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Il catetere vescicale più usato è il Foley un catetere molle, auto statico. E’
dotato all’estremità distale di un palloncino gonfiabile che ne permette
l’ancoraggio in vescica.
Presenta 2 fori contrapposti e simmetrici. La sua flessibilità ed elasticità
assicura un elevato grado di comfort al paziente cateterizzato.
Il palloncino va gonfiato con 8-10 ml di soluzione fisiologica sterile.
Le sacche di raccolta delle urine possono essere di diverso tipo.
Sacca di raccolte urine a circuito chiuso: è un drenaggio urinario in una
sacca chiusa all’esterno. E’ dotato di un dispositivo di prelievo urine e di un
rubinetto applicato alla sacca stessa che ne consente il periodico
svuotamento, senza dover interrompere il circuito.
L’introduzione di questo sistema di drenaggio ha rappresentato le prevenzioni
delle IVU.
Hanno un basso rischio di inquinamento. Sono dotate di rubinetti di scarico
con doppia valvola di sicurezza, non permette né ai germi né alle urine di
penetrare nel raccordo se utilizzate correttamente, queste sacche hanno la
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caratteristica di essere tenute in sito anche per più giorni, in oltre permettono
il prelievo di campioni di urina senza inquinare.
Sacca di raccolta urine a circuito aperto: non hanno, come il circuito chiuso,
le valvole di sicurezza pertanto sono facilmente contaminanti.
Sia quelle con rubinetto che senza, devono essere sostituite tutti i giorni,
hanno un capienza di circa 2000 cc.
Tecnica di posizionamento nella donna
Aiutare il paziente ad assumere la posizione ginecologica e quindi:
1) indossare 2° paio di guanti non sterili
2) con siringa da cc. 10 sgonfiare il palloncino di ancoraggio del catetere
vescicole in loco e quindi rimuovere il catetere dal canale uretrale
3) aprire il kit e indossare 1° paio di guanti sterili e disporre ordinatamente il
materiale all’interno del campo sterile
4) aspirare nella siringa cono catetere la soluzione fisiologica dal flacone di
cc. 100
5) eseguire la disinfezione della zona genitale, con tamponi imbibiti di
soluzione disinfettante come di seguito indicato, ricordando che ogni garza va
usata una volta sola con movimento dall’alto basso verso; con una mano si
disinfetta, mentre con l’altra si tengono divaricate le labbra vulvari:
a. con 1° e 2° tampone disinfettare le grandi labbra dx e sx
b. con 3° e 4° tampone disinfettare le piccole labbra dx e sx
c. con 1° garza disinfettare l’orifizio uretrale
d. con 2° garza metterla sull’orifizio vaginale
6) eliminare il 1° e il 2° paio di guanti sterili
7) stendere il primo telo sterile sul piano del lettino e il 2° telo sulla zona
pubica
8) togliere l’involucro di protezione del catetere e raccordarlo alla sacca di
drenaggio
9) lubrificare il catetere
10) introdurre lentamente la punta del catetere nel meato uretrale e
proseguire l’introduzione fino alla collocazione in vescica
11) raccordare il catetere della sacca ed effettuare con siringa cono catetere ,
riempita con soluzione fisiologica, un lavaggio vescicale per verificare il
posizionamento in vescica, quindi raccordare il catetere con la sacca di
drenaggio
12) raccordare la siringa preriempita con acqua depurata nella seconda via
del catetere e gonfiare il palloncino di ancoraggio, ritirare il catetere fino a
percepire resistenza in modo che il palloncino si ancori al collo della vescica
13) fissare la sacca sull’apposito sostegno al bordo del letto e posizionarla al
di sotto del livello della vescica per evitare il reflusso dell’urina. Questa norma
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va osservata per il paziente in posizione supina, ma soprattutto se è
deambulante, al quale la sacca va fissata ad una gamba sotto gli indumenti.
14) infine si utilizza il sacchetto contenuto nel kit per raccogliere il materiale
usato
15) segnare tutto in cartella e dare le informazioni per la prossima
sostituzione.
Tecnica di posizionamento nell’uomo
Far assumere al paziente la posizione supina con le gambe leggermente
divaricate, quindi, effettuare cure igieniche dei genitali:
1) indossare 1 paio di guanti non sterili
2) con siringa cc. 10 sgonfiare il palloncino di ancoraggio del catetere
vescicole in loco e quindi rimuovere il catetere dal canale uretrale
3) aprire il kit indossare 1 paio di guanti sterili e disporre ordinatamente il
materiale all’interno del campo sterile
4) aspirare con la siringa cono catetere la soluzione fisiologica dal flacone di
cc. 100
5) afferrare il pene con una garza per non inquinare i guanti sterili ed
eseguire la disinfezione della zona genitale, come di seguito indicato:
ritirare il prepuzio e disinfettare con i tamponi imbibiti di soluzione
disinfettante per almeno tre volte il glande e l’orifizio ureterale , la disinfezione
avviene movendo il tampone, trattenuto dalla pinza ad anelli, dall’orefizio
ureterale , verso la radice del pene, ed infine appoggiare il pene sopra una
garza sterile.
6) sostituire i guanti usati con il 2° paio di guanti sterili
7) stendere il primo telino sterile sul piano del letto e il secondo sulla zona
pubica
8) togliere l’involucro di protezione al catetere e raccordarlo alla sacca di
drenaggio
9) introdurre nell’uretra il gel lubrificante allo scopo di creare una velatura a
protezione della mucosa, per evitare la disepitelizzazione traumatica e
favorire lo scorrimento del catetere, introdurre la punta del catetere nel meato
uretrale lentamente e con movimento rotatorio, distendendo il pene verso
l’alto,
10) abbassare il pene quando si avverte una leggera resistenza e continuare
ad introdurre il catetere fino al posizionamento in vescica (deflusso di urina);
se si dovesse sentire resistenza non forzare la progressione , bensì ritrarre il
catetere di qualche centimetro e reinserirlo
11) raccordare il catetere dalla sacca ed effettuare con siringa cono catetere ,
riempita con soluzione fisiologica, un lavaggio vescicale per verificare il
posizionamento in vescica e quindi raccordare il catetere con la sacca di
drenaggio
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12) raccordare la siringa preriempita con acqua depurata alla seconda via
del catetere e gonfiare il palloncino di ancoraggio, ritirare il catetere fino a
percepire resistenza in modo che il palloncino si ancori al collo della vescica
13) spingere in avanti il prepuzio per evitare eventuali edemi del pene che
potrebbero evitare una parafimosi
14) fissare la sacca sull’ apposito sostegno del letto e posizionarla al di sotto
del livello della vescica per evitare il reflusso di urina; questa norma va
osservata per i pazienti in posizione supina, ma soprattutto per paziente
deambulante, al quale la sacca va fissata ad una gamba sotto gli indumenti
15) infine si usa il sacchetto contenuto nel kit per raccogliere il materiale
usato
16) segnare tutto in cartella e dare le informazioni al paziente o al famigliare
per la prossima sostituzione.
I Cateteri Vescicali arrivano alla vescica passando attraverso l’uretra e, dal
momento che oltrepassano i normali sistemi di difesa dell’organismo, il loro
uso è connesso a dei rischi.
Le infezioni delle vie urinarie sono il problema più frequente.
Le infezioni delle vie urinarie (IVU) sono una delle più frequenti infezioni
nosocomiali e costituiscono approssimativamente dal 20 al 40% di tutte le
infezioni ospedaliere e l’80% di esse sono associate all’uso del catetere
vescicale.
I principi assistenziali a carico dell’OSS nel soggetto portatore di catetere
vescicale sono principalmente finalizzati a prevenire le infezioni delle vie
urinarie/batteriuria, associate al cateterismo vescicale.
E’ quindi importante che l’OSS si occupi in maniera adeguata di:
1) Cura del meato urinario. E’ importante una buona igiene personale intorno
all’area del meato compiuta regolarmente. La cura quotidiana del meato
urinario va fatta con acqua e sapone. L’igiene standard è sufficiente a
prevenire le infezioni
2) Cura del sistema di drenaggio / raccolta urine. Con tecnica adeguata di
svuotamento della sacca La sacca va mantenuta sotto il livello della vescica,
deve avere un rubinetto di svuotamento e un dispositivo antireflusso.
E’ necessario non contaminare la sacca e l’ambiente durante lo svuotamento.
Per questo occorre indossare i guanti monouso ed evitare il contatto del
rubinetto con il contenitore.
E’ importante non dare strappi alla sacca e non appoggiarla sul pavimento.
Presidi per l’incontinenza urinaria.
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Esistono vari presidi che possono essere usati per trattare l’incontinenza
urinaria.
Vari sistemi di assorbenza (strisce, pannoloni di varia forma, misura e grado
di assorbenza) e di traverse monouso assorbenti.
L’uso di comode, pappagalli e padelle.
Possono essere inoltre applicate delle tecniche di prevenzione che
prevedono la figura dell’OSS come figura principale.
Minzione sollecitata: da attuare in pazienti in grado di percepire “la vescica
piena” e che chiedono aiuto e supporto per l’utilizzo del bagno o della
comoda durante il giorno.
Durante la notte è associabile all’utilizzo di pannoloni per conservare il riposo
notturno.
Minzione sollecitata: nei soggetti non in grado di percepire bene lo stimolo
alla minzione. Bisogna garantire un intervallo inter-minzionale fisso (per
esempio ogni due ore). Il paziente viene accompagnato in bagno per la
minzione indipendentemente che sia asciutto o bagnato.
Può essere inoltre realizzato un diario minzionale. E’ uno strumento per
valutare il comportamento eliminatorio del paziente. Necessita di una
diagnosi di incontinenza e permette di fare una pianificazione dell’intervento
assistenziale.
Cosa prevede ?
• Numero e frequenza minzioni nelle 24h
• Diuresi complessiva
• Presenza o meno di ritenzione urinaria
• Presenza o meno di incontinenza fecale
Altro compito fondamentale è la cura della cute.
Intervento assistenziale fondamentale per garantire l’integrità cutanea e per
facilitare l’accertamento di eventuali alterazioni. E’ importante, infatti, evitare
che la cute rimanga a lungo a contatto con le urine e/o feci perché tale
condizione determina la possibilità di sviluppo di micosi e il rischio di avere
delle piaghe da decubito.
L’Operatore Socio-Sanitario nell’ambito delle attività attribuite dal profilo,
interviene nei prelievi di liquidi biologici emessi naturalmente (per esempio da
cavità naturali).
Gli esami diagnostici possibili per l’urina sono:
• Esame chimico-fisico
• Raccolta urine 24 ore
• Urinocoltura
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• Esame citologico.
L’urostomia.
E’ una derivazione urinaria (abboccamento alla cute addominale dei
canali escretori) determinata artificialmente per via chirurgica nei pazienti che
per cause patologiche (ostruzione vie urinarie) presentano una alterazione
del percorso delle urine.
L’urina viene raccolta all’interno di undispositivo costituito da
a) Adesivo
b) Sacca di raccolta
c) Valvola antireflusso (all’interno della sacca di raccolta , previene infezioni)
d) Valvola di scarico (svuotamento sacca).
Nella persona portatrice di urostomia è importante dal punto di vista dietetico
mantenere una DIETA ADEGUATA ed EQUILIBRATA: dovrebbe evitare un
aumento di peso, assumere gli alimenti ricchi di vitamina C (agrumi,
mirtilli) che favoriscono le difese naturali nei confronti delle vie urinarie.
Per quanto riguarda le cure igieniche è preferibile l’utilizzo della doccia
piuttosto che il bagno in vasca per evitare che la placca e la sacca siano
immersi nell’acqua per troppo tempo.
L’eliminazione intestinale
L’eliminazione fecale o intestinale è una funzione mediata dalla volontà
dell’individuo ovvero, normalmente la persona adulta, può controllare, in
buona parte, questa attività adattandola alle proprie esigenze. Infatti
l’espulsione delle feci deriva dall’interazione di fattori biologici e psicologici
che stimolano o inibiscono tale funzione.
Alcuni termini:
• Defecazione (espulsione delle feci dal tratto intestinale verso l’esterno)
• Riflesso colico (presenza di feci nell’ampolla rettale)
• Espulsione delle feci è garantita dall’azione muscolare volontaria e
involontaria (muscoli addominali, contrazione diaframma > pressione
intraddominale).
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L’intestino
L’intestino viene diviso in zone diverse che presentano caratteristiche e
funzioni diverse.
L’intestinuo tenue (piccolo intestino).
Nell'adulto ha un diametro di 3 cm e una lunghezza di 6 metri. E' ripiegato in
anse nella cavità addominale ed è composto di tre parti: il duodeno, il digiuno
e l'ileo.I succhi digestivi prodotti dal fegato e dal pancreas vengono riversati
nel duodeno e si mescolano con il cibo che é stato in parte digerito.
Mentre il cibo passa attraverso il digiuno e poi nell'ileo, viene per la massima
parte digerito ed assorbito; quello che non é stato assorbito, che è liquido,
transita attraverso il colon
L’intestino crasso o grande intestino.
La sua funzione principale è quella di assorbire buona parte dei liquidi e dei
sali, così che il contenuto diventi formato o solido. Si suddivide in: cieco,
colon che è la porzione principale (ascendente, trasverso, discendente,
sigmoideo) e retto.
Una volta che la digestione o l'assorbimento sono stati completati nel piccolo
e grande intestino, rimane un residuo solido, denominato feci.
Questo residuo viene accumulato nel retto e poi eliminato attraverso l'ano,
uno stretto passaggio che mette in comunicazione il sistema digestivo con
l'esterno.
Lo sfintere anale, muscolo ad anello, permette il controllo dell'eliminazione
delle feci.
L’intestino presenta diverse funzioni.
La motilità intestinale (trasporto prodotti di rifiuto e assorbimento sostanze
nutritizie).
La peristalsi intestinale è il movimento di tipo ondoso presente nell'intestino, è
conseguente alla distensione dei visceri che scatena un riflesso nervoso che
induce la contrazione della muscolatura liscia circolare dell’intestino.
L’ assorbimento che è diverso a seconda della zona dell’intestino:
• Nel tenue vengono assorbiti la maggior parte dei nutrienti
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• Dal tenue il “chilo” si sposta nell’intestino crasso attraverso la valvola
ileo-cecale
• Nel Crasso vengono assorbiti acqua e sali minerali. Il contenuto
intestinale in questo tratto è costituito da acqua, rifiuti, sostanze non
digeribili. Il risultato è la produzione di feci.
•
La digestione è l'insieme dei processi meccanici e biochimici attraverso i
quali gli alimenti ingeriti sono trasformati in sostanze nutritive in grado di
essere assimilate.
Il bolo alimentare, dopo essere stato masticato e inghiottito, giunge nello
stomaco, dove i nutrimenti subiscono alcune modifiche che consentono il loro
eventuale e ulteriore assorbimento.
Quindi la digestione prosegue nell'intestino tenue sotto l'azione degli enzimi
digestivi, attraverso la trasformazione dei glucidi in glucosio, dei lipidi in acidi
grassi e in monogliceridi e delle proteine in aminoacidi.
L'assorbimento di questi nutrimenti avviene attraverso la barriera intestinale,
per poi ritrovarsi nel flusso sanguigno.
Caratteristiche delle feci:
• Colore bruno
• Consistenza morbida
• 75% acqua, 25% sostanze solide organiche ed inorganiche, batteri
morti, scorie vegetali o non digerite, proteine
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• Nel neonato (prime feci) = MECONIO (muco, liquido ammiotico, cellule
epiteliali, pigmenti grassi e biliari)
Esistono dei fattori che possono influenzare la normale eliminazione
intestinale: età, abitudini alimentari, ritmi di vita (sedentarietà ecc..), patologie
intestinali, terapie farmacologiche, alcune patologie sistemiche, procedure
diagnostiche e/o chirurgiche.
Anche le feci possono presentare delle alterazioni di colore, della forma o
della presenza di sostanze anomale.
Alterazioni del colore
• Feci acoliche (assenza di bile, colore grigio-biancastro, es. ostruzione
vie biliari)
• Feci bianche (ingestione anti-acidi o bario per esami diagnostici)
• Feci nere (presenza carbone e ferro)
• Feci colorate (farmaci colorati o alimenti particolari)
Alterazioni della forma
• Feci acquose (diarrea)
• Feci secche e dure (stipsi)
• Feci sottili e nastriformi (stenosi del grosso intestino)
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• Feci caprine (stenosi del tratto intestinale inferiore, stipsi)
Presenza di sostanze anomale
• Steatorrea (grasso e muco)
• Rettorragia ed enterorragia (sangue rosso vivo)
• Melena (sangue rosso scuro, feci nere catramose di odore pungente)
• Sangue occulto
• Cibi mal digeriti
• Pus
• Parassiti o uova (ossiuri, tenia, ascaridi)
Esistono inoltre delle alterazioni dell’eliminazione: diarrea, flatulenza e stispi.
Per diarrea s’intende l’eliminazione di feci non formate, liquide e/o poltacee,
con anche più evacuazioni giornaliere.
Può avere cause e meccanismi diversi (es: Per aumentata motilità intestinale;
Patologie tratto intestinale-infezioni; accumulo di sostanze non assorbibili..)
Può determinare alterazioni dell’equilibrio idroelettrolitico in particolare
determina il rischio di disidratazione.
La flatulenza è l’accumulo di gas nel tratto gastrointestinale a causa dell’
azione batterica della flora intestinale dell’intestino crasso.
Il meteorismo è l’enorme presenza di gas nell’intestino che provoca dolore
addominale.
Le cause possono essere l’ingestione di alcune tipologie di cibi (aumento
processo di fermentazione batterica); l’elevata ingestione di aria; o alcune
patologie(sindrome del colon irritabile..).
La stipsi consiste nella mancata eliminazione per più giorni e/o evacuazione
di feci dure e con evacuazione difficoltosa.
Le cause sono molteplici: una dieta carente di fibre alimentari e acqua;
un’attività fisica inadeguata (riduce la peristalsi e il tono della muscolatura
impegnata nella fase di defecazione); alcune patologie; gravidanza…
Criteri diagnostici ROMA III per la stipsi
Almeno due o più delle seguenti caratteristiche in almeno il 25% delle
scariche (per almeno 3 meni nell’arco dell’ultimo semestre):
– sforzo nella defecazione
– feci dure
– sensazione di evacuazione incompleta
– sensazione di occlusione
– meno di 3 scariche alla settimana
– necessità di manovre manuali per poter evacuare.
Evacuazioni rare senza ricorrere a lassativi.
Esclusione della diagnosi di Sindrome dell'Intestino Irritabile.
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Gli altri sintomi (presenza di muco,gonfiore o tensione addominale, alterata
consistenza delle feci) possono essere presenti ma non sono elementi
sintomatologici fondamentali.
La STIPSI si può complicare a causa dello sforzo durante l’evacuazione con
l’insorgenza di emorroidi e di ragadi anali e di conseguente dolore.
Si può distinguere:
• Stipsi acuta (enteroclismi, clisteri, terapia lassativa)
• Stipsi cronica (dieta, abitudini alvo)
Il fecaloma in particolare è un accumulo di feci dure bloccate nel retto con
una conseguente incapacità di evacuarle. E’ generalmente conseguente a
una stipsi trascurata e non trattata. In alcuni casi è conseguente a malattie
neurologiche , debilitanti.
L’intervento assistenziale è di tipo infermieristico (enteroclismi e terapia
lassativa, frammentazione manuale del fecaloma).
L’incontinenza fecale
E’ caratterizzata dalla perdita involontaria di feci (problema salute e sociale).
Le cause sono spesso alterazioni neurologiche ed emotive.
E’ frequente negli anziani (3% degli anziani a casa, 47 % degli anziani nelle
RSA).
Esistono diversi tipi di incontinenza:
Incontinenza occasionale (da fecaloma); la presenza di feci dure irrita la
mucosa intestinale causando una diarrea acquosa con perdita continua
di feci durante il giorno
Incontinenza funzionale = mancanza percezione stimolo evacuativo
secondario a problemi neurologici e/o psichiatrici
Incontinenza sintomatica = diarrea da infiammazione acuta
dell’intestino (tossinfezioni alimentari, k intestinale)
Incontinenza ano-rettale = perdita di feci senza alcuna consapevolezza
del paziente (lesioni neurologiche nervi sensoriali e motori del presso
sacrale o da cause chirurgiche)
Può essere fatta un’educazione alla continenza intestinale facendo un
adeguato esercizio fisico, assumendo una dieta ad alto contenuto di fibre,
un’adeguata assunzione liquidi durante la giornata e una puntuale
annotazione dei movimenti intestinale.
I presidi per l’incontinenza fecale sono i classici presidi per l’incontinenza
(pannoloni, traverse…), l’uso della padella e della comoda.
Le derivazioni intestinali
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Garantiscono la conservazione della funzione eliminatoria a seguito di
interventi chirurgici (patologie infiammatorie o tumorali).
Sono caratterizzati da un’apertura artificiale sulla parete addominale
(STOMIA).
Esistono vari tipi di stomia a seconda del livello dell’intestino in cui è applicata
l’apertura.
ILEOSTOMIA : l’orifizio che si crea abboccando il piccolo intestino per
drenare il materiale fecale dall’ileo. Le feci provenienti da una ileostomia sono
liquide e contengono ancora enzimi digestivi fortemente irritanti per la cute.
COLONSTOMIA : l’orifizio che si crea abboccando il grosso intestino.
Può interessare qualsiasi parte del colon a vario livello:
a)Ascendente (feci non formate, acquose): è una stomia temporanea per far
“riposare e guarire” il tratto intestinale situato distalmente. L’evacuazione è
frequente e imprevedibile.
b) Trasverso (feci semiliquide) posizione centrale dell’addome. E’ una stomia
temporanea. L’evacuazione è frequente e imprevedibile.
c) Sigmoidea (feci formate, solide) localizzata sul quadrante inferiore sinistro
dell’addome. E’ più frequente in pazienti con carcinoma del retto.
