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IGIENE SANITARIA

PROF. SQUERI

INTRODUZIONE
L’igiene è una branca delle scienze mediche che ha per oggetto lo studio dello stato di
salute e di malattie delle popolazioni umane in rapporto a fattori genetici, l’ambiente e le
abitudini di vita, con il fine di individuare:
- Fattori positivi di benessere;
- Fattori casuali delle malattie;
- Le modalità d’intervento;
- Le condizioni che ne favoriscono ed ostacolano l’azione.
L’obiettivo primario sarà dunque quello di dare la possibilità ad un individuo nato sano
di mantenere inalterato il suo stato di salute fino al compimento naturale del proprio
ciclo di vita.
La sanità pubblica è un’organizzazione che si occupa di andare a mobilitare risorse
scientifiche, tecniche, professionali ed economiche per andare a rilevare quello che è lo
stato di salute della popolazione, non del singolo ma bensì di quella che è la collettività e
far fronte a eventuali problemi sanitari di quest’ultima per garantire loro il miglior stato
di salute. L’Evoluzione del concetto di salute nel tempo ha portato da una visione statica
della salute (la salute era concepita come una mera assenza di malattia) ad una visione
dinamica. All’inizio l’individuo era un soggetto che veniva visto in maniera passiva, per
cui le scelte venivano impartite dall’alto. Oggigiorno, invece, l’individuo viene messo al
centro delle proprie scelte di salute di un processo che viene definito “empowerment”.
Proprio l’OMS nel 1948 andò a definire lo stato di salute come un completo benessere
fisco, psichico e sociale. Appunto perché non è solo il corpo del soggetto ad essere
essenziale ma è anche la propria mente e ovviamente il tessuto sociale in cui il soggetto è
inserito. Fondamentalmente, nel 1966, Alessandro Seppilli andò a definire, per la prima
volta, la salute come un concetto dinamico, andando a definirla come “una condizione di
armonico equilibrio funzionale, fisico e psichico dell’individuo dinamicamente integrato
nel suo ambiente naturale e sociale”.
Questa definizione fu allargata nella carta di Ottawa per la promozione della salute. Andò
ad evidenziare come la promozione della salute non è una responsabilità esclusiva del
settore sanitario ma va al di là degli stili di vita e punta al benessere.
Nella carta di Ottawa venivano posti i principi basilari per quelle che dovevano essere le
scelte di salute del soggetto.
Con la Carta di Ottawa per la promozione della salute (OMS, 1986) la salute viene
considerata non tanto una condizione astratta, obiettivo del vivere, ma una risorsa per la
vita quotidiana, una condizione che l’individuo, o una collettività, raggiunge quando è
capace di identificare e realizzare le proprie aspirazioni, soddisfare i propri bisogni e
tener testa con successo alle situazioni ambientali; la salute diventa, quindi, la capacità
di realizzare, giorno per giorno, il potenziale della singola persona e di rispondere
positivamente alla sfida dell’ambiente.
Oggigiorno siamo arrivati a quello che è l’Health 2020. È un’evoluzione della carta di
Ottawa che mira al supporto di quelli che sono i governi e la società a migliorare lo stato
di salute e benessere delle popolazioni, riducendo quelle che sono le disuguaglianze
sociali, rafforzando la sanità pubblica e mettendo al centro l’individuo all’interno dei
sistemi sanitari, che devono essere universali, sostenibili e di alta qualità.
Lo stato di malattia viene definito come quello in cui uno stimolo esterno può perturbare
quello che è l’equilibrio fisico e psichico dell’individuo, conducendo a un’alterazione di
quello che era lo stato precedente.
Per cui, ovviamente, le malattie possono essere distinte in malattie infettive e malattie
cronico-degenerative e nel computo di entrambe lo stato di salute può dipendere da
variabili che possono essere sia individuali che collettive.
In particolar modo i determinanti della salute possono essere distinti in determinanti
personali, caratterizzati dal benessere psico-fisico (es. il peso corporeo, la pressione,
parametri ematologici, ecc…) che ovviamente sono non modificabili e gli stili di vita (es.
alimentazione, fumo, attività fisica, alcool, ecc…) che sono fattori modificabili su cui
possiamo agire e a cui le campagne di promozione della salute e di prevenzione mirano.
Ovviamente c’è tutta una serie di condizioni socio-economiche, come:
 Il reddito, differenze tra paesi a basso ed alto reddito, e quindi incidenza di
malattie infettive, malattie cronico degenerative che differisce, ovviamente da noi
prevalgono le seconde, mentre nei paesi a basso reddito le prime;
 La famiglia e l’educazione;
 Il livello di istruzione, il soggetto istruito potrebbe fare delle scelte sullo stile di vita
più attinenti, più salutari;
 Il tipo di occupazione, e da qui il rischio correlato di andare incontro ad una serie
di malattie, le malattie professionali,
 L’ambiente sociale e culturale in cui il soggetto è inserito, differenze dell’incidenza
delle malattie in base alle esigenze che il soggetto ha, pensate ai soggetti asiatici
dove l’elevato consumo di bevande calde comporta un incremento del carcinoma
esofageo, carcinoma squamoso.
 L’indice di affollamento, perché nel momento in cui in un certo locale saranno
presenti più abitanti la promiscuità può portare ad un incremento di quelle che
sono le malattie infettive.
 Il numero e la qualità dei servizi sanitari e sociali, perché dove i servizi sanitari e
sociali sono abbastanza estesi e offrono delle cure ai propri cittadini, sicuramente
lo stato di salute sarà più elevato e le disuguaglianze saranno meno evidenti (es.
differenza tra l’America, il modello americano e l’Italia).
Ci sono una serie di indicatori che il soggetto che lavora dentro la sanità pubblica, può
utilizzare per andare a stimare quello che è lo stato di salute della popolazione. Questi
sono gli indicatori che sono suggeriti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, per il
raggiungimento della “salute per tutti nell’anno 2000”. Tra questi indicatori abbiamo:
- gli indicatori di sopravvivenza,
- gli indicatori dello stile di vita,
- gli indicatori di “qualità di vita”
- gli indicatori socioeconomici.
Ovviamente ognuno di questi avrà un’importanza differente in base a quelle che sono le
malattie che consideriamo.
In Italia, uno dei livelli essenziali di assistenza, è il livello della prevenzione collettiva e
sanità pubblica, che prevede le attività e le prestazioni volte a tutelare la salute e la
sicurezza della comunità da rischi infettivi, ambientali, legati alle condizioni di lavoro e
correlati agli stili di vita.
Il livello si articola in 7 aree di intervento che includono programmi e attività volti a
perseguire specifici obiettivi di salute. Queste aree sono:
1. La sorveglianza, prevenzione e il controllo delle malattie infettive e parassitarie;
inclusi i programmi vaccinali;
2. La tutela della salute e della sicurezza degli ambienti aperti e confinati;
3. La sorveglianza, prevenzione e tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro;
4. La salute animale e igiene urbana veterinaria;
5. La sicurezza alimentare e tutto quello che va nel controllo delle filiere alimentari e
quindi parliamo di Hazard Analysis and Critical Control Points, HACCP;
6. La sorveglianza e prevenzione delle malattie croniche, inclusi la promozione di stili
di vita sani ed i programmi organizzati di screening, sorveglianza e prevenzione
nutrizionale;
7. Le attività medico legali per finalità pubbliche;
Alcune prestazioni sono fornite gratuitamente dal Sistema Sanitario Nazionale (SSN) e
sono quelle prestazioni che sono incluse nei LEA e che sono indicate, ad oggi,
nell’allegato 1 al DPCM 12 Gennaio 2017.
Sono esclusi quegli interventi di prevenzione individuale, fatta eccezione per le
vaccinazioni, organizzate in programmi che hanno lo scopo di aumentare le difese
immunitarie della popolazione e per gli screening oncologici, quando sono organizzati in
programmi di popolazione e per la promozione degli stili di vita salutari da parte dei
medici del SSN;
Sono escluse e sono erogate tramite tariffa le prestazioni che, pur essendo un compito
istituzionale delle strutture sanitarie, rispondono a un interesse privato del cittadino, ad
esempio i certificati medico-legali necessari al rilascio della patente o altre idoneità,
verifiche igienico-sanitarie e controlli su richiesta individuale su impianti, acque, ecc…
Sono incluse le prestazioni poste solo parzialmente a carico del richiedente in base a
disposizioni nazionali o comunitarie ed alle relative norme regionali attuative. Si tratta di
prestazioni per le quali può essere richiesto un contributo forfettario, che non copre per
intero il costo della prestazione stessa.
L’igiene è quella disciplina che si occupa di promuovere e conservare/potenziare la salute
individuale e collettiva.
Quindi il nostro oggetto di intervento non è solo l’uomo bensì tutta quanta la comunità e
gli interventi sono svolti a più livelli, sia sull’uomo ma anche su quello che è l’ambiente
fisico, il monitoraggio biologico e ovviamente alla valutazione di quello che è lo stato
sociale della popolazione, con i programmi che vengono implementati dal Ministero della
Salute e vengono attuati dalle varie ASP competenti.

CARATTERISTICHE DELL’IGIENE
L’ oggetto di interesse: uomo sano – potenziamento – conservazione e difesa della
salute;
Ambito di intervento: esteso anche all’intera comunità;
Tipologia di interventi: uomo ambiente fisico, biologico e sociale.
Questi sono gli obiettivi:
1. Proteggere il singolo individuo dalle malattie
2. Raggiungere il controllo delle malattie nella popolazione
3. Eradicare le malattie

Nel tempo l’igiene ha avuto un cambiamento, da materia correlata per lo più alla
microbiologia e alla virologia (grazie alle grandi scoperte che sono state fatte nel passato)
è passata a quella che era il risanamento ambientale anche in conseguenza delle varie
catastrofi derivanti dall’industrializzazione, al controllo dello stato di salute a causa
dell’incremento delle malattie cronico-degenerative (malattie cardiovascolari, diabete,
broncopatie croniche, tumori maligni), oggigiorno correlate sia agli stili di vita che
all’industrializzazione.
MEDICINA CLINICA: compito di curare e possibilmente guarire il singolo individuo.
MEDICINA PREVENTIVA: compito di promuovere la salute e prevenire le malattie
intervenendo sull’intera comunità. Il fine ideale cui tendono l’igiene e la medicina
preventiva è che ogni persona nasca sana e mantenga il proprio stato di salute al più alto
livello fino al naturale compimento della vita.

L’igiene generale e applicata comprende: epidemiologia, educazione sanitaria, malattie


cronico degenerative, igiene applicata all’ambiente e ai luoghi di lavoro, igiene scolastica,
igiene degli alimenti e della nutrizione, igiene della medicina di comunità, organizzazione,
programmazione e gestione dei servizi sanitari.
Esistono due tipi di epidemiologia:
Descrittiva, che studia la frequenza e la distribuzione delle malattie e dei parametri di
salute nelle popolazioni
Analitica, studia le relazioni causa-effetto tra fattori di rischio e malattie.
I più importanti igienisti sono:
Walter Ricciardi: ex presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, membro della
commissione europea del cancro. Igienista.
Silvio Brusaferro: Attuale capo dell’Istituto Superiore di Sanità. Igienista.
Roberta Siliquini: ex presidente del Css (Consiglio Superiore di Sanità), membro del
consiglio dal 2014, medico specialista in igiene e medicina preventiva
Raniero Guerra: ex Assistant Director general del WHO (OMS)

SIGNIFICATO DI ALCUNI INDICATORI DEMOGRAFICI E SANITARI

Morbosità: frequenza di una malattia in una popolazione;


Frequenza/prevalenza: rapporto tra il numero dei casi esistenti e il numero della
popolazione considerato in quell’istante. A differenza del tasso la frequenza non ha la
variabile tempo, quindi sono dei dati fotografici in quanto non possono andare incontro a
delle modificazioni.
Incidenza: numero dei nuovi casi in una popolazione in un determinato periodo di
tempo.
ALCUNE MISURE:

TASSO DI MORTALITÀ = N° di morti in un anno x 1000


Popolazione residente

indica quante persone muoiono ogni anno per tutte le cause di morte per ogni 1000
abitanti

TASSO DI NATALITÀ = N° di nati vivi in un anno x 1000


Popolazione residente
Generalmente è più basso nei paesi sviluppati rispetto a quelli in via di sviluppo, in cui si
riduce nel tempo parallelamente all’incremento del reddito

TASSO DI MORTALITÀ INFANTILE = N° annuale di morti in bambini di età > 1°


anno x 1000
N° nati vivi nello stesso anno

TASSO DI MORTALITÀ NEONATALE = N° annuale di morti nei primi 28 gg. di vita


x 1000
N° nati vivi nello stesso anno

MORBOSITÀ (incidenza e prevalenza delle malattie): frequenza di una malattia in


una popolazione, vi sono due tassi di morbosità: i tassi di incidenza e i tassi di
prevalenza.

- PREVALENZA: il numero dei casi, vecchi e nuovi presenti in un determinato


momento, rapporto tra un numero di casi esistenti e numero della popolazione
considerata in un determinato istante. FOTOGRAFIA

N° casi esistenti
Popolazione totale

- INCIDENZA: numero di nuovi casi in una popolazione in un determinato periodo di


tempo
N° di nuovi casi
Popolazione a rischio
In entrambi i tassi il risultato del rapporto va moltiplicato per 1000 e il tasso ottenuto
indica i casi ogni 1000 abitanti
TASSO DI LETALITA’: si calcola dividendo il numero di morti di una data malattia per il
numero di malati della stessa malattia e moltiplicando per una costante (solitamente
100). È una proporzione che permette di conoscere la percentuale di malati che muoiono
per quella malattia. Il quoziente di letalità è indipendente dalla frequenza della malattia
(morbosità).
IGIENE
PROF. SQUERI

Malattie Infettive
La conoscenza della epidemiologia delle singole malattia è indispensabile per attuare un
efficace prevenzione. Lo studio epidemiologico degli eventi effettivi deve essere rivolto non
solo alla “malattia conclamata” ma anche “infezione inapparente”. Le malattie infettive
sono determinate da cause microbiche e da uno specifico microbico.
L’infezione implica l’attiva moltiplicazione e l’impianto del microrganismo. Se questa
eventualità non provoca danno si parla di colonizzazione, se alla colonizzazione si
aggiungono alterazioni anatomo – patologiche, biochimiche, metaboliche, immunologiche
e fisiopatologiche si parla di malattia infettiva.
Le malattie infettive si verificano quando un germe entra nel nostro organismo e si
riproduce a spese della nostra salute, ovviamente i vari germi si propagano con diverse
modalità: per via respiratoria, per contatto, per via sessuale e parenterale e per via oro-
fecale e alimentare. I germi che causano le malattie infettive possono appartenere a
diverse categorie biologiche: batteri, virus, protozoi, microplasmi, lieviti e muffe. Il
periodo di incubazione delle malattie infettive è in media 7 – 15 giorni. I vantaggi di un
germe che provoca malattia sono le dimensioni e la velocità con la quale i germi si
riproducono. Si adattano facilmente e rapidamente alle condizioni in cui si trovano.
Infine, per i germi c’è sempre la possibilità di spostarsi su un altro ospite. Nella
popolazione esiste un gran numero di soggetti suscettibili, la trasmissione da un primo
caso infetto e contagioso può passare a molte altre persone, soprattutto se ci sono molti
contatti tra suscettibili. Per questo motivo da un singolo caso infetto si possono generare,
come conseguenza, numerosi casi che a loro volta ne contageranno altri. Quando un
soggetto infetto contagia solo un altro soggetto la malattia circola in modo endemico,
mentre quando un soggetto ammalato contagia più di un soggetto suscettibile, il numero
dei casi di malattia aumenta molto rapidamente e il momento in cui la malattia si
manifesta in modo istantaneo, in un arco di tempo ristretto, viene chiamato outbreak e
quindi parleremo di focolaio epidemico (es. covid-19).

Parleremo di epidemia quando un gran numero di casi (con un’origine comune) si


appalesa in un lasso di tempo abbastanza breve e parleremo di pandemia quando la
malattia si diffonde in tempi brevi interessando più continenti. L’epidemia si può anche
definire come un temporaneo aumento di incidenza al di sopra del livello medio di
frequenza che si è osservato in periodi precedenti nella stessa popolazione.

Quando un soggetto infetto viene in contatto con un soggetto immune, la catena di


trasmissione si ferma, quindi un alto numero di soggetti immuni presenti nella
popolazione impedisce all’epidemia di propagarsi, ecco il perché dell’importanza dei mezzi
di prevenzione e quindi anche della vaccinoprofilassi, cercando di garantire quel livello di
protezione del 95%. La rapidità d diffusione dipende dalle caratteristiche del patogeno e
dalla suscettibilità della popolazione. I fattori che favoriscono le infezioni sono:
- FATTORI INDIVIDUALI:
Biologici (es. denutrizione; immunodeficienza;
Comportamentali (es. scarsa igiene personale,
infezioni batteriche, scambio di partner.
- FATTORI AMBIENTALI:
Basso livello socio economico;
L’affollamento;
Scarsa acqua potabile;
Carenza dei sistemi di raccolta e smaltimento delle acque reflue urbane.
EZIOLOGIA
Le malattie infettive sono determinate da cause microbiche e da uno specifico agente
microbico. L’importanza di una malattia in una popolazione è definita dalla frequenza e
dalla gravità con cui essa si presenta ed è valutata in base a diversi parametri, fra cui la
contagiosità, la diffusibilità, nonché la patogenicità e la virulenza del microrganismo che
la determina.
Patogenicità: l’insieme delle proprietà che rendono un microrganismo capace di
aggredire l’ospite e di determinare lo stato di malattia. Dipende essenzialmente dalla
capacità del patogeno di diffondere nell’organismo dell’ospite, cioè dalla sua invasività,
come è tipico dei virus delle malattie esantematiche e di certe infezioni batteriche, o dalla
capacità di produrre tossine (tossigenicità) pur restando localizzato in un determinato
sito o distretto dell’ospite. È una caratteristica geneticamente determinata e appartiene
solo ad alcune specie (capacità di una specie di causare la malattia infettiva in una
determinata specie animale).
Invasività: capacità di diffondersi in tutto l’organismo (morbillo) o in alcuni organi
(epatite). È una caratteristica che può mancare in un patogeno il quale può esercitare la
propria azione lesiva in sede o tramite tossine e può creare danni a distanza.
Tossigenicità: capacità di produrre tossine.
Virulenza: indica il diverso grado di patogenicità manifestato dall’agente infettivo in
relazione al diverso ospite causando una malattia più o meno grave. Essa può variare
nell’ambito di una stessa specie microbica. Essa può essere indicata dalla letalità e/o
dalla sua capacità di invadere e danneggiare i tessuti dell’ospite (più o meno aggressivo).
Carica infettante: numero minimo di microrganismi necessari per dare il via a
un’infezione. Dalla carica infettante dipende:
 Contagiosità: capacità di un microrganismo di passare da un ospite dall’altro
durante il processo infettivo, capacità di stabilire un’infezione, si quantifica
calcolando il numero degli infetti suscettibili esposti all’infezione.
 Infettività: esprime il modo con il quale una malattia si diffonde nell’ambiente;
 Contaminazione: presenza di un agente infettivo su una superficie corporea, su
abiti, giocattoli, strumenti e indumenti chirurgici o comunque su oggetti inanimati
o sostanza. Essa dipenda dalla invasività e della tossigenicità delle diverse specie
microbiche. Invasività è la capacità del microrganismo di invadere o tutto
l’organismo o alcuni organi.
Le malattie infettive sono determinate ognuna da uno specifico agente microbico che
spesso prende il nome della malattia stessa:

Le malattie infettive, sono tutte quelle malattie causate da microrganismi patogeni. Il


microrganismo è detto patogeno quando è in grado di insediarsi nell’organismo di un
ospite, moltiplicarsi e causare dei danni che si manifestano con lo stato di malattia.
In generale i microrganismi si distinguono in:
- Saprofiti: questo termine indica che si riproducono sui resti di altri organismi,
contribuendo alla loro decomposizione. Il loro habitat è l’ambiente, infatti sono
indispensabili per il mantenimento degli equilibri naturali. Sono innocui per
l’uomo;
- Commensali: colonizzano la nostra cute e le mucose a cominciare dalla nascita.
Vivono sui tegumenti (pelle, mucose dell’apparato respiratorio, digerente, genito –
urinario, congiuntive);
- Parassiti: sono in grado di aggredire l’ospite, costituito da un altro essere vivente,
causandogli un danno.
I microrganismi patogeni si considerano come parassiti dell’uomo. Abbiamo un
altro tipi di patogeni che devono essere considerati e sono quelli Opportunisti.
Questi microrganismi sono appartenenti a specie ambientali (es: pseudomonas), o
commensali (es: Candida, escherichia), e sono detti opportunisti perché sono in
grado di determinare uno stato di malattia solo in presenza di una diminuzione
delle difese immunitarie dell’individuo o quando raggiungono sedi diverse da
quelle abituali
Microrganismi saprofiti o opportunisti possono diventare parassiti quindi solo quando
vengono meno le normali difese immunitarie o quando vengono ad impiantarsi in organi
o tessuti normalmente sterili. In questi casi vengono definiti patogeni opportunisti.
Possiamo distinguere i microrganismi patogeni in:
- Parassiti obbligati: microbi cioè che non hanno possibilità di vita se non a spese
degli organismi viventi “virus”;
- Parassiti obbligati ciclici: microbi cioè che possono trovare le condizioni di
moltiplicazione sopra organismi appartenenti a tipi molto diversi come ad esempio:
mammiferi ed artropodi (es. plasmodi della malaria).
- Ambientali: microbi cioè che possono considerarsi come saprofiti abituali
nell’ambiente esterno, ma che sono suscettibili di esercitare azioni patogene
quando riescono a penetrare nell’organismo in seguito a trauma (es. bacillo
tetano);
- Facoltativi: microbi cioè che pur avendo predilezione a vivere nell’interno
dell’organismo ospite, possono trovare, almeno transitoriamente, condizioni di vita
ed anche di moltiplicazione nell’ambiente esterno (salmonella, shighella, dove si
possa adattare alla vita idrica).

Delle malattie infettive bisogna considerare le modalità di diffusione:

Sorgenti di infezione
La sorgente o fonte di infezione è un organismo che ospita il patogeno o che è in grado di
trasmettere l’infezione ad un altro soggetto recettivo della stessa specie o di specie
diversa. È rappresentata dall’organismo (uomo o animale) infetto che diffonde attraverso
le vie di eliminazione agenti patogeni nell’ambiente. Può essere:
- un soggetto malato che elimina all’esterno il microrganismo
- un soggetto malato che lo trasmette attraverso un vettore
- un portatore: soggetto non malato (o la cui infezione inizia e guarisce spontaneamente
senza manifestarsi) che ospita il microrganismo e lo elimina all’esterno. Esso può essere
un portatore precoce (soggetto infetto che comincia ad eliminare il microrganismo già
alcuni giorni prima di manifestare i sintomi), un portatore convalescente (dopo la
guarigione continua ad espellere il microrganismo ancora per alcuni giorni), e il portatore
cronico (dopo la guarigione continua ad espellere il microrganismo per mesi, anni o per
tutta la vita)

Serbatoi d’infezione
Il Serbatoio di infezione è l’habitat naturale dell’agente patogeno, vale a dire il luogo o
l’organismo nel quale esso gli consente di sopravvivere e moltiplicarsi. È costituito dalla
specie animale o dal substrato inerte ove è presente determinata specie microbica.
Es. brucelle, salmonelle: il serbatoio di infezione è rappresentato dall rispettive specie
animali che infettano.
Es: i microrganismi patogeni esclusivi per l’uomo hanno come serbatoio l’uomo stesso
(virus: morbillo, rosolia, parotite, varicella, epatite A-B-C-D-E; bacillo difterico, pertosse,
febbre tifoide ecc)
Es: legionelle e yersinie hanno il proprio habita naturale nell’ambiente (acque o ambiente
umido) da cui occasionalmente possono venire a contatto con l’uomo.
Le malattie infettive possono essere trasmesse da una sorgente di infezione ad un ospite
recettivo direttamente, per contatto fisico, o indirettamente, mediante veicoli o vettori.
Le malattie infettive posso essere suddise in :
Contagiose: causate da agenti patogeni che eliminati per vie diverse dall’ospite
giungono in modo diretto o indiretto ad altri soggetti recettivi;
Non contagiose: gli agenti responsabili non vengono eliminati nell’ambiente e la
loro trasmissione richiede l’intervento di appositi vettori (es. malaria, leishmaniosi).
Apparente: quando si manifestano con segni e sintomi;
Latente: quando si istaura un equilibrio per cui un organismo può persistere nei
tessuti dell’ospite e moltiplicarsi, dando segno della sua presenza solo occasionalmente
per fattori intercorrenti (es. herpes virus 1).
Affinchè l’infezione possa evolvere in malattia è necessario che si realizzino una serie di
condizioni legate:
- All’agente patogeno;
- All’individuo infettato;
- All’ambiente;
- Alle modalità di trasmissione.

Le vie di eliminazione – penetrazione;


La penetrazione di un microbo patogeno nell’organismo non necessariamente è seguita
da un processo infettivo e dalla manifestazione di una malattia infatti, l’esito di una
malattia e le caratteristiche cliniche della malattia stessa sono il risultato della
complessa interazione fra l’ospite e l’antigene infettante. Se prevalgono i meccanismi di
difesa dell’ospite il patogeno è subito neutralizzato, si è avuto il contagio ma non si è
avviata l’infezione. Quando un microrganismo riesce a superare le normali barriere
difensive dell’ospite si stabilisce uno stato di infezione senza malattia, ciò è il risultato
dell’equilibrio fra le capacità del patogeno e le difese dell’individuo. In questo caso,
l’organismo reagisce all’infezione con una risposta immunitaria. Quando invece, a
seguito della penetrazione e della moltiplicazione, il microrganismo riesce a superare le
difese dell’ospite, si determina lo stato di malattia, che si manifesta con vari segni e
sintomi. La malattia inizia a manifestarsi dopo un tempo variabile del contagio. Questo
intervallo di tempo, che varia da poche ore ad anni viene chiamato periodo di
incubazione o meglio definito come l’intervallo di tempo compreso tra il contagio e la
viremia primaria. Le vie di penetrazione degli agenti infettivi sono:
- Attraverso le mucose (del tratto digerente, delle vie respiratorie, genitourinarie,
congiuntivali) o le lezioni della cute
- Attraverso la placentare: sifilide, toxoplasmosi, rosolia, epatite virale di tipo B e C,
AIDS, cytomegalovirus;
- Attraverso il tratto digerente: i microrganismi ingeriti trovano una prima barriera
nella saliva e una seconda più efficace nell’acidità del succo gastrico. Le più
comuni malattie i cui agenti eziologici hanno come porta di ingresso le vie
digerenti sono: le febbri tifoidi e paratifoidi, le salmonellosi, il colera, la dissenteria
bacillare, l’epatite A e la poliomelite.

Le vie di eliminazione degli agenti infettivi sono spesso in rapporto con la localizzazione
del processo morboso, infatti dipende dalla sede in cui si svolge l’infezione per mezzo di
secrezioni e prodotti di desquamazione cutanea, secrezioni nasali, con feci e urine,
secrezioni vaginali, in particolare distinguiamo:
- Via cutanea: la cute integra non rappresenta una via di eliminazione microbica,
ma lo diviene se è sede di lesioni di continuo (es. vaiolo, varicella, sifilide).
- Via orale e nasale: vengono emessi i microorganismi localizzati nelle prime vie
respiratorie (es. streptococchi, stafilococchi, micobatteri della tubercolosi) come
pur gli agenti di malattie generalizzate (influenza). Tali microrganismi sono in
genere veicolati dalle goccioline che si eliminano con la fonazione, con la tosse,
con lo starnuto.
- Via ematica: vengono eliminati microrganismi soltanto attraverso lo strumentario
infetto, traumi.
- Via rettale: con le deiezioni vengono emessi numerosi microrganismi a
localizzazione intestinale (salmonelle, shigelle, vibrioni del colera, virus dell’epatite
A.
- Via urinaria: l’urina può contenere sia microrganismi patogeni responsabili di
malattie localizzate alle vie urinarie, sia microrganismi presenti nel sangue
(brucellosi, tifo addominale);
- Via genitale: attraverso le mucose delle vie genitali si eliminavano gli agenti della
sifilide, della gonorrea, dell’AIDS, dell’epatite virale di tipo B e C i citomegalovirus.

RICORDA: Le vie di penetrazione dei germi patogeni nell’organismo sono rappresentate:


- Congenita (via placentare);
- Cutanea (impossibile se è integra con lesioni minime favoriscono la penetrazione
dei germi patogeni);
- Mucosa (secreto vaginale – lacrima);
- Umorale (circolazione).

Le modalità di trasmissione
La modalità di trasmissione delle malattie infettive è condizionata in parte dalle vie di
eliminazione, ma prevalentemente dalla capacità di sopravvivenza dei microrganismi
nell’ambiente. In rapporto alla fragilità dei patogeni nell’ambiente, si individuano 3
modalità di trasmissione: diretta, semidiretta e indiretta.
- La via diretta rappresenta la via obbligata per quei microrganismi che
sopravvivono nell’ambiente per pochi minuti e necessitano quindi di un contatto
diretto fra sorgente e individuo suscettibile (es. treponema pallidum, neisseria
gonorrhoeae), essa è per contatto o per via aerea, da uomo malato/portatore a
uomo sano. Quindi il microrganismo è trasferito da una sorgente di infezione ad
un ospite recettivo senza alcuna mediazione. La trasmissione diretta può
realizzarsi anche attraverso la placenta dalla madre al feto ed è chiamata verticale
(es. AIDS, toxoplasmosi, rosolia). Altre modalità diretta è costituita
dall’inoculazione con il morso o il graffio di un animale infetto (es. rabbia)
- La via semidiretta rappresenta la via preferenziale dei microrganismi che resistono
per breve tempo nell’ambiente (30 minuti – 1 ora) è mediata da droplets> 5 µm
(Virus influenzali, Rhinovirus, Rosolia) e richiedono quindi un contatto ravvicinato
fra sorgente e suscettibile (1-2 metri). L’aria rappresenta il veicolo più importante
di queste modalità di trasmissione. Questa avviene mediante le particelle Flugge
infette prodotte parlando, tossendo o starnutendo.
- La via indiretta può avvenire tramite l’ambiente, anche a distanza di tempo e di
luogo tra la sorgente di infezione ed i soggetti recettivi. Rappresenta la via scelta
dei microrganismi in grado di sopravvivere per tempi discreti o lunghi
nell’ambiente e che possono essere trasportati a distanza dal luogo di emissione
tramite veicoli (oggetti inanimati) (es. Mycobacteriumtubercolosis) o vettori
(artropodi, es. Protozoi).

VEICOLO MALATTIE TRASMESSE


Aria di ambienti confinanti acqua, frutti di Malattie aerodiffuse. Infezioni
mare, ortaggi. tifoparalifiche, dissenteria, colera,
salmonellosi, botulismo.
Carni, latte, crema, gelati, formaggi. Infezioni tifo – paratifiche, tossinfezioni
alimentari da stafilococchi entrotossici,
dissenteria, colera, tubercolosi, brucellosi,
scarlattina, difterite.
Effetti letterecci, biancheria, abiti Vaiolo, scarlattina, difterite, infezioni tifo-
paralitiche
Stoviglie, posate, bicchieri. Difterite, scarlattina, tubercolosi.

Giocattoli, oggetti personali, ferri Difterite, sifilide, Hbv, Hcv


chirurgici.

I principali veicoli sono costituiti da tutti i substrati che, se contaminati, ne attuano il


trasporto fino a soggetti recettivi che possono così contrarre l’infezione. Questi veicoli
sono: aria, alimenti, oggetti vari, strumenti, giocattoli, substrati in generale. L’acqua è un
importante veicolo di infezione in tutte le malattie che si trasmettono con circuito fecale –
orale, i cui agenti patogeni vengono eliminati con le feci e penetrano attraverso le mucose
delle vie digerenti; l’acqua può veicolare anche dei microrganismi che penetrano durante
la balneazione attraverso la congiuntiva – mucosa nasale e faringea – condotto uditivo,
ecc-
I principali vettori presenti nel nostro territorio sono rappresentati dagli insetti: da
mosche, zanzare, zecche, che trasportano attivamente i microrganismi patogeni prelevati
dalla sorgente di infezione. Essi sono organismi animati che attuano il trasporto dei
microrganismi con movimento proprio. Possono essere:
- Attivi: inculano direttamente in un organismo sano;
- Passivi : la mosca trasporto meccanico.
Per modalità di trasmissione aerea bisogna distinguere tra:
- Orizzontale: portatore uomo/ animale  soggetto sano; diretta ( ematogena,
aerea, droplets, cutane, trans-mucosa); indiretta (veicoli e vettori).
RICORDA: veicolo è inanimato; vettore è animato.
- Verticale: madre e figlio può essere transplacentare o nel corso del parto)

1) Trasmissione attraverso le goccioline (dropletstrasmission), che si verifica quando le


goccioline di dimensioni superiori ai 5 µm contenenti microrganismi patogeni,
generalmente durante la fonazione, tosse, starnuto, ecc, vengono a contatto con
membrane o mucose di soggetti suscettibili. (Coronavirus associato a SARS)
Meglio mettere il paziente in stanza da solo, non è necessaria ventilazione dell’ambiente e
mantenere distanza di almeno 1 metro (2-3 anche meglio)
2) Trasmissione per via aerea (airbornetransmission), che si verifica per disseminazione o
di nuclei di goccioline (droplet nuclei) di dimensione uguale o inferiore a 5 µm, derivati
dall’evaporazione delle goccioline di più grandi dimensioni (droplet), o di piccole particelle
contenenti microrganismi che rimangono infettanti anche a lunghe distanze dal punto di
origine. Possono rimanere sospesi nell’aria per lungo tempo. (es. Rosolia, Varicella. Anche
alcuni come SARS e vaiolo che in genere trasmettono tramite droplet possono raramente
contagiare per via aerea).
3) Trasmissione per via respiratoria: l’albero respiratorio costituisce una via di ingresso
di numerosi batteri e virus responsabili sia di malattie localizzate all’apparato
respiratorio ( tubercolosi polmonare, influenza, polmoniti) sia generalizzate (morbillo,
rosolia..).
4) Trasmissione genito – urinaria: costituisce la porta di ingresso di malattie, si trasmette
attraverso il contagio sessuale (sifilide, gonorrea, AIDS, epatite virale di tipo B e C);
5) Trasmissione congiuntivale: attraverso questa via penetrano patogeni in grado di
causare affezioni locali (congiuntiviti infettive) o generali (brucellosi, morbillo, AIDS).

RICORDA: Le vie di eliminazione sono spesso in rapporto con la localizzazione del


processo morboso.
- Feci (febbre tifoide – colera – epatite A);
- Via respiratoria (polmoniti – difterite – pertosse – malattia esantematiche);
- Urine (brucellosi – febbre tifoide);
- Saliva (rabbia – parotite).
L’uomo malato: Rappresenta la sorgente più importante di infezione, per la presenza in
esso di una carica microbica imponente.
L’uomo portatore: portatore sano (transitorio – cronico) è un soggetto non ammalato che
alberga nel suo organismo microrganismi patogeni e li elimina all’esterno in giorni –
settimane – alcuni mesi. Può essere:
 Portatore precoce: cioè che elimina i germi già nel periodo di incubazione della
malattia;
 Potatore ex malato: è quel soggetto nella cui anamnesi risulta che ha contratto
quella determinata malattia, il cui agente eziologico ancora albera ed elimina;
 Portatore ex malato cronico: soggetto pericoloso per la collettività, costituisce un
serbatoio perenne il più delle volte difficile a bonificare.
 Portatore sano: è quel soggetto nella cui anamnesi non risulta l’esistenza della
malattia, però, venuto a contatto con il germe, lo ospita senza sviluppare la
patogenicità (meccanismi immunitari). Sono i più pericolosi.
PREVENZIONE PRIMARIA, SECONDARIA E TERZIARIA
Ovviamente uno degli obiettivi della sanità pubblica e dell’igiene è proprio la prevenzione,
che ha compiti ben precisi che sono:
- Prevenire l’insorgenza della malattia;
- Evitare che la malattia si aggravi quando essa insorge;
- Ridurre la disabilità dopo che la malattia è insorta
Nella fattispecie, quindi, obiettivi della prevenzione sono:
- Proteggere la singola persona dalle infezioni;
- Controllare le infezioni nella popolazione;
- Eliminare le malattie croniche dalla popolazione;
- Eradicare le infezioni dal territorio;
Per quanto concerne gli interventi di medicina preventiva, essi sono rappresentati sia da
quella che è la prevenzione delle malattie infettive, sia dalla prevenzione di quelle che
sono le malattie cronico-degenerative. Per queste ultime, ha importanza sia la
prevenzione primaria con l’adozione dei corretti stili di vita, sia l’applicazione della
diagnosi precoce mediante gli screening.
La prevenzione ha il compito di prevenire l’insorgenza e la progressione della malattia,
quindi possiamo definirla come “un’insieme di attività atte a conservare lo stato di
benessere ed evitare l’insorgenza della malattia nelle persone sane o apparentemente
sane”.
Gli interventi possono essere sia presenti sul singolo individuo (es: campagna anti-fumo,
corretto utilizzo contraccettivi) che sull’ambiente (es: interventi per ridurre agenti
inquinanti, D. Lgs 152/2006, testo unico ambientale che detta le norme in termini di
prevenzione).
A seconda degli obiettivi e delle modalità di intervento distinguiamo tre tipi di
prevenzione:
 Prevenzione primaria;
 Prevenzione secondaria;
 Prevenzione terziaria.

