La definizione di igiene è stata data nel 1920, da un ricercatore che la definì come “ la scienza e l’arte di
prevenire le malattie, di promuovere la salute e il benessere attraverso lo sforzo organizzato dalla
comunità”; il che identifica subito che è una scienza di popolazione e una disciplina che si occupa della
comunità attraverso conoscenze che possono portare a prevenire le malattie ma anche a promuovere e
a migliorare le condizioni di salute fino ad arrivare alle condizioni di benessere, che coinvolgono tutte le
sfere dell’essere umano. È una disciplina molto importante.
Negli studi medici esistono due aree:
1. Area clinica→ è rivolta al malato a cui deve essere risolto un problema attraverso la terapia la
clinica.
2. Area preventiva → rivolta alla popolazione o a gruppi di popolazione sana, che consiste nella
prevenzione, ovvero far sì che non si ammali e quindi la protezione della salute.
Il personale sanitario deve essere a conoscenza di questi aspetti in maniera più o meno approfondita, in
base al ruolo che coprirà.
•L’ igiene ha come obbiettivo la salute intesa come studi delle cause e dei fenomeni che portano alla
malattia; è dedicata alla popolazione nel senso che è una disciplina di popolazione e l’intervento
igienistico si svolge attraverso la conoscenza che si realizza con gli studi epidemiologici descrittivi,
analitici, che naturalmente si sviluppano su base statistica. È una disciplina interdisciplinare perchè i
grandi interventi di prevenzione, per esempio la potabilizzazione dell’acqua, non riguarda un solo
esperto, ma : l’igienista, il geologo , l’ingegnere ....e tanti altri professionisti.
L’igiene si esprime attraverso la sanità pubblica, che deve conoscere i problemi sanitari così da poter
individuare i mezzi per evitarli/risolverli. Questi mezzi verrano poi applicati dal servizio sanitario che
attuerà l’intervento.
Sanità pubblica→ è la scienza rivolta a migliorare la saluta della popolazione tramite sforzi organizzati
dalla società, utilizzando tecniche di prevenzione delle malattie*, di protezione e di promozione della
salute. Per *malattia si intende la deviazione della normale condizione fisiologica dell’organismo che
insorge per azione di fattori nocivi, interni o esterni, e che si può manifestare con segni e/o sintomi.
Segni → possono essere direttamente visibile come un esantema, possono essere individuate con
procedure diagnostiche che possono essere semplici (misurazione della febbre, pressione...) oppure
complesse (biopsia, gastroscopia...).
Sintomi → sono invece aperti soggettivi della malattia, perchè è solo il malato che può dichiara il
sintomo, per esempio cefalea, dolori articolari... dove si manifestano e per quanto tempo; essi non sono
visibili da altri.
1
Il significato di malattia:
La malattia non è solo una condizione biologica, quindi patologica con alterazioni di
organi e/o apparati (disease), ma è anche una condizione sociale con i suoi aspetti
culturali, sociali, morali, psicologici (illness). Quindi è una complessità di situazioni
che riguardano il soggetto.
Secondo l’organizzazione mondiale della sanità (OMS), la salute non è una semplice
assenza di malattia ma è uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale.
La definizione di salute viene inserita anche nel logo dell’OMS, molto importante per poter capire la
validità dell’informazioni che ci vengono date: la sua presenza garantisce la veridicità, la qualità e la
serietà di un articolo e dei suoi contenuti.
3
Promozione della salute:
“La salute è una condizione di armonico equilibrio funzionale, fisico e
psichico dell’individuo dinamicamente integrato nel suo ambiente
naturale e sociale”, cit. A. Seppili 1966. È la definizione di un
grande igienista. Lo spirito della prevenzione è la
prevenzione della salute stessa.
Esiste infatti una interazione forte tra individui-salute-
ambiente perchè al centro ci sta l’uomo, quindi il significato
unitario della salute deve comprendere, nel suo insieme
globale, la componente fisica-mentale-sociale. Le
componenti immerse nell’ambiente e da questo influenzate:
•Ambiente interno (biologico, genetico );
•Ambiente esterno (naturale e sociale), modellato e
modificato dall’uomo stesso, quindi l’ambiente antropico.
I fattori casuali sono cause necessarie affinché avvenga una determinata malattia. Possono essere di
tipo:
• chimico→ sono agenti chimici che danno una precisa malattia, per esempio il saturnismo, cioè
assunzione di piombo a livelli tossici, così come l’avvelenamento da ossido di carbonio è legato
all’inalazione di esso, assunzione di arsenico dà l’arseniosi, e poi abbiamo avvelenamenti e
intossicazioni legati ai prodotti che usiamo in ambito industriale, o agricoltura come : mercurio,
pesticidi , benzene... quindi un preciso prodotto dà una precisa patologia. C’è un rapporto casuale.
• biologico → sono agenti eziologici, patogeni, che sono agenti di malattie infettive o possono essere
anche definite da infezione. Si tratta di malattie sostenute da un agente patogeno (metazoo, protozoo,
schizomicete, virus....) la cui presenza è necessaria affinchè la malattia si presenti, quindi è un fattore
causale: non c’è la tubercolosi se non c’è il micobattero tubercolare. Sono per definizione il campo
delle malattie infettive.
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Le malattie infettive:
Sono malattie che presentano una base eziologica e le possiamo suddividere in due ambiti:
- malattie infettive per contagio inter umano→ dette anche malattie infettive (epatite A,B,C,
HIV, tubercolosi... )
- malattie infettive non trasmissibili per contagio inter umano→ in questo caso va
specificato: quindi diremo malattie infettive non trasmissibili per contagio inter umano. (tetano,
legionella, toxoplasmosi).
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Fattori che condizionano l’andamento della patologia infettiva nella nostra popolazione sono:
- popolazione vecchia: inevitabilmente è una popolazione fragile, che ha tutti gli organi dell’età
del soggetto dunque il sistema immunitario di un ottantenne è meno efficace. È
l’invecchiamento della popolazione che favorisce l’impianto di patogeni.
- Calo di natalità
- Aumento di ricorso ai servizi diagnostici: che chiariscono meglio e ridimensiono il peso delle
malattie.
- Nuovi farmaci che sono stati “costruiti” e che hanno determinato pressioni selettive
sull’ecologia microbica (la farmaco-resistenza sta creando grandi problemi per la terapia e la
prevenzione perché allunga i tempi dell’eliminazione del patogeno e quindi di rischio per la
popolazione sana)
- Disponibilità di efficaci presidi immunitari
- Normative: dettate dalle scoperte scientifiche che indicano al legislatore cosa fare per ridurre
il pericolo. Per esempio le normative legate al controllo dell’unità di sangue per evitare le
malattie a trasmissione ematica, come epatite B, C, HIV... .
- Miglioramento delle condizioni igienico sanitarie e nutrizionali.
- Stili di vita che in parte sono migliorati e in parte no: dipende molto dal tipo si società e la
pressione dei mass media che non sempre indirizza verso scelte sane.
Tutto ciò ha portato alla nascita di nuove malattie e alla scomparsa di altre .
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Questa invece è una tabella del
2015 in cui vengono riportate le
cause di morte e non vediamo tra i
primi posti le malattie infettive,
quindi abbiamo un cambio di
società che ha portato malattie al
cuore, al tratto respiratorio basso,
cancro alla trachea, bronchi e
polmoni, Alzheimer ma anche
tubercolosi e ingiurie: vediamo
dunque le cause infettive sono sono
tra i primi posti.
Nel 2016:
Tubercolosi, HIV, malaria, epatite C
il colera e il morbillo (molto
importante anche sembra una
malattia del passato).
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Se facciamo una valutazione unica del presente, evidentemente le malattie infettive rialzano
quello che è il livello medio o basso dei paesi industrializzati ma ci sono. Teniamo presente che
se ci sono, il rischio permane.
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tipo lieve, grave o letale. La replicazione microbica porta inevitabilmente la stimolazione del sistema
immunitario, la produzione di anticorpi specifici e come nell’infezione, in questo caso in quantità
maggiore, l’eliminazione del patogeno all’esterno e quindi la sua diffusione.
Abbiamo due personaggi che possono rappresentare degli untori cioè dei trasmettitori di patogeni:
- infetti sani: che non hanno sintomatologia ma sono infetti e come tali possono diffondere il
patogeno; vengono anche chiamati portatori di un patogeno.
- malati: anch’essi eliminatori e quindi diffusori della malattia.
Nella malattia la condizione di infezione viene prima, quindi la malattia include l’infezione;
nell’infezione non è inclusa la malattia perchè in molti casi non si traduce in malattia.
La comparsa di una malattia in una popolazione è condizionata da diversi aspetti che riguardano il
patogeno, l’ospite e l’ambiente.
Aspetti relativi al patogeno: sono le caratteristiche del patogeno cioè la capacità di impianto e di danno.
Molto importante è la contagiosità che possiamo anche definire “diffusività” cioè la capacità di
diffondersi all’esterno; la capacità di “penetrare e colonizzare” nell’organismo, quindi di impiantarsi e
dare origini ad infezioni; la capacità di superare le difese dell’ospite attraverso due meccanismi diversi
che sono in possesso di diversi microrgansimi, di cui una è l’invasività (la capacità del patogeno di
restare nella sede di impianto, e dare il suo danno senza allargarsi senza raggiungere altri organi e
tessuti), l’altra è la tossigenicità cioè la capacita di produrre tossine che sono veleni che diffondono
attraverso il circolo e arrivando ad organi, tessuti e possono dare danni che poi rappresentano il cuore
della malattia.
Un altro aspetto importante del patogeno è la
contagiosità, cioè la capacità di passare da un
organismo ad un altro a seguito della sua
eliminazione durante il processo di infezione:
continua a moltiplicarsi e continua ad essere espulso
e così continua a raggiungere altri soggetti. La
contagiosità e la propensione di una gente di
diffondersi all’interno di una popolazione suscettibile
attraverso un contatto diretto o indiretto mediante
veicoli tra i vari soggetti.
Esempio: le infezioni causate dal virus del morbillo
sono infezioni ad alta contagiosità (un bambino con
morbillo, se entra in una classe, siamo sicuri che tutti i
bambini non immuni il giorno dopo avranno il
morbillo).
La contagiosità dipende da tante variabili, le più importanti sono 2:
1. Quantità : cioè la quantità di patogeni che vengono eliminati. Tanto più e grande la quantità di
patogeni che vengono eliminati tanto maggiore sarà la contagiosità.
2. Durata: il periodo in cui l’ospite è infettante, cioè il periodo in cui il soggetto in cui si è impianto il
patogeno continua ad essere infettante e continua ad albergare, quindi la durata del periodo di
infezione.
Il periodo di contagiosità: è il tempo durante il quale un
agente infettivo può essere trasferito direttamente o
indirettamente da una persona infetta ad un’altra
suscettibile, da un animale infetto all’uomo, da una
persona ad un animale, inclusi gli antropoidi.
La contagiosità è una caratteristica dei microorganismi
patogeni che può anche mancare, non è detto che tutti
siano contagiosi. In effetti le malattie infettive sono
malattia su base eziologica ma definiamo per malattie
infettive le malattie contagiose, cioè quelle causate da
patogeni che vengono eliminate per diverse vie dall’ospite
e quindi una trasmissione inter-umana. Mentre le malattie
infettive non contagiose sono le malattie infettive
11
sostenute da patogeni ,eliminati e non nell’ambiente, la cui
trasmissione richiede intervento esterno, cioè necessità di
determinati vettori o situazioni come la malaria, il tetano, il
botulismo.
Per patogeno opportunista si intende un microrganismo
ambientale (Pseudomonas aeruginosa) o commensale
(candida albicans, escherichia coli), che sono in grado di
determinare uno stato di malattia solo in presenza di una
caduta delle difese immunitarie dell’individuo: sono dei
m i c r o r g a n i s m i ch e i n u n o r g a n i s m o s a n o n o n
provocherebbero nulla, ma che in presenza di uno stato di
immunodepresisone diventano patogeni, quindi sfruttano
l’immunodeficienza parziale o totale.
In condizioni di carente risposta immunitaria possono colonizzare tessuti o organi che normalmente
sono sterili, o aggredire l’ospite a differenza di quando si verifica normalmente per esempio in un poli-
traumatizzato, ustionato, immaturo, in soggetti in cui sono state fatte terapie di immuno-spressiove,
cateterismo per tempi discreti o lunghi.
Infettività :
Elevata → infettano in maniera quasi totale gli individui: MORBILLO E POLIO
Media → infettano non tutti gli individui : ROSOLIA E
RAFFREDDORE
Bassa → in questo caso non basta un semplice
contatto, quindi è necessario un certo numero di
contatti e di patogeni : TUBERCOLOSI
Patogenicità:
Elevata →significa che tutti quelli che si infettano si
ammalano: MORBILLO E RAFFREDDORE
Media → ROSOLIA
Bassa → TUBERCOLOSI, POLIO, sono pochi i casi
di malattia sugli infetti
Virulenza:
Elevata → TUBERCOLOSI e POLIO, cioè è sempre una malattia grave nel momento in cui compare
Media → POLIO NON PARALITICA
Bassa → MORBILLO(i casi gravi ci sono e sono importanti ma non sono numerosi per questo ha
bassa virulenza) , ROSOLIA e RAFFREDDORE
Proprietà dell’ospite:
Sono le difese di cui esso dispone, si divide in difese specifiche e specifiche per contrastare l’evento malattia.
(legge immagine)
L a p o p o l a z i o n e m i c r o b i c a a l i ve l l o
dell’intestino compete con i patogeni e
combattono contro di loro per impedire una
invasione.
Per quanto riguarda l’immunità, che è uno stato di difesa nelle malatie infettive è dotata di una
componente non specifica, cioè innata o resistenza aspecifica che comprende meccanismi ancora non
perfettamente conosciuti, che sono presenti e non sono specifici per un particolare patogeno. Poi
abbiamo la componente specifica, che mostra un elevato grado di specificità oltre alla proprietà della
memoria ed è legata ad ogni singolo microorganismo e può essere riprodotta proprio grazie al
fenomeno della memoria in condizioni di rischio.
(legge immagine)
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L’infezione può avere una durata diversa e possiamo avere:
- infezioni acute : che si instaurano ma hanno un tempo breve. Gran parte delle malattie rientro in
questo gruppo;
- Persistenti o di lunga durata: possono durare mesi o anni ed è possibile fare una suddivisione delle
infezioni:
• croniche : l’agente eziologico non abbandona il soggetto anche se guarisce, può persistere per mesi,
anni o tutta la vita (HBV e HCV)
• latenti: a seguito della prima infezione trovarono un sito ideale per soffermarsi e rimanere silenti
ma poi possono manifestarsi di nuovo in momenti di stress e immuno-depresisone, quindi possono
slatentizzare.(HSV)
• lente : richiedono dei tempi molto lungo per esprime il danno, quindi ricordiamo CJD (colpisce
sistema nervoso ), SSPE (virus morbillo modificato).
La catene epidemiologica:
I microrganismi per sopravvivere e permanere in una
popolazione devono avere:
1. Un habitat naturale in cui riprodursi e diffondersi,
quindi un serbatoio e/o sorgente di infezione che
rappresenta un ambiente naturale in cui organismi
possono diffondersi.
2. L’opportunità di raggiungere altri ospiti suscettibili,
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attraverso veicolo e/o vettori. Per veicoli si intende tutto ciò che è inanimato (l’oggettistica, gli
strumenti...) per vettori si intende gli artropodi, che sono vivi.
Sono gli anelli obbligatori per la catena epidemiologica.
(legge la slide )
→ nella rosolia, nel morbillo , nella parotite...
serbatoio e sorgente sono la stessa cosa. Tutte le
malattie infettive contagiose vedono una forma sola
di di partenza del patogeno e consentono infatti la
trasmissione uomo-uomo.
→ come il tetano o la malaria.
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Le malattie che condividiamo con gli animali, quindi si parla di antropo-zoonosi sono:
- Brucellosi → derivano dagli ovini
- Salmonellosi → sono le salmonelle minori
- Toxoplasmosi
- Leptospirosi
- Rabbia
- ...
Tornando all’uomo come sorgente d’infezione vediamo in che modo il microrganismo può entrare e
uscire dall’organismo:
- via respiratoria → tramite vociferazione, tosse, starnuto, vengono eliminate bio- aeresol in cui oltre
alla saliva abbiamo batteri o virus che vengono eliminati nell’aria
- Via congiuntivite → via importare sia per entrare (perchè è a contatto con l'aria) che per uscire
attraverso le lacrime.
- Via orale /alimentare→ che continua con il tubo digerente e finisce con il retto (via di uscita)
- Via cutanea → che può essere percutanea o parenterale, più o meno superficiale (per esempio
inoculazione di patogeni). Se integra non permette il passaggio dei patogeni.
- Vai geniale→ che vede la possibilità di trasmissione anche attraverso la placenta oltre che attraverso il
latte.
- Via urinaria
Normalmente la via di ingresso è anche la via di uscita del patogeno.
Modalità di trasmissione:
Possono essere di 2 tipi:
-Orizzontale: uomo- uomo, è la modalità che può
essere diretta, semiretta o indiretta tramite dei
veicoli.
-Ve r t i c a l e : m a d r e - f i g l i o c h e p r e v e d e l a
transplacenatre e l’uscita dal canale del parto (?).
La modalità di trasmissione dipendono:
•Dalla resistenza che i microrganismi presentano
nell’ambiente;
•Dalle vie di ingresso obbligate e preferenziali degli
agenti patogeni (molti microbi hanno una elevata
affinità per organi o tessuti specifici: per esempio le
spore del tetano possono produrre infezioni
pericolose se penetrano da ferite della pelle, ma
rimangono del tutto innocue se vengono ingerite).
Si parla di:
(legge la slide)
→ per esempio anche dal becco degli uccelli è possibile che venga
trasmessa la clamidia, attraverso ferite .
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La via aerea è una tra le vie più importanti e vede la sua posizione
prioritaria nella trasmissione semidiretta, però è molto importante
anche nell’indiretta.
Vediamo nell’immagine la liberazione di goccioline di saliva liberate
da un forte starnuto o colpo di tesse: maggiore sarà la forza e
maggiore saranno le particelle liberate durante tali azioni.
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I circuiti di diffusione sono i percorsi raccolti attraverso i quali un microrganismo si esprime e va a
cercare suscettibili.
Sono 3:
1. Aereo→ vede aria come diffusione principale del patogeno emesso dalla sorgente
2. Fecale - orale → è legato alle malattie che possono essere assunse per via orale come acqua
alimenti e poi eliminate per via fecale
3. ematico→ sono diffuse per sangue
1) diffusione aerea: vede un circuito abbastanza complesso. Il malato portatore può mettere nell’aria
le secrezione ed arrivare direttamente al suscettibile se in condizioni di vicinanza, semidiretta... le
secrezioni possono anche sedimentare su strumenti specifici o veicoli ed ,in ambiente sanitario,
possono formasi dei bioaereosol (laboratori di analisi, studi odontoiatrici); tutto ciò si trova
nell’aria. Quindi può arrivare al suscettibile ma può anche depositarsi sulle superfici. Patogeni che
possono difendersi in questo modo sono morbillo, rosolia, tubercolosi, pertosse, influenza,
tubercolosi...
2) Diffusione fecale orale: prevede il malato portare che elimina con le feci o urine o mani in
presenza di cattiva igiene personale. In questo circuito intervenire un vettore importante che sono
le mosche che posso contaminarsi sulle feci, urine o quando i materiali organici vengono immessi
nell’ambiente senza previa depurazione o addirittura possono causare la formazione di liquami che
vengono usati per verdura frutta o riversati in mare e contaminare i frutti di mare e l’acqua,
trasmettendo in maniera indiretta all’uomo. Le mani possono causare la contaminazione di tutto
ciò che si tocca, non solo in ambienti tradizionale ma anche in ambiente sanitario. Poi abbiamo i
derivati del latte che possono essere contaminati se il latte in ordine lo è .
Le malattie coinvolte sono:
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3) Diffusione ematica: è particolare perchè in realtà spontaneamente il sangue, salvo un paio di
eccezioni naturali come il parto e le periodiche mestruazioni, in tutti gli altri casi il sangue è un
circuito chiuso. La trasmissione attraverso il sangue è facile e pericolosa ed avviene in maniera
indiretta attraverso materiali contaminati da sangue, sia da strumenti per la propria igiene personale
sia da strumenti sanitari, sia da superfici. La trasmissione diretta invece prevede la diffusione
attraverso le affettuosità e il parto. Tutto ciò che è contaminato da sangue sia casalingo che
sanitario, può causare la diffusine di malattie per vai ematica come: HBV, HDV, HCV e HIV
CURIOSITÀ :
Le catene di contagio:
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Andamento delle malattie nella popolazione, fattori di riferimento: tempo e spazio
- sporadiche → quando una malattia si manifesta in una popolazione in cui quella malattia è assente
da tempo; non si trasmette ad altri individui e resta un caso isolato.
- Endemica→ è sempre presente nella popolazione.
- Epidemiche →quando abbiamo malattie che si presentano contemporaneamente nella popolazione
o in un gruppo di individui entro un breve periodo di tempo ed hanno la stesa ordine (caso indice).
- Pandemiche → malattie che si estendono a livello mondiale sostenuto dallo stesso agente
eziologico.
Sono elementi molto importanti per conoscere le epidemie, studiarle e per vedere andamento e capire
come potere agire.
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LEZ.2 30/04 BERNI
Prevenzione
Prevenzione, ovvero, ogni attività messa in opera per evitare o almeno contrastare l’azione
di un qualsiasi fattore in grado di nuocere e che comporti una riduzione o perdita della
salute.
Le azioni che si mettono in atto sono volte ad evitare l’infezione, la malattia e
comportamenti dannosi e sono favorevoli all’aumentare le capacità di difesa dell’ospite.
Tutte le azioni della prevenzione, a seconda dello stadio di sviluppo della malattia,
vengono applicate sul singolo individuo, sulla collettività o sull’ambiente.
Prevenzione e profilassi sono la stessa cosa, sono termini che rappresentano lo stesso
concetto.
LA PROFILASSI INDIRETTA
La necessità di interventi preventivi può rendersi evidente in tempi diversi rispetto alla
storia naturale della malattia.
Qual è la storia naturale della malattia infettiva?
In una parte individuiamo l’incubazione; in quella successiva la malattia, individuata in
virtù della diagnosi; una fase finale che può coincidere con guarigione o morte o
cronicizzazione.
Il tutto perché una popolazione è esposta a fattori causali (si sta parlando di malattie
infettive, dunque monocausali, che necessitano della presenza del singolo agente
eziologico, il microorganismo, per potersi manifestare).
Per quanto concerne le malattie plurifattoriali avremo la seguente storia naturale
Oggi sia ha anche una profilassi quaternaria, del controllo farmacologico: si tende oggi,
sempre di più ad un eccesso di interventi farmacologici che possono comportare una serie
di danni.
LA PREVENZIONE PRIMARIA
La prevenzione primaria impedisce l’insorgenza di nuovi casi di malattie nelle persone
sane: gli interventi di prevenzione primaria sono tutti quelli destinati a diminuire
l’incidenza di una malattia in una popolazione, riducendo il rischio che si verifichino
nuovi casi di malattia (WHO).
LA PREVENZIONE SECONDARIA
Tale prevenzione agisce nei confronti del malato la cui condizione può essere palese o non
così evidente (misconosciuto).
Gli obiettivi della prevenzione secondaria sono quelli di evitare che l’infezione evolva
verso la malattia conclamata ed evitare conseguenze gravi a distanza.
Il limite è rappresentato, nelle malattie infettive, dal periodo di incubazione piuttosto
breve: è proprio in questa fase in cui la prevenzione agisce tentando di modificare il
percorso che porterebbe a malattia (tale prevenzione è efficace relativamente a poche
malattie come possono essere la TBC, HIV, reumatismo articolare acuto).
Tale livello di prevenzione si concretizza con lo screening, un importante metodo di
prevenzione per malattie non infettive, agisce prevalente su malattie cronico degenerative
o di interesse sociale.
LA PREVENZIONE TERZIARIA
Tale prevenzione cerca di recuperare gli ex malati (ovvero, traumatizzati, infartuati,
soggetti con disabilità, cosicché questi possano recuperare al massimo la loro potenzialità
relativamente alla condizione fisica).
Gli obiettivi sono ridurre i deficit conseguenti a malattie mediante una riabilitazione
mirata e offrire una migliore qualità di vita ed il reinserimento attivo nella società.
LA PROFILASSI DIRETTA
Si mette in atto nel momento in cui si riconosce
agente eziologico (ex. casi di epatite A in una
comunità di anziani, si conosce esattamente l’agente).
Tale profilassi consiste in un protocollo costituito di
più passaggi: denuncia o notifica obbligatoria,
accertamento diagnostico, dall’isolamento,
disinfezione, chemioprofilassi, etc.
Questa scaletta normalmente viene seguita passo
passo, ma esistono diverse malattie in cui non è
indispensabile attenersi a questa successione e sono
sufficienti solo alcuni di questi passaggi.
Nell’ambito della profilassi diretta distinguiamo l’atto della notifica i cui obiettivi sono di
carattere epidemiologico (ricostruzione della catena di trasmissione e quantificazione del
problema) e di carattere operativo (devono essere messi in opera alcuni interventi).
Secondo il Decreto Ministeriale - 29 luglio 1998 la notifica di malattie infettive deve avvenire
secondo una classificazione delle stesse. Esistono cinque classi di notifica in base alla
rilevanza epidemiologica, alla gravità, alla frequenza, alla possibilità di intervento,
all’interesse sul piano Nazionale e Internazionale. Si hanno tempi di segnalazione
differenti per le diverse classi; le malattie soggette a denuncia obbligatoria sono 47 (prima
erano 71) (ex. nel caso di COVID-19 era necessaria una notifica più precoce al fine di
allargare gli interessi a tutto il pianeta). La non notifica può avere conseguenze enormi.
Il sistema di notifica permette il trasferimento della notifica da organizzazioni minori fino
a organi nazionali: l’AUSL (Azienda Unità Sanitaria Locale) raccoglie le segnalazioni dai
medici, verifica, indaga, attua le misure di sanità pubblica e trasmette mensilmente i dati
alla regione; la regione raccoglie i dati da tutte le AUSL e li reinvia al Ministero, all’ISS e
all’ISTAT.
Alla notifica segue la conferma a scopo preventivo (ovvero, la messa in opera degli idonei
interventi di profilassi sanitaria; ex. La malattia della meningite è una tipica
infiammazione delle meningi e può essere causata da numerosi agenti eziologici come N.
meningitidis, S. pneumoniae o H. influenzae, dunque, risulta essere necessario adottare la
corretta profilassi terapeutica) e la verifica della guarigione microbiologica (occorre riconoscere
e controllare eventuali portatori convalescenti e cronici: oltre alla guarigione clinica deve
avvenire anche la guarigione microbiologica).
Isolamento stretto: si applica in caso di agenti altamente infettivi o molto virulenti che
possono essere trasmessi per via aerea o contatto diretto.
• Precauzioni: stanza separata (più pazienti se stessa patologia), con sistema di
ventilazione a P negativa, possibilmente dotata di anticamera, con porte a tenuta;
uso di indumenti protettivi, comprese maschere dotate di respiratori per tutti quelli
che entrano nella stanza.
Esistono tanti altri sistemi di sorveglianza per le diverse malattie che ci aiutano non solo a
conoscere il peso delle diverse malattie nella popolazione, ma anche a costruire e
indirizzare la sanità pubblica verso interventi più utili seguendo i cambiamenti
epidemiologici.
- AIDS/HIV; Antibiotico-resistenza; Botulismo; FLU- ISS; Haemophilus influenzae;
Legionellosi; Malaria; Malattia di Creutzfeldt-Jacob (MCJ) e sindromi correlate;
Malattie sessualmente trasmesse (MST); Morbillo; Morbo di Hansen; Rosolia in
gravidanza; Tubercolosi e micobatteriosi non tubercolari.
Antisettico e Batteriostatico
Si tratta di prodotti in grado di evitare o limitare la replicazione batterica
Antisettico: disinfettante ad uso “esterno”, ovvero, - cutaneo (assimilato ai disinfettanti e
per questo sottoposti agli stessi controlli);
Batteriostatico: prodotto ad uso “interno” (utilizzabile in vaccini/farmaci per garantire
una maggiore sicurezza del prodotto ed efficacia della terapia); somministrabile per via
parenterale.
• Antisepsi in Ospedale: si tratta di detersione e/o lavaggio delle mani del personale
sanitario con l’impiego di prodotti non irritanti per la cute e contenenti
antimicrobici adatti ad un uso frequente (Alcol-glicerolo, Glicerolo-clorexidina,
Glicerolo–ipocloriti, Triclosan).
