l’allontanamento o la correzione dei fattori responsabili delle malattie, tende a conseguire il miglior stato di benessere
possibile dei singoli e della collettività.
La salute, infatti, secondo la classica definizione data dall’Organizzazione Mondiale della sanità, è una condizione di
completo benessere fisico, mentale e sociale.
La protezione e la promozione della salute, cioè la prevenzione delle malattie ed il miglioramento del benessere,
possono essere ottenute con un insieme di interventi rivolti alle singole persone, alla popolazione nel suo complesso e
all’ambiente di vita e di lavoro.
L’igiene tratta:
• determinanti positivi per la salute (es. acqua potabile, aria pulita…)
• determinanti negativi per la salute (es. tutto ciò che può causare una patologia nell’ambiente o meno)
Per capire se il determinante ha un impatto negativo o positivo sulla salute il biologo effettua degli studi epidemiologici,
finalizzati quindi a conoscere e prevenire le malattie in popolazioni (e non per singoli individui).
È necessario comprendere l’aspetto igienico-sanitario di ogni carattere in analisi, valutando i principi funzionali e positivi
per l’organismo (igienico) e la presenza di sostanze chimiche dannose per la salute (sanitario).
Gli obiettivi dell’igiene sono infatti:
>indurre condizioni di benessere promuovendo la salute
>prevenire o correggere il rischio proveniente dai diversi fattori
La medicina clinica, a differenza della epidemiologia, si occupa della diagnosi e della terapia di una malattia nel singolo
individuo, basandosi sul confronto tra individui malati e individui sani.
È attraverso l’epidemiologia clinica che si determina la corretta interpretazione dell’iter diagnostico e terapeutico nei
confronti della malattia.
L’epidemiologia risulta utile nella medicina clinica per i EBM (“prova dei fatti”), poiché aiuta nella risposta alle seguenti
domande:
-storia naturale di una malattia
-reale dimensione del problema
-costi per la collettività
-fattori di rischio
-pregi e difetti dei test diagnostici
-scelta del test diagnostico migliore
-terapia migliore
-misure di controllo e prevenzione
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L’unica malattia che sia stata finora eradicata a livello mondiale è il vaiolo, scomparso in tutto il mondo grazie al
programma globale di eradicazione dal 1967 al 1979. Grazie a ciò è stato possibile sospendere ogni specifica misura di
prevenzione, compresa la vaccinazione che prima era obbligatoria.
Diverse malattie sono stata eradicate a livello regionale, come, ad esempio, la malaria, eradicata in Europa, e la
poliomielite, eradicata in diverse Regione, escluse alcune zone dell’Africa e dell’Asia.
Alcune altre malattie sono stata eradicate a livello locale, come ad esempio, la rabbia, eradicata in Italia ed in altri paesi.
Tra le malattie eradicabili a livello planetario vi è il morbillo.
La prevenzione primaria per la rimozione delle cause e per la riduzione degli effetti dei fattori di rischio può essere
attuata secondo dei programmi e interventi rivolti alle singole persone, alle comunità o all’ambiente:
-eugenetica
-potenziamento delle capacità di difesa dell’organismo
-rimozione dei comportamenti nocivi
-induzione di comportamenti positivi
-interventi sull’ambiente di vita
-interventi sull’ambiente di lavoro
I successi nella prevenzione delle infezioni derivano dal fatto che le malattie infettivi erano in passato la principale causa
di morte anche nei paesi sottosviluppati, sicchè l’attenzione degli studiosi si è rivolta soprattutto ad esse. Per le infezioni
enteriche monocausali (batteri e virus) a trasmissione idrica però non è possibile rimuovere la causa. Si può agire quindi
su fattori favorenti, come la disinfezione delle acque potabili.
Per la prevenzione delle malattie cronico-degenerative invece si utilizzano metodi in parte diversi, giacchè la maggior
parte di esse non è determinata da singoli agenti eziologici di natura biologica.
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2. Prevenzione secondaria
La prevenzione secondaria si attua su un paziente già colpito da un determinante negativo, è volta a ridurre la prevalenza
(frequenza di casi esistenti) della malattia. Essa infatti ha l’obiettivo di curare le malattie prima che esse raggiungano uno
stadio evolutivo tale da non poter essere guarite.
A tal fine la malattia oggetto dell’intervento di prevenzione secondaria deve poter essere scoperta prima che si manifesti
con sintomi e con segni clinici, cioè quando ancora la persona malata è ancora apparentemente sana.
A differenza della prevenzione primaria però, la prevenzione secondaria non rimuove le cause, per cui non impedisce
l’insorgenza di nuovi casi.
Non tutte le malattie sono suscettibili di prevenzione secondaria, ma sono quelle per cui:
>la storia naturale della malattia deve essere ben conosciuta, per poterne prevedere l’evoluzione
>il periodo di latenza in fase asintomatica deve essere sufficientemente lungo
>deve esistere un test di screening in grado di differenziare le persone apparentemente sane ma già malate da quelle
effettivamente sane
>devono essere disponibili terapie efficaci che consentano di guarire quella determinata malattia
La prima fase di qualsiasi intervento di prevenzione secondaria è costituita dall’esame di persone apparentemente sane
ma a rischio di malattia per effettuarne lo screening.
Lo screening può essere rivolto a gruppi ristretti di persone (screening selettivo) o a larghi strati di popolazione
(screening di massa). L’obiettivo è la diagnosi precoce, con successiva terapia, di una singola malattia tramite uso di
antibiotici o di trattamenti utili per non permettere la diffusione.
Un test di screening deve essere rapido, sicuro, poco costoso e bene accetto, oltre che sensibile e specifico.
Esso deve infatti rivelare il maggior numero possibile di ammalati (test sensibile) e non deve indicare come malati
delle persone sane (test specifico).
Infatti un test poco sensibile
3. Prevenzione terziaria
La prevenzione si attua su un soggetto ormai colpito ed è volta a ridurre la gravità, le ricadute e le complicazioni di
malattie inguaribili, in particolare quelle cronico-degenerative.
Gli interventi di prevenzione secondaria riguardano, dunque, persone con malattie croniche e persone portatrici di
handicap e consistono in procedure e tecniche di riabilitazione.
L’obiettivo della prevenzione secondaria e della prevenzione terziaria è: proteggere le singole persone dalle conseguenze
delle malattie (protezione individuale).
Gli obiettivi della prevenzione primaria sono invece
-proteggere le singole persone dal non contrarre la malattia
-ottenere il controllo delle malattie nella popolazione
-eliminare le malattie
-eradicare le malattie
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ELEMENTI DI DEMOGRAFIA E DI EPIDEMIOLOGIA
L’epidemiologia è lo studio della frequenza, della distribuzione e dei fattori determinanti (agente patogeno, ospite,
ambiente) di salute/malattia in una popolazione, caratteristiche che determinano il carattere specifico di una malattia.
In definitiva, lo scopo principale dell’epidemiologia è la scoperta delle cause e dei fattori che le favoriscono o le
ostacolano, mentre le metodologie epidemiologiche si usano anche per valutare l’efficacia e la convenienza degli
interventi di diagnosi e cura e degli interventi di prevenzione.
Applicazione di metodi: studi epidemiologici
Attraverso strumenti: dati
misure
L’epidemiologia nasce con Jhon Snow che, attraverso diversi studi, scoprì che il maggior numero di casi di mortalità al
tempo erano dovuti all’inquinamento di pompe d’acqua.
Gli studi epidemiologici hanno poi progredito grazie all’introduzione di antibiotici e alle informazioni sulla loro
funzionalità.
Lo scopo degli studi epidemiologici è studiare le condizioni di salute di popolazioni umane in relazione al loro ambiente e
alle loro abitudini di vita per
-individuare i fattori positivi di benessere e le cause determinanti le diverse forme morbose
-individuare il modo di azione e le condizioni favorenti o sfavorenti l’attività di prevenzione
-fornire una rigorosa base conoscitiva per le attività di prevenzione
Salute
La salute oggi non è solo assenza di malattia o benessere fisico e psichico, ma l’OMS (Organizzazione Mondiale Della
Sanità) la definisce come il completo benessere fisico, psichico e sociale.
1. assenza di malattia demarcazione fra malati e non malati
2. benessere fisico e psichico valutazione di situazioni di rischio per la salute sulla base di parametri soggettivi
3. completo benessere fisico, psichico e sociale (condizioni socio-economiche, livello culturale, ecc.)
Per raggiungere lo stato di salute è necessario
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- individuare i determinanti positivi di salute e potenziarli, massimizzando le resistenze individuali verso le malattie
-evidenziare e correggere i fattori di rischio e/o causali
-conoscere il meccanismo d’azione dei vari fattori
L’ambiente infatti è visto come risorsa atta a migliorare le condizioni di vita e ad aumentare il benessere per cui:
-bisogna approfondire la conoscenza sugli effetti sanitari provocati dall’ambiente
Le sostanze chimiche potrebbero avere meccanismi d’azione in parte sconosciuti o effetti cronici e irreversibili, di cui il
vero rischio è determinato maggiormente dai prodotti di trasformazione di alcune reazioni.
-la salute degli individui e delle comunità deve prevalere sui condizionamenti economici e commerciali
-deve essere posta particolare cura nell’introduzione di nuove tecnologie al fine di evitare possibili rischi alla salute
Lo sviluppo scientifico e tecnologico oggi ha portato infatti a notevoli trasformazioni demografiche e ambientali, che
risultano però diverse se si parla di paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo.
Da non sottovalutare infatti è la variabilità della risposta umana alle tube ambientali sia per le differenze nel tempo,
nell’intensità dell’esposizione e nell’area colpita.
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Entità del rischio
Il radon è un gas radioattivo naturale immesso nell’aria che causa di patologie tumorali.
Il rischio ha un suo dato di accettabilità: essendo la tossicità delle diverse sostanze funzione dell’entità di esposizione, è
teoricamente possibile individuare, per ciascuna di esse, un valore di dose al di sotto del quale sia impossibile, o
comunque improbabile, che si verifichi un danno per la salute (es. quantità minima accettabile di mercurio nell’acqua
potabile).
NELL (Lifetime noeffect level) rappresenta la quantità di sostanza in esame che somministrata per almeno due anni ad un
animale, non determini alcun effetto dannoso.
Mentre l’ADI è la dose giornaliera accettabile, ovvero la quantità di sostanza in studio che, assunta quotidianamente da
un uomo di età media per l’intera durata della vita, non provoca danni e/o alterazioni obiettivamente rilevabili.
Si definisce rischio (R), la probabilità definita quantitativamente che si verifichi un avvento avverso in seguito
all’esposizione a un fattore di rischio.
Esso si valuta: R= P x E x S , dove
E = Esposizione
P = Proprietà intrinseca di un fattore o condizione che potenzialmente può causare danno per la salute
S = Suscettibilità individuale
I fattori di rischio sono condizioni o elementi la cui presenza aumenta la probabilità di comparsa della malattia.
Gli studi epidemiologici consentono
• valutazione del contributo di ciascun fattore relativamente al rischio della comparsa della malattia
• valutazione della possibile riduzione di comparsa della malattia con la rimozione di un dato fattore di rischio
Nelle malattie multifattoriali, l’insorgenza della malattia è determinata da fattori di rischio multipli di varia natura,
biologica, fisica, chimica, comportamentale.
Questi fattori non producono effetti uguali nei diversi soggetti, ma esplicano azione variabile per modalità, intensità,
durata.
Sorveglianza
Il CDC (Centers for Disease Control and Prevention) realizza una sistematica raccolta, archiviazione, analisi e
interpretazione di dati, seguita da una diffusione delle informazioni a tutte le persone che le hanno fornite e a coloro che
devono decidere di intraprendere eventuali interventi. Questo flusso di informazioni prende il nome di sorveglianza.
I dati servono per valutare
-numero di casi/incidenza
-tasso di morbilità, ovvero le giornate perse di lavoro in seguito a malattia
-severità/letalità
-perdite produttive
-mortalità
-costi sanitari (diretti ed indiretti)
-prevedibilità
e sono pervenuti geograficamente da:
1. ASL di competenza
2. aziende sanitarie locali, incaricate della adozione di eventuali misure di profilassi a tutela della salute pubblica
3. regione (Agenzia di sanità pubblica) con azione di supervisione e coordinamento
4. organismi centrali (ISTAT, ISS, Ministero della salute)
5. eventualmente UE, OMS
Questo flusso è necessario per realizzare report nazionali, in cui si analizzano le patologie annuali e le loro percentuali.
Il Sistema informativo delle malattie infettive e diffusive, su decisione del parlamento e del consiglio europeo, infatti ha
creato una rete comunitaria di sorveglianza per lo scambio di dati su malattie infettive (Decisione n. 2119/98/EC del
24.9.1998).
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INAIL (Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro) è un ente che permette di sorvegliare incidenti
avvenuti sul lavoro.
La vigente normativa nazionale infatti prevede che siano denunciate all’INAIL le malattie professionali comprese nelle
tabelle allegate al decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale del 9 aprile 2008 (nuove tabelle delle
malattie professionali), nonché le malattie (cosiddette non tabellate) delle quali sia comunque possibile provare, a fini
assicurativi, l’origine lavorativa da parte del lavoratore.
Per finalità statistico-epidemiologiche, in Italia è inoltre previsto per i medici l’obbligo di segnalazione all’INAIL delle
malattie comprese negli elenchi di probabile/possibile origine lavorativa, annessi al Decreto del Ministero del lavoro e
della previdenza sociale del 14 gennaio 2008 (aggiornate dal DM 11 dicembre 2009).
Oltretutto l’aggiornamento del D.m. 10 giugno 2014 ha approvato il nuovo elenco delle malattie per le quali è
obbligatoria la denuncia.
Nel maggio 2016 è stato emanato il decreto che riguarda le regole tecniche per la realizzazione e il funzionamento del
SINP, il sistema informativo nazionale prevenzione.
Con la legge del 26 maggio 2004 è stato istituito il Ccm (centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie)
che è l’organismo di coordinamento tra il ministero della Salute e le Regioni per le attività di sorveglianza, prevenzione e
risposta tempestiva alle emergenze.
Lo scopo è contrastare le emergenze di salute pubblica legate prevalentemente alle malattie infettive e diffusive e al
bioterrorismo.
Le modalità del suo operare sono state meglio precisate dal decreto ministeriale del 18 settembre 2008 attraverso:
-l‘analisi dei rischi per la salute
-la verifica con le Regioni dei piani di sorveglianza e di prevenzione attiva
-il supporto ai sistemi nazionali di allerta e risposta rapida anche con
riferimento al bioterrorismo
-il disegno di programmi – anche a carattere di sperimentazione gestionale – di prevenzione primaria, secondaria e
terziaria
-la promozione di programmi di valutazione della performance sanitaria
-la promozione dell‘aggiornamento e della formazione del personale funzionale all‘attuazione del programma annuale di
attività
-il collegamento con altre realtà istituzionali e con altre realtà analoghe europee e internazionali
-la diffusione delle informazioni.
Con la legge del 2012 è stato istituito il Registro dei tumori, per fotografare la situazione della popolazione, in modo tale
da valutare le cause dell’aumento e i loro determinanti.
I sistemi di sorveglianza e i registri di mortalità, di tumori e di altre patologie sono istituiti ai fini di prevenzione, diagnosi,
cura e riabilitazione, programmazione sanitaria, verifica della qualità delle cure, valutazione dell'assistenza sanitaria e di
ricerca scientifica in ambito medico, biomedico ed epidemiologico allo scopo di garantire un sistema attivo di raccolta
sistematica di dati anagrafici, sanitari ed epidemiologici per registrare e caratterizzare tutti i casi di rischio per la salute,
di una particolare malattia o di una condizione di salute rilevante in una popolazione definita.
L’attuale piano nazionale prevenzione vaccinale (PNPV) 2017-2019 prevede 12 obiettivi, tra cui mantenere lo stato polio-
free, raggiungere lo stato morbillo-free e rosolia-free, aumentare l’adesione consapevole alle vaccinazioni, etc.
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La demografia studia lo stato ed il movimento della popolazione.
Lo stato della popolazione è dato dalla consistenza numerica (numero di abitanti) e dalla composizione (per sesso, età,
distribuzione territoriale, etc) della popolazione, mentre il movimento della popolazione è determinato dalle
modificazioni che essa presenta nel tempo per le nascite, le morti ed i movimenti migratori.
I dati demografici relativi allo stato e al movimento della popolazione sono indispensabili ai fini epidemiologici per
valutare in termini quantitativi le condizioni di salute della popolazione.
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Valutazione dei test di laboratorio e affidabilità
Lo screening o depistage di massa è una metodologia diagnostica che consente la presunta identificazione di una
malattia allo stato iniziale preclinico e asintomatico su un rilevante numero di persone.
L’analisi non conduce a diagnosi certa, ma setaccia dei probabili portatori di una malattia. Con ulteriori analisi si valuta la
reale esistenza della malattia.
La valutazione dei dati di laboratorio serve per verificare
- Precisione: grado di convergenza o dispersione dei dati rilevati individualmente (campione) rispetto al valore medio
della serie cui appartengono ovvero la loro varianza o deviazione standard rispetto alla media campionaria
- Accuratezza: grado di corrispondenza del dato teorico, desumibile da una serie di valori misurati (campione di dati), con
il dato reale o di riferimento, ovvero la differenza tra valor medio campionario e valore vero o di riferimento
Max specificità
Max sensibilità
Il Valore Predittivo Positivo (VVP) rappresenta la probabilità di malattia con test positivo: VPP = a / a + b
più elevato quanto maggiore è la specificità
Il Valore Predittivo Negativo (VPN) rappresenta la probabilità di non malattia con test negativo : VPN = d / c + d
più elevato quanto maggiore è la sensibilità
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I test disponibili possono essere suddivisi, in base all'affidabilità dei risultati da essi forniti, in due categorie:
• test patognomonici, in cui la positività indica sicuramente la malattia possibili falsi positivi
• test non patognomonici, in cui se positivo c’è qualche probabilità di malattia possibili falsi negativi e falsi positivi
In una tabella 2x2 si mettono in correlazione i risultati dei pazienti sani e malati per controllare i falsi positivi e i falsi
negativi.
I test devono essere confrontati con dei valori considerati “normali”. Questi valori soglia (cut-off) vengono definiti grazie
a una media dei valori in una grossa percentuale di popolazione.
Ad esempio per il glucosio si ha un valore normale di 110 mg/ml, per il colesterolo di 220 mg/ml, oltre i quali si incorre in
un maggiore rischio di patologia. I valori normali però non in tutte le condizioni possono essere considerati ideali, né
possono considerarsi sempre come indicatori di buona salute.
Mentre la curva dei sani è rappresentata da una curva gaussiana, quella dei malati no, in quanto la condizione dei
soggetti sani rappresenta un valore “normale” e quindi descrivibile con una curva gaussiana.
La curva di Gauss è descritta nelle ascisse da diverse classi di misura e nelle ordinate dalla frequenza.
Si possono scegliere valori di cut-off tali addirittura da massimizzare la sensibilità oppure la specificità.
Cut- Cut-
off off
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Se si diminuisce il cut-off al fine di aumentare la sensibilità, aumentano i falsi positivi.
Se si aumenta il cut-off al fine di aumentare la specificità, aumentano i falsi negativi.
Un test perfetto discriminerebbe la curva dei sani dalla curva dei malati.
Il valore medio diventa rappresentativo con la misura della variabilità e ancor più rappresentativo per il calcolo della
deviazione standard.
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Centile e percentile, che rappresenta il livello di misura al di sotto del quale cade una determinata percentuale della
distribuzione o la proporzione delle osservazioni che cadono al di sotto di un valore prefissato
Le percentili comunemente usate sono 25 , il 50 ed il 75, ovvero I quartile, II quartile, III quartile.
Esse rappresentano un buon sistema per quantificare la variabilità di dati di una distribuzione Non Normale.
che corrispondono a:
Varianza
Deviazione standard, ovvero misura della distanza media dei dati dalla loro media
In medicina si considerano “normali” i valori compresi fra il 2,5° ed il 97,5° percentile della distribuzione dei dati di una
popolazione “sana”. Un soggetto che si discosta dai valori normali però non determina uno stato patologico, potrebbe
solo rappresentare un valore anormale, raro.
Errore standard della media, che rappresenta la deviazione standard delle medie ricavate da vari campioni estratti da
una stessa popolazione
L’errore standard serve per prevedere entro quali limiti probabilistici cade la media effettiva di tutta a popolazione.
Se dalla popolazione si estraggono numerosi campioni per determinare un carattere (es. pressione arteriosa) e su
ciascuno se ne calcola la media, i valori si distribuiscono secondo la curva di Gauss:
ca. 95 % media vera 2DS
ca. 99 % media vera 3DS
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Le prove di significatività vengono utilizzare per stabilire in quale misura i risultati di due o più esperimenti hanno lo
stesso significato e quindi verificare la probabilità d’errore (es. confronto di due o più frequenze o confronto di due
medie).
La probabilità dell’errore – p è
-significativa se p < 0,05
-altamente significativa se p < 0,01
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Misure di frequenza in epidemiologia
L’andamento delle malattie e dei determinanti di salute in una data popolazione possono essere espresse secondo 4 tipi
di misure di frequenza:
Numero di eventi verificatisi (o frequenza assoluta)
L’unico elemento di conoscenza fornito da questa misura è, evidentemente, l’esistenza stessa del fenomeno che
costituisce di per sé, un’informazione epidemiologica di una certa utilità pratica.
Rapporti
Il rapporto esprime la relazione tra due quantità indipendenti tra loro.
Proporzioni (o frequenze relative)
La proporzione è un particolare tipo di rapporto in cui il numeratore è incluso nel denominatore ed il suo risultato può
assumere valori compresi tra 0 e 1
Tassi
Il tasso costituisce la stima più affidabile del rischio di malattia e si compone di 3 elementi fondamentali:
-una popolazione esposta al rischio di manifestare un certo evento
-un intervallo di tempo nel quale viene misurato il tasso
-il numero di eventi che si sviluppano nella popolazione durante il periodo di tempo scelto
Abitualmente un tasso viene espresso come numero di eventi per 100 o per multipli di 100 “esposti al rischio”, per anno
o per qualsiasi altra appropriata unità di tempo, qualora le circostanze lo richiedano.
Il tasso si distingue dagli altri parametri poiché prende in considerazione l’intervallo di tempo della misura.
R = tasso
E = n. casi o eventi verificatiti nel tempo t
P = popolazione media nel tempo t che li ha generati
K = fattore di moltiplicazione (multiplo di 10)
Si valutano:
➢ Tassi grezzi
I tassi grezzi consentono confronti immediati e sono influenzati da caratteristiche della popolazione.
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Gli anni di vita potenzialmente perduti (AVPP o PYLL) si valutano tramite la curva di Lexis, dove si correla la numerosità
con l’età.
È una curva gaussiana, dove il primo tratto rappresenta un tratto anormale (morti precoci statisticamente non normali).
➢ Tassi specifici
I tassi specifici sono più indicati per studiare gli eventi in base a particolari caratteristiche.
Essi danno informazioni molto particolareggiate, ma non danno una visione generale del problema studiato.
Infatti rendono talvolta difficoltosa la ricostruzione del fenomeno nella sua globalità e complesse le procedure di
elaborazione statistica.
➢ Tassi standardizzati
Nei tassi standardizzato viene eliminato o limitato l’effetto delle variabili tipico dei tassi grezzi, in modo da limitare gli
errori (es. popolazione standard proposta dalla OMS per l’Europa). I dati standard comunque possono essere
continuamente aggiornati e corretti.
La standardizzazione può essere diretta o indiretta, dove la standardizzazione indiretta rappresenta il calcolo del numero
di casi che avrebbe luogo in ognuna delle due popolazioni se i tassi fossero quelli standard.
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Studi sulla distribuzione degli eventi
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Studio epidemiologico
Lo studio epidemiologico prevede:
1. FASE PRELIMINARE
•formulazione degli specifici obiettivi della ricerca e delle ipotesi di partenza
•identificazione delle variabili (misurazioni, eventi) che si intendono valutare e mezzi per ottenerle
•identificazione di eventuali fattori di confondimento che potrebbero falsare i risultati finali
2. METODOLOGIA DI STUDIO
•scelta del tipo di studio epidemiologico più appropriato
•scelta del metodo di raccolta delle informazioni (utilizzo di statistiche correnti, questionari, ecc)
•valutazione dei tempi di esecuzione per le varie fasi
3. CAMPIONAMENTO
4. RACCOLTA DATI
•scelta delle informazioni necessarie per le finalità proposte
•preparazione dei questionari o schede di raccolta
5. ELABORAZIONE DEI DATI
Epidemiologia di osservazione
o Epidemiologia descrittiva o ecologica
L’epidemiologia descrittiva studia la frequenza e la distribuzione delle malattie e dei parametri di salute nelle
popolazioni.
Essa si basa su “studi ecologici”, che spesso utilizzano dati correnti riguardanti l’intera popolazione di determinati ambiti
territoriali o particolari comunità con proprie abitudini di vita. Esempi di studi ecologici sono quelli che mettono a
confronto i dati di morbosità e di mortalità per determinare malattie in diversi paesi o in diverse regioni dello stesso
paese, nella popolazione di sesso maschile ed in quella di sesso femminile.
Nell’ambito dell’epidemiologia descrittiva ha particolare importanza anche l’analisi della frequenza e della distribuzione
della mortalità e della morbosità nel tempo e nello spazio.
Per cui l’epidemiologia rappresenta l’elaborazione, analisi, presentazione di dati sanitari per descrivere un determinato
evento in base a:
>caratteristiche della POPOLAZIONE (età, sesso, razza o gruppo etnico, stato civile, classe sociale o condizione socio-
economica, attività lavorativa) interessata dall’evento
>caratteristiche SPAZIALI (geografiche, indoor, outdoor) in cui si osserva l’evento
>caratteristiche TEMPORALI dell’evento (andamento nel tempo)
Gli studi osservazionali descrittivi però si limitano alla raccolta dei dati senza ipotizzare associazioni statistiche (es.
censimento).
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La malattia si mantiene allo stato endemico
>per la presenza dell’agente patogeno o fattori di rischio associati alla malattia persiste nella popolazione
>per immissione continua nella popolazione di soggetti a rischio di malattia
- epidemica/pandemica, ovvero una patologia che si diffonde su vasta γ
L’epidemia è la comparsa di casi di malattia con un numero di casi (significativamente) superiore all’atteso per quel dato
periodo di tempo e quella data popolazione.
Le dimensioni dell’epidemia dipendono dal tipo e caratteristiche dell’agente causale e dalla numerosità e caratteristiche
della popolazione.
La pandemia è l’epidemia che si estende a nazioni o continenti nello stesso periodo di tempo o in rapida successione.
