paziente, avrà dei problemi anche l’infermiere anche se
l’atto della firma spetta al medico quindi l’infermiere deve sempre controllare che il consenso
informato sia stato firmato.
Sempre secondo l’art.35 del codice deontologico medico “l’acquisizione del consenso o dissenso
è un atto di specifica ed esclusiva competenza del medico, non delegabile. Il medico non
intraprende ne prosegue in procedure diagnostiche e/o interventi terapeutici senza la
preliminare acquisizione del consenso informato o in presenza di dissenso informato.”
Affinché sia valido deve essere: personale, libero, attuale, esplicito, consapevole, specifico,
partecipe e revocabile. (di tutti questi aggettivi quello più importante è il fatto che sia revocabile,
ad esempio: un paziente deve sottoporsi ad un intervento all’addome ed ha anche aver firmato il
consenso informato, quindi viene preparato, fatto salire sulla barella e portato in sala operatoria,
ma prima che lo anestetizzano cambia idea, non vuole più fare l’intervento, quindi, esce dalla sala
operatoria e viene riportato nella sua stanza, ciò ci fa capire che è revocabile in qualsiasi
momento.) Gli unici casi che fanno eccezione sono: trattamenti sanitari obbligatori (TSO,
art.33 l. 833/78) e quelli urgenti (Stato di necessità, art. 54 c.p. ad esempio se si deve trasfondere
d’urgenza, non si può controllare se il paziente ha firmato o meno il consenso informato, anche
perché nel 90% delle volte non è in grado di firmare, oppure se un paziente arriva in pronto
soccorso con un trauma cranico e deve essere operato d’urgenza perché ha un sanguinamento
cerebrale, non si ha il tempo di far firmare al paziente il consenso informato e di spiegargli i rischi
dell’intervento, quindi intanto si porta in sala operatoria e si cerca innanzitutto di salvargli la vita.)
La contenzione fisica è un procedimento volto a neutralizzare comportamenti auto e/o etero
lesivi in condizione di emergenza psicopatologica, a tutela della salute psichica e fisica del
malato (obblighi di protezione).
Ciò significa che l’atto contenitivo, in questi casi, non può essere supportato dal consenso in
quanto:
− Il consenso deve essere valido e informato (e il paziente non è in grado di essere
informato)
− La contenzione avviene contro la volontà della persona, incapace di autodeterminarsi,
con finalità di protezione.
Il trattamento contenitivo deve essere interpretato e attuato, sia pure quale provvedimento
eccezionale, solo ed esclusivamente quale atto terapeutico ragionato e mirato.
Indicazioni operative
Sempre per quanto riguarda la contenzione ci deve essere innanzitutto sempre un’attenta e precisa
valutazione del paziente da parte dell’intera equipe. Il medico, valutato che l’attuazione di azioni
alternative non risultino efficaci per l’appropriata gestione del paziente, procede con la
prescrizione della contenzione fisica in cartella clinica, indicando: motivazione dettagliata,
mezzo di contenzione da utilizzare e ora di inizio e durata della stessa, avendo cura di
informare i familiari.
Ricorda: quando si contiene un paziente, si contengono solo gli arti superiori, solo gli arti inferiori, o
entrambi; e deve essere indicato perché se il paziente è da contenere solamente agli arti superiori,
le gambe devono essere lasciate libere.
Il ricorso alla contenzione fisica deve essere limitato a:
− Pz con comportamenti aggressivi auto-etero diretti.
− Pz che interferiscono con il trattamento terapeutico essenziale quando tutti gli altri tentativi di
messa in sicurezza siano risultati inefficaci.
− Pz con alterazione dello stato di coscienza su base organica.
Ricorda: particolare attenzione ai pazienti con delirio.
Durante la contenzione fisica, l’infermiere e il personale di supporto dovranno effettuare una
sorveglianza costante del pz almeno 3 volte per ogni turno; valutando condizioni cliniche,
comportamento, corretto posizionamento del presidio in uso, mobilità e sensibilità delle estremità al
fine di evitare eventi avversi (ciò non vuol dire legare il paziente e occuparsi di altro, perché il pz va
controllato costantemente, quindi si devono controllare le contenzioni, inoltre ogni tanto, all’incirca
ogni tre ore il pz va scontenuto e lasciato libero nel movimento e nel frattempo viene controllato
dagli infermieri o dagli Oss.) Decontenzione: ogni 2 ore
per almeno 10 minuti, se è possibile attuare questa procedura. Rimozione della contenzione:
dopo la prescrizione del medico, l’infermiere procede alla rimozione del presidio. L' intera
procedura deve essere riportata in cartella medica ed infermieristica con apposita modulistica
aziendale, se presente.
ipotensione ortostatica; deficit nutrizionale (un indice di massa corporeo al di sotto della norma
è associato ad un aumento del rischio di caduta, inoltre è molto comune negli anziani la carenza di
vitamina D che può portare ad alterazioni dell’andatura, debolezza muscolare ed osteoporosi);
patologie: circolatorie, cerebro-vascolari, polmonari croniche-ostruttive, infezioni e malattie acute (le
infezioni delle vie urinarie provocano l’urgenza di andare in bagno che fa affrettare il passo al pz e
questo gli causa una caduta); abitudini di vita sedentaria (determinano riduzione della forza e
indebolimento muscolare); problemi ai piedi (calli, deformità, ulcere, problema alle unghie, e dolore
durante il cammino aumentano le difficoltà di equilibrio e il rischio di caduta); deficit cognitivo;
incontinenza.
Valutazione
Prima valutazione: si esegue il più precocemente possibile dalla presa in carico del pz.
Valutazioni successive si eseguono:
− Al riscontro di una variazione delle condizioni cliniche del pz (ad esempio un aumento della
TC 38°C)
− Ad una variazione importante dei parametri vitali (ad esempio se il pz diventa iperteso o
ipoteso)
− Ad una variazione terapeutica importante
− Dopo una caduta
− Al momento della dimissione/trasferimento per continuità assistenziale (nel caso, ad
esempio, di trasferimento in un’altra unità operativa)
Ricorda: all’infermiere spetta la valutazione del pz ed ambientale giornaliera, mentre la
valutazione dei rischi ambientali annuale spetta al Responsabile dell’UO (unità operativa) e
Coordinatore infermieristico/ostetrico (ex Caposala).
