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Igiene generale e applicata

La definizione di igiene è stata data nel 1920, da un ricercatore che la definì come “ la scienza e l’arte di
prevenire le malattie, di promuovere la salute e il benessere attraverso lo sforzo organizzato dalla
comunità”; il che identifica subito che è una scienza di popolazione e una disciplina che si occupa della
comunità attraverso conoscenze che possono portare a prevenire le malattie ma anche a promuovere e
a migliorare le condizioni di salute fino ad arrivare alle condizioni di benessere, che coinvolgono tutte le
sfere dell’essere umano. È una disciplina molto importante.
Negli studi medici esistono due aree:
1. Area clinica→ è rivolta al malato a cui deve essere risolto un problema attraverso la terapia la
clinica.
2. Area preventiva → rivolta alla popolazione o a gruppi di popolazione sana, che consiste nella
prevenzione, ovvero far sì che non si ammali e quindi la protezione della salute.

Il personale sanitario deve essere a conoscenza di questi aspetti in maniera più o meno approfondita, in
base al ruolo che coprirà.
•L’ igiene ha come obbiettivo la salute intesa come studi delle cause e dei fenomeni che portano alla
malattia; è dedicata alla popolazione nel senso che è una disciplina di popolazione e l’intervento
igienistico si svolge attraverso la conoscenza che si realizza con gli studi epidemiologici descrittivi,
analitici, che naturalmente si sviluppano su base statistica. È una disciplina interdisciplinare perchè i
grandi interventi di prevenzione, per esempio la potabilizzazione dell’acqua, non riguarda un solo
esperto, ma : l’igienista, il geologo , l’ingegnere ....e tanti altri professionisti.

L’igiene viene sviluppata attraverso la sanità pubblica ed ha


come obbiettivo la prevenzione, cioè il mantenimento della
stato di salute.
•La clinica ha come oggetto la malattia, perchè si va in clinica
dal medico nel momento in cui c’è un problema, per risolvere
gli effetti degli eventi morbosi; la clinica agisce sull’individuo e
la sua diagnosi viene fatta attraverso la semeiotica ed interviene
attraverso strumenti tecnologici e si applica con modalità
operative iper-specialistiche\iper-settoriali. Ormai il mondo
della medicina è il mondo del singolo settore, del dettaglio e
non del copro nel suo insieme. L’intervento può essere sia di
tipo farmacologico, che chirurgico e l’obbiettivo è raggiungere una terapia, cioè arrivare alla soluzione
del problema con il ripristino delle condizioni di partenza.

L’igiene si esprime attraverso la sanità pubblica, che deve conoscere i problemi sanitari così da poter
individuare i mezzi per evitarli/risolverli. Questi mezzi verrano poi applicati dal servizio sanitario che
attuerà l’intervento.
Sanità pubblica→ è la scienza rivolta a migliorare la saluta della popolazione tramite sforzi organizzati
dalla società, utilizzando tecniche di prevenzione delle malattie*, di protezione e di promozione della
salute. Per *malattia si intende la deviazione della normale condizione fisiologica dell’organismo che
insorge per azione di fattori nocivi, interni o esterni, e che si può manifestare con segni e/o sintomi.
Segni → possono essere direttamente visibile come un esantema, possono essere individuate con
procedure diagnostiche che possono essere semplici (misurazione della febbre, pressione...) oppure
complesse (biopsia, gastroscopia...).
Sintomi → sono invece aperti soggettivi della malattia, perchè è solo il malato che può dichiara il
sintomo, per esempio cefalea, dolori articolari... dove si manifestano e per quanto tempo; essi non sono
visibili da altri.

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Il significato di malattia:
La malattia non è solo una condizione biologica, quindi patologica con alterazioni di
organi e/o apparati (disease), ma è anche una condizione sociale con i suoi aspetti
culturali, sociali, morali, psicologici (illness). Quindi è una complessità di situazioni
che riguardano il soggetto.
Secondo l’organizzazione mondiale della sanità (OMS), la salute non è una semplice
assenza di malattia ma è uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale.
La definizione di salute viene inserita anche nel logo dell’OMS, molto importante per poter capire la
validità dell’informazioni che ci vengono date: la sua presenza garantisce la veridicità, la qualità e la
serietà di un articolo e dei suoi contenuti.

Il sistema salute è un sistema delicato oltre che complesso.


La sanità pubblica è la disciplina che si interessa alle problematiche della salute collettiva ed ha come
obiettivo:
- l’aumento della speranza di vita;
- miglioramento della qualità di vita;
- prevenzione: prevenire i danni all’organismo.
Nel passato, prima ancora che l’OMS intervenisse con la sua definizione, veniva considerata salute
l’assenza di malattia: una persona era in salute se non presentava segni o sintomi di malattia. Oggi lo
sforzo è quello di benessere quindi qualcosa di molto più importante e completo che non è la semplice
assenza di malattia. Abbiamo poi delle definizioni che non vengono dall’OMS ma dalla nostra
costituzione, stabilita nel 1949 nell’articolo 32 della costituzione:

→ è alla base del nostro sistema sanitario.

L’organizzazione mondiale della sanità è stata


strutturata suddividendo il pianeta in sei regioni,
ed ogni regione possiede un potere autonomo di
iniziativa e di programmazione, in rapporto ai
diversi problemi specifici dei paesi afferenti. Le
regioni ammesse sono regioni che si occupano
della salute, della ricerca, la raccolta dei dati e la
traduzione delle informazioni, che derivano da
studi molto seri e importanti, a tutti colori che
aderiscono all’OMS, però non hanno potere
legislativo. Quindi noi prendiamo atto, se
facciamo parte di questo sistema e legifereremo
in merito, cioè verrano fatte proprie le
informazioni scientifiche e da lì deriverà
l’uniformità per tutti colori che fanno parte
dell’OMS nelle azioni di intervento che riguardano la qualità dell’aria, dell’acqua la gestione degli
alimenti e così via. Le regioni non corrispondono alle regioni geografiche, ma sono parti diverse. La
regione EURO va dalla Spagna fino alla Cina e Corea, in cui abbiamo aspetti culturali non sempre
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sovrapponibili.
Ogni regione ha una sua capitale di riferimento, per tutti gli interessi e le raccolte dati dell’OSM:
Copenaghen è la sede della regione EURO (regione europea), Brazzaville per la regione AFRO (regione
africana), il Cairo per EMBRO (regione mediterraneo orientale), Nuova Delhi per SEARO (regione
sud-est asiatico), Manila per WPRO (regione pacifico occidentale) e Washington per AMRO (regione
delle americhe).
L’OMS attua delle riunioni molto importanti ogni decennio, dove valuta ciò che è stato fatto e si
rivedono le problematiche per il futuro e vengono prese decisioni circa nuovi bersagli e traguardi da
realizzare
Il concetto di salute è andato evolvendo nel tempo:

→ gli interventi della società ed economici sono


stati indispensabili.

Un ulteriore evoluzione del concetto di salute è “


l’adattamento perfetto e continuo di un organismo nel suo
ambiente”. La lettura dell’OMS dice che la salute è
uno stato di perfetto benessere, è un po' “tirata"
come definizione e per fortuna successivamente è
stata rivista, perchè in effetti la salute non è uno
stato: nella nostra stessa vita noi abbiamo delle
condizioni di salute diverse anche nell’ambito della
stesa giornata, quindi non è uno stato ma è una
condizione di dinamica e di equilibrio che è legata
all’ambiente di vita e di lavoro. La salute è una
condizione di dinamica e di equilibrio che è
fondata sulla capacità del soggetto di interagire
con l’ambiente in modo positivo, pur nel continuo
modificarsi della realtà circostante (al lavoro,
ambiente sociale...). é dunque un adattamento perfetto dinamico dell’organismo nel suo ambiente.

→ non è la malattia la cosa più importante , ma è colui


che la porta che è quindi l’uomo: vanno curate le persone.

→ oppure anche nel modificarsi dell’ambiente.

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Promozione della salute:
“La salute è una condizione di armonico equilibrio funzionale, fisico e
psichico dell’individuo dinamicamente integrato nel suo ambiente
naturale e sociale”, cit. A. Seppili 1966. È la definizione di un
grande igienista. Lo spirito della prevenzione è la
prevenzione della salute stessa.
Esiste infatti una interazione forte tra individui-salute-
ambiente perchè al centro ci sta l’uomo, quindi il significato
unitario della salute deve comprendere, nel suo insieme
globale, la componente fisica-mentale-sociale. Le
componenti immerse nell’ambiente e da questo influenzate:
•Ambiente interno (biologico, genetico );
•Ambiente esterno (naturale e sociale), modellato e
modificato dall’uomo stesso, quindi l’ambiente antropico.

Disegno riassuntivo della salute, dal punto di vista globale:

•Salute fisica→ funzioni fisiologiche e parti anatomiche


sane;
•Salute sociale → comprende la disponibilità economia,
la vita lavorativa, per poter avere uno spazio ricreativo,
una abitazione e avere dei servizi utili ed efficienti;
•Salute psichica→ comprende la sfera emotiva,
cognitiva, relazionale, spirituale. Quindi le emozioni, la
conoscenza le relazioni positive.

Vi sono diversi fattori che influenzano il passaggio da


salute a malattia.
Si tratta di fattori:
•Positivi → concorrono a potenziare le condizione di
benessere, quindi a migliorare la salute .
•Negativi → sono quelli che dobbiamo modificare per
creare quel concetto dinamico di benessere. Tendono a
ridurre il grado di salute, conducendo in tempi più o
meno lunghi, alla malattia. Esistono diversi fattori
negativi; talvolta vengono chiamati determinati della
malattia. Sono spesso indicati con due termini che
hanno un significato diverso:
-fattori di rischio
-fattori causali.
Determinati di malattia (o fattore di rischio): sono quei fattori che aumentano la probabilità che si
instauri la malattia, non è la causa di essa: es. fumo→ tumore al polmone, il fumo è un fattore di rischio
che aumenta la probabilità di sviluppare un tumore, anche se in realtà lo possono sviluppare (in
percentuale molto minore) anche i non fumatori.
Fattore causale di malattia: in questo caso c’è una causa ben precisa per la malattia, ed essa sarà
presente solo se c’è il fattore causale (condizione necessaria ): es. la tubercolosi viene solo se c’è il
batterio tubercolare, non avremmo epatite B se non avessimo il virus, non avremmo il morbillo se non
avessimo il virus del morbillo....
In assenza della causa, la malattia non c’è, mentre con il fattore di rischio aumentiamo solo la
probabilità di nascita della malattia.
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Determinate di salute: le cause di un “cattivo stato di salute” sono molto complesse, difficile da
elencare, però possono essere schematizzate in due gruppi:
• Non modificabili → sono dovute a fattori individuali, a determinati genetici e normalmente non
possiamo farci nulla (come il sesso e l’età.)
• Modificabili → sono dati da fattori che risentono delle scelte fatte dal singolo individuo, dalla società ,
dall’ambiente e dagli stili di vita: la scelta di fumare, bere, drogarsi, vita sedentaria... sono fattori di
rischio modificabili e molto importanti sul determinismo si malattia. Qui è possibile lavorarci mentre
nei non modificabili non è ancora possibile.

Caratteristiche individuali del fattore di rischio che posso


comportare il passaggio da salute a malattia:
- fattori genetici (non modificabile),
- nutrizione sbagliata (in termini sia qualitativi, dei
nutrienti, che quantitativi, dosi in eccesso o difetto ),
- la personalità (una personalità aggressiva andrà in
contro a traumi, incidenti )
- Età e sesso → sono alcuni fattori predisposti nei
confronti di alcune malattie
- Condizioni fisiche che riassumano il contesto e giocano
molto sulla salute.

Abbiamo poi dei fattori di rischio comportamentali che


derivano un pochino dai precedenti, ovvero l’assunzione di
comportamenti non idonei:
- assunzione di droghe;
- assunzione esagerata di farmaci;
- scarsa igene;
- sedentarietà;
- alimentazione sbagliata come scelta;
- Abuso di alcol;
- guida spericolata.
Portano inevitabilmente alla malattia. Tutti questi fattori di
rischio comportamentali, per quanto sia difficile modificare
nei singoli il proprio stile di vita, possono essere modificati.

Abbiamo poi fattori di rischio socio-culturali/economici:


- stress causato da un lavoro faticoso/sproporzionato alla
forza fisico mentale dei soggetti;
- influenze culturali: in Italia per esempio c’è la cultura del
vino e quindi c’è una maggiore predisposizione all’uso ed al
consumo di vino; nei paesi nordici invece c’è la cultura dei
superalcolici. Questi sono fattori culturali che incidono
sicuramente.
- consumismo: l’oppressione dei mass media nel consumare
deter minati prodotti che hanno un vantag gio
economico ,ma non sempre un vantaggio di salute. Questo
vale per i prodotti da forno troppo zuccherini o con
conservanti, utilizzo eccessivo di pane, di sale... spesso poi,
anche alcune pubblicità non sono un buon esempio di stili di vita. Il consumismo spinge molto i
prodotti che hanno interesse dal punto di vista economo, ma che raramente presentono dei fattori
positivi. È importante dunque conoscere i vari prodotti.
- disoccupazione: l’assenza di possibilità economiche che rende difficile l’acculturamento dei figli, è
difficile la scelta idonea di una casa (magari non in una posizione sfavorevole o in una zona
industriale), può portare anche ad una scelta alimentare poco adeguata. La mancanza di spazi e di
tempi, come l'attività fisica, ma anche la mancanza di disporre prontamente di una assistenza
sanitaria, la cui carenza si manifesta come un danno per la salute
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Abbiamo anche dei fattori ambientali:
- fattori accidentali: situazione di pericolo, velocità,
influenza dell’ alcol e di droghe
- fattori fisici dell’ambiente: radiazioni, rumore,
illuminazione, ergonomia, carico di lavoro
- fattori di biologici: presenza di microrganismi e virus, che
se non trovano nell’ambiente i fattori vitali noi non li
abbiamo e quindi non abbiamo le rispettive malattie. Si
può dunque lavorare su questi fattori.
- fattori chimici: sostanze chimiche , che noi elaboriamo o
che derivano da prodotti elaborati che si liberano sotto
forma di polveri che posso essere inalate o andare a finire
nell’ambiente. Sono chimici anche i farmaci, il tabacco, le
sostanze cutanee irritanti e alcuni alimenti. Si può dunque
lavorare anche su questi fattori, seppure sia faticoso.
- fattori psicologici: stress, turni di lavoro, relazioni umane.
Igiene vuol dire dunque prevenzione e conservazione della salute (è la parte operativa) e questo, per
essere realizzato, necessita di una parte conoscitiva cioè è necessario conoscere i problemi sanitari che
appartiene a quella disciplina che è l’epidemiologia.
Attraverso l’epidemiologia è possibile conoscere nel tempo come si sviluppa una malattia e come si
conclude, cioè descrive la storia naturale di una malattia che vede 3 fasi:
1. Fase di incubazione o subclinica, a seconda che si tratti di una malattia infettiva o degenerativa;
2. Fase di diagnosi e terapia : cioè la comparsa dei primi sintomi che consentono di realizzare una
terapia;
3. Fase di guarigione (per la maggior parte dei casi), di cronicizzazione e in qualche caso di morte.

La conoscenza della storia naturale ci consente di


poter intervenire in vari momenti in cui si può
esprimere la storia naturale della malattia.
→ questa è riferita alle malattie infettive .
Vediamo prima i fattori di rischio o fattori causali ,
abbiamo la fase delle manifestazioni sub cliniche, la
diagnosi della malattia ed infine la conclusione:
morte, guarigione e cronicizzazione.

I fattori casuali sono cause necessarie affinché avvenga una determinata malattia. Possono essere di
tipo:
• chimico→ sono agenti chimici che danno una precisa malattia, per esempio il saturnismo, cioè
assunzione di piombo a livelli tossici, così come l’avvelenamento da ossido di carbonio è legato
all’inalazione di esso, assunzione di arsenico dà l’arseniosi, e poi abbiamo avvelenamenti e
intossicazioni legati ai prodotti che usiamo in ambito industriale, o agricoltura come : mercurio,
pesticidi , benzene... quindi un preciso prodotto dà una precisa patologia. C’è un rapporto casuale.
• biologico → sono agenti eziologici, patogeni, che sono agenti di malattie infettive o possono essere
anche definite da infezione. Si tratta di malattie sostenute da un agente patogeno (metazoo, protozoo,
schizomicete, virus....) la cui presenza è necessaria affinchè la malattia si presenti, quindi è un fattore
causale: non c’è la tubercolosi se non c’è il micobattero tubercolare. Sono per definizione il campo
delle malattie infettive.

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Le malattie infettive:
Sono malattie che presentano una base eziologica e le possiamo suddividere in due ambiti:
- malattie infettive per contagio inter umano→ dette anche malattie infettive (epatite A,B,C,
HIV, tubercolosi... )
- malattie infettive non trasmissibili per contagio inter umano→ in questo caso va
specificato: quindi diremo malattie infettive non trasmissibili per contagio inter umano. (tetano,
legionella, toxoplasmosi).

Come mai ancora oggi nei paesi industrializzati parliamo di malattie


infettiva?
A) aspetto sanitario→ abbiamo sì ridotto con le tecniche
che abbiamo imparato, sia di tipo preventivo sia
terapeutico, la mortalità di molte malattie infettive, ma
non abbiamo eliminato ma morbosità (cioè la
comparsa della malattia che può avere come
conseguenza la morte). Ad esempio la tubercolosi,
grazie agli sforzi dei ricercatori degli anni ’50/’60, è
diminuita la mortalità con determini farmaci, però non
è stata eliminata la morbosità perché è ancora
presente. Abbiamo inoltre l’emergenza di nuove
patologie o ricomparsa di vecchie patologie che
sembravano sparite.
B) Aspetto economico
(aspetto economico e gli altri trattini (-) , non vengono spiegati)

→ dagli anni ’60 agli anni ’90, in un


momento di stasi, sono comparsi i virus
epatiti (A,B,C,D,E) ed è nato l’universo delle
epatiti da virus che sono pericolose malattie
che ancora oggi ci disturbano.
Negli anni ’70 ci sono stati nuove malattie
come il virus rota, e crystosporidium parvum
che causano gastroenteriti infantili, poi
febbre emorragiche come ebola, polmonite
da legionella e da qui la legionellosi.
L’enterite da campilobacter jejuni, la
c o m p a r s a d e i r e t r o v i r u s ( H T LV- 1
responsabile del linfoma), la tossina dello
strafilocco aureus con la sindrome shock
tossico, poi elicobacter pilori con l’ulecera peptica), comparsa HIV e dell’AIDS, la comparsa dei
prioni che possono creare danni a lunga incubazione che è la variante CJD (crois jacob),
abbiamo poi il Coronavirus a partire dal 2000 con la SARS che ha rappresentato una quasi
pandemia, poi la comparsa dei virus aviari che hanno fatto temere una grossa pandemia (con
H5N1), nel 2009 H1N1 è variato e poi oggi la comparsa del SARSco2.
Si sta dunque allargando questa serie di patogeni che non ci può lasciar tranquilli sul tema delle
malattie infettive: oltre alle vecchie che possono ritornare, se non facciamo attenzione, ne
possono comprare delle nuove.

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Fattori che condizionano l’andamento della patologia infettiva nella nostra popolazione sono:
- popolazione vecchia: inevitabilmente è una popolazione fragile, che ha tutti gli organi dell’età
del soggetto dunque il sistema immunitario di un ottantenne è meno efficace. È
l’invecchiamento della popolazione che favorisce l’impianto di patogeni.
- Calo di natalità
- Aumento di ricorso ai servizi diagnostici: che chiariscono meglio e ridimensiono il peso delle
malattie.
- Nuovi farmaci che sono stati “costruiti” e che hanno determinato pressioni selettive
sull’ecologia microbica (la farmaco-resistenza sta creando grandi problemi per la terapia e la
prevenzione perché allunga i tempi dell’eliminazione del patogeno e quindi di rischio per la
popolazione sana)
- Disponibilità di efficaci presidi immunitari
- Normative: dettate dalle scoperte scientifiche che indicano al legislatore cosa fare per ridurre
il pericolo. Per esempio le normative legate al controllo dell’unità di sangue per evitare le
malattie a trasmissione ematica, come epatite B, C, HIV... .
- Miglioramento delle condizioni igienico sanitarie e nutrizionali.
- Stili di vita che in parte sono migliorati e in parte no: dipende molto dal tipo si società e la
pressione dei mass media che non sempre indirizza verso scelte sane.

Tutto ciò ha portato alla nascita di nuove malattie e alla scomparsa di altre .

→ si sono ridotte in virtù della prevenzione (le


infezioni a trasmissione fecale, parassitosi, zoonosi,
patologie infantili che dispongono di vaccini) e
dell’igienizzazione nell’ambiente di vita e di lavoro.
Sono invece incrementate quelle infezioni legate a
nuove tipologia di vita, tipo quella del mangiare
almeno un pasto fuori casa che ha richiesto una
manipolazione collettiva di alimenti, quindi infezioni
da manipolazione infettiva da alimenti dove il danno
non è legato a 2 persone ma a tutti gli utilizzatori;
infezioni iatrogene e ospedaliere sono nettamente in
aumento per una serie di fatti già nominati ma anche
per le innovazioni tecnologiche, che spesso sono di natura invasiva e quindi a forte rischio di
infezioni; infezioni sessualmente trasmissibili che non riguardano solo le vecchie ma anche le
nuove come HIV; emergenze e consolidamento di nuove patologie come infezioni da HIV e le
nuove infezioni che stiamo vivendo: SARS, MERS, COVID19, EBOLA ... .
Quindi abbiamo un mondo di agenti patogeni a cui bisogna porre molta attenzione.

In questa tabella, ripresa dal VHO, sono riportate le


10 cause di morte del 2000 e come vedremo ci sono
delle differenze rispetto ad oggi.
Mentre fin poco prima del 2000 le cause di morte
erano soprattutto le malattie infettive, vediamo, con
dei posti più prioritari, le malattie ischemiche e da
fumo.

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Questa invece è una tabella del
2015 in cui vengono riportate le
cause di morte e non vediamo tra i
primi posti le malattie infettive,
quindi abbiamo un cambio di
società che ha portato malattie al
cuore, al tratto respiratorio basso,
cancro alla trachea, bronchi e
polmoni, Alzheimer ma anche
tubercolosi e ingiurie: vediamo
dunque le cause infettive sono sono
tra i primi posti.

Nel 2016:
Tubercolosi, HIV, malaria, epatite C
il colera e il morbillo (molto
importante anche sembra una
malattia del passato).

Qui invece vediamo i dati


analizzati in funzione al livello
basso medio alto, economico
sociale.
In questo caso vengono riporte le
cause di morte in paesi a basso
reddito, ai primi posti abbiamo le
morti per malattie infettive del
tratto respiratorio, le forme
diarroiche, HIV, tubercolosi,
malaria...

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Se facciamo una valutazione unica del presente, evidentemente le malattie infettive rialzano
quello che è il livello medio o basso dei paesi industrializzati ma ci sono. Teniamo presente che
se ci sono, il rischio permane.

Epidemiologia e malattia infettive: aspetti generali.


In questa slide vediamo 3 condizioni dette determinanti epidemiologici delle malattie infettive.
Affinché una malattia da infezione possa impiantarsi nell’uomo ha bisogno di condizioni adeguate,
alcune sono necessarie cioè devono esserci affinché l’evento si realizzi, un'altra è una condizione che
se è presente è favorente, cioè migliora e favorisce l’impianto, se assente non crea particolari problemi.
I determinanti necessari sono il patogeno e il ricettivo (devono essere presenti contemporaneamente
nella popolazione umana).
Il fattore favorente invece è rappresentato dall’ambiente, il quale può giocare a favore del patogeno
(nella moltiplicazione, nella persistenza... ) oppure in altre condizioni d’ambiente, salutare e positivo per
la salute umana, può rendere il ricettivo più forte e quindi contrastare meglio il patogeno.

Definizioni di rapporto tra patogeno e uomo:


- Contaminazione→ è una diffusione/presenza di
microrganismi su superfici e/o oggetti solidi (tavoli,
telefoni, asciugamani... )
- Colonizzazione → rappresenta la possibilità del micro
organismo di colonizzare, quindi di creare un proprio
habitat in cui replicarsi e moltiplicarsi, e quindi di
sopravvivere e avviene in condizioni particolari che
rispecchiano le esigenze metaboliche del microorganismo
(presenza di ossigeno o meno, acqua...)
- Infezione → diventa infezione quando il microrganismo è
in grado di stabilirsi nell’ospite, di replicarsi in modo forte
e di stimolare il sistema immunitario, cioè si realizza una sorta di battaglia tra il patogeno e
l’organismo. Diventa invenzione quando la forza patogena è maggiore della capacità di difesa
dell’ospite. Questa dinamica però non è visibile.
- Malattia→ è visibile, dal momento in cui dall’infezione si passa alla malattia (non sempre succede).
Si ha la malattia quando il patogeno vince la sua battaglia ed esprime segni e sintomi che identificano
la presenza di una sofferenza e di una malattia.

Gli elementi chiave sono rappresentati da due momenti:


1. Infezione → costituisce l’interazine che si verifica tra
microrganismo ed ospite (uomo), a seguito di penetrazione,
moltiplicazione della sede senza che tutto ciò porti ad
evidenza cliniche, non si manifesta alcun segno o sintomo.
Per stabilire se c’è stata una infezione, è possibile fare
dell’indagini di laboratorio. Il microrganismo che si è
moltiplicato e stabilito nell’ospite, ha stimolato comunque
sia il sistema immunitario e perciò se andiamo a trovare
anticorpi specifici li troviamo; oppure si può trattare anche
di fenomeni allergici e di sensibilizzazione. Quindi
attraverso indagini specifiche, con la ricerca di anticorpi, possiamo stabilire che c’è stata una
infezione, che non si vede, perchè l’individuo è apparentemente sano. Da non trascurare è il fatto
che il processo di infezione, che consente la moltiplicazione del microrganismo, è un processo che
prevede l’eliminazione all’esterno del patogeno e quindi di diffusione: il soggetto dunque è infetto
e infettante anche se non si vede nulla, perché apparentemente sano.
2. Malattia → è l’espressione clinica dell’infezione. È sempre una interazione tra microrganismo e
ospite, è sempre la penetrazione del microrganismo nell’ospite e la sua replicazione, ma in più
questo determina la comparsa della sintomatologia, condizione quindi di malattia che può essere di

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tipo lieve, grave o letale. La replicazione microbica porta inevitabilmente la stimolazione del sistema
immunitario, la produzione di anticorpi specifici e come nell’infezione, in questo caso in quantità
maggiore, l’eliminazione del patogeno all’esterno e quindi la sua diffusione.
Abbiamo due personaggi che possono rappresentare degli untori cioè dei trasmettitori di patogeni:
- infetti sani: che non hanno sintomatologia ma sono infetti e come tali possono diffondere il
patogeno; vengono anche chiamati portatori di un patogeno.
- malati: anch’essi eliminatori e quindi diffusori della malattia.
Nella malattia la condizione di infezione viene prima, quindi la malattia include l’infezione;
nell’infezione non è inclusa la malattia perchè in molti casi non si traduce in malattia.

La comparsa di una malattia in una popolazione è condizionata da diversi aspetti che riguardano il
patogeno, l’ospite e l’ambiente.

Aspetti relativi al patogeno: sono le caratteristiche del patogeno cioè la capacità di impianto e di danno.
Molto importante è la contagiosità che possiamo anche definire “diffusività” cioè la capacità di
diffondersi all’esterno; la capacità di “penetrare e colonizzare” nell’organismo, quindi di impiantarsi e
dare origini ad infezioni; la capacità di superare le difese dell’ospite attraverso due meccanismi diversi
che sono in possesso di diversi microrgansimi, di cui una è l’invasività (la capacità del patogeno di
restare nella sede di impianto, e dare il suo danno senza allargarsi senza raggiungere altri organi e
tessuti), l’altra è la tossigenicità cioè la capacita di produrre tossine che sono veleni che diffondono
attraverso il circolo e arrivando ad organi, tessuti e possono dare danni che poi rappresentano il cuore
della malattia.
Un altro aspetto importante del patogeno è la
contagiosità, cioè la capacità di passare da un
organismo ad un altro a seguito della sua
eliminazione durante il processo di infezione:
continua a moltiplicarsi e continua ad essere espulso
e così continua a raggiungere altri soggetti. La
contagiosità e la propensione di una gente di
diffondersi all’interno di una popolazione suscettibile
attraverso un contatto diretto o indiretto mediante
veicoli tra i vari soggetti.
Esempio: le infezioni causate dal virus del morbillo
sono infezioni ad alta contagiosità (un bambino con
morbillo, se entra in una classe, siamo sicuri che tutti i
bambini non immuni il giorno dopo avranno il
morbillo).
La contagiosità dipende da tante variabili, le più importanti sono 2:
1. Quantità : cioè la quantità di patogeni che vengono eliminati. Tanto più e grande la quantità di
patogeni che vengono eliminati tanto maggiore sarà la contagiosità.
2. Durata: il periodo in cui l’ospite è infettante, cioè il periodo in cui il soggetto in cui si è impianto il
patogeno continua ad essere infettante e continua ad albergare, quindi la durata del periodo di
infezione.
Il periodo di contagiosità: è il tempo durante il quale un
agente infettivo può essere trasferito direttamente o
indirettamente da una persona infetta ad un’altra
suscettibile, da un animale infetto all’uomo, da una
persona ad un animale, inclusi gli antropoidi.
La contagiosità è una caratteristica dei microorganismi
patogeni che può anche mancare, non è detto che tutti
siano contagiosi. In effetti le malattie infettive sono
malattia su base eziologica ma definiamo per malattie
infettive le malattie contagiose, cioè quelle causate da
patogeni che vengono eliminate per diverse vie dall’ospite
e quindi una trasmissione inter-umana. Mentre le malattie
infettive non contagiose sono le malattie infettive
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sostenute da patogeni ,eliminati e non nell’ambiente, la cui
trasmissione richiede intervento esterno, cioè necessità di
determinati vettori o situazioni come la malaria, il tetano, il
botulismo.
Per patogeno opportunista si intende un microrganismo
ambientale (Pseudomonas aeruginosa) o commensale
(candida albicans, escherichia coli), che sono in grado di
determinare uno stato di malattia solo in presenza di una
caduta delle difese immunitarie dell’individuo: sono dei
m i c r o r g a n i s m i ch e i n u n o r g a n i s m o s a n o n o n
provocherebbero nulla, ma che in presenza di uno stato di
immunodepresisone diventano patogeni, quindi sfruttano
l’immunodeficienza parziale o totale.
In condizioni di carente risposta immunitaria possono colonizzare tessuti o organi che normalmente
sono sterili, o aggredire l’ospite a differenza di quando si verifica normalmente per esempio in un poli-
traumatizzato, ustionato, immaturo, in soggetti in cui sono state fatte terapie di immuno-spressiove,
cateterismo per tempi discreti o lunghi.

Le caratteristiche di importanza epidemiologica sono 3:


1.Fattori implicati nella diffusione dell’ambiente: di
cui vediamo la carica microbica (tanto più è elevata e
tanto più è la probabilità che il patogeno si impianti); la
resistenza ambientale (ovvero per quanto tempo rimane
nell’ambiente per poter incontrare ed infettare altri
suscettibili) e la capacità di infettare altri ospiti animali,
quindi non è esclusivo di una specie.
2.Fattori favorenti la colonizzazione e lo sviluppo
dell’infezione: facilitano la colonizzazione e lo
sviluppo dell’infezione e sono la specie specificità (cioè
se l’ospite è quello giusto per far sì che il patogeno
possa esprime un potenzie), carica infettante e
l’infettività.
3. Fattori favorenti la comparsa e la gravità della malattia: la malattia condizionata dalla
patogenicità cioè dall’invasività (cioè più il microrganismo può diffondersi nell’ospite e maggiore
saranno i tessuti implicati e maggiore sarà il danno), produzione di tossine (veleni che si diffondono
e possono andare ad attaccare specifici organi) e la virulenza che una caratteristica genetica del
patogeno e che compra una malattia grave.

→ viene fatto un rapporto, ovviamente tanto più il numero del


numeratore si avvicina a quello del denominatore, tanto maggiore
sarà l’infettività, la patogenicità o la virulenza in base a quale
frazione si va a considerare.

Qui si vuole evidenziare l’importanza nello sviluppo di una


infezione, la tipologia del batterio e la capacità di dare una
infezione silente, cioè il rapporto e la stima tra subclinica e
clinica, cioè quanti casi di malattia emergono, per esempio, su
1000 infettati dalla poliomielite, e il rapporto per fortuna è a
sfavore della malattia. È importante capire la forma subclinica
dell’infetto.
Nell’epatite A nei bambini piccoli ha un rapporto 20:1 cioè ci
vogliamo 20 bambini per far sì che compaia un caso di epatite
A.
12
La rosolia abbiamo un rapporto di 2:1. Mentre il morbillo è 1:99 cioè praticamente tutti quelli che si
infettano si ammalano. Nel caso della rabbia 0:100 vuol dire che tutti si ammalano, cioè non ci sono dei
subclinici.

Infettività :
Elevata → infettano in maniera quasi totale gli individui: MORBILLO E POLIO
Media → infettano non tutti gli individui : ROSOLIA E
RAFFREDDORE
Bassa → in questo caso non basta un semplice
contatto, quindi è necessario un certo numero di
contatti e di patogeni : TUBERCOLOSI

Patogenicità:
Elevata →significa che tutti quelli che si infettano si
ammalano: MORBILLO E RAFFREDDORE
Media → ROSOLIA
Bassa → TUBERCOLOSI, POLIO, sono pochi i casi
di malattia sugli infetti

Virulenza:
Elevata → TUBERCOLOSI e POLIO, cioè è sempre una malattia grave nel momento in cui compare
Media → POLIO NON PARALITICA
Bassa → MORBILLO(i casi gravi ci sono e sono importanti ma non sono numerosi per questo ha
bassa virulenza) , ROSOLIA e RAFFREDDORE

Proprietà dell’ospite:
Sono le difese di cui esso dispone, si divide in difese specifiche e specifiche per contrastare l’evento malattia.

(legge immagine)
L a p o p o l a z i o n e m i c r o b i c a a l i ve l l o
dell’intestino compete con i patogeni e
combattono contro di loro per impedire una
invasione.

Le barriere biologiche intervengono ogni volta


che il microorganismo è riuscito a superare le
barriere chimiche ed anatomiche: digeriscono
microrganismi interi, particelle insolubili,
cellule autologhe danneggiate o morte, detriti
cellulari ecc..
Il processo di fagocitosi vede i polimorfo
nucleati o granulociti (eosinofili, neutrofili e
basofili) e i fagociti mononucleati: monociti che
possono essere macrofagi tessutali o cellule
dendritiche.
13
Per difese aspecifiche non si intende dire
che siano meno importanti, ma si intende
dire che sono rivolte a più aspetti di
contenimento delle sostanze estranee. La
prima barriera aspecifica è la barriera
atomica anatomofunzionale delle mucose e
della cute: ci difende da microrganismi nel
momento in cui la cute e le mucose sono
integre; pochissime sono le eccezioni che
possono superare questa barriera e per
questo è importante proteggere l’integrità
della cute.
Poi abbiamo l’azione meccanica legata alle
lacrime, saliva, urine. Abbiamo sulla cute per
la sua integrità acidi grassi cutanei, HCl a
livello intestinale e antagonismo batterico
endogeno nei siti a contato con l’ambiente esterno, quindi sia a livello intestinale che orofaringeo.
Abbiamo i meccanismi tumorali come il lisozima, proteine della fase acuta dell’infiammazione, abbiamo
i meccanismi cellulari come monociti, macrofagi, granulociti neutrofili ed eosinofili (fagocitosi).
Abbiamo poi la difesa specifica, cioè mirata a singoli patogeni e si tratta del complesso dell’immunità
che a sua volta si compone di una immunità morale e una immunità cellulo mediata.

Per quanto riguarda l’immunità, che è uno stato di difesa nelle malatie infettive è dotata di una
componente non specifica, cioè innata o resistenza aspecifica che comprende meccanismi ancora non
perfettamente conosciuti, che sono presenti e non sono specifici per un particolare patogeno. Poi
abbiamo la componente specifica, che mostra un elevato grado di specificità oltre alla proprietà della
memoria ed è legata ad ogni singolo microorganismo e può essere riprodotta proprio grazie al
fenomeno della memoria in condizioni di rischio.

(legge immagine)

→ rimane dopo un processo di


moltiplicazione di patogeni.
→ serve per prevenire

→ superano la placenta e vengono date


dalla madre al figlio in modo di avere un
corredo di protezione.
→ l’uomo copia ciò che fa la natura per
produrre artificialmente immunoglobuline e
le diamo nel momento di necessita.

L’immunità umorale è costituita dai linfociti


B che producono anticorpi che sono gli
effettori dell’azione contro il microrganismo
e l’immunità cellule-mediata da parte dei
linfociti T che svolge la soppressione di
cellule estranee.

14
L’infezione può avere una durata diversa e possiamo avere:
- infezioni acute : che si instaurano ma hanno un tempo breve. Gran parte delle malattie rientro in
questo gruppo;
- Persistenti o di lunga durata: possono durare mesi o anni ed è possibile fare una suddivisione delle
infezioni:
• croniche : l’agente eziologico non abbandona il soggetto anche se guarisce, può persistere per mesi,
anni o tutta la vita (HBV e HCV)
• latenti: a seguito della prima infezione trovarono un sito ideale per soffermarsi e rimanere silenti
ma poi possono manifestarsi di nuovo in momenti di stress e immuno-depresisone, quindi possono
slatentizzare.(HSV)
• lente : richiedono dei tempi molto lungo per esprime il danno, quindi ricordiamo CJD (colpisce
sistema nervoso ), SSPE (virus morbillo modificato).

L’inf luenza dell’ambite, nella compar sa e


nell’impianto di un patogeno nella popolazione:
Per ambiente non si intende solo l’ambiente fisico
(suolo, clima, altitudine , umidità, irraggiamento) o
modificazioni dell’aria, inquinanti fisici, chimici o
biologici in ambienti confinati indoor, o inquinamenti
chimici ( la cui varietà, concentrazione è variegata dalle
attività umane) nell’aria atmosferica-out door. L’aspetto
sociale è costituito dall’abitazione, dal tipo di lavoro,
dall’abitazione*, condizioni socioeconomiche.
[*L’abitazione è legata al fatto di come è costruita, cioè i
materiali usati, la capacità di ventilazione , illuminazione,
dimensioni, collocazione (campagna ,città zona
industriale ....).] Lo stress che può derivare dal lavoro e
dalle condizioni socio economiche (scolarità, ovvero conoscere e saper Fares cute adeguate,
alimentazione, attività sportiva e stila de di vita).

L’ ambiente può essere immaginato come una


doppia bilancia in cui la popolazione
microbica su un piatto e la recettività
dell’ospite sull’altro, sono in condizioni
normali se abbiamo un ambiente idoneo sia
per ospite che micorbiota, ma se l‘ambiente
prevale a favore della popolazione microbica
e alla persistenza del microbica, è chiaro che
ci sono svantaggi per l’ospite. Diversamente
se è un ambiente salubre che offre
l’opportunità all’ospite di aver un organismo
bene temperato e in salute è chiaro che venga
favorito l’ospite e sfavorita la replicazione
microbica.

In che modo l’infezione si può trasferire agli altri?

La catene epidemiologica:
I microrganismi per sopravvivere e permanere in una
popolazione devono avere:
1. Un habitat naturale in cui riprodursi e diffondersi,
quindi un serbatoio e/o sorgente di infezione che
rappresenta un ambiente naturale in cui organismi
possono diffondersi.
2. L’opportunità di raggiungere altri ospiti suscettibili,
15
attraverso veicolo e/o vettori. Per veicoli si intende tutto ciò che è inanimato (l’oggettistica, gli
strumenti...) per vettori si intende gli artropodi, che sono vivi.
Sono gli anelli obbligatori per la catena epidemiologica.

• l’origine delle infezione:


L’infezione parte dal serbatoio o sorgente di infezione (sono due termini diversi per un motivo molto
semplice: il serbatoio rappresenta l’habitat in cui l’organismo si replica, sopravvive e in cui viene
conservato; mentre per sorgente si intende un habitat in cui può moltiplicarsi ma da cui cui il
microrganismo può anche uscire, quindi può diffondersi ).

Nel momento in cui abbiamo una


persona infetta:
1)portare precoce che si ammala dando
luogo alla malattia; post malattia
consente la permanenza del patogeno e
per questo si parla di portatore di
convalescenza, e infine alcuni possono
restare infettati per alcuni mesi ed anni e
per questo si parla di portare cronico.
2) Abbiamo dei soggetti che non si
ammaleranno mai ed abbiamo una sorta
di equilibrio tra i soggetti e il patogeno, e
si parla di portatori sani che può esserlo
per ore/giorni/mesi o anni.

Le sorgenti di infezione possono essere costituite da:


A) uomo → la specie umana rappresenta una sorgente di infezione quando l’uomo è malato. La carica
microbica di un malato è estremamente ampia e quindi molto ricca e pericolosa. Poi abbiamo la
figura del soggetto sano che però è portatore, ed è un sano infetto che noi chiamiamo portare sano
che è colui che si è infettato e non si ammala, dove il patogeno alberga nell’organismo e viene poi
eliminato. Abbiamo poi 3 figure che rappresentano il rapporto con la malattia : il portatore precoce
(prima della malattia), convalescente (dopo la malattia può rimanere) e cronico (quando il patogeno
rimane per molto tempo).
B) Animali→ animale infetto può rappresentare una sorgente o serbatoio di infezione (ES. di
serbatoio sono tutti gli erbivori, nel cui stomaco si trova clostridium tetani). Questo serbatoio non è
direttamente colpevole dell’infezione ma lo è indirettamente perché, eliminando con le feci il
clostridio, che ha la capacità di formare le spore, e quindi la sua fama di resistenza, elimina
nell’ambiente le spore che saranno quelle che dall’ambiente andranno al suscettibile facendolo
ammalare di tetano: è dall’ambiente che l’uomo riceve il patogeno, e non dall’animale infetto.
C) Ambiente → alcuni microrganismi trovano il loro habitat nell’ambiente come tale e da lì sortisce la
possibilità di contagio.

(legge la slide )
→ nella rosolia, nel morbillo , nella parotite...
serbatoio e sorgente sono la stessa cosa. Tutte le
malattie infettive contagiose vedono una forma sola
di di partenza del patogeno e consentono infatti la
trasmissione uomo-uomo.
→ come il tetano o la malaria.

(legge slide solo riquadri )

16
Le malattie che condividiamo con gli animali, quindi si parla di antropo-zoonosi sono:
- Brucellosi → derivano dagli ovini
- Salmonellosi → sono le salmonelle minori
- Toxoplasmosi
- Leptospirosi
- Rabbia
- ...
Tornando all’uomo come sorgente d’infezione vediamo in che modo il microrganismo può entrare e
uscire dall’organismo:
- via respiratoria → tramite vociferazione, tosse, starnuto, vengono eliminate bio- aeresol in cui oltre
alla saliva abbiamo batteri o virus che vengono eliminati nell’aria
- Via congiuntivite → via importare sia per entrare (perchè è a contatto con l'aria) che per uscire
attraverso le lacrime.
- Via orale /alimentare→ che continua con il tubo digerente e finisce con il retto (via di uscita)
- Via cutanea → che può essere percutanea o parenterale, più o meno superficiale (per esempio
inoculazione di patogeni). Se integra non permette il passaggio dei patogeni.
- Vai geniale→ che vede la possibilità di trasmissione anche attraverso la placenta oltre che attraverso il
latte.
- Via urinaria
Normalmente la via di ingresso è anche la via di uscita del patogeno.

Il circuito orale-fecale: l’assunzione avviene


attraverso la bocca, l’eliminazione del retto.
La bocca rappresenta una via di ingresso del
patogeno che può arrivare fino a livello alveolare.
Abbiamo la via genito-urinaria, abbiamo la
congiuntiva che consente l’ingresso di patogeni
oppure eliminare patogeni attraverso le lacrime.
Le ferite che superano il mantello cutaneo, ormai
non più integro; anche l’artropode vettore può
superare il mantello cutaneo, e introdurre
patogeni (come la malaria).

Nell’organismo i patogeni possono agire in sede


di penetrazione, senza diffondersi; oppure
possono agire sulle cellule del sangue o agire a
distanza attraverso la via ematica/linfatica per
raggiungere gli organi bersaglio che possono
essere il sistema nervoso centrale, fegato, rene...
Vediamo in questo schema microrganismi che
non si replicano, altri che entrano nel circuito
ematico che possono raggiungere organi bersagli,
cute, rene, surrene e cervello.

Una volta che il patogeno è uscito dalla sorgente può seguire


varie strade per raggiungere il suscettibile. Le vie di
trasmissione possono essere dirette, semirette o indiretta
poi possiamo trovare le sorgenti di infezione, ovvero la
scelta della via di trasmissione che è fortemente
condizionata dalla capacità di resistenza del microrganismo
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nel ambente: se un microrganismo è molto fragile e teme ossigeno la via diretta, che consiste nel
contatto fisico tra sorgente e suscettibile è l’unica possibile, per esempio sifilide: per vivere ha bisogno
di essere introdotta immediatamente (via sessuale diretta ). Ovviante la diretta vede come sorgente di
infezione il malato, il portatore e l’animale infetto.
La semiretta è una eliminazione che si esprime a breve distanza di tempi e di spazio l’eliminazione del
patogeno, ed è tipica di organismi che hanno una scarsa resistenza ambientale (rappresentata dall’aria).
L’indiretta è la strada che viene seguita da tutti i microrganismi che resistano molto nell’ambiente e
quindi non hanno problemi e potendo vivere nell’ambiente hanno tante possibilità: sempre a partire dal
malato e dal portare infetto, possono seguire 2 strade :
1) attraverso veicoli il patogeno può essere rilasciato nell’ambiente e raggiungere il suscettibile sano,
2) oppure raccolto da un vettore può essere trasferito ad un suscettibile sano.

Modalità di trasmissione:
Possono essere di 2 tipi:
-Orizzontale: uomo- uomo, è la modalità che può
essere diretta, semiretta o indiretta tramite dei
veicoli.
-Ve r t i c a l e : m a d r e - f i g l i o c h e p r e v e d e l a
transplacenatre e l’uscita dal canale del parto (?).
La modalità di trasmissione dipendono:
•Dalla resistenza che i microrganismi presentano
nell’ambiente;
•Dalle vie di ingresso obbligate e preferenziali degli
agenti patogeni (molti microbi hanno una elevata
affinità per organi o tessuti specifici: per esempio le
spore del tetano possono produrre infezioni
pericolose se penetrano da ferite della pelle, ma
rimangono del tutto innocue se vengono ingerite).

Qui vediamo la trasmesse orizzontale, che vede sia il


contatto uomo-uomo che il contatto mediatao
dall’aria, acqua, cibo, vettori... e la via verticale che
prevede al contaminazione tramite il latte, sperma,
placenta...

La modalità diretta è una modalità molto importante e può essere definita:


- Obbligata→ quando il microrganismo non resiste nell’ambiente per cui deve essere inoculato
direttamente nel suscettibile.
- Favorente → quando una via presenta tessuti, situazioni più favorenti all’impianto e a replicazione
rispetto ad altri.

Si parla di:

(legge la slide)

→ per esempio anche dal becco degli uccelli è possibile che venga
trasmessa la clamidia, attraverso ferite .
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La via aerea è una tra le vie più importanti e vede la sua posizione
prioritaria nella trasmissione semidiretta, però è molto importante
anche nell’indiretta.
Vediamo nell’immagine la liberazione di goccioline di saliva liberate
da un forte starnuto o colpo di tesse: maggiore sarà la forza e
maggiore saranno le particelle liberate durante tali azioni.

In questa immagine è possibile v edere i droplets, se


sono grandi tendono ad allontanarsi dal punto di
emissione, mentre se sono piccoli tendono a
rimanere in sospensione e tendono a diventare
droplet secchi, e in qualche caso proteggono il virus
all’interno di questo goccioline. Si parla di gocciole
che sedimenteranno nel tempo, e sono soggette a
spostamento a causa della ventilazione: per
spostamento di persone, apertura di una finestra...
quindi quello che è depositato può sollevarsi con
facilità e ritornare nell’aria e essere assorbito da altri
soggetti.
Le particelle più piccole sono quelle che stanno di
più in sospensione (small infectius droplets), mentre
quelle più grosse tendono a sedimentare subito
(large infectius droplets), quelle ancor più leggere
tendono a rimaner in aria per molto tempo tempo e
vengono dette droplets nuclei (fonte di infezione
anche a distanza).
La parte che si deposita viene spostata dai muoventi
di aria che si verificano nell’ambiente per: apertura
finestre, porte, spostamento persone e pulizia a
secco (→ non dovrebbe mai essere fatta perché
serve solo a sollevare ciò che è stato depositato,
quindi deve essere preferita sempre la pulizia umida).
Microrganismi e virus possono essere trasferiti in
altri ambienti anche in piani diversi tramite:
condizionatori, vani scala, ascensori e montacarichi.

Questa è la rappresentazione del grado di rischio che


corre il soggetto che si trova a distanza breve, media
o lontana rispetto al malato ed è tipica dell’ambiente
sanitario. Questi cerchi vogliono indicare il grado di
pericolo: il primo identifica uno spazio intimo tra 0 e
60cm che è la massima condizione per favore la
diffusione dei patogeni dal malato all’operatore,
quindi è una distanza di alto rischio; poi abbiamo
lo spazio personale che va da 60cm a 120cm che è
ancora di una certa importanza ma un pochino
meno; poi abbiamo lo spazio sociale che è tra 120cm
e 300cm, quindi si dirada la probabilità di contagio,
poi abbiamo lo spazio pubblico che è > 300cm dove la probabilità praticamente si annulla.
La modalità indiretta è la modalità che vede coinvolti veicoli e vettori; per veicoli si intende acqua, aria
alimenti e altro (strumentario odontoiatrico medico, oggetti e/o materiali di uso comune
potenzialmente contaminati, ovvero tutto quello he viene condiviso da più persone; molto pericolosi in
ambito infantile sono giocattoli perchè i bambini non solo se li scambiano, ma se li mettono anche in
bocca).
I vettori svolgono un ruolo attivo nella trasmissione delle malattie infettive. Abbiamo due tipi di vettore
contro cui combattere:
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- serbatoio→ assume il microorganismo che permane nel proprio corpo e fa un ciclo obbligato per la
propria sopravvivenza.
- Ospite → è colui che verrà toccato dal vettore e verrà infettato.
La malaria: il vettore, che vede come serbatoio il malato, si infetta ed assume il plasmodio il quale inizia
nel vettore un ciclo moltiplicativo importante e successivamente, per il prossimo pasto ematico, andrà
ad inoculare parte di anticoagulanti e insieme ad essi anche dei paslmodi.
Non sempre il vettore è un vettore vitale e biologico, quindi che partecipa alla vita del patogeno, in
alcuni casi è semplicemente un trasmettitore passivo che si infetta toccando qualcosa di infetto e poi si
deposita su un alimento, per esempio, e viene infettato (il classico vettore meccanico è la mosca, ciba
sul materiale organismo in disfacimento e poi può posarsi con le zampe su vari oggetti con cui noi
veniamo a contatto: frutta, bicchieri... dove non solo ci si appoggia ma rigurgita anche parte del pasto
precedente).
I più importanti vettori sono:

I vettori possono essere:


- Meccanici: quindi sono trasmettitori passivi che non intervengono nel ciclo vitale del parassita
(pulci, pidocchi, mosca domestica mosca tse-tse)
- Biologici : sono essenziali peri ciclo vitale o per il mantenimento del parassita in natura (zanzare,
zecche, flebotomi)

→ la malaria può essere trasmessa da vari


plasmodi, e trasmessa dalla zanzara anopheles

→ viene trasmessa da aedes aegipti,


→ encefaliti causate sia da zecche che zanzare

→ la peste deriva dalle pulci del ratto

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I circuiti di diffusione sono i percorsi raccolti attraverso i quali un microrganismo si esprime e va a
cercare suscettibili.
Sono 3:
1. Aereo→ vede aria come diffusione principale del patogeno emesso dalla sorgente
2. Fecale - orale → è legato alle malattie che possono essere assunse per via orale come acqua
alimenti e poi eliminate per via fecale
3. ematico→ sono diffuse per sangue

1) diffusione aerea: vede un circuito abbastanza complesso. Il malato portatore può mettere nell’aria
le secrezione ed arrivare direttamente al suscettibile se in condizioni di vicinanza, semidiretta... le
secrezioni possono anche sedimentare su strumenti specifici o veicoli ed ,in ambiente sanitario,
possono formasi dei bioaereosol (laboratori di analisi, studi odontoiatrici); tutto ciò si trova
nell’aria. Quindi può arrivare al suscettibile ma può anche depositarsi sulle superfici. Patogeni che
possono difendersi in questo modo sono morbillo, rosolia, tubercolosi, pertosse, influenza,
tubercolosi...