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Per tutti i tipi di stomie sia urostomie che enterostomie esistono diversi tipi di
placche: placche a due pezzi e placche a un pezzo.
La placca non deve irritare la cute, va sostituita al momento prestabilito.
Nella colostomia-ileostomia la placca si sostituisce ogni 2-3 giorni, mentre la
sacca 2-3 volte al giorno.
Tecnica di sostituzione della stomia
Sul carrello: una brocca, acqua tiepida, guanti monouso non sterili, teli di
protezione; spugne possibilmente monouso per la toilette, garze in tessuto
non tessuto, contenitore per l’acqua.
Un contenitore per i rifiuti, nuova sacca, forbici apposite con taglio a curva,
asciugamano monouso.
L’O.S.S. può fare questa manovra su stretta indicazione infermieristica in
caso di: resezione intestinale definitiva, messa a riposo temporanea di una
porzione intestinale. Se è necessaria una medicazione sterile , la prestazione
è di competenza infermieristica.
Tecnica
Informare il paziente riguardo la procedura.
Lavarsi le mani.
Indossare i guanti.
Sistemare il paziente in una posizione il più confortevole possibile con un telo
di protezione sotto la sacca.
Scollegare la sacca usata dal bordo nella parte superiore per evitare le
perdite.
Osservare se vi sono eventuali scariche.
Mettere la sacca usata nel contenitore porta rifiuti.
Togliere il materiale fuoriuscito con delle garze asciutte
Lavare accuratamente la stomia con l’acqua tiepida, dalla zona più pulita a
quella più sporca.
Asciugare tamponando delicatamente con le garze.
Evitare di usare altri prodotti oltre l’acqua, ( salvo altra indicazione
infermieristica) e non strofinare troppo forte per non irritare inutilmente la
stomia.
Esaminare lo stato della cute e della mucosa.
Prendere la misura della stomia per tagliare il foro nella sacca della stomia,
togliere il film protettivo ( se stiamo parlando di sacca e placca a corpo unico).
Sistemare la placca nell’orifizio.
Assicurasi che l’adesivo abbia fatto presa.
Riordinare il materiale e l’unità del malato.
Riposizionare il sistema di chiamata.
Arieggiare la stanza.
Disinfettare e riordinare il materiale utilizzato.
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Informare l'infermiere riguardo:
-Esecuzione della prestazione.
-Tutte le anomalie della cute e della mucosa. (In questo caso non collegare
una nuova sacca ma avvisare l'infermiere)
-Quantità ed aspetto delle feci.
-Livello di autonomia del paziente.
L’OSS collabora con il personale infermieristico nella soddisfazione del
bisogno di eliminazione della persona in relazione al livello di “dipendenza” in
cui la stessa si viene a trovare.
Può attuare e collaborare in interventi specifici e pianificati dall’infermiere
(dieta, liquidi, mobilizzazione)
Deve assicurare il comfort, la sicurezza e la privacy durante l’evacuazione
1) Aiutare il paziente a usare la comoda o a raggiungere il bagno
2) Se il paziente non è in grado di raggiungere il bagno o la comoda, portare
la padella e posizionare il paziente facendolo sollevare a ponte (vedi figura) o
ruotare di lato
3) Verificare prima di posizionare la padella che la stessa non sia fredda
4) Far assumere la paziente in posizione più idonea e confortevole
5) Coprire adeguatamente il paziente sia per evitargli di prendere freddo, sia
per assicurargli la privacy
6) Concedere a ogni paziente tutto il tempo necessario per l’evacuazione e
verificare il sistema di chiamata sia facilmente raggiungibile
7) Effettuare l’igiene perineale se il malato non è in grado di provvedere
autonomamente
Prelievo delle feci
• Esame delle feci
• Coprocoltura
• Ricerca parassiti
• Ricerca sangue occulto fecale
Uso della padella e del pappagallo
Materiale
• Paravento
• Padella o pappagallo
• Carta igienica
• Traversa impermeabile
• Eventualmente materiale per igiene perineo
Procedura
• Lavare le mani
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• Assicurare la privacy: chiudere porta e posizionare paravento, far uscire
visitatori
• Spiegare al paziente come sedersi sulla padella
Uso della padella in soggetto che necessita di aiuto:
• Se necessaria mettere traversa assorbente
• Sollevare i fianchi del paziente e far scivolare un braccio sotto di lui
oppure girarlo su un fianco e far ruotare il paziente sulla padella
• Mettere se necessario un asciugamano arrotolato o una coperta sotto
l’osso sacro (per prevenire il disagio della parte ossea)
Uso del pappagallo:
• Mettere la base del pappagallo sul letto tra le cosce del paziente
• Posizionare il pene nel pappagallo
Per entrambi:
• Mettere campanello e carta igienica a portata di mano
• Quando il paziente ha urinato levare il contenitore e aiutarlo a pulirsi, se
necessario
• Dare al paziente l’opportunità per lavarsi le mani
• Rimettere comodo il paziente
• Rimuovere il paravento
• Valutare quantità e qualità
• Svuotare pappagallo o padella, lavarli e inserirli nell’apposita macchina
lavapadelle
• Oppure riportarli nell’apposito spazio della stanza del paziente
• Lavarsi le mani
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Le piaghe da decubito
Per ulcera, piaga o lesione da decubito si intende una lesione tissutale ad
evoluzione necrotica (= morte delle cellule) che interessa la cute, il derma e
gli strati sottocutanei, fino a raggiungere, nei casi più gravi, il muscolo, la
cartilagine e l’osso.
Si formano per una prolungata e/o eccessiva pressione esercitata tra piano
d’appoggio (di solito la superficie del letto) e la superficie ossea, tale da
provocare uno stress meccanico sui tessuti ed un’alterazione della
circolazione ematica locale.
A causa di una parziale o totale interruzione della circolazione sanguigna nel
tessuto cutaneo con conseguente ischemia localizzata.
L’ischemia localizzata comporta riduzione dell’ossigeno che arriva ai tessuti e
riduzione degli elementi nutritivi delle cellule e il tessuto va incontro a necrosi.
La pressione nei capillari è di 32 mmHg, se la pressione supera questo valore
iniziano i danni da ischemia e anossia.
Gli effetti della compressione variano, oltre che per l’entità e la durata della
compressione, anche in funzione della sede, dello spessore della cute e dei
tessuti molli.
Il tessuto cutaneo può rispondere all’insulto provocato dalla compressione
con un’iperemia compensatoria (aumento del flusso di sangue nella zona
sotto pressione).
In mancanza di ossigeno le cellule utilizzano un metabolismo anaerobio, che
produce sostanze tossiche ed acidosi locale, aumento della permeabilità
vasale, formazione di trasudato ed edema, e ulteriore sofferenza cellulare
fino alla necrosi.
Il tessuto adiposo sottocutaneo ed i dotti escretori delle ghiandole sudoripare
sono i più delicati e quindi sono i primi interessati.
La necrosi può estendersi successivamente alle ghiandole sebacee,
all’epidermide ed ai follicoli piliferi. Per tale motivo è possibile la formazione di
lesioni in profondità con cute apparentemente integra (lesioni sottominate).
Condizioni predisponenti:
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Forze di stiramento: ad esempio quando il paziente è seduto sulla sedia
senza sufficiente appoggio per le gambe o quando la testata del letto è
sollevata con tendenza allo scivolamento del corpo sul letto.
Si provoca trazione dei tessuti molli superficiali ancorati dalle fasce muscolari
profonde, con effetto di stiramento, ostruzione e rottura dei piccoli vasi,
ipossia e conseguente necrosi tissutale profonda.
Sfregamento: determina la rimozione dello strato più superficiale della cute,
lo strato corneo, cosa che comporta una diminuzione della resistenza della
cute ai traumi.
Umidità: rende la pelle più fragile e facilmente aggredibile. Un’esposizione
prolungata della cute all’umidità provoca fenomeni di macerazione ed
alterazione del ph riducendo la funzione barriera (ad esempio
nell’incontinenza e nell’eccessiva sudorazione).
Le ulcere vengono classificate in stadi diversi.
Primo stadio: Area di eritema marcato e persistente che non scompare alla
digitopressione e cute integra (eritema irreversibile).
Preannuncia l’ulcera cutanea.
74
Nelle lesioni al primo stadio, l’area interessata si presenta lievemente
edematosa e calda ed il paziente può provare un senso di tensione o di
dolore.
Rimuovendo la causa che determina la compressione la cute ritorna normale
entro 24 ore senza alterazioni permanenti.
Secondo stadio: lesione cutanea superficiale limitata all’epidermide e/o al
derma; si presenta clinicamente sotto forma di abrasione, vescicola o una
lieve cavità.
Le lesioni al secondo stadio si presentano con margini ancora ben definiti,
sotto forma di abrasione, vescicola o bolla.
Il colore può variare dal rosso intenso al cianotico, l’area può essere calda o
fredda, edematosa e lievemente indurita ed il paziente accusa, in genere,
dolore e senso di tensione.
Anche in questo stadio la rimozione della compressione conduce alla
completa regressione delle alterazioni.
Terzo stadio: perdita di sostanza a tutto spessore, in cui la lesione e la
necrosi progrediscono interessando il tessuto sottocutaneo fino alla fascia
muscolare, senza oltrepassarla, con o senza sottominature dei bordi.
Quarto stadio: lesione a tutto spessore con distruzione estesa, necrosi
tissulare o danni ai muscoli, alle ossa o strutture di supporto (tendini, capsula
articolare), tessuto sottominato.
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Nel terzo e quarto stadio si assiste ad una progressiva degenerazione dei
tessuti con interessamento degli strati più profondi.
I margini dell’ulcera non sono ben delineati, i bordi sono irregolari, la cute
circostante può essere eritematosa. Il fondo può apparire lucido ed
edematoso, oppure coperto da una membrana aderente e giallastra formata
da fibrina, cellule morte, a volte pus. Possono comparire croste secche e
sottili, necrosi molle, escare spesse e coriacee, fistole.
Anche i tessuti circostanti la lesione possono essere infiltrati.
I tempi di guarigione sono lunghi.
Zone di rischio per la formazione delle piaghe
Decubito supino
1. Sacro
2. Talloni
3. Prominenze vertebrali
4. Occipite
5. Gomiti
Decubito laterale
1. Trocanteri
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2. Creste iliache
3. Malleoli
4. Prominenze ossee laterali al ginocchio
5. Costole
6. Gomiti
7. Spalla
8. orecchie
Decubito prono:
1. Dorso del piede
2. Ginocchia
3. Pube
4. Creste iliache
5. Sterno
6. Clavicole
7. Orecchio
8. Zigomo
Posizione seduta:
1. Prominenze ischiatiche
2. Talloni
3. Sacro
4. Prominenze vertebrali
5. Gomiti
6. scapole.
I fattori di rischio possono inoltre essere legati al paziente o all’ambiente.
Fattori legati al paziente (intrinseci):
• malnutrizione: per una diminuita sintesi proteica ed ipoalbuminemia,
che causano edema interstiziale e sofferenza cellulare
• età avanzata: per modificazioni della cute, diminuite difese e ritardata
riparazione
• incontinenza: a causa della macerazione
• febbre: perché determina un’aumentata richiesta d’ossigeno
• immobilità, fratture: perché determinano un’ aumentata esposizione
alla compressione
• perdita di sensibilità: per la compromissione del meccanismo riflesso
del cambio di postura (es. diabete)
• malattie cardiovascolari e respiratorie: perché determinano
un’alterata circolazione ematica
• obesità: a causa del carico eccessivo
• magrezza: a causa della riduzione dei tessuti che fanno da “cuscinetto”
tra la cute e le prominenze ossee
• infezioni sistemiche: in particolare ascessi muscolari e cutanei
• diabete mellito: che comporta un’angiopatia e una neuropatia
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• disidratazione: che determina un’ipoperfusione
• immunodepressione: che determina una riduzione delle difese
• fumo: poiché determina una fibrosi del derma
• malattie psichiche: che spesso comportano un’ipomobilità
Esistono delle patologie favorenti:
1. Diabete
2. Neoplasie
3. Lesioni midollari
4. Patologie ischemiche/emorragiche cerebrali
5. Patologie neurologiche cronico-degenerative
6. Miastenia-sclerosi multipla
7. Coma
Fattori legati all’ambiente (estrinseci):
1. stress meccanico (ad es. frizione quando il paziente viene
mobilizzato)
2. inadeguata rimozione della compressione nel paziente allettato
3. riduzione della temperatura della sede di compressione (cellule ed
enzimi sono maggiormente attivi a temperatura corporea)
4. essiccazione della medicazione (la guarigione è facilitata in ambiente
umido)
5. Assistenza non adeguata
Le ulcere si possono evitare se:
• L’equipe assistenziale rileva e quantifica le condizioni di rischio
• Programmazione di un piano personalizzato
• Si hanno in dotazione strumenti e presidi sanitari utili a prevenire e
curare i decubiti
La presenza di piaghe è spesso considerato uno degli indicatori della
qualità dell’assistenza sanitaria.
Possono essere attuati in tal senso dei protocolli di prevenzione. Vanno in
primo luogo identificazione i soggetti a rischio. L’uso di test di valutazione
multidimensionale ci permettono di identificare i soggetti a maggior rischio.
I test più usati sono la SCALA di NORTON, EXTON SMITH, di BRADEN…
Sono tutti test che valutano le condizioni generali del paziente, la mobilità,
l’incontinenza, lo stato mentale, la deambulazione, il numero di farmaci e i
valori ematici.
Gli interventi di prevenzione utili riguardano le norme igieniche, la
nutrizione, la mobilizzazione e posizionamento corretto del paziente sia
da seduto che a letto e i sistemi di riduzione della compressione.
Per quanto riguarda le norme igieniche bisogna:
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- osservare quotidianamente le condizioni della cute del paziente, in
particolare le zone a rischio
- mantenere la cute pulita in particolare dopo ogni evacuazione
- asciugare per tamponamento
- in presenza di cute secca l’applicazione di olii prottettivi o creme idratanti
ed emollienti può contribuire a ripristinare il mantello idrolipidico e a
mantenere elastica la cute; l’utilizzo di paste a base di ossido di zinco può
rivelarsi utile esclusivamente se vi è rischio di macerazione come nei casi di
incontinenza
- per le persone incontinenti l'uso di ausili ad assorbenza deve seguire uno
schema di impiego personalizzato
Vanno evitati:
- uso di detergenti sgrassanti o soluzioni alcoliche
- strofinamento nell'asciugatura (rischio di frizione)
- massaggi profondi (scollamento dei tessuti)
- scorretto impiego dei pannoloni rispetto alle indicazioni di utilizzo
- contatto della pelle con materiali impermeabili, come tele cerate
- impiego di biancheria intima sintetica
- impiego di indumenti con elastici o bottoni
- lenzuola o indumenti umidi o bagnati
- pieghe delle lenzuola o della biancheria o presenza di corpi estranei
(briciole ecc.).
Importante è l’aspetto nutrizionale. I soggetti con piaghe da decubito
necessitano di un apporto proteico in più. Nel fare prevenzione bisogna
valutare lo stato nutrizionale e lo stato di idratazione. Bisogna valutare
l’appetito e conoscere le patologie di base. Sarà necessario adeguare il
fabbisogno proteico-calorico con dieta idonea ed eventualmente con l’uso di
integratori.
Fondamentale è il posizionamento e la mobilizzazione dei pazienti.
Il paziente va mobilizzato in modo regolare e costante poiché la
mobilizzazione rappresenta la prima forma di difesa dell'organismo contro la
compressione.
Nei pazienti che hanno conservato la capacità di deambulare, occorre
stimolare il più possibile il movimento, accompagnando la persona o
fornendole gli ausili necessari (bastone, tripode, girello, corrimano) per dare
sicurezza e autonomia.
A coloro che hanno perso la capacità di deambulare, bisogna garantire,
ove possibile, la mobilizzazione sistemandoli in poltrona o in carrozzina.
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Nei pazienti totalmente allettati privi di movimenti volontari o automatici
bisogna assicurare una mobilizzazione passiva seguendo, a seconda del
livello di rischio di insorgenza di lesioni.
Per il paziente in poltrona e in carrozzina bisogna individuare la seduta
corretta: schiena ben appoggiata ed adesa allo schienale con uno spazio
laterale e sottostante le ginocchia di 2 cm al massimo; bisogna sollevare il
paziente o incentivare il cambio di posizione autonomo per alcuni secondi,
ogni 15-20 minuti; la carrozzina deve essere possibilmente personalizzata
alle esigenze del paziente. Va sempre evitato lo scivolamento, e assicurato
l’appoggio dei piedi.
Se il paziente è totalmente allettato la postura deve ridurre i punti di
pressione, deve essere confortevole e garantire un corretto allineamento
delle articolazioni.
Durante le operazioni seguire le regole seguenti:
- nei cambi di postura ricercare la collaborazione del paziente; oltre ad
agevolare l’operatore, è un forte stimolo al mantenimento delle capacità di
movimento per il paziente stesso
- cambiare la postura ogni 2 ore alternando le posizioni
- ad ogni cambio di postura sorvegliare la cute delle zone a rischio, sopra le
sporgenze ossee, per riconoscere precocemente le zone di arrossamento.
Per la posizione supina bisogna:
• Garantire un allineamento degli arti
• Usare l’ archetto alza-coperte
• Se il paziente a rischio bisogna posizionare cuscini per alzare i talloni
• Se posto semiseduto la testiera non deve essere superiore a 30° per
evitare lo scivolamento, se oltre i 30° allora vanno sollevati gli arti
inferiori per evitare scivolamento
La posizione prona :
È la posizione di massimo scarico del sacro
In tale posizione il capo va ruotato dolcemente su un lato.
Gli arti superiori possono essere allineati entrambi lungo i fianchi,
oppure uno dei due può essere flesso verso l’alto.
Sotto il paziente devono essere posizionati cuscini
E’ importante ridurre la compressione con dispositivi e ausili antidecubito. Ma
bisogna comunque ricordare che questi ausili permettono di tollerare meglio
l’immobilità tra un cambio di postura e l’altro, ma non possono ridurre la
frequenza, o essere sostitutivi, degli interventi di mobilizzazione sopra
ricordati.
Tali ausili sono i cuscini, i materassi antidecubito di vario tipo, protezioni per
le zone a rischio (tipo talloni etc…).
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Cenni sul trattamento delle piaghe
Il trattamento delle piaghe è a cura degli IP e dei medici, anche se alcune
indicazioni riferiscono che l’OSS può medicare lesioni fino al secondo stadio
e comunque eseguire medicazioni semplici.
Interventi sulla lesione:
• rimozione del tessuto non vitale La scelta del tipo di detersione dipende
dalla fase della lesione, dal meccanismo d’azione, dalla facilità d’esecuzione,
dalla tollerabilità del paziente e dal costo. Metodi:
• Idroterapico (soluzione fisiologica o ringer)
• Enzimatico
• Chirurgico (se infezione, per velocizzare guarigione escara secca)
• disinfezione, in III-IV stadio per ridurre infezioni con sol fisiologica e
dinsinfettante (ipoclorito di sodio, clorexidina, iodopovidone)…anche se oggi
spesso è sconsigliato l’uso dei disinfettanti
• diagnosi e trattamento delle infezioni
• medicazione topica della lesione
• trattamento della cute circostante
• frequenza della medicazione
I principi della medicazione topica:
• mantenere un microambiente umido e la cute circostante asciutta
• consentire lo scambio gassoso
• proteggere dalla contaminazione batterica
• proteggere dai danni meccanici
• garantire le condizioni ottimali di temperatura
• permettere e favorire la rimozione di essudati e tessuti necrotici
• essere biocompatibile
• essere maneggevole
• avere un costo contenuto
Oggi si usano molto delle medicazioni avanzate che sono dei materiali di
copertura capace di interagire con un tessuto e di evocazione di una risposta
specifica.
Servono per:
1. Creare ambiente umido
2. Stabilità termica
3. Protezione dalle infezioni esogeno (dall’esterno)
4. Ridurre i traumi
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Bisogno di alimentazione
I nutrienti introdotti con l’alimentazione permettono di disporre energia; di
poter riparare ai possibili “danni” a carico dei tessuti provvedendo, se
opportuno anche alla loro ricostruzione (rigenerazione tessutale); di poter
modulare le funzioni dell’organismo e di difesa dalle minacce esterne
all’organismo.
Un’alimentazione sana deve essere un’alimentazione varia ed equilibrata per
favorire il benessere dell’individuo e per promuovere il buon funzionamento
dell’intero sistema corpo.
In tal senso è opportuno assumere un apporto bilanciato di nutrienti e
rispettare il fabbisogno calorico di ciascun individuo.
Esistono una serie di fattori che possono influenzare lo stile alimentare:
• Fattori ambientali (condizioni climatiche, caratteristiche geografiche)
• Fattori sociali (industrializzazione, tecnologie , pesca, prevalenza di
alcune fasce di età)
• Fattori culturali
• Fattori economici (nuclei familiari, reddito, lavoro)
• Fattori psicologici (stato emotivo in alcune situazioni..)
• Fattori religiosi (digiuni ecc).
I principi nutritivi si possono suddividere in:
• PROTEINE O PROTIDI
• GLUCIDI, CARBOIDRATI O ZUCCHERI
• LIPIDI o GRASSI
• FIBRE ALIMENTARI
• VITAMINE
• SALI MINERALI e ACQUA
Le proteine introdotte con gli alimenti non vengono utilizzate così come si
trovano. L’organismo costruisce quindi le proprie proteine utilizzando gli
aminoacidi delle proteine alimentari.