PREVENZIONE PRIMARIA
E’ un metodo di prevenzione utilizzato per impedire l’insorgenza di nuovi casi di malattia
in soggetti sani. Produce, quindi, una riduzione del tasso di incidenza della malattia che
è tanto maggiore quanto più efficace è l’intervento stesso (es. vaccinazione per le malattie
infettive, chemioprofilassi con Rifampicina in caso di contatto a rischio con soggetti con
Neisseria meningitidis).
Le strategie per la prevenzione primaria mirano a rimuovere le cause delle malattie o i
fattori che ne facilitano l’insorgenza. Esse sono:
- Scoprire e rendere inattive le sorgenti di microorganismi patogeni (interventi sugli
animali, ricerca di capi infetti);
- Interrompere la catena di trasmissione, modificando i fattori ambientali ed i
comportamenti che favoriscono la persistenza e la diffusione dei microorganismi
patogeni (disinfestazione zanzare anopheles);
- Aumentare le resistenze alle infezioni (vaccinoprofilassi, immunoprofilassi,
chemioprofilassi);
Ciascuna delle strategie menzionate comprende diversi tipi di interventi:
- Competenza del medico (ad esempio isolamento dei malati contagiosi in ospedale,
vaccinazione);
- Attuabili nell’ambito di programmi di risanamento ambientale e di promozione
della qualità della vita (approviggionamento idrico, disinquinamento, risanamento
edilizio, ecc.)
Per la riduzione del rischio individuale si deve:
- Rimuovere la causa di malattia: nel caso della brucellosi, l’individuazione ed
eliminazione di animali infetti eliminerà del tutto il rischio di infezione in una
popolazione.
- Impedire che la malattia continui ad agire sulla popolazione: vaccinazione, che
comporta benefici non solo per effetto diretto sui soggetti vaccinati ma anche in
modo indiretto inducendo protezione ai soggetti non vaccinati (herdimmunity).
Quando la causa della malattia è sconosciuta o non è eliminabile si cerca di agire sui
fattori di rischio per arrivare ad ottenere riduzioni dell’incidenza. Per poter eliminare o
ridurre le cause e i fattori di rischio possono essere messi in atto i seguenti metodi di
intervento:
- Potenziamento delle capacità di difesa dell’organismo;
- Rimozione di comportamenti nocivi;
- Adozione di comportamenti positivi;
- Interventi sugli ambienti di vita e di lavoro.
Per alcune malattie è sufficiente l’applicazione di un solo metodo, mentre per altre è
necessario far ricorso a diversi metodi contemporaneamente.
Che cosa possiamo fare per eliminare o ridurre le cause?” esempio: nel caso di patologie
cronico – degenerative, come il tumore al polmone la riduzione dell’incidenza della
malattia può essere ottenuta solo agendo sui fattori di rischio(fumo).
Per quanto concerne il primo punto, le difese possono essere aumentate in modo
Aspecifico: la cute e le mucose, che rappresentano le barriere che si oppongono alla
penetrazione degli organismi, che quindi devono essere integre;
Specifico: immunoprofilassi attiva cioè la vaccinazione, immunoprofilassi passiva cioè la
siero profilassi;

Esempi di interventi di prevenzione primaria:


Malattie infettive: vaccinazioni, disinfezione, sterilizzazione, notifica e accertamento casi,
controlli alimenti, HACCP, controlli acque potabili;
Malattie croniche: educazioni alimentare, norme antinquinamento, lotta alla droga,
campagne contro il fumo, limitazioni all’uso di alcool, barriere anti – rumore, divieto
all’uso di materiali pericolosi;
Incidenti e infortuni: limiti di velocità, cinture di sicurezza, uso del casco, norme
antincendio, protezione dei lavoratori, impianti elettrici a norma, educazione stradale.

RICORDA: tutto ciò che riguarda la prevenzione e l’educazione alimentare costituiscono


fonti di prevenzione primaria come anche: le norme anti – inquinamento; norme anti –
fumo; l’educazione stradale.
L’educazione sanitaria quindi, attraverso l’informazione relativa a problemi della salute e
delle malattie, mira a suscitare nella popolazione atteggiamenti e comportamenti adatti a
migliorare la salute ed a combattere le malattie: bisogna che i singoli e le comunità nel
suo complesso adottino dei comportamenti tali da escludere i fattori nocivi e da
potenziare quelli favorevoli alla salute, un idoneo comportamento sanitario è anche
quello che porta alla razionale ed efficace utilizzazione dei servizi sanitari.

PREVENZIONE SECONDARIA
Ha lo scopo di identificare un soggetto ammalato precocemente, cioè prima che manifesti
clinicamente la malattia, e quando, dunque, la malattia o la sua progressione può essere
fermata (es. gli screening neonatali e screening malattie cronico-degenerative). Ha quindi
l’obiettivo di curare le malattie prima che esse abbiamo raggiunto uno stato evolutivo tale
da non poter essere più guarite.
È volta a ridurre la prevalenza (frequenza dei casi esistenti) della malattia e non
l’incidenza, in quanto senza la prevenzione secondaria, la malattia si sarebbe comunque
manifestata. Questa fase determinerà una riduzione della mortalità che sarà più o meno
consistente a seconda dell’efficacia dell’intervento stesso. La prevenzione secondaria ha
l’obiettivo di curare le malattie prima che esse abbiano uno stadio evolutivo tale da non
poter essere più guarite. A tal fine, la malattia oggetto dell’intervento di prevenzione
secondaria deve poter essere scoperta prima che si manifesti con sintomi e con segni
clinici, cioè quando la persona malata è ancor apparentemente sana. Se la diagnosi
precoce, in fase preclinica, sarà estesa a buona parte della popolazione a rischio di
malattia e se si disporrà di efficaci terapie, si potrà ottenere la riduzione della mortalità
per quella determinata malattia. Non si avrà invece, alcuna riduzione dell’incidenza della
malattia stessa. Infatti a differenza della prevenzione primaria, la prevenzione secondaria
non rimuove le cause e, per conseguenza, non impedisce l’insorgenza di nuovi casi.
La prevenzione secondaria non si presta bene alle malattie infettive poiché esse sono
caratterizzate da un periodo di incubazione breve e un decorso acuto, mentre si presta
bene alle malattie non infettive poiché hanno spesso un periodo di incubazione (o periodo
di latenza) lungo e decorso cronico.
È necessaria la disponibilità di terapie più efficaci possibili poiché, individuata la
malattia, si possa avere la possibilità di portare il soggetto alla guarigione (es. screening
neonatale per ipotiroidismo congenito e terapia con ormoni tiroidei che evita che il
soggetto vada incontro a una condizione che in passato gravava sia sul soggetto che sul
costo sanitario).
Il metodo d’esame da impiegare deve essere:
- Sensibile: è in grado di rivelare i soggetti ammalati (positivi). Un test poco
sensibile rischierebbe di identificare come negativi soggetti in realtà ammalati
(falsi negativi);
- Specifico: è un test in grado di rilevare i soggetti sani (negativi). Un test poco
specifico rischierebbe di fare identificare come ammalati soggetti in realtà sani
(falsi positivi):
Ogni intervento, basato sull’inizio della terapia in fase preclinica richiede l’esame di una
massa di persone apparentemente sane per effettuare lo screening cioè la selezione di
coloro che sono già ammalati pur non presentando ancora i sintomi della malattia.
Lo screening deve essere:
- Accettabile, per cui deve essere un esame non invasivo, né fastidioso
- Rapido, affinché il personale sanitario addetto alla sua esecuzione possa
esaminare molte persone in poco tempo
- Sicuro, non deve dar luogo a nessun effetto secondario pericoloso o fastidioso.
- Poco costoso, altrimenti sarebbe insostenibile somministrarlo a grandi masse di
popolazione
- Sensibile e specifico, deve individuare i malati evitando di produrre dei falsi
negativi (cioè soggetti ammalati riportati come sani) e allo stesso tempo deve
evitare dei falsi positivi (cioè soggetti sani come ammalati). Deve rilevare il maggior
numero possibile di ammalati (sensibile) e non deve indicare come malati le
persone sane (specifico)
- Selettivo: la ricerca è operata fra individui apparentemente sani ma appartenenti
ad una categoria con rischio di ammalare particolarmente elevata;
- Di massa: riguarda l’intera popolazione esposta al rischio e va effettuata solo
quando l’incidenza di una patologia è elevata (es. carcinoma della mammella)
oppure quando, pur trattandosi di malattia rara la diagnosi tardiva implica un
danno irreversibile mentre la diagnosi precoce può essere fatta agevolmente e
consente un efficace trattamento (fenilchetonuria, ipotiroidismo congenito).

TEST DI SCRRENING ATTUALMENTE EFFETTUATI:


- Controllo dei valori pressori (ipertensione arteriosa) – anche se è un test di
screening non ufficiale;
- Mammografia (carcinoma mammario) 50 – 69 ogni tre anni;
- Pap test (carcinoma della cervice uterina) 25- 64 ogni due anni;
- Ricerca del sangue occulto nelle feci (carcinoma colon- retto) 50 – 74 ogni 2 anni.
L’esame clinico, di laboratorio o strumentale condotto su un soggetto deve essere:
- Rapido: i tempi dell’esame e di attesa dell’esito non devono essere eccessivamente
lunghi;
- Sicuro;
- Poco costoso: poiché deve essere effettuato su un’ampia fetta della popolazione);
- Ben accetto.
Perché la ricerca del sangue nelle feci? Perché la lesione da cui parte lo sviluppo del
carcinoma del colon-retto è generalmente il polipo, successivamente l’importanza di
distinguere i polipi non neoplastici da quelli che, invece, lo sono.
E’ più importante la prevenzione primaria nel caso del tumore del colon-retto, tramite gli
stili di vita sani: alimentazione a basso contenuto di grassi e ad alto contenuto di fibre,
attività fisica, BMI nella norma, no fumo, no alcool. È stato osservato che la limitazione
del consumo di alcool e l’incremento di attività fisica può ridurre del 20% la possibilità di
esordio di questo carcinoma. Per il tumore del collo dell’utero, che è invece il secondo più
frequente tra le donne (ovviamente), sappiamo che l’HPV può colpire nel corso della vita
anche l’80% delle donne. Anche in modo asintomatico soprattutto in età giovanile. Tra le
più giovani l’infezione va spesso incontro a regressione, mentre in età più avanzate può
accadere che l’infezione persista e si instauri l’evoluzione classica. Non tutti i ceppi
dell’HPV sono ad alto rischio, quelli ad alto rischio sono: 16, 18, 31, 51, 54…
Ad oggi l’esame di screening è il Pap-test, ma vi è un nuovo test l’HPV-DNA che è stato
introdotto in altre regioni italiane in quanto viene previsto dal nuovo Piano Nazionale
Prevenzione 2014-2018 e viene adottata da quelli che sono i LEA. Viene utilizzato a
partire dai 30 anni e tra i 25-30 verrà utilizzato solo il Pap-test perché appunto molte
giovani donne spesso hanno infezioni che vanno incontro a regressione o che saranno del
tutto asintomatiche. L’HPV-DNA verrà utilizzato come test di screening primario, come
test di Triage nelle diagnosi citologiche borderline, come follow-up dopo un trattamento
di lesioni pre-tumorali, o come test di Triage nelle lesioni a basso grado e come test di
follow-up di donne con HPV e/o Pap-test positivo. Se l’HPV-DNA è negativo si effettua
nuovamente dopo 5 anni, se è positivo si effettua il Pap-test. Se il Pap-test si rivela
negativo si esegue dopo un anno insieme all’HPV. Se è positivo, si effettua la colposcopia.
Il tumore della mammella, invece, è il tumore più frequente nelle donne. La
mammografia va effettuata ogni due anni. In alcune regioni si sta ampliando il range di
età per questo screening. Nelle donne più giovani è indicata l’ecografia.Vi è un quarto
screening che non viene fatto ancora in tutte le regioni (in realtà è stato riconosciuto solo
in America) che è la TC a basso dosaggio per il K al polmone. Viene fatto da un rischio
relativo di circa 10 (es. chi è esposto ad Asbesto ha un rischio di 40), se il soggetto è forte
fumatore, cioè un fumatore che ha una media di consumo di 20 pacchetti l’anno, cioè 20
sigarette al giorno per 10 anni o 10 sigarette al giorno per 20 anni.
Ha poco senso limitare questo screening ai soli fumatori perché con l’inquinamento vi è
ormai un grande rischio diffuso, quindi dovrebbe essere esteso per lo meno a chi ha una
forte esposizione ambientale, soprattutto in base al particolato (vengono effettuati dei
rapporti per zone);
Il particolare sono microparticelle aero-diffuse che possono provenire da inquinanti di
vario genere che troviamo in varie attività (anche spostarsi con l’auto), il monossido di
carbonio che crea il particolato insieme ad altri inquinanti proviene soprattutto da
allevamenti di bestiame. È importante quindi la prevenzione primaria che limita il
consumo di carne. Screening selettivi, in soggetti con familiarità (Es. misurazione
glicemia in soggetti con familiarità per il diabete mellito; Controllo pressione intraoculare
o arteriosa in soggetti con glaucoma o familiarità per ipertensione; Vari esami
strumentali e di laboratorio per soggetti con familiarità per malattie cardiovascolari;
colonscopia ogni 5 anni per soggetti che hanno avuto carcinoma colon-retto). Gli
screening più importanti sono quelli in età neonatale, in particolare ci sono screening
ancora utilizzati, come ad esempio la manovra di Ortolani per valutare la displasia
dell’anca, mentre l’ecografia che veniva fatta al secondo/terzo mese di vita adesso non
viene più effettuata, non perché non sia efficace ma perché è stato osservato che l’esame
obiettivo è sufficiente. Screening per le malattie metaboliche, che sono entrati a far parte,
grazie ai LEA, degli screening offerti al punto nascita, insieme agli screening per la
sordità congenita e per la cecità congenita. Screening per la tutela della popolazione sana
(es. screening sulle sacche di sangue, ricerca di HCV, HBV), lo screening per la
talassemia, in fase pre-concezionale, e amniocentesi e villocentesi, in stato di gravidanza.

PREVENZIONE TERZIARIA
La prevenzione terziaria differisce concettualmente e praticamente dalla prevenzione
primaria e secondaria, ha infatti obiettivi e metodologia di intervento del tutto diversi. A
differenza della altre due, è rivolta a persone ammalate e si prefigge di impedire che esse
vadano incontro ad uno stato di invalidità. Il precoce ripristino delle diverse funzioni
dell’organismo, deve mirare quindi a prevenire l’invalidità fisica provocata dalla
progressione delle malattie croniche o conseguente ad interventi chirurgici demolitivi. La
prevenzione terziaria in base a quanto già detto si può identificare con quella che è la
riabilitazione.
Essa, infatti non è rivolta a persone sane o apparentemente sane ma a persone ammalate
(anche patologia cronico-degenerative) e gli interventi di prevenzione terziaria riguardano
dunque, persone con malattie croniche e persone portatrici di handicap e consistono in
procedure e tecniche di riabilitazione.
Le tecniche di riabilitazione devono essere messe in atto precocemente per evitare
complicanze della malattia principale durante il suo decorso e per ottenere il massimo di
recupero funzionale dopo che la malattia è guarita o si è stabilizzata. Nelle persone affette
da un infarto, un’artropatia invalidante, nei soggetti paraplegici, nell’ictus, dopo un
intervento di protesi al ginocchio o all’anca, ha particolare importanza la riabilitazione
fisica e l’assistenza psicologica.

PREVENZIONE BERSAGLIO OBIETTIVO


PRIMARIA SOGGETTI SANI RIDUZIONE E/O
ELIMINAZIONE
INDICENZA
SECONDARIA APPARENTEMENTE RIDUZIONE E/O
SOGGETTI SANI ELIMINAZIONE
MORTALITA’
TERZIARIA AMMALATI O RIDUZIONE E/O
CONVALESCENTI ELIMINAZIONE
INCIDENZA O RECIDIVE

Molta importanza riveste la protezione dell’embrione e del feto.


Già partendo da quella che è la pianificazione familiare, ma soprattutto tramite quella
che è l’astensione da fumo e da alcool in gravidanza (per quanto concerne la sindrome
feto-alcolica), attraverso supplementazione di acido folico, poiché è stato osservato che
l’acido folico presente negli alimenti non può essere assorbito, per cui è fondamentale
integrare 0,4 mg al dì di acido folico in gravidanza.
Per quanto riguarda il tri-test: identifica i feti a rischio di sindrome di Down e altre
cromosomopatie, soprattutto la trisomia 18.
I test di screening per individuare le anomalie cromosomiche sono:
- L’età della mamma;
- La translucenza nucale, che è la misurazione dello spessore della plica nucale
(valore normale tra 1,1 e 1,4; maggiore 2,5 valore patologico), in un’epoca
compresa tra la 11° e 14° settimana, preferibilmente alla 12°, anche se vi sono
stati casi di positività già all’8°/9° settimana;
- Il bitest, ossia la misurazione di questi due fattori nel sangue materno:
- Free-β-Hcg;
- PAPP-A
Nella trisomia i valori si dissociano, nella 13 e 18 sono entrambi bassi.
- Il tritest, metodica di screening prenatale che viene effettuata preferibilmente tra
le 15 e la 18 settimane di gravidanza e si basa sulla ricerca nel sangue materno di
tre sostanze:Alfafetoproteina (AFP), Estriolo non coniugato, Gonadotropina
corionica.

Per quanto riguarda la predittività, solo sull’età materna è del 30% e sale di circa 10-100
volte in base all’incremento di età al di sopra dei 30 anni, se sommiamo il bitest e il
tritest la predittività sarà del 65% con un 5% di falsi positivi, se ancora aggiungiamo la
translucenza nucale sale al 90% con una percentuale di falsi negativi del 10% e di falsi
positivi invariata.
Tutti questi dati vengono inseriti in un software che fa un calcolo statistico; Se il valore
(MOM, multipli del valore medio mediana//Multipli della Mediana) è maggiore di 4 è un
valore alto.
Ovviamente, anche la prevenzione dell’utilizzo dei farmaci e delle malattie infettive è
fondamentale, attraverso gli esami per gli agenti TORCH, che sono sempre esami offerti
dal piano nazionale prevenzione, e la vaccinazione.
Le vaccinazioni indicate in gravidanza sono:
- La difterite-tetano-pertosse, tra la 28esima e la 32esima settimana di gestazione,
anche se adesso è stato esteso il periodo per vaccinarsi ed è stata aggiunta la
vaccinazione polio (Sul sito del ministero della salute non si parla di un’estensione
del periodo e si consiglia sempre intorno alla 28°).
- La vaccinazione dell’influenza, che prima veniva indicata tra secondo e terzo
trimestre mentre ora va bene sempre.
Ci sono una serie di vaccinazioni non consigliate in gravidanze che, se la donna ne ha la
necessità, devono essere valutati con cautela ed eventualmente effettuati.
Non devono essere effettuati il vaccino contro la febbre gialla e anti-hpv.
Controindicati: virus vivi attenuati con parti di cellule batteriche e quindi BCG (anti-
tubercolare), l’orale per il tifo, herpes zoster, morbillo-parotite-rosolia e varicella, mentre
il rotavirus non è stato studiato in età adulta.
Per la prevenzione del neonato: screening punto nascita e una serie di misure preventive
come la prevenzione della morte in culla.
Gli screening neonatali più importanti sono quelli delle malattie metaboliche, in
particolar modo la Legge 167/2016 ha esteso gli screening per malattie metaboliche a
circa 40 malattie che sono:
- Malattie del metabolismo e trasporto aminoacidi
- Alterazioni congenite del trasporto delle lipoproteine
- Disturbi del ciclo dell’urea
Un altro screening introdotto tra i LEA è lo screening visivo neonatale, il test del riflesso
rosso che è anche fatto dai pediatri, ed è sostanzialmente il riflesso che vediamo nelle
fotografie e ci aiuta a capire se vi sono problemi in quello che è uno dei principali organi
che ci aiuta nella vita sociale (gli occhi; il test utilizza la trasmissione della luce da un
oftalmoscopio).

Profilassi malattie infettive


La profilassi consiste nel prevenire l’insorgenza e la diffusione delle malattie infettive.Con
la parola profilassi si indicano quegli interventi che possono essere messi in atto allo
scopo di impedire, o limitare, l’insorgenza e la diffusione delle malattie infettive nella
popolazione. Per evitare il contagio è necessario impedire che il microrganismo venga a
contatto con l’ospite recettivo, agendo sulle sorgenti e sui serbatoi di microrganismi
patogeni nonché sull’ambiente. Per impedire l’infezione occorre far sì che il patogeno
venuto a contatto con l’ospite non possa moltiplicarsi nell’organismo. In base a quanto
detto, le strategie per la prevenzione primaria possono essere:
- Scoprire e rendere inattive le sorgenti/serbatoi di microrganismi patogeni:
isolamento e contumacia, disinfezione e sterilizzazione, disinfestazione.
Interrompere le catene di trasmissione, modificando i fattori ambientali ed i
comportamenti che favoriscono la persistenza e la diffusione dei microrganismi patogeni:
bonifica dell’ambiente, modifica dei comportamenti, alimentare le resistenze alle
infezioni, immunoprofilassi e chemioprofilassi.

La profilassi generale delle malattie infettive può essere di due tipi:


DIRETTA: norme e mezzi volti a combattere gli agenti etiologici o a bloccarne l’azione.
Per profilassi diretta s’intendono i provvedimenti che si attuano in presenza di un
pericolo reale, cioè quando si sono già verificati casi della malattia, e sono indirizzati ad
impedirne la diffusione.
La profilassi diretta può essere attuata con: interventi relativi alla fonte d’infezione;
interventi relativi ai veicoli e ai vettori; interventi relativi all’individuo sano. Esse sono:
1. Denuncia o notifica: è l’atto con cui il medico notifica all’autorità sanitaria il
verificarsi di ogni caso di malattie infettive. Il medico ha l’obbligo legale di darne
immediata comunicazione all’autorità sanitaria, la comunicazione va data anche
quando si ha il sospetto o non si è certi della diagnosi. L’obbligo di notifica dei casi
di malattia infettiva è stato istituito sia ai fini statistico – epidemiologici, sia per
consentire l’intervento delle autorità sanitarie ed è eseguito da una serie di
interventi di profilassi (isolamento/contumacia,
disinfezione/sterilizzazione,disinfestazione). La notifica delle malattie infettive
viene regolamentata dall’articolo 253, in particolare del decreto ministeriale
15/12/1990, che dice che ogni medico che viene a conoscenza di qualsiasi caso di
malattia infettiva diffusiva, o sospetta tale di esserlo, deve immediatamente darne
notifica a quella che è l’autorità competente.Una volta, le malattie sottoposte a
notifica erano circa 70 adesso sono state ridotte a circa 47 suddivise in 5 classi in
base alla rilevanza epidemiologica, alla gravità, la frequenza e la possibilità di
intervento, ovviamente con tempi diversi di notifica.Ovviamente un insieme di altri
sistemi di sorveglianza delle malattie infettive oltre al SIMI (Sistema Informativo
delle Malattie Infettive) è presente a livello nazionale, in particolare, il sistema di
sorveglianza delle nuove diagnosi da infezione HIV che è regolamentata dal decreto
ministeriale 31/03/2008 e i sistemi di sorveglianza della Legionellosi, della
malattia di Creutzfeldt-Jakob o le Malattie Sessualmente Trasmesse o, ancora, le
infezioni da Meningococco e quindi tutte quelle che sono le malattie, cosiddette,
invasive.D.M SANITA’ 15 DICEMBRE 1990: “… permane l’obbligo per il medico che
nell’esercizio della sua professione venga a conoscenza di un caso di qualunque
malattia infettiva e diffusiva o sospetta di esserlo, pericolosa per la salute
pubblica, di notificarla alla autorità sanitaria competente..”O.M.S.= colera, febbre
gialla, febbri emorragiche (lassa, ebola), peste. Di particolare interesse = polio, tifo,
botulismo, difterite, influenza con isolamento virale, rabbia, tetano.
I flussi informativi saranno: medico, ASL (che farà l’indagine epidemiologica,
accertamenti di laboratorio ed eventuali provvedimenti), assessore regionale
sanità, ministero della sanità, OMS. Per quanto concerne la procedura di
notificazione prevede 5 classi:
Classe I: obbliga il medico alla notifica entro 12h per le malattie soggette al
regolamento di sanità internazionale o di particolare interesse. Si richiede
segnalazione immediata. Queste malattie sono: Colera, botulismo, febbre
gialla, febbre ricorrente epidemica, influenza con isolamento virale, febbri
emorragiche virali (febbre di Lassa, Marburg, Ebola), rabbia, peste, tetano,
poliomielite, trichinosi, tifo esantematico, difterite, la malattia di
Creutzdelft-Jakob e un insieme di sindromi correlate all’insonnia familiare
letale.
Classe II:malattie rilevanti perché ad elevata frequenza e/o possibili di
interventi di controllo. Sono soggette alla notifica entro le 48h con apposito
modulo. Queste malattie sono: Blenorragia, brucellosi, diarree infettive non
da salmonella, epatite virale A, B, NANB, epatite virale non specificata,
febbre tifoide, legionellosi, leishmaniosi cutanea, leishmaniosi viscerale,
leptospirosi, listeriosi, meningite ed encefalite acuta virale, meningite
meningococcica, morbillo, parotite, pertosse, rickettsiosi diversa da tifo
esantematico, rosolia, salmonellosi non tifoidee, scarlattina, sifilide,
tularemia, varicella.
Classe III: malattie per le quali sono richieste particolari documentazioni (es.
pazienti con hiv/aids in cui la notifica seguirà un canale differenziato per la
legge sulla privacy). Sono soggette, anch’esse, alla notifica entro le 48h.
Queste malattie sono: AIDS, lebbra, malaria, micobatteriosi non
tubercolare, tubercolosi
Classe IV:Malattie per le quali alla segnalazione del singolo caso da parte
del medico deve seguire la segnalazione dell’ASL solo quando si verificano
focolai epidemici. Sono soggette alla notifica entro 24h. Come:
Dermatofitosi(tigna), infezioni, tossinfezioni ed infestazioni di origine
alimentare, pediculosi, scabbia.
Classe V:Non sono soggette a notifiche ristrette entro un determinato arco
temporale, è necessario un rapporto annuale a quello che è il Ministero.
Sono malattie infettive e diffusive notificate all’unità sanitaria locale e non
comprese nelle classi precedenti, zoonosi indicate nel regolamento di polizia
veterinaria di cui al DPR 320/54. Come: Malattia di Lyme, zoonosi,
sindrome emolitica uremica.
Ci sono un’altra serie di sistemi di sorveglianza che sono rappresentati dal
sistema di sorveglianza delle meningiti, la legionella, malattia di Creutzfeldt-
Jakob, tossinfezioni alimentari da salmonella, la sorveglianza influnet che è
una sorveglianza virologica per quella che è l’influenza, la sorveglianza
integrata per morbillo e rosolia, a causa dell’adozione nel 2013 del piano
nazionale di eliminazione del morbillo e della rosolia congenita. Il “Modello 15”,
insieme a tutte le altre schede e tutti questi sistemi, per quella che è
l’elaborazione dei dati per stime di incidenza e prevalenza. Nel momento in cui
parte una segnalazione all’ASL/ASP viene fatta l’inchiesta epidemiologica, che
prevede una serie di interventi per ricavare informazioni (es. in un caso di
legionella si chiede al pz dove sia stato, se è stato in un centro ricreativo con
una SPA, dove c’era una piscina) su tutti gli iter, tutte le tappe e tutti i possibili
contatti e fonti di contaminazione, ovviamente anche in base alla modalità di
trasmissione della malattia infettiva in oggetto, (es. per la legionella, l’acqua) e
la sorgente di infezione, così da individuare quest’ultima, evitare il propagarsi e
il ripetersi dell’epidemia e individuare l’agente eziologico. L’inchiesta
epidemiologia deve essere eseguita tempestivamente dalle Autorità Sanitarie, in
quanto è importante fornire i dati essenziali per una prima applicazione delle
misure di profilassi. Viene attuata in seguito alla notifica di uno o più casi di
malattie e consiste nell’applicazione di metodologie epidemiologiche per
studiare la causa dell’infezione ed individuare eventuali veicoli e/o vettori.
2. Accertamento diagnostico:Serve a confermare la diagnosi o il sospetto clinico.
Diagnosi eziologica di una malattie infettiva mediante identificazione
microbiologica. Gli obiettivi sono: identificare il microrganismo responsabile,
effettuare un trattamento terapeutico adeguato, programmare misure profilattiche
adeguate. L’accertamento consiste nell’isolamento dell’agente che deve essere
identificato, da sangue, feci, urine, escreto etc. può essere fatto tramite una
ricerca diretta, e quindi sul paziente: prelievi di sangue, essudato, feci, urine, etc
(eventualmente in caso di sospetta origine batterica prima dell’inizio della terapia
antibiotica) o tramite la ricerca di antigeni e prodotti del metabolismo batterico.
Ricerca indiretta: innalzamento anticorpale, ricostruzione della catena di infezione
con l’identificazione della fonte di contagio, ricerca di eventuali portatori,
individuare i veicoli responsabili dell’infezione.
3. Isolamento e contumacia:Contumacia e isolamento sono misure di sanità
pubblica adottate quando è presente una malattia infettiva ad alta contagiosità
(es. coronavirus). I provvedimenti di isolamento e quarantena sono delle misure
che in passato venivano definite “contumaciali” e vengono disposti dalle autorità
sanitarie locali (ossia dal responsabili del dipartimento di prevenzione dell’azienda
ASP). Per contumacia/quarantena si intende l’obbligo di permanere in un
determinato luogo (ospedale o domicilio proprio) per il periodo prescritto,
osservando le prescrizioni igienico – sanitarie imposte dall’autorità sanitaria;
mentre, l’isolamento è il confinamento di un soggetto infetto all’interno di un’area
circoscritta, esso consiste nella separazione del soggetto infetto per il periodo di
contagiosità in luoghi o condizioni tali da prevenire o limitare il rischio di
trasmissione dell’agente infettivo dai soggetti infettati a quanti sono
potenzialmente suscettibili; mentre la quarantena ( o contumacia) è l’isolamento di
un soggetto sano che è stato a contatto stretto con soggetti infettati (es. i cinesi
che tornano dalla patria). La quarantena si riferisce alle restrizioni applicate ai
soggetti sani presumibilmente venuti a contatto con soggetti infettati. La
quarantena può essere:
Assoluta: detta anche completa è la limitazione della libertà di movimento a
quelle persone esposte a una malattia contagiosa per un periodo di tempo
corrispondente a quello di incubazione;
Modificata: limitazione parziale decisa sulla base di differenze note o
presunte nella suscettibilità e legata al pericolo di trasmissione della
malattia (allontanamento dei bambini dalla scuola, segregazione dei militari
nelle caserme e la sorveglianza sanitaria).
Infine, vi è un altro tipo di isolamento, detto protettivo, che viene fatto per i
pazienti immuno-compromessi. Il CDC raccomanda che tutto quello che viene in
contatto col paziente sia sterile e in alcune forme più rigorose, in cui c’è una
prolungata granulocitopenia, c’è la disinfezione e sterilizzazione di tutti gli oggetti,
l’utilizzo di acqua sterile e l’uso di alimenti a bassa carica microbica.
4. Disinfezione e disinfestazione.
INDIRETTA: risanamento dell’ambiente di vita ed aumento delle difese dell’individuo. Per
profilassi indiretta, invece, s’intendono i provvedimenti che possono essere indirizzati
all’ambiente fisico e sociale allo scopo di correggerlo, bonificarlo e renderlo inadatto alla
persistenza e all’insediamento degli agenti infettanti; si tratta quindi di provvedimenti di
prevenzione adottabili anche in assenza di casi di malattia. Essa è:
1. Profilassi specifica (chemio ed immunoprofilassi).

La sorveglianza sanitaria è l’insieme degli accertamenti sanitari (visita, esami


strumentali, esami ematochimici, tossicologici ecc) svolti dal Medico Competente
finalizzati alla tutela dello stato di salute e alla sicurezza dei lavoratori in base ai rischi a
cui sono esposti, all’ambiente in cui sono inseriti e al tipo di attività svolta. La
sorveglianza sanitaria si occupa di ricerca giornaliera, in conviventi e contatti di un
paziente affetto da malattia trasmissibile, di segni e sintomi riferibili (difterite) ad essa e
può riguardare anche persone provenienti da paesi con epidemie in corso
Una volta, nelle prime raccomandazioni del ’70, l’isolamento veniva classificato in base
alle modalità di trasmissione delle malattie (es. isolamento enterico, isolamento aereo,
eccetera…). Successivamente, a causa della diffusione anche dell’HIV, le precauzioni di
isolamento sono state trasformate in quelle che sono le attuali precauzioni universali che
si devono effettuare per tutti.
La bonifica è un altro intervento di sanità pubblica è l’insieme dei processi e degli
interventi sull’ambiente fisico e sociale per diminuire i casi di malattia.
Es. la potabilizzazione delle acque, regolamentata dal D. Lgs 31/2001 che afferma che il
gestore della rete idrica è tenuto alla verifica di parametri chimici e microbiologici, questi
ultimi devono essere pari 0, mentre i primi hanno delle soglie che vanno rispettate;
raccolta e trattamento dei rifiuti liquidi urbani, eradicazione della malaria dall’europa
grazie al trattamento periodico, nelle aree dell’endemia, degli ambienti domestici e dei
rifugi naturali della zanzara anopheles.

Flussi di notifica speciali:


1. Epatite A-B-C-D-E: Inviare la scheda di notifica via fax e compilare il questionario
SEIVA entro 48 ore, entro 12 ore per l’Epatite A e B.
2. Infezione HIV: In caso di infezione da HIV la scheda, in busta chiusa e sigillata e in
triplice copia, deve essere inviata entro 48 ore dall’osservazione del caso. Una copia
compilata deve rimanere al medico notificatore.
3. Malattie da vettori: Chikungunya – Dengue - West Nile. I casi possibili di malattia di
West Nile e i casi probabili di Chikungunya – Dengue - trasmesse da vettori devono
essere comunicate entro 12 ore al Servizio di Igiene e Sanità Pubblica (Direzione Medica
per le sedi ospedaliere) competente. Se il caso viene confermato rinviare la scheda di
notifica aggiungendo nelle note “già segnalato come sospetto”.
4. Malattia di Creutzfeldt-Jakob: La scheda speciale del caso sospetto di malattia
Creutzfeldt-Jakob va inviata entro 48 ore al Servizio di Igiene e Sanità Pubblica
(Direzione Medica per le sedi ospedaliere), che provvederà ad inviarla alla Direzione
Prevenzione della Regione Veneto, al Ministero della Salute Ufficio Malattie Infettiva,
all’Istituto Superiore di Sanità Laboratorio di Virologia, Reparto di Malattie Degenerative
del Sistema Nervoso ad Eziologia Virale.
5. Legionellosi: In caso di legionellosi inviare scheda di notifica e scheda di flusso
speciale al Servizio Igiene Pubblica (Direzione Medica per le sedi ospedaliere) entro le 48
ore via fax, entro le 24 ore in caso di focolai di legionellosi. Inviare i ceppi clinici sospetti
di legionella per tipizzazione e conferma all’ISS:
6. Malaria: Per la malaria, va inviata la scheda di notifica di malattia infettiva + la scheda
specifica compilata in tutte le sue parti, entro 48 ore al Servizio di Igiene e Sanità
Pubblica (Direzione Medica per le sedi ospedaliere); quest’ ultimo provvederà ad inviarle
insieme ai vetrini relativi alla conferma diagnostica al Ministero della Salute.
7. SARS: La scheda di segnalazione di caso sospetto va inoltrata con urgenza a:
– Servizio di Igiene e Sanità Pubblica, Direzione Medica Ospedaliera e Ministero della
Salute.
8. Tubercolosi e micobatteriosi non tubercolari. La scheda di notifica va inviata sempre
dal Reparto/Servizio che osserva il caso entro 48 ore insieme alla scheda di sorveglianza
speciale, al Servizio Igiene Pubblica della Azienda Ulss 20 (Direzione Medica per le sedi
ospedaliere).
9. Virus Influenzali: forme gravi, complicate e decessi da virus influenzali
Casi confermati di influenza da virus A H1/N1, con gravi complicanze quali insufficienza
respiratoria acuta e sindrome da distress respiratorio, vanno immediatamente segnalati
al Servizio di Igiene Pubblica e Medicina Preventiva dell’ULSS 20 (Direzione Medica per le
sedi ospedaliere) che provvederà ad inoltrarla alla Regione.
IGIENE
PROF. SQUERI

IMMUNOPROFILASSI O PROFILASSI IMMUNITARIA


La profilassi delle malattie infettive comprende, oltre agli interventi sulla fonte di
infezione e sulle vie di trasmissione (veicoli e vettori, in particolare), un altro importante
intervento: sull’individuo sano, o, meglio, non ancora infetto e sensibile alla malattia. Gli
interventi sull’individuo “sano” e “sensibile” sono interventi specifici, ossia mirati contro
singole malattie, per cui si parla di profilassi diretta specifica. L’obiettivo della profilassi
diretta specifica è quello di rendere l’individuo più resistente a particolari infezioni,
limitando così anche la diffusione nella popolazione della malattia contro cui è diretto
l’intervento profilattico. Questo obiettivo può essere raggiunto:
1. Con la profilassi immunitaria o immunoprofilassi, ossia aumentando le difese
immunitarie dell’individuo;
2. Con la chemioprofilassi, fornendo all’individuo una difesa “chimica” consistente
nella somministrazione di sostanze chimiche ad azione anti – microbica.
La profilassi la dividiamo in tre tipologie:
Profilassi diretta: provvedimenti diretti alle persone per contenere la fonte di infezione
(isolamento del malato). Denuncia o notifica, accertamento, isolamento e contumacia,
disinfezione/sterilizzazione, disinfezione.
Profilassi indiretta: interventi rivolti all’ambiente (bonifica dell’ambiente). La profilassi si
svolge mediante interventi che non agiscono direttamente sul contagio, sull’infezione e
sulla malattia. Bonifica dell’ambiente e modificazione dei comportamenti.
Profilassi immunitaria: conferimento di uno stato di resistenza specifica verso singoli
microrganismi (es. vaccinazioni).
Essa è così suddivisa.