2) Diffusione fecale orale: prevede il malato portare che elimina con le feci o urine o mani in
presenza di cattiva igiene personale. In questo circuito intervenire un vettore importante che sono
le mosche che posso contaminarsi sulle feci, urine o quando i materiali organici vengono immessi
nell’ambiente senza previa depurazione o addirittura possono causare la formazione di liquami che
vengono usati per verdura frutta o riversati in mare e contaminare i frutti di mare e l’acqua,
trasmettendo in maniera indiretta all’uomo. Le mani possono causare la contaminazione di tutto
ciò che si tocca, non solo in ambienti tradizionale ma anche in ambiente sanitario. Poi abbiamo i
derivati del latte che possono essere contaminati se il latte in ordine lo è .
Le malattie coinvolte sono:

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3) Diffusione ematica: è particolare perchè in realtà spontaneamente il sangue, salvo un paio di
eccezioni naturali come il parto e le periodiche mestruazioni, in tutti gli altri casi il sangue è un
circuito chiuso. La trasmissione attraverso il sangue è facile e pericolosa ed avviene in maniera
indiretta attraverso materiali contaminati da sangue, sia da strumenti per la propria igiene personale
sia da strumenti sanitari, sia da superfici. La trasmissione diretta invece prevede la diffusione
attraverso le affettuosità e il parto. Tutto ciò che è contaminato da sangue sia casalingo che
sanitario, può causare la diffusine di malattie per vai ematica come: HBV, HDV, HCV e HIV

CURIOSITÀ :

Le catene di contagio:

→ passaggio nella stessa specie


→ passagio da specie diverse

→ meditata da vettori da uomo - uomo

→ meditata da vettori ma a varie specie


animali e tra queste anche l’uomo, come la
peste ad esempio.

Leptospirosi si ha quando abbiamo tanti topi che riversano le


loro urine e feci nell’ambiente e nelle acque dove bovini ed
altri animali vengono contaminati, e poi possono arrivare
anche all’uomo.

22
Andamento delle malattie nella popolazione, fattori di riferimento: tempo e spazio
- sporadiche → quando una malattia si manifesta in una popolazione in cui quella malattia è assente
da tempo; non si trasmette ad altri individui e resta un caso isolato.
- Endemica→ è sempre presente nella popolazione.
- Epidemiche →quando abbiamo malattie che si presentano contemporaneamente nella popolazione
o in un gruppo di individui entro un breve periodo di tempo ed hanno la stesa ordine (caso indice).
- Pandemiche → malattie che si estendono a livello mondiale sostenuto dallo stesso agente
eziologico.

Nelle malattie epidemiche possiamo avere:

Sono elementi molto importanti per conoscere le epidemie, studiarle e per vedere andamento e capire
come potere agire.

23
LEZ.2 30/04 BERNI

Prevenzione
Prevenzione, ovvero, ogni attività messa in opera per evitare o almeno contrastare l’azione
di un qualsiasi fattore in grado di nuocere e che comporti una riduzione o perdita della
salute.
Le azioni che si mettono in atto sono volte ad evitare l’infezione, la malattia e
comportamenti dannosi e sono favorevoli all’aumentare le capacità di difesa dell’ospite.
Tutte le azioni della prevenzione, a seconda dello stadio di sviluppo della malattia,
vengono applicate sul singolo individuo, sulla collettività o sull’ambiente.

Prevenzione e profilassi sono la stessa cosa, sono termini che rappresentano lo stesso
concetto.

La profilassi può essere diretta e indiretta.


La profilassi indiretta ha lo scopo di eliminare le cause ambientali e sociali favorevoli al
diffondersi ed al persistere di malattie (igiene urbana e delle abitazioni, condizione di
abitabilità; approvvigionamento idrico, disponibilità di acqua sicura e potabile;
smaltimento dei rifiuti; igiene degli alimenti; educazione sanitaria) à tutte queste azioni
coinvolgono una pluralità di malattie. Per esempio, garantendo la sicurezza dell’acqua
non solo ci si assicura dell’assenza del Vibrione colera, ma di ogni altro patogeno in grado
di infettare l’acqua. E’ molto ampio l’interessa di questo tipo di profilassi.

La profilassi diretta ha lo scopo di neutralizzare, circoscrivere i fattori causali e/o i fattori


di rischio di una specifica malattia (interruzione della catena di contagio, evitando di far
comparire nuove malattie infettive; abbattimento mirato di inquinati, sia di aria interna
che esterna; emanazione di leggi e regolamenti per la protezione dagli infortuni o dagli
incidenti domestici, stradali, etc.).

LA PROFILASSI INDIRETTA
La necessità di interventi preventivi può rendersi evidente in tempi diversi rispetto alla
storia naturale della malattia.
Qual è la storia naturale della malattia infettiva?
In una parte individuiamo l’incubazione; in quella successiva la malattia, individuata in
virtù della diagnosi; una fase finale che può coincidere con guarigione o morte o
cronicizzazione.
Il tutto perché una popolazione è esposta a fattori causali (si sta parlando di malattie
infettive, dunque monocausali, che necessitano della presenza del singolo agente
eziologico, il microorganismo, per potersi manifestare).
Per quanto concerne le malattie plurifattoriali avremo la seguente storia naturale

Esistono diversi livelli e tipi di prevenzione: si applicherà a livello primario una


prevenzione primaria agisce a livello eziologico, agisce sul sano; tale tipo di prevenzione
ha la massima importanza dato che è proprio in questa fase che l’azienda sanitaria può
agire in maniera estremamente positiva, ovvero, intervenire prima che la malattia si
manifesti.
Prevenzione secondaria agisce a livello patogenetico, agisce sul malato: la malattia si è già
insidiata (la prevenzione agisce sulla fase di latenza della malattia);
Prevenzione terziaria consiste in un medicina di recupero e della riabilitazione, agisce
sull’ex malato: si tratta di una azione che si manifesta per esempio sulla cronicizzazione di
una patologia.

Oggi sia ha anche una profilassi quaternaria, del controllo farmacologico: si tende oggi,
sempre di più ad un eccesso di interventi farmacologici che possono comportare una serie
di danni.

LA PREVENZIONE PRIMARIA
La prevenzione primaria impedisce l’insorgenza di nuovi casi di malattie nelle persone
sane: gli interventi di prevenzione primaria sono tutti quelli destinati a diminuire
l’incidenza di una malattia in una popolazione, riducendo il rischio che si verifichino
nuovi casi di malattia (WHO).

Il disegno esemplificano i due concetti di


prevalenza e di incidenza e la loro
relazione, si sta parlando di indicatori di
frequenza: l’incidenza considera i nuovi
casi; la prevalenza, invece, enumera tutti i
casi sia di antica che di nuova diagnosi.
L’azione della prevenzione primaria
risiede nella “chiusura del rubinetto”:
l’aumento di nuovi casi (incidenza, le
gocce) non fa altro che aumentare il
numero globale di casi (prevalenza). La
prevalenza viene controllata attraverso la
guarigione del paziente o la sua morte:
nel complesso questi due stadi finali
riducono la massa dei soggetti ammalati.
Gli obiettivi della prevenzione primaria sono
Evitare il contagio à Nelle malattia infettiva abbiamo una causa necessaria, dunque,
dobbiamo evitare che il microorganismo arrivi al recettivo, all’individuo. Bisogna scoprire
e inattivare le sorgenti di infezione.
Evitare infezione e/o la malattia à Profilassi immunitaria e chemioprofilassi, si tratta di
interventi diretti sull’uomo onde mantenerlo sano.
Evitare la persistenza e diffusione nell’ambiente dei microorganismi patogeni
à Lotta ai patogeni tramite la disinfezione e la bonifica dell’ambiente (bonifica di acqua,
aria, alimenti, abitazioni e luoghi di lavoro, etc.); Lotta ai vettori tramite la disinfestazione.
Interruzione delle catene di trasmissione à In ambiente sanitario si devono adottare delle
precauzioni standard.
Acquisire comportamenti corretti à Informare e formare popolazione sui rischi della
salute assumendo certi comportamenti. Alcuni esempi.

LA PREVENZIONE SECONDARIA
Tale prevenzione agisce nei confronti del malato la cui condizione può essere palese o non
così evidente (misconosciuto).
Gli obiettivi della prevenzione secondaria sono quelli di evitare che l’infezione evolva
verso la malattia conclamata ed evitare conseguenze gravi a distanza.
Il limite è rappresentato, nelle malattie infettive, dal periodo di incubazione piuttosto
breve: è proprio in questa fase in cui la prevenzione agisce tentando di modificare il
percorso che porterebbe a malattia (tale prevenzione è efficace relativamente a poche
malattie come possono essere la TBC, HIV, reumatismo articolare acuto).
Tale livello di prevenzione si concretizza con lo screening, un importante metodo di
prevenzione per malattie non infettive, agisce prevalente su malattie cronico degenerative
o di interesse sociale.

LA PREVENZIONE TERZIARIA
Tale prevenzione cerca di recuperare gli ex malati (ovvero, traumatizzati, infartuati,
soggetti con disabilità, cosicché questi possano recuperare al massimo la loro potenzialità
relativamente alla condizione fisica).
Gli obiettivi sono ridurre i deficit conseguenti a malattie mediante una riabilitazione
mirata e offrire una migliore qualità di vita ed il reinserimento attivo nella società.

Nelle malattie infettive però sono infrequenti i reliquati invalidanti passibili di


prevenzione terziaria: esempio fornito dalla paralisi poliomielitica o infantile, in cui vi è la
perdita di motilità degli arti inferiori e quindi vi è la possibilità di recupero.
LA PREVENZIONE QUATERNARIA
Ha l’obiettivo di protegger individui da interventi sanitari inappropriati che portano più
danni che benefici e che causano anche un incremento dei costi della sanità: i pazienti
chiedono medicine per la loro cura che non sempre sono indispensabili. Tale prescrizione
diventerebbe non etica. La prevenzione quaternaria cerca di prevenire che la prescrizione
non utile di farmaci possa avvenire.

Le malattie infettive sono sostenute da un patogeno la cui presenza è necessaria perché la


malattia di sviluppi.
Distinguiamo malattie contagiose, il cui contagio avviene per contatto interumano, e le
malattie non contagiose, la cui trasmissione si può verificare per contatto mediato da
vettori o dall’ambiente.
La catena di trasmissione (che deve
essere interrotta dalla prevenzione
primaria) è costituita da tre anelli: le
sorgenti di infezione (dove partono i
patogeni e tutto ciò che consente il
contatto tra ciò che è contaminato ed il
soggetto), il soggetto e i veicoli/vettori.
Questi tre anelli sono congiunti, in
stretto rapporto tra loro: sono proprio
questi rapporti che devono essere
evitati, si deve interrompere questa
catena.
Il primo anello, la sorgente di
infezione, può essere costituito dal
malato o dal portatore sano; per rompere tale catena nel caso avessimo a che fare con il
malato occorre attuare la notifica obbligatoria, l’isolamento, l’accertamento diagnostico e
l’inchiesta epidemiologica (ricostruire la storia di come è avvenuto il caso); nel caso
avessimo a che fare con il portatore deve essere effettuata la ricerca dello stesso, la bonifica
del portatore e provvedimenti generali onde evitare che possa essere sorgente di infezione
per il sano. Per quanto riguarda il secondo anello, i veicoli e i vettori, si può agire
mediante la distruzione dei patogeni con una disinfezione o una disinfestazione. Per
quanto concerne l’ultimo anello, l’azione sul sano, ciò che può essere fatto è agire tramite
una vaccinoprofilassi, una sieroprofilassi, una combinazione tra le due od una
chemioprofilassi (operazioni che hanno lo scopo di mantenere “più sano” il sano,
proteggendolo dall’eventuale contatto con il patogeno).

LA PROFILASSI DIRETTA
Si mette in atto nel momento in cui si riconosce
agente eziologico (ex. casi di epatite A in una
comunità di anziani, si conosce esattamente l’agente).
Tale profilassi consiste in un protocollo costituito di
più passaggi: denuncia o notifica obbligatoria,
accertamento diagnostico, dall’isolamento,
disinfezione, chemioprofilassi, etc.
Questa scaletta normalmente viene seguita passo
passo, ma esistono diverse malattie in cui non è
indispensabile attenersi a questa successione e sono
sufficienti solo alcuni di questi passaggi.

Nell’ambito della profilassi diretta distinguiamo l’atto della notifica i cui obiettivi sono di
carattere epidemiologico (ricostruzione della catena di trasmissione e quantificazione del
problema) e di carattere operativo (devono essere messi in opera alcuni interventi).
Secondo il Decreto Ministeriale - 29 luglio 1998 la notifica di malattie infettive deve avvenire
secondo una classificazione delle stesse. Esistono cinque classi di notifica in base alla
rilevanza epidemiologica, alla gravità, alla frequenza, alla possibilità di intervento,
all’interesse sul piano Nazionale e Internazionale. Si hanno tempi di segnalazione
differenti per le diverse classi; le malattie soggette a denuncia obbligatoria sono 47 (prima
erano 71) (ex. nel caso di COVID-19 era necessaria una notifica più precoce al fine di
allargare gli interessi a tutto il pianeta). La non notifica può avere conseguenze enormi.
Il sistema di notifica permette il trasferimento della notifica da organizzazioni minori fino
a organi nazionali: l’AUSL (Azienda Unità Sanitaria Locale) raccoglie le segnalazioni dai
medici, verifica, indaga, attua le misure di sanità pubblica e trasmette mensilmente i dati
alla regione; la regione raccoglie i dati da tutte le AUSL e li reinvia al Ministero, all’ISS e
all’ISTAT.

Alla notifica segue la conferma a scopo preventivo (ovvero, la messa in opera degli idonei
interventi di profilassi sanitaria; ex. La malattia della meningite è una tipica
infiammazione delle meningi e può essere causata da numerosi agenti eziologici come N.
meningitidis, S. pneumoniae o H. influenzae, dunque, risulta essere necessario adottare la
corretta profilassi terapeutica) e la verifica della guarigione microbiologica (occorre riconoscere
e controllare eventuali portatori convalescenti e cronici: oltre alla guarigione clinica deve
avvenire anche la guarigione microbiologica).

Il passo successivo è l’isolamento il cui obiettivo è contenere la diffusione dei patogeni;


l’isolamento può essere ospedaliero o domiciliare (malattie infettive non particolarmente
gravi preferibilmente trattabili in aree differenti da quelle ospedaliere per evitare
sovrainfezioni; deve essere rispettato da conviventi e contatti).
Cosa occorre fare nei confronti del malato?
1. Misure di controllo nei confronti del malato
Per il malato le misure sono finalizzate all’allontanamento dalla collettività scolastica o
lavorativa, dunque, risulta essere fondamentale l’isolamento totale e funzionale.
L’isolamento può essere respiratorio (esantematiche, pertosse, meningiti, parotiti, TBC,
etc.), enterico (colere, Giardia intestinalis, Salmonelle, epatite A, etc.), ematico (HIV, epatite B
e C, etc.), da contatto (Stafilococco, Pediculosi, scabbia, micosi).

Isolamento stretto: si applica in caso di agenti altamente infettivi o molto virulenti che
possono essere trasmessi per via aerea o contatto diretto.
• Precauzioni: stanza separata (più pazienti se stessa patologia), con sistema di
ventilazione a P negativa, possibilmente dotata di anticamera, con porte a tenuta;
uso di indumenti protettivi, comprese maschere dotate di respiratori per tutti quelli
che entrano nella stanza.

Isolamento domiciliare: allontanamento del paziente da tutte le comunità estranee allo


stretto ambito familiare (morbillo, parotite, pertosse..)

2. Misure su i controlli i conviventi e contatti


Contumacia, obbligo per portatori, contatti e conviventi di permanere in un determinato
luogo per il periodo indicato dalla Autorità Sanitaria osservando le prescrizioni imposte;
Sorveglianza sanitaria, obbligo per conviventi, contatti, soggetti provenienti da area
infetta di farsi controllare periodicamente dall’Autorità sanitaria senza alcuna limitazione
della libertà personale;
Educazione sanitaria, insegnare i comportamenti idonei affinché il pericolo di trasmettere
la malattia si elimini così da cautelare gli altri ed il soggetto stesso;
L’inchiesta epidemiologica consiste nell’applicare il metodo epidemiologico per studiare
la causa dell’infezione e individuare eventuali veicoli e/o vettori: l'agente causale (qualora
non sia stato già determinato); la/e fonte/i di infezione; la/e modalità di trasmissione;
eventuali casi secondari: chi, dove, quando.

Scopo: interrompere la catena di contagio e quindi di prevenire la diffusione della malattia
infettiva, attraverso idonei interventi, e dare indicazioni per la prevenzione di episodi
analoghi in futuro.

Cosa deve essere fatto per


chiarire lo stato di malato e di
convivente/contatto in ogni
singola malattia (esempi di
tre malattie trasmissibili
secondo il circuito fecale-
orale ed una per via aerea).

Esistono tanti altri sistemi di sorveglianza per le diverse malattie che ci aiutano non solo a
conoscere il peso delle diverse malattie nella popolazione, ma anche a costruire e
indirizzare la sanità pubblica verso interventi più utili seguendo i cambiamenti
epidemiologici.
- AIDS/HIV; Antibiotico-resistenza; Botulismo; FLU- ISS; Haemophilus influenzae;
Legionellosi; Malaria; Malattia di Creutzfeldt-Jacob (MCJ) e sindromi correlate;
Malattie sessualmente trasmesse (MST); Morbillo; Morbo di Hansen; Rosolia in
gravidanza; Tubercolosi e micobatteriosi non tubercolari. 


Una volta effettuata la notifica obbligatoria, l’accertamento diagnostico e l’isolamento si


procede con la disinfezione e la disinfestazione al fine di prevenire un rischio biologico in
ambito sanitario di qualunque genere, nei confronti sia di pazienti debilitati per altri
malattie piuttosto che dei visitatori o degli operatori.
Tale prevenzione avviene tramite le precauzioni standard, un insieme di precauzioni che
hanno lo scopo di ridurre il rischio di trasmissione delle infezioni in ambito assistenziale.
La particolarità di queste precauzioni è che devono essere applicate nei confronti di TUTTI
i pazienti (anche un paziente che esce da un trattamento ortopedico può essere soggetto
all’infezione e come tale potrebbe portare nell’ambiente sanitario dei patogeni). Queste
precauzioni consistono in: Igiene delle mani; Gestione dell’attrezzatura assistenziale da
utilizzare (sterilizzazione) e utilizzata (pulizia/decontaminazione/disinfezione); Utilizzo
di dispositivi di protezione individuale; Gestione delle lesioni; Trattamento dei rifiuti.

Il controllo del rischio biologico può avvenire in momenti diversi e perpetra la


sanificazione. Il termine deriva dal latino sanus = “sano” + facere = “fare, rendere”; la
sanificazione è un processo finalizzato a rendere sano, cioè non nocivo. Tuttavia non è un
processo definitivo, ma può essere applicato a qualsiasi procedura.
La sanificazione si diversifica in rapporto al rischio di infezione e all’uso cui è destinato il
materiale da trattare.

Le vie attraverso cui si attua la sanificazione sono diverse:
• Pulizia/Detersione: rimozione di materiale estraneo da oggetti, superfici, cute.
(utilizzo di detergenti) Scopo: ridurre il numero di microrganismi (preliminare alla
disinfezione, costituisce un vantaggio per la disinfezione in quanto, di per sé la
detersione rimuove circa l’80% dei patogeni). La detersione deve essere fatta ad
umido, non a secco, altrimenti si rischia di semplicemente spostare il materiale, non
di rimuoverlo.
o Un detergente è una sostanza che modifica le forze di tensione superficiale.

Il grasso e lo sporco in genere sono adesi alle superfici con forze superficiali,
il detergente, diminuendo la tensione superficiale tra sporco e superficie ne
favorisce l‘asportazione. La pulizia accurata, effettuata con l’uso dei
detergenti, abbassa notevolmente la carica batterica.
• Decontaminazione: rimozione della carica microbica da substrati
(presidi
riutilizzabili), contaminati con materiale organico. Scopo: proteggere gli operatori
sanitari da HIV,HBV HCV (DM29/09/90, decreto ministeriale atto ad evitare che
operatori sanitari possano infettarsi) durante il processo di pulizia dello
strumentario (utilizzo di disinfettanti).
o Un decontaminante è una sostanza attiva nella distruzione dei virus, da
utilizzare su strumenti potenzialmente infetti (mediante immersione), prima
della detersione.
• Disinfezione: abbattimento dei patogeni in fase vegetativa (no spore) presenti su
oggetti e superfici contaminate; si attua tramite l’utilizzo di agenti chimici -
disinfettanti - o mezzi fisici. Scopo: impedire la persistenza e diffusione
nell’ambiente ed impedire il contagio di soggetti suscettibili.
• Sterilizzazione: abbattimento di tutti microrganismi (patogeni, saprofiti..),
comprese le forme di resistenza – spore -, presenti su strumenti, oggetti e superfici
contaminate (utilizzo di mezzi fisici o di agenti chimici). Scopo: non recare danno
all’individuo a seguito di pratiche medico-diagnostiche invasive.
• Antisepsi: processo volto ad evitare o inibire la replicazione di microrganismi su
tessuti viventi (ex. cute) tramite l’utilizzo di agenti chimici.
• Asepsi: protezione di ambienti “sterili” e di manovre invasive dall’introduzione di
microrganismi tramite l’utilizzo di dispositivi di protezione individuale (si pensi
alla vestizione del chirurgo il quale non può entrare nella sala operatoria con il
comune camice, deve indossare un camicie operatorio, le cuffie, la mascherina,
occhiali, i calzari, i guanti. Deve assicurarsi un rivestimento completo con DPI
sterili, i quali devono essere indossati da tutti coloro che entrano in ambienti a
rischio di contaminazione.

Sono stati stabiliti in ambiente sanitario per disinfezione e sanificazione i livelli di


criticità, in base all’impiego, a cui sono destinati gli strumenti e le superfici.
o Critico = richiesta l’assenza assoluta di microrganismi à Sterilizzazione;
o Semi Critico= richiesta l’assenza di microrganismi patogeni à Alta Disinfezione/
Sterilizzazione (in ambiente sanitario il processo di sterilizzazione quindi viene
adottato quasi automaticamente);
o Non Critico = richiesta la ridotta carica microbica à Detersione/Disinfezione di
basso livello.

Esempi di strumenti medico-chirurgici a diversi livelli di criticità


Critici (sterili): aghi, bisturi, cateteri cardiaci, impianti valvolari, protesi, endoscopi a fibre
ottiche(che attraversano barriere cutanee e/o mucosali), laparoscopi, artroscopi;
Apparecchi per circolazione extracorporea e per emodialisi (parte interna).

Semicritici (sterile/alta disinfezione): endoscopi a fibre ottiche (che non attraversano
barriere cutanee o mucose); laringoscopi, broncoscopi, gastroscopi, tubi e aspiratori
endotracheali, circuiti respiratori, apparecchi per anestesia, speculi vaginali, cateteri
urinari.
Non critici (Bassa disinfezione/detersione): mascherine facciali, bracciali di
sfingomanometri, elettrodi per diagnostica, superfici di apparecchi radiologici, etc.
o Perché i non critici richiedono una bassa disinfezione? Prendiamo per esempio uno
sfingomanometro, tale strumento viene utilizzato su tutti i pazienti di quel reparto,
esiste dunque un rischio modesto ma reale: il poter caricare la parte dello strumento
che viene in contatto con il braccio del paziente di determinati microorganismi; nel
successivo utilizzo su di un paziente diverso potrebbe rappresentare il mezzo di
trasmissioni di questi microbi che possono depositarsi su eventuali microlesioni.

Esempi di superfici a diversi livelli di criticità


Critiche (di o per apparecchiature medico-chirurgiche): pomoli o maniglie di apparecchi
per emodialisi, radiologia, riuniti odontoiatrici; piani di lavoro in reparti di emodialisi,
laboratori clinici.
Non critiche (di tipo domestico , alberghiero , ospedaliero): pavimenti, pareti, davanzali,
lavandini; piani di tavoli e di altre suppellettili.

Le superfici in ambiente sanitario sono facilmente contaminabili (è meglio pensare che lo


siano sempre): sono coinvolte indirettamente nella trasmissione delle infezioni,
necessitano di una accurata decontaminazione e non richiedono procedure di
decontaminazione aggressive. 

o Come possono essere coinvolte le superfici nella trasmissione di patogeni? Le
superfici vengono toccate, magari con le mani, venendo a nostra volta contaminati.

Antisettico e Batteriostatico
Si tratta di prodotti in grado di evitare o limitare la replicazione batterica
Antisettico: disinfettante ad uso “esterno”, ovvero, - cutaneo (assimilato ai disinfettanti e
per questo sottoposti agli stessi controlli);
Batteriostatico: prodotto ad uso “interno” (utilizzabile in vaccini/farmaci per garantire
una maggiore sicurezza del prodotto ed efficacia della terapia); somministrabile per via
parenterale.
• Antisepsi in Ospedale: si tratta di detersione e/o lavaggio delle mani del personale
sanitario con l’impiego di prodotti non irritanti per la cute e contenenti
antimicrobici adatti ad un uso frequente (Alcol-glicerolo, Glicerolo-clorexidina,
Glicerolo–ipocloriti, Triclosan).

Il motivo per cui non si parla di disinfettante ma di antisettico deriva dalla ripetibilità
dell’utilizzo: se non vengono utilizzati prodotti che rispettano la cute si avrebbe un danno;
è chiaro che l’utilizzo di un disinfettante sia più efficace nel sanificare la cute delle mani,
tuttavia l’utilizzo di tali sostanze è limitato a determinate casistiche, in quanto potrebbero
portare dei danni a livello della cute delle mani (se venisse lesa la barriera cutanea si
vanificherebbe un più facile accesso ai patogeni esogeni); per poter effettuare più volte la
pulizia della mani è preferibile usare un antisettico, ovvero, una sostanza che esegua la
pulizia delle mani senza intaccare la barriera cutanea.
Un’ulteriore vantaggio degli antisettici è l’auto-asciugamento.
Un antisettico è per esempio il clorossidante elettrolitico (Amuchina), Alcool, Iodofori. Etc.
Il ruolo della mano nella
trasmissione delle infezioni
1. TOCCA
2. TRASPORTA
3. TRASMETTE

Le mani svolgono un ruolo


fondamentale nella diffusione e nella
trasmissione delle infezioni in
quanto le mani vengono in contatto
con le parti del copro più esposte
all’ambiente e da tali zone possono
caricarsi di agenti patogeni o
possono scaricarsi di questi; possono venire in contatto con i vestiti, con il cuoio capelluto,
con secrezioni biologiche o con lesioni cutanee; possono quindi trasferire dall’organismo a
superfici, ma anche dalle superfici all’organismo. La contaminazione può essere attiva e
passiva, si tratta dunque di una questione critica tanto che l’OMS spiega come sia possibile
contrastare un’infezione semplicemente tramite il lavaggio delle mani.

In corrispondenza della mani può essere presente una comunità microbica transitoria (una
porzione ridotta rispetto alla totalità dei microorganismi presenti).
• Transitoria: si tratta del solo 20% dell’intero microbiota locale e questo è dovuto
principalmente al fatto che la maggior parte di questi microorganismi hanno un
periodo di sopravvivenza medio di circa 24h; tale popolazione microbica può essere
rimossa con il lavaggio (sociale, antisettico...); si depositano sulle mani dopo
contatto con oggetti o materiale contaminato Provocano facilmente infezione
causate prevalentemente da Gram (-), da batteri che si trovano negli starti cutanei
più superficiali.
• Permanente: si tratta del 40% del microbiota locale dato che sono in grado di
sopravvivere e di moltiplicarsi sulla cute; essendo normalmente presenti in tali
zone raramente sono causa di infezione. Avendo un tropismo così specifico ed
efficace non sono facilmente rimovibili e proprio per queste caratteristiche di
elevata specificità per la superficie rendono più difficile il fenomeno di
colonizzazione da parte di altre specie. Questa porzione del microbiota è formata
prevalente da microrganismi cocchi G (+) (come Staphylococcus epidermidis) che
vivono negli strati cutanei più profondi.

Sono presenti dei punti critici sulle varie regioni della


mano in cui si può notare un maggiore accumulo di
microorganismi quantitativamente e qualitativamente
differenti tra loro, come per esempio, il letto ungueale, la
porzione di pelle che congiunge il pollice al palmo, le
pieghe del dorso e del palmo e gli spazi interdigitali.
È possibile farsi un’idea del grado e della distribuzione
della colonizzazione appoggiando il palmo della mano su
di un terreno di coltura Agar-sangue; una volta effettuato il
contatto, la piastra contenente il terreno contaminato viene
messa ad incubare ad una temperatura di 37 gradi. Si avrà
lo sviluppo delle colonie batteriche la cui distribuzione
segue proprio la conformazione della mano.
Per questa elevata contaminazione le mani sono oggetto di due importanti metodiche di
prevenzione: l’utilizzo di guanti, questi possono essere sterili (asepsi) o igienici; il
lavaggio con detergenti o con antisettici (antisepsi).

Il lavaggio può essere eseguito in diversi modi:


lavaggio sociale, lavaggio antisettico e lavaggio
chirurgico.
Ciò che differisce da un lavaggio e l’altro è l’ampiezza
della lavata, i diversi movimenti e il detergente.
1. Lavaggio sociale à è il lavaggio normale con
sostanze detergenti e acqua che elimina gran
parte della popolazione transitoria della cute
2. Lavaggio antisettico à è il lavaggio con acqua e
sostanze detergenti contenenti agenti
antimicrobici (antisettici)
a. Frizione idroalcolica à esiste questa
variane di lavaggio “senza acqua” con gel
antisettici
3. Lavaggio chirurgico à ha lo scopo di prevenire le infezioni del campo operatorio;
differisce dal lavaggio antisettico per la durata, estensione, utilizzo di spazzolini…

Ecco come avviene il lavaggio sociale (con acqua e sapone)


Ecco come avviene il lavaggio asettico, eseguendo una frizione alcolica (senza la fase di
successiva asciugatura o risciacquo).

Le manovre che devono essere eseguite nei lavaggi analizzati non differiscono granché: in
entrambi i casi devono essere effettuati dei movimenti rotatori, assicurandosi la pulizia
negli spazi interdigitali; pulire il letto ungueale; etc.
Ciò che cambia è il periodo di tempo che deve essere impiegato per portare a termine la
procedura.
Ovviamente nel secondo tipo di lavaggio (asettico) non è necessaria la fase della
asciugatura che invece è consequenziale nel primo tipo di lavaggio (sociale):
l’asciugamento può avvenire tramite l’utilizzo di un panno di carta che viene poi buttato o
tramite un telo che deve essere non riutilizzato.

Un lavaggio è inadeguato nel momento in cui non vengono


rimossi anelli o braccialetti; le maniche devono essere sollevate
e se il polso è rimasto al suo posto non si attuata la tecnica
corretta perché i batteri vengano rimossi.
I 5 momenti dell’igiene delle mani:
1. Prima del contatto del
paziente: per proteggere il
paziente dai patogeni
dell’operatore.
a. Gesti di cortesia:
stringere la mano;
b. Contatto stretto:
aiutare un paziente
a lavarsi,
camminare, etc.;
c. Visita medica/odonto: misurazione della pressione, auscultazione torace,
palpazione addominale...
2. Prima di una manovra asettica: per proteggere il paziente da “tutti” i microorganismi.
a. Contatto con membrane mucose: igiene orale/dentale, aspirazione di
secrezioni, somministrazione di collirio;
b. Contatto con cute non integra: trattamento lesioni cutanee, medicazione
delle ferite, iniezioni.
c. Contatto con presidi medici: inserimento catetere, apertura accesso
vascolare o di un sistema di drenaggio, medicazioni, set di bendaggi.
3. Dopo esposizione a liquidi biologici: per proteggere l’operatore e l’ambiente sanitario
dai patogeni.
a. Contatto con membrane mucose: igiene orale/dentale, aspirazione di
secrezioni, somministrazione di collirio.
b. Contatto con cute non integra: trattamento lesioni cutanee, medicazione
delle ferite, iniezioni;
c. Contatto con presidi medici o Campioni clinici: manipolazione di
qualunque
campione fluido, apertura di un
sistema di drenaggio,
inserzione/rimozione tubo endotracheale;
d. Operazioni di pulizia: eliminazione materiali biologici manipolazione
rifiuti, pulizia di strumentario, aree contaminate.
4. Dopo il contatto con il paziente: per proteggere operatore e ambiente sanitario dai
patogeni.
a. Gesti di cortesia : stringere la mano
b. Contatto stretto: aiutare un paziente
a lavarsi, camminare, etc.
c. Visita medica/odonto.: misurazione della pressione, auscultazione torace,
palpazione addominale, etc.
5. Dopo il contatto con l’ambiente: per proteggere operatore e ambiente sanitario dai
patogeni.
a. Cambiare le lenzuola, monitorare un allarme, regolare il letto, pulire il
comodino...

INOLTRE:
6. Prima e dopo l’utilizzo di guanti;
7. Se in corso di assistenza, ad un contatto con un sito contaminato segue un contatto
con altro sito corporeo;
8. Prima di manipolare farmaci, o preparare alimenti;
9. Prima di mangiare, fumare, portare le mani agli occhi o alla bocca, ecc.
10. Dopo essere entrati in contatto con sangue e qualunque altro liquido biologico.
Asepsi
Misura profilattica volta ad evitare l’introduzione di microrganismi in un
ambiente “sterile”.
Normalmente viviamo in un ambiente ricco di microorganismi e noi stessi siamo carichi di
microorganismi i quali possono essere trasmessi dal nostro organismo verso l’ambiente: i
meccanismi che possono favorire questo trasferimento sono per esempio la vociferazione,
il gesticolare, il compiere attività fisiche, etc.
È stato calcolato il quantitativo approssimativo della componente microbica che viene
diffusa:

I mezzi per mantenere la condizione di asepsi sono relativi all’utilizzo di dispositivi sterili,
adoperati in una azione invasiva o in sala operatoria, come per esempio mascherina,
guanti, sovra-scarpe, cuffie, camice, occhiali, visiere e teli.
Gli stessi diventano poi di mezzi di barriera quando sono usati nella routine delle corsie e
non vengono dunque usati per azioni invasive: sono quelli che chiamiamo DPI,usati
costantemente costante nella pratica sanitaria, non necessariamente sterili ma
igienicamente sicuri, sia per l’operatore che per il paziente (solitamente monouso).

È bene usare guanti sterili solo quando è strettamente necessario perché comunque hanno
un costo e bisogna considerare che una volta indossati ed utilizzati devono essere
necessariamente eliminati.
Disinfezione e sterilizzazione
Entrambi hanno come obiettivo della sanificazione i microrganismi: la sterilizzazione
elimina tutte le forme di vita; mentre il disinfettante può eliminare la maggior parte dei
microorganismi patogeni (ma non le forme di resistenza). Le pratiche non sono
perfettamente sovrapponibili.

Su cosa praticare la disinfezione?


Su qualunque oggetto, strumento, suppellettile, materiale biologico utilizzato/eliminato
dal paziente e quindi contaminato.
Quando praticare la disinfezione?
Dopo l’utilizzo/raccolta di strumenti, suppellettili, materiali biologici contaminati dal
paziente.

Su cosa praticare la sterilizzazione?


Su qualunque oggetto, strumento da utilizzare sul paziente: se è invasivo deve essere
sterile.
Quando praticare la sterilizzazione?
Prima dell’utilizzo.

Indicazioni generali di queste due pratiche


Cosa disinfettare?
Materiali patologici, oggetti infetti (veicoli, presidi chirurgici, presidi medici); presidi di
laboratorio; alimenti (il latte, per essere consumato in sicurezza, deve essere disinfettato).
Cosa sterilizzare?
Presidi medici e presidi chirurgici; farmaci, non tutti, ma tutti quelli a somministrazione
parenterale: tutte le soluzioni saline, antibiotiche, vitaminiche… qualunque sostanza
iniettata deve essere sterile; materiale per laboratorio microbiologico e virologico, bisogna
partire con materiale sterile così da avere la certezza che i microorganismi che si stanno
analizzando siano quelli appartenenti al paziente e non provenienti dall’ambiente; anche
gli alimenti devono essere sterilizzati, sul piano merceologico e sanitario è importante
avere a disposizione alimenti sterili di modo che questi non vengano persi (è il caso degli
alimenti a lunga conservazione, tutto l'eccesso che non viene consumato nell’immediato se
non conservato viene perso ex. alimenti nei barattoli).

Momenti della disinfezione in ambiente sanitario


• Al letto del malato à Continua;

• In ambienti pubblici alla comparsa di un caso di malattia da infezione à
Estemporanea (si tratta di un tipo di disinfezione mirata e calcolata, costante ex.
mensa della scuola);
• Al termine (guarigione) della malattia à Terminale.

Mezzi di disinfezione
Chimici à Disinfettanti;
Fisici à Calore, raggi UV, raggi gamma e filtrazione.

Quali sono i requisiti di un disinfettante?


Efficacia; innocuità; compatibilità (con altre
sostanze di modo che possa essere diluito e
maneggiato); assenza di azione dannosa sui
materiali; basso costo; facilità di reperimento;
semplicità di impiego; stabilità; miscelabile con
altri liquidi.
Sappiamo che:
- Il disinfettante su superfici, strumenti e ambiente in generale;
- L’antisettico viene usato su cute integra e/o mucose;

Esistono però delle eccezioni che prevedono l’utilizzo del disinfettante: in corrispondenza
di cute non integra, dunque, in presenza di ferite: è possibile effettuare la pulizia della
ferita; usato per la somministrazione di farmaci (via parenterale); per la preparazione del
campo operatorio.
Requisiti complementari:
1. Non ostacolare i processi di cicatrizzazione;
2. Non irritare i tessuti e non indurre sensibilizzazioni;
3. Evidenziare il campo disinfettato (se la superficie ha una sua tingibilità seppure
modesta è possibile evidenziare e circoscrive una zona).

Meccanismo di inattivazione dei microrganismi tramite l’utilizzo di prodotti chimici


(disinfettanti):
I. Ossidazione à H2O2; O3; Alogeni (Cl, Br);
II. Coagulazione à denaturazione di componenti essenziali (proteine di struttura ed
enzimatiche): alcali, alcoli, fenoli (efficaci se ad elevate concentrazioni);
III. Alchilazione à (o altri legami covalenti) con gruppi SH2, NH2, COOH, di proteine
o di basi di acidi nucleici : aldeidi, ossido di etilene;
IV. Alterazioni della membrana batterica per perdita di componenti cellulari à sono
efficaci i fenoli se usati a bassa concentrazione o anche i composti quaternari
dell’ammonio (detergenti cationici) e la clorexidina;

L’attività antibatterica di una sostanza disinfettante dipende da vari fattori:


𝐾 = 𝐶 $ 𝑇 à funzione dell’efficacia

• Temperatura ambientale
• Concentrazione del principio attivo della sostanza disinfettante

• Tempo di applicazione della sostanza disinfettante (il tempo tecnico per la reazione)
Possono esserci degli interferenti nei confronti della funzione del disinfettante:
• pH del mezzo in cui deve agire

• Presenza di materiale organico nel materiale da disinfettare (può neutralizzare l’efficacia
del disinfettante)
• Specie microbica
• Grado della contaminazione microbica (quantità)
• Natura del materiale da trattare (non distruggerlo, solo disinfettarlo)

Devono essere considerati tutti questi fattori in quanto alcuni potrebbero svolgere una
funzione interferente che può portare alla scelta di un altro prodotto: per esempio, il pH in
cui deve agire il prodotto, la presenza di materiale organico a protezione della specie
microbica, l’organizzazione del microorgansimo per cui questo può
essere sensibile o meno rispetto ad una determinata molecola,
bisogna considerare dunque la specie di appartenenza.

Scala di sensibilità dei microorganismi ai disinfettanti


Tra gli agenti patogeni meno resistenti individuiamo i virus con
pericapside; seguono i micetti; i batteri Gram (+) e (-)… fino ad
arrivare ai batteri sporigeni, difatti, la spora è una forma di
resistenza in grado di preservare l’informazione genetica del batterio
a dispetto delle variazioni ambientali a cui può essere sottoposta.
Disinfezione. (seconda parte)

Lo scopo della disinfezione è quello di uccidere i patogeni. Mentre uccide i


patogeni uccide anche quei microrganismi che hanno la stessa capacita di
sopravvivenza alla capacità battericida del nostro prodotto.

Possiamo suddividerei prodotti disinfettanti in 3 gruppi:

1- Efficacia alta, prodotto che riesce ad uccidere anche le spore se non sono in un
numero troppo elevato. (perossido di idrogeno, gluteraldeide, acido peracetico)

2- Efficacia intermedia , quando il prodotto riesce ad uccidere una tra le forme


vegetative più resistenti come micobatterio tubercolare. (Iodofori, gluterldeide,
alcooli, derivati fenolici, cloroderivati)

3- Efficacia bassa, serve all’abbattimento di batteri più fragili e molto comuni come
gram+, gram-. (clorexidina in ambito odontoiatrico, ammonio quaternario,
cloroderivati a bassa concentrazione).

ALCOOLI

L’alcool è un coagulante delle proteine plasmatiche, deve essere usato in


soluzione acquosa:

-alcool etilico 50/70%

-alcool isopropilico 30/50%

N.B. un alcool assoluto non è disinfettante, l’acqua è necessaria in quanto l’alcool


possa essere assorbito sulla superficie della cellula microbica e perché se lo
usassimo puro avremmo fenomeni coagulativi nello spessore della membrana
plasmatica, si forma una barriera che protegge efficacemente la cellula.

Gli alcoli sono molto utilizzati perché hanno un potere detergente per la cute, i
termometri.

Gli svantaggi sono che:

-Hanno basso potere di penetrazione

-Non agisce sulle spore,

-Evapora rapidamente

-Sviluppa reazione irritante sui tessuti

-Può danneggiare strumenti ottici e materiali con azione corrosiva.

Il FENOLO è stato il primo disinfettante ad essere utilizzato (ac.fenico) e ha molti


aspetti vantaggiosi. Ha un basso prezzo, non altera i materiali, mantengono a
lungo l’azione residua, sono miserabili con cere e saponi.

Svantaggio: poco efficaci con i virus.

OSSIDANTI (ozono, acqua ossigenata)

L’acqua ossigenata si può usare sia come disinfettante cutaneo a bassa


concentrazione oppure può essere usato ad alta concentrazione per alta
disinfezione

ALOGENI

Sono tutti dotati di potere ossidante.

Il più utilizzato è il cloro nelle sue varie forme, sia di sali che di derivati organici.

L’elemento attivo del cloro è HCLO, acido ipocloroso, che si viene a formare
quando uniamo cloro con acqua. È dotato di rapida ed efficiente attività germicida.

Il cloro ha azione già a bassa concentrazione dovuta alla capacità di alogena ed


ossidare le sostanze proteiche.

Agiscono in fretta e i composti del cloro più utilizzati sono: ipoclorito di sodio,
ipoclorito di calcio, dicloroisocianurato di sodio.

La caratteristica comune del cloro e dei suoi derivati è quella di produrre acido
cloroso quando immersi in acqua. Il cloro è stato uno degli elementi più impiegati:

-depurazione acque a scopo potabile

-depurazione condutture e serbatoi

-depurazione acqua piscina

-depurazione liquami

-disinfezione stoviglie, biancheria

-disinfezione verdura

-depurazione apparecchiature di industrie alimentari

Iodio
Tra i derivati dello iodio troviamo l’alcool iodato 2%, tintura di iodio 7%, soluzione
di luogo 5%, iodofori cioè i derivati organici dello iodio.

Ha un’azione ossidante dotato di una tingibilità persistente, cioè non va più via da
un tessuto. Sono ottimi disinfettanti ben tollerati dalla cute integra, infatti sono
utilizzati per la disinfezione del campo operatorio, prima di prelievi di sangue o
somministrazione di farmaci. Sulle ferite però mostrano un’azione istiolesiva, non
favoriscono la cicatrizzazione.

Gli iodofori sono dei disinfettanti costruiti associando lo iodio ad un agente


tensioattivo che svolge anche un’azione detergente. L’elemento di legame più
utilizzato è il polivinilpirrolidone, polimero solubile in acqua caratterizzato da alta
pressione colloidale ed osmotica. Sono utilizzati in vario modo a seconda delle
concentrazioni: antisettici, disinfettanti di basso livello, disinfettanti di medio livello.

Caratteristiche:

Presentano bassa tensione superficiale e consente massima penetrazione nei


tessuti.

Le proprietà antisettiche e battericide sono conservate anche in presenza di


sangue, siero, pus, tessuti necrotici.

Dà una colorazione ma è temporanea e va via con lavaggi ripetuti su cute e tessuti

È stabile e inodore

Prolunga il tempo di azione antisettica con una graduale e controllata cessione di


iodio elementare attivo

ALDEIDI

Diviso in due gruppi: Formaldeide e Glutaraldeide.

La formaldeide per motivi di politica del lavoro è stata proibita per le operazioni
routinarie di disinfezione e pulizia perché è una sostanza tossica e procurava
danno agli operatori come avvelenamento con dolori addominali, nausea , vomito,
ansia, depressione.

Usato in forma gassosa, agisce denaturando e coagulando le proteine legandosi ai


loro gruppi amminici liberi. Corrode i metalli, danneggia gomma e plastica.

Oggi è utilizzabile in autoclavi nelle quali l’azione sterilizzante viene esplicata dal
sinergismo di due fattori: vapore, formaldeide, presidi termolabili.

Per quanto riguarda la glutaraldeide, i suoi vapori determinano fenomeni irritativi


sugli occhi e mucose, ma non correre metalli e non danneggia gomma e plastica.

Agisce mediante alchilazione delle proteine batteriche interferendo con proteine


della membrana cellulare alterandone la permeabilità, interferendo con i processi
enzimatici e interferendo con la sintesi di DNA e RNA.

Gli strumenti da disinfettare prima di essere immersi nella soluzione devono essere
lavati per rimuovere i residui organici.

• Sono soluzioni acquose allo 0,02 % rapidamente efficaci contro gram+ e gram-,

• Oppure possono essere soluzioni acquose al 2% e sono in grado di uccidere


entro due minuti molte specie vegetative, in 3 ore uccidere la maggior parte delle
spore, in 10-12 ore hanno effetto sterilizzante.

L’eliminazione del problema dei vapori è legata alla struttura del contenitore degli
strumenti, devono essere dotati di coperchio, aperti poche volte e velocemente
dotandosi di visiera mascherina e guanti.

I vantaggi: ha alta disinfezione, è utilizzata per materiali chirurgici che non possono
essere sterilizzati al calore, ha un ampio spettro d’azione sulle spore, ha attività on
presenza di materiali organici, azione non corrosiva su metalli, gomma, lenti di
endoscopi, facile da usare.

Gli svantaggi: sensibilizzazione per il personale addetto.

CLOREXIDINA

Buon disinfettante per batteri gram+ e gram-, è costituita da una molecola dotata
di carica positiva che viene attratta ed assorbita sulle superfici delle cellule
microbiche dotate di carica negativa.

Può essere usata sia a concentrazione antisettica (0,04%-1%) sia a concentrazioni


battericida (0,2-2%).

È utilizzata molto in ambito dermatologico e in ambito odontoiatrico per il


trattamento canalare.

Funziona meglio con una aumento di temperatura, a pH neutro, è attivo


nonostante la presenza di sostanze organiche.

COMPOSTI DELL’AMMONIO QUATERNARIO

Sono composti di sintesi tensioattivi, cioè capaci di abbassare la tensione


superficiale dei liquidi in cui vengono sciolti. Nella loro molecola è presente si un
gruppo idrofobo che un gruppo idrofilo. Questa molecola in questa maniera
assume una spinta polarità e la capacità di disporsi nell’interfacci tra acqua e fase
diversa con il gruppo idrofilo orientato verso l’acqua e il gruppo idrofobo verso il
materiale.

Questi prodotti in rapporto alla loro capacità di ionizzare sono suddivisi in


composti :

- non ionici, buoni schiumogeni ed emulsionanti

- anionici, si ionizzano in acqua in un anione organico tensioattivo e da un


catione( detersivi comuni)

- Cationici, sono i composti quaternari dell’ammonio, dotati di scarso potere


detergente ma buoni batteriostatici e disinfettanti di basso livello, non sono
tossici , non distruggono i materiali e sono di facile impiego.

- Anfoteri sono sia detergenti che disinfettanti attivi su gram+, gram- e miceti.

Nomi di alcuni composti cationici usati come disinfettanti

STERILIZZAZIONE

La sterilizzazione ha il compito di distruggere qualunque forma di vita, comprese le


forme di massima resistenza.

La normativa afferma che il processo di sterilizzazione viene considerato un


processo critico e deve rispondere a requisiti essenziali contenuti nell’allegato I del
D.Lgs n.46 del 24/2 97.

I dispositivi forniti allo stato sterile devono essere fabbricati e sterilizzati con un
metodo standardizzato e appropriato.

Qualunque strumento di sterilizzazione richiede la convalida del processo che


prevede l’applicazione di procedure documentate a dimostrazione della validità del
processo secondo quanto previsto dalle norme UNI EN che rappresentano il
riferimento tecnico per i Paesi aderenti al Comitato Europeo di Normazione.

Attualmente sono disponibili norme per la convalida della sterilizzazione a vapore,


ossido di etilene, radiazioni ionizzanti, gas plasma, acido peracetico.

-Per l’autoclave a vapore la convalida del processo consiste “nell’accettazione in


servizio” e nella “qualificazione di prestazione”.

1) Accettazione di servizio= documentazione dell’installazione e funzionamento in


conformità alle specifiche.

2) Qualificazione di prestazione= documentazione che l’apparecchiatura, cosi


come accettata in servizio sarà in grado di fornire un prodotto accettabile.

A questo scopo vengono effettuati controlli fisici chimici e biologici.

La norma UNI EN stabilisce che il livello di assicurazione di sterilità (SAL: sterilità


Assurance Level) deve corrispondere alla probabilità teorica <1 su 1 milione di
trovare un microrganismo vivo all’interno di un lotto di sterilizzazione.

Fattore di inattivazione= carica batterica iniziale/ carica batterica finale, il fattore di


inattivazione ci serve per calcolare il gradi di sterilità che è= fattore di inattivazione/
numero medio di batteri per oggetto.

Un alto modo per valutare il processo di abbattimento è il fattore D. È il tempo in


minuti necessario per ridurre, ad una data temperatura, la popolazione microbica
di un logaritmo.

Il processo di sterilizzazione è influenzato da diversi fattori:

-Fattori fisici: i parametri fisici di sterilizzazione devono essere raggiunti e


mantenuti per un tempo sufficiente alla distruzione dei microrganismi in modo tale
da ottenere un corretto processo di sterilizzazione.

-Qualità e quantità della carica microbica: preparazione del materiale per la


sterilizzazione corretta nei modi e nei tempi (decontaminazione-lavaggio-
asciugatura-controllo-confezionamento)

-Struttura del dispositivo medico da sterilizzare: il raggiungimento della sterilità


dipende dall’effettivo contatto per il tempo necessario con tutte le superfici
dell’articolo

-Materiali e metodi per la conservazione della sterilità e dei presidi sterili: tipo di
materiale per il confezionamento e corretta conservazione dei presisi garantiscono
il mantenimento della sterilità sino al momento dell’utilizzo.

Tempi di morte termica

(Tutti valori in minuti.)

Generalmente i batteri in fase vegetativa non sopravvivo se esposti per 10 minuti a


80 gradi o 15 minuti a 75 gradi (calore umido).

Le spore invece resistono fino a temperature pari a 110-120 gradi ed il tempo della
loro morte varia a seconda della saturazione del vapore presente. I protozoi e
miceti si comportano come batteri allo stato vegetativo.

I virus sono sensibili al calore: CALORE COME STERILIZZAZIONE

Strumento per la sterilizzazione: Stufa Pasteur

È una scatola metallica alla base della


quale sono presenti delle serpentine.
L’energia elettrica sviluppa calore il
quale si porta verso l’alto.

La temperatura oscilla tra i 180 e i 200


gradi. Nella stufa Pasteur possono
essere messi solo porcellane, metallo e
vetro, altri materiali verrebbero distrutti.

Una loro strumento fondamentale è l’autoclave

Lavora con vapore saturo sotto


pressione che ha un alto potere di
penetrazione perché cede tutto il
calore che ha utilizzato per il passaggio
di fase (da acqua a vapore).

Ha una struttura abbastanza


complessa che possiamo immaginare
come una pentola a pressione,
struttura rigida in acciaio inossidabile
con chiusure a tenuta, indicatori di
pressione e temperatura. Alla base ha
una riserva di acqua che produce
calore e ne consente la produzione di
vapore il quale butta fuori aria tramite un ugello. Quando l’aria è tutta fuori si
chiude l’ugello e avremo vapore sotto pressione.