Il motivo per cui non si parla di disinfettante ma di antisettico deriva dalla ripetibilità
dell’utilizzo: se non vengono utilizzati prodotti che rispettano la cute si avrebbe un danno;
è chiaro che l’utilizzo di un disinfettante sia più efficace nel sanificare la cute delle mani,
tuttavia l’utilizzo di tali sostanze è limitato a determinate casistiche, in quanto potrebbero
portare dei danni a livello della cute delle mani (se venisse lesa la barriera cutanea si
vanificherebbe un più facile accesso ai patogeni esogeni); per poter effettuare più volte la
pulizia della mani è preferibile usare un antisettico, ovvero, una sostanza che esegua la
pulizia delle mani senza intaccare la barriera cutanea.
Un’ulteriore vantaggio degli antisettici è l’auto-asciugamento.
Un antisettico è per esempio il clorossidante elettrolitico (Amuchina), Alcool, Iodofori. Etc.
Il ruolo della mano nella
trasmissione delle infezioni
1. TOCCA
2. TRASPORTA
3. TRASMETTE
In corrispondenza della mani può essere presente una comunità microbica transitoria (una
porzione ridotta rispetto alla totalità dei microorganismi presenti).
• Transitoria: si tratta del solo 20% dell’intero microbiota locale e questo è dovuto
principalmente al fatto che la maggior parte di questi microorganismi hanno un
periodo di sopravvivenza medio di circa 24h; tale popolazione microbica può essere
rimossa con il lavaggio (sociale, antisettico...); si depositano sulle mani dopo
contatto con oggetti o materiale contaminato Provocano facilmente infezione
causate prevalentemente da Gram (-), da batteri che si trovano negli starti cutanei
più superficiali.
• Permanente: si tratta del 40% del microbiota locale dato che sono in grado di
sopravvivere e di moltiplicarsi sulla cute; essendo normalmente presenti in tali
zone raramente sono causa di infezione. Avendo un tropismo così specifico ed
efficace non sono facilmente rimovibili e proprio per queste caratteristiche di
elevata specificità per la superficie rendono più difficile il fenomeno di
colonizzazione da parte di altre specie. Questa porzione del microbiota è formata
prevalente da microrganismi cocchi G (+) (come Staphylococcus epidermidis) che
vivono negli strati cutanei più profondi.
Le manovre che devono essere eseguite nei lavaggi analizzati non differiscono granché: in
entrambi i casi devono essere effettuati dei movimenti rotatori, assicurandosi la pulizia
negli spazi interdigitali; pulire il letto ungueale; etc.
Ciò che cambia è il periodo di tempo che deve essere impiegato per portare a termine la
procedura.
Ovviamente nel secondo tipo di lavaggio (asettico) non è necessaria la fase della
asciugatura che invece è consequenziale nel primo tipo di lavaggio (sociale):
l’asciugamento può avvenire tramite l’utilizzo di un panno di carta che viene poi buttato o
tramite un telo che deve essere non riutilizzato.
INOLTRE:
6. Prima e dopo l’utilizzo di guanti;
7. Se in corso di assistenza, ad un contatto con un sito contaminato segue un contatto
con altro sito corporeo;
8. Prima di manipolare farmaci, o preparare alimenti;
9. Prima di mangiare, fumare, portare le mani agli occhi o alla bocca, ecc.
10. Dopo essere entrati in contatto con sangue e qualunque altro liquido biologico.
Asepsi
Misura profilattica volta ad evitare l’introduzione di microrganismi in un
ambiente “sterile”.
Normalmente viviamo in un ambiente ricco di microorganismi e noi stessi siamo carichi di
microorganismi i quali possono essere trasmessi dal nostro organismo verso l’ambiente: i
meccanismi che possono favorire questo trasferimento sono per esempio la vociferazione,
il gesticolare, il compiere attività fisiche, etc.
È stato calcolato il quantitativo approssimativo della componente microbica che viene
diffusa:
I mezzi per mantenere la condizione di asepsi sono relativi all’utilizzo di dispositivi sterili,
adoperati in una azione invasiva o in sala operatoria, come per esempio mascherina,
guanti, sovra-scarpe, cuffie, camice, occhiali, visiere e teli.
Gli stessi diventano poi di mezzi di barriera quando sono usati nella routine delle corsie e
non vengono dunque usati per azioni invasive: sono quelli che chiamiamo DPI,usati
costantemente costante nella pratica sanitaria, non necessariamente sterili ma
igienicamente sicuri, sia per l’operatore che per il paziente (solitamente monouso).
È bene usare guanti sterili solo quando è strettamente necessario perché comunque hanno
un costo e bisogna considerare che una volta indossati ed utilizzati devono essere
necessariamente eliminati.
Disinfezione e sterilizzazione
Entrambi hanno come obiettivo della sanificazione i microrganismi: la sterilizzazione
elimina tutte le forme di vita; mentre il disinfettante può eliminare la maggior parte dei
microorganismi patogeni (ma non le forme di resistenza). Le pratiche non sono
perfettamente sovrapponibili.
Mezzi di disinfezione
Chimici à Disinfettanti;
Fisici à Calore, raggi UV, raggi gamma e filtrazione.
Esistono però delle eccezioni che prevedono l’utilizzo del disinfettante: in corrispondenza
di cute non integra, dunque, in presenza di ferite: è possibile effettuare la pulizia della
ferita; usato per la somministrazione di farmaci (via parenterale); per la preparazione del
campo operatorio.
Requisiti complementari:
1. Non ostacolare i processi di cicatrizzazione;
2. Non irritare i tessuti e non indurre sensibilizzazioni;
3. Evidenziare il campo disinfettato (se la superficie ha una sua tingibilità seppure
modesta è possibile evidenziare e circoscrive una zona).
• Temperatura ambientale
• Concentrazione del principio attivo della sostanza disinfettante
• Tempo di applicazione della sostanza disinfettante (il tempo tecnico per la reazione)
Possono esserci degli interferenti nei confronti della funzione del disinfettante:
• pH del mezzo in cui deve agire
• Presenza di materiale organico nel materiale da disinfettare (può neutralizzare l’efficacia
del disinfettante)
• Specie microbica
• Grado della contaminazione microbica (quantità)
• Natura del materiale da trattare (non distruggerlo, solo disinfettarlo)
Devono essere considerati tutti questi fattori in quanto alcuni potrebbero svolgere una
funzione interferente che può portare alla scelta di un altro prodotto: per esempio, il pH in
cui deve agire il prodotto, la presenza di materiale organico a protezione della specie
microbica, l’organizzazione del microorgansimo per cui questo può
essere sensibile o meno rispetto ad una determinata molecola,
bisogna considerare dunque la specie di appartenenza.
1- Efficacia alta, prodotto che riesce ad uccidere anche le spore se non sono in un
numero troppo elevato. (perossido di idrogeno, gluteraldeide, acido peracetico)
3- Efficacia bassa, serve all’abbattimento di batteri più fragili e molto comuni come
gram+, gram-. (clorexidina in ambito odontoiatrico, ammonio quaternario,
cloroderivati a bassa concentrazione).
ALCOOLI
Gli alcoli sono molto utilizzati perché hanno un potere detergente per la cute, i
termometri.
-Evapora rapidamente
ALOGENI
Il più utilizzato è il cloro nelle sue varie forme, sia di sali che di derivati organici.
L’elemento attivo del cloro è HCLO, acido ipocloroso, che si viene a formare
quando uniamo cloro con acqua. È dotato di rapida ed efficiente attività germicida.
Agiscono in fretta e i composti del cloro più utilizzati sono: ipoclorito di sodio,
ipoclorito di calcio, dicloroisocianurato di sodio.
La caratteristica comune del cloro e dei suoi derivati è quella di produrre acido
cloroso quando immersi in acqua. Il cloro è stato uno degli elementi più impiegati:
-depurazione liquami
-disinfezione verdura
Iodio
Tra i derivati dello iodio troviamo l’alcool iodato 2%, tintura di iodio 7%, soluzione
di luogo 5%, iodofori cioè i derivati organici dello iodio.
Ha un’azione ossidante dotato di una tingibilità persistente, cioè non va più via da
un tessuto. Sono ottimi disinfettanti ben tollerati dalla cute integra, infatti sono
utilizzati per la disinfezione del campo operatorio, prima di prelievi di sangue o
somministrazione di farmaci. Sulle ferite però mostrano un’azione istiolesiva, non
favoriscono la cicatrizzazione.
Caratteristiche:
È stabile e inodore
ALDEIDI
La formaldeide per motivi di politica del lavoro è stata proibita per le operazioni
routinarie di disinfezione e pulizia perché è una sostanza tossica e procurava
danno agli operatori come avvelenamento con dolori addominali, nausea , vomito,
ansia, depressione.
Oggi è utilizzabile in autoclavi nelle quali l’azione sterilizzante viene esplicata dal
sinergismo di due fattori: vapore, formaldeide, presidi termolabili.
Gli strumenti da disinfettare prima di essere immersi nella soluzione devono essere
lavati per rimuovere i residui organici.
• Sono soluzioni acquose allo 0,02 % rapidamente efficaci contro gram+ e gram-,
L’eliminazione del problema dei vapori è legata alla struttura del contenitore degli
strumenti, devono essere dotati di coperchio, aperti poche volte e velocemente
dotandosi di visiera mascherina e guanti.
I vantaggi: ha alta disinfezione, è utilizzata per materiali chirurgici che non possono
essere sterilizzati al calore, ha un ampio spettro d’azione sulle spore, ha attività on
presenza di materiali organici, azione non corrosiva su metalli, gomma, lenti di
endoscopi, facile da usare.
CLOREXIDINA
Buon disinfettante per batteri gram+ e gram-, è costituita da una molecola dotata
di carica positiva che viene attratta ed assorbita sulle superfici delle cellule
microbiche dotate di carica negativa.
- Anfoteri sono sia detergenti che disinfettanti attivi su gram+, gram- e miceti.
STERILIZZAZIONE
I dispositivi forniti allo stato sterile devono essere fabbricati e sterilizzati con un
metodo standardizzato e appropriato.
-Materiali e metodi per la conservazione della sterilità e dei presidi sterili: tipo di
materiale per il confezionamento e corretta conservazione dei presisi garantiscono
il mantenimento della sterilità sino al momento dell’utilizzo.
Le spore invece resistono fino a temperature pari a 110-120 gradi ed il tempo della
loro morte varia a seconda della saturazione del vapore presente. I protozoi e
miceti si comportano come batteri allo stato vegetativo.
(N.B. che i tempi di sterilizzazione che abbiamo citato prima non corrispondono ad
un intero ciclo di sterilizzazione MA solo alla fase 3 di sterilizzazione effettiva dei
materiali, l’intero ciclo dura di più)
4) Raffreddamento
-risciacquo
-asciugatura, deve essere effettuata per evitare che residui di liquidi possano
influire sull’efficacia della sterilizzazione
-sterilizzazione
-stivaggio
CONFEZIONAMENTO
-L’involucro e la
resistenza dell’involucro
consente il
mantenimento della
sterilità dell’oggetto.
-Test Bowie & Dick, è la simulazione della penetrazione del vapore nelle confezioni,
questo test ha la proprietà di cambiare totalmente il calore se sottoposto alla
temperatura e al tempo adeguato a quel processo di sterilizzazione.
-indicatori chimici
Procedura che serve a ricostruire tutte le fasi del processo di sterilizzazione tramite
registrazione su supporto cartaceo e/o informatico.
Tipologie di filtri:
Filtrazione di Gas
Per la filtrazione a gas sono utilizzate le kappe e i filtri HEPA che trattengono tutti i
tipi di particelle. Sono dotate di una cabina di sicurezza sia per gli operatori che
per il materiale ed esistono delle gradualità di queste cabine per la gravità del
prodotto che si manovra.
Radiazioni ionizzanti:
hanno una natura simile alla luce, si propagano in linea retta e sono prive di carica
elettrica, la lunghezza d’onda è inversamente proporzionale al loro potere di
penetrazione. Sono di origine nucleare e si formano per un processo di transizione
energetica che si accompagna a modificazioni della struttura interna del nucleo
atomico: se il nucleo è in stato di eccitazione per eccesso di energia rispetto al suo
stato di equilibrio vi è un ritorno allo stato più stabile con la liberazione di un
QUANTO DI ENERGIA. Sono emesse da isotopi radioattivi Co 60, Cesio137.
Raggi UV
Prodotti da lampade germicide con una scarica elettrica di vapori di mercurio a
bassa pressione contenuti in un tubo di quarzo. La lunghezza d’onda è di 2500 A.
Le moderne lampade di mercurio emettono almeno il 90% delle radiazioni a 253,7
nm. Sono poco penetranti, quindi solo ad azione di superficie, si propagano in
linea retta e agiscono sulle basi pirimidiniche degli citi nucleici formando dimeri fra
punti diversi modificando la funzionalità dell’acido nucleico. Agiscono separando
la doppia catena del Dna per rottura dei ponti H.
-caratteristiche dell’irradiazione
Applicazioni:
-bonifica dell’aria
MEZZI CHIMICI DI
DISINFEZIONE/
STERILIZZAZIONE
l’OSSIDO DI ETILENE
Prodotto utilizzato in USA a partire dagli anni ’60 per sterilizzare le apparecchiature
destinate ai voli spaziali.
La sua attività deriva dall’instabilità del ponte ossigeno che consente al radicale
CH2 di fissarsi su vari gruppi attivi come COOH, NH2, SH2 e OH così da bloccare
l’attività enzimatica.
Ha però grossi difetti: è infiammabile, a contatto con l’aria può formare miscele
esplosive, è irritante per mucose e cute, lascia residui sul materiale per cui bisogna
provvedere ad una fase di vuoto e ad una successiva fase di areazione.
Svantaggi:
-Pericolosità
-Reattività chimica
-Residui
Vantaggi:
-perfetta sterilizzazione
-costo contenuto
VANTAGGI:
-è un sistema sicuro sia per gli operatori che per l’ambiente: non lascia residui
tossici
SVANTAGGI:
Consente l’immersione degli strumenti in una macchina all’interno del quale c’è
acido peracetico ad una opportuna concentrazione. Gli strumenti non sono
confezionati e sono usati subito direttamente sul paziente.
L’acido peracetico però ha dei limiti perché è corrosivo sui metalli, adatto solo a
strumenti immergibili, è solo per materiali ad uso immediato. Ha anche dei
vantaggi, infatti è sporicida anche a basse concentrazioni, agisce anche in
presenza di sostanze organiche, è compatibile con molti materiali, ha rapida
azione, non è tossico e da come residui acido acetico, acqua e ossigeno, quindi
non contamina l’ambiente.
DISINFESTAZIONE
-Tipo di utilizzo
Esempi:
Scabbia = acari
Tigna = dermatomicosi
Prodotti insettorepellenti
-Ad uso cutaneo quando sono distribuiti sulla cute e tengono lontani gli insetti,
hanno azione protettiva di alcune ore e possono causare alcuni fenomeni irritativi
PROFILASSI
IMMUNOPROFILASSI PASSIVA
Negli anni ’20 Ramon inoculò il batterio della difterite in un cavallo, raccolse il
sangue ne prelevò il siero e lo utilizzò come farmaco. Individuò l possibilità di
usarlo non solo a scopo terapeutico ma anche a scopo preventivo quando la
forma non era ancora in atto.
Tuttavia i sieri sono di origine animale e possono indurre reazioni di tipo anafilattico
(ipotensione,orticaria, shock).
7/10 giorni dopo l’inoculo di sieri di origine animale si può manifestare la malattia
da siero (febbre,vomito,diarrea,orticaria e qualche volta nefrite, miocardite,
poliartrite, neurite).
Esempi di sierimmuni:
-Antiofidico: preparazione sterile contenente globuline antitossiche in grado di
neutralizzare il veleno di una o più specie di vipere.
Morso di vipera
È in genere molto doloroso, vi è fuoriuscita di siero e sangue dai due fori, la zona si
arrossa, si gonfia e risulta dolente.
Dopo circa mezz’ora dal morso di manifestano dei disturbi come: sete e
secchezza della bocca, cefalea e vertigini, tachicardia, calo di pressione, crampi ,
vomito, diarrea, shock. Il tutto da 30 minuti a 6 ore.
Il siero antivipera dal 2003 è somministrato solo in ospedale. Recenti studi hanno
dimostrato che solo un munero limitato di casi necessita di siero contro un rischio
elevato di shock anafilattico per il paziente.
IMMUNOGLOBULINE UMANE
Soluzioni sterili contenenti una concentrazione proteica di circa 16,5 grammi per
decilitro prevalentemente costituite da IgG e tracce di IgM e IgA. La
somministrazione è intramuscolare ma esistono anche preparati per la
somministrazione intra-venosa.
-IgG: preparate con il metodo Cohn (precipitazione con alcol a freddo) che
garantisce l’assenza di virus trasmissibili per via ematica.
La sicurezza di questi prodotti deriva dai controlli che la legge impone su ogni
unità di sangue destinata a trasfusione, derivati del sangue (albumina, fattore VIII,
piastrine).
Questi controlli risalgono al 1971 con un atto di Legge che impone il controllo per
Hbs-Ag, dal 1986 per HIV-Ab, dal 1988 per HCV-Ab, dal 2000 per HCV-RNA.
Nel 1941 Landsteiner e Wiener misero in evidenza nei globuli rossi di una scimmia
e successivamente in quelli umani un nuovo antigene che chiamarono fattore
agglutinogeno presente sulle emazie umane “Rh”, questo fattore determina la
comparsa di agglutinine specifiche nel sangue di altri individui.
Gli antigeni genericamente denominati in questo modo (Rh) sono in realtà circa 30
tutti come antigene D.
-si parla di incompatibilità materno fetale che si verifica in genere al secondo parto
o successivi
-questa incompatibilità provoca la malattia emolitica del neonato che nel passato
aveva gravissime conseguenze
ANTICORPI MONOCLONALI
-diagnostica sierologica
PROFILASSI FARMACOLOGICA
CHEMIOPROFILASSI
Le applicazioni:
-infezioni streptococciche (Strepto. Gruppo A)
Con la chemioprofilassi si tratta il soggetto una settimana prima della partenza per
la zona a rischio malarico con prodotti antimalarici. Bisogna continuare a prendere
il prodotto per tutto il tempo del viaggio e continuare anche al ritorno per altre
settimane.
-Profilassi pre-operatoria: esistono interventi “sporchi” cioè in zone del corpo in cui
sono presenti batteri come chirurgia gastroenterica, ginecologia, vascolare, quindi
bisogna attuare una profilassi prima dell’intervento che svolga l’azione di “ombrello
protettivo” nei confronti dell’intervento stesso ed eviti infezioni chirurgiche.
2)la consistente latenza tempo reale tra l’attivazione del processo e la sua
espressione clinica (per i tumori anche 20/30 anni)
-fattori individuali
Le patologie cardiovascolari sono le maggiori cause di morte: nel 2008 sono diventate
prima causa di morte anche per gli uomini superando i tumori. Tra le donne invece le
malattie cardiovascolari si confermano principale causa di morte 43%, i tumori 25%
rappresentano la seconda grande causa di decesso.
I fattori chimici hanno grande influenza: possiamo avere intossicazioni acute e croniche
da arsenico, monossido di carbonio, piombo; da sostanze naturali o di sintesi, oppure
sostanze genotossiche che causano danni irreversibili livello del DNA cellulare portando a
mutazioni nelle cellule germinali e somatiche e manifestazioni anche sulla prole.
-Fase di latenza
-Cronicizzazione
-Morte
In realtà una netta separazione tra elementi individuali e ambientali non è possibile. I
fattori di tipo comportamentale sono fortemente influenzati da elementi attribuibili
all’ambiente, considerando anche gli aspetti di carattere socio-culturale ed economico
che indirizzano verso definiti comportamenti.
Interazione gene-ambiente
FATTORI DI RISCHIO
Sono condizioni associate ad una maggior probabilità che si presenti una particolare
malattia. Non sono cause in senso stretto (infatti anche in assenza del fattore può
svilupparsi la malattia); per la stessa malattia ci possono essere più fattori e lo stesso
fattore può favorire più malattie.
I fattori di rischio devono essere studiati perché svolgono un ruolo importante nel dare
inizio e nel promuovere i processi patologici che portano alla manifestazione della
malattia. Non sono unici o specifici, e il loro ruolo eziologico è conosciuto e applicabile.
Per alcuni casi si possono calcolare il rischio relativo (incidenza negli esposti / incidenza
nei non esposti) che indica il grado e la modalità di associazione fra una patologia e un
fattore di rischio, e il rischio attribuibile (incidenza negli esposti - incidenza nei non
esposti), che indica in quale percentuale il fattore determina una malattia (parte di malati
che possiamo evitare eliminando il fattore). Ha una ricaduta importante quando la malattia
è frequente, ma non se è rara.
Igiene generale 7/05/2020
VACCINI
I vaccini probabilmente rappresentano il più efficace degli interventi in campo medico mai inventati
dall’uomo (superiori perfino all’acqua potabile). Sono interventi che si traducono in salvezze di vite
umane.
Nell’ambito delle malattie infettive distinguiamo:
• quelle prevenibili con vaccini (numero andato crescente dall’epoca di Pasteur);
• quelle non prevenibili attualmente con vaccini.
L’azione del vaccino è destinata esclusivamente all’ospite. Vaccinando l’individuo, questo diventa
immune e si va così a togliere una delle condizioni necessarie affinchè compaia una malattia infettiva
nella popolazione.
PRINCIPI DELLE VACCINAZIONI
I vaccini si basano sull’impiego di microrganismi o di prodotti metabolici o di componenti microbiche
in grado di indurre in modo attivo una risposta del SI.
Lo scopo della vaccinazione è certamente la protezione del singolo individuo che viene vaccinato
(PROTEZIONE INDIVIDUALE) ma, poiché si tratta di una pratica di sanità pubblica, più
individui si vaccinano più si ottiene protezione secondo la cosiddetta
“IMMUNITA’ DI GREGGE” à ‘muro’ di soggetti immuni che rendono difficile la circolazione
dell’agente eziologico e la sua espressione, proteggendo indirettamente anche i soggetti fragili e dunque
non vaccinabili.
Sono quindi due gli scopi della vaccinazione.
Purtroppo non abbiamo a disposizione tutti i vaccini che vorremmo avere in funzione delle malattie,
anche gravi; questo è legato a fattori che ne ostacolano fortemente la produzione:
• alcuni agenti eziologici hanno un’elevata capacità di mutare (variazione antigenica). È allora
dunque necessario creare un vaccino in grado di proteggere da tutte le varianti del
virus/batterio ma questo non è sempre così semplice.
• Vi sono sierotipi diversi (es rinovirus ha 100 sierotipi) i quali danno indipendentemente
malattia.
• Devono mancare le riserve animali: se avessimo come serbatoio oltre all’uomo anche
l’animale, la storia è più complessa perché non basta più immunizzare solo l’uomo.
• Alcuni virus si integrano nel DNA della cellula ospite (es. HIV) e anche questo complica la
vita alla produzione del vaccino efficace.
• Possibilità di alcuni patogeni di trasmettere l’infezione da cellula a cellula senza esprimere
antigeni virali e dunque non poter essere attaccato dal SI.
• Può esservi un infezione di cellule cruciali nel sistema immunitario.
VACCINI UCCISI: la risposta immune richiede mediamente 3 dosi in tempi diversi perché l’antigene
non si replica e viene via via eliminato. Con la prima dose abbiamo una prima produzione di anticorpi a
titoli piuttosto bassi; la seconda dose porta alla produzione di anticorpi a livello decisamente superiore e
con la terza dose si arriva a titoli simili a quello che avviene con un vaccino vivo ed attenuato.
ADIUVANTI
Sostanze in grado di aumentare l’immunogenicità di antigeni vaccinali stimolando una risposta immune
prevalentemente umorale o esaltare i meccanismi effettori cellulo-mediati.
I primi utilizzati sono stati gli oli minerali; oggi si utilizzano sali di alluminio, emulsioni olio acqua
(MF59-squalene; utilizzato soprattutto per il vaccino anti-influenzale); liposomi; virosomi e infine nano
e microparticelle.
1) L’adiuvante determina il deposito dell’antigene in sede di inoculazione e da li viene rilasciato
lentamente, perciò il SI se lo ritrova per tempi discreti e lunghi (lenta e continua stimolazione).
2) Attorno al deposito si ha una sorta di infiammazione (richiamo di plasmacellule e attiva produzione
di anticorpi).
3) Si ha poi l’attivazione dell’antigen presentin cells e del processamento genico,
4) l’attivazione della cascata del complemento,
5) la stimolazione della produzione di citochine di tipo 1 (attivazione prevalente dell’immunità-cellulo
mediata) o di tipo 2 (attivazione prevalente dell’immunità umorale).
CONSERVANTI
All’interno del vaccino possiamo avere anche altre sostanze come i conservanti batteriostatici (ad oggi
stanno andando verso l’eliminazione).
Sono per esempio il Thiomerosal (per HBV e alcuni preparati di D, T e Pa); questo inizialmente è
stato indicato come causa prima di sensibilizzazioni. In realtà studi hanno dimostrato che
l’ipersensibilità è dovuta a cloruro di etilmercurio e non al tiosalicilato (thiomerosal). Inoltre la quantità
contenuta nel vaccino è piccolissima.
E’ presente gelatina e anche albumina, seppur in quantità minima.
STRATEGIE VACCINALI
Vi sono tre obiettivi:
Þ CONTENIMENTO DELLA MALATTIA: l’obiettivo minimale dei vaccini è far si che la malattia
resti confinata e si riducano i numeri di malattia.
Þ ELIMINAZIONE DELLA MALATTIA (esempio: vaccinazione in età pre-pubere per la rosolia
per evitare poi in età fertile complicazioni congenite dovute alla rosolia stessa)
Þ ERADICAZIONE DELL’INFEZIONE: scomparsa definitiva dell’agente eziologico (ad oggi è
stato fatto solo per il vaiolo grazie alla somministrazione a tappeto a tutte le popolazioni di un
vaccino attenuato in grado di garantire forte immunizzazione).
Oggi in Italia sono in corso (per norme di legge) l’eradicazione di rosolia e morbillo.
Per la poliomielite si può parlare solo di una eradicazione parziale confinata a determinati territori
(tra cui l’Europa).
La scelta di una strategia vaccinale richiede:
- una conoscenza della storia naturale dell’infezione (età media della popolazione, durata dell’intervallo
inter-epidemico, prevalenza per età dei portatori dell’agente, tasso di natalità nella popolazione);
- conoscenza del grado di contagiosità del patogeno;
- conoscenza del tasso di copertura immunitaria che è necessario raggiungere per realizzare l’obiettivo
previsto.
L’ideale per la prevenzione sarebbe di arrivare all’eradicazione di tutte le malattie, soprattutto quelle con
un elevato peso sociale.
Gli elementi che ci consentono di affrontare il percorso di eradicazione sono:
• stabilità genetica del microrganismo
• assenza di serbatoi non umani (per questi il problema sarebbe a se complesso)
• l’immunità dev’essere permanente
• contagiosità breve
• quadro clinico specifico (in modo da riconoscere se rimane qualche caso di malattia)
• pochi casi asintomatici
• assenza di portatori cronici
• disponibilità di un vaccino efficace.
(in realtà per l’epatite B si potrebbe ottenere in tempi molto lunghi la sua eradicazione alla luce della presenza di
due elementi estremamente importanti come l’esistenza di un vaccino efficace e l’assenza di serbatoi non umani)
Qualunque sostanza estranea che si somministri (farmaco, vaccini) presenta controindicazioni; nel
caso dei vaccini queste possono essere
- temporanee di ordine generale: come malattie acute febbrili in atto tali per cui il vaccino non
viene somministrato; semplicemente si sposta la data di vaccinazione in modo da attenderne la sua
risoluzione.
- temporanee o permanenti relative a situazioni particolari:
1) stati di immunodepressione (riguardano i vaccini attenuati) à soggetti con immunodeficienze
congenite o secondarie a patologie (HIV, leucemie,…) o secondarie a trattamenti farmacologici
rappresentano controindicazioni temporanee se la situazione si risolve o permanente se permane lo
stato di immunodepressione.
2) Gravidanza (per vaccini attenuati) à non si vaccina una donna gravida con un vaccino attenuato.
3) Allergie a costituenti dei vaccini à possono realizzarsi reazioni locali o sistemiche a componenti del
vaccino come residui di antibiotici, conservanti, stabilizzanti. Se una delle componenti è allergizzante
o non si vaccina o il medico valuta la situazione e decidere se vaccinare sotto opportune condizioni.
Le applicazioni delle vaccinazioni derivano da quanto viene deciso a livello ministeriale e regionale nel
“PIANO NAZIONALE PREVENZIONE NAZIONALE” : questo è un documento di
riferimento ove si riconosce, come priorità di Sanità Pubblica, la riduzione o l’eliminazione di malattie
prevenibili da vaccino attraverso l’individuazione di strategie efficaci e l’applicazione di queste a livello
nazionale.
