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A. Fusco
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A. Fusco
INDICE
Sincope
Fibrillazione atriale
Pericarditi 21
Miocarditi 24
Cardiomiopatie 25
Endocarditi 29
Malattie dell'Aorta 33
(aneurismi e dissecazione)
I Gazzellini
Cardiopatia ischemica
Fisiopatologia coronarica: i vasi coronarici possono essere suddivisi in vasi di conduttanza ossia le grosse
arterie epicardiche ed i loro rami e in vasi di resistenza ossia le per arteriole e i piccoli rami intramiocardici
che sono il principale determinante delle resistenze coronariche.
La circolazione coronarica è influenzata e controllata dalle richieste di ossigeno da parte del cuore. Queste
richieste aumentano con la frequenza cardiaca, la contrattilità e lo stress di parete. Il livello di estrazione di
ossigeno del miocardio è del 70%, molto elevato. Pertanto se vi è un’aumentata richiesta metabolica, l’unico
meccanismo che permette un adeguato apporto di ossigeno è la vasodilatazione del vasi di resistenza con
conseguente diminuzione della resistenza al flusso.
La riserva coronarica è la massima capacità di vasodilatazione e conseguente flusso in risposta ad uno
stimolo. Il fabbisogno miocardico di ossigeno regola pertanto la vasodilatazione dei vasi intramiocardici (che
normalmente hanno grande capacità di dilatarsi) che costituiscono pertanto un particolare microcircolo
dotato di capacità di regolazione metabolica e di autoregolazione dipendente più dal fabbisogno cardiaco
che dal controllo sistemico.
L’aumento della richiesta miocardica pare si esplichi in un aumento dell’idrolisi di ATP con conseguente
rilascio nell’interstizio di adenosina, la quale vaso dilata i rami intramiocardici con incremento del flusso in
proporzione alla richiesta. Il flusso coronarico è generalmente fasico, in quanto è possibile solo durante la
diastole (nelle tachiaritmie pertanto può ridursi a causa della diminuzione del tempo di diastole) perché
in sistole i vasi intramiocardici sono occlusi dalla contrazione. Gli strati sub endocardici sono quelli
maggiormente esposti all’ischemia.
L’ischemia è una riduzione del flusso che si associa naturalmente a danno cellulare (di vario grado). La
principale causa di ischemia è l’aterosclerosi coronarica in quanto la placca ateromatosa ostruisce il
flusso con diminuzione del calibro delle arterie. L’ischemia miocardica può verificarsi anche, molto più
raramente, da spasmo, da trombi o emboli, da anomalie congenite come l’origine del ramo discendente
anteriore della coronaria sinistra dall’arteria polmonare (ischemia e infarto in età infantile), grave ipotrofia
ventricolare da stenosi aortica (ma anche ipetrofia ventricolare con associata maggiore richiesta), e inoltre
la soglia ischemica può essere ad esempio ridotta da una riduzione della capacità di trasporto di ossigeno.
asintomatici anche pazienti con alto grado di stenosi delle coronarie. La gravità e l’insorgenza dell’ischemia
dipende anche dal punto in cui si verifica l’ostruzione (più grave se prossimale, tipo nel tronco comune
della coronaria di sinistra) e dalla possibilità (in genere presente, soprattutto se l’ostruzione è graduale) di
sviluppo di circoli collaterali.
Le placche ateromatose possono andare incontro a varie lesioni come: calcificazione (arterie rigide),
rottura e ulcerazione (si liberano sostanze trombo geniche con possibile sviluppo di trombi a valle).
Generalità sulla cardiopatia ischemica: la cardiopatia ischemica è una condizione di insufficiente
apporto di ossigeno al miocardio. La cardiopatia ischemica può essere sintomatica o meno (e magari
essere rilevabile solo con coronarografia o ECG sotto sforzo) e persino l’IM pare restare non diagnosticato
nel 25% dei pazienti. La fase sintomatica è invece caratterizzata da dolore toracico dovuto ad angina
pectoris o infarto acuto del miocardio.
Le conseguenze dell’aterosclerosi coronaria e dell’ischemia possono essere:
1) Aritmie fatali: l’ischemia causa instabilità elettrica con eccitazione di focolai ectopici che causano
extrasistoli, tachicardie e fibrillazioni ventricolari con conseguente morte improvvisa.
2) Cardiomiopatia ischemica: condizione dovuta a ripetuti danni miocardici che si presenta con
cardiomegalia e scompenso cardiaco (ventricolo sinistro danneggiato) che non hanno determinato alcun
sintomo prima dell’insorgenza di insufficienza cardiaca.
3) Formazione di trombi: Nell’angina stabile l’endotelio che ricopre la placca è liscio, nell’angina instabile
la superficie tende a ulcerarsi con fenomeni di aggregazione piastrinica. A seguito di rottura o ulcerazione
delle placche (che sono instabili a causa di fattori come il trombossano prodotto dalle piastrine) possono
formare un trombo che può depositarsi a valle e causare condizioni cliniche differenti: 1) Se non occlude
il vaso coronarico si manifesta un incremento della gravità del quadro anginoso. 2) Se la progressione
è rapida ma comunque non occlude il vaso si ha infarto sub endocardico (non Q) 3) Se l’occlusione è
completa si ha infarto trans murale (infarto Q).
ECG da sforzo: test provocativo in grado di indurre ischemia in soggetti con ostruzione delle coronarie. La
manifestazione ischemica appare in genere come un sottoslivellamento del tratto ST.
Scintigrafia con tallio 201: il tallio 201 è un isotopo che si fissa al miocardio in una concentrazione
dipendente dal flusso coronarico regionale ed evidenzia quindi alterazioni della perfusione coronarica
in presenza di stenosi emodinamicamente significative (soprattutto di IVA). Pertanto permette di vedere
dove sono ostruzionie e se l’ischemia è reversibile (alterazioni che scompaiono dopo circa quattro ore) o
meno.
ECG secondo Holter: registrazione continua per 24-48 ore. Con la collaborazione del paziente permette
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I Gazzellini
di evidenziare disturbi del ritmo e anomalie di ripolarizzazione ventricolare tipiche delle fasi ischemiche e
di metterle in relazione con la sintomatologia e la frequenza cardiaca del paziente durante la giornata. Si
possono così vedere anche eventuali attacchi ischemici asintomatici ed aritmie verificatesi nel contesto o
meno di tali attacchi.
Arteriografia coronarica: o coronarografia, è l’indagine più specifica per le patologie coronariche. È
un esame invasivo tramite un catetere inserito per via venosa (più femorale) che giunge fino agli osti
coronarici dove poi viene iniettato un mezzo di contrasto per l’esame radiologico delle coronarie che
vengono ben evidenziate. In genere si esegue anche una ventricolo grafia per valutare contrattilità e
valvole ventricolari. Trova indicazioni per valutare una dubbia cardiopatia ischemica o per quantificare
l’ostruzione delle coronarie in paziente con malattia coronarica già avanzata. In genere si esegue quando
la terapia medica non controlla bene i sintomi o se l’angina è instabile. È un esame non privo di rischi quali
l’infarto miocardico (0,7%) e accidenti cerebrovascolari (0,07%).
Classificazione generale della cardiopatia ischemica: i pazienti con cardiopatia ischemica si dividono
in due grandi gruppi:
1) quelli con malattia coronarica cronica che in genere si presentano con angina pectoris stabile;
2)quelli con sindromi coronariche acute (SCA) che possono essere pazienti con:
- infarto miocardico acuto (IMA) con sopraslivellamento del tratto ST all’ECG (STEMI)
- angina instabile o infarto miocardico acuto senza sopraslivellamento del tratto ST (AI/NSTEMI).
Definizione: sindrome clinica relativa ad un’ischemia miocardica transitoria. È una malattia coronarica
cronica.
Clinica: il tipico paziente è un uomo oltre 50 anni o una donna oltre 60 che lamenta disturbi al torace in
genere descritti come senso di pesantezza, pressione, oppressione, soffocamento e solo più raramente
come vero e proprio dolore (che comunque è un dolore toracico retro sternale costrittivo). Il dolore
può irradiarsi al collo, alla regione intrascapolare (se al trapezio è più pericardite), alla mascella, ai denti,
all’epigastrio e alle braccia (più sinistro). A volte il dolore può non insorgere in sede retro sternale bensì
solo nelle sedi secondarie.
Gli episodi sono tipicamente scatenati dallo sforzo fisico o dalle emozioni e cessano con il riposo, ma è
possibile anche che si verifichino durante il riposo specie in posizione supina (angina da decubito o angina
a riposo) e il paziente può persino essere svegliato di notte da dispnea e dolore tipico. Dolori taglienti e
immediati o prolungati e lievi sono angina solo molto raramente. Nausea e vomito sono meno comuni che
nell’infarto.
L’ECG può mostrare modificazione dell’ST, inversione dell’onda T e segni di ipertrofia ventricolare che non
sono specifici a meno che non siano concomitanti alla sintomatologia.
Terapia: si basa su
1. Misure generali e stile di vita: il paziente potrà condurre le normali attività lavorative ed
extralavorative (tranne lavori manuali pesanti), magari solo conducendo il tutto più lentamente.
2. Trattamento dei fattori di rischio: cardiomiopatia ipertrofica o valvulopatie ed inoltre patologie quali
obesità, ipertiroidismo ed ipertensione, diabete ed eliminare il fumo di sigaretta. È importante
una dieta che limiti l’apporto di grassi saturi e di sale, monitorare eventuale dislipidemia che può
richiedere terapia con inibitori della HMG-CoA reduttasi (statine).
3. Terapia farmacologica: ha lo scopo di ridurre gli eventi di angina e l’incremento improvviso di
frequenza cardiaca e pressione arteriosa che innalzano il lavoro cardiaco.
Nitroderivati: sono in uso da più di 125 anni, hanno azione benefica, immediata, nel ridurre gli episodi
di angina: vasodilatazione delle arterie coronariche (aumentando il flusso miocardico) e di tutto il circolo
sistemico. La loro azione si esplica sia sulle arterie (riducendo il post-carico, la pressione arteriosa) che
sulle vene (aumento della capacitanza venosa e quindi riduzione del pre-carico). Vengono assorbiti più
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Cardio per Interna
L’angina instabile una volta detta angina preinfartuale o insufficienza coronarica acuta è una forma di
angina che ha alta probabilità di evolvere in infarto miocardico acuto.
La diagnosi e anche la definizione di AI è basata sulla presentazione clinica, è infatti un’angina pectoris
che ha una di queste caratteristiche: 1) compare a riposo (o con minimo sforzo) e di solito dura più di 10
minuti (l’angina stabile dura meno ed è più associata allo sforzo), 2) è intensa e di recente insorgenza
(pazienti con angina insorta nelle ultime 3-4 settimane) 3) si verifica seguendo un pattern in crescendo (nel
tempo la sintomatologia anginosa è divenuta più grave, prolungata o frequente).
La diagnosi di NSTEMI viene posta se alla clinica di AI si aggiungono segni di necrosi miocardica
evidenziata dall’aumento degli enzimi di danno miocardico.
Patogenesi: è ovviamente causata da un disequilibrio tra apporto e richiesta di ossigeno che causa ischemia
miocardica. Il processo alla base di quest’ischemia può essere: rottura o erosione di placca con trombi
non occlusivi, che sono la causa più comune, ostruzione dinamica (tipo spasmo coronarico angina di
Prinzmetal), ostruzione meccanica progressiva ma comunque non completa (cosa che spesso causa infarto
sub endocardico, non Q) e AI secondaria a maggiore richiesta o altre cause di minore apporto (anemia o
tachicardia che causa riduzione dei tempi di diastole). A volte queste cause si presentano insieme. Il 40%
dei pazienti ha patologia monovasale (soprattutto IVA), il 5% ha ostruzione del tronco comune, il 10%
nessuna ostruzione critica (spesso questi hanno Prinzmetal). La lesione responsabile visibile all’angiografia
è più spesso un trombo bianco (piastrine) rispetto all’IM. Spesso ci sono placche multiple e può essere utile
valutarne il numero, la percentuale e la localizzazione delle ostruzioni.
Clinica: sintomi e segni sono come quelli dell’angina stabile, in questo caso però il dolore toracico è
abbastanza intenso da essere riconosciuto come doloroso. Se il paziente ha un’ampia area necrotica di
NSTEMI si possono avere segni e sintomi tipici dell’infarto STEMI. ECG: si ha in genere un sottoslivellamento
del tratto ST o anche un’onda T invertita. (le onde T sono meno specifiche se non sono abbastanza profonde
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I Gazzellini
cioè >0,3mV). Nuove alterazioni dell’ECG in pazienti con sintomi di AI sono segni prognostici negativi.
Il paziente riferisce in genere dolore toracico, di durata in genere inferiore a 20-30 minuti, con possible
associazione di: ansia, nausea, vomito, sudorazione, palpitazioni, dispnea.
Esame obiettivo: spesso normale, ma si può rilevare: terzo e/o quarto tono; soffio sistolico puntuale,
congestione polmonare, distensione venosa giugulare, aumento della pressione.
Enzimi di danno miocardico: livelli elevati di enzimi come CK-MB e troponina comportano rischio
maggiore di morte o recidiva infartuale (cioè però vale solo per pazienti con chiara storia clinica di ischemia,
per cui c’è relazione diretta tra aumento troponina e mortalità).
Diagnosi: bisogna prima di tutto determinare la probabilità che i sintomi siano dovuti a sindrome coronaria.
Dolore ischemico, precedente infarto, segni chiari all’angiografia, nuove alterazioni ischemiche all’ECG,
scompenso cardiaco sono molto indicativi. In secondo luogo contano i fattori di rischio per patologia
coronarica. Gli strumenti diagnostici principali sono anamnesi, ECG, enzimi e test da sforzo. Bisogna
verficare se c’è infarto (ECG ed enziimi), valutare se c’è ischemia a riposo o grave malattia coronarica (dopo
test da sforzo). Incrementi di enzimi o nuove alterazioni dell’ECG mentre il paziente è ricoverato sono
segno di AI/NSTEMI.
Risultano pertanto utili: ECG seriati; Rx torace; Ecocardiogramma.
Indagini di laboratorio: Enzimi cardiaci, elettroliti, creatininemia, Azotemia, Glicemia, etc.
Prognosi: mortalità tra 1-10% in 30 giorni e rischio o recidiva d’infarto tra 3-10%. Fattori di rischio per
malattia coronarica, età superiore a 65 anni, sviluppo di sintomi nonostante terapia con acido acetilsalicilico,
slivellamento del tratto ST maggiore o uguale a 0,5mm peggiorano la prognosi.
Terapia: il paziente deve essere messo a riposo (ricoverato) con monitoraggio ECG continuo. La
terapia prevede l’uso di nitrati e beta-bloccanti oltre ad un trattamento con antitrombotici quali acido
acetilsalicilico o anche eparina non frazionata o enoxaparina (eparina a basso peso molecolare). Il
trattamento a lungo termine è in tutto e per tutto uguale a quello dei pazienti con angina, anche per
quanto riguarda le misure generali.
Definizione: è una forma di angina che compare prevalentemente a riposo associata ad un transitorio
sopraslivellamento del tratto ST. L’evidenza all’ECG è presente solo durante l’attacco e dura in genere,
a differenza dell’IM, 5-20 minuti, risultando invece un ECG normale nel resto della giornata. Gli attacchi
tendono a comparire nelle stesse ore e dissociati dallo sforzo.
La sindrome è dovuta ad uno spasmo focale di un’arteria epicardica (più la destra, ma spesso varie) cui
consegue un’ischemia miocardica. In alcuni pazienti lo spasmo arterioso è sistemico (sincope, fenomeno
di Raynaud, emicrania). La causa dello spasmo è forse un’ipercontrattilità della muscolatura liscia vascolare
dovuta al rilascio di fattori vasocostrittori, leucotrieni, serotonina, etc. In genere lo spasmo si verifica entro
1 cm da una placca aterosclerotica (che quindi comunque è presente anche in questi pazienti, che però
in genere, a parte il fumo, hanno meno fattori di rischio per patologia coronarica e sono più giovani). Lo
spasmo coronarico transitorio visto all’angiografia è l’elemento diagnostico fondamentale. A volte possono
aversi episodi di ischemia silente (asintomatica) o anche lievi aumenti di CK-MB e troponina.
Prognosi: dopo un periodo acuto di 3-6 mesi in cui c’è anche un maggiore rischio di infarto miocardico
non fatale (che in 5 anni è del 20%) la sopravvivenza a 5 anni è eccellente (90-95%). La prognosi è peggiore
in pazienti con gravi ostruzioni o che sviluppano importanti aritmie durante gli episodi.
Terapia: nitrati e soprattutto calcio-antagonisti.
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Cardio per Interna
Ischemia asintomatica
Definizione: anche detta silente. I pazienti con IMA, ischemia transitoria e coronaropatia ostruttiva sono
spesso asintomatici anche se hanno segni evidenti all’ECG. Questi episodi comportano comunque un
rischio elevato di sviluppo di infarto miocardico (e talvolta morte) e in base a test da sforzo, all’ECG e all’età
deve essere scelta comunque una terapia adeguata.
Patogenesi: è ben noto che la causa principale di IHD (cardiopatia ischemica) sia l’aterosclerosi
coronarica. Questa può causare ostruzione più o meno grave dei vasi coronarici (per lo più epicardici) e
può coinvolgere uno o più spesso diversi vasi. Mentre generalmente le stenosi fisse causano patologie
come l’angina e in genere tanto gravemente quanto grave è la lesione (75% occlusione ischemia da sforzo,
90% ischemia anche a riposo), le sindromi coronariche acute dipendono generalmente da impreviste e
brusche trasformazioni della placca aterosclerotica quali rottura o fissurazione, ulcerazione, erosione. In
breve, generalmente:
1. Angina stabile: è causata da un’ostruzione fissa (senza rottura della placca) e da un’ischemia da
aumentata richiesta del miocardio (raro che ci sia necrosi perché si riesce in genere a formare una rete
di vasi collaterali, dato che l’ostruzione si ingrossa lentamente).
2. Angina instabile: si ha rottura della placca, ma il trombo è solo parzialmente occlusivo.
3. Infarto miocardico: a causa dell’alterazione della placca si forma un trombo che occlude totalmente il
vaso, e rapidamente, in modo che non si riesce a formare un circolo collaterale e si ha pertanto necrosi.
In pratica la sequenza di eventi risulta questa:
Le placche aterosclerotiche hanno una composizione dinamica (per esempio il cappuccio fibroso va
incontro a rimodellamento) e in particolare risultano “vulnerabili” quelle con core lipidico ricco di cellule
schiumose, quelle con molte cellule infiammatorie o con cappucci fibrosi sottili.
Si ha pertanto un’improvvisa modificazione della placca ateromatosa (ulcerazione, emorragia
intramurale, erosione, rottura o fessurazione) con relativa esposizione delle componenti altamente
trombo gene (come il collagene subendoteliale) della placca che causano un’attivazione piastrinica
anche a seguito del rilascio di agonisti. Si ha rilascio di trombossano A2 e ulteriore attivazione piastrinica
e d esposizione del fattore tissutale con relativa attivazione della cascata della coagulazione. Il risultato
è la formazione di un trombo murale che occlude rapidamente il vaso.
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I Gazzellini
Altre cause come emboli, anomalie congenite, vasospasmo possono causare infarti, ma molto più
raramente.
L’ostruzione arteriosa causa ischemia nell’area irrorata dall’arteria occlusa, definita area a rischio. Il miocardio
perde la sua funzione contrattile, avvia un metabolismo anaerobico (di acido lattico, potenzialmente
dannoso), ma soltanto a seguito di un’ischemia severa (meno del 10% del flusso) e duratura (20-30 minuti
almeno) si ha necrosi dei cardiomiociti (ossia danno irreversibile) con rottura della membrana e fuoriuscita
di proteine miocardiche. Un danno permanente di notevole entità si ha dopo un periodo di 2-6 ore
dall’inizio dell’ischemia (dipende anche dal livello di circolo collaterale) e pertanto risulta fondamentale
una rapida diagnosi e intervento.