Gli aminoacidi si distinguono in essenziali e non essenziali:
a. Gli aminoacidi essenziali sono quelli che l’organismo non riesce a
sintetizzare da solo (assunzione solo con le proteine degli alimenti)
b. Gli aminoacidi non essenziali sono quelli che l’organismo riesce a costruire
da solo in quantità sufficienti.
Le proteine sono dei polipeptidi con più di 90-100 aminoacidi.
Le funzioni delle proteine sono:
• FUNZIONE PLASTICA
• FUNZIONE ENERGETICA (aminoacidi in eccesso inutilizzati vengono
trasformati chimicamente in grassi o glucosio, le proteine non sono
depositate nell’organismo)
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• FUNZIONE REGOLATRICE (ormoni, enzimi sono proteine)
• FUNZIONE PROTETTIVA (gli anticorpi sono proteine)
Coprono il 12% (variazione in base all’età, stato di salute) del fabbisogno
calorico giornaliero.
Si trovano in quasi tutti gli alimenti.
Possono essere distinte in:
1) PROTEINE ANIMALI, ad alto contenuto biologico
(carne, pesce, uova, formaggi, salumi, latte e derivati)
2) PROTEINE VEGETALI (riso, pasta, pane, patate, grissini, dolciumi, farina,
verdure, legumi freschi e secchi, banane, frutta secca).
Ogni grammo di proteine fornisce 4 Kcal.
I carboidrati, i glucidi e gli zuccheri in base al numero di molecole che li
compongono vengono distinti in:
• Monosaccaridi: singole unità di carboidrati (zuccheri semplici es.
glucosio, fruttosio, lattosio)
• Polisaccaridi: Più unità di carboidrati (zuccheri complessi es. amido,
glicogeno…)
Hanno un’importante funzione energetica: i monosaccaridi sono la più grande
risorsa per il metabolismo. Inoltre i carboidrati vengono depositati sotto forma
di glicogeno nel fegato e nei muscoli e fungono da riserva energetica.
Coprono il 60% del fabbisogno calorico giornaliero. Si trovano in zucchero,
frutta, miele, latte, barbabietole, cereali, patate…
Un grammo di glucidi fornisce 4 kcal.
I lipidi o grassi sono elementi che facilitano il trasporto delle vitamine
liposolubili. Si distinguono in :
• grassi semplici (trigliceridi, acidi grassi)
• grassi complessi (colesterolo, fosfolipidi)
Possono essere di origine VEGETALE (acidi grassi mono o poli insaturi) ed
agiscono a livello ematico esercitando un controllo sul colesterolo.
Oppure di origine ANIMALE (acidi grassi saturi) che se assunti in eccesso
facilitano l’aumento delle quantità di colesterolo.
Hanno una FUNZIONE ENERGETICA (1 grammo di lipidi = 9 kcal). Si
depositano nel tessuto adiposo e rivestono la membrana cellulare
(fosfolipidi).
I lipidi di origine si trovano in: olio di oliva, olio di mais, olio di girasole, olio di
arachide…I lipidi di origine animale si trovano invece in: arne, uoa, salumi,
strutto, lardo, burro..
Un gr di lipidi fornisce 9 Kcal.
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Le fibre alimentari rappresentano la parte dei vegetali che non viene scissa
dagli enzimi della digestione e quindi non viene digerita. I componenti delle
fibre alimentari sono: cellulosa, pectine, gomme, mucillagini.
Sono costituite da una parte che non si scioglie in acqua ma che è in grado di
assorbirne molta e da una parte che si scioglie in acqua formando una massa
gelatinosa. Possono essere distinte in solubili e insolubili.
Determinano un aumento della sazietà (volume bolo alimentare), di
accelerare il transito della massa fecale (regolazione dell’alvo), di migliorare
l’assorbimento dei nutrienti, ma non forniscono energia.
Le fibre solubili si trovano prevalentemente nella frutta e nei legumi quelle
insolubili nella frutta, verdura e cereali. Gli alimenti più comuni presentano un
contenuto misto di fibre solubili e di fibre insolubili.
Le vitamine sono sostanze assolutamente indispensabili sia alla crescita
dell’organismo che alla sua regolazione. Si distinguono in liposolubili (si
sciolgono nei grassi A D E K ) e idrosolubili (si sciolgono nell’acqua, B,C).
Non forniscono energia.
Sono agenti di controllo che permettono la realizzazione di processi vitali
(energia, ricostruzione, crescita). Le funzioni variano in base alla tipologia di
vitamina.
Qualche accenno sulle principali vitamine.
La vitamina A si trova in fegato, latte, formaggi e uova.
E’ utile per l’ accrescimento, per la salute di cute e mucose e per la vista.
La vitamina D si trova in fegato, latte, burro, uova. Permette l’assorbimento
del calcio e del fosforo.
La vitamina E si trova in fegato, tuorlo uova, latticini, oli, verdure foglia verde,
noci. Ha una funzione antiossidante, ritarda o impedisce l’azione di
ossidazione su sostanze ossidabili.
La vitamina K si trova in fegato, oli vegetali, vegetali a foglia larga verde. E’
coinvolta nel processo della coagulazione.
Le vitamine del gruppo B si trovano in carne, pesce, legumi, lievito di birra,
cereali. Hanno un ruolo nel metabolismo energetico, in quello dei glucidi e
protidi.
La vitamina C si trova in agrumi, patate, pomodori, peperoni. Ha un ruolo
nella sintesi del collagene, nel metabolismo ferro, nel rinforzo delle difese
immunitarie, nella sintesi di alcuni ormoni.
I Sali minerali sono sostanze inorganiche indispensabili per la crescita e per
le funzioni vitali (metabolismo, reazioni enzimatiche).
Si possono trovare sotto forma di cristalli (solidi, esempio nelle ossa e nei
denti) o in soluzione (liquidi intra-extra cellulari). In base alla quantità
presente nell’organismo si distinguono in macroelementi (calcio, fosforo,
magnesio, sodio, potassio, cloro, zolfo) e in microelementi (ferro, iodio, zinco,
rame, manganese, fluoro, selenio). Non forniscono energia.
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I microelementi o oligoelementi:
• Ferro (si trova principalmente in fegato, crostacei, legumi, frutta secca)
• Rame (si trova principalmente in pesce, crostacei, legumi, cereali,
carne)
• Zinco (si trova principalmente in carne, cacao, noci, tuorlo uovo, funghi)
• Manganese (si trova in molti alimenti)
• Iodio (si trova principalmente in latte e derivati, molluschi, pesche,
acqua potabile,uova)
• Fluoro (si trova principalmente in pesci, acqua potabile)
• Cromo (si trova principalmente in legumi, formaggi, fegato, carne)
• Selenio (si trova principalmente in pesci, fegato, cereali)
I macroelementi:
• Calcio (si trova principalmente in latte, derivati, uova, legumi pesce)
• Magnesio (si trova principalmente in vegetali a foglia verde, noci, cacao
cereali)
• Fosforo (si trova principalmente in latte e derivati, pesce, uova, carne)
• Sodio (si trova principalmente in sale, carne, latte, uova)
• Potassio (si trova principalmente in spinaci, banane, piselli, patate)
• Cloro (si trova principalmente in sale da cucina, alcuni vegetali)
• Zolfo (si trova principalmente nelle proteine)
Sono tutti elementi importanti per il corretto funzionamento del nostro
organismo a vari livelli, produzione delle cellule presenti nel sangue,
funzionamento dell’apparato locomotore (muscoli e ossa), coinvolti nella
funzionalità renale, etc..
L’acqua è la componente vitale di tutti gli organismi. E’ presente in quasi tutti
gli alimenti ad eccezione dei grassi da condimento, cereali, legumi. Nell’uomo
adulto l’acqua costituisce il 60% del peso corporeo (nel bambino 70%)
Ha numerosi funzioni: idratante, regolazione metabolismo, trasporto
sostanze nutritive e di pulizia, termoregolazione. Non fornisce energia.
Per fabbisogno energetico s’intende la quantità di energia necessaria
all’organismo per poter “funzionare” e per poter svolgere le normali attività di
vita.
I fattori che influenzano il fabbisogno energetico sono:
il metabolismo basale (energia per le funzioni vitali, condizionato dai fattori
età, stato di salute, sesso, massa corporea, gravidanza/allattamento, clima,
stile alimentare) e l’attività fisica lavorativa.
Ogni alimento che viene “bruciato” all’interno del nostro organismo produce
una certa quantità di calorie. Andando a “misurare” il calore sviluppato da un
certo quantitativo di alimento possiamo conoscere l’energia in esso
contenuto.
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La CALORIA è quindi l’UNITA’ di MISURA dell’energia contenuta negli
alimenti (energia chimica).
In nutrizione viene usata la grande caloria (kilocaloria = Kcal) che è la
quantità di calore necessaria per innalzare la temperatura di un Kg d’acqua di
1 C° (da 14,5 °C a 15,5°C)
La grande caloria (Cal o kcal), equivalente a 1000 calorie è utilizzata per
indicare l'apporto energetico di un alimento.
Una buona alimentazione è caratterizzata da un equilibrio tra le entrate e le
uscite di energia. E’ indispensabile quindi conoscere la quantità corretta di
cibi che introduciamo. Il consumo energetico è molto variabile in funzione ai
fattori metabolismo basale e all’attività fisica.
Il peso corporeo è frutto del bilancio energetico tra domanda (metabolismo
basale, attività fisica individuale) e offerta (apporto energetico derivante dal
cibo che assumiamo). Sovrappeso e obesità si hanno in caso di entrate
eccessive e scarse uscite; magrezza e cachessia in caso di uscite eccessive
e scarse entrate.
I comportamenti alimentari inadeguati (carenza o eccesso di nutrienti)
alterano lo STATO NUTRIZIONALE.
Esistono per esempio alcuni fattori che condizionano lo stato nutrizionale:
- un eccessivo apporto di nutrienti: calorie superiori al fabbisogno energetico,
controllo dei grassi
- una carenza di apporto di nutrienti: scarsa conoscenza proprietà nutrienti
- condizioni di malattia e/o difficoltà della deglutizione
- il disagio sociale
- una patologia del sistema gastroenterico (incapacità di assorbire alcuni
nutrienti)
- le intolleranze alimentari (es. celiachia).
Per dieta s’intende l'insieme degli alimenti che gli esseri umani assumono
abitualmente. Lo stesso termine si usa in italiano corrente per identificare sia
le diete dimagranti che quelle specifiche per l'ottenimento di differenti risultati
sul proprio fisico.
Per dieta equilibrata s’intende un corretto stile di vita per mantenere buona
salute ed evitare l’insorgenza di patologie. Deve assicurare un corretto
apporto sia dal punto di vista calorico che nella composizione dei nutrienti.
Nella composizione della dieta gli alimenti si dividono così:
• Proteine: 10-15%
• Lipidi: 30%
• Glucidi: 50-60%
• Inoltre: vitamine, Sali minerali, fibre, acqua.
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Una dieta equilibrata nell’arco dell’intera giornata, in base al fabbisogno
calorico va suddiviso in:
• Colazione 25%
• Spuntino 5 %
• Pranzo 35 %
• Merenda 5 %
• Cena 35 %
E’ nata quindi la piramide alimentare che indica graficamente la frequenza e
la percentuale degli alimenti da assumere in base ai principi nutritivi.
Gruppo 1 (cereali e tuberi): comprende cereali e tuberi, cioè tutti i prodotti
ottenuti dal frumento (pane, pasta, biscotti, cracker, e fette biscottate), dal
granoturco (farina per polenta), il riso, le patate, l’avena, l’orzo, il farro e tutti i
loro derivati.
Anche se in quantità controllata il pane , la pasta e la minestra non devono
mai mancare nell’alimentazione quotidiana poiché rappresentano non
soltanto il nostro modello alimentare di dieta mediterranea ma anche la
nostra principale fonte di energia
Gruppo 2 (ortaggi e frutta): Questo gruppo comprende ortaggi e frutta,
fonte importantissima di fibra, vitamine come la pro-vitamina A, di vitamina C
e altre vitamine,molti minerali ed acqua ma si differenziano per il contenuto
di zuccheri semplici della frutta. Gli alimenti di questo gruppo offrono una
vasta scelta, inoltre è possibile consumare i prodotti di stagione.
Gruppo 3 (latticini e formaggi): il gruppo comprende latte, yogurt, latticini e
formaggi. Il nutriente peculiare di questo gruppo è il Calcio. Indispensabile
per la formazione e del mantenimento delle ossa e dei denti. Inoltre le
proteine di ottimo valore biologico ossia composte da aminoacidi essenziali
(che il corpo umano da solo non riesce a produrre) sono contenute in buone
quantità come pure vitamine importanti come la vitamina B2 e A.
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Gruppo 4 (carne, uova, legumi, pesce): questi alimenti hanno la funzione di
fornire oligoelementi (zinco, rame e ferro) altamente assorbibili e quindi
utilizzabili nonché proteine di ottima qualità biologica e vitamine del gruppo B.
I legumi se abbinati ai cereali forniscono proteine con caratteristiche della
carne, del pesce e delle uova come ferro, oligoelementi e apportano notevoli
quantità di proteine di buona qualità biologica.
Gruppo 5 (grassi): olio, burro, margarina, panna, lardo e strutto forniscono
essenzialmente grassi in percentuali variabili. Gli alimenti di questo gruppo
comprendono sia grassi di origine vegetale che animale. Il loro consumo
deve essere contenuto, in quanto costituiscono una fonte concentrata di
calorie. Bisogna preferire i grassi di origine vegetale perché privi di
colesterolo e con un contenuto in acidi grassi insaturi prevalente rispetto ai
saturi. Questo non significa che la quantità di olio d’oliva o di semi che si
consuma non debba essere contenuto, anche se sono grassi più consigliabili
( quelli vegetali) non bisogna, comunque,eccedere.
Un’adeguata nutrizione è la somma di tutte le interazioni tra un organismo e il
cibo che esso consuma. Tutti i principi nutritivi contenuti nella dieta sono
fondamentali per la crescita, per il nutrimento dei tessuti del corpo e
l’omeostasi corporea.
Alterazioni della nutrizione sono:
iponutrizione: mancanza di principi nutritivi necessari o appropriati e
ipernutrizione: assunzione calorica eccessiva rispetto al proprio fabbisogno
energetico quotidiano, con accumulo di energia sotto forma di aumento di
tessuto adiposo.
L’Iponutrizione è caratterizzata da un’assunzione insufficiente di nutrienti
per soddisfare il fabbisogno energetico quotidiano come risultato di un
inadeguato apporto alimentare o di inadeguata digestione o assorbimento.
Cause:
• Impossibilità di acquistare e preparare gli alimenti
• Inadeguata conoscenza dei nutrienti
• Disagio durante i pasti
• Disfagia
• Anoressia
• Nausea, vomito
• Problemi infiammatori intestinali o di altra natura
Tipi di dieta particolare d’interesse dell’OSS:
• Nessuna nutrizione per os: prima e dopo intervento chirurgico finché
non riprende normale funzione intestinale
• Dieta liquida: acqua, thè…di solito 24-36 or in seguito a interventi
chirurgici o in stadio acuto di infezione intestinale
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• Dieta semi-liquida: solo cibi liquidi. Pazienti con disturbi
gastrointestinali o che non tollerano cibi solidi o semisolidi.
L’alimentazione nell’anziano
L’anziano è caratterizzato da una riduzione del metabolismo per riduzione
della massa magra e un aumento della massa grassa. Spesso sono malnutriti
anche per motivi sociali, per uso di farmaci, per l’edentulia.
La dieta deve essere varia con cibi facilmente digeribili e masticabili.
Va usata una dieta morbida cioè facilmente masticabile e digeribile, per
soggetti con difficoltà a masticare e ingoiare.
Poi possono essere applicate diete a seconda della patologia: per diabetici,
per nefropatici, per obesi, per inappetenti, per ipertesi, per celiaci(intolleranza
al glutine)…
La nutrizione artificiale
La nutrizione artificiale non è altro che la soddisfazione del fabbisogno
nutrizionale dell’organismo somministrando i cibi attraverso vie non naturali o
con alimenti artificiali.
I motivo sono svariati: stenosi tubo digerente, infezioni, ustioni estese, M. di
Crohn, rettocolite ulcerosa, pancreatite acuta, grave diarrea, vomito, coma,
anoressia, chirurgie.
Può essere enterale (per Sondino NasoGastrico o PEG-gastrostomia
endoscopica percutanea) o parenterale (per via venosa).
Assistenza al pasto
89
Nell’assistenza all’assunzione del pasto l’OSS non deve mai sostituirsi al
malato, ma favorire le sue abilità residue. L’aiuto non deve essere eccessivo:
per alcuni basta avvicinare il vassoio, per altri è necessario imboccare.
E’ molto importante la preparazione dell’ambiente che deve essere ordinato e
gradevole. Bisogna allontanare tutti gli ausili per i bisogni fisiologici (padelle,
pappagalli). Vanno coperti gli aspiratori e altri apparati che disturbano la vista.
Bisogna predisporre i tavoli con il necessario per l’assunzione dei pasti.
Va verificato che nessun paziente debba compiere i bisogni fisiologici e in tal
caso bisogna provvedere. Bisogna aiutare nell’igiene di mani e viso,
sistemare i pazienti allettati nella migliore posizione possibile, controllare
l’eventuale protesi e la necessità di indossare le lenti, se nel caso
provvedere.
Tecnica della distribuzione del vitto:
• Eseguire una accurata igiene delle mani
• Se capelli lunghi raccoglierli in una cuffia o legarli
• Indossare sulla divisa un grembiule previsto per la dispensa di alimenti
• Iniziare la distribuzione
• In presenza di vassoi uninominali verificare la correttezza dell’ordine
• Depositare il vassoio davanti alla persona
• Lavare le mani e aiutare il paziente nell’assistenza.
Nell’assistenza al pasto bisogna rispettare i tempi di assunzione di cibo da
parte del paziente, bisogna cercare di salvaguardare le sue funzionalità
residue, mantenendogli la possibilità di fare da solo.
Imboccare una persona impone all’operatore di agire con massima calma,
ciò che dovrà guidare sono i tempi del paziente e non i ritmi di lavoro o il
numero di persone da aiutare. Nei pazienti con problemi di disfagia che
assumono dieta cremosa e che necessitano di essere imboccati va posta
attenzione al modo in cui si introduce il cucchiaio in bocca. La prima cosa
importante è non forzare l’apertura della bocca per evitare lesioni ai denti e
alle labbra. Al paziente va spiegato cosa si va a fare e bisogna dare tutte le
indicazioni per aiutarlo a collaborare. Bisogna dare informazioni chiare,
semplici e con tono di voce pacato. Se il cucchiaio è appoggiato
adeguatamente sulla lingua senza forzare per scatenare il riflesso del vomito
(questo se posto troppo posteriormente), si attiva il riflesso della deglutizione
importante per evitare il rischio di ab ingestis (aspirazione di cibi e liquidi nei
polmoni che provocano polmoniti e rischio di soffocamento del paziente).
Assistenza al paziente non autosufficiente
• Lavare le mani
• Informare sulla procedura affinché possa collaborare
• Applicare tovagliolo/bavaglio su torace
• Posizionare il vassoio in modo che l’assistito possa vedere il cibo
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• Informarsi sull’abitudine a cibarsi
• Accertarsi della temperatura dei cibi
• Alternare cibi solidi col bere
• Conversare
• Alla fine lavaggio mano e cavo orale
• Riordino materiali usati e letto
Disturbi legati all’alimentazione:
• Acidità: pirosi, sensazione di bruciore al livello dello stomaco
• Aerofagia: ingestione di aria col cibo con distensione gassosa dello
stomaco e senso di replenezza
• Alitosi: cattiva igiene orale o cattiva digestione (diabete, probl. Epatici,
renali, alcuni cibi…)
• Nausea: sensazione imminente di vomitare, sudorazione fredda,
pallore, vertigini
• Vomito: espulsione forzata del contenuto dello stomaco attraverso la
cavità orale.
•
Nell’assistenza al vomito bisogna evitare di contaminarsi, valutare
composizione materiale espulsivo (cibo, sangue, simil fecaloide..), far
assumere posizione di lato. Va avvisato l’IP. Bisogna eliminare il vomito, far
sciacquare bocca, cambiare biancheria. Dopo dieta leggera e thè.
La disfagia è un altro importante problema durante l’assistenza al pasto. La
disfagia è una disfunzione dell’apparato digerente consistente nella difficoltà
a deglutire e al corretto transito del bolo nelle vie digestive superiori.
E’ caratterizzata dalla difficoltà del passaggio di alimenti solidi e/o liquidi dalla
cavità orale allo stomaco. E’ potenzialmente mortale!!
L’OSS deve sospettare la disfagia se:
• Tosse involontaria entro 2-3 minuti dalla deglutizione
• Voce velata o gorgogliante dopo la deglutizione del boccone
• Fuoriuscita di liquidi o cibo dal naso
• Rialzo termico senza cause evidenti
• Aumento salivazione
• Catarro.
C’è evidenza di disfagia quando durante l’assunzione del pasto il paziente
accusa un senso di soffocamento, presenta una tosse insistente o un colorito
rosso-cianotico al volto. In tal caso va avvisato immediatamente il personale
infermieristico e medico per attuare tutte le manovre necessarie.
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I parametri vitali
Ogni attività posta in essere verso persone ha insita in sé non solamente una
componente tecnica e quindi una capacità operativa, cioè una buona
manualità nell’esecuzione della tecnica, ma è necessario anche una buona
capacità relazionale.
Una buona relazione interpersonale con l’utente è indispensabile per la
riuscita della metodica che si intende realizzare.
Quando bisogna rilevare i parametri vitali bisogna cercare di ottenere
dall’utente la collaborazione dell’utente, poiché la cosa che si verifica
normalmente è un’alterazione dei parametri vitali a causa dello scatenamento
dei parametri vitali.