All’aumentare della pressione aumenta la pressione. A 100 gradi la pressione è


0atm, se aumentiamo la pressione a 1,02 a essa corrisponde una temperatura di
121 gradi che è quella che noi utilizziamo prevalentemente nelle autoclavi.

Esempi di autoclavi: autoclavi da banco utilizzate negli studi dentistici, da


pavimento.

Secondo le norme esistono 3 classi di autoclavi: tipo B, tipo N, tipo S.

Un ciclo di sterilizzazione comprende 4 fasi.

(N.B. che i tempi di sterilizzazione che abbiamo citato prima non corrispondono ad
un intero ciclo di sterilizzazione MA solo alla fase 3 di sterilizzazione effettiva dei
materiali, l’intero ciclo dura di più)

1) Caricamento del materiale

2) Riscaldamento preliminare= riscaldamento a 100 gradi con lo spurgo aria


aperto, si chiude lo spurgo aria e si fa aumentare la temperatura fino a livello
richiesto.

3) Disinfezione o sterilizzazione (tempo di abbattimento dei patogeni)

4) Raffreddamento

Percorso per ottenere un materiale STERILE:

-raccolta del materiale

-decontaminazione (disinfezione), prevede lo smontaggio dello strumento,


immersine in soluzioni decontaminanti per almeno 30 min e l’immersione in
soluzioni decontaminanti.

-lavaggio, può essere fatto manualmente con detergenti proteolitici o con


lavastrumenti meccanici con azione di termodisinfezione finale o ancora con
lavastrumenti ad ultrasuoni, tutti procedimenti seguiti da risciacquo con acqua
deionizzata.

-risciacquo

-asciugatura, deve essere effettuata per evitare che residui di liquidi possano
influire sull’efficacia della sterilizzazione

-controllo funzionalità strumento/ manutenzione/selezione.

-confezionamento (punto critico) perché se lo strumento, all’apertura


dell’autoclave, non fosse confezionato a contatto con l’aria esterno si
contaminerebbe. Il confezionamento offre la possibilità di mantenere la
sterilizzazione per lungo tempo. Il nostro oggetto confezionato al termine della
sterilizzazione durerà tanto quanto mantiene la sua integrità il confezionamento.

-sterilizzazione

-stivaggio

L’insufficiente pulizia degli strumenti potrebbe essere causa di una disinfezione


inadeguata e quindi inadeguata sterilizzazione.

CONFEZIONAMENTO

(leggere ma non andare


nello specifico)

-L’involucro e la
resistenza dell’involucro
consente il
mantenimento della
sterilità dell’oggetto.

Esistono procedimenti preliminari alla sterilizzazione che se non vengono attuati


possono invalidare tutto il processo:

-Test di riscaldamento, mette l’autoclave in condizioni di fare un check-control di


tutte le sue funzioni idroelettriche, per la gestione del vapore si deve usufruire di
acqua potabile e a basso contenuto di calcio.

-Test vuoto, permette di verificare la tenuta delle guarnizioni, è importante perché


la sterilizzazione si ottiene da una camera a tenuta stagna

-Test Bowie & Dick, è la simulazione della penetrazione del vapore nelle confezioni,
questo test ha la proprietà di cambiare totalmente il calore se sottoposto alla
temperatura e al tempo adeguato a quel processo di sterilizzazione.

Sono tutti e tre controlli per il funzionamento

-indicatori chimici

-indicatori biologici ——> Sono controlli per la sterilità

Il tempo di conservazione di dispositivi e accessori sterili dipende dal materiale di


confezionamento (che ne determina la scadenza), esaminare attentamente la
confezione dei dispositivi prima dell’uso, quando la confezione di dispositivi sterili
è danneggiata bisogna ricondizionare, cioè ripreparare e risterilizzare.

Indicatore chimico di sterilizzazione


Il passaggio di vapore attraverso il foglio determina un omogeneo viraggio di
colore del logo e la verifica quindi delle corrette condizioni di sterilizzazione. Se
non vi è stat la completa rimozione dell’aria e la successiva penetrazione del
vapore nell’autoclave, rimangono sacche d’aria che sono evidenziate da un non
completo viraggio del colore

Indicatore biologico di sterilizzazione (sterilizzazione a vapore)


Sono fiale che contengono spore di Bacillus stearothermophilus e terreno di
coltura. Viene posta all’interno dell’autoclave e alla fine del ciclo di sterilizzazione
viene incubato il viraggio del colore che rivela l’inefficacia del processo di
sterilizzazione. Se l’autoclave funziona le spore vengono aperte e quindi si sviluppa
la forma vegetativa la quale utilizza il terreno nutritivo che da blu diventa giallo
perché metabolizzato.

TRACCIABILITA’ DEL MATERIALE

Procedura che serve a ricostruire tutte le fasi del processo di sterilizzazione tramite
registrazione su supporto cartaceo e/o informatico.

Ogni confezione deve contenere tutte le informazioni del contenuto per la


tracciabilità. La documentazione relativa all’interno del processo deve essere
archiviata e opportunamente conservata.

Su ogni confezione sarà riportato:

- codice di identificazione autoclave

- lotto (ciclo progressivo giornaliero di sterilizzazione, codice identificativo del


ciclo selezionato, codice operatore responsabile, data sterilizzazione, data
scadenza)

- Unità operatrice del dispositivo

Sterilizzazione mediante filtrazione

È un’evoluzione dei vari processi di filtrazione dell’acqua che si osservano in


natura. Viene utilizzato per tutte quelle soluzioni ad uso parenterale che non
possono essere sterilizzati in autoclave. Tuttavia la filtrazione non elimina il
problema della ricontaminazione se il processo non avviene con apparecchiatura
filtrante “sterile” e in ambiente settico.

Tipologie di filtri:

-A perdere in cui la membrana filtrante è


in grado di trattenere batteri e virus

-A chiocciola utili quando vi sono piccole


quantità da sterilizzare

Filtrazione di Gas

Per la filtrazione a gas sono utilizzate le kappe e i filtri HEPA che trattengono tutti i
tipi di particelle. Sono dotate di una cabina di sicurezza sia per gli operatori che
per il materiale ed esistono delle gradualità di queste cabine per la gravità del
prodotto che si manovra.

Radiazioni ionizzanti:
hanno una natura simile alla luce, si propagano in linea retta e sono prive di carica
elettrica, la lunghezza d’onda è inversamente proporzionale al loro potere di
penetrazione. Sono di origine nucleare e si formano per un processo di transizione
energetica che si accompagna a modificazioni della struttura interna del nucleo
atomico: se il nucleo è in stato di eccitazione per eccesso di energia rispetto al suo
stato di equilibrio vi è un ritorno allo stato più stabile con la liberazione di un
QUANTO DI ENERGIA. Sono emesse da isotopi radioattivi Co 60, Cesio137.

Le radiazioni hanno, sulla materia, azione:

-diretta quando il flusso di radiazioni può essere assimilato ad un flusso di proiettili


a cui sono esposti i microrganismi

-indiretta effetto delle radiazioni sul mezzo in cui è immerso il microrganismo,


anche il mezzo è esposto al flusso di radiazioni con formazione di radicali liberi
molto reattivi in grado di interagire con la materia.

Tramite le radiazioni ionizzanti avviene la sterilizzazione di materiale medico-


chirurgico come:

-Materiale che non entra in contatto direttamente con il malato come teli,
mascherine, copricapo, camci, pipette..

-Articoli che entrano in contatto temporaneamente come materiali da sutura,


cerotti, garze, siringhe, bisturi..

-Articoli in contatto duraturo come valvole cardiache, innesti, pacemaker…

Raggi UV
Prodotti da lampade germicide con una scarica elettrica di vapori di mercurio a
bassa pressione contenuti in un tubo di quarzo. La lunghezza d’onda è di 2500 A.
Le moderne lampade di mercurio emettono almeno il 90% delle radiazioni a 253,7
nm. Sono poco penetranti, quindi solo ad azione di superficie, si propagano in
linea retta e agiscono sulle basi pirimidiniche degli citi nucleici formando dimeri fra
punti diversi modificando la funzionalità dell’acido nucleico. Agiscono separando
la doppia catena del Dna per rottura dei ponti H.

L’attività germicida è fortemente condizionata da:

-caratteristiche dell’irradiazione

-distanza dalla sorgente di emissione

-caratteristiche del microrganismo

-natura del medium o della superficie da trattare

Applicazioni:

-bonifica dell’aria

-inattivazione di microrganismi su superfici o sospese in liquidi

-protezione e disinfezione di prodotti a composizione instabile che non possono


essere trattati con metodi convenzionali

MEZZI CHIMICI DI
DISINFEZIONE/
STERILIZZAZIONE
l’OSSIDO DI ETILENE

Prodotto utilizzato in USA a partire dagli anni ’60 per sterilizzare le apparecchiature
destinate ai voli spaziali.

È il sistema di sterilizzazione chimico più utilizzato perché ha un elevato potere di


abbattimento, sterilizza quasi tutti i materiali delicati come sonde, tubi
endotracheali e endoscopi. È attivo su qualsiasi forma di vita, è un etere ciclico
che passa dallo stato liquido a quello gassoso a 10,73 gradi.

La sua attività deriva dall’instabilità del ponte ossigeno che consente al radicale
CH2 di fissarsi su vari gruppi attivi come COOH, NH2, SH2 e OH così da bloccare
l’attività enzimatica.

Ha però grossi difetti: è infiammabile, a contatto con l’aria può formare miscele
esplosive, è irritante per mucose e cute, lascia residui sul materiale per cui bisogna
provvedere ad una fase di vuoto e ad una successiva fase di areazione.

Svantaggi:

-Pericolosità

-Scarsa manegevolezza della miscela

-Reattività chimica

-Residui

Vantaggi:

-perfetta sterilizzazione

-costo contenuto

-standardizzazione della tecnica

Ad oggi l’ossido di etilene è stato sostituito con la sterilizzazione con GAS


PLASMA, è un sistema combinato chimico fisico introdotto per migliore facilità
d’uso. Si basa sull’utilizzo di perossido idrogeno al 58%, viene applicata una
radiofrequenza di 13,56Mhz ad una modesta quantità di perossido di idrogeno. Si
creano radicali liberi capaci di interagire con le membrane delle cellule, gli enzimi e
gli acidi nucleici.

Il gas-plasma a bassa temperatura consiste in una nube reattiva di ioni, elettroni e


particelle atomiche neutre, che viene prodotta attraverso l’azione di un forte
campo elettromagnetico. (esempio in natura di gas-plasma è l’aurora boreale)

VANTAGGI:

-opera a basse temperature

-ha un breve ciclo di sterilizzazione

-è un sistema sicuro sia per gli operatori che per l’ambiente: non lascia residui
tossici

SVANTAGGI:

- per la sterilizzazione non sono ammessi materiali liquidi come la polvere,


cotone, carta.

- Il confezionamento in fogli deve essere solo in polipropilene

STERILIZZAZIONE FRAZIONATA O TINDALIZZAZIONE (vapore fluente)

Consiste nell’eliminazione, a temperatura al di sotto dei 100 gradi, delle spore. È


un sistema artigianale ma molto valido che consiste nel sottoporre l’alimento a
ebollizione per 30 minuti, e successivamente a raffreddamento, alla temperatura
favorevole ci sarà la germinazione di eventuali spore. Il giorno dopo si prosegue
con un ulteriore riscaldamento e successivo raffreddamento per un totale di 3
volte. Le forme vegetative saranno uccise con il successivo ciclo di ebollizione.

STERILIZZAZIONE A BASSA TEMPERATURA CON ACIDO PARACETICO

Consente l’immersione degli strumenti in una macchina all’interno del quale c’è
acido peracetico ad una opportuna concentrazione. Gli strumenti non sono
confezionati e sono usati subito direttamente sul paziente.

L’acido peracetico però ha dei limiti perché è corrosivo sui metalli, adatto solo a
strumenti immergibili, è solo per materiali ad uso immediato. Ha anche dei
vantaggi, infatti è sporicida anche a basse concentrazioni, agisce anche in
presenza di sostanze organiche, è compatibile con molti materiali, ha rapida
azione, non è tossico e da come residui acido acetico, acqua e ossigeno, quindi
non contamina l’ambiente.

DISINFESTAZIONE

È la metodica che ci consente di eliminare macroparassiti nocivi per l’uomograzie


all’uso di sostanze definite PESTICIDI.

I pesticidi sono detti anche antiparassitari e vengono maggiormente impiegati in


ambito agricolo come fitofarmaci per difendere le colture dalla aggressione di
macroparassiti di origine animale e vegetale.

Vengono anche usati, se pure in misura minore in ambito domestico, industriale,


medico e veterinario.

La distruzione dei macroparassiti dannosi per l’uomo e l’ambiente può essere


realizzata mediante una:

-Disinfestazione integrale utilizzando prodotti attivi su tutti i macroparassiti

-Disinfestazione selettiva utilizzando prodotti attivi mirati su determinati bersagli

Tabella che riporta i prodotti e le loro


caratteristiche che sono da usare in ambito
ambientale. Sono divisi in base alla tipologia e
alla destinazione.

I pesticidi sono classificati secondo:



-Natura chimica: Inorganici come clorato, fosfoderivati, arsenici,composti del rame
o dello zolfo. Organici naturali come come la nicotina, organici sintetici come
clororganici, fosforganici, azotorganici

-Tipo di utilizzo

-Persistenza nell’ambiente, cioè quanto durano nell’ambiente: (vedi schema)

La disinfestazione può avvenire anche sull’uomo: bonifica di soggetti malati o


portatori mediante l’azione di farmaci ad azione terapeutica o chemioprofilattica il
cui elenco viene redatto e periodicamente aggiornato dall’oms.

Esempi:

Scabbia = acari

Pidocchio = insetti (uova=Lendini)

Tigna = dermatomicosi

Prodotti insettorepellenti

Sostanze naturali estratte da piante o di sintesi contenute in preparati commerciali


che possono essere:

-Ad uso cutaneo quando sono distribuiti sulla cute e tengono lontani gli insetti,
hanno azione protettiva di alcune ore e possono causare alcuni fenomeni irritativi

-Ad uso ambientale quando si utilizzano preparati che liberano nell’ambiente


sostanze repellenti ad esempio per combustione

PROFILASSI

La profilassi immunitaria la suddividiamo in Attiva e Passiva.

La attiva si riferisce alla profilassi vaccinale, cioè introdurre nell’organismo un


antigene che permetterà di stimolare il sistema immunitario nel produrre anticorpi.
La passiva è la somministrazione di anticorpi preformati cosi che siano già pronti
per agire contro dati patogeni.

La profilassi farmacologica invece consiste nell’utilizzo di farmaci specifici per


quell’agente eziologico ma a scopo preventivo quando ancora la malattia non è
presente per evitare che compaia.

Immunoprofilassi passiva e chemioprofilassi sono due pratiche preventive di


emergenza importanti nell’immediato ma che non conferiscono protezione per il
futuro. Il farmaco blocca il patogeno se è entrato nell’organismo e lo distrugge
difendendo cosi il soggetto.

IMMUNOPROFILASSI PASSIVA

Ha lo scopo di intervenire in caso di emergenza in soggetti ad alto rischio di


malattia esposi al contagio. Si utilizzano come prodotti degli anticorpi preformati di
origine omologa (immunoglobuline) o eterologa (sieri immuni).

I sieri immuni sono ricavati da animali di grossa taglia.

Negli anni ’20 Ramon inoculò il batterio della difterite in un cavallo, raccolse il
sangue ne prelevò il siero e lo utilizzò come farmaco. Individuò l possibilità di
usarlo non solo a scopo terapeutico ma anche a scopo preventivo quando la
forma non era ancora in atto.

Tuttavia i sieri sono di origine animale e possono indurre reazioni di tipo anafilattico
(ipotensione,orticaria, shock).

7/10 giorni dopo l’inoculo di sieri di origine animale si può manifestare la malattia
da siero (febbre,vomito,diarrea,orticaria e qualche volta nefrite, miocardite,
poliartrite, neurite).

Prima della somministrazione devono essere eseguiti test per escludere


sensibilizzazione. Dopo la somministrazione della dose massima è consigliabile
tenere il paziente sotto osservazione e predisporre misure di emergenza
(adrenalina)

Esempi di sierimmuni:

-Antiofidico: preparazione sterile contenente globuline antitossiche in grado di
neutralizzare il veleno di una o più specie di vipere.

-Antibotulinico: preparazione sterile contenente globuline antitossiche specifiche


che hanno il potere di neutralizzare le tossine prodotte dal Clostridium botulinum
A,B e C.

-Antidifterico: si ricava per frazionamento del siero di cavalli o di altri mammiferi


che sto stati immunizzati contro le tossine di Coryneabacter diphtheriae.

-Antirabico: impiegato per conferire una temporanea immunità passiva contro


rabbia.

-Antigagrenoso: siero contro la gangrena gassosa da Clostridium perfringens,


preparazione sterile di proteine raffinate e concentrate, ottenute dal siero o dal
plasma di cavalli sani immunizzati contro le tossine o i tossoidi del tetano.

-Antitetanico: vede oggi l’impiego esclusivo di immunoglobuline antitetaniche.

Non si producono più gli antidifterici, antirabbico, antigangrenosi, antirabico


perché oggi ci sono prodotti omologhi enormemente superiori come qualità e
sicurezza.

Morso di vipera

È in genere molto doloroso, vi è fuoriuscita di siero e sangue dai due fori, la zona si
arrossa, si gonfia e risulta dolente.

Dopo circa mezz’ora dal morso di manifestano dei disturbi come: sete e
secchezza della bocca, cefalea e vertigini, tachicardia, calo di pressione, crampi ,
vomito, diarrea, shock. Il tutto da 30 minuti a 6 ore.

Cosa si deve fare in caso di morso di vipera è: rassicurare l’infortunato e tenerlo


calmo, immobilizzare l’arto, trasportarlo al più presto in un ospedale

Cosa NON si deve fare: somministrare il siero antivipera se non in ambiente


protetto, non incidere la ferita, non succhiare il sangue dalla ferita.

Il siero antivipera dal 2003 è somministrato solo in ospedale. Recenti studi hanno
dimostrato che solo un munero limitato di casi necessita di siero contro un rischio
elevato di shock anafilattico per il paziente.

La somministrazione dell’antidoto in ospedale avvenendo in endovena consente di


interrompere l’infusione alla comparsa dei primi sintomi.

Le immunoglobuline presenti nei sierimmuni hanno la capacità specifica di


produrre immunizzazione passiva neutralizzando veleni o tossine batteriche oppure
combinandosi con batteri, virus o altri antigeni che sono stati usati per la
preparazione dei sieri stessi.

Le reazioni sono di natura immunologica e possono essere distinte in tardive e


immediate se i sintomi si manifestano da poche ore a pochi giorni dopo l’iniezione
oppure entro le prime due ore al massimo.

Reazioni tardive: malattia da siero, reazioni locali di natura allergica

Reazioni immediate: shock anafilattico

Per il rischio di reazioni di ipersensibilità ai sieri immuni oggi vengono preferite le


immunoglobuline di origine umana IgG.

IMMUNOGLOBULINE UMANE

Soluzioni sterili contenenti una concentrazione proteica di circa 16,5 grammi per
decilitro prevalentemente costituite da IgG e tracce di IgM e IgA. La
somministrazione è intramuscolare ma esistono anche preparati per la
somministrazione intra-venosa.

-IgG: preparate con il metodo Cohn (precipitazione con alcol a freddo) che
garantisce l’assenza di virus trasmissibili per via ematica.

Le Ig-Normali o polivalenti contengono un’ampia varietà di anticorpi perché sono il


risultato di infezioni molto diffuse nella popolazione o di vaccinazioni. Sono
ottenute dal plasma, dal siero (numero elevato di soggetti) o dalle placente
congelate subito dopo il parto.

Le Ig-Specifiche o iperimmuni contengono gli stessi anticorpi delle normali ma uno


di essi è particolarmente concentrato (>5 volte) perché sono ottenute dal miscuglio
di sangue venoso di donatori immuni verso una specifica malattia (vaccinati o
guariti).

L’efficacia è di 4-6 settimane per le immunoglobuline. Reazioni collaterali:


emicrania, stanchezza, brividi, nausea, mal di schiena, vertigini. Raramente
reazioni anafilattiche qualora ci fosse stata la somministrazione endovena di
preparati intramuscolo.

La somministrazione passiva di allo-anticorpi ABO in soggetti A B AB può


comportare positività al test di Coombs diretto anche se raramente si verifica
un’emolisi significativa.

La sicurezza di questi prodotti deriva dai controlli che la legge impone su ogni
unità di sangue destinata a trasfusione, derivati del sangue (albumina, fattore VIII,
piastrine).

Questi controlli risalgono al 1971 con un atto di Legge che impone il controllo per
Hbs-Ag, dal 1986 per HIV-Ab, dal 1988 per HCV-Ab, dal 2000 per HCV-RNA.

Indicazioni su quando utilizzare questi prodotti:



-IgG normali: morbillo, epatite A, parotite, varicella, ipo-gammaglobulinemia
perché sono tutte malattie molto diffuse

-IgG specifiche: epatite B, rabbia, tetano, morbillo, varicella, cytomegalovirus, anti-


D.

Immunoglobulina anti-D (Rh0)

Le immunoglobuline contro il fattore Rh sono utilizzate nelle madri Rh negative per


prevenire la formazione di anticorpi contro il fattore Rh al passaggio nel sangue
materno di cellule fetali Rh positive. L’obiettivo è di proteggere eventuali altri figli
dal rischio di malattia emolitica del neonato.

Nel 1941 Landsteiner e Wiener misero in evidenza nei globuli rossi di una scimmia
e successivamente in quelli umani un nuovo antigene che chiamarono fattore
agglutinogeno presente sulle emazie umane “Rh”, questo fattore determina la
comparsa di agglutinine specifiche nel sangue di altri individui.

Gli antigeni genericamente denominati in questo modo (Rh) sono in realtà circa 30
tutti come antigene D.

In base alla sua presenza o assenza permette di distinguere il sangue


rispettivamente in Rh-positivo e Rh-negativo. È un antigene di natura proteica.

L’incompatibilità Rh che porta alla malattia emolitica nel neonato (MEN) ha


importanti implicazioni:

-un eventuale feto Rh+ con madre Rh- e padre Rh+ provoca nel sangue della
madre la comparsa di anticorpi in grado di agglutinare le emazie Rh+

-si parla di incompatibilità materno fetale che si verifica in genere al secondo parto
o successivi

-questa incompatibilità provoca la malattia emolitica del neonato che nel passato
aveva gravissime conseguenze

-con le attuali terapie è possibile evitare ai neonati ogni rischio

ANTICORPI MONOCLONALI

Sono specifici per un solo determinante antigienico prodotti da un singolo linfocita


in vitro e riconoscono un solo epitopo dell’antigene.

Sono prodotti in vitro, in colture di ibridami (fusione di cellule tumorali e linfociti),


sono definite monoclonali perché derivano da una popolazione di cellule (clone)
ottenuta per via agamica da un’unica cellula.

Sono utilizzati prevalentemente nella terapia di malattie tumorali, tumorali,


autoimmuni e nella dignostica.

Applicazioni anticorpi monoclonali:



-tipizzazione tessutale

-reagenti per la ricerca di elevata precisione

-trattamento malattie autoimmuni

-identificazione dei prodotti di geni oncogeni

-potenziamento del rigetto tumorale

-diagnostica tumori e metastasi in vivo

-purificazione sostanze presenti in micro quantità

-indagini epidemiologiche sulle malattie infettive

-diagnosi agenti infettivi

-diagnostica sierologica

PROFILASSI FARMACOLOGICA

CHEMIOPROFILASSI

È la protezione di soggetti sani suscettibili che sono esposti ad alto rischio di


contrarre un’infezione o un malattia, questa protezione viene ottenuta grazie alla
somministrazione di farmaci.

Le applicazioni:

-infezioni streptococciche (Strepto. Gruppo A)

-Meningite (neisseria meningitis)

-Malaria (plasmodium malaria, falciparum)

Con la chemioprofilassi si tratta il soggetto una settimana prima della partenza per
la zona a rischio malarico con prodotti antimalarici. Bisogna continuare a prendere
il prodotto per tutto il tempo del viaggio e continuare anche al ritorno per altre
settimane.

Un’altra malattia molto importante verso la quale disponiamo di chemioprofilassi è


la tubercolosi. Si può attuare una chemioprofilassi primaria, preventiva nei
confronti dell’infezione e una secondaria a prevenzione della malattia. La primaria
è da attuare in contatti stretti (cutinegativi) con malati baciliferi (soprattutto bambini
e adolescenti fino ai 15 anni di età). La secondaria è la chemioterapia preventiva di
soggetti cutipositivi, cioè che risultano tubercolina positivi e che potrebbero
evolvere verso la malattia tubercolare.

Altra malattia in cui possiamo intervenire con chemioprofilassi è l’influenza


epidemica:

-Profilassi pre-operatoria: esistono interventi “sporchi” cioè in zone del corpo in cui
sono presenti batteri come chirurgia gastroenterica, ginecologia, vascolare, quindi
bisogna attuare una profilassi prima dell’intervento che svolga l’azione di “ombrello
protettivo” nei confronti dell’intervento stesso ed eviti infezioni chirurgiche.

-Profilassi in odontoiatria: in alcuni pazienti vi è il rischio di endocardite, la


liberazione di molto sangue nel corso di un intervento porta in circolo anche i
batteri presenti a livello orale e questi possono bloccarsi a livello dell’endocardio.

EPIDEMIOLOGIA E PREVENZIONE DI MALATTIE NON INFETTIVE
-Le malattie non infettive sono anche dette “malattie non trasmissibili” o “malattie
cronico-degenerative”. La caratteristiche di queste malattie è che vi è assenza di
trasmissione orizzontale, cioè i malati non contagiano altre persone. Comprendo
sia malattie cronico degenerative in senso stretto che altri eventi patologici ad
insorgenza e decorso acuti.

-Esempi: malattie cardiovascolari, tumori, broncopneumopatia istruttiva, malattie


dismetaboliche, malattie mentali. Sono accomunate da insorgenza subdola e
decorso cronico e progressivo.

-Aspetti generali: le malattie non infettive rappresentano già oggi la parte


prevalente della patologia presente nella nostra popolazione, sia in termini di
diffusione che di gravità dei quadri clinici ad essi connessi. Il loro esito risulta
essere spesso fatale in tempi più o meno brevi e sempre invalidante.

Le caratteristiche sanitarie principali delle malattie cronico degenerative sono:

1)la multi fattorialità eziologica: fattori genetici, abitudini, esposizioni ambientali e


lavorative che interagiscono tra di loro e portano allo sviluppo della malattia.

2)la consistente latenza tempo reale tra l’attivazione del processo e la sua
espressione clinica (per i tumori anche 20/30 anni)

3)la non curabilità intesa come impossibilità di completa restituito ad integrum, e


come esito di un singolo episodio di cura

4)ingravescenza progressiva in genere dopo i 65 anni, aumenta progressivamente


con disgiunzione tra anni di vita vissuta e qualità di vita.

Vi è un’associazione tra invecchiamento e malattie cronico degenerative, il motivo


principale è che l’evoluzione probabilmente non ha progettato l’organismo umano
per vivere cosi a lungo. La maggior parte delle patologie cronico-degenerative
probabilmente per questo motivo non sono precedute da segnali preliminari
riconoscibili. Gli interventi di carattere preventivo basati sulla conoscenza e sul
controllo dei fattori di rischio di queste patologie, sono quindi l’unica arma efficace
per ridurre il rischio di essere colpiti.

L’invecchiamento della popolazione ha rappresentato il fattore indispensabile per


l’evidenziazione di queste malattie, ma la loro incidenza è stata in gran parte
regolata da altri meccanismi. Queste malattie riconoscono, infatti nella sua genesi

-fattori di tipo comportamentale

-fattori di tipo ambientale

-fattori individuali

L'incidenza non è così strettamente dipendente dall'età quanto da fattori


ambientali (contaminazioni, inquinamento, traumi), comportamentali, individuali
(cause genetiche cromosomiche o genetiche geniche, legate o no al sesso).
Nel mondo circa il 27% dei decessi sono causati da malattie cronico-degenerative, le quali
rappresentano inoltre la prima causa di morte e morbosità con grandi differenze tra paesi
ad alto e basso reddito. Nei paesi a basso reddito fra le prime 10 cause di morte non ci
sono i tumori, ma le patologie cardiovascolari e le malattie infettive. Nei paesi ad alto
reddito le patologie cardiovascolari e i tumori sono più importanti.

Le patologie cardiovascolari sono le maggiori cause di morte: nel 2008 sono diventate
prima causa di morte anche per gli uomini superando i tumori. Tra le donne invece le
malattie cardiovascolari si confermano principale causa di morte 43%, i tumori 25%
rappresentano la seconda grande causa di decesso.

Indicatori usati dalla Who


-Stili di vita (acquisizione precoce del fumo, sedentarietà)

-Indicatori metabolici (pressione, glicemia, indice di massa corporea per sovrappeso e


obesità, colesterolemia)

In Italia le malattie cardiovascolari e i tumori rappresentano i 2/3 delle cause iniziali di


morte: per i maschi hanno pari peso, mentre per le femmine le malattie mcv hanno più
peso.

Esistito malattie infettive di natura chimica.

I fattori chimici hanno grande influenza: possiamo avere intossicazioni acute e croniche
da arsenico, monossido di carbonio, piombo; da sostanze naturali o di sintesi, oppure
sostanze genotossiche che causano danni irreversibili livello del DNA cellulare portando a
mutazioni nelle cellule germinali e somatiche e manifestazioni anche sulla prole.

Storia naturale delle malattie cronico-degenerative


-Fase libera (esposizione a fattori di rischio)

-Fase di latenza

-Fase preclinica (diagnosi precoce)

-Malattia clinica (diagnosi consueta)

-Cronicizzazione

-Morte

Le cause, le condizioni e i fattori che dopo un periodo asintomatico portano alla


comparsa dei sintomi della malattia agiscono lentamente, possono variare d'intensità, e
non essere sempre presenti, per cui diventa complicato stabilire il valore causale delle
singole variabili. Per questo motivo è nato il concetto di reti causali che riguarda
l'interazione fra i fattori, definita come capacità di un fattore di completare una sequenza
causale incompleta. L’interazione può mostrare effetto additivo (l’effetto corrisponde alla
somma degli effetti delle singole variabili) o moltiplicativo il cui risultato è un
potenziamento dei singoli effetti (fumo e amianto).

Le categorie di variabili implicate nell’insorgenza delle malattie multifattoriali sono:

-caratteristiche dell’individuo (genetiche e comportamentali)



-Caratteristiche dell’ambiente

In realtà una netta separazione tra elementi individuali e ambientali non è possibile. I
fattori di tipo comportamentale sono fortemente influenzati da elementi attribuibili
all’ambiente, considerando anche gli aspetti di carattere socio-culturale ed economico
che indirizzano verso definiti comportamenti.

Interazione gene-ambiente

Un’interazione tra geni e empiente esiste quando si osserva un diverso effetto


dell’esposizione ambientale sul rischio di malattia in persone con diverso genotipo. Es:
attraverso studi caso-controllo in soggetti con tumore e sani è possibile evidenziare una
diversa prevalenza di particolari assetti genetici in modo tale da valutare l’associazione tra
esposizione ambientale e assetto genetico.

FATTORI DI RISCHIO

Sono condizioni associate ad una maggior probabilità che si presenti una particolare
malattia. Non sono cause in senso stretto (infatti anche in assenza del fattore può
svilupparsi la malattia); per la stessa malattia ci possono essere più fattori e lo stesso
fattore può favorire più malattie.
I fattori di rischio devono essere studiati perché svolgono un ruolo importante nel dare
inizio e nel promuovere i processi patologici che portano alla manifestazione della
malattia. Non sono unici o specifici, e il loro ruolo eziologico è conosciuto e applicabile.
Per alcuni casi si possono calcolare il rischio relativo (incidenza negli esposti / incidenza
nei non esposti) che indica il grado e la modalità di associazione fra una patologia e un
fattore di rischio, e il rischio attribuibile (incidenza negli esposti - incidenza nei non
esposti), che indica in quale percentuale il fattore determina una malattia (parte di malati
che possiamo evitare eliminando il fattore). Ha una ricaduta importante quando la malattia
è frequente, ma non se è rara.
Igiene generale 7/05/2020
VACCINI
I vaccini probabilmente rappresentano il più efficace degli interventi in campo medico mai inventati
dall’uomo (superiori perfino all’acqua potabile). Sono interventi che si traducono in salvezze di vite
umane.
Nell’ambito delle malattie infettive distinguiamo:
• quelle prevenibili con vaccini (numero andato crescente dall’epoca di Pasteur);
• quelle non prevenibili attualmente con vaccini.

MALATTIE PREVENIBILI CON VACCINI


Vengono suddivise in base alle fasce di popolazione a cui sono destinate:
Þ Malattie dell’infanzia à inserite già a partire dal 2012 nel ‘piano nazionale vaccini’ come
essenziali per la protezione dell’infanzia.
Queste sono: difterite, tetano, pertosse, poliomielite, epatite B, morbillo, parotide, rosolia, varicella,
meningite (da emophilus di tipo B) e, a parte, meningite meningococcica e meningite
pneumococcica.
Vi sono altre malattie dell’infanzia prevenibili con vaccini come la gastroenterite da Rotavirus, HPV
e influenza (anche se per questa la destinazione infantile non è prioritaria).
Þ Malattie dell’adulto e dell’anziano: influenza, infezione pneumococcica, epatite da virus A,
febbre tifoide, colera, rabbia e tubercolosi. Ci sono poi altri vaccini già nominati come Meningite
meningococcica, tetano, epatite da virus B e HPV.
Þ Malattie tumorali: non vi sono solo vaccini disponibili contro malattie infettive bensì anche
quelli che proteggono da tumori. Vaccinando contro HPV, proteggiamo contro il carcinoma della
cervice uterina sostenuta dal HPV. Allo stesso modo, vaccinando contro HBV (virus epatite B),
proteggiamo il soggetto dalla malattia e dalle cronicizzazioni con eventuale esplosione
dell’epatocarcinoma.

Ruolo del vaccino


Abbiamo visto come una malattia infettiva possa comparire ed impiantarsi in una popolazione solo se
esistono condizioni particolari che sono necessarie: deve esistere il patogeno sul territorio e
contemporaneamente l’ospite suscettibile (che può essere infettato). Queste due condizioni sono
fortemente influenzate dall’ambiente.

L’azione del vaccino è destinata esclusivamente all’ospite. Vaccinando l’individuo, questo diventa
immune e si va così a togliere una delle condizioni necessarie affinchè compaia una malattia infettiva
nella popolazione.
PRINCIPI DELLE VACCINAZIONI
I vaccini si basano sull’impiego di microrganismi o di prodotti metabolici o di componenti microbiche
in grado di indurre in modo attivo una risposta del SI.
Lo scopo della vaccinazione è certamente la protezione del singolo individuo che viene vaccinato
(PROTEZIONE INDIVIDUALE) ma, poiché si tratta di una pratica di sanità pubblica, più
individui si vaccinano più si ottiene protezione secondo la cosiddetta
“IMMUNITA’ DI GREGGE” à ‘muro’ di soggetti immuni che rendono difficile la circolazione
dell’agente eziologico e la sua espressione, proteggendo indirettamente anche i soggetti fragili e dunque
non vaccinabili.
Sono quindi due gli scopi della vaccinazione.

PRINCIPALI REQUISITI DI UN VACCINO


- Prodotto adattabile alla situazione epidemiologica e dunque gestibile in quel momento.
- Avere una buona immunogenicità in tutti gli individui e già in età neonatale (efficacia universale).
- Privo di effetti collaterali sia a breve che a lungo termine (INNOCUO).
- Facile da trasportare e conservare in modo da facilitarne la distribuzione in tutte le parti
del pianeta.
- Avere un’accettabilità economica per far si che tutta la popolazione possa accederne.

Purtroppo non abbiamo a disposizione tutti i vaccini che vorremmo avere in funzione delle malattie,
anche gravi; questo è legato a fattori che ne ostacolano fortemente la produzione:
• alcuni agenti eziologici hanno un’elevata capacità di mutare (variazione antigenica). È allora
dunque necessario creare un vaccino in grado di proteggere da tutte le varianti del
virus/batterio ma questo non è sempre così semplice.
• Vi sono sierotipi diversi (es rinovirus ha 100 sierotipi) i quali danno indipendentemente
malattia.
• Devono mancare le riserve animali: se avessimo come serbatoio oltre all’uomo anche
l’animale, la storia è più complessa perché non basta più immunizzare solo l’uomo.
• Alcuni virus si integrano nel DNA della cellula ospite (es. HIV) e anche questo complica la
vita alla produzione del vaccino efficace.
• Possibilità di alcuni patogeni di trasmettere l’infezione da cellula a cellula senza esprimere
antigeni virali e dunque non poter essere attaccato dal SI.
• Può esservi un infezione di cellule cruciali nel sistema immunitario.

CLASSI DI VACCINI (a seconda delle tecniche di preparazione)


1) VACCINI COSTITUITI DA MICRORGANISMI INATTIVATI (uccisi e privi di potere
replicativo)
2) VACCINI COSTITUITI DA MICRORGANISMI ATTENUATI (vivi)
3) VACCINI COSTITUITI DA PRODOTTI ELABORATI DAI MICRORGANISMI
4) VACCINI COSTITUITI DA COMPONENTI MICROBICHE (antigeni immunogeni e
protettivi)
5) VACCINI PREPARATI CON BIOTECNOLOGIE à si tratta di vaccini preparati con
tecniche di ingegneria biomolecolare.
VACCINI VIVI ED ATTENUATI
A questo gruppo appartiene:
- vaccino Poliomielite di Sabin
- i vaccini dell’infanzia (morbillo, rosolia, parotite, varicella)
- vaccino della febbre gialla
- vaiolo (oggi eradicato)
- influenza (in uso soprattutto in America)
- tubercolosi
- vaccino modificato contro febbre tifoide.
In questi vaccini, i microrganismi mantengono la capacità replicativa ma perdono il potere patogeno.
Questo avviene o mediante la selezione di mutanti privi di patogenicità (es. vaccino anti-polio di Sabin)
o mediante tecniche di ingegneria genetica come la ricombinazione (es. vaccino per epatite B).

VACCINI UCCISI (inattivati)


-Vaccino di Salk (poliomielite)
-tifo-paratifi
-colera (vecchia preparazione)
-pertosse a cellule intere (vecchio vaccino che non si usa più)
-rabbia
-influenza (attualmente in uso)
-epatite A
‘Inattivare’ significa far perdere la capacità replicativa del microrganismo e dunque perdita di infettività.
L’uccisione deve avvenire nel modo più soft possibile, con una tecnica che ci garantisca l’uccisione di
tutti i microrganismi presenta senza che venga modificata la struttura dell’antigene (importante per
produrre anticorpi protettivi).
Si può ottenere uccisione mediante calore (a T più basse possibili – 60/70°); UV: alcol; formolo;
acetone; fenolo.

VACCINI CON PRODOTTI E COMPONENTI MICROBICHE


• Con ANATOSSINE:
- difterite
- tetano
In questi casi bisogna agire sulle tossine facendo perdere loro il potere tossico a cui è legata la
patogenicità. Si può effettuare mediante formolo (0,5%) a 37-40° per circa un mese. Segue poi la
purificazione e la concentrazione nella dose utile.

• Con COMPONENTI (antigeni) responsabili in grado rilevante della patogenicità:


- epatite B
- vaccino ‘split’ contro influenza
- meningococco (2 tecniche di preparazione: meningococco polisaccaridico e meningococco
coniugato)
- pneumococco (polisaccaridico e coniugato)
- pertosse (contiene le proteine delle fimbrie e LPS)
- emophilus di tipo B
Qui si tratta di componenti microbiche dove c’è solo l’antigene immunogeno/protettivo.
In questo ambito esistono anche vaccini a COMPONENTE-CONIUGATI ad un carrier proteico
(polisaccaridi capsulari + proteina) à il carrier proteico attiva i Linfociti T helper aumentando
l’immunogenicità dell’oligosaccaride e gli conferisce la proprietà di stimolare risposte di tipo secondario
a seguito dell’inoculazione di altre dosi dopo la prima.
L’efficacia offre una protezione conferita dalle IgG sieriche battericida-complemento dipendente.

Nella pratica di inattivazione/detossificazione è importante rispettare il più possibile l’integrità della


struttura dell’Ag/immunogeno-protettivo perché dalla sua integrità dipende la “specificità” dello
stimolo antigenico.

VACCINI PREPARATI CON BIOTECNOLOGIE


• Vaccini RICOMBINANTI:
- Epatite B
- Pertosse
- Colera
- HPV
• Vaccini a SUBUNUTA’ (solo antigeni di superficie):
-Influenza
• Vaccini con PEPTIDI DI SINTESI
• Vaccini ANTI-IDIOTIPO
• Vaccini AD ACIDI NUCLEICI (RNA o DNA)

Vantaggi e limiti dei diversi preparati vaccinali


Þ Vaccini vivi ed attenuati à sono in grado di simulare un’infezione naturale e questo porta ad
un’elevata capacità immunogena. MA non sono somministrabili a immunodefedati (in quanto
potrebbero trovare condizioni ideali per ri-attivarsi) e donne in gravidanza.
Þ Vaccini inattivati, componenti microbiche, anatossine à minore capacità immunogena (ha un
tempo minore di stimolo del SI) e per questo sono previste più dosi (almeno 2); sono sicuri poiché
sono inattivati e sono somministrabili a tutta la popolazione.

CLASSI ANTICORPALI E LIVELLI DI AB CIRCOLANTI a seguito di una


stimolazione antigenica secondaria (risposta di richiamo)
1- Stimolo iniziale
2- Fase di latenza (riconoscimento reciproco tra antigene e ospite): messa in moto del SI che ha
un tempo diverso a seconda dell’antigene; porta alla produzione delle IGM (a più ampia
capacità di aggregarsi all’antigene) seguita a breve dalle IgG (totali), che continuano a replicarsi
fino alla scomparsa dello stimolo antigenico, in corrispondenza della quale tendono a decadere.
3- Stimolo secondario: se somministriamo lo stesso stimolo antigenico in questo momento (in
cui il SI è ‘fermo’), il periodo di latenza è brevissimo poiché l’antigene era già noto. A distanza
di pochi gg il SI inizia con grande velocità a produrre tutti anticorpi di tipo IgG (quantità più
elevata). Nel tempo poi si arriverà ad un plateau poiché la produzione non sarà sempre
continua.

VACCINI UCCISI: la risposta immune richiede mediamente 3 dosi in tempi diversi perché l’antigene
non si replica e viene via via eliminato. Con la prima dose abbiamo una prima produzione di anticorpi a
titoli piuttosto bassi; la seconda dose porta alla produzione di anticorpi a livello decisamente superiore e
con la terza dose si arriva a titoli simili a quello che avviene con un vaccino vivo ed attenuato.

VACCINI VIVI ED ATTENUATI: la replicazione del microrganismo fa si che sia disponibilità di


antigene molto consistente permettendo una stimolazione prolungata nel tempo del SI. Ciò porta alla
produzione di più anticorpi.
Alla somministrazione della dose iniziale segue la produzione di anticorpi fino ad un culmine in cui non
c’è più replicazione, ma con concentrazioni anticorpali elevate.

ADIUVANTI
Sostanze in grado di aumentare l’immunogenicità di antigeni vaccinali stimolando una risposta immune
prevalentemente umorale o esaltare i meccanismi effettori cellulo-mediati.
I primi utilizzati sono stati gli oli minerali; oggi si utilizzano sali di alluminio, emulsioni olio acqua
(MF59-squalene; utilizzato soprattutto per il vaccino anti-influenzale); liposomi; virosomi e infine nano
e microparticelle.
1) L’adiuvante determina il deposito dell’antigene in sede di inoculazione e da li viene rilasciato
lentamente, perciò il SI se lo ritrova per tempi discreti e lunghi (lenta e continua stimolazione).
2) Attorno al deposito si ha una sorta di infiammazione (richiamo di plasmacellule e attiva produzione
di anticorpi).
3) Si ha poi l’attivazione dell’antigen presentin cells e del processamento genico,
4) l’attivazione della cascata del complemento,
5) la stimolazione della produzione di citochine di tipo 1 (attivazione prevalente dell’immunità-cellulo
mediata) o di tipo 2 (attivazione prevalente dell’immunità umorale).

CONSERVANTI
All’interno del vaccino possiamo avere anche altre sostanze come i conservanti batteriostatici (ad oggi
stanno andando verso l’eliminazione).
Sono per esempio il Thiomerosal (per HBV e alcuni preparati di D, T e Pa); questo inizialmente è
stato indicato come causa prima di sensibilizzazioni. In realtà studi hanno dimostrato che
l’ipersensibilità è dovuta a cloruro di etilmercurio e non al tiosalicilato (thiomerosal). Inoltre la quantità
contenuta nel vaccino è piccolissima.
E’ presente gelatina e anche albumina, seppur in quantità minima.

STRATEGIE VACCINALI
Vi sono tre obiettivi:
Þ CONTENIMENTO DELLA MALATTIA: l’obiettivo minimale dei vaccini è far si che la malattia
resti confinata e si riducano i numeri di malattia.
Þ ELIMINAZIONE DELLA MALATTIA (esempio: vaccinazione in età pre-pubere per la rosolia
per evitare poi in età fertile complicazioni congenite dovute alla rosolia stessa)
Þ ERADICAZIONE DELL’INFEZIONE: scomparsa definitiva dell’agente eziologico (ad oggi è
stato fatto solo per il vaiolo grazie alla somministrazione a tappeto a tutte le popolazioni di un
vaccino attenuato in grado di garantire forte immunizzazione).
Oggi in Italia sono in corso (per norme di legge) l’eradicazione di rosolia e morbillo.
Per la poliomielite si può parlare solo di una eradicazione parziale confinata a determinati territori
(tra cui l’Europa).
La scelta di una strategia vaccinale richiede:
- una conoscenza della storia naturale dell’infezione (età media della popolazione, durata dell’intervallo
inter-epidemico, prevalenza per età dei portatori dell’agente, tasso di natalità nella popolazione);
- conoscenza del grado di contagiosità del patogeno;
- conoscenza del tasso di copertura immunitaria che è necessario raggiungere per realizzare l’obiettivo
previsto.

TASSO DI RIPRODUZIONE DI BASE (R0)


E’ il numero medio di persone infettate direttamente da un u infetto durante tutto il periodo nel quale è
contagioso, quando viene a contatto con una popolazione totalmente suscettibile. Sostanzialmente dunque
è la forza del contagio.
Da questo deriva la possibilità di avere un episodio endemico (R0 = 1), epidemico (R0 >1) o
l’interruzione della trasmissione (R0 < 1).
Esempio: se la popolazione è completamente suscettibile e abbiamo un grado di contagiosità
R0 = 4,vuol dire che ogni soggetto infetto è in grado di infettarne altri 4.
E’ stato stimato per alcune malattie infettive il
tasso critico di copertura vaccinale per
poterle eradicare (per es. per il morbillo, al fine
di impedire al virus di potersi trasmettere è
necessaria una copertura vaccinale del 92-95%
della popolazione).
N.B. Il tasso di copertura vaccinale è
strettamente dipendente dalla forza di contagio
(tasso di riproduzione di base).

L’ideale per la prevenzione sarebbe di arrivare all’eradicazione di tutte le malattie, soprattutto quelle con
un elevato peso sociale.
Gli elementi che ci consentono di affrontare il percorso di eradicazione sono:
• stabilità genetica del microrganismo
• assenza di serbatoi non umani (per questi il problema sarebbe a se complesso)
• l’immunità dev’essere permanente
• contagiosità breve
• quadro clinico specifico (in modo da riconoscere se rimane qualche caso di malattia)
• pochi casi asintomatici
• assenza di portatori cronici
• disponibilità di un vaccino efficace.

Esempi di MALATTIE ERADICABILI e NON nella seguente tabella:

(in realtà per l’epatite B si potrebbe ottenere in tempi molto lunghi la sua eradicazione alla luce della presenza di
due elementi estremamente importanti come l’esistenza di un vaccino efficace e l’assenza di serbatoi non umani)

Per realizzare l’obiettivo della vaccinazione si deve attuare:


§ VACCINAZIONE DI MASSA (vaccinare tutti i nuovi nati)
§ VACCINAZIONE DI DUE SINGOLE COORTI
§ GIORNATE NAZIONALI DI VACCINAZIONE: nei paesi in via di sviluppo (es. in una
settimana si vaccinano tutti i nuovi nati).
Nell’applicazione di un vaccino è molto importante raggiungere il tasso di copertura critico à se invece
la vaccinazione viene realizzata in modo soft e diversa da regione a regione, il patogeno si può
esprimere e lo fa in modo particolare in un’età in cui la malattia è più grave (per es. l’età scolare per il
morbillo).

IMPIEGO DEI VACCINI


VIE DI SOMMINISTRAZIONE:
• PARENTERALE (scarificazione, intradermica, sottocutanea, intramuscolare): vede sempre la
penetrazione più o meno lieve e profonda a seconda della scelta.
La somministrazione intradermica è stata utilizzata per la tubercolosi e la sottocutanea si utilizza
solitamente per vaccini vivi ed attenuati.
La somministrazione intramuscolare si utilizza per vaccini adiuvati e in passato veniva fatta nel
gluteo ma si è visto che si ottiene una maggior efficacia mediante inoculazione nel deltoide; nei
bambini piccoli con una muscolatura molto modesta si può scegliere come alternativa la coscia.
• ORALE e INSTILLAZIONE NASALE: questa sarebbe la via naturale di penetrazione del
patogeno nell’ospite; si vorrebbe sempre utilizzare la via naturale ma non sempre ciò è
possibile.
La via orale è utilizzata per diversi vaccini tra cui il vaccino di Sabin.
L’instillazione nasale è poco utilizzata poiché è difficile stabilire la quantità di dosi effettivamente
penetrate nell’organismo.

Qualunque sostanza estranea che si somministri (farmaco, vaccini) presenta controindicazioni; nel
caso dei vaccini queste possono essere
- temporanee di ordine generale: come malattie acute febbrili in atto tali per cui il vaccino non
viene somministrato; semplicemente si sposta la data di vaccinazione in modo da attenderne la sua
risoluzione.
- temporanee o permanenti relative a situazioni particolari:
1) stati di immunodepressione (riguardano i vaccini attenuati) à soggetti con immunodeficienze
congenite o secondarie a patologie (HIV, leucemie,…) o secondarie a trattamenti farmacologici
rappresentano controindicazioni temporanee se la situazione si risolve o permanente se permane lo
stato di immunodepressione.
2) Gravidanza (per vaccini attenuati) à non si vaccina una donna gravida con un vaccino attenuato.
3) Allergie a costituenti dei vaccini à possono realizzarsi reazioni locali o sistemiche a componenti del
vaccino come residui di antibiotici, conservanti, stabilizzanti. Se una delle componenti è allergizzante
o non si vaccina o il medico valuta la situazione e decidere se vaccinare sotto opportune condizioni.

EVENTI AVVERSI DOPO VACCINAZIONE


La sostanza estranea inoculata potrebbe causare reazioni avverse; le reazioni gravi causate da vaccini
sono rarissime. Talvolta si possono osservare eventi in coincidenza temporale con la somministrazione,
che non sono causati dal vaccino.
REATTOGENICITA’
A seguito di somministrazione, i vaccini possono dare:
• reazioni locali (quasi sempre): infiammazione acuta e dunque rossore (rubor), gonfiore
(tumor), calore (calor) e dolore (dolor);
• reazioni generali: febbre, cefalea, nausea, vomito, anoressia, diarrea. (reazioni modiche e di
breve durata che non controindicano l’utilizzo del vaccino).
Il calendario delle vaccinazioni è dinamico perché segue gli eventi e le modifiche che la vaccinazione ha
portato; inoltre può essere aggiornato sulla base di vaccini innovativi.

EFFICACIA DEL VACCINO


- Protezione dall’infezione o dalla malattia
- Durata della protezione à il vaccino di per sé è un preparato preventivo volto al futuro (prepara
l’organismo ad essere protetto nel tempo quando incontrerà il patogeno).
L’efficacia si verifica o attraverso la valutazione della risposta anticorpale stimolata negli animali e
nell’uomo (EFFICACIA IMMUNIZZANTE) o attraverso la misurazione della capacità di
proteggere dall’infezione per esposizione naturale al patogeno “selvaggio” (EFFICACIA SUL
CAMPO).
Infine l’efficacia del vaccin0, se condotto in modo tale da raggiungere la copertura vaccinale, può essere
anche vista dal cambiamento del profilo epidemiologico ovvero la riduzione dei casi di malattia nel
tempo (talvolta fino all’eradicazione).