Anatomia patologica: la forma di infarto più frequente è quella completa, ossia l’infarto trans murale
che coinvolge appunto l’intero spessore della parete ventricolare.
Soprattutto se il trombo si è sciolto rapidamente per trombo lisi può verificarsi un esclusivamente un
infarto sub endocardico (terzo o metà interna della parete) ossia concentrato solo nella sezione più
sensibile all’ischemia (in quanto peggio irrorata).
Quasi tutti gli infarti sono localizzati nella parete del ventricolo sinistro e risparmiano solo una sottile rima
(0,1mm) di miocardio sub endocardico direttamente irrorata dal sangue contenuto nel lume ventricolare.
La sede dell’infarto dipende naturalmente dalla coronaria occlusa:
1. Coronaria discendente anteriore sinistra (40-50%): infarto “anteriore” che coinvolge la parete
anteriore del ventricolo sinistro, l’apice e la parte anteriore del setto interventricolare.
2. Coronaria destra: “infarto posteriore” (ma solo in caso di dominanza destra) che coinvolge la parete
inferiore/posteriore del ventricolo sinistro, la parte posteriore del setto interventricolare e, nel 15-30%
dei casi, parte del ventricolo destro.
3. Coronaria circonflessa sinistra: infarto “laterale” che coinvolge la parete laterale del ventricolo
sinistro, ma non l’apice.
Vi sono anche sedi meno consuete come il tronco comune della sinistra oppure rami secondari.
Le aree miocardiche danneggiate vanno incontro ad una serie di modificazioni che partono dalla necrosi
coagulativa e continuano on processi di infiammazione e riparazione (anche se l’aspetto dipende
naturalmente dalla sopravvivenza del paziente). Macroscopia: Nelle prime 12 ore gli infarti non sono in
genere affatto riconoscibili macroscopicamente. Successivamente è prima visibile come un’area rossastra
( a causa del ristagno ematico), poi è apprezzabile un colorito giallo a causa dell’infiltrato infiammatorio.
Lo spessore della parete cardiaca appare ridotto perché il tessuto necrotico è progressivamente rimosso.
In seguito il centro giallognolo è circondato da una zona iperemica di tessuto di granulazione (entro
2 settimane). Dopo circa un mese l’area diviene grigiastra sino alla formazione di una cicatrice dura
successivamente.
Microscopia: le cellule non mostrano segni prima delle 12 ore. Dopo un giorno si nota la necrosi cellulare e
la perdita delle fibre e successivamente infiltrato infiammatorio che tramite la liberazione di enzimi da parte
dei neutrofili e la fagocitosi dei cardiomiociti morti da parte dei macrofagi eliminano il tessuto necrotico,
che già dopo una settimana viene sostituito da abbondante tessuto di granulazione. Si ha poi lentamente,
nel corso del primo mese, la sostituzione del tessuto di granulazione con tessuto fibroso e almeno entro sei
mesi la formazione finale della cicatrice. Una volta guarita una lesione non è più databile. Nell’infarto trans
murale queste modificazioni sono molto più evidenti e nette che nell’infarto sub endocardico.
Clinica: Il sintomo più caratteristico è il dolore. Il dolore è profondo e viscerale, in genere descritto come
pesante, opprimente o a morsa. Può essere retrosternale, ma anche epigastrico o interscapolovertebrale
e si può irradiare alle braccia (più il sinistro) a collo, mandibola, addome e schiena, anche fino all’occipitale
ma mai sotto l’ombelico. A differenza di quella della pericardite acuta non si irradia al trapezio. Può
assomigliare al dolore dell’angina pectoris, ma, anche se in in curca il 30% dei casi è preceduto da un
fattore precipitante (stress fisico o emotivo, patologia), in genere si presenta a riposo e comunque non è
alleviato dal riposo e dura più di venti minuti. Viene indicato spesso dal paziente con la mano aperta o
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Cardio per Interna
ECG: costituisce un mezzo fondamentale nella diagnosi di infarto, soprattutto in fase acuta. È inoltre in grado
di individuare un infarto pregresso. Tramite l’ECG si distinguono infarti con o senza sopraslivellamento del
tratto ST, e infarti Q e non Q (suddivisioni che combaciano spesso, ma non sempre). L’area miocardica
colpita presenta delle alterazioni nella conduzione degli impulsi che vengono rilevate.
I principali segni di cardiopatia ischemica e infarto sono:
Onda T invertita: segno di ischemia.
Tratto ST sottoslivellato: segno di ischemia in ECG da sforzo, comune nell’infarto sub endocardico, ma
può anche essere un’immagine indiretta di lesione.
Tratto ST sopraslivellato: segno di lesione (immagine diretta), è presente anche in altre condizioni. In un
ECG da sforzo in paziente con pregresso infarto può essere un segno di discinesia ventricolare (vedi ECG
cardiopatia ischemica).
Onda Q: è un segno di necrosi. Il tessuto necrotico è del tutto incapace di condurre impulsi e pertanto
crea un vuoto o finestra elettrica che l’ECG è in grado di rilevare. L’elettrodo positivo più vicino alla zona
infartuata rileva infatti l’assenza di vettori nella propria direzione mentre, attraverso questa specie di finestra
elettrica, vede i vettori che si propagano dalla parte opposta e dunque nella direzione opposta. Il risultato
è una profonda deflessione negativa, un’onda Q appunto. Questa è significativa (e non una normale
onda q del complesso QRS dovuta alla propagazione dell’impulso attraverso il setto interventricolare da
sinistra a destra) solo quando ha un’ampiezza maggiore di 1mm o un’altezza almeno di 1/3 del QRS.
Solitamente le lesioni causate dall’infarto vengono distinte in tre o quattro stadi.
1. Modificazioni iperacute: le onde T divengono alte ed ampie.
2. Modificazioni acute: compaiono i segni di lesione come il sopraslivellamento del tratto ST. Della
lesione si può avere, come anche per l’ischemia, un’immagine diretta (da parte degli elettrodi che
guardano l’area lesa) e un’immagine indiretta (da parte degli elettrodi che guardano l’area opposta)
che mostrerà dunque un sottoslivellamento del tratto ST.
3. Modificazioni precoci: comparsa di onde Q patologiche, segno di necrosi. Non sempre!
4. Modificazioni tardive: in genere dopo almeno 48 ore: inversione dell’onda T (segno di ischemia,
che in realtà può anche essere presente prima, magari in pazienti con angina o comunque con episodi
ischemici).
Successivamente le onde T e le variazioni del tratto ST tendono a scomparire lasciando come unico segno
l’onda Q o meglio il complesso QS.
È possibile localizzare l’infarto valutando in quali derivazioni si presentano queste alterazioni. Si può fare
il discorso pensando alle sole onde Q, ma naturalmente è valido anche per il tratto ST e per le onde T
invertite (infarti anteriore, laterale, inferiore o posteriore). Gli infarti si associano spesso ad emiblocchi
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I Gazzellini
Troponine miocardio-specifiche T e I, TnT e TnI: insieme alla troponina C hanno il compito di regolare lo
spostamento della tropo miosina e in generale l’interazione tra actina e miosina tramite un meccanismo
di risposta calcio-dipendente (la troponina C rappresenta il sito di legame con il calcio). Le troponine I e T
miocardiche hanno (a differenza della C), una composizione aminoacidica diversa rispetto a quelle di altri
tessuti muscolari e pertanto sono specifiche di danno miocardico. Il dosaggio si effettua tramite specifici
anticorpi monoclonali. Nell’infarto possono aumentare anche di 20 volte. TnI e TnT sono i marcatori
sierici preferiti per IM, soprattutto quando ci sono valori al limite di CK-MB. Comparsa: 2-6h; Picco: 10-24h.
Durata: 5-14gg.
Mioglobina: rilascio precoce: 2-3h. Ritorno alla normalità in 8-10h. Meno sensibile delle troponine,
soprattutto negli infarti datati. Ma è il marker più precoce.
Creatin fosfochinasi, CK: aumenta entro 4-6 ore dall’inizio dei sintomi, raggiunge il picco nelle 16-24
ore e scompare dopo circa 2-3 giorni. Ha una specificità limitata perché può aumentare in ogni danno
muscolare e in altre patologie. L’isoforma CK-MB è invece tipicamente cardiaca anche se aumenta anche
in interventi di cardiochirurgia e miocarditi oltre alla cardioversione elettrica (che causa spesso aumento
anche di altri enzimi) che è un comune intervento in caso di aritmie pericolose come la fibrillazione
ventricolare.
Altri enzimi sono: transaminasi glutammico-ossalacetica (GOT, compare con la CK e torna a valori
normali in 5-7 gg) e lattato-deidrogenasi (LDH, torna alla normalità in 10 giorni). I pazienti che fanno
terapia trombo litica o interventi di rivascolarizzazione hanno, a causa della maggiore perfusione, un
rilascio degli enzimi molto più rapido, con picco di concentrazione e ritorno alla normalità in meno tempo.
In questo modo la quantità di enzima rilasciata è minore, e questo indica pertanto anche un minore danno
miocardico.
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Cardio per Interna
funzione ventricolare. Le tecniche radioisotopiche sono in genere cmq meno usate perché indaginose e
spesso poco specifiche.
La risonanza magnetica con gadolinio è un’alternativa.
Tomografia a emissione di positroni: (PET) permette tramite l’impiego di FDG (fluorodesossiglucosio) di
valutare il metabolismo di glucosio da parte del tessuto miocardico e di considerare la presenza o meno
di zone miocardiche vitali. Possono esservi zone che, pur restando vitali, hanno caratteristiche particolari.
Si distinguono:
Complicanze: quadri clinici che possono presentarsi durante l’infarto o in tempi successivi:
1. Disfunzione ventricolare e scompenso cardiaco congestizio: a seguito di un infarto si hanno dei
fenomeni di rimodellamento ventricolare con ingrandimento del ventricolo a seguito dell’allungamento
delle fibre nell’area infartuata e successivamente anche intorno. La dilatazione è associata ad una
disfunzione ventricolare che può evolvere (anche in anni) in uno scompenso cardiaco (sistolico da
ridotta gittata o diastolico da ridotta compliance). Il deficit di pompa è la principale causa di morte
dopo IMA, e ha come segni un terzo o quarto tono e congestione polmonare (radiografia al torace). I
pazienti con scompenso presentano un’aumentata pressione di riempimento ventricolare e dell’arteria
polmonare (verificate con inserimento di un catetere a palloncino). Una funzione ventricolare anomala
è in genere associata ad un deficit di contrattilità di almeno il 20-25% del ventricolo (oltre il 40% si
può avere shock cardiogeno ossia un deficit di pompa con volumi ventricolari di riempimento che
risultano aumentati e forte ipotensione che può portare anossia cerebrale, nell’80% dei casi risulta
mortale). La terapia per lo scompenso cardiaco congestizio dopo IMA è la stessa del normale con
diuretici, vasodilatatori (nitrati) e ACE-inibitori e/o ARB. I diuretici possono peggiorare la situazione
causando ipovolemia.
2. Infarto ventricolare destro: più che una complicanza è una condizione che può avvenire in
concomitanza all’infarto del ventricolo sinistro (30% si infarti laterali). Si può associare a segni di
scompenso cardiaco destro e si può notare in genere un sopraslivellamento del tratto ST nelle
derivazioni precordiali destre dell’ECG.
3. Aritmie: l’incidenza delle aritmie in pazienti con IMA è molto alta in quanto queste possono
essere causate da squilibri del SNA, disturbi elettrolitici, ischemia e rallentamento di conduzione
nelle aree necrotiche. Le aritmie possono aggravare la necrosi diminuendo la perfusione
coronarica e incrementando il consumo di ossigeno (le tachiaritmie riducono il tempo di
diastole e aumentano il lavoro cardiaco) o aggravando il deficit di pompa (bradi aritmie).
Tachiaritmie:
- Extrasistoli ventricolari: i battiti ectopici ventricolari sono comuni e sono dovute all’ipossia e
aggravate da eventuali squilibri idroelettrici quali ipopotassiemia e ipomagnesemia (che sono
aggravanti di molte forme aritmiche e devono essere corretti!). Di per sé non rappresentano un
fenomeno preoccupante perché non compromettono la funzione emodinamica, ma se molto precoci
possono favori l’insorgenza di TV e FV (fenomeno R/T). I beta-bloccanti le riducono notevolmente.
- Tachicardia ventricolare e fibrillazione ventricolare: sono potenzialmente molto pericolose
(si aggiunge a queste anche la torsione di punta) in quanto possono compromettere la condizione
emodinamica. Anche se la terapia profilattica antiaritmica con lidocaina non è più raccomandata si
usano i beta-bloccanti per prevenire queste condizioni. Si trattano con amiodarone, o, se le condizioni
del paziente sono gravi, con cardioversione elettrica (scarica non sincronizzata di 200-300J, se non
funziona si associa ad adrenalina). L’impianto di un ICD è indicato in pazienti con frazione di eiezione
ventricolare inferiore al 40% con episodi di TV e FV post-STEMI.
- Ritmo idioventricolare accelerato: il ritmo idioventricolare può avvenire solo se la funzione del NSA
come pacemaker dominante viene a mancare. È una forma di tachicardia ventricolare in genere quindi
associata a bradiacardia sinusale. Non è tendenzialmente pericolosa perché il ritmo è di 90-100bpm e
non è un preludio a FV, può essere trattata con atropina per favorire un aumento dell’attività del NSA
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I Gazzellini
(tachicardia sinusale).
- Aritmie sopraventricolari: la più comune è la tachicardia sinusale che a meno che non sia sostenuta
(100-120 bpm) e duratura (2 ore, e in tal caso si usa defibrillatore) non è particolarmente preoccupante. Si
può trattare con beta-bloccanti perché in genere è associata a ipertono simpatico. Ritmi idiogiunzionali
accelerati sono possibili.
Bradicardie:
- Bradicardia sinusale: è comune nell’infarto inferiore ed è in genere associata ad ipertono vagale. Il
trattamento con atropina è indicato se c’è compromissione emodinamica. Se persiste si pratica pacing.
- Blocchi di conduzione atrioventricolare e intraventricolare: possono avere cause differenti. Negli
infarti inferiori i blocchi AV sono dovuti in genere a ipertono vagale, negli anteriori principalmente alla
necrosi e ostruzione delle coronarie che vascolarizzano anche le branche del sistema di conduzione.
Il malfunzionamento su base ischemica del sistema di conduzione è alla base anche dei frequenti
emiblocchi o blocchi di branca che si verificano comunemente in caso di IMA. Il BAV è la condizione più
grave e deve essere trattato in caso di compromissione emodinamica con pacing (magari preceduto da
elettrostimolazione temporanea esterna non invasiva). Comunque è indicato in tutti i casi di blocco bi
fascicolare, Mobitz II, BAV di terzo grado, se non rispondono a terapia medica e presentano bradicardia.
4. Aneurisma del ventricolo sinistro: è una discinesia o espansione parietale del ventricolo sinistro. In
genere è associato ad infarti anteriori e coinvolge la parete antero-settale . La parete ventricolare perde
il tessuto muscolare che viene sostituito da tessuto fibroso acinetico e sottile (ben visibile all’esame
ecocardiografico). Può associarsi a disfunzione ventricolare o scompenso e ad aritmie ventricolari. Con
il tempo la zona può dilatarsi e diventare sede di ancoraggio di trombi (con un rischio, raro, di fenomeni
embolici sistemici). La terapia è chirurgica e consiste nell’aneurismectomia ventricolare sinistra.
Quest’intervento è eseguito in ipotermia moderata (28°) e circolazione extracorporea con infusione
cardioplegica potassica a 4°C. L’aneurisma deve essere inciso e i asportato lasciando però dei margini di
tessuto necrotico sui quali poi dovranno essere passati dei punti con sutura in Tevdek 2-0 a punti staccati
su quadratini di Teflon. Se nella parete ventricolare ci sono dei trombi questi dovranno essere rimossi
con cautela. Dopo l’asportazione dell’aneurisma bisogna eseguire interventi di rivascolarizzazione
miocardia mediante applicazione di by-pass.
5. Insufficienza mitralica acuta secondaria: può aversi per rottura dei muscoli papillari e delle corde
tendinee a causa di un grosso infarto antero-laterale, ma può essere anche conseguenza di una
progressiva ischemia dei muscoli papillari. Si può avere dispnea da sforzo fino anche scompenso
cardiaco (e anche shock cardiogeno). La terapia è chirurgica con sostituzione della valvola con una
protesi.
6. Perforazione del setto interventricolare: in genere si manifesta 3-5 giorni dopo l’infarto e può essere
localizzato nella parete inferiore del setto (infarto antero-settale inferiore per ostruzione IVP) o all’apice
del setto (infarto antero-settale apicale per ostruzione di IVA). La conseguenza è uno scompenso
cardiaco grave e il trattamento è chirurgico con intervento eseguito in ipotermia moderata dopo
clampaggio aortico e protezione miocardica con cardioplegia potassica a 4°C. Viene incisa la zona
infartuarta e riparata la perforazione con innesto di un patch in Dacron suturato con punti staccati ad
U di Tevdek 2-0 su Teflon.
7. Dolore toracico ricorrente: nel 25% dei pazienti si sviluppa un’angina residua.
8. Pericardite: il dolore acuto che si estende al trapezio può facilitarne la distinizione dal dolore toracico
ricorrente. La pericardite, definita epistenocardica, si può verificare nella regione sovrastante la necrosi
tra il 2° e il 4° giorno post-infarto. Si può trattare con acido acetilsalicilico.
9. Tromboembolia: possono esserci segni evidenti nel 10% dei pazienti, anche se almeno un altro 10%
presenta fenomeni silenti. Episodi trombo embolici a livello polmonare e sistemico sono più comuni
in infarti estesi, per lo più anteriori, soprattutto se complicati da scompenso e ancor più in caso di
aneurima ventricolare, in cui i trombi murali nel ventricolo sinistro sono una complicanza comune.
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Cardio per Interna
Terapia: la prognosi di STEMI è in gran parte condizionata dal verificarsi di complicanze meccaniche
(deficit di pompa) ed elettriche. La maggior parte dei decessi extraospedalieri avvengono per fibrillazione
ventricolare che quasi nella metà dei casi si verifica nella prima ora. È essenziale quindi che il paziente
venga portato il prima possibile in ospedale (conta molto che sia educato a dare il giusto peso ai sintomi
e che chiami presto soccorso).
Lo scopo principale della terapia è, soprattutto nella fase iniziale, evitare l’insorgenza di complicanze
meccaniche ed elettriche e di iniziare al più presto un adeguato trattamento (medico o chirurgico) che
permetta riperfusione e dunque una limitazione dell’area infartuata. Una volta giunti in ospedale i pazienti
vengono ammessi nell’unità di terapia intensiva coronarica dove vi è un monitoraggio continuo delle
funzioni vitali del paziente, della frequenza, del ritmo e della pressione arteriosa. Vengono eseguiti ECG
ed esami di laboratorio urgenti per verificare IMA e sono comunque disponibili defibrillatori, respiratori,
pacemaker trans toracici e altre apparecchiature. Il trattamento nella fase ospedaliera consiste prima di
tutto in alcune misure generali:
1. Attività: bisogna evitare i fattori che aumentano il lavoro e quindi il consumo di ossigeno da parte del
miocardio, pertanto nelle prime 12 ore almeno il paziente deve restare a letto. I pazienti devono essere
incoraggiati ad assumere posizione eretta nelle prime 24 ore in modo da ridurre la pressione capillare
polmonare ma soprattutto per dare incoraggiamento psicologico. Già dal secondo-terzo giorno i
pazienti possono camminare per la stanza e provvedere da soli al’igiene personale, successivamente
possono fare anche 200 metri di cammino due o tre volte al giorno.
2. Dieta e alvo: nelle prime (12) ore è indicato digiuno e dieta idrica. Successivamente la dieta deve
essere equilibrata con adeguato introito soprattutto di potassio e magnesio oltre che di fibre per
evitare la stipsi che spesso i narcotici possono causare (si può anche aggiungere un emolliente fecale,
il dioctil-sulfosuccinato sodico, e se non basta somministrare lassativi). Le restrizioni riguardano i grassi
ed il colesterolo, oltre che i carboidrati (normali per un paziente sano, da evitare nel diabete).