E’ buona prassi salutare in maniera convenzionale all’ingresso in camera, poi
ci si presenta alla persona e si spiega cosa si va a fare. Bisogna mettere a
proprio agio l’utente, anche distraendolo con argomenti comuni.
I parametri vitali che normalmente vengono rilevati sono: la temperatura
corporea, la frequenza del polso, la frequenza del respiro, la pressione
arteriosa.
Temperatura corporea
L’organismo umano, attraverso funzioni cerebrali e meccanismi di produzione
e dispersione del calore, mantiene la temperatura corporea tra i 36 °C e i
37°C.
La produzione di energia avviene come conseguenza del lavoro muscolare;
la sua conservazione-dispersione è regolata dai recettori corporei della
temperatura che, attraverso un feed-back con l’ipotalamo, attivano una
vasodilatazione periferica ed il fenomeno della sudorazione, in caso si debba
abbassare (termolisi); oppure si attiva una vasocostrizione periferica con
tremori per farla innalzare (termogenesi).
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La temperatura corporea è influenzata da vari fattori:
• L’attività muscolare e il lavoro manuale
• La temperatura dell’ambiente che ci circonda
• Il ritmo circadiano (sonno-veglia): al mattino 36°C, il pomeriggio 37°C
• Dall’età
• Condizioni ormonali (menopausa, patologie tiroidee…)
• Squilibri elettrolitici
• Alterazione dei centri termoregolatori (traumi, tumori cerebrali)
•
Valori diversi della temperatura corporea hanno nomi diversi:
• Ipotermia: se TC scende al di sotto dei 35°C. Attenzione sotto i 29°C
pericolo di vita
• Normotermia: TC standard tra 36-37 °C
• Ipertermia: aumento importante della TC (di solito oltre i 38°C).
Qualsiasi stato patologico può alterare il livello della temperatura corporea
producendo quel sintomo che va sotto il nome di febbre. L’aumento della
temperatura può iniziare con modalità lenta e progressiva oppure in maniera
rapida con brividi e sudorazione abbondante. La caduta può avvenire in
maniera acuta, rapida (per crisi) o in maniera lenta (per lisi).
Può essere anche fatta una distinzione dei vari livelli febbrili:
• Febbricola: tra 37,1 e 37,8°C
• Febbre media: tra 37,8 e 38,4°C
• Febbre alta: tra 38,5 e 40°C
• Febbre altissima: più di 40°C
Oltre i 42°C c’è incompatibilità con la vita.
Inoltre esistono diversi tipi di febbre:
Febbre continua: oscillazioni nell’arco della giornata inferiori a 1°C.
Febbre remittente: oscillazioni nell’arco della giornata superiori ad 1°C
senza peraltro rientrare nella norma
Febbre intermittente: detta anche febbre settica si caratterizza per
periodi di defervescenza a cui seguono accessi febbrili elevati sovente
accompagnati da brividi.
Esistono inoltre una serie di sintomi sia soggettivi che oggettivi che si
accompagnano alla febbre:
• Cefalea
• Inappetenza
• Astenia
• Fotofobia
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• Sensibilità ai rumori ambientali
• Insonnia
• Stordimento
• Accelerazione polso
• Respirazione frequente
• Volto arrossato o pallido
• Sudorazione
• Disidratazione
• Convulsione.
Sedi di rilevazione della temperatura corporea:
• Ascellare
• Inguinale
• Orale
• Rettale
• Timpanica
• Vaginale.
Va ricordato che esistono vari tipi di termometri e diverse scale di
misurazione. Le principali in uso sono la Celsius e la Fahreneit. In Europa e
quindi in Italia è usata la Celsius che definisce lo zero come la temperatura a
cui l’acqua congela e il cento il punto di ebollizione dell’acqua. L’unità di
misura è il grado Centigrado (°C).
I termometri oggi in uso sono:
• Termometro in vetro con lega al gallio (che sostituiscono i vecchi
termometri al mercurio oggi non più in uso)
• Termometro timpanico
• Termometro elettronico.
Tecnica operativa per la misurazione ascellare e inguinale:
• Spiegare al paziente quello che si va a fare
• Controllare che l’ascella/inguine sia libera
• Asciugare se sudata
• Inserire termometro nella cavità ascellare e far chiudere il braccio
invitando il paziente a mantenerlo flesso sul torace per il tempo
necessario
• Se all’inguine fa tenere la coscia verso la controlaterale
• Controllare il valore raggiunto e riportarlo in scheda
Misurazione orale:
• Verificare che il soggetto non abbia bevuto, fumato o mangiato da
almeno 10 minuti
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• Inserire termometro nella cavità orale sotto la lingua e far chiudere
delicatamente la bocca, invitando a mantenerla chiusa e a respirare col
naso
• Mantenerlo per il tempo necessario
• Controllare valore raggiunto e trascriverlo.
Misurazione rettale:
• Verificare che l’area ano-rettale sia esente da processi infiammatori o
da alterazioni
• Invitare soggetto a coricarsi sul fianco con le gambe flesse
• Indossare guanti monouso
• Inserire termometro nell’orifizio anale dopo aver sollevato la natica
• Controllare valore e trascriverlo.
Misurazione timpanica:
• Applicare nuovo cappuccio monouso sulla sonda timpanica
• Inserire nell’orecchio del pz la sonda tenendo l’apparecchio con la
mano dominante
• Premere start e dopo pochi secondi compare la misurazione
• Togliere l’apparecchio dall’orecchio e buttare cappuccio nei rifiuti
• Trascrivere il valore.
E’ importante ricordare che quando si rileva la TC bisogna trascrivere
immediatamente su apposita scheda o strumento dell’unità operativa.
Esistono numerose tipologie di registri e di curve febbrili.
Dopo l’utilizzo il termometro deve essere pulito e può essere conservato in
appositi contenitori cilindrici con del disinfettante. Prima dell’utilizzo deve
essere asciugato e bisogna controllare che non sia troppo freddo.
Assistenza alla persona con febbre
L’assistenza al paziente ha come obiettivo principale quello di ridurre lo stato
febbrile attraverso azioni volte al raffreddamento del soggetto che si
concretizzano in: riduzione della temperatura della stanza ove possibile,
borsa del ghiaccio; spugnature tiepide. Questo nell’eventualità che la febbre
raggiungi livelli intorno a 40°C, in caso di bambini bisogna intervenire prima
per evitare il rischio di convulsioni.
Per valori sotto i 39°C l’intervento si limita alla sorveglianza, alla messa in
atto di quegli accorgimenti volti ad evitare la disidratazione. In tal caso è
opportuno somministrare acqua, brodini, camomille, bevande.
Schematizzando:
• Creare le condizioni di comfort e tranquillità
• Favorire l’assunzione di liquidi
• Incoraggiare l’assunzione di cibi (leggeri)
• Verificare l’assunzione della terapia prescritta
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• Rilevare la TC a scadenze prefissate
Rilevazione della frequenza cardiaca
La frequenza della contrazione cardiaca è determinata da un segnapassi
interno al cuore.
La contrazione del ventricolo sinistro spinge il sangue in aorta. Si determina
un’onda di flusso che pervade tutto il sistema arterioso. Quando l’onda passa
nelle arterie che scorrono vicino a una superficie cutanea o sopra una
struttura ossea, si può avvertire la pulsazione.
Esistono numerosi fattori che influenzano la frequenza cardiaca:
• Età: diminuiscono dalla nascita all’età adulta
• Sesso: di solito le donne in età fertile hanno 5-10 battiti in più al minuto
rispetto agli uomini
• Sport: lo sport costante riduce la frequenza cardiaca
• Febbre: la febbre aumenta di circa 6-8 pulsazioni al minuto per ogni
grado di TC
• Farmaci: sia riducendo che aumentando
• Dolore, emozioni: alterano la FC
• Ipovolemia, disidratazione: aumenta FC
• Stress: aumenta FC
• Posizione: se in piedi o seduta, riduzione PA e aumento FC
I caratteri del polso da rilevare sono:
1. Frequenza cardiaca(FC) : oscilla tra 60 e i 100 bpm (battiti per minuto)
negli adulti, tra 70-120 bpm (bambini)
Si parla di Bradicardia se la frequenza cardiaca è inferiore a 60 bpm, si parla
di Tachicardia se la frequenza cardiaca è maggiore di 100 bpm.
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2. Ritmo: si valuta la regolarità del tempo che trascorre tra un battito e
l’altro. Si distingue pertanto in polso Ritmico e polso aritmico.
3. Qualità: pieno o filiforme
Sedi di rilevazione dei polsi
Le sedi di rilevazione più comune sono:
• Radiale: più frequente (nell’adulto)
• Temporale: nel neonato
• Arteria carotide: anche nelle situazioni di emergenza
• Apicale (torace)
Procedura per la rilevazione del polso:
• Informare l’ammalato
• Far assumere la posizione supina (se possibile)
• Cingere il polso ponendo il pollice sul dorso del braccio e ponendo le
altre dita sull’arteria radiale fino a percepire bene con indice e medio
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• Inizio a contare per 15-20 o 30 secondi e moltiplico x4-3-2 per arrivare
a valutare il numero di pulsazioni in un minuto.
Durante la rilevazione valutare anche ritmo (polso regolare o no)e ampiezza.
Vanno inoltre registrati i dati osservati.
Rilevazione della frequenza respiratoria
La respirazione è una funzione complessa che permette al nostro organismo
di captare ossigeno all’ambiente che ci circonda per poi fornirlo alle cellule e
allo stesso tempo espellere, all’esterno, l’anidride carbonica che si forma
durante il lavoro cellulare.
Alla respirazione l’organismo provvede tramite l’apparato respiratorio
costituito da un insieme di organi : naso, bocca, faringe, laringe, bronchi e
polmoni.
La respirazione si compone di 2 fasi attive:
a. Inspirazione= entrata di aria nei polmoni
b. Espirazione= uscita di aria dai polmoni
La ventilazione è il movimento di entrata e uscita dell’aria dai polmoni.
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Tramite la ventilazione l’aria ambientale raggiunge gli alveoli polmonari e di
conseguenza permette un normale scambio gassoso e ossigenazione dei
tessuti.
Alterazioni della ventilazione:
• Iperventilazione: caratterizzata da un aumento della frequenza e della
profondità della respirazione, si presenta con una serie di respiri molto
profondi e rapidi.
• Ipoventilazione: riduzione della frequenza respiratoria. I respiri sono
poco profondi. La respirazione appare lenta e superficiale e spesso
irregolare.
Può inoltre esserci una respirazione costale con movimenti diretti verso l’alto
ed esterno del torace e una respirazione addominale (diaframmatica)
cararatterizzata da un movimento dell’addome che è spinto verso il basso
dalla contrazione del diaframma.
Caratteristiche del respiro
Frequenza:
• Eupnea= respiro normale, calmo, ritmico e senza sforzo (15-20
atti/minuto)
• Tachipnea= respiro rapido caratterizzato da atti respiratori veloci e
superficiali
(>20 atti/minuto)
• Bradipnea= respirazione anormalmente lenta (<12 atti/minuto)
• Apnea= cessazione del respiro
• Arresto respiratorio= risultato di apnea prolungata
Volume
• Iperventilazione= atti respiratori prolungati e profondi
• Ipoventilazione= atti respiratori superficiali
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Ritmo
• Respiro di Cheyne-Stokes:ciclo nel quale la respirazione aumenta
gradualmente di frequenza e profondità per poi ridursi con periodi di
apnea temporanea
• Respiro di Kussmaul: aumento della frequenza e della profondità degli
atti respiratori
• Respiro di Biot: respirazione superficiale intervallata da periodi di apnea
Altri tipi di alterazione della respirazione:
• Dispnea= respiro difficoltoso, affannoso, penoso. Sensazione di “fame
d’aria”. Appare angosciato e ansioso.
• Ortopnea= capacità di respirare solo in posizione seduta diritta o in
piedi
• Tosse= espirazione forzata di aria ad intervalli involontari (una sorta di
“pulizia” dei bronchi)
A. tosse produttiva: accompagnata da espettorazione di secrezioni
B. tosse non produttiva: secca, aspra senza secrezioni
Emottisi= presenza di sangue nell’espettorato
Misurazione della frequenza respiratoria:
• Frequenza normale: 15-20 atti respiratori/minuto
• Profondità: osservando il torace e i suoi movimenti
_respiro profondo: quando viene inspirato ed espirato un grande volume di
aria riempendo la maggior parte dei polmoni
_respiro superficiale: piccola quantità di aria coinvolta con l’uso di una
piccola quantità di tessuto polmonare
Normalmente si inalano 500 ml aria ad ogni atto respiratorio.
I bambini hanno un respiro diaframmatico, pertanto la valutazione va fatta
ponendo la mano su addome e osservazione dell’addome.
Attenzione al colore della pelle: un colore grigiastro-bluastro (CIANOSI) della
cute questo sottende a una cattiva ossigenazione dei tessuti o a
un’insufficienza cardiocircolatoria.
Procedure per favorire la respirazione:
• Sorveglianza: spesso nei soggetti con problemi respiratori si hanno
improvvisi accessi di tosse o dispnea. Controllo del colorito di cute e
mucose. Controllo corretta postura.
• Approccio relazionale: lo stato d’animo, le emozioni influenzano la
respirazione.
• Prescrizioni mediche: vanno rispettate
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L’ossigenoterapia è una tecnica attraverso la quale ci si prefigge lo scopo di
mantenere nel sangue arterioso, il livello di ossigeno entro valori fisiologici, al
fine di ridurre al minimo il rischio di danni da ipossia cerebrale.
L’ossigenoterapia, come tutte le terapie, deve essere prescritta dal medico e
quindi prima di instaurarla va verificato che ciò sia avvenuto.
L’ossigeno terapeutico può essere fornito:
• In bombole
• Con Impianto centralizzato di distribuzione(testaletto della camera)
• Con concentratore di O2 (anche da zainetto)
• Come ossigeno liquido
NON C’E’ DIFFERENZA TERAPEUTICA, MA SOLO di DURATA!
I dispositivi per la somministrazione di ossigeno sono:
• Cannula nasale
• Maschera facciale comune
• Maschera del venturi
• Maschera facciale con palloncino di riserva
• Sondino nasofaringeo
Procedura per la somministrazione dell’ossigenoterapia:
• Spiegare al paziente cosa si va a fare
• Collegare l’erogatore alla fonte
• Inserire l’umidificatore pre-riempito con acqua distillata
• Regolare la quantità (espressa in litri al minuto)
• Aiutare il paziente nell’applicazione del dispositivo per O2terapia
• Sorvegliare il paziente ad intervalli regolari
Rilevazione periferica della saturazione d’ossigeno
Pulsi-ossimetro è uno strumento che permette la rilevazione della saturazione
di ossigeno del sangue arterioso di un paziente grazie a un sensore applicato
su un dito.
Misura attraverso dei raggi infrarossi la quantità di luce rossa e infrarossa
assorbita dall’emoglobina (capillari).
Tecnica
• Spiegare al paziente cosa si va a fare
• Scegliere il sensore adatto
• Pulire il dito
• Applicare sensore
• Registrare i valori indicati
• Riferire all’IP
• Determinare la zona migliore
• Valutare le condizioni generali del paziente
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• Colorito cute e unghie e perfusione delle estremità
Ovviamente le unghie devono essere senza smalto!
Rilevazione della pressione arteriosa
La pressione arteriosa viene misurata di solito con il metodo ascoltatorio con
l’ausilio di un bracciale insufflabile connesso con un manometro e di un
fonendoscopio.
E’ la misura della pressione esercitata dal sangue contro le pareti dei vasi.
La Pressione sistolica (massima dell’onda sanguina) corrisponde alla
contrazione ventricolare, la Pressione diastolica (minima dell’onda
sanguigna) corrisponde alla pressione con i ventricoli a riposo.
Esistono numerosi fattori che alterano la pressione arteriosa:
• Età: aumenta progressivamente con l’età. I neonati hanno PAS media
di 75 mmHg. Gli anziani hanno arterie più rigide e meno elastiche per
cui la PAS e la PAD aumentano.
• Sesso: le donne hanno una PA più bassa (dopo la menopausa la PA
tende a normalizzarsi)
• Esercizio fisico: aumenta la PA (bisogno aspettare 20-30 minuti)
• Farmaci
• Stress: aumenta la PA. Il dolore spesso la diminuisce.
• Razza: uomini di colore hanno la PA più alta
• Obesità: predisposizione all’ipertensione
• Variazioni circadiane: bassa la mattino, aumenta pomeriggio e sera
• Febbre/calore/freddo: febbre aumenta la PA, alte temperature
ambientali diminuiscono la PA.
Normalmente si rileva Sul braccio del paziente usando l’arteria brachiale con
sfigmomanometro e un fonendoscopio.
Non si può misurare sul braccio se:
• Interventi chirurgici mammella o ascella
• Se in corso infusione ev o trasfusione
• Se presente fistola arterovenosa in soggetti sottoposti a dialisi.
Metodo auscultatorio.
Si applica una pressione esterna su un’arteria e si legge la Pressione sullo
sfigmomanometro mentre si ascoltano con il fonendoscopio i suoni di
Koroktoff.
La pressione sistolica corrisponde alla comparsa del primo battito, la
pressione diastolica corrisponde al punto dove il battito scompare.
Procedura di rilevazione della pressione arteriosa
Materiale
• Fonendoscopio
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• Sfigmomanometro dotato di cuffia adatta al braccio e all’età (neonato,
bambino, adulto magro, adulto normale, adulto obeso..).
Aneroide (quadrante calibrato con ago) ed elettronico.
Tecnica
• Spiegare cosa si va a fare
• Posizionare il paziente in modo appropriato: posizione da seduto con i
piedi sul pavimento (non incrociati). Il gomito leggermente flesso con
palmo rivolto verso l’alto e avambraccio a livello del cuore, se non
possibile da seduto in altre posizioni specificandole.
• Avvolgere intorno al braccio la cuffia sgonfia. La parte inferiore deve
essere 1-2,5 cm sopra la piega del gomito
• Localizzare l’arteria brachiale
• Posizionare il fonendoscopio in modo adeguato con il lato a campana
sul polso brachiale
• Auscultare la pressione arteriosa
• Gonfiare la cuffia fino a 30 mmHg sopra il punto dove il polso brachiale
scompare
• Rilasciare la valvola lentamente affinchè la PA diminuisca di 2-3 mmHg
per secondo
• Leggere i valori sul manometro in corrisponde del primo battito e della
scomparsa dell’ultimo battito
• Sgonfiare tutta la cuffia
• Attendere 1-2 minuti prima di fare successive misurazioni. Se
necessario ripetere più volte
Può essere utile la misurazione su tutte e 2 le braccia (differenza massima di
10 mmHg). Il braccio con misurazione più alta sarà quello scelto per le
successive misurazioni
103
La rianimazione cardiopolmonare
La morte cardiaca improvvisa colpisce ogni anno circa 1 persona su 1000.
Molte persone di queste potrebbero essere salvate mettendo in atto delle
tecniche che permettono di mantenere ancora la circolazione e per quanto
possibile la ventilazione in attesa dell’arrivo dei soccorsi avanzati.
Cause di arresto cardiaco:
• SINDROMI CORONARICHE ACUTE
• Squilibri elettrolitici
• Avvelenamento
• Annegamento
• Ipotermia
• Ipertermia
• Asma
• Anafilassi
• Trauma
• Associato alla gravidanza
• Folgorazione, fulminazione
La malattia ischemica cardiaca (sindrome coronarica acuta) è la principale
causa di morte in Europa.
L’arresto cardiaco improvviso è responsabile per più del 60 % delle morti
in età adulta da coronaropatia.
Per morte cardiaca improvvisa s’intende la cessazione brusca ed
inattesa delle attività circolatoria e respiratoria in pazienti con o senza
malattia cardiaca nota (in genere in 1 h dall’esordio della sintomatologia
acuta).
Può verificarsi senza segni premonitori ed essere la prima manifestazione
della malattia coronarica (questa è la causa più frequente). Oppure può
essere preceduta da sintomi e segni di allarme: dolore o senso di
oppressione precordiale, sudorazione, nausea, mancanza di respiro,
astenia...
Il BLS o Basic Life Support (o supporto funzioni vitali di base) consiste nelle
procedure di Rianimazione Cardio-Polmonare necessarie per soccorrere un
paziente che:
• Ha perso coscienza e/o
• Non respira e/o
• È in arresto cardiaco, (non ha polso , né segni di circolo ovvero
non tossisce, non respira , non si muove).
• senza l’uso di altro equipaggiamento che non sia un device protettivo.
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Lo scopo è quello di garantire il pronto riconoscimento del grado di
compromissione delle funzioni vitali (fase di valutazione), di supportare
ventilazione e circolo (fase dell’azione) fino al momento in cui possono
essere impiegati mezzi più efficaci come la defibrillazione e/o il supporto
medico avanzato. È una procedura di “mantenimento” e di “cura”.
L’obiettivo principale consiste nella prevenzione dei danni anossici cerebrali.
Le sue manovre sono indirizzate a:
a. Impedire che una ostruzione respiratoria o una apnea induca un arresto
cardiaco
b. Avviare e mantenere una attività vicaria di respirazione e circolazione
mediante la RCP, se c’è un arresto di circolo.
Senza BLS la sopravvivenza a 10 minuti è pari a 0.
Purtroppo si hanno a disposizione pochi minuti per intervenire prima che i
danni cerebrali divengano irreversibili. Dopo 4-6 minuti siamo già a livello di
criticità.
La mancanza di ossigeno alle cellule cerebrali produce lesioni che sono
dapprima reversibili, ma che diventano irreversibili dopo circa 4 – 10 minuti
di assenza di circolo.
Qualora il circolo sia ripristinato, ma il soccorso ritardato o inadeguato,
l’anossia cerebrale prolungata si manifesterà con esiti neurologici di entità
variabile:
• coma persistente fino allo stato vegetativo,
• deficit motori o sensoriali,
• alterazioni delle capacità cognitive o della sfera affettiva
• ......