IMMUNOPROFILASSI

IMMUNITA’ ACQUISITA

NATURALE ARTIFICIALE

ATTIVA PASSIVA ATTIVA PASSIVA

INFEZIONE/ IMMUNITA’ VACCINOPROFILASSI SIEROPROFILASSI


MALATTIA MATERNA

L’immunoprofilassi comprende una immunità artificiale e riguarda:


- Vaccinoprofilassi o immunoprofilassi attiva;
- Sieroprofilassi o immunoprofilassi passiva.
Vaccinoprofilassi: si cerca di ottenere una immunità attiva: la somministrazione del
vaccino stimola il sistema immunitario dell’individuo a produrre anticorpi.
L’immunoprofilassi attiva è divisibile in:
Naturale: superamento di un’infezione cioè naturalmente il paziente ha
un’infezione e la supera produce cellule di memoria e sviluppa una risposta
immunitaria.
Artificiale: somministrazione di o agenti infettivi nel loro complesso, o di
componenti, o di antigeni che hanno perso il loro potere patogeno ma sono ancora
immunogeni cioè in grado di dare risposta immunitaria nell’organismo.
L’immunità attiva artificiale, che si ottiene con i vaccini, dura a lungo (anni), ma la
protezione diventa efficace solo dopo 15-20 giorni dalla vaccinazione, tempo necessario
per l’attiva produzione degli anticorpi. Lo scopo della vaccinoprofilassi è quello di
provocare una immunità attiva simile a quella che si acquisisce spontaneamente
superando una malattia infettiva, evitando, tuttavia di ammalarsi. Questo duplice
obiettivo viene raggiunto attraverso la vaccinazione, ossia attraverso la somministrazione
di un preparato chiamato vaccino. Un vaccino è un preparato biologico in grado di
indurre uno stato di immunità attiva specifica contro determinati microrganismi
patogeni. Agisce attivando meccanismi naturali e per questo è per lo più innocuo ed
efficace. E’ costituito da germi patogeni o tossine (responsabili di una determinata
malattia infettiva) resi innocui con opportuni trattamenti, ma che sono ancora in grado
di agire come antigeni, ossia di stimolare l’organismo in cui vengono introdotti a produrre
attivamente anticorpi in grado di bloccare la loro azione patogena. Il primo vaccino fu
“inventato” nel 1796. Jenner aveva notato che le persone che avevano contratto il vaiolo
vaccino (cioè bovino), malattia mortale per i bovini ma lievi nell’uomo, non si
ammalavano di vaiolo umano, durante le gravi epidemie che si verificavano a quell’epoca.
Egli pensò che, infettando un individuo sano con “vaccino”, ossia con materiale infetto
proveniente dai bovini malati di vaiolo vaccino, lo avrebbe reso immune dal vaiolo
umano. Fu così che venne introdotta la pratica della “vaccinazione” antivaiolosa:
inoculazione di materiale infetto per prevenire infezioni più gravi. A quei tempi non si
conoscevano gli anticorpi; comunque, quello che fece Jenner non fu altro che introdurre
degli antigeni (i virus del vaiolo vaccino) in grado di stimolare la produzione di anticorpi
capaci di neutralizzare l’azione del virus del vaiolo umano, provocando solo una piccola
lesione localizzata. Il termine vaccino viene attualmente utilizzato per indicare tutti i
preparati in grado di determinare una immunità specifica contro una determinata
malattia nei soggetti ai quali viene somministrato.
Bisogna vaccinarsi per:
- Proteggersi da importanti malattie infettive;
- Per proteggere i soggetti a rischio;
- Per eliminare/eradicare pericolose malattie infettive;
- Perché i rischi di un’infezione sono di gran lunga superiori a quelli della
vaccinazione;
- Per ridurre o ritardare la gravità di un’infezione appena contratta.
Bisogna vaccinare:
- Bambini;
- Soggetti a rischio per particolari patologie o condizioni fisiche (anziani, malati);
- Categorie di lavoratori esposte a un determinato rischio biologico;
- Soggetti il cui ruolo è di importanza sociale rilevante (operatori sanitari) o che
possono essere loro stessi fonte di contagio per soggetti più a rischio (conviventi);
- Coloro che vivono in comunità a rischio;
- Adolescenti per malattie sessualmente trasmesse o che possono compromettere
una gravidanza.
Gli effetti delle vaccinazioni:
- Protezione diretta dell’organismo verso la malattia corrispondente al vaccino
utilizzato;
- Protezione indiretta dei soggetti che hanno contatto con il vaccino in quanto
quest’ultimo non diffonde i microrganismi patogeni verso i quali è stato vaccinato.
Un vaccino è costituito da germi o tossine che provocano una determinata malattia, resi
innocui con particolari procedimenti per poter essere introdotti nell’organismo senza
provocare danni, ma tuttavia ancora in grado di stimolare la produzione di anticorpi
(ossia di agire come antigeni) in grado di impedire l’insorgenza della malattia. L’innocuità
dei germi (o delle tossine) può essere ottenuta in vari modi per cui possiamo distinguere
vari tipi di vaccini in base alla loro costituzione:
 Vaccini costituiti da germi viventi e attenutati: Sono costituiti da virus o
batteri che mantengono la capacità di moltiplicarsi nell’organismo del vaccinato,
stimolando le sue difese immunitarie senza provocare malattia. Si ottengono con
ripetuti passaggi in terreni di coltura o in colture cellulari. I principali vaccini a
germi viventi attenutati sono il vaccino antipolio (vaccino orale Sabin); il vaccino
antitubercolare BCG; il vaccino antivaioloso; vaccino antitifico (viene a essere
prodotto da un ceppo che è il TY21A che viene a essere attenuato, è un preparato
liofilizzato, deve essere assunto a giorni alterni in capsule una settimana prima di
partire per i paesi endemici), vaccino MPRR. Questi vaccini sono i più efficaci ma,
essendo costituiti da germi viventi (anche se attenutati), non devono essere
somministrati a soggetti immuno – deficienti o immunodepressi, che non sono in
grado di combattere neanche iniezioni da germi attenuati. Ove necessario, per
questi soggetti, vanno utilizzati vaccini a germi uccisi;
 Vaccini costituiti da germi uccisi: sono detti anche vaccini “inattivati” e sono
costituiti da virus o da batteri. Si ottengono uccidendoli con mezzi fisici, chimici
che ne rispettano l’integrità antigenica. I vaccini a germi uccisi possono essere
ottenuti col calore (65° C per un’ora) o con disinfettanti: acetone, fenolo, formolo.
Fanno parte di questo gruppo di vaccini il vaccino antipolio salk; antiinfluenzale,
anticolerico, antitifo-paratifo A e B, anti rabbico, pertosse). Hanno una efficacia
minore rispetto a quelli vivi però più sicuri e magari possono usarli in soggetti con
deficit del sistema immunitario. L’uccisione può essere fatta con mezzi: FISICI:
calore (60-65°C per 1 ora), raggi UV, ultrasuoni; CHIMICI: fenolo, alcool, etere,
acetone, formolo.
 Vaccini costituiti da tossine neutralizzate (anatossine): Le anatossine si
ottengono trattando il ceppo batterico che produce le tossine con il calore (37-
40°C) e il formolo (0,5%) per circa 40-45 giorni. Vaccini costituiti da anatossine
sono quello antitetanico e quello antidferico. Usati quando gli effetti patogeni del
microrganismo sono principalmente dovuti alla produzione di tossina.
Preparazione: Si raccolgono i filtrati di coltura del batterio dopo sufficiente
sviluppo; si trattano con formalina al 4 per mille (denaturazione delle proteine); si
incuba a 38-39°C per 30-40 giorni. Esempi di Vaccini costituiti da anatossine:
Anatossina tetanica (la tossina tetanica insieme alla botulina viene anche
chiamata neurotossina, tra l’altro tra i più potenti veleni biologici, che entrambe
agiscono sul sistema nervoso nel caso di teanica si ha paralisi spastica nell’altro
paralisi flaccida e tutti e due danno arresto respiratorio target molto ristretto
d’azione, anche la colerica perché solo ai ganglosidi degli enterociti);
Anatossina difterica (la tossina difterica è pantropa non ha un recettore specifico
ed in teoria può legarsi a tutti i tipi cellulari e porta rapidamente a morte della
cellula per blocco della sintesi proteica perché si blocca il fattore di elongazione
della catena e la locazione più frequente sono le vie aeree, dove si forma tessuto
necrotico che blocca le vie aeree superiori e porta a morte per soffocamento)
 Vaccini costituiti da antigeni estratti da germi: tra i vaccini costituiti da
componenti isolate dei microrganismi, ricordiamo quello anti – pneumococcico,
costituito dai polisaccaridi dei vari gruppi di pneumococchi.
 Vaccini costituiti da frazioni batteriche: Utilizzano solo “porzioni” subcellulari
di batteri che presentino elevata capacità immunogenica ad esempio:
POLISACCARIDI CAPSULARI perchè la capsula ha un principale ruolo nella
virulenza. Stimolano la produzione di anticorpi anticapsulari che agiscono da
opsonine rendono il microrganismo visibile ai macrofagi facilitando la facocitosi.
Come nel caso della meningite che viene fatta dallo meningococco o pneumococco.
Esempi di Vaccini costituiti da frazioni batteriche: Polisaccaridi di NEISSERIA
MENINGITIDIS; Polisaccaridi di STREPTOCOCCUS PNEUMONIAE (POLIVALENTE
con i materiali capsulari dei principali sierotipi di pneumococco);Polisaccaride
capsulare di HAEMOPHILUS INFLUENZAE di tipo b (causa anche questo
meningite).
Le tecniche del DNA ricombinante sono state utilizzate per individuare i determinanti
genetici degli antigeni protettivi di virus – batteri – protozoi e produrli in grande quantità
in un sistema ospite di facile moltiplicazione. Il vaccino dell’epatite B si ottiene clonando
il gene dell’antigene HbsAg nel lievito Sacharomyces Cerevisiae.
 Vaccini anti idiotipo: Sono vaccini costituiti da anticorpi monoclonali diretti
contro la parte dell’antigene che stimola la produzione di anticorpi neutralizzanti
(idiotipo). I determinanti idiotipici della regione variabile degli anticorpi sono in
grado di stimolare a loro volta la produzione di anticorpi. I vaccini antidiotipo
potrebbero avere il vantaggio di non suscitare reazioni collaterali o allergiche.
 Vaccini polivalente: è un vaccino in cui sono presenti contemporaneamente più
tipi dello stesso microrganismo, ad esempio il vaccino antipolio è polivalente
perché contiene tutti e tre i virus poliomielitici: virus polio 1,2,3; oppure i vaccini
antinfluenzale, che contengono virus influenzali di tipo A e B.
 Vaccini combinati: poiché il sistema immunitario è capace di riconoscere e di
reagire contemporaneamente a diversi antigeni, è possibile somministrare più
vaccini combinati assieme. Sono vaccini verso malattie diverse che vengono
somministrati contemporaneamente. Hanno un duplice vantaggio: un vantaggio
operativo (ottenere la vaccinazione verso più malattie con un’unica
somministrazione) e un vantaggio individuale, perché l’associazione di più vaccini
permette di ottenere un livello di anticorpi maggiore di quello provocato dai vaccini
somministrati singolarmente. Esempio: il DT (anti-difterico ed antitetanico), il DTP
(antidifterico, antitetanico, antipertosse) e il TAB (antitifico e paratifico A e B), MPR
(morbillo, parotite, rosolia). Quando i vaccini diversi non possono essere combinati
in una unica preparazione perché sono incompatibili o perché vanno
somministrati per vie diverse, si può effettuare la somministrazione nella stessa
seduta vaccinale.
 Vaccino adsordito: quando introduciamo un vaccino l’organismo può, a volte,
assorbirlo ed eliminarlo molto velocemente, per cui il sistema immunitario non
viene stimolato abbastanza a lungo e non si ottiene una sufficiente produzione di
anticorpi. Per ritardarne l’eliminazione, è possibile “legare” o, meglio, adsorbire il
vaccino su particolari materiali, come l’idrossido di alluminio. L’idrossido di
alluminio permette una lente eliminazione del vaccino ed una stimolazione
continua e prolungata nel tempo del sistema immunitario, con un miglioramento
della risposta anticorpale.
RICORDA: i vaccini sono costituiti da:
- Principio attivo: antigene immunizzante;
- Stabilizzanti: gelatina – albumina;
- Conservanti;
- Antibiotici;
- In molti casi adiuvanti: sostanze che associate all’antigene potenziano
l’immunogenicità. Adiuvanti particolari (idrossido e Sali di alluminio); adiuvanti
non particolari (citochine, tossine batteriche).
L’immunoprofilassi attiva è maggiormente auspicabile perché il vaccino, che è un
preparato biologico che viene ad essere iniettato, conferisce uno stato di immunità che è
in genere duratura nel tempo. Il vaccino deve rispondere a dei requisiti fondamentali:
- Specificità: si devono individuare determinanti antigenici specifici;
- Protezione: i determinanti antigenici devono indurre immunità protettiva;
- Immunogenicità: la formulazione deve indurre il sistema immunitario a montare
una risposta effettrice, nella sede idonea.
- Induzione di memoria immunologica: la risposta immunitaria deve portare alla
costituzione di memoria immunologica di lunga durata, anche in ambiente
antigeni-free.
- Deve conferire protezione;
La resistenza specifica del vaccino è attiva dopo circa 3 settimane e raggiungerà il
massimo dopo alcuni mesi dalla somministrazione del vaccino. La durata è variabile da:
- 1 anno (vaccino influenzale);
- 10 – 20 anni (vaccini vivi e attenutati MPR e POLIO).
Dose di richiamo “booster”: massimo dell’immunità dopo alcuni giorni “memoria
immunitaria”. La vaccinazione andrà generalmente effettuata con anticipo adeguato
rispetto all’esposizione. Il booster deve essere un pochino anticipato rispetto a quella che
è la data di scadenza (es. se mi vaccino il 31/12/2019, non dovrò vaccinarmi
nuovamente il 31/12/2020, ma un po’ prima).
A volte è necessaria una dose booster (es. ADTP), deve essere facile per l’impiego e ben
tollerato.
La vaccinazione è un requisito non solo individuale ma anche della collettività per
proteggere anche chi non si può vaccinare o perché allergico o perchè immuno-
compromesso. È necessario vaccinare il 95% della popolazione per ottenere l’immunità di
gregge e quindi ridurre la possibilità di trasmissione.
Le vie di somministrazione dei vaccini sono varie: ogni vaccino è in grado di ottenere
una miglior risposta anticorpale con una delle modalità di introduzione, mentre le altre
possono risultare meno efficaci oppure possono facilitare l’insorgenza di fenomeni
allergici o, ancora, reazioni troppo violente. In genere si tende a “concentrare” la
somministrazione dei vaccini obbligatori in modo da ridurre l’impiego per il personale:
così, oltre ai vaccini associati (somministrati con una sola iniezione), si cerca anche di
effettuare vaccinazioni contemporanee o simultanee, somministrando due vaccini diversi
per due vie diverse in un’unica seduta. Le vie di introduzione utilizzate sono le seguenti:
- Via percutanea o per scarificazione: usata per l’antivaiolosa e il BCG
(antitubercolare). È la più superficiale, indicata per i vaccini che danno forti
reazioni locali;
- Intradermica: anticolerica, BCH. Nel derma possono essere introdotte solo piccole
quantità di vaccino, per la compattezza del tessuto. In questa via viene utilizzato
spesso il jet – injector, una specie di pistola ad aria compressa, che funziona senza
aghi e non necessita di sterilizzazione dopo ogni somministrazione, con notevole
risparmio di personale;
- Via sottocutanea: tab e antitenica. Consente di introdurre maggiori quantità di
vaccino;
- Intramuscolo: è la via preferita per i vaccini adsorbiti; anche qui è possibile
introdurre una buona quantità di vaccino, ad es. DT. Il sito da preferire è il
deltoide negli adulti, nei bambini entro l’anno di età si preferisce il vasto – laterale
della coscia.
- Orale: antipolio, antitifica con salmonelle vive attenuate ecc. Questa via cerca di
riprodurre quello che avviene nella malattia: il vaccino viene somministrato per la
via naturale di penetrazione dei germi patogeni. In questo modo si può ottenere
anche una protezione locale, intestinale, per la produzione di Ig A, che si ritrovano
nelle secrezioni dell’apparato digerente.
- Inalatoria: ha gli stessi vantaggi del vaccino orale ma è poco usato;
- Endovenosa: non per la profilassi, ma per la terapia di alcune malattie, come il tifo
o la brucellosi (vaccinoterapia).
La somministrazione di un vaccino è controindicata quando il soggetto da vaccinare
potrebbe essere danneggiato dal vaccino stesso, ossia per soggetti:
- Affetti da disturbi cerebrali e malattie nervose croniche;
- Affetti da tumori maligni;
- Sottoposti a terapie immuno-depressive o antitumorali che alterano le difese
immunitarie;
- Affetti da immunodeficienza congenita o acquisita (ad esempio, l’AIDS), anche per
effetto di chemioterapia o radioterapia;
- In gravidanza (è consentita solo una vaccinazione: l’antitetanica, a partire dal 5°-
6° mese).
In particolare, non devono essere effettuate vaccinazioni con virus vivi attenuati
(antipolio Sabin, ecc.) nei casi 2-3-4 e 5. Se necessario, si scelgano in questi casi vaccini
con virus uccisi (antipolio Salk ecc.).
I vaccini non devono inoltre essere somministrati durante o in seguito a malattie infettive
acute e febbrili, perché la malattia in corso potrebbe interferire con l’attecchimento dei
germi del vaccino: ad esempio, il vaccino antipolio può non attecchire se somministrato a
soggetti affetti da diarrea, gastroduodeniti ecc., perché questa malattia potrebbe
ostacolare l’attecchimento del virus vaccinale nell’intestino.
Le vaccinazioni devono essere effettuate secondo un preciso calendario, che prevede, per
ogni vaccino, più somministrazioni distanziate tra loro nel tempo e ripetute talora a
distanza di anni, per ottenere una protezione efficace e duratura.
Possiamo distinguere:
- Una vaccinazione di base, in due, tre somministrazioni a 20-30 giorni di distanza
l’una dall’altra (per alcuni vaccini è sufficiente una sola somministrazione);
Una vaccinazione di rinforzo a 6 – 12 mesi dalla prima, per ottenere elevati livelli
anticorpali. Effettuate queste due (base e rinforzo), la vaccinazione è completa; tuttavia,
per ristabilire buoni livelli anticorpali, per alcuni vaccini è opportuno effettuare, dopo
alcuni anni:
- Vaccinazioni di richiamo.
Le vaccinazioni obbligatorie in Italia fino al 2017 erano:
- Antipoliomielitica: legge 4 febbraio 1966 n.51
- Antidferica: legge 6 giugno 1939 n.891;
- Antitetanica: legge 20 marzo 1968 n.419;
- AntiepatiteB: legge 27 maggio 1991 n.165

Le vaccinazioni obbligatorie oggi sono 10. Per i minori di età compresa tra 0 e 16 anni
sono obbligatorie e gratuite – in base alle specifiche indicazioni del calendario vaccinale
nazionale relativo a ciascuna coorte di nascita.
1. La vaccinazione anti-poliomielitica;
2. La vaccinazione anti – difterica;
3. La vaccinazione anti – tetanica;
4. La vaccinazione anti – epatite B;
5. La vaccinazione anti – pertosse;
6. La vaccinazione anti – haemophilus influenzae tipo B;
7. La vaccinazione anti – morbillo;
8. La vaccinazione anti rosolia;
9. La vaccinazione anti – parotite;
10. La vaccinazione anti – varicella
RICORDA: Le prime 6 vaccinazioni sono: vaccinazioni obbligatorie per via permanente. Le
successive 4 sono vaccinazioni obbligatorie sino a diversa e successiva valutazione.
Il primo calendario vaccinale aveva poche vaccinazioni indicate, oltre alla classica
esavalente, avevamo la trivalente MPR (morbillo, parotite e rosolia), lo pneumococco che
ai tempi era PCV 7 (adesso abbiamo PCV 13 e 23 sierotipi), la varicella e l’influenza.
A poco a poco sono aumentate con l’aggiunta della vaccinazione anti-HPV e
antimeningococcica.
Nel nuovo piano vaccinale 2017-2019 il soggetto al 3°, 5° e tra 11°/13° mese di vita deve
effettuare la vaccinazione con esavalente che risulta essere obbligatoria.
Eventualmente alla nascita, se la madre è HBsAg positiva, deve effettuare la vaccinazione
per Epatite B.
 La vaccinazione MPR (o MPRV vaccino combinato) tra il 13° e il 15° mese di vita e
al 5°/6° anno di vita con il richiamo. Si tende a separare MPR e V soltanto se il
soggetto ha una storia di convulsioni febbrili in famiglia.
 Poi la vaccinazione del Meningococco B da effettuare in 4 dosi, nei bambini <1
anno perché negli adulti varia il calendario, dove la vaccinazione va effettuata in
tre dosi a distanza di un mese. La prima dose parte dal 61° giorno di vita, cioè dal
terzo mese di vita del bambino, possiamo vaccinarlo con l’esavalente, dopo 15
giorni dall’esavalente di può effettuare la prima vaccinazione con il meningococco
B, la seconda deve essere distanziata di 30 giorni dalla prima.Quindi il calendario
vaccinale è fatto in modo tale che entro il secondo anno di vita vengono coperte
esavalente, meningococco B, meningococco C che in realtà è ACWY perché è
diventato gratuito anche il meningococco tetravalente che poi deve essere
richiamato in età adolescenziale tra il 12° e il 18° anno, ma in Sicilia è gratuito
fino ai 30 anni.
 Per quanto riguarda a vaccinazione per HPV è fortemente raccomandata ma non
obbligatoria, raccomandata a maschi e femmine a partire dagli 11 anni e 1 giorno
e si può fare fino a 26 anni. Vi è una risposta diversa tra l’età adolescenziale e l’età
adulta, la gratuità rimane fino a 26 anni, dai 26 ai 45 anni in co-payment, a meno
che avete, secondo il decreto regionale, una prescrizione dal ginecologo o dal
vostro medico curante (ma lo accettano solo alcuni) o dal dermatologo, cioè se
siete soggetti a rischio, ad esempio se avete contratto un altro ceppo di HPV ad
alto rischio.
 La vaccinazione per il rotavirus si può fare soltanto in età pediatrica, e si può fare
per via orale o intramuscolare, nel calendario vaccinale regionale si fa per via orale
così nella stessa seduta delle due intramuscolari. Viene effettuata la prima dose
entro il 105° giorno di vita e la seconda dose entro e non oltre il 168° giorno di
vita, quindi entro 24 settimane di vita.
 Lo pneumococco si fa in età pediatrica con la forma 13valente e nei soggetti >64
anni nella forma 23valente, si effettua a tutti i soggetti che hanno delle condizioni
di rischio.
 Le vaccinazioni morbillo-parotite-rosolia sono obbligatorie ma è da ricordare che
devono essere somministrate al 13°/15° mese di vita e poi verso i 5/6 anni di età.
Tutte le vaccinazioni sono gratuite e attivamente offerte dalle Regioni e dalle
province autonome, in base alle indicazioni del calendario vaccinale relativo
all’anno di nascita. Quindi:
- Ai nati dal 2012 al 2016: sono offerte gratuitamente le vaccinazioni anti –
meningococcica Ce anti – pneumococcica;
- Ai nati dal 2017 ad oggi: sono offerte gratuitamente le vaccinazioni anti –
meningococcica B, anti – meningococcia C, anti – pneumococcica e anti –
rotavirus.
Ai nati dal 2001 al 2016 devono essere somministrate le vaccinazioni contenute nel
calendario vaccinale nazionale relativo a ciascun anno di nascita. Precisamente:
- I nati dal 2001 al 2004: devono effettuare (ove non abbiano già provveduto) le
quattro vaccinazioni già imposte per legge (anti epatite B; Anti tetano; anti
poliomielite; anti difterite) e l’anti morbillo, l’anti parotite; l’anti rosolia; l’anti
pertosse e l’anti haemophilus influenzae tipo b. Raccomandate dal piano nazionale
vaccini 1999-2000;
- I nati dal 2005 al 2011: devono effettuare, oltre alle 4 vaccinazioni già imposte per
legge, anche l’anti morbillo, l’anti parotite, l’anti rosolia, l’anti pertosse e l’anti
haemophilus influenzae tipo b, previsti dal calendario vaccinale incluso nel piano
nazionale vaccini 2005 – 2007.
Prendendo in considerazione però, la popolazione adulta, alcune vaccinazioni sono
obbligatorie per determinate categorie di persone e di lavoratori:
- La vaccinazione antitetanica è obbligatoria, oltre che per tutti gli sportivi affiliati al
CONI, per i lavoratori agricoli, i metalmeccanici, gli operatori ecologici, gli stradini,
i minatori, gli sterratori etc.
- La vaccinazione anti-meningococcica, anti – tifica, anti difto-tetanica, anti morbillo
– parotite –rosolia sono obbligatorie per tutte le reclute all’atto dell’arruolamento.
- La vaccinazione dell’epatite B (obbligatoria), l’influenza, morbillo-parotite-rosolia,
la varicella, difterite-tetano-pertosse e la meningococcica (fortemente
raccomandate). La vaccinazione anti tubercolare è stata limitata dal decreto del
2001 a solo coloro che lavorano con ceppi multi-resistenti e in ambienti ad alto
rischio. Sono obbligatorie per gli operatori sanitari.
Le vaccinazioni consigliate sono:
- Haemophillus influenzae;
- Influenza A,B,C;
- Morbillo;
- Parotite;
- Rosolia.
POLIO: Esistono due vaccini anti – poliomielite:
1. Salk: virus ucciso somministrazione intramuscolo;
2. Sabin: virus vivo ed attenuato somministrazione orale. La possibile insorgenza di
poliomielite paralitica da vaccino, ha generato un cambiamento nella strategia di
vaccinazione (1 caso su un milione di vaccinati).
Oggi si fa il vaccino Salk. Fino al 1999 il ciclo vaccinale per la polio era così suddiviso
1°/2°/3°/4° dose orale; dal 1999 fino a Giugno 2002 1°/2° dose intramuscolo 3°/4° dose
orale; oggi 1°/2°/3°/4° dose intramuscolo. Questo vaccino consente di ridurre la paralisi
flaccida e di continuare i vantaggi del vaccino Sabin che viene somministrato per le dosi
successive di richiamo.
VAIOLO: in Europa è stato dichiarato debellato nel 2000, è ancora endemico in
Afghanistan, Nigeria, Pakistan. In Italia l’ultimo caso è avvenuto nel 1982.
È fondamentale la vaccinazione obbligatoria in quanto:
- È un intervento collettivo creando un’immunità di massa;
- Uniformità di azione nel territorio;
- Parità di trattamento per tutti i cittadini;
- Assunzione responsabilità statale in caso di danni irreversibili.
ANTI – PAPILLOMAVIRUS: Dal gennaio del 2008 le bambine nate nel 1997 potranno
sottoporsi alla vaccinazione contro il papillomavirus (HPV). La vaccinazione anti – HPV
sarà consigliata, prima dell’inizio dei rapporti sessuali, ma non obbligatoria, per tutte le
donne di età compresa tra i 12 ed i 25 anni, ma in questa prima campagna la gratuità
del vaccino sarà garantita soltanto alle bambine di 11-12 anni. Le donne che hanno
un’età compresa tra i 13 ed i 25 anni, potranno ricorrere alla vaccinazione individuale (il
vaccino può essere acquistato in farmacia a proprie spese). La risposta immunitaria nella
fascia di età compresa tra 9-13 anni (target primario secondo l’OMS), risulta maggiore di
quella osservata nelle donne tra i 16 e 26 anni. Le patologie causate dal papilloma virus
di tipo 6,11,16,18,31,45,52,58 includono lesioni precancerose dei genitali femminili (collo
dell’utero, vagina e vulva); lesioni precancerose dell’ano e condilomi genitali in maschi e
femmine; cancro del collo dell’utero e dell’ano. L’HPV 16 e 18 sono responsabili di circa:
- Il 70% dei casi di cancro del collo dell’utero;
- Il 75-80% dei casi di cancro dell’ano;
- Il 70% delle lesioni precancerose correlate a HPV della vulva e della vagina;
- Il 75% delle lesioni precancerose correlate a HPV dell’ano.
Attualmente sono presenti sul mercato:
- Vaccino bivalente: ormai in disuso, HPV 16-18 (CERVARIX);
- Vaccino quadrivalente: HPV 16-18-6-11 (GARDASIL) che include anche i tipi
maggiormente responsabili di condilomi ano – genitali (6-11);
- Vaccino nonavalente: HPV 6-11-16-18-31-33-45-52-58 (GARDASIL 9)
L’obbligatorietà vaccinale è scaturita dalla riduzione della copertura vaccinale per i
vaccini facoltativi questo legato a varie condizioni:
- Scarsa consapevolezza degli effetti benefici per la salute, individuale e collettiva,
derivanti dalla somministrazione dei vaccini;
- Ridotta percezione dei rischi legati alle malattie infettive, proprio grazie al successo
dei programmi vaccinali;
- Diffondersi di teorie del tutto prive di fondamento scientifico che mirano ad
enfatizzare la gravità e la frequenza degli eventi avversi da vaccinazione;
- Falsa correlazione tra i vaccini e l’insorgere di alcune patologie (ad es. l’autismo) e
conseguente timore dei genitori di sottoporre i propri figli a vaccinazione;
- Diffondersi di movimenti di opposizione alle vaccinazioni per motivi ideologici o per
altri interessi (no- vax).
- Aumento dei casi di malattie infettive in fasce di età diverse da quelle classiche
(per es. negli adulti) e quadri clinici più gravi, con maggiore ricorso
all’ospedalizzazione;
- Verificarsi di casi di infezione da virus della rosolia in donne in gravidanza con
rischio di infezioni del feto (tra le possibili conseguenze: sindrome della rosolia
congenita, parto – pre termine, aborto spontaneo o terapeutico);
- Ricomparsa di malattie infettive che erano sotto controllo, spesso accompagnata
da ritardi nella diagnosi proprio per la difficoltà di riconoscere agevolmente quadri
clinici raramente o mai incontrati nella pratica clinica;
- Aumento dei costi sanitari e sociali legali al diffondersi delle malattie,
all’incremento dell’ospedalizzazione e degli eventuali esiti invalidanti.

Vi è, nonostante tutto, un fenomeno chiamato “esitazione vaccinale”. Il fenomeno definito


in inglese come Vaccine Hesitancy (termine che comprende i concetti di indecisione,
incertezza, ritardo, riluttanza) è complesso e strettamente legato ai differenti contesti, con
diversi determinanti: periodo storico, aree geografiche, situazione politica. Riconoscendo
la rilevanza che questo fenomeno ha nel raggiungimento degli obiettivi di salute
prefissati, lo Strategic Advisory Group of Experts (Sage) on Immunization
dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), nel 2012, ha creato un gruppo di lavoro
specifico sul tema, guidato da un Segretariato congiunto Oms/Unicef. Il gruppo di lavoro
ha formulato una definizione dell’esitazione vaccinale come un ritardo nell’adesione o
come rifiuto della vaccinazione, nonostante la disponibilità di servizi vaccinali.
Il Sage sottolinea che è urgente e necessario sviluppare sistemi istituzionali e competenze
organizzative a livello locale, nazionale e globale al fine di identificare, monitorare e
indirizzare proattivamente l’esitazione vaccinale, di rispondere tempestivamente ai
movimenti anti-vaccinatori in caso di disinformazione o di potenziali eventi avversi.
È indispensabile avere una maggiore capacità analitica per individuare le aree in cui si
crea l’esitazione. Per questo, le raccomandazioni finali del Sage si concentrano in tre
categorie principali: capire i determinanti della Vaccine Hesitancy; evidenziare gli aspetti
organizzativi che facilitano l’adesione; valutare gli strumenti necessari per contrastare
questo fenomeno.
La risposta ai vaccini si manifesta in 2 fasi:
- Risposta primaria: dopo la prima dose si ha la produzione di anti IgM con durata
breve(1-4 settimane) la vaccinazione non protegge ancora contro la malattia;
- Risposta secondaria: 2° dose produzione di anti IgG (più efficaci) con durata da
mesi ad anni.
IgM: sono molecole pentameriche e le prime ad essere prodotte (risposta primaria)
e scompaiono nel tempo;
IgG:sono le principali Ig coinvolte nella risposta secondaria e permangono nel
tempo;
Il numero di dosi per avere una buona risposta secondaria ed il tempo di vaccinazione
cambia da vaccino a vaccino.
La vaccinazione deve essere effettuata perché:
- Prevenire le infezioni più comuni: alcune malattie sono così frequenti che scegliere
di non vaccinarsi, significa scegliere di infettarsi;
- Prevenire infezioni che potrebbero facilmente riemergere: es. morbillo;
- Prevenire infezioni ancora frequenti in altre parti del mondo: malattie come la
poliomielite e la difterite, pur essendo scomparse nella maggior parte dei paesi
sviluppati, esistono ancora in regioni come l’ex Unione Sovietica (difterite) e il
subcontinente indiano (poliomielite).

Alcuni vaccini possono provocare reazioni locali o reazioni generali come: gonfiore,
arrossamento, dolore, febbre, reazioni allergiche (non ai vaccini, ma alle proteine
estranee, antibiotici o sostanze stabilizzanti).