Interventi infermieristici che si possono mettere in atto per ridurre il rischio di caduta:
1. All'ingresso, mostrare al pz nuovo entrato: la stanza di degenza, il bagno, e il reparto.
Mostrare come si suona il campanello e si accende la luce del posto letto, accertare la sua
capacità di utilizzarli; fare in modo che il pz possa raggiungere gli oggetti che gli sono
necessari.
2. Collaborare con la persona e la sua famiglia rispettando, per quanto possibili, le scelte
individuali.
3. Fornire istruzioni semplici.
4. Favorire la presenza da parte dei familiari ove possibile.
5. Fornire strategie non farmacologiche per favorire il sonno, perché ad esempio le
benzodiazepine possono influire sul rischio cadute.
6. Invitare il pz ad urinare subito prima del riposo notturno.
7. Verificare periodicamente l’eventuale bisogno di recarsi in bagno.
8. Quando il paziente è ad alto rischio di caduta, spiegargli l’importanza di richiedere
l’intervento dell’infermiere ogni volta che si deve recare in bagno.
9. Controllare i pz in terapia con diuretici e lassativi.
10. Porre particolare attenzione durante il turno notturno ai risvegli del pz, sorvegliandolo
soprattutto durante le prime notti per verificare il suo livello di sicurezza.
11. Qualora il pz effettui terapia infusionale e non vi sia la necessità di infondere liquidi in modo
continuativo nelle 24 h, programmare la somministrazione lasciando libero il periodo di
riposo notturno. (qui entra in campo la collaborazione tra il medico e l’infermiere nella
prescrizione della terapia; nello specifico se il pz infonde liquidi h 24 il problema non si pone
perché è legato ad una condizione patologica, però se il pz infonde liquidi semplicemente a
scopo di idratazione si può andare dal medico per chiedergli che se non c’è necessità di
infondere liquidi durante la notte, di modificare la prescrizione perché comunque il pz si
potrebbe alzare e potrebbe avere più bisogno di urinare)
12. Effettuare i passaggi posturali in sicurezza; i passaggi posturali, nel pz ad alto rischio di
caduta devono essere eseguiti lentamente.
Ci sono oltre alle strategie volte alla sorveglianza del pz, delle strategie
organizzative/ambientali:
1. Identificare le caratteristiche ambientali che possono aumentare i potenziali rischi di caduta
(come liquidi sui pavimenti o pavimenti umidi).
2. Effettuare periodicamente la valutazione dei rischi ambientali con la Check list di valutazione
dei rischi ambientali (già in uso all’interno del policlinico).
3. Effettuare tempestivamente eventuali richieste di riparazione/sostituzione di arredi, presidi,
ecc.
4. Ridurre la distanza tra il letto e la sedia usati dal pz.
5. Verificare che il campanello funzioni e che vi sia pronta risposta alla chiamata.
6. Sensibilizzare il personale addetto alla pulizia rispetto all’informazione del pz sui pavimenti
bagnati e rischi connessi, far pulire immediatamente i pavimenti sporchi di liquidi.
7. Prima della deambulazione controllare che il pz indossi abiti e scarpe della giusta misura;
raccomandare l’uso di pantofole chiuse.
8. Non utilizzare carrozzine con predella fissa e/o senza freni.
9. Rimuovere il mobilio basso (poggiapiedi, sgabelli) che possono costituire inciampo alle
persone accanto al pz ad alto rischio.
10. Garantire un’adeguata illuminazione soprattutto durante la notte, vicino al letto e al bagno.
11. Rendere stabili i letti ed il mobilio.
12. Fornire gli accessori di supporto per il letto (es.trapezio).
Gestione del pz caduto in ospedale
Protocollo post caduta
Gli infermieri:
1. Valutano se la persona ha riportato lesioni prima di immobilizzarla, specialmente in caso di
trauma cranico o traumi determinanti fratture;
2. Registrano i parametri vitali, includendo la pressione arteriosa in clinostatismo e in
ortostatismo (a meno che il pz non abbia riportato lesioni tali da non permetterlo);
3. Discutono con la persona in un momento appropriato la loro percezione dell’esperienza,
valutando insieme i fattori possibili che hanno determinato la caduta;
4. Comunicano al medico la caduta del pz al fine di consentire una rapida valutazione clinica, le
eventuali relative prescrizioni, la comunicazione alla famiglia e la compilazione della parte a
rilevazione medica della scheda di descrizione delle cadute;
5. Se i pz cadono in pronto soccorso si esegue una RX in toto, e una TAC per un eventuale
trauma cranico;
6. Osservano la persona per le complicanze tardive nel caso di trauma cranico o frattura;
7. Realizzano interventi assistenziali per l’assistenza alle persone che riportano traumi cranici,
per coloro che cadono e che sono in terapia anticoagulanti, o dove siano sospette delle
lesioni;
8. Informano il medico di cambiamenti comportamentali o dolore inspiegabile alla luce di una
recente caduta;
9. Compilano la scheda di descrizione delle cadute nella parte di loro competenza;
10. Documentano le azioni di follow-up;
I medici:
Effettuano una valutazione clinica;
Prescrivono eventuali esami di controllo;
Compilano la scheda di descrizione delle cadute nella parte di loro competenza;
Inviano entro 24/48 h dalla caduta, al Risk Manager una relazione clinica accurata
sull’evoluzione delle lesioni riportate e gli esiti degli esami eventualmente richiesti inerenti
alla caduta;
Revisione del piano di cura:
▪ Si controlla e documenta la risposta del pz agli interventi attuati per ridurre le cadute ed il
rischio. (ad esempio, il pz è ad alto rischio caduta perché è un pz anziano con età superiore
ad 65 anni, con delle patologie cardiovascolari, il pz viene sollecitato a chiamare qualcuno
per alzarsi il pz, ma nonostante le raccomandazioni il pz attua dei comportamenti sbagliati;
tutto ciò si deve documentare in cartella scrivendo che nonostante il pz sia stato informato
sui possibili rischi di caduta e si è cercato in tutti i modi di ridurre al minimo tutti i possibili
fattori di rischio, il pz continua a movimentarsi senza chiamare l’aiuto dei sanitari)
▪ Si valuta e si modifica il programma di prevenzione delle cadute.
Ricorda: il pz caduto è da ritenere a rischio di ulteriori cadute.