105
L’arresto cardio-circolatoria da asfissia è il meccanismo predominante nel:
• Trauma (volto, collo, torace)
• Laringospasmo, asma, bronchiolite
• Overdose
• Annegamento
• Ostruzione da corpo estraneo e nei Bambini.
• Le ventilazioni di soccorso sono l’aspetto critico per la rianimazione di
questi pazienti, a differenza delle altre situazioni dove la criticità è data
dalle Compressioni toraciche.
Sequenza del BLS
1. ASSICURARSI CHE LA VITTIMA, GLI ASTANTI E I SOCCORRITORI
SIANO AL SICURO. La sicurezza per il soccorritore, per la vittima, per gli
astanti deve esserci SEMPRE!
2. CONTROLLARE SE LA VITTIMA RISPONDE
Scuoti delicatamente le sue spalle e
chiedi ad alta voce “tutto bene ?” oppure “Signore, signore?”
Se la vittima risponde:
• Lasciala nella posizione in cui l’hai trovata, purché non ci siano ulteriori
pericoli
• Cerca di scoprire che cosa c’è che non va e se necessario presta aiuto
o/e chiama aiuto (118)
• Rivalutala regolarmente
Se la vittima non risponde:
• Chiama aiuto ad alta voce e avvisa o fai avvisare il 118
• Gira la vittima sulla schiena e se possibile togli qualche indumento (ma
non perdere tempo!)
106
• Poi apri le vie aeree (estensione del capo e sollevamento del mento)
• Con la mano sulla sua fronte delicatamente inclina la sua testa
all’indietro e con la punta delle dita sotto il mento , sollevalo
Mantenendo aperte le vie aeree, GUARDA, ASCOLTA E SENTI (G.A.S.)
se è presente respiro normale:
• Guarda il movimento del torace
• Ascolta i suoni respiratori dalla bocca della vittima
• Senti l’aria espirata sulla guancia
G.A.S. per non più di 10 secondi.
In contemporanea al GAS valuterò la presenza di segni vitali:
• Movimenti di qualche regione corporea
• Tremori
• Tosse.
Se la vittima respira normalmente(ma è incosciente)
• Ruotala nella posizione di sicurezza
• Manda o vai cercare aiuto, e chiama o fai chiamare il 118 se non l’hai
ancora fatto
• Controlla che la vittima continui a respirare
• NO nel trauma
Far assumere la posizione laterale di sicurezza.
Ruota la vittima sul lato in modo che il capo, le spalle e il torace si muovano
simultaneamente.
Permette di mantenere l’estensione del capo e quindi la pervietà delle
vie aeree, prevenire l’eventuale inalazione di vomito, mantenere la stabilità
del corpo.
107
Se non respira normalmente:
• Chiedi a qualcuno di chiamare il 118 o se sei da solo, chiama tu stesso
• Poi inizia le compressioni toraciche esterne
108
Le compressioni toraciche esterne vanno eseguite:
• Al lato della vittima
• Metti la base del palmo della mano nel centro del torace della vittima
• Metti il palmo dell’altra mano sopra la prima e intreccia tra di loro le dita
delle mani
• Posizionati verticalmente rispetto al torace della vittima
• Con le braccia tese spingi verso il basso sullo sterno per 4 – 5 cm
Dopo ogni compressione rilascia tutta la pressione sul torace senza perdere
contatto tra le tue mani e lo sterno.
Ripeti ad una frequenza di 100 volte al minuto (poco meno di 2
compressioni al secondo). Compressioni e rilasciamenti devono avere la
stessa durata.
Assicurati di non premere sulle coste, sulla parte superiore dell’addome o
l’estremità inferiore dello sterno.
Alterna le compressioni toraciche con le ventilazioni. Dopo 30
compressioni apri le vie aeree di nuovo usando l’estensione del capo e il
sollevamento del mento.
109
Per fare le ventilazioni bocca a bocca:
Chiudi il naso della vittima pinzandone la parte morbida con il pollice e
l’indice della mano che tieni poggiata sulla fronte. Lascia che la bocca della
vittima si apra ma mantieni il suo mento sollevato. Prendi un respiro e
metti le tue labbra intorno alla bocca della vittima cercando di ottenere una
buona aderenza.
Soffia nella bocca del paziente per circa 1 secondo controllando con lo
sguardo che il torace si sollevi. Mantenendo il capo esteso e il mento
sollevato, stacca la tua bocca da quella della vittima e controlla con lo
sguardo che il suo torace si abbassi mentre l’aria fuoriesce. Prendi di nuovo
un respiro e soffia nella bocca della vittima ancora una volta per un totale di
2 ventilazione efficaci.
Rimetti le tue mani sullo sterno nella posizione di prima e dai ulteriori 30
compressioni toraciche. Continua con le compressioni toraciche e le
ventilazioni (rapporto di 30 : 2). Fermati per ricontrollare la vittima solo se
inizia a respirare normalmente o a tossire o a muoversi: altrimenti non
interrompere la rianimazione.
Respirazione pallone-maschera
Posizionati dietro la testa del paziente. Appoggia la maschera, solleva la
mandibola ed estendi la testa con la mano sinistra. Comprimi il pallone con la
mano destra.
BLS a 2 soccorritori
• Uno effettua le compressioni toraciche esterne, l’altro le ventilazioni e a
turno ci si cambia di posizione
• Oppure uno effettua la rianimazione con compressioni e ventilazioni e
l’altro subentra quando richiesto
• Prevenire l’affaticamento!
• Minimizzare il più possibile i ritardi durante il cambio dei soccorritori
110
Rianimazione cardiopolmonare con le sole compressioni toraciche
esterne.
Se non sei capace o sei riluttante a effettuare le ventilazioni, esegui solo le
compressioni toraciche. Se si eseguono le sole compressioni toraciche,
queste devono essere continue alla frequenza di 100 al minuto. Fermati per
ricontrollare la vittima solo se inizia a respirare normalmente o a tossire o a
muoversi: altrimenti non interrompere la rianimazione.
La rianimazione va continuata fino a che non arriva o subentra un aiuto
qualificato, o la vittima comincia a respirare normalmente o a tossire o
muoversi, o sei esausto.
Il BLS deve essere sempre praticato a meno di non trovarsi davanti a segni
evidenti di morte biologica (la decomposizione tessutale, il rigor mortis, la
presenza di macchie ipostatiche nelle zone declivi, la decapitazione).
In tutti gli altri casi il soccorritore non medico deve sempre iniziare le manovre
rianimatorie senza tenere conto dell’età apparente della vittima,
dell’aspetto cadaverico e della midriasi.
La legislazione italiana riconosce nel medico l’unica figura in grado di
stabilire l’avvenuto decesso. Se non è presente sul posto un medico, i
soccorritori dovranno protrarre la rianimazione fino al suo arrivo o fino
all’esaurimento delle proprie forze.
BLS-D ossia rianimazione cardiopolmonare con il defibrillatore.
Si usa il defibrillatore solo in caso di fibrillazione ventricolare (FV) e in caso di
tachicardia ventricolare (TV) senza polso.
La FV è un’alterazione del ritmo cardiaco caratterizzata da caos elettrico, ciò
determina un’assenza della pompa cardiaca.
Nella TV, che spesso evolve in FV, gli impulsi elettrici partono dal ventricolo e
sono di frequenza elevata da non permettere contrazioni efficaci e anche in
questo caso si determina un’assenza di polso.
La defibrillazione consiste nel passaggio, attraverso il cuore, di una scarica di
corrente per pochi msec.
Si interrompe la FV e in genere subentra il risveglio del segnapassi naturale
con ripresa del ritmo naturale e della circolazione.
Il defibrillatore è uno strumento che analizza il ritmo cardiaco e permette
l’emissione sul torace della scarica elettrica.
Esistono defibrillatori semiautomatici e manuali. Il primo analizza in
autonomia l ritmo cardiaco e dà indicazioni sul dover o non dover dare la
scarica. Il manuale esegue l’ECG che deve essere analizzato dal medico che
decide se dare o no la scarica.
111
Compiti degli operatori è il corretto posizionamento delle placche sul torace.
Le posizioni sono la regione sottoclaveare destra e la regione sotto l’area
mammaria sinistra.
Durante il BLS che va iniziato normalmente eseguendo tutti i passi previsi
fino al ciclo di RCP, si accende il DAE e si applicano le placche sul torace.
A questo punto inizia l’analisi del ritmo.
Durante l’analisi: sospendere RCP, allontanarsi dal paziente, non toccarlo per
evitare interferenze. “Tutti via, io via”.
Avviene la valutazione del ritmo.
Il DAE dichiara se bisogna effettuare la scarica oppure no.
In ogni caso dopo la scarica o se la scarica non viene effettuata bisogna
ripartire con la RCP.
Se il pazienti è in ipotermia: solo 3 shock, poi trasporto in ospedale
continuando la RCP.
Il paziente bagnato o vicino all’acqua: va posto all’asciutto e asciugato prima
del posizionamento degli elettrodi.
Se la donna è in gravidanza va attuato un protocollo normale.
BLS nei bambini di età inferiore a 1 anno.
• La causa è di solito respiratoria (asfissia)
• La ventilazione ha un ruolo maggiore rispetto al BLS dell’adulto
• La sequenza 30 compressioni : 2 ventilazioni dell’adulto è accettabile
• Comprimete il torace per 1/3 della sua profondità alla frequenza di
100/min
Manovra di disostruzione del bambino
Posiziono il bambino sul mio ginocchio con la testa in basso tenendolo per la
mandibola e dò 5 colpi secchi su spalla verso l’esterno.
Poi alterno 5 manovre di Heimlich :
Pollice su processo xifoideo, indice su ombelico, l’altra mano passa
all’interno, chiude il pollice all’interno, chiude il pugno e il pugno dell’altra
sopra.
Eseguo manovra a cucchiaio: antero-posteriore e caudo-craniale.
Se non si riprende inizio il P-BLS (BLS pediatrico).
ATTENZIONE: Si estrae il corpo estraneo solo se affiorante con dito a uncino
112
113
Assistenza alla somministrazione dei farmaci (su delega dell’IP)
Un farmaco è una sostanza somministrata per cura, diagnosi, trattamento,
analgesia o prevenzione di una patologia.
La prescrizione di un farmaco è a carico del medico. E’ l’indicazione scritta
per la preparazione e somministrazione di un farmaco.
Ogni farmaco deve avere una prescrizione medica:
1. Nome farmaco
2. Dosaggio
3. Formulazione
4. Via di somministrazione
5. Tempi-orari di somministrazione
Vie di somministrazione
Orale
È la più comune, meno costosa e comoda. Il farmaco deve essere deglutito.
Svantaggi: sapore sgradevole del farmaco, irritazione della mucosa gastrica,
assorbimento irregolare del tratto gastrointestinale.
Sublinguale
Farmaco posizionato sotto la lingua dove si scioglie. Non deve essere
ingoiato.
Da sciogliere in bocca
Il farmaco deve essere tenuto in bocca contro le mucose della guancia finché
non si scioglie.
Enterale
Tramite sondino naso-gastrico o PEG.
La regola delle 6 G
Giusto farmaco
Giusta dose
Giusto orario
Giusta via
Giusto paziente
Giusta registrazione
Procedura per la somministrazione dei farmaci
1. Identificare il paziente
2. Informare il paziente
3. Somministrare il farmaco
(NB: potrebbe essere necessaria assistenza durante la somministrazione:
posizione adeguata, valutazione se comparsi deficit deglutizione,
rassicurazione paziente…)
114
Somministrazione dei farmaci per via orale (per os)
Materiale occorrente:
• Carrello dei farmaci
• Bicchieri di plastica
• Scheda di prescrizione della terapia
• Dispositivo per frantumare le compresse
• Cannucce
• Acqua o succo
Tecnica:
• Lavare le mani
• Aprire carrello farmaci
• Prelevare il farmaco e controllare la prescrizione sulla scheda
• Le compresse e le capsule dovrebbero essere messe in un bicchierino
• Consegnare al paziente
• Se il paziente ha difficoltà a deglutire, frantumare la compressa con
apposito strumento e diluirla con un po’ di acqua o cibo liquido
• ATTENZIONE: NON TUTTI I FARMACI POSSONO ESSERE
FRANTUMATI
• Il farmaco deve essere somministrato massimo 30 minuti prima o dopo
dell’orario previsto
• Dare acqua o succo sufficiente a deglutire il farmaco (NB: attenzioni a
controindicazioni ai succhi)
• Se il paziente non è in grado di tenere il bicchiere, usarlo per introdurre
i farmaci in bocca
• Se il farmaco ha un sapore cattivo si può dare succo o pane
• Restare con il paziente finché ha assunto tutti i farmaci (alcuni pazienti
possono dimenticare di assumerli tutti oppure possono “sputarli” dopo
averli assunti)
L’OSS sotto supervisione dell’IP (che ha verificato la corrispondenza del
farmaco con la prescrizione: giusto farmaco, giusta dose, giusto orario, giusta
via, giusto paziente) può assistere un paziente nell’assunzione della
terapia orale.
Deve riferire difficoltà, fermarsi se ha dei dubbi e verificare comparsa di
reazioni dopo l’assunzione del farmaco.
Terapia topica
• Farmaci dermatologici= farmaci applicati direttamente sulla cute,
incluse lozioni, creme, unguenti, paste, gel, spray e polveri
• Instillazioni e irrigazioni: applicati in cavità o orifizi corporei come la
vescica, gli occhi, le orecchie, il naso, il retto o la vagina
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• Inalazioni: somministrati nel tratto respiratorio tramite inalatori,
nebulizzatori o sistemi a pressione positiva
Tipi di farmaci dermatologici
• Polvere: su superficie cutanea asciutta. Tendere le pieghe e spargere
la polvere finché questa sia coperta da uno strato leggero. Se prescritto
coprire la zona con una medicazione
• Lozione a base di sospensione: agitare il contenitore, mettere una
piccola quantità su garza e applicarla sulla cute uniformemente
• Creme, unguenti, paste e lozioni: scaldare e ammordire la
preparazione nella mano guantata per facilitare l’applicazione. Stendere
su cute uniformemente
• Spray: agitare il contenitore. Tenere lo spray alla distanza consigliata.
Spruzzare il farmaco sull’area indicata
• Cerotti transdermici: area pulita, asciutta, libera da peli (secondo le
disposizioni della casa produttrice). Rimuovere il cerotto dalla
confezione protettiva, tenerlo senza toccare la parte adesiva e
applicarlo premendo con la mano per almeno 10 secondi.
L’OSS può applicare alcuni tipi di polvere e creme su indicazione dell’IP.
Farmaci oftalmici
• Instillazione di colliri, unguenti (flaconcini monodose e non, tubetti)
• Irrigazioni
Tecnica
• Controllare occhio: secrezioni, rossore, tumefazione…
Materiale occorrente:
1. Guanti puliti
2. Farmaco
3. Garze eventualmente
4. Medicazione per l’occhio
Procedura
• Detergere la palpebra e le ciglia: indossare guanti puliti, utilizzare
tamponi sterili e pulire l’occhio dall’angolo interno verso l’angolo
esterno.
• Somministrare il farmaco oftalmico chiedendo al paziente di fissare il
soffitto e fornendogli un garza per asciugarsi. Esporre il sacco
congiuntivale inferiore e instillare il numero di gocce prescritte.
L’OSS non può somministrare farmaci oftalmici.
Non sono a carico dell’OSS la somministrazione di farmaci otologici, per via
nasale, per via vaginale, per via rettale, per via inalatoria.
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I farmaci a somministrazione parenterale intradermica (test allergici),
sottocutanea (eparina, insulina…), intramuscolare, endovenosa non sono a
carico di somministrazione dell’OSS.
117
Prelievo di campioni biologici
L’OSS è tenuto al prelievo di alcuni tipi di campioni biologici.
Prelievo urina
L’urina è un liquido di solito sterile prodotto dai reni per filtrazione del plasma
sanguigno. E’ Composta per il 96% di acqua e in parte da sostanze di rifiuto
dell’organismo e cellule di sfaldamento. Viene prodotto circa 1 ml/minuto.
La raccolta delle urine può essere fatta per diversi motivi:
1. Determinare la quantità prodotta nelle 24 ore (diuresi)
2. Eseguire esami di laboratorio a scopo diagnostico
3. Se terapie particolari con isotopi, per evitare che la radioattività si
disperda nell’ambiente (vasche di decantazione e poi fognatura
comune).
Tipi di esami che si possono fare sulle urine sono:
• Esame chimico-fisico: Prelievo al mattino con paziente a digiuno
(almeno dalla mezzanotte)
• Prelievo delle 24 ore: per valutare diuresi o dosaggio alcune sostanza
(proteinuria, glicosuria, clearance creatinina…)
• Esame colturale (urocoltura):valutare presenza microrganismi
responsabili di infezioni delle vie urinarie.
Raccolta campione non sterile
Paziente autosufficiente
• Informare sulla modalità di raccolta del campione.
• Consegnare il contenitore per l’esame provvisto di identificazione
(codice a barre, nome e cognome paziente)
• Invitare paziente a riconsegnarlo appena pronto
• Inviare in laboratorio
Paziente non autosufficiente
• Spiegare cosa si va a fare
• Realizzare il necessario per la privacy
• Eseguire igiene intima paziente con soluzione blandamente
disinfettante
• Raccogliere in un contenitore pulito (padella, pappagallo) evitando
contaminazione con feci o carta igienica
• Travasare l’urina nel contenitore apposito
• Inviare in laboratorio.
Prelievo in soggetto con catetere vescicale a dimora
• Clampare (chiudere) il catetere nella parte terminale con pinza
• Far trascorrere un’ora di tempo per far creare la quantità di urina
necessaria in vescica
• Scollegare il raccordo e far defluire l’urina nel contenitore sterile
evitando contaminazioni
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Raccolta delle urine delle 24 ore
• Informare l’ammalato sulla procedura e sulla modalità di conservazione
• Consegnare il contenitore graduato per la raccolta e invitarlo a
riconsegnarlo dopo 24 ore
• Disperdere la prima urna del mattino nel water
• Raccogliere tutte le minzioni successive alla prima fino alle 24 ore
successive all’inizio
• Si indica la quantità di urina prodotta e si invia campione al laboratorio
Raccolta per urocoltura (mitto intermedio)
Informare sulla modalità di raccolta e l’igiene adeguata da fare
Uomo
• Igiene dei genitali, con attenzione alla pulizia del glande con sapone
liquido per igiene intima risciacquando con cura
• Porre attenzione all’uso del contenitore sterile che non deve essere
contaminato
• Primo getto di urina nel water, interruzione del mitto e ripresa della
minzione nel contenitore sterile
Donna
• Igiene dei genitali con sapone liquido per igiene intima, risciacquando
con cura
• Iniziare la minzione con le piccole labbra divaricate dirigendo il getto nel
water. Interrompere il mitto
• Riprendere poi la minzione nel contenitore sterile
Per entrambi:
• Portare in laboratorio
Se il paziente è non autosufficiente o parzialmente tale sarà necessaria
igiene fatta dall’operatore e talora sarà necessario anche il posizionamento (a
cura dell’IP) di un catetere vescicale temporaneo.
Raccolta urine nei bambini piccoli:
• Applicazione di raccoglitori pediatrici esterni (sterile e non).
• Piccola sacca in plastica trasparente provvista di una parte adesiva, al
centro della quale c’è un foro.
Esame citologico urine
• Prelievo normale di urine per 3 volte
• Inviarlo al laboratorio di citologia e non al laboratorio analisi!
Tutti i campioni urine prelevati vanno inviati subito al laboratorio. Se ciò non è
immediatamente possibile bisogna conservarli a temperatura di 4°C.
119
Raccolta campione feci
La raccolta del campioni può essere fatta per:
1. Ricerca sangue occulto fecale
2. Analizzare residui alimentari e secrezioni digestive
3. Individuare presenza di uova e parassiti
4. Scoprire presenza di batteri e/o virus
Ricerca sangue occulto fecale (SOF)
• Serve per ricercare sangue non visibile a occhio nudo nelle feci
(patologie digestive)
• Non si può fare nella donna durante il ciclo mestruale
• Nessuna preparazione particolare
• Avvisare il paziente della procedura e della modalità di esecuzione
• Se possibile defecare su padella (pulita o sterile) o su una sedia
comoda
• Svitare il tappo del raccoglitore specifico e usare l’asticella di raccolta
• Reinserire l’asticella nel contenitore, avvitare il tappo e agitare
• Inviare al laboratorio
• Conservare in frigo max 24ore a 2-10°C
Esame chimico-fisico delle feci
• Per determinare le caratteristiche delle feci, valutare presenza di
sostanze di solito non presenti o in quantità anomala
• Aprire barattolo raccolta e usare la palettina
• Prelevare campioni multipli ed inserirli nel contenitore
• Chiudere il contenitore
• Inviarlo in laboratorio
• Se resta per 24 ore mantenere a 2-10°C
Esame colturale
Stessa modalità di raccolta del chimico-fisico, ma con contenitore sterile e
invio immediato in laboratorio.
Esame parassitologico
Ricerca di parassiti intestinali e loro uova. Stessa metodica di raccolta del
chimico-fisico.
Di solito 3 campioni di feci per confermare la presenza.
Prelievo espettorato
Viene fatto per:
• Coltura ed antibiogramma
120
• Esame citologico (3 campioni la mattina): serve per identificare la
presenza di cellule tumorali nei polmoni
• Talora per valutazione TBC (tubercolosi): 3 campioni in 3 giorni
differenti con una metodica particolare
I campioni vanno raccolti la mattina, al risveglio il paziente può tossire ed
espettorare le secrezioni che si sono accumulate nella notte
Viene raccolto dagli I.P.
La posizione corretta è seduta o semiseduta.