Il “piano nazionale vaccini” viene scritto ogni 3 anni e definisce il calendario obbligatorio e consigliato
delle vaccinazioni; inoltre può introdurre nuove vaccinazioni rispetto al precedente.
(il Piano del 2005-2007 ha introdotto 3 vaccinazioni obbligatorie:
§ anti-meningococco tipo C (per i bambini)
§ anti-pneumococco
§ anti-varicella
§ ha introdotto anche il richiamo per la pertosse al 12° e 14° anno, unitamente a Tetano-difterite già esistente.
Il piano del 2012-2014 ha fatto si che i vaccini fossero inseriti nei livelli essenziali di assistenza (LEA), in modo
da essere garantiti a tutti i cittadini e in tutto il paese. Tali vaccini sono: tetano-difterite-pertosse, poliomielite,
HBV, morbillo-parotite-rosolia, HIB, meningococco, pneumococco, influenza (in soggetti a rischio). )
Con il Nuovo Decreto Vaccini del 2017 le vaccinazioni obbligatorie e gratuite passano da 4 a 10
Le dieci vaccinazioni obbligatorie costituiscono un requisito per l’ammissione all’asilo nido e alle scuole
dell’infanzia (per i bambini da 0 a 5 anni).
L’attuale piano vaccinale 2017-2019 prevede al 3° mese di vita la somministrazione di vaccini per
difterite, tetano, pertosse, polio, epatite B, HIB e pneumococco; gli stessi li rivediamo in seconda e
terza dose al 5° e 11° mese di vita.
Alcuni di questi vengono richiamati nel corso del tempo per mantenere immunità/protezione a vita.
In particolare, al 6° anno c’è il primo richiamo per tetano, difterite, pertosse e polio; tra il 12° e il 18°
anno ancora un vaccino quadrivalente; da qui in avanti, insieme al tetano, viene mantenuta l’immunità
anche per difterite e pertosse, ogni 10 anni.
L’unico vaccino fatto al bambino nelle prime 24h dalla nascita è quello contro l’epatite B.
Al 13° mese intervengono le classiche vaccinazioni esantematiche dell’infanzia (parotite, rosolia,
morbillo, varicella), coniugate con il meningococco. Questi prevedono un’ulteriore somministrazione
per assicurarsi che nessuno non sia immunizzato e dunque poter arrivare all’eradicazione.
Si ha poi l’introduzione di un nuovo vaccino, anti-meningococco B, somministrato nel 1° anno di vita.
Un’ulteriore novità riguarda l’introduzione del vaccino anti-HPV per i maschi all’età di 14 anni.
Il vaccino per l’influenza può partire dal 6° mese a seconda delle necessità ed è molto importante per i
soggetti oltre i 64 anni.
E’ stato introdotto un nuovo vaccino contro il Rotavirus che dev’essere concluso entro il 2° anno di
età.
In caso di necessità (a seconda dell’epidemiologia del territorio), si può utilizzare dopo il 15° mese il
vaccino anti-epatite A.
L’obiettivo ultimo della ‘vaccinologia’ è sempre quello di migliorare le prestazioni (sicurezza e facilità di
somministrazione) e i preparati. Per questo motivo oggi abbiamo a disposizione vaccini pentavalenti
(D, T; Pa, IPV, HBV) ed esavalenti (D, T, Pa, IPV, HBV, HiB).
Vi sono poi vaccinazioni adeguate ai lavoratori à diversi lavori comportano rischi differenziati. In
particolare vi sono vaccinazioni obbligatorie (antitetanica e antitubercolare) e raccomandate (anti-
epatite A e B, anti-influenzale, anti-tifica, anti-rabbica,…).
VACCINAZIONE ANTI-TIFICA
È maggiormente necessaria in paesi in via di sviluppo come America latina, Asia e Africa in cui si
possono avere inquinamenti fecali dell’ambiente e carenti controlli delle acque potabili e degli alimenti.
Abbiamo due vaccini disponibili: uno ad uso parenterale (vaccino capsulare Vi) ed uno a uso orale
(Ty21a).
Il vaccino orale Ty21A è di tipo vivo attenuato e viene somministrato in 3 dose. Può essere utilizzato
quasi contemporaneamente alla chemioprofilassi malarica. Tale vaccino non deve essere somministrato
durante e fino a 3 giorni dopo trattamento con antibiotici e sulfamidici.
La durata dell’immunità conferita è di 2 anni.
VACCINO ANTI-MENINGOCOCCO
Si hanno a disposizione vaccini:
- coniugato monovalente C
- tetravalente (costituito dall’associazione di un polisaccaride con una proteina forte come la tossina
difterica)
- A + C + Y + W135
Si tratta di diversi preparati che hanno una diversa possibilità di somministrazione in rapporto all’età.
Il preparato C è somministrabile già dai 12 mesi di vita.
1) VACCINO ANTI-INFLUENZALE
I vaccini di cui disponiamo sono il vaccino “stagionale” e il vaccino “pandemico”.
Il vaccino stagionale protegge dall’epidemia che ogni anno da ottobre a marzo si presenta nel nostro
territorio. Il vaccino pandemico invece si esprime ogni 10 anni e riguarda tutto il pianeta; è un vaccino
costituito da un solo ceppo virale che è quello pandemico mentre quello stagionale è costituito da una
serie di ceppi che contemporaneamente si esprimono nelle varie parti del mondo.
- Per l’influenza stagionale abbiamo a disposizione un vaccino inattivo split (notevolmente
purificato), un vaccino inattivato a sub-unità (contenente solo gli antigeni emoagglutinina e
neuraminidasi; somministrabile ai più piccoli) e un vaccino adiuvato (per ottenere una protezione
forte negli anziani).
Vi sono poi altri vaccini per esempio a virus attenutati, utilizzati soprattutto in USA (sui giovani
adulti).
La scelta dei ceppi virali da inserire nel nuovo vaccino è, seppur studiata, una scelta probabilistica basata
sulla maggiore o minore probabilità che la combinazione virale in esame riesca ad infettare e dunque
che il vaccino riesca a neutralizzarla.
2) VACCINO ANTI-PNEUMOCOCCICO
I più importanti sono:
- Vaccino 23-valente a polisaccaridi nudi (contenenti 23 antigeni degli oltre 80 pneumococci
conosciuti)
- Vaccino 7-valente, a polisaccaridi coniugati
- Vaccino 13-valente a polisaccaridi coniugati
Tale vaccinazione è indicata per tutti gli anziani > 65 anni e in particolare per coloro che usufruiscono
di strutture sanitarie. E’ indicata inoltre per tutti i soggetti a rischio per patologie come malattie virali
respiratorie (es. influenza), malattie sistemiche debilitanti (neoplasie, diabete,…), infezione da HIV, stasi
polmonare e broncopneumopatie, insufficienza renale,… .
3) VACCINO ANTI-ZOSTER
Vaccino previsto per i soggetti > 50 anni. Lo zoster è una malattia molto dolorosa che può avere
complicanze anche pesanti. Il vaccino ha principalmente lo scopo di evitare la nevralgia post-herpetica
(molto difficile da attenuare).
Il vaccino può essere utilizzato:
- in persone che non presentano anticorpi anti-VZV e che hanno un’anamnesi negativa per varicella.
- in coloro che hanno già presentano l’herpes zoster.
-può essere co-somministrato con il vaccino influenzale inattivato.
-NON deve essere utilizzato in bambini e adolescenti.
VACCINO ANTI-MENINGOCOCCO B
E’ un vaccino di nuova introduzione che, pur essendo prevalentemente destinato all’infanzia, è
somministrabile a tutti qualora si verifichi una nuova epidemia da meningococco B.
E’ costituito da 4 componenti, è un vaccino a DNA, a componenti-adsorbito; la somministrazione è
intramuscolare profonda in bambini con almeno 2 anni.
E’ il primo vaccino prodotto con la tecnica della Reverse Vaccinology (ricerca di geni codificanti per
antigeni maggiormente immunogeni e assemblaggio di questi nel vaccino).
VACCINO ANTI-HPV
- Vaccino quadrivaente (costituito da 4 genotipi tra cui il 6 e l’11, frequentemente associati ai
condilomi e il 16 e 18 associati a tumori della cervice uterina).
- Vaccino bivalente à destinato alla protezione del tumore alla cervice uterina (genotipi 16 e 18).
- Vaccino 9-valente à proteggente nei confronti del tumore al collo dell’utero. E’ il vaccino che
oggi si usa nelle ri-vaccinazioni, essendo di neo-introduzione.
Attualmente manchiamo di vaccini importanti anche per i paesi industrializzati, come quello per HIV,
epatite C, Citomegalovirus (virus molto diffuso e che interferisce nella terapia per i trapianti),
Parainfluenza, virus respiratorio sinciziale ed Herpes simplex 2.
Per i paesi in via di sviluppo, oltre a quelli già citati come HIV, epatite C, Herpes simplex 2, mancano
vaccini fondamentali come quelli per la malaria e dengue.
FALSI MITI
Þ “Le malattie stavano già scomparendo prima dell’introduzione dei vaccini”
FALSO: un esempio tra tutti è quello della poliomielite à è sempre esistita ed epidemie si sono
verificate in Europa anche negli anni ‘50-60 in un periodo in cui le condizioni igienico-sanitarie
erano in netto miglioramento. Solo dopo l’introduzione del vaccino anti-polio si è assistito alla sua
scomparsa.
In generale dunque le malattie sono sempre esistite e si sono ridotte in virtù della loro vaccinazione!
Þ “I vaccini contengono additivi pericolosi”
Þ “I vaccini causano l’autismo”
FALSO: tutti gli studi scientifici eseguiti non hanno portato alcun dato che dimostri un nesso di
causalità tra vaccini e autismo.
Þ “I vaccini non sono efficaci, non proteggono il 100% dei vaccinati”
FALSO: in realtà è vero che non proteggono il 100% dei vaccinati ma proprio per questo motivo
bisogna avere e mantenere % di coperture vaccinali sempre alte. L’alto numero di soggetti
immunizzati impedisce la trasmissione delle malattie infettive anche alle persone che non hanno
risposto in maniera efficace ai vaccini (“immunità di gregge”).
In generale comunque la maggior parte dei vaccini è assolutamente efficacie essendo in grado di
ridurre più del 95% dei casi delle singole malattie.
Þ “I vaccini sono inutili e le malattie infettive sono state debellate dal miglioramento della qualità di vita”
FALSO: le malattie infettive non sono state completamente debellate, solo il vaiolo è scomparso e
grazie al vaccino. E’ solo grazie alla vaccinazione di massa che molte malattie infettive sono sotto
controllo e potrebbero essere debellate nel prossimo futuro.
Þ “Tutte le persone vaccinate contro l’influenza la prendono lo stesso”
FALSO: l’influenza è una delle malattie infettive a maggior impatto sociale. Il vaccino contro
l’influenza è un valido strumento di prevenzione, ma molti altri virus (rhinovirus, adenovirus, virus
parainfluenzali,…) possono provocare una malattia simile all’influenza. E’ facile che in periodo
invernale, nonostante la vaccinazione fatta, incappiamo in una malattia simil-influenzale e questo ci
da l’impressione che la vaccinazione non abbia funzionato.
Þ “La maggior parte delle malattie prevenibili coi vaccini sono scomparse o quasi.. perché dovrei vaccinare mio
figlio?”
FALSO: la perdita della percezione del rischio a fronte della scomparsa/sporadicità di numerose
malattie infettive è uno dei principali motivi che hanno portato al calo delle coperture vaccinali. La
vaccinazione resta uno strumento di prevenzione indispensabile per la protezione individuale e della
comunità. In assenza di vaccinazioni si formerebbero sacche di suscettibili che favorirebbero la
malattia.
Þ “I troppi vaccini possono sopraffare e indebolire il SI”
FALSO: fin dalla nascita il nostro SI incontra migliaia di virus, batteri, allergeni, ecc… Questo per
dire che il SI è in grado di riconoscere e rispondere contemporaneamente ad un elevatissimo
numero di antigeni.
Þ “L’infezione naturale è meglio della vaccinazione: prima del vaccino tutti facevano il morbillo e la rosolia e
nessuno è mai morto per questo”
FALSO: l’infezione naturale da morbillo provoca gravi complicanze come encefalite (1 su 1000
bambini) e la morte (2 su 1000 individui). Al contrario la vaccinazione MPR può provocare, come
complicanza, una grave reazione allergica solo in 1 su 1mln di soggetti vaccinati.
Þ “Tanti vaccini somministrati con un’unica puntura sono dannosi”
Lez n.5 14/05/20
La tetanospasmina agisce bloccando il riflesso inibitore del riflesso da stiramento muscolare, bloccando
la liberazione di mediatori chimici. Per cui ad ogni contrazione muscolare segue la contrazione dei
muscoli antagonisti (da qui lo spasmo/tetania). Il risultato è una contrazione spastica di tutta la
muscolatura.
PATOGENESI
Da punto di vista patogenetico, la spora penetra nei tessuti tramite lesioni cutanee e, se trova
nell’ambiente condizioni di anereobiosi, realizza la germinazione, ovvero realizza la forma vegetativa del
batterio che inizia a produrre la tossina. Questa, essendo un’esotossina, viene liberata dalla cellula
batterica e diffonde raggiungendo il SNC interagendo con in neurotrasmettitori.
Dal punto di vista clinico, il periodo di incubazione può andare dai 3 ai 21 giorni, in relazione anche alla
sede di penetrazione. La forma più frequente è quella della manifestazione generalizzata che si
manifesta con sintomi di trisma discendente anche a livello dei muscoli respiratori.
EPIDEMIOLOGIA
Il serbatoio di infezione è l’intestino degli erbivori, in quanto il tetano è un commensale di questi animali.
Da qui è eliminato nel materiale fecale sotto forma di spore. Quindi si tratta di una zoonosi, l’uomo non è
contagiante ma diventa un ospite occasionale del batterio. La modalità di trasmissione più rilevante
sono traumi, ferite e punture. I fattori che predispongono la germinazione della spora sono:
PROFILASSI
La denuncia per quanto riguarda la contrazione della malattia è obbligatoria già dal 1955. La disinfezione
è effettuata tramite una pulizia accurata della ferita per cercare di predisporre l’ambiente alla
germinazione della spora. E’ inoltre importante l’indagine epidemiologica per venire a conoscenza di
come ci si è feriti per attuare una profilassi specifica. Per questa pratica si hanno a disposizione sia una
profilassi attiva mediante una vaccinazione contente l’anatossina tetanica, sia una profilassi passiva
contente immunoglobuline specifiche dette anche iperimmuni.
La profilassi del soggetto adulto che sia ferito tiene in considerazione lo stato vaccinale e il tipo di ferita.
PERTOSSE
E’ una malattia grave della prima infanzia. Si tratta di un’infezione respiratoria molto contagiosa causata
da Bordetella Pertussis. La pertosse ha un andamento endemo-epidemico, ovvero è sempre presente nel
territorio ma ogni tanto si esprime in forma epidemica. Il primo vaccino è stato prodotto e distribuito
nel 1926.
La pertosse colpisce prevalentemente i bambini provocando una tosse stizzosa, spasmi parossistici per
ripetuti accessi di tosse non intervallati da atti respiratori, spesso seguiti da caratteristico urlo
inspiratorio ad alta tonalità, inoltre è frequente il vomito dopo l’accesso.
AGENTE EZIOLOGICO
La Bordetella pertussis è un coccobacillo Gram - asporigeno. E’ un bacillo molto labile nell’ambiente,
quindi facilmente inattivabile. Il potere patogeno di questo batterio è legato a suoi componenti
particolari (usati come antigeni nel vaccino) tra cui:
- Tossina Perotossica (PT) = esotossina termolabile, ritenuta responsabile delle principali attività
patogene
- Pertactina = proteina di parete trovata in tutti i ceppi virulenti di pertussis, favorisce l’adesione
alle cellule sensibili
- Agglutinogeni vari presenti nelle fimbrie
- Emoagglutinina filamentosa (FHA) = componente della parete, importante fattore di adesione
all’epitelio cigliato del tratto respiratorio
PATOGENESI
Il batterio penetra per via aerea e si localizza sulla mucosa tracheo bronchiale aderendo alle cellule
bronchiali e iniziando a moltiplicarsi. Il batterio non entra in circolo ma rimane qui legato provocando
una flogosi catarrale dell’epitelio con necrosi a livello della zona basale probabilmente legata alla
tossina. Provoca inoltre irritazione della mucosa che si manifesta con l’accesso parossistico. La pertosse
si può definire come una malattia sistemica mediata dalle tossine.
CENNI CLINICI
Ha un’incubazione che va dai 5 ai 10 giorni, ma può arrivare anche a 21 giorni. All’inizio dà manifestazioni
simili alle flogosi delle alte vie respiratorie con tosse aspecifica e febbre bassa. La manifestazione clinica
si suddivide in 3 fasi:
Si ha un grado di letalità non trascurabile nel bambino molto piccolo legato sia a complicanze
respiratorie (a causa di accessi parotossici particolarmente acuti che possono sfociare in crisi di apnea) e
complicanze neurologiche (legate ad anossia cerebrale, si manifestano con crisi convulsive di breve
durata)
Riassumendo la gravità della malattia è inversamente proporzionale all’età: nel 20/50 % dei neonati al di
sotto dell’anno di vita è necessaria l’ospedalizzazione.
PERTOSSE NELL’ADULTO
La malattia è di solito lieve, si calcola mediamente che ogni anno il 7% di adulti sia colpito da pertosse,
tanto che il serbatoio di infezione per i bambini si pensa siano proprio i genitori.
EPIDEMIOLOGIA
L’uomo è l’unica sorgente di infezione, sia l’uomo adulto con forme misconosciute che il bambino sotto
forma di malato che il portatore precoce. E’ una patologia presente in tutto il mondo senza differenze
geografiche. Ha un andamento endemo-epidemico ma si presenta prevalentemente nei mesi freddi.
La diffusione avviene per via aerea mediante le secrezioni respiratorie emesse con la tosse. Essendo
l’organismo molto fragile nell’ambiente la contagiosità è legata alla vicinanza tra il malato e il
suscettibile. Questa però è molto elevata e si stimano oltre 40 milioni di casi all’anno.
Il periodo di contagiosità è massimo nello stadio
catarrale, prima dell’insorgenza della tosse parossistica.
Il trattamento con eritromicina riduce il periodo di
contagiosità a 5/7 giorni. La gravità è massima nel primo
anno di vita e in relazione anche alla malnutrizione dei
bambini nei paesi del terzo mondo. L’incidenza della
pertosse solitamente è bimodale: ovvero è massima nel
primo anno di vita, poi ritorna alta intorno ai 10/14 anni.
Il ritardo nella vaccinazione provoca dei consistenti problemi per i neonati, quindi la permanenza e la
gravità della pertosse nel bambino piccolo.
PREVENZIONE
Ove possibile bisogna attuare l’isolamento di 7 giorni per evitare la diffusione del contagio. E’ suggerita
una chemioprofilassi con eritromicina per conviventi e contatti per 14 giorni; inoltre disinfezione degli
ambienti. Esistono 2 vaccini anti pertosse:
L’efficacia della protezione dopo l’infezione naturale è lunga ma decade dopo una ventina di anni,
mentre quella da vaccino decade un po’ prima.
La vaccinazione è utile anche per gli adolescenti per proteggerli dalla pertosse mantenendo anche gli
standard di protezione per tetano e difterite (essendo il vaccino somministrato insieme a questi ultimi).
Il neonato deve essere circondato da persone immuni, in quanto sono i più soggetti alle forme gravi.
Quindi è importante l’immunizzazione dell’adulto per proteggere il bambino.
MORBILLO
Malattia virale molto contagiosa, in periodo pre-vaccinale colpiva la totalità dei bambini. E’ una malattia
ancora causa di morte nei bambini piccoli nei paesi del terzo mondo anche se è disponibile un vaccino
efficacie dagli anni 60.
Il virus del morbillo è un virus a RNA con un importante antigene di superficie (l’emoglutinina) con vari
ruoli nella patogenicità. E’ un virus molto fragile, inattivabile al calore e alla luce.
PATOGENESI
Dal punto di vista patogenetico il virus penetra per via aerea, e si va a replicare nella regione
nasofaringea e nelle cellule linfo-monocitarie determinando leucopenia rendendo il bambino più
esposto ad altre infezioni. La viremia primaria si manifesta dopo 2/3 giorni dopo l’esposizione a cui
segue dopo una settimana una viremia secondaria che porta la diffusione del virus in tutto l’organismo,
portando alla manifestazione di esantema a livello cutaneo.
CENNI CLINICI
Ha un periodo di incubazione di 10/14 giorni. Ha una prima fase prodromica che si manifesta con febbre,
raffreddore e congiuntivite, e un chiaro elemento patogneomonico: le macchie di Koplick nella mucosa
orale. Produce rush a livello cutaneo sotto forma di esantema che dura mediamente 5/6 giorni con
diffusione cranio-caudale.
Normalmente il morbillo ha un decorso benigno e una prognosi buona, ma son o possibili gravi
complicanze come complicanze respiratorie (più frequenti nei bambini al di sotto dei 5 anni di età) e
complicanze neurologiche (più frequenti se il morbillo è contratto dopo i 9 anni di età, con tipica
encefalite post-morbillosa). Un’altra importante complicanza neurologica può essere la Panencefalite
sclerosante subacuta (SSPE), una forma degenerativa del SNC, che è rara ma fatale. I primi segni che
indicano questa malattia sono cambiamenti di personalità, con deterioramento mentale. Porta a morte
entro 1 o 2 anni.
EPIDEMIOLOGIA
Si riconoscono 3 fasi:
1. Fase pre-vaccinale = prima del 63, quando non si disponeva di un vaccino efficacie
2. Fase di controllo = dal 63 al 2000
3. Fase di eliminazione = dopo il 2000
Nei paesi sottosviluppati si ha un’elevata morbosità in relazione al numero di figli, inoltre le abitudini di
vita comportano complicanze più frequenti e gravi e un’elevata letalità. Nei paesi industrializzati invece
dopo l’estensione della vaccinazione si è vista una netta riduzione della circolazione del virus. Si è
assistito però ad uno spostamento di infezione nella seconda terza infanzia e nel giovane adulto con
manifestazioni anche molto gravi.
La sorgente di infezione è l’uomo, precisamente il malato e il portatore precoce. Si trasmette per via
aerea ma anche indiretta tramite i nuclei essiccati delle goccioline di fludge. Come tutte le forme
respiratorie si manifesta maggiormente in inverno e la contagiosità si attesta da 4 giorni prima a 4 giorni
dopo la comparsa del rush.
PROFILASSI
Va effettuata disinfezione continua al letto del malato e ci sono 2 forme di prevenzione per l’individuo
sano:
1. Profilassi immunitaria specifica = vaccino vivo attenuato con un’efficacia elevatissima che
conferisce immunità per tutta la vita. E’ somministrato in associazione ad altri 3 virus
dell’infanzia (varicella, rosolia e parotite). La strategia di vaccinazione prevende una prima
somministrazione al 12 mese di vita e una seconda somministrazione dal 6 al 12 anno. La
vaccinazione può comprendere anche adulti ad alto rischio (studenti, viaggiatori internazionali,
personale sanitario…). Ci sono precauzioni da assumere per la vaccinazione con il vaccino MPR:
Questa può dare varie reazioni allergiche, non può essere utilizzato in gravidanza, soggetti con
deficit immunitari, soggetti con malattie acute in corso, soggetti con allergie alle proteine
dell’uovo. Alcuni anni fa è stata lanciato il sospetto di una possibile correlazione tra il vaccino
MPR e l’autismo. Numerosi studi oggi accertano che non esiste associazione tra le due cose.
2. Sieroprofilassi = possono essere usate Ig normali oppure Ig specifiche
PAROTITE
La parotite è una malattia ad eziologia virale. L’agente eziologico è un virus a RNA dotato di pericapside.
Importanti sono 2 glicoproteine di superficie (H-N ed F), in quanto sono responsabili del legame e della
fusione con la membrana della cellula ospite. Gli anticorpi diretti contro questi antigeni superficiali
neutralizzano l’infettività del virus (anticorpi neutralizzanti). Il virus è inoltre inattivabile al calore, dai
raggi UV, dalla formalina
PATOGENESI
Il virus si trasmette per via aerea, la prima moltiplicazione la si ha a livello della naso-faringe e dopo 12/24
giorni si ha una diffusione viremica a numerosi tessuti incluse le meningi, le ghiandole salivari…
L’incubazione è di 14/18 giorni e poi si manifesta con sintomi aspecifici come mialgia, anoressia,
malessere. Nel 20% dei casi l’infezione è asintomatica. In un 40/50% si ha una forma specifica e nel
restante 30% si sviluppa una forma respiratoria con parotite mono o bilaterale. Spesso si auto risolve in
7/10 giorni.
La definizione di caso di parotite: è un’infiammazione acuta mono o bilaterale delle parotidi o delle
ghiandole salivari per più di 2 giorni senza altre cause apparenti. Di per sé la parotite non è una malattia
temibile, ma può dare diverse complicanze anche gravi tra cui: orchite, ovarite, pancreatite, sordità,
mortalità. Inoltre aumenta il tasso di aborti spontanei.
Dal punto di vista della distribuzione geografica è un virus presente in tutto il pianeta e diffuso in modo
abbondante.
EPIDEMIOLOGIA
Il periodo di contagiosità va da 3 giorni prima a 3 giorni dopo la comparsa dei sintomi. Si trasmette per
via aerea, ed ha una resistenza ambientale abbastanza bassa.
PREVENZIONE
E’ previsto l’isolamento respiratorio per 9 giorni dall’inizio della malattia, la disinfezione va
continuamente effettuata al letto del malato. Il periodo di contumacia è di 12 giorni. Per proteggere
l’adulto si utilizza un vaccino, attualmente somministrato come vaccino trivalente MPR. Le
controindicazioni del vaccino sono sempre le stesse viste in precedenza per il morbillo.
INFLUENZA
Malattia respiratoria acuta di origine virale, con
un andamento tipicamente epidemico. Il virus
dell’influenza è un virus ad elevata contagiosità
ed elevata variabilità che si traduce in
un’elevata instabilità genetica. Si diffonde
quindi in modo rapido, veloce e intenso. E’ un
virus a RNA che si caratterizza per una serie di
errori di trascrizione che danno luogo a
possibilità di riassortimento frequenti.
L’acido nucleico è composto da diversi segmenti che sono in grado di produrre una componente
antigenica del virus. Questa segmentazione è alla base di uno dei due sistemi di mutazione del virus.
Quando il virus raggiunge una cellula suscettibile si lega con i suoi recettori alla superficie cellulare che
poi ingloba il virus e formando un vacuolo. L’emoagglutinina riconosce come recettori cellulari i
mucopeptidi contenenti acido sialico e la neuraminidasi è in grado si idrolizzare questo acido.
- Virus di tipo A = unico tipo che dà forma a pandemie, in grado di colpire tutte le fasce di età e in
genere dà luogo alle forme più gravi di malattia
- Virus di tipo B = colpisce prevalentemente bambini e giovani, sono note diverse varianti. Questo
tipo è solo umano
Esiste una diversa nomenclatura dei virus influenzali: questa prende in considerazione diversi dati come:
la ribonucleoproteina che mi dice di che tipo è il virus (A,B,C), il posto dove è stato isolato quel ceppo
(Moscow, Solomon…), numero del ceppo, anno di primo isolamento, sottotipo. Ad esempio ci sarà il
virus A/Moscow/21/2001/H3N2.
VARIABILITA’
Ci sono 2 tipi di variazioni genetiche del virus:
- Antigenic Drift = variazioni minori che cambiano in piccola parte il virus modificando l’HA
oppure la NA. Può colpire sia il tipo A che il tipo B e si traduce nella comparsa delle epidemie
annuali. E’ un fenomeno dovuto a piccole mutazioni dei geni che sintetizzano HA e NA, che
portano un vantaggio al virus quando deve sopravvivere, quindi diffondersi in una popolazione
già estesamente immunizzata.
- Antigenic Shift = variazioni maggiori che si verificano solo nel tipo A, che portano ad un
cambiamento radicale del virus. Ciò porta alle pandemie mondiali. Il virus è totalmente nuovo
quindi anche la popolazione è suscettibile.
Il virus A dispone di un ampio serbatoio animale, specialmente in animali selvatici, per poi essere
trasferito da uccelli migratori. Questi lo trasferiscono in diversi territori dove può poi passare anche ad
animali domestici (anatre, polli, tacchini, cavalli, suini…). Dove vi è una condivisione di habitat tra uomo
e animali è più probabile la trasmissione da animale a uomo e quindi nascita di un virus pandemico.
Shift Antigenico
Co-infezione = due virus di sottotipo diverso infettano la stessa cellula nello stesso momento e si
scambiano materiale genetico (fenomeno del riassortimento). Spesso questo fenomeno
avviene nel suino poiché ha dei recettori cellulari specifici sia per gli aviari che per l’uomo.