Si compilano queste schede perché poi successivamente vengono analizzate, messe insieme a
tutte le altre segnalazioni di caduta e a tutte le altre motivazioni per le quali il pz è caduto e si ottiene
una lista con tutti i momenti e le situazioni che provocano più cadute e che sono più a rischio, poi il
Risk manager e il Risk management cercano di elaborare delle strategie atte a diminuire il rischio
cadute in quella situazione
LEZIONE 2 23/03/2022
La Terra Sara
Ogni passaggio ha una grande probabilità di errore e quindi creare un danno al paziente (per questo
viene inserita all’interno del bisogno di sicurezza) ma anche perché all’ interno degli eventi sentinella
(16 eventi che il ministero della salute evidenzia ) c’è un errore nella somministrazione di un
farmaco, (quindi ad esempio un farmaco giusto nel pz. sbagliato, farmaco non diluito
correttamente…) per questo viene inserito all’interno del bisogno di sicurezza.
Per correggere sintomi patologia: (es.antibiotico, antibatterico e antivirale) se una polmonite è data
da un batterio io somministro un antibiotico al fine di curare quella infezione.
Nel caso di un’infezione virale capita di vedere che viene dato comunque l’antibiotico (come col
covid all’inizio) ma per quale motivo do ad un paziente malato di covid un antibiotico?
Poiché l’infezione virale indebolisce il sistema immunitario e permette ai batteri di creare delle
infezioni associate.
Per correggere sintomi patologia: (es. antinfiammatorio) dal momento in cui do un antidolorifico il
paziente ha un dolore, quindi è sintomatico.
Io tratto il sintomo, tolgo il dolore.
L’azione dei farmaci può essere locale o sistemica.
Locale: quando fa effetto dove viene applicata (il farmaco viene somministrato nel luogo dove voglio
avere l’effetto)
Sistemica : diretta o indiretta ( miglioramento che favorisce in generale la cura dell’organo)
Responsabilità infermiere:
È il profilo professionale che ci dice che le nostre attività vanno da A a Z e che non si possa andare
oltre.
Se la somministrazione coincide col cambio turno dell’ infermiere è un problema, poiché preparare
un farmaco e somministrarlo durante l’orario del cambio turno prevede che io lo faccio o mezz’ora
prima o dopo (non va bene)
Questo ci dice che il processo della somministrazione di un farmaco deve essere soggetto a
controllo.
Enterale:
- Sublinguale
- Orale
- Rettale
Parenterale:
- Intradermica
- Sottocutanea
- Intramuscolare
- Endovenosa
- Endoarteriosa
- In organi o cavità corporee
Topica:
- Cute
- Mucose
Respiratoria:
- Inalatoria
Interazione tra farmaci
Somministrazione orale:
Dal momento in cui il farmaco viene assunto in maniera orale la pasticca va giù ed inizia il processo
di assorbimento, dopo l’ assorbimento c’è la distribuzione in tutti gli organi fino ad arrivare all’organo
interessato (bersaglio).
Il farmaco viene metabolizzato, dopo c’è l’ eliminazione del farmaco.
L’eliminazione può essere renale, epatica, intestinale.
L’eliminazione del farmaco si traduce in un aumento della funzionalità di quell’organo, che se non
funziona bene è un problema
Ad es. in un paziente con insufficienza renale dobbiamo evitare di far assumere farmaci ad
eliminazione renale.
Passiamo alla via topica. Che cosa è la somministrazione per via topica? La somministrazione
con effetto topico consiste nell’applicazione del farmaco sulla parte interessata o in prossimità
dell’obiettivo della terapia. La molecola non entra nel sistema circolatorio ma esplica la sua
azione solo a livello locale.
La somministrazione può avvenire in vari modi: con l’applicazione sulla cute di lozioni, creme,
cerotti, polveri, spray, etc., l’instillazione all’interno di una cavità corporea di gocce, colliri.
L’introduzione del farmaco in una cavità corporea come ovuli, schiume vaginali, supposte, etc. e
la somministrazione di spray per via aerea che fa sempre parte fondamentalmente della
somministrazione per via topica.
La procedura non è sterile però deve essere il più pulita possibile perché, tralasciando il discorso
dell’applicazione di creme, unguenti sulla cute che fondamentalmente è una parta abbastanza
sporca di per sé, bisogna pensare all’instillazione di gocce oculari, una procedura che deve essere
effettuata nella maniera più pulita possibile anche se ovviamente non è sterile perché l’occhio non è
sterile.
Si lavano le mani con il lavaggio sociale, si indossano i guanti e si informa il paziente riguardo la
procedura. Perché informiamo il paziente sulla procedura: A) perché è un paziente, B) perché
l’applicazione di gocce, colliri negli occhi, nel naso, nelle orecchie, potrebbe essere abbastanza
fastidioso in alcuni casi. Quindi se spieghiamo la procedura al paziente, oltre ad informarlo, come è
giusto che sia, riusciamo ad avere una compliance perché fondamentalmente a volte il paziente
non conosce la procedura. Inoltre, bisogna pensare anche ad un paziente pediatrico che non è
collaborante come lo potrebbe essere uno adulto.
Bisogna pulire la zona da trattare ed asciugare la cute. Perché si pulisce la zona da trattare?
Perché le secrezioni potrebbero andare ad interferire con quella che è l’assorbimento del farmaco.
immaginate di mettere le gocce nasali ad una persona che ha il naso incrostato, o le gocce oculari
o gli unguenti oculari ad una persona che ha le secrezioni a livello oculare o che ha ancora i
residui dell’applicazione precedente, va prima pulito e poi si passa alla somministrazione. Se
necessario, dopo aver effettuato l’igiene cambiare i guanti.
Applicare il farmaco secondo la tecnica adatta per la forma farmaceutica (cerotto, pomata, collirio,
gocce), se necessario coprire con una medicazione di garza o cerotto, riposizionare il paziente
nella posizione in cui era gettare i guanti ed il materiale sporco.
Valutazione:
• andiamo ad ispezionare le condizioni della cute ed in generale della zona interessata alla
somministrazione.
• Verificare se il paziente è in grado di effettuare l’auto applicazione, perché molte volte questa
somministrazione può essere effettuata anche dal paziente stesso, però se il paziente
non è in grado di auto medicarsi da solo nella maniera corretta glielo dobbiamo spiegare di
nuovo e rivalutare se è in grado di farlo.
• Osservare la zona trattata e chiedere al paziente se ha avuto delle difficoltà o se ha bisogno
di ulteriori informazioni.
• Registrare nella cartella la somministrazione e le informazioni rilevanti.
• Instillazione delle gocce nell’orecchio Le gocce auricolari devono essere introdotte nel
condotto uditivo, e devono andare arrivare all’ingresso del timpano perché da lì vengono
assorbite per arrivare dove c’è l’infiammazione.