Inspirazione profonda_tosse_espettorato
Raccolta la quantità sufficiente inviarlo al laboratorio.
121
La gravidanza
LA gravidanza è un evento fisiologico, nella maggior parte dei casi.
Gli operatori sanitari principali sono il medico ginecologo e l’ostetrica.
Il loro Ruolo è principalmente quello di sorveglianza per verificare che il
processo si mantenga fisiologico fino alla fine.
Ogni gravidanza comporta un certo “rischio”, per tale ragione va tenuta sotto
controllo.
La durata normale della gravidanza è di 40 settimane ± 2 (a partire dal primo
giorno dell’ultima mestruazione).
Controlli di routine sono previsti una volta la mese accompagnati da esami di
laboratorio.
Le ecografie consigliate sono 3 (1 per trimestre).
I controlli da effettuare in gravidanza sono:
• Pressione arteriosa
• Emocromo con formula
• Sideremia
• Gruppo sanguigno e fattore Rh
• Glicemia
• Funzionalità renale
• Funzionalità epatica
• Esame urine
• Test rosolia, toxoplasmosi, CMV, HBsAg, Epatite C e HIV
• Elettrocardiogramma
Con l’aumentare dell’età della donna aumenta il rischio di generare un figli
con sindrome di Down (trisomia 21), pertanto dopo i 35 anni c’è l’indicazione
a fare indagini cromosomiche quali la villo centesi o l’amniocentesi.
Disturbi comuni della gravidanza sono:
• Nausea
• Necessità di urinare più frequentemente
• Stanchezza
• Stitichezza
• Percezione accentuata degli odori
• Mal di schiena
• Dolore in regione sovrapubica
• Crampi muscolari
• Sonnolenza o insonnia
• Modificazioni della pelle (alcune zone diventano più scure)
L’alimentazione è importante per la normale evoluzione della gravidanza e il
corretto accrescimento del feto. Vanno controllate la quantità e la qualità del
122
cibo. Serve per mantenere un adeguato aumento ponderale fino a fine
gravidanza (aumento corretto 9-12 Kg). L’eccessivo aumento di peso al
momento del concepimento o durante il secondo e terzo trimestre comporta
affaticamento, rischio di diabete gestazionale e gestosi (condizione tossica).
Può rendersi necessaria supplementazione con vitamine, minerali e ferro.
E’ meglio non assumere farmaci durante la gravidanza, specie nel primo
trimestre (periodo di vera formazione del feto). In caso di febbre è possibile
usare paracetamolo. Esistono antibiotici che si possono assumere senza
rischi. Ogni farmaco va prescritto dal medico.
Possono essere attuate le cure igieniche normali, non esiste alcuna
controindicazione a bagno o doccia (attenzione al bagno caldo in vasca per il
crollo pressorio). Anche la cura dei denti va effettuata come sempre.
I vestiti semplici che non provochino costrizioni. Possibilmente di fibre naturali
che traspirano. Le scarpe comode a pianta larga, con tacco basso e ampio.
Il parto
E’ il meccanismo di espulsione del prodotto di concepimento.
E’ utile recarsi in Ospedale quando le contrazioni uterine
sono intense e ritmiche (1 contrazione ogni 5 minuti per almeno 1 ora)
tenendo in considerazione la distanza dall’Ospedale.
E’ meglio trascorrere la prima parte del travaglio in un ambiente favorevole
che metta la donna in una condizione psicologica buona.
Il travaglio pone il bambino in una condizione di stress: pertanto va fatto un
monitoraggio delle sue funzioni vitali.
Bisogna comunque andare in ospedale se:
• Quando le contrazioni diventano regolari ogni 10-15 minuti
• Il bambino si muove meno del solito
• Si notano perdite ematiche vaginali
• Si notano perdite di liquido amniotico
• Compare febbre, pressione alta, prurito
All’arrivo in ospedale avviene l’Accettazione con assegnazione di un
cartellino di riconoscimento.
Avviene la visita e il ricovero (con anamnesi visita ginecologica).
La paziente viene poi trasferita in sala travaglio e quindi in sala parto al
momento opportuno.
Il parto si può suddividere in 3 fasi: fase dilatante, fase espulsiva e espulsione
della placenta o secondamento.
123
Fase dilatante
Si ha una graduale dilatazione del collo dell’utero. Nella primipara il tempo
dall’inizio del travaglio attivo (dilatazione almeno di 3 cm) alla dilatazione
completa (circa 10 cm) è tra le 6 e le 12 ore. E’ la parte del travaglio più
dolorosa e spossante.
Qui si possono usare tutte le tecniche di rilassamento apprese nel corso
preparto o richiedere l’analgesia (se l’Ospedale la offre). Se le contrazioni si
diradano o non sono efficaci si può somministrare l’ossitocina.
Fase espulsiva
L’espulsione avviene attraverso il canale del parto. Può durare 1 ora o 2.
Spesso si può scegliere la posizione preferita. Viene data indicata a spingere
all’inizio di ogni contrazione.
E’ l’ostetrica che guida con armonia il processo.
Talora è necessario eseguire l’episiotomia (taglietto per allargare lo spazio e
accorciare i tempi).
Si verifica prima l’uscita della testa, poi delle spalle e quindi il resto del corpo.
Quindi il cordone ombelicale viene clampato con 2 pinze e tagliato (una parte
resta al neonato e una legata alla placenta). Il neonato viene asciugato e
valutato dal pediatra. Viene fatto il bagnetto, visitato, pesato e misurato.
L’ultima fase è caratterizzata dall’espulsione della placenta che avviene dopo
circa 15-20minuti. L’ostetrica controlla la placenta da tutti i lati.
124
Alla nascita il bambino viene subito valutato a 1 minuto, 5 e 10 minuti. Si
utilizza uno schema di valutazione (indice di Apgar) che prende in
considerazione il battito cardiaco, la respirazione, il tono muscolare, i riflessi e
il colore della pelle.
Un buon punteggio è indice di buon stato di salute del bambino.
Il puerperio
Dopo il parto la donna resta in osservazione per 2 ore (prima del rientro in
camera) per controllare la comparsa di emorragie.
Il neonato può essere al nido o può esserci il rooming-in (neonato in camera
con la mamma)
Bisogna controllare la pressione arteriosa, la frequenza cardiaca e la
temperatura corporea (a livello inguinale).
Va controllato che la donna riprenda la minzione spontanea.
Inoltre si controllano le condizioni dell’utero, le lochiazioni e la ferita
(episiotomia o laparotomia).
Vengono eseguiti degli esami del sangue.
Le dimissioni di mamma e neonato coincidono. Il controllo della donna deve
avvenire a 40 giorni dal parto.
125
Per puerperio si intende il periodo compreso tra parto e ripresa dell’attività
ovarica (circa 8 settimane).
Dopo il secondamento l’utero si riduce progressivamente di volume. Sono
presenti delle perdite (lochiazioni) per circa 6 settimane. Cambieranno di
colore nel corso del tempo trasformandosi da ematiche a sierose.
Sono presenti dei dolori uterini che si scatenano specie quando si allatta al
seno (morsi uterini).
La prima mestruazione compare dopo circa 40 giorni se non si allatta al seno,
alla fine dell’allattamento o anche dopo se si allatta.
Problemi del puerperio:
• Stanchezza
• Baby blues (forma di depressione post-partum)
• Problemi urinari
Attività socio-assistenziale nell’infanzia.
L’OSS interviene con l’équipe (infermiere professionale, puericultrici,
medico..) nell’assistenza all’infanzia.
Questo perché ogni ricovero è fonte di trauma per il bambino. I familiari
vanno sostenuti, perché le malattie provocano ansia, depressione, senso di
fragilità e impotenza, rabbia. L’OSS e tutta l’équipe devono porsi dentro la
relazione di intervento e cura, valutando anche le emozioni derivanti da
questa esperienza.
Per neonato s’intende un bambino dal momento della nascita fino a 4
settimane di vita.
Una cura particolare va fatta al neonato pretermine (nato prima di 37
settimane) o con peso inferiori a 2,5 Kg.
Il prematuro non ha completato il suo sviluppo, può presentare problemi di:
Di termoregolazione
Di respirazione
Di alimentazione.
L’OSS in pediatria svolge attività di assistenza diretta, interventi
igienicosanitari
e collabora con l’equipe per fornire supporto organizzativo e
formativo.
Durante il ricovero nel reparto d pediatria l’OSS collabora per la raccolta dei
dati, per la codificazione e l’identificazione del problema, per la pianificazione
dell’assistenza. Poi attua secondo le proprie competenze l’intervento
programmato.
126
La fascia di età pediatrica è una fascia di età particolare. Bisogna acquistare
fiducia del bambino e dei genitori.
I bambini piccoli vanno ricoverati in letti dotati di sponde per evitare il rischio
di cadute accidentali.
Nel rifacimento del letto, la sponda opposta deve essere mantenuta alzata.
La terapia non deve essere mai lasciata incustodita sul comodino.
Al momento del ricovero il piccolo sarà vestito col pigiama o indumenti forniti
dall’ospedale.
Se neonato o lattante avrà un braccialetto identificativo.
Tecniche di igiene nel neonato
• Lavarsi con cura le mani
• Il primo bagnetto con immersione va eseguito dopo la caduta del
cordone ombelicale e deve durare circa 5 minuti, preferibilmente la sera
• Uso di: Detergenti neutri, batuffoli di cotone, teli caldi e morbidi ed
eventuali creme e lozioni (nel primo mese di vita può bastare anche
solo l’acqua)
• Il braccio dell’operatore sostiene il capo, mentre la mano arriva fin sotto
l’ascella e il braccio del bambino deve essere tenuto saldamente tra
pollice e indice
• L’altra mano insapona e lava
• Il bambino non va mai lasciato da solo per evitare annegamenti
• Pulizia esterna di naso e orecchie (no bastoncini)
• Pulizia regione ano-genitale dall’orifizio uretrale a quello anale
Controllo temperatura corporea
Nei lattanti viene eseguita la misurazione rettale, bisogna ricordare che quella
rettale è di 0,5°C superiore all’effettiva TC. Nei bambini più grandi la
misurazione può essere effettuata in sede ascellare o inguinale.
Il termometro va sempre tenuto in soluzione disinfettante.
Rilievo di polso e respiro
La frequenza cardiaca
Nei bambini in età scolare si rileva il polso radiale.
Nei lattanti va posta una mano sul torace e si conta 1 minuto.
Va ricordato che il neonato ha frequenza media di 120 bpm, il lattante di 90-
100 bpm, in età scolare di circa 80 bpm.
Gli atti respiratori
Si rilevano guardando il torace.
L’alimentazione
127
I piccoli durante il ricovero spesso diventano inappetenti. E’ importante
garantire un adeguato introito di liquidi per scongiurare la disidratazione. Poi
eventualmente possono essere dati: latte, minestrina, biscotti, omogeneizzati.
Allattamento al seno
Nei neonati e nei lattanti Il latte materno è l’alimento naturale e specifico.
Solo se la mamma non è in condizione di allattare si ricorre all’allattamento
artificiale.
L’operatore: controlla che vengano somministrate le poppate, può effettuare
la doppia pesata (prima e dopo la poppata per valutare la quantità di latte
assunta dal neonato.)
Per l’allattamento al seno si intende un allattamento “a domanda” del
neonato. Il neonato presto trova un’autoregolazione e si raggiungono le 5-6
poppate nelle 24 ore.
E’ importante che la mamma conosca bene come attaccare il bambino al
seno per evitare la comparsa di ragadi. La posizione della mamma può
essere seduta o semiseduta.
La durata della poppata deve essere massimo di 20 minuti (10-15 minuti per
mammella). Ad ogni poppata devono essere offerte entrambe le mammella
partendo dalla mammella che ha dato il latte per ultima.
Per l’allattamento al seno, il bambino va allattato “a richiesta”, senza seguire
orari rigidi.
Bisogna controllare la posizione e l’attacco al seno del bambino, evitando di
staccarlo prima che abbia finito. Non vanno dati al bambino altri liquidi diversi
dal latte materno prima della prima poppata. In particolare va evitato il latte o
altri cibi artificiali, acqua, zucchero o acqua zuccherata tra una poppata e
l’altra
Dovrebbe essere evitato l’uso di tettarelle artificiali, biberon e ciucci almeno
nei primi 15 giorni di vita del neonato per aiutarlo ad imparare ad attaccarsi
bene al seno e ad imparare a procurarsi da solo il latte.
Soprattutto nei primi mesi di vita non lavare il seno dopo ogni poppata ed
evitare l’uso di creme o unguenti durante l’allattamento; la normale igiene
della mamma è sufficiente e il seno è provvisto di ghiandole che provvedono
ad una naturale disinfezione dell’areola.
Esistono dei vantaggi per la madre che allatta al seno:
• quanto più comincia precocemente, accelera la ripresa dal parto e
l’involuzione dell’utero e riduce il rischio di emorragia e di mortalità
riduce la perdita di sangue, contribuendo così a mantenere il bilancio
del ferro
• prolunga il periodo di infertilità post parto
• favorisce la perdita di peso e il recupero del peso forma
• riduce il rischio di cancro della mammella prima della menopausa.
128
• Alcuni studi, inoltre, hanno ipotizzato che il latte
materno possa contribuire anche a ridurre il rischio di cancro dell’ovaio
e di osteoporosi.
Le varie posizioni per l’allattamento al seno
L’igiene del seno
Il seno deve essere lavato con acqua. Per prevenire le ragadi può essere
utile bagnare il capezzolo con una piccola quantità di latte e farlo asciugare.
Va seguita una dieta equilibrata. La mamma può mangiare tutto quello che ha
sempre mangiato. Se allatta al seno deve garantire adeguato introito di
proteine e calcio.
Allattamento artificiale
Qualora la mamma non fosse in grado di allattare al seno, allora è utile
l’allattamento artificiale con latti da costitutire o precostituiti.
I latti in polvere vanno ricostituiti con l’aggiunta di acqua. Si aggiunge
all’acqua bollita per 5 minuti la quantità in misurini in polvere necessaria alla
ricostituzione.
I latti liquidi vanno consumati al massimo 48 ore dopo l’apertura. Si scalda il
latte fino a 37°C a bagnomaria.
L’allattamento artificiale si fa ad orari precisi e non a richiesta.
Divezzamento o svezzamento
129
S’intende il passaggio da un’alimentazione esclusivamente lattea ad
un’alimentazione varia.
Si inizia tra il 4° e il 6° mese di vita del bambino perché bisogna attendere la
maturazione dell’apparato gastro-enterico.
Gli alimenti usati sono farine di cereali, ortaggi, legumi, formaggi, latticini,
carne, pesce, uova, oli e grassi.
Si fa un’introduzione lenta e graduale di tutti gli alimenti seguendo le
indicazioni specifiche indicate dal pediatra.
Patologie comuni in neonatologia
L’Ittero neonatale è una condizione caratterizzata da una colorazione gialla
della cute dovuta alla presenza di bilirubina in dosi elevate.
L’ittero fisiologico del nato a termine di solito si manifesta tra terza e quarta
giornata di vita.
La bilirubina deriva dalla degradazione dell’emoglobina.
L’ittero patologico compare nelle prime 24-36 h di vita e dura più a lungo ed è
più intenso.
Il trattamento terapeutico è la fototerapia.
L’OSS osserva insieme all’IP la comparsa dell’ittero e o segnala.
Altre malattie sono: la malattia emolitica del neonato, la malattia delle
membrane ialine, la sindrome da aspirazione del meconio, le infezioni
neonatali.
130
Assistenza all’anziano
Per anziano s’intende un soggetto di età superiore a 65 anni di età.
Oggi si parla di 3 fasce di età:
a. 65-75 anni
b. 75-85 anni
c. >85 anni
d. ma anche >90 anni (old old age).
L’invecchiamento della popolazione generale sta caratterizzando i paesi del
mondo occidentale.
Questo sta provocando una trasformazione della loro struttura demografica
con alterazioni delle dinamiche culturali, alterazioni delle dinamiche sociali,
alterazioni delle dinamiche economiche e alterazioni delle dinamiche
politiche.
L’Italia insieme al Giappone rappresentano i Paesi più vecchi del mondo.
La spettanza di vita oggi è di 86 anni per le donne e 84 anni per gli uomini.
Ciò ha portato alla necessità di creare delle scienze specifiche per l’età
avanzata:
• Gerontologia: scienza che studia l’invecchiamento e la vecchiaia
• Geriatria: scienza che studia le malattie della vecchiaia
• Geragogia: educazione all’invecchiamento, attraverso un’educazione
che riguarda la persona nella sua interezza, favorendo l’adattamento ai
cambiamenti cercando di mantenere il più a lungo possibile l’autonomia
e l’autosufficienza.
L’anziano subisce una serie di modifiche fisiologiche legate proprio
all’avanzare dell’età:
• Modificazioni a livello di tessuti con alterazioni della morfologia e della
funzionalità degli organi, sistemi ed apparati
• Maggiore vulnerabilità ad eventi “stressanti”
• Riduzione massa corporea magra associata a riduzione dell’acqua
corporea e aumento tessuto adiposi
• Riduzione della statura
• Modificazioni cutanee e degli annessi (cute secca, unghie secche e
fragili, capelli grigi, calvizie, ridotta sudorazione, aumento soglia del
dolore….)
• Osteopenia e osteoporosi
• Modificazioni apparato cardiovascolare: ipertrofia ventricolare sinistra,
irrigidimento arterie, dilatazione atriale, alterazione della conduzione
cardiaca
• Apparato respiratorio: alterazione della funzionalità respiratoria
• Riduzione della funzionalità renale
In sostanza vengono coinvolti tutti gli organi e gli apparati.
131
Inoltre l’età avanzata può essere caratterizzata da una serie di patologie
invalidanti:
• Osteoartrosi
• Osteoporosi e fratture
• Ictus cerebrale
• Parkinson e parkinsonismi
• Demenza (principalmente M. di Alzheimer)
• Depressione
• Scompenso cardiaco
• Broncopneumopatia cronica ostruttiva
• Ipovedenza
• Sordità
• Incontinenza urinaria
• Incontinenza fecale
• Fragilità
Inoltre le malattie nell’anziano si manifestano in maniera diversa da quella
dell’adulto. I sintomi possono apparire sfumati, il dolore può non essere
presente. Spesso in corso di infezioni non si ha febbre, sintomi di malattie
comuni possono essere per esempio disorientamento, confusione o stati
agitazione.
Valutazione multidimensionale geriatrica
La valutazione multidimensionale geriatrica rappresenta un sistema di
valutazione della persona anziana che valuta diversi aspetti determinando
una presa in carico dell’anziano a 360°. Si va a valutare lo stato cognitivo ed
affettivo, lo stato funzionale, lo stato socio-economico e le condizioni
ambientali.
L’esigenza di creare delle équipe multidisciplinari nasce proprio dal concetto
odierno di salute che viene intesa come un benessere bio-psico-sociale.
La medicina geriatrica effettua una presa in carico globale del paziente
anziano, che è un portatore di più patologie croniche in contemporanea.
L’èquipe multidisciplinare è costituita da:
• Medico di medicina generale
• Geriatra
• Infermiere
• Assistente sociale
• Fisioterapista
• E altri specialisti se necessario (psichiatra…)
Gli strumenti della VMD sono molteplici. Intanto dei test di valenza
internazionali e confrontabili che vanno a valutare in maniera specifica diversi
aspetti dell’anziano:
• MMSE (funzioni cognitive)
132
• GDS (scala di depressione)
• MNA (assetto nutrizionale)
• ADL-IADL (indipendenza nelle attività della vita)
• EXTON-SMITH o NORTON PLUS (rischio di piaghe da decubito
• TINETTI (rischio di cadute)
Inoltre l’assistente sociale creare una SCHEDA SOCIALE e il medico una
SCHEDA CLINICA. E’ fondamentale il rapporto con i medici di medicina
generale perché sono quelli che conoscono realmente il paziente e ne hanno
la presa in carico. Inoltre è necessario conoscere bene la rete familiare del
paziente e l’identificazione eventuale di un care-giver e le condizioni
ambientali in cui vive.
Il care-giver è la persona che nell’ambito della famiglia si assume in modo
principale il compito di cura e assistenza. Dedica moltissimo tempo
all’assistenza, tanto che spesso deve dover rinunciare all’attività lavorativa.
Il problema è che la presa in carico globale è un’enorme fonte di stress che
può sfociare nel burn-out (non riesce più a gestire l’enorme richiesta
dell’assistito, si sente inadeguato, impotente).
La VMD deve garantire un’analisi globale della condizione della persona con
riferimento alle condizioni organiche funzionali, cognitive, sociali e di contesto
ambientale e relazionale.
Deve poi attuare un PIANO di ASSISTENZA INDIVIDUALIZZATO che
comprenda il percorso di cura e di assistenza continuativa dell’anziano,
valutando tutti i suoi bisogni.
Il tutto per garantire la PRESA IN CARICO del soggetto.
Quali Possibilità?
1. Assistenza Domiciliare Integrata
2. CENTRI DIURNI (nella nostra provincia non esistono ancora)
3. CENTRI PER M.di ALZHEIMER
4. COMUNITA’ ALLOGGIO-CASA FAMIGLIA
5. CASA DI RIPOSO
6. R.S.A. per anziani
L’OSS nell’assistenza all’anziano si inserisce in un contesto con delle regole
in un equilibrio precario a causa dei cambiamenti imposti dalla malattia.
Deve osservare e ascoltare, raccogliere le informazioni necessarie ad
identificare le modalità di intervento più idonee ed efficaci. Deve individuare i
bisogni reali ed essere di sostegno al caregiver.
Può fornire informazioni ai familiari per riorganizzare meglio l’ambiente e
renderlo idoneo al paziente e alle sue esigenze (mobilizzazione, igiene,
barriere architettoniche…). Può identificare l’insorgenza di problemi sanitari e
avvisare i sanitari. Può aiutare nella gestione dei disturbi comportamentali.