Salto di specie = passaggio diretto da specie a specie. Molto raro ma è successo nel 1918.
Ricomparsa di ceppi antichi
Per quanto riguarda la varietà di HA, ad oggi, solo la H1, H2, H3 hanno dato forme epidemiche nell’uomo;
mentre per le NA l’uomo è stato colpito dalle N1, N2.
Nel secolo scorso si sono verificate 3 pandemie mondiali, l’ultima invece risale al 2009 causata dal
sottotipo H1N1.
INFLUENZA PARTE 2
IL VIRUS
LA PREVENZIONE
La prevenzione si avvale di misure di ordine generale:
• La notifica: è estremamente importante poiché è soggetto a sorveglianza di tipo internazionale,
in quanto è un problema del pianeta, se fosse un virus nuovo genererebbe una pandemia;
• La vaccinazione: è una pratica di sanità pubblica rivolta a tutta la popolazione in generale.
Misure di prevenzione individuale, che rappresentano il sistema di vita e di basano su:
• Lavaggio delle mani;
• Igiene respiratoria: quindi coprirsi bocca e naso quando si starnutisce o tossisce, e dopo lavarsi
ovviamente la mani;
• Isolamento volontario una volta che compaiono i sintomi respiratori;
• L'uso di mascherina in ambiente sanitario da parte di chi presenta i sintomi respiratori.
L'efficacia del vaccino, da cui dipendiamo in gran parte per la prevenzione, è fortemente condizionata
dal sistema di sorveglianza virologica ed epidemiologica dell'influenza, che è fondamentale per
l'eventuale comparsa di ceppi nuovi, mutati, che avrebbero delle opportunità in più nell'instaurarsi in
una popolazione che è stata vaccinata per il ceppo precedente; gli obiettivi sono quindi la
caratterizzazione del ceppo stagionale ed eventuali ceppi mutati, che serve per l'aggiornamento del
vaccino. Come sappiamo per l'influenza non esiste un vaccino valido per sempre, ma dobbiamo disporre
per forza di un vaccino stagionale, costruito in modo da comprendere quei ceppi che con migliore
probabilità avranno modo di attecchire nella popolazione. Un altro obiettivo è comprendere le
dimensioni dell'epidemia, quindi che impatto ha avuto sulla popolazione.
Per quanto riguarda la rete di sorveglianza virologica, ogni nazione ha un suo laboratorio di riferimento,
che in Italia è l'Istituto Superiore di Sanità; poi ci sono gli enti per le 5 regioni OMS, quindi ad esempio
Atlanta, Ginevra, Copenaghen, ecc.., ai quali confluiscono tutti i diversi virus che sono stati isolati nella
stagione invernale.
I vaccini che abbiamo a nostra disposizione sono di 4 tipi:
• Vaccino Split, dove il virus viene disgregato con solventi lipidici, quindi si staccano i vari pezzi e
si può raggiungere un'ottima purificazione, rimane una traccia di envelop con NA e HA, ma il
materiale interno viene eliminato. Sono tra i vaccini meno reattogeni;
• Vaccino a sub-unità, dove all'interno della fiala è presente solo HA e NA, quindi solo gli antigeni
immunogeni dell'influenza. Questi sono quindi ancora più tollerabili;
• Vaccino adiuvato con MF59, è un vaccino dove MF59 potenzia il potere immunogeno del
vaccino e quindi ottiene una risposta migliore negli anziani;
• Vaccino vivo attenuato, uscito in America nel 2012 e approvato in Italia nel 2014, anche se
ancora poco utilizzato.
Si tratta sempre di vaccini aggiornati con le nuove varianti di virus che sono state verificate nella
stagione epidemica precedente, che hanno mostrato un grado di variabilità che gli offre una chance in
più per diffondersi nella popolazione generale.
Uno dei problemi più grossi nella preparazione dei vaccini è la tempistica; in febbraio vi è la riunione
annuale del WHO dove vengono scelti i ceppi per il vaccino dell'anno successivo sulla base di tre tipi di
informazioni: le analisi genetiche e antigeniche dei virus isolati, le indagini epidemiologiche e
virologiche e le indagini sierologiche. Tra febbraio e marzo avviene la scelta che ceppi che vengono poi
date alle case produttrici di vaccini, la quali hanno circa tre mesi per produrre il numero di fiale che si
ritengono utili per il vaccino. Questo per arrivare tra luglio e agosto a controllare e validare i vaccini da
parte dei laboratori dell' ISS, che va quindi a effettuare controlli di efficienza, efficacia, innocuità e
purezza, e autorizzarli alla produzione e alla vendita, poiché il vaccino dovrebbe essere disponibile nelle
farmacie e nelle ASL entro ottobre.
Il fine della vaccinazione è quello di proteggere se stessi per proteggere gli altri. Gli altri sono i soggetti in
ambito familiare, in ambito lavorativo, in ambito sociale e in ambito medico, dato che è una malattia
non così banale se va a colpire soggetti con una fragilità tale da portarli ad avere conseguenze molto
impegnative.
I soggetti che dovrebbero andare incontro a vaccinazione sono:
• I soggetti da vaccinare per motivi medici. Vengono inclusi tutti coloro che hanno un'età
maggiore o uguale ai 64 anni, perché per definizione sono i soggetti che soffrono di una o più
malattie cronico-degenerative che li rendo più a rischio di complicanze gravi; i soggetti di
qualunque età affetti da patologie croniche; le donne in gravidanza, poiché la patologia
influenzale comporta rischi non solo per la donna ma anche per il feto; bambini o adolescenti
che vengono trattati a lungo termine con acido acetilsalicinico; soggetti istituzionalizzati che
vivono in comunità chiuse dove vi è un facile contagio.
• I soggetti da vaccinare per motivi sociali. Cioè i soggetti addetti a servizi di pubblica utilità, per
non trovarsi senza poliziotti, autisti autobus, medici, ecc...; assistenti di anziani e bambini; i
soggetti che lavorano a contatto con animali, che potrebbero infettarsi o dar luogo ad una doppia
infezione, che potrebbe portare alla nascita di un nuovo virus, quindi un virus pandemico.
L'efficacia è più elevata quanto più è alta la corrispondenza tra gli antigeni virali in esso contenuti e il
ceppo vitale epidemico circolante. Inoltre dipende molto dall'età dei soggetti vaccinati e dallo stato di
salute: il massimo di efficacia lo si ha nei giovani. Purtroppo negli anziani il grado di efficacia si riduce,
ma vi è un valore aggiunto, cioè il vaccino riduce la gravità della malattia, là dove si presenti, si riduce la
necessità di ospedalizzazioni correlate e riduce il numero dei morti.
Il target dato dal WHO circa il grado di immunizzazione della popolazione dovrebbe essere maggiore
del 75% per poter contenere la diffusione del virus.
Per l'influenza esiste anche una profilassi farmacologica, esistono tre generazioni di farmaci antivirali: i
farmaci di terza generazione in particolare hanno come nome commerciale Oseltamivir e Zanamivir e
sono inibitori della NA, la cui efficacia si basa sul blocco della liberazione del virus dalle cellule infette,
quindi sulla diffusione del virus. Efficaci sia su virus di tipo A che di tipo B, sia nella terapia sia nella
profilassi, anche se efficaci nella terapia solo se questa è iniziata precocemente, a due giorni dall'inizio
dei sintomi.
TUBERCOLOSI
La tubercolosi è una delle tre malattie infettive (con malaria e AIDS) che a livello mondiale determina il
maggior numero di morti.
Si tratta di una malattia infettiva a decorso cronico, sostenuta da un batterio a localizzazione
prevalentemente polmonare, ma in grado di aggredire qualunque organo o apparato.
Si tratta di una malattia riemergente, questo perché con la prevenzione e i controlli si pensava di essere
particolarmente tranquilli per quanto riguarda il contenimento di questa malattia, però alcuni
cambiamenti sociali hanno riportato questa malattia a riemergere.
Questi cambiamenti sociali sono:
• La comparsa della malattia da HIV, in un immunodepresso la tubercolosi ha più possibilità di
emergere;
• L'immigrazione, quindi l'arrivo sul nostro territorio di una popolazione mista, che proviene da
un'area ad alta endemia, che potrebbe essere stata infettata;
• Le numerose sacche di povertà e di emarginazione sociale;
• La multi-resistenza dei farmaci anti-tubercolari di prima linea e quindi la difficoltà terapeutica;
• Trascuratezza del problema TBC e quindi l'insufficiente prevenzione che viene fatta su questa
malattia.
È un parassita stretto dell'uomo, che può però infettare anche altre specie animali ( cani, gatti), ha un
range di temperatura ottimale che va tra i 30 e i 40 ° C, con un PH che va dai 4,8 a 8,0.
Questo batterio è fortemente AEROBIO, ha bisogno di ossigeno per replicarsi e mantenersi; inoltre ha
un tempo di replicazione molto lungo, circa 20 h, il che si traduce in tempi lunghi per la diagnosi
classica (4-12 settimane); infine è in grado di sopravvivere nei macrofagi e sfugge così all'attività
fagocitaria ( ha attività anti-fagocitaria).
Pur essendo labile al calore e alla luce, ma è comunque la forma vegetativa più resistente a disinfettanti.
L'INFEZIONE TUBERCOLARE
ACCERTAMENTO DIAGNOSTICO
Il materiale è l'espettorato, quindi gastroaspirato o broncoscopia, deve essere fatto su tre campioni
successivi al mattino. Oppure può essere fatta sul sangue.
Si possono fare:
• Esame microscopico dell'espettorato, vedere direttamente nell'espettorato i micobatteri;
• La coltivazione attraverso la fluidificazione dell'espettorato, la semina su terreni adeguati e
l'osservazione di colonizzazioni tipiche;
• La ricerca della farmaco resistenza per stabilire se questo ceppo isolato è farmaco-resistente, per
comprendere a che tipo di terapia avvicinarsi;
• PCR, test rapido su materiale biologico.
Test tubercolinico: si utilizza un derivato proteico purificato, contenente 5 unità, attraverso il metodo di
Mantoux; viene somministrato sulla parte volare dell'avambraccio (sede intradermica), quindi molto
superficiale; la lettura avviene entro 72 ore e in questo lasso di tempo si osserva un indurimento del
tessuto sottocutaneo, che depone per una immunità tissutale cellulo-mediata. Questo ci dice che il
soggetto è stato infettato dal micobatterio tubercolare.
Recentemente sono comparsi dei test immunologici, che si affiancano al test di Mantoux, che si basano
sulla capacità dei linfociti T effettori circolanti di produrre interferone γ a seguito di una stimolazione
specifica in vitro. Su un campione di sangue si saggia la capacità di produrre interferone dei linfociti in
esame posti a contatto con l'antigene. Quindi i linfociti presenti nel sangue del soggetto, messi a contatto
con l'antigene determinano la produzione di interferon γ.
PIANO EPIDEMIOLOGICO
Le zone come quelle del sud-est asiatico, ma anche la regione russa, quindi anche buona parte della fetta
europea, vedono una elevata incidenza di soggetti infetti.
I territori dove la TBC è ancora epidemica, con morbosità elevata e elevata mortalità, che colpisce
prevalentemente i giovani, sono Africa, Sud America, Asia e paesi in via di sviluppo.
La correlazione tra tubercolosi e infezione da HIV è molto forte ed è una delle patologie più frequenti nei
soggetti HIV+. La prevalenza in HIV+ in Europa e US è di circa 10%, mentre in Africa è del 50%.
L'infezione da HIV favorisce la riattivazione di M. tubercolosis latente, il rischio di malattia attiva a
seguito di infezione TBC recente e le localizzazioni extrapolmonari.
In Italia negli ultimi 20 anni l'incidenza si è mantenuta abbastanza stabile e relativamente bassa nella
popolazione generale, ma la massima concentrazione la si ha nei gruppi a rischio e in alcune classi di
età. Inoltre è comparsa anche in Italia la multifarmaco-resistenza, quindi difficoltà di cura e
contenimento.
Nel 2006 è nata la campagna dello STOP alla tubercolosi, e il WHO si è posto tre traguardi principali:
• Entro il 2005 il 70% della popolazione con TBC deve essere diagnosticato e l' 85% curato;
• Entro il 2015 la situazione globale della malattia TBC (in termini di mortalità e prevalenza) deve
essere ridotta del 50% (rispetto al livello del 2000);
• Entro il 2050 l'incidenza globale della TBC deve essere < 1/milione di popolazione, arrivando
dunque alla sporadicità.
MODALITÀ DI TRASMISSIONE
La tubercolosi si trasmette per via aerea: un soggetto che ha una caverna tubercolare, attraverso
l'espettorazione, quindi la tosse, elimina micobatteri che si spargono nell'aria e possono raggiungere, sia
per via diretta sia per via semi-diretta e indiretta, un soggetto sensibile. La via prevalente è quella aerea,
ma esisteva, più nel passato che nel presente, una via cutanea-mucosa e una orale alimentare, che
portava ad una tubercolosi intestinale.
Tutto ciò che viene a contatto con secrezioni rappresenta un veicolo. Inoltre è discretamente resistente
nell'ambiente e può quindi depositarsi su superfici e su terreni e può essere movimentato da correnti
d'aria.
• Massimo di contagiosità: caso in cui i micobatteri siano presenti all'esame microscopico diretto.
Questo corrisponde ad una elevata concentrazione di micobatteri nell'espettorato;
• Contagiosità media: se presenti all'esame colturale;
• Più o meno contagioso: se c'è una negatività microscopica e colturale su campioni prelevati in
giorni diversi.
Il periodo di contagiosità dopo il trattamento è di circa due settimane, salvo se si tratti di un ceppo
multifarmaco-resistente, che aumenta il periodo di persistenza, aumenta il tempo di contagio e il rischio
di trasmissione.
Il rischio di trasmissione inoltre è aumentato se presente una caverna tubercolare, oppure una laringite
tubercolare o ancora un'intensità e durata di tosse elevata.
La valutazione del rischio di trasmissione si basa sulle caratteristiche di contagiosità del caso, su quelle
dell'ambiente e sui tipi di contatto tra il caso e le persone che lo circondano.
Il contatto con malati contagiosi (bacilliferi), che presentano un espettorato positivo all'esame
microscopico e colturale, rappresenta una trasmissione non fortissima dato che il 50% degli
immunocompetenti non sviluppano l'infezione; infatti la contagiosità non è così elevata come in altre
malattie.
Il contatto con malati che presentano il micobatterio nell'espettorato, con esame diretto negativo e
esame colturale positivo, rappresenta una bassa probabilità di contagio.
I fattori favorenti il contagio sono tutte quelle condizioni che favoriscono la concentrazione di bacilli
nell'ambiente:
• Abitazione: luoghi chiusi condivisi dal malato e dai suoi conviventi;
• Collettività: un'inadeguata dimensione dei locali, un'insufficiente areazione delle stanze e
l'assenza di sistemi di ventilazione.
La vicinanza con il caso di TB e il tempo trascorso con questo consentono di individuare tre categorie di
tipi di contatto (gravità decrescente):
• Contatti stretti: conviventi con il caso o persone che hanno condiviso lo stesso spazio per
numerose ore al giorno (lavoro/stesso ufficio);
• Contatti regolari: persone che condividono regolarmente lo stesso spazio chiuso (pasti..);
• Contatti occasionali: persone che condividono occasionalmente lo stesso spazio chiuso (luoghi
di divertimento/ palestre).
Esistono delle condizioni che favoriscono l'assunzione dell'infezione, cioè il rischio che il contatto si
traduca in infezione, così come esistono delle condizioni che favoriscono il passaggio da infezione a
malattia.
INFEZIONE:
• Contatti stretti con pazienti con TBC;
• Stranieri provenienti da paesi ad alta incidenza di TB;
• Soggetti senza fissa dimora;
• Soggetti che lavorano in strutture a rischio;
• Operatori sanitari;
• Bambini e adolescenti.
MALATTIA:
• Malati cronici;
• Infetti da HIV;
• Pazienti in terapia immunosoppressiva;
• Insufficienza renale cronica e diabete;
• Abuso di droghe;
• Malattie ematologiche;
• Forte perdita di peso;
• Pazienti chirurgici e trapiantati;
• Bambini di età inferiore ai 4 anni.
La classificazione dei gruppi a rischio in Italia, su cui deve porre attenzione la Sanità Pubblica,
comprende:
• GRUPPO 1: soggetti che provengono da paesi ad alta endemia, soggetti esposti a rischio
professionale;
• GRUPPO 2: soggetti senza dimora, ospiti di ricoveri notturni e rifugiati baraccati, e soggetti
reclusi in istituti di pena e tossico dipendenti;
• GRUPPO3: soggetti con patologie o condizioni favorenti, quali diabete mellito scompensato,
silicosi, terapia immunosoppressiva, malnutrizione, alcolismo, ecc..;
• GRUPPO 4: soggetti anziani ospiti di case di riposo e di lunga degenza.
PROFILASSI
È una malattia soggetta a denuncia di classe III, proprio per le caratteristiche di privacy, ma solo se si
tratta di una TBC polmonare ed extrapolmonare in fase contagiosa; l'isolamento solo se si tratta di una
tubercolosi aperta; la disinfezione continua su tutto ciò che è a contatto con il malato o che è
contaminato con liquidi biologici del malato, terminale della stanza data l'estrema resistenza del
batterio; l'inchiesta epidemiologica che prevede l'identificazione della fonte di contagio;
l'immunoprofilassi che consiste nel vaccino; chemioprofilassi, cioè i farmaci usati per la cura.
PREVENZIONE IMMUNITARIA
Esiste un vaccino, il BCG, allestito mediante attenuazione, viene dato solo previa prova tubercolinica
negativa, cioè soggetto che non ha mai avuto contatti con il micobatterio; deve essere data a distanza di
un mese da altre vaccinazioni; somministrato per via intradermica, vede come evoluzione la comparsa
di una papula che poi diventa una crosta e cade nell'arco dei tre mesi, e si sviluppa una sorta di
adenopatia che poi si conclude.
Gli effetti sono quelli di allergia e immunità a TBC e l'indice di protezione oscilla tra l'85% e il 90%, con
una durata dell'efficacia di circa 10 anni.
Le complicanze a cui si può andare incontro sono per di più complicanze locali: ulcerazione della
lesione, linfoadenite locale suppurativa e ascesso sottocutaneo (legate a difetti di somministrazione);
Le controindicazioni alla vaccinazione sono: l'infezione sintomatica da HIV e altre gravi forme di
immunodeficienza; tuttavia sono da considerare anche se sospette infezioni da HIV, affezioni cutanee
diffuse, la positività tubercolinica, cardiopatie, nefriti croniche e epatiti croniche, malattie febbrili in atto
e lo stato di gravidanza.
L'obbligatorietà della vaccinazione riguarda in particolare il personale sanitario e chiunque operi in
ambienti ad alto rischio e non possa in caso di cuticonversione essere sottoposto a trattamento con
farmaci antitubercolari. Sono inclusi inoltre i neonati e bambini di età inferiore a 5 anni, con test
tubercolinico negatico, che convivano con persone affette da TBC in fase contagiosa.
CHEMIOPROFILASSI
DOTS è la migliore strategia per il controllo della tubercolosi oggi; i componenti chiave sono:
• Impegno delle strutture sanitarie nelle attività di controllo della TB;
• Pronta individuazione dei casi di TB contagiosa nei soggetti sintomatici, con esecuzione
dell'esame microscopico diretto;
• Regime terapeutico standardizzato di 6-8 mesi per tutti i casi contagiosi, con trattamento
direttamente osservato ( DOT) per almeno i due mesi iniziali;
• Regolare approvvigionamento dei farmaci antitubercolari essenziali.
ROSOLIA
Parlando di rosolia si possono distinguere una rosolia nell'adulto e una post natale, che è quella più
preoccupante sul piano sanitario. La rosolia connatale è stata descritta da Gregg nel 1941 che aveva
correlato casi di cataratta in 78 neonati con una infezione contratta dalla madre in corso di gravidanza
(rosolia congenita).
Il virus della rosolia è un virus a RNA, dotato di pericapside, presenta un solo tipo di antigene e va a
colpire tipicamente l'uomo; è facilmente distruttibile con agenti fisici e chimici ( raggi UV, calore, basso
PH).
PATOGENESI
Viene trasmessa per via aerea e si replica nel nasofaringe e nei linfonodi regionali; ha una viremia di 5-7
giorni dopo l'esposizione con una diffusione a tutti i tessuti. Inoltre durante questa fase possono essere
infettati placenta e feto.
ASPETTI CLINICI
Ha una incubazione di circa 14 giorni, con un range di 12-23; si presenta come una malattia lieve con
febbre modica; una linfoadenopatia nella prima settimana con una eventuale comparsa di rash
maculopapulare di 14-17 giorni dopo l'esposizione.
L'infezione è comunque nel 20-50% dei casi asintomatica.
COMPLICAZIONI
Solitamente nei giovani adulti, in particolare nelle femmine adulte, nel 70% dei casi compare artralgia e
artrite, rare invece nei bambini;
In rari casi possono comparire anche porpora trombocitopenica, encefalite, neurite e orchite.
L'immunità conferita dal virus della rosolia è duratura per la vita; le madri possono inoltre conferire una
immunità passiva ai neonati che periste per 4-6 mesi (costituita da IgG).
Quando una donna immune si infetta in corso di gravidanza, il feto è esposto all'azione del virus con
gravi conseguenze: danni fetali e aborto.
Il neonato che nasce con rosolia congenita presenta un rash maculoapulare, che invece nell'adulto è
difficilmente visibile nell'adulto, e cataratta.
INFEZIONE CONNATALE
ROSOLIA CONGENITA
Patogenesi: durante la fase viremica il virus arriva alla placenta, si replica negli endoteli dei vasi
sanguigni, provocandone la necrosi e le cellule infette trasportate dal sangue vanno ad infettare il feto.
L'infezione fetale comporta ritardo nella replicazione cellulare: il danno è tanto più esteso quanto più è
precoce l'infezione e indifferenziato lo sviluppo embrionale.
L'infezione a seconda che si presenti nel 1°, 2°, 3°, 4° mese di gestazione porta ad una probabilità
decrescente di sviluppo di alterazioni o difetti nel neonato ( si parte da un 50-70%, poi un 25-35%, un 6-
15%, infine si arriva ad una percentuale che va da 0,1-3%).
Le principali malformazioni sono la sordità (67%), che è una sordità neurale, malformazioni cardiache
(49%), affezioni oculari (71%) e ritardo psicomotorio (45%).
Un bambino con rosolia congenita raramente presenta una sola malformazione, in virtù proprio del
coinvolgimento embrionale.
Tra i danni a cui può andare incontro, oltre a quelli già citati, ci sono anche: endocrinopatie, disturbi al
SNC, danni all'apparato genito-urinario, disturbi ematologici, epatiti e disturbi psichiatrici.
ACCERTAMENTO DIAGNOSTICO
È un virus coltivabile, si può isolare e verificarne la presenza nel tampone faringeo e nelle urine; si può
attuare una ricerca degli anticorpi totali (IgG) specifici per la rosolia, in questo caso si vedrebbe un
aumento 4x fra siero in fase acuta e siero in convalescenza (TEST di ELISA); può inoltre essere condotta
una ricerca degli anticorpi IgM in un solo campione di sangue.
Importante è l'indagine sierologica in donne in età feconda e in donne gravide (in questo caso potrebbe
dare una stadiazione del momento in cui è stata infettata la donna).
EPIDEMIOLOGIA
PREVENZIONE
È una malattia soggetta a denuncia di classe II (segnalazione entro 2 giorni all'autorità sanitaria);
l'accertamento diagnostico dovrebbe essere fatto in tutte le donne adulte in età feconda.
Importante è la disinfezione sui materiali biologici: il virus è fragile, quindi eliminabile anche con
disinfettanti di livello medio.
Profilassi vaccinale consiste nella somministrazione del vaccino RA-27/3, con virus attenuato attraverso
25 passaggi seriali in fibroblasti embrionali umani; viene usato come vaccino trivalente associato a
morbillo e parotite (attualmente è stato aggiunto anche quello della varicella, quindi è un vaccino
quadrivalente).
Strategia vaccinale:
1. Eradicazione dell'infezione: vaccinazione di massa al 12-15 mese con il vaccino trivalente;
2. Eliminazione della rosolia congenita: venivano inizialmente vaccinate donne siero negative in
età feconda a partire dalla quinta elementare e i soggetti a rischio.
La vaccinazione al 12-15 mese è legata prevalentemente al morbillo, più una ulteriore vaccinazione tra il
6-12 anno di vita (logica legata alla eradicazione). Questa ultima vaccinazione permette di catturare
quelli che sono sfuggiti alla prima vaccinazione, di aumentare il livello immunitario dei soggetti e di
prendere quelli che non hanno risposto efficacemente alla prima vaccinazione. Inoltre è prevista una
vaccinazione di femmine in età feconda siero negative, che non sono quindi state mai vaccinate.
La somministrazione è di tipo sottocutanea.
CONTROINDICAZIONI
L'infezione meningococcica è spesso asintomatica, ma può presentarsi con varie forme cliniche che
vanno da flogosi delle alte vie fino a meningite cerebro-spinale-epidemica e forme settiche fulminanti.
Nel passato era molto temibile, mentre oggi meno grazie alla disponibilità di una terapia che risulta
essere efficace solo se tempestiva e adeguata.
È un grande problema di Sanità Pubblica per: la grande diffusione dell'agente eziologico, un andamento
epidemico in varie parti del mondo, la comparsa di sierogruppi nuovi e la crescente resistenza ai
sulfamidici.
Da un punto di vista eziologico il Neisseria meningitidis è un cocco G – (diplo-cocco, con una forma a
chicco di caffè), immobile, asporigeno e dotato di capsula. I determinanti antigenici sono i polisaccaridi
capsulari: se ne riconoscono 13 sierogruppi, ma quelli di interesse speciale sono A, B, C, che sono
responsabili del 90% circa dei casi si meningite s.c.e., altri che sono invece emersi negli ultimi anni sono
W 135 e Y.
È un microrganismo molto fragile nell'ambiente esterno, inattivato da molti agenti fisici e chimici, luce
calore, radiazioni, e di per sé va incontro ad autolisi.
Estremamente diffuso nella popolazione umana, tanto comune da essere considerato come un
commensale del rinofaringe .
Molto estesa è la condizione di portatore di meningococchi, che oscilla percentualmente dall'1 al 50% di
tutti i soggetti sani, ed è fortemente condizionata dall'età, dalla condizione socio-economica e dal ceppo
presente in quell'area geografica.
Il rischio di sviluppare la malattia conclamata è estremamente più elevato tra i contatti di casi di
malattia meningococcica.
L'infezione meningicoccica vede dei fattori favorenti lo stato di portatore, quindi di impianto del
batterio, quali fumo passivo, fumo attivo e infezione da micoplasmi; ci sono invece fattori che
favoriscono il passaggio da condizione di infezione a condizione di malattia, quindi favorenti la malattia,
che sono malattie virali come l'influenza di tipo B e di tipo A.
DIAGNOSI DI LABORATORIO
C'è una fascia africana dove si presentano epidemie di meningococco nella stagione più secca (Gaia ci
teneva che io lo sbobinassi).
In Italia prevalgono i tipi B e C, in America troviamo anche il tipo Y, mentre nelle zone epidemiche
prevale l' A.
Annualmente si presentano circa 200, si tratta quindi di una condizione di endemia.
PREVENZIONE
Si avvale:
• La notifica, che è obbligatoria (classe II);
• Isolamento ospedaliero solo per la gravità della malattia, non tanto per la diffusione del
patogeno;
• Sorveglianza sanitaria sia per i conviventi ( 10 gg dall'ultimo contatto) sia per i contatti
( comunità, 7gg dall'ultimo contatto);
• Sorveglianza epidemiologica: ricerca dei portatori, allo scopo di acquisire dati epidemiologici
circa la situazione in un dato ambiente;
• Accertamento diagnostico;
• Disinfezione (semplice da abbattere essendo molto fragile).
PROFILASSI E PREVENZIONE
Il Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale ha tra gli obiettivi quello del raggiungimento e mantenimento
nei nuovi nati e adolescenti di coperture vaccinali > 95% per meningococco.
Il polisaccaride capsulare del meningococco di tipo B è molto simile a quello di alcune componenti
molecolari presenti nel feto e nei tessuti dell'uomo adulto; questo vuol dire che non è immunogenico e
questo non viene modificato dal processo di coniugazione.
La soluzione a questo problema la si è trovata grazie alla reverse immunology, che si basa sullo studio di
tutto il materiale genetico e dei corrispondenti prodotti antigenici derivanti e sulla capacità di produrre
anticorpi, soprattutto quelli che hanno una valenza protettiva. Sono quindi stati studiati un numero
elevatissimo di antigeni e ne sono stati scelti 4, quelli che determinano ora il vaccino.