Sieroprofilassi: si ottiene, invece, una immunità passiva, in quanto il preparato che


viene somministrato (il siero immune, o le immunoglobuline umane) contiene anticorpi,
che vengono passivamente introdotti dall’esterno, senza cioè l’attiva partecipazione del
sistema immunitario. L’ immunità passiva è di breve durata (3-6 settimane), ma è
pressochè immediata, perché la protezione indotta dal siero inizia già 2 -3 ore dopo la
sua somministrazione: la sieroprofilassi è perciò indicata per le situazioni di emergenza,
quando cioè vi è un rischio immediato di contagio.
L’immunoprofilassi passiva è divisibile in:
- Naturale: è rappresentata dal passaggio degli anticorpi dalla madre al figlio,
neonati di pochi mesi protetti dall’insorgenza da determinate patologie, per
esempio un neonato di 3 mesi se allattato al seno può essere protetto dalla
varicella se la madre ha avuto la varicella, l’ha superata, ha prodotto anticorpi che
prima passano tramite la placenta e poi tramite il latte.
- Artificiale: le immunoglobuline invece di passare naturalmente tramite la
gravidanza o l’allattamento vengono fisicamente somministrate per esempio nel
caso di individui che arrivano al pronto soccorso con ferita da taglio. Se il mio
taglio ha margini netti e sanguina non si può sviluppare il clostridiutm tetani
perché non si riesce a creare un ambiente anaerobio, invece nel caso di ferita
lacero contusa con alterazioni del microcircolo si crea un ambiente anaerobico
dove si può sviluppare il clostridium tetani.
La sieroprofilassi può essere eterologa o omologa:
Eterologa( di origine animale) adopera sieri immuni preparati da altre specie vaccinate.
Adopera sieri immuni preparati animali iperimmunizzati (cavallo, bue, pecora) con ciclo
vaccinale completo. Da usare solo se non c’è un siero omologo. Sono dati dal siero anti –
botulinico (cavallo) o antiofidico (cavallo). L’uso di sieri eterologhi è sempre più raro ed è
limitato al siero antibotulinico che neutralizza le tossine A, B ed E associate
all’intossicazione alimentare da Clostridium Botulinum e al siero antiofidico che
neutralizza il veleno delle vipere. Questi sieri vengono somministrati per via
intramuscolare e raggiungono la massima concentrazione in circolo dopo 2-3 giorni.
Protezione conferita: 1° somministrazione: 3 settimane; somministrazioni successive:
sempre meno.
Il rischio più grosso nell’uso dei sieri eterologhi è costituito dalla possibile insorgenza di
reazioni allergiche, anche gravi, quali lo shock anafilattico o la malattia da siero. Queste
reazioni si verificano più frequentemente in soggetti predisposti (affetti da altre malattie
allergiche, quali asma, rinite allergica, orticaria ecc.), e/o se il siero eterologo non è stato
sufficientemente “depurato” dalle proteine che possono più facilmente scatenare le
reazioni di ipersensibilità. I sieri possono infatti essere trattati in modo da eliminare tutte
le componenti proteiche che non servono. Sono stati così ottenuti:
- Sieri naturali: sottoposti solamente a filtrazione e trattamento antisettico;
- Sieri purificati: tramite precipitazione con sali di ammonio;
- Sieri iperdepurati o proteolizzati: nei quali si ha una riduzione della componente
proteica per digestione enzimatica.
I sieri iperdepurati sono ovviamente i migliori, perché:
- Danno meno reazioni allergiche;
- Sono assorbiti più rapidamente;
- Sono eliminati più lentamente (durano piu a lungo);
- Sono più stabili nel tempo. Per prevenire le reazioni allergiche da siero è
opportuno:
- Verificare se il paziente ha una predisposizione allergica individuale o familiare
(cioè se è affetto da malattia allergiche o se ha parenti stretti con queste malattie);
in tal caso occorre prudenza;
- Essere pronti ad intervenire per bloccare un eventuale shock anafilattico (con
adrenalina, cortisonici, analettici ecc.);
- Usare sieri proteolizzati, a minor rischio, o, ove possibile, immunoglobuline
umane;
- Se l’individuo era stato già sottoposto a sieroprofilassi, ad es. con siero di cavallo,
è opportuno utilizzare il siero di altri animale (bovino).
Omologa (di origine umana) è l’impiego di immunoglobuline di classe IgG. Impiego di
immunoglobuline della classe IgG ha ampliato il campo d’azione della pratica di profilassi
passiva. Attualmente vengono preferiti ai sieri eterologhi perché danno meno reazioni
allergiche. Vengono comunemente chiamati “gammaglobuline” o “immunoglobuline”
umane. Le immunoglobuline umane contengono una varietà molto ampia di anticorpi
che sono il risultato di pregresse vaccinazioni e soprattutto di infezioni diffuse nella
popolazione (per via naturale). Distinguiamo:
- Immunoglobuline normali o standard: si ottengono mescolando il siero ottenuto
da almeno 1000 donatori e contengono perciò anticorpi contro molte malattie
batteriche, virali e contro le tossine; vengono utilizzate soprattutto per la profilassi
di malattie virali (epatite A e B, morbillo, rosolia, parotite ecc.) e tossiche (difterite,
tetano);
- ImmunoglobuIine specifiche: Contengono, accanto al complesso di anticorpi,
propri delle immunoglobuline normali, un anticorpo specifico maggiormente
concentrato, in quanto raccolto da donatori di sangue convalescenti della
rispettiva malattia (immunoglobulina specifica antivaiolosa; immunoglobulina
specifica antitetanica). Sono più efficaci delle Ig normali, ma sono più costose.
Vengono usate per il tetano, la difterite, o nelle gravidanze con incompatibilità
materno- fetale (madre Rh- e figlio Rh+).
Somministrate per via intramuscolare, le Ig umane raggiungono il massimo effetto
protettivo in 48 ore e l’immunità si mantiene per 4-6 settimane. Gli effetti indesiderati
sono: dolore locale, reazioni cutanee e brividi, nausea, vomito, ipotensione, tachicardia,
reazioni di tipo allergico (rari casi). Vantaggi: protezione immediata dalle infezioni;
svantaggi: breve durata.
PRECAUZIONI:
GENERALI:
- Anamnesi su precedenti trattamenti;
- Anamnesi per predisposizione allergica. Siero di specie animale diversa.
SPECIFICHE:
- Accertamento di reattività al siero;
- Prove sensibilità cutanea – via intradermica;
- Prove tollerabilità – via sottocutanea.
- Somministrazione frazionata desenbilizzante.
EFFETTI COLLATERALI (malattie da siero).
- Patogenesi: antigeni + anticorpi fissati sulle “Mastzellen”;
- Incidenza reazioni (rara, ma temibile): (soggetti trattati in precedenza;
sensibilizzazione specifica per altre vie; spiccata diatesi allergica);
- Comparsa sintomi: dopo 7 – 10 gg;
- Sintomi principali: orticaria, linfoadenopatie, artralgie e febbre;
- Risoluzione spontanea, per eliminazione dell’Ag dall’organismo.
- Shock anafilattico: si manifesta da pochi min a 2h dopo la somminisrazione con
sintomi respiratori e cardiocircolatori (collasso).
- Malattia da siero.
Le immunoglobuline sono ottenute dal plasma umano grazie al frazionamento a freddo
con etanolo e appartengono alla classe delle IgG.
- Immunoglobuline normali: ricavate dal frazionamento del plasma di un elevato
numero di donatori ad es. morbillo ed epatite A;
- Immunoglobuline iperimmuni: plasma di soggetti con elevato titolo anticorpale
verso un microrganismo derivante da un’infezione o da una vaccinazione ad es.
tetano, rosolia, parotite, varicella, epatite B.
Somministrazione frazionata:
- Prova di sensibilità cutanea: Via intradermica (Skin test). Siero ml 0,1 in s.f.
1/100. Se è positiva, comparsa di un pomfo al punto di inoculazione; se negativa,
entro 20 – 120 min: inoculazione i.m.
- Prova di tollerabilità generale: via sottocutanea “dose di saggio”. Siero 0,2 ml
intero o diluito. Se positiva: reazioni generali, desensibilizzazione con adrenalina e
anti – istaminici; se negativa entro 20 – 120 min: inoculazione i.m.
CHEMIOPROFILASSI: Consiste nella somministrazione di farmaci chemioterapici o
antibiotici, in grado di aumentare la resistenza dell’individuo verso particolari malattie
infettive. Questo tipo di profilassi viene effettuata su persone che rischiano di ammalarsi
di una determinata malattia perché fanno parte di comunità in cui si è diffusa l’infezione,
oppure perché devono soggiornare in aree in cui la malattia è endemica. Un esempio
tipico è la profilassi della malaria con la clorochina per i soggetti che si recano in Paesi
dove la malaria è endemica o, ancora, la profilassi della meningite con sulfamidici
(sulfadiazina).
La chemioprofilassi può essere primaria e secondaria:
- Primaria: somministrazione di chemioterapici o antibiotici a persone,
recentemente esposte a un rischio di contagio, con lo scopo di bloccare lo sviluppo
del processo infettivo;
- Secondaria: somministrazione di antibiotici o chemioterapici a soggetti con
processo infettivo già in atto, ma in cui la malattia non è ancora clinicamente
manifesta, e quindi con aspetto apparentemente sano.
Esempi di chemioprofilassi:
- Malaria: clorochina (500 mg/sett. di clorochina bifosfato), proguanil (200 mg/die)
o meflochina (250 mg/sett).
- Tubercolosi: isoniazide;
- Meningite meningococcica: rifampicina(10 mg/kg/die per due giorni);
- Reinfezioni streptococciche (febbre reumatica): penicillna ritardo (ogni mese, per 5
anni).
LE EPATITI VIRALI
L’epatite virale è una malattia infettiva derivante da una serie di agent infettanti, tra cui quelli più
conosciuti sono i virus epatici propriamente detti (A, B, C, D, E) ma anche altri virus che
potrebbero causare l’infezione come ad esempio il Citomegalovirus e l’Epstein Barr virus, che
interessando il fegato possono determinare rialzo delle transaminasi.
Le tappe fondamentali che hanno portato significative innovazioni nello studio di tale patologia
sono state diverse:
• 1948: differenziazione delle due forme di epatite A e B;
• 1963: scoperta da parte di Blumberg dell’Antigene Au;
• 1968: riconoscimento come indicatore di infezione da virus dell’epatite B;
• 1973: scoperta dell’antigene “e”
• 1973: dimostrazione feci umane da virus dell’epatite A;
• 1974-1975: osservazione del nuovo tipo di epatite (nonA – nonB);
• 1979: coltivazione del virus dell’epatite A:
• 1988: riconoscimento di un nuovo virus dell’epatite C. Gradualmente si identificò anche il
virus dell’Epatite C, per cui tutte quelle forme che erano descritte precedentemente come
“non A e non B”, in cui non si riusciva a identificare nessun virus, andarono ad essere
categorizzate.

A (HAV) B (HBV) C (HCV) D (DELTA) E (HEV)


CLINICA
Incubazione 15-45 40-120 30-150 21-909 21-42
Inizio Acuto Insidioso Aspecifico Acuto Acuto
Ittero (%) 10% 15-20% 25% Vario ?
TRASMISSIONE
Oro-fecale Consueta - - - Consueta
Parenterale Rara Consueta Consueta Consueta ?
Sessuale Si Si Si Si No
Congenita No Si Si Si Solo se inf. a 3 mesi
altre No Secreti vari Secreti vari
DECORSO
Portatore cronico No Si 50% Si
Epatite cronica No +++++++ +++++ ++
Mortalità (%) 0,2% >3% >3% 30% 1 – 20
VIRUS Pivorna Hepadna Flavi viroide Calici
ANTIGENI HAV Hbs, Hbc, e Env, core, pol HDV HEV

A poco a poco venne introdotto l’obbligo di testare HCV negli emoderivati, che fu significativo per
evitare la trasmissione tramite gli emoderivati per cui si ottenne l’abbattimento di circa il 50%
della diffusione.
Tutti questi virus infettano elettivamente l’epatocita causando nel fegato alterazioni necrotiche.
Alcuni di questi agenti sono in grado di determinare una condizione di epatite cronica. C’è una
percentuale di circa il 10-20% in cui l’epatite non ha ancora un riconoscimento (di recente sono
stati scoperti altri virus epatotropi, quali il virus G (HGV) e il virus TT (HTT), il cui ruolo come agenti
causali di epatite è tuttora in fase di studi).
PRINCIPALI MANIFESTAZIONI CLINICHE: febbre, ittero, incremento transaminasi.
I tempi di incubazione, trasmissione e decorso differenziano le varie forme di epatite.
Il periodo di incubazione è molto più breve per i virus a trasmissione propriamente oro-fecale
(HAV, HEV), mentre è più lungo per HBV e HCV. La trasmissione del virus dell’epatite D avviene
solo in condizione di co-infezione con HBV, altrimenti da solo non è in grado di dare infezione, i
tempi di incubazione si allungano molto fino ad arrivare anche a 3 anni.
C’è la possibilità di cronicizzazione, e quindi di favorire la condizione di portatore cronico
dell’infezione, propriamente per i virus B e C (e per quanto riguarda la co-infezione con il D).
La via di trasmissione parenterale è più tipica di HBV, HCV, HDV ed è stata descritta pure per HAV
(quest’ultima è trasmissibile sessualmente, “negli omosessuali nei rapporti anali”, più bassa la
possibilità di trasmissione rispetto alla via oro-fecale, ma è stata descritta. Questi soggetti hanno
elevata indicazione per la vaccinazione per l’epatite A. Ad avere maggiore possibilità d’infezione è
il soggetto recettivo, rispetto all’insertivo).
Le famiglie virali sono differenti:
• HAV appartiene alla famiglia dei Picornavirus,
• HBV è un “viroide” (è un virione) appartenente alla famiglia degli hepadnaviridae,
• un calicevirus HEV.

ATTENZIONE: Potrebbe chiedere differenza di epatite A e B.

Come già accennato inizialmente, ci sono altri virus capaci di determinare epatite:
• Citomegalovirus
• Epstein Barr virus
• Virus della Rosolia
• Adenovirus
• Herpes Simplex
• Virus della Varicella Zoster
• Virus della Parotite
• Virus delle febbri emorragiche
• Enterovirus (cox e echo)
Sono forme epatiche minori.

VIRUS DELL’EPATITE B
Il virus dell’epatite B (HBV), è uno dei virus più conosciuti. I primi studi risalgono agli anni 60’.
È un virus a DNA, il genoma è circolare parzialmente a doppia elica., appartenente agli
Epadnavirus.
Da un punto di vista microscopico, il virus appare come una particella di 42 nanometri di diametro.
Internamente c’è una struttura a simmetria icosaedrica (forma sferica), dove nel nucleocapside (o
core) è possibile osservare:
• una DNA-Polimerasi che è virus-specifica
• due antigeni, HBcAg e HBeAg.
Esternamente, nel pericapside c’è l’HbsAg, fondamentale in quanto non solo sulla base della
produzione degli anticorpi è possibile stabilire “se il soggetto è guarito”, prendendo in
considerazione tutto il pannello anticorpale, ma anche per avere informazioni sulla vaccinazione.
Il virus quando si ingloba all’interno dell’epatocita, nella sua patogenesi produce in eccesso questo
antigene, che si può ritrovare in microscopia elettronica.
Oltre le particelle virali, microscopicamente è possibile osservare dei filamenti di HbsAg che sono
delle strutture tubulari e delle particelle di HbsAg di dimensioni di circa 20 nm di diametro, prive di
acido nucleico e risultato di un’eccessiva sintesi della proteina.
Il virus appare dunque come una particella sferica a doppia parete, costituita esternamente da un
involucro di natura lipoproteica e internamente, il core ha una struttura a simmetria icosaedrica.
Per quanto riguarda le particelle HbsAg, ciascuna contiene un antigene gruppo specifico che viene
denominato “A determinante A” che può essere con due sub-determinanti che sono il VY e il WR.
Questo è un virus, in cui nel 90% dei casi l’infezione evolve in guarigione, nel 10% evolve in
cronicizzazione. Nello 0,1-1% circa, il soggetto può andare in contro ad un’epatite fulminante.
La guarigione può essere con o senza immunizzazione, lo distingueremo sulla base della
produzione degli HBsAb.
La cronicizzazione è più frequente nel neonato, dove cronicizza circa nel 90% dei casi, negli adulti
la percentuale di cronicizzazione è nel 10-20%, c’è pure un’altra condizione che è quella di
portatore sano (virus permane nell’organismo ma in modo asintomatico).
Può evolvere per circa il 20-25% dei casi in 10-20 anni, in una condizione cirrotica, nella quale in
circa il 20% dei casi evolve in epatocarcinoma.
Ogni antigene è importante per la produzione di anticorpi e nella fattispecie abbiamo:
• Per HBsAg -> anti-HBs;
• Per HBcAg -> anti-HBc di tipo IgG e igM
• Per HBeAg -> anti-HBe

Questo è un virus molto resistente a differenza di quello dell’HIV, perché:


• resiste a temperature ambientale anche per 6 mesi,
• è molto resistente alle temperature, ma viene inattivato a 100 C° dopo circa un quarto
d’ora,
• persiste per lungo tempo negli oggetti.
Mentre il virus dell’Hiv ha una resistenza molto blanda di neanche 10 minuti.
La DIAGNOSI di infezione da HBV viene effettuata tramite la ricerca nel sangue dei marcatori virali,
costituiti da antigeni (Ag) e anticorpi (Ab) mediante test di immunochimica.
• L’HbsAg -> è l’antigene di superficie del virus. La sua presenza indica lo stato di infezione e
tutte le persone HbsAg positive sono da considerarsi potenzialmente infetti.
• L’HbsAb -> è l’anticorpo contro l’antigene di superficie. La sua presenza indica la
protezione dall’infezione (immunizzazione). Si riscontra dopo l’eventuale guarigione dal
virus oppure in seguito a vaccinazione.
• L’HBcAg -> è un antigene della parte centrale del virus “il core” ed è l’unico marcatore che
non si riscontra mai nel sangue, ma solo nelle cellule del fegato.
• L’HBcAB-IgM -> è l’anticorpo che si riscontra solo nelle fasi attiva replicazione del virus, per
cui risulta positivo nelle forme acute e nelle forme croniche riacutizzate.
• L’HBcAB-IgG -> è l’anticorpo che rimane positivo per tutta la vita, in seguito ad un contatto
con il virus indipendentemente dall’esito dell’infezione. Pertanto la sua presenza indica
l’avvenuto contatto con il virus.
• L’HBeAg -> è l’antigene del nucleocapside del virus (del core) e la sua presenza indica attiva
replicazione virale. Lo si riscontra nelle fasi iniziali delle epatiti acute e in alcune forme di
epatiti croniche.
• L’HBeAb -> è l’anticorpo diretto contro l’HbeAg e la sua presenza non impedisce
l’evoluzione verso la forma cronica della patologia stessa.

È inoltre di fondamentale importanza per una diagnosi corretta la PCR.


È necessario valutare sia la sua componente quantitativa, sia quella qualitativa, quindi valutare sia
la carica virale sia è presente o meno il virus.

SCHEMA INTERPRETATIVO MARKERS EPATITE B

Da ciò possiamo dedurre che:


Se il soggetto è vaccinato contro il virus avremo solo gli anticorpi HBsAb positivi.
Se il soggetto ha un’epatite acuta avremo:
• HBsAg positivo insieme sia alle IgM che alle IgG, con livelli differenti sulla base
dell’infezione.
• Le transaminasi saranno elevate.
• HBV-DNA sarà elevato.

Se il soggetto si è infettato e poi guarito avremo:


• HBcAb-IgG positivi.

Se il soggetto è guarito e in seguito ha sviluppato immunizzazione avremo:


• HBcAb-IgG positivi.
• HBsAb positivi.
NB: affinchè un soggetto possa ritenersi “immunoprotetto” vaccinato i valori devono essere
superiori a 10 unità internazionali/ml.

Se invece siamo di fronte ad un soggetto con epatite cronica avremo:


• HBsAg+
• L’HBV-DNA “presenza o meno”
• Le transaminasi saranno alterate
• HBcAb IgG
Per il soggetto portatore sano:
• HbsAg +
• HbcAb IgG +

CENNI CLINICI
L’infezione come abbiamo visto resta spesso asintomatica, specialmente nei bambini e può essere
rivelata anche a distanza di tempo solo per la presenza di anticorpi specifici. In una minoranza di
casi, l’infezione acuta si manifesta con i segni ed i sintomi tipici del danno epatico ( ittero, nausea,
inappetenza, feci acoliche, stanchezza, ecc). si distinguono varie forme cliniche:
- Forme subacute con manifestazioni aspecifiche: inappetenza, nausea, malessere
- Forme acute con sintomi extraepatici: dolori articolari, artriti, eruzione cutanea
maculare, trombocitopenia, ecc, che possono precedere la comparsa dell’ittero
- Forme itteriche tipiche, non distinguibili dalle altre epatiti virali
- Forme fulminanti, seguite rapidamente dalla morte
A differenza dell’epatite A la B tende a persistere come infezione cronica con frequenza diversa in
base all’etàà in sui si contrae. Il 90% in bambini infettati dalla madre con trasmissione perinatale,
nel 25/50% dei bambini infettati tra 1 e 5 anni, nel 6 % dei casi dei bambini più grandi e negli adulti

DECORSO ACUTO DELLA PATOLOGIA:


In seguito al contagio, il soggetto andrà incontro ad un periodo di incubazione di circa 4-12
settimane in seguito al quale si verificherà l’infezione acuta, con la classica sintomatologia
descritta (da 2 settimane a 3 mesi) a cui si accompagna un innalzamento dell’HBsAg e dell’HBeAg e
a mano a mano vengono prodotti gli anticorpi anti HBc, prima IgM poi di classe IgG,
successivamente il soggetto può andare in contro ad una guarigione con immunizzazione, dunque
con la produzione di anticorpi Anti-HBs.

DECORSO CRONICO:
Il soggetto con infezione cronica, viene definito tale se l’infezione persiste più di 6 mesi. Diversa è
la condizione di portatore asintomatico sano. Il periodo di incubazione varia da 60 ai 180 giorni. Le
sorgenti d’infezione sono i portatori cronici, ma anche i soggetti infetti.

PATOGENESI DEL VIRUS DELL’EPATITE B


Il virus dell’epatite B è presente nel sangue, nell’urina, nella saliva del soggetto malato.
La modalità di trasmissione più frequente è la via parenterale, seguita dalla via sessuale, e dalla
via connatale e perinatale (dunque tramite la circolazione feto-placentare, l’allattamento ed il
passaggio dal canale del parto).
La trasmissione parenterale può avvenire:
• In maniera diretta; attraverso la cute lesa o le mucose;
• Attraverso la via parenterale inapparente, in cui ci possono essere veicoli di trasmissione
dell’infezione tra cui siringhe, rasoi, aghi, oggetti che dovrebbero essere personali del
soggetto infetto. Ulteriori veicoli di infezione potrebbero essere rappresentati da:
emotrasfusione di sangue ed altri emoderivati,

Dunque, una volta che il virus è penetrato nell’organismo del soggetto sano, attraverso il sangue
arriva nel fegato dove avviene la replicazione virale e da qui diffonde nel sangue e negli altri
organi, tra cui il rene (ecco perché il virus può essere riscontrato nell’urina). Si riversa inoltre dal
fegato alla bile, giunge nel lume intestinale dove viene inattivato dall’inibitore intestinale (ecco
perché non si trova a livello delle feci). E questo è il motivo per cui non può essere trasmesso per
via oro-fecale.
Una serie di comportamenti a rischio come la tossicodipendenza, prostituzione, possono
incrementare la trasmissione, infatti, sono questi i soggetti, come per l’epatite C, che sono a più
elevata probabilità di infezione e sono anche fonti d’infezione, perché sono gruppi più difficili da
studiare. Negli eterosessuali è possibile l’infezione, ma soprattutto tra tossico dipendenti, per
quanto riguarda il meccanismo insertivo-ricettivo, ne abbiamo già parlato, è raro tra donna
infettata e maschio sano, più frequente tra maschio infettato e donna sana.
Per quanto riguarda altri motivi sociali, i conviventi dei soggetti portatori cronici (o soggetti con
epatite cronica) sono a rischio, sia per contagio sessuale che per contagio tramite veicoli; per
quanto riguarda i detenuti può essere presente omosessualità o scambio di oggetti personali. Sono
a rischio anche i soggetti dializzati e i politrasfusi. Per quanto riguarda il personale sanitario, la
vaccinazione è obbligatoria per legge dal ’91.
La trasmissione per via placentare è molto frequente ed è quella che tende a cronicizzare
maggiormente. Essa è possibile:
• intorno al 3° trimestre di gravidanza con possibile infezione del neonato dopo i 70-90 giorni
dalla nascita.
• Attraverso il canale del parto
• Nel post-partum: infezione trasmesso nel 16° mese di vita. Ciò avviene in seguito
all’allattamento materno (anche se gli studi epidemiologici sono discordanti, tra soggetti allattati
al seno e soggetti allattati artificialmente, è stato osservato che la prevalenza non è poi tanto
elevata, diverso è il caso dell’HIV, dove l’allattamento al seno è controindicato, tranne nei paesi in
via di sviluppo.)

Quando la madre è HBV positiva è fondamentale e necessaria l’immunoprofilassi del neonato con
immunoglobuline e vaccinazione alla nascita entro le 12-24 h con un cadenziario di 0-1, 2 e una
quarta dose di richiamo tra i 6 e i 12 mesi.
CI sono alcuni paesi in cui i portatori sani sono molto frequenti, come nelle zone “iper-endemiche”
(Cina, Sud-Est asiatico, Africa tropicale) mentre alcune zone sono ad endemia scarsa come Europa
del Nord, Australia e Nord America. Gli eventi successivi all’infezione possono essere quelli
descritti come l’epatite fulminante, nello 0,1% dei casi, l’infezione può essere sintomatica, ma può
passare misconosciuta anche per lungo tempo, il soggetto può comunque andare incontro a
guarigione circa nel 10-20%. Il portatore cronico è un’altra possibilità, da qui il soggetto può
andare in contro a guarigione, ad un’epatite cronica attiva o persistente e da qui cirrosi e poi
epatocarcinoma.
Il soggetto deve essere ricoverato e la patologia è soggetta a notifica di classe seconda entro 48
ore, il paziente ospedalizzato deve essere isolato e deve essere dimesso quando clinicamente
guarito.
Se il soggetto è HBeAg positivo, ha un’elevata contagiosità, se è HBeAg negativo ed ha gli anticorpi
la contagiosità è scarsa. Il soggetto può guarire con o senza sieroconversione per HBs dunque con
o senza immunizzazione.
Per quanto riguarda la diagnosi, l’atteggiamento nei confronti dei portatori cronici è più mirato,
nel momento in cui il soggetto è portatore cronico, dovrà seguire delle misure di profilassi ci sono
metodiche che permettono la disinfezione, le abbiamo già accennate, come l’ebollizione per 100
C° per 15 minuti, anche il trattamento in autoclave 121°C ad 1 atm per 30 minuti, a casa la
soluzione di sodio ipoclorito allo 0,5-1% per 30 minuti.

PREVENZIONE:
La prevenzione delle’epatite B si basa su misure di carattere generale volte a limitare la
trasmissione del virus e, principalmente, su misure di immunoprofilassi.
Un ruolo fondamentale è rivestito dall’educazione sanitaria, rivolta sia ai portatori del virus
tramite la consapevolezza delle modalità di trasmissione, sia alle persone che sono a rischio per
l’acquisizione dell’infezione, per motivi professionali (operatori sanitari) o per fattori
comportamentali (tossicodipendenza, promiscuità sessuale). Notevole importanza assume anche
l’adeguato controllo dei donatori di sangue, per la prevenzione della diffusione del virus mediante
trasfusioni di sangue.
Notevole attenzione è rivolta anche allo screening dei donatori e alla preparazione degli
emoderivati con procedure che eliminano l’HBV, queste attenzioni hanno azzerato i casi di
contagio da trasfusione e quelli conseguenti alla somministrazione di plasma, immunoglobuline e
fattori della coagulazione.
PREVENZIONE PRIMARIA. La prevenzione primaria si attua attraverso diverse tecniche:
1. Informare l’individuo sulle modalità di trasmissione, sulle conseguenze e sulle complicanze
dell’infezione e quindi:
• Il pericolo di trasmissione durante i rapporti sessuali;
• La necessità di un uso singolo e personale di siringhe, aghi, oggetti vari.

• Facilitare i cambiamenti di costume per ridurre i rischi di infezione, specialmente per


l’A.I.D.S. tramite:
• L’importanza della riduzione del numero dei partners;
• La necessità dell’uso costante del “condom”.
• Suggerire ai soggetti con storie di situazioni a rischio di sottoporsi ad esami diagnostici.
LA PREVENZIONE SECONDARIA. Si basa:
• sull’astensione alla donazione di sangue,
• sull’uso costante di profilattico per tutti i rapporti sessuali,
• sull’obbligo di comunicare al medico il proprio stato in caso di prelievo di sangue, ricoveri
ospedalieri, cure dentarie.

PUNTURA ACCIDENTALE COSA FARE?


Gli interventi in caso di puntura accidentale consistono nel favorire il sanguinamento della zona,
lavare abbondantemente con acqua e sapone e disinfettare con soluzione a base di cloro derivato.
Se il soggetto non è vaccinato si fa l’immunoprofilassi entro 48 ore e il prelievo per vedere il
pannello anticorpale, per vedere se ha gli anticorpi di suo. Se è suscettibile si continua il ciclo
vaccinale con altre due dosi, rispettivamente a 1 mese ed a 6 mesi dalla prima dose.
C'è però una percentuale di circa il 5-10% della popolazione (generalmente soprattutto soggetti di
sesso maschile, obesi, fumatori) che hanno una predisposizione alla mancata risposta al vaccino,
anche perché l’infezione da HBV ha diversi tipi genomici e ci sono delle varianti delle varie
componenti che potrebbero sfuggire alla vaccinoprofilassi. In questi casi è consigliabile un altro
ciclo di immunizzazione con un altro tipo di vaccino rispetto a quello già effettuato per valutarne la
risposta dell’organismo.
IMMUNOPROFILASSI
Per quanto riguarda la prevenzione generale, si passa dall’immunoprofilassi passiva attraverso le
immunoglobuline sia nel neonato, che nel soggetto che si è punto accidentalmente, e la
immunoprofilassi attiva, attraverso un vaccino prodotto in cellule del Saccaromyces Cerevisiae
tramite metodiche di DNA ricombinante, che contiene HBsAg. Al termine di un ciclo vaccinale
completo, la percentuale di siero conversione è superiore al 95% nei soggetti sani, bambini e
adulti. La capacità di risposta immunitaria è di lunga durata (oltre 15 anni), sicchè non è
raccomandata la somministrazione di successive dosi di richiamo. Le reazioni avverse sono rare e
di scarsa entità. Si inocula per via intramuscolare o sottocutanea, in sede deltoidea nell’adulto,
mentre nel neonato l’inoculazione va eseguita nella parte antero-laterale della coscia. Per i
soggetti adulti e gli adolescenti, il ciclo di vaccinazione prevede tre somministrazioni al tempo 0, 1
e 6 mesi. Nei nuovi nati le tre dosi si somministrano con gli altri vaccini per l’infanzia al III, IV-V ed
XI-XII mese di vita, utilizzando il vaccino esavalente. Nei neonati che nascono da madre portatrice
viene adottato lo schema 0, 1 , 2 e 10-12 mesi, la prima somministrazione va eseguita assieme alle
immuglobuline specifiche alla nascita (entro le prime 12-24 ore di vita), la seconda dopo un mese,
la terza al compimento del secondo mese (cioè al terzo mese) e la quarta all’undicesimo-
dodicesimo mese (eseguite assieme alle altre vaccinazioni usando un esavalente). Questo schema
viene adottato anche nei confronti di soggetti non vaccinati e a rischio immediato, per i quali si
richiede protezione rapida.
SCHEMA Calendario vaccinale 2017/2019 per soggetti a rischio aumentato:
Epatite B: 3 dosi, PRE ESPOSIZIONE (0, 1, 6 MESI)
4 dosi POST ESPOSIZIONE (0,2,6 SETTIMANE + booster a 1 ANNO)
4 dosi PRE ESPOSIZIONE IMMINENTE (0, 1, 2, 12)
La vaccinazione è obbligatoria dal 1991. L'obbligo alla vaccinazione era esteso a tutti i soggetti che
avevano 12 anni di età in quell’anno, poi a mano a mano è stata estesa a tutti i nuovi nati e a tutti i
soggetti che compivano 12 anni. Ciò è stato introdotto con la legge del 27 maggio 1991 n. 165:
ART.1
“1. Al fine di prevenire l'insorgere e la diffusione dell'epatite virale B, la vaccinazione contro tale
malattia e' obbligatoria per tutti i nuovi nati nel primo anno di vita.

2. Limitatamente ai dodici anni successivi alla data di entrata in vigore della presente legge, la
vaccinazione e' obbligatoria anche per tutti i soggetti nel corso del dodicesimo anno di età”

ART.2
“1. E' fatto obbligo ai presidi delle unità sanitarie locali e ai presidi del Servizio sanitario nazionale
di effettuare i cicli vaccinali primari e di richiamo ai soggetti di cui all'art. 1 secondo le condizioni e
le modalità previste con decreto del Ministro della sanità, da emanare entro novanta giorni dalla
data di entrata in vigore della presente legge.

2. La certificazione dell'avvenuta vaccinazione è rilasciata gratuitamente dall'unità sanitaria locale


o dal presidio del Servizio sanitario nazionale o è effettuata mediante autocertificazione in
conformità all'art. 18 della legge 7 agosto 1990, n. 241.

3. La certificazione dell'avvenuta vaccinazione è presentata all'atto della prima iscrizione alla


scuola dell'obbligo, a partire dal sesto anno dalla data di entrata in vigore della presente legge.
Tale certificazione è altresì presentata dagli studenti della scuola media inferiore al momento
dell'ammissione agli esami di licenza.

4. La certificazione dell'avvenuta vaccinazione dei nuovi nati è presentata per l'ammissione a


comunità infantili permanenti o transitorie, aperte o chiuse, compresa la scuola materna.

5. L'autocertificazione contiene l'indicazione della unità sanitaria locale o del presidio del
Servizio sanitario nazionale che ha effettuato la vaccinazione.”

ART.3

“1. Permane invariato il diritto alla vaccinazione contro l'epatite virale B dei soggetti appartenenti
alle categorie a rischio, individuate con decreto del Ministro della sanità, da emanare entro
novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.”

ART.4
1. E' fatto obbligo ai presidi delle unità sanitarie locali e ai presidi del Servizio sanitario nazionale di
vaccinare gratuitamente, su richiesta, i soggetti di cui all'art. 3, rilasciandone la relativa
attestazione.

ART.5
1. Le gestanti devono sottoporsi ad un esame di sangue per la ricerca dello HBsAg al terzo trimestre
di gravidanza.

2. I responsabili delle strutture sanitarie pubbliche e private ove viene effettuato il parto hanno
l'obbligo di disporre l'esecuzione dell'esame di cui al comma 1 qualora esso non sia stato già
effettuato.
3. Le spese per l'adempimento degli obblighi di cui al presente articolo sono a totale carico del
Fondo sanitario nazionale.

4. La vaccinazione dei nati da madre HBsAg positiva è effettuata secondo le modalità previste dal
decreto del Ministro della sanità di cui all'art. 2, comma 1.

ART. 6

1. Presso ogni unità sanitaria locale è tenuto un archivio delle vaccinazioni effettuate.

ART. 7
1. Coloro che esercitano la potestà parentale o la tutela sul minore, il direttore dell'istituto di
assistenza pubblico o privato in cui il minore è ricoverato o la persona cui il minore sia stato
affidato ai sensi della legge 4 maggio 1983, n. 184, sono responsabili dell'ottemperanza all'obbligo
delle vaccinazioni di cui alla presente legge.

2. [Il contravventore all'obbligo di cui al comma 1 è punito con la sanzione amministrativa del
pagamento di una somma da lire centomila a lire cinquecentomila] [1].

3. All'accertamento delle violazioni e alla irrogazione delle sanzioni amministrative provvedono gli
organi competenti in base alla normativa regionale.

ART. 8

1. La somministrazione del vaccino ai soggetti di cui all'art. 1 ed alle categorie dei cittadini a rischio
di cui all'art. 3 è esente da ogni forma di partecipazione economica dei cittadini.

2. Nei casi di cui al comma 1 gli oneri relativi all'approvvigionamento del vaccino, alle prestazioni
del personale sanitario e parasanitario, agli esami di laboratorio e qualsiasi altra spesa necessaria
per la somministrazione del vaccino sono a totale carico del Fondo sanitario nazionale e sono
compensati dalle minori spese conseguenti all'introduzione della vaccinazione obbligatoria.

ART. 9

1. La presente legge si applica anche a tutti i cittadini stranieri residenti o, comunque, con stabile
dimora nel territorio nazionale.

La vaccinazione è gratuita nelle categorie a rischio già citate del decreto del Ministero della -Sanità
del 1988, ma sono ribadite nel piano sanitario nazionale prevenzione vaccinale del 2017-2019 e
quindi ai tossicodipendenti, prostitute, omosessuali, soggetti con HIV, vittime di punture
accidentali, soggetti nati da HBsAg positive e tutti i neonati.

DECRETO MINISTERO DELLA SALUTE 1988:


Art. 1.
La vaccinazione antiepatite B deve essere offerta gratuitamente:
a) ai neonati da madre HBsAg positiva (anche se anti HIV positiva);
b) a tutti i neonati di comuni o frazioni di essi, con elevato livello di endemia e precisamente con
prevalenza di portatori HBsAg pari o superiore all'8%;
c) ai conviventi, in particolare ai bambini, di persone HBsAg positive;
d) ai pazienti politrasfusi, emofiliaci, emodializzati;
e) alle vittime di punture accidentali con aghi potenzialmente infetti;
f) ai soggetti affetti da lesioni croniche eczematose o psoriasiche della cute delle mani;
g) alle persone che si rechino per motivi di lavoro in aree geografiche ad alta endemia di HBV;
h) alle prostitute, ai tossicodipendenti, agli omosessuali maschi;
i) al personale sanitario di nuova assunzione nel Servizio sanitario nazionale e al personale del
Servizio sanitario nazionale già impegnato in attività a maggior rischio di contagio e
segnatamente che lavori in reparti di emodialisi, rianimazione, oncologia, chirurgia generale e
specialistica, ostetricia e ginecologia, malattie infettive, ematologia, laboratori di analisi, centri
trasfusionali, sale settori e, studi dentistici;
l) al personale ed agli ospiti di istituti per ritardati mentali;
m) al personale addetto alla lavorazione degli emoderivati.
Art. 2.
Allo scopo di individuare i neonati da vaccinare sarà eseguita indagine di laboratorio per la
rilevazione dell'HBsAg in tutte le gestanti preferibilmente nel terzo trimestre di gravidanza. Per
i candidati alla vaccinazione di cui alle lettere c), d), e),f), g), h), i), l), m), la vaccinazione sarà
eseguita soltanto nei soggetti suscettibili, per la cui identificazione le unità sanitari e locali di
appartenenza provvederanno alla ricerca degli anticorpi anti HBsAg e, nei negativi, alla
ricerca dell'HBsAg; non e'necessaria la ricerca di altri markers. Le zone ad alta endemia di cui
alla lettera b) saranno individuate in base ai risultati di indagini campionarie oppure in base ai
risultati di rilevazione preesistenti, ad esempio quelli della ricerca di HBsAg nelle donne
gravide e nei donatori di sangue. Per l'esecuzione delle vaccinazioni saranno applicati i protocolli
allegati al presente decreto, che saranno aggiornati periodicamente.