133
Oggi si parla molto di anziano fragile.
E’ un soggetto di età avanzata o molto avanzata, affetto da più patologie
croniche, clinicamente instabile, frequentemente disabile, nel quale sono
spesso coesistenti problematiche di tipo socio-economico (quali solitudine e
povertà).
E’ un paziente che si lascia caratterizzare per l’incapacità di reagire
efficacemente ad eventi che turano il suo equilibrio precario.
Es: alta temperatura ambientale
riacutizzazione di malattia
malattia acuta di lieve entità
intervento terapeutico inappropriato.
Eventi comuni e di facile risoluzione per altri soggetti rappresentano l’inizio di
una cascata che può portare l’anziano a una sindrome geriatrica o addirittura
all’exitus.
Per sindrome geriatrica s’intende una condizione patologica osservabile in
soggetti anziani, soprattutto negli anziani fragili, che si presenta in maniera
ricorrente ed è associata a un declino funzionale ed è dovuta a diversi fattori
eziologici.
Comuni sindromi geriatriche sono:
• Immobilizzazione
• Instabilità posturale
• Incontinenza
• Declino cognitivo, delirium (stato confusionale acuto)
• Deficit visivo e uditivo
• Depressione
• Malnutrizione
• Insonnia
• Impotenza.
Sindrome da immobilizzazione
L’immobilità si verifica quando l’anziano presenta difficoltà od impossibilità a
svolgere quelle attività che richiedono la capacità di spostarsi nell’ambiente
(alzarsi dal letto, camminare autonomamente, salire e scendere le scale).
Tutte quelle condizioni che gli impediscono di vivere una vita autonoma.
E’ caratterizzata da un complesso di alterazioni sistemiche indotte
dall’allettamento prolungato.
Cause di inizio dell’immobilità:
• Malattie muscolo-scheletriche (artrosi, osteoporosi..)
• Malattie cardiache (scompenso cardiaco, IMA..)
• Malattie polmonari (BPCO..)
• Malattie neurologiche (demenza, ictus..)
• Altro (ipotensione ortostatica, ipovisus, alterazioni equilibrio).
134
Si può realizzare facilmente e in tempi rapidi. Le conseguenze si verificano
a livello di molti organi e apparati
1. apparato cardiocircolatorio: scompenso cardiaco, rischio edema
polmonare, rischio alterata regolazione della pressione arteriosa.
Rischio di andare incontro a trombosi venosa profonda. Presenza di
alterazioni della circolazione arteriosa
2. Apparato muscolare e scheletrico: atrofia, ipotonia e riduzione del
movimento articolare fino all’anchilosi
3. Apparato gastroenterico: anoressia, stipsi, incontinenza fecale
4. Apparato urinario: Incontinenza e ritenzione urinaria
5. cute e annessi: piaghe da decubito
Deterioramento mentale
E’ una condizione clinica caratterizzata da una riduzione apprezzabile
delle funzioni cognitive riferita dallo stesso soggetto o dai familiari.
Va da un livello minimo fino alle forme di demenza.
Per demenza s’intende una sindrome caratterizzata dallo sviluppo di
deficit cognitivi multipli, che includono il deterioramento mnesico e almeno
uno dei seguenti disturbi: afasia, Aprassia, Agnosia, Disturbo delle funzioni
esecutive.
Il disturbo deve essere severe da interferire con le attività sociali ed
occupazionali e deve esprimere un declino rispetto al precedente livello
funzionale.
Classificazione
Primarie
A. Corticali (demenza di Alzheimer, demenza fronto-temporale)
B. Sottocorticali ( demenza a corpi di Lewy, Parkinson-demenza, Paralisi
sopranucleare progressiva, Degenerazione cortico-basale, Corea di
Hungtington)
Secondarie
Vascolare
Da mal funzionamento tiroideo
Da malattie infettive del SNC
Stati carenziali (vitamina B12, folati, malnutrizione…)
Tumori
Traumi, insufficienza cardiaca e respiratoria.
La demenza è una malattia gravemente invalidante e in aumento nella
popolazione.
L’esordio è spesso sfumato e si fa diagnosi spesso tardivamente.
Il carico assistenziale è notevole.
135
Malattia di Alzheimer
E’ la più frequente forma di demenza dell’anziano ed è una delle malattie più
disabilitanti in età geriatrica.
E’ caratterizzata da un deterioramento progressivo ed ingravescente delle
capacità cognitive e dalla comparsa di disturbi comportamentali.
Il sintomo d’esordio tipico è la perdita di memoria.
A volte può manifestarsi con anomie, afasia fluente con disorientamento
spaziale, cambi di personalità, depressione.
Si riconoscono più o meno 3 stadi:
1. Stadio precoce: perdita di memoria dei fatti recenti, difficoltà a trovare
la parola giusta nel discorso e formulare pensieri.
2. Stadio moderato e severo: disorientamento spazio-temporale, non
ricorda nuove informazioni, necessita di assistenza nelle ADL.
Frequenti disturbi del comportamento (agitazione, aggressività, ostilità,
disinibizione), deliri paranoidi, oppure apatia, disinteresse per tutto
3. Fase terminale: paziente allettato in posizione fetale, incontinente e
dipendente. Arriva all’exitus per complicanze infettive o cachessia.
Delirium o stato confusionale acuto
E’ una condizione frequente negli anziani. Inizia all’improvviso (maniera
acuta) e l’andamento può essere fluttuante nel corso della giornata. Più
frequente di notte.
I segni più tipici sono: alterazioni della memoria, disorientamento
spaziotemporale,
alterazioni linguaggio, allucinazioni, interpretazioni errate di ciò
che succede intorno.
A volte si manifesta con ansia, irritabilità e aggressività, a volte con letargia.
Le cause sono molteplici, spesso è la manifestazione di una malattia in corso,
talvolta invece di eventi stressanti:
• Ritenzione d’urina, infezioni (polmonari e vie urinarie)
• Infarto miocardico
• Embolia polmonare
• Scompenso cardiaco
• Aritmie
• Alterazioni glicemiche
• Disidratazione
• Tumori
• Eventi stressanti: cambio di domicilio, ricovero in un ambiente nuovo.
Morbo di Parkinson
Malattia caratterizzata da 3 aspetti principali:
1. Tremore a riposo che scompare durante i movimenti
2. Bradicinesia ossia lentezza dei movimenti, il sintomo più invalidante
136
3. Rigidità muscolare che può interessare un arto, un emisoma o tutti e 4
gli arti. Hanno un’aumentata resistenza alla mobilizzazione passiva.
Presenza del movimento a “ruota dentata”.
Il rallentamento dei movimento è il sintomo che crea più problemi. Il paziente
fatica a iniziare un movimento. A volte si blocca durante l’esecuzione e non
riesce a ripartire
Col passare del tempo si riduce anche la mimica facciale, cambia il timbro
della voce. Si associano disturbi quali scialorrea, stipsi…
E’ determinato da un’alterazione della dopamina.
Il farmaco più efficace si chiama levodopa, ma dopo anni di trattamento
provoca dei problemi (fenomeni on-off).
Malattie cerebrovascolari
L’ictus rappresenta la terza causa di morte.
L’ictus è ischemico nel 75% dei casi, ed emorragico nel 15%.
L’ictus ischemico è caratterizzato da un infarto cerebrale con danni a diversi
livelli. Tipica è la comparsa dell’emisindrome, ossia dell’immobilità di metà
corpo.
Un ictus ischemico si presenta se c’è una notevole riduzione di sangue in
una zona del cervello.
Le manifestazioni di comparsa possono essere diverse: difficoltà a parlare,
alterazioni della vista, vertigini, alterazioni della deambulazione, alterazioni
dell’espressione della faccia, perdita di memoria.
L’ictus emorragico è caratterizzato dalla presenza di un’emorragia cerebrale
la cui causa principale è l’ipertensione arteriosa (oppure di rottura di
malformazioni vascolari esistenti per es. di aneurismi).
Un’emorragia cerebrale ha di solito un esordio brusco con presenza di vomito
a getto, cefalea, sonnolenza, disturbi motori.
Se si supera la fase acuta dell’ictus, è fondamentale la riabilitazione per i
deficit motori residui, per la deglutizione, per il linguaggio.
Per TIA s’intende un attacco ischemico transitorio, ossia una riduzione di
irrorazione del cervello, ma di breve durata e che va incontro a risoluzione. I
sintomi sono simili a quelli dell’ictus, ma si risolvono dopo poco tempo.
L’OSS ha spesso un ruolo preponderante nel’assistenza all’anziano. Deve
avere un approccio relazionale corretto.
Tutti gli studi e tutti i metodi usati si basano su UN APPROCCIO GENTILE.
137
Bisogna parlare guardando negli occhi il paziente senza urlare (tranne per
motivi di sordità), soprattutto nei soggetti dementi che interpreterebbero una
forma di aggressività nei loro confronti e quindi si agiterebbero ulteriormente.
L’anziano va sempre accompagnarlo nei movimenti senza strattonarlo. Il
nostro passo deve seguire il suo passo e non viceversa.
L’assistenza all’anziano prevede l’assistenza diretta domestico-alberghiera, di
igiene personale, mobilizzazione, animativa mettendo in atto tutte le
conoscenze che un OSS ha a disposizione.
138
Assistenza al paziente terminale
Il paziente si può definire terminale quando in lui, nei suoi familiari e nei
curanti comincia a farsi strada l’idea della morte quale diretta conseguenza
della malattia. In cui ogni tipo di trattamento non è più in grado di evitare
l’exitus.
“…coloro che non possiamo più guarire, si possono ancora aiutare,
accompagnare e far sì che giungano in fondo alla strada senza essere
schiacciati dalle loro sofferenze e senza nulla perdere della loro dignità”
(Amile JL 1981)
Esistono numerosi criteri per definire un paziente come terminale:
• Criteri nosologici: malattia cronica in fase attiva, progressiva ed
irreversibile
• Criteri prognostici: Prognosi infausta quoad vitam; aspettativa di vita
inferiore a 90 giorni
• Criteri sintomatologici: Presenza di sintomi destabilizzanti (somatici,
psicologici,spirituali)
• Criteri terapeutici e bioetici: inesistenza o inappropriatezza di terapie
specifiche finalizzate alla guarigione o ad un prolungamento
significativo della vita.
Sintomi dell’ultimo anno di vita:
• Astenia
• Dolore
• Anoressia e iporessia
• Nausea, vomito
• Insonnia
• Dispnea
• Stipsi
• Depressione
• Confusione mentale
• Piaghe da decubito.
Gli ultimi giorni di vita sono invece caratterizzati da:
• Allettamento prolungato o totale
• Astenia profonda
• Episodi di disorientamento temporo-spaziale o allucinazioni
• Sonnolenza prolungata
• Evidente rifiuto di cibo e liquidi
• Difficoltà ad assumere la terapia per os.
139
I rischi nei confronti di una malato terminale possono essere molteplici: da un
lato l’accanimento terapeutico o diagnostico, dall’altro l’abbreviazione della
vita e l’abbandono terapeutico.
E’ una fase della vita in cui ancora c’è da fare…anche se da molti viene detto
“non c’è più nulla da fare”!
C’è una persona sofferente affetta da un male incurabile che merita di essere
accolto, ascoltato, capito a aiutato nel percorso verso la fine della vita.
Un malato terminale ha bisogno di un’assistenza personalizzata e orientata a
migliorare la qualità della vita residua. Necessita di un adeguato controllo del
dolore e degli altri sintomi. Bisogna evitare un inappropriato prolungamento
del morire e mantenere il controllo della situazione per mantenere
l’autonomia decisionale.
L'impegno dell'operatore, nell'assistenza al morente, è rivolto su più fronti in
quanto sono molteplici i bisogni e i problemi che il malato manifesta, in
particolare:
-il dolore;
-la stipsi;
-i problemi del cavo orale;
-i problemi psicologici.
Deve controllare assiduamente il sensorio del malato: uno degli obiettivi della
terapia antalgica è evitare il più possibile l'eccessivo intontimento o
assopimento del paziente, aspetto che incide negativamente sulla qualità di
vita.
Deve operare sullo stato emotivo e sul tono dell'umore del soggetto: un buon
programma di controllo del dolore deve tener conto anche di metodi non
farmacologici. Il dolore deriva dalla somma di due componenti, una
neurologica e una affettiva. Questa seconda componente è modificata
curando aspetti come il comfort ambientale, il riposo,l'ansia dell'abbandono.
L’empatia, cioè la capacità di identificarsi con un'altra persona in una
determinata situazione, la comprensione, il miglioramento del tono
dell'umore, sono complementi essenziali degli analgesici.
L'operatore deve prestare la massima attenzione al malato ed essere pronto
a cogliere ogni segno che possa far pensare ad uno stato di sofferenza
permettendo così un tempestivo intervento da parte del personale sanitario
(l'analgesia deve essere continua; il dolore va prevenuto, e non trattato "al
bisogno", con i farmaci necessari a dosaggi adeguati).
Deve monitorare l'alvo del malato per il trattamento della stipsi. Su apposita
modulistica a schede (ne esistono di vario genere) dove l'operatore riporta il
numero o l'entità delle evacuazioni del paziente nel corso della giornata.
140
Deve favorire l’evacuazione del malato rispondendo in modo tempestivo alle
sue richieste di essere messo in condizione di scaricarsi rispettando sempre
la privacy del malato: un paziente in stanza con altre persone costretto a
scaricarsi a letto può manifestare un rifiuto psicologico ad espletare i suoi
bisogni.
L'operatore allora deve mettere in atto gli accorgimenti necessari per ovviare
a questo problema come posizionare paraventi di protezione o far uscire le
altre persone dalla stanza quando queste sono in grado di farlo.
Si deve occupare de problemi del cavo orale.
Deve curare l'igiene del cavo orale nei pazienti a rischio:
- spazzolare i denti, quando possibile, 2-3 volte al giorno;
- eseguire la disinfezione della protesi durante la notte (esistono in
commercio prodotti specifici).
Deve mantenere la bocca umida:
- idratando il paziente con frequenti sorsi d'acqua fresca,
- conservando morbide le labbra con pomate a base di vaselina o burro di
cacao.
Deve mantenere la bocca pulita:
- la rimozione delle placche si esegue con garze o spazzolini molto morbidi
facendo molta attenzione a non danneggiare le mucose.
Deve segnalare al personale sanitario la presenza di ulcere(es. herpes), di
lesioni a carico della mucosa (es. candidosi o di dolore al cavo orale) per gli
eventuali trattamenti terapeutici del caso.
Il malato terminale manifesta in successione diversi stati emotivi ai quali
l'operatore deve rispondere in modo adeguato anche se il relazionare con
questo tipo di pazienti spesso risulta difficile.
Il dolore può essere un dolore totale: fisico, psichico, spirituale, sociale .
Bisogna imparare a stare col malato morente e sostenere l’angoscia che
deriva dalla consapevolezza di una morte imminente non è semplice. Non è
facile e semplice neanche trasmettere vicinanza, partecipazione e
accoglienza. E’ importante ascoltare il malato, conoscere la sua storia per
poter adeguare le proposte terapeutiche alla sua storia.
Le cure palliative sono cure destinate a migliorare la qualità della vita e non
sono orientate a controllare il processo evolutivo della malattia.
Affermano la vita e considerano il morire un evento naturale, non accelerano
né ritardano la morte. Provvedono al sollievo del dolore e degli altri disturbi
Aiutano i pazienti a vivere in maniera attiva fino alla fine e sostengono la
famiglia durante la malattia e il lutto.
141
La globalità dell’intervento terapeutico ha come obiettivo la qualità della vita
residua, ma anche di dare un sostegno psicologico, religioso, sociale e
relazionale.
Tende a valorizzare le risorse del malato nel pieno rispetto ed autonomia dei
valori e dell’autonomia della persona. Determina una continuità della cura fino
all’ultimo istante.
I luoghi della cura per i pazienti terminali sono:
• Hospice
• Strutture residenziali
• Ospedali
• Proprio domicilio.
142
Il diabete mellito
Il diabete è una malattia cronica caratterizzata dalla presenza di elevati livelli
di glucosio nel sangue (iperglicemia) e dovuta a un’alterata quantità o
funzione dell’insulina.
L’insulina è l’ormone, prodotto dal pancreas, che consente al glucosio
l’ingresso nelle cellule e il suo conseguente utilizzo come fonte energetica.
Quando questo meccanismo è alterato, il glucosio si accumula nel circolo
sanguigno.
E’ una malattia multisistemica, in quanto le sue complicanze colpiscono vari
apparati.
La diagnosi di diabete:
1) riscontro di almeno due valori di glicemia a digiuno _ 126 mg/dl;
2) riscontro di glicemia casuale _ 200 mg/dl in presenza di sintomi tipici del
diabete: poliuria, polidipsia, dimagrimento);
3) glicemia 2 ore dopo carico orale di glucosio ( OGTT ) _ 200 mg/dl.
Valori superiori di glicemia superiori a 110 mg/dl sono già indicativi di ridotta
tolleranza al glucosio, indicano il rischio di sviluppare il diabete a 5 anni.
Si distinguono due principali tipi di diabete:
• Diabete mellito tipo 1, di solito in giovane età.
Caratterizzato da mancanza di produzione dell’ormone regolatore del
glucosio (insulina) da parte del pancreas.
• Diabete mellito tipo 2, dell’età adulta.
L’insulina è normale o aumentata, ma sono le cellule che non rispondono
all’insulina.
Ma esistono anche il diabete gestazionale o forme di diabete secondario a
farmaci o malattie.
Complicanze acute del diabete sono:
• Coma cheto-acidosico caratterizzato da : nausea, vomito, dolori
addominali, sete intensa, poliuria, alterazione dello stato di coscienza al
coma. Necessita di una terapia d’urgenza.
• Coma iperosmolare che si manifesta con febbre, sudorazioni profuse,
disidratazione ed evoluzione verso il coma.
• Coma ipoglicemico caratterizzato da una forte riduzione della glicemia
(inferiore a 50 mg/dL),compaiono tremori, debolezza, sonnolenza,
sudorazione.
Le complicanze croniche sono dovute principalmente a problemi di micro e
macroangiopatia e di neuropatia, e sono:
• Neuropatia periferica
• Retinopatia
• Nefropatia
• Problemi ai piedi
143
• Problemi cardiovascolari (maggiore rischio di infarto del miocardio)
La terapia nel diabete tipo 1 è la terapia insulinica sostitutiva, 3 o 4 volte al
giorno. Ne esistono diverse forme: rapidissima, rapida (ai pasti), lenta
(glargine, detemir), intermedia. Nel diabete tipo 2 la dieta, gli ipoglicemizzanti
orali (ne esistono di diversi tipi) e talvolta la terapia insulinica.
Per ipoglicemia s’intendono valori di glicemia inferiori a 70 mg/dL,i sintomi di
solito si manifestano sotto i 50 mg/dL.
E’ importante per l’operatore riconoscere eventuali segni di ipoglicemia.
I sintomi più frequenti sono: ansia, palpitazioni, sudorazione, fame, cefalea,
incapacità di concentrarsi, confusioni, allucinazioni fino a convulsioni e coma.
Spesso si verifica perché il paziente ha saltato un pasto, ha fatto uno sforzo
eccessivo rispetto al solito, la terapia è eccessiva.
Il trattamento va distinto:
• Paziente cosciente: somministrare 2-3 cucchiaini di zucchero in
acqua o succo di frutta. Dopo circa 15 minuti dare pane o fette
biscottate o crackers o 1 frutto. Ricontrollare glicemia fino a valori
accettabili
• Paziente incosciente: Necessità di somministrazione di glucosio per
via endovenosa e monitoraggio frequente della glicemia.
144
AIDS
La sindrome da immunodeficienza acquisita è determinata dall’infezione da
virus HIV.
L’infezione da HIV colpisce persone di tutto il mondo (in particolare Africa
Sub-sahariana). Risulta una delle cause principali di morte di soggetti tra i 15
e i 59 anni.
Fattori di rischio:
1. Rapporti omosessuali tra uomini
2. Uso di droghe per via endovenosa
3. Rapporti eterosessuali
4. emofilia
5. Trasfusioni di sangue
6. Infezione perinatale
Oggi le infezioni perinatali molto ridotte per l’uso di farmaci in grado di evitare
il contagio del neonato.
L’infezione da HIV può comparire in soggetti di qualsiasi età sessualmente
attivi o in grado di scambiarsi degli aghi. L’uso della terapia anti-retrovirale
potente usata in maniera ampia dal 1996 ha permesso una riduzione della
mortalità e un miglioramento della qualità della vita.
Il virus HIV-1 è la causa principale, ma esistono anche soggetti infettati
dall’HIV-2 (raramente).
Sono dei retrovirus umani che provocano una progressiva distruzione dei
linfociti T CD4, con riduzione dell’immunità cellulo-mediata e della memoria
cellulare.
Questo determina la comparsa di infezioni.
L’infezione da HIV è caratterizzata dalla comparsa della sindrome retrovirale
acuta circa2-6 settimane dopo la trasmissione virale.
La sindrome retrovirale acuta è caratterizzata dalla comparsa di febbre,
astenia, faringite, perdita di peso, sudorazioni notturne, aumento dei linfonodi,
mialgie, cefalea, nausea e diarrea.
La durata è di circa 14 giorni (ma può arrivare a 3 mesi).
Nello stadio tardivo compaiono invece infezioni di varia natura, tumori,
deperimento e complicanze neurologiche.
Le modalità di trasmissione sono le seguenti:
• Rapporti sessuali
• Esposizione parenterale
• Trasmissione perinatale
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In sostanza per contatto tra mucose e/o sangue con liquidi biologici infetti
(specie sangue, ma anche sperma o secrezioni vaginali).