3. Terapia del dolore e sedazione: si può somministrare sin da subito nitroglicerina sublinguale per
diminuire il dolore toracico (oltre a favorire la vasodilatazione coronarica e un minore sforzo cardiaco).
Sono da evitare in pazienti ipotesi, o con infarto del ventricolo destro o che hanno assunto sildenafil.
La morfina a piccole dosi e in piccoli boli per ev è molto efficace, ma può causare, soprattutto all’inizio,
stipsi, nausea e vomito (per la sua azione anticolinergica, per la quale potrebbe causare anche blocco AV
e bradicardia). I beta bloccanti sono utili perché riducono la richiesta di ossigeno e l’ischemia (e quindi
il dolore ad essa associato). Possono essere somministrate benzodiazepine (tranquillanti) per facilitare
il riposo del paziente, il cui sonno può essere disturbato da ansia e da fastidio per il monitoraggio
continuo soprattutto il primo giorno.
4. Ossigeno: la somministrazione di ossigeno è indicata nel caso in cui la saturazione sia diminuita
(spesso).
Terapia farmacologica:
Antitrombotici: la fibrinolisi è una strategia fondamentale, e la terapia sarebbe bene che fosse iniziata
entro 30 minuti dalla presentazione dei sintomi. Lo scopo è quello si eliminare il trombo nella coronaria
occlusa riassicurando la perfusione e di evitare episodi trombotici a livello sistemico. La terapia fibrinolitica
può ridurre il rischio di morte ospedaliera del 50% riducendo l’area infartuata, limitando la disfunzione
ventricolare sinistra e l’incidenza di complicanze gravi come perforazione del setto interventricolare, shock
cardiogeno ed aritmie fatali. I benefici sono notevoli se iniziata entro le preme 1-3 ore e forse anche fino a
6-12. È preferita la trombo lisi rispetto all’intervento di rivascolarizzazione percutanea in tutti i pazienti che
si presentano nella prima ora, o nei vari casi in cui l’interveto non sia possibile.
Gli agenti utilizzati sono: t-PA (attivatore tissutale del plasminogeno), streptokinasi, e il complesso
attivatore streptokinasi plasminogeno anisoilato (APSAC). Questi farmaci favoriscono l’attivazione del
plasminogeno in plasmina che lisa i trombi. Il farmaco più utilizzato è il t-PA con 15mg di bolo iniziale,
50mg ev nella prima mezz’ora, 35mg ev nella successiva ora. Controindicazioni assolute: pregresso ictus
cerebrale emorragico nell’ultimo anno, emorragia interna o dissezione aortica in atto, ipertensione grave
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I Gazzellini
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Cardio per Interna
quali lesioni eccentriche calcifiche, occlusioni croniche totali delle coronarie o ad esempio lesioni
localizzate in biforcazioni. Adesso queste limitazioni sono meno nette. La valutazione deve comunque
essere individuale e molto dipendente dall’anatomia coronarica del paziente, dall’età, dall’insufficienza
ventricolare e da malattie concomitanti.
In generale la PCI è consigliata in pazienti con malattia monovasale (o anche bivasale) con lesioni
anatomiche idonee, mentre il bypass aortocoronarico è consigliato in pazienti con malattia trivasale,
lesioni complicate o ostruzioni totali, malattia bivasale che include la coronaria sinistra discendente
prossimale o il tronco comune, alterata frazione di eiezione ventricolare sinistra e pazienti affetti da diabete
mellito.
La PCI presenta un maggiore rischio di ristenosi rispetto al bypass in quanto mentre la PCI si focalizza
sulla risoluzione delle lesioni responsabili, il bypass pone rimedio non solo al tratto interessato,
ma fornisce una via di perfusione anche qualora si sviluppino lesioni native prossimali all’anastomosi
dell’impianto del vaso nativo.
La PCI ha un minore rischio di mortalità a breve termine (intervento meno invasivo e meno rischioso), ma
ha una maggiore mortalità a lungo termine (es. 5 anni).
Fattore tempo: è fondamentale disostruire la coronaria nel minor tempo possibile, per ridurre le
dimensioni dell’infarto. La riperfusione precoce presenta infatti i massimi vantaggi se eseguita entro le
prime 2 ore dall’inizio dei sintomi. Vi è un tempo decisionale (tempo che impiega il paziente per chiamare
soccorso), tempo casa-ospedale (trasporto), tempo intraospedaliero (dall’arrivo in ospedale fino alla
terapia riperfusiva con farmaci o PTCA). Quest’ultimo dovrebbe esser ridotto a 30’ per l’inizio della terapia
farmacologica e 90’ per l’inizio della PTCA.
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I Gazzellini
Scompenso cardiaco
Definizione: detto anche insufficienza cardiaca, è la situazione fisiopatologica in cui il cuore non è in grado
di pompare una quantità di sangue adeguata alle richieste metaboliche dell’organismo, oppure ci riesce
solo tramite un forte aumento della pressione venosa (aumentato ritorno venoso). Può essere causato da
una ridotta portata e quindi meno sangue pompato oppure da un aumento delle esigenze. Si hanno due
conseguenze principali: ipoperfusione periferica e congestione venosa. Se sono presenti sintomi è reale
scompenso, se il paziente è asintomatico si parla di disfunzione ventricolare. Si può avere una riduzione
della portata ossia disfunzione sistolica (ridotta capacità contrattile) oppure un difetto di riempimento
ossia disfunzione diastolica (ventricolo poco distendibile e meno compliance = maggiore rigidità).
Epidemiologia: molto frequente, con 20 milioni di persone al mondo coinvolte. La prevalenza totale è dell’1-
2%, più comune negli uomini, per quanto vi sia in pratica un’equivalente numero di donne affette data la
maggiore aspettativa di vita. La sua incidenza aumenta infatti progressivamente con l’età e colpisce quasi
il 10% delle persone sopra i 65 anni, risultando sopra questa età la prima causa di ricovero. Questo avviene
poiché l’invecchiamento favorisce condizioni come l’ipertensione e la fibrosi. L’incidenza e la prevalenza
sono in aumento (3-4 volte negli ultimi 25 anni) a causa della maggiore sopravvivenza dei pazienti affetti da
IM (necrosi -> fibrosi -> scompenso). Si può sviluppare in condizione di FE ridotta o preservata. La maggior
parte delle cardiopatie (specie coronaropatie) terminano nello scompenso. Lo scompenso diastolico è più
femminile e la sua incidenza aumenta con l’età (in età giovanile pochi scompensi diastolici, negli anziani
molti, a causa della comune ipertensione). L’ipertrofia ventricolare sinistra è più comune nello scompenso
diastolico così come IM e DM sono più spesso associati a scompenso sistolico.
Eziologia: è in genere dovuto a condizioni che alterano la struttura o la funzione ventricolare, quasi
sempre si ha un’insufficienza miocardica che può essere dovuta a: 1) perdita anatomica o funzionale di
parte del tessuto contrattile (tipo IM), 2) compromissione diffusa delle fibre miocardiche (cardiomiopatie)
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Cardio per Interna
3) sovraccarico cronico di pressione (ipertensione, stenosi) 4) sovraccarico cronico di volume: per esempio
per una quota di sangue rigurgitata a causa di un’insufficienza valvolare. Queste quattro condizioni sono
associate a portata ridotta, tipicamente associata a cause cardiache. 5) scompenso ad alta gittata:
in pratica una forma con sovraccarico di volume perché determinata da condizioni che impongono un
maggiore flusso ematico. Principalmente sono dovute ad un aumento delle “esigenze” e pertanto a cause
extracardiache. Queste sono ad esempio: a) Ipertiroidismo: aumento del MB e della gittata cardiaca,
inoltre sintesi di diverse proteine contrattili, si ha tachicardia e fibrillazione atriale b) Deficit di B12: come
nel beri-beri o alcolismo cronico. Si notano sintomi neurologici e una marcata vasodilatazione periferica
che aumenta il ritorno venoso e pertanto la gittata (Starling). Si può avere anche compromissione del
metabolismo cardiaco e con l’alcol una cardiomiopatia dilatativa. C) Fistole artero-venose: come la
malattia di Paget, poichè vengono saltati i capillari, per migliorare la perfusione il cuore aumenta la gittata
(o portata). D) Anemia: per mantenere il trasporto di ossigeno c’è aumento del flusso ematico. Si ha anche
ipossia miocardica. E) altre condizioni: esercizio fisico intenso, stress, dieta, infezioni, gravidanza.
Le cause principali sono pertanto: cardiopatia ischemica, cardiomiopatie, valvulopatie, cardiopatie
congenite, sindromi da alta portata, infezioni, malattie del pericardio, ipertensione polmonare, modificazioni
strutturali. Fattori precipitanti sono: ischemie, crisi ipertensiva, valvulopatia, fibrillazione atriale, embolia
polmonare, terapia inappropriata, infezioni, anemia, diabete, ipertiroidismo, disturbi elettrolitici, abuso di
alcol o farmaci.
Si può avere scompenso anche per un lavoro acuto improvviso del cuore come nell’ipertensione cardiaca
o nel distacco di un lembo valvolare in un’endocardite, così come a causa di un ostacolo improvviso al
riempimento (tamponamento cardiaco). Altra cosa è l’insufficienza circolatoria, ipoperfusione causata da
altre componenti del sistema circolatorio.
Lo scompenso viene definito in modi diversi: acuto (edema polmonare acuto, shock cardiogeno) e
cronico, sistolico (come nella cardiomiopatia dilatativa, ridotta contrattilità) e diastolico (come nella
cardiomiopatia restrittiva, ridotta distensibilità), destro (congestione venosa sistemica) e sinistro, a
bassa gittata (minore portata) o ad alta gittata (aumento esigenze), retrogrado (sangue “a monte”) e
anterogrado (inadeguato apporto di sangue in periferia).
Patogenesi: Si distinguono un po’ artificiosamente (poiché spesso sono associate) due forme di
scompenso: sistolico o anterogrado (portata inadeguata) e diastolico o retrogrado (elevate pressioni
di riempimento) che sono rispettivamente un deficit di pompa o di distensione. Nel 25-40% la causa
è diastolica. In una persona normale durante l’esercizio c’è molto riempimento rapido e poca diastasi,
poiché la pressione protodiastolica diminuisce e per il riempimento non serve un aumento della pressione
atriale. In una persona con scompenso cardiaco la pressione proto diastolica in esercizio è quasi la stessa
che a riposo e pertanto il riempimento avviene, ma al prezzo di un notevole aumento della pressione
atriale. I due scompensi possono coesistere e l’uno può esitare anche nell’altro. Nella maggior parte dei
casi entrambi i meccanismi sono attivati in maniera variabile. Ad esempio lo scompenso diastolico provoca
una riduzione dell’afflusso di sangue all’atrio che causerà una ridotta gittata sistolica e dunque uno
scompenso anterogrado. Lo scompenso causa l’ipoperfusione periferica con minore irrorazione dei tessuti
e congestione venosa che comporta un aumento della pressione venosa la quale nei capillari comporta
una fuoriuscita di liquido dall’interstizio (cambiamento di equilibrio per la legge di Starling in seguito
all’aumento della pressione idrostatica) con conseguente formazione di edemi.
Un’altra distinzione, anche questa prevalentemente didattica è tra scompenso destro e sinistro. Nella
maggior parte dei casi le cause di scompenso agiscono per lo più sulle cavità sinistre del cuore perché:
la pressione è più elevata nel circolo sistemico (è comune l’ipertensione e un sovraccarico cronico di
pressione sul ventricolo sinistro), le patologie valvolari acquisite sono più frequenti nelle sezioni sinistre
così come la cardiopatia ischemica (ventricolo sinistro). Il cuore destro è quindi meno colpito a meno
che non ci sia patologia polmonare (cuore polmonare) o sin da subito uno scompenso globale. È una
divisione abbastanza didattica, infatti spesso uno scompenso sinistro comporta anche uno scompenso
destro e comunque il miocardio dei due ventricoli è separato da un setto comune (interventricolare) e
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I Gazzellini
le alterazioni biochimiche e strutturali di uno finiscono per coinvolgere anche l’altro. Ha senso nei casi
acuti o iniziali. I sintomi sono però diversi: Sinistro à difficoltà di scarico delle vene polmonari à edema
polmonare. Destro à difficoltà vene cave à edemi periferici. Il cuore risponde ad una riduzione della
gittata con meccanismi di compenso. Si parla di scompenso quando questi sono insufficienti, prima è solo
disfunzione ventricolare.
Meccanismi di adattamento o rimodellamento: Alle eventuali alterazioni il cuore risponde con
un rimodellamento (principalmente ventricolare) che permette di raggiungere un nuovo equilibrio
(disfunzione ventricolare) che con il tempo può evolvere in scompenso e sintomi.
Legge di Frank-Starling: se la lunghezza della fibra miocardica aumenta, aumenta la forza di contrazione
(massima forza a 2,2 micron). Così nel cuore se aumenta il ritorno venoso e quindi il volume telediastolico
aumenta la gittata cardiaca (aumento volume tele diastolico -> il cuore si dilata -> aumento forza di
contrazione).
Legge di D & G.Hill: più basso è il post-carico maggiore è la velocità di accorciamento della fibra e viceversa.
Legge di Pierre Laplace: lo stress di parete s=P*r/2h (P è la pressione endocavitaria, r il raggio, ha lo
spessore di parete). Pertanto un aumento di pressione o di volume (dimensioni) possono aumentare lo
stress di parete che come conseguenza comporta un maggiore consumo di ossigeno e produzione di
radicali liberi che inducono ipertrofia e fibrosi cardiaca. Per rispondere all’aumentato stress di parete si può
aumentare lo spessore di parete (l’ipertrofia-anche di fibroblasti e quindi fibrosi- agisce in questo senso).
Ipertrofia miocardica: le fibre muscolari non potendo iperproliferare divengono ipertrofiche in risposta
a condizioni di maggiore carico. Lo stress ossidativo sarebbe il primum movens. Il TGF beta pare essere il
principale mediatore di ipertrofia e fibrosi. Vengono attivati una serie di geni come quello per esprime
l’isoforma beta della miosina, normalmente fetale (contrazione più lenta ma con meno energia), o
la pompa del calcio AT-dipendente (porta il calcio nel reticolo sarcoplasmatico più lentamente). Vi
è contemporaneamente una maggiore produzione di collagene da parte dei fibroblasti, si ha fibrosi e
minore distensibilità. Con l’aumento dello spessore si cerca di mantenere costante lo stress di parete che
aumenterebbe con l’aumentare del raggio o della pressione. Nel caso in cui vi sia un sovraccarico cronico
di volume si ha ipertrofia eccentrica ossia con cellule che divengono più lunghe e con proliferazione in
serie dei sarcomeri che produce un aumento di raggio e di spessore (riduzione della gittata, scompenso
sistolico) Nel caso in cui vi sia un sovraccarico cronico di pressione si ha ipertrofia concentrica ossia con
cellule che divengono più grosse e con proliferazione in parallelo dei sarcomeri che produce un aumento
di spessore (aumento della pressione, scompenso diastolico). Dopo un po’ ipertrofia e fibrosi, che all’inizio
sostengono il maggior carico, compromettono la funzione cardiaca.
Meccanismi di adattamento extracardiaci: Aumento dell’estrazione dell’ossigeno: si ha in tutte le
forme di insufficienza cardiocircolatoria con aumento del 2,3 bifosfoglicerato negli eritrociti che riduce
l’affinità dell’Hb per l’O2 e pertanto ne facilita il rilascio nei tessuti (ma fa diminuire la saturazione nel
sangue arterioso). Attivazione dei barocettori: presenti nell’arco aortico e seno carotideo, si attivano
con il cambiamento di pressione e ne inducono la modifica ad esempio attivando e il vago e inibendo
il centro vasocostrittore del bulbo ( abbassando così la pressione, ma nello scompenso comportano
vasocostrizione). Non svolgono un ruolo a lungo termine nella regolazione della pressione arteriosa.
I due meccanismi principali sono però: 1) Attivazione del simpatico: comporta un aumento della frequenza
e contrattilità cardiaca (stimolazione adrenergica) e maggiore vasocostrizione (però non omogenea,
infatti organi nobili come cervello, reni e cuore hanno un controllo autonomo delle resistenze vascolari).
In sostanza ha un effetto inotropo e cronotropo positivo. L’aumento della frequenza normalmente è
legato anche ad un aumento della forza di contrazione (effetto Treppe o Bowdich) però nei pazienti con
scompenso questa relazione forza/frequenza si deprime. Pur essendo una risposta del nostro organismo
per riequilibrare il sistema, l’attivazione adrenergica risulta essere dannosa, in modo evidente in termini
di prognosi. 2) Attivazione del sistema renina-angiotensina: meno flusso ematico renale comporta
rilascio di renina da parte dell’apparato iuxtaglomerulare. Con la formazione di angiotensina II si ha
vasocostrizione arteriolare (in tutti i distretti) e produzione di aldosterone (recupero di sodio e acqua).
AT1 è più nei vasi dando vasocostrizione, AT2 è più nel cuore dando ipertrofia e fibrosi. Questo sistema
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Cardio per Interna
favorisce una maggiore perfusione degli organi vitali, ma porta anche aumento del post-carico, quindi
maggiore lavoro cardiaco (aumento del flusso ematico) e per la legge di Hill anche una minore velocità di
contrazione. L’aumento del pre-carico, per la legge di Starling favorisce una maggiore gittata almeno fino
al raggiungimento di un plateau oltre il quale l’aumento della volemia è dannoso). L’ipoperfusione induce
il rene a produrre EPO che a lungo termine aumenta gli eritrociti. 3) Per le stesse ragioni del sistema RAA si
attiva anche aumento di vasopressina, ormone pituitario il cui rilascio aumenta a seguito di un aumento
della pressione osmotica rilevato dai meccanocettori. Provoca vasocostrizione e riassorbimento di acqua
nei tubuli renali.
Sistemi di contro regolazione: 1) Liberazione di ormoni e fattori neuroendocrini: servono per
contrastare il simpatico e il sistema renina-angiotensina, sono detti fattori natriuretici atriali (ANP e BNP oltre
a CNP), sostanze vasoattive prodotte in risposta allo stiramento delle cellule atriali (aumento del precarico)
che inducono vasodilatazione ed eliminazione di sodio e acqua. ANP è prodotto soprattutto nell’atrio, BNP
più nel ventricolo. CNP è prodotto nell’SNC ed endotelio vascolare. Durante lo scompenso viene dosato
il BNP perché nei soggetti scompensati è quello che aumenta di più. Nello scompenso c’è un notevole
aumento di BNP, ma pare che non basti in quanto le esigenze sono maggiori e perché aumenta soprattutto
il pro-BNP, fisiologicamente meno attivo. Le prostaglandine inducono vasodilatazione soprattutto a
livello delle arteriole renali. Sottoregolazione recettoriale: o down regulation, per bilanciare l’effetto dei
fattori ormonali vi è un sistema di riduzione del numero e della sensibilità di recettori stimolati in modo
prolungato. Altro: 2) Endotelina: (scarso effetto fisiologico), potente vasocostrittore rilasciato dalle cellule
endoteliale. A livello cardiaco provoca ipertrofia cellulare e fibrosi.
3) TNF alpha e IL-1 beta: diminuisce inotropismo, porta apoptosi e cachessia. Causa rimodellamento del
miocardio con ipertrofia dei miociti e fibrosi oltre cha alterazioni a livello cellulare nell’accompiamento
eccitazione/conduzione e trasporto di ioni.
Clinica: è possibile riscontrare una sintomatologia varia, intensa o sfumata. In generale i sintomi più
importanti sono dispnea, astenia marcata, edema. Non hanno correlazione stretta con la severità della
malattia. Vi sono sintomi più tipici dello scompenso destro (stasi venosa, edemi declivi, stasi epatica) o
più del sinistro (dispnea, astenia, cianosi, edema polmonare).