Art. 3.
La spesa per l'attuazione della vaccinazione contro l'epatite B,gratuita per le categorie di cui
all'art. 1, graverà, come per le campagne vaccinali già attuate, sui fondi del Servizio sanitario
nazionale. La spesa per l'attuazione della vaccinazione al personale sanitario dipendente da enti
privati sarà sostenuta da detti enti.
Roma, addì 22 dicembre 1988

VIRUS DELL’EPATITE C
Comprende l’80% delle epatiti nA-nB post trasfusionale ed il 50%-70% di quelle sporadiche
• L’agente eziologico è un virus a RNA (HCV) 30-6 nm provvisto di involucro lipidico, appartenente al
genere HEPACIVIRUS
• Notevole grado di variabilità che costituisce probabilmente un meccanismo attraverso cui il virus
elude la risposta immune dell’ospite favorendo la persistenza dell’infezione.
• HCV penetra per via parenterale e si localizza negli epatociti
• Periodo di incubazione da: 2 dettimane a oltre 6 mesi
• Anitterica (non provoca ittero)
• Rapida progressione verso la cronicizzazione :
40% dei pz va a cirrosi entro 2 -12 anni
• Laboratorio ELISA PCR (HCV-RNA).
QUADRO CLINICO DECORSO:
1. FORMA SUBCLINICA E ANITTERICA 75%
2. FORMA CLINICA ACUTA: 25%
3. CRONICIZZAZIONE: 50%
4. CIRROSI: 10-20%
5. 25% CIRROTICI- EPATOCARCINOMA DOPO 20 ANNI.
SEGNI BIOCHIMICI SONO: aumento delle transaminasi 2-5 volte ; bilirubinemia: 1-16 volte la norma

EPIDEMIOLOGIA
MODALITÀ DI TRASMISSIONE 50% DEI CASI:
- Trasfusione sangue infetto
- Emoderivati infetti
- Trapianto di organo
- aghi contaminati
RISCHIO in FUNZIONE :
- grado di viremia
- durata di esposizione
- modalità ed entità inoculo
- via di trasmissione
- stato immunitario soggetto esposto.
EPIDEMIOLOGIA
- Periodo di incubazione : 2 sett. a sei mesi
- Post trasfusionale : 6 sett. 3 mesi
- Riceventi fatt. coagulazione: 6 sett.

MODELLI DI TRASMISSIONE
Contatto diretto con il sangue umano:
- Tramite siringhe infette: T.D. diminuita dal 1989
Trasfusione e Trapianti:
- Periodo 1985-90 diminuzione del 50% x screening esclusione HIV epatiti non A,non B
Prodotti Ematici:
- Prima del processo di inattivazione tassi prevalenza >90%
Personale sanitario
- trasmissione nosocomiale possibile per procedure disinfezione inadeguate- materiale
contaminato condiviso fra pazienti.
Procedure mediche o dentali
- bassa frequenza
- casi fra emodializzati
Infezione verticale: madre figlio
- perinatale: passaggio canale del parto, evento non frequente ma possibile per
immunodepressione materna e viremia elevata.
- Trasmissione passiva anticorpi permanenza per 4- 6 mesi.
Via sessuale:
Prostitute:
- Prevalenza: 9%
- Donatori: 0,5%
- Leutiche: 12,5%
Etero sessuali:
- Popolazione non T.D.
- Trasmissione possibile per comportamento a rischio:
• N° dei parteners: > 10%
• Frequenza rapporti sessuali : 5%
• Contemporanea infezione HIV
• Trasmissione donna ---- uomo
• Omosessuali scarsa importanza
- Contatti familiari: non spesso, solo per esposizione di sangue.

L’INFEZIONE è diffusa in tutto il mondo con una distribuzione geografica variabile, è rara nell’infanzia,
prevale tra i 20-30 anni. È molto alta nei gruppi a rischio: Tossicodipendenti, emofilici, politrasfusi.
È un piccolo virus, appartenente alla famiglia dei Flaviviridae, genere Hepacivirus, identificato nell‘
89’, quando le forme di epatite “non A non B” furono ascritte al virus dell’Epatite C.
Da un punto di vista microscopico, il virus è costituito da una particella sferica provvista di un
rivestimento esterno di circa 50 nanometri di diametro. Il genoma è formato da una molecola di
RNA lineare, a singola elica con polarità positiva che codifica per proteine strutturali e non
strutturali. Le proteine strutturali sono quelle del nucleocapside e del rivestimento esterno,
mentre quelle non strutturali sono gli enzimi e la RNA-Polimerasi RNA dipendente. Suddetta
particella è scarsamente resistente all’esterno, ha una diffusione che è molto più frequente in
quelle che sono le aree dell’Africa. Ci sono alcune regioni che presentano prevalenze pure al di
sotto dell’1%, in alcune aree potrebbe essere una sottostima che potrebbe derivare da quelle
categorie poco raggiungibili come i tossicodipendenti.
Il virus dell’epatite C ha una elevata variabilità genomica. Infatti sono distinguibili 6 genotipi, dall’1
al 6, con una prevalenza differente. In Italia prevale l’1B, che assieme all’1A e il 4 sono i meno
responsivi alle terapie con interferone, pertanto sono i più aggressivi. All’interno dello stesso
soggetto il virus ha la capacità di mutare tanto da andare a determinare delle sottopopolazioni
virali (dette quasi specie) attraverso la risposta immunitaria del soggetto.
I 6 genotipi differiscono per il 30% delle sequenze nucleotidiche, i sottotipi per il 15-20%, le quasi
specie per il 3%. Questo dà problemi per la risposta alla terapia del soggetto e per la creazione di
un vaccino, oltre che la possibilità di dare infezione.
La fascia di età più esposta è quella mediana (i giovani adulti). L’infezione si trova spesso associata
ad infezione da HIV: infatti il 90% dei soggetti con AIDS è infettato da HCV.
La via di trasmissione è sempre la stessa ovvero quella parenterale. Oggi c’è un caso ogni 100.000
unità di sangue trasfuso, ma prima del 92’ c’erano problematiche derivanti dalla trasfusione di
sacche di sangue non controllate.
Per via parenterale il virus si introduce nel fegato, dove all’interno degli epatociti si replica, c’è un
legame del dimero E1-E2 al recettore “CD8”, che espresso anche in cellule non epatiche permette
di mantenere fuori dagli epatociti il virus. Questo comporta la possibilità di cronicizzazione.
Pertanto l’aspetto principale responsabile del danno è la risposta immunopatologica cellulo-
mediata.
La seconda modalità di trasmissione più frequente è la tossicodipendenza, seguono la
trasmissione professionale, sessuale la cui frequenza aumenta con i numeri di partner (se
maggiori di 10) e il numero di rapporti sessuali (se maggiori di 5 a settimana) verticale. Per la
trasmissione parenterale inapparente, in passato aveva un ruolo più importante.
Ovviamente il rischio di infezione è correlato non solo alla modalità di trasmissione dal virus, ma
soprattutto al grado di viremia, alla durata dell’esposizione alo stato immunitario del soggetto
esposto.
Dal punto di vista clinico il soggetto può andare incontro:
1. A cronicizzazione nell’85% dei casi sviluppando nel 20% dei casi cirrosi epatica o nell’80%
può andare incontro a stabilizzazione. In caso di cirrosi la mortalità arriva addirittura al 50%
in 5 anni.
2. A risoluzione nel 15% dei casi “con epatite acuta”. Ma l’infezione in una buona percentuale
dei casi può essere del tutto asintomatica.
Il periodo d’incubazione è variabile dalle 2 settimane a 6 mesi, ma nel post-trasfusionale il periodo
è tra le 6 settimane e 3 mesi. Per quanto riguarda la trasfusione, oggi si è ridotto tramite lo
screening, del 50%, così anche per quanto riguarda i prodotti ematici grazie al processo
d’inattivazione.
L'infezione acuta in genere si risolve entro i 6 mesi (solo una piccola parte di pazienti guarisce
completamente), mentre le forme croniche sono caratterizzate da lesioni istologiche ed incremento
delle transaminasi e non si risolvono entro i 6 mesi.
Le forme di epatite CRONICA C sono caratterizzate dalle GOT e GPT e da uno spettro di lesioni
istologiche che variano da forme leggere a forme severe di infiammazione . la progressione a cirrosi
avviene lentamente.
L’epatite C è una malattia insidiosa che colpisce il 3% della popolazione italiana; circa 1,8 milioni di
persone che molto spesso non sanno di essere affetti e che solo nel 2003 ha provocato 14 mila morti. È
più presente nel sud del paese.

SINTOMATOLOGIA. I sintomi sono sempre gli stessi, caratterizzati da stanchezza, dolori


addominali, calo dell’appetito, a volte prurito, rialzo delle transaminasi. L’incremento delle
transaminasi è di circa 2-5 volte la norma e la bilirubinemia è incrementata fino a 16 volte.
DIAGNOSI
Per la diagnosi di infezione da HCV possiamo distinguere diversi tipi di test: test di prima, seconda,
terza fino alla quarta generazione.
La diagnosi in particolare poggia sul riscontro nel siero di un gruppo di anticorpi contro il virus (anti-
HCV) e di sequenze genomiche del virus HCV RNA.
Attualmente l’anti- HCV è rilevato da:
- Test immuno sierologico (anti HCV ELISA)
- Test immuno Blotting (anti HCV RIBA)
L’HCV- RNA sierico è rilevato dalla reazione polimerasica a catena en cui si usano “primers” derivati
dall’ HCV RNA
Il primo test di screening è il test immuno-sierologico, mentre il test da effettuare in seconda
battura è il RIBA, poi anche qui c’è la PCR per la ricerca quali-quantitativa del genoma virale.
Il test usato in prima battuta, di screening, come già accennato è l’ELISA, che permette di
identificare gli anticorpi diretti contro gli antigeni strutturali e non strutturali. Per tale test si usano
delle piastre di micro pozzetti o griglie di polistirene, sensibilizzati con gli antigeni ricombinanti
dell’HCV.
I test di conferma sono il test Riba e Abbot Matrix o test di Immunoblotting, test che all’inizio
erano in grado di identificare un certo numero di proteine, oggi si è arrivato all’identificazione di
proteine di 3 tipi.
Il RIBA può dare dei falsi positivi, pertanto il test di prima scelta, di screening rimane l’ELISA.
Per quanto riguarda l’HCV-RNA qualitativo, determina la presenza del genome RNA virale e
conferma la presenza dell’infezione attiva in soggetti HCV positivi, viene anche utilizzato per
stabilire la possibile eradicazione del virus al termine di un trattamento anti-virale.
L’HCV-RNA quantitativo serve per lo più per la valutazione della risposta alla terapia. Misura la
concentrazione in UI/ml (unità internazionali) del genoma virale e permette di seguire
l’andamento dell’infezione, di determinare la probabilità di progressione della stessa e la
probabilità di risposta del paziente con epatite cronica C alla terapia antivirale in vari momenti del
percorso clinico.
Importante è anche la genotipizzazione o HCV RNA genotipo, test che permette di identificare il
genotipo del virus e vedere se il soggetto risponde all’interferone. Viene eseguito prima di iniziare
la terapia.

PREVENZIONE
La notifica del soggetto infetto è obbligatoria, in classe seconda, entro le 48 ore.
Le misure di prevenzione riguardano quelle relative all’evitamento dell’uso di oggetti taglienti, di
body piercing o tatuaggi con strumenti non sterilizzati e all’effettuazione di un adeguato controllo
dei donatori di sangue.
Per quanto riguarda la profilassi post-esposizione, ad oggi, non ci sarebbero evidenze che
certifichino l’efficacia di tale metodica. Una delle possibili profilassi in seguito all’esposizione al
virus è la terapia antivirale, anche per i soggetti che si pungono accidentalmente con aghi
potenzialmente infetti.
le misure di prevenzione sono quelle già prese per l’epatite B nei soggetti più a rischio nati da madri
con epatite cronica può essere utile anche periodica somministrazione di gammaglobuline umane
“normali”.
EPATITE DELTA (non ne ha parlato)
• L’infezione da virus D è sostenuta dal virus dell’epatite D (HBV), un virus “ difettivo”cioè che richiede
la contemporanea presenza dell’infezione del virus B per permetterne la produzione.
• L’infezione da virus D si presenta solo in soggetti HBsAg positivi
• Confezione: infettati contemporaneamente da HBV-HDV
• Sovra infezione: in paz gia portatori del Virus B
• Modalità di trasmissione e quadro clinico ricalcano HBV
• Fonte di infezione : portatore virus B e D
• Presente ; stessi fluidi di HBV

il personale sanitario non dovrebbe attualmente essere esposto al rischio di infezione Delta durante
l’attività lavorativa, poiché, per lo più, è vaccinato contro l’epatite B.
la vaccinazione protegge sia nei confronti dell’epatite b che con la confezione B-Delta
il personale sanitario di HbsAg può sovra infettarsi durante l’assistenza ad un paziente HDV positivo(
sono colpiti in modo particolare dalla duplice infezione e tossicodipendenti e gli omosessuali).
Nel caso di un operatore sanitario portatore di HBsAg debba assistere un pz HbsAG positivo,
quest’ultimo dovrà essere immediatamente sottoposto a determinazione dei Marker delta.
Nel caso in cui tali marker risultano positivi, dovrà essere considerata la possibilità di sostituire con
colleghi immunizzati contro il virus B ( e quindi anche contro il Delta), comunque gia al primo approccio
con un soggetto HbsAG positivo è bene che l’operatore sanitario lo consideri come probabile portatore
anche di virus delta, se appartenente alle categorie a rischio.

EPATITE A

Tra le infezioni da virus epatici è certamente la più comune, è diffusa in tutto il mondo ed in particolare
nei Paesi in via di sviluppo. In Italia l’Epatite A ha fatto registrare una diminuzione dei casi ed uno
spostamento dell’età infantile verso l’età più alta - migliori condizioni ambientali.

Si tratta di un piccolo virus a RNA di 27 nm incluso nel genere HEPATOVIRUS della famiglia. Cresce in
colture cellulari di rene di scimmia fetale. Resiste alla temperatura di 60°C per 1 ora. Periodo di
incubazione varia da 10 a 50 giorni. Periodo prodomico o preitterico dura 1 settimana (astenia,
nausea, anoressia, febbre). Periodo itterico dura da 2 a 4 settimane (scomparsa febbre, urine color
marsala, subittero)

Si conoscono forme atipiche di Epatite A:


- FULMINANTI 0,1%
- GRAVI O SUBACUTE 0,5/1%
- DECORSO PROTRATTO 5-10%
- RECIDIVANTI 2-5%

E’ una malattia diffusa in tutto il mondo (zona tropicale - subtropicale).In Italia costituiscono il 40% di
tutte le forme di Epatite A L’uomo costituisce l’unica sorgente di infezione. Il malato elimina il virus con
le feci qualche settimana prima della comparsa dell’ittero fino ad alcuni giorni dopo. Le modalità di
contagio sono quelle tipiche delle malattie a trasmissione fecale-orale. L’infezione avviene per via orale
e può essere diretta o indiretta attraverso l’acqua ed alimenti (frutti di mare, verdure crude). Il
contagio può avvenire per via parenterale mediante sangue, ma è da considerarsi eccezionale per la
breve viremia.

PREVENZIONE:
L’isolamento dura 7 giorni a partire dalla diagnosi o dall’ittero. Per i conviventi non è prevista alcuna
restrizione. È opportuno sottoporli ad indagini chimico-cliniche, è utile la ricerca di anti-HAV . bisogna
procedere alla disinfezione delle feci e degli effetti del malato (indumenti, stoviglie).
Interventi di bonifica ambientale:
- corretto smaltimento dei rifiuti liquidi;
- potabilizzazione dell’acqua;
- vigilanza sanitaria impianti di stabulazione dei mitili - terreni adibiti ad ortaggi;

PROFILASSI
Attualmente è disponibile un vaccino costituito da virus inattivato con formalina e adsorbito su
allume. Questo è capace di indurre la risposta anticorpale 100% dei soggetti. È ben tollerato e privo di
effetti collaterali. Dona una protezione di 10 anni. La scheda vaccinale prevede la somministrazione di
tre dosi per via parenterale: tempo 0 - 1 - 6 mesi. È consigliata la vaccinazione per i gruppi a rischio: ai
viaggiatori in aree endemiche, settore alimentare, personale di assistenza pediatria-nonatologia. Nei
soggetti esposti a rischio sono disponibili le Gammaglobuline normali.

PROFILASSI GENERALE E ASPECIFICA


- NOTIFICA OBBLIGATORIA: A.S.L. (entro 2 giorni osservazione del caso)
- ISOLAMENTO: 7-10 gg. comparsa ittero
- CONVIVENTI: nessuna restrizione
- DISINFEZIONE: mani - biancheria - stoviglie
- BONIFICA AMBIENTALE: potabilizzazione acque
depurazione reflui
- VIGILANZA SANITARIA: impianti stabulazione mitili
terreni adibiti ad ortaggi
- SCUOLE: inutilità: chiusura per 3 giorni (disinfezione periodica)

EZIOLOGIA
GENERE: HEPATOVIRUS
HAV: RNA 25 - 28 nm
SIMMETRIA CUBICA
DETERMINANTE ANTIGENICO: 1
ANTICORPI: IgM IgG
RESISTENZA: il virus resiste a
- 60°C x 1 ora
- CLORO: 1 ppm x 30 min.
- SOLUZIONI ACIDE A pH 3
INATTIVAZIONE: viene inattivato a:
- 100°C x 5 min.
- FORMALINA: 1:4.000 dopo 3gg. A 37°C

PATOGENESI
VIA ORALE - INTESTINO - VIA PORTALE - EPATOCITI (lesioni degenerative necrotiche - necrosi a spruzzo
- corpi acidofili) - VIREMIA - ALTRI ORGANI – BILE – INTESTINO - FECI (10° - 12° g.)

EPIDEMIOLOGIA
- MODALITA’ DI TRASMISSIONE: fecale - orale (acqua - alimenti);
ematica (emotrasf. - eroinomani).
- DIFFUSIONE: intrafamiliare;
comunità chiuse.
- GRUPPI A RISCHIO: vaggiatori internaz.;
omosessuali;
soggetti con epatite cronica per
mal. Fulminante.

DIAGNOSI DI LABORATORIO
➢ Accertamento indiretto: ricerca anticorpi IgM ed IgG
- Anti-HAV IgM
svelabili 5-10 gg. da esposizione
persistenza per 6 mesi
- Anti-HAV IgG
compaiono in corso di infezione
rimangono per tutta la vita
conferiscono immunità permanente

➢ Accertamento diretto (occasionale):


metodo di virologia molecolare quale:
POLYMERASE CHAIN REACTION (PCR)
HIV
ORIGINI:
Ha origine da un virus delle scimmie (SIV) originario dell’Africa che probabilmente si è
evoluto in HIV-2, originato da un processo di evoluzione naturale, mediante mutazioni
genetiche. Il virus SIV inizialmente colpiva solo le scimmie ma i vari processi evolutivi
l’hanno resa patogena anche per l’uomo. È un virus che si trasmette tramite il sangue e
si pensa che il sangue di scimmia infetto sia entrato in contatto con il sangue umano; di
conseguenza l’uomo si sia infettato e sia iniziata la diffusione del virus. Viene chiamata
anche la malattia delle 4H. Una di queste H è riferita ad HAITI in quanto si pensa che la
trasmissione del virus sia iniziata da li.
Nel Settembre dell’81’, un articolo riportava la prevalenza elevata del Sarcoma di Kaposi
in soggetti atipici, perché questo era un tumore tipico di soggetti ebrei, degli abitanti
dell’Europa Centrale e di alcune tribù negre come i Bantù. Il Sarkoma di Kaposi è
un’affezione cronica relativamente benigna, limitata alle persone anziane, di sesso
maschile (9 su 10) o appartenenti a gruppi etnici particolari precedentemente detti.
Fondamentalmente, da qui, dall’incremento del numero dei casi e dall’aumento della
richiesta di Pentamidina, usata per la cura della patologia da Pneumocystis Carinii, si
riuscii a capire cosa non andava. E si risale all’attribuzione della patologia al virus
dell’HIV.
5 giugno 1981: primo annuncio ufficiale
“Pneumocystis pneumonia – Los Angeles”
CDC—MORB . mort Weekly Rep. 30, 250, 1981
Fatti insoliti: Tutti i malati maschi, giovani tra I 29 e I 36 anni, dediti a pratiche
omosessuali. Polmonite attribuita ad un protozoo praticamente ubiquitario:
Pneumocystis carinii, incapace di provocare patologie particolari se non in soggetti con
deficit immunitario.
4 luglio 1981: secondo comunicato:
“ kaposi’s sarcoma and Pneumocystis Pneumonia homosexal men. New York City abcd
california” CDC- morb. Mort weekly rep 30, 350 1981
Fatti insoliti : 26 malati (20 a New York e 6 in California) in 30 mesi, dall’inizio del 1979
Nessuno aveva piu di 51 anni (età media 39)
Tutti erano omosessuali. Tutti presentavano oltre al sarcoma patologie infettive quali
polmoniti sa P. carinii, toxoplasmosi del snc, meningiri da Cryptococcus, infezioni da
CMV
Settembre 1981:
“kaposi’s sarcoma in homosexual men. A report of eight cases”.

Il primo caso in Italia venne diagnosticato nel 1982 in un tossico – dipendente e si


manifesto con delle polmoniti.

Sarcoma di Kaposi:
Affezione cronica relativamente benigna, limitata alle persone anziane, di sesso maschile
(9 su 10) o appartenenti a gruppi etnici particolari:
Ebrei vecchi abitanti dell’Europa centrale
Alcune tribù negre africane quali i Bantù
Nessuno dei casi segnalati a New York aveva alcuna delle caratteristiche descritte.

Patologia da P. Carinii
Dal 1980 assistiamo ad un aumento dei casi messo in evidenza dall’ accresciuta richiesta
ai servizi federali di Atlanta alla Pentamidina :
Distribuita in 12 anni, dal 1967 al 1979 solo due volte
Nel giro di pochi mesi, dal febbraio 1981, noce richieste provenienti da New York.
Indagini retrospettive fanno ritenere che HIV sia inizialmente comparso in africa negli
anni 50, diffondendosi poi nei Caraibi e successivamente negli USA e in Europa.
Attualmente si calcola che gli individui colpiti dall’infezione siano oltre 30 milioni; nelle
zone endemiche dell’africa e dei caraibi il numero dei contagiati sarebbe molto elevato.

Cos’é l’HIV?
Human (infecting human beings)
Immunodeficiency: decrease ore weakness in the body’s ability to fight off infections and
illness
Virus: a pathogen having the ability to replicate only inside a living cell

HIV: Virus Immuno Deficienza Umana


Il virus dell’immunodeficienza umana (sigla inglese HIV) è l’agente responsabile della
sindrome da immunodefienza acquisita (sigla inglese AIDS). È una malattia infettiva
caratterizzata da una grave compromissione della risposta immunitaria cellulo – mediata
la cui causa dipende da cause esterne.
Il virus dell’HIV (scoperto da Montaigner-Gallo) è un retrovirus del genere lentivirus ad
RNA, caratterizzato dalla capacità di dare origine a infezioni croniche che evolvono
lentamente ma progressivamente e che se non trattate possono avere un esito fatale. Il
virus dell’HIV una volta entrato nel circolo sanguigno nell’ospite non infetto va a colpire
le cellule in cui può riprodursi. La sua particolarità è che dopo aver infettato la cellula si
ricompone per andare ad infettare nuove cellule. In 24 ore si infettano circa 1 miliardo di
cellule. Le cellule che va a colpire sono le cellule immunitarie ricche di recettori CD4
come i linfociti T4(helper), linfociti B, macrofagi, linfociti T citotossico e in particolare i
linfociti CD4+, che hanno un ruolo particolarmente cruciale del sistema immunitario.
Sono dei veri e propri “direttori d’orchestra” che attivano di volta in volta settori diversi
delle difese a seconda del tipo di ospite indesiderato con cui entrano in contatto (batteri,
virus, funghi). Il virus attacca quindi, i linfociti T helper (che svolgono un’importante
funzione di stimolo nei confronti delle altre componenti del sistema immunitario)
attraverso il recettore CD4 grazie la glicoproteina di superficie gp120 (recettore per le
cellule bersaglio), mentre un’altra proteina, la gp41, serve per fondere la membrana del
bersaglio e permettere al virus di penetrare al suo interno. Una volta entrato nella
cellula, HIV, tramite alcuni enzimi contenuti nella sua struttura, integra il proprio
genoma con quello della cellula ospite trascrivendolo in DNA. Si tratta di un processo
molto importante per il virus, si maschera all’interno del DNA diventando inattaccabile
dalle difese immunitario e dalle terapie farmacologiche. A questo punto HIV può avviare
subito la replicazione virale o può restare inattivo a tempo indeterminato, anche per
l’intera vita del soggetto. Abbiamo due sierotipi:
- HIV-1 ormai diffuso in tutto il mondo;
- HIV-2 presente soprattutto in Africa centrale ed occidentale e in India, determina
una sindrome clinicamente più moderata rispetto alla precedente.
È un virus labile e quindi non si trasmette tramite i rapporti sociali ed ha un’alta
mutabilità, infatti varia velocemente e di conseguenza non è facile riconoscere e studiare
un vaccino.
È inattivato da agenti chimici, da pH inferiore a 7 o superiore a 10, da temperatura di
60C° per 30 minuti.
Dobbiamo differenziare l’HIV dall’AIDS, la quale è la sindrome da immunodeficienza
acquisita che segue l’infezione da HIV quando il numero di linfociti CD4 scende al di
sotto delle 200 cellule/mL (fonte WHO)
Ci sono 3 stadi:
- Superiore a 500
- Tra 500 e 200
- Inferiore a 200
La classificazione del CDC si basa sulla presenza di sintomatologia o meno.
Bisogna ricordare come non tutti i soggetti con HIV possano essere soggetti con AIDS,
potendo essere comunque infettanti.
L’infezione da HIV può dar luogo ad un gran numero di condizioni immunologiche-
immunodepressione che rendono il soggetto affetto più predisposto alle infezioni dette
opportunistiche provocate da microrganismi normalmente innocui.

SINDROME DA IMMUNO-DEFICIENZA ACQUISITA AIDS O SIDA


Cosa è l’AIDS?
Aquired: to come into possession of somethnig new
Immune Deficiency: decrease or weakness in the body’s ability to fight off infection and
illnesses
Syndrome: a group of signs and symptoms that occur together and characterize a
particular abnormality
AIDS is the final stage of the disease caused by infection with a type of virus called HIV

DEFINIZIONE: AIDS si intende una condizione di immuno-compromissione, secondaria


all’infezione da HIV caratterizzata da una deficienza delle immunità cellulare in pazienti
di età inferiore a 60 anni senza cause dimostrate di immunodeficienza conosciute
accompagnate da un insieme di manifestazioni cliniche derivanti dalla presenza di:
INFEZIONI OPPORTUNISTICHE: batteri, funghi, protozooi, Pneumocystis Carinii,
Micobatteriosi atipiche, Protozoi, Toxoplasma Gondii, Criptococchi, salmonelle, aspergilli-
, toxoplasmosi, candidosi.
INFEZIONI DA VIRUS o NEOPLASIE: citomegavirus, herpes simplex, linfoma cerebrale,
sarcoma di Kaposi.

Per quanto riguarda la sorgente, l’unica è l’uomo, mentre lo scimpanzé è un serbatoio


“sperimentale”.
La diffusione in Africa fu favorita da alcuni fattori come: la macellazione delle carni, la
presenza di conflitti armati, la prostituzione, la scarsa igiene, il mancato rispetto delle
precauzioni standard, alcune pratiche poco consone come l’infibulazione.
È una malattia non molto contagiosa perché, considerando che un ml di sangue può
contenere 10.000 miliardi di Epatite B ma 10.000 particelle virali di HIV. Per quanto
riguarda la Sicilia, i primi casi si ebbero nel 1985, mentre in Italia nel 1982, solo un
anno dopo i casi riscontrati in America (fu scoperto da Montaigner e Gallo).
La classificazione della malattia si distingue in 4 fasi:
- Infezione acuta da HIV: è caratterizzata da tre caratteristiche: elevata
replicazione virale e conseguente distruzione di cellule CD4+, costituzione del
serbatoio di cellule latentemente infette (in quanto non tutte le cellule infettate
nella fase acuta avviano la replicazione virale). In circa la metà dei casi l’infezione
acuta è asintomatica e, anche quando è caratterizzata da sintomi, il quadro clinico
è poco specifico, facilmente confondibile con una sindrome influenzale. Un 20% -
30% di casi mostra un quadro clinico più complesso e sospetto, con febbre,
manifestazioni esantematiche simil – morbillose, linfonodi ingrossanti, quadri
meningei che indicano la presenza di HIV nel sistema nervoso centrale.
- Stato infezione asintomatica da HIV: In assenza di terapie può durare da 8 a 12
anni ma anche oltre. Dal punto di vista clinico le condizioni del soggetto sono per
lo più stabili, ma dal punto di vista virologico la replicazione persiste, in
particolare nei tessuti linfatici, sebbene tenuta sotto controllo dalla risposta
immunitaria. Il tessuto linfatico che ospita la replicazione va però incontro a un
progressivo deterioramento, che nel tempo compromette la capacità di reintegrare
i linfociti distrutti dal virus. È una fase del tutto asintomatica.
- Linfadenopatia sistemica o LAS---ARC: in questa fase si ha un nuovo aumento
della viremia ed una più rapida caduta nella conta dei linfociti con possibilità di
manifestazione dei primi sintomi dell’immunodeficienza.
- Fase conclamata di AIDS: in questo stadio la carica virale riacquista forza,
mentre resta progressivo e costante la riduzione dei livelli di linfociti CD4+.
Quando il numero dei linfociti scende al di sotto di una soglia critica, l’organismo
non riesce più a difendersi da una serie di microrganismi scarsamente patogeni in
condizioni normali, detti opportunisti. Sintomi comuni sono la febbre,
sudorazione, ingrossamento ghiandolare, tremore, debolezza e perdita di peso. Le
principali patologie polmonari sono: la polmonite, la tubercolosi e la parotite. Le
infezioni del tratto gastr – intestinale comportano esofagiti e diarrea cronica. Tra le
principali patologie neurologiche vi sono la toxoplasmosi e la demenza; aumenta il
rischio di sviluppare varie forme di tumore come il sarcoma di Kaposi, i tumori del
cervello e i linfomi.
L’infezione può dar luogo ad una serie di conseguenze derivanti dall’attacco del virus ai
linfociti CD4, provocando immuno-compromissione.
Per quanto riguarda i sintomi, dopo un periodo di incubazione abbastanza lungo che può
arrivare a un mese o 6 mesi o più (è stato descritto anche 1 anno), il soggetto per la
prima parte presente dei sintomi simil-influenzali, con febbre linfoadenopatia, calo
ponderale maggiore del 10%, diarrea. Successivamente il virus distruggendo i linfociti T
helper, porta alla fase di AIDS.

FASI MALATTIA
16

14

12

10

0
COND. NORMALE INFEZIONE PER. LATENZA AIDS CONCLAMATA

CD4 INFEZIONE

MODALITA’ DI TRASMISSIONI REALMENTE EFFICACI SONO:


L’HIV è un virus a bassa contagiosità, che per trasmettersi ha bisogno di un’elevata
concentrazione di particelle virali (quindi il semplice contatto non rappresenta un evento
efficace di trasmissione). Per tanto sono state individuate principalmente tre vie di
trasmissione dell’HIV, tutte riguardanti la penetrazione diretta di sangue o altre
secrezioni infette nel circolo ematico di un soggetto sano.
Le vie di trasmissioni sono le stesse descritte per il virus dell’epatite B e C:
- Via parenterale;
- Parenterale inapparente,
- Immissione di sangue infetto nel circolo: tramite trasfusioni di sangue infetto,
trapianti d’organo, aghi, bisturi, strumentario chirurgico infetto, siringhe infette.
Anche i piercing e i tatuaggi possono provocare la trasmissione se non vengono
utilizzati gli appositi strumenti sterili. L’esclusione sistematica dalle donazioni dei
soggetti infetti e la sterilizzazione di tutti gli strumenti che entrano in contatto col
sangue ha reso questo tipo di contagio prettamente episodico.
- Sessuale: oggi la maggior parte delle nuove infezione del virus dell’HIV avviene
attraverso rapporti sessuali penetrativi non protetti, sia etero che omosessuali.
Anche le pratiche sessuali non penetrative possono portare il contagio, sebbene le
segnalazioni attribuibili ad esse abbiano un valore di eccezionale rarità. Lo sperma
è mediamente più infettante delle secrezioni vaginali, perché oltre al virus libero
può contenere linfociti infetti; inoltre esso può rimanere anche a lungo a contatto
con le mucose vaginali o rettali. La donna diventa più infettante in presenza di
sangue mestruale, infezioni o infiammazioni vaginali. I rapporti anali
rappresentano un maggior rischio di contagio, per la maggior facilità con cui crea
microtraumi e per la natura della mucosa rettale, strutturalmente meno idonea a
contrastare l’impianto dell’infezione. Il preservativo, impedendo il contatto tra
mucose genitali e secrezioni potenzialmente infette impedisce il contagio da tutte
le malattie sessualmente trasmissibili. La trasmissione è più facile che avvenga
dall’uomo alla donna e non viceversa.
- Trasmissione materno-fetale: può essere una derivazione del contagio
sanguigno, in utero attraverso il cordone ombelicale, oppure durante il parto o
l’allattamento. Sia il liquido amniotico che il latte materno hanno infatti un’altra
concentrazioni di virus. Durante la gravidanza, se la madre risulta positiva al
virus, viene sottoposta ad una profilassi intra – partum e il parto verrà eseguito
con un taglio cesareo. I bambini vengono sottoposti alla profilassi per i primi sei
mesi risulteranno positivi in quanto mantengono gli anticorpi della madre; dopo
sei mesi, se le procedure della gravidanza assistita sono state efficienti il bambino
risulterà siero negativo, nel caso contrario risulterà infettato e quindi siero
positivo. Questa procedura prende il nome di wash-ut
È stato isolato in numerosi liquidi organici: sangue, sperma, liquido vaginale, liquor,
latte. L’HIV è stato trovato anche: nelle urine, feci, lacrime, sudore, muco, tosse di
individui infetti, ma vista la bassa concentrazioni del virus in questi liquidi biologici, il
rischio di trasmissione è considerato trascurabile salvo situazioni del tutto eccezionali,
come il miscuglio con abbondante sangue. Escluse anche: aria, acqua ad uso potabile,
alimenti ad uso ricreativo (piscine ecc), stoviglie, biancheria, contatti sociali (stretta di
mano, coabitazione, scambio di utensili, contatti familiare, contatti scolastici.
Le zanzare, da sempre sospettate di essere un possibile veicolo di infezione, in realtà
sono sostanzialmente innocue, sia perché il virus non si può replicare all’interno delle
ghiandole salivari dell’insetto, sia per via della bassissima probabilità di infezione. La
zanzare femmina dopo aver aspirato il sangue, riposa per circa 24h, tempo sufficiente
alla scomparsa del virus.

PRINCIPALI GRUPPI A RISCHIO


- Tossicodipendenti
- Soggetti omosessuali
- Soggetti eterosessuali con più partner.
- Prostitute e i loro partners
- Nati da madri ad elevato rischio
- Emofilici
- Trasfusi
- I pazienti sottoposti a trapianti d’organo.
Adesso i soggetti eterosessuali hanno superato gli omosessuali, per la riduzione delle
protezioni, promiscuità sessuale, viaggi in paesi dell’est (turismo sessuale). Le età più
interessate dalle malattie sessualmente trasmesse, in generale, sono due fasce: i
trentenni ed i cinquantenni.

MANIFESTAZIONI CLINICHE
Il primo apparato bersaglio è quello gastrenterico e il primo sintomo è quello della diarrea
acuta. Si parla di compartimentalizzazione in quanto una volta annidato in uno di questi
organi: linfonodi, midollo, fegato, encefalo, apparato gastro- enterico è impossibile da
eliminare.
Infezione acuta da HIV: la prima fase viene definita “sindrome simili-mono-nucleosica,
la diagnosi differenziale è da farsi con infezioni da Citomegalovirus, Epstein Barr virus;
Stato di infezione asintomatica da HIV: alla prima fase segue uno stato asintomatico,
in cui il soggetto è in stato di benessere clinico, (intensa risposta immune-scarsa
replicazione virale);
Segue la fase di linfadenopatia sistemica (LAS). È uno stadio di linfoadenomegalia
bilaterale,(<1cm) in 2. Ovviamente il linfonodo per essere considerato incrementato, deve
superare 1-2 cm nelle stazioni linfonodali laterocervicali, non deve essere palpabile a
livello occipitale, piuttosto che ascellare, inguinale, in due o più stazioni extra-inguinali
per oltre 3 mesi. Poi c’è la splenomegalia, la febbre intermittente, segue anche il calo
ponderale superiore al 10%, la sudorazione profusa, diarrea e astenia. Da qui la diagnosi
differenziale con altre patologie sia infettive che neoplastiche (es. leucemia).
Arriviamo alla fase complesso AID- correlato (ARC): in questa fase vi è un
peggioramento della sintomatologia. Febbre persistenze, sudorazioni notturne, calo peso
corporeo< 10%, diarrea cronica, linfoadenopaia generalizzata, deficit immunità cellula-
mediata (CD4+ < 100 ul)
Infine l’ultima fase è la fase conclamata di AIDS: vi è una compromissione seria delle
difese immunitarie. Questo calo delle difese espone il soggetto a quelle che vengono
definite infezioni opportunistiche: virus, batteri, miceti, protozoi. Tipica inoltre
l’insorgenza di Sarcoma di Kaposi e Linfomi.