Non si trasmette con condivisione di stoviglie o oggetti da toilette, con
punture di zanzara o per via respiratoria
Si può trasmettere per trasfusioni nei Paesi dove non ci sono adeguati
controlli e per iniezione di droghe (per contaminazione EV, SC o IM).
La terapia antiretrovirale può avere delle complicanze:
• Soppressione del midollo osseo
• Polineuropatie
• Pancreatite
• Tossicità epatica e renale
• Malattie cardiovascolari.
I problemi più importanti dei malati di AIDS sono le infezioni opportunistiche
(polmonite, candidosi, TBC, CMV, Toxoplasmosi, infezioni da Herpesvirus,
encefalopatie, epatite C) e la comparsa di tumori anche rari.
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Accenni sulle principali patologie psichiatriche
La depressione
I criteri per fare diagnosi di depressione sono seguenti:
5 o più dei seguenti sintomi devono essere presenti durante lo stesso periodo
di due settimane e rappresentare un cambiamento rispetto alla situazione
precedente;
almeno uno dei sintomi deve essere l'umore depresso o la perdita di
interesse o di piacere.
Sintomi principali:
1. L’ Umore depresso deve essere presente per la maggior parte del giorno,
quasi ogni giorno, come indicato sia da un'osservazione soggettiva (sentirsi
tristi o vuoti), sia osservato da altri (apparire piangente) N.B.: In bambini o
adolescenti può essere osservata irritabilità.
2. La marcata perdita di interesse o di piacere in tutte o quasi tutte le
attività per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno.
3. Può essere associata una significativa perdita di peso (quando non a
dieta) o aumento di peso (per esempio un cambiamento di più del 5% di
peso corporeo in un mese), o diminuzione o aumento dell'appetito quasi ogni
giorno.
4. Insonnia o ipersonnia quasi ogni giorno.
5. Agitazione o rallentamento psicomotorio quasi ogni giorno (osservabile
da altri, non sensazioni meramente soggettive di di incapacità di rimanere
fermo o di essere rallentati).
6. Perdita di energia o stanchezza quasi ogni giorno.
7. Sentimenti di mancanza di valore o di colpa eccessiva o
inappropriata (che può essere delusionale) quasi ogni giorno (non
meramente auto-punitivi o sul fatto di essere malati).
8. Diminuita capacità di riflettere e concentrarsi, o indecisione, quasi ogni
giorno (sia sensazioni soggettive, sia osservabili da altri).
9. Pensieri ricorrenti di morte (non solo paura di morire), ricorrenti ideazioni
di suicidio senza un piano specifico o tentativi di suicidio o piani specifici di
suicidio.
I sintomi causano un disagio clinicamente significativo o senso di
inferiorità nella vita sociale, nel lavoro e in altre aree importanti.
I sintomi non devono essere dovuti a effetti psicologici di una
sostanza (ad esempio un medicamento, una droga) o a una condizione
patologica generale (per esempio ipertiroidismo).
I sintomi non sono considerati per un lutto, ad esempio la perdita di una
persona cara, i sintomi persistono per un periodo più lungo di due mesi o
147
sono caratterizzati da una marcata incapacità funzionale, preoccupazione
morbosa con senso di mancanza di valore, ideazione suicida, sintomi
psicotici o ritardi psicomotori.
I sintomi possono essere distinti in sintomi psichici, sintomi psicomotori e
psicosomatici.
• Psichici: tristezza, disperazione, indifferenza, non provare sensazioni,
vuoto interno, apatia, indecisione, inibizione, diminuita capacità
attentiva e mnemonica, pessimismo, idea di morte, idee di rovina,
autosvalutazione,
indegnità, senso di colpa.
• Psicomotori: rallentamento, ipomimia, irrequietezza.
• Psicosomatici:insonnia e ipersonnia, sento di tensione, diminuzione di
forze, vertigini, ipotensione, dispnea, stipsi, colite, perdita di appetito,
perdita di peso, senso di freddo, cardiopalmo, dolori diffusi.
La Depressione è una sindrome molto complessa e profonda; è un insieme
di sintomi che alterano in maniera consistente il modo in cui una persona
ragiona, pensa e raffigura sé stessa, gli altri e il mondo esterno:
• persistente stato di tristezza, ansia
• facilità al pianto o crisi di pianto
• agitazione o rallentamento psicomotorio
• diminuzione di energia, affaticamento, sentirsi “appesantiti”
• difficoltà di concentrazione ed attenzione
• insonnia o ipersonnia
• aumento dell'appetito e aumento considerevole del peso.
• assenza di appetito e perdita di peso
• perdita di interesse o di piacere nel sesso
• ritiro sociale
• atteggiamento pessimistico nei confronti del futuro
• lamentele riguardo agli eventi passati o rimpianti
• sentirsi senza speranza, che non c'è più nulla da fare
• sentirsi colpevoli, senza valore, inadeguati, impossibili da aiutare
• sentirsi incapaci di riposare
• irritabilità
• pensieri di morte o di suicidio
• Tentativi di suicidio
Può assumere la FORMA di un singolo episodio transitorio (episodio
depressivo) oppure di un disturbo (disturbo depressivo).
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L'episodio o il disturbo depressivo sono caratterizzati a loro volta da una
maggiore o minore GRAVITA'; si parlerà quindi di disturbo depressivo
maggiore, disturbi dell'umore depressivo quali:
• disturbo distimia (nevrosi depressiva)
• disturbo dell'adattamento con umore depresso
• depressione secondaria
• depressione reattiva
• depressione mascherata.
Le cause principali sono:
• fattori genetici (una certa predisposizione)
• fattori biochimici (nel sistema nervoso centrale vi è una diminuzione
della disponibilità di alcuni neurotrasmettitori che i farmaci cercano di
compensare)
• fattori psicologici (perdite precoci, un modo distorto di rapportarsi agli
eventi quotidiani, cioè una tendenza a percepirsi incapaci, a vedere il
futuro come inevitabilmente nero e vedere gli altri come più felici ed
incapaci di dare aiuto; reazioni prolungate a perdite o lutti attuali etc).
L’ansia
… un vivere male quello che è caratterizzato dall'attesa del peggio, dalla
paura, dall'aspettarsi le conseguenze peggiori di un atto.
Per disturbo d'ansia generalizzato s’intende un'ansia o preoccupazione
eccessiva riguardo a numerosi eventi o attività per la maggior parte del
tempo durante un periodo di almeno 6 mesi.
La preoccupazione è difficile da controllare ed è associata a sintomi
somatici quali tensione muscolare, irritabilità, difficoltà legate al sonno e
irrequietezza.
L'ansia non è provocata dall'uso di sostanze o da una condizione medica
generale e non si manifesta solo durante un episodio di disturbo dell'umore o
psichiatrico.
L'ansia è difficile da controllare ed è causa di disagio soggettivo e provoca
limitazioni in aree importanti dell'esistenza della persona.
Diagnosi:
Ansia e preoccupazione eccessive (attesa apprensiva) che si manifestano
per la maggior parte dei giorni, per almeno 6 mesi e riguardano numerosi
eventi o attività (come prestazioni lavorative o scolastiche).
La persona ha difficoltà nel controllare la preoccupazione.
L'ansia e la preoccupazione sono presenti per la maggior parte dei giorni
negli ultimi sei mesi (irrequietezza, o sentirsi con i nervi a fiordi pelle, facile
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affaticabilità, difficoltà a concentrarsi o vuoti di memoria, irritabilità, tensione
muscolare, alterazioni del sonno).
L'ansia si può manifestare con la tensione motoria, l'iperattività autonomica
(sintomi fisici) e alterazioni della vigilanza cognitiva. L'ansia è eccessiva e
interferisce con gli altri aspetti della vita del paziente. La tensione motoria si
manifesta più comunemente come tremore, agitazione e cefalea.
Sintomi somatici: Tachipnea, eccessiva sudorazione, palpitazioni e vari
sintomi gastrointestinali.
Gli attacchi di panico
L’attacco di panico fa parte dei disturbi d’ansia ed è la sensazione,
improvvisa e senza cause apparenti, di paura e di allarme.
E’ un'esperienza sconvolgente, terribile, devastante. Alcuni riferiscono la
paura di morire, la paura di impazzire o di perdere il controllo di emozioni e
comportamenti.
Può presentarsi con una forte difficoltà respiratoria che porta ad un vero e
proprio senso di soffocamento oppure con un senso di pressione a livello
toracico, accompagnato da fitte e forti dolori al braccio che fanno subito
pensare all'infarto oppure con una sensazione di "anestesia" alle braccia o
alle gambe che fa pensare ad una paralisi.
Quello che si prova, è una vera e propria tempesta chimica, biologica,
neurovegetativa.
Esaurita la fase acuta si entra nella fase post-acuta dove ci si sente ancora
provati ed esausti e si avverte un forte bisogno di dormire, per recuperare le
forze e le energie perdute.
Ma al risveglio riaffiora la sensazione di angoscia e di precarietà nei confronti
della propria vita e del proprio futuro: compare la "paura di aver paura".
I primi attacchi di panico irrompono nella vita in maniera inaspettata.
Colpiscono la persona spesso in un momento di apparente tranquillità, senza
alcun tipo di circostanza che possa giustificarne l'insorgenza, è questo che
sconvolge ancora di più.
Col tempo tutto diventa fonte di preoccupazione e di forte pessimismo perché
in agguato c'è sempre il PANICO, pronto a colpire nelle situazioni più
disparate lasciando un profondo senso di insicurezza e di stupore.
L'attacco di panico può durare da 2 a 8 minuti, ma le sensazioni sono tanto
intense che si ha la certezza di aver vissuto un'angoscia lunghissima della
quale non si riesce a vedere la fine.
La precisa eziologia del disturbo da attacchi di panico è per la maggior parte
ancora sconosciuta.
Spesso i primi attacchi sono scatenati da una malattia fisica, uno stress
prolungato o da un eccessivo uso di sostanze.
Alcune persone che tendono a prendersi troppe responsabilità possono
sviluppare la tendenza a soffrire di Attacchi di panico. Altri attribuiscono il
150
disturbo alla scarsa autonomia dell'IO e quindi, in un certo senso, alla loro
debolezza.
Sintomi dell’attacco di panico:
• Difficoltà di respirazione – fame d'aria (dispnea)
• Aumento e irregolarità della frequenza cardiaca
• Sudorazione
• Dolore o malessere al petto
• Vertigini, sbandamenti, stordimento, o sensazione di non stare bene in
piedi
• Formicolio o intorpidimento alle mani, ai piedi, al viso o alla bocca
• Improvvise sensazioni di caldo o di freddo
• Tremori fini o grandi scosse
• Nausea o disturbi addominali
• Pianto
• Paura e sensazione di svenire
• Sensazione di asfissiare
• Sensazioni di sogno o distorsione percettiva (derealizzazione)
• Percezione che non si è connessi al corpo (dissociazione) o perfino che
si è disconnessi dal tempo e dallo spazio (depersonalizzazione)
• Sensazione che qualcosa di orribile sta per accadere e si è impotenti
per prevenirlo
• Paura di morire
• Sensazione di morte imminente
• Paura di impazzire, o di fare qualcosa di incontrollato durante l'attacco.
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Il disagio mentale
La salute mentale corrisponde alla condizione di benessere in cui ci si trova
quando si raggiunge un equilibrio personale soddisfacente.
Dipende da aspetti concreti e reali come le condizioni economiche, abitative,
scolastiche, lavorative; da aspetti relazionali (la famiglia); sociali (amicizie, il
gruppo dei simili, il tempo libero) e personali (serenità, equilibrio interiore,
accettazione di sé e delle sensazioni ed emozioni).
La salute mentale è una condizione soggettiva che cambia in conseguenza
delle vicissitudini della vita
Il disagio mentale è una condizioni in cui si avverte uno stato di sofferenza:
per paura, per perdita di fiducia in sé e negli altri, per incapacità di amare, per
incapacità di lavorare, per tristezza, per frustrazione, per aggressività, per
solitudine.
Quando il disagio perdura per molto tempo può sfociare anche in una vera e
propria malattia.
Prima i soggetti “psichiatrici”-“alienati” venivano “depositati all’interno dei
manicomi. Successivamente si è passati a considerare i manicomi come
luoghi di cura.
La LEGGE BASAGLIA (legge 180 del 1978) ha lavorato proprio sulla
relazione perché si basa sul presupposto che la malattia mentale sia il
prodotto di un’interazione di fattori, tra cui hanno un peso rilevante i fattori
relazionali, ambientali, culturali e sociali e l’inserimento nel sociale perché la
malattia si manifesta sempre come frattura col sociale.
La psicosi è una frattura con la realtà, e ne conseguono tante difficoltà
d’inserimento nel sociale, così che il paziente và sempre di più ad isolarsi.
Nel trattare la malattia mentale dunque è fondamentale recuperare
quest’aspetto, ragion per cui nell’ambito del trattamento non si possono
escludere delle attività rivolte al sociale.
Ha introdotto due principi fondamentali: la prevenzione e la riabilitazione.
Deve esserci una volontarietà del trattamento (la persona deve partecipare
alla cura). La cura dei malati deve essere fatta nel territori ( e solo in casi
estremi in un ospedale pubblico) e nessuno più ricoverato nei manicomi.
Il trattamento sanitario obbligatorio (TSO) va imposto se esistono condizioni
psichiche da richiedere urgenti interventi terapeutici e se tali interventi non
sono accettati dal soggetto.
Il TSO è un provvedimento emanato dal sindaco (perché autorità sanitaria
locale) su proposta di un medico e intervento di uno specialista di una
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struttura pubblica che dispone che una persona sia sottoposta a cure
psichiatriche contro la sua volontà.
Può essere richiesto da un medico del CSM, 118, guardia medica.
Il sindaco deve avere 2 certificazioni mediche: il primo da un medico (mdb,
qualunque medico) e il secondo da un medico di struttura pubblica.
Ricevuti i certificati il sindaco ha 48 ore di tempo di far un’ordinanza e far
accompagnare dai vigili urbani o con 118 il paziente nel reparto idoneo.
Il sindaco deve comunicare al giudice tutelare entro 48 ore. Il giudice tutelare
conferma o meno l’ordinanza che comunque vale per 7 giorni.
L’ordinanza può essere emanata se:
1. La persona si trova in uno stato di alterazione tale da richiedere urgenti
interventi terapeutici
2. Gli interventi proposti vengono rifiutati
3. Non è possibile adottare tempestive misure extraospedaliere.
La schizofrenia
E’ un disturbo mentale che spesso ha un esordio tra la fase finale
dell’adolescenza o nella prima età adulta. Interferisce con le capacità di un
individuo di pensare chiaramente, prendere decisioni e relazionarsi con gli
altri.
I sintomi sono spesso comuni agli altri disturbi mentali.
Si distinguono in:
• SINTOMI POSITIVI o psicotici: deliri e allucinazioni che si presentano
quando il paziente ha perso il contatto con la realtà.
(complotti contro di loro, minacce..)
• SINTOMI DISORGANIZZATI: pensiero e linguaggio confuso e
comportamenti senza senso. Non sono in grado di dire frasi coerenti, si
muovono lentamente, ripetono di continuo gli stessi gesti, camminano
in circolo. Non riescono a vivere la normale vita quotidiana
• SINTOMI NEGATIVI: piattezza emotiva, mancanza di espressione,
incapacità di iniziare e portare a termine le azioni, assenza di piacere di
vivere.
La terapia è principalmente di tipo farmacologico, anche se spesso viene
sospeso il trattamento dai pazienti o per gli effetti collaterali o perché convinti
che non funzionino più (antipsicotici).
Il problema quando smettono è che si verifica un episodio psicotico acuto.
Talora è necessario un ricovero ospedaliero per trattare gravi allucinazioni e
deliri, pensieri suicidi.
Disturbi di personalità
Sono espressioni estreme di caratteristiche che tutti possediamo.
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Disturbo di personalità paranoide: personalità paranoide che si caratterizza
per sospettosità, sfiducia e diffidenza nei confronti degli altri. Minaccia,
tradimento o inganno. Atteggiamento di ostilità, rancore.
Disturbo istrionico: comportamenti eccessivamente drammatici e teatrali per
attirare l’attenzione. Abiti eccentrici, colori dei capelli eccentrici, sessualmente
provocanti, seduttive.
Disturbo narcisistico: idea grandiosa di se stesso e delle proprie capacità.
Richiede attenzione su se stesso. Mancanza di empatia, invidia , arroganza
Disturbo schizoide di personalità: non desidera relazioni sociali. Appare
insensibile, calma ed estraniata, priva di manifestazioni di affetto o tenerezza.
Tipi solitari.
Disturbo schizotipico di personalità: difficoltà di relazioni interpersonali, ansia
sociale eccessiva. Credenze strane, pensiero magico, superstizioni, si
sentono chiaroveggenti.
Disturbo antisociale: prima dei 15 anni disturbo della condotta col protrarsi
anche nell’età adulta. Irresponsabilità, incapacità di mantenere una continuità
lavorativa, infrazione della legge, aggressività fisica. Assenza di emozioni.
Disturbo evitante: persone molto sensibili che si sentono male alla sola idea
di essere criticate o disappraovate, perciò rifiutano le relazioni sociali.
Disturbo Dipendente: mancanza di sicurezza e di fiducia in sé. Disagio,
lasciano agli altri la responsabilità di decidere per loro.
Disturbo ossessivo-compulsivo: perfezionismo e preoccupazione,
osservazione scrupolosa delle regole. Seri, rigidi, formali; relazioni personali
scadenti, privi di affetto.
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La disabilità
La disabilità è la condizione personale di chi, in seguito ad una o più
menomazioni, ha una ridotta capacità d'interazione con l'ambiente sociale
rispetto a ciò che è considerata la norma, pertanto è meno autonomo nello
svolgere le attività quotidiane e spesso in condizioni di svantaggio nel
partecipare alla vita sociale.
Per disabilità s’intende la perdita di funzioni psicologiche e/o fisiologiche
dovuta a fattori organici o “esterni”.
Il grado di disabilità o la sua velocità di progressione può andare aldilà del
normale processo di invecchiamento e può segnare un livello di
funzionamento inferiore a quello comunemente atteso per una determinata
età.
Una volta si distinguevano:
• Menomazione = “perdita o anormalità a carico di una struttura o di una
funzione psicologica, fisiologica o anatomica”
• Handicap = “condizione di svantaggio, conseguente a una
menomazione o a una disabilità, che in un certo soggetto limita o
impedisce l’adempimento del ruolo normale per tale soggetto in
relazione all’età, al sesso e ai fattori socioculturali”.
• Disabilità = “qualsiasi limitazione o perdita (conseguente a
menomazione) della capacità di compiere un’attività nel modo o
nell’ampiezza considerati normali per un essere umano”
Ne derivava che l’handicap era una condizione soggettiva, che dipendeva
dalle esigenze della persona disabile.
ll concetto di disabilità è cambiato e secondo la nuova classificazione
(approvata da quasi tutte le nazioni afferenti all'ONU) va a identificare le
difficoltà di funzionamento della persona sia a livello personale che nella
partecipazione sociale.
Si considerano: i fattori biomedici e patologici e l'interazione sociale.
Al posto di menomazione, disabilità ed handicap si sostituiscono i termini di
Strutture Corporee, Attività e Partecipazione.
Si considerano anche i fattori sociali, e non più solo quelli organici.
Funzioni corporee:
• Funzioni mentali
• Funzioni sensoriali e dolore
• Funzioni della voce e dell'eloquio
• Funzioni dei sistemi cardiovascolare, ematologico, immunologico,
respiratorio
• Funzioni dell'apparato digerente e dei sistemi metabolico ed endocrino
• Funzioni riproduttive e genitourinarie
• Funzioni neuro - muscolo - scheletriche correlate al movimento
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• Funzioni cutanee e delle strutture correlate
Sistemi corporei:
• Sistema nervoso
• Visione e udito
• Comunicazione verbale
• Sistemi cardiovascolare e immunologico, apparato respiratorio
• Apparato digerente e sistemi metabolico ed endocrino
• Sistemi genitourinario e riproduttivo
• Movimento
• Cute e strutture correlate
Fattori ambientali:
• Prodotti e tecnologia
• Ambiente naturale e cambiamenti effettuati dall'uomo
• Relazione e sostegno sociale
• Atteggiamenti
• Sistemi, servizi e politici
Attività e partecipazione:
• Apprendimento ed applicazione delle conoscenze
• Compiti e richieste generali
• Comunicazione
• Mobilità
• Cura della propria persona
• Vita domestica
• Interazione e relazioni personali
• Aree di vita principali
• Vita sociale, civile e di comunità
•
I sentimenti personali degli operatori verso la disabilità e i pazienti disabili
possono non solo interferire con il rapporto assistenziale, ma farlo deragliare
completamente. Alcuni dei problemi più comuni sono conseguenza delle
nostre aspettative, della negazione del problema, delle paure della disabilità e
di sentimenti irrisolti. È perfettamente normale per gli operatori nutrire
un’ampia gamma di sentimenti personali per gli utenti. È solo quando li
ignoriamo o li rifiutiamo che questi sentimenti hanno la possibilità di sfuggire
al nostro controllo. Uno dei maggiori impegni per un operatore è scoprire e
capire i propri sentimenti legati agli aspetti personali e professionali.
L’OSS ha un ruolo importante nell’assistenza al disabile che può avere
qualsiasi età (dall’infanzia alla vecchiaia).
Svolge attività di assistenza diretta, deve tendere al mantenimento delle
abilità residue. E’ coinvolto nella progettazione di piani di assistenza
individualizzati. Deve promuovere l’uso di ausili idonei. E’ coinvolto nella
relazione col disabile e i familiari.
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Bibliografia
• L’operatore socio-sanitario: manuale per la formazione (Mc Graw Hill)
• Nursing clinico (Edises)
• Manuale per la formazione dell’operatore socio-sanitario per la
formazione di base e complementare (Piccin)