- sporadica, ovvero una patologia che si sviluppa saltuariamente
La sporadicità è la manifestazione di casi isolati senza evidenti rapporti fra loro. Spesso si definiscono sporadici casi di
malattia di norma assente nella popolazione e che non danno origine a casi secondari.
o Epidemiologia analitica
L’epidemiologia analitica ha come l’obiettivo principale di individuare le cause delle malattie ed i fattori che ne
favoriscono o ne ostacolano l’insorgenza e la diffusione.
Essa differisce dall’epidemiologica descrittiva perché non utilizza soltanto dati correnti, ma si basa su dati acquisiti
mediante indagini appositamente progettate e condotte esaminando i singoli componenti di gruppi o campioni di
popolazione.
In base al loro rapporto con la variabile tempo possono essere ulteriormente classificati in trasversali e longitudinali,
dove la trasversalità si riferisce al fatto che i dati vengono raccolti in un solo momento focalizzando l’attenzione sui
soggetti osservati senza seguirli nel tempo.
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Studi per coorte o longitudinali o prospettivi = indagine longitudinali prospettive
Si definisce come coorte un gruppo di soggetti che hanno in comune una o più caratteristiche.
La scelta delle coorte da sottoporre all’indagine epidemiologica va effettuata in rapporto all’ipotesi che si vuole
verificare. All’interno della coorte si opererà una suddivisione in rapporto all’esposizione o meno al fattore indagato e si
registrerà l’incidenza della malattia.
La sorveglianza longitudinale è il modello naturale di studio che consente di ottenere un completo quadro del rapporto
casuale. Nello studio per coorte vengono, inoltre, eliminate molte di quelle fonti di distorsione (bias) tipiche dello studio
a caso-controllo.
Se le caratteristiche degli studi per coorte consentono un’elevata qualità dei risultati, implicano però anche alcuni
svantaggi, tra i quali la lunga durata e l’elevato costo. Uno studio che può risolvere, almeno parzialmente, i problemi
legati alla lunghezza dell’osservazione è costituito dagli studi per coorte storica, in cui la coorte viene identificata in base
ai dati di pregresse esposizioni e la valutazione dell’incidenza di malattia o della mortalità per una specifica causa viene
eseguita la momento dell’impostazione dello studio od in un periodo immediatamente successivo.
Questo tipo di studi tuttavia può ridurre l’attendibilità del dato riguardante l’esposizione a fattori di rischio.
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Studi caso-controllo o retrospettivi= indagini longitudinali retrospettive
Si tratta di indagini retrospettive effettuate su due gruppi di soggetti, uno costituito dai malati di una determinata
malattia (i casi) ed uno da un gruppo di individui dello stesso sesso e della stessa età dei casi, ma non affetti dalla
malattia in studio (i controlli). Si può quindi confrontare in maniera oggettiva la malattia, negli esposti e negli non
esposti.
Per ciascun caso si rilevano tutti i dati della vita passata che possono servire ad avvalorare o ad escludere l’ipotesi
causale da cui parte lo studio.
Se il supposto fattore causale si presenta con frequenza significativamente più elevata fra i casi rispetto ai controlli,
l’ipotesi causale è avvalorata.
I principali vantaggi degli studi caso-controllo sono la relativa rapidità ed il costo non eccessivo, giacché il numero di
soggetti da studiare può essere limitato e da essi si debbono acquisire dati attuali e retrospettivi, senza dover attendere
il presentarsi di eventi come negli studi prospettivi.
Essi sono, altresì, gli unici studi possibili nelle malattie a bassissima incidenza. D’altra parte, essi possono soffrire di un
certo grado di imprecisione derivante dal fatto che alcuni dei dati retrospettivi devono essere raccolti dalla memoria dei
soggetti studiati e non possono essere controllati nella loro attendibilità.
Quindi,
negli studi retrospettivi si confronta la frequenza di esposizione nei malati («casi») con quella nei non-malati («controlli»)
negli studi prospettivi si confronta la frequenza di malattia negli esposti con quella nei non-esposti
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Misure del rischio o misure di associazione
Per valutare il rischio e le conseguenze che il determinante ha sulla salute occorre:
1. Ricercare l’associazione statistica tra fattore di rischio e malattia
2. Risalire, su base logica, alla possibilità che il fattore associato abbia, in realtà, un vero e proprio ruolo favorente lo
sviluppo della malattia
Qualsiasi metodo statistico non può costituire, di per sé, la prova che un'associazione tra due fenomeni sia basata su una
relazione causa-effetto. La prova deve avvenire verificando la rispondenza a precisi criteri di causalità.
Ci sono quindi 9 componenti, chiamati principi di Hill, che permettono di aggregare il dato statistico a ciò che ha causato
la presenza di un determinante:
1. Forza dell’associazione (di quanto l’incidenza della malattia fra gli esposti sia più elevata della corrispondente
incidenza nella popolazione di riferimento, valutabile tramite rischio relativo o odds ratio)
2. Riproducibilità (osservazione ripetuta da persone diverse, in luoghi, tempi e circostanze differenti)
3. Specificità (l’associazione riguarda una specifica esposizione ed una particolare patologia)
4. Temporalità (criterio cronologico, intendendo che l’esposizione deve precedere l’effetto della malattia)
5. Gradiente biologico (relazione dose-risposta in termini di aumento dell’effetto all’aumentare del livello di
esposizione)
6. Plausibilità biologica
7. Coerenza con la storia naturale della malattia (l’associazione deve essere biologicamente plausibile)
8. Conferme da evidenze sperimentali o quasi sperimentali (la stessa associazione dimostrata in diversi studi)
9. Ragionamento analogico
Forza dell’associazione
Le misure di associazione più frequentemente utilizzate in epidemiologia sono
Rischio relativo studi a coorte
Rischio attribuibile
Odds Ratio studi caso-controllo
In epidemiologia l'odds ratio (OR) è la misura dell'associazione tra due fattori, per esempio tra un fattore di rischio e una
malattia. Il calcolo dell'odds ratio prevede il confronto tra le frequenze di comparsa dell'evento (ad esempio, malattia)
rispettivamente nei soggetti esposti e in quelli non esposti al fattore di rischio in studio.
Per cui l’odds ratio rappresenta il rapporto tra la probabilità p di un evento e probabilità che tale evento non accada, cioè
la probabilità (1-p) dell'evento complementare:
𝑝
1−𝑝
Esso è utilizzato negli studi retrospettivi (caso-controllo), dove non è necessaria la raccolta dei dati nel tempo, infatti
esso non calcola un andamento ed è, anzi, indipendente dal fattore durata. Negli studi prospettici si utilizza invece, allo
stesso scopo, il calcolo del rischio relativo.
La tabella di contingenza viene usata per determinare se la distribuzione di una variabile dipende in maniera
condizionata (o contingente) dall'altra variabile.
Negli studi prospettivi o retrospettivi più semplici, le due variabili tabulate sono rappresentate dalla "esposizione" e dalla
"malattia".
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▪ Studio retrospettivo
Nello studio retrospettivo si inizia selezionando i casi e i controlli e poi si accerta quanti fra i casi (e quanti fra i controlli)
sono stati esposti alla presunta causa.
L'odds ratio viene calcolata come l’odds di esposizione nei casi diviso l'odds di esposizione nei controlli, per cui
I dati, attraverso il rapporto incrociato, ricavano un numero (2,19) che in una scala rappresentativa rappresenta il valore
di rischio.
L’odds ratio può avere
-valori = 1, dove l’esposizione ha determinato lo stesso numero di esposti e non esposti (assenza di correlazione)
-valori < 1, l’esposizione invece di aver provocato un danno, ne ha portato beneficio
-valori >1, per cui la correlazione è molto forte, per cui il determinante rappresenta la causa della malattia
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Ad esempio si mette in correlazione l’asbesto e la pneumoconiosi.
Il rischio relativo rappresenta il rapporto del tasso di incidenza degli esposti e il tasso di incidenza dei non esposti:
𝐸𝑥𝑝 +
𝐸𝑥𝑝 −
Esso indica di quanto è aumentata la probabilità di comparsa dell’evento nei soggetti esposti al fattore di rischio, è
quindi una misurazione molto utile a fini etiologici (ricerca delle “cause”).
Il fattore di rischio (asbesto) quindi risulta fortemente associato allo sviluppo della malattia (pneumoconiosi).
Anziché fare un rapporto, si può fare una differenza tra il tasso di incidenza degli esposti e il tasso di incidenza dei non
esposti: 𝐸𝑥𝑝+ − 𝐸𝑥𝑝−
Questo valore da il rischio attribuibile individuale, ovvero la quota dei malati che eviterebbero la malattia se fosse
rimossa completamente dalla popolazione la causa di rischio.
RA è una misura utile in Sanità Pubblica e in Medicina Preventiva, in quanto indica la quota di casi che può essere evitata
con la rimozione del fattore di rischio.
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Epidemiologia d’intervento o sperimentale
Negli studi epidemiologici sperimentali non ci si limita a raccogliere dati ed osservare fenomeni, ma si effettuano
interventi diretti o indiretti sulla popolazione.
Gli interventi possono essere:
-l’eliminazione della presunta causa della malattia
-l’eliminazione di un presunto fattore di rischio individuale o ambientale
-la vaccinazione della popolazione verso la causa della malattia
La metodologia di indagine è quella dello studio per coorte: scelto un gruppo sufficientemente numeroso di individui che
hanno lo stesso grado di esposizione alla malattia, esso viene suddiviso con criterio di casualità in due sottogruppi.
Su uno solo dei gruppi si effettua l’intervento, mentre l’altro resta come gruppo di controllo.
Dopo un sufficiente periodo di osservazione si potrà constatare se la frequenza della malattia si è ridotta nel gruppo
trattato rispetto al gruppo di controllo. Nel caso di riduzione si avrà, ad un tempo, la prova della responsabilità eziologica
del fattore rimosso e la prova dell’efficacia dell’intervento di prevenzione.
Attualmente, non si ammette che si possa effettuare un qualsiasi atto medico, sia esso preventivo, curativo o
riabilitativo, se non è stata dimostrata la sua efficacia secondo i principi e le procedure della “medicina basata sulle
prove”.
Le sperimentazioni sul campo sono interventi preventivi su soggetti non malati, ma a rischio di contrarre una malattia in
futuro. Devono coinvolgere molti soggetti e devono riguardare malattie di una certa serietà.
Le sperimentazioni di intervento comunitario sono sovrapponibili a quelle sul campo, con interventi diretti all’intera
comunità.
Le sperimentazioni controllate sono esperimenti eseguiti su persone malate per valutare l’efficacia di uno o più
trattamenti o procedure terapeutiche.
Infatti mettendo a confronto terapie convenzionali e non convenzionali si verifica la validità di una terapia. Ad esempio si
è valutato l’effetto della medicina omeopatica: si scoprì il farmaco omeopatico ha un effetto condizionante e i
miglioramenti sono ottenuti non grazie ai principi attivi ma per effetto placebo.
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Errori che conducono alla condizione di falso positivo e falso negativo
Si parla di
• Errore casuale, dovuto al caso
• Errore sistematico o bias, derivato da una non corretta pianificazione ed esecuzione dello studio
L’errore sistematico a sua volta viene classificato in
>bias di selezione dei partecipanti
Il campione non è rappresentativo della popolazione generale che si vuole rappresentare, in quanto può accadere
che ci sia una notevole quota di non partecipanti, una notevole perdita di soggetti durante il follow-up o una non
confrontabilità fra i due gruppi di partecipanti allo studio.
>bias di informazione (raccolta e interpretazione dei dati)
Il campione non è rappresentativo per
-bassa sensibilità e/o specificità dei criteri diagnostici utilizzati per la classificazione di sani e malati
-inaccurata modalità di accertamento dello stato di esposizione Ricordo diverso dell’esposizione dei malati rispetto ai
sani negli studi caso-controllo
-diverso atteggiamento dello sperimentatore nel rilevare lo stato di malattia in esposti e non esposti negli studi a
coorte
-tendenza del partecipante ad uno studio a compiacere le aspettative dello sperimentatore
-scadente origine dei dati
>bias di confondimento
I dati, se non vengono approfonditi, possono essere interpretati nella maniera errata (dato confondente).
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Malattie e problemi sanitari
ICD (International Classification of Diseases) è l’ente che permette una classificazione delle malattie e dei problemi
sanitari correlati in modo uniforme.
Il ICD-10 è l’ultimo aggiornamento del 2014 ed elenca 132 patologie e 720 sottocategorie di neoplasie maligne.
Il ICD è periodicamente revisionato e aggiornato, infatti la prossima revisione avverrà nel 2018.
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• Malattie infettive (trasmissibili)
La malattia infettiva riconosce come causa necessaria l’azione di un microrganismo che, entrato in contatto con l’ospite,
provoca danno.
Ci sono diverse vie di ingresso possibile per il microrganismo, quali cute, mucose, placenta.
Il contagio e quindi la trasmissione dell’agente patogeno può attuarsi:
direttamente = riservaospite suscettibile
indirettamente = riservafonti (veicoli/vettori)ospite suscettibile
L’infezione rappresenta stato di persistenza (di durata variabile) e attiva moltiplicazione del microrganismo nell’ospite.
L’infezione poi può sfociare o meno in malattia.
Con l’eliminazione del microrganismo dall’ospite infetto l’infezione può diffondersi ad altri ospiti.
Le malattie trasmissibili sono le patologie con minor influenza se si considerano le 15 principali patologie causa di morte
in Italia.
Periodo di incubazione
Il periodo di incubazione è l’intervallo fra inizio dell’infezione e comparsa del quadro clinico caratteristico.
E’ tipico per ogni malattia e può dipendere da:
-velocità di moltiplicazione dell’agente nell’ospite
-dose infettante
-localizzazione della moltiplicazione nell’ospite
-velocità di risposta dei meccanismi di difesa dell’ospite
Periodo di contagiosità
Il periodo di contagiosità è il periodo durante il quale il soggetto infetto elimina il microrganismo con carica sufficiente a
infettare contatti suscettibili.
Ha durata variabile nelle varie infezioni poiché è caratteristico per ogni microrganismo.
Può essere stimato in modo
- diretto, tramite isolamento del microrganismo
- indiretto, tramite individuazione di infezioni/casi secondari
L’aspettativa di vita è la considerazione a seconda delle condizioni di salute sulla durata della vita.
Il rapporto Osservasalute 2016 ha confermato che l’aspettativa di vita diminuisce e, come ha dichiarato il coordinatore
del Report e presidente ISS Walter Ricciardi, «è possibile una correlazione con i tagli alla sanità e, in particolare con la
scarsa prevenzione, il calo delle vaccinazioni e i pochi screening oncologici», sottolineando che «destinando un misero
4.1% della spesa sanitaria totale alla prevenzione l’Italia è di fatto la Cenerentola d’Europa».
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Epidemiologia e profilassi delle patologie cronico-degenerative
Le malattie cronico-degenerative o malattie non infettive si distinguono dalle malattie infettive, oltre che nell’insorgenza
subdola e nel decorso cronico, è l’assenza di trasmissione orizzontale, nel senso che il malato non contagia altre persone
(malattie non trasmissibili).
Le principali malattie cronico degenerative sono:
malattie cardio-vascolari
tumori
broncopneumopatie
malattie dismetaboliche
Un decreto del 2008, sostenuto dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale, elenca le malattie per le quali è
obbligatoria la denuncia. Questo elenco è stato poi aggiornato nel 2009 e recentemente nel 2014.
Il documento attuale prevede 3 liste di classificazione:
LISTA 1 - Malattie la cui origine lavorativa è di elevata probabilità
LISTA 2 - Malattie la cui origine lavorativa è di limitata probabilità
LISTA 3 - Malattie la cui origine lavorativa è possibile
Cause
Le cause si caratterizzano per essere
>uniche, quando associate solo alla malattia
>sufficienti, quando sono associate soltanto a quella malattia
>indispensabili, quando senza il quale la malattia non si presenza
Esse possono oltretutto avere una natura
-biologica, tra cui genetica e biologica ambientale
-chimica
-fisica
-comportamentale (abitudini individuali)
Fattori di rischio
Nel caso delle malattie cronico-degenerative non vi è l’intervento di una singola causa, specifica per ogni singola
malattia, ma di più fattori, che, a seconda della loro importanza eziologica, possono essere chiamati fattori di rischio
oppure fattori causali.
I fattori di rischio sono condizioni o elementi la cui presenza aumenta la probabilità di comparsa della malattia
(associazione positiva).
Il fattore di rischio non è unico (per la stessa malattia vi possono essere più fattori di rischio), non è specifico (lo stesso
fattore può essere trovato in più malattie), non è sufficiente (anche in presenza del fattore la malattia può non
presentarsi). Alcuni fattori di rischio infatti hanno un rapporto di causa-effetto con una o più malattie in quanto svolgono
un ruolo determinante nell’iniziare e nel promuovere i processi patologici che portano alla loro manifestazione. Essi
possono anche essere indicati come fattori causali.
Per alcuni dei fattori causali è stato determinato:
“rischio attribuibile” = percentuale di rischio per cui il fattore determina la malattia
“rischio relativo” = probabilità di andare incontro alla malattia o all’evento nocivo in una persona che vi è esposta
I fattori di rischio che non hanno un chiaro ruolo eziologico e che non sono modificabili sono anche denominati indici di
rischio, intesi come condizioni che aumentano la probabilità di una malattia, pur non avendo un ruolo determinante.
Modalità di esposizione
Inalazione
L’albero respiratorio è in grado di limitare l’entrata di sostanze tossiche in vari livelli.
L’interazione dipende dallo stato fisico in cui si trova l’agente chimico: gas, vapore, liquido, solido (particolato, polveri
fini, scaglie, fibre), aerosol.
L’assorbimento dei gas è favorito:
-dall’ampia superficie di scambio (70 m2)
-dal minimo spessore della membrana alveolo-capillare (<1μm)
Gli effetti possono essere:
>locali (nelle sole vie respiratorie senza indurre alterazioni sistemiche a distanza
>sistemici
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Ingestione
L’ingestione avviene tramite:
-il consumo di alimenti acqua ed altre bevande contaminate
-le mani contaminate
L’assorbimento è influenzato dalla resistenza del contaminante al pH gastrico ed intestinale. Esso si verifica
prevalentemente a livello intestinale grazie all’ampia superficie di scambio (villi e microvilli intestinali).
Gli effetti possono essere:
>locali
>sistemici
Contatto cutaneo
Il contatto cutaneo non si verifica con sostanze solide che vengono bloccate dall’epidermide, ma solo per liquidi e gas
che attraversano lo strato corneo per diffusione passiva e raggiungono il derma
L’assorbimento oltretutto può essere favorito in caso di abrasioni, ferite, flogosi e riduzione del film lipidico.
Escrezione
1) Prevenzione primaria
La prevenzione primaria ha il fine di evitare l’insorgenza delle malattie cronico-degenerative e di altri eventi dannosi per
mezzo della rimozione delle cause, dei fattori causali e dei fattori di rischio.
Nel caso di malattie ed eventi di sui si riconosce l’agente causale fisico o chimico, è possibile ridurre a zero il rischio
rimuovendo l’agente stesso. Nel caso delle malattie multicausali e plurifattoriali, la prevenzione consiste nella rimozione
o nella riduzione dei fattori causali e dei fattori di rischio per quanto è possibile.
Definire in termini quantitativi i vantaggi che possono derivare da un dato intervento serve anche a scegliere quello che,
a parità di spesa, può fornire i migliori risultati. Dati in tal senso sono offerti dagli studi di epidemiologia, grazie ai quali è
possibile programmare gli interventi di prevenzione primaria.
L’eliminazione o la riduzione delle cause e dei fattori di rischio, così come la protezione dai loro effetti, possono essere
ottenuti con l’applicazione di alcune metodologie:
o Eugenetica
o Potenziamento delle capacità di difesa dell’organismo
o Abbandono delle abitudini nocive e adozione di comportamenti positivi
o Interventi nell’ambiente di vita e lavoro
2) Prevenzione secondaria
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Sensibilità:
-alta = bassa quota di falsi negativi
-bassa = alta quota di falsi negativi
Specificità:
-alta = bassa quota di falsi positivi
-bassa = alta quota di falsi positivi
maggiore è la sensibilità del test, maggiore è la sua capacità a individuare soggetti con la malattia
maggiore è la specificità del test, maggiore è la sua capacità a escludere soggetti senza la malattia
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3) Prevenzione terziaria
La prevenzione terziaria ha applicazioni specifiche secondo le varie malattie cronico-degenerative e gli altri eventi
patologici.
Il precoce ripristino delle varie funzioni dell’organismo deve mirare a prevenire l’invalidità fisica provocata dal decorso
della malattia o conseguente ad interventi chirurgici. Accanto alla riabilitazione fisica comunque occorre prevedere a un
adeguato sostegno psicologico.
Marcatori biologici
Con una modificazione biologica, biochimica e immunogena attraverso un marcatore possono essere messe in evidenza
delle caratteristiche predisponenti la malattia in modo da prevenirne o valutarne l’evoluzione.
I marcatori biologici risultano anche un valido strumento nella comprensione della eziologia e dei meccanismi lungo il
continuum temporale.
Per poter collegare la presenza di biomarcatori ad una pregressa esposizione bisogna conoscere la cinetica della
formazione e di decadimento marcatore.
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I marcatori di dose interna sono (teoricamente) più affidabili nella misura della esposizione rispetto alle misure della
epidemiologia “classica” perché tengono conto del rischio individuale legato alle differenze comportamentali,
metaboliche e genetiche degli individui.
Seguendo il decorso dei marcatori di dose interna e la loro distribuzione nei vari livelli biologici è possibile valutare anche
i marcatori di dose biologica efficace.
I marcatori di dose interna misurano l’avvenuta esposizione, ma non l’effetto; mentre i marcatori di dose biologica
efficace misurano la quantità di sostanza assorbita che ha interagito con le strutture dell’organismo in un tessuto
bersaglio o in un surrogato, considerandone l’effetto.
La concentrazione di questi marcatori dipende da:
-diversa diffusione nei tessuti
-tempo trascorso dopo l’esposizione
Tra i marcatori di dose biologica efficace ci sono:
• Marcatori di effetto, che comprendono i marcatori di effetto biologico precoce e le alterazioni strutturali e/o
funzionali
L’interazione del marcatore di effetto biologico precoce con la sostanza o il sito bersaglio determina la presenza di
alterazioni strutturali o funzionali più stabili rispetto agli indicatori di dose biologica efficace.
Tra i marcatori di effetto biologico precoce ci sono:
I marcatori di alterazioni strutturali o funzionali sono marcatori di malattia in fase precoce o malattia subclinica utilizzati
in studi eziologici o in test di screening.
Con questi marcatori il reclutamento è di minor numero di soggetti e gli effetti da esposizione sono rilevati a più breve
distanza di tempo.
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• Marcatori di suscettibilità
Ogni individuo reagisce diversamente rispetto ai fattori di rischio, garantendo una diversa suscettibilità, per cui fattori di
suscettibilità individuale, anche essendo esterni alla sequenza, possono influenzare tutti gli aspetti.
i marcatori di suscettibilità riguardano:
>attivazione delle sostanze esogene
>inattivazione o detossificazione
>processi di riparazione del danno
>marcatori genetici associati a malattie
I marcatori di suscettibilità dovrebbero mostrare un più alto rischio di malattia nei soggetti esposti e suscettibili rispetto
agli esposti non suscettibili.
Aumentando ancora la dose espositiva si arriva al fenomeno di saturazione in cui i due soggetti rispondono allo stesso
modo.
A parità di dose espositiva i soggetti più suscettibili hanno rischi relativi superiori rispetto ai soggetti non suscettibili.
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Epidemiologia e profilassi delle malattie infettive
Chemioprofilassi
La chemioprofilassi è un tipo di prevenzione fatta con prodotti chimici, farmaci chemio-antibiotici, farmaci antiprotozoari
o farmaci antivirali, mirata a proteggere l’individuo da malattie infettive.
La chemioprofilassi si distingue in:
• Chemioprofilassi primaria
Si applica sull’individuo sano per evitare, nel caso incontri il patogeno, di sviluppare il processo infettivo.
È realizzata tramite l’utilizzo di chemioterapici o antibiotici in grado di uccidere micro- o macroparassiti appena
penetrati.
• Chemioprofilassi secondaria
Si applica sull’individuo infetto, senza però manifestazioni cliniche, per evitare che possa trasmettere l’infezione ad
individui sani.
È realizzata tramite l’utilizzo di trattamenti chemioterapici o antibiotici o farmaci antitubercolari.
Immunoprofilassi
L’immunità rappresenta lo stato di protezione di un organismo nei confronti di agenti infettanti riconosciuti dal sistema
immunitario come estranei (non-self).
L’immunizzazione non riguarda solo la profilassi e la prevenzione, ma si serve anche di vaccini terapeutici.
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Immunizzazione innata
L’immunizzazione innata rappresenta la capacità di difesa del soggetto verso un agente estraneo spontanea e
indipendente da precedenti contatti.
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Vaccini anti-idiotipo
Degli anticorpi monoclonali vengono diretti contro la parte dell’antigene che stimola la produzione di anticorpi
neutralizzanti (idiotipo). Il sistema immunitario dell’ospite quindi produce un secondo anticorpo (anti-idiotipo) diretto
contro il sito del primo anticorpo che reagisce con la parte antigene immunizzante.
Vaccini prodotti con la tecnica del DNA ricombinante
Nei vaccini ricombinanti, si inocula direttamente nell’ospite il gene che codifica per la proteina antigenica di un
determinato patogeno.
Il DNA può essere inoculato
-con vettori virali (retrovirus)
-con virus vaccino
-adenovirus
-associato a liposomi
-sali di Ca
-dendrimeri
Oltre agli antigeni immunogeni, nei preparati vaccinali possono essere presenti altri costituenti, come sostanze
conservanti, sostanze stabilizzanti, residui antibiotici e altre sostanze utili nelle procedure di riproduzione dei
microrganismi. Queste sostanze presenti in contrazione piccola, sono generalmente innocue.
Esempi di additivi sono:
>Sali di Al
Nei vaccini i Sali di Alluminio non possono essere eliminati perché giocano un ruolo fondamentale nella risposta
immunitaria. Comunque il contenuto di Sali di alluminio è di 0,25 a 2,5 mg e non rappresenta una concentrazione tossica
per l’organismo.
La tossicità da alluminio è riscontrabile solo nei lavoratori professionalmente esposti e in alcuni pazienti affetti
da insufficienza renale cronica.
>Formaldeide
La formaldeide viene impiegata per la preparazione dei vaccini in quantità minime, sufficienti per determinare un azione
battericida e di inattivazione dei microrganismi.
In un ridotto numero di vaccini è invece presente come conservante, ad una concentrazione non superiore a 0,1 mg.
La necessità di somministrare numerosi vaccini contemporaneamente, soprattutto nei primi anni di vita, ha portato alla
preparazione di vaccini combinati.
I preparati attualmente in uso /tri-, quadri-, penta-, esavalenti) sono frutto di lunghe sperimentazioni e garantiscono
prodotti sicuri che mantengono intatte le capacità immunizzanti e l'innocuità di tutte le componenti.