INFEZIONE PNEUMOCOCCICA
Lo pneumococco è anch'esso capsulato di forma coccoide, in grado di dare gravi malattie quali la
polmonite pneumococcica e meningite pneumococcica, soprattutto in età infantile.
Lo Streptococcus pneumoniae si presenta in più di 90 sierotipi differenti di cui 20 sono implicati nel
70% delle forme invasive. È un ospite frequente delle vie aeree dei soggetti normali (portatori naso-
faringei), è un patogeno importante in presenza di concause predisponenti, numerose sono le possibili
infezioni.
DA COLONIZZAZIONE A MALATTIA
Fattori di rischio:
• Fattori che incrementano il normale stato di portatore;
• Malattie che alterano la formazione di anticorpi;
• Tutto ciò che comporta sofferenza e ferita dell'epitelio respiratorio che porta alla alterazione della
normale relazione di commensalismo causando la comparsa di malattia:
➢ Malattie virali respiratorie;
➢ Malattie sistemiche debilitanti ( neoplasie, diabete, scompenso cardiaco, stasi polmonare);
➢ Infezione da HIV;
➢ Insufficienza renale;
➢ Incidenti vascolari cerebrali, splenctomia, agamma-globulinemia, neutropenia;
• Fumo;
• Traumi toracici (spostamento fisico del patogeno con arrivo a livello più profondo);
• Inalazione anestetici, gas, polveri;
• Alcolismo, droghe;
• Malnutrizione;
• Ospedalizzazione.
EPIDEMIOLOGIA
Età estreme più colpite sono i bambini di età inferiore ai 2 anni (60-70% rischio) e persone con età
maggiore a 60 anni (30-40% rischio).
Ha un andamento sporadico (raramente epidemico), con una stagionalità che va dal periodo invernale a
quello primaverile e colpisce maggiormente i maschi (2:1).
Colonizza l'area naso-faringea, con la presenza di uno o più sierotipi contemporaneamente, con una
permanenza che va dai 2-4 mesi ad un anno.
Nei bambini la condizione di portatore sano, soprattutto se i bambini vivono in comunità, può essere del
20-40%, mentre negli adulti del 5-10%.
La presenza di anticorpi non elimina lo stato di portatore.
Sul totale degli agenti eziologici responsabili di meningite e polmonite il 42% è rappresentato dallo
Pneumococco e il 28% dal Meningococco.
Le sequele permanenti di meningite nel bambino sono frequenti: presenza di uno o più difetti
neurologici, ritardo mentale, perdita dell'udito, convulsioni e paralisi; sono patologie che si ripetono,
soprattutto si ha una incidenza cumulativa di otite media, otite che si ripresenta nel tempo, lasciando
una traccia di sofferenza a carico dell'apparto uditivo.
La farmaco-resistenza ha colpito anche lo Pneumococco ed è spesso multipla, in Italia si ha una
presenza del 5-20%.
Le sorgenti di infezione sono i portatori (malati) e la modalità di trasmissione è di tipo aerea, diretta o
semidiretta (non indiretta dato che è un batterio fragile nell'ambienta).
PROFILASSI
Agire sui possibili fattori di rischio (misure di tipo generale), immunoprofilassi (misure specifiche).
Vaccino profilassi: si ha un'offerta attiva e gratuita del vaccino in bambini, anziani e affetti da patologie
che espongano ad alto rischio di infezione invasiva.
Tra i vaccini disponibili esistono:
• Vaccino 23-valente a “polisaccaridi nudi”, ha una buona efficacia nelle infezioni
pneumococciche, usato nei soggetti di età superiore ai 2 anni a maggior rischio di forme
invasive; somministrazione intramuscolare con eventuale richiamo dopo 5 anni;
• Vaccino eptavalente a “polisaccaridi coniugati”, buona efficacia nella prevenzione di forme
invasive;
• Vaccino 13 valente a “polisaccaridi coniugati”, protegge contro l'80% delle infezioni
pneumococciche nel bambino con età inferiore ai 5 anni.
Consigliata ad anziani con età maggiore di 65 anni , specie coloro che usufruiscono di strutture sanitarie
e/o istituti geriatrici.
INFEZIONE CITOMEGALICA HERPERSVIRIDAE
I virus erpetici implicati nelle malattie umane sono tanti; esistono tre gruppi:
Il virus Citomegalico è un Herpes virus specie specifico, che colpisce solo l'uomo, presenta un unico tipo
antigene, dà luogo ad una immunità sia umorale che cellulo-mediata ed è coltivabile in vitro in cellule di
fibroblasti. Porta una infezione di tipo latente, che persiste per anni a livello delle ghiandole salivari e dei
tubuli renali in monociti e polimorfonucleati, ed è in grado di riattivarsi in presenza di condizioni
favorevoli che si vengono a creare nel corso della vita.
I tipi di infezione da citomegalovirus che si vengono a formare sono una infezione primaria, cioè quella
che compare la prima volta che si viene a contatto con il virus, una reinfezione, cioè una infezione
portata da un clone differente dal primo, e una riattivazione, quindi la slatentizzazione del virus.
INFEZIONE SECONDARIA
Consiste nella riattivazione di un'infezione latente, o nella reinfezione causata da un nuovo ceppo.
RIATTIVAZIONE
L'attivazione virale dallo stato latente può aver luogo dopo immunosoppressione, in corso di altri eventi
morbosi e in seguito all'uso di agenti chemiotarapici.
EPIDEMIOLOGIA
Ѐ un virus presente in tutto il mondo ed è favorito dalla latenza, con un numero elevato di portatori
sani, e da una lunga eliminazione.
Colpisce tutte le età, ma si osserva un progressivo aumento della prevalenza con l'aumentare delle età.
Le riserve di infezione sono rappresentate dall'uomo che sia portatore, malato o neonato infetto.
Le modalità di trasmissione sono quella aerea, sia diretta che semidiretta, sia la via verticale che quella
sessuale.
Il virus è presente nella saliva, nelle urine (4-5% delle donne gravide), nello sperma, nelle secrezioni
cervicali (nell'11-28% delle donne gravide), nel latte (10-13% di donne gravide), nelle lacrime, nel
sangue-leucociti, negli organi per trapianti (in particolare rene e midollo osseo).
L'escrezione del virus è prolungata nel caso di bambini infetti, sia infetti per via connatale che perinatale
(anche per oltre 5 anni); possibile e frequente la trasmissione ai coetanei dell'asilo; gli adulti con
infezione primaria o da riattivazione, soprattutto se immunodepressi, possono eliminare il virus per
lunghi periodi.
TRASMISSIONE
• Diretta : rappresentata dal contatto mucoso (bacio), dall'atto sessuale e dalla via verticale
(transplacentare e perinatale attraverso il latte);
• Indiretta: per via parenterale (leucociti), con trapianto d'organo e attraverso le urine.
PROFILASSI
• Adulto: educazione sanitaria, quindi sapere in che modo ci si può infettare e evitare di assumere
dei comportamenti “virtuosi”;
• Donna gravida: verifica dello stato immunitario e educazione sanitaria (se presenti anticorpi è
necessario stadiare, vedere di che anticorpi si tratta, e cercare di capire in rapporto al periodo
gravidico se è a rischio o meno);
• Trapianti-trasfusioni: controllo delle unità di sangue, controllo del donatore e prevenzione
farmacologica;
• Immunoprofilassi.
La profilassi specifica consiste nell'immunoprofilassi passiva attraverso IgG specifiche, che non sembra
ridurre l'infezione, ma riduce le conseguenze gravi (polmonite,..), utilizzata in candidati al trapianto,
viene iniziata 72 ore prima e si procede per vari mesi successivi; esiste anche l'immunochemioprofilassi.
TOXOPLASMOSI:
La toxoplasmosi è una malattia causata da un protozoo che si presenta in 3 forme (tachizoite-cisti
tissutale-oocisti) ed è un’parassita endocellulare obbligato.
La riproduzione sessuata avviene nel gatto (felidi) e quella asessuata in ospiti intermedi. Possiamo
avere una malattia (patogenesi) acquisita o connatale.
TOXOPLASMOSI ACQUISITA:
• Asintomatica per l’80% ma dimostrabile tramite ricerca anticorpale.
• Sintomatica, solitamente espressa come forma linfonodale nei giovani adulti. Puo essere
stadiata:
o I stadio: fase acuta per circa 8-10gg è lo stadio in cui avviene la replicazione e
diffusione ad ondate successive per via linfo-ematica, con pericolo di infezione
fetale.
o II stadio: fase intermedia, il parassita si ritira in tessuti poveri di organi
immunocompetenti per sopravvivere (cuore, tessuti).
o III stadio: fase cronica, la cisti tissutale o pseudocisti può permanere per tempi
molto lunghi finche qualche condizione particolare non riattiva il ciclo replicativo.
La forma piu frequente è la linfonodale che corrisponde al 15% di tutte le forme sintomatiche, è
possibile una forma generalizzata, rara ma molto grave (simil-rikettsiosica, cerebrale,
parenchimatosa, oculare con corioretiniti).
EPIDEMIOLOGIA:
È l’infezione sostenuta da protozoi piu diffusa sul pianeta e tale diffusione è favorita da:
Alcune abitudini alimentari, Presenza di zone rurali, Alcune attività professionali, Rapporti con
animali, Alcune zone geografiche.
Connatale:
La donna deve badare alle norme appena citate in piu deve valutare lo stato immunitario, tuttavia
nel caso di infezione è possibile un trattamento farmacologico.
• Se la donna non è gravida qualora trovassimo anticorpi è protetta. Se non ci sono anticorpi
qualora intraprendesse una gravidanza sarà soggetta a controlli al 3, 6, 9 mese oltre che
alle misure di profilassi.
• Se la donna è gravida e non sappiamo se ha avuto contatto con toxoplasma può avere o
meno anticorpi: se non ci sono va controllata come già citato. Se ci sono possono essere
igG a basso titolo o igG/igM ad alto titolo. Se sono igG a basso titolo molto probabilmente
sono dovuti a una vecchia infezione ma per esserne certi è necessario un controllo a
distanza di 3 settimane (per cui se sono vecchi anticorpi non c’è incremento dopo tre
settimane altrimenti c’è rischio di infezione). Se ci sono igM o igG ad alto titolo potrebbe
essere coinvolta pesantemente nella patologia per questo esistono terapie.
Clinicamente il decorso è variabile specie in pazienti con deficit immunitari: 10-40% di questi sono
a rischio di viremia con disseminazione dello Zoster.
Lo Zoster spesso si presenta a livello toracico, lombosacrale ma esiste anche la forma oftalmica
con coinvolgimento del trigemino e dell’occhio ma anche del SNC con deficit motori, mielite
trasversa e paralisi del facciale.
Il dolore si manifesta dopo un mese dalla comparsa dello Zoster. È difficile da trattare e può
durare anche fino ad un anno, il dolore non è gestibile nemmeno su base farmacologica
utilizzando più farmaci (che possono anche creare complicazioni).
I farmaci sono:
• Acyclovir: inibitore della sintesi del DNA.
• Valacyclovir: terminatore della catena.
• Famcyclovir: inibitore della DNA polimerasi.
EPIDEMIOLOGIA:
É piu frequente in paesi temperati piuttosto che tropicali ed è presente in qualsiasi stagione.
Si presenta soprattutto dopo 50 anni con frequenze crescenti ogni decennio.
L’infezione è molto contagiosa ma meno della varicella (1/4 della varicella).
C’è rischio è di infezione tra pazienti tra personale sanitario.
VACCINAZIONE:
Esiste un vaccino vivo ed attenuato, il numero di dosi di vaccino è di 1 al di sotto di 13 anni mentre
2 in adolescenti e adulti a (distanza 4-8 settimane). La vaccinazione dell’infanzia viene fatta 12-24
mesi.
Non bisogna confondere il vaccino contro lo Zoster con le immunoglobuline, sono due presidi
preventivi diversi. Il vaccino contro lo Zoster e quello contro la varicella sono due separati, il primo
vaccino contiene lo stesso virus del vaccino anti-varicella, ma a titolo più elevato.
VIRUS EPATITICI:
Epatite = malattia causata da virus epatotropi. Nell’ambito di questi dividiamo gli epatotropi
maggiori HAV, HBV, HCV, HDV, HEV dai minori (VZ, morbillo, parotite…) che sono in grado di
colpire il fegato ma non in modo preferenziale.
• HAV è un picornavirus a RNA con trasmissione oro-fecale, incubazione 10-50gg, non
cronicizza.
• HBV è un hepadnavirus a DNA con trasmissione parenterale ma anche sessuale e
perinatale, incubazione 1-6 mesi, cronicizza.
• HCV è un flavivirus a RNA con trasmissione parenteralmente ma anche sessuale e verticale,
incubazione 2sett-6mesi, cronicizza.
• L’antigene Delta è un viroide con trasmissione parenterale ma anche sessuale e perinatale,
non ha periodo di incubazione e cronicizza.
• HEV è un calicivirus, trasmissione orofecale, incubazione 2 mesi, non cronicizza.
Il fegato è un organo a forma di cuneo situato sotto la gabbia toracica e svolge funzioni di:
purificazione, sintesi, stoccaggio, trasformazione.
Un fegato cirrotico diventa simile ad una spugna e non funziona più, puo essere danneggiato da
droghe, farmaci, virus, batteri, protozoi, metazoi, tossine, funghi, sostanze tossiche, detergenti
insetticidi …
EPATITE B:
HBV è così diffusa: oltre 2 miliardi sono stati infettati in qualche momento della loro vita e 350ml
sono portatori cronici. Ogni anno muoiono 1milione di persone per cirrosi epatica e carcinoma
epato-cellulare (correlate a epatite B).
L’HBV è costituito da particelle virali vuote, materiale antigenico che ne da la forma e dal virione (o
particella di Dane) che contiene materiale genetico.
Gli antigeni virali sono 3:
• HBsAg: antigene di superfice, costituisce l’involucro esterno (particelle virali vuote).
• HBcAg: antigene C, costituisce il capside del virione ed è codificato dalla regione genomica
“C” esso si trova sempre negli epatociti e mai in forma libera nel sangue.
• HBeAg: antigene non strutturale che partecipa attivamente alla replicazione
Su 100 infezioni da virus B il 90% restano asintomatiche, solo 10% diventano clinicamente evidenti
di quest’ultime un’1% da epatite fulminante.
Sul totale delle infezioni, che siano asintomatiche o meno grava un 10% di cronicizzazione cioè di
persistenza del virus al termine del processo infettivo.
La persistenza del virus si traduce in epatite
cronica attiva 3%, epatite cronica persistente 3%
e da queste epatiti croniche poi deriva la cirrosi
3% e da quest’ultima l’epatocarcinoma 10%.
L'altra possibilità è la presenza di soltanto anticorpi anti-S questo è un soggetto che per aver
risposto solo all'antigene S deve essere stato vaccinato poiché la composizione globale del virus
prevede 3 antigeni. La risposta ad un solo antigene è dovuta al fatto che è presente un solo
antigene nel vaccino e quindi un'immunità da vaccinazione.
Nell’ultima ipotesi il risultato del laboratorio ci dice nessun marcatore presente nè di tipo
antigenico ne di tipo anticorpale ovvero un soggetto che non ha mai incontrato il virus dell’epatite.
Questo soggetto potrà essere infettato se incontra il virus quindi dovremo provvedere alla sua
prevenzione.
EPIDEMIOLOGIA:
È un virus che è presente in tutto il pianeta e ha un andamento temporale abbastanza
caratteristico, numerose sorgenti di infezione, numerose modalità di trasmissione, numerosi
soggetti ad alto rischio.
La trasmissione dipende dalla concentrazione del virus nei diversi fluidi corporei quindi:
Sangue siero ed essudati vedono la massima concentrazione.
Media nella saliva, liquido seminale e secrezioni vaginali.
Bassa nelle urine, latte, lacrime e sudore.
Le modalità di trasmissione sono:
• Sessuale.
• Parenterale ovvero mediate da sangue, è di due tipi: apparente (durante interventi
chirurgici oppure piercing, tatuaggi, sterilizzazione inadeguata etc etc…) o inapparente
(mediato da piccole ferite per esempio con rasoio, forbici, pettini infetti).
• Verticale, dove la transplacentare è rara mentre la perinatale è molto frequente.
PREVENZIONE:
è una malattia a denuncia obbligatoria di classe seconda.
È importante la ricerca dei vari markers e la loro interpretazione per la stadiazione ma anche dopo
la guarigione clinica per il controllo della persistenza del virus cioè la cronicizzazione o lo sviluppo
di anticorpi antiS.
È importante ricercare la sorgente di infezione attorno al malato ma anche gli immuni e i
suscettibili su cui procedere con norme di prevenzione.
L’isolamento è previsto per tutta la durate della fase acuta mentre per l’epatite cronica e per i
portatori è importante l’informazione e l’educazione sulle pratiche a rischio e sugli interventi
preventivi.
La prevenzione dal rischio durante trasfusione prevede anche l’autoesclusione dei donatori a
rischio (in quanto soggetti molto educati e preparati), accurata anamnesi all’atto della donazione,
screening su sangue donato, trattamenti virucidi per gli emoderivati, limitazione della pratica
trasfusionale ai soli casi di necessità.
PROFILASSI IMMUNITARIA:
Si divide in:
• Passiva, basata su IgG specifiche post-esposizione percutanea/permucosa a liquidi biologici
HBsAg positivi in seguito a contatti perinatali, sessuali, intrafamigliari o incidenti. In tutti
questi casi viene eseguita subito dopo una vaccinazione.
• Attiva, basata su 2 vaccini: il primo utilizzato negli anni 80’ (detto “da plasma” perché
veniva estratto l'antigene S prodotto in eccesso dal virus nella fase di replicazione
purificato e utilizzato, ma la disponibilità di vaccino era effettivamente poca e come tale
non si è potuto impostare una strategia vaccinale forte). Il secondo introdotto nel 91’
(attuale) è un vaccino ricombinante che deriva dall’ inserimento in saccaromices cervisiae
del gene virale in grado di produrre l'antigene S con poi la produzione di questo che viene
estratto purificato, dosato.
La strategia vaccinale è partita nel 91’ con una vaccinazione di massa obbligatoria a due corti cioè
due gruppi di popolazione: tutti i nuovi nati e contemporaneamente tutti i bambini che in quel
momento avevano 12 anni di età. Ciò ha portato ad immunità molto alta nella popolazione
giovane, in effetti alla fine del 2003 tutti i soggetti da 0-24 anni sarebbero stati vaccinati.
LA PREVENZIONE:
Per prevenire una coinfezione: si esegue una profilassi immunitaria pre e post esposizione per
prevenire un'infezione da HBV. Quindi producendo anticorpi anti-B si escluderà la possibilità di
attecchimento dell'antigene Delta.
Per prevenire una superinfezione è molto importante l’educazione sanitaria dei portatori cronici
di infezione da HBV.
EPATITE C:
HCV è un importante virus di medie dimensioni 62nm vs HBV 42nm, esso presenta un RNA e la
differenza sostanziale tra il B e il C è nella grande possibilità di variazioni. HCV va incontro a molte
variazioni che si traducono quindi in una famiglia di virus C (fenomeno di quasi-specie). Le regioni
maggiormente colpite dalla variabilità sono le regioni dell’envelope e altre regioni adibite alla
sintesi di materiali virus specifici.
HCV è stato scoperto in via biomolecolare nel 89’ da Hougthon, appartiene alla famiglia delle
flaviviridae, è costituito da acido nucleico a RNA monocatenario a polarità positiva. È dotato di un
envelope lipidico che conferisce al virus una certa fragilità poiché qualunque solvente dei lipidi
(cloroformio e altri solventi organici) è in grado di fargli perdere l’infettività, ma anche calore a 60°
per 30 min.
Le categorie a rischio:
• Tossicodipendenti endovena.
• Nati da madri anche HIV/HBsAg positivi.
• Emodializzati.
• Operatori sanitari.
• Omosessuali maschi.
• Partner di soggetti HCV+.
• Detenuti.
• Soggetti che si sottopongono a tatuaggi e piercing.
PREVENZIONE:
Non esiste un vaccino disponibile per via della grande varietà genomica che rende difficile trovare
un antigene immunogeno valido per tutti i genotipi e sottogeneri. Inoltre, anche perche la
patogenesi di HCV non è del tutto nota e perché abbiamo limitazioni nel modello sperimentale che
spesso si basa su primati difficili da reperire.
Le uniche forme di prevenzione sono rappresentate dai comportamenti e delle scelte di vita,
norme di legge e le applicazioni delle precauzioni standard.
Oltre alle norme già citate per HBV che valgono anche per la prevenzione di HCV è importante
riconoscere la presenza di test anti-HCV per i donatori di organi, tessuti e seme.
Per quanto riguarda la profilassi, le precauzioni standard sono le stesse che già nominato per HBV.
È importante che una persona esposta al rischio di contagio venga adeguatamente controllata nel
tempo così da effettuare una diagnosi precoce e intervenire tempestivamente.
CENNI DI TERAPIA:
La terapia si basa sull'utilizzo di interferon Alfa per almeno 12 mesi o su interferone alfa più
ribavirina che ha dimostrato una efficacia significativa. Sono disponibili anche nuovi farmaci
Sofosbuvir, Simeprevir in associazione con ribavirina e peginterferone Alfa (prevalentemente
destinati a forme croniche ancora risolvibili).
AIDS:
AIDS=sindrome da immunodeficienza acquisita, questa rappresenta lo stadio ultimo e più grave
dell'infezione da HIV. Esso rende l’organismo incapace di difendersi da qualunque tipo di
infezione, anche sostenuta da banali opportunisti.
Una delle ipotesi formulata sulla storia della nascita di questo virus è che si tratti di un virus nato
nell’Africa nera, in particolare un virus dei primati che si è adattato all'uomo. Attraverso
trasferimenti di persone nell’America centrale e nelle isole caraibiche e poi alle grandi metropoli
americane è comparso per la prima volta a Los Angeles e New York e solo due anni dopo il
trasferimento alla vecchia Europa (Londra, Parigi, Roma).
HIV è un retrovirus appartiene al gruppo dei lentivirus che colpiscono l'uomo, primati, ovini ed
equini. Esistono 2 tipi di virus HIV1 e HIV2 (noi parliamo dell’1).
HIV è costituito dalla GP120 che è legata alla struttura del virus dalla GP41.
All'interno del core abbiamo la GP24 e l’acido nucleico a cui è legata la trascrittasi inversa.
Esso è un enzima che in grado di trascrivere l'acido nucleico di RNA in una molecola di DNA
complementare che si replica.
Il virus in fase di replicazione è in grado di interferire con le attività della cellula ospite fino a
distruggerla. Il virus è in grado di integrarsi nel DNA della cellula infettata grazie alla trascrittasi
stabilendo una infezione persistente.
Esso è dotato di elevata variabilità genetica e questo fa si che ci siano tanti genotipi di HIV.
PROCESSO DI INFEZIONE:
Alcuni linfociti T helper possono essere infettati dal virus che si aggancia con la GP 120, la
membrana della cellula si apre e lascia entrare il virus il quale perde il rivestimento e va verso i
luoghi di trascrizione dove riscrive l'acido l’RNA a cDNA per poi integrarsi nel DNA ospite nel
nucleo.
Dopodiché avviene la sintesi di proteine virali e l'assemblaggio del core e del capside. Il capside si
porta a livello della membrana cellulare dove avviene il fenomeno inverso per cui il virus inserisce
la GP120 all'esterno della membrana cellulare che poi andrà a chiudersi formando una gemma che
libera il virus.
HIV attacca i linfociti “induced helper” (T4) che comandano, inducono, bloccano la produzione di
sostanze del SI.
• Inducono la produzione diretta di anticorpi a partire dalle cellule B.
• Inducono la produzione di cellule non linfoidi.
• Inducono la produzione di cellule Natural killer.
• Inducono la produzione di tutte le cellule T soppressor.
• Inducono cellule T killer.
• Inducono la produzione di fattori di crescita e fattori di differenziazione per altre cellule
linfoidi.
Quando il linfocitaT4 è in grado di svolgere il suo ruolo noi abbiamo un perfetto sistema
immunitario ma quando questo comincia a funzionare male abbiamo difetti immunitari.
Il virus non sopravvive a lungo nell’ambiente. Sia i comuni disinfettanti (varechina diluita) che il calore
(60°) inattivano il virus. Il rischio di infezione post-esposizione mediata da puntura (per il prelievo di
sangue) è dello 0,1-0,5%, contro il 15-35% del virus dell’epatite B (HBV) e il 2,7-10% del virus
dell’epatite C (HCV). Questi due ultimi virus infatti sono presenti in maggiore concentrazione nel
sangue. HBV inoltre è in grado di sopravvivere un mese all’ambiente esterno contro i 3 giorni dell’HIV.
Profilassi
Non è ancora disponibile un vaccino ma esistono comunque delle misure preventive: segnalazione dei
casi e controllo di sangue ed emoderivati. Esistono inoltre una serie di suggerimenti comportamentali:
evitare rapporti sessuali non protetti e promiscuità, evitare scambio di siringhe, per le donne infette
evitare gravidanze, e per gli operatori sanitari, prestare attenzione a non pungersi con siringhe infette
ed eseguire costanti disinfezioni.
Oltre a questi suggerimenti specifici per HIV esistono delle misure di precauzione di base per evitare
l’esposizione parenterale, cutanea e mucosa in caso di contatto accidentale con sangue e altri liquidi
biologici al fine di prevenire la trasmissione di infezioni: lavaggio mani, utilizzo guanti, camici e
grembiuli di protezione, occhiali e mascherine protettive, smaltimento di aghi e medicazioni in
maniera adeguata, uso attento di bisturi ed altri strumenti taglienti. Vanno poi adottate misure come
pulizia, disinfezione, decontaminazione e sterilizzazione.
Sono diversi i fattori a rendere difficile l’allestimento di un vaccino efficace: evasione immunitaria del
virus, latentizzazione, variabilità genetica, capacità di distruggere cellule immunocompetenti,
mancanza di modelli animali per la sperimentazione (esistono dei virus correlati nello scimpanzè e nel
gibbone ma queste sono specie protette sulle quali non si può fare sperimentazione).
Si stanno seguendo diversi approcci per la produzione di un vaccino. È per esempio in studio un
vaccino con proteine ricombinanti a base di gp120. Altri vaccini utilizzano peptidi sintetici, DNA nudo,
vettori ricombinanti con DNA virale o virus inattivati e attenuati.
Un vaccino italiano utilizza la Tat proteina, una proteina regolatoria dell’HIV, prodotta dopo l’entrata
del virus nella cellula ed essenziale per la replicazione del virus e quindi della progressione
dell’infezione verso la malattia. Studi sperimentali su modello animale hanno dimostrato che non ha
effetti tossici e che induce una immunità sia anticorpale sia cellulare, in grado di bloccare la
replicazione virale. Questo vaccino, diversamente dagli altri in studio, non previene l’infezione dei
linfociti T. Non è quindi un vaccino da somministrare a persone sane ma solamente a persone infette.
Epatite A
Infezione a circuito Fecale-Orale prevenibile tramite vaccinazione. Il virus viene emesso nell’ambiente
dagli individui infetti tramite feci, urine e mani. Questi possono andare a contaminare l’ambiente
(acqua ed alimenti). Il virus dell’Epatite A (HAV) fa parte dei Picornavirus (o Hepa-RNA-Virus) con
simmetria icosaedrica. Ne esiste un solo sierotipo. L’infezione può risultare asintomatica o dare
malattia acuta. Non esiste infezione cronica da Epatite A. All’infezione seguono anticorpi protettivi
che durano per tutta la vita.
Il virus è resistente al calore (30 minuti a 56°), all’etere, al pH 3 (per 3 ore a temperatura ambiente). È
in grado di sopravvivere per giorni o settimane nell’ambiente. Può essere coltivato in vitro su colture
cellulari (espianti di rene di Macacus rhesus o su espianti di fegato) e in vivo su Marmoset.
Nel 90% dei casi la malattia è subclinica. Solamente il 10% va incontro alla malattia acuta. Come già
detto in nessun caso vi sarà cronicizzazione. Una piccola percentuale di coloro che manifestano la
malattia acuta può andare incontro ad epatite fulminante.
Epidemiologia
L’infettività è massima nel periodo che va da 10 giorni prima dell’esordio clinico fino ad una settimana
dopo l’insorgenza dell’ittero. Anche se HAV è presente nel sangue alla fine del periodo di incubazione
e all’inizio della malattia, la trasmissione attraverso il sangue è molto rara (ma non impossibile).
Il periodo di incubazione medio è di 30 giorni (oscilla dai 10 ai 50). L’ittero si manifesta principalmente
negli adulti e solo raramente nei bambini di età inferiore ai 6 anni. Le complicazioni possibili sono
epatite fulminante ed epatite colecistica.
È presente in tutto il mondo ma ha prevalenza più elevata nei paesi a basso livello socioeconomico.