Che cosa bisogna portare? Fondamentalmente sempre le stesse cose, in relazione al farmaco
da somministrare.
Si verifica l'identità del paziente, si verifica la prescrizione. In questo caso noi abbiamo due
orecchie e non è detto che si debba eseguire la procedura ad entrambe, è possibile che il
paziente debba mettere le gocce in un solo orecchio; quindi, bisogna verificare dove si deve
eseguire la procedura.
Bisogna verificare le condizioni del canale auricolare, vedere se è infiammato, se ha delle lesioni,
se ha delle secrezioni. Presenza di dolore o ipoacusia, informazioni sugli intervalli di
somministrazione della procedura, sull’apprendimento del paziente, il grado di autosufficienza e
poi si passa a posizionare il paziente nella posizione più comoda, che sia supina o seduto con la
testa girata con l’orecchio interessato rivolto verso l’alto.
Nel momento in cui viene instillata la goccia si preme sul trago e si fa un massaggio che permette
alle gocce di arrivare in fondo. Successivamente si mette un batuffolino di cotone o di garza per non
far uscire le gocce dall’orecchio. Si chiede al paziente di rimanere con la testa girata in modo tale
che le gocce scendano bene.
A cosa dobbiamo fare attenzione: l’instillazione delle gocce nell’orecchio potrebbe creare in
generale delle vertigini perché nell’orecchio c’è il centro dell’equilibrio e noi stiamo introducendo
una cosa che non c’è e questo potrebbe creare degli sbandamenti al paziente. Può succedere in
ogni caso ma succede ancora di più quando il farmaco è freddo, perché all’interno dell’orecchio c’è
una certa temperatura, che è la temperatura che andiamo a prendere con il termometro timpanico,
ed è un po’ più alta rispetto al resto.
C'è uno shock termico, vasocostrizione, cambia la fisiologia in pochi secondi, c’è una contrazione
dell’orecchio è il paziente va in vertigine. Visto che alcuni farmaci devono essere conservati in
frigo, prima della somministrazione dobbiamo aspettare che arrivino a temperatura ambiente o
che comunque non siano troppo freddi.
La cornea è la parte anteriore dell’occhio e ricopre la parte colorata più l’ride (la parte bianca è
chiamata congiuntiva). Se la cornea viene sfregata spesso può creare diversi problemi alla sua
integrità, per questo è consigliato non grattare spesso la palpebra con l’occhio interno perché si
rischi di consumarla, in quanto il tessuto corneale è un tessuto come tutti gli altri tipi di tessuti (se
cadiamo creiamo un’abrasione sul ginocchio, così funziona anche con l’occhio, solo che il
movimento è indotto da noi stessi)
Il farmaco o le gocce che bisogna andare a somministrare al paziente non bisogna metterlo sulla
cornea direttamente perché può creare irritazione, visto che comprende la parte più sensibile
dell’occhio. L’unico caso in cui il farmaco va somministrato sulla cornea è nel caso di pomata,
mentre le gocce vanno messe sotto la congiuntiva.
MATERIALI PER LA SOMMINISTRAZIONE DEI FARMACI OCULARI:
1. Scheda di terapia
2. Farmaci da somministrare
3. Quadratini di garza-cotone-bende oculari
4. Soluzione fisiologica o acqua tiepida
5. Guanti monouso
6. Bacinella o reniforme
7. Telino cerato
8. Cerotti
9. Contenitore rifiuti
La posizione del paziente deve essere o supina o seduto con la testa lievemente iperdistesa, così
da rendere il posizionamento dell’occhio perpendicolare rispetto al piano di somministrazione.
LA TECNICA DI SOMMINISTRAZIONE:
Aiutare il paziente a prendere o la posizione fowler o supina, per somministrare il farmaco sena
nessun fastidio.
E’ importante rammendare al paziente di non strizzare gli occhi dopo la somministrazione, altrimenti
tutto il farmaco fuoriuscirà dalla zona oculare. (esempio: quando si va dall’oculista per il controllo
del fondo dell’occhio sia usano delle gocce per controllare la pressione, questo tipo di gocce
provocano un prurito che però deve essere contrastato.) Il consiglio che possiamo dare è quello di
chiudere gli occhi e respirare profondamente dalla bocca, così da indurre un riflesso del cervello al
respiro cosi da allievare il prurito.
Nella somministrazione bisogna porre una o due dita sull’osso frontale e con l’altro abbassiamo
la palpebra inferiore e chiedere di osservare verso l’alto così da indurre a cornea fuori dal campo
di applicazione del farmaco.
Se da somministrare è una pomata bisogna applicarlo sulla parte interna della zona inferiore
(volgarmente la zona dove si applica la matita per gli occhi). lasciamo poi la palpebra e chiediamo
al paziente di chiudere gli occhi senza che noi spalmiamo poi successivamente.
SOMMINISTRAZIONE PER VIA RETTALE:
• Supposta
• Clisteri clistere ideale per ottenere effetti locali o sistemici
LOCALI:
Possiamo parlare di :
Esistono dei farmaci che oltre ad avere le zone classiche di somministrazione, comprendono
anche quella per via rettale (supposta come il paracetamolo).
Il vantaggio della via rettale è che la supposta una volta introdotta agisce in maniera sistemica;
infatti, in alcune patologie è preferibile perché ha effetto più veloce perché è a contatto con la
mucosa che diffonde in tutto il corpo (per esempio nella colica renale nell’uomo l’antiinfiammatorio
è preferibile somministrarlo per via rettale perché ha anche effetto rilassante per i muscoli pelvici).
• Schede di terapia
• Farmaco da somministrare
• Quadratini di garza
• Cotone
• Guanti monouso
• Reniforme
• Contenitore rifiuti
Cosa importante da verificare quando si somministra il farmaco è:
Molto simile a quella rettale, infatti esistono degli ovuli con principi simili alle supposte. Esistono dei
farmaci vaginale che esplicano il loro effetto diretto con la mucosa vaginale, quindi, sono più
somministrazioni a effetto locale che va dal canale vaginale all’utero e al massimo alle ovaie.