Infatti
-gli antigeni contenuti nel preparato devono prevedere identiche schedule vaccinali e stessa via di somministrazione
-gli antigeni contenuti nel preparato devono essere compatibili e non interferire tra loro
-l’efficacia deve essere almeno pari a quella delle singole componenti vaccinali somministrate separatamente
-la probabilità di eventi avversi non deve essere superiore a quella risultante dalla somministrazione dei singoli vaccini
monovalenti
I vaccini combinati si distinguono in:
Bivalenti anti epatite A, antiepatite B
difterite, tetano
Trivalenti antimorbillo, antiparotite, antirosolia
Difterite, tetano, pertosse acellulare
Quadrivalenti IPV (antipolio), antidifterite, antitetano, antipertosse
Pentavalenti IPV (antipolio), antidifterite, antitetano, antipertosse, anti Hemophilus influenzae
Esavalenti IPV (antipolio), antidifterite ,antitetano, antipertosse, anti Hemophilus influenzae, antiepatite B
Il numero delle dosi e la sequenza sono variabili a seconda dei vaccini.
Il vantaggio di somministrare più vaccini contemporaneamente permette una maggiore aderenza alla vaccinazione, in
quanto in una sola seduta, anziché 6, il soggetto si protegge totalmente.
Ciò determina vantaggi:
sanitari
-immunizzazione verso più malattie con 1 somministrazione con innalzamento copertura vaccinale e riduzione della
circolazione di agenti infettivi
-minor probabilità di contaminazione durante la manipolazione del vaccino da parte degli operatori
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organizzativi
-n. di somministrazioni inferiore
-semplificazione delle procedure di somministrazione, di registrazione / richiami
-ottimizzazione dell’organizzazione del personale vaccinatore
economici
-riduzione delle spese per preparazione e commercializzazione dei preparati
-riduzione delle spese per acquisto di materiale sanitario (aghi, siringhe, antisettici…..)
-riduzione delle spese per lo smaltimento dei rifiuti sanitari
Bisogna tenere comunque conto che intervalli fra dosi più lunghi di quanto raccomandato non riducono l’efficacia del
vaccino, mentre intervalli fra dosi più brevi di quanto raccomandato possono interferire con la risposta anticorpale e la
protezione.
Le vaccinazioni obbligatorie sono 4 e sono state decise dal Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale (PNPV) del 2012-2014:
◦ antipoliomelite (virus) 4 somministrazioni di Salk
La polio è stata eliminata da varie Regioni del mondo, inclusa la Regione europea nel 2002, ma richiede la vaccinazione
fino allo stato di totale eradicazione.
◦ antitetano (batteri) 3 somministrazioni + richiami decennali, coniugata con antidifterica
◦ antidifterite (batteri G) 3 somministrazioni + richiami decennali, combinata con antitetanica
◦ antiepatite B (virus) 3 somministrazioni
Quello per il vaiolo non è più esistente perché la patologia è stata eradicata.
Le vaccinazioni obbligatorie selettive invece prevedono la vaccinazione solo di alcuni soggetti a rischio, come:
>antitubercolare, per soggetti tubercolino-negativi di gruppi di popolazione a rischio come il personale sanitario e
studenti di medicina
>anti febbre gialla per viaggiatori in aree indicate da OMS
>antitifica antimeningococcica, antitifica e antitetanica, per reclute militari
>antitifica e antitetanica per alcune categorie di lavoratori anti MRP, per reclute militari
Ci sono anche vaccinazioni raccomandate, tra cui quelle anti pertosse, anti Hemophilus influenzae, anti morbillo-rosolia-
parotite, anti meningococco C, antipneumococco, antiinfluenza, antivaricella e anti Hpv (human papilloma virus)
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Il nuovo Piano Nazionale 2017-2019 mantiene l’obbligatorietà dei vaccini e ne offre alcune nuove raccomandate:
-anti-meningococco B
-anti-rotavirus e antivaricella nei nuovi nati
-estende la vaccinazione anti-HPV ai maschi undicenni vaccinazione antimeningococcica tetravalente ACWY135 richiamo
-anti-polio con IPV negli adolescenti
-vaccinazioni anti-pneumococco e anti-Zoster nei sessantacinquenni
-richiamo contro tetano -difterite- pertosse - polio con vaccino quadrivalente combinato in età adolescenziale
Si prospetta inoltre (come avviene già da tempo in alcuni Paesi tra i più avanzati) un’estensione dell’offerta dell’anti-
influenzale a fasce di età più giovani (dai 60 anni), mentre si presta una particolare attenzione a un’offerta mirata anche
ai soggetti già affetti da malattie croniche.
In accordo con l’OMS e il Ministero della Salute, il PNPV condivide l’obiettivo generale, ovvero l’armonizzazione delle
strategie vaccinali in atto nel Paese.
Le strategie di scelta per una campagna vaccinale si basano su:
-valutazioni epidemiologiche, ovvero modalità di trasmissione, età, elevato rischio, diffusione nella comunità
-valutazioni cliniche, ovvero gravità dell’evento acuto, possibilità di cronicizzazione
-convenienza economica, ovvero rapporto costo/efficacia
Gli obiettivi del PNPV 2017-2019 oltretutto prevedono di:
•Mantenere lo stato Polio-free
•Perseguire gli obiettivi del Piano Nazionale di Eliminazione del Morbillo e della Rosolia congenita (PNEMoRc) e
rafforzare le azioni per l'eliminazione
•Garantire l'offerta attiva e gratuita delle vaccinazioni, l'accesso ai servizi e la disponibilità dei vaccini
•Prevedere azioni per i gruppi di popolazione difficilmente raggiungibili e con bassa copertura vaccinale (HtRGroups)
•Elaborare un Piano di comunicazione istituzionale sulle vaccinazioni
Questi obiettivi sono raggiungibili solo con interventi formativi ed educativi mirati, attuati nelle scuole di ogni ordine e
grado e nei piani formativi universitari e specialistici delle discipline medico - sanitarie, per cui è stato definito un
accordo tra il Ministero della Salute ed il MIUR.
La presenza di tali obiettivi considera l’importanza dell’intervento vaccinale in quanto se esteso su vasta gamma non
determina solo la protezione dell’individuo, ma la protezione dell’intera comunità (immunità di gregge o herd immunity).
I vaccini sono un investimento essenziale per un Paese e per il mondo del futuro. Si stima che le vaccinazioni evitino 2,5
milioni di decessi all’anno nei bambini nel mondo.
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Oltretutto il loro utilizzo ha permesso di eradicare una malattia gravissima come il vaiolo, di ridurre del 99% la morbosità
della poliomielite, di risparmiare milioni di anni di disabilità provocate da patologie come difterite, tetano, pertosse,
morbillo, rosolia, meningite ecc.
Nonostante il livello culturale si sia ampliato negli anni c’è stato comunque un calo delle adesioni vaccinali o un aumento
delle esitazioni. È stato ipotizzato che ciò sia stato dovuto a un sovraccarico di false informazioni.
Per far pronte a questa problematica sono state generate norme aggiornate per garantire la protezione individuale e
collettiva, come l'obbligo di certificazione dell’avvenuta effettuazione delle vaccinazioni previste dal calendario per gli
ingressi scolastici.
Si valuta oltretutto:
>Tasso Critico di Copertura, ovvero la quota di copertura vaccinale in grado di conferire protezione anche ai soggetti non
vaccinati tramite interruzione della catena del contagio provocata dalla Herd immunity
Per il calcolo vengono impiegati modelli matematici tenendo conto della capacità diffusiva microrganismo (tasso di
riproduzione di base Ro) e delle caratteristiche socio-demografiche.
>Tasso di attacco primario , che valuta la percentuale di nuovi casi di malattia sulla popolazione a rischio
>Tasso di attacco secondario, che valuta la percentuale di infetti tra gli esposti al caso primario
Nel tasso di attacco secondario si valuta il tasso di riproduzione di base Ro che controlla se l’infezione è attiva o si
spegne: se Ro > 1 l’infezione è attiva, mentre se Ro < 1 l’infezione si spegne.
Il nuovo piano vaccinale e lo screening neonatale è ripreso anche nel LEA 2017 nella “Definizione dei Livelli essenziali di
assistenza”.
Nel 2016 sono stati inseriti altri test di screening neonatali obbligatori da effettuare su tutti i nati a seguito di parti
effettuati in strutture ospedaliere o a domicilio, per consentire diagnosi precoci e un tempestivo trattamento delle
patologie.
Farmacosorveglianza
Per prevenire i danni dovuti ai vaccini, la farmacosorveglianza rileva gli eventi avversi successivi alla somministrazione di
un vaccino, di cui si deve valutare la natura:
>Reazione avversa: la reazione, nociva e non intenzionale, ad un medicinale impiegato alle dosi normalmente
somministrate all’uomo a scopi profilattici, diagnostici o terapeutici o per ripristinarne, correggerne o modificarne le
funzioni fisiologiche;
>Reazione avversa grave: la reazione avversa che provoca il decesso di un individuo, o ne mette in pericolo la vita, ne
richiede o prolunga il ricovero ospedaliero, provoca disabilità o incapacità persistente o significativa o comporta
un’anomalia congenita o un difetto alla nascita;
>Reazione avversa inattesa: la reazione avversa di cui non sono previsti nel riassunto delle caratteristiche del prodotto la
natura, la gravità o l’esito;
La farmacosorveglianza è realizza dagli operatori sanitari, ma anche dal paziente stesso che deve denunciare alle ASL
l’eventuale complicazione.
Tra le varie reazioni avverse segnalate:
1. AlTE (Apparent Life-Threatening Events) 9. GBS (Sindrome di Guillain Barré)
2. ADEM, demielinizzazione, encefalopatia, encefalite 10. Intussuscezione (invaginazione dell'intestino)
3. Anafilassi 11. Iperpiressia
4. Anemia emolitica 12. Ipotonia-iporesponsività
5. Atassia (perdita coordinazione muscolare) 13. Malattia viscerotropica
6. Cellulite 14. Neurite brachiale
7. Convulsioni febbrili e non febbrili 15. Neurite ottica
8. Fallimento vaccinale 16. Paralisi di Bell
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Immunizzazione passiva sieroprofilassi
Le immunoglobuline sono ottenute da plasma umano mediante frazionamento a freddo con etanolo. Il loro utilizzo è
considerato un intervento di immunoprofilassi passiva in situazioni in cui una persona non è in grado di produrre
autonomamente anticorpi o quando è necessario conferire immediatamente la protezione contro una data infezione e
non c’è il tempo per ottenere una risposta anticorpale mediante vaccinazione.
L’immunizzazione passiva è attuata tramite la somministrazione di:
• Immunoglobuline umane, Ig normali o Ig iperimmuni
Le Ig normali o polivalenti sono ottenute dalla mescolanza di plasma proveniente da un grande numero di donatori di
sangue, nel quale sono presenti anticorpi specifici verso le più comuni patologie infettive.
L’uso è limitato a soggetti con documentata immunodeficienza.
Le Ig specifiche o iperimmuni sono ottenute da plasma di donatori in cui è presente un certo tipo di anticorpo ad elevata
concentrazione o per aver superato quella determinata malattia o per vaccinazione recente.
Essi sono indicati per l’immunoprofilassi passiva di persone che sono state esposte al contagio con tetano, epatite B,
morbillo, rosolia, varicella o rabbia e che non sono state precedentemente vaccinate.
Le Ig sono somministrate per iniezione intramuscolare, raggiungono la massima concentrazione in 2-4 giorni e poi si
dimezzano in 25 giorni. La loro efficacia dura circa 4-6 settimane.
Analogamente alle Ig prodotte dall’organismo, queste immunoglobuline non sono attive contro microrganismi
intracellulari, né contro tossine che si siano già legate ai recettori tissutali.
• Sieri immuni di origine animale (sieri eterologhi)
Oggi la somministrazione di sieri eterologhi, ottenuti da animali di grossa taglia, è stata quasi del tutto abbandonata. La
somministrazione di questi sieri infatti può dare luogo a gravi fenomeni di ipersensibilità immediata per formazione di
complessi immuni tra le proteine del siero e gli anticorpi contro di esse prodotti dal ricevente.
In casi di emergenza, ad esempio quando si entra in contatto con materiali tetanici, è necessaria una maggiore
protezione, oltre al vaccino, con l’utilizzo di sieri.
Immunoterapia
I vaccini possono prevenire, ma possono anche essere terapeutici.
L’AIRC ha infatti studiato dei vaccini terapeutici utili come arma contro i tumori:
2008, vaccino terapeutico Oncophage – studiato per la terapia del glioma cerebrale
2010,il sipuleucel- T, che stimola la risposta immunitaria contro la fosfatasi acida prostatica, un antigene presente nella
maggior parte delle cellule di cancro della prostata
2015, vaccino anticancro terapeutico per il melanoma metastatico
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Tra i saprofiti quindi rientrano le numerose specie microbiche che vivono nell’ambiente e che sono indispensabili per il
mantenimento degli equilibri naturali e dei cicli vitali
• Microbi commensali
I microbi commensali sono quelli che colonizzano la nostra cute e le mucose a cominciare dalla nascita.
Alcuni non danneggiano né sono utili per l’ospite (commensali in senso proprio), mentre altri svolgono alcune funzioni
utili all’organismo (simbionti).
I batteri commensali svolgono un ruolo importante per l’organismo ospite e per l’uomo in generale, offrendo una serie di
vantaggi, come la produzione di proteine e vitamine, le reazioni di fermentazione e lievitazione, l’acidificazione del latte,
la costituzione di vaccini, etc.
• Microbi patogeni
Si definisce patogeno un microbo che è in grado di insediarsi nell’organismo ospite, moltiplicandosi e causando danni che
si manifestano con sintomi e segni propri di uno stato di malattia.
Vengono chiamati patogeni opportunisti quelli che si insediano in condizioni di diminuzione della barriere difensive e che
determinano l’insorgenza dell’infezione.
La patogenicità dipende dal possesso del microbo di caratteristiche particolari:
virulenza: capacità relativa di un patogeno di indurre una malattia, che non è uguale per tutti i patogeni
invasività: capacità di un microrganismo di proliferare nei tessuti fino ad inibire le funzioni dell’ospite
tossicità: capacità di un microrganismo di svolgere un ruolo patogenetico attraverso la produzione di tossine che
inibiscono le funzioni delle cellule o la uccidono
contagiosità/trasmissibilità: capacità di essere trasmesso da un soggetto infetto a un soggetto sano
I criteri sulla base dei quali si riconosce che un certo agente microbico è la causa di una data malattia sono enunciati dai
“Postulati di Koch”:
>il microrganismo presunto responsabile di una data malattia deve essere trovato in tutti coloro che manifestano i
sintomi della malattia stessa e non in soggetti sani
>il microrganismo deve poter essere isolato dai malati e coltivato in laboratorio in adatti substrati
>esso deve riprodurre i sintomi della malattia se inoculato in un animale da esperimento
>esso deve poter essere reisolato e coltivato in laboratorio a partire dall’animale sperimentalmente infettato
I vettori sono rappresentati dagli artropodi, spesso insetti, che trasportano attivamente i microrganismi patogeni
prelevati dalla sorgente d’infezione.
ᴏ Zoonosi
ᴏ Parassitosi
ᴏ Ectoparassitosi
ᴏ Micosi
Penetrazione e incubazione
La penetrazione di un microbo patogeno nell’organismo non necessariamente è seguita da un processo infettivo e dalla
manifestazione di una malattia.
Infatti, l’avvio e lo sviluppo di un’infezione, l’esito in malattia e le caratteristiche cliniche della malattia stessa sono il
risultato della complessa interazione fra l’ospite e l’agente infettante.
Quando un microrganismo riesce a superare le normali barriere difensive, penetrare e moltiplicarsi senza che ne derivi
alcun danno per l’organismo ospite, si stabilisce un’infezione senza malattia (situazione asintomatica).
Quando invece, a seguito della penetrazione e della moltiplicazione, il microrganismo riesce a superare le difese
dell’ospite, si determina lo stato di malattia.
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La malattia inizia a manifestarsi dopo un tempo variabile dal contagio, chiamato periodo di incubazione. Il periodo di
incubazione rappresenta l’intervallo fra l’inizio dell’infezione e la comparsa del quadro clinico caratteristico.
E’ tipico per ogni malattia e può dipendere da:
-velocità di moltiplicazione dell’agente nell’ospite
-dose infettante
-localizzazione della moltiplicazione nell’ospite
-velocità di risposta dei meccanismi di difesa dell’ospite
Il periodo di contagiosità invece è il periodo durante il quale il soggetto infetto elimina il microrganismo con carica
sufficiente a infettare contatti suscettibili.
Ha durata variabile nelle varie infezioni (caratteristico per ogni microrganismo), ma in genere è più breve del periodo di
eliminazione.
Il periodo di contagiosità può essere stimato in modo:
>diretto isolamento del microrganismo
>indiretto individuazione di infezioni /casi secondari
Tipi di infezioni
Infezioni correlate all’assistenza (ICA) o infezioni nosocomiali sono infezione per cui non è presente all’ingresso in
ospedale, ma sono state acquisite nella permanenza (=infezioni nosocomiali).
Il numero di casi/1000 dimissioni rappresenta un indicatore di qualità dell’assistenza.
Sono considerate infezioni nosocomiali anche le infezioni del personale sanitario acquisite nell’ambiente di lavoro.
In vari Paesi la frequenza di queste infezioni varia fra 4-9 %. In Italia presenta un 7%.
Le infezioni ospedaliere endogene o autoinfezioni sono infezioni in cui il microrganismo proviene da un’altra zona del
corpo del paziente tramite penetrazione in siti sterili dei batteri commensali della
cute o delle mucose (scopie, cateteri, intubazioni, etc.); le infezioni ospedaliere esogene invece sono determinate dal
passaggio dei microrganismi dalle sorgenti e dai serbatoi al paziente recettivo (mani, aria, contatto con veicoli
contaminati come disinfettanti, endoscopi, acqua, liquidi di infusione, etc.)
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Gli agenti eziologici determinanti le infezioni ospedaliere fino agli anni ‘80 prevalentemente erano sostenute da batteri
gram-negativi (es. E. coli e Klebsiella pneumoniae). Negli anni successivi invece la patologia era dovuta a gram-positivi e
miceti (es. Enterococchi, Stafilococcus epidermidis, Candida spp.), determinati dalla pressione esercitata dal diffuso
utilizzo degli antibiotici e presidi sanitari di materiale plastico.
La tubercolosi, essendo diventata multiresistente a diversi farmaci, oggi rappresenta un rischio consistente per gli
operatori sanitari.
Questa problematica è trattata nel Piano Nazionale della Prevenzione (2014-2018), che si propone di realizzare comitati
per le infezioni ospedaliere (CIO), che vadano a controllare gli ambienti e monitorare gli interventi per prevenire la
frequenza di infezione.
Il decreto è stato aggiornato nel 2014, introducendo come serio problema le ferite da taglio o da punta realizzate con
strumenti infetti nel settore ospedaliero e sanitario. La conseguenza più frequente è l’infezione da HIV, con il 41% di
incidenza.
I dati epidemiologici forniti da INAIL, ISPESL, hanno dedotto che in Italia si stimano 100.000 esposizioni percutanee
annue, di cui il 50% non viene segnalato.
Secondo il metodo Bio-ritmo elaborato nel 2010 da INAIL, il rischio viene valutato in funzione della probabilità di
accadimento e del danno che ne può conseguire, che dipende dalle caratteristiche intrinseche del pericolo:
P =probabilità di accadimento di un evento dannoso, calcolata per mezzo di matrici
D = danno conseguente all’evento, qualora questo accada, valutato tramite punteggio A,B,C,D,E
Dalla relazione P x D scaturisce un valore R (Rischio) che esprime il livello di rischio presente: R = P x D
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I rifiuti sanitari soprattutto vengono ritenuti pericolosi per il rischio biologico e chimico. Infatti esiste una normativa che
distingue la modalità di smaltimento dei rifiuti urbani da quelli sanitari, in quanto i rifiuti sanitari vengono portati agli
inceneritori.
Anche l’impianto idraulico è da esaminare in quanto i microrganismi possono lì trovare un ambiente favorevole dove
vivere e creare quindi un rischio biologico.
Il Decreto Ministeriale tramite il Sistema Informativo delle Malattie Infettive e Diffusive (1990-2004) obbliga, per
prevenzione, alla notifica di particolari patologie.
Oltretutto il Decreto determina una distinzione delle patologie in 5 classi, in base alla loro gravità e alla necessità di
segnalazione.
CLASSE PRIMA: malattie (13) per le quali si richiede segnalazione immediata o perché soggette al Regolamento sanitario
internazionale o perché rivestono particolare interesse
[tempo segnalazione medico-ASL = 12 h]
CLASSE SECONDA: malattie (25) rilevanti perché ad elevata frequenza e/o passibili di interventi di controllo
[tempo segnalazione medico-ASL = 48 h]
CLASSE TERZA: malattie (5) per le quali sono richieste particolari documentazioni
[tempo segnalazione medico-ASL = 48h]
CLASSE QUARTA: malattie (4) per le quali alla segnalazione del singolo caso da parte del medico deve seguire la
segnalazione dell'unità sanitaria locale solo quando si verificano focolai epidemici
[tempo segnalazione medico-ASL = 24 h]
CLASSE QUINTA: malattie infettive e diffusive notificate all'unità sanitaria locale e non comprese nelle classi precedenti,
zoonosi indicate dal regolamento di polizia veterinaria di cui al decreto del Presidente della Repubblica e non
precedentemente menzionate.
[tempo segnalazione medico-ASL = 48 h]
I tempi di segnalazione sono importanti per evitare una diffusione della malattia ed intervenire precocemente.
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“Epicentro” (ISS-Ministero della Salute) rappresenta un portale dell'epidemiologia per la sanità pubblica a cura del
Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute.
È quindi un sistema di sorveglianza routinario per le malattie infettive (Sistema informativo malattie infettive, Simi).
Tubercolosi
La tubercolosi è una malattia infettiva, contagiosa e a decorso cronico, determinata da un micobatterio a localizzazione
prevalentemente polmonare, ma capace di aggredire qualsiasi organo ed apparato.
L’agente eziologico è il Mycobacterium tubercolosis (bacillo di Koch o micobatterio tubercolare umano), un bacillo assai
resistente agli agenti fisici e chimici naturali ed artificiali. Sopravvive a lungo nell’ambiente esterno, all’essiccamento, al
calore secco.
La prima infezione tubercolare (infezione primaria) avviene per via aerea: i bacilli tubercolari penetrano direttamente
attraverso l’albero respiratorio, localizzandosi nei lobi polmonari. Qui provocano un processo infiammatorio di tipo
essudativo-necrotico, con interessamento dei linfonodi regionali. L’evoluzione dell’infezione primaria è di norma verso la
guarigione.
La tubercolosi postprimaria si manifesta ordinariamente nei giovani e negli adulti, come conseguenza della riattivazione
del focolaio primario (reinfezione endogena). La localizzazione abituale del processo infiammatorio è nei polmoni, ma
localizzazioni extrapolmonari possono aversi in varie altre sedi: pleure, meningi, reni, ossa, etc.
Il test della tubercolina rivela lo stato di ipersensibilità e serve ad accertare se una persona ha subito l’infezione
tubercolare, anche in forma del tutto asintomatica. Esso è finalizzato a individuare le persone in cui l’infezione latente
può evolvere in malattia tubercolare e che, pertanto, devono essere sottoposte ad un opportuno trattamento
terapeutico.
Il test tubercolinico è eseguito con l’intradermoreazione di Mantoux, che deve essere eseguita nei soggetti che hanno
avuto contatti con persone ammalate di tubercolosi.
Poiché i principali fattori di rischio derivano dall’ambiente fisico e sociale e sono costituiti, essenzialmente, dal
sovraffollamento di abitazioni malsane e dalla povertà, la prevenzione dell’infezione tubercolare deve mirare a
migliorare le condizioni di vita e di lavoro e ad elevare il reddito della popolazione.
In Italia vi è l’obbligo di notificare tutti i casi di tubercolosi polmonare in fase contagiosa e di tubercolosi extrapolmonare
in forma contagiosa, al fine di individuare ed inattivare le sorgenti d’infezione, che sono costituite esclusivamente dai
malati con forme aperte.
Particolare attenzione deve essere rivolta ai sieropositivi per HIV, per la facilità con cui possono andare incontro alla
malattia. La Tb è infatti la principale causa di morte tra le persone sieropositive.
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Le persone con tubercolosi polmonare in fase contagiosa devono essere isolate in ambiente ospedaliero fino a
negativizzazione dell’esame dell’espettorato, il che si ottiene dopo 4-8 settimane dall’inizio del trattamento
chemioterapico specifico.
La chemioprofilassi antitubercolare può essere effettuata con la somministrazione di isoniazide (INH) per
-ridurre il rischio di infezione e di malattia nei contatti
-impedire l’evoluzione della malattia primaria in malattia nei soggetti tubercolino-positivi
La somministrazione quotidiana di isoniazide ai contatti ancora negativi al test alla tubercolina è indicata per 6 mesi; se
però dopo i 3 mesi di trattamento si osserva ancora positività, è necessario protrarre la somministrazione per altri 9
mesi.
Per tutti i soggetti, bambini e adulti giovani tubercolino-positivi, è consigliata la somministrazione quotidiana di
isoniazide per 9 mesi.
Durante il secolo scorso, la sua frequenza è progressivamente diminuita proprio grazie ad una serie di interventi di
ordine sociale e di Sanità Pubblica e con il contributo di questa terapia chemio-antibiotica specifica.
Negli ultimi venti anni, un nuovo aumento di casi, anche se modesto, è stato segnalato in diversi Paesi industrializzati,
compresa l’Italia, determinato da cause diverse tra le quali la più importante appare la particolare suscettibilità
all’infezione tubercolare delle persone affette da AIDS.
La vaccinazione antitubercolare in Italia non è stata mai utilizzata su vasta scala. L’unico vaccino attualmente disponibile
è il BCG (Bacillo di Calmette e Guerin), costituito da un ceppo di M. bovis vivo ed attenuato. Esso non protegge
dall’infezione ma dalla malattia ed ha una buona efficacia protettiva nei riguardi della tubercolosi disseminata e di altre
forme gravi di tubercolosi nei bambini, mentre è meno efficace per la protezione della tubercolosi polmonare.
Influenza
L’influenza è una malattia infettiva acuta e altamente contagiosa, causata da virus influenzali appartenenti alla famiglia
Orthomyxoviridae (influenza di tipo A,B,C).
La malattia influenzale compare dopo un breve periodo di incubazione (48-72 ore), durante il quale le particelle virali
giunte nelle prima vie aeree si attaccano alle cellule colonnari dell’epitelio, vi penetrano e vi si replicano, causandone la
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morte. Il processo infiammatorio che ne consegue si estende rapidamente dalla mucosa nasale e faringea fino ai bronchi,
con estesa desquamazione delle cellule epiteliali ed infiltrazione di linfociti e monociti.