Sintomi respiratori: Dispnea: è il sintomo più comune oltre all’affaticabilità e consiste in una sensazione
di sforzo a respirare e mancanza di respiro (fame d’aria). È dovuta alla congestione venosa polmonare che
comporta accumulo di liquidi interstiziali e intra-alveolari con attivazione dei recettori J iuxtacapillari (che
provocano una respirazione rapida e superficiale), aumento delle resistenze delle vie aeree, riduzione della
compliance polmonare e affaticamento dei muscoli respiratori (danneggiati anche dall’ipoperfusione
periferica). È meno caratteristica nello scompenso destro e insufficienza tricuspidale. All’inizio si manifesta
solo sotto sforzo poi anche a riposo. Ortopnea: è una dispnea che si manifesta se il paziente è in posizione
supina, ma non se è in posizione eretta perché in questo caso il sangue è nella circolazione e negli arti
inferiori. Quando è sdraiato c’è un maggiore ritorno venoso e si ha ipertensione polmonare. Spesso si
manifesta con tosse notturna e con la necessità di dormire con molti cuscini. Dispnea parossistica
notturna: episodi acuti di grave mancanza del respiro e di tosse che si manifestano la notte, in genere
dopo 1-3 ore di sonno e costringono il malato ad alzarsi con fame d’aria e ad esempio andare alla finestra.
Si possono avere tosse e ansimi e a differenza dell’ortopnea spesso non basta assumere la posizione eretta.
È dovuta al prevalere nel sonno del vago sul simpatico e alla depressione del centro del resprio oltre che
all’aumentato ritorno venoso per la posizione supina. Si associa all’asma cardiaca (affanno secondario a
broncospasmo). Respiro di Cheyne-Stokes: spesso nella fase finale dello scompenso, si ha una minore
sensibilità alla PCO2. Si ha ciclicamente apnea seguita da iperventilazione. Nei casi ancora più gravi si
possono avere crisi e arresto del respiro. Edema polmonare: si manifesta quando c’è un’importante
congestione polmonare. Si ha dispnea e tosse con escreato schiumoso. Apnea notturna.
Classificazione funzionale dei pazienti con scompenso cardiaco di NYHA (associazione cardiologica di
New York): Classe I: pazienti asintomatici per normale attività (sani) II: pazienti che stanno bene a riposo,
ma con sintomi (dispnea per lo più) per sforzi di ordinaria intensità. III: bene a riposo, sintomi per sforzi
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I Gazzellini
Diagnosi: Si basa all’inizio sul quadro clinico, valutando i sintomi in ordine di importanza.
Sintomi e segni maggiori e minori: Criteri di Framingham: Maggiori (cioè specifici di scompenso):
DPN e ortopnea (che è in pratica lo stesso), rantoli, distensione giugulari e REG +, cardiomegalia, edema
polmonare, ritmo di galoppo S3, aumento PVC. Minori (cioè aspecifici): edemi (declivi), epatomegalia,
dispnea da sforzo, tosse notturna, versamento pleurico, forte perdita di peso dopo diuretici (da edemi).
Inoltre c’è pallore, sudorazione, tachicardia, affticabilità, nicturia, segni di ridotto flusso cerebrale. C’è
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Cardio per Interna
Indagini: quando si presenta un paziente con dispnea e che ci fa sospettare uno scompenso cardiaco
dobbiamo: Algoritmo diagnostico: Anamnesi (criteri maggiori e minori) à sintomi compatibili con
scompenso. Si cercano prima cause extracardiache, se ci sono à si curano. Se non ci sono valutazione
cardiaca: si cercano cardiopatie (pericarditi, valvulopatie, etc.) à valutazione della frazione di eiezione
(funzione sistolica): se >40% à scompenso diastolico ; se<40% à scompenso sistolico.
A) Analisi di laboratorio: gli esami da richiedere sono: 1) Esame ematochimico completo (emoglobina,
conta leucociti e piastrini). Può escludere anemia. Questa, oltre ad essere di per sé una possibile causa
di scompenso influenza la prognosi. 2) Funzionalità renale: si cercano squilibri elettrolitici che possono
derivare dall’iperaldosteronismo secondario (iponatriemia da trattenimento di liquidi-non bisogna
somministrare sodio, ma togliere i liquidi- e iperpotassemia), dai diuretici della terapia (ipokaliemia da
eccesso di diuretici), azoto ureico, creatinina. 3) Funzionalità epatica: transaminasi (aumento AST e
ALT se c’è epatomegalia per congestione e aumento del PT per riduzione di trombina che sono segni
epatici aspecifici), bilirubina, ipoalbuminamia, fosfatasi alcalina. 4) Funzionalità tiroidea: T4 e TSH se vi
è sospetto distiroidismo. T3 se il paziente è in terapia con amiodarone. 5) Peptidi Natriuretici Cardiaci:
ricerca di BNP. È indice di elevata pressione intracardiaca e un suo livello normale dovrebbe escludere
socmpenso o disfunzione ventricolare sinistra. Viene prdotto come proBNP che poi viene suddiviso.
Si possono isolare anche i frammenti inattivi. Livelli di BNP: <100 pg/ml, 100-400: probabile. >400
molto probabile. Altro: urine, glicemia, lipidi.
B) ECG: può verificare la presenza di anomalie, ipertrofia, blocchi. Radiografia del torace: si può notare
cardiomegalia e edema interstiziale dei polmoni, strie di Kerley (stasi linfatica) e segni di versamento
pleurico.
C) Ecocardiografia: può valutare alcune cause di cardiopatia e soprattutto la funzione e lo stato
ventricolare (si vedrà dilatazione, ridotta frazione di eiezione - % di gittata sul volume tele diastolico -,
ipertrofia). Si possono cercare i fattori natriuretici atriali.
D) Esistono anche alcuni test da sforzo: Una misura “soggettiva” è il 6 minutes walk test: si fa camminare il
paziente il più veloce che può per 6 minuti e si vede quanta strada fa (dipende molto dalla compliance).
Più indaginoso ma più oggettivo è il test del massimo consumo di O2: la % di O2 che una persona inala
dipende dalla % presente nell’aria ed è pertanto costante, la % di CO2 dipende da quanto ossigeno
consumiamo perché è il prodotto del metabolismo aerobico dell’ossigeno (con fosforilazione ossidativa).
Questo vale a riposo così come durante un’attività fisica moderata, ma quando i nostri muscoli sono
sollecitati a tal punto che il nostro cuore non è più in grado di dar loro un apporto di sangue adeguato
a fornire tutto l’ossigeno di cui hanno bisogno usano la glicolisi anaerobica (e poi la fermentazione con
formazione di acido lattico). In questo caso CO2>O2. Si applica una maschera ad un paziente posto sotto
sforzo e si misura l’entrata di O2 e l’uscita di CO2. Si nota un aumento di O2 sino ad un livello di plateau
oltre il quale il cuore non è più in grado di pompare abbastanza sangue (non aumenta più la portata),
infatti il consumo di ossigeno è funzione diretta della portata cardiaca. Misuriamo dunque il massimo
consumo di O2 al plateau e valutiamo la portata. Questo test può servire anche a regolamentare le liste
per il trapianto di cuore. Una persona sana ha un consumo di ossigeno massimo pari a 30-40 ml/kg/
min (anche di più) e un consumo a riposo di circa 7-8 ml. In base all’ossigeno consumato si possono
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I Gazzellini
tracciare delle curve di sopravvivenza ad un anno. Per i pazienti con consumo basso, ma ancora >18 la
mortalità ad un anno è normale; 14-18= moderatamente aumentata; 10-14= 25%; <10= 75% (è quasi
come il consumo a riposo, insomma questi pazienti non sono in grado di aumentare affatto la portata).
In lista di trapianto entrano pazienti con consumo massimo <14.
Diagnosi differenziale: ECG può aiutare a distinguere ipertrofie da IM, bradi aritmie, pericarditi. Le analisi
di laboratorio (sangue, urine, creatinina) possono aiutare ad escludere altre cause (anemia: scompenso da
ridotto trasporto di ossigeno).
Prognosi: Dipende da molti fattori e patologie associate. Dipende anche dalla classificazione NYHA al
momento della diagnosi . In genere comunque non è buona con probabilità di morte in 4-5 anni maggiore
del 50% più alta negli uomini che nelle donne, nonostante il miglioramento della terapia.
Terapia: Dipende dallo stato del paziente. In generale bisogna rallentare il rimodellamento ventricolare e
la progressione della malattia. È comunque fondamentale la prevenzione dato che in genere la patologia
è preceduta da un lungo stato di disfunzione ventricolare. Le misure generali (terapia igienico-dietetica)
prevedono: test di screening e controlli periodici; sono da evitare stress fisici e psicologici, ma un’attività
fisica modesta negli stati non avanzati è utile per aumentare la tolleranza alo sforzo e sfavorire trombi; la
dieta deve essere ipocalorica per il sovrappeso e comunque con pochi sali (3-4g di sodio e non 8-10). La
terapia si distingue in:
1. Terapia causale: terapia dell’ipertensione arteriosa o polmonare, rivascolarizzazione per la malattia
coronarica e riduzione fattori di rischio, terapia miocardite o cardiomiopatia, terapia aritmie e
terapia chirurgica di un rischio cardiaco.
2. Sintomatica: si divide in
a. Misure generali: riduzione fattori di rischi, programma di attività fisica controllata, riduzione
stress fisici e psichici, dieta leggera ipocalorica e con pochi sali (ma evitare l’iposodiemia),
profilassi della trombosi, etc.
b. Terapia farmacologica: vedi di seguito.
c. Terapia di risincronizzazione cardiaca: elettrostimolazione bi ventricolare regolata
dall’atrio. Indicata nelle classi NYHA III-IV con FE<35% e ritmo sinusale mantenuto.
d. Defribrillatore impiantabile: ICD, riduce la letalità totale di un 30%.
3. Trapianto cardiaco: in caso di scompenso cardiaco refrattario.
Terapia farmacologica: Per la terapia dello scompenso si può immaginare il cuore in difficoltà come dei
cavalli che trainano una carrozza in salita e che non ce la fanno.
Cavalli = cuore; Salita = Post-carico (resistenze periferiche per lo più, pressione arteriosa); Carrozza
con persone a bordo = Pre-carico (volemia, ossia quantità di liquidi in circolo). Noi siamo il nocchiere.
Possiamo:
1) Scegliere la strada più lunga, ma meno ripida = vasodilatatori: ACE-inibitori: sono la scelta a
partire dalla classe I NYHA. Esempi sono captopril, enalapril, lisinopril. In pazienti con ridotta FE sono
fondamentali. Riducono il post-carico (cioè riducono la salita). Bloccano la conversione in angiotensina
II e upregolano la bradichinina. Rallentano il rimodellamento cardiaco. Possono essere inefficaci se non
si è risolta la ritenzione idrica. Come effetti collaterali ci può essere ipotensione e aumento azotemia.
Il rafforzamento delle chinine può dare angioedema e tosse non produttiva. I pazienti intolleranti
possono fare uso di ARB (o sartani, tipo valsartan, candesartan, losartan) cioè inibitori del recettore
dell’angiotensina II. L’impiego di ACE inibitori e sartani ha diminuito la mortalità di ¼ (25%).
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Cardio per Interna
Questo può sembrare un controsenso in pazienti con ridotta gittata (con scompenso, cioè che non ce
la fanno) eppure la stimolazione adrenergica è un fattore prognostico negativo. I vantaggi pertanto
superano gli svantaggi. Infatti riducono la mortalità di un 35%. Devono però essere dosati con cura
perché possono portare peggioramento dell’insufficienza cardiaca, caduta della pressione, bradicardia,
peggioramento dell’asma (che è una controindicazione all’uso). Si usano nei pazienti stabili e con un
aumento lento della posologia.
3) Facciamo scendere le persone = Diuretici: Diminuiscono il pre carico (scendono le persone = meno
liquidi). Diuretici d’ansa (furosemide, torasemide) e tiazidici (idroclorotiazide, clortalidone che è a
effetto protratto). Aumentano l’eliminazione renale di NaCl e acqua. In ogni caso devono essere associati
ad una dieta iposodica. Quelli d’ansa agiscono sull’ansa di Henle, i tiazidici agicono sul tubulo contorto
distale. I diuretici d’ansa hanno un maggiore effetto (che consiste principalmente nella riduzione del pre-
carico e pertanto riduzione dei sintomi congestizi e accumulo di liquido negli interstizi), i tiazidici possono
essere associati se persiste ritenzione idrica (ma sono meno potenti e inefficaci in caso di insufficienza
renale) nei casi di resistenza ai diuretici d’ansa (dovuta a iponatremia o a FANS). Si utilizzano a partire
dalla III classe NYHA. Principale effetto collaterale è l’ipokaliemia (aumento del rischio di aritmie) e il
peggioramento dell’azotemia. Bisognerebbe sempre iniziare con bassi dosaggi e poi somministrare dosi
crescenti fino a stabilizzazione della diuresi. Si usano solo nel paziente sintomatico con ritenzione idrica.
Antagonisti dell’aldosterone: tipo spironolattone, sono diuretici risparmiatori di potassio. Non si
usano in monoterapia, ma in associazione con i tiazidici e sono controindicati in insufficienza renale.
L’amiloride è risparmiatore di potassio, ma indipendente dall’aldosterone. Nei pazienti a lungo a letto si fa
uso anche di anticoagulanti e antiaggreganti.
Nell’insufficienza acuta si usa di solito un diuretico d’ansa ev. (furosemide), nella cronica un tiazidico ogni
2 giorni. Se in monoterapia si dà potassio o terapia a base di potassio o in associazione con spironolattone.
Se i tiazidici non bastano si aggiunge un diuretico d’ansa.
4) Frustare i cavalli = farmaci inotropo-positivi. Inotropo positivi: agiscono attraverso inibizione della
pompa sodio/potassio con aumento della concentrazione intracellulare di sodio, inibizione della pompa
sodio/calcio e maggiore concentraizione di calcio che aumenta la contrattilità. Ha un indice terapeutico
ridotto (distanza tra dose tossica e terapeutica) ed inoltre molto influenzato dalla concentrazione
plasmatica di elettroliti. Sono pertanto molto rischiosi. Aumentando la concentrazione di potassio si
riduce la tossicità digitalica. Si usano per la loro azione vago-mimetica (cronotropa negativa), riducono
infatti la frequenza a riposo. Sono principalmente digossina e digito tossina (che rispetto a questa non
è eliminata solo per via renale). Si indicano a partire dallo stadio III di NYHA, ma non nell’insufficienza
diastolica. Sì in presenza di tachiaritmie come fibrillazione atriale. Sono rischiose, l’intossicazione da
digitale è più comune in casi di insufficienza renale, ipopotassemia, ipercalcemia, interazioni con farmaci
(calcio antagonisti, amiodarone, tetracicline, levodopa), etc. Sintomi dell’intossicazione da digitale:
vomito e diarrea, visione colorata (in giallo), aritmie. In caso di intossicazione lavanda gastrica e antitossina
digitalica come antidoto, oltre all’aumento della potassemia.
Nitrati: i nitrati sono vasodilatatori venosi e arteriosi, riducono post-carico e pre-carico. La nitroglicerina è
con la furosemide il farmaco di scelta dell’insufficienza cardiaca acuta, ma si può usare anche nella cronica.
È il sintomatico principale della cardiopatia ischemica cronica.
Lo scompenso cardiaco acuto è una patologia estremamente interessante perché ha una elevatissima
incidenza e prevalenza nella popolazione generale e tende ad aumentare con il tempo, ciononostante
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I Gazzellini
la maggior parte delle raccomandazioni sulle linee guida sono di un livello di evidenza molto basso,
generalmente C (opinioni di esperti), quindi c’è molto da lavorare in questo settore.
Definizione: Acute Heart Failure (AHF): E’ un rapido peggioramento dei segni e dei sintomi dello
scompenso cardiaco. È una condizione grave e pericolosa per la vita che richiede un’attenzione medica
immediata e porta quasi sempre l’ammalato all’ammissione ospedaliera. Molti studiosi dell’argomento
preferiscono alla definizione dello scompenso acuto, la definizione di sindromi dello scompenso cardiaco
acuto, perché lo scompenso acuto può essere dovuto non ad un’unica patologia ma ad un insieme di
disordini tra loro correlati.
In pratica i pazienti con scompenso cardiaco acuto si presentano con un quadro clinico di: peggioramento
scompenso cardiaco cronico (congestione sistemica e polmonare), edema polmonare (distress
respiratorio, tachipnea, saturazione di ossigeno <90), scompenso cardiaco ipertensivo (pressione
elevata), shock cardiogeno (marcata ipoperfusione tissutale con riduzione della sistolica e diuresi scarsa
o assente, congestione polmonare).
Epidemiologia: negli ultimi anni abbiamo assistito ad un aumento del 90% di ammissioni ospedaliere per
AHF. La prevalenza sta aumentando moltissimo nel corso degli anni, si è passati da 3.5 milioni di pazienti
affetti nel 1991, 4.8 milioni nel 2001 e si aspettano 10 milioni di pazienti affetti nel 2037. In percentuale
la prevalenza è il 2% tra i 40 e i 59 anni, aumenta progressivamente al 10% per i soggetti >70 anni. Il
paziente con AHF che si reca al pronto soccorso è in genere anziano, spesso con comorbidità (ipertensione,
cardiopatia ischemica, FA, diabete, etc.).
Eziologia: le cause di insufficienza cardiaca acuta sono molteplici, le principali risultano essere:
1. Cardiopatia ischemica acuta: è probabilmente la causa più comune di shock cardiogeno. Vi è
disfunzione contrattile (per discinesie o per riduzione della massa contrattile) del ventricolo,
principalmente il sinistro. Vi può essere disfunzione sistolica e/o diastolica.
2. Cardiomiopatie: la dilatativa causa deficit della funzione sistolica, la ipertrofica deficit della
funzione diastolica, la aritmogena del ventricolo destro (degenerazione fibroadiposa del
miocardio ventricolare destro) causa alterazioni e aritmie. Le cardi miopatie sono però soprattutto
responsabili di scompenso cardiaco cronico piuttosto che acuto.
3. Miocarditi: possono svilupparsi in modo acuto e fulminante.
4. Pericarditi: un versamento pericardico può determinare compressione o tamponamento pericardico.
Dipende molto dall’entità e soprattutto dalla rapidità del versamento. Lo scompenso cardiaco acuto
è più probabile se il versamento è improvviso.
5. Valvulopatie: Stenosi mitralica, Insufficienza mitralica, Stenosi aortica, Insufficienza aortica,
Stenosi tricuspidale, Insufficienza tricuspidale, Stenosi polmonare, Insufficienza polmonare.
Specie se acute possono essere causa di scompenso.
6. Crisi ipertensive: improvviso aumento della pressione associato a danno organico (emergenze). Il
marcato aumento della pressione tele sistolica genere scompenso acuto.
7. Aritmie: indipendentemente dalla condizione di base possono essere una causa precipitante.
Vi sono anche altre cause: stress, traumi, infezioni, etc.
Fisiopatologia: la patogenesi non è del tutto nota. Chiaramente la causa iniziale può essere molto
variabile. Il risultato è il deficit della funzione sistolica (quindi capacità di pompa) o diastolica (elasticità e
dilatazione) del ventricolo.
Clinica: vi sono tipi di pazienti differenti a seconda del tipo di scompenso prevalente:
· ICA con prevalente deficit sistolico: Sintomi: tosse, dispnea, astenia. Segni: segni di bassa gittata:
cute pallida, fredda o cianotica, respiro frequente. Possibile versamento pleurico e rantoli
polmonari alle basi. Possibile presenza di terzo e/o 4 quarto tono cardiaco. Il polso può apparire
piccolo. Vi è spesso ipotensione e contrazione della diuresi.
· ICA con prevalente deficit diastolico: si ha spesso congestione venosa polmonare o sistemica,
edemi e ritenzione di fluidi. I segni sono simili alla funzione sistolica.
· Insufficienza del ventricolo destro: c’è soprattutto depressione della funzione ventricolare destra.
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Cardio per Interna
Vi è con minore frequenza congestione ed edema polmonare. I sintomi sono per lo più astenia,
dispnea, nausea e sazietà precoce. Segni: ittero ed edemi periferici, distensione venosa
giugulare, terzo e quarto tono cardiaci, ascite ed epatomegalia. Tipica dell’infarto al ventricolo
destro è ad esempio la triade composta da ipotensione, distensione venosa giugulare e campi
polmonari chiari.