Vengono somministrati:
• Schiuma
• crema
• Irrigazioni
• ovuli
• tavolette
Nella maggior parte dei casi la paziente è in grado di auto medicarsi, cioè sa somministrare in
maniera autonoma il farmaco prescritto dal ginecologo. IN caso la paziente non fosse in grado, si
interviene in aito, però cambierà la posizione in cui la paziente era abituata ad autosomministrare in
farmaco cioè con una delle due gambe alzate ed appoggiate ad un qualcosa di solido. In caso
quindi di somministrazione esterna la posizione sarà o di Sims oppure quella ginecologica.
SOMMINISTRAZIONI NASALI:
Possono essere di tipo solido, liquidi o semisolidi. Quelli più utilizzati sono quelli ad effetto
decongestionante(raffreddore).
Tecnica:
• Lavarsi le mani
• Posizionare il paziente in posizione con la testa iperdistesa
• Tenere il flaconcino con una mano, il cappuccio è posto dentro la narice
• Il paziente in caso di spray deve inalare ovviamente a scopo individuale
LEZIONE 3 27/04/2022
francesca rossofuoco,adriano schneider graziosi
La maggior parte dei farmaci è possibile somministrarla per via sottocutanea, come ad esempio i
liquidi, mediante aghi butterfly, con una velocità chiaramente minore rispetto alla via
endovenosa. La differenza tra una terapia sottocutanea e una terapia endovenosa sta nella
modalità di assorbimento del farmaco, che nella terapia sottocutanea è più lenta, in quanto
deve essere riassorbito e inserito in circolazione. La via sottocutanea è normalmente utilizzata
per farmaci non assorbibili a livello gastrointestinale (come ad esempio eparina, insulina, ecc..),
che richiedono somministrazioni in piccole quantità con una diffusione lenta ma costante nel
tempo (ecco perchè i liquidi). Quindi se ho un paziente che non ha una necessità di assumere
grandi quantità di liquidi tutti insieme e in maniera veloce tale da somministrargliela nel torrente
ematico (via endovenosa), posso somministrarlo per via sottocutanea.
A seconda della zona considerata, abbiamo una velocità di assorbimento diversa, che puó
essere media, lenta o veloce. Questo perchè dipende dalla vascolarizzazione della zona che
stiamo considerando, ad esempio nella parte anteriore dell’addome, l’assorbimento è veloce, in
quanto essendo una zona altamente vascolarizzata (che ha quindi più vasi) il farmaco viene
assorbito più velocemente, a differenza ad esempio del gluteo inferiore. Per esempio infatti, ad
un paziente che ha la glicemia alta, è consigliabile fare l’insulina sulla pancia, piuttosto che sul
braccio.
TERAPIA INSULINICA
L’insulina è un ormone indispensabile per la regolazione del metabolismo dei carboidrati, dei grassi
e delle proteine, prodotto dal pancreas, il quale quest’ultimo è una ghiandola sia esocrina, perchè
produce succo pancreatico, sia endocrina che produce insulina, prodotta dalle cellule beta che
si trovano nelle isole di Langerhans, mentre le cellule alfa producono glucagone. Insulina e
glucagone collaborano per il mantenimento costante dei valori di glicemia nel sangue. Se c’è
uno squilibrio di questi ormoni, soprattutto nella produzione di insulina, si configura quella che è
la malattia cronica del diabete.
Come terapia sostitutiva alla produzione da parte del pancreas di insulina, abbiamo la
somministrazione dell’insulina, la quale ne esistono svariati tipi. Ad esempio troviamo l’insulina
rapida e l’insulina lenta. L’insulina rapida, su un picco di iperglicemia, subito dopo averla
somministrata, andrà ad abbassare rapidamente i livelli di glicemia. L’insulina lenta (o insulina
basale) che viene somministrata, ad esempio la sera, una volta, in quantità più alte rispetto
all’insulina rapida, la sua azione è quella di mantenere a livelli basali la produzione di insulina per
evitare fondamentalmente i picchi di iperglicemia. Ovviamente la differenza di somministrazione
sta nella prescrizione da parte del medico, che varia da paziente a paziente, cioè i valori di
glicemia del paziente vanno monitorizzati ed elaborati, per capire se il paziente fa dei picchi
durante la giornata, allora in quel caso va somministrata insulina lenta la sera, con aggiunta di
insulina rapida o a pranzo, o a cena, o a colazione, o a tutti e tre i momenti. Monitorizzare anche
la notte, in caso di discesa in ipoglicemia. Altra cosa importante è la misurazione della
glicemia prima di ogni somministrazione di insulina SEMPRE. L’insulina lenta generalmente
non porta mai a crisi ipoglicemiche, ma l’insulina rapida sì.
Per somministrarla utilizziamo le siringhe da insulina la cui capienza è di 100 unità
internazionali, che corrispondono ad 1ml di farmaco. Possiamo somministrare l’insulina con
flacone multidose e una siringa oppure con le penne da insulina, caricando di lato, girando la
rotella, il numero di unità da somministrare. Una cosa importante da fare quando si somministra
attraverso la penna, una volta caricata la quantità di insulina necessaria e avendo punto il
paziente, bisogna tenere l’ago in sede, premendo il tasto, almeno 10 secondi, in quanto in
un’unica pressione l’insulina potrebbe non uscire tutta o buttare fuori alcune gocce.
Una delle complicanze della terapia di insulina per via sottocutanea è l’ipodistrofia, causata
dalla somministrazione dell’insulina sempre nello stesso punto. Essa non è altro che
formazione di tessuto adiposo distrofico (volgarmente cisti di tessuto più duro).
Per eseguire l’iniezione si puó seguire la tecnica della plica cutanea, cioè si pizzica la cute con
due dita, formando una plica in cui si fa penetrare l’ago con un angolo di 45 o 90 gradi (che
varia in base allo stato fisico del paziente, es. se il paziente è cachettico).
CONSERVAZIONE DELL’INSULINA
E’ importante attenersi sempre alle indicazioni del produttore, quindi non c’è una regola fissa.
Però c’è una regola di base che puó variare in base alle indicazioni del produttore. In caso di
dubbio consultare sempre il foglietto illustrativo. In genere l’insulina va conservata in frigorifero
tra i 2 e gli 8 gradi, non deve essere congelata, non va esposta a temperature superiori a
30 gradi e deve essere conservata al riparo dalla luce. Questo per quanto riguarda l’insulina
chiusa. Per quanto riguarda l’insulina aperta, va consumata entro un mese dall’apertura,
indipendentemente dalla data riportata sul flacone, e puó essere lasciata fuori dal frigorifero. Se
l’insulina è stata appena aperta, è quindi fredda di frigorifero, prima di somministrarla, bisogna
aspettare che questa arrivi a temperatura ambiente, perchè iniettare dell’insulina fredda aumenta
il rischio del processo di ipodistrofia e cambia il tempo di assorbimento perchè è un liquido
freddo.