La prevalenza di Epatite A è per questo motivo considerata un indicatore di sottosviluppo. La
prevalenza si valuta tramite la presenza di anticorpi. Secondo l’OMS si ha un’incidenza di circa 1,4
milioni di casi clinici ogni anno. Tra il febbraio 2016 e settembre 2017 sono stati riscontrati quasi 3000
casi in 20 paesi europei (tra cui l’Italia). Si presenta in genere in modo sporadico ma può dare origine
ad epidemie in determinate comunità (asili, scuole, collegi) a causa di affollamento, scarse condizioni
igienico-sanitarie e abitudini alimentari favorevoli. È più frequente al Sud e la frequenza di anticorpi
anti-HAV aumenta con l’età. Il 90% dei quarantenni presenta anticorpi specifici. Anche i viaggiatori
sono maggiormente colpiti. Le sorgenti di infezione sono: malati, portatori precoci (fase preclinica) e
portatori sani (infezione anitterica). La trasmissione indiretta può essere mediata da veicoli (acqua e
alimenti) o vettori. La concentrazione del virus è maggiore nelle feci, nel siero e nella saliva.
Tra maggio e settembre 2007 si è sviluppata a Napoli un’epidemia di Epatite A con più di 100 casi. Il
fattore di rischio principale durante questa epidemia è stato il consumo di frutti di mare. Questi a
loro volta prendono l’infezione dalle acque contaminate. La cottura elimina il virus.
In generale il principale fattore di rischio è per i viaggiatori in zone endemiche. Anche la balneazione
in acqua contaminata può risultare infettiva. Per quanto riguarda la trasmissione da vettori è mediata
principalmente da mosche.
In base all’endemicità del virus in una regione, questo coinvolge diverse fasce d’età. In paesi ad alta
endemicità l’infezione colpisce i bambini. Ad endemicità moderata o bassa i giovani adulti. Ad
endemicità molto bassa gli adulti e i viaggiatori.
Profilassi
La prevenzione di HAV, come tutte le malattie a trasmissione fecale-orale, può essere indiretta e
diretta. La prevenzione diretta è quella comune a tutte le altre malattie, mentre quella indiretta è
legata all’ambiente.
In particolare nella prevenzione indiretta si controllano alimenti (in particolare frutti di mare), acqua
(controlli di potabilità e disponibilità acqua potabile per tutta la popolazione), corretto trattamento e
smaltimento dei liquami fognari (depurazione/disinfezione) e lotta ai vettori (mosche). Sempre parte
della prevenzione indiretta è l’educazione sanitaria mirata in particolare al rispetto delle norme
igieniche per chi prepara (dall’origine alla vendita) e serve cibi, e per chi è addetto all’assistenza di
bambini, anziani, malati e soggetti con handicap.
La profilassi diretta prevede la notifica (di classe II), l’isolamento, il tracciamento dei contagi (sia dei
conviventi che di alimenti/acqua), la disinfezione e la profilassi immunitaria specifica.
Esiste un vaccino per HAV. Si tratta di un vaccino di HAV coltivato in cellule diploidi umane, inattivato
con formolo e potenziato con idrossido di alluminio. Sono previste 2 dosi, la seconda delle quali dopo
6-18 mesi dalla prima. Il vaccino porta alla produzione di IgG nel 90% dei vaccinati dopo 1 dose e nel
100% dei vaccinati dopo 2. L’immunità dura tra i 15 e i 20 anni. Si possono avere reazioni alla
somministrazione del vaccino come: dolorabilità locale, cefalea e malessere (meno del 10% dei casi).
La vaccinazione è prevista per: viaggiatori in aree endemiche (2 dosi o dose doppia se il tempo è breve
prima della partenza), soggetti che vivono in zone endemiche (di età maggiore di 2 anni), soggetti a
rischio per motivi professionali (operatori sanitari, addetti alla raccolta e smaltimento dei rifiuti),
militari che prestano servizio in zone ad elevata endemia, soggetti con handicap istituzionalizzati
(condizionata dalla conoscenza della capacità della struttura di mantenere condizioni igieniche
adeguate), soggetti che hanno contatti con malati, soggetti con malattia epatica cronica o
tossicodipendenti.
La vaccinazione post-esposizione è prevista per i soggetti a rischio per epidemie in corso entro 2
settimane dal contagio e in caso di probabile contagio (solo 1 dose + IgG).
Le IgG anti-HAV si potrebbero utilizzare per viaggiatori in aree a media ed alta endemia o in caso di
post-esposizione per soggetti che hanno avuto contatti con ambienti (istituti, asili nido, scuole
materne) o soggetti a rischio.
Epatite E
Anche questo a trasmissione fecale-orale. HEV fa parte degli Hepeviridae ed è privo di peplos.
Presenta 4 genotipi, dei quali due (1 e 2) sono esclusivi per l’uomo e due (3 e 4) coinvolgono anche gli
animali (riserva animale). Mostrano una buona resistenza ambientale ed ai disinfettanti.
Epidemiologia
Secondo le stime dell’OMS si hanno 20 milioni di infezioni ogni anno, di cui 3,3 milioni sono
sintomatiche. L’infezione è particolarmente grave in donne in gravidanza (può causare aborto). È
presente in tutto il mondo ma più comune in Asia. In Cina è stato allestito un vaccino che non è stato
reso disponibile agli altri paesi.
Il periodo di incubazione è di circa 40 giorni (con un range da 15 a 60). La mortalità è dell’1-3% nella
popolazione generale e del 15-20% nelle donne in gravidanza. La gravità della malattia aumenta con
l’età. Non cronicizza mai.
Non è clinicamente distinguibile dalle altre epatiti virali. La diagnosi sierologica si basa sulla ricerca di
IgM ed IgG. Per lo screening si utilizzano test immunoenzimatici (bisogna anche verificare l’assenza di
componenti di altri virus epatitici). Si può inoltre ricercare l’RNA virale in campioni di sangue o feci
(più frequente) tramite RT-PCR.
Si riscontra principalmente nei paesi in via di sviluppo. In questi paesi si riscontrano sia casi sporadici
che focolai epidemici tipicamente di origine idrica. Nei paesi industrializzati si hanno invece casi
sporadici di importazione o casi di origine zoonotica. L’età prevalente è quella tra i 15 e i 40 anni.
Risulta fondamentale il serbatoio animale (principalmente maiali). Il veicolo principale è l’acqua ma
risulta importante anche il contagio interumano (in virtù di cattive applicazioni delle norme igieniche).
Il periodo di contagiosità non è noto ma HEV è stato isolato dalle feci dopo 14 giorni dall’ittero e 4
settimane dopo ingestione di cibo o acqua contaminate e persiste per circa 2 settimane. Circa il 50%
delle infezioni possono essere anitteriche. L’ittero risulta più frequente con l’aumentare dell’età.
Le epidemie sono associate prevalentemente ad acqua contaminata da liquami fognari. È rara la
trasmissione interumana (almeno nei paesi industrializzati).
Nel 2015 sono stati individuati 40 casi di HEV in Italia tramite studi sierologici. Il 40% non aveva
effettuato viaggi in zone endemiche. L’Abruzzo è un’area iper-endemica a trasmissione zoonotica con
prevalenze elevate in tutte le fasce di età (18-65 anni). Il fattore di rischio associato all’infezione è
stato il consumo di salsiccia di fegato di maiale. Il problema dell’infezione da HEV (soprattutto
nell’ambito delle trasfusioni sanguigne) è in crescita in Europa. Il fattore di rischio principale è sempre
il consumo di carni poco o non cotte, ma sono rilevanti anche il contatto diretto con escreti, secreti o
organi (macellati) contaminati da materiale fecale infetto.
Prevenzione
Viaggiatori in aree endemiche dovrebbero: bere acqua potabile in bottiglie sigillate (e bibite senza
ghiaccio), consumare frutti di mare e verdure solamente cotti, consumare solo frutta da sbucciare.
Non è nota l’efficacia di IgG preparate da donatori di paesi endemici per la sieroprofilassi. Non è
ancora disponibile un vaccino (disponibile uno in Cina per uso solo interno).
Febbre tifoide
Malattia infettiva acuta, febbrile, ad alta contagiosità, provocata da Salmonella typhi (oltre 100
lisotipi). Si tratta di una malattia che ha interessato a lungo il nostro paese in passato. Presenta 3
antigeni importanti sul piano immunitario: l’antigene O (somatico), l’antigene H (flagellare) e
l’antigene Vi (capsulare). Gli anticorpi anti-O e anti-Vi risultano protettivi. In assenza di terapia
presenta una letalità del 10%. Questa si abbassa all’1% in presenza di una terapia adeguata.
I paesi ad elevata endemia di febbre tifoide stanno frequentemente riscontrando il problema della
farmaco resistenza. In Vietnam i ceppi sono farmaco resistenti nel 70% dei casi. Nei paesi
industrializzati questo numero scende al 5%.
Patogenesi
S. typhi penetra per via orale ed è in grado di superare la barriera gastrica (il pH basso). A favorire la
sopravvivenza agli acidi gastrici sono: una carica batterica elevata, un pasto ricco di proteine (in grado
di neutralizzare l’acidità), assunzione di abbondanti liquidi (contaminati) e condizioni di ipocloridria
(riduzione di secrezione di HCl gastrico). L’incubazione è di 3 settimane. In era pre-antibiotica si
parlava dei 4 settenari (quadro clinico diviso in 4 settimane). La moltiplicazione primaria è nelle
strutture linfatiche della parete intestinale e nel dotto toracico. Si diffonde quindi per via ematica,
raggiungendo linfonodi, milza, fegato e midollo osseo. Dal fegato, tramite la bile, ritorna all’intestino.
Nelle strutture linfatiche dell’intestino, già sensibilizzate dalla moltiplicazione primaria, si ha la
moltiplicazione secondaria. Si ha quindi un processo flogistico, con necrosi e ulcerazioni. Si hanno
anche lesioni vascolari che possono portare enterorragia e/o perforazione della parete.
La diagnosi nella prima settimana si può avere per emocoltura. Nella seconda settimana si possono
cercare gli anticorpi nel siero. Nella terza e quarta settimana si può effettuare coprocoltura (analisi
delle feci) e urinocoltura.
Epidemiologia
La febbre tifoide è endemica in tutto il mondo. Le regioni ad endemia più elevata sono i paesi in via di
sviluppo. A livello mondiale si calcolano 21 milioni di casi/anno con 200.000 decessi. Le aree a
maggior rischio sono quelle tropicali: Africa settentrionale, Papua Nuova Guinea, Indonesia e Haiti. In
Europa la morbosità è in netta regressione nell’ultimo decennio. Nel 2005 sono stati riportati in 26
paesi europei solamente 1364 casi. L’origine probabile di questi casi erano i viaggi all’estero. L’Europa
dell’Est è ancora considerata una zona a rischio. La morbosità negli ultimi anni è di 0,03/100.000
abitanti. L’Italia ha un valore di morbosità più alto, di 1/100.000, con una maggiore frequenza al Sud e
nelle Isole. I casi sono comunque in decrescita. La Campania è la regione colpita più frequentemente,
seguita da Puglia, Basilicata e Lazio. La sorgente di infezione è solo l’uomo: malato, portatore sano,
convalescente e cronico (cronicizza 1-5% dei casi). La trasmissione abbiamo detto essere fecale-orale
tramite: veicoli, acqua, alimenti (frutti di mare, ortaggi), e vettori (mosche). In passato si presentava
principalmente durante l’estate e l’autunno mentre oggi è presente durante tutto l’anno. Tutte le età
sono colpite ma le fasce sotto i 2 anni, e tra i 5 e i 19 anni sono maggiormente colpite.
Profilassi
Indiretta (ambientale) e diretta (specifica). La profilassi indiretta si basa sul controllo della produzione
e distribuzione di alimenti (in particolare frutti di mare), sul controllo della potabilità dell’acqua (e sua
disponibilità), sul trattamento dei liquami fognari, sul controllo delle acque di balneazione e sulla lotta
ai vettori. La profilassi indiretta include anche l’educazione sanitaria e il rispetto delle norme igieniche
individuali, soprattutto per chi manipola derrate alimentari, assiste malati, bambini e anziani, e
prepara o serve cibi.
La profilassi diretta si basa su: denuncia (di classe II), isolamento (enterico), accertamento diagnostico
(per verificare guarigione batteriologica, su campioni di feci), inchiesta epidemiologica (ricerca della
sorgente di infezione e dei portatori), disinfezione (continua e terminale), disinfestazione (di vettori) e
l’immunoprofilassi. L’isolamento enterico si applica per patologie a trasmissione oro-fecale. Consiste
in una serie di precauzioni: stanza singola solo se il livello igienico del paziente è scarso; non sono
indicate le maschere; importante l’uso dei guanti. È inoltre previsto l’allontanamento dall’attività
lavorativa se il malato lavora in ambito alimentare o nell’assistenza sanitaria. L’isolamento è previsto
fino a risultato negativo di 3 coprocolture (fatte a 24h di distanza fra di loro) dopo la sospensione
degli antibiotici da almeno 48h.
Sono disponibili diversi vaccini. Un vaccino inattivato parenterale non più utilizzato. Il vaccino Tifo-
paratifo (parenterale) è anch’esso vecchio ma ancora utilizzato. I vaccini più usati oggi sono: Ty21a
(attenuato, orale) e il vaccino a componente Vi (antigene capsulare, parenterale).
Il ceppo Ty21a è un mutante stabile di S. typhi (nel vaccino vengono inseriti 1000 batteri Ty21a), privo
di un enzima che lo rende incapace di incorporare il galattosio nel LPS della parete. Il ceppo risulta
quindi apatogeno e non immunizzante. In ambiente ricco di galattosio riesce comunque ad
incorporarlo nella parete con stimolazione immunitaria. Il galattosio non può però essere
metabolizzato per mancanza dell’enzima e, acculandosi dentro la cellula, provoca l’auto-lisi. La forma
infettante quindi non viene liberata nell’ambiente dato che si distrugge. La somministrazione è orale,
mediante 3 capsule a giorni alterni 1 ora prima del pasto. Porta allo sviluppo di immunità cellulare e
locale per almeno 3 anni, con un efficacia del 87%. In zone endemiche a distanza di un anno l’efficacia
è ancora al 100%, mentre dopo due del 95%. Può essere utilizzato post-contagio nei conviventi dei
portatori cronici. La vaccinazione in seguito al contatto con casi conclamati ha un’efficacia limitata. La
chemioprofilassi antimalarica (i paesi endemici per la febbre tifoide lo sono spesso anche per la
malaria) non può essere iniziata prima di 3 giorni dall’ultima assunzione del vaccino. Non deve inoltre
essere somministrato fino a 3 giorni dopo trattamento con antibiotici e sulfamidici dato che si tratta
di un vaccino vivo.
Il vaccino a componente Vi (parenterale) ha un’efficacia dell’85% e porta allo sviluppo di immunità
umorale. L’immunità ha una durata di almeno 3 anni. Il vaccino ha una buona tollerabilità.
La vaccinazione è indicata per: viaggiatori in aree endemiche; personale di assistenza ed addetti ai
servizi di cucina, disinfezione, lavanderia e pulizia di ospedali e case di cura; personale addetto al
trasporto di malati; personale addetto alla raccolta e allo smercio di latte e ai servizi di
approvvigionamento idrico; personale addetto alla raccolta e smaltimento dei rifiuti.
Oggi l’igiene degli alimenti è affidata alle regioni che in gran parte hanno sostituito il libretto sanitario
(che prevedeva coprocoltura periodica e altri esami per gli addetti del settore alimentare) con corsi di
formazione di educazione sanitaria.
HPV
Nel 1995 l’OMS dichiara ufficialmente il papillomavirus umano come agente cancerogeno. È la più
comune infezione a trasmissione sessuale. Il virus si replica nelle cellule dell’epidermide, cute e
mucose. L’acido nucleico è stato riscontrato nel 97-99% dei tumori alla cervice uterina. Il 50-80% dei
soggetti sessualmente attivi si infetta nel corso della vita con un HPV e oltre il 50% con un HPV
oncogeno. Nel 60-80% dei casi si tratta di infezioni transitorie (guariscono in 16-24 mesi). Nel 20% dei
casi l’infezione può persistere e progredire verso il carcinoma. Il carcinoma della cervice uterina è
quindi un esito raro di un’infezione comune. Per ogni milione di donne infettate con un HPV: 100.000
svilupperanno un’anomalia citologica cervicale, 8.000 svilupperanno un CIN III (carcinoma in situ), e
1.600 svilupperanno un cancro del collo dell’utero. HPV non è associato solo al tumore della cervice
uterina ma anche ad altri carcinomi (non solo nelle donne). Più del 90% dei condilomi genitali, e tutti i
casi di Papillomatosi respiratoria ricorrente (RRP) sono causati da HPV 6 e 11.
Si tratta di un piccolo virus a DNA (55nm di diametro). Presenta un capside formato da 72 capsomeri
disposti a pentagono senza involucro esterno. Il genoma è circolare a doppia elica. Si conoscono 100-
200 tipi diversi di cui circa 80 infettano l’uomo. Di questi solo 40 sono in grado di infettare l’epitelio
della mucosa genitale. Gli HPV cancerogeni sono appartenenti al gruppo 1. Di questo gruppo i più
rilevanti sono HPV 16 e 18, associati alla maggioranza dei casi di carcinoma della cervice uterina. Gli
HPV potenziamele cancerogeni sono appartenenti al gruppo 2B, di cui HPV 6 e 11 sono i più rilevanti.
L’evoluzione dell’infezione è fortemente condizionata dall’equilibrio che si instaura tra ospite e virus.
Esistono 3 possibilità di evoluzione:
L’infezione da HPV è necessaria per lo sviluppo del cervico carcinoma (CA) ma vi sono anche
importanti cofattori come: fumo di sigaretta, uso prolungato di contraccettivi orali, coinfezione da
HIV, elevata parità (numero di gravidanze con parto naturale).
Epidemiologia
Infezione presente in tutto il mondo. La riserva di infezione è rappresentata dall’uomo. La
trasmissione avviene per contatto diretto solitamente sessuale. La contagiosità si ritiene essere
elevata ma non si hanno dei dati certi. Il tumore della cervice uterina è il tumore più frequente nel
sesso femminile. La maggior parte dei casi registrati al mondo sono nei paesi in via di sviluppo. HPV 16
e 18 sono responsabili di più del 70% dei casi di carcinoma. Questi due insieme ad HPV 45 e 31 sono
responsabili del 90% dei casi di adenocarcinoma della cervice uterina.
HPV infetta le cellule dell’epitelio basale della cervice uterina a seguito di contatto o microtraumi.
L’infezione si impianta entro alcune ore dal contatto. I fattori di rischio più importanti
nell’acquisizione dell’infezione sono giovane età e alto numero di partner sessuali. Può molto
raramente verificarsi infezione perinatale da madre infetta a neonato.
Prevenzione
Primaria e secondaria. La primaria è basata sulla vaccinazione ed educazione sanitaria. La secondaria
(post-infezione) su screening con Pap-test e HPV-test.
HPV ha due proteine capsidiche, L1 ed L2. I vaccini per HPV (disponibili dal 2007) sfruttano la proteina
capsidica L1 dato che è più immunogena. Questa viene prodotta mediante la tecnologia del DNA
ricombinante e si autoassembla in particelle simil-virali (VLP). Queste non sono né infettanti né
oncogene dato che non contengono il genoma. L’immunità anticorpo-mediata contro L1 è tipo-
specifica (immunità solo contro il sierotipo infettante). Anticorpi prodotti contro VLPs-L1 proteggono
contro l’infezione e la malattia. La protezione si ritiene sia legata alla presenza di anticorpi a livello
mucosale per trasudazione di IgG dal siero alle secrezioni cervico-vaginali. Lo scopo primario del
vaccino è la prevenzione del cervico carcinoma. Lo scopo secondario è la prevenzione dell’infezione
persistente da HPV e delle lesioni correlate.
Sono disponibili 3 vaccini: i primi due sono stati il quadrivalente e il bivalente. Nel 2016 è stato messo
a punto il 9-valente. Il quadrivalente contiene L1 dei genotipi 6, 11, 16 e 18 ottenute con la tecnica del
DNA ricombinante (in Saccharomyces cerevisiae). Presenta idrossido di alluminio amorfo come
adiuvante. Il bivalente contiene L1 dei genotipi 16 e 18, ottenute con la tecnica del DNA ricombinante
(con sistema di espressione Baculovirus). Utilizza AS04 come adiuvante. Il 9-valente contiene le
proteine L1 dei genotipi 6, 11, 16, 18, 31, 33, 45, 52 e 58, ottenute con la tecnica del DNA
ricombinante e adiuvato con idrossido d’alluminio amorfo.
Sono tutti vaccini sicuri e mostrano un’elevata efficacia nel prevenire le infezioni e le lesioni
precancerose. Sono stati dimostrati essere efficaci in donne adulte di età compresa tra i 16 e i 26 anni
e immunogeni in bambine ed adolescenti di età compresa tra i 9 e i 15 anni. Ulteriori studi hanno
evidenziato un’efficacia accettabile anche in donne di età superiore (46 anni e su).
Il vaccino è gratuito per le bambine nel dodicesimo anno di età ed è consigliato il recupero a 18 o 25
anni per le donne HPV negative (nessuno contatto con qualunque tipo di HPV). Il piano nazionale
vaccinazioni 2012-2014 prevedeva di raggiungere coperture vaccinali maggiori del 70% per le
dodicenni a partire dalla coorte 2001, dell’80% per la coorte 2002 e del 95% per la coorte dal 2003. Il
piano 2017-2019 ha introdotto la vaccinazione per i dodicenni anche maschi con inizio della chiamata
attiva per la coorte del 2006.
La vaccinazione non sostituisce l’abituale screening oncologico del collo dell’utero (pap-test) dato
che la durata della protezione conferita dal vaccino non è ancora completamente nota.
Vaccinazione e screening non sono da considerare interventi alternativi in quanto:
un’infezione contratta durante il ricovero in ospedale, che non era manifesta clinicamente né in
incubazione al momento dell’ammissione nella struttura, ma che compare durante o dopo il ricovero e da
questo è determinata. Le infezioni acquisite in ospedale comprendono anche le infezioni a cui va incontro il
personale ospedaliero in quanto in rapporto con i malati durante l’assistenza. L’infezione va distinta dalla
colonizzazione, definita come la moltiplicazione a livello locale dei microrganismi senza apparenti reazioni
tissutali o sintomi clinici.
L’infezione in ambiente sanitario va distinta anche dall’infezione comunitaria: per infezioni comunitarie si
intendono infezioni già clinicamente manifeste o in incubazione al momento del ricovero in ospedale.
Al giorno d’oggi il termine di “infezione ospedaliera” (I.O.) si è modificato e comprende sia sul piano
scientifico sia operativo un campo più vasto che
include tutte le infezioni riconducibili a momenti
assistenziali, anche non strettamente ospedalieri, e
la prevenzione del rischio biologico per il personale
sanitario. Anche il nome stesso è cambiato,
passando da infezione ospedaliera ad “infezioni
legate all’assistenza” (I.C.A.)
Aspetti eziologici
Le infezioni possono essere sostenute da
• agenti patogeni tradizionali (virus influenzale in inverno, epatite, salmonelle, stafilococchi, emofili,
etc …)
• agenti opportunisti, ovvero tutti quei microrganismi che aggrediscono l’ospite solo quando si
determinano condizioni tali da consentire il loro impianto in distretti normalmente sterili e/o
quando si verifica una diminuzione a vario livello delle difese dell’ospite (Legionella pneumophila,
Pseudomonas aeruginosa). Gli opportunisti possono provenire dall’esterno oppure possono essere
parte del microbiota.
Classificazione
Le infezioni legate all’assistenza si possono classificare in base a:
I patogeni responsabili di I.C.A. sono nel 70% dei casi resistenti a uno o più antibiotici, essi sono definiti
MDRO (multi drug resistant organism). Alcuni ceppi contengono l’informazione circa la loro resistenza già
nel loro nome (Staphylococcus aureus meticillino-resistente, MRSA) anche se nulla toglie che essi possano
essere resistenti a più di un farmaco.
Le I.C.A. appartengono alle maggiori problematiche infettive in Europa, insieme alle infezioni da HIV,
tubercolosi, infezioni pneumococciche e l’influenza. Per prevenire questa diffusione di I.C.A. è opportuno
adottare una corretta applicazione delle precauzioni standard, ovvero quell’insieme di precauzioni che
hanno lo scopo di ridurre il rischio di trasmissione delle infezioni in ambito assistenziale, esse si basano sul
principio che sangue, liquidi biologici, escrezioni, secrezioni, cute non integra e membrane mucose possono
contenere agenti infettivi trasmissibili. Ogni paziente va considerato come potenziale portatore di infezioni,
quindi le precauzioni standard vanno applicate a ogni paziente.
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Le infezioni correlate all’assistenza sono un evento purtroppo frequente, che comporta un elevato impatto
economico (costi), tuttavia si tratta di eventi prevenibili ed evitabili tramite l’adozione di misure di provata
efficacia.
Secondo il report 2011-2012, su un totale di oltre 200.000 pazienti circa 14.000 (6%) presentavano almeno
un’infezione nel giorno della sorveglianza ospedaliera, di questi il 92,3% presentavano un’infezione, il 7%
presentavano due infezioni e lo 0,7% presentava tre o più infezioni.
La prevalenza nei pazienti con almeno un’infezione in Europa variava dal 2,3% in Lettonia al 10% in
Portogallo, l’Italia si colloca in mezzo ai due valori con un 6,3% di prevalenza di I.C.A.
In Italia sono stimate da 450.000 a 700.000 infezioni annue, questi si traducono in 4500-7000 morti l’anno.
Vi sono anche studi dove si afferma come la proporzione di infezione nosocomiali prevedibili può essere
ben più ampia di quelle che oggi si prevedono, è stato stabilito un range dal 10 al 70%. Per qualsiasi azione
bisogna predisporre delle misure per conoscere il problema per poi risolverlo.
La sorveglianza epidemiologica è importante e deve essere realizzata attraverso una collezione ed analisi
sistematica, interpretando i dati essenziali per la pianificazione, implementazione e valutazione della
pratica di salute pubblica, strettamente integrata con la rapida diffusione di dati a chi necessita di
conoscerli (strutture sanitarie).
La sorveglianza è quindi un processo circolare, la sorveglianza parte dai centri dove si trovano i malati per
poi ritornare agli stessi insieme alla conoscenza che aiuti nella prevenzione.
Lavorando all’ospedale di Vienna individuò il problema dei morti per infezioni postparto in una delle due
cliniche condotta da medici e studenti di medicina, mentre nell’altra clinica, condotta da ostetriche, il
numero di morti era visibilmente più contenuto.
Semmelweis intuì che il danno alle partorenti in termini di infezioni era dovuto alle altre attività di medici e
studenti, i quali a volte prima di andare in sala parto facevano altre attività, fra queste vi era anche quella di
esaminare i cadaveri, portandosi dietro il corredo di patogeni che vi erano nei corpi dei morti anche in sala
parto.
Semmelweis inserì come pratica quella del lavaggio delle mani con cloruro di calcio prima di affrontare le
partorienti, questo condusse all’abbassamento netto del tasso di morti nel reparto con i medici e gli
studenti, il quale ora era del tutto comparabile a quello delle ostetriche.
Molti studi del passato e contemporanei hanno evidenziato come le incidenze di infezioni siano
nettamente minori negli ambienti in cui si effettuino controlli.
• La sorveglianza: è l’azione di gran lunga più efficace nel controllo delle infezioni ospedaliere, essa è
intesa come l’analisi dei dati raccolti continuamente e l’applicazione di misure di controllo e
valutazione dell’efficacia delle stesse.
• Allo scopo di assicurare un’operatività continua in materia di infezione ospedaliera è necessario che
ogni presidio ospedaliero venga istituita una commissione tecnica responsabile della lotta contro le
infezioni
• La necessità di un’infermiera addetta al controllo delle infezioni. E’ una figura fondamentale pe la
sorveglianza delle infezioni ospedaliere, è una figura professionale con una certa esperienza
consolidata nel lavoro di reparto e coinvolta nel programma di controllo.
• Sorveglianza delle infezioni ospedaliere (rilevazione dei dati, analisi periodica e indagini di eventi
epidemici)
• Educazione ed insegnamento nei confronti del personale di assistenza
• Svolgere il collegamento fra il comitato per le infezioni ospedaliere (C.I.O.) e le diverse aree
ospedaliere (controllo dell’applicazione delle misure decise).
• Modificazione del comportamento del personale di assistenza
Indagine nazionale sulla diffusione dei programmi di sorveglianza e controllo delle infezioni ospedaliere
Effettuata nel 1988, ha avuto una rispondenza del 34,2%, ha evidenziato come solo il 14,2% degli ospedali
avesse attivato il comitato, l’11,5% si fosse dotato di un referente medico e l’8% di una figura
infermieristica dedicata.