La sintomatologia derivata ha una durata variabile da 2 a 7 giorni ed in genere lascia uno stato di debilitazione protratta
per diversi giorni dopo la guarigione.
I virus influenzali, in particolare l’influenza A, sono i virus respiratori di maggiore importanza e impatto sulla salute
pubblica. Ogni anno si hanno tra i 3-5 milioni di casi di infezione severa con fino a 500.000 morti.
L’unica prevenzione possibile dell’influenza è la vaccinazione. Pertanto, la sorveglianza epidemiologica ha lo scopo di
identificare le varianti antigeniche maggiori e minori, per preparare tempestivamente i vaccini antinfluenzali contro
ceppi che si prevede daranno luogo alla diffusione pandemica o epidemica dei nuovi tipi e sottotipi.
Da quando è cominciata la coesistenza dei due sottotipi del tipo A si utilizzano preparazioni trivalenti che includono i
due ceppi di virus A (H1N1 e H3N2) ed il ceppo di tipo B. Nella previsione di una pandemia si ricorrerebbe ad un vaccino
monovalente preparato con lo stipite pandemico.
L’efficacia protettiva è in media del 90% per le infezioni da virus B e dal 70% per quello dei due sottotipi del virus A.
Esiste anche un vaccino costituito da virus vivi e attenuati, che offrirebbe il vantaggio di poter essere somministrato per
instillazione o nebulizzazione nasa.
I soggetti da vaccinare prioritariamente sono quelli ad alto rischio di complicanze e di morte.
La chemioprofilassi dell’influenza potrebbe essere fatta con la somministrazione di farmaci antivirali prima o
immediatamente dopo l’esposizione al contagio. L’impiego di questi farmaci è problematico perché dovrebbero essere
somministrati per tutto il periodo epidemico con rischi probabilmente non inferiori a quelli dell’influenza.
Colera
Il colera è un infezione diarroica causata dal batterio Vibrio cholerae, che colpisce l’intestino e rilascia grandi quantità di
liquidi e Sali. Nei casi più gravi può portare a pericolosi fenomeni di disidratazione.
La trasmissione avviene per contatto orale, diretto o indiretto, o con materiale contaminato (alimenti o feci). La
principale riserva sono uomo e acque (soprattutto quelle salmastre presenti negli estuari, spesso ricchi di alghe e
plancton).
La carica batterica necessaria per l’infezione è di circa 106, pertanto risulta molto difficile contagiare altri individui
attraverso il semplice contatto.
L’incubazione della malattia varia solitamente tra le 24 e le 72 ore (2-3 giorni), ma in casi eccezionali può oscillare tra le 2
ore e i 5 giorni in funzione del numero di batteri ingeriti.
Il colera è causa di pandemia ed è ancora presente in molti Paesi, in quanto il batterio che la provoca non è ancora stato
eliminato.
Per la prevenzione, sono disponibili dei vaccini, la cui efficacia è ancora dubbia.
La terapia principale invece prevede l’utilizzo di antibiotici e una reintegrazione dei liquidi e dei Sali. La reidratazione
orale (immediata) ha successo nel 90% dei casi, può avvenire tramite assunzione di soluzioni ricche di zuccheri, elettroliti
e acqua.
Febbre tifoide
La febbre tifoide (tifo addominale) è una malattia infettiva, acuta e contagiosa, di cui l’agente eziologico è il Salmonella
typhi.
Salmonella typhi penetra nell’organismo per via orale (in genere con l’acqua o con gli alimenti) e raggiunge l’intestino
dopo aver superato la barriera gastrica.
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Si localizza nelle strutture linfatiche della parete intestinale e nei linfonodi mesenterici, dove va incontro ad un’attiva
moltiplicazione (moltiplicazione primaria). Da qui i batteri passano in circolo, diffondendosi nell’organismo e
localizzandosi in particolare nei linfonodi, milza, fegato, midollo osseo e polmoni.
Dal fegato, con la bile, essi ritornano nell’intestino e determinano l’invasione secondaria delle strutture linfatiche
intestinali. Qui per effetto della precedente sensibilizzazione, inizia un processo infiammatorio he può portare alla
perforazione dell’intestino.
Dopo un periodo di incubazione oscillante da 1 a 3 settimane, inizia la classica sintomatologia della febbre tifoide.
Le diverse fasi della patogenesi corrispondono a 4 diversi periodi della durata di circa 7 giorni (settenari).
Il precoce trattamento antibiotico, già nella fase iniziale della malattia, però modifica il ciclo della febbre che si svolge in
meno di 7 giorni. Comunque il tasso di mortalità è superiore al 10%.
La vaccinazione di massa può essere utile sono nei paesi in via di sviluppo dove la febbre tifoide è presente con elevati
livelli di endemicità. Attualmente si impiegano due diversi tipi di vaccino, uno costituito da batteri vivi attenuati, l’altro
dall’antigene polisaccaridico Vi purificato, orale o iniettabile.
Enter-net è un sistema di raccolta di dati che riguardano le patologie enteriche. È un sistema di allerta e verifica dei casi.
Per la salmonellosi ogni anno vengono segnalati al sistema enter-net in media 5500 sierotipi nell’uomo.
Poliomielite
La poliomielite è una grave patologia infettiva del sistema nervoso centrale, in particolare dei motoneuroni, che causa
paralisi flaccida acuta.
La poliomielite è causata da tre tipi di polio-virus (1, 2 e 3), appartenenti al genere enterovirus, che invadono il sistema
nervoso nel giro di poche ore, distruggendo le cellule neurali colpite e causando una paralisi che può diventare, nei casi
più gravi, totale. Il 5-10% dei malati muore a causa della paralisi dei muscoli dell’apparato respiratorio.
Per lungo tempo la poliomielite è stata diffusa per tutto il mondo causando morte ed invalidità soprattutto nei bambini.
Grazie alla vaccinazione di massa, dal 2002 non esistono più casi di poliomielite in Italia e in Europa (polio-free), ma la
malattia non è stata ancora eradicata.
La poliomielite rappresenta una patologia per cui esiste il vaccino obbligatorio.
Esistono due tipi di vaccini diversi: quello “inattivato” di Salk (IPV), da somministrare con iniezione intramuscolo, e
quello “vivo attenuato” di Sabin (OPV), da somministrare per via orale. Dal 2002 il vaccino usato è solo quello inattivato.
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L’infezione decorre frequentemente in maniera asintomatica o con sintomi generici di malessere. Anche nelle forme
manifeste con ittero essa evolve verso la guarigione spontanea.
La malattia, nella sua forma tipica con ittero, inizia, dopo un periodo di incubazione variabile da 15 a 50 giorni, con il
periodo prodromico o preitterico, che si manifesta con sintomi aspecifici. Sono presenti però delle alterazioni
biochimiche indicative del danno epatico, come l’aumento della transaminasi e della birirubina e un aumento delle
dimensioni del fegato.
Il periodo itterico (2-4 settimane) subentra quasi improvvisamente dopo la febbre, ed è caratterizzato dall’emissione di
urine dal tipico color marsala e dalla colorazione giallastra delle sclere.
Attualmente esiste un vaccino inattivato contenente formalina, altamente immunogeno, capace di indurre la risposta
anticorpale nel 100% dei soggetti. Esso conferisce una protezione della durata di almeno 10 anni dopo la
somministrazione per via intramuscolare di 3 dosi, ai tempi di 0,1 e 6 mesi.
Nel 2014 l’Efsa, l’ente internazionale che controlla le patologie a trasmissione alimentare, ha rilevato un innalzamento
dei casi di Epatite A provocati da infezione di frutti di bosco. È stato quindi istituito un programma che cercava di
controllare la diffusione, bloccando la partita di questi alimenti.
Epatite virale B
L’epatite virale B è una malattia infettiva che nella fase acuta ha un decorso clinico del tutto simile a quello delle altre
forme di epatite virale. Da esse si distingue, oltre che per il diverso agente eziologico, anche dal punto di vista
epidemiologico e prognostico. In particolare, differisce dall’epatite A per le modalità di trasmissione, per il più lungo
periodo d’incubazione e per la tendenza a cronicizzare.
Le particelle virali penetrano nell’organismo con l’inoculazione di sangue o di altri liquidi biologici contaminati o
attraverso le mucose genitali. Successivamente raggiungono il fegato e si moltiplicano all’interno delle cellule epatiche.
L’infezione ha una forma asintomatica nell’80% dei casi, solo il 10% delle forme acute invece viene riconosciuto
clinicamente. Nella forma sintomatica i sintomi comprendo febbre, inappetenza, nausea, urine color marsala; l’ittero è
riscontrabile nel meno del 10% dei bambini e nel 30-50% degli adulti.
A differenza dell’epatite A, l’epatite B tende a persistere come infezione cronica, con frequenza diversa a seconda
dell’età in cui si contra l’infezione.
La conoscenza della vie e delle modalità di trasmissione dell’HBV ha consentito di mettere in pratica, già prima della
disponibilità del vaccino, efficaci misure di prevenzione in ambito medico e chirurgico.
Attualmente sono in uso il vaccino obbligatorio antiepatite B preparato con la tecnologia del DNA ricombinante, che
contiene antigeni HBsAg, ottenuti da cellule di Saccharomyces cerevisiae, nel cui DNA è stato inserito il gene S del virus
epatico B.
A seguito della somministrazione di un ciclo vaccinale completo, la capacità di risposta immunitaria è di lunga durata
(oltre i 15 anni, sicché non è raccomandata la somministrazione di successive dosi di richiamo.
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Oltretutto è in uso anche la profilassi immunitaria passiva, che consiste nell’impiego di immunoglobuline specifiche anti-
HBs ad alto titolo. Viene attuata soprattutto nei confronti di soggetti sieronegativi accidentalmente esposti al contagio e
di bambini nati da madri HBsAg-positive.
Epatite virale C
L’epatite C virale è causata dal virus HCV, responsabile della maggior parte delle epatiti post-trasfusionali.
L’HCV è un virus a RNA appartenente al genere Hepacivirus della famiglia dei Flaviviridae.
Il virus penetra per via parentale e, giunto al fegato, si localizza negli epatociti, in cui si riproduce.
Il periodo di incubazione è assai variabile, da 2 settimane a oltre 6 mesi.
Nella maggior parte dei casi la malattia decorre nella forma anitterica e solo il 10% dei soggetti infettati presenta segni
clinici o sintomi di malattia. Infatti normalmente il decorso è asintomatico.
Una caratteristica della malattia è la progressione verso la cronicizzazione in oltre il 70% dei pazienti, in cui l’infezione
persiste per decenni.
In caso di malattia, la notifica è obbligatoria e ogni caso notificato deve essere seguito da accurata indagine
epidemiologica per individuare la sorgente dell’infezione.
Non disponendo ancora di vaccini sicuri ed efficaci, anche a causa dell’estrema variabilità antigenica del virus, è
importante che la prevenzione dell’epatite C sia attuata agendo sulle vie di trasmissione.
Gli unici farmaci disponibili sono molto costosi e i pazienti che possono accedervi gratuitamente devono avere un grado
di gravità della patologia molto alto.
AIDS
L’agente responsabili dell’AIDS è un virus a RNA, classificato fra i retrovirus e denominato HIV, di cui si riconoscono due
varianti HIV-1 e HIV-2.
L’HIV si riproduce mediante trascrizione del suo RNA in DNA per mezzo dell’enzima DNA polimerasi RNA-dipendente
(trascrittasi inversa), con successiva integrazione nel genoma dei linfociti dell’ospite.
Il virus nell’uomo attacca selettivamente e distrugge i linfociti T helper, infettando anche i linfociti B, che non sono più in
grado di rispondere con una adeguata produzione anticorpale efficace.
Ne consegue che esso può rimanere a lungo nella persona infetta, prima in forma latente, e, nella fase finale
dell’infezione, come responsabile dell’immunodeficienza manifesta.
Sifilide
La sifilide è una malattia infettiva esclusivamente umana, trasmessa per lo più per contatto sessuale. Ha un’evoluzione
soprattutto cronica con possibilità di localizzazione nei più svariati organi e tessuti.
L’agente eziologico è il Treponema pallidum, della famiglia delle Spirochaetaceae.
La storia naturale della malattia è caratterizzata dalla progressione in 3 stadi:
Sifilide primaria = caratterizzata dalla comparsa di una singola ferita (sifiloma o chancre), o da più pustole, consistente,
tonda, piccola e indolore nel punto in cui avviene l’infezione batterica
Sifilide secondaria = insorgenza in più punti di un’eruzione cutanea (roseola o papulomatosi sifilitica) non accompagnata
da prurito con macchie sui palmi delle mani e dei piedi o in altre parti del corpo
Sifilide avanzata (stato latente e terziaria) = danni agli organi interni (cervello, nervi, occhi, cuore e vasi sanguigni, fegato,
ossa e articolazioni) che si possono manifestare anche a distanza di decenni
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Blenorragia
La blenorragia (o gonorrea) è una malattia infettiva a trasmissione sessuale, causata da Neisseria gonorrhoeae, un
diplococco gram-negativo, di cui l’uomo è l’unico ospite.
Molto spesso la gonorrea è asintomatica, soprattutto nelle donne. Negli uomini i sintomi possono comparire da due a
trenta giorni dopo l'infezione e consistono soprattutto in bruciore durante l'orinazione o perdite di colore bianco, giallo o
verde.
In passato la gonorrea era una delle più frequenti malattie a trasmissione sessuale. Dopo l’avvento della terapia
antibiotica, la sua frequenza era notevolmente diminuita ma attualmente si osserva una certa ripresa.
Tricomoniasi
È stato ipotizzato che in presenza di ambiente acido dovuta ai vaccini lattici, se viene diminuito il pH, si determina
l’insorgenza di popolazioni patogene, come i tricomoniasi.
La trasmissione della tricomoniasi può avvenire per contato sessuale (la più rilevante) o al momento della nascita.
Questi agenti svolgono diverse funzioni:
-fissano reversibilmente le proteine plasmatiche, determinando l’inibizione della reazione immunitaria
-sottrazione di glicogeno e fagocitosi lattobacilli vaginali, che provoca una riduzione nella produzione di acido lattico
(lattobacilli simbionti) e un innalzamento di pH (da 4,5 a 5,5-6), predisponendo le condizioni favorevoli allo sviluppo del
parassita
Ha un’incubazione di 4-20 giorni.
La tricomoniasi può determinare l’insorgenza di vaginiti, leucorrea o uretriti aspecifiche, anche se spesso le forme sono
asintomatiche.
• Tramite vettori
Malaria
Chikumgunya
Febbre gialla
Febbre di lassa
Peste
Febbre west nile
Febbre dengue
Malaria
La malaria ha diversi agenti eziologici che ne causano l’attivazione, come Plasmodium falciparum, Plasmodium vivax,
Plasmodium ovale e Plasmodium malariae.
Ha una natura e un ciclo complessi che comprendono:
1)Fase schizogonica tissutale o esoeritrocitaria
2)Fase schizogonica ematica
3)Inizio fase sessuata (uomo - formazione dei gameti)
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La presenza di febbre può insorgere dopo 24 ore (terzana) o dopo 72 ore (quartana), accompagnata da anemia emolitica,
alterazioni dell’endotelio capillare e immissione in circolo di pirogeni.
Non ne esiste ancora un rimedio, ma molti laboratori si stanno prodigando per la produzione di un vaccino efficace.
La costituzione del vaccino è infatti particolarmente difficile proprio per il complesso ciclo della malattia.
Si è comunque in grado di intervenire con farmaci prima dell’ingresso e successivamente all’ingresso del Plasmodium.
C’è un rialzo di casi presenti nel nostro territorio dovuti a importazione.
Febbre gialla
La febbre gialla è una malattia infettiva acuta virale (genere Flavivirus) che colpisce principalmente gli esseri umani e le
scimmie e si trasmette attraverso la puntura di zanzare Aedes.
"Gialla" deriva dall’ittero che colpisce alcuni pazienti, causando occhi e pelle gialla.
La vaccinazione è altamente raccomandata ed obbligatoria in alcuni Paesi. Infatti gli ingressi in alcuni paesi richiedono la
vaccinazione per la febbre gialla.
Peste
Il microrganismo che la provoca è di origine batterica (Yersinia pestis), mentre il vettore è rappresentato da roditori.
Il batterio normalmente ha come ospite le pulci parassite dei roditori, ratti, alcune specie di scoiattoli, cani della prateria.
In qualche caso le pulci possono infettare anche gli animali domestici come i gatti.
È una malattia diffusa in molte parti del mondo, anche in alcune regioni dei paesi industrializzati, con alti tassi di
mortalità.
Occasionalmente, un’epidemia può uccidere anche grandi quantità di roditori e le pulci, il batterio, quindi, in cerca di
nuovi ospiti, si trasmette anche agli esseri umani, diffondendo la malattia.
Contro la peste attualmente non è disponibile un vaccino.
Chikumgunya
La Chikumgunya è una malattia virale caratterizzata da febbre acuta e trasmessa dalla puntura di zanzare infette.
La sintomatologia simil-influenzale ed include febbre alta, brividi, cefalea, nausea, vomito e soprattutto importanti
artralgie (in lingua swahili chikungunya significa "ciò che curva" o "contorce").
Febbre di lassa
Per la febbre lassa l’agente eziologico è un virus diffuso prevalentemente in Africa, il cui serbatoio principale sono i
roditori Mastomy.
La malattia ha un esordio improvviso, acuto e spesso accompagnate da manifestazioni emorragiche.
Come per tutte le febbri emorragiche, gli uomini non sono serbatoi naturali per il virus, ma possono essere infettati
attraverso il contatto con animali infetti o artropodi vettori. La febbre di Lassa è trasmessa dal contatto diretto con
escreti di roditori o tramite aerosol di escreti e saliva dei roditori.
In alcuni casi, dopo la trasmissione accidentale, può avvenire la trasmissione da uomo a uomo, per contatto diretto con
sangue, tessuti, secrezioni o escreti di persone infette, soprattutto in ambito familiare e nosocomiale.
Febbre dengue
La febbre dengue è causata da quattro virus molto simili (Den-1, Den-2, Den-3 e Den-4) ed è trasmessa agli esseri umani
dalle punture di zanzare che hanno, a loro volta, punto una persona infetta. Non si ha quindi contagio diretto tra esseri
umani, anche se l’uomo è il principale ospite del virus.
Il virus circola nel sangue della persona infetta per 2-7 giorni, e in questo periodo la zanzara può prelevarlo e
trasmetterlo ad altri.
Negli ultimi decenni, la diffusione della dengue è aumentata in molte regioni tropicali.
Nei paesi dell’emisfero nord, in particolare in Europa, costituisce un pericolo in un’ottica di salute globale dato che si
manifesta soprattutto come malattia di importazione, il cui incremento è dovuto all’aumentata frequenza di spostamenti
di merci e
di persone.
Non esiste trattamento specifico, ma sono allo studio vaccini.
• Zoonosi
Toxoplasmosi
Brucellosi
Tubercolosi bovina
Tularemia
Echinococcosi
Listeriosi
Trichinellosi
Peste bubbonica
Rabbia
Giardiasi Antrace
Leishmaniosi
Salmonellosi
Cysticercus (teniasi Tenia solium)
Sarcocystis
Tetano
Le zoonosi sono malattie infettive e parassitarie proprie degli animali vertebrati che possono diffondersi anche all’uomo
per contatto diretto con materiali di animali (pelle, peli, uova, sangue e escrezioni) o indiretto attraverso vettori o
alimenti infetti.
L’antropozonosi rappresenta malattie infettive invece che dall’uomo vengono trasmesse agli animali.
Tetano
Il tetano è una malattia tossi-infettiva, acuta e non contagiosa, determinata dall’accidentale penetrazione
dell’organismo, per lo più attraverso lesioni traumatiche, di un bacillo sporigeno ed anaerobio: il bacillo tetanico
(Clostridium tetam).
Il bacillo rimane localizzato nel punto di penetrazione e la sua azione si esplica esclusivamente attraverso la produzione
di una neurotossina assai attiva, responsabile del quadro clinico.
Tra le malattie infettive, il tetano ha una delle letalità più elevate e continua a costituire per molti Paesi un serio
problema di sanità pubblica.
In Italia, la morbosità è rimasta a lungo pressoché stazionaria; soltanto l’avvento della prima fase della vaccinazione
obbligatoria ha segnato un costante regresso.
Le spore, penetrate attraverso lesioni della cute, se si trovano in condizioni di anaerobiosi germinano dando origine alle
forme vegetative.
Il bacillo (forma vegetativa) vive abitualmente nell’intestino degli animali e dell’uomo ed è scarsamente resistente
nell’ambiente. Esso ha la proprietà di produrre una esotossina (tetanospasina), che possiede attività antigenica e elevata
tossicità.
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Ha un tropismo elettivo per il sistema nervoso centrale, dove stimola la produzione di anticorpi antitossici che, non
essendo in grado di oltrepassare la barriera ematoencefalica, non neutralizzano la tossina.
Ciò provoca uno stato di contrazione continua delle fibre muscolari (spasmo muscolare). La letalità varia dal 30 al 50% e
la quantità letale è di circa 7 x 10-6 mg.
Il periodo di incubazione è per lo più di 6-15 giorni, ma può variare da 1-2 giorni fino a parecchie settimane.
L’accertamento diagnostico del tetano non viene abitualmente richiesto perché la sintomatologia clinica è in genere
chiara e non presenta difficoltà diagnostiche.
Attualmente per il tetano esiste una vaccinazione obbligatoria. Il vaccino è costituito da anatossina (o tossoide), ottenuta
trattando la tossina con formolo.
L’immunizzazione attiva di tutta la popolazione ed il mantenimento dello stato immunitario con richiami vaccinali ogni
10 anni sono gli interventi più efficaci per ridurre a 0 il rischio di tetano.
È prevista anche un’immunizzazione passiva, eseguita con le immunoglobuline, specifica per i soggetti non vaccinati che
presentino ferite contaminate o lesioni da puntura profonde. Le immunoglobuline determinano un livello protettivo di
anticorpi circolanti della durata di 4-6 settimane, in modo da coprire il periodo di incubazione della malattia.
Toxoplasmosi
È una delle più comuni infezioni nel mondo, che colpisce ed è dannosa soprattutto per le donne in gravidanza.
Il parassita, nel suo ospite definitivo (il gatto), forma delle cisti che possono permanere nell’ambiente per lungo tempo
nel terreno, essendo molto resistenti.
Queste possono poi entrare nel ciclo biologico dell’uomo o degli animali attraverso ingestione di cibi o acqua
contaminati.
Azione patogena:
-Infezione primaria, proliferativa, acuta
-Infezione cronica con cisti extracellulari
-Trasmissione transplacentare
1) se avviene all’inizio della gravidanza → aborto
2) se al 2° o 3° trimestre → toxoplasmosi congenita (idrocefalia, microcefalia, calcificazioni cerebrali, ritardo mentale,
corioretinite, etc)
Nel processo patogeno si distinguono:
•fase acuta , il più delle volte asintomatica (linfadenite non diagnosticata)
•fase subacuta = comparsa di anticorpi neutralizzanti
•fase cronica = i parassiti sopravvivono per anni nelle cisti, grazie ad un buon grado di immunità
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Per la valutazione della malattia si realizzano test sierologici che valutano i titoli IgM e IgG
IgM: comparsa 5-14 gg, max 2-4 settimane, possono scomparire dopo 3-16 settimane
IgG: comparsa solo dopo 2 settimane
quindi IgM e titoli crescenti di IgG determinano infezioni primarie recenti.
Molto spesso i segni clinici vengono confusi con dei disturbi intestinali, invece che al parassita.
Questo parassita una distribuzione ubiquitaria, ma è più rilevante nelle regioni a clima temperato.
Cryptosporidium parvum
Presenta un ciclo biologico complesso con similitudini con quello di toxoplasma, sarcocisti e malaria.
Molto spesso i segni clinici vengono confusi con dei disturbi intestinali. Per cui per diagnosticare la presenza del parassita
si può realizzare un’analisi che lo distingue per le loro caratteristiche morfologiche.
Si ricercano infatti delle piccole oocisti nelle feci diarroiche, che producono cisti hanno basso peso specifico (flottazione).
Il parassita è distribuito in maniera cosmopolita.
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Trichinellosi
È un nematode che intacca il tessuto muscolare di molti animali.
Leishmaniosi
È un pappataci particolarmente presente in Sud America ed in alcune zone di Italia. Esso provoca infezioni che
determinano mutilazioni gravi e sfiguranti.
La leishmaniosi può essere
-viscerale
-cutanea
I parassiti hanno la capacità di nutrirsi attraverso il sangue. Trasportando batteri e virus, nel processo di nutrimento,
possono determinare una loro azione infettiva nell’ospite.
L’endoparassitosi è determinata da protozoi ed elminti, mentre l’ectoparassitosi da artropodi.
• Tramite micosi
Gli agenti micotici sono particolarmente dannosi in pazienti immunocompromessi.
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Diagnostica delle malattie infettive
La diagnostica prevede:
-Diagnosi clinica
-Accertamento di laboratorio
Per l’analisi diagnostica permette di fare un’analisi quantitativa e qualitativa, ovvero di conoscere il numero degli agenti
patogeni e riconoscerli. Si può infatti esprimere la sensibilità del microrganismo agli antibiotici tramite antibiogramma (o
determinazione della resistenza) con cui si valuta:
MIC (minima concentrazione inibente), misura quantitativa dell’attività di un antibiotico verso un
determinato batterio, definita come la più bassa concentrazione di antibiotico in grado di inibire la crescita batterica
visibile
MBC (minima concentrazione battericida), la più bassa concentrazione di antibiotico in grado di inibire la crescita
batterica di almeno il 99,9% (1 germe su 1.000 elude l’azione antibiotica) della popolazione iniziale
Ci possono però essere degli errori nella costituzione della coltura che possono determinare una sottostima o sovrastima
del campione.
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Valori standard
I valori standard di sensibilità variano per ciascun microrganismo e sono basati
>Farmacocinetica e farmacodinamica degli antibiotici (livelli di farmaco raggiunti in vivo nel sangue e tessuti
dall’antibiotico)
>Attività clinica mediante correlazione tra risultati in vitro (MIC) e risultati in vivo (risoluzione del caso clinico)
Si distinguono valori di:
SENSIBILITÀ (S)= l’infezione può essere adeguatamente trattata con il dosaggio di un agente antimicrobico
comunemente raccomandato per quel tipo di infezione
SENSIBILITÀ INTERMEDIA (I)= la crescita batterica è inibita solo al dosaggio massimo raccomandato
Gli isolati batterici mostrano MIC corrispondenti a livelli sierici e tessutali di antibiotico per i quali l’efficacia potrebbe
essere più bassa di quella registrata per gli isolati sensibili.