ACCERTAMENTO DIAGNOSTICO:
La diagnosi di AIDS in una persona infetta da HIV si basa sulla presenza di segni e
sintomi e su alcuni esami di laboratorio.
Il test HIV viene solitamente effettuato su sangue venoso e cerca nel sangue gli anticorpi
diretti contro gli antigeni gp41 e gp120 per l’HIV1 o gp36 e gp105 per l’HIV2. Quando il
virus penetra nell’organismo, gli anticorpi anti – HIV non si formano subito, si parla
infatti di un “periodo finestra”. Il periodo finestra è il tempo che comprende la fase in cui
si è contagiati, si diventa contagiosi ma nell’organismo non è ancora avvenuta la
sieroconversione cioè non si sono ancora formati gli anticorpi specifici anti –HIV. Dura
mediamente 4-6 mesi. Dopo il periodo finestra si ha la comparsa degli antigeni, a cui
segue la comparsa di anticorpi IgM. Il periodo finestra costituiva un problema nella
diagnostica, ma oggigiorno vi sono diversi test che rilevano l’antigene p24 precocemente.
IL test diagnostico di screening consiste nell’identificazione degli anticorpi anti HIV con:
- Tecnica EIA o ELISA: si effettuata un primo test dopo un mese- un mese e mezzo
dal rapporto a rischio, al fine di superare la durata media del periodo finestra, ed
uno dopo tre mesi. Se il test è negativo, dopo 3 mesi dall’ultimo evento a rischio,
significa che il contagio non è avvenuto. Se il test è positivo, necessita di un
ulteriore test di Conferma WESTERN BLOT che indica che il contagio è avvenuto.
Il test ELISA (si pronuncia ELAISA) può dare due risultati: positivo, negativo o
indeterminato. Quando è indeterminato si fa il test di conferma WESTERN BLOT
se è positivo, il contagio è avvenuto; se è negativo il contagio non è avvenuto (
anche se il test elisa risulta positivo – falso negativo).
- Antigene circolante P24: rileva se vi sono gli anticorpi anti – HIV.
- Genoma virale RNA o PCR: il rilevamento del virus mediante reazione a catena
della polimerasi (PCR) durante il periodo finestra è possibile e consente una
diagnosi più precoce.

È fondamentale la diagnosi precoce nei soggetti sieronegativi nel periodo finestra, la


risoluzione di profili sierologici indeterminati, attraverso il test di conferma e il
monitoraggio degli operatori sanitari che sono esposti a materiale potenzialmente infetto.
Nel 2018 ci sono stati 2847 nuove diagnosi, le incidenze maggiori nel Lazio, Toscana e
Liguria e ancora oggi purtroppo le diagnosi vengono fatte ancora in stato avanzato, infatti
sono stati diagnosticati 661 nuovi casi di AIDS. Solo il 25% di essi aveva avviato una
terapia anti-retrovirale prima della diagnosi, che può rallentare la progressione.
L’HIV viene considerata una pandemia e i tassi sono più elevati in Africa, America de Sud
e estremo Oriente.
Il test per la ricerca degli anticorpi anti HIV, in soggetti con sospetto di infezione, è
gratuito, con ogni garanzia di rispetto della riservatezza dei dati, grazie al decreto
legislativo del ’98 che fu richiamato anche nel 2011. Il test è eseguibile in ogni
laboratorio (autorizzato) ed è opportuno prima un counseling pre-test che consenta di
capire quali sono state le possibilità di trasmissione.
L’AIDS rappresenta un problema sanitario che richiede sforzi nel campo della
prevenzione, della terapia a tutti quanti i livelli: politico, economico e sociale.

PREVENZIONE
Tranne che per rare eccezioni, l’infezione da HIV evolve fatalmente in AIDS. Oggi non
esistono vaccini o cure contro l’AIDS ma alcuni trattamenti possono rallentare il decorso
della malattia. Dopo la diagnosi di AIDS, se il trattamento non è disponibile, la
sopravvivenza varia tra i 6 e i 19 mesi. La disponibilità di farmaci anti-retrovirali, che
mirano a inibire la replicazione e l’aggancio di nuovi bersagli agendo sulle proteine e sugli
enzimi del virus, non eliminano il virus, ma prevengono le infezioni opportunistiche
riducendo il tasso di mortalità dell’80% e aumentando la speranza di vita a 20 – 50 anni.
L’unica prevenzione attuabile riguarda la prevenzione primaria, attuando una serie di
interventi il cui scopo è quello di interrompere la trasmissione del virus per via sessuale,
la trasmissione attraverso il sangue e la trasmissione perinatale.
La prevenzione della trasmissione per via sessuale deve mirare a promuovere
comportamenti responsabili e cauti, specialmente negli adolescenti. I programmi di
educazione sanitaria dovrebbero essere svolti in ambito scolastico mirando non solo a
informare sui rischi ma anche ad indurre dei comportamenti responsabili per la
salvaguardia della propria e dell’altri salute.
Altra trasmissione molto diffusa è attraverso sangue infetto, soprattutto tra i
tossicodipendenti che usano scambiarsi le siringhe. Effetti positivi immediati si hanno
mettendo a disposizione gratuitamente siringhe sterili non riutilizzabili (autobloccanti) e
con l’educazione tra pari per indurre a non scambiarsi siringhe o altri oggetti contaminati
con i sangue.
Nella pratica medico-chirurgica vanno adottate tutte le precauzioni per evitare la
contaminazione con il sangue sia del personale d’assistenza sia delle persone assistite.
Va usato strumentario sterile, possibilmente monouso, e vanno eliminati aghi e altri
taglienti in appositi contenitori con pareti non perforabili, al fine di evitare punture
accidentali.
Per la prevenzione della trasmissione perinatale è raccomandato di offrire a tutte le
donne in gravidanza test di screening e, in caso di positività anche al test di conferma,
proporre il parto cesareo; per evitare la trasmissione con il latte si deve consigliare di non
allattare al seno. Per consentire a chiunque abbia avuto delle occasioni di rischio di
infezione di conoscere il proprio stato di salute, sono attive delle apposite strutture in cui
è possibile ottenere in modo anonimo e gratuito l’esecuzione del test per l’HIV, in
counselling e l’eventuale assistenza clinica e terapeutica. Le persone sieropositive, oltre
ad avere diritto alla riservatezza, non devono in alcun modo essere sottoposte a
restrizioni o discriminazioni nella vita sociale e nelle attività lavorative. Vanno informate
sulle modalità di trasmissione dell’infezione ed educate ad evitare di contagiare altre
persone, è importante che in caso di sieropositività il partner venga informato. La
persona infetta è soggetta a denuncia obbligatoria e dunque a notifica, è fondamentale
l’educazione sanitaria. Non ci sono vaccini, però stanno facendo probabilmente un
vaccino terapeutico. Per quanto riguarda le modalità di chemioprofilassi, qui si fa la
terapia antiretrovirale. In Italia ci sono 4000 nuovi casi all’anno. Uno ogni due ore.
Attualmente l’infezione interessa tutte le fasce di età dai ragazzi alle persone di 60-70
anni. Fra i nuovi infetti uno su 20 è ultrasessantenne. Oggi è in aumento la percentuale
delle donne.
In Italia attualmente il 65% dei maschi contrae il virus tramite rapporti sessuali
occasionali con amiche- prostitute mentre il 70% delle donne si infetta attraverso il
partner fisso.
HIV A 360°: Nel mondo 35,3milioni di persone sono sieropositive. L’africa Sub- Sahariana
ad essere la regione più colpita con 25 milioni di persone che convivono con il virus, di
cui 2,9 milioni di bambini. Solo nel 2012 il numero delle nuove infezioni è di 1,6 milioni
di cui 230.000 minori.
L’Italia nel 2012 ha conquistato un triste primato. Quello di paese europeo con piu morti
1700. Nel 2001 i morti erano 1400. Tra le principali cause che emergono: scarsa
prevenzione, ignoranza, abbassamento della guardia per quanto riguarda i test del
sangue che individuano la presenza del virus.
L’istituto superiore della sanità per il 2012 registra 3800 nuovi casi di persone infette.
Complessivamente il numero di italiani sieropositivi tocca i 140 MILA. Con un pericoloso
aumento dei casi fra i giovanissimi e il picco di infezioni del 36,1% dei casi totali. Nel
2012,la maggioranza delle nuove diagnosi di infezioni da HIV è attribuibile a rapporti
sessuali non protetti, che costituiscono l’80,7% di tutte le nuove diagnosi. Cresce anche
il numero di donne italiane siero positive 3000 nuovi casi dal 2001.
IGIENE
PROF. SQUERI

Infezioni Correlate all’Assistenza (ICA)


Per infezioni correlate alle pratiche assistenziali intendiamo una serie di infezioni
contratte da un paziente in ambito ospedaliero o comunque in una struttura
assistenziale che non sono presenti in incubazione al momento del ricovero, pertanto
devono essere clinicamente manifeste almeno 48h dopo il ricovero, perché altrimenti si
parla di infezioni comunitarie, durante il ricovero stesso e dopo le dimissioni (fino a 30
gg, es. infezioni chirurgiche o infezioni post-intervento di protesi o HBV). Tra le attività di
prevenzione e controllo delle infezioni da microrganismi resistenti, la prevenzione delle
infezioni correlate all’assistenza (ICA) ha un ruolo centrale.
Definizione di infezione ospedaliera, necessita di ampliare il concetto di infezioni
ospedaliere a quello di infezioni correlate all’assistenza sanitaria e sociosanitaria ICA
Le infezioni ospedaliere (IO) o, con definizione più recente, Correlata all’Assistenza (ICA)
sono infezioni che insorgono durante il ricovero in ospedale o in altri casi, dopo che il
paziente è stato dimesso, e che non erano manifeste clinicamente, nè in incubazione al
momento dell’ammissione. Oggi si intende un capo più vasto che include tutte le
infezioni riconducibili a momenti assistenziali. Anche non strettamente ospedalieri, e la
prevenzione del rischio biologico per il personale sanitario.
- Infezioni ospedaliere occupazionali
- Infezioni Acquisite nelle strutture Sanitarie.
INFEZIONI OSPEDALIERE OCCUPAZIONALI.
Si intende un infezione sicuramente acquisita sul luogo di lavoro (corsia, S.Operatoria) o
che sia la risultante dell’attività lavorativa stessa, il cui periodo di incubazione dia
compatibile con intervallo di tempo intercorso tra l’esposizione all’agente responsabile e
la comparsa della malattia. Rappresentano un indicatore dell’efficienza e del dell’efficacia
delle misure di prevenzione adottate in ospedale nei confronti di qualsiasi infezione
ospedaliera.
INFEZIONI COMUNIRARIE
•Tutte le infezioni già presenti al momento del ricovero (con quadro clinico manifesto o in
incubazione) vengono invece considerare acquisite in comunità (infezioni comunitarie) ad
eccezione di quelle correlabili ad in precedente ricovero ospedaliero.
•Le infezioni ospedaliere IO o carrellare all’assistenza ICA sono un insieme piuttosto
eterogeneo di condizioni diverse sotto il profilo microbiologico, fisiologico ed
epidemiologico che hanno un elevato impatto sui costi sanitari e sono indicatori della
qualità del servizio offerto ai pazienti ricoverati.
Il rischio infettivo associato all’assistenza ha un ruolo centrale anche nell’ambito dei
diversi rischi associati all’assistenza sanitaria e socio – sanitaria: tale rischio, ossia il
rischio per pazienti, visitatori e operatori di contrarre una infezione, occupa un posto
particolare in ragione delle dimensioni del rischio, della complessità dei determinanti e
del trend epidemiologico in aumento con possibili ripercussioni sull’epidemiologia di
queste infezioni anche in comunità. Le persone a rischio di contrarre un’ICA sono
innanzitutto i pazienti, ma anche il personale sanitario, i volontari, gli studenti, i
tirocinanti.
Le infezioni correlate all’assistenza (ICA) sono infezioni acquisite nel corso dell’assistenza
e tale evento può verificarsi in tutti gli ambiti assistenziali, inclusi ospedali per acuti, day
– hospital/ day – surgery, lungodegenze, ambulatori, assistenza domiciliare, strutture
residenziali territoriali. Queste infezioni hanno un impatto clinico ed economico rilevante:
secondo un rapporto dell’OMS, le ICA provocano un prolungamento della durata di
degenza, disabilità a lungo termine, aumento della resistenza dei microrganismi agli
antibiotici, un carico economico aggiuntivo per i sistemi sanitari e per i pazienti e le loro
famiglie e una significativa mortalità in eccesso.
Non tutte le ICA sono prevedibili, ma si stima attualmente che possa esserlo una quota
superiore al 50%. Per alcune infezioni, per le quali sia stato dimostrato che la frazione
prevenibile è elevata, ogni singola infezione dovrebbe essere considerata come un evento
avverso dell’assistenza, da prevenire con azioni specifiche (la cosidetta “zero tolerance”).
La prevenzione e il controllo delle ICA rappresentano, quindi, degli interventi
irrinunciabili per ridurre l’impatto di queste infezioni e, più in generale, per ridurre la
diffusione dei microrganismi antibiotico – resistenti. Anche le strategie vaccinali sulla
popolazione o su specifiche popolazioni a maggior rischio, possono giocare un ruolo nella
prevenzione delle infezioni virali (per esempio influenza o morbillo) e batteriche (ad
esempio pneumococco), per ridurre il rischio di infezioni correlate all’assistenza e la
circolazione di ceppi antibiotico – resistenti, e per contenere il consumo di farmaci e, in
particolare, antibiotici.
Le infezioni correlate all’assistenza non colpiscono solo il paziente ma, essendo appunto
definite correlate alle pratiche assistenziali, possono colpire anche l’operatore stesso
mentre presta le cure al paziente (es. puntura da ago infetto).
Sono la complicanza più frequente e grave dell’assistenza sanitaria e hanno un rilevante
impatto economico e sociale, è stata stimata in Europa, per l’assistenza di pazienti con
ICA, la necessità di investimento economico pari a 7 miliardi di euro l’anno.
La frequenza oscilla tra il 4 e il 12% con una variabilità in base al paese che andiamo a
considerare (es. il Portogallo ha una frequenza del 12%, l’Olanda frequenza molto più
bassa). Letalità al 4%, maggiore nei paesi in via di sviluppo dove i tassi di frequenza di
infezioni ospedaliere sono anche più elevati (stima di circa il 19% di frequenza di ICA in
Albania).
La frequenza di ICA è in aumento in tutto il mondo e tale incremento è attribuibile a
diversi fattori, quali:
- La maggiore proporzione di pazienti immuno - compromessi o comunque fragili;
- L’accentuata complessità assistenziale.
In Italia si stima che si verifichino annualmente tra le 450.000 e le 700.000 infezioni,
alcune di queste mortali, che nel 70-80% dei casi sono considerate prevenibili.
La frequenza più elevata di ICA si hanno nei reparti di terapia intensiva, sia dell’adulto
che neonatale, la frequenza più bassa in psichiatria.
Le infezioni, invece, in ambito extra-ospedaliero ha definito una prevalenza del 3-4% in
Europa, l’Italia 3-9%, dove le infezioni più frequenti sono quelle del tratto respiratorio e
del tratto urinario.
La sorveglianza SPIN-UTI è la sorveglianza che viene guidata dalla professoressa Godi
dell’Università degli Studi di Catania che va a valutare l’incidenza (in una giornata, in un
certo periodo) delle infezioni in tutte le unità di terapia intensiva, ed è stato osservato che
le infezioni più frequenti sono le polmoniti, le infezioni del torrente ematico, del tratto
urinario e le infezioni correlate all’uso del CVC.

Le principali caratteristiche delle infezioni correlate all’assistenza sono:


- Includono una grande varietà di complicanze infettive accomunate
dall’associazione esistente con uno specifico episodio assistenziale.
- La classificazione di una infezione come correlata all’assistenza si basa
esclusivamente sul rapporto temporale esistente tra infezione e episodio di
assistenza;
- Alcune infezioni insorgono frequentemente dopo la dimissione dall’ospedale (48h);
- Includono infezioni esogene (trasmesse dall’esterno) ed infezioni endogene (flora
endogena del paziente);
- Includono infezioni prevenibili e infezioni non prevenibili allo stato attuale delle
conoscenze.
- Sono sempre più frequenti le infezioni sostenute da microrganismi resistenti agli
antibiotici.
Epidemiologia delle ICA: i motivi sono:
- Inadeguatezza organizzativa;
- Mancata gestione adeguata della struttura sanitaria;
- Mancata comunicazione che spesso è alla base dell’errore umano;
- Mancato lavaggio delle mani prima e dopo l’assistenza al paziente;
- Operatori sanitari che circolano con divise operatorie nei bar e nelle mense;
- Quantità di monili indossati.

Modello di Reason: descrive in quale modo può manifestarsi un evento avverso. Tale
modello è un cosiddetto system failure ovvero un modo per rappresentare come nei
sistemi complessi (e non solo in quelli sanitari) si possano verificare situazioni tali da
determinare eventi anche
catastrofici.
In tutte le attività che si
susseguono per
raggiungere un
determinato outcome (che
sia in relazione ad una
attività produttiva,
petrolchimica, nucleare,
bancaria, sanitaria,
aerospaziale ecc.) ogni
procedura può essere
esposta ad un rischio di
non essere completata
adeguatamente.
Le “fette” rappresentano le
difese del sistema. I
“buchi” sono invece i difetti
del sistema, l’assenza di meccanismi di controllo che possono determinare, insieme ad
altre carenze, ad un evento avverso. L’allineamento dei buchi, come nella figura porta al
decesso del paziente:
• Mancata anamnesi su allergia ad un farmaco
• Il medico prescrive il farmaco
• Il farmacista non verifica se sia stata accertata l’idiosincrasia al preparato
• L’infermiera somministra il farmaco
• Il paziente muore

Ad ogni livello, se una delle difese è messa in atto, l’evento avverso non avviene. Se
invece, le fette consentono un allineamento dei “buchi” si può verificare un evento
avverso.
È fondamentale quindi una corretta applicazione delle misure di prevenzione, ossia dei
bundle, “pacchetti assistenziali”. Ovviamente gli operatori sanitari che circolano con
divise operatorie in bar e mense e la quantità di monili indossati non sono la causa
principale, ma contribuiscono. Sarebbe anche da evitare l’utilizzo di smalto.
Le ICA quindi sono un problema sia individuale che sociale.
Sociale: perché la gestione del sistema sanitario nazionale è fatta sui fondi che metto i
cittadini. Aumento costi di degenza.
Individuale: Perché il soggetto potrà andare incontro a complicanze, allungare la durata
della degenza, mettere in pericolo la vita e pregiudicare il buon esisto di una terapia.
- Può rendere difficile la diagnosi;
- Pregiudica il buon esito delle cure;
- Mette in pericolo la vita.
Ovviamente, quindi, sono una conseguenza dell’intervento medico e del personale
sanitario, delle procedure assistenziali che a volte sono necessarie per il paziente (es.
cateterismo per un paziente che deve subire un trapianto, non possiamo evitare la
procedura assistenziale, ma è necessaria una sua corretta manipolazione e gestione) e
della durata della degenza in ospedale.

Distinguiamo infezioni endogene e infezioni esogene:


- Endogene: il germe ha partenza dal soggetto stesso;
- Esogene: sono causate da microrganismi che provengono dall’ambiente esterno.
Queste ultime possono essere tramesse con modalità per contatto, diretto o
indiretto, e attraverso un veicolo comune.
La trasmissione per contatto può verificarsi per:
- Contatto diretto: in cui il paziente viene a diretto contatto con la fonte di
infezione (ad es. goccioline di salive, droplet) o nelle infezioni trasmesse dalle mani
del personale. si tratta probabilmente della via di trasmissione più comune.
Tipicamente gli addetti all’assistenza dei degenti trasmettono i microrganismi
presenti sulla cute o acquisti da altri pazienti. Tale meccanismo di trasmissione
può essere prontamente ed efficacemente controllato con semplici misure come il
lavaggio delle mani o l’impiego di guanti. Questo meccanismo di trasmissione è
frequentemente implicato nella diffusione di microrganismi appartenenti alla flora
cutanea come gli stafilococchi, ma anche di bacilli Gram- negativi e virus
respiratori o gastroenterici.
- Contatto indiretto: l’infezione viene trasmessa da un soggetto infetto ad un altro
non infetto, attraverso un veicolo contaminato, esempio: contaminazione di
attrezzature sanitarie (endoscopi, strumenti chirurgici).

- Trasmissione oro- fecale: questo meccanismo solitamente è coinvolto nella


trasmissione di microrganismi che normalmente colonizzano l’intestino, da parte
del personale sanitario che si contamina e quindi trasmette i microrganismi a
ferite chirurgiche, cateteri urinari, apparecchiature di supporto respiratorio o
direttamente alla bocca dei pazienti.
- Trasmissione per via aerea: le particelle di Pflugge spesso contengono
microrganismi e sono di dimensioni talmente ridotte da consentirne il
mantenimento in sospensione nell’aria ambientale per lunghi periodi. In aggiunta,
queste macrogocce possono penetrare in profondità nelle vie respiratorie evadendo
i meccanismi di barriera delle alte vie aeree: attraverso questo meccanismo si
trasmettono diversi agenti patogeni quali virus respiratori e Mycobacterium spp.
- Trasmissione per via ematica: questo è il principale meccanismo di diffusione di
virus come HIV, HBV, HVC, e coinvolge principalmente il personale sanitario
professionalmente esposto al rischio di ferite con aghi o materiale tagliente
contaminato o di contaminazione diretta con sangue, siero, plasma o altri fluidi
corporei infetti.
La trasmissione da veicolo comune si realizza quando un veicolo contaminato trasmette
l’infezione contemporaneamente a diverse persone; esempio: cibo, sangue, liquidi di
infusione, farmaci e disinfettanti.
Le mani sono il più frequente mezzo di trasmissione, sia dei pazienti che degli operatori
sanitari.
- La mano prende dal paziente: dalla cute, dalle ferite infette, dal pus e dalle
secrezioni.
- La mano prende dal personale sanitario: dal viso, dal corpo, dalle mani e dai
vestiti.
- La mano contaminata: pazienti operati, bambini, malati gravi, malati cronici,
anziani, personale sanitario.
- La mano infetta: le attrezzature sanitarie, biancheria pulita, bagni, piatti e posate,
ecc.
- La mano trasferisce: dalle lenzuola, dalla biancheria sporca, dagli asciugamani
umidi, da bacinelle e lavandini, dai bagni.
L’importanza di questo veicolo è anche sottolineata dal fatto che più o meno in ognuno
dei bundle il lavaggio delle mani viene a essere indicato come punto essenziale.
I fattori di rischio:
FATTORI INTRINSECI (associati alle condizioni del paziente):
- Età: Le fasce al di sotto dei 10 anni ed oltre i 65 anni sono quelle maggiormente
colpiteIl neonato pretermine presenta un rischio d’infezione particolarmente
elevato in ragione dell’immaturità del suo sistema immunitario e di diversi organi,
come pelle, polmoni o tratto intestinale. Sono nello stesso tempo veicolo
d’infezione per altri pazienti (abbondanza di secrezioni respiratorie, l’incontinenza
di feci o urina, contatti fisici stretti durante il gioco o nel corso di cure mediche).
L’over 65 presenta, un rischio d’infezione particolarmente elevato in ragione della
frequente coesistenza di affezioni degenerative (es. apparato respiratorio),
riduzione delle difese immunitarie.
- Sesso: Le donne sono più a rischio di sviluppare infezioni delle vie urinarie. Gli
uomini le polmoniti;
- Stato nutrizionale: Denutrizione (stati carenziali di proteine, immunoglobuline,
complemento)Aumentano il rischio infettivo di 2-3 volte. Determinano un ritardo
nella guarigione delle ferite, con conseguente aumento dell’ospedalizzazione e
incremento delle complicanze chirurgiche. Stato di portatore nasale di
staphylococcus aureus. Questo patogeno è presente nelle narici del 20% - 30%
degli individui sani. Di questi circa il 60,7% da ceppi MRSA (60,7%). Numerosi
studi sottolineano l’associazione tra la presenza di questo microrganismo nel naso
dei pazienti prima dell’intervento e la susseguente comparsa
d’infezione.L’eradicazione è considerata una misura preventiva importante,
secondo le Linee Guida CDC 1999. La profilassi antibiotica perioperatoria con
cefalosporine riduce soltanto la carica batterica infettante ed è inefficace nei
confronti dei Meticillino-Resistenti (MRSA). Pertanto oltre alle misure igieniche
preventive è necessario, nei reparti a rischio, un protocollo mirato alla bonifica dei
portatori nasali;
- Gravi malattie di base; Endocrinopatie, Neoplasie, Ustioni estese, Deficit
immunitari (leucemie), Diabete, Splenectomizzati, Insufficienza epatica,
Politraumatismi, USO IMPROPRIO DI FARMACI: ANTIBIOTICI, CHEMIOTERAPICI,
IMMUNOSOPPRESSORI, DISMICROBISMI FAVORITE DA TERAPIE ANTIBIOTICHE
FATTORI ESTRINSECI:
- Associati a procedure invasive e assistenziali
- Associati alla mancata adozione delle misure generali di prevenzione
- Associati a caratteristiche organizzative dell’ospedale
I fattori di rischio: numerosi fattori possono aumentare il rischio di contrarre una
infezione correlata all’assistenza, tra i quali i principali sono l’esposizione a procedure
invasive diagnostiche o terapeutiche e la presenza di condizioni o malattie che
aumentano la suscettibilità alle infezioni. L’esposizione a procedure invasive aumenta il
rischio di complicanze infettive a causa di:
1. Accesso diretto dei microrganismi ad aree del corpo normalmente sterili;
2. Moltiplicazione dei microrganismi per le condizioni favorevoli che si determinano;
3. Contaminazione dei presidi stessi durante la produzione o al momento dell’uso
(mani del personale).
I principali patogeni responsabili sono: Enteroccus faecium, Staphylococcus aureus,
Klebsiella pneumoniae, acinetobacter baumannii, pseudomonas aeruginosa, enterobacter
spp. ( cosiddetti germi ESKAPE), Escherichia Coli, Clostridium Difficile, Candida…
Batteri Gram - Batteri Gram + Enterobatteri Gram - Funghi
AGENTI MICROBICI PIU’ FREQUENTEMENTE RESPONSABILI DI ICA (cdc)
• Stafilococco coagulasi negativo 15%
• Staphylococcus aureus 15%
• Entero coccus spp 12%
• Enterobacter spp 11
• Candida spp 10%
• Escheriche coli 8%
• Pseudomonas aeruginosa 6%
• Acinetobacter baumannii 3%
CEPPI RESISTENTI
•Recentemente, lo sviluppo di antimicrobici piu potenti e a largo spettro e l’aumento di
tecniche mediche piu unvasive è stato accompagnato da un aumento dell’incidenza di:
Organismi Gram positivi resistenti agli antibiotici come, enterococchi vancomicina
resistenti VRE e stafilococchi coagulasi negativi e Staphylococcus aureus
meticillinoresistente MRSA
•ORGANISMI GRAM NEGATIVI resistenti a piu farmaci includendo quelli che producono
lattamasi a largo spettro (estende spectrum bete clactamase ESBLs), Ps. Aeruginosa
carbanem resistente, klebsiella
•Ceppi multi sistemici MRM
La maggior parte di questi sono germi ALERT (“alert organism” si intendono i
microrganismi responsabili delle infezioni gravi, facilmente trasmissibili e resistenti a più
antibiotici che devono essere segnalati) e multi-resistenti.
Cause favorenti le ICA: rientrano i fattori individuali – ambientali – iatrogeni.
Fattori individuali:
- Età:
- Neonati perché non hanno un sistema immunitario ben sviluppato
- Anziani perché hanno un sistema immunitario ormai compromesso.
- Ovviamente anche pazienti con immunodeficienza e malattie croniche (es. diabete,
insufficienza renale).
- Malattie cardiovascolari;
- Malattie respiratorie croniche;
- Malattie dismetaboliche;
- Malattie neoplastiche;
- Traumi gravi;
- Deficit immunitari;
Fattori iatrogeni:
- Terapia immunosoppressiva;
- Interventi chirurgici protratti;
- Permanenza in loco di cannule, cateteri;
Fattori ambientali:
- Ricovero prolungato;
- Aumentato uso di strumenti diagnostici e assistenziali;
- Aumentato numero di persone a contatto con il paziente;
- Abuso antibiotici.
Altre cause:
- Sono tutte le procedure invasive (es. cateterismo);
- Uso inadeguato dell’antibiotico;
- Lunga durata di degenza e affollamento stanze;
- Mancata applicazione di precauzioni standard e delle procedure di sanificazione
ambientale e inadeguatezza della struttura sanitaria (es. magari il professionista
vuole applicare tutte le procedure ma si trova sprovvisto di mezzi);
- Mancanza della sorveglianza epidemiologica (presente anche nel piano nazionale
della lotta all’antibiotico-resistenza, che spiega che questa sorveglianza creerebbe
più consapevolezza nella gestione delle infezioni poiché “se io penso di essere
sorvegliato, aumenterò la mia performance”).
Un altro elemento da tenere in considerazione nell’attivazione dei sistemi di sorveglianza
è che sempre più frequentemente l’assistenza viene prestata anche in ambiti diversi
dall’ospedale, quali le strutture residenziali per anziani o l’assistenza domiciliare. Questi
ambiti hanno caratteristiche organizzative molto diverse dall’ospedale per acuti, per cui i
sistemi di sorveglianza devono necessariamente considerare queste specificità.
Procedure invasive e infezioni correlate

TIPO DI PROCEDURA TIPO DI INFEZIONI


Cateterismo urinario Batteriuria, infezioni sintomatiche vie
urinarie, sepsi.
Cateteri venosi e arteriosi, periferici e Infezioni del sito, tromboflebite, sepsi,
centrali endocardite
Respirazione assistita Polmonite
Intervento chirurgico Infezione del sito chirurgico (superficiale,
profonda, d’organo)
Emodialisi Epatite, sepsi, infezione locale dello shunt
Protesi valvolari cardiache Endocardite
Protesi vascolari Infezione locale
Shunt ventricolari Meningite

Condizioni dell’ospite che aumentano la suscettibilità alle infezioni


Età (neonati, anziani) Alterazioni stato di coscienza

Neoplasie Anemia aplastica

Immunodeficienze acquisite o congenite Ostruzioni / stenosi dell’apparato


gastrointestinale o genito - urinario
Diabete Patologia cardiovascolare

Trauma/ustioni Insufficienza renale

Infezioni concomitanti Malnutrizione

Splenectomia Trapianti di organo

Il rischio di contrarre una infezione correlata all’assistenza, in assenza di adeguate


misure di controllo, è in aumento per la presenza di numerosi fattori favorenti, quali:
- L’uso nell’assistenza di metodiche diagnostiche e terapeutiche sempre più
invasive;
- Il progressivo invecchiamento della popolazione e l’aumentata sopravvivenza di
persone con patologie che riducono le resistenze immunitarie;
- L’uso /abuso di antibiotici.
- L’ampliamento della rete dei servizi che comporta un aumentato rischio di
circolazione di microrganismi tra ospedale, domicilio, strutture residenziali.

Modalità di prevenzioni delle ICA: Sono la corretta applicazione delle precauzioni


standard e di quelli che sono i “pacchetti assistenziali”, nelle misure di gestione delle ICA
riveste un ruolo fondamentale il comitato di controllo delle infezioni ospedaliere, il
cosiddetto CIO. Ci sono una serie di misure che sono fondamentali, tra cui:
- Isolamento;
- La profilassi antibiotica, ove necessario;
- L’uso appropriato degli antibiotici;
- L’utilizzo di tutte le procedure di sanificazione ambientale (corretta gestione di
impianti di ventilazione, potabilizzazione dell’acqua e quindi il suo controllo,
ecc…);
- Tutte le misure di precauzione standard che devono essere adottate per ogni
paziente (lavaggio delle mani, utilizzo dpi, corretta collocazione del paziente,
corretta gestione di dispositivi medici e della biancheria, trattamento dei rifiuti
sanitari e corretta applicazione delle procedure sul paziente);
- Raccomandazione di vaccinazioni per ogni operatore sanitario per epatite b,
influenza e altre vaccinazioni in base al reparto di appartenenza;
- L’applicazione di linee guida e protocolli;
- La continua educazione sanitaria;
Gli ambienti ospedalieri sono divisi in aree a seconda del livello di rischio:
Aree Rosse: zone ad alto rischio. Zone dove il rischio di infezione è molto elevato.
Comprendono ambienti come:
- Sala operatoria;
- Pronto soccorso;
- UTIC;
- Terapia intensiva;
- Degenze neonatali: peso inferiore a 1500 gr; ventilazione meccanica, catetere
venoso centrale, catetere ombelicale venoso o arterioso, nutrizione parenterale.
- Locali di endoscopia digestiva;
- Oncologia: terapia antiblastica (neutropenia e alterazione dell’immunità umorale e
cellulare), esposizione a procedure invasive, alterazioni del sistema nervoso.
- Rianimazione: procedure invasive, condizioni spesso critiche del paziente,
presenza contemporanea di più pazienti suscettibili; uso di farmaci
immunosoppressori, pressione antibiotica.
- Malattie infettive;
- Rianimazione;
- Chirurgia;
- Ematologia;
- Grandi ustionati;
- Emodialisi: condizioni immunologiche, shun artero – venoso;
- Neurochirurgia;
- Cardiochirurgia;
- Traumatologia: interventi di riparazione di fratture, sostituzione parziale di una
articolazione, sede anatomica (ginocchio), caratteristiche dell’impianto, condizioni
immunologiche.
Aree gialle: zone a medio rischio. Zone in cui il rischio di trasmissione è mediamente
elevato. Tra queste:
- Ambulatori;
- Camere di degenza;
- Sala medicazioni/ prelievi;
- Laboratori;
- Sala mortuaria.
Aree azzurre: zone a basso rischio infettivo. Aree il cui rischio di trasmissione delle
infezioni è più contenuto. Esse sono:
- Corridoi;
- Depositi;
- Scale;
- Atrii;
- Sala d’attesa.
Aree verdi: zone esterne:
- Parcheggi;
- Piazzali;
- Balconi;
- Aree verdi.
Per quanto concerne i bundle l’Istituto Healthcare Improvement (IHI) ha elaborato il
concetto di “pacchetto assistenziale” come insieme di 3-5 misure che, insieme appunto,
hanno un elevato livello di efficacia. Sono prove di livello 1 secondo il CDC (Center for
Disease Control and Prevention), sono delle unità coese, devono essere applicate tutte
insieme, vige la legge del “tutto o nulla”, e hanno un elevato impatto sulla prevenzione
delle infezioni correlate all’assistenza. Il bundle è un insieme contenuto di pratiche
evidence-based che, applicate congiuntamente e in modo adeguato, migliorano la qualità
e l'esito dei processi con un effetto maggiore di quello che le stesse determinerebbero se
fossero attuate separatamente.
Le principali caratteristiche che identificano un bundle sono:
• la legge del “tutto o nulla”, cioè un bundle ha successo solo se tutte le sue componenti
vengono applicate;
• Deve essere facilmente gestibile e quindi composto da un numero limitato di azioni
attuabili in maniera sostenibile, facili da memorizzare e semplici da monitorare;
• Include solo alcune tra tutte le possibili strategie applicabili, quelle più solide in termini
di evidenze scientifiche, da cui derivano sicuri vantaggi in termini di esito delle cure;
• Gli elementi del bundle sono tra loro relativamente indipendenti, per cui se una delle
pratiche non è applicabile ad un determinato paziente l'applicazione delle altre azioni
previste dal bundle non ne viene inficiata;
• La sua compliance, definita come la percentuale di pazienti ai quali vengono applicate
tutte le strategie del bundle, deve essere perfettamente misurabile.