EDUCAZIONE DEL PAZIENTE
Essendo una terapia cronica e destinata ad autosomministrazione, entra in campo quello che
è il ruolo educazionale dell’infermiere sul paziente. Il paziente va educato
all’autosomministrazione, al corretto regime alimentare, all’attività fisica e al monitoraggio dei
vari livelli di glicemia.
TERAPIA INTRAMUSCOLARE
Somministrazione di un farmaco all’interno di un muscolo. Una delle più valide alternative alla
terapia orale, perchè se un farmaco non puó essere somministrato per via orale, posso
somministrarlo per via intramuscolare o per via endovenosa. La differenza tra intramuscolare e
endovenosa è semplicemente il tempo di assorbimento. L’intramuscolare impiega circa 15-20
minuti a fare effetto, l’endovenosa ha un effetto immediato.
Le sedi di somministrazione sono:
-il deltoide, che ha punto di inserzione nel processo acromiale e arriva all’articolazione del
gomito, a 4cm dal processo acromiale;
-il vasto laterale;
-il dorso gluteale (non molto raccomandato);
-il ventro gluteale (più indicato), che va verso l’addome.
Per reperire il muscolo ventro gluteale, si poggia il palmo della mano sul trocantere, il medio della
mano va posto lungo la linea femorale, l’indice verso l’addome e il pollice verso l’inguine e la sede
di iniezione della puntura sarà tra il medio e l’indice. É la parte più consigliata perchè il muscolo è
grande, è più profondo (miglior capacità di assorbimento) e non vi passa il nervo sciatico.
Una iniezione intramuscolare va effettuata con un ago da 21, 22 o 23 gauge,
considerando: -tipologia del paziente (se è obeso, cachettico..)
- la sede di iniezione, perchè per ad esempio per effettuare un’iniezione sul ventro gluteale ci
vuole un ago più grosso rispetto a quello utilizzato per il deltoide
-l’età del paziente, se ad esempio è un paziente pediatrico
-tipologia del farmaco: se ad esempio stiamo somministrando un farmaco oleoso e abbiamo
un ago sottile, il paziente si farà male e il farmaco scenderà con difficoltà.
La scelta della sede dipende anche dalla quantità di liquido che dobbiamo andare a
somministrare, perchè più piccolo è il muscolo che dobbiamo pungere, meno quantità possiamo
inoculare al suo interno. Il muscolo ventro gluteale è quello che puó accogliere la maggior
quantità di farmaco, ossia 5ml, il deltoide ad esempio non più di 2.5ml, considerando anche
che il paziente spesso non riceve solo una iniezione ma segue una terapia intramuscolare che
andrà a stressare molto il sito d'iniezione.
2) la scadenza
3) il dosaggio
4) la via di somministrazione
Poi usare un ago di calibro arancione per la diluizione del farmaco e poi cambiare ago per
l'inoculazione; questo perchè dopo aver costituito un farmaco all'interno dell'ago ( che si è
smussato entrando nella fiala ) dato che ha diluito un farmaco potrebbe avere particelle del
farmaco più grandi non diluite. Altrimenti, se abbiamo solo aspirato un farmaco, l'ago si è
bagnato del farmaco, e se l'ago è bagnato del farmaco nell'entrare fa male al paziente dato che
ogni tessuto va a contatto con la sostanza.
Dobbiamo ricordarci di prestare attenzione alla lunghezza dell'ago lasciando 1/3 dell'ago
sempre esposto ed alla posizione del paziente che deve essere il più comoda e stabile
possibile.
A quel punto si disinfetta e poi si usa la tecnica del tratto a Z per eseguire tuttte le iniezioni:
Questa tecnica sta a sottolineare quanto le iniezioni vadano fatte tutte in zone diverse della plica
di pelle effettuata di modo che i buchi che abbiamo fatto non si incrocino e tornino su piani
diversi. L'esterno quindi non comunicherà con l'interno.
Nella zona dorso-gluteale dato che ci passano diversi vasi superficiali si pungeva e si aspirava
leggermente per vedere se c'era presenza di sangue sempre, mentre adesso è consigliata
esclusivamente per il gluteo e per nessun altro sito di inoculazione, dato che solo in questo sito si
ha una vascolarizzazione così importante, mentr enegli altri andando a creare una pressione
negativa possiamo lesionare e sollecitare il muscolo e poi andando a somministrare il farmaco ci
sono problemi
di assobrimento. Questa tecnica ( VESSER ) non è più consigliata. Prima veniva utilizzata a
causa della diluizione tramite lidocaina che per via endovenosa può essere fatale.
Adesso manca solo la parte di somministrazione di farmaci per via intradermica. Questa via di
somministrazione non ha effetto terapeutico curativo, viene utilizzata più che altro per
l'esecuzione di test allergenici e mantoux. Non è altro che l'instillazione di poche unità di
reagente all'interno del derma.
Utilizziamo siringa ed ago di insulina, e l'inoculazione sarà a 15 gradi, e la formazione del
ponfo intradermico sarà la prova dell'effettuata somministrazione.
Sindrome da immobilizzazione
E' il complesso di segni e sintomi a carico dei vari apparati che si manifestano quando una
persona è costretta all'immobilità per un lungo periodo.
il decubito è la posizione assunta dal paziente, a letto può essere di tre tipi:
In base alla posizione del paziente vengono evidenziate le prominenze ossee. es. se il paziente
è posizionato in decubito supino i punti di pressione saranno capo ( occipite ) scapole, gomiti,
osso sacro, talloni. In decubito laterale avremo orecchio, coste, condili, malleolo. Prono avremo
l'acromion, i seni, i genitali, le ginocchia, i piedi. Se alla posizione supina aggiungiamo una
coperta si aggiungono altre pressioni ( la coperta preme sui piedi e si forma piede equino )
Prevenzione:
La profilassi sarà relativa agli aspetti menzionati all'inizio, quindi la prevenzione delle LDP (
lesione da pressione ), contratture , rischio trombo embolico, polmoniti da stasi e
Primo stadio di LDP: Eritema a livello del derma che non scompare alla digito
pressione in corrispondenza del punto di repere interessato.
Ciò che determina la gravità della lesione non è la necrosi ma la profondità della lesione.