Terapia
Il paradosso dell’insufficienza cardiaca acuta è che nonostante l’incidenza e prevalenza altissime, le linee
guida si basano su livelli di evidenza molto bassi, solitamente livello di evidenza C (Il prof ricorda che il
livello di evidenza A è quello che deriva da studi molto forti, con campione alto, a doppio cieco, etc; il
livello C è basato essenzialmente sul parere di esperti del campo). Questo succede perché non è un’unica
patologia, bensì una famiglia di patologie. È quindi difficile identificare un singolo paziente da inserire nel
trials, intrinseca eterogeneità.
1) Misure generali: il paziente deve essere tenuto sotto monitoraggio dei parametri vitali, ECG a 12
derivazioni, saturazione con pulsi ossimetro, è necessario assicurare un accesso venoso. In pronto
soccorso sarà possibile effettuare un ecocardiogramma e un Rx torace.
2) È necessario somministratre Ossigeno al 100% con maschera Venturi. In caso di alterazione della
coscienza, segni di distress respiratorio (forte tachipnea >40), ipossiemia refrattaria alla somministrazione
di ossigeno con maschera, richio di ab ingestisà si procede all’intubazione.
3) In presenza di dolore intensoà somministrazione di Morfina.
4) In presenza di marcato broncospasmoà somministrazione di Aminofillina
· Se il paziente ha edema polmonare acuto:
o Pressione >100mmHg: Furosemide ev. Può essere eventualmente associata ad un tiazidico
(attenzione a ipovolemia, ipokaliemia e disfunzione renale). L’approccio low dose strategy
o quello high dose strategy sono equivalenti.
o Pressione <90mmHg: si somministra Dopamina (non si capisce bene perché ha effetto,
pareva avesse funzione nefroprotettiva soprattutto dei diuretici, ma forse non è vero e non
serve) e Dobutamina (inotropo positivo, tendenzialmente non si usano perché causano
aritmie ed aumentano il consumo di ossigeno).
o Paziente con shock cardiogeno: Dopamina + Levosimendan (inotropo positivo inibitore
della fosfodiesterasi), Noradrenalina (da associare agli inotropi per la potente azione vaso
costrittiva, per mantenere accettabile la pressione arteriosa).
Vengono utilizzati anche vasodilatatori come nitro prussiato o nitroglicerina.
Inoltre abbiamo: Salina ipertonica: di solito prima della somministrazione di diuretico in bolo, è uso
comune dare una salina ipertonica perché si ha un effetto diuretico maggiore, ma non c’è mai stato uno
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I Gazzellini
Edema polmonare
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Cardio per Interna
La pressione arteriosa può essere elevata (crisi ipertensiva) o bassa (shock cardiogeno).
Terapia d’urgenza: Decubito ortopnoico (posizione seduta) con gambe pendenti (calo pressione
idrostatica polmonare). Predisporre un accesso venoso. Ossigeno con occhialini nasali + aspirazione
del secreto. Valutare con prelievo venoso: emocromo, elettroliti, creatinine mia, etc. EGA e SaO2. ECG:
anormale, aspecifico. Ecocardiogramma: non necessario in fase acuta.
Radiografia del torace: va effettuata a letto del paziente. Si osserva eventuale cardiomegalia, sfumatura
del disegno vasale, specie in sede ilare. Inoltre strie B di Kerley (orizzontali, laterobasali su ambo i lati). Il
liquido edematoso tende a raccogliersi alle basi polmonari, ma in alcuni casi agli ili con aspetto a parailare
a farfalla.
Terapia: controllo vie aeree, Ossigeno 100% con maschera di Venturi, individuare e corregere le cause
reversibili. Morfina in caso di dolore intenso (diminusce anche il consumo di O2):
· Paziente con pressione arteriosa normale o alta: Diamo vasodilatatori come Nitroglicerina,
Nitroprussiato di sodio. Furosemide. Per di più tecniche di ventilazione meccanica quali la CPAPP,
che ha reso sempre più raro il ricorso all’intubazione tracheale.
· Paziente con pressione arteriosa bassa: Dobutamina. Se <80: Dopamina e Noradrenalina.
Ipertensione polmonare
Definizione: IP, è caratterizzata da un cronico incremento della pressione in arteria polmonare (PAP) e
incremento delle resistenze polmonari (PVR) che inducono ipertrofia e dilatazione del ventricolo destro.
È definita da una pressione arteriosa media >25mmHG a riposo (valori medi 12-16mmHg), >30 mmHg
durante lo sforzo, o una PAP sistolica >35mmHg (picco sistolico normale 18-25 mmHg). L’IP si definisce
lieve quando la PAP media è tra 19-25, moderata se 26-40mmHg, severa se >40mmHg. L’IP nella sua
forma arteriosa è un’affezione rara (5/100000), ma l’IP in senso generale può essere associata ad affezioni
cardiache e respiratorie croniche molto comuni, pertanto la sua incidenza è decisamente superiore.
Classificazione: si distingue un’ipertensione polmonare arteriosa, un’ipertensione associata a
malattie del cuore sinistro (che interessano atrio o ventricolo, valvulopatie), un’ipertensione associata a
malattie polmonari e/o ipossiemia (BPCO, malattia interstiziale polmonare, sleep apnea, ipoventilazione
alveolare), un’ipertensione dovuta a malattia trombotica cronica o embolia, e miscellanea (da
sarcoidosi, tumori e adenopatie comprimenti i vasi polmonari, etc).
Fisiopatologia: L’aumento delle resistenze vascolari causa alterazioni: Respiratorie: si ha aumento delo
spazio morto funzionale (vi sono unità ad alto rapporto v/p) e limitazione nella diffusione alveolo capillare
con conseguente ipossiemia e ipocapnia con aumento della ventilazione necessaria ad eliminare CO2.
Cardiache: ipertrofia delle sezioni destre con aumento della pressione di riempimento del ventricolo destro,
ipertensione atriale destra e stasi del circolo venoso sistemico. Può esserci un progressivo deterioramento
della portata sistemica con ipotensione ed ipoperfusione dei microcircoli renale, coronario e cerebrale
(conseguenze sistemiche).
Clinica: all’inizio asintomatica, comparsa dei sintomi in media dopo due anni. Si ha: dispnea da sforzo,
sintomo freuquente all’esordio, poi anche a riposo. Si può avere astenia, angina, sincope (40%) in rapporto a
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I Gazzellini
diminuzioni della portata cardiaca. Ortopnea e DPN suggeriscono ipertensione polmonare (da scompenso
sinistro). Eventuali segni tipo fenomeno di Raynaud e artralgie indicano connettivopatie. L’anamnesi può
orientare verso una sindrome ostruttiva da apnee notturne (apnee, russamento, sonnolenza, cefalee al
mattino). Si può utilizzare una classificazione dello stato funzionale (riadattamento di quella del NYHA
per scompenso sinistro). Classe I: no limitazioni nell’attività fisica ordinaria. II: sintomi di dispnea e
fatica con attività fisica ordinaria. III: sintomi con attività fisica minore dell’ordinaria. IV: sintomi anche a
riposo. All’esame obiettivo nel 90% dei pazienti c’è un’accntuazione del II tono sulla polmonare dovuta
all’incremento della pressione arteriosa polmonare, soffio diastolico da insufficienza in area polmonare,
soffio sistolico da rigurgito tricuspidalico per l’eventuale dilatazione destra. Anche epatomegalia, edemi,
distensione delle giugulari a causa dello scompenso destro.
Diagnosi: dopo l’anamnesi e l’esame obiettivo le indagini strumentali prevedono: ECG: poco sensibile e
specifico, ci può essere ipertrofia ventricolare destra. Radiografia dl torace: nel 90% dei casi dilatazione
dei vasi polmonari in regione ilare con aspetto ad albero potato dei vasi periferici. Può evidenziare
patologie responsabili di un’IP secondarie. Ecocardiografia trans-toracica: TTE, forte correlazione con
I risultati ottenuti con cateterismo cardiaco destro. Misurando la velocità di reflusso tricuspidalico si
stima la pressione sistolica in arteria polmonare PAPs che è uguale alla pressione sistolica nel ventricolo
destro (RVSP) in assenza di ostruzioni dell’arteria polmonare. Esami funzionali respiratori: spirometria e
emogasanalisi escludono patologie polmonari o bronchiali. Si ha una riduzione della diffusione alveolo
capillare DLCO (per le alterazioni di capillari e piccole arterie) mentre capacità vitale forzata e indice di
Tiffenau sono normali. Riduzione di DLCO e incremento del gradiente transtricuspidalico sono segni di IP
iniziale. La PaO2 è un po’ ridotta così come pal PCO2 per iperventilazione. Nelle connettivopatie riduzione
isolata di DLCO. Se all’IP è associata fibrosi polmonare ci può essere indice di Tiffenau alto. Polisonnografia
per valutare le apnee notturne. Scintigrafia ventilo-perfusiva polmonare: molto sensibile e specifica
(oltre il 90%) per distinguere tra IPAH e IP post-TEP (nella prima è normale, ella seconda difetti perfusivi).
TC: un aspetto a vetro smerigliato con ispessimento dei setti interlobulari con adenopaite o velature
pleuriche indica malattia polmonare veno-occlusiva. TC con mezzo di contrasto: distingue IP arteriosa e
post-TEP (si vedono I trombi). Test del cammino in 6 minuti: 6MWT, correla con la prognosi. Cateterismo
cardiaco destro: glod standard per individuare IP e valutarne la severità. Bisogna valutare PAP (s,d e
media, >25mmHg), RAP, PWP (pressione di incuneamento capillare ≤15mmHg per istinguere IP arteriosa
e venosa), portata cardiaca e test di vasoreattività a vasodilatatori (caduta dei valori di PAPm di almeno
10mmHg. BNP: prodotto dai ventricoli quando sottoposti a sovraccarichi di volume e pressione. Aumenta
nell’IP perchè il ventricolo destro è sottoposto a sovraccarichi di pressione. I valori plasmatici di BNP
correlano con lo stato funzionale (NYHA e 6MWT), valori pressori e prognosi. Altri esami sono l’angiografia
(TEP), ecografia addome (IP portale), dosaggio anticoripi nelle collagenopatie.
Terapia: prima si riteneva non ci fosse terapia. Si possono usare diuretici (furosemide) per riduerre il
precarico, anticoagulanti per evitare fenomeni di trombosi in situ, calcio antagonisti se il test acuto di
vasodilatazione è positivo (si rischia vadoilatazione sistemica e morte). Farmaci che hano effetti su mortalità
e qualità di vita sono I prostanoidi (epoprostenolo) e altri vasodilatatori (antagonisti recettore endotelina,
adenosina, sildenafil).
Cuore polmonare
Definizione generale: dilatazione o ipertrofia del ventricolo destro in risposta ad aumento del post-carico
(ipertensione polmonare) causata da affezioni del parenchima polmonare, della gabbia toracica e del
controllo respiratorio. Le patologie che possono causare CPC sono vasculopatie polmonari (ipertensione
polmonare primitiva, tromboembolia, arteriti), patologie neuromuscolari e deformità ossee, malattie
polmonari che alterano gli scambi gassosi (malattie parenchimali ostruttive quali brochite cronica eed
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Cardio per Interna
enfisema polmonare e restrittive quali deficit neurologici e muscolari, obesità, ostruzione delle vie aeree,
fibrosi). Inoltre ostruzioni, infiammazioni, compressioni dei vasi polmonari e sindromi da ipoventilazione
alveolare cronica. Si definisce ipertensione polmonare (da lieve in su) un aumento della PAP (pressione
arteria polmonare) oltre i 20mmHg. Quest’aumento determinerà modificazioni del ventricolo destro, le
quali possono essere acute o lente a seconda che il sovraccarico di pressione sia rapido (come nell’embolia
polmonare, cuore polmonare acuto) o lento (cuore polmonare cronico). Spesso si usa cuore polmonare
come sinonimo di cuore polmonare cronico. Ipertensione polmonare e cuore polmonare non collimano
sempre in quanto possono esserci condizioni cardiache alla base dell’ipertensione polmonare (scompenso
sinistro, cardiopatie congenite) e anche un’ipertensione non così grave da causare alterazioni del VD. Non
ci può essere cuore polmonare senza ipertensione.
Definizione: CPC, consiste nel 10-20% delle ospedalizzazioni cardiache in età adulta, e il 40% dei pazienti
con BPCO (con VEMS<1L) presenta cuore polmonare.
Patogenesi: la massa muscolare del VD è 1/6 del VS, il VD è più dilatabile e pertanto mantiene bassa la
pressione venosa, ma ha scarso adattamento al sovraccarico pressorio (accorciamento limitato delle fibre).
Da qui la frase: “il ventricolo sinistro è una camera a pressione, il ventricolo destro è una camera a volume”.
Il post-carico del VD dipende dalle resistenze dei vasi polmonari e dalla compliance delle arterie polmonari
(70% del carico per rispondere al carico meccanico delle geometria ventricolare e alle resistenze vascolari
polmonari, il 30% per distendere le arterie elastiche polmonari). Le patologie che causano ipertensione
polmonare possono anche causare cuore polmonare. . In una prima fase si osserva dilatazione ed ipertrofia
del cuore destro con incapacità del ventricolo di superare il progressivo aumento di post-carico che
comporta aumento della pressione tele diastolica del VD con ipertensione atriale destra, aumento
PVC e stasi venosa sistemica. Inoltre la patologia può aggravarsi con uno scompenso destro con edemi
declivi, epatomegalia e ascite. Con il tempo l’ipertrofia destra disturba anche la funzione del cuore sinistro
(bassa portata ed ipotensione).
Clinica: è una patologia insidiosa con manifestazioni aspecifiche e sintomi spesso coperti o attribuiti a
quelli della patologia polmonare di base. Con il tempo e l’avanzamento verso lo scompenso destro si ha
epatomegalia, ascite, edemi declivi e a volte lieve ittero, inoltre si ha una ritenzione idro-salina (alterazioni
renali) e con il peggioramento dell’ipossiemia e a causa della bassa portata si possono avere disturbi
cerebrali. Si può ascoltare sdoppiamento del II tono (comparsa III solo se c’è scompenso).
Diagnosi: La diagnosi della patologia di base è comunque in genere precedente. Esame obiettivo:
è possibile ascoltare un’accentuazione della componente polmonare del II tono ed in genere uno
sdoppiamento, inoltre sono comuni tachicardia ed un soffio di rigurgito tricuspidale olosistolico per
insufficienza della valvola (oltre ai segni dello scompenso destro se presente). ECG: un’onda P di maggiore
ampiezza e durata è un segno di ipertensione polmonare (dilatazione atrio destro), inoltre vi sono segni di
ipertrofia ventricolare destra. È possibile che si sviluppino aritmie da blocco della conduzione (fino al BBD
completo) ed extrasistole atriali o anche tachicardia sopraventricolare e fibrillazione atriale. Radiografia
del torace: segni di ipertensione sono dilatazione dei vasi polmonari con aspetto ad “albero potato”.
Ecocardiografia trans toracica: rileva dilatazione dell’atrio e del ventricolo destro oltre a poter stimare
la PAP in base alla velocità di rigurgito tricuspidalico. Cateterismo cardiaco: è raramente richiesto perché
invasivo, ma serve a documentare la pressione in arteria polmonare, atrio sinistro e vene polmonari. Esami
di laboratorio: si può avere poliglobulia, all’emogasanalisi aumento PCO2 e diminuzione PO2.
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I Gazzellini
Prognosi e terapia: la prognosi dipende dalla patologia polmonare di base, ma spesso è grave (50% di
mortalità a cinque anni). La terapia si basa principalmente sulla risoluzione della patologia respiratoria di
base. I pazienti possono trovare giovamento dall’ossigenoterapia (con PO2<60mmHg), diuretici se c’è
ritenzione idrosalina, anticoagulanti per evitare trombo embolie. Se sfocia nello scompenso è bene usare
diuretici, e vasodilatatori usati nella terapia dello scompenso per ridurre pre e postcarico.
Definizione: CPA, in pratica si tratta di Tromboembolia polmonare. Infatti è una condizione nella
quale vi è una brusca dilatazione del ventricolo destro dovuta ad una grave ed improvvisa ipertensione
polmonare. La causa più frequente è l’embolia polmonare, ma anche altre condizioni (come atelettasia
massiva e pneumotorace), se gravi possono causarlo. L’embolia polmonare, EP, è un’ostruzione dei vasi
polmonari da parte di emboli (materiali estranei, generalmente provenienti dal sistema venoso profondo).
È una condizione di emergenza respiratoria con alto rischio di mortalità senza terapia giusta (10% a 30
giorni, 25% senza terapia anticoagulante). A volte è complicato porre diagnosi per mancanza di segni
clinici patognomici, pare infatti che più della metà delle embolie polmonari restino non diagnosticate.
Epidemiologia ed eziologia: ha una frequenza di 70-100/100000 all’anno, nel 75-80% dei casi l’embolo
viene a formarsi a seguito di TVP (trombosi venosa profonda) agli arti inferiori. 1 TVP su 10 si complica con
EP. È facilitato da alcuni fattori di rischio quali: trombofilie (fattori primari, rischio tromboembolico fino a 20
volte superiore) e fattori cumulativi (gravidanza, cateteri venosi centrali, fumo, obesità, chirurgia, traumi,
scompenso, contraccettivi orali, lunghi viaggi).
In sostanza la trombosi venosa profonda ed il distacco dell’embolo sono condizioni quasi sempre associate.
La sede più frequente di embolia polmonare è l’arteria polmonare destra.
Solo il 25% delle TVP è sintomatico prima di dare embolia polmonare.
Fattori scatenanti: può essere sufficiente l’alzarsi al mattino, sforzi fisici di vario genere, aumento della
pressione intraddominale.
Patogenesi: non sempre l’embolia causa cuore polmonare acuto in quanto il polmone ha una notevole
riserva funzionale di vasi e pertanto solo un grosso embolo o tanti piccoli emboli possono causare il
CPA. In effetti le ripercussioni respiratorie e cardiocircolatorie dipendono dalle dimensioni dell’embolo
e dell’area ostruita (oltre che dalle condizioni del paziente) e si distinguono pertanto embolie massive
(più del 50% del letto vascolare polmonare è interessato) e non massive. Nell’EP massiva si riscontra
instabilità emodinamica con una pressione arteriosa sistemica <90mmHg, instabilità respiratoria con
dispnea ingravescente a riposo con ipossiemia grave. La EP sub massiva è caratterizzata da stabilità
emodinamica, ma da segni ecocardiografici di disfunzione del ventricolo destro (dilatazione del settore
destro con sbandamento del setto interventricolare destro). La ripercussione cardiocircolatoria è l’aspetto
più grave dell’EP (anche se dipende oltre che dal grado di ostruzione anche dalle condizioni antecedenti).
EP con più del 55% di ostruzione comporta: caduta della frazione di eiezione del VD, tachicardia, aumento
del precarico del VD, diminuzione del flusso coronarico con possibile ischemia. Le alterazioni del VD
comportano automaticamente una riduzione del flusso anche al VS con conseguente: diminuzione della
pressione arteriosa, riduzione del volume ventricolare sinistro e della gittata cardiaca. La riduzione
della gittata comporta ipoperfusione sistemica e ipoperfusione dei vari microcircoli (anche cerebrale)
che possono causare dolore anginoso (coronarico), vertigine, sincope e anche shock. L’embolia però si
associa solo raramente ad infarto polmonare in quanto la perfusione dell’organo è garantita dal circolo
arterioso bronchiale (a meno che non ci sia una pregressa cardiopatia sinistra). Questo è ciò che accade
a valle dell’ostruzione, mentre a monte, nel cuore destro si ha progressiva disfunzione ventricolare.