Le ICA si distribuiscono in quattro principali localizzazioni, che rappresentano l’80%


circa di tutte le infezioni osservate e sono:
1. Infezioni del tratto urinario: sono le più frequenti, rappresentano da sole il 30 –
35%
2. Infezioni del sito chirurgico;
3. Infezioni dell’apparato respiratorio;
4. Infezioni sistemiche (sepsi, batteriemie);

INFEZIONI APPARATO URINARIO. Per quanto riguarda le infezioni urinarie, la più


frequente tra esse sono le CAUTI (infezioni del tratto urinario associate al catetere) che
rappresentano circa l’80% di tutte le infezioni urinarie. Le CAUTI sono legate alla durata
della cateterizzazione, il tipo di catetere che viene utilizzato e la suscettibilità del
paziente. È stimato che un catetere aperto per 4 giorni provoca una CAUTI nel 100% dei
casi. Le infezioni delle vie urinarie si manifestano:
- In pazienti portatori di cateteri a permanenza;
- A seguito di altri tipi di manipolazione strumentale urologica transitoria,
cistoscopia.
Le ICA delle vie urinarie sono il risultato dell’introduzione diretta di microorganismi
nell’uretra al momento del cateterismo o di altre manovre strumentali. I microorganismi
causa di infezione delle vie urinarie possono avere accesso alla vescica:
- Al momento dell’inserzione del catetere;
- Attraverso il lume del catetere;
- Sulla superficie esterna del catetere;
- Dopo la rimozione del catetere;
- Cateteri a permanenza;
- Manipolazione strumentale.
Bundle:
1.Valutazione quotidiana della possibilità di rimozione del catetere urinario
2.Mantenimento posa di drenaggio delle urine al di sotto della vescica
3.Utilizzo sistema sterile a drenaggio chiuso
4.Uso di dispositivo di fissaggio per impedire lo spostamento di catetere
Si stima che il 15% di pazienti ospedalizzati vada incontro a infezioni urinarie e derivano
o dalla pratica di inserzione e quindi al momento dell’inserzione, o per risalita attraverso
il lume del catetere, o dalla superficie esterna per una manipolazione non corretta, o,
appunto, anche dopo la rimozione, o nella gran parte dei cateteri a permanenza, o
indagini strumentali.
Vie di penetrazione:
- Microrganismi penetrano attraverso il lume del catetere oppure lungo la sua
superficie esterna;
- Microrganismi penetrano nel sistema di raccolta e risalgono lungo il lume del
catetere sino in vescica entro 24 – 48 ore

PREVENZIONE:
- Formazione personale;
- Lavaggio delle mani;
- Effettuare un corretto lavaggio antisettico delle mani prima di rimuovere il
catetere;
- Usare i guanti;
- Applicare il catetere solo in presenza di precise indicazioni cliniche;
- Rimuovere il catetere appena l’indicazione cessa di esistere;
- Corretta detersione dei genitali;
- Evitare la torsione del catetere;
- Utilizzare sempre sacche di drenaggio a circuito chiuso e non scollegare mai la
sacca;
- Riporre la sacca al di sotto della vescica;
- Utilizzare il catetere di calibro il più piccolo possibile.

INFEZIONI APPARATO RESPIRATORIO.


La polmonite nosocomiale si trova, in ordine di frequenza, al terzo posto. I pazienti a più
alto rischio sono quelli con:
- Insufficienza respiratoria;
- Intubazione endotracheale;
- Dopo traumi di notevole entità;
- Interventi chirurgici: cardiochirurgia, neurochirurgia;
- Pazienti immunocompromessi;
Cause di infezioni respiratorie:
- Terapie deprimenti la respirazione;
- Interventi cardio – neurochirurgici;
- Nebulizzazione soluzioni contaminate;
- Respirazione assistita;
- Trapianto per trattamento immunosoppressivo.
I batteri comunemente arrivano alle basse vie respiratorie attraverso tre vie:
- Aspirazione di materiale orofaringeo;
- Inalazione di aerosol veicolanti batteri;
- Diffusione ematogena da altri siti.
Bundle per la prevenzione di polmoniti:
1.Evitare la posizione supina del paziente e mantenere la testiera del letto sollevata di
almeno 30°.
2. Monitorare giornalmente la sedazione e se possibile interromperla
3. Valutare giornalmente la possibilità di svezzamento e di estubazione del paziente.
4. Eseguire la profilassi per la prevenzione dell’ulcera peptica.
5. Eseguire la profilassi per la prevenzione della trombosi venosa profonda.
6. Effettuare quotidianamente l’igiene orale con clorexidina.
PREVENZIONE
- Pulizia preventiva delle attrezzature a contatto con mucose:
- Endoscopi;
- Tubi endotracheali;
- Circuiti anestesia;
- Terapia ventilatoria.
- Sterilizzazione o disinfezione ad alto livello dopo ogni uso;
- Formazione personale:
- Lavaggio accurato e metodico delle mani;
- Uso dei guanti.
INFEZIONI LOCALI DI CATETERE INTRAVASCOLARE.
La guaina di fibrina viene definita “bio-film” perché molti microorganismi, provenienti
dalla cute e da liquidi di infusione contaminati, si possono andare a localizzare
all’interno e proliferare.
Fisiopatologia: quando un catetere di plastica viene inserito in un vaso, nell’arco di
24/48 ore si forma una guaina di fibrina intorno alla porzione intraluminale del catetere;
eventuali microrganismi provenienti dalla cute o da liquidi di infusione contaminati si
localizzano all’interno di questa guaina di fibrina e qui si possono moltiplicare.
Bundle:
1. Effettuare l’igiene antisettica delle mani prima del posizionamento del catetere.
2. Utilizzare le massime misure di barriera (cuffia, mascherina, camice sterile, guanti
sterili, telino total body) e applicare le tecniche asettiche per tutta la durata della
procedura.
3. Utilizzare clorexidina gluconata al 2% in alcool 70% per l’antisepsi della cute prima
dell’inserzione del catetere e lasciare asciugare prima di posizionare il dispositivo.
4. Valutare il sito d’inserzione con il minor rischio di complicanze infettive e meccaniche
(per il CVC preferibilmente succlavia o giugulare, evitare se possibile la femorale, mentre
il terzo medio del braccio per il PICC e il midline); se possibile effettuare sempre una
procedura eco-guidata.
5. Valutare giornalmente la necessità del mantenimento del catetere.
Le possibili vie di accesso dei microrganismi all’interno dei cateteri intravascolari sono
molteplici. Il catetere si può colonizzare:
- Come conseguenza della migrazione di microrganismi dal punto di inserzione del
catetere o dal punto di raccordo tra catetere e set di infusione;
- Manipolazioni del catetere;
- Contaminazione del liquido di infusione: soluzioni contaminate; al momento della
somministrazione farmaci nella sacca di infusione; durante l’uso.
La prevenzione consiste:
- Formazione del personale;
- Lavaggio accurato e metodico delle mani;
- Utilizzo guanti;
- Disinfezione cute;
- Tecniche asettiche per inserimento dispositivi medici di liquidi – farmaci – prodotti
ematici – nutrizione parenterale.

INFEZIONI DEL SITO CHIRURGICO.


Le infezioni del sito chirurgico sono state invece studiate dal sistema nazionale di
sorveglianza delle infezioni del sito chirurgico, ed è stato osservato che c’è una maggiore
frequenza per quelli che sono gli interventi non ortopedici perché probabilmente c’è una
maggiore attenzione in quelle che sono le misure della gestione del paziente ortopedico (si
teorizza sia dovuto alla vestizione completa di scafandro del chirurgo e al flusso laminare
nelle sale operatorie che permette un minor deposito di batteri).
Possono interessare sia i tessuti molli superficiali che profondi. L’incidenza varia tra il
3% e l’8%, danno un prolungamento della durata della degenza di circa una settimana.
Le infezioni delle incisioni chirurgiche rappresentano le più comuni I.O.
Categorie di incisioni chirurgiche:
 Pulita: incisioni senza interessamento delle vie gastro – intestinali o respiratorie:
colicistectomia; appendicectomia; isterectomia senza infiammazione acuta;
 Pulita contaminata: interessate via gastrointestinali o respiratorie senza
spandimento significativo.
 Contaminata: interventi con infiammazione acuta senza pus ma con versamento
da un viscere cavo;
 Sporca: interventi con presenza di pus o perforazione di un organo.
Bundle:
1.Utilizzo adeguato della profilassi antibiotica peri-operatoria [la profilassi chirurgica
deve essere prescritta secondo i protocolli/procedure aziendali (molecola, dosaggio,
redosing, durata) e somministrata entro i 60 minuti che precedono l’incisione chirurgica,
non applicabile nel caso di tagli cesarei perché viene eseguita al clampaggio del cordone
ombelicale];
2.Evitare l’utilizzo del rasoio (se necessaria la tricotomia utilizzare il clipper, il giorno
dell’intervento, o la crema depilatoria, solo se il paziente non è sensibile);
3.Contenimento del calo della temperatura corporea (mantenere al di sopra dei 36°
durante tutto il periodo peri-operatorio, non applicabile in pazienti cardiochirurgici);
4.Monitoraggio glicemico (se il paziente è diabetico, o a rischio, mantenere il livello di
glicemia <198 mg/dl, <11mmol/l, per tutto il tempo dell’intervento chirurgico fino alle 48
ore successive);
5.Eseguire adeguata antisepsi della cute con clorexidina gluconata al 2% in alcool 70% e
lasciare asciugare prima di incidere (in caso di sensibilità del paziente alla clorexidina
utilizzare iodopovidone);
Un ruolo importante lo riveste la preparazione dell’equipe chirurgica, insieme a quella
che è la disinfezione e sterilizzazione di tutte quante le componenti che vengono utilizzate
(laparoscopi, artroscopi, apparecchi per scopia, componenti del robot chirurgico da
vinci), che vanno a contatto con il paziente.

Oms Bundle 2019:


1.Utilizzare gli antibiotici solo quando raccomandati
2.Utilizzare la clorexdina o prodotti antisett a base di alcool per preparare la pelle
3.Tecnica del lavaggio delle mani
4.Durante la chirurgia, assicurare sterilità, limitare numero persone e l’apertura delle
porte
5.Non continuare gli antibiotici quando non sono più necessari
6.Valutare giornalmente le ferite per osservare se stanno andando incontro a infezione.
Fattori di rischio:
- Condizioni del paziente;
- Durata dell’intervento;
- Uso di strumenti invasivi.
Prevenzione dell’infezione della ferita chirurgica:
- Formazione personale;
- Lavaggio accurato e metodico delle mani;
- Utilizzo guanti;
- Doccia o bagno preoperatoria (clorexidina);
- Misure di igiene personale del paziente;
- Disinfezione accurata dell’aria chirurgica;
- Profilassi antibiotica ove necessario;
- Corrette politiche di disinfezione e sterilizzazione (superfici operatorie, tute e
camici dell’equipe, teli);
- Ventilazione dell’ambiente operatorio: il livello di contaminazione microbica
nell’aria delle sale è direttamente proporzionale al numero di persone che si
muovono nella stanza.
La prevenzione dell’equipe chirurgica consiste nel:
- Lavaggio delle mani;
- Utilizzo camici e guanti sterili;
- Uso maschera ad alta efficienza per bocca e naso;
- Berretto o cappuccio per capelli e barba.
Microrganismi multi-resistenti (MDRO, Multidrug-Resistant Organisms)
Microrganismi multiressitenti (MDRO) sono microrganismi (batteri, miceti, virus,
protozoi) resistenti a una o più classi di antimicrobici, anche se in alcuni casi il nome del
microrganismo descrive la resistenza solo ad u antimicrobico. Questi patogeni sono
frequentemente resistenti a più antimicrobici contemporaneamente, e le caratteristiche
del profilo di resistenza possono evolvere e modificarsi significativamente nel corso del
tempo. La diffusione dei MDRO, e in particolare la resistenza dei batteri agli antibiotici, è
in continuo aumento e rappresenta attualmente una delle più gravi minacce per la
Sanità pubblica. Anche se nella maggior parte dei casi le manifestazioni cliniche
associate sono simili a quelle presenti nelle infezioni dei corrispondenti patogeni
suscettibili, le opzioni per il trattamento sono estremamente limitate, o addirittura nulle,
con un conseguente aumento della degenza, della mortalità e dei costi. La prevalenza del
MDRO varia nel tempo, nelle diverse aree geografiche e nelle diverse strutture sanitarie
assistenziali.
L’ECDC adotta la definizione di Magiorakos che fa una distinzione tra MDR, XDR
(extensively drug-resistant) e PDR (pandrug-resistant bacteria).
Gli MDR sono resistenti almeno a un agente antimicrobico di almeno una delle classi
antimicrobiche. XDR quando non sono suscettibili ad almeno un’agente di più classi,
PDR quando non sono suscettibili a tutti gli agenti di tutte le classi antimicrobiche.
Per i batteri gram positivi destano particolare preoccupazione, oltre all’MRSA e al VRS, i
ceppi di Staphylococcus aureus con resistenza intermedia o completa alla vancomicina, e
lo streptococco pneumonie resistente alla penicillina e ad altri agenti ad ampio spettro
come macrolidi e fluorochinoloni. Tra i batteri gram – negativi destano particolare
preoccupazione i bacilli gram – negativi multiresistenti , specialmente quelli produttori di
betalattamasi ad ampio spettro. In Europa, la resistenza agli antimicrobici mostra
caratteri eterogenei in base ai patogeni considerati, al gruppo anti – microbico e alla
regione geografica. Per molti gruppi di antimicrobici e combinazioni specie
batterica/antibiotico è evidente un gradiente nord – sud ed est – ovest: in generale nei
paese settentrionali sono riportate percentuali di resistenza più basse mentre nei Paesi
meridionali o orientali si registrano percentuali più alte. In italia, la resistenza agli
antimicrobici si mantiene tra le più elevate in Europa, quasi sempre al di sopra della
media.
Nel Gennaio 2018 l’ECD (european centre of disease control and prevention )ha
pubblicato i dati relativi alla diffusione delle resistenza agli antibiotici nel 2017 e
l’andamento tra il 2014 e il 2017 in 30 paesi dell’Unione europea. Relativamente ai
batteri gram positivi è diminuita la percentuale media di MRSA. Un rapito incremento
delle resistenze si è osservato nei batteri gram negativi, e in particolare in Escherichia
coli e Klebsiella pneumoniae; in queste due specie sono aumentate le percentuali di
resistenza alle cefalosporine di terza generazione, fluorochinoloni ed aminoglicosidi,
resistenze che sono spesso combinate tra loro generando batteri multi – resistenti, causa
di infezioni difficilmente trattabili. La normativa italiana si può far risalire alla circolare
ministeriale 52/1985: lotta alle infezioni ospedaliere dove viene raccomandato l’avvio di
un programma di controllo delle infezioni in ciascun presidio ospedaliero, che includa la
costituzione di un comitato multidisciplinare, l’istituzione di un gruppo operativo, il
dotarsi di personale infermieristico dedicato. Il piano Nazionale di contrasto
dell’antimicrobico – resistenza ( PNCAR)2017/2020 rappresenta lo strumento per
tradurre in atto la strategie italiana volta a contrastare l’aumento dell’antimicrobico –
resistenza (AMR) e la diffusione dei microrganismi resistenti agli antimicrobici. Gli
obiettivi generali del PNCAR sono la riduzione della frequenza delle infezioni da
microrganismi resistenti agli antibiotici e la riduzione della frequenza delle infezioni
associate all’assistenza sanitaria ospedaliera e comunitaria. Per ciascuno degli ambito di
intervento vengono indicati gli obiettivi specifici a medio e lungo termine e le azioni
necessarie a livello centrale e a livello regionale. Al fine fi monitorare i progressi nel
raggiungimento di questi obiettivi sono stati selezionati specifici indicatori.
All’approvazione del PNCAR è seguita l’istituzione, con Decreto del Direttore Generale
della Prevenzione Sanitaria del 3 novembre 2017, di un gruppo tecnico di coordinamento
nazionale della strategia di contrasto dell’antimicrobico – resistenza, che riunisce le
istituzioni centrali e regionale e le maggiori società scientifiche / federazioni coinvolte
nella problematica, con lo specifico mandata di favorire il raggiungimento degli obiettivi
previsti dal piano. In ogni presidio ospedaliero deve dunque essere istituita una
commissione tecnica responsabile della lotta contro le infezioni, sia in situazione
ordinaria, sia in caso di eventi epidemici, i cui compiti sono:
- Organizzazione di un sistema di sorveglianza epidemiologica delle infezioni
ospedaliere;
- Codificazione e organizzazione delle misure di prevenzione;
- Informazione del personale sui programmi di sorveglianza e controllo;
- Adozione di una corretta politica degli antibiotici;
- Formulazione di proposte operative in ordine e provvedimenti di urgenza da
adottarsi dalla Direzione Sanitaria in particolari evenienze di rischio infettivo;
- Organizzazione e applicazione in sede locale dei programmi di formazione
impostati dall’assessorato regionale alla sanità;
- Partecipazione ai programmi coordinati in ambito regionale e impostazione e
promozione di specifiche attività in ordine a particolari problemi;
- Redazione di rapporto annuale all’assessorato regionale alla sanità sull’attività
svolta sulla situazione epidemiologica della collettività ospedaliera, la formulazione
di eventuali proposte in ordine alla sorveglianza, prevenzione, formazione e
ricerca.
La circolare n. 1034 dell’8 novembre 2000 definisce la composizione e i compiti del CIO.
In Sicilia con il decreto 17 giugno 2002 “direttive per l’accreditamento istituzionale delle
strutture sanitarie nella regione siciliana” viene attivata la sorveglianza ed il controllo
delle infezioni ospedaliere con l’individuazione delle figure professionali responsabili e
l’adozione di protocolli tecnici di sorveglianza e di controllo; l’attività di sorveglianza e di
controllo è documentata con rapporti semestrali oggettivati mediante la formulazione e la
rilevazione di indicatori specifici da redigersi da parte delle figure professionali
responsabili secondo quanto previsto dalle circolari n. 1034 del l’8 novembre 2000 e n.
1047 del 27 marzo 2001. Nei presidi di ricovero per acuti devono essere inoltre attivati
programmi nell’ambito di infezioni ospedaliere, cosi anche nei presidi in cui vengono
erogate prestazioni a livello ambulatoriale quando vengono effettuate attività
diagnostiche invasive e chirurgiche. Inoltre devono essere predisposte con la
partecipazione di tutte le strutture operative: modalità di pulizia, lavaggio, disinfezione e
sterilizzazione di tutti gli strumenti ed accessori, pulizia e sanificazione degli ambienti.
Tutti i presidi, in relazione alla tipologia delle attività svolte, devono essere in possesso
dei requisiti previsti dalle vigenti leggi in materia di lotta alle infezioni ospedaliere. In
merito a tali problematiche si ritiene di fare riferimento alle specifiche ed obbligatorie
norme nazionali, regionali, locali e per la prevista parte di competenza, alle disposizioni
internazionali.
La circolare 1047 del 27 marzo 2001 definisce le procedure da adottare per la
prevenzione e il controllo delle infezioni ospedaliere.
Un'altra direttiva molto importante è il decreto del 17 giugno 2002 dove viene attivata la
sorveglianza e il controllo delle infezioni ospedaliere con l’individuazione delle figure
professionali responsabili e l’adozione di protocolli tecnici di sorveglianza e di controllo.
altro decreto degno di nota è il D.A. n. 1528 del 12 agosto 2011 “ approvazione dei nuovi
standard Joint Commissione Interanational per la gestione del rischio clinico” con il
quale, per il raggiungimento dello standard “obiettivi internazionali per la sicurezza dei
pazienti”, viene richiesto alle aziende sanitarie, tra gli obiettivi di elaborare un metodo
per ridurre il rischio di infezioni associate all’assistenza sanitaria.
Secondo il D.A. n. 1004/2016 (programma regionale per l’azzeramento delle infezioni
CVC correlate – targeting zero) tutte le strutture sanitarie pubbliche e private accreditate
dalla regione devono dare attuazione alle indicazioni contenute nel programma regionale
di cui all’art. 1 attraverso:
- Formalizzazione e adozione di un documento aziendale per l’implementazione del
programma regionale per l’azzeramento delle infezioni CVC correlate – targeting
zero;
- Adesione agli studi regionali di prevalenza sulle ICA;
- Implementazione dei Bundle per l’inserimento e la gestione dei CVC e CVP;
- Formalizzazione team dedicato;
- Realizzazione del processo di conferimento dei privilegi per gli operatori coinvolti
nell’inserimento e gestione del CVC e CVP e valutazione dell’effettiva applicazione;
- Coinvolgimento dei pazienti e dei familiari;
- Compilazione delle schede di gestione accessi venosi per tutti i pazienti;
- Conduzione di audit periodici.
Le ICA sono spesso prevenibili e quindi i costi e la relativa mortalità possono essere
riducibili e in uno studio i osserva come il 65-70% di queste, soprattutto le CAUTI,
possono essere prevenute e circa il 55% delle infezioni del sito chirurgico e delle
polmoniti associate alla ventilazione possano essere evitabili.
La sfida per il futuro, quindi, non è quella che di prevenire tutte le infezioni (perché
alcune rimangono inevitabili) ma andare a prevenire l’insorgenza di microrganismi non
curabili e quindi abbattere l’antibiotico-resistenza perché è stato rilevato che man mano
che un nuovo antibiotico è introdotto, si va a formare un’antibiotico-resistenza.
Un uso prudente degli antibiotici e la promozione di strategie di controllo dell’infezione in
tutti gli ambiti assistenziali sono i principali interventi che devono essere attuali per
prevenire la selezione e la trasmissione di MDRO. L’implementazione di programmi di
antimicrobial stewardship, cioè interventi diretti al monitoraggio e all’orientamento
dell’utilizzo degli antimicrobici, attraverso un approccio standardizzato basato
sull’evidenza, si è dimostrata efficace nel migliorare l’appropriatezza prescrittiva.
Strategie mirate ad aumentare e monitorare l’adesione all’igiene delle mani e alle altre
precazioni standard (uso di guanti, maschere, occhiali protettivi o schermi facciali) da
applicare nell’assistenza a tutti i pazienti, a prescindere dallo stato infettivo confermato o
sospetto, la formazione degli operatori sanitari, l’educazione dei pazienti e dei visitatori,
appropriate misure di sanificazione ambientale, con particolare attenzione alle superfici
frequentemente toccate, e la sorveglianza epidemiologica delle infezioni costituiscono
componenti fondamentali dei programmi di prevenzione della diffusione di MDR.
Il rischio infettivo intra ospedaliero è dovuto ad un mix di pratiche assistenziali non
idonee, situazione clinica complessa, stato immunitario compromesso e prolungata
esposizione all’ambiente ospedaliero.
PULIZIA, DISINFEZIONE E STERILIZZAZIONE
La pulizia, la disinfezione e la sterilizzazione rappresentano le procedure essenziali per impedire la
trasmissione di agenti infettivi che può avvenire attraverso:
- Lo strumentario di uso comune
- Gli oggetti
- Il personale
Le procedure di disinfezione, sterilizzazione, sanificazione e pulizia del materiale rappresentano un
elemento cardine di quelle che sono le ICA.

Dobbiamo distinguere tra disinfettanti naturali e disinfettanti artificiali.

Disinfettanti naturali:
 Invecchiamento, per il ciclo naturale che l’organismo ha ad eccezione delle spore;
 Essiccamento, per alcuni patogeni agisce meglio per sottrazione di molecole d’acqua,
soprattutto su virus influenzali e morbillo;
 Temperatura
 Luce solare: essiccamento, calore, raggi infrarossi e raggi ultra-violetti;
 Sedimentazione
 Diluizione, con i movimenti dell’aria e dell’acqua, pensate ad esempio alla carica batterica,
sono elementi che possono portare ad una riduzione della possibilità di andare incontro a
infezione;
 Concorrenza vitale, perché vari germi concorrono tra di loro per nutrienti e ambiente;
 Batteriofagia, alcuni virus fungono da batteriofagi;
SANIFICAZIONE: Insieme di processi atti a rendere gli ambienti igienicamente idonei alle persone
che dovranno utilizzarli, senza alterare le caratteristiche fondamentali del loro stato, utilizzando
sostanze detergenti.

STERILIZZAZIONE: È quel procedimento che, utilizzando mezzi fisici o sostanze biocide, mira a
distruggere in un materiale, tutti i micorganismi patogeni e non patogeni, comprese le spore.
Secondo la definizione dell’UNI EN 556 (tale normativa stabilisce che la probabilità di trovare,
all’interno di un lotto di sterilizzazione, un microrganismo sopravvivente, deve essere inferiore o
uguale ad 1 su un milione S.A.L. – sterility assurance level- ) della direttiva 93/42 recepita in Italia
con il D. Lgs 46/1997 con sterilizzazione intendiamo: un livello di sicurezza di sterilità che deve
corrispondere alla probabilità inferiore a uno su un milione (la possibilità di 1 su 10-6) di trovare un
microrganismo sopravvivente all’interno del lotto di sterilizzazione.

La differenza tra disinfezione e sterilizzazione sta nella presenza delle spore che solo la
sterilizzazione elimina.

DISINFEZIONE: ha come scopo immediato quello di distruggere i microorganismi patogeni e non


patogeni presenti o presumibilmente presenti, in un determinato ambiente o substrato (escluse le
spore). C’è da dire che, in alcuni casi, con certi agenti disinfettanti è possibile eliminare anche le
spore (come nella sterilizzazione a freddo o nell’alto livello di disinfezione)
DECONTAMINAZIONE : è il processo finalizzato alla riduzione della carica microbica , effettuata
con agenti disinfettanti e precede generalmente il processo di lavaggio e disinfezione o
sterilizzazione. Rimuove da tutti i dispositivi medici e da tutte le attrezzature le specie microbiche
pericolose per il personale sanitario, regolamentato dal decreto ministeriale 28/09/90 che
disciplina le norme in materia di prevenzione del contagio da HIV nelle strutture pubbliche e
private. La decontaminazione deve essere effettuata con disinfettanti di medio/basso livello, quasi
ad esempio i derivati del fenolo, per andare a inattivare la presenza di virus come appunto l’HIV
sui presidi. La decontaminazione è preliminare rispetto alla pulizia, alla detersione quindi, alla
disinfezione e alla sterilizzazione.

DETERSIONE: è un processo meccanico atto alla rimozione del materiale estraneo dai dispositivi
medici, da oggetti e superfici per ridurre la carica microbica, tant’è che un buon processo di
detersione, effettuato con acqua, detergenti e/o prodotti enzimatici può ridurre la
contaminazione anche dell’80%.

DISINFESTAZIONE: si intende l’adozione di tutti quei provvedimenti che mirano alla distruzione dei
macroparassiti. Riveste grande importanza nella profilassi delle malattie infettive sia la lotta
contro i vettori che contro i ratti. Vengono utilizzate sostanze quali (disinfestanti, ratticidi,
rodenticidi) capaci di uccidere insetti ed altri animali fastidiosi, nocivi o vettori di infezione.

Per quanto riguarda la scelta dell’agente disinfettante deve essere fatta ad hoc in base al tipo di
microrganismo e in base anche a un insieme di altre caratteristiche, in particolare in base alla
classificazione di Spaulding che si basa sul tipo di strumento.

CLASSIFICAZIONE DISPOSITIVI (ESEMPI) AZIONE CLASSIFICAZIONE EPA DEL PRODOTTO


DELLO STRUMENTO

Critico (che entra in Impianti, bisturi, aghi, Sterilizzazione Sterilizzante


contatto con tessuti pinze bioptiche, altri
sterili e mucose strumenti chirurgici
lesionate)
Semicritico (che Endoscopi flessibili, Alto livello di Sterilizzante/
entra in contatto laringoscopi, tubi disinfezione disinfettante
con mucose integre) endotracheali ed altri (sporicida chimico
strumenti simili per contatto breve

Termometri, vasche Intermedio livello di Disinfettante per uso


per idroterapia disinfezione ospedaliero
con indicazione
Tubercolicida d’attività

Non critico (entra Stetoscopi, padelle, Basso livello di Disinfettante per uso ospedaliero
in contatto solo ecc. disinfezione senza indicazione d’attività
cute integra) Tubercolicida d’attività
Ovviamente dobbiamo considerare che il livello di disinfezione richiesto sarà aumentato se il soggetto
che abbiamo di fronte è immunocompromesso e dovremo considerare un rischio di impiego
superiore a quello generalmente assegnato per quello strumento.

La STERILIZZAZIONE deve essere effettuata con mezzi certificati e con procedure standardizzate, la
cui efficienza deve essere documentata, deve essere garantita l’efficacia nell’uccisione di ogni
microrganismo vivente, in forma vegetativa o di spora. Essa avviene tramite:

Mezzi fisici: Mezzi chimici:


- calore - ossido di etilene (Gas a notevole
- radiazioni penetrazione)
- raggi U.V. - glutaraldeide
- filtrazione - acido peracetico
CALORE SECCO (Stufa a secco o di Pasteur)

Viene effettuata in appositi apparecchi (stufa ad aria statica o ad aria


forzata) in sui il materiale da sterilizzare è esposto alla temperatura di
160° C per due ore o di 180° C per un’ora (valori del libro di igiene). È
utilizzata per la sterilizzazione di vetreria, oggetti metallici, polveri,
sostanze oleose. Vengono anche usati armadi di metallo a doppia parete coibentata, all’interno
dei quali, mediante resistenze elettriche, l’aria entra e viene mantenuta alla temperatura
desiderate e il calore diffonde per conduzione e irraggiamento.

PRINCIPIO: agisce alterando le strutture macromolecolari dei microrganismi mediante processi di


ossidazione e denaturazione. La sensibilità dei microrganismi dipende dalla struttura delle
macromolecole (> numero (N) dei legami ad alta energia > la resistenza (R):

- virus nudi hanno maggiore resistenza


- virus con pericapside hanno minore resistenza
- spore hanno molti legami che conferiscono elevata resistenza
La presenza di processi di denaturazione e ossidazione permette l’azione del calore.

Il tempo di morte termica della stufa a secco è:


 30 minuti a 180°C  120 minuti a 160°C
 50 minuti a 170°C  150 minuti a 150°C

I parametri su cui si basa questo dispositivo sono la temperatura e il tempo di esposizione.

INCENERIMENTO, detto anche combustione diretta: è un procedimento distruttivo che viene


quindi applicato solo per materiali “a perdere” (ambiente ospedaliero) e nella prevenzione della
diffusione di epidemie. Viene usato per oggetti contaminati, quali bendaggi, carcasse di animali
infetti e rifiuti provenienti da reparti di malattie infettive

FLAMBAGGIO: esposizione alla fiamma prodotta da un becco Bunsen per la


sterilizzazione delle anse e delle spatole (semina campioni microbiologici). La
fiamma crea un cono di sterilità che permette il lavoro in asepsi. È tipico della
microbiologia, incenerimento come nel caso dei rifiuti speciali

CALORE UMIDO
La sterilizzazione a vapore è la più diffusa all’interno
degli ospedali perché risulta:
- Meno costosa
- Più efficace e sicura di altre forme
- Rapida (il vapore distrugge in tempi brevi la
maggior parte delle spore batteriche termoR e
cede rapidamente, per condensazione, grandi
quantità di calore)
Ha però un limite: non è applicabile per quegli articoli sanitari alterabili dal calore o dall’umidità.
Questo tipo di sterilizzazione avviene mediante l’uso di un’autoclave,
costituita da un recipiente cilindrico o rettangolare con pareti metalliche a
chiusura ermetica, dentro cui si pone dell’acqua che viene riscaldata con la
resistenza elettrica, fino alla produzione di vapore; questo, rimanendo
imprigionato al suo interno, determina un progressivo incremento della
pressione con conseguente aumento della temperatura di ebollizione
dell’acqua che passa nella camera di sterilizzazione (attraverso dei fori) dove
viene deposto il materiale da sterilizzare. Si crea quindi del vapore che fa
innalzare la pressione. Si chiude la valvola e si attente che il manometro raggiunga l’atmosfera
desiderata, principalmente : 121°C alla pressione di 1 bar per 20 minuti, poi si spegne e si aspetta
che scenda la temperatura.

La sterilizzazione si ottiene in tempi inversamente proporzionali alla temperatura (ed alla


pressione) vedi tabella:

Tempo (minuti) Temperatura (°C) Pressione (bar)


7 134 2,0
20 128 1,5
30 121 1,0

Possiamo distinguere principalmente due cicli di sterilizzazione di calore umido:

 Sterilizzazione Lenta: 121°C per 20 minuti e 1 atm, per strumenti in gomma o plastica;
134°C per 4-7 minuti e 2 atm, per strumenti metallici e vetreria;

 Sterilizzazione Rapida: 134°C per 4 minuti 2 atm, utilizzata in emergenza per materiali
puliti e non confezionati. La rapidità del processo riduce i margini di sicurezza ed aumenta
la possibilità di formare bolle d’aria (aumento dei tempi e compromissione efficacia
sterilizzante)

STERILIZZAZIONE CON RAGGI γ (gamma): le radiazioni gamma sono prodotte da Cobalto 60 o da


Cesio 137 (radioisotopi). Il loro effetto sterilizzante è determinato dal danno al DNA cellulare e
dalla disorganizzazione della struttura. Hanno alto potere penetrante e agiscono sulle proteine e
sugli acidi nucleici che vengono denaturati. Gli oggetti trattati non hanno radioattività residua.
Viene impiegata per la sterilizzazione di prodotti come: monouso tipo aghi, fili di sutura, lame,
alcuni tipi di plastiche, etc. Non adatto a tutti i tipi di materiale. Possibilità di essere confezionati
con barriere microbiche molto più efficaci e che durano più a lungo. Lo svantaggio, gli impianti
hanno costi elevatissimi per cui l’impiego è limitato all’industria.

FILTRAZIONE soprattutto per l’acqua (es. Legionella, ma soprattutto per abbattimento della carica
microbica), i filtri sono di materiale composito (es. polimeri) che hanno granulometria di circa 0,2
µ, riuscendo a schermare così i microrganismi.
STERILIZZAZIONE CON MEZZI CHIMICI
La sterilizzazione chimica fa ricorso a speciali autoclavi che operano a T < 100°C ad ossido di
etilene. Questa tipologia di sterilizzazione viene utilizzata per materiali termosensibili come ad
esempio gli endoscopi

OSSIDO DI ETILENE
L’ossido di etilene (ETO) è un etere ciclico con formula C2H40, che passa allo stato gassoso alla
temperatura di 10,73 °C ed è fornito sotto forma liquida in bombole di acciaio. Questo gas agisce
mediante alchilazione del DNA delle cellule, ossidazione e blocco delle attività enzimatiche. Va
usato con molta cautela, è molto attivo contro tutti i microrganismi comprese le spore. L’efficacia
è dovuta alla sua notevole capacità di penetrazione. Il materiale da sterilizzare deve essere chiuso
in confezioni che consentano la penetrazione del gas, che è favorita dalle adatte condizioni della
temperatura (30-60°) e umidità. Il gas esplica una notevole azione, molto tossica, ed è
cancerogeno: per favorire la liberazione e l’allontanamento del gas residuo dal materiale
sterilizzato si deve lasciare areare, in adeguate camere di decompressione, per 24-48 ore. Si
possono usare gli strumenti dopo 1 giorno fino a 15 giorni. Si usa per strumenti medici e chirurgici
e per tutti i quei materiali termolabili come plastica, gomma, PVC, fibre ottiche, cavi elettrici.

ACIDO PERACETICO
L’acido peracetico agisce sulla membrana citoplasmatica lipoproteica dei microbi
interrompendone le funzioni di intermediazione con l’ambiente. Esso è attivo a basse
concnetrazioni (0,2%) a ph neutro ed a temperatura di 50/59°C, in soli 12 minuti di esposizione.
Può essere usato per la sterilizzazione di strumentario come gli endoscopi, ma il materiale
sterilizzato deve essere usato immediatamente perché esce dalla sterilizzazione non confezionato.

PEROSSIDO DI IDROGENO (sterilizzazione chimico-fisica)


Per questo tipo di sterilizzazione viene impiegata una particolare sterilizzatrice a gas plasma, in cui
il perossido d’idrogeno (acqua ossigenata) è vaporizzato attraversando un campo
elettromagnetico, con produzione di radicali liberi che agiscono sugli acidi nucleici e sulle
membrane cellulari. La temperatura di sterilizzazione è di 45-50°C, adatta anche a materiali
termolabili; il materiale è confezionato con involucri appositi.

RADIAZIONI ULTRAVIOLETTE
Vengono impiegate delle radiazioni emesse nella lunghezza d’onda compresa tra 328 e 210 nm da
lampade a vapori di mercurio (radiazioni UV). Esse hanno uno scarso potere di penetrazione e
agiscono solo sulle superfici direttamente esposte. Egiscono rompendo i legami idrogeno del DNA
e generando dimeri di timina. La sterilizzazione con UV è un procedimento adatto al trattamento
dell’aria di ambienti confinati (laboratori biomedici, zone filtro) o per l’uccisione di microrganismi
presenti su superfici o in sospensione innn liquidi.
STERILIZZAZIONE A FREDDO
Diverse sostanze come la gluteraldeide, l’acido peracetico ed il perossido di idrogeno, possono
consentire la sterilizzazione di oggetti immersi, puerchè siano fatte agire ad alte concnetrazioni e
con tempii lunghi di immersione (10-12 ore). Il processo non è standardizzabile né verificabile con
indicatori e il materiale deve essere estratto sterilmente dalla soluzione, sciacquato e asciugato
sterilmente e utilizzato immediatamente. Nel caso di immersione per 30-90 minuti si preferisce
parlare di “alto livello di disinfezione”.

CONTROLLI E INDICATORI
La convalida del processo comprende il rispetto di una serie di parametri (temperatura, umidità,
pressione, vuoto) che sono controllati all’installazione, dopo interventi di manutenzione,
giornalmente e ad ogni ciclo di sterilizzazione. La verifica dell’avvenuta sterilizzazione
dell’autoclave viene effettuata mediante l’uso di indicatore fisici e chimici di processo e l’uso
periodico di indicatori biologici di esito:
- Controllo biologico
- Controllo di tenuta della camera di sterilizzazione
- Controllo strumentale
- Controllo cromatico

In particolare, per quanto concerne la verifica di avvenuta sterilizzazione possiamo distinguere:

 Controlli chimici
 Controlli fisici
 Controlli biologici
Per quanto concerne i controlli biologici, ciò che ha più rilevanza, a cadenza periodica di 15 giorni,
è la prova biologica, si posiziona la fiala contenente le spore del Bacillus Stearothermophilus, per
le autoclavi a vapore, che ha un colorito violaceo, viene inserita in un punto poco accessibile
dell’autoclave e viene avviato il ciclo di sterilizzazione. Se quando rimuoviamo la fiala essa ha
assunto un colore giallastro significa che la sterilizzazione non è ben avvenuta e si incuba la
provetta con thermoblock (porta provette) a 56+/- 2°C per 48h e poi valutare la colorazione. Fino
ad avvenuta consegna dell’esito dell’incubazione tutti i materiali sterilizzati non possono essere
utilizzati.