Il 9,8% aveva dichiarato di aver attivato un sistema di sorveglianza continuativa e la diffusione dei comitati
di controllo, delle figure dedicate, delle attività di sorveglianza e della definizione dei protocolli aumentava
in modo significativo all’aumentare delle dimensioni dell’ospedale.
Secondo questo piano, l’incidenza delle infezioni ospedaliere dovrà ridursi in questo biennio di almeno il
25%, con particolare riguardo a infezioni delle vie urinarie, infezioni della ferita chirurgica, polmoniti
postoperatorie o associate a ventilazione assistita e infezioni associate a cateteri intravascolari.
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Diffusione dei programmi di controllo delle infezioni ospedaliere per dimensioni dell’ospedale (pubblico)
Osservando ai dati circa la presenza di un C.I.O., di un referente medico dedicato e di una infermiera
dedicata, possiamo denotare che le figure professionali richieste erano ancora troppo poche. In generale le
strutture più grandi sono quelle più sorvegliate
Anche in questa seconda tabella le strutture più grandi sono quelle più sorvegliate mediamente.
Dal punto di vista della sorveglianza vi sono molte differenze fra regioni, mancano i dati sulle infezioni a
livello nazionale e mancano linee guida condivise a livello nazionale. I dati inoltre sono poco omogenei e
non comparabili.
L’obiettivo principale è quello di creare un database per comparare i tassi di infezioni nosocomiali nei paesi
dell’UE, per questo sono nati diversi progetti di sorveglianza come HELICS, istituito il 24 settembre ’98
consta di una rete di collegamenti per il controllo e
la sorveglianza delle malattie ospedaliere. All’inizio
l’Italia non prese parte al progetto HELICS, ma si
inserì in un secondo momento.
L’intervento può prevedere un’incisione superficiale (cute e sottocute), un’incisione media, un’incisione
profonda e infine può toccare organi profondi.
Indicatori per la sorveglianza delle infezioni a seconda della regione di ricovero dei pazienti
Progetto INF-OSS (Prevenzione e controllo delle infezioni associate all’assistenza sanitaria e sociosanitaria)
Secondo il report 2011-2012, su un totale di oltre 200.000 pazienti circa 14.000 (6%) presentavano almeno
un’infezione nel giorno della sorveglianza ospedaliera, di questi il 92,3% presentavano un’infezione, il 7%
presentavano due infezioni e lo 0,7% presentava tre o più infezioni.
Studio del CCM di prevalenza europea su infezioni correlate all’assistenza e uso di antibiotici negli
ospedali per acuti
L’acqua è un patrimonio dell’umanità da tutelare in quanto risorsa esauribile di alto valore ambientale,
culturale ed economico. E’ riconosciuto l’accesso all’acqua quale diritto umano, individuale e collettivo. Le
istituzioni ne regolamentano l’uso al fine di salvaguardare i diritti e le aspettative delle generazioni future.
L’uomo adulto necessita di 2L e mezzo di acqua al giorno per ripristinare la perdita idrica di urine, feci,
sudore, respirazione.
Questa poca disponibilità di acqua è dovuta ad una contaminazione antropica, ovvero da parte delle attività
umane, che ha comportato e comporta tutt’ora l’impoverimento delle fonti di approvvigionamento.
• Economici
• Tecnici: necessità di costruire strutture per realizzare e mantenere una qualità ottimale dell’acqua
• Igienici:
• Quantità: Disponibile in quantità sufficiente al fabbisogno individuale
• Qualità: Gradevole, priva di agenti biologici dannosi e sostanze tossiche
Oggi nel mondo 1.5 miliardi di persone non hanno accesso all’acqua potabile, questo anche dovuto al fatto
che i sistemi di erogazione dell’acqua a volte non sono efficienti o sono assenti. La quantità di acqua dolce
pro capite è scesa da 17.000 m3 nel 1950 a 7.500 m3 nel 1995.
Le caratteristiche delle falde acquifere sotterranee sono relazionabili allo strato di terreno attraversato:
- Terreni compatti: danno una migliore qualità di acqua in termini igienici, poiché sono ottimi
filtranti.
- Terreni sciolti
Le caratteristiche delle falde acquifere sotterranee sono relazionabili anche in base alla profondità
raggiunta:
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Aspetti epidemiologici
Dal punto di vista epidemiologico, le acque telluriche (del sottosuolo) sono contenute in:
Per definizione le acque di superficie sono considerate acque di drenaggio di una regione o di un territorio.
E’ praticamente impossibile che le acque di superficie non siano inquinate, il grado inquinamento varierà
per:
Definizioni di acqua
Criteri di potabilità
Ovvero quei criteri a cui deve rispondere l’acqua perché possa essere considerata potabile, essi sono:
• Criteri idrogeologici: si ottengono studiando il bacino idrico e delle falde da cui si origina l’acqua
• Criteri organolettici (colore, odore, sapore, limpidezza): determinano l’accettabilità
• Fisici (temperatura, pH, conducibilità): determinano la stabilità nel tempo dell’acqua. Un’acqua
profonda ha una temperatura costante, una concentrazione ionica costante e un pH costante, se
così è essa può essere definita protetta, che non risente della contaminazione superficiale.
• Microbiologici (assenza di patogeni)
• Chimici (assenza di sostanze chimiche pericolose)
• L’acqua deve disporre di normali indici di mineralizzazione (solfati, cloruri, magnesio, calcio, ferro
manganese, non può essere bevuta se è distillata ma nemmeno se è calcarea con depositi solidi)
• Deve rispondere ai criteri di usabilità
• Non devono essere presenti componenti che possono recare danno alla salute se in eccesso o in
difetto
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Nell’acqua è poi presente un carico organico che conferisce una gradevolezza ed una certa usabilità
dell’acqua (ammoniaca e nitriti sono principalmente naturali e fosfati che sono principalmente di
inquinamento). Alcune sostanze tossiche sono presenti (mercurio, cadmio, cromo, idrocarburi policiclici
aromatici, cianuri ed antiparassitari).
I componenti che sono normalmente presenti in acqua ma che possono essere pericolosi per la salute se
presenti in concentrazioni alterate sono:
I microrganismi presenti e ricercabili possono essere moltissimi (batteri, funghi, virus, protozoi ed elminti),
se dovessimo escludere la presenza di ogni patogeno per considerare l’acqua potabile allora non
riusciremmo a bere praticamente mai per via della lunghezza delle ricerche, dell’impossibilità di coltivare
alcuni microrganismi e per la presenza di “ondate”, ovvero fasi in cui il campione potrebbe essere assente e
dopo un’ora potrebbe essere presente, questo per via della periodicità degli scarichi nelle acque.
Per questi motivi non si ricercano i microbi ma degli indicatori ovvero batteri che ci indichino l’origine di
una contaminazione fecale, perché noi scegliamo batteri di facile identificazione che sono presenti nelle
feci umane o animali, e questi risultano essere presenti nelle acque, significa che quelle acque sono state
raggiunte da scarichi fognari.
La carica batterica deve essere verificata a due temperature 22° e 36° (temperatura tipica dell’acqua e
temperatura del corpo umano), se ci sono un numero normale di batteri a 22° e pochi batteri a 36° vuol
dire che in quell’acqua ci sono i batteri tipici dell’ambiente acquatico, se invece dal passaggio dai 22° ai 36°
la carica microbica aumenta, allora è probabile che siano di origine umana, poiché a 36° trovano condizioni
dell’ambiente favorevoli.
Vengono cercati poi specifici microrganismi: coliformi fecali (Escherichia coli) coliformi totali, streptococchi
fecali (contaminazione recente, poiché sopravvivono poco) e spore di clostridi solfitoriduttori
(contaminazione di vecchia data, poiché durano a lungo). Vengono poi condotte analisi specifiche in caso di
presenza di epidemie.
• La disinfezione degli agenti microbici può essere fatta attraverso mezzi fisici (calore, filtrazione,
raggi UV) e chimici (cloro, biossido di cloro e O3)
Per cloro attivo si intende quella percentuale di cloro prontamente disponibile in grado di produrre in
acqua HClO (agente disinfettante). Per cloro richiesta si intende la quantità minima di cloro necessaria per
ossidare le sostanze organiche presenti nell’acqua e lasciare cloro residuo attivo. Per cloro residuo si
intende la quantità di cloro rinvenuta nelle acque dopo 15-30’. Il cloro residuo viene diviso in:
Clorazione semplice
Come osservare la presenza di cloro residuo in acqua? Si considerano 100 mL di acqua in beuta, in ogni
beuta si aggiungono quantità crescenti di
cloro. Agitare la beuta per mescolare e
lasciare in contatto il cloro con l’acqua per
15-30’. In ogni recipiente si inserisce un
indicatore di ossidoriduzione (ortolidina).
Nelle prime beute la quantità di cloro che
abbiamo immesso non è sufficiente a
produrre cloro residuo. Dalla quarta beuta
in poi invece si osserva la colorazione del
marcatore, questo significa che il cloro
aggiunto ha permesso di ossidare tutte le
sostanze nell’acqua ed in più ne è
avanzato un po’. Questo ci permette di
capire che la clororichiesta è 0,4 mg/Litro.
Clorazione al Break-point
Con questa clorazione si misura la quantità di cloro che dobbiamo aggiungere all’acqua per arrivare alla
ossidazione di tutte le sostanze presenti, semplici e combinate. Se mettiamo cloro in acqua distillata e
misuriamo, vediamo che otteniamo che tanto cloro abbiamo immesso e tanto cloro ritroviamo (l’acqua
distillata non ha cloro richiesta perché non ha niente di ossidabile). Se invece mettiamo cloro in acqua che
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ha una cloro richiesta, le prime dosi di cloro non figureranno come cloro residuo attivo ma verranno
impiegate nell’ossidazione delle sostanze nell’acqua. Quando la quantità di cloro residuo attivo inizia a
crescere allora vuol dire che tutte le sostanze sono state ossidate dal cloro.
Potabilizzazione dell’acqua
una clorazione ed una ionizzazione. Dopodichè l’acqua viene sollevata per essere messa in rete.
Unico gestore a cui vengono ricondotte le competenze della gestione dell’approvvigionamento e dello
smaltimento delle acque reflue. Questo accentramento delle responsabilità serve per fare in modo che
l’ente abbia una visione più ampia possibile del problema. Ciò che il SII svolge è: captazione, adduzione,
distribuzione, fognatura e depurazione. Il territorio nazionale è suddiviso in ambiti territoriali con un unico
gestore (ATO), il quale applica una tariffa unica commisurata ai costi e agli investimenti.
I principali attori del sistema sono i cittadini che attraverso i comuni designano i regolatori (i vari ATO), ai
quali affidano il problema, i regolatori possiedono dei gestori che provvedono alla gestione del problema e
si preoccupano di contattare i fornitori, di manutenzione, di erogazione e di investimenti.
Gli investimenti vengono ripartiti al 46,7% agli acquedotti, il 19,5% alla depurazione e il 33,8% alle
fognature.
Secondo un recente decreto il gestore unico non può aumentare i prezzi dell’acqua in funzione di un
guadagno migliore per se stesso, ma semplicemente le tariffe sono determinate dall’adeguatezza della
remunerazione e dal capitale investito.
L’inquinamento dell’acqua è definito come una variazione abnorme delle normali condizioni dell’acqua in
grado di causare danni all’uomo e all’ambiente, e nel caso dell’acqua si verifica quando in essa vengono
versate sostanze contaminanti di natura fisica di natura chimica e biologica, sia di origine naturale ed
antropica in grado di alterare gli equilibri naturali. Gli inquinanti che possono alterare la qualita dei corpi
idrici sono distinti in base all’origine in:
*metaemoglobinemia
Prima di essere distribuita l’acqua viene controllata, la frequenza dei controlli è stabilita in base:
1. Alla popolazione servita, tanto è maggiore la popolazione tanto è maggiore il numero di controlli
(poiché ad una popolazione
maggiore potrebbero
corrispondere più fonti per
approvvigionare tutti)
2. Alla funzione delle sorgenti di
approvvigionamento e al loro
grado di contaminazione
Quanti campioni di acqua vengono esaminati in ogni controllo? Lo si stabilisce in base alla complessità
dell’agglomerato urbano.
I decreti legge 31/2001 e 27/2002, stabiliscono e regolamentano la qualità delle acque potabili, ad esempio
gli indicatori microbiologici Escherichia coli ed Enterococchi devono avere un valore di 0/100. Sono inclusi
nel decreto anche indicatori chimici e fisici.
La normativa 152/06 ha introdotto il piano di tutela delle acque che rappresenta lo strumento di
pianificazione per realizzare gli obiettivi di tutela qualitativa e quantitativa dei bacini idrici (andamenti
temporali delle portate dei corsi d’acqua, delle portate e dei livelli piezometrici negli acquiferi sotterranei,
dei livelli idrici dei laghi, serbatoi, stagni. Il piano ha condotto alla creazione del ciclo idrico integrato:
insieme di servizi pubblici di captazione, distribuzione, collettamento, depurazione e smaltimento delle
acque reflue.
IGIENE DEGLI ALIMENTI
Gli alimenti sono importanti veicoli di diffusione di infezioni: più di 200 sono le malattie conosciute
trasmesse dagli alimenti. Queste malattie sono suddivise in due gruppi a seconda della sintomatologia
provocata:
• INFEZIONI: in questo caso l’alimento è uno dei veicoli di diffusione; non è un veicolo
esclusivo.
• TOSSINFEZIONI: in questo caso l’alimento è categoricamente veicolo esclusivo.
Negli ultimi anni sono nate una serie di problematiche nel campo delle malattie acquisite con gli alimenti,
date da fattori recenti come la Globalizzazione dell’offerta di derrate alimentari che provengono da
tutto il mondo. Queste derrate portano all’introduzione di patogeni in nuove aree geografiche e ciò
comporta l’esposizione della popolazione a “nuovi patogeni” in virtù anche di un aumentato flusso
migratorio.
Vi sono inoltre cambiamenti delle popolazioni microbiche in funzione della loro sopravvivenza come
anche cambiamenti nelle popolazioni umane che includono sempre più individui anziani, quindi più
fragili ed esposti a questi nuovi patogeni. Da includere anche i cambiamenti nello stile di vita, che ci
costringe ad almeno un pasto fuori casa in sistemi di catering/mense ecc…
INFEZIONI ALIMENTARI
Le infezioni alimentari sono caratterizzate da:
• Trasmissione mediante modalità diverse: non solo alimenti ma anche veicoli e scarsa igiene
• Carica microbica bassa o modesta: per infettare non necessitano di cariche microbiche elevate
• Agiscono sulla mucosa intestinale replicandosi in essa
• Prevedono numerose modalità di trasmissione: non solo con alimenti ma anche con acqua,
veicoli, oggetti e strumentario utilizzato per la preparazione/somministrazione degli alimenti,
vettori e contagio interumano.
Affinchè l’infezione si trasmetta,
questa deve partire da un alimento
contaminato da batteri vivi.
Se all’interno dell’alimento avviene
un’iniziale moltiplicazione batterica
prima del consumo, allora si
svilupperà una tossinfezione
alimentare (come quella tipica delle
Salmonelle minori).
Se non c’è moltiplicazione batterica
nell’alimento prima del consumo,
allora si avranno infezioni date da
agenti eziologici di malattia
conclamata come S.thyphi,
S.parathypi, Shigella, Vibrio colerae, HAV ecc…
Tutti questi agenti eziologici producono a livello intestinale un’infezione con conseguente danno della
parete intestinale. Ciò provoca due tipi di infezioni:
➢ INFEZIONE ENTEROTOSSICA: legata al Colera e alle Enteriti da E. coli
➢ INFEZIONE ENTEROINVASIVA: date da Leisteria e Shigella.
Le infezioni alimentari possono essere provocate da differenti agenti eziologici. Tra questi abbiamo:
-BATTERI:
• Salmonellosi
• Shigellosi
• Gastroenteriti provocate da E. coli, Yersinia enterocolitica, Campylobacter, Plesiomonas shigelloides
• Gastroenteriti da enterococchi (Streptococchi fecali)
• Infezioni da Vibrio spp.
• Infezioni da Aeromonas spp.
• Listeriosi
• Brucellosi
-VIRUS:
• Virus A dell’epatite
• Virus E dell’epatite
• Rotavirus
• Norwalk
• Noro
• Altri (Adenovirus, Parvovirus, Astrovirus, Calicivirus)
-PRIONI
-PROTOZOI E METAZOI
• Giardia Lamdia
• Entamoeba histolytica
• Cryptosporidium parvum
• Cyclospora cayetanensis
• Acanthamoeba (e altre amebe)
• Taenia saginata, T.solium
• Echinococcus
• Anisakis spp.
• Diphilla bothrium spp.
• Nanoohyetus spp..
• Eustrongyloides spp.
• Ascaris lumbricoides
• Entamoeba hystolytica
• Ecc..
Tra queste, è da citare:
GIARDIA LAMDIA
È un protozoo che vive a spese di animali domestici e mammiferi selvatici, da cui vengono eliminati
sottoforma di cisti mediante le feci. Le forme cistiche sono comunque molto resistenti, tant’è che
sopravvivono nell’ambiente anche più di 2 mesi, e proprio per questo sono difficili da eliminare con
agenti disinfettanti come il Cloro attivo, scarsamente efficace.
G.lamdia colonizza il duodeno e il digiuno grazie ad un disco adesivo presente nella sua parte ventrale.
La colonizzazione è spesso inapparente cioè non presenta forte sintomatologia clinica. Nonostante ciò,
determina la presenza di un grande numero di trofozoiti che ricoprono più o meno tutta la superficie
della mucosa, provocando un danno meccanico accompagnato da una perdita di attività enzimatica.
Ciò determina una difficoltà di assorbimento, causata da una modificazione dei microvilli ad opera del
protozoo.
Si manifesta clinicamente dopo 1-2 settimane con una sintomatologia caratterizzata da diarrea e dolori
addominali modesti ma persistenti; nei soggetti immucompromessi i sintomi sono molto più gravi.
Nei paesi sottosviluppati è forse la principale causa di infezioni diarroiche mentre nei paesi sviluppati ha
una diffusione modesta.
ROTAVIRUS
È un virus ad RNA lineare segmentato in 11 segmenti, racchiuso in un doppio strato capsidico. Se ne
conoscono 4 gruppi (A→E) di cui l’A è il più importante per l’uomo. Resiste ad un pH che varia da
3→10, al calore e agli enzimi proteolitici. Esistono numerosi ceppi animali e ceppi umani coltivabili. La
trasmissione del Rotavirus è fecale-orale e la stagionalità è tipica dei periodi invernali.
L’infezione è a carico dell’epitelio dei villi intestinali, dove l’enzima lattasi agisce da recettore, favorendo
lo svestimento del virus e quindi la penetrazione/replicazione all’interno delle cellule (che verranno
distrutte). Ciò porterà ad una diminuzione di lattasi e ad un aumento di lattosio non scisso e quindi non
assorbito. Si avrà un’elevata pressione osmotica con ritenzione di acqua e dunque stimolazione di
peristalsi. Questo giustifica la maggior frequenza e gravità di infezione nei bambini nei primi anni di vita
(6 mesi-2 anni) dato il loro epitelio intestinale non ancora del tutto sviluppato.
Rotavirus ha un periodo di incubazione di 24-48 h e si presenta con una sintomatologia caratterizzata da
diarrea acquosa e febbre modica (nel 50% dei casi). La guarigione è spontanea nei bambini in buona
salute e avviene nel corso di 1 settimana. Il decorso diventa grave invece in caso di malnutrizione. Negli
adulti la malattia è asintomatica ma può essere grave negli anziani istituzionalizzati.
Contro il Rotavirus esiste un efficace vaccino.
YERSINIA ENTEROCOLITICA
Si presenta con una sintomatologia differente a seconda dell’età:
LISTERIOSI
È un’infezione alimentare che si contrae in seguito all’ingestione di alimenti contaminati da Listeria
monocytogenes, un coccobacillo Gram+, asporigeno mobile. È un batterio ubiquitario: si trova
nell’acqua, nei rifiuti, nel suolo, negli animali da latte ecc…
È sensibile ai più comuni disinfettanti ma ha una spiccata psicotrofia, resistenza al freddo (sopravvive
fino a 1 °C). È invece molto sensibile alla pastorizzazione: una temperatura di 71°C per 15 s lo
uccidono.
L’infezione si manifesta sottoforma di meningiti, aborti e setticemia perinatale oltre che sintomi
simil influenzali. Tutti questi sintomi non sono MAI a carico dell’apparato gastrointestinale. Se
diagnosticata tardi, la quota di mortalità è del 30%. Le persone più a rischio sono le donne in gravidanza,
i neonati, gli anziani e i soggetti già debilitati. L’infezione non si manifesta in tutte le persone con le quali
il microrganismo viene a contatto, per cui si ipotizza l’esistenza di meccanismi di resistenza a livello
genetico.
BRUCELLOSI
È un’antropozoonosi ubiquitaria legata sia al contatto con animali infetti sia al consumo di alimenti di
origine animale infetti. È conosciuta anche con il nome di Febbre ondulante ed è sostenuta dal batterio
del genere Brucella, batterio tipico del bestiame.
L’infezione NON è una gastronenterite ma presenta sintomi specifici come febbre intermittente,
brividi, dolori diffusi e cefalea. Non è una malattia mortale ma è comunque debilitante e si protrae a
lungo. Il microrganismo è di difficile eliminazione dato che Brucella si va a localizzare a livello
intracellulare. Infatti, una volta penetrato nell’organismo, Brucella diffonde per via linfatica e quindi
ematica localizzandosi in cellule del sistema reticolo-endoteliale (milza, linfonodi, fegato, rene, midollo
osseo ecc…).
TOSSINFEZIONI ALIMENTARI
Fattore chiave è che il veicolo esclusivo di trasmissione dell’agente eziologico è l’alimento, che presenta
una carica batterica x g molto elevata (>106 x g). Il periodo di incubazione che segue la tossinfezione
è molto breve: da 1-48h salvo un’eccezione. La sintomatologia si presenta inizialmente a livello
gastrointestinale per poi interessare altri organi. Un fattore che aiuta a distinguere questo tipo di infezioni
da altre è dato dalla comparsa istantanea di più casi fra coloro che hanno consumato lo stesso alimento
determinando così un focolaio epidemico.
Gli agenti causali delle tossinfezioni sono:
Per l’acqua libera i limiti di crescita minimi e massimi dei microrganismi sono rappresentati dai valori:
Altri fattori ancora sono Ossigeno (dato che esistono batteri aerofili e anaerobi), Nutrienti (essenziali
per la costruzione della cellula batterica) e Sostanze inibenti (influenzano negativamente la
proliferazione del microrganismo).
-Fattori relativi all’ambiente
-Fattori relativi all’alimento
Conseguenza della contaminazione alimentare è un danno alla salute dell’individuo e della comunità, che
comporta problemi economici, problemi sanitari (dato che interessa non solo il singolo ma anche un
gruppo ristretto di popolazione che si è cibato dell’alimento contaminato) nonché problemi legali per i
produttori dell’alimento difettoso.
La tossinfezione presenta una definizione tipicamente epidemiologica che comprende patologie diverse
sostenute da batteri diversi presenti negli alimenti.
Le tossinfezioni possono essere suddivise in:
Anche per le tossinfezioni alimentari i fattori favorenti sono gli stessi delle infezioni alimentari. Anche
qui abbiamo:
-Fattori legati al patogeno:
• Temperatura
• Tempo che trascorre tra la contaminazione dell’alimento e il consumo dell’alimento
• pH
• Tipo di alimento (composizione in termini di sostanze nutritive – per esempio, un’insalata è
povera di fattori nutritizi per i batteri dunque sarà raramente veicolo alimentare)
• Tensione di Ossigeno
• Stato fisico dell’alimento: un alimento solido è più contaminato a livello di superficie. Per
esempio una massa muscolare sarà più contaminata sulla superficie che all’interno.
Unico modo per contaminare l’interno sarebbe macinare la carne: in questo caso la carne macinata
è più pericolosa in termini di infettività rispetto alla carne intera data la contaminazione anche
interna.
-Fattori legati all’ambiente:
• Inadeguato raffreddamento
• Lungo intervallo di tempo tra la preparazione ed il consumo
• Personale infetto/carenti condizioni igieniche
• Inadeguata cottura: la cottura deve essere perfetta in tutta la massa dell’alimento.
-Fattori legati all’alimento
Esempi di intossicazione:
INTOSSICAZIONE STAFILOCOCCICA
Il quadro gastroenterico insorge dopo il consumo di alimenti contaminati da enterotossina elaborata da
Staphulococcus aureus. La sorgente d’infezione nella maggioranza dei casi è l’uomo su cui S.aureus è
presente sulla cute e sulle mucose da dove può contaminare più facilmente gli alimenti, soprattutto in
caso di cattiva igiene dell’operatore.
È molto diffusa in Italia soprattutto nei mesi caldi. Gli alimenti più comunemente coinvolti sono ricchi
di proteine, poco acidi e non adeguatamente refrigerati dopo la cottura come dolci o gelati a base di
creme, panna o formaggi teneri. Ma anche carni macinate, pasticci, patè, polpettoni, arrosti freddi con
maionese, ragù ecc…
Vi sono poi altre tossinfezioni alimentari date da C.botulinum, Salmonelle, Bacillus cereus, Vibrio parahemolyticus,
C. perfringens ecc…
STAFILOCOCCO ENTEROTOSSICO
La enterotossina ha un effetto emetizzante per stimolazione del centro del vomito, ciò comporta, dal
punto di vista clinico, vomito profuso ma anche diarrea e dolori addominali. Non c’è mai febbre. Il
periodo d’incubazione è di massimo 8 h.
La tossina è termostabile, dunque resistente al calore ( richiede 110 °C x 50 min o 121 °C per 20 min)
e cronostabile, cioè resiste nel tempo, anche a distanza di 18 mesi. La sua potenza, misurata nei volontari
umani, è di 0,2-0,4 μg/kg peso. I fattori limitanti sono rappresentati da un pH<5 o pH>9 e da una
temperatura T°<4 o T°>65.
BOTULISMO
Grave intossicazione alimentare provocata prevalentemente dall’ingestione di cibi conservati contenenti
la tossina botulinica prodotta dalla germinazione delle spore durante la conservazione. È caratterizzata
da un complesso quadro clinico definito da sintomi neuromuscolari.
L’agente eziologico è il Clostridium botulinum, batterio anaerobio che elabora 7 tipi diversi di tossine
tra cui le A, B ed E sono responsabili di quasi tutti i casi di intossicazione umana.
Le condizioni che portano alla germinazione della spora, la replicazione del microrganismo e dunque la
produzione della tossina sono:
• Condizioni di anaerobiosi
• T°> 10°C
• Acqua libera >94%
• pH>4.5
• Concentrazione di NaCl< 7-8%
• Assenza di nitrati
• Presenza di altre forme microbiche che, attraverso la loro attività metabolica, possono favorire le
condizioni idonee di crescita/moltiplicazione del patogeno anche in ambienti originariamente
inadatti (come le conserve acide).
1μg di esotossina A corrisponde alla dose minima letale per l’uomo. La letalità corrisponde al 60-
70%.
La tossina botulinica è termolabile ma resiste agli enzimi gastrici dunque supera la barriera gastrica,
arrivando all’intestino tenue, dove viene assorbita e trasportata mediante il circolo ematico fino al sistema
nervoso. Qui agisce sulle sinapsi e sulle placche neuromuscolari, ostacolando la liberazione di
acetilcolina.
Il periodo d’incubazione è di 12-36 h. I sintomi sono: astenia, vertigini, nausea, vomito (diarrea), pupille
dilatate, diplopia, disfagia e interessamento dei muscoli respiratori.
Il serbatoio è ubiquitario dato che sopravvive come spora nel terreno, nelle acque e nei vegetali. Le spore
sono termoresistenti e vengono distrutte solo dal calore umido a 121°C in 30 min (in autoclave).
In passato il botulismo era legato a cibi come salsicce e altri insaccati, oltre che conserve alimentari
preparate industrialmente con metodi imperfetti. Attualmente il botulismo è legato a conserve prodotte
in ambiente domestico o piccolo-artigianale, soprattutto di cibo poco acido (conserve vegetali, conserve
di pesce o di carne).
Esistono varie forme di botulismo:
CLOSTRIDIUM PERFRINGENS
Provoca una sindrome caratterizzata da diarrea e dolori addominali dovuti all’ingestione di cibi contenenti
il microganismo e la sua tossina. È una tossinfezione legata quasi esclusivamente alla ristorazione
collettiva, soprattutto al consumo di carne non adeguatamente cotta o mal refrigerata (es. conservata a
temperatura permissiva per un consumo rapido).
L’agente eziologico è il Clostridium perfringens, bacillo Gram+ sporigeno anaerobio, presente in 5 tipi
in grado di produrre differenti tossine: il tipo A causa tipiche tossinfezioni alimentari, il tipo C provoca
una grave enterite necrotizzante. Questo batterio si trova nelle acque, nel suolo e nell’intestino degli
animali.