Questa è dovuta all’ipertensione polmonare, quindi aumento del post-carico a cui all’inizio il ventricolo
destro risponde dilatandosi, poi (a causa del minore meccanismo di Starling rispetto al VS) si giunge alla
disfunzione ventricolare e talvolta all’insufficienza tricuspidale che aggravano la stasi venosa. Dal punto
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Cardio per Interna
di vista respiratorio si ha ipossiemia a causa della comparsa di un notevole spazio morto funzionale
(>>V/P) e di un conseguente squilibrio (<V/P) dei territori ancora normoperfusi. L’iperventilazione
reattiva comporta anche ipocapnia in quanto la CO2 è eliminata più facilmente poiché ha una diffusione
più rapida. La tachipnea non è in grado però di mantenere un’adeguata ossigenazione. Si riscontra un alto
gradiente alveolo-arterioso e meno CO2 nell’aria ispirata (perché l’aria che entra nello spazio morto ne esce
con la stessa concentrazione di CO2).
Si possono avere atelectasie polmonari a causa della riduzione del surfactante, entro 24 ore.
Clinica: Anche se l’EP è generalmente sintomatica, i sintomi variano con il grado di ostruzione, il tempo
intercorso dall’esordio, malattie cardiorespiratorie concomitanti. Nel 95% dei pazienti sono presenti
dispnea improvvisa (in genere da cause non evidenti) associata a tachipnea e tachicardia. Dolore
toracico trafittivo in genere dorsale che si esacerba con gli atti respiratori, oppressione precordiale. I
sintomi sono prevalentemente respiratori nella non massiva e cardiaci nella massiva (più di due arterie
lobari ostruite). Si può avere esordio con ipotensione, polso accelerato, pallore , dispnea, sudorazione
e , quando il VD è insufficiente, epatomegalia e segni di stasi venosa. Si può avere un arresto cardiaco
associato a emoftoe (addensamenti polmonari) o sincope (sindrome neurologica), shock circolatorio.
Complicanze: pleurite, versamento pleurico, infarto polmonare con emottisi, insufficienza del cuore
destro, se recidivante cuore polmonare cronico, etc.
Diagnosi: non è quasi mai facile in quanto l’EP non presenta segni e sintomi specifici. Una buona
anamnesi ed un corretto esame del paziente possono indirizzare verso la soluzione (e contribuiscono
nella definizione della probabilità clinica di EP). Il paziente si presenta in genere con dolore e dispnea e a
volte con palpitazioni, tosse, emoftoe, shock, sudorazione, polso accelerato, etc. Importante verificare la
presenza di fattori di rischio quali: TVP, obesità, allettamento, intervento chirurgico recente, trombofilie.
All’ascoltazione si avverte la componente polmonare del II tono in ritardo (sdoppiamento) e rinforzata,
possibile soffio sistolico da insufficienza tricuspidale. Tra gli strumenti diagnostici si distinguono test di
primo livello e indagini diagnostiche di certezza. Queste ultime non possono essere però adoperate
per tutti i pazienti presentanti i sintomi aspecifici e possono essere adoperate solo in condizioni di forte
sospetto di EP o al termine di un determinato percorso diagnostico.
I test di primo livello sono:
· Dosaggio dei dimeri D della fibrina: test semplice e rapido, che permette di escludere con buona
sicurezza l’EP (alto valore predittivo negativo!!!) anche se ha scarsa specificità (presente anche
in traumi, spesi, polmonite, fibrinolisi, gravidanza). Dosa i prodotti della recente attivazione di un
processo emocoagulativo.
· Troponina e BNP: la troponina (indice di danno miocardico) negativa e il BNP (indice di stress di
parete del ventricolo destro) basso sono indici prognostici positivi, specie se associati a mancanza
di segni di disfunzione ventricolare destra.
· Emogasanalisi: ipossiemia ed ipocapnia. Molto aspecifica e se normale non esclude EP.
· ECG: vi sono alterazioni tipiche solo nel 25% dei casi. Vi può essere Tachicardia sinusale. Anche
sindrome S1Q3T3 ossia con S allargata in D1, Q allargata e T invertita in D3 e inoltre aspetto di BBD.
· EcocardiocolorDoppler: può apparire del tutto normale, ma l’individuazione di alterazioni della
funzione ventricolare destra hanno significato prognostico negativo. Può individuare discinesia del
ventricolo destro, valutazione della pressione sistolica nella polmonare, eventuale individuazione
del trombo nel cuore destro o nell’arteria polmonare.
· Radiografia del torace: possibili alterazioni come la sopraelevazione dell’emidiaframma, la
dilatazione dell’arteria polmonare discendente dx, trasparenza dei campi polmonari, segni di
infarto polmonare, versamento pleurico unilaterale, ingrandimento cardiaco acuto, comparsa di
amputazioni vascolari.
Con questi esami (e magari una valutazione con ecocolordoppler degli arti inferiore per ricercare
segni di TVP) è possibile tentare di definire la probabilità di EP:
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I Gazzellini
Probabilità clinica di EP: Alta: (80-100%) presenza di fattore di rischio e dispnea e/o dolore toracico non
spiegabile da altre cause + alterazioni radiografiche ed emogasanalitiche non spiegabili da altre cause.
Bassa: fattori di rischio assenti e sintomi toracici e alterazioni spiegabili da altre cause. Intermedia: né alta
né bassa.
Prognosi: severa. Il 90% dei pazienti con embolia massiva muoiono entro le prime due ore.
Dipende molto dal livello di gravità. Se emodinamicamente stabile e senza disfunzione (stadio I) o con
(stadio II) la mortalità è modesta. In caso di shock o necessità di rianimazione (stadi III e IV) è piuttosto
elevata. Dipende anche da età, malattie di base, complicanze, tempo di diagnosi.
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Cardio per Interna
Prevenzione: prevenzione della TVP (mobilizzazione paziente, calze elastiche, etc.) anche con farmaci
come eparina o anticoagulanti orali.
Sincope
Sincope: non è una malattia, bensì un sintomo caratterizzato da: una perdita di conoscenza
autolimitantesi, transitoria, con esordio rapido, ripresa spontanea, completa e in genere rapida.
Il meccanismo sottostante è una ipoperfusione globale cerebrale.
Epidemiologia: incidenza di 7/1000, 6% negli anziani, alta ricorrenza (studio Framingham). Incidenza
cumulativa >10%. Di più tra i 18-50 anni che tra 50-60. Ancor più dopo i 60-70 anni.
Classificazione: bisogna prima distinguerla da altre condizioni che causano perdita di coscienza. Abbiamo
infatti Sincope reale e apparente. Vi sono infatti attacchi pseudosincopali senza perdita di coscienza
(cadute, lipotimia), o con perdita di coscienza ma non rapida, con recupero spontaneo o transitoria. Le
perdite di coscienza con queste caratteristiche non sono tutte sincopi. Vi sono infatti cause traumatiche e
cause non traumatiche (crisi epilettiche, psicogene, altre).
Cause di sincope: (la causa nel 20-35% dei casi resta ignota) la sincope vera può essere:
1. Neuro-mediata: vaso-vagale, sindrome del seno carotideo, situazionale (emorragia, tosse, starnuto,
post-minzionale, post-prandiale, defecazione, etc), da nevralgia trigeminale o IX.
2. Ortostatica: da insufficienza autonomica (secondaria a atrofia multi sistemica, Parkinson,
neuropatia diabetica, amiloidosi), deplezione di volume (emorragia, diarrea, Addison).
3. Secondaria ad aritmie: disfunzione del nodo del seno, blocco AV, tachicardie ventricolari o
sopraventricolari parossistiche, sindromi ereditaria (QT lungo, Brugada), PM o farmaci.
4. Secondaria a patologie cardiopolmonari: malattie valvolari, cardiopatia ischemica, cardiomiopatia
ostruttiva, mixomi, dissecazione aortica, pericardite, embolia o I.P.
5. Secondaria a patologia cerebrovascolare
Cause di attacchi non sincopali: Con perdita di coscienza: disordini metabolici (ipoglicemia, ipossia,
iperventilazione con ipocapnia, epilessia, intossicazione, TIA vertebrobasilare).
· Senza perdita di coscienza: drop attacks, pseudo-sincope psicogena, TIA carotidei.
Stratificazione del rischio: il rischio aumenta in pazienti >45 anni, con storia di malattia cardiaca
congestizia o di aritmie ventricolari. La coesistenza di patologia cardiaca strutturale aumenta la mortalità
nei pazienti con sincope.
Diagnosi: si comincia sempre con anamnesi, esame obiettivo, misurazione pressione, ECG:
1. Anamnesi: si indagano le circostanze precedenti all’attacco (pranzo, paura, attività, posizione,
etc.), l’esordio stesso (con nausea, vomito, aura, calore, etc.), l’attacco stesso (colorito, durata, etc.),
la fine dell’attacco (nausea, vomito, confusione, etc.). Si cerca anamnesi familiare e patologica
remota e recente (farmaci, aritmie, epilessia, etc.).
Già l’anamnesi può indirizzare verso la diagnosi. Es: Sincope vasovagale: se la sincope è associata a paura,
dolore, prolungata stazione eretta, stress emozionali. Sincope situazionale: se associata a minzione,
tosse, etc. Ortostatica: se associata a ipotensione ortostatica. Neuro-mediata: se accade dopo odore,
sapore sgradevole, prolungata stazione eretta, caldo, dolore trigeminale, passaggio in ortostatismo, luoghi
affollati, rotazione del capo, pressione al collo (cravatta, colletto).
2. Misurazione pressione, esame obiettivo, ECG: L’ECG può darci molte informazioni.
Es: Sincope dovuta ad aritmia cardiaca: diagnosticata se c’è bradicardia sinusale sintomatica, pause
sinusali o blocchi atrioventricolari di II o II grado,parossismi di TSV o TV, malfunzionamento del pacemaker,
BBD e BBS alternati. Sincope dovuta a cardiopatia ischemica: evidenza all’ECG di ischemia miocardica
acuta. Trattamento per l’evento ischemico acuto.
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I Gazzellini
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Cardio per Interna
sopraventricolare e ventricolare nei pazienti con insufficienza cardiaca. Può causare riduzioni
visione, fotosensibilità, azione pro aritmica, disfunzioni tiroidee. Da controllare la funzionalità
tiroidea prima della somministrazione. Sotalolo: indicato nella fibrillazione atriale. Può avere
effetti pro aritmici e collaterali simili ai beta-bloccanti.
4. Classe IV: antiaritmici calcio antagonisti: sono di tipo finilalchilaminico (come verapamil
e gallopamil) o di tipo benzotiazepinico (come il diltiazem). Nella fibrillazione atriale per
rallentamento della conduzione AV o nelle tachiaritmie da rientro AV. Possono dare effetti collaterali
a livello GI e del SNC, oltre che cardiaci (bradicardia, ritardi di conduzione, etc.). Non associare a
beta-bloccanti. Il verapamil aumenta la concentrazione di altri farmaci.
5. Adenosina: si dà nella tachicardia con QRS stretto. Blocco di breve durata della conduzione AV.
Effetti collaterali: dispnea, flush, broncospasmo.
Elettroterapia dei disturbi del ritmo cardiaco: distinguiamo tre tipo di interventi terapeutici:
1) Terapia con pacemaker:
A) Pacemaker antibradicardici: si utilizzano 5 lettere per definire il tipo:
· 1° lettera: indica il punto di stimolazione (A= atrio; V= ventricolo; D= duale, entrambi).
· 2° lettera: indica il punto di percezione (A, V, D, stesse lettere).
· 3° lettera: tipo di funzionamento (I= inibizione, T= eccitazione; D= doppio, I+T).
· 4° lettera: adattamento alla frequenza: R= rate modification.
· 5° lettera: stimolazione multifocale. Stesse lettere del punto 1.
Il pacemaker a richiesta entra in funzione quando la frequenza minima è al di sotto di un certo livello.
Programmabilità: è la possibilità di programmare la frequenza dello stimolo e l’energia dell’impulso.
Isteresi: ritardo programmato nell’innesco dell’impulso da pacemaker (es:pacemaker tarato per andare a
70/min si attiva quando la frequenza giunge a 60/min). Distinguiamo quind:
1. Pacemaker mono-ventricolare:
a. VVI (ventricolare): in caso di bradi aritmia con fibrillazione atriale. La stimolazione non
è fisiologica in quanto è direttamente ventricolare con imput retrogrado all’atrio (sistole
atriale non ritmica).
b. AAI (atriale): in caso di disturbi del nodo del seno con conduzione AV intatta.
2. Pacemaker bi-ventricolare: DDD: (sequenziale AV) si usa nei pazienti che possono avere necessità
sia di bypassare la conduzione AV che di stimolare il nodo del seno.
3. Pacemaker che adattano la frequenza: VVI-R o DDD-R, in grado di aumentare la frequenza di
stimolazione in base al carico. Utilizzano un sensore di attività (piezocristallo) oppure un sensore
di volume respiratorio/minuto che è un sensore fisiologico, che ha l’unico svantaggio di garantire
una risposta ritardata.
4. Altre funzioni disponibili: appiattimento delle frequenza (in caso di pause del seno sotto-
sforzo) o mode-switching (cambio automatico di modalità da DDD o DDI).
Indicazione all’impianto di pacemaker: bradicardia sintomatica (sindrome del NSA, sindrome del seno
carotideo), blocco SA o AV grave (AV almeno di II grado).
B) Sistemi antitachicardici:
1. ICD: defribillatotre/cradiovertitore impiantabile, utile nelle tachicardie ventricolari e fibrillazione
ventricolare. In caso di TV tenta una cascata preprogrammata di sovra stimolazioni. In caso di
fibrillazione esegue una defibrillazione interna.
2. WCD: cardiovertitore/debrifrillatore portatile, nei casi in cui l’ICD non è stato ancora impiantato
o di dubbia utilità o sospeso, riduce la mortalità per MCI.
Indicazioni: prevenzione secondaria di MCI, prevenzione di morte cardiaca in pazienti con scompenso
cardiaco e frazione di eiezione bassa o sindromi congenite ad alto rischio (es.QT lungo)
3. Pacemaker antitachicardico/bradicardico: PCD, pacemaker cardiovertitore/defibrillatore con
funzione di cardioversione/defibrillazione, sovrastimolaizione, stimolazione antibradicardica.
4. TRC: terapia di risincronizzazione cardiaca. Una sonda trans venosa atriale e due sonde ventricolari
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I Gazzellini
vengono collocate nel setto ventricolare destro e attravero il sistema coronarico venoso nel
ventricolo sinistro. Si usa in casi di scompenso cardiaco con bassa frazione di eiezione, blocco di
branca sinistra.
Follow-up: regolari controlli della funzione del pacemaker: il primo entro 3 mes, poi dopo 6-12 mesi.
Controllo della risposta dello stimolo, della percezione, carica delle batterie.
2) Cardioversione elettrica e defibrillazione esterna: Indicazione: Assoluta: tachicardie sopraventricolari
o ventricolari con minaccia di shock cardiogeno o fibrillazione ventricolare. Relativa: mancanza di risposta
alla correzione farmacologica della fibrillazione atriale. Vengono depolarizzate le cellule cardiache
contemporaneamente attraverso una scarica di corrente continua applicata al torace. Si riattiveranno
prima le cellule con minore stabilità della membrana a riposo, ossia le cellule del nodo del seno. Però
possono continuare a prevalere foci ectopici.
Scelta dell’energia: Fibrillazione e tachicardia ventricolare polimorfa: Scarica a 200 J, in caso di insuccesso
altre scariche a 360 J. Tachicardia ventricolare monomorfa o fibrillazione atriale: Scarica a 200 J. Il paziente
cosciente viene anestetizzato leggermente per via endovenosa (endomitato), Se vi è rischio di trombosi
bisogna trattare il paziente con anticoagulanti.
3) Elettroablazione (ablazione con catetere = ablazione HF): si tratta dell’eliminazione ad alta frequenza
di tessuto aritmogeno mediante un catetere munito di elettrodi, previa identificazione tramite mapping
intracardiaco. Può essere del nodo AV, delle vie di consuduzione accessorie, etc.
Fibrillazione atriale
Epidemiologia: è la più frequente tachiaritmia sopraventricolare. L’incidenza aumenta con l’età, fino a
raggiungere il 6-7% negli anziani.
Eziologia: può essere primaria (idiopatica, 15% dei casi) o secondaria. Le cause di fibrillazione atriale
secondaria possono essere cardiache: alterazioni mitraliche, malattia coronarica/infarto, insufficienza
cardiaca (>50% in pazienti con NYHA IV), cardiomiopatie, interventi al cuore, sindrome del nodo del seno.
Cause extracardiache sono: ipertensione arteriosa, embolia polmonare, ipertiroidismo, intossicazione da
alcol o farmaci, obesità. In particolare è importante l’associazione con scompenso cardiaco cronico: le
elevate pressioni di riempimento ventricolare si ripercuotono dando elevate pressioni atriali e fenomeni di
stretch della parete atriale che possono essere uno stimolo elettrico per l’insorgenza di fibrillazione atriale.
La fibrillazione atriale aumenta la mortalità nello scompenso cardiaco sia per il peggioramento della
condizione emodinamica sia per possibili fenomeni embolici.
Patogenesi: i circuiti di rientro causano una frequenza atriale di circa 350-600 bpm, che non corrisponde
sempre a una contrazione atriale. Il NAV limita la conduzione al ventricolo che però avrà tempi di diastole
e di sistole irregolari con gittata cardiaca variabile.
Pare che in caso di FA vi sia spesso perdita di massa muscolare atriale e fibrosi atriale. In ogni caso la
fibrillazione causa dilatazione atriale. Vi è una teoria che la causa della FA in un’origine focale, ed una
che la vede in multiple onde caotiche che si distribuiscono all’atrio. Le teorie potrebbero coesistere (nei
pazienti giovani pare essere più comune l’origine focale).
Decorso: Episodio unico: sintomatico o asintomatico. FA ricorrente: 2 o + episodi di durata >30sec
Fibrillazione atriale parossistica: FA ricorrente che termina spontaneamente in genere entro le 48h
(anche 7 giorni). Fibrillazione atriale persistente: termina in solo in risposta alla terapia farmacologica
o elettrica. Fibrillazione atriale permanente: di lunga durata e in cui i tentativi di cardioversione non
hanno dato risultati.
ECG tipico: il NAV fa sì che la frequenza ventricolari non superi generalmente i 100-150 bpm. VI è assenza
di onde P, intervalli RR irregolari, frequenza ventricolare molto variabile. Il fondo del tracciato può
essere piatto o con piccole onde F di fibrillazione irregolari. Possiamo avere:
· FA ad elevata risposta ventricolare: più nei giovani, senza problemi di conduzione.
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Cardio per Interna
· FA a bassa risposta ventricolare: tipica del paziente anziano con turbe di conduzione.
Clinica: spesso è del tutto asintomatica. Specialmente nella forma parossistica possono comparire
palpitazioni, astenia, dispnea, affaticabilità, agitazione, manifestazioni ischemiche cerebrali. Anche polso
irregolare e ridotto, possibile poliuria, vertigine e sincope. L’EHRA score distingue: EHRA I: no sintomi; II:
pochi sintomi; III: influisce sull’attività quotidiana. IV: sintomi disabilitanti.
Complicanze: la principale complicanza è la formazione di trombi atriali con pericolo di embolia
arteriosa, specialmente embolie cerebrali (20% di tutti gli ictus). Il rischio diviene più alto soprattutto in
caso di FA cronica. Fattori di rischio trombo embolico: età >75 anni, pregresso ictus o TIA, insufficienza
cardiaca, sostituzione valvole cardiache, stenosi mitralica, ipertensione e diabete, riscontro di dilatazione e
trombi atriali tramite ecocardiogramma trans esofageo.
Classificazione del rischio CHADS: C: insufficienza Cardiaca H: Hipertension A: Age >75 D: Diabete S:
Stroke (ictus).
Diagnosi: Anamnesi (ritmo cardiaco percepito, frequenza episodi, durata episodi, anamnesi patologica,
abuso di alcol, familiarità). Poi Esame obiettivo, ecocardio, emocromo, TSH, Rx torace, Holter. In pazienti
scelti: elettrofisiologia, coronarografia, studio della funzione vascolare.
Terapia:
1) Paziente emodinamicamente instabile: cioè con pressione arteriosa in calo, segni di shock, scompenso
cardiaco acuto, angina: si provvede alla eparinizzazione (eparina sodica ev) del paziente e successiva
cardioversione elettrica (da 100 a 360 J). Stabilizzazione e diagnosi.