Le applicazioni delle vaccinazioni derivano da quanto viene deciso a livello ministeriale e regionale nel
“PIANO NAZIONALE PREVENZIONE NAZIONALE” : questo è un documento di
riferimento ove si riconosce, come priorità di Sanità Pubblica, la riduzione o l’eliminazione di malattie
prevenibili da vaccino attraverso l’individuazione di strategie efficaci e l’applicazione di queste a livello
nazionale.
Il “piano nazionale vaccini” viene scritto ogni 3 anni e definisce il calendario obbligatorio e consigliato
delle vaccinazioni; inoltre può introdurre nuove vaccinazioni rispetto al precedente.
(il Piano del 2005-2007 ha introdotto 3 vaccinazioni obbligatorie:
§ anti-meningococco tipo C (per i bambini)
§ anti-pneumococco
§ anti-varicella
§ ha introdotto anche il richiamo per la pertosse al 12° e 14° anno, unitamente a Tetano-difterite già esistente.
Il piano del 2012-2014 ha fatto si che i vaccini fossero inseriti nei livelli essenziali di assistenza (LEA), in modo
da essere garantiti a tutti i cittadini e in tutto il paese. Tali vaccini sono: tetano-difterite-pertosse, poliomielite,
HBV, morbillo-parotite-rosolia, HIB, meningococco, pneumococco, influenza (in soggetti a rischio). )

Con il Nuovo Decreto Vaccini del 2017 le vaccinazioni obbligatorie e gratuite passano da 4 a 10

Le dieci vaccinazioni obbligatorie costituiscono un requisito per l’ammissione all’asilo nido e alle scuole
dell’infanzia (per i bambini da 0 a 5 anni).

L’attuale piano vaccinale 2017-2019 prevede al 3° mese di vita la somministrazione di vaccini per
difterite, tetano, pertosse, polio, epatite B, HIB e pneumococco; gli stessi li rivediamo in seconda e
terza dose al 5° e 11° mese di vita.
Alcuni di questi vengono richiamati nel corso del tempo per mantenere immunità/protezione a vita.
In particolare, al 6° anno c’è il primo richiamo per tetano, difterite, pertosse e polio; tra il 12° e il 18°
anno ancora un vaccino quadrivalente; da qui in avanti, insieme al tetano, viene mantenuta l’immunità
anche per difterite e pertosse, ogni 10 anni.
L’unico vaccino fatto al bambino nelle prime 24h dalla nascita è quello contro l’epatite B.
Al 13° mese intervengono le classiche vaccinazioni esantematiche dell’infanzia (parotite, rosolia,
morbillo, varicella), coniugate con il meningococco. Questi prevedono un’ulteriore somministrazione
per assicurarsi che nessuno non sia immunizzato e dunque poter arrivare all’eradicazione.
Si ha poi l’introduzione di un nuovo vaccino, anti-meningococco B, somministrato nel 1° anno di vita.
Un’ulteriore novità riguarda l’introduzione del vaccino anti-HPV per i maschi all’età di 14 anni.
Il vaccino per l’influenza può partire dal 6° mese a seconda delle necessità ed è molto importante per i
soggetti oltre i 64 anni.
E’ stato introdotto un nuovo vaccino contro il Rotavirus che dev’essere concluso entro il 2° anno di
età.
In caso di necessità (a seconda dell’epidemiologia del territorio), si può utilizzare dopo il 15° mese il
vaccino anti-epatite A.

L’obiettivo ultimo della ‘vaccinologia’ è sempre quello di migliorare le prestazioni (sicurezza e facilità di
somministrazione) e i preparati. Per questo motivo oggi abbiamo a disposizione vaccini pentavalenti
(D, T; Pa, IPV, HBV) ed esavalenti (D, T, Pa, IPV, HBV, HiB).

Vi sono poi vaccinazioni adeguate ai lavoratori à diversi lavori comportano rischi differenziati. In
particolare vi sono vaccinazioni obbligatorie (antitetanica e antitubercolare) e raccomandate (anti-
epatite A e B, anti-influenzale, anti-tifica, anti-rabbica,…).

VACCINAZIONE ANTI TUBERCOLARE


Secondo il DPR del 2001. devono essere obbligatoriamente vaccinati coloro che siano esposti per
motivi di lavoro a micobatteri multifarmaco-resistenti poiché in questo caso avremmo enormi
complicazioni e difficoltà di cura. Inoltre l’obbligatorietà è rivolta ad operatori i quali, lavorando a
contatto con micobatteri, non possono essere sottoposti a trattamento farmacologico preventivo
poiché presentanti controindicazioni cliniche all’uso di farmaci specifici.

§ Vaccinazioni per lavoratori edili:


anti-tetanica (obbligatoria per tutti), anti-epatite A e anti-febbre tifoide (entrambe per lavoratori
impiegati in canali o fogne), anti-epatite B (per personale addetto al primo soccorso).
§ Vaccinazioni industria meccanica:
anti-tetanica, anti-epatite B (per personale addetto al pronto soccorso).
§ Vaccinazioni addetti smaltimento dei rifiuti, stradini:
anti-tetanica, anti-epatite B, anti-epatite A, anti-tifoidea.
§ Vaccinazioni addetti ad animali:
anti-tetanica, anti-rabbica.
§ Vaccinazioni obbligatorie per il personale militare:
anti-tetanica, anti-meningococcica, anti-tifoidea.
§ Vaccinazioni obbligatorie e consigliate per i viaggiatori internazionali:
febbre gialla (obbligatoria), epatite A e B, anti-tifoidea, anti-colerica, anti-tetanica, anti-
meningococcica.
È necessario inoltre valutare le malattie potenzialmente contraibili nei diversi territori.

VACCINAZIONE ANTI-TIFICA
È maggiormente necessaria in paesi in via di sviluppo come America latina, Asia e Africa in cui si
possono avere inquinamenti fecali dell’ambiente e carenti controlli delle acque potabili e degli alimenti.
Abbiamo due vaccini disponibili: uno ad uso parenterale (vaccino capsulare Vi) ed uno a uso orale
(Ty21a).
Il vaccino orale Ty21A è di tipo vivo attenuato e viene somministrato in 3 dose. Può essere utilizzato
quasi contemporaneamente alla chemioprofilassi malarica. Tale vaccino non deve essere somministrato
durante e fino a 3 giorni dopo trattamento con antibiotici e sulfamidici.
La durata dell’immunità conferita è di 2 anni.

VACCINO INNOVATIVO CONTRO IL COLERA


È un vaccino orale inattivato, preparato con la tecnica del DNA ricombinante.
E’ molto efficace e ha sostituito completamente il vecchio vaccino a cellule intere.

VACCINO ANTI-MENINGOCOCCO
Si hanno a disposizione vaccini:
- coniugato monovalente C
- tetravalente (costituito dall’associazione di un polisaccaride con una proteina forte come la tossina
difterica)
- A + C + Y + W135
Si tratta di diversi preparati che hanno una diversa possibilità di somministrazione in rapporto all’età.
Il preparato C è somministrabile già dai 12 mesi di vita.

VACCINAZIONI DESTINATE ALL’ANZIANO (3):

1) VACCINO ANTI-INFLUENZALE
I vaccini di cui disponiamo sono il vaccino “stagionale” e il vaccino “pandemico”.
Il vaccino stagionale protegge dall’epidemia che ogni anno da ottobre a marzo si presenta nel nostro
territorio. Il vaccino pandemico invece si esprime ogni 10 anni e riguarda tutto il pianeta; è un vaccino
costituito da un solo ceppo virale che è quello pandemico mentre quello stagionale è costituito da una
serie di ceppi che contemporaneamente si esprimono nelle varie parti del mondo.
- Per l’influenza stagionale abbiamo a disposizione un vaccino inattivo split (notevolmente
purificato), un vaccino inattivato a sub-unità (contenente solo gli antigeni emoagglutinina e
neuraminidasi; somministrabile ai più piccoli) e un vaccino adiuvato (per ottenere una protezione
forte negli anziani).
Vi sono poi altri vaccini per esempio a virus attenutati, utilizzati soprattutto in USA (sui giovani
adulti).
La scelta dei ceppi virali da inserire nel nuovo vaccino è, seppur studiata, una scelta probabilistica basata
sulla maggiore o minore probabilità che la combinazione virale in esame riesca ad infettare e dunque
che il vaccino riesca a neutralizzarla.

2) VACCINO ANTI-PNEUMOCOCCICO
I più importanti sono:
- Vaccino 23-valente a polisaccaridi nudi (contenenti 23 antigeni degli oltre 80 pneumococci
conosciuti)
- Vaccino 7-valente, a polisaccaridi coniugati
- Vaccino 13-valente a polisaccaridi coniugati
Tale vaccinazione è indicata per tutti gli anziani > 65 anni e in particolare per coloro che usufruiscono
di strutture sanitarie. E’ indicata inoltre per tutti i soggetti a rischio per patologie come malattie virali
respiratorie (es. influenza), malattie sistemiche debilitanti (neoplasie, diabete,…), infezione da HIV, stasi
polmonare e broncopneumopatie, insufficienza renale,… .

3) VACCINO ANTI-ZOSTER
Vaccino previsto per i soggetti > 50 anni. Lo zoster è una malattia molto dolorosa che può avere
complicanze anche pesanti. Il vaccino ha principalmente lo scopo di evitare la nevralgia post-herpetica
(molto difficile da attenuare).
Il vaccino può essere utilizzato:
- in persone che non presentano anticorpi anti-VZV e che hanno un’anamnesi negativa per varicella.
- in coloro che hanno già presentano l’herpes zoster.
-può essere co-somministrato con il vaccino influenzale inattivato.
-NON deve essere utilizzato in bambini e adolescenti.

VACCINO ANTI-MENINGOCOCCO B
E’ un vaccino di nuova introduzione che, pur essendo prevalentemente destinato all’infanzia, è
somministrabile a tutti qualora si verifichi una nuova epidemia da meningococco B.
E’ costituito da 4 componenti, è un vaccino a DNA, a componenti-adsorbito; la somministrazione è
intramuscolare profonda in bambini con almeno 2 anni.
E’ il primo vaccino prodotto con la tecnica della Reverse Vaccinology (ricerca di geni codificanti per
antigeni maggiormente immunogeni e assemblaggio di questi nel vaccino).

VACCINO CONTRO LA RABBIA


Abbiamo due possibilità di vaccinazione ovvero una pre- e una post-esposizione in quanto il periodo di
incubazione è molto lungo e dunque si fa in tempo a proteggere il soggetto dopo il contatto con il
patogeno.
I vaccini disponibili sono inattivati prodotti su colture cellulari (diploidi, embrione di pollo, vero).
Il vaccino HDCV prevede un ciclo costituito da almeno 3 dosi con un richiamo ogni 2-5 anni; viene
somministrato nel deltoide.
Il vaccino Verolab prevede un ciclo di 3 dosi e un richiamo dopo 1 anno. E’ possibile comunque una
ri-vaccinazione dopo 5 anni.
La somministrazione post-contagio prevede somministrazione di uno di questi vaccini insieme
all’impiego di IgG specifiche.
VACCINO PER ROTAVIRUS
Si tratta di nuovi vaccini attenuati: uno pentavalente e un monovalente.
È raccomandato un uso esteso per proteggere i bambini dalla gastroenterite da Rotavirus.
Tale vaccino dev’essere fatto entro il 2° anno di vita.

VACCINO ANTI-HPV
- Vaccino quadrivaente (costituito da 4 genotipi tra cui il 6 e l’11, frequentemente associati ai
condilomi e il 16 e 18 associati a tumori della cervice uterina).
- Vaccino bivalente à destinato alla protezione del tumore alla cervice uterina (genotipi 16 e 18).
- Vaccino 9-valente à proteggente nei confronti del tumore al collo dell’utero. E’ il vaccino che
oggi si usa nelle ri-vaccinazioni, essendo di neo-introduzione.

Attualmente manchiamo di vaccini importanti anche per i paesi industrializzati, come quello per HIV,
epatite C, Citomegalovirus (virus molto diffuso e che interferisce nella terapia per i trapianti),
Parainfluenza, virus respiratorio sinciziale ed Herpes simplex 2.
Per i paesi in via di sviluppo, oltre a quelli già citati come HIV, epatite C, Herpes simplex 2, mancano
vaccini fondamentali come quelli per la malaria e dengue.

VACCINAZIONI INDICATE PER L’OPERATORE SANITARIO


L’operatore deve essere assolutamente protetto contro:
• Epatite B (HBV) à per questo vaccino è opportuno prima verificare negli operatori sanitari il
loro titolo anticorpale alla luce della vaccinazione (obbligatoria) fatta al primo anno di vita.
• (Tubercolosi)
• Tetano – difterite
• Morbillo – parotite – rosolia (MPR) à l’operatore sanitario deve essere protetto nei confronti
delle malattie dell’infanzia poiché potrebbe essere lui il contagiatore (eticamente molto grave).
• Varicella
• Influenza
• Epatite A (HAV)
• Febbre tifoide (vaccino Ty21A)
• Zoster

FALSI MITI
Þ “Le malattie stavano già scomparendo prima dell’introduzione dei vaccini”
FALSO: un esempio tra tutti è quello della poliomielite à è sempre esistita ed epidemie si sono
verificate in Europa anche negli anni ‘50-60 in un periodo in cui le condizioni igienico-sanitarie
erano in netto miglioramento. Solo dopo l’introduzione del vaccino anti-polio si è assistito alla sua
scomparsa.
In generale dunque le malattie sono sempre esistite e si sono ridotte in virtù della loro vaccinazione!
Þ “I vaccini contengono additivi pericolosi”
Þ “I vaccini causano l’autismo”
FALSO: tutti gli studi scientifici eseguiti non hanno portato alcun dato che dimostri un nesso di
causalità tra vaccini e autismo.
Þ “I vaccini non sono efficaci, non proteggono il 100% dei vaccinati”
FALSO: in realtà è vero che non proteggono il 100% dei vaccinati ma proprio per questo motivo
bisogna avere e mantenere % di coperture vaccinali sempre alte. L’alto numero di soggetti
immunizzati impedisce la trasmissione delle malattie infettive anche alle persone che non hanno
risposto in maniera efficace ai vaccini (“immunità di gregge”).
In generale comunque la maggior parte dei vaccini è assolutamente efficacie essendo in grado di
ridurre più del 95% dei casi delle singole malattie.
Þ “I vaccini sono inutili e le malattie infettive sono state debellate dal miglioramento della qualità di vita”
FALSO: le malattie infettive non sono state completamente debellate, solo il vaiolo è scomparso e
grazie al vaccino. E’ solo grazie alla vaccinazione di massa che molte malattie infettive sono sotto
controllo e potrebbero essere debellate nel prossimo futuro.
Þ “Tutte le persone vaccinate contro l’influenza la prendono lo stesso”
FALSO: l’influenza è una delle malattie infettive a maggior impatto sociale. Il vaccino contro
l’influenza è un valido strumento di prevenzione, ma molti altri virus (rhinovirus, adenovirus, virus
parainfluenzali,…) possono provocare una malattia simile all’influenza. E’ facile che in periodo
invernale, nonostante la vaccinazione fatta, incappiamo in una malattia simil-influenzale e questo ci
da l’impressione che la vaccinazione non abbia funzionato.
Þ “La maggior parte delle malattie prevenibili coi vaccini sono scomparse o quasi.. perché dovrei vaccinare mio
figlio?”
FALSO: la perdita della percezione del rischio a fronte della scomparsa/sporadicità di numerose
malattie infettive è uno dei principali motivi che hanno portato al calo delle coperture vaccinali. La
vaccinazione resta uno strumento di prevenzione indispensabile per la protezione individuale e della
comunità. In assenza di vaccinazioni si formerebbero sacche di suscettibili che favorirebbero la
malattia.
Þ “I troppi vaccini possono sopraffare e indebolire il SI”
FALSO: fin dalla nascita il nostro SI incontra migliaia di virus, batteri, allergeni, ecc… Questo per
dire che il SI è in grado di riconoscere e rispondere contemporaneamente ad un elevatissimo
numero di antigeni.
Þ “L’infezione naturale è meglio della vaccinazione: prima del vaccino tutti facevano il morbillo e la rosolia e
nessuno è mai morto per questo”
FALSO: l’infezione naturale da morbillo provoca gravi complicanze come encefalite (1 su 1000
bambini) e la morte (2 su 1000 individui). Al contrario la vaccinazione MPR può provocare, come
complicanza, una grave reazione allergica solo in 1 su 1mln di soggetti vaccinati.
Þ “Tanti vaccini somministrati con un’unica puntura sono dannosi”
Lez n.5 14/05/20

INFEZIONI DA MICRORGANISMI PRODUTTORI DI ESOTOSSINE


 TETANO
Malattia infettiva acuta che non si trasmette da uomo a uomo, causata da un’esotossina prodotta da
Clostridium Tetani. E’ una malattia molto rara ma anche molto grave con un’elevata letalità. Già nel 1924
la tossina tetanica è stata privata della sua patogenicità ed usata per produrre un vaccino utilizzato poi
ampiamente sulla popolazione. C.tetani è un batterio Gram +, anaerobio, sporigeno, in grado dunque di
produrre esotossine (tetanospasmine). La tossina è la responsabile della sintomatologia neurologica
della malattia; per l’uomo la dose letale è di 2.5ng/Kg, tanto bassa che il nostro sistema immunitario non
produce anticorpi proteggenti nei suoi confronti. Perciò non esiste una protezione naturale verso il
tetano, solo con la vaccinazione ci si può proteggere da questa malattia.

La tetanospasmina agisce bloccando il riflesso inibitore del riflesso da stiramento muscolare, bloccando
la liberazione di mediatori chimici. Per cui ad ogni contrazione muscolare segue la contrazione dei
muscoli antagonisti (da qui lo spasmo/tetania). Il risultato è una contrazione spastica di tutta la
muscolatura.

PATOGENESI
Da punto di vista patogenetico, la spora penetra nei tessuti tramite lesioni cutanee e, se trova
nell’ambiente condizioni di anereobiosi, realizza la germinazione, ovvero realizza la forma vegetativa del
batterio che inizia a produrre la tossina. Questa, essendo un’esotossina, viene liberata dalla cellula
batterica e diffonde raggiungendo il SNC interagendo con in neurotrasmettitori.

Dal punto di vista clinico, il periodo di incubazione può andare dai 3 ai 21 giorni, in relazione anche alla
sede di penetrazione. La forma più frequente è quella della manifestazione generalizzata che si
manifesta con sintomi di trisma discendente anche a livello dei muscoli respiratori.

EPIDEMIOLOGIA

Geograficamente si manifesta in molti paesi ma a seguito dell’introduzione dell’obbligatorietà del


vaccino per tutti i nuovi nati la sua incidenza ha subito una netta diminuzione. La letalità è molto
elevata, oscilla tra il 40 e il 70%. Il tetano può essere contratto in qualunque periodo dell’anno ma è certo
che il maggior pericolo lo si ha in primavera/estate. Nei paesi sottosviluppati il tetano è presente sia
nell’adulto che nei neonati (tetano neonatale che ha mortalità del 100%), mentre nei paesi sviluppati
riguarda solo gli adulti e gli anziani. L’attività lavorativa è quella più implicata nella contrazione del
tetano, in quanto lavoratori che sono soggetti a traumi sono molto esposti a rischi.

Il serbatoio di infezione è l’intestino degli erbivori, in quanto il tetano è un commensale di questi animali.
Da qui è eliminato nel materiale fecale sotto forma di spore. Quindi si tratta di una zoonosi, l’uomo non è
contagiante ma diventa un ospite occasionale del batterio. La modalità di trasmissione più rilevante
sono traumi, ferite e punture. I fattori che predispongono la germinazione della spora sono:

- le lesioni profonde perché sono più soggette ad anaerobiosi


- la presenza di corpi estranei
- sangue
- temperatura alta del corpo umano

Ogni ferita è potenzialmente a rischio di infezione tetanica

PROFILASSI
La denuncia per quanto riguarda la contrazione della malattia è obbligatoria già dal 1955. La disinfezione
è effettuata tramite una pulizia accurata della ferita per cercare di predisporre l’ambiente alla
germinazione della spora. E’ inoltre importante l’indagine epidemiologica per venire a conoscenza di
come ci si è feriti per attuare una profilassi specifica. Per questa pratica si hanno a disposizione sia una
profilassi attiva mediante una vaccinazione contente l’anatossina tetanica, sia una profilassi passiva
contente immunoglobuline specifiche dette anche iperimmuni.

Ci sono diversi vaccini disponibili:

- vaccino monovalente T per adulti


- vaccino bivalente DT (associato a quello antidifterico) per l’infanzia
- vaccino trivalente DTPa (aggiunto quello anti-pertosse)
- vaccini penta/esavalenti per l’infanzia
- vaccino bivalente a dose ridotta per gli adulti

La vaccinazione è obbligatoria nell’infanzia e le indicazioni sono quelle di effettuare un richiamo ogni 10


anni, questo consente di mantenere l’immunità nel tempo.

La profilassi del soggetto adulto che sia ferito tiene in considerazione lo stato vaccinale e il tipo di ferita.

 PERTOSSE
E’ una malattia grave della prima infanzia. Si tratta di un’infezione respiratoria molto contagiosa causata
da Bordetella Pertussis. La pertosse ha un andamento endemo-epidemico, ovvero è sempre presente nel
territorio ma ogni tanto si esprime in forma epidemica. Il primo vaccino è stato prodotto e distribuito
nel 1926.

La pertosse colpisce prevalentemente i bambini provocando una tosse stizzosa, spasmi parossistici per
ripetuti accessi di tosse non intervallati da atti respiratori, spesso seguiti da caratteristico urlo
inspiratorio ad alta tonalità, inoltre è frequente il vomito dopo l’accesso.

AGENTE EZIOLOGICO
La Bordetella pertussis è un coccobacillo Gram - asporigeno. E’ un bacillo molto labile nell’ambiente,
quindi facilmente inattivabile. Il potere patogeno di questo batterio è legato a suoi componenti
particolari (usati come antigeni nel vaccino) tra cui:
- Tossina Perotossica (PT) = esotossina termolabile, ritenuta responsabile delle principali attività
patogene
- Pertactina = proteina di parete trovata in tutti i ceppi virulenti di pertussis, favorisce l’adesione
alle cellule sensibili
- Agglutinogeni vari presenti nelle fimbrie
- Emoagglutinina filamentosa (FHA) = componente della parete, importante fattore di adesione
all’epitelio cigliato del tratto respiratorio

PATOGENESI
Il batterio penetra per via aerea e si localizza sulla mucosa tracheo bronchiale aderendo alle cellule
bronchiali e iniziando a moltiplicarsi. Il batterio non entra in circolo ma rimane qui legato provocando
una flogosi catarrale dell’epitelio con necrosi a livello della zona basale probabilmente legata alla
tossina. Provoca inoltre irritazione della mucosa che si manifesta con l’accesso parossistico. La pertosse
si può definire come una malattia sistemica mediata dalle tossine.

CENNI CLINICI
Ha un’incubazione che va dai 5 ai 10 giorni, ma può arrivare anche a 21 giorni. All’inizio dà manifestazioni
simili alle flogosi delle alte vie respiratorie con tosse aspecifica e febbre bassa. La manifestazione clinica
si suddivide in 3 fasi:

1. Stadio catarrale = ½ settimane


2. Stadio acessuale = 1/6 settimane
3. Convalescenza = settimane o mesi, in effetti è una malattia molto lunga e lenta.

Spesso si possono manifestare anche forme asintomatiche o paucisintomatiche.

Si ha un grado di letalità non trascurabile nel bambino molto piccolo legato sia a complicanze
respiratorie (a causa di accessi parotossici particolarmente acuti che possono sfociare in crisi di apnea) e
complicanze neurologiche (legate ad anossia cerebrale, si manifestano con crisi convulsive di breve
durata)

Riassumendo la gravità della malattia è inversamente proporzionale all’età: nel 20/50 % dei neonati al di
sotto dell’anno di vita è necessaria l’ospedalizzazione.

PERTOSSE NELL’ADULTO

La malattia è di solito lieve, si calcola mediamente che ogni anno il 7% di adulti sia colpito da pertosse,
tanto che il serbatoio di infezione per i bambini si pensa siano proprio i genitori.

EPIDEMIOLOGIA
L’uomo è l’unica sorgente di infezione, sia l’uomo adulto con forme misconosciute che il bambino sotto
forma di malato che il portatore precoce. E’ una patologia presente in tutto il mondo senza differenze
geografiche. Ha un andamento endemo-epidemico ma si presenta prevalentemente nei mesi freddi.

La diffusione avviene per via aerea mediante le secrezioni respiratorie emesse con la tosse. Essendo
l’organismo molto fragile nell’ambiente la contagiosità è legata alla vicinanza tra il malato e il
suscettibile. Questa però è molto elevata e si stimano oltre 40 milioni di casi all’anno.
Il periodo di contagiosità è massimo nello stadio
catarrale, prima dell’insorgenza della tosse parossistica.
Il trattamento con eritromicina riduce il periodo di
contagiosità a 5/7 giorni. La gravità è massima nel primo
anno di vita e in relazione anche alla malnutrizione dei
bambini nei paesi del terzo mondo. L’incidenza della
pertosse solitamente è bimodale: ovvero è massima nel
primo anno di vita, poi ritorna alta intorno ai 10/14 anni.

Il ritardo nella vaccinazione provoca dei consistenti problemi per i neonati, quindi la permanenza e la
gravità della pertosse nel bambino piccolo.

PREVENZIONE
Ove possibile bisogna attuare l’isolamento di 7 giorni per evitare la diffusione del contagio. E’ suggerita
una chemioprofilassi con eritromicina per conviventi e contatti per 14 giorni; inoltre disinfezione degli
ambienti. Esistono 2 vaccini anti pertosse:

- Vaccino inattivato (dava varie reazioni avverse)


- Vaccino acellulare (aP) = vaccino attuale, costituito da componenti antigeniche purificate
precedentemente citate (il vaccino usato in Italia nel contiene 3), ha un’efficacia molto elevata
con eventi avversi trascurabili.

L’efficacia della protezione dopo l’infezione naturale è lunga ma decade dopo una ventina di anni,
mentre quella da vaccino decade un po’ prima.

La vaccinazione è utile anche per gli adolescenti per proteggerli dalla pertosse mantenendo anche gli
standard di protezione per tetano e difterite (essendo il vaccino somministrato insieme a questi ultimi).

Il neonato deve essere circondato da persone immuni, in quanto sono i più soggetti alle forme gravi.
Quindi è importante l’immunizzazione dell’adulto per proteggere il bambino.

 MORBILLO
Malattia virale molto contagiosa, in periodo pre-vaccinale colpiva la totalità dei bambini. E’ una malattia
ancora causa di morte nei bambini piccoli nei paesi del terzo mondo anche se è disponibile un vaccino
efficacie dagli anni 60.

Il virus del morbillo è un virus a RNA con un importante antigene di superficie (l’emoglutinina) con vari
ruoli nella patogenicità. E’ un virus molto fragile, inattivabile al calore e alla luce.

PATOGENESI
Dal punto di vista patogenetico il virus penetra per via aerea, e si va a replicare nella regione
nasofaringea e nelle cellule linfo-monocitarie determinando leucopenia rendendo il bambino più
esposto ad altre infezioni. La viremia primaria si manifesta dopo 2/3 giorni dopo l’esposizione a cui
segue dopo una settimana una viremia secondaria che porta la diffusione del virus in tutto l’organismo,
portando alla manifestazione di esantema a livello cutaneo.

CENNI CLINICI
Ha un periodo di incubazione di 10/14 giorni. Ha una prima fase prodromica che si manifesta con febbre,
raffreddore e congiuntivite, e un chiaro elemento patogneomonico: le macchie di Koplick nella mucosa
orale. Produce rush a livello cutaneo sotto forma di esantema che dura mediamente 5/6 giorni con
diffusione cranio-caudale.

Normalmente il morbillo ha un decorso benigno e una prognosi buona, ma son o possibili gravi
complicanze come complicanze respiratorie (più frequenti nei bambini al di sotto dei 5 anni di età) e
complicanze neurologiche (più frequenti se il morbillo è contratto dopo i 9 anni di età, con tipica
encefalite post-morbillosa). Un’altra importante complicanza neurologica può essere la Panencefalite
sclerosante subacuta (SSPE), una forma degenerativa del SNC, che è rara ma fatale. I primi segni che
indicano questa malattia sono cambiamenti di personalità, con deterioramento mentale. Porta a morte
entro 1 o 2 anni.

EPIDEMIOLOGIA
Si riconoscono 3 fasi:

1. Fase pre-vaccinale = prima del 63, quando non si disponeva di un vaccino efficacie
2. Fase di controllo = dal 63 al 2000
3. Fase di eliminazione = dopo il 2000

Nei paesi sottosviluppati si ha un’elevata morbosità in relazione al numero di figli, inoltre le abitudini di
vita comportano complicanze più frequenti e gravi e un’elevata letalità. Nei paesi industrializzati invece
dopo l’estensione della vaccinazione si è vista una netta riduzione della circolazione del virus. Si è
assistito però ad uno spostamento di infezione nella seconda terza infanzia e nel giovane adulto con
manifestazioni anche molto gravi.

Solitamente la malattia ha un andamento epidemico ciclico, ogni 2/3 anni.

La sorgente di infezione è l’uomo, precisamente il malato e il portatore precoce. Si trasmette per via
aerea ma anche indiretta tramite i nuclei essiccati delle goccioline di fludge. Come tutte le forme
respiratorie si manifesta maggiormente in inverno e la contagiosità si attesta da 4 giorni prima a 4 giorni
dopo la comparsa del rush.

PROFILASSI
Va effettuata disinfezione continua al letto del malato e ci sono 2 forme di prevenzione per l’individuo
sano:

1. Profilassi immunitaria specifica = vaccino vivo attenuato con un’efficacia elevatissima che
conferisce immunità per tutta la vita. E’ somministrato in associazione ad altri 3 virus
dell’infanzia (varicella, rosolia e parotite). La strategia di vaccinazione prevende una prima
somministrazione al 12 mese di vita e una seconda somministrazione dal 6 al 12 anno. La
vaccinazione può comprendere anche adulti ad alto rischio (studenti, viaggiatori internazionali,
personale sanitario…). Ci sono precauzioni da assumere per la vaccinazione con il vaccino MPR:
Questa può dare varie reazioni allergiche, non può essere utilizzato in gravidanza, soggetti con
deficit immunitari, soggetti con malattie acute in corso, soggetti con allergie alle proteine
dell’uovo. Alcuni anni fa è stata lanciato il sospetto di una possibile correlazione tra il vaccino
MPR e l’autismo. Numerosi studi oggi accertano che non esiste associazione tra le due cose.
2. Sieroprofilassi = possono essere usate Ig normali oppure Ig specifiche

 PAROTITE
La parotite è una malattia ad eziologia virale. L’agente eziologico è un virus a RNA dotato di pericapside.
Importanti sono 2 glicoproteine di superficie (H-N ed F), in quanto sono responsabili del legame e della
fusione con la membrana della cellula ospite. Gli anticorpi diretti contro questi antigeni superficiali
neutralizzano l’infettività del virus (anticorpi neutralizzanti). Il virus è inoltre inattivabile al calore, dai
raggi UV, dalla formalina

PATOGENESI
Il virus si trasmette per via aerea, la prima moltiplicazione la si ha a livello della naso-faringe e dopo 12/24
giorni si ha una diffusione viremica a numerosi tessuti incluse le meningi, le ghiandole salivari…

L’incubazione è di 14/18 giorni e poi si manifesta con sintomi aspecifici come mialgia, anoressia,
malessere. Nel 20% dei casi l’infezione è asintomatica. In un 40/50% si ha una forma specifica e nel
restante 30% si sviluppa una forma respiratoria con parotite mono o bilaterale. Spesso si auto risolve in
7/10 giorni.

La definizione di caso di parotite: è un’infiammazione acuta mono o bilaterale delle parotidi o delle
ghiandole salivari per più di 2 giorni senza altre cause apparenti. Di per sé la parotite non è una malattia
temibile, ma può dare diverse complicanze anche gravi tra cui: orchite, ovarite, pancreatite, sordità,
mortalità. Inoltre aumenta il tasso di aborti spontanei.

Dal punto di vista della distribuzione geografica è un virus presente in tutto il pianeta e diffuso in modo
abbondante.

EPIDEMIOLOGIA
Il periodo di contagiosità va da 3 giorni prima a 3 giorni dopo la comparsa dei sintomi. Si trasmette per
via aerea, ed ha una resistenza ambientale abbastanza bassa.

PREVENZIONE
E’ previsto l’isolamento respiratorio per 9 giorni dall’inizio della malattia, la disinfezione va
continuamente effettuata al letto del malato. Il periodo di contumacia è di 12 giorni. Per proteggere
l’adulto si utilizza un vaccino, attualmente somministrato come vaccino trivalente MPR. Le
controindicazioni del vaccino sono sempre le stesse viste in precedenza per il morbillo.
 INFLUENZA
Malattia respiratoria acuta di origine virale, con
un andamento tipicamente epidemico. Il virus
dell’influenza è un virus ad elevata contagiosità
ed elevata variabilità che si traduce in
un’elevata instabilità genetica. Si diffonde
quindi in modo rapido, veloce e intenso. E’ un
virus a RNA che si caratterizza per una serie di
errori di trascrizione che danno luogo a
possibilità di riassortimento frequenti.

Partendo dalla porzione esterna il virus


presenta un peplos (un envelope di natura
lipidica) sul quale si impiantano strutture a
spicole come le neuraminidasi (NA) e
l’emoagglutinina (HA). Si tratta di antigeni di superficie dai quali dipende l’infettività del virus. Sono
molto più frequenti le spicole di emagglutinina. Le HA sono gli antirecettori virali che consentono al
virus di agganciarsi alla superficie delle cellule respiratorie, mentre le NA sono enzimi in grado di
scindere i legami fra il virus e la cellula ospite consentendone la liberazione. Al di sotto troviamo 2
proteine: la proteina di matrice e la proteina M2, che danno struttura al virus e protezione all’acido
nucleico.

L’acido nucleico è composto da diversi segmenti che sono in grado di produrre una componente
antigenica del virus. Questa segmentazione è alla base di uno dei due sistemi di mutazione del virus.

Quando il virus raggiunge una cellula suscettibile si lega con i suoi recettori alla superficie cellulare che
poi ingloba il virus e formando un vacuolo. L’emoagglutinina riconosce come recettori cellulari i
mucopeptidi contenenti acido sialico e la neuraminidasi è in grado si idrolizzare questo acido.

I virus dell’influenza si dividono in 3 tipi: A, B e C in funzione di una ribinucleoproteina (proteina M) che è


uguale all’interno dello stesso gruppo. Ma oltre ad una classificazione per tipi, nell’ambito del tipo A si
distinguono anche dei sottotipi in base alle spicole di superficie. Ad esempio nel tipo A troveremo i
sottogruppi H3N2, H1N1, H2N2… tutti i virus dell’influenza vanno incontro a piccoli cambiamenti che li
rendono diversi dal virus parentale.

- Virus di tipo A = unico tipo che dà forma a pandemie, in grado di colpire tutte le fasce di età e in
genere dà luogo alle forme più gravi di malattia
- Virus di tipo B = colpisce prevalentemente bambini e giovani, sono note diverse varianti. Questo
tipo è solo umano

Esiste una diversa nomenclatura dei virus influenzali: questa prende in considerazione diversi dati come:
la ribonucleoproteina che mi dice di che tipo è il virus (A,B,C), il posto dove è stato isolato quel ceppo
(Moscow, Solomon…), numero del ceppo, anno di primo isolamento, sottotipo. Ad esempio ci sarà il
virus A/Moscow/21/2001/H3N2.

DANNI ALLA SOCIETA’


La capacità di dare forma a pandemie è dovuta al fatto che a seguito di eventi genetici possono nascere
dei virus nuovi. L’influenza è un grave problema di sanità pubblica perché pesa fortemente sia su la
salute che sull’economia. Sono dunque danni sanitari che possono manifestarsi anche con eccesso di
mortalità, ma anche danni economici perché implica costi diretti per curare la malattia, e indiretti legati
a necessità di accudire gli ammalati.
Il pesante impatto sanitario è dovuto alle frequenti complicanze della malattia, spesso riservate ai
soggetti ad alto rischio nei quali si osserva anche aumento del tasso di mortalità. Queste complicanze
possono essere: aggravamento di patologie preesistenti (diabete, cardiopatia, nefropatia…),
distruzione dell’epitelio respiratorio che rende più facile l’aggancio di batteri con conseguenti patologie
come broncopolmoniti e polmoniti, infine un’ultima complicanza rara ma grave è l’approfondimento
delle alte vie alle basse vie respiratorie con l’insorgenza di polmoniti virali.

VARIABILITA’
Ci sono 2 tipi di variazioni genetiche del virus:

- Antigenic Drift = variazioni minori che cambiano in piccola parte il virus modificando l’HA
oppure la NA. Può colpire sia il tipo A che il tipo B e si traduce nella comparsa delle epidemie
annuali. E’ un fenomeno dovuto a piccole mutazioni dei geni che sintetizzano HA e NA, che
portano un vantaggio al virus quando deve sopravvivere, quindi diffondersi in una popolazione
già estesamente immunizzata.
- Antigenic Shift = variazioni maggiori che si verificano solo nel tipo A, che portano ad un
cambiamento radicale del virus. Ciò porta alle pandemie mondiali. Il virus è totalmente nuovo
quindi anche la popolazione è suscettibile.

Il virus A dispone di un ampio serbatoio animale, specialmente in animali selvatici, per poi essere
trasferito da uccelli migratori. Questi lo trasferiscono in diversi territori dove può poi passare anche ad
animali domestici (anatre, polli, tacchini, cavalli, suini…). Dove vi è una condivisione di habitat tra uomo
e animali è più probabile la trasmissione da animale a uomo e quindi nascita di un virus pandemico.

Le possibilità perché nasca un virus pandemico sono 4:

 Shift Antigenico
 Co-infezione = due virus di sottotipo diverso infettano la stessa cellula nello stesso momento e si
scambiano materiale genetico (fenomeno del riassortimento). Spesso questo fenomeno
avviene nel suino poiché ha dei recettori cellulari specifici sia per gli aviari che per l’uomo.
 Salto di specie = passaggio diretto da specie a specie. Molto raro ma è successo nel 1918.
 Ricomparsa di ceppi antichi

Per quanto riguarda la varietà di HA, ad oggi, solo la H1, H2, H3 hanno dato forme epidemiche nell’uomo;
mentre per le NA l’uomo è stato colpito dalle N1, N2.

Nel secolo scorso si sono verificate 3 pandemie mondiali, l’ultima invece risale al 2009 causata dal
sottotipo H1N1.

MALATTIA, STORIA NATURALE


L’infezione ha un periodo di incubazione di 2/4 giorni e si esprime con febbre superiore ai 38, qualche
sintomo respiratorio e dolori articolari. Mediamente la malattia dura 7 giorni. Si diffonde per via aerea
con ingresso in rinofaringe, per poi aderire alle cellule epiteliali dove sono presenti i recettori specifici
del virus. Qui il virus si replica portando alla necrosi e alla desquamazione dell’epitelio respiratorio con
un’intensa eliminazione virale dopo 2/5 giorni. Nella definizione di malattia ci si avvale anche di criteri
epidemiologici (presenza di focolai epidemici nella comunità), sintomi sistemici come mialgia, malessere
e sintomi respiratori.

La terapia prevede la somministrazione di antibiotici solo in caso di sovra infezione batterica. Si


utilizzano di solito farmaci antifebbrili, antinfiammatori e farmaci antinfluenzali.
Igiene Generale
Lezione 6 del 14/05

INFLUENZA PARTE 2

IL VIRUS

Il virus dell'influenza è un virus estremamente variabile e contagioso, si manifesta soprattutto con


fenomeni epidemici, con epidemie che prendono anche il 5-30% della popolazione o pandemie che
riguardano il 60-80% della popolazione.
Questo virus ha la caratteristica di avere due antigeni di superficie che gli conferiscono capacità di
infettare e capacità di diffondersi (NA= neuraminidasi, HA=emoagglutinina), in più ha, a differenza di
altri virus, un RNA segmentato che gli conferisce una estrema variabilità.
Gli antigeni del virus influenzale sono in parte stabili, quindi non si modificano nel tempo, e sono la
ribonucleoproteina e la proteina M, e in parte altamente variabili, si tratta di quelli di superficie, e sono
la NA e la HA. Questo fa sì che si creino delle classi: esiste un virus di tipo A, che si diffonde in forma
epidemica e pandemica, colpisce tutte le fasce di età e, avendo gli antigeni di superficie ben
caratterizzati, dà luogo a tre sottotipi, cioè A/H1N1 A/H2N2 A/H2N3 e numerose varianti; il virus di
tipo B, invece, si diffonde in maniera epidemica ed è tipico dei bambini e dei giovani, questo perché è un
virus che ha origine prettamente umana.
La nomenclatura che ne deriva è tipo/origine geografica/ceppo/anno (più il sottotipo se presente).
L'influenza non è una malattia banale, ma una patologia importante sia sul piano sanitario, questo
perché colpisce una numerosa parte della popolazione, tra cui persone con situazioni di base abbastanza
complesse, in cui si riversa la sua gravità e conduce ad un eccesso di mortalità, sia sul piano economico,
perché il numero dei soggetti malati richiede numeri di visite, farmaci, spostamenti di medici e anche
ospedalizzazioni, oltre che colpire servizi necessari per la società, come possono essere servizi
ospedalieri, infermieri, medici, odontoiatri, poliziotti. Sono quindi costi importanti, oltre che disagi di
grande rilievo.
Il virus può dar luogo attraverso le variazioni maggiori a virus nuovi: i virus pandemici altro non sono
che virus che hanno cambiato la struttura di uno o entrambi gli antigeni di superficie; questo accade o
attraverso il fenomeno del riassortimento, legato allo scambio di materiale genetico fra due virus che
infettano contemporaneamente la stessa cellula e che all'atto dell'assemblaggio utilizzano il materiale
virale dell'altro virus, o per salto di specie, raro ma possibile, quindi di adattamento dall'animale
all'uomo, oppure per un virus antico che si ripresenti un secolo dopo e trovi la popolazione
particolarmente suscettibile.
Gli antigeni di superficie sono distribuiti in tutta la popolazione aviaria e in alcuni altri animali come il
cavallo e il suino.

LA PREVENZIONE
La prevenzione si avvale di misure di ordine generale:
• La notifica: è estremamente importante poiché è soggetto a sorveglianza di tipo internazionale,
in quanto è un problema del pianeta, se fosse un virus nuovo genererebbe una pandemia;
• La vaccinazione: è una pratica di sanità pubblica rivolta a tutta la popolazione in generale.
Misure di prevenzione individuale, che rappresentano il sistema di vita e di basano su:
• Lavaggio delle mani;
• Igiene respiratoria: quindi coprirsi bocca e naso quando si starnutisce o tossisce, e dopo lavarsi
ovviamente la mani;
• Isolamento volontario una volta che compaiono i sintomi respiratori;
• L'uso di mascherina in ambiente sanitario da parte di chi presenta i sintomi respiratori.
L'efficacia del vaccino, da cui dipendiamo in gran parte per la prevenzione, è fortemente condizionata
dal sistema di sorveglianza virologica ed epidemiologica dell'influenza, che è fondamentale per
l'eventuale comparsa di ceppi nuovi, mutati, che avrebbero delle opportunità in più nell'instaurarsi in
una popolazione che è stata vaccinata per il ceppo precedente; gli obiettivi sono quindi la
caratterizzazione del ceppo stagionale ed eventuali ceppi mutati, che serve per l'aggiornamento del
vaccino. Come sappiamo per l'influenza non esiste un vaccino valido per sempre, ma dobbiamo disporre
per forza di un vaccino stagionale, costruito in modo da comprendere quei ceppi che con migliore
probabilità avranno modo di attecchire nella popolazione. Un altro obiettivo è comprendere le
dimensioni dell'epidemia, quindi che impatto ha avuto sulla popolazione.
Per quanto riguarda la rete di sorveglianza virologica, ogni nazione ha un suo laboratorio di riferimento,
che in Italia è l'Istituto Superiore di Sanità; poi ci sono gli enti per le 5 regioni OMS, quindi ad esempio
Atlanta, Ginevra, Copenaghen, ecc.., ai quali confluiscono tutti i diversi virus che sono stati isolati nella
stagione invernale.
I vaccini che abbiamo a nostra disposizione sono di 4 tipi:
• Vaccino Split, dove il virus viene disgregato con solventi lipidici, quindi si staccano i vari pezzi e
si può raggiungere un'ottima purificazione, rimane una traccia di envelop con NA e HA, ma il
materiale interno viene eliminato. Sono tra i vaccini meno reattogeni;
• Vaccino a sub-unità, dove all'interno della fiala è presente solo HA e NA, quindi solo gli antigeni
immunogeni dell'influenza. Questi sono quindi ancora più tollerabili;
• Vaccino adiuvato con MF59, è un vaccino dove MF59 potenzia il potere immunogeno del
vaccino e quindi ottiene una risposta migliore negli anziani;
• Vaccino vivo attenuato, uscito in America nel 2012 e approvato in Italia nel 2014, anche se
ancora poco utilizzato.

I vaccini si suddividono in:


• Vaccino stagionale, per la stagione invernale che va da ottobre a marzo. Sono solitamente
vaccini trivalenti, anche se ultimamente si cerca di farli quadrivalenti, dato che si è visto che non
solo abbiamo una contemporanea circolazione in territori diversi di virus A, ma anche di almeno
due virus di tipo B;
• Vaccino pandemico, all'interno del quale è presente un solo antigene, perché il virus pandemico
è un virus nuovo che nessuno conosce e quindi non c'è bisogno di mettere altri ceppi, ma è
importante inserire questo componente di tipo A ( dato che solo i virus influenzali di tipo A
portano a pandemie), e il vaccino sarà quindi monovalente.

Si tratta sempre di vaccini aggiornati con le nuove varianti di virus che sono state verificate nella
stagione epidemica precedente, che hanno mostrato un grado di variabilità che gli offre una chance in
più per diffondersi nella popolazione generale.
Uno dei problemi più grossi nella preparazione dei vaccini è la tempistica; in febbraio vi è la riunione
annuale del WHO dove vengono scelti i ceppi per il vaccino dell'anno successivo sulla base di tre tipi di
informazioni: le analisi genetiche e antigeniche dei virus isolati, le indagini epidemiologiche e
virologiche e le indagini sierologiche. Tra febbraio e marzo avviene la scelta che ceppi che vengono poi
date alle case produttrici di vaccini, la quali hanno circa tre mesi per produrre il numero di fiale che si
ritengono utili per il vaccino. Questo per arrivare tra luglio e agosto a controllare e validare i vaccini da
parte dei laboratori dell' ISS, che va quindi a effettuare controlli di efficienza, efficacia, innocuità e
purezza, e autorizzarli alla produzione e alla vendita, poiché il vaccino dovrebbe essere disponibile nelle
farmacie e nelle ASL entro ottobre.

FINALITÀ DELLA VACCINAZIONE

Il fine della vaccinazione è quello di proteggere se stessi per proteggere gli altri. Gli altri sono i soggetti in
ambito familiare, in ambito lavorativo, in ambito sociale e in ambito medico, dato che è una malattia
non così banale se va a colpire soggetti con una fragilità tale da portarli ad avere conseguenze molto
impegnative.
I soggetti che dovrebbero andare incontro a vaccinazione sono:
• I soggetti da vaccinare per motivi medici. Vengono inclusi tutti coloro che hanno un'età
maggiore o uguale ai 64 anni, perché per definizione sono i soggetti che soffrono di una o più
malattie cronico-degenerative che li rendo più a rischio di complicanze gravi; i soggetti di
qualunque età affetti da patologie croniche; le donne in gravidanza, poiché la patologia
influenzale comporta rischi non solo per la donna ma anche per il feto; bambini o adolescenti
che vengono trattati a lungo termine con acido acetilsalicinico; soggetti istituzionalizzati che
vivono in comunità chiuse dove vi è un facile contagio.
• I soggetti da vaccinare per motivi sociali. Cioè i soggetti addetti a servizi di pubblica utilità, per
non trovarsi senza poliziotti, autisti autobus, medici, ecc...; assistenti di anziani e bambini; i
soggetti che lavorano a contatto con animali, che potrebbero infettarsi o dar luogo ad una doppia
infezione, che potrebbe portare alla nascita di un nuovo virus, quindi un virus pandemico.

EFFICACIA DEL VACCINO

L'efficacia è più elevata quanto più è alta la corrispondenza tra gli antigeni virali in esso contenuti e il
ceppo vitale epidemico circolante. Inoltre dipende molto dall'età dei soggetti vaccinati e dallo stato di
salute: il massimo di efficacia lo si ha nei giovani. Purtroppo negli anziani il grado di efficacia si riduce,
ma vi è un valore aggiunto, cioè il vaccino riduce la gravità della malattia, là dove si presenti, si riduce la
necessità di ospedalizzazioni correlate e riduce il numero dei morti.
Il target dato dal WHO circa il grado di immunizzazione della popolazione dovrebbe essere maggiore
del 75% per poter contenere la diffusione del virus.

Per l'influenza esiste anche una profilassi farmacologica, esistono tre generazioni di farmaci antivirali: i
farmaci di terza generazione in particolare hanno come nome commerciale Oseltamivir e Zanamivir e
sono inibitori della NA, la cui efficacia si basa sul blocco della liberazione del virus dalle cellule infette,
quindi sulla diffusione del virus. Efficaci sia su virus di tipo A che di tipo B, sia nella terapia sia nella
profilassi, anche se efficaci nella terapia solo se questa è iniziata precocemente, a due giorni dall'inizio
dei sintomi.

FALSA INEFFICACIA DEL VACCINO

Spesso si sente parlare su giornali o telegiornali dell'inefficacia di questo vaccino.


Vi sono nella stagione invernale frequenti episodi di malattie respiratorie febbrili acute anche in soggetti
vaccinati. Questo accade perché vi sono oltre un centinaio di virus in grado di provocare delle sindromi
respiratorie simil-influenzali; inoltre anche diversi batteri possono causare forme respiratorie febbrili
confondibili; il vaccino anti-influenzale protegge solo contro il virus dell'influenza; infine l'efficacia del
vaccino, così come quella di tutti i farmaci, non è del 100%, per quanto elevata sia vi è sempre una
frangia di soggetti che non risponde allo stimolo vaccinale.

TUBERCOLOSI

La tubercolosi è una delle tre malattie infettive (con malaria e AIDS) che a livello mondiale determina il
maggior numero di morti.
Si tratta di una malattia infettiva a decorso cronico, sostenuta da un batterio a localizzazione
prevalentemente polmonare, ma in grado di aggredire qualunque organo o apparato.
Si tratta di una malattia riemergente, questo perché con la prevenzione e i controlli si pensava di essere
particolarmente tranquilli per quanto riguarda il contenimento di questa malattia, però alcuni
cambiamenti sociali hanno riportato questa malattia a riemergere.
Questi cambiamenti sociali sono:
• La comparsa della malattia da HIV, in un immunodepresso la tubercolosi ha più possibilità di
emergere;
• L'immigrazione, quindi l'arrivo sul nostro territorio di una popolazione mista, che proviene da
un'area ad alta endemia, che potrebbe essere stata infettata;
• Le numerose sacche di povertà e di emarginazione sociale;
• La multi-resistenza dei farmaci anti-tubercolari di prima linea e quindi la difficoltà terapeutica;
• Trascuratezza del problema TBC e quindi l'insufficiente prevenzione che viene fatta su questa
malattia.

CARATTERISTICHE DEL MICOBATTERIO TUBERCOLARE

È un parassita stretto dell'uomo, che può però infettare anche altre specie animali ( cani, gatti), ha un
range di temperatura ottimale che va tra i 30 e i 40 ° C, con un PH che va dai 4,8 a 8,0.
Questo batterio è fortemente AEROBIO, ha bisogno di ossigeno per replicarsi e mantenersi; inoltre ha
un tempo di replicazione molto lungo, circa 20 h, il che si traduce in tempi lunghi per la diagnosi
classica (4-12 settimane); infine è in grado di sopravvivere nei macrofagi e sfugge così all'attività
fagocitaria ( ha attività anti-fagocitaria).
Pur essendo labile al calore e alla luce, ma è comunque la forma vegetativa più resistente a disinfettanti.

L'INFEZIONE TUBERCOLARE

Nasce all'interno dell'organismo quando il micobatterio tubercolare ( o bacillo di Koch) penetra e


colonizza l'organismo. La sua colonizzazione viene documentata dal viraggio al test tubercolinico, che
dimostra che il soggetto è stato infettato dal batterio.
Nel 90% dei casi l'infezione decorre in modo asintomatico; nel restante 10 % dei casi invece si sviluppa
una patologia tubercolare attiva: 5% entro i primi 5 anni dall'infezione, 5% nella restante parte della vita.
Tutto inizia quando il batterio stabilisce una infezione arrivando in un alveolo, captato dai macrofagi,
dove è in grado di sopravvivere e di replicarsi. Il destino di questo evento sarà diverso a seconda che
questi organismi interrompano l'attività replicativa, in questo caso abbiamo quella che viene detta prima
infezione tubercolare, latente e benigna, oppure va in attiva moltiplicazione portando ad una lesione
essudativa, che coinvolge macrofagi e fibrina generando un alone infiammatorio edematoso attorno;
questa lesione essudativa si traduce in un processo di caseificazione che può calcificare (solidificazione
con morte più o meno completa dei micobatteri) o andare incontro a rammollimento (caverne
tubercolari, liberazione di parte del materiale polmonare con l'espettorato).