Esiste infatti un quinto stadio, uno stadio non stadiabile, che significa che sulla lesione è
presente un'escara ( regione di tessuto atrofico in rilievo e secco ) che non permette di
vedere sotto. Una volta rimossa l'escara possiamo dire lo stadio della lesione da pressione.
Quali sono le cause che portano al verificarsi di una LDP? Fattori intrinseci ed
estrinseci. Intrinseci:
-infezioni ricorrenti
-ipomobilità
Estrinseci
Tutti questi fattori di rischio devono essere prevenuti, se sono fattori estrinseci si possono
modificare ma alcuni dei fattori intrinseci non sono modificabile nell'assistenza infermieristica (
vedi l'età )
Utilizziamo due tipi di scala: NORTON e BRADEN, in grado di dare un valore oggettivo
alle caratteristiche del paziente
Andiamo a valutare le condizioni generali, poi le variabili cioè gli aggettivi che modificano
un indicatore oggettivo.
La sacala di Norton sottostante è la scala utilizzata più frequentemente per l'aggiornamento delle
condizioni del paziente. Dopo aver valutato tramite norton e braden si ritorna a valutare il
paziente tramite norton per individuare miglioramenti o peggioramenti delle condizioni generali
del paziente durante il suo percorso terapeutico.
Importante è ricordarci che il ruolo dell'infermiere riguardo le LDP è esclusivamente preventivo.
Se il paziente entra in reparto ed è un paziente ad alto rischio e sviluppa lesioni da pressione è
un problema strettamente infermieristico.
(qui c'è un dialogo tra professoressa e studente nei confronti di un caso clinico dove i medici si
sono frapposti agli infermieri nel trattamento di una ldp al terzo stadio: essendoci utilizzo di
farmaci è possibile che il medico scelga di ergersi a responsabile della terapia ma l'infermiere
resta il responsabile dell'assistenza e della prevenzione del trattamento)
LEZIONE 4 11/05/2022
francesca rossofuoco, chiara floris
Gli anticoagulanti vanno ad agire sui fattori della coagulazione, e possono essere monitorizzati
facendo il dosaggio degli INR, più il valore è alto e più tempo ci mette il sangue a coagulare, e si
dice che il paziente è scoagulato, più il valore è basso e più il paziente coagula velocemente,
quindi il rischio trombo embolico aumenta. Il rischio trombo embolico porta all’instaurarsi di una
patologia che viene chiamata trombosi venosa profonda perché la problematica appunto sta nella
formazione di questi trombi all’interno delle vene profonde di grosso calibro.
La trombosi venosa profonda (TVP) è per definizione l’ostruzione parziale o completa di una
vena della circolazione venosa profonda di un arto, da parte di un coagulo di sangue o un
trombo, in cui sono maggiormente interessati gli arti inferiori nel 90% dei casi.
POLMONITI DA STASI
Altra complicanza che sorge dalla sindrome da immobilizzazione sono le polmoniti da stasi. Se il
paziente è immobile e ha secrezioni che ristagnano, esse possono andare in contro ad un
processo infettivo portando appunto alle polmoniti da stasi.
La polmonite in generale è la malattia dei polmoni e del sistema respiratorio in cui gli alveoli
polmonari si infiammano e si riempiono di liquido, ostacolando la funzione respiratoria.
EDEMI DA STASI
Il paziente è immobile, non ha una circolazione e un ritorno venoso adeguati e di conseguenza
succede che all’esterno dei vasi inizia ad uscire del liquido, il liquido si accumula in
corrispondenza degli arti, prima inferiori, poi superiori e poi anche a livello addominale.
L’edema da stasi (o stasi linfatica) quindi è una condizione patologica in cui si assiste ad un
aumento del volume liquido interstiziale. Gli arti inferiori sono sempre più colpiti perché sono
quelli più lontani dal cuore.
Per valutare la presenza di edema da stasi a livello degli arti inferiori si calcola il segno della fovea,
in corrispondenza della zona perimalleolare, facendo delle compressioni con il dito: se rimane il
segno della pressione del dito, quella è la fovea, cioè accumulo di liquido che normalmente non
dovrebbe esserci.
La sindrome da immobilizzazione fa parte delle diagnosi infermieristiche ed è per definizione il
rischio di deterioramento dei sistemi o apparati dell’organismo in conseguenza di
un’inattività muscolo-scheletrica prescritta o inevitabile. All’interno della sindrome da
immobilizzazione ci sono tante diagnosi come:
-Rischio di compromissione dell’integrità cutanea (perché possiamo avere l’insorgenza di LDP)
-Rischio di stipsi (il paziente non si muove, diminuzione della peristalsi)
-Rischio di compromissione della funzionalità respiratoria (polmoniti da stasi)
-Rischio di inefficace perfusione tissutale periferica (edemi da stasi)
-Rischio di infezione
-Rischio di intolleranza all’attività (più il paziente sta fermo più tenderà a non muoversi)
-Rischio di compromissione della mobilità
-Rischio di lesione
-Senso di impotenza
-Rischio di disturbo dell’immagine corporea
COMUNICAZIONE
Dal latino “comunicare” ossia “mettere in comune”.
Svolge un ruolo prioritario nel processo di assistenza al paziente, poiché la relazione che si instaura
con l’assistito rappresenta per il professionista un aspetto cruciale.
L’ambito sanitario è uno di questi in cui la relazione tra assistito ed infermiere si presenta come una
relazione d’aiuto: colui che aiuta deve essere esperto nell’offrire risorse, utilizzando tutto ciò che
può essere compreso entro il rapporto interpersonale (emozioni, sentimenti, punti di vista, opinioni,
ecc.). La comunicazione è un punto molto importante da curare, in quanto possiamo trovarci di
fronte ad un paziente sordo, straniero, o ancor di più un paziente affetto da SLA. Il paziente affetto
da SLA, malattia cronica degenerativa, perde tutta la possibilità di movimento, tra cui anche la
possibilità di parlare e magari rimane solo con la possibilità di muovere il piede, un dito o gli occhi.
Per questi pazienti esistono delle tavole con alcune lettere che loro possono indicare con l’unica
cosa che loro riescono a muovere in modo tale da poter esprimere i concetti. Ma non è facile perché
la tavola dove i pazienti SLA si esprimono non costine tutte le lettere. Parlano con i gesti facendo
dei segni su queste tavole e chi li assiste li deve capire.
L’infermiere deve quindi trovare l’escamotage per parlare con il paziente, si deve accorgere delle
difficoltà del paziente e deve metterlo nelle condizioni di comunicare.