RESISTENZA (R)= possibile fallimento dell’antibiotico testato
L'antibiotico dovrebbe essere utilizzato a dosaggi che risulterebbero tossici nell'organismo in quanto i ceppi non sono
inibiti alle concentrazioni sistemiche di antimicrobico raggiungibili di solito con i normali dosaggi.
Metodiche di valutazione
Due sono le metodiche per eseguire l’antibiogramma:
Diluizione in brodo/agar
Nei test di sensibilità mediante diluizione la sensibilità del microrganismo viene valutata in base alla sua crescita o meno
in un terreno di coltura - che può essere solido o liquido - contenente diverse concentrazioni dell'antibiotico.
Questo metodo è quantitativo e consente di determinare accuratamente oltre alla MIC anche la MBC (Minimal
Bactericidal Concentration), ovvero la più bassa concentrazione di antibiotico in grado di distruggere la totalità dei dei
batteri.
Il metodo è valido e preciso, ma purtroppo anche costoso e di lunga attuazione, per cui l'impiego è limitato a pochi casi:
•trattamenti di affezioni molto serie in cui sia necessario valutare la
MBC per determinare il dosaggio dell'antibiotico (es. nelle endocarditi batteriche o osteomieliti)
•valutazione della sensibilità di microrganismi a lenta crescita (es. micobatteri e actinomiceti)
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Nel test di diluizione in brodo di coltura si prepara una serie di provette di terreno contenenti concentrazioni decrescenti
di antibiotico, e le si inoculano con quantità convenzionali dell’organismo da testare (solitamente 1ml).
Dopo 1 notte di incubazione, le provette vengono controllate per la presenza di una crescita batterica visibile (torbidità):
l’assenza di torbidità visibile del terreno di coltura denota un’inibizione completa della crescita microbica.
La concentrazione più bassa di antibiotico che porta ad assenza di crescita è la MIC.
E’ invece possibile calcolare la MBC se le provette che non presentano crescita sono sottoposte a subcultura in terreno
fresco privo di antibiotico: la concentrazione più bassa di antibiotico alla quale il microrganismo non è in grado di
crescere quando viene trasferito in terreno fresco equivale alla MBC.
Il metodo di diluizione su agar è molto simile al test di diluizione in brodo di coltura: piastre contenenti quantità variabili
di antibiotico si inoculano e, quindi, viene valutata la crescita.
Diffusione in agar (Kirby-Bauer)
Utilizzando una piastra con terreno agarizzato che mantiene un ambiente ottimale per il microrganismo (37°, presenza di
fattori nutrizionali) e coltivando la sospensione cellulare, per valutare la sensibilità dell’antibiotico, si inseriscono dei
dischetti imbevuti con antibiotici differenti.
Dopo 24 h se il microrganismo cresce normalmente significa che è resistente, se invece è sensibile si rende visibile
attorno al disco un alone di inibizione, per cui l’antibiotico ha agito correttamente. L’alone rappresenta infatti la zona in
cui non c’è stata crescita cellulare. Dell’alone quindi viene misurato il diametro e confrontato con valori standard.
Questo metodo deve essere raffrontato con un’altra metodica per valutare in modo specifico la MIC.
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>Indiretta
La diagnosi indiretta permette un’indagine sierologica per la ricerca di anticorpi specifici diretti contro antigeni virali.
La scelta fra un intervento di disinfezione e un intervento di sterilizzazione è fatta in base alla destinazione d’uso
dell’oggetto e, per gli oggetti e gli strumenti sanitari, in rapporto al loro valore di criticità.
Si considerano critici (es. strumentazione chirurgica e cateteri vascolari) quegli strumenti che, in caso di contaminazione,
presentano un rischio di infezione elevato. Per questi è necessaria la sterilizzazione prima dell’uso o l’utilizzo di materiale
sterile monouso.
Sono considerati semi-critici (es. strumentazione respiratoria, endoscopi flessibili, sonde vaginali ) quegli strumenti che,
pur entrano in contatto con cute lesa o mucose, non raggiungono cavità o tessuti sterili e quindi presentano un rischio di
infezione inferiore. Il livello richiesto può essere la sterilizzazione, ma anche un alto livello di disinfezione.
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Si considerano non critici (es. bracciali per misurazione pressione, stetoscopi)quegli oggetti che vengono a contatta con
la cute integra e presentano, quindi, un basso rischio di infezione. Solitamente è sufficiente la detersione o un
disinfettante di livello medio-basso.
Il CDC negli anni ’70 ha ideato la scala di Fulkerson, ovvero una classificazione igienica dei materiali che entrano a
contatto con il personale sanitario durante l’attività lavorativa e relativo potenziale di contaminazione delle mani che ne
deriva. Questa classificazione ha voluto sottolineare l’importanza del lavaggio delle mani in queste figure professionali.
▪ Sterilizzazione
La sterilizzazione, con mezzi fisici o con mezzi chimici, deve essere effettuata con mezzi certificati e con procedure
standardizzate a livello europeo (Norma UNI EN, 2002). Infatti non potendo essere ispezionati gli oggetti sterili, deve
essere dimostrato che una seria di parametri sono stati rispettati ed il processo è avvenuto correttamente.
Queste linee guida oltretutto considerano come il materiale debba essere trattato prima e dopo la sterilizzazione.
Le camere di sterilizzazione sono contigue alle sale di lavoro, in modo tale che il materiale, dopo essere stato portato in
sicurezza, sia subito utilizzato.
In ambito sanitario, un insieme di oggetti è considerato sterile quando la probabilità di trovare un microrganismo vivo
all’interno di un lotto di sterilizzazione è inferiore a 1/1.000.000 (Sterility Assurance Level, SAL = 106).
Un processo di sterilizzazione però può essere condizionato da diversi fattori
-fattori fisici
-qualità e quantità della carica microbica
-struttura dell’oggetto da sterilizzare
-metodi per la conservazione del materiale sterilizzato
La sterilizzazione può essere ottenuta con diversi mezzi di uccisione dei microrganismi:
▫ Sterilizzazione con il calore umido sotto pressione (autoclave)
Si ottiene con l’uso dell’autoclave, costituita da un recipiente con robuste pareti metalliche, a chiusura ermetica, dentro
cui si pone dell’acqua che viene riscaldata fino alla produzione di vapore.
Questo, rimanendo imprigionato al suo interno, determina un progressivo incremento della pressione con conseguente
aumento della temperatura di ebollizione dell’acqua: 121°C alla pressione di 1 bar, 128°C a 1,5 bar, 134°C a 2 bar.
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Il processo utilizza temperature di 60-100° per 30 min e viene ripetuto 3 volte in 3 giorni consecutivi. L’alta temperatura
quindi si alterna a raffreddamenti, durante i quali le spore presenti possono germinare, per cui il ciclo di ebollizione
successivo serve ad uccidere le forme vegetative sviluppate.
Viene preferito per materiali che non sono in grado di sopportare temperature maggiori a 100°.
▫ Sterilizzazione con le radiazioni ionizzanti γ
Le radiazioni γ sono prodotte da Cobalto 60 o da Cesio 137. Il loro effetto sterilizzante è determinato dal danno a DNA
cellulare e dalla disorganizzazione della sua struttura.
Il trattamento è utilizzato:
-per ridurre la carica microbica nel prodotto alimentare e quindi ridurre i rischi sanitari associati con certi prodotti
collegati alla presenza di microrganismi patogeni
-per prolungare la durata di conservazione dei prodotti
-per prevenire la germinazione di patate, agli e cipolle
Oltretutto i materiali trattati con radiazioni ionizzanti hanno l’obbligo di etichettatura ( “irradiated foods”).
▫ Sterilizzazione chimica con l’ossido di etilene
L’ossido di etilene è un gas che agisce mediante alchilazione del DNA delle cellule, ossidazione e blocco delle attività
enzimatiche.
▫ Sterilizzazione chimica con l’acido peracetico
L’acido peracetico agisce sulla membrana citoplasmatica lipoproteica dei microbi interrompendone le funzioni di
intermediazione con l’ambiente. Esso è attivo a basse concentrazioni a pH neutro ed a temperatura di 50-56°C, in soli 12
min di esposizione.
▫ Sterilizzazione chimica e fisica con il perossido di idrogeno
Il perossido d’idrogeno è vaporizzato attraversando un campo elettromagnetico, con produzione di radicali liberi che
agiscono sugli acidi nucleici e sulle membrane cellulari.
La temperatura di sterilizzazione è di 45-50°C.
▫ Sterilizzazione con le radiazioni ultraviolette
Si usano le radiazioni emesse nella lunghezza d’onda compresa tra 328 e 210 nm da lampade a vapori di mercurio
(radiazioni UV). Queste agiscono rompendo i legami ad idrogeno del DNA e generando dimeri di timina.
Le radiazioni UV non devono essere utilizzate per sostituire misure di igiene preventive, ma piuttosto in alcuni casi come
misura di decontaminazione.
▫ Sterilizzazione “a freddo”
La glutaraldeide, l’acido peracetico e il perossido di idrogeno possono garantire la sterilizzazione di oggetti immersi, se
fatte agire ad alte concentrazioni e con tempi lunghi di immersione (10-12 ore)
L’ ISPSEL (Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro Dipartimento Igiene del Lavoro) ha determinato
delle linee guida riguardo l’attività di sterilizzazione con finalità alla protezione collettiva da agenti biologici per
l’operatore nelle strutture sanitarie (D.Lgs. 81/2008 e s.m.i.).
Questi protocolli operativi prevedono:
1. raccolta/trasporto
2. decontaminazione
La decontaminazione è un abbattimento della carica microbica iniziale che precede la sterilizzazione e che fa uso di
disinfettanti.
3. Lavaggio
4. Risciacquo
5. Asciugatura
6. Controllo e manutenzione
7. Confezionamento
8. Sterilizzazione
9. Trasporto e stoccaggio
▪ Dinsinfestazione
La disinfestazione è una profilassi che fa uso di diversi prodotti chimici:
-fumiganti
-pinetroidi
-organoclorurai
-organofosfati
-carbammati
▪ Disinfezione
La disinfezione ha come obiettivo l’eliminazione di microrganismi patogeni e non patogeni, escluse le spore.
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Sono considerati disinfettanti
-ad alto livello: la glutaraldeide (2%), il perossido di idrogeno (10%), l’acido peracetico (1-2%), i cloroderivati, etc.
-a livello intermedio: gli iodofori, i derivati fenolici, gli alcoli (etilico e isopropilico al 70-90%), etc.
-a basso livello: i sali d’ammonio, la clorexidina, alcuni cloroderivati, il perossido di idrogeno allo 0,1%.
Il cloro, spesso utilizzato come disinfettante, però ha un’azione ossidante, formando sottoprodotti tossici, anche sulla
sostanza organica. La disinfezione delle acque potabili quindi deve essere privata del cloro.
I disinfettanti funzionano grazie alle sostanze tensioattive che permettono il passaggio di acqua e il lavaggio.
La soda (NaOH o KOH), ad esempio, in acqua bollente aiuta a provocare l’esterificazione dei grassi. Producendo questa
idrofilia, si determina un migliore passaggio di acqua e quindi una migliore pulizia.
Come antisettici per la decontaminazioni delle mani degli operatori e della cute dei malati prima di un intervento
chirurgico sono utilizzati la clorexidina, lo iodio povidone, i gel idroalcolici.
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Il coefficiente fenolico rappresenta il rapporto tra la più alta diluizione del disinfettante in grado di uccidere la coltura
del germe test in 10 minuti ma non in 5 e la più alta diluizione del fenolo con identico risultato.
Man mano che si aumenta di diluizione del disinfettante diminuisce la sua capacità battericida. È quindi necessario
aumentare il tempo di contatto.
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-Test di capacità
Il test di capacità serve per la valutazione della capacità di conservare il potere battericida anche in seguito a
inquinamenti microbici successivi. Quello più diffuso in Europa è quello di Kelsey-Slykes (1965), successivamente
modificato.
-Carrier test
Il carrier test è la valutazione dell’efficacia disinfettante di prodotti chimici usati per la disinfezione di strumenti o altri
oggetti. Contaminazione artificiale di carrier (pezzi di metallo, teflon, cilindri di acciaio inossidabile, porcellana ecc.) con
una sospensione di microrganismi e successiva immersione nel disinfettante alla concentrazione d’uso.
Sono inclusi nei test in vitro in quanto i carrier non corrispondono a oggetti reali e le prove vengono condotte in
condizioni di laboratorio standardizzate.
o 2° livello della valutazione
Practical test
I practical test permettono di verificare se la diluizione proposta per l’uso è adeguata per le condizioni reali.
I test sono condotti simulando, in laboratorio, le condizioni reali, per cui sono utili nella valutazione su strumenti,
superfici, feci, escreati, acque.
Test in-use
I test in-use servono per la valutazione del potere disinfettante di un composto chimico nelle reali condizioni d’uso, sul
campo. Quello di Kelsey e Maurer è basato sul principio che il recipiente contenente la soluzione disinfettante alla
concentrazione d’uso non deve mai consentire la presenza di batteri vivi. Il potere battericida deve essere sufficiente a
neutralizzare le contaminazioni batteriche successive.
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IGIENE E SICUREZZA SUL LAVORO
L’igiene del lavoro è la scienza che studia le condizioni di salute dei lavoratori nei luoghi di lavoro.
Le sue finalità principali sono:
promuovere e mantenere lo stato di salute dei lavoratori al massimo livello di efficienza possibile
mantenere le condizioni ambientali ad elevati livelli di salubrità
adattare l’ambiente di lavoro alle esigenze del lavoratore
L’ambiente di lavoro è caratterizzato da:
-fattori strutturali, che includono le caratteristiche ambientali ed i fattori connessi alla produzione
-fattori ultrastrutturali, che includono fattori immateriali connessi ai processi, alla tecnologie e all’organizzazione del
lavoro
Gli infortuni sul lavoro sono le conseguenze di incidenti occorsi per causa violenta in corso di lavoro.
L’infortunio si considera avvenuto in occasione di lavoro quando è derivato da un rischio specifico al quale è sottoposto
solo il lavoratore a causa dell’attività che svolge, oppure da un rischio aggravato generico, rischio al quale sono
sottoposti tutti, ma che viene aggravato dallo svolgimento dell’attività lavorativa.
Secondo l’INAIL (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro), negli ultimi anni, c’è stata una
diminuzione degli infortuni in occasione di lavoro in quanto c’è una maggiore attenzione nell’uso dei dispositivi di
protezione individuali (DPI), nelle procedure operative e nella sicurezza delle attrezzature.
Si intende per dispositivo di protezione individuale, “DPI”, qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta
dal lavoratore allo scopo di proteggerlo nonché ogni complemento o accessorio destinato a tale scopo.
I DPI infatti devono essere impiegati quando i rischi non possono essere evitati o sufficientemente ridotti da misure
tecniche di prevenzione, da mezzi di protezione collettiva, da misure, metodi o procedimenti di riorganizzazione del
lavoro.
La valutazione del rischio serve a stimare con quale probabilità i potenziali pericoli insiti nel processo produttivo oggetto
della valutazione possano determinare un danno ai lavoratori.
I rischi lavorativi possono essere suddivisi in 4 gruppi:
Primo gruppo = fattori ambientali (temperatura, ventilazione, umidità, rumore, pressione, illuminazione)
Secondo gruppo = fattori fisici, chimici o biologici specificamente connessi all’attività lavorativa
Terzo gruppo = lavoro fisico muscolare
Quarto gruppo = fattori che possono determinare un affaticamento psico-fisico (ergonomia, organizzazione, aspetti
sociali e psicologici)
La valutazione si articolare in 3 fasi:
1. Identificazione del rischio
Questa fase è finalizzata a valutare la possibilità per un certo fattore di determinare un effetto avverso.
La valutazione viene realizzata di preferenza prendendo in considerazione le dosi e le modalità di esposizione e la
correlazione con la tipologia, severità e prevalenza dell’effetto avverso.
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2. Quantificazione dell’esposizione
Questa fase mira a determinare la quantità di contaminante (dose) che gli individui e la popolazione riceveranno e viene
fatta prendendo atto dei risultati della valutazione dell’esposizione.
La quantificazione del rischio si avvale di 3 strumenti: l’analisi documentale, il sopralluogo e la rilevazione quantitativa
dell’esposizione.
Per quanto riguarda le rilevazioni quantitative dell’esposizione, è possibile ricorrere a metodologie standard codificate
da apposite norme tecniche riguardanti agenti fisici, chimici e biologici.
La disciplina che studia il nesso di causalità esistente tra l’esposizione a fattori di rischio lavorativo e l’insorgenza di
malattia è nota come epidemiologia occupazionale.
Tale disciplina ha fornito un notevole apporto alla conoscenza della relazione causa-effetto, contribuendo
all’identificazione di agenti cancerogeni, genotossici, fisici, allergizzanti e di fattori di rischio psico-sociali.
Inoltre ha consentito di affinare le capacità d’indagine nelle popolazioni esposte e di mettere in luce l’utilità dei
marcatori biologici di esposizione, di effetto, di malattia e di suscettibilità.
Attraverso un’attenta valutazione dei rischi e dei processi lavorativi è possibile cogliere gli elementi fondamentali per
costruire il Documento di Valutazione dei Rischi (DVR).
Il DVR deve contenere le seguenti informazioni:
a) una relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l’attività lavorativa, con specificati i
criteri adottati per la valutazione
b) descrizione delle metodologie operative, degli accorgimenti tecnici, delle procedure di sistema che, una volta
attuate, dovrebbero portare ad un grado di sicurezza accettabile
c) analisi e valutazione dei rischi residui comunque presenti anche dopo l’attuazione di quanto previsto per il
raggiungimento di un grado di sicurezza accettabile
d) l’indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate e dei DPI adottati
e) il programma delle misure ritenute necessarie per garantire il miglioramento nel tempo
f) l’individuazione delle procedure per l’attuazione delle misure da realizzare
g) l’identificazione dei DPI necessari a garantire un grado di sicurezza accettabile
h) i ruoli dell’organizzazione aziendale che vi deve provvedere, a cui devono essere assegnati unicamente soggetti in
possesso di adeguate competenze e poteri
i) l’individuazione delle mansioni che eventualmente espongono i lavoratori a rischi specifici
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Norme legislative
D.P.R. 547 (1955) e D.P.R. 303 (1956) sono stati per anni, fino al D.Lgs. 81/08, i fondamenti inerenti rispettivamente la
prevenzione degli infortuni e l'igiene del lavoro.
Il D.Lgs 81/08, TESTO UNICO SULLA SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO, definisce la prevenzione come il complesso delle
disposizioni e/o delle misure necessarie per evitare o diminuire i rischi professionali, nel rispetto della salute, della
popolazione e dell’integrità dell’ambiente esterno.
Il fine è dunque quello di prevenire l’insorgenza delle patologie correlate al lavoro mediante l’attuazione di misure di tipo
pro-attivo, finalizzate a riconoscere i potenziali pericoli correlati allo svolgimento dell’attività lavorativa e le situazioni
che possono esporre il lavoratore ad uno o più pericoli.
Nel testo,
il Titolo I riguarda:
- Campo di applicazione il sistema istituzionale
- Gestione della prevenzione nei luoghi di lavoro
- Valutazione dei rischi
- Servizio di prevenzione e protezione
- Sorveglianza sanitaria e gestione delle emergenze
- Partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza e la documentazione tecnico amministrativa
- Statistiche degli infortuni e delle malattie professionali
I Titoli II e III disciplinano:
- Luoghi di lavoro
- Attrezzature di lavoro, DPI (dispositivi di protezione individuale) e DPC (dispositivi di protezione collettiva)
- Impianti e apparecchiature elettriche
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c) le attrezzature di protezione individuale delle forze armate, delle forze di polizia e del personale del servizio per il
mantenimento dell’ordine pubblico
d) le attrezzature di protezione individuale proprie dei mezzi di trasporto
e) i materiali sportivi quando utilizzati a fini specificamente sportivi e non per attività lavorative
f) i materiali per l’autodifesa o per la dissuasione;
d) gli apparecchi portatili per individuare e segnalare rischi e fattori nocivi (ad esempio il radiello non può essere
considerato un vero e proprio DPI)
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Costituzione
Art. 32 - La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce
cure gratuite agli indigenti.
Art. 35 - La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Promuove e favorisce gli accordi e le
organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro.
Art. 38 - Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e
all'assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita
in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria
Codice penale
Art. 437 ‐ Rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro
Art. 451 ‐ Omissione colposa di cautele o difese contro disastri od infortuni sul lavoro
Codice civile
Art. 2087 ‐ L'imprenditore e tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del
lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di
lavoro.
Statuto dei lavoratori
Art. 9 ‐ Tutela della salute e dell'integrità fisica: i lavoratori, mediante loro rappresentanze, hanno diritto di controllare
l'applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e di promuovere la ricerca,
l'elaborazione e l'attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica.
Il lavoratore è considerato il soggetto più titolato ad individuare le situazioni di rischio e suggerire gli accorgimenti atti a
individuare le misure antinfortunistiche.
Norme abrogate con D.Lgs 81/08
D.P.R. n. 547/55 - Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
D.P.R. n. 303/56 - Norme generali per l'igiene del lavoro.
D.P.R. n. 1124/65 -Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le
malattie professionali.
La Direttiva 2010/32/UE del Consiglio del 10 maggio 2010, grazie al D. Lgs del 19 febbraio 2014, n. 19 attua l’accordo
quadro, concluso da HOSPEEM e FSESP, in materia di prevenzione delle ferite da taglio o da punta nel settore
ospedaliero e sanitario.
Nelle valutazioni è necessario però ricordare che nel raggruppamento “carica batterica totale” rientra anche la normale
flora saprofita ambientale, normalmente innocua.
Analisi qualitativa
L’analisi qualitativa viene effettuata su
-aria
-superfici
-abbigliamento
Essa viene realizzata per controllare la colonizzazione microbica e la formazione di biofilm e per attuare, se necessaria,
piani di sanificazione. Sono attività di sanificazione quelle che riguardano il complesso di procedimenti e operazioni atti a
rendere sani determinati ambienti mediante l'attività di pulizia e/o di disinfezione e/o di disinfestazione ovvero
mediante il controllo e il miglioramento delle condizioni del microclima per quanto riguarda la temperatura, l'umidità e
la ventilazione ovvero per quanto riguarda l'illuminazione e il rumore.
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Monitoraggio
Il monitoraggio, cuore della metodologia dell’autocontrollo, corrisponde ad una sequenza pianificata di osservazioni o
misurazioni di un particolare parametro per valutare se un Punto di Controllo Critico è sotto controllo.
75
La valutazione delle piastre o del brodo di coltura permette di controllare la qualità dell’aria.
I campionamenti possono essere fatti anche sugli operatori, determinando la contaminazione microbica delle mani o
degli indumenti da lavoro.
Oltre ai parametri climatici, si valutano anche i parametri microclimatici.
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Per le misurazioni microclimatiche da effettuare in concomitanza ai rilievi microbiologici si può utilizzare:
• una centralina microclimatica in grado di rilevare i parametri fondamentali, ovvero:
-temperatura umida a ventilazione naturale
-temperatura umida a ventilazione forzata
-temperatura secca a ventilazione forzata
-temperatura globotermometrica
-velocita dell’aria
• una sonda termoigrometrica
Il fatto che non siano controlli standardizzati è dovuto al fatto che non è possibile dare una stima certa della componente
microbica, si potrebbe infatti incorrere in sottostime o sovrastime.
Ciò è dovuto da:
> sovrapposizione di più colonie
> inibizione della crescita da parte di un microrganismo nei confronti di un altro
> possibilità di mascheramento da parte di microrganismi che producono colonie grandi nei confronti di altri produttori
di microcolonie
> oscuramento di microrganismi a crescita lenta da parte di altri a crescita rapida
> oscuramento di una colonia da parte di un’altra
Esistono quindi solo delle apposite tabelle statistiche nei manuali d’uso dei campionatori (Buone Pratiche di laboratorio
BPL) per delineare delle linee guida dettate dalla comunità scientifica nel controllo microbico.
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Valore limite biologico: il limite della concentrazione del relativo agente, di un suo metabolita, o di un indicatore di
effetto, nell’appropriato mezzo biologico
Sorveglianza sanitaria: la valutazione dello stato di salute del singolo lavoratore in funzione dell’esposizione ad
agenti chimici sul luogo di lavoro
Pericolo: la proprietà intrinseca di un agente chimico di poter produrre effetti nocivi
Rischio: la probabilità che si raggiunga il potenziale nocivo nelle condizioni di utilizzazione o esposizione
R=PxG
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Per l’analisi di rischio per la sicurezza:
L’individuazione è fatta secondo due parametri: magnitudo del danno associato al pericolo (D) e indice di probabilità che
si verifichi il danno (E) con cui si trova
Indice di rischio: R = 10(D-1) x 3.16 (E-1)
Indice di rischio chimico: IRC = log10(D-1) + log3.16 (E-1)
Nocivi: le sostanze ed i preparati che, in caso di inalazione, ingestione o assorbimento cutaneo, possono essere letali
oppure provocare lesioni acute o croniche
Il decreto del 1997 con la classificazione DSP è stato sostituito nel 2008 introducendo un nuovo regolamento CLP con
nuove iconografie e frasi di rischio. Il cambiamento è dovuto alla necessità di globalizzazione (Global Harmonized
System, GHS), per cui la pericolosità di determinate sostanze viene riconosciuta in modo uguale in tutto il mondo.
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Alcune frasi di rischio però non trovano corrispondenza nel sistema GHS ma sono state comunque inglobate nel CLP per
mantenere il livello di protezione più elevato già esistente.
Agenti cancerogeni
La valutazione della potenziale cancerogenicità di un agente è determinata tramite:
Studi epidemiologici
Studi che indagano su popolazioni esposte in confronto con gruppi di controllo sicuramente non esposti.
Studi sperimentali o tossicologici
Studi effettuati su animali da laboratorio, con metodiche molto diverse, che hanno comunque come risultato una
osservazione di casi di tumore su un gruppo di cavie esposte ad un determinato agente in confronto con un gruppo di
cavie dello stesso tipo non esposte.