2) Paziente emodinamicamente stabile: in questo caso vi sono due strategie terapeutiche:
· Rate control: controllo della frequenza e prevenzione tromboembolismo. Si preferisce in pazienti
anziani o nei lievemente sintomatici:
o Controllo frequenza: Se stile di vita inattivo: digossina. Se stile di vita attivo: Con HTA o
nessuna patologia: beta-bloccanti (Esmololo), o calcio-antagonisti (Diltiazem e Verapamil,
non con beta-bloccanti), meno la digitale. Insufficienza cardiaca: beta-bloccanti. BPCO:
calcio antagonisti, digitale, beta1-bloccanti.
Altrimenti ablazione del nodo AV e impianto di pacemaker.
o Prevenzione tromboembolia: Se con FA isolata e no fattori di rischio del CHADS: ASA. In
tutti gli altri: Warfarin (ogni settimana controllare se INR è tra 2-3).
· Rhythm control: ristabilimento del ritmo sinusale e (mantenimento). Si preferisce in giovani o
fortemente sintomatici. Ristabilire il ritmo sinusale tramite cardioversione.
o Cardioversione: se la fibrillazione atriale dura da più di 48 ore, prima di effettuare la
cardioversione si somministrano anticoagulanti per almeno 4 settimane:
§ Farmacologica: Se con patologia cardiaca: si preferisce Amiodarone. Altrimenti:
Propafenone o Fleicanamide. Se fallisce: cardioversione elettrica (200J). Esiste
anche la cardioversione con ablazione.
§ Prevenzione recidive: le recidive di fibrillazione atriale dopo cardioversione sono di
circa del 75% entro l’anno. Se con cardiopatia: Amiodarone. Altrimenti: Propafenone
o Fleicainamide o ablazione con catetere.
In pazienti con fibrillazione parossistica si può usare l’approccio pill in the pocket.
Malattie Valvolari
Valvulopatie acquisite: possono essere di tipo restrittivo (stenosi) o di tipo incontinenza (insufficienze).
Entrambe le disfunzioni possono colpire tutti gli apparati valvolari e possono essere isolati (stenosi
o insufficienza di una sola valvola), combinati (steno-insufficienza della stessa valvola) o composti (più
valvole interessate). Le stenosi sono solitamente a insorgenza progressiva, le insufficienze possono
essere acute o croniche. Le valvulopatie sono spesso evidenti all’esame obiettivo (auscultazione di soffi)
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I Gazzellini
Stenosi mitralica
Definizione: malattia cronica progressiva della valvola mitrale, caratterizzata da restringimento dell’orifizio
mitralico che crea ostacolo al flusso dell’atrio sinistro durate il riempimento diastolico ventricolare.
La mitrale ha una superficie media normale di 4-6cm2. Se la stenosi è lieve la superficie è ristretta, ma
comunque superiore a 2cm2, se è media è tra 1 e 2cm2, se è severa è <1cm2.
Eziologia: la causa è prevalentemente una cardite reumatica postreptococcica pregressa (ed è più
comune nella donne). Dopo l’infiammazione si ha ispessimento e fibrosi delle cuspidi valvolari con aree
di aderenza e fusione della commessure valvolari. Le cuspidi possono restare flessibili o divenire rigide
e calcifiche. Talvolta i lembi sono talmente aderenti e rigidi da non riuscire né ad aprirsi né a chiudersi
(steno-insufficienza mitralica).
Altre cause sono formazioni neoplastiche (tipo mixoma atriale sinistro) o trombotiche o proliferazione
eccessiva di vegetazioni endocarditiche. La stenosi mitralica congenita è rara.
Fisiopatologia: Se l’orifizion divene minore di 2,5cm2 si ha un aumento della pressione atriale sinistra
ed ipertrofia atriale. Questo comporta pertanto:
§ Formazione di trombi nell’atrio sinistro ingrandito e possibili eventi embolici.
§ Edema polmonare: aumenta la pressione all’interno di vene e capillari polmonari a causa
dell’aumento della pressione atriale. Può causare dispnea e persino emottisi.
§ Insufficienza cardiaca destra: da ipertensione polmonare, ma il paziente è a lungo senza sintomi.
Causa congestione sistemica: turgore delle giugulari, ascite, edema, affaticamento.
§ Ridotta gittata cardiaca sinistra: a causa della stenosi vi è minore riempimento diastolico.
§ Fibrillazione atriale: atrio sinistro ingrandito. Aumenta ancora il rischio di emboli.
Clinica: Il paziente può restrare a lungo asintomatico. I sintomi più comuni sono: dispnea, ortopnea,
dispnea parossistica notturna, edema polmonare. Bronchiti invernali: causate dalla congestione
polmonare e dall’ipersecrezione di muco. Emottisi. Astenia e affaticamento. Palpitazioni: correlate alla
fibrillazione atriale. Embolie sistemiche: a causa della formazioni di trombi nell’atrio sinistro dilatato e a
volte con FA.
Diagnosi: come in tutte le valvulopatie, l’esame obiettivo resta fondamentale:
§ Esame obiettivo:
o Ascite, turgore delle giugulari e edemi declivi: se c’è scompenso destro.
o Soffio diastolico nel focolaio mitralico: nel focolaio mitralico (itto cardiaco).
o Altri segni: facies mitralica (zigomi rossi), I tono aumentato, schiocco mitralico.
§ Esami strumentali: ECG (possible ingrandimento atrio, ipertrofia ventricolare destra, FA). Rx
torace: ingrandimento atrio sinistro, strie di Kerley da edema polmonare. Ecocardiogramma:
permette di vedere alterazioni della valvola e distinguere una stenosi mitralica lieve, moderata
o serrata (severa). Con l’ecocardiografia transesofagea si possono in modo ancora più preciso
rilevare trombi nell’atrio sinistro. Se questi esami non si rivelano diagnostici si può effettuare un
cateterismo cardiaco (rilevazione pressioni).
Terapia medica: la malattia diviene progressivamente più severa. Limitare attività fisica. Un beta-bloccante
può controllare la frequenza e furosemide se vi è scompenso cardiaco destro. Nel caso di fibrillazione
atriale bisogna fare un trattamento anticoagulante con warfarin.
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Cardio per Interna
Terapia chirurgica: è indicata quando il paziente ha area valvolare inferiore a 1,5cm2 ed è almeno
nella II classe NYHA, o ha FA, o episodi embolici, o scompenso destro. Eseguire ecocardio ed ecocardio
la trans esofageo per vedere se ci sono trombi nell’atrio sinistro. Se il lembi sono ancora poco calcificiati
si può eseguire PMBV, ossia valvuloplastica con palloncino (minore mortalità rispetto alla chirurgia).
Nei pazienti in cui la PMBV non ha successo o vi è ristenosi si indica intervento chirurgico. Si può fare
valvulotomia (commissurotomia). Se il paziente è gravemente sintomatico (classe III di NYHA) è indicata
la sostituzione valvolare mitralica con protesi biologica o protesi meccanica (mortalità quasi del 5%).
Insufficienza mitralica
Definizione: IM, è caratterizzata da un reflusso di sangue dal ventricolo sinistro (camera ad alta pressione)
all’atrio sinistro (bassa pressione) durante la sistole ventricolare, a causa di un’incompleta chiusura dei
lembi mitralici. Comporta un grado variabile di dilatazione di entrambe le cavità. Si distingue in acuta e
cronica, ma anche in primaria (alterazione primitiva) o secondaria (disfunzione dell’apparato a causa
della dilatazione del ventricolo sinistro).
Eziologia: il danno può essere a carico dei lembi valvolari (malattia reumatica, che può dare anche
steno-insufficienza, endocarditic, mixomi), anello mitralico (miocardiopatia dilatativa), corde
tendinee (malattie del connettivo), muscoli papillari (infarto del miocardio).
La principale causa di insufficienza secondaria è la disfunzione ventricolare.
Patogenesi:
Insufficienza cronica: si ha adattamento del ventricolo sinistro in quanto i rigurgiti sono di intensità
graduale. All’inizio si ha ipertrofia ventricolare quindi eccentrica (più dilatazione che ipertrofia).
Pertanto con il tempo si ha riduzione della contrattilità con insufficienza ventricolare e ridotta gittata.
Con il tempo anche ipertensione atriale e quindi polmonare.
Insufficienza acuta: il ventricolo si trova all’improvviso a far fronte ad un sovraccarico di volume.
Spesso nelle endocarditi acute o rottura del muscolo papillare a causa di un infarto. Il ventricolo non si
dilata né si ipertrofizza e si ha un marcato aumento pressorio atriale, rapida ipertensione polmonare
e quindi edema polmonare. Si può avere shock cardiogeno.
Clinica: i pazienti restano stazionari molto a lungo.
Insufficienza cronica: a lungo asintomatica. Sintomi da scompenso sinistro come dispnea. Rara la
fibrillazione atriale nell’atrio che può essere però dilatato.
Insufficienza acuta: dispnea che esordisce improvvisamente ed è rapidamente ingravescente, anche
edema polmonare acuto e progressione rapida verso lo shock cardiogeno.
Diagnosi: resta essenziale l’esame obiettivo.
§ Esame obiettivo: Soffio sistolico in area mitralica (apice o itto) dovuto al rigurgito.
§ Esami strumentali: all’ECG è visibile un’ipertrofia atriale sinistra, all’Rx torace: dilatazione
ventricolare sinistra o segni di stasi polmonare. L’ecocardiogramma è un esame fondamentale
perchè evidenzia dilatazioni e l’entità del rigurgito. Se questi esami non si sono rivelati
diagnostici si può eseguire un cateterismo cardiaco. La ventricolografia con m.d.c risulta
spesso diagnostica.
Terapia medica: eventuale warfarin per FA e terapia scompenso se presente.
Terapia chirurgica: l’intervento chirurgico è indicato dal momento in cui cominciano a comparire
sintomi (anche se solo in classe II NYHA). Pazienti che sicuramente devono essere indirizzati alla
chirurgia sono quelli con FE<60%. In caso di insufficienza acuta massiva l’intervento è obbligatorio.
La terapia chirurgica può essere:
§ Riparazione valvolare: la chirurgia conservativao valvuloplastica è il motivo di un’indicazione
chirurgica così precoce. Infatti ha una mortalità intraoperatoria inferiore all’1%. Indicato nel caso
in cui non vi sia sclerosi calcifica dei lembi. Si usano anelli protesici che servono a restringere
l’anulus. Anche riparazione corde tendinee.
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I Gazzellini
Prolasso mitralico
Definizione: alterazione della valvola mitrale che consiste in lembi mitralici ridondanti che i estroflettono
(prolassato) anche cospicuamente oltre l’anello durante la sistole ventricolare. Può interessare fino al
6% della popolazione, specialmente femminile. Solo nel 10% dei casi causa insufficienza mitralica,
che solo in un terzo di questi è di grado rilevante.
Eziologia: vi sono forme primarie (familiari, sindrome di Marfan, altre patologie connettivali), e
secondarie (FR, cardiopatia ischemica, cavità ventricolare ridotta come nella miocardiopatia ipertrofica,
difetti interatriali, anoressia, ipertensione polmonare). Nella sindrome di Marfan quest’alterazione può
coinvolgere anche la valvola tricuspide e aortica.
Clinica: il paziente è spesso asintomatico. I sintomi possono essere una certa astenia e ipotensione
ortostatica. Può esserci notevole ansia per sintomi come vertigini, palpitazioni e fugaci dolori toracici
non associati allo sforzo. Possibili aritmie sopraventricolari.
Esame obiettivo: si può rilevare un click mesosistolico e raramente un soffio sistolico da insufficienza
mitralica che si avverte meglio con paziente in clinostatismo.
Diagnosi: oltre all’esame obiettivo, si possono rilevare all’ECG alterazioni nella depolarizzazione
(tratto ST sottoslivellato e onde T invertite) e all’Holter possono comparire aritmie sopraventricolari. La
diagnosi avviene in genere però mediante ecocardiogramma.
Prognosi: in genere benigna con decorso asintomatico anche per tutta la vita.
Terapia: i pazienti vanno rassicurati sulla benignità della condizione. Se c’è storia di endocardite si
può fare profilassi. I beta-bloccanti possono in alcuni casi alleviare i sintomi (possibili anche ansiolitici).
L’indicazione chirurgica c’è solo nei casi di IM che la richiedono.
Stenosi aortica
Definizione: malattia delle semilunari aortiche con restringimento valvolare che provoca ostruzione
all’efflusso di sangue dal ventricolo sinistro con sviluppo di gradiente pressorio trans valvolare e
ipertrofia concentrica del ventricolo. In un soggetto normale la valvola è tricuspide con ostio tra i 3
e i 4cm2. È considerata stenosi una riduzione sotto i 1,5cm2. Talvolta si associa ad una dilatazione post-
stenotica dell’aorta. Anche altre condizioni possono portare blocco dell’efflusso ventricolare sinistro,
come stenosi sotto o sopravalvolari.
Eziologia: Degenerazione fibro-calcifica di una valvola aortica congenitamente malformata
(maggiore suscettibilità negli individui con valvola bicuspide), malattia reumatica (può causare
anche steno-insufficienza), degenerazione fibro-calcifica senile (infiammazione e progressiva
calcificazione, con gli stessi fattori di rischio dell’aterosclerosi).
Patogenesi: si ha aumento della pressione intraventricolare sinistra che causa ipertrofia
concentrica (più ipertrofia che dilatazione). Grazie a questa ipertrofia adeguata, il paziente resta a
lungo asintomatico. Si ha però aumento del fabbisogno di ossigeno (maggiore spesa energetica)
e contemporaneamente riduzione del flusso coronarico (ipertrofia e ridotto tempo di diastole) con
aumentato rischio di ischemia miocardica. Con il tempo comunque si ha disfunzione diastolica
(riduzione della compliance per rigidità), e quindi scompenso cardiaco sinistro. Si ha aumentata
pressione nell’atrio sinistro con dilatazione atriale e possible insorgenza di fibrillazione atriale oltre
che insorgenza di dispnea.
Clinica: può restare asintomatica per anni (fase di latenza) anche se c’è una stenosi serrata. Dopo la
comparsa dei sintomi (intorno ai 50-60 anni) la prognosi è inferiore ai 5 anni.
La triade classica è: angina pectoris (minore perfusione), sincope (ridotta gittata, soprattutto sotto
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Cardio per Interna
Insufficienza aortica
Definizione: chiusura incompleta delle cuspidi valvolari durante la diastole del ventricolo sinistro, con
relativo reflusso diastolico dall’aorta. Il sovraccarico di volume comporta un’ipertrofia eccentrica che
alla lunga causa scompenso. È dilatata anche l’aorta e nelle fasi avanzate l’anello mitralico (insufficienza
mitralica secondaria funzionale).
Eziologia: un tempo le cause più comuni, erano malattia reumatica e sifilide. Altre cause sono
malformazioni tipo aorta bicuspide, vegetazioni da endocardite (che possono provocare perforazioni),
connettivopatie (tipo sindrome di Marfan), malfunzionamenti delle protesi.
Malattie della radice aortica possono causare insufficienza per dilatazione e distorsione della radice
(come nell’aortiti, ad esempio da lue o AR, e nelle aortopatie non infiammatorie) o per perdita del
supporto commissurale (come nella dissecazione aortica).
Patogenesi: si distinguono una forma acuta ed una cronica:
Insufficienza cronica: il sovraccarico di volume da reflusso causa ipertrofia eccentrica (dilatazione
più che ipertrofia). Si va verso la scompenso sinistro che come primo sintomo presenta la dispnea
da sforzo (aumento pressione polmonare). Si ha riduzione della pressione diastolica aortica con
minore perfusione coronarica che, associata all’aumentata richiesta di ossigeno per ipertrofia,
aumenta il rischio di eventi ischemici (come nella stenosi aortica).
Insufficienza acuta: si ha rigurgito acuto con il ventricolo che non può rispondere con l’ipertrofia
eccentrica. Aumento improvviso della pressione tele diastolica con contemporaneo aumento della
pressione atriale sinistra e quindi nel circolo polmonare. Si può pertanto avere shock cardiogeno
ed edema polmonare acuto.
Clinica:
Insufficienza cronica: all’inizio il paziente è asintomatico, e si può mantenere tale per moltissimi anni.
Poi astenia (ridotta gittata) e più raramente dispnea da sforzo. Alla fine anche angina pectoris ed edema
polmonare da stasi.
Insufficienza acuta: si ha rapidamente ipotensione e sincope, il paziente suda ed è tachicardico,
compare edema polmonare.
Diagnosi:
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I Gazzellini
§ Esame obiettivo: Soffio diastolico da rigurgito in area aortica. Si può avere anche polso
ampio e celere (scoccante) a causa della grande pressione differenziale. La stessa provoca la
cosiddetta danza della arterie con vistose pulsazioni soprattutto delle arterie superficiali e che
causa a volte oscillazioni ritmiche del capo o degli arti.
Nell’insufficienza acuta: meno evidente, polso è piccolo ma non scoccante ed anche il soffio
diastolico è meno evidente e può sfuggire.
§ Esami strumentali: ECG: il complesso QRS può apparire di ampiezza aumentata, possibili
segni di ischemia. Ex torace: possible ventricolo sinistro dilatato o anche aorta ascendente
dilatata. Ecocardiogramma: visione valvola e funzione ventricolo. Nel follow-up è utilizzata
l’angioscintigrafia con tecnezio che valuta funzione ventricolare e frazione di rigurgito.
Cateterismo cardiaco: attualmente meno indicato perché l’ecocardio è molto preciso.
Prognosi: le forme lievi possono essere asintomatiche anche tutta la vita, peggiorano rapidamente
con endocardite infettiva. Dopo la comparsa di disfunzione ventricolare la sopravvivenza a 10 anni è
del 50%. Sono però pericolosi emboli, aritmie e l’insorgenza, per marcata dilatazione ventricolare, di
insufficienza mitralica anche grave.
Terapia medica: nell’acuta c’è risposta a diuretici e vasodilatatori, ma è indicata la chirurgia urgente.
Nella cronica oltre all’uso di anticoagulanti in pazienti con episodi embolici, sono indicati diuretici
e vasodilatatori se non per curare lo scompenso, almeno per mantenere la pressione sistolica
<140mmHg. Bisogna evitare esercizio fisico isometrico, utili i nitrati.
Terapia chirurgica: nelle forme acute l’indicazione è estensiva.
Nelle forme croniche è indicata in pazienti gravemente sintomatici, ma anche i pazienti asintomatici
devono essere seguiti con follow-up che preveda un’ecocardiogramma ogni 6 mesi (o 3-12) perché
i sintomi compaiono solo dopo comparsa di una disfunzione miocardica e il trattamento chirurgico
non ripristina la normale funzione ventricolare se eseguito con troppo ritardo. Un controllo costante
permette di eseguire l’intervento nel momento migliore, quando è ancora utile e quando la mortalità è
bassa. Si indica quando la FE<50%. In genere si esegue sostituzione della valvola. Se vi è dilatazione
o comunque alterazione aortica si possono usare tubi valvolati tipo Bentall che sostituiscono anche
l’aorta ascendente.
Stenosi tricuspidale
Definizione: ST, rara condizione clinica con ostacolo attraverso la tricuspide al flusso dall’atrio al
ventricolo destro durante il suo riempimento diastolico.
Eziologia: è raro che sia isolata, in buona parte dei casi è associata ad una vavulopatia mitralica e/o
anche aortica in quanto la causa più comune è la malattia reumatica. Può essere causata anche da
mixomi, LES, sindromi congenite, sindrome da carcinoide (di solito dà insufficienza).
Fisiopatologia: un restringimento dell’ostio inferiore a 1,5 crea un significativo ostacolo al riempimento
del ventricolo destro. Si ha aumento della pressione nell’atrio destro e riduzione della gittata
cardiaca. Si ha quindi uno stato congestizio del sistema venoso sistemico con turgore giugulare ed
epatosplenomegalia oltre ad un progressivo scompenso cardiaco.