Viene facilmente distrutto ad una temperatura di 60 °C per 10 min. La tossina viene prodotta durante la
fase di sporulazione dunque le condizioni che favoriscono la germinazione delle spore favoriscono anche
la produzione della tossina soprattutto a livello intestinale. L’azione della tossina è adenil-ciclasica, porta
dunque ad uno squilibrio Cl-Na.
Periodo d’incubazione: 6-24 h nelle ore successive l’ingestione di cibo contenente cellule vive (sempre ad
una concentrazione >106 unità x g). I sintomi sono forti dolori addominali, diarrea e nausea con un
decorso benigno.
Tra i fattori favorenti abbiamo i riscaldamenti preliminari tipici della ristorazione collettiva. Le carni più
pericolose sono gli arrosti arrotolati la cui superficie esterna, più contaminata, viene portata all’interno
della massa dove più facilmente si instaurano condizioni di anaerobiosi e gli scambi di calore avvengono
molto più lentamente. Particolarmente pericoloso è lasciare l’alimento a temperatura ambiente perché, in
queste condizioni, viene favorita la germinazione delle spore e la liberazione della tossina.
VIBRIO PARAHAEMOLYTICUS
Tipico batterio delle acque costiere ed oceaniche (acque e sedimenti) che rientra nella normale
microflora di numerosi animali marini (gamberetti e granchi), molluschi e pesci.
Il ritrovamento (di per sé raro) di questo microrganismo su altri prodotti alimentari è indice di una
contaminazione crociata. Si contrae mediante il consumo di alimenti marini crudi. Compare dopo circa
6h con sintomi tipici di una gastroenterite. Da un’infezione di tipo enterotossico.
La massima frequenza con cui si presenta è in Giappone con oltre 10.000 casi/anno, ma anche nel sud-
est asiatico, soprattutto nei periodi caldi.
Gli alimenti più contaminati sono i crostacei consumati crudi, molluschi, pesci poiché la riserva
d’infezione è rappresentata da acqua marina e sedimenti.
È facilmente distrutto dalla temperatura dunque basta cuocere i cibi: il pericolo nasce da crostacei poco
cotti o contaminati dopo la cottura.
BACILLUS CEREUS
È un bacillo Gram+ sporigeno aerobio facoltativo molto diffuso in natura. Produce numerose
sostanze extracellulari tra cui due tossine responsabili di tossinfezioni conseguenti al consumo di
alimenti contaminati con cellule vive. Queste sono:
• Tossina diarroica: è una tossina termolabile che provoca una sindrome che causa forti dolori
addominali e diarrea acquosa circa 15-24 h dopo il consumo di alimenti contaminati. Provoca una
sintomatologia simile a quella di C.perfringens. Gli alimenti che possono presentare maggiormente
la tossina sono insalata, purea di patate, insalata di pollo e piatti pre-cucinati.
• Tossina emetizzante: è una tossina termostabile e resistente a valori estremi di pH (2-11).
Provoca una patologia più grave di quella provocata dalla tossina diarroica e più breve nella
manifestazione (periodo d’incubazione: 6 h). Provoca una sintomatologia simile a quella
dell’intossicazione stafilococcica. Gli alimenti che possono presentare maggiormente la tossina
sono il riso bollito o fritto, latte in polvere e creme.
PREVENZIONE
I comportamenti preventivi essenziali per evitare la contaminazione degli alimenti, dunque tutte le
patologie collegate a questi, sono:
1. ABITUARSI ALLA PULIZIA: sia delle mani che delle stoviglie o degli utensili che si
usano per cucinare cibi.
3. CUOCERE BENE GLI ALIMENTI: soprattutto carne rossa, pollame, uova e pesce.
Portare ad ebollizione zuppe e stufati. I cibi cotti precedentemente devono essere riscaldati
completamente prima del consumo. La temperatura di cottura deve essere >55-60 °C onde
evitare la sopravvivenza dei patogeni.
Il punto 5. afferma il divieto di vendita dei prodotti che riportano la data di scadenza a partire dal giorno
successivo a quello indicato dalla confezione.
IGIENE AMBIENTALE
AMBIENTE= insieme di quei fattori e di quelle influenze esterne (fisiche, chimiche, biologiche, sociali)
che esercitano un effetto significativo ed apprezzabile sulla salute.
Dato che l’ambiente è soggetto a numerose trasformazioni che possono provocare danni all’uomo e ai
beni ambientali, interviene l’igiene ambientale, parte della medicina preventiva che studia
l’epidemiologia delle patologie legate alle diverse matrici che costituiscono l’ambiente in cui viviamo e
che ci consentono di vivere. Queste matrici sono: aria, acqua, alimenti e suolo.
Gli scopi dell’igiene ambientale sono:
L’ambiente può dunque essere soggetto a modificazione: mediante l’inquinamento nella sua componente
idrica, mediante contaminazione nella sua componente alimentare e mediante inquinamento atmosferico
nella sua componente aria. Tutte queste componenti, insieme ai rischi occupazionali dati dalle modifiche
all’ambiente, si ripercuotono come danno all’uomo. Esse determinano:
Il problema dell’inquinamento atmosferico è partito dai grandi episodi storici di inquinamento degli anni
’30, protrattisi fino agli anni ’70 con numerosi casi di malattia e anche morte:
Da questi episodi, negli anni ’70, sono partiti numerosi studi e numerose leggi e normative a favore
dell’assenza di episodi acuti di inquinamento e della riduzione delle emissioni civili e industriali per la
riduzione dell’inquinamento atmosferico. Tuttavia c’è stato comunque un aumento del traffico dato dal
sempre maggiore utilizzo di autoveicoli.
• Pressione: diminuisce dal livello del mare (1013,3 millibar) a una quota di 1000 m (893,3 millibar)
• Temperatura: diminuisce in rapporto all’altitudine e quindi alla pressione. In media varia circa
1°C ogni 100m.
• Umidità: quantità massima di vapore che può essere contenuta in una data temperatura (alle
condizioni di saturazione). Si divide in umidità assoluta (quantità di vapore effettivamente
presente nell’aria al momento della determinazione) e umidità relativa (rapporto percentuale fra
umidità assoluta e umidità massima alla temperatura x).
• Velocità dell’aria: la ventilazione consente l’allontanamento di inquinanti
Inquinamento ossidante (smog fotochimico)= porta alla formazione di radicali liberi altamente
reattivi che si combinano con NO con conseguente accumulo di ozono (O3).
Biossido di azoto + luce, per fotolisi, porta a monossido di azoto (NO) e ossigeno atomico (O*). Questo
si lega all’ossigeno formando ozono (O3). L’ozono, in presenza di monossido di azoto reattivo (NO**)
produce infine biossido di azoto (NO2) e O2.
INQUINAMENTO DELL’ARIA ARTIFICIALE
Si suddivide in sorgenti date da:
L’inversione può essere data anche da irraggiamento, che tende a diminuire con il trascorrere del giorno
in seguito al progressivo riscaldamento del suolo e quindi dello strato di aria ad esso adiacente.
• Piogge acide: deposizioni meteoriche a pH acido per passaggio di nubi nell’atmosfera ricca di
contaminanti. Queste piogge provocano danni diretti sulla vegetazione, sui monumenti e anche
all’uomo attraverso la catena alimentare.
• Effetto serra: accumulo di CO2 e CFC (cloro-fluoro-carburi) che assorbono le radiazioni
infrarosse inviandole sulla terra, provocando così surriscaldamento.
• Effetto frigorifero: formazione di nubi e nebbie per presenza di contaminanti che trattengono
le radiazioni caloriche.
GAS INQUINANTI
-BIOSSIDO DI AZOTO (NO2)
È un gas di colore rosso scuro di derivazione:
-ANIDRIDE SOLFOROSA
Gas incolore molto reattivo e irritante per le alte vie respiratorie, congiuntiva e gola. Deriva dallo zolfo
presente nei combustibili utilizzati nel settore dell’energia e dell’industria di trasformazione.
-BENZENE
Sostanza contenuta nel petrolio e nelle benzine. Le sorgenti sono l’industria chimica, il traffico
autoveicolare e i depositi di carburante. Gli effetti sono oncogeni sugli animali e sui lavoratori esposti.
Nelle aree urbane è presente insieme ad idrocarburi policiclici aromatici (IPA).
RIASSUNTO
IL BIOFILM
La contaminazione del riunito favorisce la comparsa di biofilm, si tratta di un sistema di cellule
microbiche associato stabilmente con una superficie, le cellule sono racchiuse in una matrice di
materiale polisaccaridico. L’interfaccia tra superficie e mezzo acquoso costituisce un ambiente ideale per
l’adesione e la crescita dei microrganismi. Le cellule del biofilm sono adese in modo irreversibile ad un
substrato, sono immerse in una matrice polimerica extracellulare, hanno fenotipo alterato per la
particolare regolazione genica e sono protette dalla risposta dell’ospite, dall’azione di agenti
antimicrobici e da condizioni ambientali sfavorevoli. Nel biofilm si costituisce una comunità batterica
funzionale, con batteri vitali, cellule morte, esopolisaccaridi glicoproteine e sostanze organiche ed
inorganiche. In presenza di superfici umide a cui aderire molti microrganismi si organizzano in biofilm,
qualsiasi superficie a contatto con un liquido non sterile rappresenta un substrato ideale per la
colonizzazione microbica, perché vi si adsorbono nutrienti grazie alla tensione superficiale. Alla base di
questo fenomeno vi è il fatto che in natura la maggior parte dei batteri crescono in forma sessile adesi
alle superfici. La crescita planctonica è caratteristica dei batteri liberi in colture artificiali.
Tra gli strumenti e i dispostivi medici soggetti alla formazione di biofilm ci sono lenti a contatto,
protesi dentarie e impianti dentali, protesi ortopediche, cateteri vascolari e valvole cardiache.
La formazione del biofilm è stata scoperta da Van Leeuwenhoek per primo che osservò la presenza di
microrganismi sulla superficie dei denti scoprendo la placca. Successivamente altri osservarono che la
crescita e l’attività batterica veniva favorita dall’adesione dei microrganismi ad una superficie, e con
adeguate colorazioni fu messa in evidenza la natura polisaccaridica della matrice.
Al microscopio elettronico a scansione è stata messa in evidenza la diversa morfologia delle popolazioni
microbiche coinvolte anche in rapporto alla superficie e ad i materiali coinvolti. Il biofilm rappresenta
per i batteri che lo compongono un vantaggio evolutivo, poiché risultano protetti da variazioni di pH,
temperatura e radiazioni UV. Le condizioni favorenti per il biofilm sono date da:
1) l’ampiezza dell’interfaccia solido/liquido
2) Contatto prolungato
3) Dalle specie batteriche selezionate nella placca dentale, specializzate nella formazione del biofilm.
La formazione del biofilm inizia con la formazione di microcolonie e la loro fusione con formazione di
una struttura elastica fortemente idratata ed eterogenea. Si formano strutture a fungo date da cellule
immerse in una matrice polisaccaridica, e canali d’acqua tra microcolonie e matrice per la diffusione dei
nutrienti.
Il distacco invece si ha per frammentazione della microcolonia e di ammassi di strati più superficiali
favorito da forze di flusso o carenza di nutrienti.
La fase irreversibile
In questa fase abbiamo la moltiplicazione delle cellule adese e formazione di microcolonie separate da
canali pieni di acqua che consentono il passaggio dei nutrienti e la rimozione dei prodotti di scarto;
un’ulteriore produzione di esopolimeri che rafforzano l’ancoraggio delle cellule al substrato, che sono
meno sensibili alle influenze dell’ambiente; lo strato di polimeri che circonda la cellula batterica
protegge dalla disidratazione; i batteri sono a diversi stadi di sviluppo, negli strati profondi sono
metabolicamente e inerti e quindi meno sensibili all’azione degli antimicrobici.
MISURE DI PREVENZIONE
Possiamo seguire due strade:
- Attiva: ridurre l’ingresso dei contaminanti ed eliminare i contaminanti già entrati. La
riduzione dell’ingresso di contaminanti si può fare in diversi modi: tramite trattamento elettrolitico
dell’acqua, l’irraggiamento della stesso o con sistemi anti-inglobamento di microparticelle; o ancora
tramite sistemi di microfiltrazione come valvole unidirezionali di non ritorno o antireflusso e tramite
alimentazione idrica indipendente. L’attivazione elettrolitica dell’acqua prevede tramite l’elettrolisi
dell’acqua di formare radicali ossidanti che sono fortemente attivi contro i batteri; è un’approccio
efficace nelle prevenzione di contaminazione planctonica e forma sessile, sebbene sia costosa e poco
compatibile coi materiali utilizzati nel riunito. Il trattamento con raggi UV dell’acqua in ingresso ha
un’efficacia influenzata dall’intensità della radiazione, dal raggiungimento dei microrganismi da parte
dei raggi, dal tempo di esposizione, dalla resistenza dei patogeni e dall’efficienza della lampada nel
tempo. Anche questa metodologia è costosa. I sistemi anti inglobamento di microparticelle invece
sono barriere fluide che tramite l’emissione di un flusso di aria spray all’arresto dello strumento nella
zona vicina all’uscita del liquido consentono la diluizione dei contaminanti. La microfiltrazione
prevede di utilizzare filtri a membrana di diametro di circa 0,22micron, che vanno però sostituiti
giornalmente, possono provocare la crescita microbica sui filtri stessi e spesso vanno incontro a
intasamento. Le valvole anti reflusso sono dispositivi idraulici che permettono al liquido di muoversi
in un’unica direzione impedendo il flusso retrogrado. Sono alloggiate nel circuito e nel manipolo, ma
hanno un calo di efficienza progressivo nel tempo e possono presentare incrostazioni.
L’alimentazione indipendente è un’ulteriore misura di prevenzione attiva, che che consente una
prevenzione efficace per una eventuale contaminazione di origine idrica, risulta poco efficace però
nella prevenzione di contaminazione sessile e di origine umana. Le misure di prevenzione attiva oltre
che a ridurre l’ingresso di contaminanti prevedono anche l’eliminazione di contaminanti già entrati
questo processo detto flushing avviene tramite disinfezione che può essere continua o discontinua. Il
flussaggio è un risciacquo forzato dei condotti idrici azionando a vuoto ogni strumento dotato di
spray, per diversi minuti all’inizio della giornata e o tra un paziente e l’altro. L’effetto è temporaneo
ed ha una modesta efficacia sul biofilm. La disinfezione della linea idrica ha tra i suoi scopi di
eliminare tutti i microrganismi patogeni entrati nei condotti, contrastare la formazione del biofilm ed
eliminare il biofilm già formato. La Disinfezione può essere continua, quindi è sempre presente nel
liquido destinata agli strumenti, o discontinua, cioè gli interventi vengono fatti sul riunito non in uso.
Nella disinfezione continua si aggiunge disinfettante al liquido di alimentazione, a condizione che
questo sia compatibile col cavo orale con i materiali, abbia un livello di attività basso o altrimenti che
sia diluito ed infine non deve comportare rischi per l’operatore. Alcuni disinfettanti utilizzati per la
disinfezione continua sono ad esempio il perossido di idrogeno, cloroderivati e clorexidina, la quale
agisce anche sui batteri del cavo orale e viene pertanto molto usata in ambito odontoiatrico. I limiti
di queso tipo di disinfezione sono principalmente la possibilità di selezionare specie batteriche
resistenti e un aumento paradosso del biofilm. La disinfezione discontinua prevede invece l’utilizzo
di disinfettante di alto livello applicato all’ingresso del liquido. Uno dei disinfettanti di questo tipo
studiato appositamente per il riunito è il TAED usato con un perossidante biocida ad ampio spettro,
che ha un’azione rapida, non è tossico, è stabile ed ha un’elevata compatibilità ambientale. Il riunito
deve essere progettato eliminando diramazioni e camere interne prive di sbocco così che tutto il
Circuito sia in contatto col disinfettante. La disinfezione discontinua può essere effettuata una volta
ogni tanto, giornalmente(fine giornata) e tra paziente e paziente( da preferire). Il grande limite di
questo approccio è l’effetto di breve
durata. Tra i disinfettanti per la
disinfezione discontinua abbiamo
gluteraldeide, acido paracetico,
clorexidina, TAED e perossido di
idrogeno. Per verificare l’efficacia di
queste procedure devono essere
condotti controlli microbiologici a
cadenza regolare con gli obiettivi di
verificare che i processi funzionino
per ripetere tempestivamente i
campionamenti nel caso i risultati non
siano adeguati e sospendere l’utilizzo
del riunito se i risultati negativi sono
confermati. Tra i batteri che vengono
ricercati abbiamo pseudomonas
aeroginosa che è un patogeno
opportunista e sptreptococchi orali che devono essere assenti in 20 ml di campione, ed una loro
presenza indica la possibile presenza di altri microrganismi del cavo orale. In più il controllo
microbiologico oggi si avvale anche della ricerca di legionella pneumophila.
- Passiva: Comprendono tutti i materiali, le soluzioni tecniche e le soluzioni di design che permettono
una migliore gestione e svolgimento delle manovre di pulizia disinfezione e sterilizzazione.
ENDOCARDITE INFETTIVA
L’endocarditi infettive sono affezioni dell’endocardio e delle valvole cardiache, secondarie ad una batteriemia,
caratterizzate dalla presenza dell’agente eziologico nella sede della lesione.
È l’infezione dell’endotelio cardiaco e generalmente si localizza sulle superfici valvolari. La lesione tipica è la
formazione di una “vegetazione” e può essere acuta (1-2 settimane), subacuta-cronica e può interessare o una
valvola nativa o una protesi valvolare.
La comparsa dei endocardite è correlata all’azione di:
- fattori predisposti (condizioni del paziente)
- Fattori che favoriscono l’instaurarsi di una batteriemia (consiste negli interventi medici condotti sul paziente)
I fattori di rischio predisponenti sono:
• cardiopatia congenita
• Cardiopatia reumatica
• Insufficienza mitralica da prolasso o degenerazione senile
• Stenosi aortica arteriosclerotica
• Eroinomania (> 50% tricuspide)
• Dialisi (emodialisi > per dialisi peritoneale)
• HIV (CD4+<200)
1
La patogenesi delle endocarditi sono legate all’iterazione tra:
• Fattori dell’ospite : un importante fattore dell’ospite predisposte all’impianto di microrganismi, è rappresentato
da lesioni valvolari. La lesione cardiaca più comune è il prolasso della valvola mitrialica associato a soffio
sistolico.
• Azioni che determina una batteremia anche transitoria
• Tropismo dell’agente eziologico per le strutture vascolari
• Incapacità del sistema immunitario di eradicare l’agente eziologico dall’endocardio.
Patogenesi:
I meccanismi che consentano l’impianto degli agenti eziologici sono noti solo parzialmente:
- il processo inizia con un danno endoteliale dovuto alla deposizione di immuno-complessi o alle alterazioni
emodinamiche conseguenti a valvole danneggiate.
L’alterazione dell’endotelio favorisce la deposizione e quindi l’accumulo di piastrine, fibrina e globuli rossi con
formazione di microtombi.
I microgasnimi che arrivano al cuore durante un episodio di batteriemia, aderiscono ai microtrombi su cui
avviene una ulteriore deposizione di fibrina, piastrine e batteri; questo provoca lo sviluppo di una serie di strati
che dà luogo ad una “vegetazione”: è questo l’ambiente favorevole ad un rapido sviluppo dei batteri.
L’endotelio in condizioni fisiologiche è una struttura non trombogenica. Se danneggiato invece è in grado di
favore la formazione di microtrombi.
La vegetazione endocardiaca (costituita da piastrine, fibrina e batteri), forma una ambiente che, essendo poco
irrorato, favorisce al rapida crescita proteggendo il microrganismo dai meccanismi di difesa dell’ospite.
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L’ 80% delle endocarditi è causato da:
- S. Aureus
- Streptococchi
- Enterococchi
Essi hanno tutti la capacità di aderire all’endotelio.
La diagnosi delle endocarditi viene fatta attraverso l’emocoltura: è una indagine fondamentale che può essere
effettuata in qualsiasi momento (in corso di endocardite l’immissione di batteri nel circolo sanguigno è continua)
ed è positiva nel 95% dei casi.
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Carie
La carie è quindi una patologia multifattoriale a carattere infettivo. È conseguenza di uno squilibrio
dell’ecosistema orale che si determina quando le specie batteriche cariogene, in particolare streptococchi del
gruppo mutans (sm) e lattobacilli, aumentano numericamente a discapito delle specie saprofite. Questa
condizione infettiva precede il segno clinico della malattia, rappresentato dalla soluzione di continuo dei tessuti
duri.
La sola terapia delle lesione cariosa, cioè la cura del segno clinico della malattia, non influisce, se non
marginalmente, sullo stato infettivo; questo comporta che se non s’interviene sulle cause della malattia, persiste il
rischio di sviluppare nuove lesioni cariose. Una corretta gestione della carie per tanto, deve prevedere una
valutazione del rischio individuale di sviluppare nuove lesioni cariose. L’applicazione di misure preventive è
necessaria per ridurre il rischio di nuove lesioni e per arrestare la progressione delle lesioni in fase iniziale.
La carie dentarie è un malattia infettiva e trasmissibile, caratterizzata dal dissolvimento dei
tessuti duri del dente da parte degli acidi prodotti dal metabolismo batterico ( center for
disease control-CDC-2001).
È una delle malattie croniche più comuni al mondo ed i bambini rappresentano la categoria
più a rischio. È la principale responsabile del dolore orale e della perdita di elementi dentari.
I fattori eziologici che concorrono a sviluppare la carie sono molteplici.
La malattia è il risultato di una c complessa interazione nel tempo tra batteri acidogeni e i carboidrati fermenatbili
introdotti con la dieta e fattori lentai all’ospite, quali la saliva.
A questi fattori se ne aggiungono altri come lo stato socio-economico, l’uso di agenti remineralizzanti...
La valutazione del rischio di carie risulta, quindi, complessa e comprende:
- fattori fisici
- Biologici
- Ambientali
- Comportamentali
- Una elevata concentrazione di batteri cariogeni
- Abitudini alimentari inappropriate
- Inadeguato flusso salivare
- Una scarsa igiene orale
- Basso stato socio economico
Sono riconosciuti come importanti fattori di rischio per la malattia.
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Molteplici fattori eziologici che concorrono a sviluppare la
carie:
La malattia è il risultato di una complessa interazione nel tempo
tra:
- batteri acidogeni
- Carboidrati fermentabili introdotti con la dieta
- Fattori legati all’ospite, quali la saliva
A questi fattori se ne aggiungono altri:
- lo stato socio economico
- L’uso di detergenti remineralizzati
- ...
La valutazione del rischio di carie risulta, quindi complessa e
comprende:
- fattori fisici
- Fattori biologici
- Fattori ambientali
- Comportamentali
→ un’elevata concentrazione di batteri cariogeni
→ abitudini alimentari inappropriate
→ un inadeguato flusso salivare
→ un’esposizione al fluoro, insufficiente
→ una scarsa igiene orale
→ un basso stato-socio economico
Sono riconosciuti come importanti fattori di rischio per la
malattia.
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Biofilm:
La predominanza di specie cariogene nel biofilm batterico orale (placca) rapprese il prerequisito senza il quale
non è possibile l’instaurarsi della patologia.
Il biofilm rapprenda una aggregazione complessa di batteri
organizzati all’intervento di una matrice extra cellulare la
composizione varia durante la vita dell’individuo contribuendo
a modificare il rischio e compente batteria della placca che può
essere valutata attraverso l’uso di terreni selettivi che ne
permettono una valutazione quantitativa ; tuttavia, tale
metodica richiede strutture adeguate e personale idoneo. Nella
pratica clinica dei professionisti cui queste linee guida si
rivolgono (pediatri, neolaureati, odontoiatri, igienisti dentali,
genitori) è consigliabile utilizzare sistemi di valutazione sei
quantitativi disponibili in commercio. Questi test vengono
eseguiti su un campione di saliva, in quanto la concatenazione
dei batteri cariogeni in essa contenuti è direttamente
proporzionale a quella del biofilm.
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Vediamo come basti cambiare una selle commenti del braccio della bilancia, che essa si sbilancia a favore o a
sfavore del danno cariogeno.
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Possiamo vedere da questa tabella i vari
tipi rischi associati ai diversi fattori
(biologici, protettivi, clinici). Dove c’è il Sì
indica la presenza e il tipo di rischio (alto,
moderato e basso).
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Calcolo del rischio di carie:
DMFT→(decay, missing, filled, teeth) serve per quantificare la diffusione della carie a livello internazionale, ed è
un indicatore epidemiologico.
Il DMFT è la somma dei denti che risultano cariati, mancanti per carie e otturati per carie. Se scritto in minuscolo
indica i denti decidui (dmft), se scritto in maiuscolo indica i denti permanenti.
Questo indice è stato introdotto nel 1938 da Klein e Palmer e per la sua semplicità e riproducibilità, è tuttora la
misura di scelta per il calcolo di incidenza a prevalenza di carie in una popolazione.
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Prevenzione e profilassi della carie:
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Questo è uno studio che è stato
condotto in Italia su pazienti suddivisi
per età (4 e 12 anni). In azzurro
abbiamo i soggetti sani mentre in rosso
quali con problemi curiosi.
- spazzolare i denti dopo ogni pasto per un tempo di almeno 2-3 min
- usare uno spazzolino dalla testa medio - piccolo in modo da arrivare in tutto le zone della bocca; è preferibile
- che sia provvisto di setole artificiali di durezza media.
- sostituire lo spazzolino almeno ogni 2 mesi
- spazzolare accuratamente tutti i denti sia quelli anteriori che posteriori
- completare la pulizia dei denti mediante l’uso regolare del filo interdentale, sistema insostituibile per eliminare
la placca batterica dalle zone interdentali che non possono essere raggiunte dalle setole dello spazzolino.
- l’uso del filo non è consigliato in età evolutiva
- usare possibilmente un dentifricio a base di fluoro
- il fluoro rappresenta un valido aiuto nella prevenzione delle carie poiché rende lo smalto più resistente e lo
protegge dall’azione demineralizzante degli acidi della placca batterica.
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RACCOMANDAZIONE 1
Il rischio individuale di sviluppare lesioni cariose deve essere valutato attraverso l’esperienza di carie, le abitudini
alimentari e di igiene orale, la fluoro profilassi e lo stato di salute generale e di ciascun individuo, oltre che
attraverso lo stato socio-economico della famiglia.
Sottoraccomandazione 1.1
La presenza anche di un solo elemento dentale, deciduo o permanente, cariato, cura o mancante per carie
rappresenta un fattore di rischio per l’insorgenza di nuove lesioni cariose.
Sottoraccomandazione 1.2
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L’assunzione di bevande e cibi contenti carboidrati semplici è consigliata fuori dai pasti principali; in particolare,
l’uso del ciuccio edulcorato e l’uso non nutrizionale del biberon contenente bevande zuccherine deve essere
fortemente sconsigliati.
La prevenzione della carie attraverso l’utilizzo del fluoro è necessaria per tutti gli individui.
Dopo i 6 anni:
- dentifricio (1000ppm di fluoro) 2 volte al giorno
- Qualsiasi ulteriore applicazione professionale topica di fluoro (gel, vernici ) necessaria pe rindivuidi a medio ed
alto rischio di carie.
RACCOMANDAZIONE 3
Le sigillature dei solchi dei molari fermanti prevengono la carie delle superfici occlusali.
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RACCOMANDAZIONE 4
Tutti i soggetti a medio e alto rischio di carie richiedono misure preventive aggiuntive.
Per tuti i soggetti per cui sia stato accertato un rischio di carie da medio a alto, sono necessarie misure preventive
aggiuntive.
Gestione di cibi pericolosi perchè ricchi di carboidrati e zuccheri:
-Attenzione ai frutti, particolarmente ricchi di zuccheri e alle bibite
-Lavare i denti dopo aver mangiato, anche dopo la merenda
-Preferire l’uso della cannuccia bevendo bibite o succhi di frutta
-Cercare di contenere la frequenza delle assunzioni di questi alimenti
-aumentare il consumo di prodotti ricchi di minerali e vitamine :
OLIO DI OLIVA: l’olio di oliva fra tutti i condimenti grassi è quello che viene
più facilmente assimilato e assorbito perché è il più ricco di acido oleico.
SALE: evitare il sale raffinato che è soltanto cloruro, ma scegliere il sale marino
integrale che contiene anche piccole dosi di altre sostanze utili al corpo umano.
LATTE e DERIVATI: il latte è un alimento molto indicato per una buona
alimentazione perché è completo, contendono proteine, grassi, zuccheri, sali
minerali e vitamine. Il suo consumo non deve essere limitato alla prima
colazione ed ai bambini più piccoli
ATTENZIONE → tutte le bibite gassate o gli integratori per gli sportivi, il the e
tutte i reparti liofilizzati sono estremamente dannosi per i denti.
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