La valutazione del rischio correla dati epidemiologici di vari sistemi, quali IARC, NIOSH, EPA, ACGIH, per cui sarebbe
necessario realizzarne un sistema unico di raccolta.
o Classificazione europea EU
La classificazione europea prevista nella direttiva 93/21/CEE prevede la distinzione in 3 categorie (di 841 sostanze):
1° categoria = sostanze note per gli effetti sull’uomo (prove sufficienti)
2° categoria = sostanze che dovrebbero considerarsi cancerogene per l’uomo (adeguati studi sugli animali e altre
informazioni)
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3° categoria = sostanze da considerarsi con sospetto per i possibili effetti sull’uomo per le quali tuttavia le informazioni
disponibili sono insufficienti per procedere ad una valutazione soddisfacente
I preparati sono classificati cancerogeni se contengono
-agenti cancerogeni di categoria 1 e 2 in concentrazione >0,1 % e >0,2%, rispettivamente
-agenti cancerogeni di categoria 3 in concentrazione >1%
Questa classificazione sottostà a frequenti revisioni, ad esempio nel 2006 la formaldeide è stata introdotta tra gli agenti
nocivi.
o Classificazione IARC (Associazione internazionale ricerca per il cancro)
La Classificazione IARC invece ha distinto le sostanze in:
Gruppo 1: cancerogeno accertato
Gruppo 2A: probabile cancerogeno
Gruppo 2B: possibile cancerogeno
Gruppo 3: non classificabile come cancerogena
Gruppo 4: probabile non carcinogeno
Nel 2013 l'agenzia internazionale OMS ha riconosciuto l'inquinamento atmosferico cancerogeno per l'uomo. La IARC ha
reso nota la decisione di includere l’inquinamento, ed in particolare il particolato atmosferico, nel gruppo 1, ovvero nel
gruppo di sostanze ed agenti per i quali esiste una evidenza sufficiente di cancerogenicità per l’uomo.
o Classificazione ACGIH
La classificazione ACGIH distingue in:
Categoria A1= carcinogeno riconosciuto
Categoria A2= carcinogeno sospetto
Categoria A3= carcinogeno riconosciuto con rilevanza non nota
Categoria A4= non classificabile come carcinogeno
Categoria A5= non sospetto come carcinogeno
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IGIENE DELL’ALIMENTAZIONE E DEGLI ALIMENTI
L’igiene dell’alimentazione riguarda l’apporto nutrizionale di un alimento nell’organismo.
L’igiene degli alimenti invece riguarda l’aspetto igienico-sanitario degli alimenti (conservazione, aggiunta di additivi, etc),
considerando i pericoli biologici, chimici e fisici di possibile derivazione, quali infezioni tossicoinfezioni e intossicazioni
alimentari. È necessaria quindi una conseguente alfabetizzazione sanitaria, ovvero accedere, comprendere, valutare e
utilizzare informazioni sanitarie per migliorare il proprio stato di salute.
Ad esempio si è parlato molto dei prodotti a manipolazione genetica OGM, ma non ci sono ancora dati epidemiologici
sufficienti per valutarne la sicurezza.
Si è quindi deciso che l’obbligo di etichettatura “prodotti contenenti OGM” si applica ad alimenti che ne contengono una
quantità maggiore allo 0,9%. Inoltre, in Italia non sono ammessi OGM né viene tollerata la presenza di OGM, neanche in
tracce, negli alimenti destinati all’infanzia.
L’etichettatura pur non rappresentando in sé un requisito di sicurezza ha lo scopo di trasferire al consumatore della
responsabilità sulla scelta commerciale.
Prodotti
Il Ministero della Salute Dipartimento sanità pubblica veterinaria, sicurezza alimentare e gli organi collegiali per la tutela
della salute direzione generale igiene e sicurezza degli alimenti e della nutrizione hanno dettato delle linee guida per
quanto riguarda i prodotti probiotici e prebiotici (maggio 2013).
Probiotici
Il prodotto probiotico è riservato a quei microrganismi (batteri e/o lieviti, come Saccaromyces cerevisiae, Streptpcoccus
thermophilus e Lactobacillus bulgaricus) che si dimostrano in grado, una volta ingeriti in adeguate quantità, di esercitare
funzioni benefiche nell’organismo, ovvero riequilibrare la flora microbica.
Si intendono quegli alimenti che contengono, in numero sufficientemente elevato microrganismi probiotici vivi e attivi, in
grado di raggiungere l’intestino, moltiplicarsi ed esercitare un'azione di equilibrio sulla microflora intestinale mediante
colonizzazione diretta.
Si tratta quindi di alimenti in grado di promuovere e migliorare le funzioni di equilibrio fisiologico dell'organismo
attraverso un insieme di effetti aggiuntivi rispetto alle normali attività nutrizionali.
Prebiotici
Il prodotto prebiotico è riservato alle sostanze non digeribili (non vitali) di origine alimentare, che assunte in quantità
adeguata, favoriscono selettivamente la crescita e l’attività di uno o più batteri già presenti nel tratto intestinale o
assunti insieme al prebiotico.
Con alimenti/integratori con prebiotici ci si riferisce a quegli alimenti che contengono in quantità adeguata, molecole
prebiotiche in grado di promuovere lo sviluppo di gruppi batterici utili all'uomo.
Esempi di alimenti prebiotici sono:
-inulina (polimero β-D-fruttosio solubile in H2O)
-fibre idrosolubili non gelificanti (polisaccaridi non amidacei e oligo fruttosaccaridi “ FOS”)
-carboidrati non digeribili (frutto e galatto oligosaccaridi)
Simbiotici
Un alimento/integratore con simbiotico è costituito dall'associazione di un alimento con probiotico con alimenti con
prebiotici.
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Disturbi del comportamento alimentare
Anoressia
Bulimia
Ortoressia
Bigoressia o Vigoressia
Disturbo da alimentazione notturna
Obesità
Pica o allotriofagia
Potomania liquidi in particolare acqua
Iperfagia
Rischio alimentare
Il rischio alimentare è valutato grazie a diversi enti che si sono evoluti negli anni:
Codex Alimentarius
Il Codex Alimentarius è un codice internazionale raccomandato di pratiche generali e principi di igiene alimentari.
È un programma creato nel 1963 da FAO e OMS per sviluppare standard e linee guida per proteggere la salute dei
consumatori.
HACCP
Il sistema HACCP riguarda l’identificazione dei punti critici di controllo nel rischio igienico-sanitario. Il sistema mira alla
prevenzione e alla minimizzazione dei rischi per la sicurezza nei processi di preparazione degli alimenti.
I principi dell’ HACCP si prefiggono di:
1. Identificare i pericoli
2. Identificare i punti di controllo critici
3. Stabilire i limiti critici
4. Stabilire le procedure di monitoraggio
5. Stabilire le azioni correttive
6. Stabilire procedure di registrazione e documentazione
7. Stabilire le procedure di verifica
Ad esempio l’acqua minerale viene garantita dal ministero della salute e viene considerata un alimento che porta effetti
biologici positivi.
EFSA
L’ente EFSA, autorità europea per la sicurezza alimentare, si occupa delle denunce da rischio alimentare, per prevenire e
controllare la salute.
Ad esempio negli ultimi anni ci sono state delle problematiche trattate dall’EFSA:
-bisfenolo A (BPA)
Il bisfenolo A è usato nella produzione di materiali a contatto con gli alimenti, come la plastica per stoviglie riutilizzabili e
i rivestimenti interni, in genere protettivi, per lattine.
L’EFSA ha consigliato di ridurre considerevolmente il livello di sicurezza del BPA da 50 microgrammi per kg di peso
corporeo al giorno (µg/kg di pc/giorno) a 4 µg/kg di pc/giorno.
NACCP
Il sistema NACCP riguarda l’identificazione dei punti critici di controllo nel rischio di perdita di nutrienti.
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- contaminazione quaternaria, si verifica in fase di consumo degli alimenti e nella fase di allestimento ed esposizione
degli alimenti cucinati
- contaminazione crociata contatto tra alimenti diversi tra loro oppure tra alimenti e superfici contaminate con cui
vengono a contatto
Tossinfezioni alimentari
Le tossinfezioni alimentari individuano un gruppo di sindromi ben distinte dalle infezioni veicolate da alimenti.
Esse infatti sono caratterizzate dalla specificità epidemiologica di essere causate soltanto da particolari batteri e di essere
veicolate solo da particolari alimenti al cui interno si è avuta un’intensa moltiplicazione batterica.
Le tossinfezioni alimentari differiscono dalle infezioni veicolate da alimenti per delle caratteristiche:
-sono causate da particolari batteri
-sono necessarie elevate cariche batteriche, oltre i 10.000 batteri per grammo
-non hanno altre modalità di trasmissione, con l’eccezione delle salmonelle che possono essere trasmesse per contagio
diretto
-solo particolari alimenti costituiscono il substrato adatto alla loro attiva moltiplicazione
-hanno periodi di incubazione brevi
-la sintomatologia è a carico dell’apparato gastroenterico
-insorgono bruscamente e si manifestano il forma epidemica
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Tossinfezioni vere
Danno causato sia dalla tossina preformata nell’alimento che dall’azione diretta del microrganismo ingerito con esso (B.
cereus / C. perfringens).
La dose infettante rappresenta il numero di cellule microrganismi/ grammo o millilitro di alimento in grado di scatenare
la malattia.
La dose infettante è diversa a seconda
-del microrganismo patogeno
-del soggetto (stato immunitario, patologie, età, gravidanza…)
PATOGENI EMERGENTI
Campylobacter jejuni
Escherichia coli O157:H7
Listeria monocytogenes (identificata nei formaggi)
Yersinia enterocolitica
Vibrio parahaemolyticus
Tasso di attacco
Il tasso di attacco rappresenta un focolaio di malattia con una sorgente comune, originatosi da un'unica esposizione (es.
malattie neonatali, avvelenamenti, esposizione a radiazioni, somministrazione di un alimento contaminato da patogeni,
etc).
È tipico nelle tossinfezioni alimentari (incidenza cumulativa) ed ha un’esposizione di breve durata e in popolazioni chiuse.
Per tasso di attacco primario (caso-indice), si intende il primo soggetto (o i primi soggetti) della popolazione che si
ammala della malattia trasmissibile in questione; mentre il tasso di attacco secondario si applica esclusivamente alle
malattie trasmissibili, ed indica la proporzione dei casi (detti casi secondari) che si sviluppano per contatto con uno o più
casi primari entro un tempo corrispondente al periodo di incubazione della malattia.
Con l’esaurimento del focolaio, non vengono più osservati nuovi casi derivanti da quella esposizione, anche se il periodo
di osservazione viene prolungato indefinitamente.
I casi terziari però sono quelli che si sviluppano oltre il periodo di incubazione e derivano dal contatto con i casi
secondari.
Conservazione alimenti
Gli alimenti di origine animali, specialmente le carni, il latte, i latticini freschi e le uova, possono essere contaminati alla
produzione da microbi primariamente patogeni degli animali e trasmissibili all’uomo.
La contaminazione però può avvenire anche successivamente, nel corso della catena di distribuzione e durante la
preparazione per il consumo (prima o dopo la cottura).
L’applicazione sistematica dell’autocontrollo lungo tutta la filiera della produzione e della distribuzione secondo le
procedure HACCP da però sufficienti garanzie di salubrità degli alimenti.
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La necessità di conservare in modo idoneo gli alimenti risponde non solo allo scopo di preservarli dalla contaminazione
con microbi patogeni e con sostanze nocive, ma anche allo scopo di mantenere inalterate le caratteristiche nutritive ed
organolettiche (sapore, odore, colore, consistenza).
Le alterazioni sono causate dall’azione di enzimi propri dell’alimento, ma anche, e soprattutto, dall’azione di
microrganismi come batteri, lieviti e muffe di provenienza ambientale.
Gli attuali metodi di conservazione hanno l’effetto di inattivare sia gli enzimi propri dei diversi alimenti sia i
microrganismi contaminanti. Questi metodi si distinguono in fisici, chimici e biologici.
I mezzi fisici sono rappresentati essenzialmente dalla disidratazione, dal calore, dal freddo, dall’irradiazione con raggi γ,
dalla microonde.
I mezzi chimici sono costituiti sia da sostanze tradizionali, come l’aceto, il sale, lo zucchero, l’alcool, etc, sia dagli additivi.
I mezzi biologici fanno ricorso all’azione di particolari microrganismi che trasformano l’alimento in modo tale da non
andare incontro ad ulteriori alterazioni, tramite fermentazioni.
Mezzi fisici
• Disidratazione
L’effetto conservante della disidratazione dipende dalla sottrazione di acqua libera, con conseguente blocco della
moltiplicazione microbica e dell’azione degli enzimi.
In ambito industriale, la disidratazione si ottiene mediante esposizione a temperature intorno ai 70°C in appositi forni.
Alcuni alimenti, come il latte e le uova, vengono ridotti in polvere nebulizzandoli in correnti di aria calda. In questi casi,
alla disidratazione si aggiunge l’effetto del calore, che riduce la carica microbica iniziale.
Un procedimento di disidratazione applicabile sua a liquidi sia a solidi, ma di piccole dimensioni, è la liofilizzazione. Essa è
basata sul congelamento e la successiva disidratazione sotto vuoto per sublimazione (evaporazione dell’acqua
ghiacciata). Questo procedimento rispetta le caratteristiche organolettiche e nutritive.
• Calore
Il calore, applicato a vari tipi di alimenti animali e vegetali, con temperature e tempi opportuni, è un mezzo efficace per
uccidere i microbi patogeni e per ridurre drasticamente o eliminare del tutto anche i saprofiti.
Proprio perché privi di microrganismi, questi alimenti (es. prodotti in scatola o in bottiglia) possono essere conservati a
temperatura ambiente molto oltre la data di scadenza, purché non venga aperto il contenitore.
• Raffreddamento
Refrigerazione (nel frigo)
Nella refrigerazione la temperatura è mantenuta poco al di sopra di 0°C, impendendo la moltiplicazione della maggior
parte dei microrganismi patogeni (mesofili e termofili), anche se alcuni saprofiti e psicrofili possono continuare a
moltiplicarsi, anche se lentamente.
Proprio per questo il sistema di conservazione è a breve scadenza (da pochi giorni a qualche settimana).
Congelamento
Alle temperature di congelamento (inferiori a -18°C) non si ha moltiplicazione microbica, anche se certi processi
enzimatici possono continuare lentamente a svolgersi.
I tempi di conservazione risultano allungati grazie a:
-trasformazione dell’acqua libera in ghiaccio non più utilizzabile dai microrganismi
-formazione grossi cristalli di ghiaccio che alterano le strutture cellulari microbiche ma anche dell’alimento, con perdita
di requisiti qualitativi
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Il congelamento mantiene praticamente inalterate le caratteristiche organolettiche e le proprietà nutritive senza bisogno
di aggiunta di sostanze conservanti.
Esso però non è applicabile ad alimenti come la frutta, che vanno incontro ad alterazioni a causa della rottura delle
cellule e del mescolamento di alcune sostanze provocati dalla formazione di cristalli di ghiaccio.
Surgelamento
Il surgelamento avviene in tempo breve e porta l’alimento da temperatura ambiente a temperature inferiori a -18°C.
L’acqua infatti quando cristallizza nel surgelamento provoca la formazione di piccoli cristalli (acqua microcristallizzata),
che quindi evitano di ledere le cellule dei prodotti alimentari.
Dopo lo scongelamento, i surgelati hanno le stesse caratteristiche che avevano al momento in cui sono stati sottoposti al
processo di raffreddamento rapido.
Il congelamento e il surgelamento bloccano la moltiplicazione dei microrganismi, ma non li uccidono. Pertanto gli
alimenti surgelati o congelati devono essere consumati subito dopo lo scongelamento per evitarne ogni alterazione.
L’importanza di questa procedura è anche supportata dal Decreto Legislativo n.110 del 27/1/92, che riguarda la
produzione, la distribuzione e la vendita degli alimenti surgelati destinati all’alimentazione umana.
• Radiazioni ionizzanti
Le radiazioni ionizzanti, a dosi opportune, esplicano un’azione lesiva sul DNA delle cellule, tale da impedirne la
moltiplicazione. A seconda delle dosi, possono consentire o la sola distruzione dei patogeni o la sterilizzazione
dell’alimento.
In Italia l’uso delle radiazioni a tali scopi è proibito, è consentito soltanto l’uso dei raggi γ per impedire la germinazione di
ortaggi.
• Microonde
Gli alimenti esposti alle microonde subiscono un rapido riscaldamento, che dalla parte interna si propaga a tutta la
massa e provoca la morte dei microrganismi presenti e l’inattivazione degli enzimi.
Con l’azione del calore delle microonde quindi si possono ottenere alimenti sterilizzati ed a lunga conservazione.
Mezzi biologici
Fermentazione
La fermentazione blocca l’attività di alcuni microrganismi, che non riescono a lavorare in condizione anaerobie, e quindi
aiuta nel mantenimento di alimenti.
-aggiunta di additivi (nitrati, nitriti)
Nitrati e nitriti, dosati secondo le normative, permettono il mantenimento di condizioni non patogene.
-aggiunta di sale o zucchero
Le forti concentrazioni saline o zuccherine tolgono l’acqua, elemento fondamentale per la crescita dei microrganismi.
-tecniche di filtrazione di membrana
Ad esempio il latte viene filtrato, in modo da togliere la flora microbica, per aumentarne la conservabilità.
Prodotti di gamma
I prodotti di prima gamma sono i prodotti freschi o deperibili che non hanno subito nessun trattamento di conservazione
(ortofrutta, prodotti ittici, carne, etc).
I prodotti di seconda gamma sono prodotti in scatola e conserve, che hanno subito trattamenti di conservazione
(sterilizzazione e pastorizzazione).
I prodotti di terza gamma sono alimenti congelati e surgelati.
I prodotti di quarta gamma sono prodotti di pronto consumo. sono inclusi tutti quei prodotti freschi, lavati e tagliati,
crudi e cotti, confezionati in atmosfera controllata o modificata (es. antipasti, insalate in busta).
I prodotti di quinta gamma sono prodotti pre-cotti o pre-cucinati, che oltre ad essere già stati puliti e mondati, sono già
cucinati e conservati sottovuoto con una conservabilità di 1-3 settimane a 0-3 °c pronti da rigenerare e servire (es.
lasagne, pizze pronte, minestre in busta)
I prodotti di sesta gamma sono i prodotti liofilizzati.
Mezzi chimici
Conservanti chimici
-sale
-zucchero
-aceto
-olio
-alcol etilico o etanolo
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Additivi alimentari
Gli additivi alimentari sono sostanze che abitualmente non sono consumate in quanto tali come alimenti, ma sono
intenzionalmente aggiunte ad alimenti per uno scopo tecnico.
Determinati ingredienti o altre sostanze, additivi o prodotti (quali i coadiuvanti tecnologici), quando sono utilizzati nella
produzione di alimenti e vi permangono, possono provocare allergie o intolleranze (es. anidride solforosa). È importante
fornire informazioni in modo da consentire ai consumatori, in particolare quelli che soffrono di allergie o intolleranze
alimentari, di effettuare scelte consapevoli per la loro sicurezza.
Alimenti contenenti aspartame/sale di aspartame-acesulfame devono comprendere, oltre all’etichettatura, una o più
indicazioni complementari.
Il regolamento del 2011 considera le definizioni di additivo alimentare e li descrive in 26 categorie (coloranti, edulcoranti,
antiossidanti, agenti di carica, gas di imballaggio, etc).
Per additivo alimentare s’intende qualsiasi sostanza abitualmente non consumata come alimento in sé e non utilizzata
come ingrediente caratteristico di alimenti, con o senza valore nutritivo.
L’additivo alimentare serve alla conservazione degli alimenti evitando la crescita di organismi patogeni.
L’inserimento di additivi deve essere evitato invece nell’acqua.
FRODI ALIMENTARI
Le frodi si distinguono in:
▪ Frode commerciale
La frode commerciale consiste nell’informazione sbagliata delle proprietà nutrizionali di alcuni prodotti alimentari,
ovvero, in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all'acquirente di una cosa mobile per un'altra, per origine,
provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita.
In questo caso non vi è alterazione della qualità dell’alimento tale da renderlo nocivo, ma un illecito profitto a danno del
consumatore per differenti dichiarazioni circa la quantità o la provenienza.
▪ Frode sanitaria
La frode sanitaria comprende casi di avvelenamento, adulterazione, contraffazione di sostanze alimentari in modo
pericoloso per la salute pubblica. Il reato si configura anche per il solo fatto di esporre (porre in commercio) sostanze
pericolose, pur se non sono state ancora vendute, oppure anche se si tratta di distribuzione gratuita.
Le pene sono aumentate in caso di contraffazione o adulterazione di sostanze medicinali.
Il codice penale si occupa sia delle frodi commerciali che di quelle sanitarie.
Adulterazione
Adulterare significa modificare la composizione naturale dell’alimento sottraendo ad esso elementi utili o aggiungendo
materia di qualità inferiore.
Un esempio è l’inserimento di metanolo o di zucchero all’interno del vino per aumentarne la gradazione (frode sanitaria)
o la vendita di latte scremato per latte intero per sottrazione e/o aggiunta di acqua.
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Contraffazione
La contraffazione consiste nel dare l’apparenza ingannevole della genuinità ad una cosa che è composta da sostanze, in
tutto o in parte, diverse per qualità e quantità da quelle che normalmente concorrono a formarla.
Ad esempio mettendo nell’olio di semi il β-carotene il prodotto è stato venduto come olio di semi.
Sofisticazione
La sofisticazione consiste nell’aggiunta all’alimento di sostanze estranee alla sua composizione con lo scopo di
migliorarne l’aspetto o di coprirne difetti o di facilitare la parziale sostituzione di un alimento con un altro.
Un esempio è l’inserimento di anidride solforosa per far apparire la carne più rosea e più fresca.
Alterazione
L’alterazione consiste in modifiche delle caratteristiche chimico-fisiche e/o organolettiche di un alimento, dovute a
processi degenerativi spontanei, determinati da errate modalità di gestione o prolungata conservazione.
La pericolosità è definita come potenziale attitudine di una sostanza alimentare a cagionare un danno alla salute.
La nocività invece consiste nell’attitudine che ha una sostanza alimentare di creare un danno alla salute di chi la
consuma nelle condizioni in cui in quel momento si trova.
I NAS (Nuclei Antisofisticazioni e Sanità dell'Arma) è un ente del ministero della difesa che controlla le frodi.
89
IGIENE DELL’AMBIENTE
Secondo l’OMS, l’ambiente, in relazione alla salute umana, può essere definito come “l’insieme di tutti i fattori fisici,
chimici e biologici esterni all’individuo e di tutti i comportamenti correlati”.
L’OMS ha valutato, attraverso una revisione approfondita degli studi e dei dati epidemiologici attualmente esistenti, il
peso dei fattori ambientali sulle morti e sulle malattie. In base a questa valutazione è stato stimato che il 24% del carico
globale di malattia (DALYs) ed il 23% di tutte le morti premature possono essere attribuiti a fattori ambientali.
Condizioni di temperatura, umidità, velocità, temperatura radiante e pressioni devono essere controllati per valutare
l’inquinamento.
L’aria atmosferica contiene vapore acquo derivante dall’evaporazione del mare, dei laghi, dei fiumi e del suolo, che viene
continuamente indicato come umidità dell’aria.
La densità dell’aria misurata come pressione atmosferica diminuisce allontanandosi dalla superficie terrestre; a livello del
mare è di 760 mm di mercurio, a 1000 m di altezza, mediamente, la pressione è di 670 mm di Hg.
Questo ha importanza oltre che per il determinarsi di eventi metereologici anche per gli effetti della diluizione dei
contaminanti. Ogni gasi infatti libero di espandersi tende a muoversi da zone di alta pressione a zone di bassa pressione.
Via via che diminuisce la pressione dal livello del mare verso gli strati superiori, diminuisce la temperatura, mediante di
0,98°C per ogni 100 m.
In condizioni di forte irraggiamento solare, la superficie terrestre subisce un forte riscaldamento ed, a sua volta, riscalda
intensamente per conduzione-convezione gli strati di aria che sono in contatto: quest’aria scaldandosi diviene meno
densa e quindi sale più rapidamente generando valori di gradiente termico superiori alla media.
All’opposto si possono realizzare fenomeni di inversione termica, condizioni cioè in cui la temperatura dell’aria a livello
del suolo è minore di quella a una certa quota. Questo può avvenire per perdita di calore da irraggiamento da parte della
90
superficie terrestre. In seguito all’abbassarsi della temperatura l’umidità dell’aria può condensarsi con formazione di
nebbia.
Temperatura, pressione e rotazione terrestre sono di grande importanza nel generare i venti. La velocità dei venti è
largamente influenzata dall’altitudine: a livello del suolo, l’attrito contro il terreno variamente irregolare diminuisce la
velocità dell’aria, mentre man mani che ci si allontana dal suolo tale effetto diminuisce e cresce quindi la velocità del
vento.
Per inquinamento atmosferico si intende ogni modificazione dell’aria atmosferica dovuta all’introduzione nella stessa di
una o più sostante in quantità e con caratteristiche tali da ledere o da costituire un pericolo per la salute umana o per la
qualità dell’ambiente oppure tali da ledere i beni materiali o compromettere gli usi legittimi dell’ambiente (Dlgs 3 aprile
2006, n. 152).
La IARC ha reso nota la decisione di includere l’inquinamento, ed in particolare il particolato atmosferico, nel gruppo 1,
ovvero nel gruppo di sostanze ed agenti per i quali esiste una evidenza sufficiente di cancerogenicità per l’uomo.
Oltretutto la normativa n.155 del 2010 è stata aggiornata dal 2006 con l’attuazione della direttiva relativa alla qualità
dell’aria-vegetazione e per un’aria più pulita in Europa. Essa ha determinato dei parametri da rispettare e degli obiettivi a
lungo termine per una maggiore protezione della salute umana e della vegetazione.
L’inquinante è qualsiasi sostanza presente nell'aria ambiente che può avere effetti dannosi sulla salute umana o
sull'ambiente nel suo complesso.
Le sostanze inquinanti possono essere distinte in:
primarie, immesse come tali in atmosfera
secondarie, derivanti da reazioni chimiche che avvengono nell’atmosfera stessa
Oltretutto le sostanze inquinanti dell’aria possono essere classificate in base alla loro natura chimica in organiche ed
inorganiche, ed in base al loro stato fisico in
-gas
-vapori
-aerosol
L’aerosol è una dispersione di sostanze liquide o solite in forma finemente suddivise nell’aria.
L’aerosol può avere diverse componenti che si dividono in funzione del diametro:
>fumi (fase liquida e solida) 0,01 – 50 µm
>polveri (fase solida) 0,01 – 400 µm
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>nebbie (fase liquida e aria) 0,1 – 50 µm
>smog (polveri sospese e nebbia)
>gas e vapori
Così divise, è permessa anche una classificazione della loro pericolosità: minore è il diametro, maggiore è
-la probabilità di inalarle
La parti più sensibili del tratto respiratorio sono infatti raggiunte dalle particelle con diametro minore, come i bronchi e
gli alveoli.
-maggiore è lo sviluppo superficiale
Ad esempio una particella di 0,001 μm ha una superficie totale di 6 x 1015.
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Classificazione
o Contaminanti fisici
-radiazioni ionizzanti (raggi X, raggi γ)
-radiazioni non ionizzanti (UV, infrarosse, luminose)
-microonde e radiofrequenze
o Contaminanti chimici
La normativa per il controllo atmosferico prevede il controllo di pochi parametri:
-gassosi SO2, SO3, NOx, COx Idrocarburi, O3, Radon, Aldeidi
-liquidi benzolo e derivati, cloro e derivati pesticidi
-corpuscolati aerosols (fumi, nebbie, materiale da esalazione polveri sospese), polveri sedimentabili
Ossidi di carbonio (CO2 e CO)
Secondo la normativa l’anidride carbonica non viene ricercata come parametro chimico outdoor. L’anidride carbonica
infatti viene considerato un valore tossico indoor ma non outdoor.