Quindi vi sono due tipologie di infezione tubercolare:


• Latente: una colonizzazione che non dà segni clinici e non presenta anomalie radiografiche;
• Malattia tubercolare, che si suddivide in primaria, che si sviluppa nei primi mesi/anni dopo la
prima infezione (entro 2-5 anni), e post primaria, che si sviluppa in soggetti che hanno già
incontrato M. tubercolosis in passato, ciò accade a causa di una riattivazione di infezione
tubercolare latente, oppure a causa di una re-infezione.

ACCERTAMENTO DIAGNOSTICO

Il materiale è l'espettorato, quindi gastroaspirato o broncoscopia, deve essere fatto su tre campioni
successivi al mattino. Oppure può essere fatta sul sangue.
Si possono fare:
• Esame microscopico dell'espettorato, vedere direttamente nell'espettorato i micobatteri;
• La coltivazione attraverso la fluidificazione dell'espettorato, la semina su terreni adeguati e
l'osservazione di colonizzazioni tipiche;
• La ricerca della farmaco resistenza per stabilire se questo ceppo isolato è farmaco-resistente, per
comprendere a che tipo di terapia avvicinarsi;
• PCR, test rapido su materiale biologico.

Test tubercolinico: si utilizza un derivato proteico purificato, contenente 5 unità, attraverso il metodo di
Mantoux; viene somministrato sulla parte volare dell'avambraccio (sede intradermica), quindi molto
superficiale; la lettura avviene entro 72 ore e in questo lasso di tempo si osserva un indurimento del
tessuto sottocutaneo, che depone per una immunità tissutale cellulo-mediata. Questo ci dice che il
soggetto è stato infettato dal micobatterio tubercolare.
Recentemente sono comparsi dei test immunologici, che si affiancano al test di Mantoux, che si basano
sulla capacità dei linfociti T effettori circolanti di produrre interferone γ a seguito di una stimolazione
specifica in vitro. Su un campione di sangue si saggia la capacità di produrre interferone dei linfociti in
esame posti a contatto con l'antigene. Quindi i linfociti presenti nel sangue del soggetto, messi a contatto
con l'antigene determinano la produzione di interferon γ.

PIANO EPIDEMIOLOGICO

Tre elementi chiave che esaltano e supportano il problema tubercolare:


• Migrazioni da zone ad alta andemia;
• Farmaco-resistenza/ multifarmaco-resistenza;
• Infezione da HIV.

Le zone come quelle del sud-est asiatico, ma anche la regione russa, quindi anche buona parte della fetta
europea, vedono una elevata incidenza di soggetti infetti.
I territori dove la TBC è ancora epidemica, con morbosità elevata e elevata mortalità, che colpisce
prevalentemente i giovani, sono Africa, Sud America, Asia e paesi in via di sviluppo.

Il problema della multifarmaco-resistenza si definisce quando M. tubercolosis è resistente ai due farmaci


di prima linea che sono isoniazide e rifampicina. Non esiste una mutazione responsabile della
multiresistenza, che è invece il risultato della somma di singole mutazioni.
La diffusioni di ceppi multifarmaco-resistente compromette il successo clinico e l'efficacia dei
programmi di controllo, per il prolungamento del periodo di infettività. Inoltre epidemie di MDR-TB
sono state documentate in USA e in Europa e a queste è legata anche un'alta mortalità soprattutto se si
tratta di soggetti HIV+, dove si raggiunge il 90% di mortalità.
Il trattamento e l'isolamento dei pazienti aumenta il tempo di degenza e quindi porta ad un aumento
rilevante della spesa sanitaria.

La correlazione tra tubercolosi e infezione da HIV è molto forte ed è una delle patologie più frequenti nei
soggetti HIV+. La prevalenza in HIV+ in Europa e US è di circa 10%, mentre in Africa è del 50%.
L'infezione da HIV favorisce la riattivazione di M. tubercolosis latente, il rischio di malattia attiva a
seguito di infezione TBC recente e le localizzazioni extrapolmonari.

In Italia negli ultimi 20 anni l'incidenza si è mantenuta abbastanza stabile e relativamente bassa nella
popolazione generale, ma la massima concentrazione la si ha nei gruppi a rischio e in alcune classi di
età. Inoltre è comparsa anche in Italia la multifarmaco-resistenza, quindi difficoltà di cura e
contenimento.
Nel 2006 è nata la campagna dello STOP alla tubercolosi, e il WHO si è posto tre traguardi principali:
• Entro il 2005 il 70% della popolazione con TBC deve essere diagnosticato e l' 85% curato;
• Entro il 2015 la situazione globale della malattia TBC (in termini di mortalità e prevalenza) deve
essere ridotta del 50% (rispetto al livello del 2000);
• Entro il 2050 l'incidenza globale della TBC deve essere < 1/milione di popolazione, arrivando
dunque alla sporadicità.

MODALITÀ DI TRASMISSIONE

La tubercolosi si trasmette per via aerea: un soggetto che ha una caverna tubercolare, attraverso
l'espettorazione, quindi la tosse, elimina micobatteri che si spargono nell'aria e possono raggiungere, sia
per via diretta sia per via semi-diretta e indiretta, un soggetto sensibile. La via prevalente è quella aerea,
ma esisteva, più nel passato che nel presente, una via cutanea-mucosa e una orale alimentare, che
portava ad una tubercolosi intestinale.
Tutto ciò che viene a contatto con secrezioni rappresenta un veicolo. Inoltre è discretamente resistente
nell'ambiente e può quindi depositarsi su superfici e su terreni e può essere movimentato da correnti
d'aria.

LE CARATTERISTICHE DI CONTAGIOSITÀ NEL CASO DI MALATTIA

• Massimo di contagiosità: caso in cui i micobatteri siano presenti all'esame microscopico diretto.
Questo corrisponde ad una elevata concentrazione di micobatteri nell'espettorato;
• Contagiosità media: se presenti all'esame colturale;
• Più o meno contagioso: se c'è una negatività microscopica e colturale su campioni prelevati in
giorni diversi.

Il periodo di contagiosità dopo il trattamento è di circa due settimane, salvo se si tratti di un ceppo
multifarmaco-resistente, che aumenta il periodo di persistenza, aumenta il tempo di contagio e il rischio
di trasmissione.
Il rischio di trasmissione inoltre è aumentato se presente una caverna tubercolare, oppure una laringite
tubercolare o ancora un'intensità e durata di tosse elevata.
La valutazione del rischio di trasmissione si basa sulle caratteristiche di contagiosità del caso, su quelle
dell'ambiente e sui tipi di contatto tra il caso e le persone che lo circondano.
Il contatto con malati contagiosi (bacilliferi), che presentano un espettorato positivo all'esame
microscopico e colturale, rappresenta una trasmissione non fortissima dato che il 50% degli
immunocompetenti non sviluppano l'infezione; infatti la contagiosità non è così elevata come in altre
malattie.
Il contatto con malati che presentano il micobatterio nell'espettorato, con esame diretto negativo e
esame colturale positivo, rappresenta una bassa probabilità di contagio.

I fattori favorenti il contagio sono tutte quelle condizioni che favoriscono la concentrazione di bacilli
nell'ambiente:
• Abitazione: luoghi chiusi condivisi dal malato e dai suoi conviventi;
• Collettività: un'inadeguata dimensione dei locali, un'insufficiente areazione delle stanze e
l'assenza di sistemi di ventilazione.

La vicinanza con il caso di TB e il tempo trascorso con questo consentono di individuare tre categorie di
tipi di contatto (gravità decrescente):
• Contatti stretti: conviventi con il caso o persone che hanno condiviso lo stesso spazio per
numerose ore al giorno (lavoro/stesso ufficio);
• Contatti regolari: persone che condividono regolarmente lo stesso spazio chiuso (pasti..);
• Contatti occasionali: persone che condividono occasionalmente lo stesso spazio chiuso (luoghi
di divertimento/ palestre).

Esistono delle condizioni che favoriscono l'assunzione dell'infezione, cioè il rischio che il contatto si
traduca in infezione, così come esistono delle condizioni che favoriscono il passaggio da infezione a
malattia.
INFEZIONE:
• Contatti stretti con pazienti con TBC;
• Stranieri provenienti da paesi ad alta incidenza di TB;
• Soggetti senza fissa dimora;
• Soggetti che lavorano in strutture a rischio;
• Operatori sanitari;
• Bambini e adolescenti.
MALATTIA:
• Malati cronici;
• Infetti da HIV;
• Pazienti in terapia immunosoppressiva;
• Insufficienza renale cronica e diabete;
• Abuso di droghe;
• Malattie ematologiche;
• Forte perdita di peso;
• Pazienti chirurgici e trapiantati;
• Bambini di età inferiore ai 4 anni.

La classificazione dei gruppi a rischio in Italia, su cui deve porre attenzione la Sanità Pubblica,
comprende:
• GRUPPO 1: soggetti che provengono da paesi ad alta endemia, soggetti esposti a rischio
professionale;
• GRUPPO 2: soggetti senza dimora, ospiti di ricoveri notturni e rifugiati baraccati, e soggetti
reclusi in istituti di pena e tossico dipendenti;
• GRUPPO3: soggetti con patologie o condizioni favorenti, quali diabete mellito scompensato,
silicosi, terapia immunosoppressiva, malnutrizione, alcolismo, ecc..;
• GRUPPO 4: soggetti anziani ospiti di case di riposo e di lunga degenza.

PROFILASSI

È una malattia soggetta a denuncia di classe III, proprio per le caratteristiche di privacy, ma solo se si
tratta di una TBC polmonare ed extrapolmonare in fase contagiosa; l'isolamento solo se si tratta di una
tubercolosi aperta; la disinfezione continua su tutto ciò che è a contatto con il malato o che è
contaminato con liquidi biologici del malato, terminale della stanza data l'estrema resistenza del
batterio; l'inchiesta epidemiologica che prevede l'identificazione della fonte di contagio;
l'immunoprofilassi che consiste nel vaccino; chemioprofilassi, cioè i farmaci usati per la cura.

PREVENZIONE IMMUNITARIA

Esiste un vaccino, il BCG, allestito mediante attenuazione, viene dato solo previa prova tubercolinica
negativa, cioè soggetto che non ha mai avuto contatti con il micobatterio; deve essere data a distanza di
un mese da altre vaccinazioni; somministrato per via intradermica, vede come evoluzione la comparsa
di una papula che poi diventa una crosta e cade nell'arco dei tre mesi, e si sviluppa una sorta di
adenopatia che poi si conclude.
Gli effetti sono quelli di allergia e immunità a TBC e l'indice di protezione oscilla tra l'85% e il 90%, con
una durata dell'efficacia di circa 10 anni.

Le complicanze a cui si può andare incontro sono per di più complicanze locali: ulcerazione della
lesione, linfoadenite locale suppurativa e ascesso sottocutaneo (legate a difetti di somministrazione);
Le controindicazioni alla vaccinazione sono: l'infezione sintomatica da HIV e altre gravi forme di
immunodeficienza; tuttavia sono da considerare anche se sospette infezioni da HIV, affezioni cutanee
diffuse, la positività tubercolinica, cardiopatie, nefriti croniche e epatiti croniche, malattie febbrili in atto
e lo stato di gravidanza.
L'obbligatorietà della vaccinazione riguarda in particolare il personale sanitario e chiunque operi in
ambienti ad alto rischio e non possa in caso di cuticonversione essere sottoposto a trattamento con
farmaci antitubercolari. Sono inclusi inoltre i neonati e bambini di età inferiore a 5 anni, con test
tubercolinico negatico, che convivano con persone affette da TBC in fase contagiosa.

CHEMIOPROFILASSI

• Primaria: usata come prevenzione dell'infezione su Tubercolino negativo se è esposto


temporaneamente a rischio (in neonati o bambini con età inferiore e 3 anni in contatto familiare
infettante);
• Secondaria: usata come prevenzione della malattia su Tubercolino positivo che è ad alto rischio
di evoluzione del processo tubercolare (bambini con età inferiore ai 5 anni, giovani viventi in
comunità in cui è presente una fonte di infezione, soggetti con recente positivizzazione
tubercolinica e soggetti viventi in ospedali psichiatrici).
Il farmaco è rappresentato da Isoniazide con una assunzione che va dai 6 ai 12 mesi.

DOTS è la migliore strategia per il controllo della tubercolosi oggi; i componenti chiave sono:
• Impegno delle strutture sanitarie nelle attività di controllo della TB;
• Pronta individuazione dei casi di TB contagiosa nei soggetti sintomatici, con esecuzione
dell'esame microscopico diretto;
• Regime terapeutico standardizzato di 6-8 mesi per tutti i casi contagiosi, con trattamento
direttamente osservato ( DOT) per almeno i due mesi iniziali;
• Regolare approvvigionamento dei farmaci antitubercolari essenziali.
ROSOLIA
Parlando di rosolia si possono distinguere una rosolia nell'adulto e una post natale, che è quella più
preoccupante sul piano sanitario. La rosolia connatale è stata descritta da Gregg nel 1941 che aveva
correlato casi di cataratta in 78 neonati con una infezione contratta dalla madre in corso di gravidanza
(rosolia congenita).

Il virus della rosolia è un virus a RNA, dotato di pericapside, presenta un solo tipo di antigene e va a
colpire tipicamente l'uomo; è facilmente distruttibile con agenti fisici e chimici ( raggi UV, calore, basso
PH).

PATOGENESI

Viene trasmessa per via aerea e si replica nel nasofaringe e nei linfonodi regionali; ha una viremia di 5-7
giorni dopo l'esposizione con una diffusione a tutti i tessuti. Inoltre durante questa fase possono essere
infettati placenta e feto.

ASPETTI CLINICI

Ha una incubazione di circa 14 giorni, con un range di 12-23; si presenta come una malattia lieve con
febbre modica; una linfoadenopatia nella prima settimana con una eventuale comparsa di rash
maculopapulare di 14-17 giorni dopo l'esposizione.
L'infezione è comunque nel 20-50% dei casi asintomatica.

COMPLICAZIONI

Solitamente nei giovani adulti, in particolare nelle femmine adulte, nel 70% dei casi compare artralgia e
artrite, rare invece nei bambini;
In rari casi possono comparire anche porpora trombocitopenica, encefalite, neurite e orchite.

L'immunità conferita dal virus della rosolia è duratura per la vita; le madri possono inoltre conferire una
immunità passiva ai neonati che periste per 4-6 mesi (costituita da IgG).

Quando una donna immune si infetta in corso di gravidanza, il feto è esposto all'azione del virus con
gravi conseguenze: danni fetali e aborto.
Il neonato che nasce con rosolia congenita presenta un rash maculoapulare, che invece nell'adulto è
difficilmente visibile nell'adulto, e cataratta.

INFEZIONE CONNATALE

Se l'infezione arriva al feto:


• Aborto o nato morto;
• Malformazione connatale;
• Malattia connatale;
• Bambino normale con talvolta presenza di anomalie tardive.

ROSOLIA CONGENITA

Patogenesi: durante la fase viremica il virus arriva alla placenta, si replica negli endoteli dei vasi
sanguigni, provocandone la necrosi e le cellule infette trasportate dal sangue vanno ad infettare il feto.
L'infezione fetale comporta ritardo nella replicazione cellulare: il danno è tanto più esteso quanto più è
precoce l'infezione e indifferenziato lo sviluppo embrionale.
L'infezione a seconda che si presenti nel 1°, 2°, 3°, 4° mese di gestazione porta ad una probabilità
decrescente di sviluppo di alterazioni o difetti nel neonato ( si parte da un 50-70%, poi un 25-35%, un 6-
15%, infine si arriva ad una percentuale che va da 0,1-3%).
Le principali malformazioni sono la sordità (67%), che è una sordità neurale, malformazioni cardiache
(49%), affezioni oculari (71%) e ritardo psicomotorio (45%).
Un bambino con rosolia congenita raramente presenta una sola malformazione, in virtù proprio del
coinvolgimento embrionale.
Tra i danni a cui può andare incontro, oltre a quelli già citati, ci sono anche: endocrinopatie, disturbi al
SNC, danni all'apparato genito-urinario, disturbi ematologici, epatiti e disturbi psichiatrici.

ACCERTAMENTO DIAGNOSTICO

È un virus coltivabile, si può isolare e verificarne la presenza nel tampone faringeo e nelle urine; si può
attuare una ricerca degli anticorpi totali (IgG) specifici per la rosolia, in questo caso si vedrebbe un
aumento 4x fra siero in fase acuta e siero in convalescenza (TEST di ELISA); può inoltre essere condotta
una ricerca degli anticorpi IgM in un solo campione di sangue.
Importante è l'indagine sierologica in donne in età feconda e in donne gravide (in questo caso potrebbe
dare una stadiazione del momento in cui è stata infettata la donna).

EPIDEMIOLOGIA

Ha una distribuzione geografica cosmopolita, con un andamento endemo-epidemico e epidemie cicliche


ogni 6-9 anni (soprattutto in epoca pre-vaccinale). Colpisce prevalentemente nelle stagioni
invernali/primaverili in soggetti con età compresa tra i 5-15 anni o maggiore di 20.
Le sorgenti di infezione sono rappresentate sopratutto dal malato (7 giorni prima e 7 giorni dopo
l'esantema); da un portatore sano (asintomatico e precoce); dal neonato infetto, che è fortemente
infettante (neonato che nasce con rosolia congenita si è visto che elimina per molti mesi fino ad un anno
il virus).
La modalità di trasmissione è tipicamente aerea, diretta ( con contatti ravvicinati), semidiretta e
indiretta (tramite le urine ad esempio in asili nido, scuole materne).

PREVENZIONE

È una malattia soggetta a denuncia di classe II (segnalazione entro 2 giorni all'autorità sanitaria);
l'accertamento diagnostico dovrebbe essere fatto in tutte le donne adulte in età feconda.
Importante è la disinfezione sui materiali biologici: il virus è fragile, quindi eliminabile anche con
disinfettanti di livello medio.

Profilassi vaccinale consiste nella somministrazione del vaccino RA-27/3, con virus attenuato attraverso
25 passaggi seriali in fibroblasti embrionali umani; viene usato come vaccino trivalente associato a
morbillo e parotite (attualmente è stato aggiunto anche quello della varicella, quindi è un vaccino
quadrivalente).

Strategia vaccinale:
1. Eradicazione dell'infezione: vaccinazione di massa al 12-15 mese con il vaccino trivalente;
2. Eliminazione della rosolia congenita: venivano inizialmente vaccinate donne siero negative in
età feconda a partire dalla quinta elementare e i soggetti a rischio.

La vaccinazione al 12-15 mese è legata prevalentemente al morbillo, più una ulteriore vaccinazione tra il
6-12 anno di vita (logica legata alla eradicazione). Questa ultima vaccinazione permette di catturare
quelli che sono sfuggiti alla prima vaccinazione, di aumentare il livello immunitario dei soggetti e di
prendere quelli che non hanno risposto efficacemente alla prima vaccinazione. Inoltre è prevista una
vaccinazione di femmine in età feconda siero negative, che non sono quindi state mai vaccinate.
La somministrazione è di tipo sottocutanea.

CONTROINDICAZIONI

• Specifiche : gravidanza in atto;


• Generiche : deficit immunitari (immunodeficienza, HIV+, tumori corticosteroidi), recente
somministrazione di IgG in cui è probabile la presenza anche di anticorpi contro la rosolia e
quindi una inibizione del vaccino.
INFEZIONE MENINGOCOCCICA

L'infezione meningococcica è spesso asintomatica, ma può presentarsi con varie forme cliniche che
vanno da flogosi delle alte vie fino a meningite cerebro-spinale-epidemica e forme settiche fulminanti.
Nel passato era molto temibile, mentre oggi meno grazie alla disponibilità di una terapia che risulta
essere efficace solo se tempestiva e adeguata.
È un grande problema di Sanità Pubblica per: la grande diffusione dell'agente eziologico, un andamento
epidemico in varie parti del mondo, la comparsa di sierogruppi nuovi e la crescente resistenza ai
sulfamidici.
Da un punto di vista eziologico il Neisseria meningitidis è un cocco G – (diplo-cocco, con una forma a
chicco di caffè), immobile, asporigeno e dotato di capsula. I determinanti antigenici sono i polisaccaridi
capsulari: se ne riconoscono 13 sierogruppi, ma quelli di interesse speciale sono A, B, C, che sono
responsabili del 90% circa dei casi si meningite s.c.e., altri che sono invece emersi negli ultimi anni sono
W 135 e Y.
È un microrganismo molto fragile nell'ambiente esterno, inattivato da molti agenti fisici e chimici, luce
calore, radiazioni, e di per sé va incontro ad autolisi.
Estremamente diffuso nella popolazione umana, tanto comune da essere considerato come un
commensale del rinofaringe .
Molto estesa è la condizione di portatore di meningococchi, che oscilla percentualmente dall'1 al 50% di
tutti i soggetti sani, ed è fortemente condizionata dall'età, dalla condizione socio-economica e dal ceppo
presente in quell'area geografica.
Il rischio di sviluppare la malattia conclamata è estremamente più elevato tra i contatti di casi di
malattia meningococcica.
L'infezione meningicoccica vede dei fattori favorenti lo stato di portatore, quindi di impianto del
batterio, quali fumo passivo, fumo attivo e infezione da micoplasmi; ci sono invece fattori che
favoriscono il passaggio da condizione di infezione a condizione di malattia, quindi favorenti la malattia,
che sono malattie virali come l'influenza di tipo B e di tipo A.

DIAGNOSI DI LABORATORIO

• Esame microscopico diretto;


• Esame colturale (liquor; sangue) seguito da isolamento e caratterizzazione del materiale
colturale.
• Antibiogramma, per capire a quali farmaci è sensibile, data la farmacoresistenza.

C'è una fascia africana dove si presentano epidemie di meningococco nella stagione più secca (Gaia ci
teneva che io lo sbobinassi).

In Italia prevalgono i tipi B e C, in America troviamo anche il tipo Y, mentre nelle zone epidemiche
prevale l' A.
Annualmente si presentano circa 200, si tratta quindi di una condizione di endemia.

PREVENZIONE

Si avvale:
• La notifica, che è obbligatoria (classe II);
• Isolamento ospedaliero solo per la gravità della malattia, non tanto per la diffusione del
patogeno;
• Sorveglianza sanitaria sia per i conviventi ( 10 gg dall'ultimo contatto) sia per i contatti
( comunità, 7gg dall'ultimo contatto);
• Sorveglianza epidemiologica: ricerca dei portatori, allo scopo di acquisire dati epidemiologici
circa la situazione in un dato ambiente;
• Accertamento diagnostico;
• Disinfezione (semplice da abbattere essendo molto fragile).
PROFILASSI E PREVENZIONE

Profilassi attiva, cioè il vaccino e chemioprofilassi (profilassi farmacologica).


Esistono due tipi di vaccini:
1. Vaccino a polisaccaridi nudi, può essere monovalente (A o C), bivalente (A+C), trivalente
(A+C+W135), da somministrare sotto cute a soggetti con età superiore a 2 anni. Presentano
alcuni limiti: sono timo-indipendenti e non stimolano le cellule T, non stimolano le cellule della
memoria e quindi non rispondono ai richiami vaccinali e naturali;
2. Vaccino coniugato, può essere monovalente ( C ), somministrabile anche in età inferiore ai 2
anni, tetravalente ( A+C+Y+W135), somministrabile sopra gli 11 anni.

Strategia vaccinale in Italia:


• Adulti: vaccinazione mirata a soggetti e gruppi a rischio, nelle condizioni in cui si vengano a
creare dei focolai epidemici. Utilizzata nel controllo di vaste epidemie se si interviene
tempestivamente, per ridurne le dimensioni, in caso di contatti familiari con casi di meningite,
in soggetti con deficit di frazioni del Complemento, in soggetti splenectomizzati, in reclute
militari, in viaggiatori che si rechino in zone endemiche;
• Bambini: vaccinazione fortemente consigliata nell'infanzia (ora entra nel protocolli dei vaccini
obbligatori).

Il Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale ha tra gli obiettivi quello del raggiungimento e mantenimento
nei nuovi nati e adolescenti di coperture vaccinali > 95% per meningococco.

Vaccino contro il meningococco di tipo B:

Il polisaccaride capsulare del meningococco di tipo B è molto simile a quello di alcune componenti
molecolari presenti nel feto e nei tessuti dell'uomo adulto; questo vuol dire che non è immunogenico e
questo non viene modificato dal processo di coniugazione.
La soluzione a questo problema la si è trovata grazie alla reverse immunology, che si basa sullo studio di
tutto il materiale genetico e dei corrispondenti prodotti antigenici derivanti e sulla capacità di produrre
anticorpi, soprattutto quelli che hanno una valenza protettiva. Sono quindi stati studiati un numero
elevatissimo di antigeni e ne sono stati scelti 4, quelli che determinano ora il vaccino.

INFEZIONE PNEUMOCOCCICA
Lo pneumococco è anch'esso capsulato di forma coccoide, in grado di dare gravi malattie quali la
polmonite pneumococcica e meningite pneumococcica, soprattutto in età infantile.
Lo Streptococcus pneumoniae si presenta in più di 90 sierotipi differenti di cui 20 sono implicati nel
70% delle forme invasive. È un ospite frequente delle vie aeree dei soggetti normali (portatori naso-
faringei), è un patogeno importante in presenza di concause predisponenti, numerose sono le possibili
infezioni.

DA COLONIZZAZIONE A MALATTIA

Fattori di rischio:
• Fattori che incrementano il normale stato di portatore;
• Malattie che alterano la formazione di anticorpi;
• Tutto ciò che comporta sofferenza e ferita dell'epitelio respiratorio che porta alla alterazione della
normale relazione di commensalismo causando la comparsa di malattia:
➢ Malattie virali respiratorie;
➢ Malattie sistemiche debilitanti ( neoplasie, diabete, scompenso cardiaco, stasi polmonare);
➢ Infezione da HIV;
➢ Insufficienza renale;
➢ Incidenti vascolari cerebrali, splenctomia, agamma-globulinemia, neutropenia;
• Fumo;
• Traumi toracici (spostamento fisico del patogeno con arrivo a livello più profondo);
• Inalazione anestetici, gas, polveri;
• Alcolismo, droghe;
• Malnutrizione;
• Ospedalizzazione.

Le principali infezioni da S.pneumoniae sono :


• Invasive: meningite, batteriemia e sepsi, polmonite con batteriemia;
• Non invasive: otite media, polmonite non batteriemica, sinusite.

EPIDEMIOLOGIA

Età estreme più colpite sono i bambini di età inferiore ai 2 anni (60-70% rischio) e persone con età
maggiore a 60 anni (30-40% rischio).
Ha un andamento sporadico (raramente epidemico), con una stagionalità che va dal periodo invernale a
quello primaverile e colpisce maggiormente i maschi (2:1).
Colonizza l'area naso-faringea, con la presenza di uno o più sierotipi contemporaneamente, con una
permanenza che va dai 2-4 mesi ad un anno.
Nei bambini la condizione di portatore sano, soprattutto se i bambini vivono in comunità, può essere del
20-40%, mentre negli adulti del 5-10%.
La presenza di anticorpi non elimina lo stato di portatore.
Sul totale degli agenti eziologici responsabili di meningite e polmonite il 42% è rappresentato dallo
Pneumococco e il 28% dal Meningococco.
Le sequele permanenti di meningite nel bambino sono frequenti: presenza di uno o più difetti
neurologici, ritardo mentale, perdita dell'udito, convulsioni e paralisi; sono patologie che si ripetono,
soprattutto si ha una incidenza cumulativa di otite media, otite che si ripresenta nel tempo, lasciando
una traccia di sofferenza a carico dell'apparto uditivo.
La farmaco-resistenza ha colpito anche lo Pneumococco ed è spesso multipla, in Italia si ha una
presenza del 5-20%.
Le sorgenti di infezione sono i portatori (malati) e la modalità di trasmissione è di tipo aerea, diretta o
semidiretta (non indiretta dato che è un batterio fragile nell'ambienta).

PROFILASSI

Agire sui possibili fattori di rischio (misure di tipo generale), immunoprofilassi (misure specifiche).

Vaccino profilassi: si ha un'offerta attiva e gratuita del vaccino in bambini, anziani e affetti da patologie
che espongano ad alto rischio di infezione invasiva.
Tra i vaccini disponibili esistono:
• Vaccino 23-valente a “polisaccaridi nudi”, ha una buona efficacia nelle infezioni
pneumococciche, usato nei soggetti di età superiore ai 2 anni a maggior rischio di forme
invasive; somministrazione intramuscolare con eventuale richiamo dopo 5 anni;
• Vaccino eptavalente a “polisaccaridi coniugati”, buona efficacia nella prevenzione di forme
invasive;
• Vaccino 13 valente a “polisaccaridi coniugati”, protegge contro l'80% delle infezioni
pneumococciche nel bambino con età inferiore ai 5 anni.

Consigliata ad anziani con età maggiore di 65 anni , specie coloro che usufruiscono di strutture sanitarie
e/o istituti geriatrici.
INFEZIONE CITOMEGALICA HERPERSVIRIDAE

I virus erpetici implicati nelle malattie umane sono tanti; esistono tre gruppi:

• Gli α erpetici, che comprendono HSV1, HSV2 e il virus Varicella-Zoster;


• I β erpetici, che comprendono HHV6, HHV7 e il Citomegalovirus;
• I γ erpetici, che comprendono il virus dell'Epstein Barr e HHV8.

Il virus Citomegalico è un Herpes virus specie specifico, che colpisce solo l'uomo, presenta un unico tipo
antigene, dà luogo ad una immunità sia umorale che cellulo-mediata ed è coltivabile in vitro in cellule di
fibroblasti. Porta una infezione di tipo latente, che persiste per anni a livello delle ghiandole salivari e dei
tubuli renali in monociti e polimorfonucleati, ed è in grado di riattivarsi in presenza di condizioni
favorevoli che si vengono a creare nel corso della vita.
I tipi di infezione da citomegalovirus che si vengono a formare sono una infezione primaria, cioè quella
che compare la prima volta che si viene a contatto con il virus, una reinfezione, cioè una infezione
portata da un clone differente dal primo, e una riattivazione, quindi la slatentizzazione del virus.

Le possibili conseguenze dell'infezione sono diverse a seconda dell'età del soggetto:


• Nell'adulto : se si tratta di un soggetto immunocompetente l'infezione sarà lieve o asintomatica,
in soggetti con deficit immunitari (soprattutto con deficit cellulo-mediati) sarà grave;
• Perinatale: può dar luogo ad una malattia neonatale, ma più spesso è asintomatica;
• Connatale: può dar luogo a danno fetale, manifestazioni tardive e casi asintomatici.

INFEZIONE PRIMARIA E LATENTE


CMV ha la capacità di causare un'infezione primaria acuta, permanendo poi nell'organismo ospite in
stato latente; leucociti, endotelio, tubuli renali e ghiandole salivari possono ospitare il virus in forma
latente o lentamente replicativa e il virus latente risulta essere comunque infettante.

INFEZIONE SECONDARIA
Consiste nella riattivazione di un'infezione latente, o nella reinfezione causata da un nuovo ceppo.

RIATTIVAZIONE
L'attivazione virale dallo stato latente può aver luogo dopo immunosoppressione, in corso di altri eventi
morbosi e in seguito all'uso di agenti chemiotarapici.

Le manifestazioni cliniche da infezione primaria da CMV nell'adulto sono:


• Nell'immunocompetente la forma tipica è quella simil-mononucleosica, sono meno frequenti la
retinite, trombocitopenia e poliviscerali progressive;
• Nell'ospite con deficit immunitari (specie se cellulo-mediati) si presenta come pneumopatia,
epatite, encefalite e retinite.

La sindrome mononucleotica comprende febbre, linfoadenopatia, linfocitosi relativa, linfocitosi atipica.


Rispetto a quella di EBV manca la presenza di anticorpi eterofili e si calcola che circa il 21% delle
sindromi mononucleotiche siano da CMV.
La polmonite da CMV si presenta nell'immunocompromesso (soprattutto nel trapiantato) che può
andare incontro ad impegno polmonare grave, spesso manifestandosi anche segni di rigetto; il quadro è
grave soprattutto nel trapiantato di MO.
La retinite è tipica del paziente con AIDS e nel trapiantato renale.
L'infezione congenita coinvolge l'1% dei nati portando nel 90% dei casi una forma asintomatica(di cui
un 10% può andare incontro nel corso degli anni successivi a sequele tardive), in un 5% una forma
tipica e nel 5% rimante ad una forma sintomatica.
L'infezione perinatale si presenta invece nel 5% dei casi come sintomatica e nel 95% restante dei casi
come asintomatica.
Nell'infezione congenita prevale fortunatamente la forma asintomatica; il danno fetale si presenta
invece come microcefalia, carioretinite, encefalite e sequele neurologiche, sordità, anemia emolitica,
epatosplenomegalia, trombocitopenia, manifestazioni tardive quali danni neurologici (a carico della
vista, dell'udito, ritardo mentale e disturbi comportamentali).

EPIDEMIOLOGIA

Ѐ un virus presente in tutto il mondo ed è favorito dalla latenza, con un numero elevato di portatori
sani, e da una lunga eliminazione.
Colpisce tutte le età, ma si osserva un progressivo aumento della prevalenza con l'aumentare delle età.
Le riserve di infezione sono rappresentate dall'uomo che sia portatore, malato o neonato infetto.
Le modalità di trasmissione sono quella aerea, sia diretta che semidiretta, sia la via verticale che quella
sessuale.
Il virus è presente nella saliva, nelle urine (4-5% delle donne gravide), nello sperma, nelle secrezioni
cervicali (nell'11-28% delle donne gravide), nel latte (10-13% di donne gravide), nelle lacrime, nel
sangue-leucociti, negli organi per trapianti (in particolare rene e midollo osseo).
L'escrezione del virus è prolungata nel caso di bambini infetti, sia infetti per via connatale che perinatale
(anche per oltre 5 anni); possibile e frequente la trasmissione ai coetanei dell'asilo; gli adulti con
infezione primaria o da riattivazione, soprattutto se immunodepressi, possono eliminare il virus per
lunghi periodi.

TRASMISSIONE
• Diretta : rappresentata dal contatto mucoso (bacio), dall'atto sessuale e dalla via verticale
(transplacentare e perinatale attraverso il latte);
• Indiretta: per via parenterale (leucociti), con trapianto d'organo e attraverso le urine.
PROFILASSI
• Adulto: educazione sanitaria, quindi sapere in che modo ci si può infettare e evitare di assumere
dei comportamenti “virtuosi”;
• Donna gravida: verifica dello stato immunitario e educazione sanitaria (se presenti anticorpi è
necessario stadiare, vedere di che anticorpi si tratta, e cercare di capire in rapporto al periodo
gravidico se è a rischio o meno);
• Trapianti-trasfusioni: controllo delle unità di sangue, controllo del donatore e prevenzione
farmacologica;
• Immunoprofilassi.

La profilassi specifica consiste nell'immunoprofilassi passiva attraverso IgG specifiche, che non sembra
ridurre l'infezione, ma riduce le conseguenze gravi (polmonite,..), utilizzata in candidati al trapianto,
viene iniziata 72 ore prima e si procede per vari mesi successivi; esiste anche l'immunochemioprofilassi.
TOXOPLASMOSI:
La toxoplasmosi è una malattia causata da un protozoo che si presenta in 3 forme (tachizoite-cisti
tissutale-oocisti) ed è un’parassita endocellulare obbligato.
La riproduzione sessuata avviene nel gatto (felidi) e quella asessuata in ospiti intermedi. Possiamo
avere una malattia (patogenesi) acquisita o connatale.

• Microscopicamente si osserva il trofozoite (tachioite) con forme a virgole o semiluna, esso


è un patogeno scarsamente resistente, bastano 2 ore a T° ambiente o 30 min nei succhi
gastrici per degradarlo. Questa è la forma che troviamo libera nel sangue.
• La cisti tissutale è poco resistente in ambiente (1gg a T° ambiente e 1h nei succhi gastrici) e
consiste in un ammasso di piccoli toxoplasmi detti brachizoiti con dimensioni di 50-100um
e un numero superiore ai 100 individui. È detta cisti tissutale perche si puo incistare nei
tessuti come i muscoli.
• La forma di resistenza ambientale corrisponde alle oocisti di 10-12um, presentano 2
sporocisti, all’interno delle quali ci sono 4 sporozoiti.

IL CICLO BIOLOGICO FONDAMENTALE DEL TOXOPLASMA GONDI:


Il gatto si infetta tramite l’ingestione di animali, nel suo intestino avviene la riproduzione sessuata
e la formazione di cisti che vengono eliminate nell’ambiente con cui noi possiamo entrare in
contatto. Esse vengono eliminate per almeno 2 settimane e per diventare infettanti devono
sporulare (maturare). Questo avviene con tempi diversi in base alla temperatura ambientale:
24°= 2/3gg.
15°= 5-8gg.
11°= 14-21gg.
Le cisti contaminano acqua e terreno con cui possono entrare in contatto altri animali (suini,
conigli capre…).
Anche l’uomo è coinvolto, in particolare perché puo entrare in contatto diretto con il terreno ma
anche indirettamente per via alimentare cibandosi di animali infetti.

IL TOXOPLASMA HA UNA SOPRAVVIVENZA ELEVATA ASSICURATA DA TALI FATTORI:


• Non uccide normalmente l’ospite.
• Infetta numerose specie vicine all’uomo (mammiferi, uccelli, uomo).
• Resta silente nell’ospite anche per anni finchè un predatore non acquisisce l’infezione.
• Nell’ospite definitivo produce un numero elevato di oocisti.
• Puo essere trasmesso per via placentare.
• Sopravvive sia con ciclo replicativo sessuato che asessuato.

TOXOPLASMOSI ACQUISITA:
• Asintomatica per l’80% ma dimostrabile tramite ricerca anticorpale.
• Sintomatica, solitamente espressa come forma linfonodale nei giovani adulti. Puo essere
stadiata:
o I stadio: fase acuta per circa 8-10gg è lo stadio in cui avviene la replicazione e
diffusione ad ondate successive per via linfo-ematica, con pericolo di infezione
fetale.
o II stadio: fase intermedia, il parassita si ritira in tessuti poveri di organi
immunocompetenti per sopravvivere (cuore, tessuti).
o III stadio: fase cronica, la cisti tissutale o pseudocisti può permanere per tempi
molto lunghi finche qualche condizione particolare non riattiva il ciclo replicativo.
La forma piu frequente è la linfonodale che corrisponde al 15% di tutte le forme sintomatiche, è
possibile una forma generalizzata, rara ma molto grave (simil-rikettsiosica, cerebrale,
parenchimatosa, oculare con corioretiniti).

TOXOPLASMOSI CONNATALE: (ACQUISITA IN CORSO DI GRAVIDANZA):


Le conseguenze di tale infezione sono: aborto, morte neonatale, neonato con toxoplasmosi in
atto, neonato con malformazioni, neonato apparentemente sano, neonato sano.
La gravità dipende dalla virulenza del ceppo, dal sistema immunitario della madre e dal momento
dell’infezione in rapporto alla gravidanza.

La frequenza di trasmissione della toxoplasmosi dalla madre all’embrione ed al feto è rapportata


al periodo di infezione materna:
Nel primo trimestre abbiamo la minor frequenza di trasmissione, aumenta nel secondo ed è
massima nel terzo trimestre.
La gravità invece è inversamente proporzionale alla frequenza: massima nel primo trimestre
(microcefalia, idrocefalia, calcificazioni cerebrali, corioretinite pigmentaria), nel secondo semestre
ci può essere ancora qualche condizione grave, qualche manifestazione neurologica spesso latente
o segni di encefalomielite evolutiva, infine nel terzo semestre ci possono essere forme meno gravi
come lesioni epatiche, ittero, esantemi, lesioni nervose oculari o toxoplasmosi alla nascita.
Per cui nel primo trimestre passano pochi toxoplasmi attraverso la placenta ma se passano
danno malattia grave e viceversa per il terzo semestre.

EPIDEMIOLOGIA:
È l’infezione sostenuta da protozoi piu diffusa sul pianeta e tale diffusione è favorita da:
Alcune abitudini alimentari, Presenza di zone rurali, Alcune attività professionali, Rapporti con
animali, Alcune zone geografiche.

La trasmissione può essere:


• Diretta, è rara (uomo-uomo).
• Verticale-transplacentare è importante in caso di prima infezione.
• Indiretta è la piu diffusa e può avvenire per:
o ingestione di pseudocisti con carni crude o poco cotte.
o Ingestione di oocisti dal terreno tramite mani.
o Ingestione di oocisti su verdure contaminate.
o Per attività professionale che includa contatti stretti con animali o con prodotti
animali.
o Motivi sanitari (trapianti e trasfusioni con organi e sangue infetti).
Non è documentata alcuna differenza di infezione in base a sesso, età o stagione.
La toxoplasmosi acquisita ha una frequenza di sieropositività del 3-70% negli adulti ovvero
individui che si sono infettati e non si sono accorti. La connatale ha una frequenza di 0.1-0.8%
(l’Italia 0.4, di questo solo il 10-30% è sintomatico alla nascita).
PROFILASSI DELLA TOXOPLASMOSI:
Acquisita:
• Cottura delle carni che uccide le pseudocisti.
• Attenzione alla manipolazione di carni crude anche se congelate.
• Lavaggio verdure e frutta che cresce a terra (fragole).
• Disinfezione feci di gatto.
• Evitare contatti stretti con animali domestici e selvatici.

Connatale:
La donna deve badare alle norme appena citate in piu deve valutare lo stato immunitario, tuttavia
nel caso di infezione è possibile un trattamento farmacologico.
• Se la donna non è gravida qualora trovassimo anticorpi è protetta. Se non ci sono anticorpi
qualora intraprendesse una gravidanza sarà soggetta a controlli al 3, 6, 9 mese oltre che
alle misure di profilassi.
• Se la donna è gravida e non sappiamo se ha avuto contatto con toxoplasma può avere o
meno anticorpi: se non ci sono va controllata come già citato. Se ci sono possono essere
igG a basso titolo o igG/igM ad alto titolo. Se sono igG a basso titolo molto probabilmente
sono dovuti a una vecchia infezione ma per esserne certi è necessario un controllo a
distanza di 3 settimane (per cui se sono vecchi anticorpi non c’è incremento dopo tre
settimane altrimenti c’è rischio di infezione). Se ci sono igM o igG ad alto titolo potrebbe
essere coinvolta pesantemente nella patologia per questo esistono terapie.

PRINCIPALI INFEZIONI IN GRAVIDANZA (TORCH):


Il complesso TORCH determina fetopatia ed è citato nella prima parte della immagine mentre nella
seconda parte ci sono patogeni che danno infezione in gravidanza senza causare difetti al prodotto
di concepimento.
ZOSTER:
Lo Zoster è una patologia legata alla riattivazione di un’infezione latente del virus della varicella-
zoster. Essa è infezione secondaria che presenta dei requisiti:
• Ci sia stata un’infezione dal virus della varicella-zoster.
• Ci sia una stata una bassa risposta cellulo-mediata.
Si presenta come eruzione cutanea vescicolare unilaterale localizzata ad 1 o max 3 dermatomeri.
Spesso è accompagnata da febbre ed è dolorosa per questo veniva detta fuoco di sant’antonio.

La riattivazione è associata all’ età, immunodepressione,


esposizione intrauterina (?), varicella acquisita prima dei
18 mesi di età.

A livello del midollo spinale le fibre sensitive che dalla


radice posteriore arrivano a livello cutaneo passando dai
gangli cutanei danno il rash da zoster con le vesciche
classiche mentre dalla radice anteriore le fibre motorie
che arrivano a livello cutaneo danno il rash della varicella
(non ha spiegato cosa sia il rash e credo abbia anche
sbagliato il senso delle fibre, le sensitive dalla periferia
vanno verso il midollo e non viceversa).
Esso resta latente in gangli spinali o nei nervi cranici e si
esprime con maculo-papule che evolvono in grappoli di
vescicole poi pustole e poi croste sul dermatomero
innervato dal ganglio nervoso colpito.

Clinicamente il decorso è variabile specie in pazienti con deficit immunitari: 10-40% di questi sono
a rischio di viremia con disseminazione dello Zoster.

Lo Zoster spesso si presenta a livello toracico, lombosacrale ma esiste anche la forma oftalmica
con coinvolgimento del trigemino e dell’occhio ma anche del SNC con deficit motori, mielite
trasversa e paralisi del facciale.
Il dolore si manifesta dopo un mese dalla comparsa dello Zoster. È difficile da trattare e può
durare anche fino ad un anno, il dolore non è gestibile nemmeno su base farmacologica
utilizzando più farmaci (che possono anche creare complicazioni).
I farmaci sono:
• Acyclovir: inibitore della sintesi del DNA.
• Valacyclovir: terminatore della catena.
• Famcyclovir: inibitore della DNA polimerasi.

EPIDEMIOLOGIA:
É piu frequente in paesi temperati piuttosto che tropicali ed è presente in qualsiasi stagione.
Si presenta soprattutto dopo 50 anni con frequenze crescenti ogni decennio.
L’infezione è molto contagiosa ma meno della varicella (1/4 della varicella).
C’è rischio è di infezione tra pazienti tra personale sanitario.
VACCINAZIONE:
Esiste un vaccino vivo ed attenuato, il numero di dosi di vaccino è di 1 al di sotto di 13 anni mentre
2 in adolescenti e adulti a (distanza 4-8 settimane). La vaccinazione dell’infanzia viene fatta 12-24
mesi.

Le controindicazioni sono: la gravidanza, reazioni a dosi precedenti incluse reazioni a componenti


del vaccino (?), qualunque deficit immunitario, malattie gravi, infezione sintomatica di HIV,
moderate reazioni locali o malattie con rash.

Non bisogna confondere il vaccino contro lo Zoster con le immunoglobuline, sono due presidi
preventivi diversi. Il vaccino contro lo Zoster e quello contro la varicella sono due separati, il primo
vaccino contiene lo stesso virus del vaccino anti-varicella, ma a titolo più elevato.

VIRUS EPATITICI:
Epatite = malattia causata da virus epatotropi. Nell’ambito di questi dividiamo gli epatotropi
maggiori HAV, HBV, HCV, HDV, HEV dai minori (VZ, morbillo, parotite…) che sono in grado di
colpire il fegato ma non in modo preferenziale.
• HAV è un picornavirus a RNA con trasmissione oro-fecale, incubazione 10-50gg, non
cronicizza.
• HBV è un hepadnavirus a DNA con trasmissione parenterale ma anche sessuale e
perinatale, incubazione 1-6 mesi, cronicizza.
• HCV è un flavivirus a RNA con trasmissione parenteralmente ma anche sessuale e verticale,
incubazione 2sett-6mesi, cronicizza.
• L’antigene Delta è un viroide con trasmissione parenterale ma anche sessuale e perinatale,
non ha periodo di incubazione e cronicizza.
• HEV è un calicivirus, trasmissione orofecale, incubazione 2 mesi, non cronicizza.

Il fegato è un organo a forma di cuneo situato sotto la gabbia toracica e svolge funzioni di:
purificazione, sintesi, stoccaggio, trasformazione.
Un fegato cirrotico diventa simile ad una spugna e non funziona più, puo essere danneggiato da
droghe, farmaci, virus, batteri, protozoi, metazoi, tossine, funghi, sostanze tossiche, detergenti
insetticidi …

EPATITE B:
HBV è così diffusa: oltre 2 miliardi sono stati infettati in qualche momento della loro vita e 350ml
sono portatori cronici. Ogni anno muoiono 1milione di persone per cirrosi epatica e carcinoma
epato-cellulare (correlate a epatite B).

L’HBV è costituito da particelle virali vuote, materiale antigenico che ne da la forma e dal virione (o
particella di Dane) che contiene materiale genetico.
Gli antigeni virali sono 3:
• HBsAg: antigene di superfice, costituisce l’involucro esterno (particelle virali vuote).
• HBcAg: antigene C, costituisce il capside del virione ed è codificato dalla regione genomica
“C” esso si trova sempre negli epatociti e mai in forma libera nel sangue.
• HBeAg: antigene non strutturale che partecipa attivamente alla replicazione
Su 100 infezioni da virus B il 90% restano asintomatiche, solo 10% diventano clinicamente evidenti
di quest’ultime un’1% da epatite fulminante.
Sul totale delle infezioni, che siano asintomatiche o meno grava un 10% di cronicizzazione cioè di
persistenza del virus al termine del processo infettivo.
La persistenza del virus si traduce in epatite
cronica attiva 3%, epatite cronica persistente 3%
e da queste epatiti croniche poi deriva la cirrosi
3% e da quest’ultima l’epatocarcinoma 10%.

Possiamo stabilire se un soggetto è stato


infettato da HBV attraverso l'interpretazione del
quadro sierologico basato su una serie di
marcatori antigenici e marcatori anticorpali:
I marcatori antigenici sono i 3 antigeni mentre
gli anticorpali sono anti-S, anti-C (che può essere
presente nelle due forme IgM,IgG) e anti-E.

L’ANDAMENTO SIEROLOGICO TIPICO DA


INFEZIONE ACUTA CON GUARIGIONE:
Inizialmente dopo circa un mese
dall’esposizione abbiamo la comparsa
progressivamente crescente dell’antigene S che
perdura fino alla 24ª settimana, poi comincia a
calare. Subito dopo la comparsa di antigene S, si
ha la comparsa degli anticorpi anti-C (IgM e
IgG). I primi decadono nell'arco di 2-3 mesi e
vengono poi soppiantati totalmente dalle IgG
(anticorpi totali).
Vi è lungo periodo di parecchie settimane 24-32
in cui noi non abbiamo né l'antigene S ne
l’anticorpi anti-S che sono mutuamente
esclusivi. Però abbiamo a nostra disposizione
per far per una stadiazione gli anticorpi anti-C
che possono essere IgM oppure i totali. Vi è
inoltre la possibilità che sia presente l'antigene-
E, quindi che il virus sia in attiva replicazione e
ciò indica l’eventuale presenza della
sintomatologia.
Per fare diagnosi si raccoglie un campione di sangue da mandare al laboratorio che darà risposte
diverse in base al periodo in cui viene fatto il prelievo. Se fossimo alla quarta settimana avremo la
potenzialità di trovare l'antigene S e se c'è l'antigene S, alla 16ª settimana avremo ancora
l'antigene S, ma avremo anche degli anticorpi anti-C di classe IgM magari anche di classe totale e
gli anticorpi anti-E. Se andiamo nella 52 esima settimana ci troveremo con nessun tipo di antigene
ma gli anticorpi anti-S, anticorpi totali anti-C e anticorpi anti-E (se ci sono).
L’ANDAMENTO SIEROLOGICO TIPICO DA
INFEZIONE CHE CRONICIZZA:
La grande differenza rispetto al precedente è
che l'antigene S dopo essere arrivato al suo
culmine rimane ad un livello di plateau
costante per tempi che potrebbero essere
anni o anche per tutta la vita. Gli anticorpi
anti-C totali permangono e le IgM calano,
probabilmente ci sono anche l’antigene-E e
gli anticorpi anti-E. Manca totalmente
l’anticorpo anti-S che è l'anticorpo
protettivo.

INTERPRETAZIONE DEI MARCATORI DI INFETTIVITÀ:


Se la risposta del laboratorio mi dice che ci sono antigeni S e basta il soggetto è infetto e
infettante, probabilmente in fase iniziale o in fase cronica.
Se c'è antigene S più l’antigene E il soggetto è particolarmente infettante perché vi è un antigene
che favorisce la replicazione.
Se presenta anticorpi anti-C è in fase acuta
perché non ci sono anticorpi protettivi quindi
probabilmente si trova nel periodo finestra.
Se abbiamo antigene S e gli anticorpi anti-C la
situazione non cambia, è un soggetto infettante.
In tutte queste quattro situazioni ci troviamo di
fronte ad una sorgente di infezione infetto-
infettante.

Un'altra opzione, se noi abbiamo e la presenza di


anticorpi anti-S e anticorpi anti-C abbiamo
certamente un soggetto immune, molto
probabilmente avrà anche gli anticorpi anti-E.
Questo è il classico quadro di un soggetto che si è
infettato ed è guarito quindi ha prodotto gli
anticorpi nei confronti di tutti gli antigeni.