• Per i controlli chimici si utilizzano indicatori chimici


(strisce) fogli di carta che virano di colore in relazione
alla temperatura e al tempo di mantenimento della
stessa, oppure in relazione alla pressione del vapore
saturo puro non miscelato all’aria. Tra gli indicatori
chimici abbiamo il cosiddetto “pacco prova” (di teli
lavati e asciugati), il test di Bowie-Dick (vedi tabella
sottostante), che viene posto al centro dell’autoclave, al
centro del quale viene posta una striscia autoadesiva o
il foglio indicatore. Se, dopo un ciclo completo di
sterilizzazione, il viraggio previsto non è avvenuto,
significa che l’aria non è stata completamente rimossa e ha formato una bolla attorno al “pacco
prova”. In questi casi, la sterilizzazione non è completa e l’autoclave deve essere
immediatamente revisionata.

Gli indicatori rappresentano un elemento complementare sulle attività proprie di sterilizzazione e


permettono di rilevare che i dispositivi medici sono stati sottoposti all’azione dell’agente
sterilizzante. Tuttavia non assolvono alla funzione di indicatore di efficacia, è pertanto errato
considerarli quali strumenti attestanti l’ottenuta sterilità.
Indicatori chimici: poiché rilasciano delle informazioni sulle condizioni interne della camera di
sterilizzazione, si utilizzano per consentire all’operatore di verificare che i dispositivi siano stati
sottoposti ad un processo di sterilizzazione. Il principio di funzionamento degli indicatori chimici si
basa sull’uso di sostanze ( inchiostri) applicate su un supporto generalmente di carta, in grado di
reagire allo stimolo fisico ( tempo, temperatura, pressione, umidità e agente sterilizzante). L
‘esposizione dell’indicatore a determinate condizioni di processo predefinite, induce un viraggio (
specificato dal produttore). Questa modificazione osservabile deriva da una reazione chimica o
dallo scioglimento di una sostanza chimica.

- Classe 1 – indicatori di processo: si applicano ad ogni confezione. Il loro viraggio indica che
la confezione è stata esposta al processo di sterilizzazione. Sono indicatori posti
normalmente all’esterno delle confezioni ( cartamedical grade, etichette identificative per
container, nastri indicatori etc) e sono specifici per tipologia di sterilizzazione come vapore
saturo, gas plasma di perossido di idrogeno, ossido di etilene. Etc. l’utilizzo di tali indicatori
è necessario per distinguere i DM sottoposti al processo da quelli da processare.
- Classe 2 – indicatori per specifici test: Sono sotto forma di fogli o pacchi pronti contenenti
fogli indicatori, hanno la funzione di effettuare i test per la verifica della penetrazione del
vapore.
- Classe 3 – indicatori a singolo parametro: Devono reagire a un parametro critico del
processo.
- Classe 4 – indicatori multiparametro: devono reagire a 2 o più parametri critici del
processo, indicando l’avvenuta esposizione al processo di sterilizzazione caratterizzato da
determinati valori dei parametri scelti. Sono utilizzati per i pacchi test.
- Classe 5 – integratori: devono reagire a tutti i parametri critici del processo. Sono
generalmente usati per i pacchi test.
- Classe 6 – emulatori: Sono indicatori di verifica del ciclo che devono reagire a tutti i
parametri critici del processo, con capacità di valutazione della qualità del vapore e con
risposte alle varie fasi di uno specifico ciclo di sterilizzazione. Sono usati per i pacchi test.
Indicatori biologici: sono dispositivi che possono essere forniti sia in forma di striscia che in forma
di fiale. Essi contengono spore definite per tipologia e quantità dalla farmacopea ufficiale. La
valutazione di un processo di sterilizzazione a calore umido si può effettuare con 3 metodi:

- Metodo di carica batterica;


- Indicatore combinato biologico / metodo di carica batterica;
- Metodo overkill.

IL SISTEMA DI RINTRACCIABILITA’ DEL MATERIALE


La rintracciabilità rappresenta la modalità attraverso la quale si recuperano, a posteriori, i dati che
descrivono le procedure eseguite su un determinato materiale. Deve permettere di saper dire, a
distanza di tempo, come è stato trattato il materiale e chi ha lavorato per ottenere un risultato di
sterilità. Questo implica che tutti i passaggi, dalla decontaminazione all’uso finale, devono essere
eseguiti secondo procedure predefinite e riportati per iscritto. Le moderne centrali di
sterilizzazione utilizzano sistemi informatici attraverso l’uso di penne ottiche, ma anche sistemi
manuali possono aiutare a ricostruire tutte le informazioni necessarie.

DISINFEZIONE CON AGENTI CHIMICI


I disinfettanti sono classificati in base all’attività sui microrganismi in tre livelli (alto, intermedio e
basso) sono considerati ad alto livello la gluteraldeide (2%), il perossido di idrogeno (10%), l’acido
per acetico (1-2%), i cloro derivati (ipoclorito di sodio al 5%), anche la bollitura in acqua per
almeno 20 minuti. Sono utilizzati invece come disinfettanti di livello intermedio gli iodofori, i
derivati fenolici, gli alcoli (etilico-isopropilico al 70-90%), i cloro derivati (perossido di idrogeno al
3%). Sono infine disinfettanti di basso livello i Sali di ammonio quaternario, la clorexidina allo 0,2%,
il perossido di idrogeno allo 0,1%. La scelta del prodotto va fatta tenendo conto non solo del suo
spettro d’azione, delle diverse concentrazioni a cui può essere usato, dei tempi di applicazione per
l’effetto microbicida, della rapidità di azione, della compatibilità con i materiali su cui deve essere
usato, della tossicità per l’uomo e per l’ambiente, dell’economicità e delle sostanze che possono
renderlo meno efficace (residui organici o saponosi).

LIVELLI DI BATTERI VIRUS MICETI


ATTIVITÀ
Spore Bacilli Forme Idrofili lipofili
tubercolari vegetative
ALTO + + + + + +
INTERMEDIO - + + +/- + +
BASSO - - + - + +/-

In particolare avviene tramite sostanze ad azione disinfettante come: Alogeni, Alcoli, Aldeidi,
Fenoli, Saponi e Clorexidina
Le caratteristiche di questo tipo di disinfezione sono:
- Non deteriorante
- Non tossico o irritante per l’uomo
- Azione rapida e ampio spettro d’azione
- Economico
In teoria non sono deterioranti ma sappiamo che in alcuni casi per alcuni materiali possono
comportare un’alterazione del materiale stesso.
Vi sono dei fattori che influenzano l’azione dei disinfettanti quali:
- La natura del disinfettante - Il tempo di contatto
- La specie microbica - La temperatura - pH
- La concentrazione - Il numero di microrganismi
- La stabilità della preparazione - La composizione del mezzo

LA FORMALDEIDE è stata dichiarata cancerogena in classe 2 e quindi non viene per lo più
utilizzata.

CLASSIFICAZIONE DELLE SOSTANZE DISINFETTANTI


Tra le varie possibilità di classificazione delle sostanze ad azione disinfettante, la più diffusa, che si
fonda sulle caratteristiche chimico-fisiche e strutturali, le vede distinte in:

- Alogeni (cloro e iodio) - Sali di ammonio quaternario


- Alcali - Clorexidina
- Alcool (etilico-isopropilico) - Fenoli
- Aldeidi - Vari
- Agenti ossidanti

ALOGENI (Cloro e Iodio): hanno azione microbicida a dosi molto basse. Il cloro gassoso è usato per
la disinfezione delle acque.

Cloro e derivati: Formulazioni: ipocloriti “grezzi”, ipocloriti “stabilizzati”, cloramine.


- Prodotti disponibili: candeggina, amuchina;
- Spettro d’azione: attività antimicrobica a largo spettro ( battericida, fungicida,
tubercolocida); marcata attività antivirale;
- Caratteristiche: di sicura efficacia, poco costosi;
- Limiti: sono rapidamente inattivati da materiale organico, danneggiano i materiali plastici e
nichel, cromo, acciaio e altri metalli ossidabili.
- Sono instabili e sensibili alla luce, per cui occorre preparare le soluzioni immediatamente
prima dell’uso a tenerle a riparo da luce e calore.
- Il tempo di contatto deve superare i 30 minuti e deve essere eseguito da risciacquo ed
asciugatura.
- Sono irritanti e allergizzanti non si devono mescolare soluzioni di ipoclorito con sostanze
acide perché si sviluppa acido ipocloroso, fortemente irritante per l’inalazione e possibile
causa di edema polmonare. L’ingestione provoca grave corrosione della mucosa esofagea e
gastrica.
- Campi di applicazione: impacchi di ferite, ustioni, disinfezione di presidi vari ( es.tettarellle),
apparecchiature dialitiche, ambienti, superifici e servizi igienici usati anche per la
disinfezione dell’acqua.
Ipocloriti: Sono disponibili come polveri o come liquidi. I più utilizzati sono gli ipocloriti di calcio e
sodio. Sono termolabili e fotosensibili.
- Sono i composti attivi del cloro;
- Sono in grado di uccidere un ampio spettro di microrganismi, comprese le spore, se non vi
sono sostanze organiche interferenti;
- Non tossici per l’uomo alle concentrazioni d’uso;
- Incolore, non macchiano, di odore caratteristico;
- Corrosivi, si alterano con la luce e colore;
- Facili da maneggiare ed economici.
Iodio : Microbicida eccellente, efficace, con un basto spettro d’azione, scarsamente solubile in
acqua. Lo iodio viene utilizzato:
- Sciolto in alcool per la disinfezione della cute ( tintura di iodio);
- Addizionato a tensioattivi (iodofori).

Gli IODOFORI hanno sostituito le soluzioni di iodio in alcool. Derivano dall’unione dello iodio (2 –
5%) con tensioattivi non ionici che rilasciano gradualmente lo iodio, riducendo gli effetti
indesiderati: irritazione, colorazione e corrosione. A livello ospedaliero vengono impiegati nel
trattamento antisettico della cute integra e lese e nell’antisepsi delle mucose, lavaggio antisettico
e chirurgico delle mani.

ALCOLI (Alcool Etilico e Alcool Isopropilico):


hanno un intenso effetto battericida sulle cellule in forma vegetativa ed un scarsa e lenta azione
sulla maggior parte dei virus, hanno un’azione denaturante sulle proteine. Non sono attivi sulle
spore. Hanno massima attività disinfettante se diluiti in acqua al 50-60%. Utili per la disinfezione di
pelle e termometri.
- Sono infiammabili e volatili;
- Sono inattivati dal materiale organico;
- Agisce per immersione su forme vegetative batteriche e virus lipofili;
- Non esplica azione sporicida;
- Al 70% trova applicazione per l’antisepsi della cute integra e non lesa;
- L’alcool denaturato è indicato solo l’uso come solvente e detergente.
ALDEIDI:
- Gluteraldeide: è meno irritante della formaldeide, usata nella disinfezione di strumentario
medico. È un liquido limpido, incolore o leggermente giallino, odore pungente, solubili in
acqua ed alcool. E’ dotato di azione sporicida, non altera i substrati, è stabile in ambiente
acido, ma esercita la sua attività disinfettante in ambiente basico. Solitamente si usa al 2%
previa alcalinizzazione con bicarbonato di sodio allo 0,3%. L’attività di una soluzione alcalina
di gluteraldeide degrada con il tempo e si esaurisce in 14 gg. Uccide le forme vegetattive in
30’ – 60’ e le spore in 3h di contatto. La sterilizzazione è garantita dopo 10-12 h. E’ indicata
per la sterilizzazione del materiale termolabile. Presenta i seguenti vantaggi: largo spettro di
attività; attività in presenza di sostanza organica; non corrosivo; odore pungente; irritante e
allergizzante.
- Ortoftaldeide:composto alternativo alla gluteraldeide, con alcuni vantaggi tra cui un’azione
microbica più rapida: allo 0,55% a temperatura ambiente, in 10’ uccide batteri, virus, miceti
e micobatteri. attività sporicida :10 ore a 25%. Non richiede attivazione, poco volatile, odore
poco accentuato.
- Aldeide formica:e’ un gas solubile in acqua ( soluzione acquosa: formalina). È stata per anni
la principale sostanza disinfettante utilizzata in ambiente ospedaliero: come gas nella
disinfezione terminale degli ambienti; come formalina, addizionata di detergente anionici,
nella disinfezione energica di tutte le superfici lavabili, pareti, servizi igienici, oggetti di
plastica e gomma etc. E’ rapidamente attiva su tutti i microbi e le spore. Sotto forma gassosa
disinfetta ambienti chiusi o oggetti delicati in apposite camere di disinfezione. È irritante
AGENTI OSSIDANTI:
- Acqua ossigenata: A concentrazioni >6% per 6 ore esercita attività sporicida su superfici
inerti per la liberazione di radicali liberi. A 10 volumi di ossigeno (3%) è impiegata per
l’antisepsi delle ferite, ma non è sporicida.
- Acido paracetico: è ottenuto dalla reazione chimica tra l ‘acqua ossigenata e l’acido acetico.
L’azione disinfettante ossidanti si esplica sia a livello della parete cellulare che sui sistemi
enzimatici microbici. In ambiente sanitario la sterilizzazione avviene all’interno di
apparecchiature a circuito chiuso utilizzando una miscela di ac. Paracetico allo 0.2 % a Ph 6.4
ed il ciclo dura complessivamente 40’ a 50 – 55 °C. L’acido peracetico è corrosivo ed è
necessario l’uso dei DPI nella sua manipolazione.
SALI DI AMMONIO QUATERNARIO:
- Azione battericida, virocida, fungicida;
- Sono inattivi su spore, virus idrofilici e micobatteri;
- Hanno un’ottima azione detergente, sono poco costosi e molto solubili, sono stabili e
privi di effetti corrosivi;
- Sono inattivati da saponi, sughero e cellulosa e subiscono una forte riduzione di attività
in presenza di sostanze organiche e di acque dure.
- Utilizzati per antisepsi di cute integra solamente per iniezioni intramuscolari,
sottocutanee, endovenose, prelievi, disinfezione ambientale di basso livello.
FENOLI (Fenolo):
primo disinfettante usato nella pratica chirurgica dell’antisepsi, associato ai saponi viene utilizzato
per la disinfezione delle mani, di oggetti e di superfici. Le proprietà biocide si manifestano anche
in presenza di sangue, plasma, muco, pus, feci.
Trovano applicazione per la disinfezione dei pavimenti, delle suppellenti e per la
decontaminazione dei ferri chirurgici.
- Azione microbicida;
- Completo effetto sulle forme vegetative batteriche, compresi i micobatteri e fungine.
- Inattivi sulle spore batteriche.

CLOREXIDINA
è un ottimo disinfettante attivo contro i batteri GRAM NEGATIVI E GRAM POSITIVI, ma non contro
le spore. Agisce contro la membrana citoplasmatica inattivandone le funzione. A diverse
concentrazioni viene usata per la disinfezione della pelle, mucose, oggetti, pavimenti e superfici
varie. Come soluzione detergente è usata per la decontaminazione delle mani del chirurgo e per la
pulizia delle ferite. In soluzione alcolica è usata per la decontaminazione pre-operatoria della pelle
e del paziente. È inclusa in pomate ed in polvere.
Le soluzioni acquose dei Sali di clorexidina sono incolore, inodore e dotate di modeste detergente.
- Ampio spettro d’azione su gram positivi e gram negativi;
- Semplice attività batteriostatica contro i batteri acidoresistenti;
- Non è sporicida;
le soluzioni preparate con acqua distillata o alcoliche sono indicate per:
- Disinfezione di mani e cute;
- Disinfezione di superficie e arredi.

DISINFEZIONE STRUMENTARIO MEDICO


Lo strumentario medico può fungere da veicolo di infezione ( es.: aspiratori, sonde, citoscopi,
cateteri) e va quindi sterilizzato in autoclave con OSSIDO DI ETILENE. Quando non è possibile
procedere alla loro disinfezione: Soluzioni ( alcool 70%, iodofori, clorexidina)

DISINFEZIONE STOVIGLIE E POSATE:

- Temperatura dell’acqua superiore a 80° o bollitura per 30 minuti o immersione in soluzioni


(ipocloriti – iodofori).

DISINFEZIONE BIANCHERIA – COPERTE:

- Lavabiancheria 85 - 90° per 15 min.


DISINFEZIONE MATERASSI E LETTI:
- Vapori di formaldeide o soluzioni di formalina (spruzzata).
FECI E URINE:

- Si aggiunge, dove sono state emesse, disinfettante (CREOSOLO al 5%) per due ore.
- Sedili, gabinetti, lavabi, docce, con soluzioni ipocloriti o creosolo.
AMBIENTI E SUPERFICI

Si può effettuare il lavaggio con ipoclorito, formaldeide, fenoli.

Il processo di disinfezione è considerato di affidabilità minore rispetto a quello di sterilizzazione. In


ogni caso, per poter identificare l’idoneo trattamento dei dispositivi medici riutilizzabili prima del
successivo utilizzo, gli operatori sanitari si avvalgono della classificazione che Spouling (1968)
elaborò a fine anni ’60. Tra le categorie di DM in base al grado di rischio di infezione connesso
all’uso del dispositivo medico riutilizzabile.

 CRITICO:
- classificazione: gli articoli critici penetrano in tessuti normalmente sterili o nel sistema
vascolare:
- obiettivo: sterilità:
- livello biocida: eliminazione di tutti i microrganismi, comprese le spore batteriche;
- esempi: strumenti chirurgici, cateteri cardiaci, dispositivi impintabili;
- metodo: vapore, gas plasma o sterilizzatori chimici; STERILIZZANTI: gluteraldeide> 2%
perossido di idrogeno 7,5 % acido peracetico 0.2%

 SEMICRITICI:
- Classificazione: gli articoli semicritici entrano in contatto con le mucose o con la cute
non integra;
- Obiettivo: provarli di tutti i microrganismi ad eccezione di un certo numero di spore;
- Livello biocida: uccisione di tutti i microrganismi ad eccezione di un certo numero di
spore batteriche;
- Esempi: dispositivi per anestesia e terapia respiratoria, gastroscopi ad altri endoscopi
etc;
- Metodo: disinfezione di alto livello. I DISINFETTANTI: gluteraldeide>2% perossido di
idrogeno 0,55% perossido di idrogeno più acido peracetico ipoclorito.

 NON CRITICI:
- Classificazione: entrano in contatto con la cute integra del paziente;
- Obiettivo: elimina gli eventuali microrganismi patogeni contaminati;
- Livello biocida: uccisione dei batteri in forma vegetativa, funghi e virus lipidici;
- Esempi: padelle, grucce, letto, comodino; DISINFETTANTI: alcool etilico o isopropilico
70/90% - cloro – fenoli – iodofori – ammoni quaternari.
PREPARAZIONE DEL MATERIALE
La premessa fondamentale per il raggiungimento della sterilità dei dispositivi medici consiste nella
giusta sequenza ed esecuzione di operazione che si sintetizzano:
1) Raccolta
2) Decontaminazione
3) Lavaggio o pulizia manuale-automatico
4) Risciacquo
5) Asciugatura
6) Controllo
7) Manutenzione
8) Selezione
Una corretta suddivisione del materiale e seconda del metodo di sterilizzazione da utilizzare:
- Confezionamento
- Caricamento
- Sterilizzazione

1) Raccolta del materiale:L’esposizione o la potenziale esposizione ad agenti biologici degli


operatori inizia con la raccolta dei materiali utilizzati in quanto contaminati o potenzialmente
contaminati. Sarebbe preferibile che gli operatori evitino di manipolare i materiali prima della
successiva fase di decontaminazione o che manipolino gli stessi indossando gli appropriati
dispositivi di protezione individuali. A tale scopo è raccomandabile che questi, dopo l’utilizzo,
vengano collocati in un contenitore rigido senza saldature, munito di manici laterali e grigli
estraibile che garantisca la non fuoriuscita dei liquidi in esso contenuti. Una volta riempito, il
contenitore viene preso dai manici e trasferito alla zona dove viene eseguita la decontaminazione.
Nella raccolta del materiale assicurare:

- Lo smaltimento di taglienti monouso, quali aghi e lame da bisturi negli appositi


contenitori;
- La rimozione di eventuali batterie dagli strumenti da trattare;
- Il trasporto in sicurezza tenendo presente: la quantità e la tipologia del materiale
trattato, i percorsi da effettuare ( da locale e locale all’interno della propria Unità
operativa/ Servizio o da Unità Operativa/ Servizio ad altro Servizio), i mezzi disponibili
per il lavaggio.

2) Decontaminazione e detersione del materiale: la decontaminazione si effettua mediante


l’immersione dello strumento in una soluzione disinfettante ad azione efficace contro il virus
dell’HIV. Essa, inoltre, aiuta a mantenere l’umidità sulla superfice dello strumento facilitandone la
pulizia. Al fine di rendere efficace la procedura di decontaminazione è necessario che gli strumenti
vengano smontati o aperti, per quanto possibile, prima di essere immersi, assicurandosi che le
strutture cave siano pervie. La decontaminazione può avvenire secondo due modalità: manuale e
automatica.
Nella decontaminazione manuale devono essere seguite alcune istruzioni:

- la scelta del principio attivo delle formulazioni o azione disinfettante deve tener conto
dell’obiettivo primario, rappresentato dall’efficacia nei confronti degli agenti che si
identificano come sorgente di rischio biologico e dalla compatibilità con i materiali da
trattare;
- nella soluzione disinfettante allestita all’interno di idoneo recipiente, viene immerso il
contenitore con i materiali da trattare;
- la durata della fase di immersione dipende dalle caratteristiche della soluzione impiegata
ed è opportuno seguire le indizioni fornite dal produttore;
- al termine del periodo di immersione il contenitore, con materiali trattati, viene estratto e
avviato alla fase successiva di lavaggio;
- la soluzione di contaminazione deve essere smaltita secondo le indizioni della vigente
normativa.
La decontaminazione automatica il contenitore, con il materiale da trattare, viene collocato
all’inteno della lavastrumenti e viene avviato il programma di disinfezione secondo le istruzioni del
produttore. Al termine del processo il contenitore, con i materiali trattati, viene inviato alla
successiva fase di confezionamento. È preferibile effettuarla in modalità automatica,
opportunamente certificata e attestabile. I DMR devono essere contenuti in griglia estraibili
completamente immerse nella soluzione preparata che deve essere a bassa tossicità non
schiumogena, non aggressiva verso lo strumentario chirurgico, stabile in presenza di materiale
organico, facilmente asportabile durante le fasi successiva di pulizia.

3) Lavaggio o detersione: Dei DM rappresenta un requisito essenziale per la sterilizzazione. Ha lo


scopo di ridurre di oltre il 90% l’entità della contaminazione microbica e di rimuovere il materiale
organico la cui persistenza può ostacolare l’azione dell’agente sterilizzante e vanificare l’intero
processo. La pulizia dei dispositivi medici riutilizzabili può avvenire con metodo manuale oppure
meccanico / chimico. In entrambi i metodi è richiesto che le condizioni di operatività, oltre ad
essere svolte in strutture idonee, siano soprattutto mirate a ridurre o ad eliminare se possibile il
rischio biologico, mediante comportamenti corretti e condizioni igienico/ ambientali tali da
consentire la salvaguardia del personale addetto. Il lavaggio manuale viene considerato un
metodo superato e viene utilizzato solo quando non si dispone di apparecchiature automatiche. La
procedura per la pulizia manuale prevede che il materiale venga immerso in una soluzione di
liquido detergente, che può essere:

- a base di tensioattivi;
- enzimatico;
- plurienzimatico;
vengano rispettate rigorosamente le indicazioni del fabbricante relative a: concentrazione,
temperatura e tempo di azione. Il materiale va posto su una griglia che deve essere sospesa nella
soluzione, allo scopo di prevenire eventuali incidenti che si possono verificare durante il prelievo
degli strumenti adagiati sul fondo della vaschetta. Il materiale va immerso nella soluzione
disassemblatoaffinchè il detergente venga a contatto con tutte le parti. È importante che la
soluzione detergente venga sostituita di frequente e/o tutte le volte che si presenta visibilmente
sporca. Dopo la fase di immersione gli strumenti vanno spazzolati, utilizzando spazzole dedicate,
per rimuovere i residui organici che non sono stati eliminati dall’azione detergente. Vanno
sottoposti a questo trattamento specialmente quegli strumenti che presentano cavità o lumi
ristretti di difficile detersione è indispensabile utilizzo di scovolini, spazzole con setole morbide,
pistole ad acqua/aria. Il lavaggio ad ultrasuoni è impiegato come trattamento di sostegno a quello
manuale, specie quando le sostanze organiche sono solidificate sui materiali. Il lavaggio si basa su
un principio fisico chiamato cavitazione ultrasonica, che consiste nella formazione di cavità o bolle
di gas, create da onde ultrasoniche che implodono enorme rilascio di energia d’urto. Questa
energia colpisce la superficie dell’oggetto da pulire interagendo sia fisicamente che chimicamente.
I risultati sono un fenomeno fisico di microspazzolatura e un effetto detergente prodotto dalle
sostanze chimiche presenti nel bagno ad ultrasuoni è particolarmente indicata per tutti quei
dispositivi medici delicati (microchirurgia) o che presentano articolazioni e zigrinature, dove
facilmente si deposita materiale organico difficile da rimuovere con altri sistemi. L’impianto ad
ultrasuoni è dotato di un produttore di ultrasuoni e di una vasca che viene riempita da una
soluzione detergente o proteolitica mantenuta a temperatura costante. Nella soluzione viene
posizionato un cestello forato con il materiale da sottoporre al trattamento. Un buon risultato si
ottiene mediante il rigoroso rispetto delle seguenti indicazioni:

- la concentrazione della soluzione, secondo quanto prescritto dal fabbricante;


- la temperatura dell’acqua ( intorno ai 40°C, comunque in funzione della soluzione
utilizzate;
- la frequenza degli ultrasuoni attorno a 35 KH/z;
- il tempo di contatto ( minimo 5 minuti);
gli strumenti vanno completamente immersi nella soluzione, aperti o smontati, posti in modo tale
che non rimangano zone d’ombra ( non sovrapposti). La soluzione detergente deve essere
rinnovata ad intervalli regolari, a seconda della frequenza e delle condizioni d’uso e, comunque,
almeno giornalmente. Lavaggio automatico la moderna tecnologia ha messo a disposizione sistemi
che provvedono automaticamente alla detersione del materiale sanitario. È un metodo da
preferire rispetto a quello manuale in quanto, oltre a garantire una adeguata detersione
programmata, riduce statisticamente la possibilità di infortuni degli operatori addetti. Il lavaggio
automatizzato può essere effettuato mediante l’utilizzo di macchine lavastrumenti, termo-
disinfettatrici o ad ultrasuoni. La metodica di lavaggio delle lava strumenti assicura un’omogenea
rimozione dello sporco, grazie all’uso di una concentrazione di soluzione detergente costante, a
condizione però che il caricamento venga effettuato senza zone d’ombra. All’azione meccanica di
detersione è associato un processo di disinfezione termica o chimica. L’impiego di questi cicli di
lavaggio e disinfezione assicura che i prodotti trattati abbiano un bioburdeu compatibile con il
metodo di sterilizzazione. Le lava strumenti utilizzano programmi di lavaggio standardizzati in base
al materiale da trattare: ferri chirurgici, container, tubi di anestesia… ogni programma di lavaggio
si compone di diverse fasi: prelavaggio con acqua fredda; lavaggio con acqua calda e detergente;
neutralizzazione e risciacquo; disinfezione; asciugatura.
4) Risciacquo: con acqua corrente, possibilmente demineralizzata, allo scopo di rimuovere ogni
traccia di detergente dal dispositivo medico;

5) Asciugatura: si effettua con panni di carta o di tela che non rilasciano fibre e per gli strumenti
cavi, con aria compressa.

6) Controllo: tutto il materiale da sottoporre al processo di sterilizzazione va controllato per


verificarne la pulizia, l’integrità ed il funzionamento.

7) Manutenzione: comprende l’applicazione di prodotti lubrificanti specifici indicati per la


sterilizzazione a vapore, al fine di evitare l’incollamento o lo strofinamento delle articolazioni del
ferro chirurgico. Gli strumenti rotanti necessitano di una lubrificazione, dopo ogni lavaggio o la
sostituzione delle parti deteriorabili ( guarnizioni, viti, raccordi di gomma, etc).

8) Selezione:

Confezionamento: attività preliminare alla sterilizzazione è la fase successiva all’asciugatura ed


alla ricomposizione dei kit. Prima di qualsiasi manovra confacente il confezionamento, ogni
operatore:

- Si assicura che l’ambiente sia pulito e privo di polvere;


- Indossa una divisa pulita;
- Indossa una cuffia che contenga completamente i capelli;
- Si lava le mani;
il confezionamento del materiale sanitario da sottoporre a processo di sterilizzazione deve
permettere: la penetrazione ed il conseguente contatto dell’agente sterilizzante con il materiale
da trattare; la conservazione della sterilità nei tempi e modi stabiliti dal corretto stoccaggio; la
riduzione del rischio di contaminazione del contenuto al momento dell’apertura nel campo sterile;
la praticità, la comodità e l’economicità.

TIPI DI CONFEZIONAMENTO: i principali materiali e sistemi per l’imballaggio utilizzati a tutt’oggi


per il confezionamento in ambiente ospedaliero sono i seguenti:

- Materiali d’imballaggio ( monouso);


- Carta medicale;
- Buste e rotoli in accoppiato carta – film polimerico;
- Materiale a composizione polimerica di varia tipologia impiegabile in fogli;
- Materiale poliolefinico e similare impiegabile in rotoli o tubulari;
- Sistemi d’imballaggio ( poliuso – riutilizzabile).
- Container;
CARTA MEDICALE: la procedura di confezionamento deve essere sempre in doppio strato ( doppia
confezione). Tale metodo di confezionamento, oltre a garantire un efficace mantenimento della
sterilità durante il tempo, consente una facile apertura e un’estrazione asettica del contenuto.
All’esterno della confezione vanno applicati un indicatore di processo e un’etichetta per
l’identificazione e la tracciabilità.
CONTAINER: è un recipiente metallico di forma definita destinato ad uso ripetitivo, con un’entrata
obbligata per l’agente sterilizzante ( a filtro, a valvola, a barriera biologica). La chiusura è ermetica
grazie ad una guarnizione e possono essere presenti meccanismi di sicurezza per la segnalazione di
aperture accidentali. Container a valvola: Il sistema a valvola funziona in conseguenza delle
variazioni di pressione indotte nell’autoclave durante il processo di sterilizzazione. Grazie alle sue
caratteristiche strutturali, la valvola si apre e chiude a seguito di differenze di pressione tra interno
ed esterno del container maggiori di 7mber. Container a filtro: I filtri possono essere in carta
crespata monouso, in stoffa riutilizzabile in teflon. Questi materiali devono la loro proprietà
batterio- retentiva alla presenza di un complesso intreccio di fibre che, interconnettendosi
formano una via impercorribile per gli agenti contaminati. I filtri in tessuto devono essere sostituiti
periodicamente a seconda dell’utilizzo o quando visibilmente alterati, attenendosi comunque alle
indicazioni del produttore. Necessitano pertanto di una registrazione del numero dei cicli o in
alternativa, va definito il periodo di utilizzo nelle procedure interne. I filtri di carta devono essere
sostituiti ad ogni ciclo di sterilizzazione. Container a barriera biologica: è un sistema labirintico,
inibitore di flusso secondo Pasteur, di interscambio aereo e mantenimento della sterilità. Consiste
in un sistema integrato nel coperchio formato da uno o due lastre che devono essere collegate
prima dell’avvio del processo di sterilizzazione; la lastra viene bloccata dal coperchio mediante una
rotazione in senso orario sino al raggiungimento dell’arresto permettendo così la penetrazione
dell’agente sterilizzante.

Invio: è necessario prevedere un trasporto protetto con contenitori chiusi ( casse con
coperchio o carrelli) che dopo l’utilizzo dovranno essere detersi.

ANTISEPSI
Pratica finalizzata alla inattivazione dei microrganismi presenti sulla pelle, sulle mucose o su altri
tessuti viventi (ferite).

 Disinfezione delle mani:


- pulizia per 2-3 minuti con sapone e spazzola
- disinfezione mediante strofinamento con alcool etilico al 70 % o clorexidina.

 Disinfezione della cute:


- Strofinamento mediante alcool etilico per 1 min. o tintura di iodio per la preparazione del
campo operatorio
- È consigliabile evitare l’applicazione di antisettici sulle mucose per non alterare l’epitelio
- Le ferite accidentali vanno deterse con soluzione fisiologica sterile allontanando sostanze
estranee, disinfettate con acqua ossigenata o soluzioni a base di cloro
REQUISITI DI DISINFETTANTI E ANTISETTICI:
La scelta del disinfettante e la modalità di applicazione segue alla conoscenza delle caratteristiche
biologiche dei microrganismi e alle proprietà dei singoli disinfettanti.
È importante considerare:
- La resistenza variabile dei microrganismi
- Le modalità d’azione dei disinfettanti:
 Azione batteriostatica (arresto della crescita della cellula batterica)
 Azione battericida (alterazioni irreversibili della struttura cellulare)
- Disinfezione con agenti:
 Fisici
 Chimici

Requisiti essenziali Requisiti aggiuntivi:


 Attività biocida
 Ampio spettro d’azione  Buona stabilità chimica
 Rapida azione e lunga persistenza  Non induzione di resistenze
dell’attività  Assenza di effetti irritanti o
 Atossicità per l’uomo alle sensibilizzanti (antisettici)
concentrazioni d’uso  Assenza di effetti ostacolanti il
 Innocuità sui materiali da trattare processo di cicatrizzazione (antisettici)
 Facilità di applicazione
 Qualità e sicurezza
 Poco costoso

Vengono classificati in base al livello di attività in:

 Attività alta, disinfettanti che usati per un tempo adeguato sono attivi su tutti i
microrganismi eccetto e spore batteriche
 Attività intermedia, disinfettanti caratterizzati da differenti profilidi attività, per cui
bisogna valutare singolarmente il tipo di disinfettante, sono comunque efficaci contro i
miceti (su internet dice tutti i batteri e la maggior parte di virus e funghi);
 Attività bassa, disinfettanti attivi contro la maggior parte dei batteri, alcuni virus e funghi;

Tra i disinfettanti di basso livello Tra i disinfettantidi livello intermedio ci Disinfettantidi alto livello sono la
troviamo i composti dell’ammonio sono alcoli (alcol etilico e isopropilico al gluteraldeide al 2%, perossido
quaternario e i fenoli in soluzione 70-90%) e derivati fenolici. d’idrogeno al 6%, gli ipocloriti e l’acido
detergente. peracetico allo 0,2%.
Antisettici di livello intermediosono il
Tra gli antisettici di basso livello clorossidante elettrolitico (soluzione al
abbiamo la clorexidina e gli iodofori in 0.05%, 550 ppm di Cl2), gli iodofori con
soluzione detergente. almeno 50mg/l di iodio libero oltre
10000 mg/l di iodio disponibile.
Tempo di contatto sufficiente: 10
minuti Tempo sufficiente di contatto: da 5 a 10 Tempo contatto:tra 20 e 45 min
minuti

GESTIONE DEI DISINFETTANTI IN REPARTO OSPEDALIERO

La soluzione disinfettante deve essere utilizzata entro 7-10 giorni dalla: diluizione, dalla
preparazione e dall’apertura
Bisogna utilizzare flaconi piccoli provvisti, se possibile, di dosatori e con tappi in vetro/plastica. Le
richieste devono essere adeguate al fabbisogno settimanale e va razionalizzata la gestione dello
stoccaggio (prima usare i vecchi, poi i nuovi). È essenziale curare l’etichettatura dei prodotti con
indicazioni chiare ed evidenti e bisogna istruire tutti gli utilizzatori di un prodotto sul suo campo
d’impiego.

NB: I DISINFETTANTI ANTISETTICI NON SONO POZIONI MIRACOLOSE, MA PRODOTTI TANTO PIU’
UTILI QUANTO PIU’ CORRETTAMENTE SCELTI

DISINFETTANTI CONTAMINATI

Anche il più potente disinfettante può subire contaminazione e divenire veicolo di infezione. La
possibilità di contaminazione riguarda soprattutto le soluzioni acquose, ma anche le soluzioni
alcooliche non ne sono esenti.

Le cause più comuni sono:

- Diluizione con acqua contaminata


- Manovre/impieghi scorretti (prelievo del disinfettante toccando la bocca del flacone, uso di
garza contaminata, uso di soluzione scadente, mancata bonifica dei flaconi, cotone
immerso nel disinfettante)
- Errate diluizioni

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