L’anidride carbonica però agisce come “gas serra”, contribuendo a trattenere le radiazioni solari. È ritenuta quindi
responsabile del progressivo innalzamento della temperatura media annuale a livello mondiale.
Il monossido di carbonio invece è un prodotto di combustione incompleta. Esso ha un’elevata tossicità acuta dovuta al
legame che contrae con l’emoglobina, per la quale ha un’affinità molto maggiore dell’ossigeno, formando
carbossiemoglobina.
In tal modo è impedito il trasporto dell’ossigeno ai vari distretti dell’organismo, con effetti più o meno gravi.
Il monossido ha un media massima giornaliera di 10 mg/m3 su 8 ore. 8 ore sono necessarie per raggiungere l’equilibrio
tra CO, aria e carbossiemoglobina.
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➢ PM2.5
È una polvere toracica con diametro < 2.5 μm, in grado di penetrare nel tratto tracheobronchiale (trachea, bronchi,
bronchioli).
➢ PM0.1
È un particolato ultrafine con diametro < 0.1 μm, in grado di penetrare profondamente nei polmoni fino agli alveoli.
Il PM è quindi in grado di alterare i meccanismi di difesa dell’apparato respiratorio provocando asma, tosse,
ipersecrezione bronchiale, bronchiti croniche.
Oltretutto uno studio epidemiologico ha evidenziato una stretta correlazione tra quantità di particolato nell’aria e
insorgenza di tumore del polmone anche per livelli al di sotto dei limiti fissati come accettabili dall’Unione Europea (40
μg/m3 per le PM 10 e 25 per le PM 2.5). Ogni aumento delle PM 2.5 di 5μg aumenta il rischio di tumore del polmone del
18% e un aumento delle PM 10 di 10 μg lo aumenta del 22%.
Allo stato attuale delle conoscenze, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, non è possibile fissare un valore
soglia di esposizione al PM al di sotto della quale certamente non si verificano nella popolazione degli effetti avversi sulla
salute; per questo motivo, vengono fornite delle "funzioni di rischio" per i diversi effetti sulla salute che quantificano
l’eccesso di effetto avverso per la salute che ci si deve aspettare per ogni incremento unitario delle concentrazioni di
PM10 o di PM2,5.
Ozono (O3)
Per azione delle radiazioni solari il biossido di azoto si scompone in monossido e ossigeno atomico; questo reagisce con
l’ossigeno molecolare dell’aria e da origine ad ozono.
Gli idrocarburi, reagendo con l’ossigeno atomico in presenza di umidità atmosferica, danno luogo a radicali fortemente
reattivi, dotati di notevole potere irritativo.
A seguito di esposizioni anche brevi ad atmosfere con elevate concentrazioni di sostanze ossidanti, si presentano disturbi
vari.
L’ozono oltretutto svolge un ruolo importante come filtro delle radiazioni ultraviolette. La sua diminuzione è causata,
oltre che da un eccessivo apporto di ossidi di azoto, dalla presenza di clorofluorocarburi (bombolette spray).
Il pericolo maggiore legato a un impoverimento dello strato di ozono potrebbe indurre un aumento di tumori cutanei,
strettamente correlati all'esposizione alla luce solare e ultravioletta.
Metalli pesanti
Metalli pesanti possono essere immessi nell’atmosfera assieme al particolato.
Esso può trovarsi nelle emissioni delle fonderie ma può provenire anche dalla combustione del carbone fossile.
Oltretutto in passato veniva utilizzato nella preparazione di benzina (oggi si usa il benzene), ma rimane comunque un
agente inquinante in quanto la sua emivita nelle ossa è di alcuni anni.
Benzene
Deriva principalmente dagli scarichi degli autoveicoli, poiché è aggiunto alla benzina verde come antidetonante.
Esso è cancerogeno ed è responsabile di leucemia.
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Le concentrazioni rilevate nell’aria delle maggiori città sono spesso superiori a 10 μg/mc, stabilito come limite dalla
normativa vigente.
Inquinamento indoor
La qualità dell’aria indoor è un importante determinante di salute.
Secondo l’OMS, l’inquinamento indoor responsabile del 2,7% del carico globale di malattia nel mondo.
In Europa si stima che l’inquinamento indoor è responsabile
del 4,6% delle morti per tutte le cause
del 31% delle inabilità espresse in DALY nei bambini da 0 a 4 anni di età
del 13% dei casi di asma dei bambini europei (eccesso di umidità negli edifici)
L’accordo 27 settembre 2001 tra il Ministro della salute, le regioni e le province autonome sul documento concernente
“Linee guida per la tutela e la promozione della salute negli ambienti confinati” e il D.Lgs 81/2008 in materia di tutela
della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, permettono di designare un ambiente indoor sicuro tramite la
valutazione di diversi parametri.
In particolare il D.Lgs 81/2008 distingue tra agenti fisici e chimici causanti inquinamento.
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Ai fini del presente decreto legislativo per agenti fisici si intendono il rumore, gli ultrasuoni, gli infrasuoni, le vibrazioni
meccaniche, i campi elettromagnetici, le radiazioni ottiche, di origine artificiale, il microclima e le atmosfere iperbariche
che possono comportare rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori.
Il datore di lavoro deve quindi valutare tutti i rischi derivanti da esposizione ad agenti fisici in modo da identificare e
adottare le opportune misure di prevenzione e protezione con particolare riferimento alle norme di buona tecnica (UNI,
ISO) ed alle buone prassi.
La valutazione deve essere programmata ed effettuata, con cadenza almeno quadriennale, da personale qualificato
nell'ambito del servizio di prevenzione e protezione in possesso di specifiche conoscenze in materia.
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Indice di WBGT, per ambienti caldi
L’indice di WBGT è utilizzato per la determinazione dello stress termico a tutela delle persone che lavorano in ambienti in
cui si svolgono attività con produzione di calore.
L’indice è calcolato in base alla misurazione della temperatura con termometro a bulbo umido naturalmente ventilato e
con il globotermometro.
I valori limite di WBGT sono stabiliti in modo che la temperatura corporea interna di chi lavora in un determinato
ambiente non superi i 38°C.
Oltre alla valutazione degli indici, è necessario attraverso strumentazioni fare valutazioni per determinare i parametri
microclimatici.
Un aumento della CO2 rispetto alla condizione normale (0,003%), potrebbe infatti rappresentare la presenza di altre
sostanze che limitano la pressione parziale dell’ossigeno.
I primi segni di malessere si manifestano con concentrazioni di CO2 (0,01 %) molto inferiori a quelle patologiche (0,4-
0,5%). Proprio per questo nella costruzione degli ambienti domestici e lavorativi è necessario valutare il cubo d’aria
(quota di ventilazione).
Oltretutto viene realizzato un calcolo approssimativo del numero dei ricambi d’aria (R) in funzione:
delle persone (N)
del cubo d’aria individuale (C)
della cubatura dell’ambiente (Ca)
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Il gruppo di lavoro coordinato dall’Unione Europea (European Collaborative Action) ha indicato dei livelli di
inquinamento orientativi per la valutazione delle condizioni di inquinamento.
Nel campionamento attivo, soprattutto microbiologico e micetico, infatti, non esiste una normativa con limiti ben precisi
perché si avranno fenomeni di sottostima o sovrastima, dovuti a:
-indisponibilità di relazioni dose-risposta
-procedure standard di monitoraggio
-complessa composizione bioaerosol
-variabilità della risposta individuale
Sono disponibili quindi solo dei valori di riferimento espressi in unità formanti colonie per metro cubo di aria (CFU/m3).
100
IGIENE DELL’ACQUA
L’acqua è indispensabile alla vita.
Essa è una componente essenziale di tutti gli organismi ed è fondamentale per tutte le funzioni vitali a livello cellulare e
subcellulare.
L’H2O rappresenta in media circa il 60/70% del peso corporeo.
Essa deve essere introdotta giornalmente con una quantità intorno ai 2-2,5 l, anche se in parte il fabbisogno è coperto
dalla produzione di H2O metabolica. Ciò serve a compensare le perdite, in condizioni di riposo, realizzate dall’organismo.
L’acqua è anche una risorsa domestica e civile utilizzata per diverse funzioni.
La qualità dell’acqua per l’uso domestico e civile deve rispondere a requisiti igienico-sanitari adeguati al consumo
alimentare. Inoltre le caratteristiche qualitative ne debbono garantire l’usabilità per le diverse applicazioni.
101
Tanta è la problematica legata al consumo di acqua che è stata indetta una giornata mondiale dedicata all’acqua.
Nel 2015 dell’acqua potabile prodotta, circa il 38,2% è andata dispersa a causa di perdite da parte del sistema idrico.
Ciclo dell’acqua
Il ciclo globale dell’acqua è messo in moto dall’evaporazione dai laghi, dai fiumi, dai mari e dalla piante: il cambiamento
dello stato fisico da liquido a gassoso è tanto più intenso quanto più aumenta la temperatura.
Il vapore acqueo presente nell’aria tende poi a condensare quando la temperatura esterna diminuisce. Le goccioline di
acqua che si formano restano sospese sotto forma di nubi o nebbie o cadono come pioggia. L’acqua meteorica
comunque può contenere già inquinanti derivati da gas o particelle solide sciolte.
Le precipitazioni giungono al suolo e si infiltrano nel sottosuolo, formando le riserve sotterranee da cui risalgono alla
superficie alimentando le acque superficiali e le sorgenti.
Durante l’attraversamento dell’acqua, i componenti microbiologici vengono persi dall’azione filtrante del terreno,
arricchendosi invece di sali minerali, se il terreno ne è ricco.
Non tutte le falde sono autoprotette, per cui si possono verificare dei casi di inquinamento del terreno e dell’acqua, per
questo solitamente intorno alle falde viene costituito un sistema di protezione.
102
Normalmente le fonti utilizzate per l’approvvigionamento idrico a scopo potabile sono le acque sotterranee e quelle
superficiali, anche se, in situazioni particolari si aggiungono quelle meteoriche e quelle marine.
Le acque sotterranee si trovano sotto forma di falde idriche o di vene rocciose.
Le falde idriche sono formate dalle acque che si infiltrano nei terreni sedimentari che si arrestano al primo strato di
argilla che incontrano, a profondità maggiore o minore a seconda dei siti, ed imbibiscono il terreno formando la prima
falda, detta falda freatica o superficiale.
Attraverso discontinuità del primo strato impermeabile, l’acqua continua a percolare fino ad un nuovo strato
impermeabile, al di sopra del quale si stratifica di nuovo formando una seconda falda, detta falda profonda.
A seconda dei numero di strati permeabili ed impermeabili che si alternano, si possono avere più falde profonde in
successione.
Nel processo di percolazione attraverso gli strati permeabili l’acqua subisce un’autodepurazione dovuta a processi di
filtrazione e adsorbimento, concorrenza vitale, diluizione ed inattivazione dei microrganismi patogeni, uniti ad
adsorbimento, degradazione e complessazione dei contaminanti chimici.
Tali processi hanno tuttavia un’efficacia diversa a seconda della composizione e granulometria del terreno e della
profondità raggiunta.
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La possibilità di infiltrazione di sostanze e microrganismi dalla superficie del suolo rende le falde superficiali meno
protette dall’inquinamento. La qualità delle acque delle falde profonde infatti è abitualmente migliore, poiché esse
hanno attraversato più strati permeabili filtranti e sono protette dagli strati impermeabili sovrastanti.
Le vene rocciose sono formate da acque che, infiltrandosi nelle fessure dei terreni rocciosi e compatti, vi si accumulano e
circolano nel sottosuolo. Le caratteristiche di queste acque sono diverse a seconda delle rocce che le circondano.
Le rocce silicee sono poco solubili ed hanno fessure di ampiezza limitata, quindi le acque che vi circolano sono poco
mineralizzate, ben filtrate e di buona qualità igienica. In genere però hanno una portata meno abbondante delle vene
presenti nelle rocce calcaree.
Queste rocce infatti sono più solubili e le acque in genere risultano più mineralizzate. Se le fessure non sono riempite di
detriti e sabbia, la loro filtrazione è scarsa e la qualità igienica bassa.
Le acque sotterranee possono emergere spontaneamente come sorgenti, ma più spesso la captazione avviene mediante
pozzi e gallerie.
Le acque dolci superficiali si presentano in natura con una bassa concentrazione di Sali e sono considerate appropriate
per l’estrazione e il trattamento al fine di produrre acqua potabile. Sono costituite essenzialmente da fiumi, laghi e bacini
artificiali, che sono formati ed alimentati per lo più da acque che scorrono sul suolo e nello strato superficiale del
sottosuolo.
I fiumi sono caratterizzati da una composizione dell’acqua variabile. Tale variabilità è maggiore per i corsi d’acqua a
regime torrentizio e riguarda spesso la torbidità, dovuta al variare delle particelle sospese.
D’altra parte, grazie alla notevole velocità della loro corrente, i fiumi hanno un ricambio assai veloce. Per lo stesso
motivo, il loro risanamento può essere ottenuto in tempi brevi, dopo aver eliminato le fonti di inquinamento.
Oltre al ricambio idrico, nei fiumi si verificano fenomeni di autodepurazione dovuti alla sedimentazione delle particelle
sospese, alle reazioni chimiche di ossidazione e complessazione e alle azioni biochimiche che si svolgono diversamente
dal fondo alla superficie.
Nei sedimenti le sostanze organiche vengono demolite e mineralizzate principalmente con meccanismi anaerobici,
piuttosto lenti nel tempo. Man mano che si sale verso la superficie prevalgono meccanismi aerobici messi in opera da
diverse specie batteriche aerobie (cianobatteri, alghe), che si svolgono tanto più attivamente quanto più abbondante è
l’ossigeno disciolto.
Anche i microrganismi che non utilizzano l’ossigeno (batteri fototrofi, anossigenici) devono ricavare energia per la
mineralizzazione, e perciò sfruttano altri accettori organici di elettroni, in un processo che però risulta molto più lento.
104
I microrganismi denetrificanti, che lavorano in condizioni anaerobie, trasformano i nitrati in azoto, che
rappresenterebbero sennò un problema per la salute.
La denitrificazione, ovvero la riduzione di NO3 (in forma di N2) però può anche essere svantaggiosa per il terreno, per i
corsi d’acqua e per i laghi in quanto aumenta l’eutrofizzazione.
L’eutrofizzazione rappresenta infatti l’arricchimento delle acque di nutrienti, in particolare modo di composti dell'azoto
e/o del fosforo, che provoca una abnorme proliferazione di alghe e/o di forme superiori di vita vegetale, producendo la
perturbazione dell'equilibrio degli organismi presenti nell'acqua e della qualità delle acque interessate.
Anche i microrganismi patogeni eventualmente presenti subiscono fenomeni di sedimentazione, diluizione, concorrenza
vitale, inattivazione ad opera di sostanze antimicrobiche prodotte dai microrganismi ambientali.
I processi di autodepurazione tuttavia non sono sufficienti a ripristinare una buona qualità igienica se gli scarichi sono
troppo abbondanti.
Le acque dei laghi e dei bacini artificiali hanno caratteristiche più stabili di quelle dei fiumi, perché il ricambio completo è
lento o lentissimo. I processi ossidativi di autodepurazione sono quindi difficili e lenti.
Le acque superficiali, qualunque ne sia la provenienza, possono essere usate a scopo potabile soltanto dopo opportuni
trattamenti.
L’attuale normativa distingue 4 classi di qualità progressivamente decrescente (A1,A2,A3,A4), da sottoporre a
trattamenti sempre più spinti, ad eccezione dell’ultima, non utilizzabile per uso umano.
Le acque marine, a causa dell’elevata salinità, possono essere utilizzate soltanto dopo processi di dissalazione. L’acqua
dolce che si ottiene con i vari processi risulta in genere depurata anche da contaminanti chimici e microbici, ma essendo
quasi del tutto priva di Sali, deve essere opportunamente rimineralizzata con trattamenti costosi.
Le acque meteoriche vengono raccolte attraverso superfici più o meno ampie.
Malgrado esse siano in origine molto pure, già passando attraverso l’atmosfera si arricchiscono di gas ed altre sostanze
che ne modificano le caratteristiche. Il loro uso quindi è limitato a situazione in cui non ci sono o scarseggiano altre fonti.
105
Inquinamento dell’acqua
L’acqua in natura non può essere assolutamente “pura”: a seconda dei materiali e delle altre matrici con cui viene a
contatto, essa contiene sostanze disciolte inorganiche ed organiche, particelle solide e microrganismi di origine diversa e
con diverso possibile impatto sulla salute.
Nei vari comparti idrici infatti possono anche giungere sostanze e microrganismi patogeni nocivi per la salute.
L’inquinamento viene definito come l’introduzione diretta o indiretta, a seguito di attività umana, di sostanze o di calore
nell’aria, nell’acqua o nel terreno che possono nuocere alla salute umana o alla qualità degli ecosistemi acquatici o degli
ecosistemi terrestri che dipendono direttamente da ecosistemi acquatici, perturbando, deturpando o deteriorando i
valori ricreativi o altri legittimi usi dell’ambiente
Gli inquinanti che possono corrompere la qualità dei corpi idrici sono distinti in base all’origine in:
•civili: detergenti, solventi organici quali il tetracloroetilene, oli e grassi e contaminanti microbiologici
•industriali: idrocarburi policiclici aromatici, ftalati, bisfenolo A, aldeidi, sostanze organiche alogenate, idrocarburi
alifatici, fenoli, metalli, diossine, furani e PCB.
•agro-zootecnici: nitrati derivanti dai concimi a base di azoto, fertilizzanti, fitofarmaci (insetticidi e diserbanti fra cui, in
particolare, i pesticidi), liquami e acque di lavaggio di stalle, pollai e porcilaie contenenti un elevato carico di residui
metabolici, ammoniaca e fosfati.
L’uso dell’acqua che maggiormente espone a pericoli per la salute è indubbiamente quello potabile, che può introdurre
sostanze tossiche e microrganismi attraverso l’apparato digerente.
L’acqua è inoltre un’importante fonte di contaminazione nella produzione primaria di alimenti.
Quindi per tutti questi usi sono previste precisi norme legislative a tutela della salute.
Per garantire le caratteristiche di potabilità, la normativa italiana è rappresentata da:
D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 31 sulle acque destinate al consumo
Tale normativa ha come campo di applicazione le “Acque destinate al consumo”, mentre sono escluse le acque minerali.
Per acque destinato al consumo si intendono le acque trattate e non trattate, destinate ad uso potabile, per la
preparazione di cibi e bevande, o per altri usi domestici, a prescindere dalla loro origine, siano esse fornite tramite una
rete di distribuzione, mediante cisterne, in bottiglie o in contenitori.
La normativa fissa i limiti di accettabilità per le acque adibite al consumo umano, distinguendo fra parametri indicatori e
parametri relativi a sostanze tossiche e nocive.
DLgs 18 febbraio 2005, n. 59 sulla prevenzione e riduzione integrale dell’inquinamento
DLgs 3 aprile 2006, n. 152, con aggiornamento nel 2008 e nel 2010, che impronta norme in materia ambientale (TVA)
DLgs 16 marzo 2009, n. 30 sulla protezione delle acque sotterranee dall'inquinamento e dal deterioramento
che determina i criteri tecnici per la classificazione dello stato dei corpi idrici superficiali e per il loro monitoraggio
D.Lgs 13 ottobre 2015, n. 172 che prevede l’istituzione del monitoraggio delle sostanze dell’elenco di controllo
(Watch List)
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Qualunque sia la fonte utilizzata, l’acqua adibita al consumo umano deve essere
-innocua, cioè non deve contenere sostanze o microrganismi che possano nuocere alla salute
-sicura
-gradevole al gusto e senza odori
-usabile, cioè compatibile con gli usi domestici
I biologi controllano la validità dell’acqua, verificando se può essere o meno ad uso potabile attraverso 46 parametri
chimici, fisici, organolettici e microbiologici identificati nel decreto n. 152 del 2006, per ciascuno dei quali è fissato un
limite di accettabilità e un’unità di misura (A1,A2,A3,A4) che indica il grado di trattamento.
Il grado di trattamento prevede:
>A1 minimo = trattamento fisico (filtrazione rapida) e disinfezione
>A2 normale =trattamento fisico normale, chimico e disinfezione (preclorazione, coagulazione, flocculazione,
decantazione, filtrazione e disinfezione finale)
>A3 spinto = trattamento fisico e chimico spinto e disinfezione (clorazione a break point, coagulazione,
flocculazione, decantazione, filtrazione - carbone attivo, disinfezione con O3, clorazione finale)
>A4 = trattamento non necessario, materiale non recuperabile
Dato l’elevato numero di parametri previsti non tutti devono essere ricercati correntemente. Sono previsti infatti due tipi
di controllo:
▪ Controllo abituale
Il controllo abituale mira a fornire ad intervalli regolari informazioni sulla qualità organolettica e microbiologica delle
acque già fornite per il consumo umano.
Questo controllo deve comprende parametri indicatori, quali caratteri organolettici, fisici, nitriti, disinfettante residuo.
L’esame batteriologico può limitarsi alla ricerca e numerazione di Escherichia Coli, degli enterococchi, dei coliformi e
della carica batterica totale.
I controlli abituali vanno eseguiti periodicamente ad intervalli regolari: da trimestrali per volumi di acqua fornita di 100-
1000 m3/giorno, a quotidiani per volumi di oltre 1.000.000 m3/giorno.
▪ Controllo di verifica
Il controllo di verifica accerta se tutti i valori di parametro contenuti nel decreto sono rispettati. Esso va effettuato prima
di decidere l’utilizzazione per il consumo umano di una nuova risorsa idrica e va ripetuto periodicamente.
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Negli anni, oltretutto, sono stati aggiunti nuovi parametri o sono stati definiti valori più restrittivi di alcuni preesistenti in
base alle necessità ambientali.
Ad esempio dei contaminanti emergenti identificati sono stati: Arsenico, Uranio, Vanadio, Cromo, Selenio, Antimonio,
Composti perfluoroalchilici (PFAS), Farmaci e residui, Ormoni, PET (Polietilene tereftalato), Pesticidi, etc.
Alcuni di questi possono essere ritenuti interferenti endocrini, quindi in grado di modificare l’equilibrio ormonale e
determinare effetti cancerogenici.
Oltretutto si potranno scavalcare i parametri in determinate condizioni per un dato intervallo di tempo. Ciò
probabilmente è dovuto a cambiamenti geologici che non è possibile nell’immediato marginare.
Le deroghe fatte però non riguardano i parametri microbiologici, che non possono in nessun caso essere oltrepassati.
Parametri chimici
- Parametri chimici in rapporto con le caratteristiche del terreno da cui proviene l’acqua
Le sostanze che appartengono a questa categoria non rappresentano un pericolo per la salute, ma anzi possono
contribuire all’apporto giornaliero di Sali necessari, a patto che non siano in eccesso.
Di queste fa parte il residuo fisso (mg di Sali totali contenuti in un litro d’acqua) che serve a definire il grado di
mineralizzazione dell’acqua:
>oligominerale, se il residuo fisso è inferiore a 500 mg/l
>mediominerale, se è compreso tra 500 e 1500 mg/l
>fortemente mineralizzata, se è superiore a 1500 mg/l
Fra le sostanze di questo gruppo vi sono anche i Sali dei metalli alcalino-terrosi (Ca, Mg) che costituiscono la durezza.
La durezza non ha alcun effetto documentato sulla salute, ma è molto importante per l’usabilità.
Fra le sostanze normalmente presenti possono essere considerati anche i cloruri e i solfati che, pur non essendo sostanze
tossiche, possono conferire un gusto sgradevole all’acqua.
- Parametri chimici relativi a sostanze indesiderabili
Queste sostanze vengono definite indesiderabili, non perché hanno un diretto rapporto con la salute, ma perché
alterano le caratteristiche organolettiche dell’acqua e la loro presenza è indice di inquinamento.
Tra queste sostanze si ritrovano:
▫ ferro e manganese, che ossidandosi danno origine a sapori sgradevoli, colorazioni, intorpidimenti e precipitati
▫ sodio, che in concentrazioni al di sopra dei 200 mg/l determina il caratteristico sapore salato
▫ fluoro, che in concentrazioni normali è utile per la prevenzione della caria, ma che in quantità eccessive può portare a
fluorosi dei denti e delle ossa
▫ indici di contaminazione organica, che possono provenire da liquami o da altri rifiuti
La presenza di sostanze organiche rende le acque più soggette ad alterazioni delle caratteristiche organolettiche, alla
crescita microbica e alla formazione di prodotti secondari. In particolare, la degradazione delle sostanze organiche
azotate da origine a composti inorganici, tra cui l’ammoniaca, dalla quale per ossidazioni successive si formano nitriri e
nitrati.
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Ammoniaca e nitriti sono indice di una degradazione in atto di materiali organici, i nitrati invece indicano un
inquinamento organico remoto
▫ fosfati ed idrogeno solforato
- Parametri chimici relativi a sostanze tossiche e nocive
Le sostanze organiche ed inorganiche hanno effetti negativi sulla salute quando vengono superate concentrazioni, in
genere, dell’ordine dei μg/l.
L’origine delle sostanze tossiche, oltre ad essere di origine tellurica (arsenico o bario), è più spesso industriale, come per
vari metalli (cromo, piombo, mercurio, etc) e composti organici (benzene, benzopirene, tetracloroetilene, etc) o agricola
(pesticidi.)
Parametri chimico-fisici
I parametri chimico-fisici da considerare sono :
- temperatura
La temperatura non ha dei veri e propri limiti, ma la sua determinazione è importante nello studio delle fonti
sotterranee, giacché la sua costanza in diversi periodi stagionali indica che l’acqua proviene da una falda profonda e
quindi è presumibilmente ben protetta.
-limpidezza, colore, odore, sapore
-conducibilità elettrica
La conducibilità elettrica esprime il grado di ionizzazione e quindi anche di mineralizzazione dell’acqua.
Se essa supera i 2000 μS cm-1 (limite normativo) può dar luogo a depositi ed incrostazioni nelle tubazioni e negli
elettrodomestici. Pertanto l’eccessiva mineralizzazione non è controindicata per motivi sanitari, ma per motivi
tecnologici.
Al contrario acque poco mineralizzate, come quelle oligominerali vendute in bottiglia, sono meno salutari se non
necessaria a scopo diuretico.
-pH (tra 6,5 e 9,5)
Il pH è importante poiché acque troppo acide o troppo alcaline sono aggressive per le condutture e per le
apparecchiature metalliche.
Parametri microbiologici
L’acqua rappresenta un potente veicolo di agenti infettivi a trasmissione oro-fecale, per cui è necessaria la valutazione di
parametri atti a garantirne la sicurezza.