L'altra possibilità è la presenza di soltanto anticorpi anti-S questo è un soggetto che per aver
risposto solo all'antigene S deve essere stato vaccinato poiché la composizione globale del virus
prevede 3 antigeni. La risposta ad un solo antigene è dovuta al fatto che è presente un solo
antigene nel vaccino e quindi un'immunità da vaccinazione.
Nell’ultima ipotesi il risultato del laboratorio ci dice nessun marcatore presente nè di tipo
antigenico ne di tipo anticorpale ovvero un soggetto che non ha mai incontrato il virus dell’epatite.
Questo soggetto potrà essere infettato se incontra il virus quindi dovremo provvedere alla sua
prevenzione.

EPIDEMIOLOGIA:
È un virus che è presente in tutto il pianeta e ha un andamento temporale abbastanza
caratteristico, numerose sorgenti di infezione, numerose modalità di trasmissione, numerosi
soggetti ad alto rischio.

La distribuzione dell’infezione cronica:

La trasmissione dipende dalla concentrazione del virus nei diversi fluidi corporei quindi:
Sangue siero ed essudati vedono la massima concentrazione.
Media nella saliva, liquido seminale e secrezioni vaginali.
Bassa nelle urine, latte, lacrime e sudore.
Le modalità di trasmissione sono:
• Sessuale.
• Parenterale ovvero mediate da sangue, è di due tipi: apparente (durante interventi
chirurgici oppure piercing, tatuaggi, sterilizzazione inadeguata etc etc…) o inapparente
(mediato da piccole ferite per esempio con rasoio, forbici, pettini infetti).
• Verticale, dove la transplacentare è rara mentre la perinatale è molto frequente.

L’unica sorgente di infezione è l’uomo in vari momenti di infezione:


• Malato: ha un periodo di infettività di alcune settimane prima, fino a due mesi dopo la
comparsa dei sintomi.
• Portatore precoce.
• Portatore convalescente.
• Portatore cronico.
• Portatore sano: infetto che non sviluppa malattia.
In tutti tali casi l’infezione è maggiore se nel sangue è presente sia HBsAg che HBeAg.

I principali soggetti a rischio:


• Bambini nati da madri HBsAg e/o HBeAg positiva.
• Tossicodipendenti per via venosa.
• Emodializzati.
• Operatori sanitari: chirurghi, chirurghi orali, dentisti, patologi e anatomopatologi, operatori
dell’emergenza, infermieri, ostetriche, tecnici di laboratorio.
• Omosessuali maschi.
• Partner di soggetti positivi.
• Detenuti perchè spesso tengono comportamenti a rischio.
• Soggetti che fanno tatuaggi o piercing.

PREVENZIONE:
è una malattia a denuncia obbligatoria di classe seconda.
È importante la ricerca dei vari markers e la loro interpretazione per la stadiazione ma anche dopo
la guarigione clinica per il controllo della persistenza del virus cioè la cronicizzazione o lo sviluppo
di anticorpi antiS.
È importante ricercare la sorgente di infezione attorno al malato ma anche gli immuni e i
suscettibili su cui procedere con norme di prevenzione.
L’isolamento è previsto per tutta la durate della fase acuta mentre per l’epatite cronica e per i
portatori è importante l’informazione e l’educazione sulle pratiche a rischio e sugli interventi
preventivi.

Per la disinfezione e la sterilizzazione si utilizzano:


• Autoclavi: permette di disinfettare e sterilizzare numerosi oggetti di materiali diversi a
patto che sopportino la temperatura.
• Ipocloriti: utilizzati per liquidi biologici e superfici contaminate.
• Derivati fenolici: per sangue, feci e urine.
• Gluteraldeide: per strumenti delicati che non possono sopportare l’autoclave.
• Autoclave a gas-plasma: nuova apparecchiatura che esclude la temperatura ma usa H2O2
senza alterare i materiali.
Dunque, la prevenzione si attua attraverso l’applicazione di norme comportamentali, norme di
precauzioni standard e di norme di legge.
Le norme comportamentali sono già state trattate, per quanto riguarda quelle di precauzione
standard: il sangue e i materiali biologici contaminati da sangue, saliva… di tutti i pazienti devono
essere considerate potenzialmente infetti di HBV, HIV ed altri patogeni a trasmissione ematica per
cui tali precauzioni devono essere applicate su tutti pazienti con le stesse procedure (sono
procedure NON-PAZIENTE-SPECIFICHE).
Le norme di legge invece sono legate alla notifica obbligatoria della malattia, all’inchiesta
epidemiologica che coinvolge i contatti del malato, al controllo delle unità di sangue destinate ad
uso umano per la presenza di antigene S e anticorpo anti-C e alla vaccinazione obbligatoria per
tutti i nuovi nati e consigliata per i soggetti a rischio.

La prevenzione dal rischio durante trasfusione prevede anche l’autoesclusione dei donatori a
rischio (in quanto soggetti molto educati e preparati), accurata anamnesi all’atto della donazione,
screening su sangue donato, trattamenti virucidi per gli emoderivati, limitazione della pratica
trasfusionale ai soli casi di necessità.
PROFILASSI IMMUNITARIA:
Si divide in:
• Passiva, basata su IgG specifiche post-esposizione percutanea/permucosa a liquidi biologici
HBsAg positivi in seguito a contatti perinatali, sessuali, intrafamigliari o incidenti. In tutti
questi casi viene eseguita subito dopo una vaccinazione.
• Attiva, basata su 2 vaccini: il primo utilizzato negli anni 80’ (detto “da plasma” perché
veniva estratto l'antigene S prodotto in eccesso dal virus nella fase di replicazione
purificato e utilizzato, ma la disponibilità di vaccino era effettivamente poca e come tale
non si è potuto impostare una strategia vaccinale forte). Il secondo introdotto nel 91’
(attuale) è un vaccino ricombinante che deriva dall’ inserimento in saccaromices cervisiae
del gene virale in grado di produrre l'antigene S con poi la produzione di questo che viene
estratto purificato, dosato.

La strategia vaccinale è partita nel 91’ con una vaccinazione di massa obbligatoria a due corti cioè
due gruppi di popolazione: tutti i nuovi nati e contemporaneamente tutti i bambini che in quel
momento avevano 12 anni di età. Ciò ha portato ad immunità molto alta nella popolazione
giovane, in effetti alla fine del 2003 tutti i soggetti da 0-24 anni sarebbero stati vaccinati.

La scheda vaccinale dei nuovi nati:


• I bambini sani che nascono da madre negativa vengono vaccinati al 3, 5, 11 mese di vita
contemporaneamente alle altre vaccinazioni obbligatorie.
• I nati da madre positive entro 12 massimo 24 ore di vita devono ricevere la vaccinazione ed
entro 6 ore l'inoculazione di immunoglobuline specifiche in altra sede corporea.
Non sono attualmente previste dosi di richiamo dato l'elevata efficacia di questo vaccino.
Se vacciniamo un giovane che è sfuggito alla vaccinazione (maggiore di 16 anni o un adulto)
abbiamo tre somministrazioni: al tempo 0, dopo 1 mese e dopo 6 mesi.
Dopo un ciclo completo più del 90% degli adulti e oltre il 95% dei bambini e degli adolescenti ha
sviluppato una risposta anticorpale. L'efficacia dipende anche dall'età: dopo i 40 anni si riduce
lievemente.

Un titolo >=10 unità internazionali/ml è considerato protettivo per la popolazione generale.


Per le categorie a rischio e preferibile un titolo maggiore che si può ottenere con ulteriori dosi, è
quindi fondamentale la verifica della
sieroconversione per le categorie a rischio.
(Infatti, un controllo sierologico post-
vaccinazione è raccomandato per
emodializzati, immunodepressi, partner
sessuali di soggetti sieropositivi, i nati da madri
positive, gli operatori sanitari esposti e gli HIV
positivi).

Tasso di incidenza dell’epatite B suddiviso per


anno e per classe di età nel periodo 85’-2000:
Vediamo che negli ultimi anni sul totale sono
praticamente scomparsi i soggetti da 0-14 anni
(come casi di malattia) e si sono ridotti
fortemente gli altri.
EPATITE DELTA:
L’antigene Delta è un viroide che presenta l’antigene con il suo acido nucleico ma manca del
rivestimento costituito dall’antigene S.
Nel momento in cui l'antigene Delta, e quindi il suo acido nucleico, viene rivestito dall'antigene S
diventa epatite D e quindi infettante.

Visto che è fortemente legato alla presenza dell’antigene S:


• Se il soggetto è immune (che non ha antigene S ma ha anticorpi anti-S) sarà un soggetto
che non avrà mai un’infezione Delta.
• Se un soggetto è recettivo perché non ha mai incontrato HBV e ovviamente neanche HDV
(non ha nè antigene S nè anticorpi anti-S) è un soggetto suscettibile a ricevere sia HBV che
HDV (coinfezione). Clinicamente abbiamo una malattia acuta grave e un rischio di
cronicizzazione basso e simile a quello del B.
• Se invece il soggetto è portatore di antigene S ma non ha anticorpi anti-S avremo una
sovrainfezione da Delta poiché il soggetto potrà essere infettato da delta sfruttando
l’antigene S. Clinicamente la cronicizzazione è più frequente.

LA PREVENZIONE:
Per prevenire una coinfezione: si esegue una profilassi immunitaria pre e post esposizione per
prevenire un'infezione da HBV. Quindi producendo anticorpi anti-B si escluderà la possibilità di
attecchimento dell'antigene Delta.
Per prevenire una superinfezione è molto importante l’educazione sanitaria dei portatori cronici
di infezione da HBV.

EPATITE C:
HCV è un importante virus di medie dimensioni 62nm vs HBV 42nm, esso presenta un RNA e la
differenza sostanziale tra il B e il C è nella grande possibilità di variazioni. HCV va incontro a molte
variazioni che si traducono quindi in una famiglia di virus C (fenomeno di quasi-specie). Le regioni
maggiormente colpite dalla variabilità sono le regioni dell’envelope e altre regioni adibite alla
sintesi di materiali virus specifici.

HCV è stato scoperto in via biomolecolare nel 89’ da Hougthon, appartiene alla famiglia delle
flaviviridae, è costituito da acido nucleico a RNA monocatenario a polarità positiva. È dotato di un
envelope lipidico che conferisce al virus una certa fragilità poiché qualunque solvente dei lipidi
(cloroformio e altri solventi organici) è in grado di fargli perdere l’infettività, ma anche calore a 60°
per 30 min.

Le caratteristiche essenziali di questo virus e della patologia:


• elevata variabilità virale
• elevata frequenza di cronicizzazione
• presenza contemporanea di acido nucleico virale e di anticorpi (generalmente si escludono
mutualmente perché nella normalità dei casi gli anticorpi fatto superare l'inflazione e il
patogeno è abbattuto)
• una possibile reinfezione dovuta alla variabilità
• difficile allestire vaccini per via dell’alta variabilità.
È costituito da 6 principali genotipi e 100 sottotipi, sono stati fatti
molti studi circa la correlazione fra genotipo e tipologie di malattie,
andamento della malattia e gravità. In effetti il genotipo 1B è il più
frequente seguito da 2a,2c,1a,3a.

Storia naturale di dell'infezione:


L’infezione si presenta in forma subclinica nel 95% dei casi e in forma
acuta nel 5% dei casi. Su tutti gli infetti, grava l’infezione cronica che
oscilla da 25-80%.
Essa da luogo alla cirrosi almeno per il 20% dei casi e
all’epatocarcinoma da un 15-50% dei casi.
L’Italia ha una prevalenza dell 1% della cirrosi, dove HCV è
responsabile per il 35%, l’alcol 25%, HBV 11%. Quindi l’alcol non è il
piu importante responsabile di cirrosi.

UN’INFEZIONE ACUTA DA HCV CON GUARIGIONE


PRESENTA DEI MARCATORI EMATICI:
Transaminasi ALT che raggiungono alti valori, poi
progressivamente nell'arco di mesi ritornano alla
normalità. Nel periodo di massima presenza di ALT
abbiamo la presenza dell'acido nucleico nel sangue e la
sintomatologia ma abbiamo anche la comparsa di
anticorpi totali contro HCV. Quindi vi è una fase di
contemporanea presenza nel sangue di virus e anticorpi e
questo giustifica la cronicizzazione e il fatto che non siano
anticorpi protettivi.

INFEZIONE ACUTA SI TRASFORMA IN CRONICA:


La distribuzione delle ALT non si abbassa mai ai livelli
normali ma rimane con andamento zigzagato sopra la
norma. Abbiamo l’acido nucleico sempre presente, i
sintomi sempre collocati nella fase principale della
sofferenza epatica e la presenza di anticorpi anti-C (non
protettivi).
TRASMISSIONE:
Avviene per scambio di sangue ed emoderivati, per cui una trasmissione parenterale:
• Post trasfusionale soprattutto prima degli anni 80’, ora il rischio è l’0,001%/unità trasfusa.
• Legata alla tossicodipendenza (il 60-90% dei tossicodipendenti risulta positivo).
• Parenterale inapparente che giustifica la diffusione anche in soggetti che non hanno avuto
nessun tipo di esposizione nota (30-40%).
• Esposizione professionale che può avvenire dopo contatto con materiale infetto (3-10% di
posssibilità).
• Sessuale, in Italia è l’8-15%.
• Verticale è veramente molto rara ma diventa importante in caso di confezione con HIV e
presenza di elevate viremia nel momento del parto.

Le categorie a rischio:
• Tossicodipendenti endovena.
• Nati da madri anche HIV/HBsAg positivi.
• Emodializzati.
• Operatori sanitari.
• Omosessuali maschi.
• Partner di soggetti HCV+.
• Detenuti.
• Soggetti che si sottopongono a tatuaggi e piercing.

PREVENZIONE:
Non esiste un vaccino disponibile per via della grande varietà genomica che rende difficile trovare
un antigene immunogeno valido per tutti i genotipi e sottogeneri. Inoltre, anche perche la
patogenesi di HCV non è del tutto nota e perché abbiamo limitazioni nel modello sperimentale che
spesso si basa su primati difficili da reperire.

Le uniche forme di prevenzione sono rappresentate dai comportamenti e delle scelte di vita,
norme di legge e le applicazioni delle precauzioni standard.
Oltre alle norme già citate per HBV che valgono anche per la prevenzione di HCV è importante
riconoscere la presenza di test anti-HCV per i donatori di organi, tessuti e seme.

Per quanto riguarda la prevenzione da via parenterale inapparente è importante:


• non condivisione di siringhe
• uso di mezzi di protezione durante gli atti sessuali
• non condivisione di articoli personali (rasoi, forbici…)

Per quanto riguarda la profilassi, le precauzioni standard sono le stesse che già nominato per HBV.
È importante che una persona esposta al rischio di contagio venga adeguatamente controllata nel
tempo così da effettuare una diagnosi precoce e intervenire tempestivamente.

Come comportarsi in caso di incidente?


Vale per tutti gli incidenti non solo con virus C, per prima cosa si esegue la detersione della ferita
con acqua e sapone poi la stesura di un rapporto in cui vengono evidenziati: la data, il tempo di
disposizione, il tipo di esposizione, le circostanze che possono aver influenzato l'esposizione, i dati
del paziente fonte di contagio soprattutto nei confronti di una epatite pregressa.
Al momento dell'incidente si effettuano i testi sierologici: al tempo 0 si ricercano le transaminasi e
gli anticorpi anti-C, dopo 30 giorni la ricerca dell’HCV-RNA e gli anticorpi anti-C, dopo 60 giorni le
transaminasi ed eventualmente tutti gli altri marcatori di infettività.

CENNI DI TERAPIA:
La terapia si basa sull'utilizzo di interferon Alfa per almeno 12 mesi o su interferone alfa più
ribavirina che ha dimostrato una efficacia significativa. Sono disponibili anche nuovi farmaci
Sofosbuvir, Simeprevir in associazione con ribavirina e peginterferone Alfa (prevalentemente
destinati a forme croniche ancora risolvibili).

AIDS:
AIDS=sindrome da immunodeficienza acquisita, questa rappresenta lo stadio ultimo e più grave
dell'infezione da HIV. Esso rende l’organismo incapace di difendersi da qualunque tipo di
infezione, anche sostenuta da banali opportunisti.

Una delle ipotesi formulata sulla storia della nascita di questo virus è che si tratti di un virus nato
nell’Africa nera, in particolare un virus dei primati che si è adattato all'uomo. Attraverso
trasferimenti di persone nell’America centrale e nelle isole caraibiche e poi alle grandi metropoli
americane è comparso per la prima volta a Los Angeles e New York e solo due anni dopo il
trasferimento alla vecchia Europa (Londra, Parigi, Roma).

HIV è un retrovirus appartiene al gruppo dei lentivirus che colpiscono l'uomo, primati, ovini ed
equini. Esistono 2 tipi di virus HIV1 e HIV2 (noi parliamo dell’1).
HIV è costituito dalla GP120 che è legata alla struttura del virus dalla GP41.
All'interno del core abbiamo la GP24 e l’acido nucleico a cui è legata la trascrittasi inversa.
Esso è un enzima che in grado di trascrivere l'acido nucleico di RNA in una molecola di DNA
complementare che si replica.

Il virus in fase di replicazione è in grado di interferire con le attività della cellula ospite fino a
distruggerla. Il virus è in grado di integrarsi nel DNA della cellula infettata grazie alla trascrittasi
stabilendo una infezione persistente.
Esso è dotato di elevata variabilità genetica e questo fa si che ci siano tanti genotipi di HIV.

PROCESSO DI INFEZIONE:
Alcuni linfociti T helper possono essere infettati dal virus che si aggancia con la GP 120, la
membrana della cellula si apre e lascia entrare il virus il quale perde il rivestimento e va verso i
luoghi di trascrizione dove riscrive l'acido l’RNA a cDNA per poi integrarsi nel DNA ospite nel
nucleo.
Dopodiché avviene la sintesi di proteine virali e l'assemblaggio del core e del capside. Il capside si
porta a livello della membrana cellulare dove avviene il fenomeno inverso per cui il virus inserisce
la GP120 all'esterno della membrana cellulare che poi andrà a chiudersi formando una gemma che
libera il virus.

Le cellule umane sensibili all’HIV sono:


• Linfociti T helper (cd4).
• Linfociti B.
• Monociti/macrofagi.
• Cellule di Langherans.
• Cellule gastrointestinali.
• Cellule cerebrali.
Queste vengono infettate con meccanismi diversi rispetto a Cd4.

HIV attacca i linfociti “induced helper” (T4) che comandano, inducono, bloccano la produzione di
sostanze del SI.
• Inducono la produzione diretta di anticorpi a partire dalle cellule B.
• Inducono la produzione di cellule non linfoidi.
• Inducono la produzione di cellule Natural killer.
• Inducono la produzione di tutte le cellule T soppressor.
• Inducono cellule T killer.
• Inducono la produzione di fattori di crescita e fattori di differenziazione per altre cellule
linfoidi.
Quando il linfocitaT4 è in grado di svolgere il suo ruolo noi abbiamo un perfetto sistema
immunitario ma quando questo comincia a funzionare male abbiamo difetti immunitari.

STORIA NATURALE DELL'INFEZIONE DA HIV:


Abbiamo l’infezione da HIV che si traduce in
infezione primaria che dura dalle 2 sett ai 6
mesi, poi compaiono gli anticorpi e qui
abbiamo la certezza che il soggetto infetto
perché il virus è integrato. Noi andiamo a
dimostrare la sua presenza non andando alla
ricerca del virus ma attraverso la ricerca di
anticorpi anti-HIV (per questo si dice
sieropositività).
La sieropositività ha una latenza mediamente
di 8 anni, è più breve nei bambini anche se
oggi ha superato ampiamente i 14 anni grazie
a prevenzione secondaria e terapia che
tengono bassa la viremia.

Dopo questo periodo di latenza si può avere la


linfoadenopatia generalizzata (LAS) oppure si
può restare asintomatici oppure presentare le ARC cioè quelle patologie che sono presenti in
questa fase. Infine, si può arrivare all’AIDS sia direttamente dalla latenza sia per passaggi
successivi dalle fasi che abbiamo visto.
HIV
Il virus dell’HIV in fase di replicazione è in grado di interagire in modo complesso con la cellula ospite.
Il virus presenta un’elevata variabilità genetica, con molti genotipi presenti in natura. L’alta variabilità
è la causa della difficoltà nella produzione di un vaccino. Il virus è inoltre in grado di integrarsi nel
DNA della cellula infettata (in seguito a retro-trascrizione), stabilendo un’infezione persistente
(latenza).
La gp120 va ad aderire al recettore CD4+ dei linfociti T helper. Il virus penetra così nella cellula dove
rilascia il suo materiale genetico. Questo viene replicato e retrotrascritto in cDNA che va ad integrarsi
nel DNA nucleare della cellula infetta. Il virus si trova così in uno stato di latenza che può durare anche
anni. Quando avviene la slatentizzazione si vengono a riformare i prodotti virali, che poi si
autoassemblano e si dirigono verso la membrana. Sulla membrana della cellula ospite sono state
inserite le gp120. Uscendo dalla cellula il virus porta con sé parte di questa membrana modificata. Il
virus così uscito dalla cellula può andare ad infettare altre cellule sensibili. Le cellule sensibili
determinano quelle che sono le manifestazioni patologiche riscontrate nel corso dell’infezione:
patologie ematopoietiche (eccesso di linfociti B e quindi di anticorpi), patologie gastrointestinali,
patologie cerebrali e cutanee (spesso sono i dermatologi a scoprire l’infezione da HIV).
All’infezione da HIV segue l’infezione
primaria che dura da 2 settimane a 6 mesi,
e in seguito sieropositività (presenza di
anticorpi specifici contro HIV, utilizzati per
lo screening). La sieropositività (fase di
latenza) può essere di durata variabile, da
6 mesi (nei bambini) fino a 14 anni di
massimo, con una media di 8 anni. Lo
stato di sieropositività è asintomatico
(presente solo linfoadenopatia
generalizzata). In seguito si passa alla fase
dell’ARC (complesso correlato all'AIDS) che
presenta delle patologie tipiche, fino ad arrivare all’AIDS conclamato.
Nei primi anni in seguito alla scoperta del virus i gruppi principalmente interessati erano: maschi
omosessuali, tossico-dipendenti e coloro che ricevevano derivati del sangue per motivi medici. Questi
soggetti erano prevalentemente maschi. Negli anni ’80 il rapporto tra maschi e femmine malati era di
5:1. Ad oggi si riscontra un aumento del contagio femminile (con trasmissione inizialmente ai partner
di tossico-dipendenti). L’aumento del contagio nel sesso femminile ha portato alla diffusione del
virus nella popolazione generale. Oggi il rapporto tra maschi e femmine infetti è di 1:1.
Sono state sviluppate terapie efficaci in grado di bloccare la replicazione del virus. Lo sviluppo di
questi farmaci ha portato ad un allungamento e ad un miglioramento della vita degli infetti. Come
conseguenza si è allungato il periodo di latenza ed è diminuita la mortalità. È in corso la
sperimentazione avanzata (in fase III) di un vaccino anti-HIV.
L’Africa sub-sahariana è la regione più colpita dal virus, seguita dal sud-est asiatico, dall’America del
sud e del nord e infine dall’Europa. Il numero di nuovi infetti in Italia è in calo da anni.

La frequenza di trasmissione sessuale varia in base al sesso. La trasmissione è massima da maschio a


maschio, leggermente minore da maschio a femmina e minima da femmina a maschio.
Il virus è stato ritrovato nei seguenti liquidi biologici: sangue, liquido seminale e fluor vaginale. Si può
occasionalmente riscontrare anche in: saliva, urine, latte umano, lacrime ed altri liquidi. Le modalità
accertate di trasmissione sono solo quelle che implicano scambio di sangue o di liquidi genitali. Il
virus non si trasmette: per stretta di mano, bevendo dallo stesso bicchiere di un infetto, tramite
l’abbraccio o il bacio, tramite i servizi igienici e tramite lacrime. Il virus si trasmette invece da madre a
figlio durante la gravidanza, il parto e l’allattamento (trasmissione verticale).

Il virus non sopravvive a lungo nell’ambiente. Sia i comuni disinfettanti (varechina diluita) che il calore
(60°) inattivano il virus. Il rischio di infezione post-esposizione mediata da puntura (per il prelievo di
sangue) è dello 0,1-0,5%, contro il 15-35% del virus dell’epatite B (HBV) e il 2,7-10% del virus
dell’epatite C (HCV). Questi due ultimi virus infatti sono presenti in maggiore concentrazione nel
sangue. HBV inoltre è in grado di sopravvivere un mese all’ambiente esterno contro i 3 giorni dell’HIV.
Profilassi
Non è ancora disponibile un vaccino ma esistono comunque delle misure preventive: segnalazione dei
casi e controllo di sangue ed emoderivati. Esistono inoltre una serie di suggerimenti comportamentali:
evitare rapporti sessuali non protetti e promiscuità, evitare scambio di siringhe, per le donne infette
evitare gravidanze, e per gli operatori sanitari, prestare attenzione a non pungersi con siringhe infette
ed eseguire costanti disinfezioni.
Oltre a questi suggerimenti specifici per HIV esistono delle misure di precauzione di base per evitare
l’esposizione parenterale, cutanea e mucosa in caso di contatto accidentale con sangue e altri liquidi
biologici al fine di prevenire la trasmissione di infezioni: lavaggio mani, utilizzo guanti, camici e
grembiuli di protezione, occhiali e mascherine protettive, smaltimento di aghi e medicazioni in
maniera adeguata, uso attento di bisturi ed altri strumenti taglienti. Vanno poi adottate misure come
pulizia, disinfezione, decontaminazione e sterilizzazione.
Sono diversi i fattori a rendere difficile l’allestimento di un vaccino efficace: evasione immunitaria del
virus, latentizzazione, variabilità genetica, capacità di distruggere cellule immunocompetenti,
mancanza di modelli animali per la sperimentazione (esistono dei virus correlati nello scimpanzè e nel
gibbone ma queste sono specie protette sulle quali non si può fare sperimentazione).
Si stanno seguendo diversi approcci per la produzione di un vaccino. È per esempio in studio un
vaccino con proteine ricombinanti a base di gp120. Altri vaccini utilizzano peptidi sintetici, DNA nudo,
vettori ricombinanti con DNA virale o virus inattivati e attenuati.
Un vaccino italiano utilizza la Tat proteina, una proteina regolatoria dell’HIV, prodotta dopo l’entrata
del virus nella cellula ed essenziale per la replicazione del virus e quindi della progressione
dell’infezione verso la malattia. Studi sperimentali su modello animale hanno dimostrato che non ha
effetti tossici e che induce una immunità sia anticorpale sia cellulare, in grado di bloccare la
replicazione virale. Questo vaccino, diversamente dagli altri in studio, non previene l’infezione dei
linfociti T. Non è quindi un vaccino da somministrare a persone sane ma solamente a persone infette.

Epatite A
Infezione a circuito Fecale-Orale prevenibile tramite vaccinazione. Il virus viene emesso nell’ambiente
dagli individui infetti tramite feci, urine e mani. Questi possono andare a contaminare l’ambiente
(acqua ed alimenti). Il virus dell’Epatite A (HAV) fa parte dei Picornavirus (o Hepa-RNA-Virus) con
simmetria icosaedrica. Ne esiste un solo sierotipo. L’infezione può risultare asintomatica o dare
malattia acuta. Non esiste infezione cronica da Epatite A. All’infezione seguono anticorpi protettivi
che durano per tutta la vita.

Il virus è resistente al calore (30 minuti a 56°), all’etere, al pH 3 (per 3 ore a temperatura ambiente). È
in grado di sopravvivere per giorni o settimane nell’ambiente. Può essere coltivato in vitro su colture
cellulari (espianti di rene di Macacus rhesus o su espianti di fegato) e in vivo su Marmoset.
Nel 90% dei casi la malattia è subclinica. Solamente il 10% va incontro alla malattia acuta. Come già
detto in nessun caso vi sarà cronicizzazione. Una piccola percentuale di coloro che manifestano la
malattia acuta può andare incontro ad epatite fulminante.

Epidemiologia
L’infettività è massima nel periodo che va da 10 giorni prima dell’esordio clinico fino ad una settimana
dopo l’insorgenza dell’ittero. Anche se HAV è presente nel sangue alla fine del periodo di incubazione
e all’inizio della malattia, la trasmissione attraverso il sangue è molto rara (ma non impossibile).
Il periodo di incubazione medio è di 30 giorni (oscilla dai 10 ai 50). L’ittero si manifesta principalmente
negli adulti e solo raramente nei bambini di età inferiore ai 6 anni. Le complicazioni possibili sono
epatite fulminante ed epatite colecistica.
È presente in tutto il mondo ma ha prevalenza più elevata nei paesi a basso livello socioeconomico.
La prevalenza di Epatite A è per questo motivo considerata un indicatore di sottosviluppo. La
prevalenza si valuta tramite la presenza di anticorpi. Secondo l’OMS si ha un’incidenza di circa 1,4
milioni di casi clinici ogni anno. Tra il febbraio 2016 e settembre 2017 sono stati riscontrati quasi 3000
casi in 20 paesi europei (tra cui l’Italia). Si presenta in genere in modo sporadico ma può dare origine
ad epidemie in determinate comunità (asili, scuole, collegi) a causa di affollamento, scarse condizioni
igienico-sanitarie e abitudini alimentari favorevoli. È più frequente al Sud e la frequenza di anticorpi
anti-HAV aumenta con l’età. Il 90% dei quarantenni presenta anticorpi specifici. Anche i viaggiatori
sono maggiormente colpiti. Le sorgenti di infezione sono: malati, portatori precoci (fase preclinica) e
portatori sani (infezione anitterica). La trasmissione indiretta può essere mediata da veicoli (acqua e
alimenti) o vettori. La concentrazione del virus è maggiore nelle feci, nel siero e nella saliva.
Tra maggio e settembre 2007 si è sviluppata a Napoli un’epidemia di Epatite A con più di 100 casi. Il
fattore di rischio principale durante questa epidemia è stato il consumo di frutti di mare. Questi a
loro volta prendono l’infezione dalle acque contaminate. La cottura elimina il virus.
In generale il principale fattore di rischio è per i viaggiatori in zone endemiche. Anche la balneazione
in acqua contaminata può risultare infettiva. Per quanto riguarda la trasmissione da vettori è mediata
principalmente da mosche.
In base all’endemicità del virus in una regione, questo coinvolge diverse fasce d’età. In paesi ad alta
endemicità l’infezione colpisce i bambini. Ad endemicità moderata o bassa i giovani adulti. Ad
endemicità molto bassa gli adulti e i viaggiatori.

Profilassi
La prevenzione di HAV, come tutte le malattie a trasmissione fecale-orale, può essere indiretta e
diretta. La prevenzione diretta è quella comune a tutte le altre malattie, mentre quella indiretta è
legata all’ambiente.
In particolare nella prevenzione indiretta si controllano alimenti (in particolare frutti di mare), acqua
(controlli di potabilità e disponibilità acqua potabile per tutta la popolazione), corretto trattamento e
smaltimento dei liquami fognari (depurazione/disinfezione) e lotta ai vettori (mosche). Sempre parte
della prevenzione indiretta è l’educazione sanitaria mirata in particolare al rispetto delle norme
igieniche per chi prepara (dall’origine alla vendita) e serve cibi, e per chi è addetto all’assistenza di
bambini, anziani, malati e soggetti con handicap.

La profilassi diretta prevede la notifica (di classe II), l’isolamento, il tracciamento dei contagi (sia dei
conviventi che di alimenti/acqua), la disinfezione e la profilassi immunitaria specifica.
Esiste un vaccino per HAV. Si tratta di un vaccino di HAV coltivato in cellule diploidi umane, inattivato
con formolo e potenziato con idrossido di alluminio. Sono previste 2 dosi, la seconda delle quali dopo
6-18 mesi dalla prima. Il vaccino porta alla produzione di IgG nel 90% dei vaccinati dopo 1 dose e nel
100% dei vaccinati dopo 2. L’immunità dura tra i 15 e i 20 anni. Si possono avere reazioni alla
somministrazione del vaccino come: dolorabilità locale, cefalea e malessere (meno del 10% dei casi).
La vaccinazione è prevista per: viaggiatori in aree endemiche (2 dosi o dose doppia se il tempo è breve
prima della partenza), soggetti che vivono in zone endemiche (di età maggiore di 2 anni), soggetti a
rischio per motivi professionali (operatori sanitari, addetti alla raccolta e smaltimento dei rifiuti),
militari che prestano servizio in zone ad elevata endemia, soggetti con handicap istituzionalizzati
(condizionata dalla conoscenza della capacità della struttura di mantenere condizioni igieniche
adeguate), soggetti che hanno contatti con malati, soggetti con malattia epatica cronica o
tossicodipendenti.
La vaccinazione post-esposizione è prevista per i soggetti a rischio per epidemie in corso entro 2
settimane dal contagio e in caso di probabile contagio (solo 1 dose + IgG).
Le IgG anti-HAV si potrebbero utilizzare per viaggiatori in aree a media ed alta endemia o in caso di
post-esposizione per soggetti che hanno avuto contatti con ambienti (istituti, asili nido, scuole
materne) o soggetti a rischio.

Epatite E
Anche questo a trasmissione fecale-orale. HEV fa parte degli Hepeviridae ed è privo di peplos.
Presenta 4 genotipi, dei quali due (1 e 2) sono esclusivi per l’uomo e due (3 e 4) coinvolgono anche gli
animali (riserva animale). Mostrano una buona resistenza ambientale ed ai disinfettanti.

Epidemiologia
Secondo le stime dell’OMS si hanno 20 milioni di infezioni ogni anno, di cui 3,3 milioni sono
sintomatiche. L’infezione è particolarmente grave in donne in gravidanza (può causare aborto). È
presente in tutto il mondo ma più comune in Asia. In Cina è stato allestito un vaccino che non è stato
reso disponibile agli altri paesi.
Il periodo di incubazione è di circa 40 giorni (con un range da 15 a 60). La mortalità è dell’1-3% nella
popolazione generale e del 15-20% nelle donne in gravidanza. La gravità della malattia aumenta con
l’età. Non cronicizza mai.

Non è clinicamente distinguibile dalle altre epatiti virali. La diagnosi sierologica si basa sulla ricerca di
IgM ed IgG. Per lo screening si utilizzano test immunoenzimatici (bisogna anche verificare l’assenza di
componenti di altri virus epatitici). Si può inoltre ricercare l’RNA virale in campioni di sangue o feci
(più frequente) tramite RT-PCR.
Si riscontra principalmente nei paesi in via di sviluppo. In questi paesi si riscontrano sia casi sporadici
che focolai epidemici tipicamente di origine idrica. Nei paesi industrializzati si hanno invece casi
sporadici di importazione o casi di origine zoonotica. L’età prevalente è quella tra i 15 e i 40 anni.
Risulta fondamentale il serbatoio animale (principalmente maiali). Il veicolo principale è l’acqua ma
risulta importante anche il contagio interumano (in virtù di cattive applicazioni delle norme igieniche).
Il periodo di contagiosità non è noto ma HEV è stato isolato dalle feci dopo 14 giorni dall’ittero e 4
settimane dopo ingestione di cibo o acqua contaminate e persiste per circa 2 settimane. Circa il 50%
delle infezioni possono essere anitteriche. L’ittero risulta più frequente con l’aumentare dell’età.
Le epidemie sono associate prevalentemente ad acqua contaminata da liquami fognari. È rara la
trasmissione interumana (almeno nei paesi industrializzati).
Nel 2015 sono stati individuati 40 casi di HEV in Italia tramite studi sierologici. Il 40% non aveva
effettuato viaggi in zone endemiche. L’Abruzzo è un’area iper-endemica a trasmissione zoonotica con
prevalenze elevate in tutte le fasce di età (18-65 anni). Il fattore di rischio associato all’infezione è
stato il consumo di salsiccia di fegato di maiale. Il problema dell’infezione da HEV (soprattutto
nell’ambito delle trasfusioni sanguigne) è in crescita in Europa. Il fattore di rischio principale è sempre
il consumo di carni poco o non cotte, ma sono rilevanti anche il contatto diretto con escreti, secreti o
organi (macellati) contaminati da materiale fecale infetto.

Prevenzione
Viaggiatori in aree endemiche dovrebbero: bere acqua potabile in bottiglie sigillate (e bibite senza
ghiaccio), consumare frutti di mare e verdure solamente cotti, consumare solo frutta da sbucciare.
Non è nota l’efficacia di IgG preparate da donatori di paesi endemici per la sieroprofilassi. Non è
ancora disponibile un vaccino (disponibile uno in Cina per uso solo interno).

Febbre tifoide
Malattia infettiva acuta, febbrile, ad alta contagiosità, provocata da Salmonella typhi (oltre 100
lisotipi). Si tratta di una malattia che ha interessato a lungo il nostro paese in passato. Presenta 3
antigeni importanti sul piano immunitario: l’antigene O (somatico), l’antigene H (flagellare) e
l’antigene Vi (capsulare). Gli anticorpi anti-O e anti-Vi risultano protettivi. In assenza di terapia
presenta una letalità del 10%. Questa si abbassa all’1% in presenza di una terapia adeguata.
I paesi ad elevata endemia di febbre tifoide stanno frequentemente riscontrando il problema della
farmaco resistenza. In Vietnam i ceppi sono farmaco resistenti nel 70% dei casi. Nei paesi
industrializzati questo numero scende al 5%.

Patogenesi
S. typhi penetra per via orale ed è in grado di superare la barriera gastrica (il pH basso). A favorire la
sopravvivenza agli acidi gastrici sono: una carica batterica elevata, un pasto ricco di proteine (in grado
di neutralizzare l’acidità), assunzione di abbondanti liquidi (contaminati) e condizioni di ipocloridria
(riduzione di secrezione di HCl gastrico). L’incubazione è di 3 settimane. In era pre-antibiotica si
parlava dei 4 settenari (quadro clinico diviso in 4 settimane). La moltiplicazione primaria è nelle
strutture linfatiche della parete intestinale e nel dotto toracico. Si diffonde quindi per via ematica,
raggiungendo linfonodi, milza, fegato e midollo osseo. Dal fegato, tramite la bile, ritorna all’intestino.
Nelle strutture linfatiche dell’intestino, già sensibilizzate dalla moltiplicazione primaria, si ha la
moltiplicazione secondaria. Si ha quindi un processo flogistico, con necrosi e ulcerazioni. Si hanno
anche lesioni vascolari che possono portare enterorragia e/o perforazione della parete.

La diagnosi nella prima settimana si può avere per emocoltura. Nella seconda settimana si possono
cercare gli anticorpi nel siero. Nella terza e quarta settimana si può effettuare coprocoltura (analisi
delle feci) e urinocoltura.

Epidemiologia
La febbre tifoide è endemica in tutto il mondo. Le regioni ad endemia più elevata sono i paesi in via di
sviluppo. A livello mondiale si calcolano 21 milioni di casi/anno con 200.000 decessi. Le aree a
maggior rischio sono quelle tropicali: Africa settentrionale, Papua Nuova Guinea, Indonesia e Haiti. In
Europa la morbosità è in netta regressione nell’ultimo decennio. Nel 2005 sono stati riportati in 26
paesi europei solamente 1364 casi. L’origine probabile di questi casi erano i viaggi all’estero. L’Europa
dell’Est è ancora considerata una zona a rischio. La morbosità negli ultimi anni è di 0,03/100.000
abitanti. L’Italia ha un valore di morbosità più alto, di 1/100.000, con una maggiore frequenza al Sud e
nelle Isole. I casi sono comunque in decrescita. La Campania è la regione colpita più frequentemente,
seguita da Puglia, Basilicata e Lazio. La sorgente di infezione è solo l’uomo: malato, portatore sano,
convalescente e cronico (cronicizza 1-5% dei casi). La trasmissione abbiamo detto essere fecale-orale
tramite: veicoli, acqua, alimenti (frutti di mare, ortaggi), e vettori (mosche). In passato si presentava
principalmente durante l’estate e l’autunno mentre oggi è presente durante tutto l’anno. Tutte le età
sono colpite ma le fasce sotto i 2 anni, e tra i 5 e i 19 anni sono maggiormente colpite.
Profilassi
Indiretta (ambientale) e diretta (specifica). La profilassi indiretta si basa sul controllo della produzione
e distribuzione di alimenti (in particolare frutti di mare), sul controllo della potabilità dell’acqua (e sua
disponibilità), sul trattamento dei liquami fognari, sul controllo delle acque di balneazione e sulla lotta
ai vettori. La profilassi indiretta include anche l’educazione sanitaria e il rispetto delle norme igieniche
individuali, soprattutto per chi manipola derrate alimentari, assiste malati, bambini e anziani, e
prepara o serve cibi.
La profilassi diretta si basa su: denuncia (di classe II), isolamento (enterico), accertamento diagnostico
(per verificare guarigione batteriologica, su campioni di feci), inchiesta epidemiologica (ricerca della
sorgente di infezione e dei portatori), disinfezione (continua e terminale), disinfestazione (di vettori) e
l’immunoprofilassi. L’isolamento enterico si applica per patologie a trasmissione oro-fecale. Consiste
in una serie di precauzioni: stanza singola solo se il livello igienico del paziente è scarso; non sono
indicate le maschere; importante l’uso dei guanti. È inoltre previsto l’allontanamento dall’attività
lavorativa se il malato lavora in ambito alimentare o nell’assistenza sanitaria. L’isolamento è previsto
fino a risultato negativo di 3 coprocolture (fatte a 24h di distanza fra di loro) dopo la sospensione
degli antibiotici da almeno 48h.
Sono disponibili diversi vaccini. Un vaccino inattivato parenterale non più utilizzato. Il vaccino Tifo-
paratifo (parenterale) è anch’esso vecchio ma ancora utilizzato. I vaccini più usati oggi sono: Ty21a
(attenuato, orale) e il vaccino a componente Vi (antigene capsulare, parenterale).
Il ceppo Ty21a è un mutante stabile di S. typhi (nel vaccino vengono inseriti 1000 batteri Ty21a), privo
di un enzima che lo rende incapace di incorporare il galattosio nel LPS della parete. Il ceppo risulta
quindi apatogeno e non immunizzante. In ambiente ricco di galattosio riesce comunque ad
incorporarlo nella parete con stimolazione immunitaria. Il galattosio non può però essere
metabolizzato per mancanza dell’enzima e, acculandosi dentro la cellula, provoca l’auto-lisi. La forma
infettante quindi non viene liberata nell’ambiente dato che si distrugge. La somministrazione è orale,
mediante 3 capsule a giorni alterni 1 ora prima del pasto. Porta allo sviluppo di immunità cellulare e
locale per almeno 3 anni, con un efficacia del 87%. In zone endemiche a distanza di un anno l’efficacia
è ancora al 100%, mentre dopo due del 95%. Può essere utilizzato post-contagio nei conviventi dei
portatori cronici. La vaccinazione in seguito al contatto con casi conclamati ha un’efficacia limitata. La
chemioprofilassi antimalarica (i paesi endemici per la febbre tifoide lo sono spesso anche per la
malaria) non può essere iniziata prima di 3 giorni dall’ultima assunzione del vaccino. Non deve inoltre
essere somministrato fino a 3 giorni dopo trattamento con antibiotici e sulfamidici dato che si tratta
di un vaccino vivo.
Il vaccino a componente Vi (parenterale) ha un’efficacia dell’85% e porta allo sviluppo di immunità
umorale. L’immunità ha una durata di almeno 3 anni. Il vaccino ha una buona tollerabilità.
La vaccinazione è indicata per: viaggiatori in aree endemiche; personale di assistenza ed addetti ai
servizi di cucina, disinfezione, lavanderia e pulizia di ospedali e case di cura; personale addetto al
trasporto di malati; personale addetto alla raccolta e allo smercio di latte e ai servizi di
approvvigionamento idrico; personale addetto alla raccolta e smaltimento dei rifiuti.
Oggi l’igiene degli alimenti è affidata alle regioni che in gran parte hanno sostituito il libretto sanitario
(che prevedeva coprocoltura periodica e altri esami per gli addetti del settore alimentare) con corsi di
formazione di educazione sanitaria.

HPV
Nel 1995 l’OMS dichiara ufficialmente il papillomavirus umano come agente cancerogeno. È la più
comune infezione a trasmissione sessuale. Il virus si replica nelle cellule dell’epidermide, cute e
mucose. L’acido nucleico è stato riscontrato nel 97-99% dei tumori alla cervice uterina. Il 50-80% dei
soggetti sessualmente attivi si infetta nel corso della vita con un HPV e oltre il 50% con un HPV
oncogeno. Nel 60-80% dei casi si tratta di infezioni transitorie (guariscono in 16-24 mesi). Nel 20% dei
casi l’infezione può persistere e progredire verso il carcinoma. Il carcinoma della cervice uterina è
quindi un esito raro di un’infezione comune. Per ogni milione di donne infettate con un HPV: 100.000
svilupperanno un’anomalia citologica cervicale, 8.000 svilupperanno un CIN III (carcinoma in situ), e
1.600 svilupperanno un cancro del collo dell’utero. HPV non è associato solo al tumore della cervice
uterina ma anche ad altri carcinomi (non solo nelle donne). Più del 90% dei condilomi genitali, e tutti i
casi di Papillomatosi respiratoria ricorrente (RRP) sono causati da HPV 6 e 11.

Si tratta di un piccolo virus a DNA (55nm di diametro). Presenta un capside formato da 72 capsomeri
disposti a pentagono senza involucro esterno. Il genoma è circolare a doppia elica. Si conoscono 100-
200 tipi diversi di cui circa 80 infettano l’uomo. Di questi solo 40 sono in grado di infettare l’epitelio
della mucosa genitale. Gli HPV cancerogeni sono appartenenti al gruppo 1. Di questo gruppo i più
rilevanti sono HPV 16 e 18, associati alla maggioranza dei casi di carcinoma della cervice uterina. Gli
HPV potenziamele cancerogeni sono appartenenti al gruppo 2B, di cui HPV 6 e 11 sono i più rilevanti.
L’evoluzione dell’infezione è fortemente condizionata dall’equilibrio che si instaura tra ospite e virus.
Esistono 3 possibilità di evoluzione:

• Regressione: 60-80% delle infezioni è transitoria e si autorisolve.


• Persistenza: è condizione necessaria per l’evoluzione verso il carcinoma. Il tempo necessario
per l’insorgenza di lesioni precancerose è di circa 5 anni.
• Progressione: latenza per l’insorgenza del carcinoma di alcuni decenni (20-40 anni).

L’infezione da HPV è necessaria per lo sviluppo del cervico carcinoma (CA) ma vi sono anche
importanti cofattori come: fumo di sigaretta, uso prolungato di contraccettivi orali, coinfezione da
HIV, elevata parità (numero di gravidanze con parto naturale).

Epidemiologia
Infezione presente in tutto il mondo. La riserva di infezione è rappresentata dall’uomo. La
trasmissione avviene per contatto diretto solitamente sessuale. La contagiosità si ritiene essere
elevata ma non si hanno dei dati certi. Il tumore della cervice uterina è il tumore più frequente nel
sesso femminile. La maggior parte dei casi registrati al mondo sono nei paesi in via di sviluppo. HPV 16
e 18 sono responsabili di più del 70% dei casi di carcinoma. Questi due insieme ad HPV 45 e 31 sono
responsabili del 90% dei casi di adenocarcinoma della cervice uterina.
HPV infetta le cellule dell’epitelio basale della cervice uterina a seguito di contatto o microtraumi.
L’infezione si impianta entro alcune ore dal contatto. I fattori di rischio più importanti
nell’acquisizione dell’infezione sono giovane età e alto numero di partner sessuali. Può molto
raramente verificarsi infezione perinatale da madre infetta a neonato.

Prevenzione
Primaria e secondaria. La primaria è basata sulla vaccinazione ed educazione sanitaria. La secondaria
(post-infezione) su screening con Pap-test e HPV-test.

HPV ha due proteine capsidiche, L1 ed L2. I vaccini per HPV (disponibili dal 2007) sfruttano la proteina
capsidica L1 dato che è più immunogena. Questa viene prodotta mediante la tecnologia del DNA
ricombinante e si autoassembla in particelle simil-virali (VLP). Queste non sono né infettanti né
oncogene dato che non contengono il genoma. L’immunità anticorpo-mediata contro L1 è tipo-
specifica (immunità solo contro il sierotipo infettante). Anticorpi prodotti contro VLPs-L1 proteggono
contro l’infezione e la malattia. La protezione si ritiene sia legata alla presenza di anticorpi a livello
mucosale per trasudazione di IgG dal siero alle secrezioni cervico-vaginali. Lo scopo primario del
vaccino è la prevenzione del cervico carcinoma. Lo scopo secondario è la prevenzione dell’infezione
persistente da HPV e delle lesioni correlate.
Sono disponibili 3 vaccini: i primi due sono stati il quadrivalente e il bivalente. Nel 2016 è stato messo
a punto il 9-valente. Il quadrivalente contiene L1 dei genotipi 6, 11, 16 e 18 ottenute con la tecnica del
DNA ricombinante (in Saccharomyces cerevisiae). Presenta idrossido di alluminio amorfo come
adiuvante. Il bivalente contiene L1 dei genotipi 16 e 18, ottenute con la tecnica del DNA ricombinante
(con sistema di espressione Baculovirus). Utilizza AS04 come adiuvante. Il 9-valente contiene le
proteine L1 dei genotipi 6, 11, 16, 18, 31, 33, 45, 52 e 58, ottenute con la tecnica del DNA
ricombinante e adiuvato con idrossido d’alluminio amorfo.
Sono tutti vaccini sicuri e mostrano un’elevata efficacia nel prevenire le infezioni e le lesioni
precancerose. Sono stati dimostrati essere efficaci in donne adulte di età compresa tra i 16 e i 26 anni
e immunogeni in bambine ed adolescenti di età compresa tra i 9 e i 15 anni. Ulteriori studi hanno
evidenziato un’efficacia accettabile anche in donne di età superiore (46 anni e su).
Il vaccino è gratuito per le bambine nel dodicesimo anno di età ed è consigliato il recupero a 18 o 25
anni per le donne HPV negative (nessuno contatto con qualunque tipo di HPV). Il piano nazionale
vaccinazioni 2012-2014 prevedeva di raggiungere coperture vaccinali maggiori del 70% per le
dodicenni a partire dalla coorte 2001, dell’80% per la coorte 2002 e del 95% per la coorte dal 2003. Il
piano 2017-2019 ha introdotto la vaccinazione per i dodicenni anche maschi con inizio della chiamata
attiva per la coorte del 2006.

La vaccinazione non sostituisce l’abituale screening oncologico del collo dell’utero (pap-test) dato
che la durata della protezione conferita dal vaccino non è ancora completamente nota.
Vaccinazione e screening non sono da considerare interventi alternativi in quanto:

• L’impatto della vaccinazione sull’incidenza del tumore sarà progressivamente apprezzabile


solamente dopo un periodo di almeno 10 anni in seguito all’attuazione di estesi programmi
vaccinali.
• I vaccini disponibili non prevengono tutti i casi di carcinoma cervicale (come quelli associati a
genotipi non contenuti nel vaccino).
• Necessità di adeguamento dello screening in rapporto all’impatto della vaccinazione
sull’epidemiologia del CA.
Il pap-test è uno screening citologico cervicale che consente di identificare le lesioni precancerose ed
intervenire prima che evolvano in carcinoma. Lo screening può essere di tipo opportunistico o
organizzato. Per organizzato si intende offerto gratuitamente a tutte le donne di età compresa tra 25
e 64 anni (eseguito ogni 3 anni). Se positivo si segue con una colposcopia o biopsia. Opportunistico si
effettua su suggerimento del medico o di propria volontà.
In Italia il pap-test viene eseguito dal 2001 nelle donne fra 25 e 64 anni con cadenza ogni 3 anni. Si
ritiene che con queste modalità sia possibile ridurre il numero di casi di tumore cervicale del 70%.
Secondo il sistema di sorveglianza Passi, il 78,7% delle donne intervistate ha eseguito un pap-test nei
3 anni precedenti: il 41,7% nell’ambito di programmi organizzati e il 36,5% su iniziativa personale.
Oggi è presente un test chiamato HPV-test in grado di rilevare il DNA di HPV sulla superficie del collo
dell’utero, quindi la presenza dell’infezione e non di lesioni precancerose come nel pap-test,
anticipando ulteriormente la diagnosi. Si ha così la possibilità di utilizzare HPV-test come indagine di
primo livello sostituendo il pap-test. Attualmente dai 25 ai 29 anni si effettua il pap-test ogni 3 anni,
mentre dai 30 ai 64 anni si effettua HPV-test ogni 5 anni.

Considerando le patologie extra-cervicali, il cancro HPV-correlato ha un impatto su entrambi i sessi


ma maggiore nelle donne con rapporto 4:1. Il rapporto di tumori correlati ai tipi HPV 16/18 è invece di
2:1.
1

Sorveglianza epidemiologica delle infezioni correlate all’assistenza


Questo argomento è importante sia dal punto di vista sanitario, sia da quello socioeconomico. Interessa
tutti gli utenti che si occupano di aspetti di sanità.