La comunicazione può incontrare delle difficoltà, cioè il rumore, ovvero qualsiasi ostacolo alla
comunicazione, che può chiaramente influenzare il ricevente.
La comunicazione dà alla persona un senso di sicurezza rinforzando la sua percezione di non
essere sola e di avere qualcuno che l’ascolti.
D’altro canto, una comunicazione inadeguata può provocare frustrazione, collera, depressione e
senso di isolamento. Per prevenire queste situazioni, la peculiarità dell’infermiere sta nel saper
coinvolgere l’assistito in una relazione terapeutica che si fondi su fiducia ed empatia, che la renda
partecipe nel piano di cura ed assistenza e riduca al minimo le reazioni avverse.
Per catturare l’attenzione dei pazienti, anche di quelli dissociati, vanno chiamati per nome. Non si
va mai dal paziente senza dire cosa si sta facendo. Il paziente va sempre coinvolto, in quanto la
comunicazione verbale ci apre la relazione verso il paziente. Bisogna anche avere l’accortezza di
capire se il paziente preferisce essere appellato con il ‘tu’ o con il ‘lei’.
Comunicazione in ambito pediatrico (considerando bambini capaci di interagire, quindi dai 2 anni
e mezzo/ 3 in su)
Il bambino deve prendere parte al processo di assistenza, quindi in ogni caso deve essere
informato, aiutato e reso partecipe di quello che stiamo facendo. Perché in caso contrario
risulterebbe un'imposizione, provocando in seguito una reazione di rifiuto nei nostri confronti.
Adesso vedremo insieme la differenza tra una comunicazione efficace da una comunicazione
inefficace.
Efficace -->
- Domanda aperta, quindi la capacità di instaurare un dialogo aperto che possa consentire la
libera scelta del paziente di parlare nella propria zona confort.
- Ascolto, dobbiamo metterci sempre in condizioni di ascolto nei confronti del paziente in
qualsiasi occasione.
- Rispecchiamento e verifica, esprimere la propria opinione o esperienza rispetto
all’argomento che si sta affrontando.
- Riepilogo, significa dare una conferma al paziente di essere stato ascoltato
- Empatia, porsi in maniera immediata nello stato d’animo del paziente
Inefficace -->
Nel saper fare e nel saper essere dell’infermiere sono compresi i seguenti concetti:
- Ascoltare --> il paziente deve trovare un ambiente accogliente, deve potersi esprime con
serenità.
- Riaffermare --> l’infermiere comunica al paziente che lo sta ascoltando, mentre il paziente
ha la possibilità di ripetere il messaggio ed eventualmente chiarirlo.
- Rispecchiare --> quindi manifestare i valori e le credenze con l’obiettivo di aiutare il paziente
ad analizzare i propri pensieri rispetto ad un problema.
Nel rapporto tra infermiere e paziente è importante siano presenti alcuni elementi come:
- Fiducia --> si tratta di un sentimento indispensabile per il benessere del paziente che
l'infermiere deve tenere in considerazione per favorire una buona predisposizione all’ascolto.
- Empatia --> come detto precedentemente, l’infermiere deve “addentrarsi” nella vita del suo
paziente con lo scopo di poterlo aiutare a risolvere i suoi problemi.
Un altro aspetto che in ogni modo dobbiamo tenere in considerazione è il bisogno spirituale
Per approfondire il discorso, è bene fare riferimento:
- All’articolo 3 del codice deontologico dell’infermiere (2019), in quanto sottolinea
l’importanza di rivolgere assistenza a chiunque ne abbia bisogno, tenendo conto e
rispettando qualsiasi sua necessità spirituale, relazionale, psicologica ecc...
L'unico caso in cui l’operatore sanitario può diventare obiettore di coscienza, quindi poter essere
libero di non agire, è l’interruzione volontaria di gravidanza.
Se invece si tratta di un'interruzione di gravidanza di tipo terapeutica, a quel punto l’infermiere è
tenuto ad intervenire ugualmente e a prescindere dal suo pensiero personale.
Avere rispetto culturale e religioso implica conoscere le altre culture e le altre religioni.
Ci sono determinate nozioni che ci servono per poter rapportarci con persone di una religione
diversa da quella che pratichiamo e sono essenziali soprattutto a livello fisiologico (un esempio
possono essere le diverse esigenze alimentari)
Facendo riferimento alle religioni più grandi, ci renderemo conto delle diverse caratteristiche che le
contraddistinguono e che noi operatori sanitari siamo tenuti a prendere in considerazione.
Esempio:
- Cristianesimo -->
Giorno di festività: domenica;
Nessuna restrizione alimentare;
La chiesa cattolica è contraria all’eutanasia e all’aborto;
Possibilità di celebrare il battesimo (col consenso della madre) a tutti quei bambini nati morti;
La maternità surrogata illecita;
Viene accettata l’inseminazione artificiale (omologa);
Sono ammessi i trapianti di organi vitali;
No accanimento terapeutico;
Sì cure palliative;
- Testimoni di Geova -->
Rifiuto di sangue e loro derivati;
Sì ad alcune procedure;
Educazione ai principi della religione fin da piccoli;
I testimoni di Geova hanno profonde convinzioni religiose che impediscono loro di accettare sia il
sangue intero sia i quattro componenti principali (globuli rossi, globuli bianchi, piastrine e plasma).
Inoltre, non donano sangue né accettano il predeposito del loro sangue perché sia loro trasfuso in
un secondo tempo.
- Islamismo -->
Giorno di festività: venerdì;
Restrizione alimentari: sì;
Obbligo per le donne di indossare il velo tradizionale;
Impossibilità da parte della donna di prendere decisioni in maniera autonoma;
Riluttanza da parte delle donne a farsi visitare da medici del sesso opposto;
La preghiera in momenti precisi della giornata;
Nell'islam l’aborto è considerato omicidio;
No suicidio;
Favorevoli all’allattamento;
Sì al rito della circoncisione per i maschietti;
Rito battesimale;
- Ebraismo -->
Giorno di festività: sabato;
Restrizioni alimentari: sì;
Obbligo per l’uomo di indossare il berretto tradizionale (kippah);
Poter lavare le mani in una caraffa prima dei pasti;
Preghiera quotidiana;
Contrario all’aborto;
Diatriba su eutanasia e fecondazione assistita;
Sepoltura entro le 24h;
Sperimentazione sugli embrioni: vietato;