Tuttavia la ricerca di tutti i possibili microrganismi patogeni è molto difficile perché:
-gli agenti patogeni potenzialmente veicolati da acque contaminanti appartengono a numerosissimi generi e specie, ed è
quindi impossibile ricercarli tutti
-un’acqua inquinata può contenere patogeni in modo discontinuo, in funzione della situazione epidemiologica di
quell’aria
-i patogeni hanno in genere concentrazioni molto basse nelle acque
-per molti patogeni le tecniche di rilevazione sono complesse, poco sensibili e costose
Per tutti questi motivi, l’esame microbiologico dell’acqua sa adibire al consumo umano non va alla ricerca di tutti i
possibili microrganismi patogeni che potrebbero essere veicolati, ma di indicatori, cioè microrganismi o gruppi di essi
capaci di indicare una contaminazione microbica in conseguenza della quale può contenere dei patogeni o potrà
contenerne in futuro.
109
I parametri attualmente in uso come indicatori microbiologici delle acque destinate al consumo umano sono:
◦ Carica batterica totale coltivabile in agar a 22°C ed a 37°C
Nelle acque naturali la carica microbica a 22°C è rappresentata dalla norma flora batterica ambientale e quindi non è
correlata alla contaminazione, mentre la carica a 37°C è dovuta alla presenza di specie mesofile.
Nelle acque trattate e distribuite al consumo, invece, tale parametro è in funzione dell’efficacia dei sistemi di
potabilizzazione.
◦ Batteri commensali dell’intestino e degli animali a sangue caldo (batteri coliformi)
◦ Escherichia Coli ed enterococchi
L’assenza di questi batteri in volumi definiti di acqua urbana dovrebbe garantire che essa non contiene altri
microrganismi patogeni enterici.
◦ Pseudomonas aeruginosa
Questo batterio è ricercato nel caso di acque messe in vendita in contenitori ed in bottiglie, in quanto risulta molto
resistenza all’azione di disinfettanti.
◦ Batteriofagi e spore di clostridi solfito-riduttori
Questi batteri sono ricercati per monitorare l’efficacia dei trattamenti di risanamento delle acque.
Devono quindi essere costantemente assenti nelle acque destinate al consumo umano gli enterovirus, i batteriofagi anti
E.coli, gli enterobatteri patogeni e gli stafilococchi patogeni.
Il conteggio (max 100ml) viene effettuato a 22° C, poiché a questa temperatura le colonie possono vivere a stato
saprofitico, ed a 37° (max 20 ml), poiché a questa temperatura le colonie possono vivere a stato parassitario.
Mentre E. Coli e Enterococchi su 250 ml devono essere assenti, lo Pseudomonas a 22°C può avere una concentrazione
massima di 100 ml e su 37°C di 20 ml.
A giudizio dell’autorità sanitaria competente, potrà anche effettuare la ricerca anche di altri parametri accessori:
-alghe
-batteriofagi anti E.coli
-elminti
-enterobatteri patogeni
-enterovirus
-funghi
-protozoi
-Stafilococchi patogeni
-salmonelle
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Trattamenti di potabilizzazione
o Correzione della torbidezza
Le acque torbide vengono rese limpide mediante procedimenti successivi di coagulazione, sedimentazione e filtrazione.
La coagulazione delle sostanze in sospensione responsabili della torbidezza si ottiene aggiungendo all’acqua un
coagulante.
Le particelle sospese vengono quindi inglobate e l’acqua chiarificata viene immessa in vasche di filtrazione, in modo che
le particelle residue vengano trattenute.
Questo processo consente la correzione della torbidità, ma anche un notevole abbattimento (fino al 99%) della
contaminazione microbica, poiché vengono rimossi anche i microrganismi aderenti alle particelle solide.
o Correzione di caratteri chimici
L’eccesso di alcune sostanze, come il calcio, il magnesio, il ferro o il manganese, pur non avendo effetti negativi sulla
salute, può pregiudicare l’usabilità dell’acqua.
La durezza dell’acqua può essere abbassata rimuovendo il calcio e il magnesio con due metodi alternativi, il metodo
calce-soda o la filtrazione su resine a scambio ionico.
Per eliminare l’eccesso di ferro è sufficiente, nella maggior parte dei casi, aerare abbondantemente l’acqua, provocando
con ciò l’ossidazione del Fe2+ a Fe3+.
Lo sostanze organiche invece possono essere eliminate con la filtrazione su carbone attivo.
o Disinfezione
La disinfezione ha lo scopo di eliminare dall’acqua, dopo il suo trattamento, tutte le forme patogene fino al 99,9%, grazie
all’utilizzo di disinfettanti, quali cloro e derivati, raggi UV o O3.
Il sistema di disinfezione più utilizzato è la clorazione, che si basa sull’azione ossidante del cloro, usato come cloro
gassoso, ipocloriti o biossido di cloro.
Il rischio stimato per questa disinfezione è intorno all’8,5x10-6, un rischio quindi bassissimo, e la sua azione disinfettante
perdura anche lungo il sistema di distribuzione.
La corretta esecuzione della clorazione evita anche il formarsi di clorofenoli, con odore e sapore sgradevole. A tal fine
bisogna determinare la clorichiesta dell’acqua, ovvero la quantità minima di cloro che è necessario aggiungere all’acqua
per ossidare le sostanze organiche ed inorganiche ce essa contiene ed avere clororesiduo attivo.
In base alla clororichiesta è possibile effettuare diversi tipi di clorazione:
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Clorazione al punto di rottura (break point)
Nella clorazione al punto di rottura, aggiungendo progressivamente del cloro ad acque contenenti composti capaci di dar
luogo a un cloro residuo attivo combinato (clorammine, clorofenoli, etc), la concentrazione di quest’ultimo prima
aumenta, poi diminuisce, perché le aggiunte ulteriori ossidano anche i composti costituenti il cloro residuo combinato. A
questo punto si ha la mina concentrazione di clorocomposti.
Il punto di rottura o break point si raggiunge quando la quantità di cloro aggiunto all’acqua ha ossidato tutte le sostanze
organiche ed inorganiche senza che persista cloro combinato.
Da questo punto, ogni ulteriore aggiunta di cloro determina un aumento lineare del cloro residuo attivo, consistente
esclusivamente in cloro residuo libero.
Dopo il punto di rottura, è sufficiente che sia presente nell’acqua un cloro residuo di circa 0,3 mg/l per ottenere il
massimo di efficacia antimicrobica e di sicurezza tossicologica.
La distribuzione dell’acqua potabilizzata avviene attraverso tubature sotterranee che possono percorrere trattu molto
lunghi e presentare lesioni, le quali possono dar luogo ad infiltrazioni inquinanti dal terreno circostante.
È per questo motivo che è prescritta la presenza di cloro residuo fino al punto di fornitura.
Questo serve anche a ridurre la crescita del biofilm, una membrana biologica costituita da germi saprofiti ambientali, che
provoca svariati inconvenienti.
Bisogna infatti evitare la presenza di sostanza organica perché:
-fornirebbe un substrato riproduttivo per microrganismi patogeni
-reagirebbe col cloro formando dei derivati cancerogeni
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Acqua di rubinetto ed acqua minerale in bottiglie
Per acqua minerale naturale si intende un’acqua microbiologicamente pura all’origine, proveniente da una sorgente con
una o più emergenze naturali o perforate.
Per la sua natura “pura”, quindi, non ha bisogno di disinfettanti.
Le acque di sorgente si differenziano dall’acqua minerale naturale fondamentalmente per l’assenza di possibili effetti
specifici sull’organismo e sono considerate normali acque da tavola.
Entrambe devono essere caratterizzate da purezza microbiologica, intesa come assenza di parassiti e di microrganismi
patogeni, di indicatori di contaminazione fecale (Escherichia Coli, enterococchi) e di Pseudomonas aeruginosa.
La carica microbica invece non ha limiti precisi, ma dipende dal microbismo normale dell’acqua rilevato alla sorgente
prima che sia intervenuta qualsiasi manipolazione.
Sono vietati infatti i trattamenti di potabilizzazione ammessi per le acque erogate dagli acquedotti comunali (acque di
rubinetto).
L’unico vantaggi di tali acque è che non solo clorate, e pertanto, possono essere di sapore più gradevole delle acque di
rubinetto. Queste hanno un contenuto salino 8compresi i Sali di calcio e magnesio) più adatto a soddisfare i bisogni
dell’organismo, mentre le acque minerali sono per la maggior parte povere di Sali ed è proprio questa caratteristica che
le rende meno salutari
Reflui urbani
Le acque reflue o usate sono rappresentate da tutte le acque che, dopo il prelievo e l’utilizzo per i diversi scopi, vengono
restituite all’ambiente con una qualità inferiore rispetto a quella originaria. La loro composizione ed il relativo impatto
sull’ambiente e la salute variano, quindi, in funzione del tipo di uso a cui sono state destinate.
I reflui urbani si distinguono in:
Acque reflue domestiche, ovvero acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi derivanti
prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche
Acque reflue industriali, ovvero acque reflue provenienti da edifici o impianti di attività commerciale
A questi tipi di acque reflue, generalmente convogliate con appositi sistemi di canalizzazione (fognature) si aggiungono le
acque meteoriche di dilavamento del suolo (acque bianche).
Dai centri urbani, in cui si producono contemporaneamente tutti questi tipi di reflui, si originano le acque reflue urbane,
ovvero il miscuglio di acque reflue domestiche e acque reflue industriali e meteoriche di dilavamento convogliate in reti
fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato.
Le acque reflue urbane vengono valutate in base ad alcuni parametri:
Sostanze sedimentabili
BOD5 (richiesta biochimica di ossigeno a 5 giorni), che valuta la quantità di sostanze organiche degradabili mediante
ossidazione ad opera di microrganismi saprofiti aerobi.
Il valore medio di BOD5 per abitante/giorno (abitante equivalente) è attorno ai 60 mg, per cui un alto valore del BOD
determina un alto valore inquinante, in quanto c’è un grande consumo di ossigeno e fenomeni di eutrofizzazione.
Il carico organico quindi per essere smaltito richiede 60 g di ossigeno al giorno per 5 giorni e solo così si è in grado di
smaltire il 90% del materiale organico.
COD (domanda chimica di ossigeno), valuta il complesso delle sostanze degradabili con un’ossidazione chimica molto
energica. Un alto valore di COD considera la presenza di un’alta percentuale di sostanze tossiche.
La differenza COD-BOD da con una buona approssimazione la misura delle sostanze non biodegradabili.
Nutrienti
Microrganismi enterici
Sostanze tossiche e nocive
113
Se un refluo urbano viene scaricato in un lago/fiume/mare, i microrganismi avranno una grande disponibilità di
nutrimento e quindi alto consumo di ossigeno e aumentata riproduzione dei microrganismi. Le forme di vita quindi, in
carenza di ossigeno, perderanno la loro vitalità e si incorrerà in una situazione di eutrofizzazione.
Poiché le capacità di autodepurazione dell’ambiente sono insufficienti a far fronte all’ingente mole di reflui prodotta,
sono in genere necessari trattamenti di depurazione.
I trattamenti dei reflui debbono essere tali da ripristinare nelle acque da immettere nell’ambiente caratteristiche di
qualità tali da non alterare la salubrità, lo stato ecologico e le condizioni ambientali del corpo idrico recettore.
Pretrattamenti
I pretrattamenti consistono essenzialmente in:
-Grigliatura, per separare materiali grossolani attraverso l’uso di griglie metalliche
-Dissabbiatura, per far sedimentare ed allontanare sabbia ed altre particelle pesanti e non biodegradabili
-Disoleatura, per la separazione dei grassi attraverso la flottazione
Sedimentazione primaria
Essa ha lo scopo di separare dal liquido i solidi sospesi, mediante sedimentazione in apposite vasche dove il flusso viene
rallentato per garantire una permanenza di 2-3 ore.
L’acqua chiarificate passa al trattamento secondario, mentre i solidi sedimentati costituiscono i fanghi primari,
allontanati e sottoposti a trattamenti successivi.
Con tale trattamento mediamente si ottiene un abbattimento del circa il 90% dei solidi sospesi sedimentabili e di circa il
30% del BOD5.
Trattamenti secondari
Sono in genere rappresentati da processi biologici, che avvengono ad opera di microrganismi capaci di degradare le
sostanze organiche ed inattivare gli agenti patogeni ancora presenti. Questi processi sono ossidativi ed avvengono
quando la concentrazione di ossigeno è sufficiente per la degradazione ad opera di batteri aerobi.
Fra gli impianti basati su processi ossidativi i più diffusi sono gli impianti a fanghi attivi, nei quali la biomassa, costituita
da batteri saprofiti aerobi e da altri microrganismi saprofiti e predatori, è sospesa nel liquido contenuto in una vasca.
I fenomeni che vi si svolgono consistono in processi di ossidazione chimica delle sostanze organiche, di adsorbimento e di
agglomerazione con formazione di fiocchi di fango. In questo contesto una buona parte delle sostanze organiche viene
mineralizzata, mentre un’altra parte viene usata per la moltiplicazione microbica.
La biomassa può essere anche adesa a supporti solidi, come negli impianti a letti percolatori, dove il liquame viene
versato a pioggia su uno strato filtrante dove c’è la popolazione microbica responsabile della depurazione.
Dopo la percolazione il liquido viene fatto sedimentare per allontanare i frammenti di biomassa trascinati col liquido.
Se i processi biologici ossidativi avvengono correttamente, dopo la sedimentazione secondaria si ottiene un effluente
limpido ed inodore nel quale l’abbattimento del BOD5 risulta vicino al 90% e il contenuto microbico è ridotto del 99%.
Tuttavia visto che nel liquame in entrata le concentrazioni di batteri e virus enterici sono dell’ordine di 106 unità
microbiche/ml, l’effluente dal trattamento secondario contiene ancora livello di almeno 104 microrganismi/ml, per cui è
necessario l’utilizzo di un trattamento terziario.
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Trattamento terziario
I trattamenti terziari sono costituiti dall’abbattimento di azoto e fosforo (trasformazione di NO3- in N2) in condizioni
anaerobiche e dalla disinfezione.
L’azoto ed il fosforo devono essere rimossi per evitare fenomeni di eutrofizzazione nei corpi idrici in cui si immettono le
acque trattate.
Trattamenti di fitodepurazione
L’inattivazione dei microrganismi e la demolizione delle sostanze organiche possono essere ottenuti, oltre che negli
impianti biologici, anche con sistemi alternativi, tra cui la fitodepurazione.
La fitodepurazione sfrutta l’azione combinata delle piante e dei microrganismi che colonizzano il cloro. In delle vasche
vengono sistemate piante palustri che affondano le loro radici in un letto di sabbia, all’interno del quale si pone un
sistema di tubi che fa affluire l’acqua reflua.
La demolizione delle sostanze organiche è assicurata dall’abbondante popolazione microbica presente nel letto di
sabbia, mentre composti azotati e i fosfati sono utilizzati dalle piante.
L’eliminazione dei patogeni enterici è ottenuta grazie all’azione filtrante del letto di sabbia ed alla concorrenza vitale dei
microrganismi saprofiti.
La fitodepurazione è adatta al trattamento delle acque reflue già sottoposte a sedimentazione primaria oppure come
trattamento terziario.
Il sistema idrico è strutturato in modo tale che il sistema di distribuzione dell’acqua potabile sia posizionato
superiormente rispetto a quello del sistema di distribuzione del refluo urbano.
L’allontanamento delle acque reflue dal punto di produzione si fa attraverso sistemi di fognatura statici o dinamici.
Le fognature statiche determinano l’allontanamento dei liquami dai locali di abitazione e la loro raccolta in pozzi neri a
tenuta o in pozzi neri perdenti.
Le fognature dinamiche invece determinano l’allontanamento dei liquami dall’abitazione e il loro invio verso lo scarico
terminale o all’impianto di smaltimento.
115
I sistema di fognatura sono di 3 tipi diversi:
-unitario
Con il sistema unitario (il più antico) le acque nere, ovvero i veri e propri scarichi, e bianche, ovvero le acque piovane,
vengono raccolte ed allontanate nella stessa rete di collettori
-separato o doppio
Il sistema separato prevede canalizzazione diverse per le acque bianche e per le nere. Esso evita eccessive variazioni di
portata e concentrazione e riduce il volume di acqua da convogliare all’impianto di trattamento, giacché le acque
bianche, meno contaminate, possono essere smaltite senza trattamenti preliminari.
-misto
Il sistema misto prevede un’unica rete fognaria in cui si convogliano le acque nere e le prime acque di pioggia.
116
RIFIUTI SANITARI E LA LORO GESTIONE
La normativa vigente è il testo unico dell’ambiente 152 del 2006, aggiornato nel 2010, il quale definisce le tipologie di
rifiuti ed indica i criteri e le norme specifiche per la loro gestione.
I rifiuti si definiscono in base all’origine (rifiuti urbani o rifiuti speciali) e in base alla loro pericolosità (pericolosi o non
pericolosi).
Il DPR del 15 luglio 2003, n. 254 disciplina la gestione dei rifiuti sanitari e degli altri rifiuti, allo scopo di garantire elevati
livelli di tutela dell'ambiente e della salute pubblica e controlli efficaci.
Per garantire la tutela della salute e dell'ambiente il decreto prevede:
-imballaggio a perdere, anche flessibile, recante la scritta "Rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo" e il simbolo del
rischio biologico
-imballaggio rigido a perdere, resistente alla puntura, recante la scritta "Rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo
taglienti e pungenti"
in base al tipo di materiale utilizzato
Oltretutto il deposito temporaneo dei rifiuti viene valutato in base alla pericolosità:
per i rifiuti non pericolosi, il deposito può durare mesi (indipendentemente) dalla quantità
per i rifuti pericolosi, il deposito ha una durata massima di 5 giorni dal momento della chiusura del contenitore o di 30
giorni fino al raggiungimento di 200 L.
117
Il decreto del 2003 riguarda anche le acque reflue provenienti da attività sanitaria, secondo cui feci, urine e sangue
possono essere fatti confluire nelle acque reflue che scaricano nella rete fognaria.
I codici CER sono destinati all’informativa sulla composizione dei rifiuti, per riconoscerne subito la pericolosità (infettiva o
tossicologica) o la non pericolosità.
Ad esempio
07 : Rifiuti dei processi chimici organici (laboratorio galenici)
07 05 : Rifiuti della produzione, formulazione, fornitura e d uso di prodotti farmaceutici
15 : Rifiuti di imballaggio, assorbenti, stracci, materiali filtranti e
indumenti protettivi (non specificati altrimenti) 16 Rifiuti non specificati altrimenti nell’elenco
18 : Rifiuti prodotti nel settore sanitario e veterinario o da attività di ricerca collegate
20 : Rifiuti urbani (rifiuti domestici e assimilabili prodotti da attività commerciali e industriali nonché dalle istituzioni)
inclusi i rifiuti della raccolta differenziata
Per le frazioni non recuperabili e per i rifiuti non sottoposti né a raccolta differenziata né a cernita, i metodi di
smaltimento sono, essenzialmente, l’incenerimento e la discarica controllata, mentre i rifiuti organici raccolti in modo
differenziato possono essere usati per produrre compost.
Alcuni di questi rifiuti vengono sterilizzati, per cui la pericolosità viene eliminata ed è possibile riutilizzarli (es. materiale
da operazione). Essendo la sterilizzazione un processo dispendioso è utilizzato per la maggioranza dei casi per materiali
di cui è proprio necessario il riutilizzo.
SAL da un indice di sicurezza che permette di avere una sterilizzazione efficace di almeno 6 log (10-6).
I rifiuti sanitari che invece vengono sterilizzati e non riutilizzati vengono poi classificati come rifiuti urbani speciali, ma
vengono comunque inceneriti.
118
ORGANIZZAZIONE SANITARIA INTERNAZIONALE
In tutti i paesi sviluppati esistono dei servizi sanitari, anche se diversamente organizzati, che erogano prestazioni di
prevenzione e di cura.
A livello internazionale, l’organismo che specificamente opera nel campo della sanità è l’Organizzazione Mondiale della
Sanità (OMS). In Italia è il Servizio Sanitario Nazionale che ha compiti di promozione della salute, prevenzione e cura
delle malattie, riabilitazione.
OMS
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS, in inglese WHO), costituita nel 1946, è retta da un direttore generale
coadiuvato da 5 vicedirettori generali, da un consiglio esecutivo e dall’assemblea mondiale della sanità, cui partecipano i
delegati di tutti gli stati membri.
Il quartier generale ha sede a Ginevra ma vi sono altre 6 sedi decentrate, una per ciascuna delle 6 grandi “Regioni” in cui
è suddiviso l’OMS:
-Europa
-Africa
-Area Mediterraneo orientale
-Area del Sud-Est asiatico
-Area Pacifico Occidentale
-America
I campi principali d’intervento e le attività dell’OMS sono:
la classificazione delle malattie e delle cause di morte
Per poter paragonare in modo attendibile l’andamento delle malattie e delle cause di morte a livello mondiale è
necessario che in tutti i paesi si usino gli stessi criteri e le stesse denominazioni.
L’OMS infatti ha elaborato un elenco di esse, con codice relativo per ciascuna, che è stato adottato da tutti i paesi per la
registrazione, elaborazione e pubblicazione delle statistiche sanitarie riguardanti le rispettive popolazioni.
la prevenzione delle malattie infettive e di altre emergenze sanitarie
L’OMS ha formulato ed attuato nel tempo appositi programmi di intervento e di sostegno, soprattutto nei paesi in via di
sviluppo, finalizzati a ridurre la frequenza delle malattie infettive endemiche, a contenere la diffusione delle epidemie e
delle pandemie, a ridurre le conseguenze sanitarie delle emergenze ambientali e dei disastri.
Il Regolamento Sanitario Internazionale contiene le norme a cui ci si deve attenere a livello internazionale e nazionale
per individuare tempestivamente le sorgenti di infezione e di contaminazione, in modo da contenere all’origine ogni
emergenza sanitaria e arginarne la diffusione.
Fra le emergenze sanitarie previste dal Regolamento e per le quali l’OMS fornisce assistenza vi sono: l’influenza, la
poliomielite, il colera, la febbre gialla, peste, AIDS, etc.
la sicurezza degli alimenti e dell’alimentazione
In collaborazione con la FAO (Food and Agriculture Organization), l’OMS ha attivato la commissione del Codex
Alimentarius, che indica standard e linee guida per la sicurezza della produzione e del commercio degli alimenti
la prevenzione delle malattie cronico-degenerative e della tossicodipendenza
Per la prevenzione delle malattie cardiovascolari e dei tumori e per la lotta all’alcolismo e alle tossicodipendenze, l’OMS
pubblica periodicamente documenti specifici predisposti da gruppi di esperti.
Per l’identificazione delle sostanze cancerogene è stato fondato un apposito istituto di ricerca, la IARC (International
Agency for Research on Cancer) che pubblica l’elenco e le caratteristiche delle sostanze classificare secondo la loro
cancerogenicità provata o probabile, in base ai dati sperimentali ed epidemiologici acquisiti.
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-solidarietà
La solidarietà implica che il finanziamento delle prestazioni è pubblico e deriva dalla fiscalità generale. Inoltre le
prestazioni sanitarie possono essere chieste in tutto il territorio nazionale, indipendentemente dalla regione
d’appartenenza.
-equità
In base al questo principio, la qualità delle prestazioni sanitarie e le possibilità di accesso ai servizi devono essere uguali
in tutto il territorio nazionale.
Poiché le prestazioni sono rese con denaro pubblico, esse devono rispondere a criteri di provata efficacia ed
appropriatezza e improntate all’economicità nell’impiego delle risorse.
La legge 833 del 23/12/1978 attribuisce alla Regioni la gestione della sanità attraverso i rispettivi Servizi Sanitar Regionali
che erogano tutte le prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione. Il finanziamento alle Regioni è dato dallo Stato con
fondi derivanti dalla fiscalità generale, con quote capitarie (in base alla popolazione assistita).
Nell’ambito di ciascun Servizio Sanitario Regionale l’erogazione delle prestazioni avviene attraverso:
➢ Aziende Sanitarie Locali (ASL)
Le ASL sono aziende pubbliche dotate di personalità giuridica e di completa autonomia organizzativa, amministrativa,
patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica.
Esse organizzano ed erogano tutte le prestazioni di prevenzione, curva e riabilitazione previste dai LEA (Livelli Essenziali
di Assistenza).
Oltre ai servizi sanitari, le ASL possono gestire anche servizi socio-assistenziali su delega degli Enti locali.
Le ASL sono articolate in 3 macrostrutture territoriali, costituite da:
Dipartimento di prevenzione (o Dipartimento di sanità pubblica)
È articolato in diversi servizi, quali servizio di igiene e sanità pubblica, servizio per la prevenzione e per la sicurezza negli
ambienti di lavoro, servizio di igiene degli alimenti e della nutrizione, etc.
Distretti sanitari
Sono le articolazioni territoriali dell’ASL che assicurano alla popolazione l’accesso ai servizi e alle prestazioni sanitarie di
primo livello.
Ognuno di essi copre un’area geografica di circa 60.000 abitanti.
Il Distretto sanitario assicura l’assistenza di primo livello, l’assistenza socio-sanitaria e l’assistenza specialistica
ambutoriale, attua gli interventi di promozione della salute e prevenzione, sovraintende l’assistenza domiciliare, etc.
Presidi ospedalieri
Sono costituiti dagli ospedali non costituiti in Azienda Ospedaliera ma facenti parte dell’ASL, che per mezzo di essa
assicura le prestazioni e i servizi specialistici.
➢ Aziende Ospedaliere
La maggioranza degli ospedali è gestita nell’ambito dell’ASL o nel caso dei policlinici dalle università. Solo gli ospedali di
rilevanza nazionale e di elevata specializzazione sono costituiti in Aziende Ospedaliere dotate di personalità giuridica, con
autonomia organizzativa e gestionale.
Le Aziende Ospedaliere sono finanziate dalle Regioni appartenenza secondo le prestazioni effettuate.
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Ogni 3 anni il Governo, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, predispone il Piano Sanitario Nazionale (PSN) che
contiene gli obiettivi di salute da raggiungere nel triennio e le linee di indirizzo del SSN cui le Regioni devono attenersi
nella formulazione di proprio Piani Sanitari regionali.
Le suddette competenze statali sono attribuite dal Ministero della Salute, che è l’organo centrale del sistema sanitario
italiano.
All’interno del Ministero opera il Centro Nazionale per la Prevenzione ed il Controllo delle Malattie (CCM) che svolge
attività e promuove progetti relativi al controllo e alla prevenzione delle emergenze sanitarie, delle malattie infettive e
diffusive e delle malattie cronico-degenerative.
Il Ministero della Salute si avvale di un organo consultivo, il Consiglio Superiore di Sanità, e di un organo tecnico, l’istituto
Superiore di Sanità, entrambi con sede a Roma.
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