Per infezione acquisita in ospedale si intendeva in passato:

un’infezione contratta durante il ricovero in ospedale, che non era manifesta clinicamente né in
incubazione al momento dell’ammissione nella struttura, ma che compare durante o dopo il ricovero e da
questo è determinata. Le infezioni acquisite in ospedale comprendono anche le infezioni a cui va incontro il
personale ospedaliero in quanto in rapporto con i malati durante l’assistenza. L’infezione va distinta dalla
colonizzazione, definita come la moltiplicazione a livello locale dei microrganismi senza apparenti reazioni
tissutali o sintomi clinici.

L’infezione in ambiente sanitario va distinta anche dall’infezione comunitaria: per infezioni comunitarie si
intendono infezioni già clinicamente manifeste o in incubazione al momento del ricovero in ospedale.

Al giorno d’oggi il termine di “infezione ospedaliera” (I.O.) si è modificato e comprende sia sul piano
scientifico sia operativo un campo più vasto che
include tutte le infezioni riconducibili a momenti
assistenziali, anche non strettamente ospedalieri, e
la prevenzione del rischio biologico per il personale
sanitario. Anche il nome stesso è cambiato,
passando da infezione ospedaliera ad “infezioni
legate all’assistenza” (I.C.A.)

Qualunque operatore in un ambiente in cui si tratta


la salute è soggetto alle I.C.A. , fra questi ambienti
troviamo altre sedi oltre agli ospedali, come: case
protette, centri di riabilitazione, ambulatori e
lungodegenze.

Aspetti eziologici
Le infezioni possono essere sostenute da

• agenti patogeni tradizionali (virus influenzale in inverno, epatite, salmonelle, stafilococchi, emofili,
etc …)
• agenti opportunisti, ovvero tutti quei microrganismi che aggrediscono l’ospite solo quando si
determinano condizioni tali da consentire il loro impianto in distretti normalmente sterili e/o
quando si verifica una diminuzione a vario livello delle difese dell’ospite (Legionella pneumophila,
Pseudomonas aeruginosa). Gli opportunisti possono provenire dall’esterno oppure possono essere
parte del microbiota.

Classificazione
Le infezioni legate all’assistenza si possono classificare in base a:

Provenienza dell’agente eziologico


• Endogene: se l’infezione è sostenuta da un microrganismo già presente nel corpo dell’ospite
sottoforma di commensale abituale non patogeno ma che ha acquisito patogenicità e virulenza
a causa dell’abbassamento delle difese.
2

• Esogene: quando il microrganismo arriva dall’esterno, in particolare può essere trasmesso da


uomo a uomo oppure essere presente nell’ambiente ospedaliero. La trasmissione può
avvenire mediante due modalità:
• Contatto diretto: se il paziente viene a contatto con materiali biologici di un altro
paziente (gocce di saliva, sangue, ecc …).
• Contatto indiretto: se il microrganismo, tramite via aerea (nebulizzatori, aria
condizionata, polveri, droplets, ecc …) o un veicolo (endoscopi, strumenti chirurgici,
mani di operatori, vestiario, alimenti, ecc …) viene trasportato fino al paziente. I veicoli
possibili in ambito ospedaliero sono molteplici: aria, acqua, superfici, alimenti, dispositivi
medici, farmaci, disinfettanti e medicamenti.
In ambito sanitario un veicolo incredibile è costituito dalle mani degli operatori sanitari,
sulle quali colonizzano un numero ed una varietà non indifferente di patogeni, questo
perché questi operatori operano in un ambiente ricco di microrganismi. L’importanza del
veicolo delle mani è sottolineata dal fatto che la misura più importante di controllo delle
I.C.A. si basa sul lavaggio frequente delle mani.

I patogeni responsabili di I.C.A. sono nel 70% dei casi resistenti a uno o più antibiotici, essi sono definiti
MDRO (multi drug resistant organism). Alcuni ceppi contengono l’informazione circa la loro resistenza già
nel loro nome (Staphylococcus aureus meticillino-resistente, MRSA) anche se nulla toglie che essi possano
essere resistenti a più di un farmaco.

Fattori favorenti l’incremento delle infezioni legate all’assistenza

• Uso di metodiche diagnostiche sempre più invasive


• Invecchiamento della popolazione
• Amplificazione della popolazione microbica endogena resistente per uso/abuso di farmaci
• Riserve ambientali di patogeni non ancora individuate
• Mancata applicazione delle misure preventive

Fattori di rischio per le infezioni legate all’assistenza

• Fattori intrinseci associati alle condizioni del paziente


• Fattori estrinseci associati a:
• procedure invasive e assistenziali
• mancata adozione delle misure generali di prevenzione
• caratteristiche organizzative dell’ospedale: durata della degenza, carenza del personale,
mancanza di informazione e formazione del personale ospedaliero e norme
comportamentali.

Prevenzione delle infezioni legate all’assistenza

Le I.C.A. appartengono alle maggiori problematiche infettive in Europa, insieme alle infezioni da HIV,
tubercolosi, infezioni pneumococciche e l’influenza. Per prevenire questa diffusione di I.C.A. è opportuno
adottare una corretta applicazione delle precauzioni standard, ovvero quell’insieme di precauzioni che
hanno lo scopo di ridurre il rischio di trasmissione delle infezioni in ambito assistenziale, esse si basano sul
principio che sangue, liquidi biologici, escrezioni, secrezioni, cute non integra e membrane mucose possono
contenere agenti infettivi trasmissibili. Ogni paziente va considerato come potenziale portatore di infezioni,
quindi le precauzioni standard vanno applicate a ogni paziente.
3

Le infezioni correlate all’assistenza sono un evento purtroppo frequente, che comporta un elevato impatto
economico (costi), tuttavia si tratta di eventi prevenibili ed evitabili tramite l’adozione di misure di provata
efficacia.

Secondo il report 2011-2012, su un totale di oltre 200.000 pazienti circa 14.000 (6%) presentavano almeno
un’infezione nel giorno della sorveglianza ospedaliera, di questi il 92,3% presentavano un’infezione, il 7%
presentavano due infezioni e lo 0,7% presentava tre o più infezioni.

La prevalenza nei pazienti con almeno un’infezione in Europa variava dal 2,3% in Lettonia al 10% in
Portogallo, l’Italia si colloca in mezzo ai due valori con un 6,3% di prevalenza di I.C.A.

Infezioni correlate all’assistenza nelle strutture ospedaliere

In Italia sono stimate da 450.000 a 700.000 infezioni annue, questi si traducono in 4500-7000 morti l’anno.

In UE ci sono 5 milioni di infezioni annue con 50.000 morti l’anno.

Vi sono anche studi dove si afferma come la proporzione di infezione nosocomiali prevedibili può essere
ben più ampia di quelle che oggi si prevedono, è stato stabilito un range dal 10 al 70%. Per qualsiasi azione
bisogna predisporre delle misure per conoscere il problema per poi risolverlo.

La sorveglianza epidemiologica è importante e deve essere realizzata attraverso una collezione ed analisi
sistematica, interpretando i dati essenziali per la pianificazione, implementazione e valutazione della
pratica di salute pubblica, strettamente integrata con la rapida diffusione di dati a chi necessita di
conoscerli (strutture sanitarie).

La sorveglianza è quindi un processo circolare, la sorveglianza parte dai centri dove si trovano i malati per
poi ritornare agli stessi insieme alla conoscenza che aiuti nella prevenzione.

Ignaz Semmelweis (1815-1865)

Lavorando all’ospedale di Vienna individuò il problema dei morti per infezioni postparto in una delle due
cliniche condotta da medici e studenti di medicina, mentre nell’altra clinica, condotta da ostetriche, il
numero di morti era visibilmente più contenuto.

Semmelweis intuì che il danno alle partorenti in termini di infezioni era dovuto alle altre attività di medici e
studenti, i quali a volte prima di andare in sala parto facevano altre attività, fra queste vi era anche quella di
esaminare i cadaveri, portandosi dietro il corredo di patogeni che vi erano nei corpi dei morti anche in sala
parto.

Semmelweis inserì come pratica quella del lavaggio delle mani con cloruro di calcio prima di affrontare le
partorienti, questo condusse all’abbassamento netto del tasso di morti nel reparto con i medici e gli
studenti, il quale ora era del tutto comparabile a quello delle ostetriche.

Molti studi del passato e contemporanei hanno evidenziato come le incidenze di infezioni siano
nettamente minori negli ambienti in cui si effettuino controlli.

Obiettivi di un sistema di sorveglianza delle I.C.A.

• identificare un problema che richieda un intervento (i punti critici)


• sensibilizzare e coinvolgere gli operatori
• Valutare l’efficacia delle misure di controllo attuate
• Soddisfare le norme
• Supportare con dati oggettivi la necessità di risorse aggiuntive, la formazione e l’aggiornamento
• Formulare ipotesi per specifiche attività di ricerca
4

Circolare Ministero della Sanità n. 52/1985: Lotta contro le infezioni ospedaliere

• La sorveglianza: è l’azione di gran lunga più efficace nel controllo delle infezioni ospedaliere, essa è
intesa come l’analisi dei dati raccolti continuamente e l’applicazione di misure di controllo e
valutazione dell’efficacia delle stesse.
• Allo scopo di assicurare un’operatività continua in materia di infezione ospedaliera è necessario che
ogni presidio ospedaliero venga istituita una commissione tecnica responsabile della lotta contro le
infezioni
• La necessità di un’infermiera addetta al controllo delle infezioni. E’ una figura fondamentale pe la
sorveglianza delle infezioni ospedaliere, è una figura professionale con una certa esperienza
consolidata nel lavoro di reparto e coinvolta nel programma di controllo.

Funzioni dell’infermiera addetta al controllo delle infezioni

• Sorveglianza delle infezioni ospedaliere (rilevazione dei dati, analisi periodica e indagini di eventi
epidemici)
• Educazione ed insegnamento nei confronti del personale di assistenza
• Svolgere il collegamento fra il comitato per le infezioni ospedaliere (C.I.O.) e le diverse aree
ospedaliere (controllo dell’applicazione delle misure decise).
• Modificazione del comportamento del personale di assistenza

Circolare Ministero della Sanità n. 8/1988 Lotta


contro le infezioni ospedaliere: la sorveglianza

Come già detto nella precedente circolare è


necessario avviare la sorveglianza così da monitorare
l’andamento del fenomeno ed identificare le aree
prioritarie d’intervento e valutare le misure di
controllo adottate.

La circolare si propone di delineare alcuni aspetti


chiave per l’avvio di un sistema di sorveglianza e
suggerire i diversi approcci possibili a questo
problema.

Indagine nazionale sulla diffusione dei programmi di sorveglianza e controllo delle infezioni ospedaliere

Effettuata nel 1988, ha avuto una rispondenza del 34,2%, ha evidenziato come solo il 14,2% degli ospedali
avesse attivato il comitato, l’11,5% si fosse dotato di un referente medico e l’8% di una figura
infermieristica dedicata.

Il 9,8% aveva dichiarato di aver attivato un sistema di sorveglianza continuativa e la diffusione dei comitati
di controllo, delle figure dedicate, delle attività di sorveglianza e della definizione dei protocolli aumentava
in modo significativo all’aumentare delle dimensioni dell’ospedale.

Piano sanitario nazionale 1998/2000

Secondo questo piano, l’incidenza delle infezioni ospedaliere dovrà ridursi in questo biennio di almeno il
25%, con particolare riguardo a infezioni delle vie urinarie, infezioni della ferita chirurgica, polmoniti
postoperatorie o associate a ventilazione assistita e infezioni associate a cateteri intravascolari.
5

Diffusione dei programmi di controllo delle infezioni ospedaliere per dimensioni dell’ospedale (pubblico)

Osservando ai dati circa la presenza di un C.I.O., di un referente medico dedicato e di una infermiera
dedicata, possiamo denotare che le figure professionali richieste erano ancora troppo poche. In generale le
strutture più grandi sono quelle più sorvegliate

Anche in questa seconda tabella le strutture più grandi sono quelle più sorvegliate mediamente.

Dal punto di vista della sorveglianza vi sono molte differenze fra regioni, mancano i dati sulle infezioni a
livello nazionale e mancano linee guida condivise a livello nazionale. I dati inoltre sono poco omogenei e
non comparabili.

L’obiettivo principale è quello di creare un database per comparare i tassi di infezioni nosocomiali nei paesi
dell’UE, per questo sono nati diversi progetti di sorveglianza come HELICS, istituito il 24 settembre ’98
consta di una rete di collegamenti per il controllo e
la sorveglianza delle malattie ospedaliere. All’inizio
l’Italia non prese parte al progetto HELICS, ma si
inserì in un secondo momento.

Indice di rischio di infezione

Secondo l’NNIS (sorveglianza nazionale di infezioni


nosocomiali) l’indice di rischio di infezione è dato
da:

• Classe di contaminazione dell’intervento.


L’intervento infatti può essere classificato
6

in diverse classi (a lato). Il rischio di infezione della


ferita chirurgica è dato dalla formula:
𝐶𝑎𝑟𝑖𝑐𝑎 𝑚𝑖𝑐𝑟𝑜𝑏𝑖𝑐𝑎 ∗ 𝑣𝑖𝑟𝑢𝑙𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑑𝑒𝑙 𝑝𝑎𝑡𝑜𝑔𝑒𝑛𝑜
𝑅𝑒𝑠𝑖𝑠𝑡𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑑𝑒𝑙 𝑝𝑎𝑧𝑖𝑒𝑛𝑡𝑒

• Punteggio ASA: va in numeri arabi da 1 a 5 e si


basa sulla condizione fisica del paziente
• Durata dell’intervento

Al fine del calcolo dell’indice di rischio di infezione viene considerato:

Il valore dell’indice può andare quindi da 0 a 3.

L’intervento può prevedere un’incisione superficiale (cute e sottocute), un’incisione media, un’incisione
profonda e infine può toccare organi profondi.

(la prof legge le slide)


7

Indicatori per la sorveglianza delle infezioni a seconda della regione di ricovero dei pazienti

Progetto INF-OSS (Prevenzione e controllo delle infezioni associate all’assistenza sanitaria e sociosanitaria)

Contemporaneamente si sono sviluppati diversi network per la sorveglianza

Secondo il report 2011-2012, su un totale di oltre 200.000 pazienti circa 14.000 (6%) presentavano almeno
un’infezione nel giorno della sorveglianza ospedaliera, di questi il 92,3% presentavano un’infezione, il 7%
presentavano due infezioni e lo 0,7% presentava tre o più infezioni.

Studio del CCM di prevalenza europea su infezioni correlate all’assistenza e uso di antibiotici negli
ospedali per acuti

Sono stati studiati:

La dimostrazione che non si può fare sorveglianza delle


infezioni associate all’assistenza se non attraverso un team
multidisciplinare, sono necessarie molte figure formate e
validate. Nel corso degli anni le figure sono diventate
sempre di più ad affiancare il medico nel suo lavoro.
8

Ambiente e salute: acqua e ciclo idrico


Tra le varie matrici ambientali e quindi di interesse umano oltre che sanitario, l’acqua rappresenta
certamente uno dei più importanti se non il più importante.

L’acqua è un patrimonio dell’umanità da tutelare in quanto risorsa esauribile di alto valore ambientale,
culturale ed economico. E’ riconosciuto l’accesso all’acqua quale diritto umano, individuale e collettivo. Le
istituzioni ne regolamentano l’uso al fine di salvaguardare i diritti e le aspettative delle generazioni future.

La disponibilità di acqua potabile sul pianeta

Noi abbiamo bisogno di acqua come quantità che


soddisfi la popolazione del pianeta, e come
qualità, ossia che non comporti problemi per la
salute. Per quanto riguarda la quantità, l’acqua
sul pianeta è distribuita in maniera disomogenea,
i paesi più sviluppati ne dispongono molta di più.
Facendo la media fra paesi sottosviluppati e
sviluppati, risulta che la disponibilità media di
acqua del mondo intero è circa del 50%, ovvero una persona su due ha accesso garantito all’acqua.

(la prof legge la slide)

L’uomo adulto necessita di 2L e mezzo di acqua al giorno per ripristinare la perdita idrica di urine, feci,
sudore, respirazione.

Questa poca disponibilità di acqua è dovuta ad una contaminazione antropica, ovvero da parte delle attività
umane, che ha comportato e comporta tutt’ora l’impoverimento delle fonti di approvvigionamento.

Quest’impoverimento è legato da un lato all’aumento della richiesta di acqua (agricoltura, zootecnia,


industria, uso domestico, usi igienico sanitari), dall’altro per l’aumento di contaminazione da parte dei
rifiuti (solidi e liquidi) che vengono riversati nelle acque. La contaminazione richiede la depurazione ma in
alcuni casi l’acqua è irrecuperabile.
9

Per disporre di un valido approvvigionamento idrico dobbiamo superare numerosi problemi:

• Economici
• Tecnici: necessità di costruire strutture per realizzare e mantenere una qualità ottimale dell’acqua
• Igienici:
• Quantità: Disponibile in quantità sufficiente al fabbisogno individuale
• Qualità: Gradevole, priva di agenti biologici dannosi e sostanze tossiche

Oggi nel mondo 1.5 miliardi di persone non hanno accesso all’acqua potabile, questo anche dovuto al fatto
che i sistemi di erogazione dell’acqua a volte non sono efficienti o sono assenti. La quantità di acqua dolce
pro capite è scesa da 17.000 m3 nel 1950 a 7.500 m3 nel 1995.

Il fabbisogno idrico dipende da:

Industria e agricoltura sono


gli ambiti della società
umana che consumano più
acqua in assoluto.

L’acqua sprecata nella nostra società è da imputare ai seguenti motivi:

Sistemi inefficienti come


l’irrigazione a pioggia quando
fa caldo, dove le goccioline di
acqua evaporano ancora prima
di arrivare al suolo

Classificazione dei corpi idrici

• Falde acquifere sotterranee:


- Permanenti
- Non permanenti (stagionali)

Le caratteristiche delle falde acquifere sotterranee sono relazionabili allo strato di terreno attraversato:

- Terreni compatti: danno una migliore qualità di acqua in termini igienici, poiché sono ottimi
filtranti.
- Terreni sciolti

Le caratteristiche delle falde acquifere sotterranee sono relazionabili anche in base alla profondità
raggiunta:
10

- Falde superficiali (o freatiche)


- Falde profonde

Aspetti epidemiologici

Dal punto di vista epidemiologico, le acque telluriche (del sottosuolo) sono contenute in:

• Falde freatiche: sempre contaminate (poco protette poiché poco profonde)


• Falde profonde: protette, ma non impossibili da contaminare infatti si possono verificare
contaminazioni in queste falde quando vi sono irrazionali sistemi di smaltimento dei liquami ed
irrazionale ed incontrollata apertura
dei pozzi, aprendo così una
connessione fra acque profonde e
superficiali. Inoltre, bisogna
considerare che le acque profonde
possono essere intaccate per
contaminazione del conoide
alluvionale: se noi abbiamo
un’industria che espelle fluidi
all’interno di un cono alluvionale,
l’intero cono verrà contaminato,
anche nelle sue regioni profonde
poiché contaminato all’origine (foto
a lato). I pozzi esauriti poi purtroppo
possono essere utilizzati come discariche che naturalmente contaminano il sottosuolo.

(la prof legge la slide in più aggiunge:)

Per captazione si intende il prelievo di


acqua per l’utilizzo delle attività umane.

L’acqua di mare viene privata del sale e


deve essere captata lontano dalle
spiagge

Acque meteoriche= La parte delle acque


di una precipitazione atmosferica che,
non assorbita o evaporata, dilava le
superfici scolanti.

L’acqua meteorica viene utilizzata nelle


isole o in zone a scarsa piovosità.

Per definizione le acque di superficie sono considerate acque di drenaggio di una regione o di un territorio.
E’ praticamente impossibile che le acque di superficie non siano inquinate, il grado inquinamento varierà
per:

• tipo, composizione e volume degli scarichi


• natura e trattamento subito degli scarichi
• portata dei corpi idrici riceventi (tanto maggiore la portata tanto maggiore è la possibilità di
diluizione e quindi la possibilità del corpo idrico di sopperire alla contaminazione)
11

Acque condottate e possibili problemi

Tubature a poca profondità possono


subire fissurazioni per via (per
esempio) di una strada che ci sta
sopra

Definizioni di acqua

Le acque destinate ad uso umano


possono essere: di sorgente, di pozzo,
minerale, termale, acqua di rete.
12

Inquinamento delle acque

Acque acide o alcaline sciolgono lentamente il


piombo il quale arricchisce le contamina le acque,
così come lo zinco, eroso dal pH dell’acqua.

Requisiti di qualità delle acque

Criteri di potabilità

Ovvero quei criteri a cui deve rispondere l’acqua perché possa essere considerata potabile, essi sono:

• Criteri idrogeologici: si ottengono studiando il bacino idrico e delle falde da cui si origina l’acqua
• Criteri organolettici (colore, odore, sapore, limpidezza): determinano l’accettabilità
• Fisici (temperatura, pH, conducibilità): determinano la stabilità nel tempo dell’acqua. Un’acqua
profonda ha una temperatura costante, una concentrazione ionica costante e un pH costante, se
così è essa può essere definita protetta, che non risente della contaminazione superficiale.
• Microbiologici (assenza di patogeni)
• Chimici (assenza di sostanze chimiche pericolose)

Criteri di potabilità chimici

Sono indubbiamente i criteri più complessi, sono:

• L’acqua deve disporre di normali indici di mineralizzazione (solfati, cloruri, magnesio, calcio, ferro
manganese, non può essere bevuta se è distillata ma nemmeno se è calcarea con depositi solidi)
• Deve rispondere ai criteri di usabilità
• Non devono essere presenti componenti che possono recare danno alla salute se in eccesso o in
difetto
13

• Non devono essere presenti contaminanti tossici

Nell’acqua è poi presente un carico organico che conferisce una gradevolezza ed una certa usabilità
dell’acqua (ammoniaca e nitriti sono principalmente naturali e fosfati che sono principalmente di
inquinamento). Alcune sostanze tossiche sono presenti (mercurio, cadmio, cromo, idrocarburi policiclici
aromatici, cianuri ed antiparassitari).

I componenti che sono normalmente presenti in acqua ma che possono essere pericolosi per la salute se
presenti in concentrazioni alterate sono:

Criteri di potabilità microbiologici

I microrganismi presenti e ricercabili possono essere moltissimi (batteri, funghi, virus, protozoi ed elminti),
se dovessimo escludere la presenza di ogni patogeno per considerare l’acqua potabile allora non
riusciremmo a bere praticamente mai per via della lunghezza delle ricerche, dell’impossibilità di coltivare
alcuni microrganismi e per la presenza di “ondate”, ovvero fasi in cui il campione potrebbe essere assente e
dopo un’ora potrebbe essere presente, questo per via della periodicità degli scarichi nelle acque.

Per questi motivi non si ricercano i microbi ma degli indicatori ovvero batteri che ci indichino l’origine di
una contaminazione fecale, perché noi scegliamo batteri di facile identificazione che sono presenti nelle
feci umane o animali, e questi risultano essere presenti nelle acque, significa che quelle acque sono state
raggiunte da scarichi fognari.

La carica batterica deve essere verificata a due temperature 22° e 36° (temperatura tipica dell’acqua e
temperatura del corpo umano), se ci sono un numero normale di batteri a 22° e pochi batteri a 36° vuol
dire che in quell’acqua ci sono i batteri tipici dell’ambiente acquatico, se invece dal passaggio dai 22° ai 36°
la carica microbica aumenta, allora è probabile che siano di origine umana, poiché a 36° trovano condizioni
dell’ambiente favorevoli.

Vengono cercati poi specifici microrganismi: coliformi fecali (Escherichia coli) coliformi totali, streptococchi
fecali (contaminazione recente, poiché sopravvivono poco) e spore di clostridi solfitoriduttori
(contaminazione di vecchia data, poiché durano a lungo). Vengono poi condotte analisi specifiche in caso di
presenza di epidemie.

I difetti fisico chimici e microbiologici possono essere corretti

• Torbidità e colorazione possono essere corretti tramite filtri e chiaroflocculazione attraverso il


solfato di alluminio il quale ingloba le sostanze fastidiose facendole sedimentare.
• Il sapore e l’odore vengono corretti tramite solfato di rame
• La durezza può essere corretta tramite una resina calce-soda o tramite composti a scambio ionico
• Ferro, manganese e la quantità di sostanze organiche possono essere corrette tramite aerazione e
ossigenazione energica
• La dissalazione può essere effettuata tramite la distillazione a pressione ridotta, congelamento
separazione, elettroosmosi e osmosi inversa
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• La disinfezione degli agenti microbici può essere fatta attraverso mezzi fisici (calore, filtrazione,
raggi UV) e chimici (cloro, biossido di cloro e O3)

Disinfezione dei caratteri microbici

• Clorazione: è certamente il principale mezzo di disinfezione dell’acqua, si dice che unitamente ai


vaccini è stata la più grande scoperta medica della storia. Avviene aggiungendo cloro ad acqua,
nella quale si verifica la formazione di composti secondari che svolgono un’azione di ossidazione. Si
realizza attraverso clorazione semplice, superclorazione e clorazione al break-point.
• Ozonizzazione: consiste nel potere ossidante molto elevato dell’ozono, è un processo costoso ma
più veloce della clorazione e da dei grossi vantaggi in quanto elimina odori e sapori sgradevoli. A
differenza del cloro, non lascia una quota residua di composti nell’acqua ma produce elementi
secondari diversi a seconda della matrice dell’acqua. L’ozonizzazione avviene tramite il
mescolamento di ozono e acqua, l’ozono si produce tramite scariche elettrice in un ambiente ricco
di aria secca. Lo strumento che permette di creare l’ozono prende il nome di torre di ozonizzazione,
in più, data la poca solubilità dell’ozono in acqua, esso viene accuratamente mescolato in acqua e
forzato in essa per la disinfezione.
• Raggi ultravioletti: sono molto costosi e limitatamente utilizzabili, tuttavia sono perfetti per
l’igienizzazione

Per cloro attivo si intende quella percentuale di cloro prontamente disponibile in grado di produrre in
acqua HClO (agente disinfettante). Per cloro richiesta si intende la quantità minima di cloro necessaria per
ossidare le sostanze organiche presenti nell’acqua e lasciare cloro residuo attivo. Per cloro residuo si
intende la quantità di cloro rinvenuta nelle acque dopo 15-30’. Il cloro residuo viene diviso in:

• Attivo libero: cloro prontamente disponibile per l’ossidazione (HClO)


• Attivo combinato: cloro legato a composti organici (azione ossidante lenta)

Clorazione semplice

Come osservare la presenza di cloro residuo in acqua? Si considerano 100 mL di acqua in beuta, in ogni
beuta si aggiungono quantità crescenti di
cloro. Agitare la beuta per mescolare e
lasciare in contatto il cloro con l’acqua per
15-30’. In ogni recipiente si inserisce un
indicatore di ossidoriduzione (ortolidina).
Nelle prime beute la quantità di cloro che
abbiamo immesso non è sufficiente a
produrre cloro residuo. Dalla quarta beuta
in poi invece si osserva la colorazione del
marcatore, questo significa che il cloro
aggiunto ha permesso di ossidare tutte le
sostanze nell’acqua ed in più ne è
avanzato un po’. Questo ci permette di
capire che la clororichiesta è 0,4 mg/Litro.

Clorazione al Break-point

Con questa clorazione si misura la quantità di cloro che dobbiamo aggiungere all’acqua per arrivare alla
ossidazione di tutte le sostanze presenti, semplici e combinate. Se mettiamo cloro in acqua distillata e
misuriamo, vediamo che otteniamo che tanto cloro abbiamo immesso e tanto cloro ritroviamo (l’acqua
distillata non ha cloro richiesta perché non ha niente di ossidabile). Se invece mettiamo cloro in acqua che
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ha una cloro richiesta, le prime dosi di cloro non figureranno come cloro residuo attivo ma verranno
impiegate nell’ossidazione delle sostanze nell’acqua. Quando la quantità di cloro residuo attivo inizia a
crescere allora vuol dire che tutte le sostanze sono state ossidate dal cloro.

(la prof legge la slide)

Tipi di trattamenti sulla base del tipo di contaminazione

(la prof legge la slide)

Potabilizzazione dell’acqua

Il primo trattamento prevede


l’utilizzo del biossido di cloro, il
secondo trattamento prevede
l’aggiunta di ozono, poi
l’aggiunta di coagulanti per far
precipitare sostanze scomode
e patogeni. Successivamente
viene filtrata l’acqua
attraverso sabbia o carbone
attivo (o entrambi). Lo step
successivo è un’ulteriore
ozonizzazione, poi abbiamo
16

una clorazione ed una ionizzazione. Dopodichè l’acqua viene sollevata per essere messa in rete.

Servizio idrico integrato (SII)

Unico gestore a cui vengono ricondotte le competenze della gestione dell’approvvigionamento e dello
smaltimento delle acque reflue. Questo accentramento delle responsabilità serve per fare in modo che
l’ente abbia una visione più ampia possibile del problema. Ciò che il SII svolge è: captazione, adduzione,
distribuzione, fognatura e depurazione. Il territorio nazionale è suddiviso in ambiti territoriali con un unico
gestore (ATO), il quale applica una tariffa unica commisurata ai costi e agli investimenti.

I principali attori del sistema sono i cittadini che attraverso i comuni designano i regolatori (i vari ATO), ai
quali affidano il problema, i regolatori possiedono dei gestori che provvedono alla gestione del problema e
si preoccupano di contattare i fornitori, di manutenzione, di erogazione e di investimenti.

Gli investimenti vengono ripartiti al 46,7% agli acquedotti, il 19,5% alla depurazione e il 33,8% alle
fognature.

Secondo un recente decreto il gestore unico non può aumentare i prezzi dell’acqua in funzione di un
guadagno migliore per se stesso, ma semplicemente le tariffe sono determinate dall’adeguatezza della
remunerazione e dal capitale investito.

(la prof legge la slide)

L’inquinamento dell’acqua è definito come una variazione abnorme delle normali condizioni dell’acqua in
grado di causare danni all’uomo e all’ambiente, e nel caso dell’acqua si verifica quando in essa vengono
versate sostanze contaminanti di natura fisica di natura chimica e biologica, sia di origine naturale ed
antropica in grado di alterare gli equilibri naturali. Gli inquinanti che possono alterare la qualita dei corpi
idrici sono distinti in base all’origine in:

• Civili: detergenti, solventi (tetracoloroetilene), oli e grassi e contaminanti microbiologici


• Industriali: idrocarburi policiclici aromatici, ftalati, bisfenolo A, aldeidi, sostanze organiche
alogenato, idrocarburi alifatici, fenoli, metalli, diossine, furani e PBC.
• Agro zootecnici: nitrati, derivanti dei concimi azotati, fertilizzanti, fitofarmaci, insetticidi e
diserbanti (fra cui pesticidi), liquami e acque di lavaggio di zone animali (stalle, pollai, porcili) ricchi
di residui metabolici, ammoniaca e fosfati.
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Principali inquinanti presenti nell’acqua

(la prof legge la slide)

*metaemoglobinemia

Prima di essere distribuita l’acqua viene controllata, la frequenza dei controlli è stabilita in base:

1. Alla popolazione servita, tanto è maggiore la popolazione tanto è maggiore il numero di controlli
(poiché ad una popolazione
maggiore potrebbero
corrispondere più fonti per
approvvigionare tutti)
2. Alla funzione delle sorgenti di
approvvigionamento e al loro
grado di contaminazione

In grandi città i controlli vengono effettuati ogni giorno. Essi sono:

• C1: controllo minimo, esaminati alcuni parametri microbiologici e chimici


• C2: controllo normale, esaminati una serie di parametri microbiologici e chimici
• C2: controllo periodico, attuato a seconda delle esigenze dell’USL (condizioni epidemiologiche
particolari)
• C4: controllo occasionale, attuato in condizioni di epidemia

Quanti campioni di acqua vengono esaminati in ogni controllo? Lo si stabilisce in base alla complessità
dell’agglomerato urbano.

I decreti legge 31/2001 e 27/2002, stabiliscono e regolamentano la qualità delle acque potabili, ad esempio
gli indicatori microbiologici Escherichia coli ed Enterococchi devono avere un valore di 0/100. Sono inclusi
nel decreto anche indicatori chimici e fisici.

La normativa 152/06 ha introdotto il piano di tutela delle acque che rappresenta lo strumento di
pianificazione per realizzare gli obiettivi di tutela qualitativa e quantitativa dei bacini idrici (andamenti
temporali delle portate dei corsi d’acqua, delle portate e dei livelli piezometrici negli acquiferi sotterranei,
dei livelli idrici dei laghi, serbatoi, stagni. Il piano ha condotto alla creazione del ciclo idrico integrato:
insieme di servizi pubblici di captazione, distribuzione, collettamento, depurazione e smaltimento delle
acque reflue.
IGIENE DEGLI ALIMENTI
Gli alimenti sono importanti veicoli di diffusione di infezioni: più di 200 sono le malattie conosciute
trasmesse dagli alimenti. Queste malattie sono suddivise in due gruppi a seconda della sintomatologia
provocata:

• INFEZIONI: in questo caso l’alimento è uno dei veicoli di diffusione; non è un veicolo
esclusivo.
• TOSSINFEZIONI: in questo caso l’alimento è categoricamente veicolo esclusivo.
Negli ultimi anni sono nate una serie di problematiche nel campo delle malattie acquisite con gli alimenti,
date da fattori recenti come la Globalizzazione dell’offerta di derrate alimentari che provengono da
tutto il mondo. Queste derrate portano all’introduzione di patogeni in nuove aree geografiche e ciò
comporta l’esposizione della popolazione a “nuovi patogeni” in virtù anche di un aumentato flusso
migratorio.
Vi sono inoltre cambiamenti delle popolazioni microbiche in funzione della loro sopravvivenza come
anche cambiamenti nelle popolazioni umane che includono sempre più individui anziani, quindi più
fragili ed esposti a questi nuovi patogeni. Da includere anche i cambiamenti nello stile di vita, che ci
costringe ad almeno un pasto fuori casa in sistemi di catering/mense ecc…

INFEZIONI ALIMENTARI
Le infezioni alimentari sono caratterizzate da:

• Trasmissione mediante modalità diverse: non solo alimenti ma anche veicoli e scarsa igiene
• Carica microbica bassa o modesta: per infettare non necessitano di cariche microbiche elevate
• Agiscono sulla mucosa intestinale replicandosi in essa
• Prevedono numerose modalità di trasmissione: non solo con alimenti ma anche con acqua,
veicoli, oggetti e strumentario utilizzato per la preparazione/somministrazione degli alimenti,
vettori e contagio interumano.
Affinchè l’infezione si trasmetta,
questa deve partire da un alimento
contaminato da batteri vivi.
Se all’interno dell’alimento avviene
un’iniziale moltiplicazione batterica
prima del consumo, allora si
svilupperà una tossinfezione
alimentare (come quella tipica delle
Salmonelle minori).
Se non c’è moltiplicazione batterica
nell’alimento prima del consumo,
allora si avranno infezioni date da
agenti eziologici di malattia
conclamata come S.thyphi,
S.parathypi, Shigella, Vibrio colerae, HAV ecc…
Tutti questi agenti eziologici producono a livello intestinale un’infezione con conseguente danno della
parete intestinale. Ciò provoca due tipi di infezioni:
➢ INFEZIONE ENTEROTOSSICA: legata al Colera e alle Enteriti da E. coli
➢ INFEZIONE ENTEROINVASIVA: date da Leisteria e Shigella.

Le infezioni alimentari possono essere provocate da differenti agenti eziologici. Tra questi abbiamo:
-BATTERI:

• Salmonellosi
• Shigellosi
• Gastroenteriti provocate da E. coli, Yersinia enterocolitica, Campylobacter, Plesiomonas shigelloides
• Gastroenteriti da enterococchi (Streptococchi fecali)
• Infezioni da Vibrio spp.
• Infezioni da Aeromonas spp.
• Listeriosi
• Brucellosi
-VIRUS:

• Virus A dell’epatite
• Virus E dell’epatite
• Rotavirus
• Norwalk
• Noro
• Altri (Adenovirus, Parvovirus, Astrovirus, Calicivirus)
-PRIONI
-PROTOZOI E METAZOI

• Giardia Lamdia
• Entamoeba histolytica
• Cryptosporidium parvum
• Cyclospora cayetanensis
• Acanthamoeba (e altre amebe)
• Taenia saginata, T.solium
• Echinococcus
• Anisakis spp.
• Diphilla bothrium spp.
• Nanoohyetus spp..
• Eustrongyloides spp.
• Ascaris lumbricoides
• Entamoeba hystolytica
• Ecc..
Tra queste, è da citare:
GIARDIA LAMDIA
È un protozoo che vive a spese di animali domestici e mammiferi selvatici, da cui vengono eliminati
sottoforma di cisti mediante le feci. Le forme cistiche sono comunque molto resistenti, tant’è che
sopravvivono nell’ambiente anche più di 2 mesi, e proprio per questo sono difficili da eliminare con
agenti disinfettanti come il Cloro attivo, scarsamente efficace.
G.lamdia colonizza il duodeno e il digiuno grazie ad un disco adesivo presente nella sua parte ventrale.
La colonizzazione è spesso inapparente cioè non presenta forte sintomatologia clinica. Nonostante ciò,
determina la presenza di un grande numero di trofozoiti che ricoprono più o meno tutta la superficie
della mucosa, provocando un danno meccanico accompagnato da una perdita di attività enzimatica.
Ciò determina una difficoltà di assorbimento, causata da una modificazione dei microvilli ad opera del
protozoo.
Si manifesta clinicamente dopo 1-2 settimane con una sintomatologia caratterizzata da diarrea e dolori
addominali modesti ma persistenti; nei soggetti immucompromessi i sintomi sono molto più gravi.
Nei paesi sottosviluppati è forse la principale causa di infezioni diarroiche mentre nei paesi sviluppati ha
una diffusione modesta.

ROTAVIRUS
È un virus ad RNA lineare segmentato in 11 segmenti, racchiuso in un doppio strato capsidico. Se ne
conoscono 4 gruppi (A→E) di cui l’A è il più importante per l’uomo. Resiste ad un pH che varia da
3→10, al calore e agli enzimi proteolitici. Esistono numerosi ceppi animali e ceppi umani coltivabili. La
trasmissione del Rotavirus è fecale-orale e la stagionalità è tipica dei periodi invernali.
L’infezione è a carico dell’epitelio dei villi intestinali, dove l’enzima lattasi agisce da recettore, favorendo
lo svestimento del virus e quindi la penetrazione/replicazione all’interno delle cellule (che verranno
distrutte). Ciò porterà ad una diminuzione di lattasi e ad un aumento di lattosio non scisso e quindi non
assorbito. Si avrà un’elevata pressione osmotica con ritenzione di acqua e dunque stimolazione di
peristalsi. Questo giustifica la maggior frequenza e gravità di infezione nei bambini nei primi anni di vita
(6 mesi-2 anni) dato il loro epitelio intestinale non ancora del tutto sviluppato.
Rotavirus ha un periodo di incubazione di 24-48 h e si presenta con una sintomatologia caratterizzata da
diarrea acquosa e febbre modica (nel 50% dei casi). La guarigione è spontanea nei bambini in buona
salute e avviene nel corso di 1 settimana. Il decorso diventa grave invece in caso di malnutrizione. Negli
adulti la malattia è asintomatica ma può essere grave negli anziani istituzionalizzati.
Contro il Rotavirus esiste un efficace vaccino.
YERSINIA ENTEROCOLITICA
Si presenta con una sintomatologia differente a seconda dell’età:

LISTERIOSI
È un’infezione alimentare che si contrae in seguito all’ingestione di alimenti contaminati da Listeria
monocytogenes, un coccobacillo Gram+, asporigeno mobile. È un batterio ubiquitario: si trova
nell’acqua, nei rifiuti, nel suolo, negli animali da latte ecc…
È sensibile ai più comuni disinfettanti ma ha una spiccata psicotrofia, resistenza al freddo (sopravvive
fino a 1 °C). È invece molto sensibile alla pastorizzazione: una temperatura di 71°C per 15 s lo
uccidono.
L’infezione si manifesta sottoforma di meningiti, aborti e setticemia perinatale oltre che sintomi
simil influenzali. Tutti questi sintomi non sono MAI a carico dell’apparato gastrointestinale. Se
diagnosticata tardi, la quota di mortalità è del 30%. Le persone più a rischio sono le donne in gravidanza,
i neonati, gli anziani e i soggetti già debilitati. L’infezione non si manifesta in tutte le persone con le quali
il microrganismo viene a contatto, per cui si ipotizza l’esistenza di meccanismi di resistenza a livello
genetico.

BRUCELLOSI
È un’antropozoonosi ubiquitaria legata sia al contatto con animali infetti sia al consumo di alimenti di
origine animale infetti. È conosciuta anche con il nome di Febbre ondulante ed è sostenuta dal batterio
del genere Brucella, batterio tipico del bestiame.
L’infezione NON è una gastronenterite ma presenta sintomi specifici come febbre intermittente,
brividi, dolori diffusi e cefalea. Non è una malattia mortale ma è comunque debilitante e si protrae a
lungo. Il microrganismo è di difficile eliminazione dato che Brucella si va a localizzare a livello
intracellulare. Infatti, una volta penetrato nell’organismo, Brucella diffonde per via linfatica e quindi
ematica localizzandosi in cellule del sistema reticolo-endoteliale (milza, linfonodi, fegato, rene, midollo
osseo ecc…).

L’accertamento diagnostico avviene mediante isolamento di Brucella da emocoltura e indagine


sierologica.
Sono sensibili ai disinfettanti e al calore dunque alla pastorizzazione (60°C per 10 min) che ci ha
permesso l’eliminazione di Brucella dal latte e derivati che consumiamo.

TOSSINFEZIONI ALIMENTARI
Fattore chiave è che il veicolo esclusivo di trasmissione dell’agente eziologico è l’alimento, che presenta
una carica batterica x g molto elevata (>106 x g). Il periodo di incubazione che segue la tossinfezione
è molto breve: da 1-48h salvo un’eccezione. La sintomatologia si presenta inizialmente a livello
gastrointestinale per poi interessare altri organi. Un fattore che aiuta a distinguere questo tipo di infezioni
da altre è dato dalla comparsa istantanea di più casi fra coloro che hanno consumato lo stesso alimento
determinando così un focolaio epidemico.
Gli agenti causali delle tossinfezioni sono:

Osservando la distribuzione delle epidemie per


ogni specifico agente causale, si può notare
come le tossinfezioni da Salmonella siano più
comuni, seguite da quelle causate da tossine
batteriche, virus, Campylobacter e altri ancora.

La contaminazione degli alimenti si realizza:

• Se viene a mancare l’igiene a partire dalla contaminazione delle materie prime


• Se viene a mancare l’igiene nel corso della lavorazione, conservazione, commercializzazione e
distribuzione dei prodotti
• Se viene a mancare l’igiene nella preparazione dei pasti a livello domestico
Ad oggi il livello domestico è sceso al secondo posto, a fronte dei grandi sistemi di distribuzione di
alimenti pre-preparati come le mense e i sistemi di catering in luoghi di lavoro, case protette, bar ecc…
Ciò ha determinato un ampiamento del rischio di trasmissione dei patogeni con gli alimenti.
Tra i fattori che favoriscono le tossinfezioni alimentari abbiamo:
-Fattori relativi al patogeno: tra questi sono importanti i fattori che influenzano la crescita batterica e
che si trovano nel terreno che i batteri usano per proliferare. Tra questi fattori importante è la
Temperatura che permette la sopravvivenza di una specie piuttosto che un’altra [tutte le tabelle che
verranno le ha lette e basta, senza dire niente in più]:

Importante è però anche il pH per il quale ogni microrganismo ha un range


specifico: ogni alimento sarà caratterizzato a sua volta da un pH che
permetterà la sopravvivenza di certe specie.

Ogni microrganismo avrà dunque un limite di crescita minimo, massimo ed ottimale:


Altro fattore che determina la crescita batterica è l’acqua libera che rappresenta l’elemento base per la
crescita microbica. L’acqua infatti è richiesta per una moltitudine di reazioni metaboliche (se vogliamo
conservare un alimento possiamo effettuare la eufilizzazione cioè la rimozione di acqua in maniera tale
da bloccare i processi metabolici e dunque la degradazione). Perciò tanta più acqua libera c’è, tanto più
il microrganismo potrà replicarsi. Negli alimenti l’acqua libera è presente in queste quantità:

Per l’acqua libera i limiti di crescita minimi e massimi dei microrganismi sono rappresentati dai valori:

Altri fattori ancora sono Ossigeno (dato che esistono batteri aerofili e anaerobi), Nutrienti (essenziali
per la costruzione della cellula batterica) e Sostanze inibenti (influenzano negativamente la
proliferazione del microrganismo).
-Fattori relativi all’ambiente
-Fattori relativi all’alimento

Conseguenza della contaminazione alimentare è un danno alla salute dell’individuo e della comunità, che
comporta problemi economici, problemi sanitari (dato che interessa non solo il singolo ma anche un
gruppo ristretto di popolazione che si è cibato dell’alimento contaminato) nonché problemi legali per i
produttori dell’alimento difettoso.
La tossinfezione presenta una definizione tipicamente epidemiologica che comprende patologie diverse
sostenute da batteri diversi presenti negli alimenti.
Le tossinfezioni possono essere suddivise in:

• INTOSSICAZIONI: la moltiplicazione del microrganismo nell’alimento adatto è necessaria per


produrre le tossine che sono le vere responsabili della patologia.
• TOSSINFEZIONI IN SENSO STRETTO: l’azione patogena è attribuibile all’azione
combinata di moltiplicazione attiva e di elaborazione di tossine nell’intestino.
• INFEZIONI: l’azione patogena è legata alla moltiplicazione nell’intestino di cariche rilevanti di
patogeni arrivati con gli alimenti.
Esempio di intossicazione alimentare di origine batterica: all’interno di un alimento si ha
contaminazione batterica e produzione di tossine (tipiche del Botulismo e delle intossicazioni da
Stafilococcus aureus); dunque quando l’alimento viene consumato le tossine vengono liberate nell’organismo,
provocando una sindrome tossica.
Esempio di tossinfezione alimentare in senso stretto: all’interno dell’alimento contaminato si ha
moltiplicazione batterica e produzione di tossine preformate. Quando il cibo verrà consumato i batteri e
la tossina preformata sarà introdotta all’interno dell’intestino, dove si avrà un’ulteriore moltiplicazione
batterica e produzione di tossine. Ciò comporterà una sindrome tossica tipica di C. perfringens e Vibrio
parahaemolyticus.
Esempio di infezione alimentare: l’alimento contaminato presenza una carica microbica già in partenza
elevata, >106 x g di alimento. L’assunzione dell’alimento così contaminato provoca dunque un’invasione
massiccia della mucosa intestinale e quindi una sintomatologia gastroenterica tipica delle infezioni da
Salmonella.

Anche per le tossinfezioni alimentari i fattori favorenti sono gli stessi delle infezioni alimentari. Anche
qui abbiamo:
-Fattori legati al patogeno:

• Temperatura
• Tempo che trascorre tra la contaminazione dell’alimento e il consumo dell’alimento
• pH
• Tipo di alimento (composizione in termini di sostanze nutritive – per esempio, un’insalata è
povera di fattori nutritizi per i batteri dunque sarà raramente veicolo alimentare)
• Tensione di Ossigeno
• Stato fisico dell’alimento: un alimento solido è più contaminato a livello di superficie. Per
esempio una massa muscolare sarà più contaminata sulla superficie che all’interno.
Unico modo per contaminare l’interno sarebbe macinare la carne: in questo caso la carne macinata
è più pericolosa in termini di infettività rispetto alla carne intera data la contaminazione anche
interna.
-Fattori legati all’ambiente:

• Inadeguato raffreddamento
• Lungo intervallo di tempo tra la preparazione ed il consumo
• Personale infetto/carenti condizioni igieniche
• Inadeguata cottura: la cottura deve essere perfetta in tutta la massa dell’alimento.
-Fattori legati all’alimento
Esempi di intossicazione:
INTOSSICAZIONE STAFILOCOCCICA
Il quadro gastroenterico insorge dopo il consumo di alimenti contaminati da enterotossina elaborata da
Staphulococcus aureus. La sorgente d’infezione nella maggioranza dei casi è l’uomo su cui S.aureus è
presente sulla cute e sulle mucose da dove può contaminare più facilmente gli alimenti, soprattutto in
caso di cattiva igiene dell’operatore.
È molto diffusa in Italia soprattutto nei mesi caldi. Gli alimenti più comunemente coinvolti sono ricchi
di proteine, poco acidi e non adeguatamente refrigerati dopo la cottura come dolci o gelati a base di
creme, panna o formaggi teneri. Ma anche carni macinate, pasticci, patè, polpettoni, arrosti freddi con
maionese, ragù ecc…
Vi sono poi altre tossinfezioni alimentari date da C.botulinum, Salmonelle, Bacillus cereus, Vibrio parahemolyticus,
C. perfringens ecc…
STAFILOCOCCO ENTEROTOSSICO
La enterotossina ha un effetto emetizzante per stimolazione del centro del vomito, ciò comporta, dal
punto di vista clinico, vomito profuso ma anche diarrea e dolori addominali. Non c’è mai febbre. Il
periodo d’incubazione è di massimo 8 h.
La tossina è termostabile, dunque resistente al calore ( richiede 110 °C x 50 min o 121 °C per 20 min)
e cronostabile, cioè resiste nel tempo, anche a distanza di 18 mesi. La sua potenza, misurata nei volontari
umani, è di 0,2-0,4 μg/kg peso. I fattori limitanti sono rappresentati da un pH<5 o pH>9 e da una
temperatura T°<4 o T°>65.

BOTULISMO
Grave intossicazione alimentare provocata prevalentemente dall’ingestione di cibi conservati contenenti
la tossina botulinica prodotta dalla germinazione delle spore durante la conservazione. È caratterizzata
da un complesso quadro clinico definito da sintomi neuromuscolari.
L’agente eziologico è il Clostridium botulinum, batterio anaerobio che elabora 7 tipi diversi di tossine
tra cui le A, B ed E sono responsabili di quasi tutti i casi di intossicazione umana.
Le condizioni che portano alla germinazione della spora, la replicazione del microrganismo e dunque la
produzione della tossina sono:

• Condizioni di anaerobiosi
• T°> 10°C
• Acqua libera >94%
• pH>4.5
• Concentrazione di NaCl< 7-8%
• Assenza di nitrati
• Presenza di altre forme microbiche che, attraverso la loro attività metabolica, possono favorire le
condizioni idonee di crescita/moltiplicazione del patogeno anche in ambienti originariamente
inadatti (come le conserve acide).
1μg di esotossina A corrisponde alla dose minima letale per l’uomo. La letalità corrisponde al 60-
70%.
La tossina botulinica è termolabile ma resiste agli enzimi gastrici dunque supera la barriera gastrica,
arrivando all’intestino tenue, dove viene assorbita e trasportata mediante il circolo ematico fino al sistema
nervoso. Qui agisce sulle sinapsi e sulle placche neuromuscolari, ostacolando la liberazione di
acetilcolina.
Il periodo d’incubazione è di 12-36 h. I sintomi sono: astenia, vertigini, nausea, vomito (diarrea), pupille
dilatate, diplopia, disfagia e interessamento dei muscoli respiratori.
Il serbatoio è ubiquitario dato che sopravvive come spora nel terreno, nelle acque e nei vegetali. Le spore
sono termoresistenti e vengono distrutte solo dal calore umido a 121°C in 30 min (in autoclave).
In passato il botulismo era legato a cibi come salsicce e altri insaccati, oltre che conserve alimentari
preparate industrialmente con metodi imperfetti. Attualmente il botulismo è legato a conserve prodotte
in ambiente domestico o piccolo-artigianale, soprattutto di cibo poco acido (conserve vegetali, conserve
di pesce o di carne).
Esistono varie forme di botulismo:

• ALIMENTARE: dato dall’ingestione della tossina preformata negli alimenti.


• IATROGENO: dato da un uso non corretto della tossina in terapia e cosmesi.
• DA FERITA: dato dalla produzione della tossina in vivo su ferita infetta o per uso di droghe
iniettabili.
• INFANTILE: dato dalla produzione di tossina nell’intestino da parte di Clostridi
temporaneamente colonizzati. È una manifestazione patologica molto rara, presente solo nei
lattanti di età <1 anno, caratterizzati da una microbiota intestinale non ancora sviluppato che
può dunque sfociare in dismicrobismo intestinale. Con l’avanzare dell’età e la conseguente
stabilizzazione del microbiota, vengono a mancare le condizioni idonee all’istaurarsi del
microrganismo, dunque un adulto si ammala solo per ingestione di tossine preformate. Altri
fattori sono ridotta motilità intestinale, eventuali co-infezioni da enterovirus e presenza di
diverticolo di Meckel. È stata accertata prevalentemente negli USA, dove i bambini si
ammalavano assumendo miele d’acero o sciroppi ad alte concentrazioni di zuccheri.

SALMONELLOSI MINORI (al di là di quelle maggiori causate da S.thypi e S.parathypi)


Sono tossinfezioni di provenienza animale causate da Salmonelle minori. Non vi è intervento di tossine
preformate ma il danno è prodotto esclusivamente dall’aggressione dei batteri alla mucosa intestinale, che
provocano così un’infezione acuta. È compresa nelle tossinfezioni alimentari perché si stabilisce solo a
seguito dell’introduzione massiva di salmonelle con alimenti in cui si è intensamente replicata.
Le Salmonelle minori sono definite da 3 sierotipi: H flagellare, O somatico e Vi nello strato mucoso.
Possono essere presenti nell’intestino degli animali ma vengono liberamente disperse da essi
nell’ambiente con le feci, contaminando così le piante che a loro volta contaminano gli insetti che vi si
adagiano sopra.
In genere la contaminazione degli alimenti avviene per contaminazione crociata, cioè contatto tra cibi
cotti e crudi (per esempio l’operatore utilizza lo stesso coltello per tutti e due i cibi). Ma può essere causato
anche dalla presenza di individui infetti (cuoco, operatore) nonché superfici di lavoro non pulite.
L’ingestione di un elevato numero di batteri (>106 unità x g) porta all’infezione, definita da un periodo di
incubazione di 12-24 h. La febbre è un sintomo tipico delle salmonellosi che le distinguono da altre
tossinfezioni alimentari. Solitamente è lieve, ma può peggiorare nei soggetti anziani e/o fortemente
disidratati portando anche a possibili complicanze settiche; altri sintomi sono vomito, diarrea e dolori
addominali. L’uomo può essere portatore sano.
I fattori favorenti le salmonellosi sono: temperature comprese tra 0-49 °C e tipo di alimento liquido e
macinato come i macinati, polpettoni e pollame; possono essere contaminate anche le uova e dunque le
preparazioni a base di queste. Presenta una maggior incidenza nei mesi estivi.
Possono essere distrutte dalla pastorizzazione e presentano una resistenza modica a 60 °C per 12 min.
La resistenza al calore aumenta solo se le Salmonelle sono immerse in grassi o in un cibo a bassa
concentrazione di acqua.
Le infezioni da Salmonelle sono notevolmente aumentate negli ultimi anni per:

• Aumento di preparazioni per la collettività (mense, catering)


• Aumento del consumo di cibi crudi o poco cotti (tartare, carpaccio ecc…)
• Aumento di consumo di carni
• Errate modalità di conservazione degli alimenti preparati in eccesso: l’alimento non deve
mai essere conservato a temperatura ambiente; se non viene consumato subito deve essere
rapidamente raffreddato in opportuni frigoriferi, cosa che non è sempre possibile, soprattutto nei
sistemi di catering dove non sempre ci sono abbastanza frigoriferi per tutto il cibo in eccesso.
• Le condizioni igieniche migliorate hanno portato ad un abbassamento delle difese
immunitarie individuali
Confrontando la prevalenza negli anni di salmonellosi non tifoidea con la febbre tifoide si è notato un
andamento differente fra le due: le Salmonellosi non tifoidee sembrano essere aumentate negli anni
rispetto alle febbri tifoidi, che anzi sono calate.
Il calo è stato dato da un miglioramento delle
condizioni igieniche, nonché dalla presenza di un
vaccino efficace.

CLOSTRIDIUM PERFRINGENS
Provoca una sindrome caratterizzata da diarrea e dolori addominali dovuti all’ingestione di cibi contenenti
il microganismo e la sua tossina. È una tossinfezione legata quasi esclusivamente alla ristorazione
collettiva, soprattutto al consumo di carne non adeguatamente cotta o mal refrigerata (es. conservata a
temperatura permissiva per un consumo rapido).
L’agente eziologico è il Clostridium perfringens, bacillo Gram+ sporigeno anaerobio, presente in 5 tipi
in grado di produrre differenti tossine: il tipo A causa tipiche tossinfezioni alimentari, il tipo C provoca
una grave enterite necrotizzante. Questo batterio si trova nelle acque, nel suolo e nell’intestino degli
animali.
Viene facilmente distrutto ad una temperatura di 60 °C per 10 min. La tossina viene prodotta durante la
fase di sporulazione dunque le condizioni che favoriscono la germinazione delle spore favoriscono anche
la produzione della tossina soprattutto a livello intestinale. L’azione della tossina è adenil-ciclasica, porta
dunque ad uno squilibrio Cl-Na.
Periodo d’incubazione: 6-24 h nelle ore successive l’ingestione di cibo contenente cellule vive (sempre ad
una concentrazione >106 unità x g). I sintomi sono forti dolori addominali, diarrea e nausea con un
decorso benigno.
Tra i fattori favorenti abbiamo i riscaldamenti preliminari tipici della ristorazione collettiva. Le carni più
pericolose sono gli arrosti arrotolati la cui superficie esterna, più contaminata, viene portata all’interno
della massa dove più facilmente si instaurano condizioni di anaerobiosi e gli scambi di calore avvengono
molto più lentamente. Particolarmente pericoloso è lasciare l’alimento a temperatura ambiente perché, in
queste condizioni, viene favorita la germinazione delle spore e la liberazione della tossina.

VIBRIO PARAHAEMOLYTICUS
Tipico batterio delle acque costiere ed oceaniche (acque e sedimenti) che rientra nella normale
microflora di numerosi animali marini (gamberetti e granchi), molluschi e pesci.
Il ritrovamento (di per sé raro) di questo microrganismo su altri prodotti alimentari è indice di una
contaminazione crociata. Si contrae mediante il consumo di alimenti marini crudi. Compare dopo circa
6h con sintomi tipici di una gastroenterite. Da un’infezione di tipo enterotossico.
La massima frequenza con cui si presenta è in Giappone con oltre 10.000 casi/anno, ma anche nel sud-
est asiatico, soprattutto nei periodi caldi.
Gli alimenti più contaminati sono i crostacei consumati crudi, molluschi, pesci poiché la riserva
d’infezione è rappresentata da acqua marina e sedimenti.
È facilmente distrutto dalla temperatura dunque basta cuocere i cibi: il pericolo nasce da crostacei poco
cotti o contaminati dopo la cottura.

BACILLUS CEREUS
È un bacillo Gram+ sporigeno aerobio facoltativo molto diffuso in natura. Produce numerose
sostanze extracellulari tra cui due tossine responsabili di tossinfezioni conseguenti al consumo di
alimenti contaminati con cellule vive. Queste sono:

• Tossina diarroica: è una tossina termolabile che provoca una sindrome che causa forti dolori
addominali e diarrea acquosa circa 15-24 h dopo il consumo di alimenti contaminati. Provoca una
sintomatologia simile a quella di C.perfringens. Gli alimenti che possono presentare maggiormente
la tossina sono insalata, purea di patate, insalata di pollo e piatti pre-cucinati.
• Tossina emetizzante: è una tossina termostabile e resistente a valori estremi di pH (2-11).
Provoca una patologia più grave di quella provocata dalla tossina diarroica e più breve nella
manifestazione (periodo d’incubazione: 6 h). Provoca una sintomatologia simile a quella
dell’intossicazione stafilococcica. Gli alimenti che possono presentare maggiormente la tossina
sono il riso bollito o fritto, latte in polvere e creme.
PREVENZIONE
I comportamenti preventivi essenziali per evitare la contaminazione degli alimenti, dunque tutte le
patologie collegate a questi, sono:

1. ABITUARSI ALLA PULIZIA: sia delle mani che delle stoviglie o degli utensili che si
usano per cucinare cibi.

2. SEPARARE GLI ALIMENTI CRUDI DA QUELLI COTTI: questo per evitare la


contaminazione crociata, termine usato per descrivere il trasferimento dei microrganismi
dagli alimenti crudi a quelli cotti.

3. CUOCERE BENE GLI ALIMENTI: soprattutto carne rossa, pollame, uova e pesce.
Portare ad ebollizione zuppe e stufati. I cibi cotti precedentemente devono essere riscaldati
completamente prima del consumo. La temperatura di cottura deve essere >55-60 °C onde
evitare la sopravvivenza dei patogeni.

4. TENERE GLI ALIMENTI ALLA GIUSTA TEMPERATURA: non lasciare i cibi


cotti a temperatura ambiente per più di 2h. Raffreddare velocemente tutti gli alimenti cotti o
deperibili (preferibilmente sotto i <5°C). Mantenere bollenti i cibi cotti (a una temperatura
>60°C) prima di servirli. Non conservare troppo a lungo gli alimenti, anche se nel frigorifero.

5. UTILIZZARE SOLO ACQUA E MATERIE PRIME SICURE: scegliere cibi


freschi e sani. Preferire alimenti che abbiano subito trattamenti per renderli sicuri (latte
pastorizzato). Lavare frutta e ortaggi, specialmente se da consumare crudi. Non utilizzare
alimenti la cui data di scadenza è superata.

(l’ha letto per intero):


Essenziale è la data di scadenza, che va sempre riportata e sempre tenuta in considerazione.

Il punto 5. afferma il divieto di vendita dei prodotti che riportano la data di scadenza a partire dal giorno
successivo a quello indicato dalla confezione.
IGIENE AMBIENTALE

AMBIENTE= insieme di quei fattori e di quelle influenze esterne (fisiche, chimiche, biologiche, sociali)
che esercitano un effetto significativo ed apprezzabile sulla salute.
Dato che l’ambiente è soggetto a numerose trasformazioni che possono provocare danni all’uomo e ai
beni ambientali, interviene l’igiene ambientale, parte della medicina preventiva che studia
l’epidemiologia delle patologie legate alle diverse matrici che costituiscono l’ambiente in cui viviamo e
che ci consentono di vivere. Queste matrici sono: aria, acqua, alimenti e suolo.
Gli scopi dell’igiene ambientale sono:

• Identificare e quantificare i fattori di rischio di patologie infettive e non


• Ricercare metodologie per la loro abolizione o limitazione
• Adottare misure personali o collettive di difesa
I FATTORI DI RISCHIO possono essere:
➢ FISICI: temperatura, umidità, ventilazione.
➢ BIOLOGICI: agenti di malattia (infezioni-infestazioni)
➢ CHIMICI: prodotti naturali, di estrazione, di sintesi; prodotti finiti del ciclo produttivo o
intermedi.

L’ambiente può dunque essere soggetto a modificazione: mediante l’inquinamento nella sua componente
idrica, mediante contaminazione nella sua componente alimentare e mediante inquinamento atmosferico
nella sua componente aria. Tutte queste componenti, insieme ai rischi occupazionali dati dalle modifiche
all’ambiente, si ripercuotono come danno all’uomo. Esse determinano:

• Effetti acuti (elencati in immagine)


• Effetti cronici (pure)
I danni provocati all’uomo possono essere dati da un’iniziale inquinamento dell’aria: gli inquinanti, per
deposizione, contaminano piante e verdure che possono essere ingerite dall’uomo.
Per deposizione, gli inquinanti possono contaminare anche suolo e acqua che o saranno ingeriti da animali
(dunque passeranno indirettamente all’uomo per ingestione) o contamineranno piante e verdure.
Ancora, potranno essere inalate sia da animali (la contaminazione sarà indiretta) sia dall’uomo stesso (la
contaminazione sarà diretta).
INQUINAMENTO ATMOSFERICO
Viene definito come modificazione della normale composizione o stato fisico dell’aria atmosferica dovuta
alla presenza nella stessa di una o più sostanze in quantità e con caratteristiche tali da alterare le normali
condizioni ambientali e di salubrità dell’aria. Queste possono:

• Costituire pericolo, ovvero pregiudizio diretto o indiretto per la salute dell’uomo


• Compromettere le attività ricreative e gli altri usi legittimi dell’ambiente
• Alterare le risorse biologiche, gli ecosistemi e i beni materiali pubblici e privati

Il problema dell’inquinamento atmosferico è partito dai grandi episodi storici di inquinamento degli anni
’30, protrattisi fino agli anni ’70 con numerosi casi di malattia e anche morte:
Da questi episodi, negli anni ’70, sono partiti numerosi studi e numerose leggi e normative a favore
dell’assenza di episodi acuti di inquinamento e della riduzione delle emissioni civili e industriali per la
riduzione dell’inquinamento atmosferico. Tuttavia c’è stato comunque un aumento del traffico dato dal
sempre maggiore utilizzo di autoveicoli.

L’aria è composta da gas costanti e variabili, presenti in


diverse concentrazioni e dunque percentuali sul totale del
volume d’aria. Tra i gas costanti, i più comuni sono azoto
(78%) e ossigeno (20%); importante è anche l’idrogeno
(0,5%).

I parametri fisici condizionanti l’inquinamento atmosferico sono:

• Pressione: diminuisce dal livello del mare (1013,3 millibar) a una quota di 1000 m (893,3 millibar)
• Temperatura: diminuisce in rapporto all’altitudine e quindi alla pressione. In media varia circa
1°C ogni 100m.
• Umidità: quantità massima di vapore che può essere contenuta in una data temperatura (alle
condizioni di saturazione). Si divide in umidità assoluta (quantità di vapore effettivamente
presente nell’aria al momento della determinazione) e umidità relativa (rapporto percentuale fra
umidità assoluta e umidità massima alla temperatura x).
• Velocità dell’aria: la ventilazione consente l’allontanamento di inquinanti

Tra le cause di inquinamento atmosferico abbiamo:


➢ Presenza di sorgenti di contaminazione: queste possono essere o naturali (fumi di vulcani,
incendi boschivi, aerosol marini, pulviscolo trasportato dal vento) o artificiali/antropiche.
➢ Difficoltà di diluizione dei contaminanti nell’atmosfera: può avvenire o per inversione
termica (irraggiamento, abbassamento) o per stasi (assenza di vento).
I principali contaminanti sono:

Possono essere gassosi


o corpuscolati, primari o
secondari, i quali
porteranno ad un
inquinamento o
riducente o ossidante.

Inquinamento ossidante (smog fotochimico)= porta alla formazione di radicali liberi altamente
reattivi che si combinano con NO con conseguente accumulo di ozono (O3).
Biossido di azoto + luce, per fotolisi, porta a monossido di azoto (NO) e ossigeno atomico (O*). Questo
si lega all’ossigeno formando ozono (O3). L’ozono, in presenza di monossido di azoto reattivo (NO**)
produce infine biossido di azoto (NO2) e O2.
INQUINAMENTO DELL’ARIA ARTIFICIALE
Si suddivide in sorgenti date da:

• Processi di combustione (riscaldamento domestico, traffico autoveicolare, produzione di


energia elettrica, funzionamento di impianti industriali): provocano la formazione di inquinanti
come CO, CO2, NO2, SO2, fumi, composti organici (IPA cioè idrocarburi policiclici aromatici,
piombo inorganico e organico, asbeto).
• Attività produttive industriali di solventi e sottoprodotti delle varie lavorazioni: gli
inquinanti variano per qualità ed entità in funzione della tipologia produttiva e degli interventi di
bonifica adottati.
• Attività agricole: legate alla dispersione di insetticidi, erbicidi, rodenticidi ecc…

CONVERSIONE E INVERSIONE TERMICA


Sono i due elementi che favoriscono la contaminazione dell’aria.
CONVERSIONE TERMICA= in condizioni normali, la
temperatura in relazione alla quota è inferiore dunque si
ha una diminuzione della temperatura man mano che si
sale in quota. Tuttavia si può istaurare il fenomeno della
conversione termica, che consiste in un innalzamento
della temperatura, dato da attività antropiche, man mano
che si sale in quota.
INVERSIONE TERMICA= definita da un cambio di
temperatura al di sopra di una certa quota: si ha uno strato
di aria fredda al di sotto di uno strato di inversione termica
e uno strato di aria calda al di sopra di esso. È un
fenomeno tipico dei mesi invernali, quando il terreno è
freddo per le basse temperature.

L’inversione può essere data anche da irraggiamento, che tende a diminuire con il trascorrere del giorno
in seguito al progressivo riscaldamento del suolo e quindi dello strato di aria ad esso adiacente.

Può essere data anche da irradiazione: si ha la


formazione di uno strato di smog riducente che blocca
i raggi del sole (dunque il calore) determinando la
formazione di uno strato freddo sormontato da uno
caldo.
A seconda della concentrazione di ozono
presente in atmosfera avremo effetti come:

INQUINAMENTO DA MONOSSIDO DI CARBONIO


Gli effetti sono legati alla capacità del CO di legarsi all’emoglobina con un’affinità 24x maggiore
dell’ossigeno, formando CO-Hb. Ciò provoca avvelenamento con diminuzione dell’attenzione,
dell’acuità visiva e della capacità di apprendimento (a concentrazioni di 40 mg/mq per 8h o di 120 mg/mq
per 1h).

PATOLOGIE ACUTE DATE DA INQUINANTI ATMOSFERICI


Chi soffre di più queste
patologie legate
all’inquinamento
atmosferico sono i
bambini piccoli in età
prescolare.

EFFETTO DELL’INQUINAMENTO ATMOSFERICO SULL’AMBIENTE


L’inquinamento atmosferico può determinare la comparsa di fenomeni come:

• Piogge acide: deposizioni meteoriche a pH acido per passaggio di nubi nell’atmosfera ricca di
contaminanti. Queste piogge provocano danni diretti sulla vegetazione, sui monumenti e anche
all’uomo attraverso la catena alimentare.
• Effetto serra: accumulo di CO2 e CFC (cloro-fluoro-carburi) che assorbono le radiazioni
infrarosse inviandole sulla terra, provocando così surriscaldamento.
• Effetto frigorifero: formazione di nubi e nebbie per presenza di contaminanti che trattengono
le radiazioni caloriche.
GAS INQUINANTI
-BIOSSIDO DI AZOTO (NO2)
È un gas di colore rosso scuro di derivazione:

• Naturale: da emissioni naturali di biomasse, batteri e vulcani.


• Artificiale: da impianti fissi e mobili di combustione, processi industriali, produzione di acido
nitrico ed esplosivi, fumo di tabacco, uso di cucine a gas.
Presenta differenti effetti sulla salute dell’uomo:
- In soggetti sani: o non vi sono effetti di questo gas sulla salute o al massimo si ha una riduzione
della funzionalità respiratoria durante l’attività fisica.
- In soggetti asmatici/affetti da altre patologie respiratorie: si ha riduzione della funzionalità
respiratoria e aumento della reattività delle vie respiratorie.

-OZONO E ALTRI OSSIDANTI


L’ozono troposferico si forma per reazione fotochimica (catalizzata dalla radiazione solare) in presenza
di composti organici volatili o ossidi di azoto. Essendo un potente ossidante, può avere effetti avversi sia
sulla salute umana che sull’ambiente.
Tra gli effetti dell’ozono sulla salute umana abbiamo:

-ANIDRIDE SOLFOROSA
Gas incolore molto reattivo e irritante per le alte vie respiratorie, congiuntiva e gola. Deriva dallo zolfo
presente nei combustibili utilizzati nel settore dell’energia e dell’industria di trasformazione.

-PARTICELLATO TOTALE e PM10


Ampia classe di sostanze diverse dal punto di vista chimico-fisico presentanti diverse dimensioni
(particelle grossolane o fini). Tra quelle fini, solo le particelle di dimensioni <5 μm raggiungono le
basse vie respiratorie. Le sorgenti di particellato sono o naturali o artificiali (industrie, energia elettrica,
riscaldamento, inceneritori, traffico). Tutti questi costituiscono aerosol con prodotti delle combustioni,
prodotti organici e prodotti metallici.
Gli effetti sono combinati con quelli di altri prodotti di combustione come SO2. Possono provocare o
effetti acuti (processi infiammatori delle alte vie respiratorie, soprattutto in pazienti asmatici e
bronchitici) o cronici (bronchiti).
In situazioni di pesante inquinamento si osserva sia un aumento di ricoveri ospedalieri per patologia
respiratoria sia aumento della mortalità.

-BENZENE
Sostanza contenuta nel petrolio e nelle benzine. Le sorgenti sono l’industria chimica, il traffico
autoveicolare e i depositi di carburante. Gli effetti sono oncogeni sugli animali e sui lavoratori esposti.
Nelle aree urbane è presente insieme ad idrocarburi policiclici aromatici (IPA).

RIASSUNTO

I tempi di manifestazione dell’inquinamento atmosferico sull’uomo


possono essere:
- Secondi/minuti: alterazione degli odori, irritazione occhi e naso-
faringe
- Ore/giorni: patologie respiratorie acute (tonsilliti, tracheiti ecc)
- Mesi/anno: patologie respiratorie croniche (bronchite, asma ecc)
INFEZIONI IN AMBIENTE ODONTOIATRICO
In ambiente odontoiatrico la probabilità e la possibilità di contrarre infezioni è grande, perché sono
presenti:
- portatori di microrganismi patogeni
- Apparecchiature o strumenti contaminati
- Areosol infetti
- talvolta delle carenze igieniche degli operatori e dell’ambiente
- Pazienti suscettibili
Gli aerosol infetti sono a carico fondamentalmente del riunito. Il riunito è un dispositivo medico
utilizzato sull’uomo a scopo di diagnosi ma anche di prevenzione, di controllo e di terapia. Per il
controllo delle infezioni sono necessari protocolli di gestione igienica, da seguire accuratamente. Punto
critico del riunito è costituito dal circuito idrico che alimenta gli strumenti. I microrganismi entrano
nel circuito degli spray, dall’acqua di alimentazione del riunito ma anche dal paziente, cioè tramite
materiali che provengono dal cavo orale. L’acqua di rete è un’acqua potabile, che non è però sterile
contiene quindi un minimo numero di popolazione autoctona di microrganismi, dei batteri stanziali tra
cui si potrebbero trovare dei batteri opportunisti ed eventualmente dei patogeni ad habitat acquatico.
Nel paziente i batteri sono presenti come popolazione microbica stanziale sui denti come placca e sulle
pareti dei canali radicolari nelle infezioni endodontiche. Gli strumenti del riunito generano un
bioaerosol che è un potenziale veicolo di infezioni batteriche e virali. Il problema di queste infezioni
non nasce dalla capacità professionale dell’odontoiatra, ma dalla complessità di gestione del riunito,
delle sue componenti meccaniche elettriche ed idriche.
La contaminazione dei condotti idrici può avvenire in vario modo:
1) Retroaspirazione: una breve e automatica aspirazione del liquido per evitare il gocciolamento di
acqua. Questo movimento a ritroso richiama aria e materiale sospeso nelle vicinanze che viene
portato all’interno dei condotti. Questa procedura è frequente con lo strumento posizionato nel
cavo orale.
2) Contaminazione dei condotti idrici: contaminazione della punta degli strumenti e diffusione per
capillarità. Può verificarsi anche in assenza di aspirazione. E’ influenzato dalla forma dello
strumento, dal tipo e dalla lunghezza della fresa e dalle condizioni del campo operatorio. E’ stato
osservato come sia possibile l’aspirazione fino ad 1ml di liquido ad ogni arresto.

IL BIOFILM
La contaminazione del riunito favorisce la comparsa di biofilm, si tratta di un sistema di cellule
microbiche associato stabilmente con una superficie, le cellule sono racchiuse in una matrice di
materiale polisaccaridico. L’interfaccia tra superficie e mezzo acquoso costituisce un ambiente ideale per
l’adesione e la crescita dei microrganismi. Le cellule del biofilm sono adese in modo irreversibile ad un
substrato, sono immerse in una matrice polimerica extracellulare, hanno fenotipo alterato per la
particolare regolazione genica e sono protette dalla risposta dell’ospite, dall’azione di agenti
antimicrobici e da condizioni ambientali sfavorevoli. Nel biofilm si costituisce una comunità batterica
funzionale, con batteri vitali, cellule morte, esopolisaccaridi glicoproteine e sostanze organiche ed
inorganiche. In presenza di superfici umide a cui aderire molti microrganismi si organizzano in biofilm,
qualsiasi superficie a contatto con un liquido non sterile rappresenta un substrato ideale per la
colonizzazione microbica, perché vi si adsorbono nutrienti grazie alla tensione superficiale. Alla base di
questo fenomeno vi è il fatto che in natura la maggior parte dei batteri crescono in forma sessile adesi
alle superfici. La crescita planctonica è caratteristica dei batteri liberi in colture artificiali.
Tra gli strumenti e i dispostivi medici soggetti alla formazione di biofilm ci sono lenti a contatto,
protesi dentarie e impianti dentali, protesi ortopediche, cateteri vascolari e valvole cardiache.
La formazione del biofilm è stata scoperta da Van Leeuwenhoek per primo che osservò la presenza di
microrganismi sulla superficie dei denti scoprendo la placca. Successivamente altri osservarono che la
crescita e l’attività batterica veniva favorita dall’adesione dei microrganismi ad una superficie, e con
adeguate colorazioni fu messa in evidenza la natura polisaccaridica della matrice.
Al microscopio elettronico a scansione è stata messa in evidenza la diversa morfologia delle popolazioni
microbiche coinvolte anche in rapporto alla superficie e ad i materiali coinvolti. Il biofilm rappresenta
per i batteri che lo compongono un vantaggio evolutivo, poiché risultano protetti da variazioni di pH,
temperatura e radiazioni UV. Le condizioni favorenti per il biofilm sono date da:
1) l’ampiezza dell’interfaccia solido/liquido
2) Contatto prolungato
3) Dalle specie batteriche selezionate nella placca dentale, specializzate nella formazione del biofilm.

La formazione del biofilm consta di 5 fasi:


I - adesione reversibile al substrato, che diventa irreversibile quando è intercellulare
II - aggregazione
III - crescita
IV - distacco
[la prof le indica come cinque fasi ma ne vengono numerate solo 4, perché la I fase viene divisa in 2
momenti diversi, adesione reversibile ed adesione irreversibile]

La formazione del biofilm inizia con la formazione di microcolonie e la loro fusione con formazione di
una struttura elastica fortemente idratata ed eterogenea. Si formano strutture a fungo date da cellule
immerse in una matrice polisaccaridica, e canali d’acqua tra microcolonie e matrice per la diffusione dei
nutrienti.
Il distacco invece si ha per frammentazione della microcolonia e di ammassi di strati più superficiali
favorito da forze di flusso o carenza di nutrienti.

Fattori condizionanti la formazione:


- Ambientali: sono di tipo chimico fisici. L’ambiente ideale è l’interfaccia solido liquido, ed è
caratterizzato dal pH, dai nutrienti da cationi, temperatura del liquido ed infine forze idrodinamiche
del liquido.
- Substrato: le superfici rugose, i materiali idrofobi e non polari favoriscono l’adesione
- Batteri: che abbiaNo adesine e un certo grado di motilità e idrofobicità.
La formazione del biofilm è regolata dallo scambio di segnali intercellulari di segnali chimici secondo un
fenomeno detto quorum-sensing. Si tratta di molecole secrete dai microrganismi che mediante
attivazione di particolari geni possono modificare la sintesi di sostanze nutritive, fattori di virulenza ed
altro.

La fase irreversibile
In questa fase abbiamo la moltiplicazione delle cellule adese e formazione di microcolonie separate da
canali pieni di acqua che consentono il passaggio dei nutrienti e la rimozione dei prodotti di scarto;
un’ulteriore produzione di esopolimeri che rafforzano l’ancoraggio delle cellule al substrato, che sono
meno sensibili alle influenze dell’ambiente; lo strato di polimeri che circonda la cellula batterica
protegge dalla disidratazione; i batteri sono a diversi stadi di sviluppo, negli strati profondi sono
metabolicamente e inerti e quindi meno sensibili all’azione degli antimicrobici.

Impatto del biofilm


L’impatto del biofilm si sviluppa a livello:
- Clinico: l’80% delle infezioni è associato a biofilm. Queste vengono divise in primarie e secondarie.
Tra le primarie abbiamo ad esempio l’otite media, in cui h. Influenzae è coinvolto, la fibrosi cistica(p.
Aeruginosa), le periodontiti(anaerobi gram negativi), e le endocarditi delle valvole
native(streptococcus viridans). Le infezioni secondarie associate a biofilm sono a livello di valvole
cardiache protesiche(cocchi G+), lenti a contatto(cocchi G+, p. Auruginosa) cateteri venosi centrali
(staph. epidermidis) ed impianti intrauterini(streptococcus istraeli). La presenza di biofilm può
portare alla cronicizzazione delle infezioni, all’aumento dei giorni di degenza ed a una elevata
mortalità.
- Ambientale
- Industriale
Lo scopo principale del biofilm è la protezione dei microrganismi dalle condizioni sfavorevoli, infatti
associati al biofilm i batteri presentano una resistenza maggiore delle forme planctoniche da 10 a 1000
volte. Quando il flusso e il venir meno delle forze di coesione causano il distacco di ammassi di batteri,
questi finiscono nel cavo orale esponendolo al rischio di contaminazione lesioni della mucosa e ad una
aumentato rischio di infezione di endoprotesi.
Proteggendo i batteri inglobati, il biofilm ne favorisce la moltiplicazione. Il biofilm comporta per i
batteri una maggiore resistenza ai disinfettanti e alle difese immunitarie.
Il rischio aumenta ancor di più se tra i batteri si individuano microrganismi di origine umana, patogeni o
se si tratta di un paziente immunodepresso.

I VIRUS NEI BIOFILM


Possono essere presenti nei biofilm alcuni virus, che non sono però in grado di produrre matrice. Un
virus può sfruttare il biofilm come supporto per aumentare la propria sopravvivenza.

MISURE DI PREVENZIONE
Possiamo seguire due strade:
- Attiva: ridurre l’ingresso dei contaminanti ed eliminare i contaminanti già entrati. La
riduzione dell’ingresso di contaminanti si può fare in diversi modi: tramite trattamento elettrolitico
dell’acqua, l’irraggiamento della stesso o con sistemi anti-inglobamento di microparticelle; o ancora
tramite sistemi di microfiltrazione come valvole unidirezionali di non ritorno o antireflusso e tramite
alimentazione idrica indipendente. L’attivazione elettrolitica dell’acqua prevede tramite l’elettrolisi
dell’acqua di formare radicali ossidanti che sono fortemente attivi contro i batteri; è un’approccio
efficace nelle prevenzione di contaminazione planctonica e forma sessile, sebbene sia costosa e poco
compatibile coi materiali utilizzati nel riunito. Il trattamento con raggi UV dell’acqua in ingresso ha
un’efficacia influenzata dall’intensità della radiazione, dal raggiungimento dei microrganismi da parte
dei raggi, dal tempo di esposizione, dalla resistenza dei patogeni e dall’efficienza della lampada nel
tempo. Anche questa metodologia è costosa. I sistemi anti inglobamento di microparticelle invece
sono barriere fluide che tramite l’emissione di un flusso di aria spray all’arresto dello strumento nella
zona vicina all’uscita del liquido consentono la diluizione dei contaminanti. La microfiltrazione
prevede di utilizzare filtri a membrana di diametro di circa 0,22micron, che vanno però sostituiti
giornalmente, possono provocare la crescita microbica sui filtri stessi e spesso vanno incontro a
intasamento. Le valvole anti reflusso sono dispositivi idraulici che permettono al liquido di muoversi
in un’unica direzione impedendo il flusso retrogrado. Sono alloggiate nel circuito e nel manipolo, ma
hanno un calo di efficienza progressivo nel tempo e possono presentare incrostazioni.
L’alimentazione indipendente è un’ulteriore misura di prevenzione attiva, che che consente una
prevenzione efficace per una eventuale contaminazione di origine idrica, risulta poco efficace però
nella prevenzione di contaminazione sessile e di origine umana. Le misure di prevenzione attiva oltre
che a ridurre l’ingresso di contaminanti prevedono anche l’eliminazione di contaminanti già entrati
questo processo detto flushing avviene tramite disinfezione che può essere continua o discontinua. Il
flussaggio è un risciacquo forzato dei condotti idrici azionando a vuoto ogni strumento dotato di
spray, per diversi minuti all’inizio della giornata e o tra un paziente e l’altro. L’effetto è temporaneo
ed ha una modesta efficacia sul biofilm. La disinfezione della linea idrica ha tra i suoi scopi di
eliminare tutti i microrganismi patogeni entrati nei condotti, contrastare la formazione del biofilm ed
eliminare il biofilm già formato. La Disinfezione può essere continua, quindi è sempre presente nel
liquido destinata agli strumenti, o discontinua, cioè gli interventi vengono fatti sul riunito non in uso.
Nella disinfezione continua si aggiunge disinfettante al liquido di alimentazione, a condizione che
questo sia compatibile col cavo orale con i materiali, abbia un livello di attività basso o altrimenti che
sia diluito ed infine non deve comportare rischi per l’operatore. Alcuni disinfettanti utilizzati per la
disinfezione continua sono ad esempio il perossido di idrogeno, cloroderivati e clorexidina, la quale
agisce anche sui batteri del cavo orale e viene pertanto molto usata in ambito odontoiatrico. I limiti
di queso tipo di disinfezione sono principalmente la possibilità di selezionare specie batteriche
resistenti e un aumento paradosso del biofilm. La disinfezione discontinua prevede invece l’utilizzo
di disinfettante di alto livello applicato all’ingresso del liquido. Uno dei disinfettanti di questo tipo
studiato appositamente per il riunito è il TAED usato con un perossidante biocida ad ampio spettro,
che ha un’azione rapida, non è tossico, è stabile ed ha un’elevata compatibilità ambientale. Il riunito
deve essere progettato eliminando diramazioni e camere interne prive di sbocco così che tutto il
Circuito sia in contatto col disinfettante. La disinfezione discontinua può essere effettuata una volta
ogni tanto, giornalmente(fine giornata) e tra paziente e paziente( da preferire). Il grande limite di
questo approccio è l’effetto di breve
durata. Tra i disinfettanti per la
disinfezione discontinua abbiamo
gluteraldeide, acido paracetico,
clorexidina, TAED e perossido di
idrogeno. Per verificare l’efficacia di
queste procedure devono essere
condotti controlli microbiologici a
cadenza regolare con gli obiettivi di
verificare che i processi funzionino
per ripetere tempestivamente i
campionamenti nel caso i risultati non
siano adeguati e sospendere l’utilizzo
del riunito se i risultati negativi sono
confermati. Tra i batteri che vengono
ricercati abbiamo pseudomonas
aeroginosa che è un patogeno
opportunista e sptreptococchi orali che devono essere assenti in 20 ml di campione, ed una loro
presenza indica la possibile presenza di altri microrganismi del cavo orale. In più il controllo
microbiologico oggi si avvale anche della ricerca di legionella pneumophila.

- Passiva: Comprendono tutti i materiali, le soluzioni tecniche e le soluzioni di design che permettono
una migliore gestione e svolgimento delle manovre di pulizia disinfezione e sterilizzazione.
ENDOCARDITE INFETTIVA
L’endocarditi infettive sono affezioni dell’endocardio e delle valvole cardiache, secondarie ad una batteriemia,
caratterizzate dalla presenza dell’agente eziologico nella sede della lesione.
È l’infezione dell’endotelio cardiaco e generalmente si localizza sulle superfici valvolari. La lesione tipica è la
formazione di una “vegetazione” e può essere acuta (1-2 settimane), subacuta-cronica e può interessare o una
valvola nativa o una protesi valvolare.
La comparsa dei endocardite è correlata all’azione di:
- fattori predisposti (condizioni del paziente)
- Fattori che favoriscono l’instaurarsi di una batteriemia (consiste negli interventi medici condotti sul paziente)
I fattori di rischio predisponenti sono:
• cardiopatia congenita
• Cardiopatia reumatica
• Insufficienza mitralica da prolasso o degenerazione senile
• Stenosi aortica arteriosclerotica
• Eroinomania (> 50% tricuspide)
• Dialisi (emodialisi > per dialisi peritoneale)
• HIV (CD4+<200)

I fattori predisponenti favorenti l’instaurarsi di una batteriemia (transitoria ):


Può essere provocata da pratiche invasive o da manovre strumentali:
- cateteri vascolari
- Endoscopie
- Cure odontoiatriche (→ cure in senso lato)
- Procedure chirurgiche
Tutte le procedure mediche che portano ad una elevata probabilità di sanguinamento possono causare
endocarditi:

Gli agenti eziologici delle endocarditi infettiva sono:

1
La patogenesi delle endocarditi sono legate all’iterazione tra:
• Fattori dell’ospite : un importante fattore dell’ospite predisposte all’impianto di microrganismi, è rappresentato
da lesioni valvolari. La lesione cardiaca più comune è il prolasso della valvola mitrialica associato a soffio
sistolico.
• Azioni che determina una batteremia anche transitoria
• Tropismo dell’agente eziologico per le strutture vascolari
• Incapacità del sistema immunitario di eradicare l’agente eziologico dall’endocardio.

Le lesioni valvolari che prevalgono nell’anziano, sono alterazioni valvolari degenerative:


• stenosi aortica
• Stenosi mitrialica
• Calcificazione dell’anello mitralico
• Cardiopatie congenite
Nel bambino le lesioni valvolari sono le valvolopatie.

Come possiamo vedere i batteri entrano


attraverso diverse vie: infezioni dentali,
infezioni genito-urinarie, infezioni cutanee e
polmoniti. Da qui i batteri entrano nel circolo
sanguigno e posso causare diverse lesioni, tra le
più comuni abbiamo :
-valvulopatia mitrialica reumatica
-Attacco della valvola aorta bicuspide
-Tretralgia di Fallot
-Coartazione dell’aorta
-Difetti del setto interventricolare

Patogenesi:
I meccanismi che consentano l’impianto degli agenti eziologici sono noti solo parzialmente:
- il processo inizia con un danno endoteliale dovuto alla deposizione di immuno-complessi o alle alterazioni
emodinamiche conseguenti a valvole danneggiate.
L’alterazione dell’endotelio favorisce la deposizione e quindi l’accumulo di piastrine, fibrina e globuli rossi con
formazione di microtombi.
I microgasnimi che arrivano al cuore durante un episodio di batteriemia, aderiscono ai microtrombi su cui
avviene una ulteriore deposizione di fibrina, piastrine e batteri; questo provoca lo sviluppo di una serie di strati
che dà luogo ad una “vegetazione”: è questo l’ambiente favorevole ad un rapido sviluppo dei batteri.
L’endotelio in condizioni fisiologiche è una struttura non trombogenica. Se danneggiato invece è in grado di
favore la formazione di microtrombi.
La vegetazione endocardiaca (costituita da piastrine, fibrina e batteri), forma una ambiente che, essendo poco
irrorato, favorisce al rapida crescita proteggendo il microrganismo dai meccanismi di difesa dell’ospite.

2
L’ 80% delle endocarditi è causato da:
- S. Aureus
- Streptococchi
- Enterococchi
Essi hanno tutti la capacità di aderire all’endotelio.

La diagnosi delle endocarditi viene fatta attraverso l’emocoltura: è una indagine fondamentale che può essere
effettuata in qualsiasi momento (in corso di endocardite l’immissione di batteri nel circolo sanguigno è continua)
ed è positiva nel 95% dei casi.

→ è correlata anche per la fisiologia del cuore che con


l’avanzare dell’età tende a cambiare.

→ e.v sta per endovena

Come possiamo vedere la letalità è molto elevata.

(MRSA: Staphylococcus aureus resistente


alla meticillina)

3
Carie
La carie è quindi una patologia multifattoriale a carattere infettivo. È conseguenza di uno squilibrio
dell’ecosistema orale che si determina quando le specie batteriche cariogene, in particolare streptococchi del
gruppo mutans (sm) e lattobacilli, aumentano numericamente a discapito delle specie saprofite. Questa
condizione infettiva precede il segno clinico della malattia, rappresentato dalla soluzione di continuo dei tessuti
duri.
La sola terapia delle lesione cariosa, cioè la cura del segno clinico della malattia, non influisce, se non
marginalmente, sullo stato infettivo; questo comporta che se non s’interviene sulle cause della malattia, persiste il
rischio di sviluppare nuove lesioni cariose. Una corretta gestione della carie per tanto, deve prevedere una
valutazione del rischio individuale di sviluppare nuove lesioni cariose. L’applicazione di misure preventive è
necessaria per ridurre il rischio di nuove lesioni e per arrestare la progressione delle lesioni in fase iniziale.
La carie dentarie è un malattia infettiva e trasmissibile, caratterizzata dal dissolvimento dei
tessuti duri del dente da parte degli acidi prodotti dal metabolismo batterico ( center for
disease control-CDC-2001).
È una delle malattie croniche più comuni al mondo ed i bambini rappresentano la categoria
più a rischio. È la principale responsabile del dolore orale e della perdita di elementi dentari.
I fattori eziologici che concorrono a sviluppare la carie sono molteplici.
La malattia è il risultato di una c complessa interazione nel tempo tra batteri acidogeni e i carboidrati fermenatbili
introdotti con la dieta e fattori lentai all’ospite, quali la saliva.
A questi fattori se ne aggiungono altri come lo stato socio-economico, l’uso di agenti remineralizzanti...
La valutazione del rischio di carie risulta, quindi, complessa e comprende:
- fattori fisici
- Biologici
- Ambientali
- Comportamentali
- Una elevata concentrazione di batteri cariogeni
- Abitudini alimentari inappropriate
- Inadeguato flusso salivare
- Una scarsa igiene orale
- Basso stato socio economico
Sono riconosciuti come importanti fattori di rischio per la malattia.

Partendo dalla definizone di salute data dall’OMS :


“stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non solo l’assenza di malattia od infermità ”. Per salute orale non si
vuole intendere solo assenza di malattia, ma molto di più: si tratta, infatti, di una condizione che influenza
fortemente lo stato di salute e benessere della persona. Esistono per esempio, correlazioni tra malocclusione
dentale e alterazioni della postura corporea e tra parodontopatia e patologie dell’apparto cardiovascolare e
diabete.
La funzione dei denti non è limitata
alla sola masticazione, questi infatti,
per la loro collocazione ed il rapporto
con le labbra, guance e lingua, hanno
un ruolo essenziale anche per la
fonazione (articolazione della parola )
e nella vita relazionale: l’impossibilita
di sorridere a causa di una bocca poco
curata può rappresentare una notevole
limitazione ai rapporti sociali e quindi
alla vita di relazione dell’individuo.

4
Molteplici fattori eziologici che concorrono a sviluppare la
carie:
La malattia è il risultato di una complessa interazione nel tempo
tra:
- batteri acidogeni
- Carboidrati fermentabili introdotti con la dieta
- Fattori legati all’ospite, quali la saliva
A questi fattori se ne aggiungono altri:
- lo stato socio economico
- L’uso di detergenti remineralizzati
- ...
La valutazione del rischio di carie risulta, quindi complessa e
comprende:
- fattori fisici
- Fattori biologici
- Fattori ambientali
- Comportamentali
→ un’elevata concentrazione di batteri cariogeni
→ abitudini alimentari inappropriate
→ un inadeguato flusso salivare
→ un’esposizione al fluoro, insufficiente
→ una scarsa igiene orale
→ un basso stato-socio economico
Sono riconosciuti come importanti fattori di rischio per la
malattia.

Trasmissione della flora carogna da madre a figlio:


Durante gli ultimi decenni, è andato crescendo l’interesse della comunità odontoiatrica internazionale verso la
possibilità di interferire nella trasmissione madre-figlio degli streptococchi del gruppo mutans, principali agenti
eziologici della malattia.
Una forte evidenza dimostra che SM è trasmesso al bambino dalla madre o da chi si occupa principalmente di lui
e che tale trasmissione è tanto più precoce e massiva quanto più la concertazione salivare materna è elevata.
Una mamma infetta, grazie ai continui contati tra il proprio cavo orale e quello del bambino, sarà causa di
frequenti inoculazioni di SM15.
La prevalenza di infezione da parte di SM varia dal 30% nei bambini di tre mesi di età (ancor aprivi di denti),
all’80% in quelli di 24mesi.
Questo notevole divario percentuale dipende dal fatto che il microrganismo patogeno può colonizzare
stabilmente il cavo orale solo dopo la comparsa dei primi elementi dentali decidui.
Poiché è dimostrato che il rischio di carie nei primi anni di vita del bambini è strettamente correlato alla precocità
con cui avviene la colonizzazione da parte di SM, la migliore strategia preventiva.

5
Biofilm:
La predominanza di specie cariogene nel biofilm batterico orale (placca) rapprese il prerequisito senza il quale
non è possibile l’instaurarsi della patologia.
Il biofilm rapprenda una aggregazione complessa di batteri
organizzati all’intervento di una matrice extra cellulare la
composizione varia durante la vita dell’individuo contribuendo
a modificare il rischio e compente batteria della placca che può
essere valutata attraverso l’uso di terreni selettivi che ne
permettono una valutazione quantitativa ; tuttavia, tale
metodica richiede strutture adeguate e personale idoneo. Nella
pratica clinica dei professionisti cui queste linee guida si
rivolgono (pediatri, neolaureati, odontoiatri, igienisti dentali,
genitori) è consigliabile utilizzare sistemi di valutazione sei
quantitativi disponibili in commercio. Questi test vengono
eseguiti su un campione di saliva, in quanto la concatenazione
dei batteri cariogeni in essa contenuti è direttamente
proporzionale a quella del biofilm.

→ gli zuccheri assunti posso essere divisi in 2 tipi:


-Cariogeni
-Protettivi

6
Vediamo come basti cambiare una selle commenti del braccio della bilancia, che essa si sbilancia a favore o a
sfavore del danno cariogeno.

7
Possiamo vedere da questa tabella i vari
tipi rischi associati ai diversi fattori
(biologici, protettivi, clinici). Dove c’è il Sì
indica la presenza e il tipo di rischio (alto,
moderato e basso).

→ questo è uno studio fatto sui


bambini, sulla possibilità di carie
nei bambini molto piccoli e il
destino nel futuro dente cariato.
Vediamo la carie precoce nel
lattante che presuppone una
possibilità di un aumento del
numero di carie. In questo caso il
responsabile è S.mutans, il
prolungato consumo di zuccheri,
carenza di igiene orale, hanno fatto
sì che comparisse precocemente la
farei nel lattante.

8
Calcolo del rischio di carie:
DMFT→(decay, missing, filled, teeth) serve per quantificare la diffusione della carie a livello internazionale, ed è
un indicatore epidemiologico.
Il DMFT è la somma dei denti che risultano cariati, mancanti per carie e otturati per carie. Se scritto in minuscolo
indica i denti decidui (dmft), se scritto in maiuscolo indica i denti permanenti.
Questo indice è stato introdotto nel 1938 da Klein e Palmer e per la sua semplicità e riproducibilità, è tuttora la
misura di scelta per il calcolo di incidenza a prevalenza di carie in una popolazione.

9
Prevenzione e profilassi della carie:

Epidemiologia della caria dentale:


il WHO world oral Health report of 2003
...la carie dentale rimane uno dei problemi di salute
orale nei paesi più industrializzati, e colpisce il
60%-90% dei bambini in età scolare e la maggior
parte degli adulti. Secondo l’indice DMFT il livello
di malattia cariosa è maggiore in America e in Asia,
ma relativamente basso in africa...
... l’incidenza di carie tenderà ad aumentare nei paesi
in via di sviluppo, come il risulto di una crescente
consumazione di zuccheri e indagata esposizione a
fluoro.

→ vediamo un istogramma in blu che


rappresentano le farei non trattate, e in
verde i denti trattati. Vediamo che prevale
la cura rispetto ai non curati, però è
progressivamente crescente l’età della
cura dei denti, tranne la progressione che
migliorata in termini di cure ed è costante
nei non trattati. 2009

→ vengono alziate due fasce 4 e 12 anni,


e vediamo la prevalenza, gli individui
visitati, individui affetti, popolazione nella
fascia di età e popolazione affetta da carie
presunta.

→ è possibile vedere gli obiettivi che


OMS si è posto prima nel 2005 e poi
nel 2020.

10
Questo è uno studio che è stato
condotto in Italia su pazienti suddivisi
per età (4 e 12 anni). In azzurro
abbiamo i soggetti sani mentre in rosso
quali con problemi curiosi.

Prevenzione: l’igiene orale

- spazzolare i denti dopo ogni pasto per un tempo di almeno 2-3 min
- usare uno spazzolino dalla testa medio - piccolo in modo da arrivare in tutto le zone della bocca; è preferibile
- che sia provvisto di setole artificiali di durezza media.
- sostituire lo spazzolino almeno ogni 2 mesi
- spazzolare accuratamente tutti i denti sia quelli anteriori che posteriori
- completare la pulizia dei denti mediante l’uso regolare del filo interdentale, sistema insostituibile per eliminare
la placca batterica dalle zone interdentali che non possono essere raggiunte dalle setole dello spazzolino.
- l’uso del filo non è consigliato in età evolutiva
- usare possibilmente un dentifricio a base di fluoro
- il fluoro rappresenta un valido aiuto nella prevenzione delle carie poiché rende lo smalto più resistente e lo
protegge dall’azione demineralizzante degli acidi della placca batterica.

11
RACCOMANDAZIONE 1

Il rischio individuale di sviluppare lesioni cariose deve essere valutato attraverso l’esperienza di carie, le abitudini
alimentari e di igiene orale, la fluoro profilassi e lo stato di salute generale e di ciascun individuo, oltre che
attraverso lo stato socio-economico della famiglia.

Forza della raccomandazione: A


Grado di evidenza: I

Sottoraccomandazione 1.1

La presenza anche di un solo elemento dentale, deciduo o permanente, cariato, cura o mancante per carie
rappresenta un fattore di rischio per l’insorgenza di nuove lesioni cariose.

Forza della raccomandazione: A


Grado di evidenza: I

Sottoraccomandazione 1.2

12
L’assunzione di bevande e cibi contenti carboidrati semplici è consigliata fuori dai pasti principali; in particolare,
l’uso del ciuccio edulcorato e l’uso non nutrizionale del biberon contenente bevande zuccherine deve essere
fortemente sconsigliati.

Forza della raccomandazione: A


Grado di evidenza: I
RACCOMANDAZIONIONE 2

La prevenzione della carie attraverso l’utilizzo del fluoro è necessaria per tutti gli individui.

Forza della raccomandazione: A


Grado di evidenza: I

Dai 6 mesi ai 6 anni:


- dentifricio (1000pm di fluoro) 2 volte al giorno, con attento controllo da parte degli adulti della dose utilizzata
sullo spazzolino.
- Per individui ad alto rischio di carie, interare con l’assunzione di gocce (6mesi/anni 0,25mg/die - 3/6anni 0,5
mg/die in gocce o pasticche)

Forza della raccomandazione: A


Grado di evidenza: I

Dopo i 6 anni:
- dentifricio (1000ppm di fluoro) 2 volte al giorno
- Qualsiasi ulteriore applicazione professionale topica di fluoro (gel, vernici ) necessaria pe rindivuidi a medio ed
alto rischio di carie.

Forza della raccomandazione: C


Grado di evidenza: VI

RACCOMANDAZIONE 3

Le sigillature dei solchi dei molari fermanti prevengono la carie delle superfici occlusali.

Forza della raccomandazione: A


Grado di evidenza: I

Eseguita tra i 6 e gli 8 anni per i primi molari permanenti.


La sigillatura consiste in un trattamento in cui tali solchi vengono puliti e poi “riempiti” con una resina contente
fluoro, in modo tale che il cibo non possa più fermarsi e lo smalto venga rafforzato.
È un trattamento non doloroso. È utile e conservativo. La durata delle sigillature è variabile, generalmente è un
trattamento che si esegue una sola volta nella vita del bambino perchè con il passare del tempo il dente si
consuma ed i solchi risultano meno profondi.
Le sigillature servono per prendere la carie a livello della superficie masticante ma questo non significa che i denti
sigillati non possono cariarsi.

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RACCOMANDAZIONE 4

Tutti i soggetti a medio e alto rischio di carie richiedono misure preventive aggiuntive.

Forza della raccomandazione: A


Grado di evidenza: I

Per tuti i soggetti per cui sia stato accertato un rischio di carie da medio a alto, sono necessarie misure preventive
aggiuntive.
Gestione di cibi pericolosi perchè ricchi di carboidrati e zuccheri:
-Attenzione ai frutti, particolarmente ricchi di zuccheri e alle bibite
-Lavare i denti dopo aver mangiato, anche dopo la merenda
-Preferire l’uso della cannuccia bevendo bibite o succhi di frutta
-Cercare di contenere la frequenza delle assunzioni di questi alimenti
-aumentare il consumo di prodotti ricchi di minerali e vitamine :
OLIO DI OLIVA: l’olio di oliva fra tutti i condimenti grassi è quello che viene
più facilmente assimilato e assorbito perché è il più ricco di acido oleico.
SALE: evitare il sale raffinato che è soltanto cloruro, ma scegliere il sale marino
integrale che contiene anche piccole dosi di altre sostanze utili al corpo umano.
LATTE e DERIVATI: il latte è un alimento molto indicato per una buona
alimentazione perché è completo, contendono proteine, grassi, zuccheri, sali
minerali e vitamine. Il suo consumo non deve essere limitato alla prima
colazione ed ai bambini più piccoli

ATTENZIONE → tutte le bibite gassate o gli integratori per gli sportivi, il the e
tutte i reparti liofilizzati sono estremamente dannosi per i denti.

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