La riduzione della portata spiega perché i livelli della pressione in atrio sinistro e circolo polmonare
sono normali o poco aumentati anche in presenza (molto comune) di una valvulopatia mitralica.
L’atrio destro in genere si dilata anche più precocemente del sinistro.
Clinica: sintomi modesti e atipici, con affaticabilità e astenia (ridotta portata) e dispnea da sforzo.
Sensazione di replezione per l’epatomegalia e la stasi venosa addominale. Attenua i sintomi di una
stenosi mitralica (spesso coesistente) evitando la congestione polmonare.
Diagnosi:
§ Esame obiettivo: Soffio diastolico in area tricuspidale (IV-V spazio sinistro). Si possono
avvertire i segni di stenosi mitralica e/o aortica.
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Cardio per Interna
§ Esami strumentali: ECG: possible ipertrofia atriale destra. Ex troace: dilatazione atrio destro,
epatomegalia (c’è anche evoluzione in cirrosi). Ecocardiogramma: sempre fondamentale,
anche se la tricuspide non è di facile visualizzazione.
Terapia medica: si fa generalmente profilassi per l’endocardite e i diuretici attenuano i sintomi della
stasi venosa (associati a dieta povera di sodio).
Terapia chirurgica: Se l’orifizio è inferiore a 2cm2 è indicato l’intervento, in genere contemporaneamente
a valvulotomia mitralica. Si può pensare ad una commissurotomia, ma anche sostituzione valvolare.
La valvuloplastica è una possibilità (incerta, boh).
Insufficienza tricuspidale
Definizione: IT, rigurgito di sangue dal ventricolo all’atrio destro durante la sistole ventricolare, con
sovraccarico di volume nelle due cavità e dilatazione. Può essere dovuta a lesioni dell’apparato valvolare
o secondaria a dilatazione ventricolare.
Eziologia: la cardiopatia reumatica resta la prima causa di insufficienza tricuspidale cronica. La
forma cronica si accompagna più spesso a stenosi mitralica (anche perchè questa causa ipertensione
polmonare e possible dilatazione del ventricolo destro). Altre cause sono patologie che colpiscono il
ventricolo destro, sindrome da carcinoide, cardiopatia ischemica cronica. L’ischemia acuta è invece una
causa di IT acuta. Anche endocardite o embolia polmonare.
Patogenesi:
Insufficienza cronica: è raramente un evento isolato. Si ha sovraccarico cronico di volume con
dilatazione di atrio e ventricolo destro, con pressione aumentata nell’atrio destro e nelle vene
cave. La pressione diastolica ventricolare destra resta a lungo normale perché il ventricolo destro ha
grande compliance. Ma se è associata una stenosi mitralica che a causa di ipertensione polmonare
ha portato ad ipertrofia (e ridotta compliance) del ventricolo destro si ha rapido scompenso destro
con le pressioni atriale destra e venosa sistemica che salgono molto con evidente turgore giugulare ed
epatomegalia, anche ascite. È frequente l’associazione (date il notevole disturbo all’atrio destro) con
fibrillazione atriale.
Insufficienza acuta: aumento della pressione atriale sistolica con valori pressori atriali medi però non
troppo elevati. Il sovraccarico di volume è spesso ben tollerato nel ventricolo destro, ma l’aumento
della pressione può causare cuore polmonare acuto.
Clinica: nelle forme croniche associate a valvulopatia mitralica il segno di insufficienza tricuspidale
compare lentamente con edemi declivi, epatomegalia anche notevole e tensione al collo da turgore
giugulare. Nell’acuta può esserci epatomegalia anche dolorosa.
Diagnosi
§ Esame obiettivo: Soffio sistolico in area tricuspidale. Si può rilevare epatomegalia anche
pulsante e reflusso epato-giugulare.
§ ECG: Si può notare ipertrofia ventricolare destra e atriale destra, possibile FA. Rx torace:
dilatazione ventricolare destra. Ecocardio: stima rigurgito e dilatazione atriale e ventricolare.
Cateterismo cardiaco: solo in pazienti con indicazioni chirurgiche.
Spesso bisogna valutare la coesistenza di IT in corso di altre valvulopatie. Mentre nelle forme acute ci si
può confondere con addome acuto, nelle forme croniche si rischia di non capire se un’IT sia primitiva o
secondaria allo scompenso stesso (influenza la terapia).
Prognosi: nelle forme croniche con disfunzione ventricolare destra il quadro procede verso uno
scompenso con rischio di complicazioni con ipertensione portale, ascite, cirrosi epatica. L’intervento
sulla mitrale, nei casi associati a valvulopatia mitralica,può risolvere l’IT o attenuarla, ma non tanto se
c’è già disfunzione ventricolare destra.
Terapia: in sostanza l’IT senza ipertensione polmonare è ben tollerata. Associata a valvulopatia mitralica,
come detto, può bastare risolvere il problema mitralico. In generale le forme di IT lievi non vanno
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I Gazzellini
trattate. L’intervento può essere considerato in caso di IT rilevante si può praticare con valvuloplastica,
ma anche sostituzione valvolare.
Valvulopatie polmonari
a parte cause congenite, sono piuttosto rare. Una causa può essere la sindrome da carcinoide, la malattia
reumatica colpisce la polmonare raramente. Si avverte un soffio diastolico in area polmonare.
Valvulopatie miste
Steno-insufficienza mitralica: in genere da malattia reumatica. I sintomi dipendono dalla prevalenza
di una o dell’altra. In genere si associa a valvola molto calcificata e compromessa. Il decorso è in genere
più rapido rispetto alle forme pure, con sopravvivenza più bassa.
Steno-insufficienza aortica: doppio vizio aortico, non infrequente. Si ha sempre ipertrofia (adeguata)
ventricolare con ridotta compliance. In genere la causa è una malattia reumatica.
Sostituzione valvolare
Definizione: intervento che prevede l’eliminazione della valvola lesa o mal funzionante e impianto
di una protesi. La trombogenicità della protesi. La mortalità aumenta con l’età e con le patologie
concomitanti. Complicanze tardive sono distacco della protesi, trombo embolie, emorragie da terapia
anticoagulante, deterioramento della protesi, endocardite infettiva. Oggi esistono molti tipi di protesi
valvolari, sia meccaniche che biologiche.
Indicazioni: La scelta tra protesi meccanica e biologica è condizionata da diversi aspetti. Le protesi
meccaniche sono a rischio di complicanze tromboemboliche. Il paziente è costretto a fare un
trattamento anticoagulante a vita, mentre il rischio trombo embolico delle protesi biologiche è quasi
nullo dopo tre mesi. Le protesi meccaniche possono però avere una durata anche illimitata, a differenza
di quelle biologiche che sono molto più sensibili al deterioramento meccanico e per questo i pazienti
necessitano di intervento risostitutivo nel 30% dei casi a 10 anni e nel 50% a 15 anni. In teoria in pazienti
giovani (<65 anni), si preferisce l’uso di protesi meccaniche a meno che non ci siano controindicazioni
alla terapia anticoagulante o il paziente si rifiuti di assumerla. La protesi biologica è indicata in pazienti
con età >65 anni, in pazienti con controindicazioni all’anticoagulazione o che hanno sviluppato
endocardite su protesi meccanica già installata e in donne desiderose di gravidanza.
Protesi meccaniche: ve ne sono di vari tipi, possono essere installate da sole o all’interno di tubi
valvolati (ad es. per sostituzione della radice aortica). Sono costituite da materiale sintetico come
dacron, teflon e titanio.
Protesi biologiche: sono costituite di materiale di origine valvolare (protesi di Hancock) o non valvolare
(come il pericardio). Questo può provenire dallo stesso paziente (autograft), ma anche da cadavere
(homograft) o da animale (xenograft, valvole aortiche porcine o pericardio bovino criopreservato).
L’homograft vengono prelevate da cadavere poi sterilizzate a bassa concentrazione antibiotica (minore
potere citotossico) e criopreservate. Si possono anche asportare da cuori battenti da cuori non
trapiantabili (homovital, con vitalità cellulare preservata) e in tal caso non vengono né trattate né
preservate, bensì mantenute a 4° con tempo tra espianto e impianto minore di 48 ore.
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Cardio per Interna
Ipertensione arteriosa
Definizione: secondo le nuove linee guida i valori limite sarebbero:
Pressione: Sistolica Diastolica
Ottimale < 120 mm Hg e < 80 mm Hg
Normale 120-129 mm Hg e/o 80-84 mm Hg
Normale-alta 130-139 mmHg e/o 85-89 mm Hg
Ipertensione di
140-159 mmHg e/o 90-99 mm Hg
grado 1
Ipertensione di
160-179 mm Hg e/o 100-109 mm Hg
grado 2
Ipertensione di
≥ 180 mm Hg e/o ≥ 110 mm Hg
grado 3
Ipertensione
≥ 140 mm Hg e/o < 90 mm Hg
sistolica isolata
La pressione normale-alta è comunque importante perché rientra nella diagnosi di sindrome metabolica.
L’ ipertensione sistolica isolata è dovuta all’aumentata rigidità dei vasi, tipica degli anziani, che infatti
hanno in genere un’aumento della pressione differenziale.
Misurazione della pressione: viene misurata con lo sfigmomanometro ad entrambe le braccia, dopo
2-3 minuti da seduti e in condizione di riposo. Per definire la valutazione del livello di gravità servono 3
misurazioni in due giorni diversi. Esiste anche l’Holter pressorio delle 24 ore.
Il primo tono di Korotkoff è la pressione sistolica, il valore a cui i toni scompaiono è la diastolica. La
misurazione è valida solo se eseguita su braccia di circonferenze normali. In caso di aumentata gittata
(febbre, anemia, gravidanza, etc.) i toni possono essere udibili fino a 0 mmHg ed in tal caso il valore
diastolico si deve leggere al diminuire dei toni di Korotkoff.
Differenze tra le due braccia: in caso di aortite, arteriosclerosi arco aortico, occlusione della succlavia o
dell’istmo aortico, dissecazione aortica, cause ignote.
L’ipertensione da camice bianco è un’ipertensione isolata dovuta alla misurazione del dottore.
Nella sclerosi della media di Mönckeberg è possibile ottenere valori erroneamente aumentati a causa
dell’aumentata rigidità della arterie da deposito di cristalli di idrossiapatite.
Epidemiologia: incidenza di circa il 25% nei pazienti industrializzati.
Fisiopatologia: l’ipertensione è data da gittata x resistente periferiche, pertanto un aumento dell’una o
dell’altra causa un aumento della pressione.
Eziologia: Ipertensione essenziale: nel 90% dei casi. Ha un eziologia multifattoriale (sovrappeso,
alimentazione, diabete, alcolici, sale, stress, fumo, età, sedentarietà).
Ipertensione secondaria: Cause renali: stenosi arterie renali o danno renale. Endocrina: iperaldosteronismo
primario, Cushing, acromegalia, feocromocitoma. Altro: stenosi istmo dell’aorta, apnea del sonno,
farmaci (contraccettivi, EPO, corticosteroidi, cocaina, liquirizia, etc.), ma anche gravidanza (con o senza
preeclampsia).
Rischio cardiovascolare: l’ipertensione è un fattore di rischio cardiovascolare. Gli altri fattori sono età,
fumo, dislipidemia, familiarità, obesità, diabete (fattore di rischio indipendente).
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I Gazzellini
Clinica: è tipicamente asintomatica. Può esserci però cefalea specie al mattino, vertigini, ansietà, dolori
precordiali o palpitazione, epistassi, dispnea da sforzo.
Complicanze:
· Lesioni vascolari del fondo oculare: I stadio: vasi ridotti di calibro. II stadio: alterazioni strutturali
come arterie a filo di rame. III stadio: lesioni alla retiana (retinopatia ipertensiva) con emorragie a
fiamma. IV stadio: edema papillare bilaterale.
· Cuore: ipertrofia ventricolare sinistra e insufficienza cardiaca, coronaropatia.
· Danni cerebrali: ischemia e infarto cerebrale da aterosclerosi vasi intra o extra-cranici, emorragia
cerebrale, encefalopatia ipertensiva.
· Nefropatia: microalbuminuria, poi nerosi con albuminuria, poi insufficienza renale.
· Aorta: aneurisma aorta addominale, dissecazione aortica.
· Ipertensione maligna: può svilupparsi da qualunque ipertensione ed è caratterizzata da una
diastolica maggiore di 120-130, alterazioni del fondo oculare III-IV stadio, IRC., encefalopatia
ipertensiva. Trattata con urgenza con Nitroprussiato e Diazossido per ev.
Diagnosi ed approccio al paziente: Anamnesi (disturbi ipertensivi, farmaci, consumo di alcol, caffè, fumo,
droghe, patologie secondarie, familiarità). Visita e diagnosi (misurazione, valutazione della presenza di altri
fattori di rischio cardiovascolare). Diagnosi di ipertensione secondaria: ad esempio in pazienti giovani
o in caso di ipertensione grave non normalizzabile con la combinazione di 3 farmaci: ricerca catecolamine
per feocromocitoma, Cushing, etc.
Diagnosi dei danni organici: cuore, arterie extracraniche, aorta, arti inferiori, reni.
Individuazione del rischio cardiovascolare: si utilizzano score come il PROCAM Score che valuta: età,
sesso, diabete, familiarità, fumo, ipertensione, peso, terapia e individua il rischio cardiovascolare a 10 anni.
Terapia: l’obiettivo primario è la riduzione del rischio cardiovascolare, che si ottiene attraverso il
controllo della pressione arteriosa. L’associazione di più farmaci è spesso fondamentale. In base alla
gravità dell’ipertensione e ad altri fattori di rischio in generale vale questo schema:
· Pressione Normale: anche in caso di 3 o più FR o di diabete basta: Modifica stile di vita.
· Pressione Normale-Alta: considerare la terapia farmacologica in caso di 3 o più FR o di un danno
d’organo o sindrome metabolica. In caso di Diabete anche terapia farmacologica.
· Ipertensione di 1°grado: Fino a 2 FR: Modifica stile di vita, se non funziona dopo
settimaneàTerapia farmacologica. >3FR o SM o danno o Diabete: Modifica stile di vita+Terapia
farmacologica.
· Ipertensione di 2°grado: Fino a 2 FR: Modifica stile di vita, se non funziona dopo
settimaneàTerapia farmacologica. >3FR o SM o danno o Diabete: Modifica stile di vita+Terapia
farmacologica.
· Ipertensione di 3°grado: Da subito: Modifica stile di vita + Terapia farmacologica.
· Malattia CV o danno renale: In ogni caso: Modifica stile di vita + Terapia farmacologica.
La terapia va normalmente seguita per anni, in genere per tutta la vita. È necessaria compliance e controllo
dell’efficacia dela terapia anche con automonitoraggio. Bisogna ottenere il controllo della pressione con
l’associazione che abbia il minor numero possibile di effetti collaterali e la migliore tollerabilità da parte del
paziente. Vari studi, come lo studio ASCOTT, hanno dimostrato come spesso non vi è completo controllo
(e che l’associazione calcio-antagonista ACEi è superiore a quella diuretico-beta-bloccante). È più facile
controllare la diastolica che la sistolica.
Misure generali: normalizzazione del peso, esercizio fisico, sospensione di farmaci favorenti l’ipertensione
(FANS, corticosteroidi, contraccettivi, EPO), dieta equilibrata con meno grassi animali, astensione da fumo,
alcol e droghe, rimozione ipercolesterolemia e iperglicemia.
Terapia farmacologica: i 5 medicinali di prima scelta sono: diuretici tiazidici, ACE-I, sartani, calcio
antagonisti e beta-bloccanti.
48
Cardio per Interna
Si inizia in genere con Monoterapia e si aggiunge un altro farmaco in caso di insufficiente efficacia. I
migliori in monoterapia sembrano essere i Calcio-Antagonisti. Nonostante questo si preferiscono ACE-I
e Sartani perché pur essendo un pochino meno efficaci in monoterapia, hanno una minore frequenza di
effetti collaterali. Sono inoltre più efficaci in pazienti con albuminuria.
Terapia di associazione: è quasi sempre necessaria in diabetici e pazienti con danno renali, ma anche
nella maggioranza dei pazienti con ipertensione lieve. In genere minimizza gli effetti collaterali potendosi
somministrare dosi più basse di ciascun farmaco. Per questo molti (come Strazzullo) preferiscono l’inizio
con una terapia combinata di 2 farmaci a basso dosaggio.
Associazioni razionali: Calcioantagonista + ACEi (vasodilatatori con meccanismi diversi), diuretico
tiazidico + altro farmaco (il diuretico aggiunge sempre un effetto). Il beta-bloccante è meglio non
associarlo ad un ACEi o sartano perché entrambi abbassano la renina. Inoltre è una buon associazione
calcioantagonista diidropiridinico +beta-bloccante in quanto il primo aumenta la frequenza ed il
secondo la diminuisce. Mai diltiazem o verapamil che abbassano la frequenza.
Associazione di 3 faramaci: se non bastano 2. Ad esempio: Diuretico + ACEi + Calcio-antagonista
Resistenza alla terapia: se con l’associazione di 3 farmaci (compreso un diuretico) non si controlla
l’ipertensione. Può essere dovuta a mancata compliance, errata misurazione (pseudo resistenze) oppure a
cause di ipertensione secondaria non riconosciute.
[Calcio-antagonisti: agiscono bloccando i canali L long lasting del calcio, riducendo così le resistenze
periferiche. Sono benzodiazepinici (diltiazem) o fenilalchilaminci (verapamil) e diidropiridinici (nifedipina,
amlodipina). Effetti collaterali: flushing, cefalea, allergie, vertigine, astenia, parestesie, edemi malleolari o
pretibiali. Controindicazioni. Insufficienza cardiaca, angina pectoris e infarto del miocardio, gravidanza e
allattamento. Aumentano la digossinemia.]
49
Estratto dalla dispensa
di A.Mazzella
Pericarditi 21
Miocarditi 24
Cardiomiopatie 25
Endocarditi 29
Malattie dell'Aorta 33
(aneurismi e dissecazione)
3
i
I disturbi del ritmo cardiaco derivano da anomalie della generazione o della conduzione degli impulsi elettrici.
Le bradiaritmie sono causate da deficit senoatriali o da deficit di conduzione a qualsiasi livello; le tachiaritmie da centri
ectopici di automatismo, circuiti di rientro o depolarizzazioni precoci (trigger).
Classificazione
Eziologia: cause miocardiche (cardiopatia ischemica, miocarditi, cardiomiopatie); cause emodinamiche (valvulopatie,
ipertensione arteriosa, ipertensione polmonare); cause extracardiache (disturbi elettrolitici, ipertiroidismo, ipossia,
ĨĂƌŵĂĐŝ͕ĚƌŽŐŚĞ͙Ϳ
La valutazione del paziente con sospetta aritmia si basa su due punti chiave: anamnesi e ECG. I pazienti con aritmie
sono spesso asintomatici, ma talvolta possono avere cardiopalmo, manifestazioni da ridotta portata (a carico di SNC e
miocardio) e manifestazioni tromboemboliche.
>͛' Ă ƌŝƉŽƐŽ ƉƵž ŝŶĚŝǀŝĚƵĂƌĞ caratteristiche rare ma importanti, come le onde delta nella WPW, allungamento o
accorciamento del tratto QT, anomalie del tratto ST nella Brugada, onde epsilon nella displasia aritmogenica del
ventricolo destro. Il monitoraggio Holter consente spesso di identificare le alterazioni elettriche durante un periodo
sintomatico.
>ĂƚĞƌĂƉŝĂĚĞůůĞĂƌŝƚŵŝĞƐŝďĂƐĂƐƵůů͛ƵƐŽĚŝĨĂƌŵĂĐŝĂŶƚŝĂƌŝƚŵŝĐŝ͕ƐƵůů͛ĂďůĂnjŝŽŶĞƚƌĂŵŝƚĞĐĂƚĞƚĞƌĞĞƐƵůů͛ƵƐŽĚŝĚŝƐƉŽƐŝƚŝǀŝ͘
I farmaci antiaritmici hanno meccanismi di azione complessi e non ben chiari, a causa della somiglianza tra i bersagli
farmacologici, la variabilità della loro espressione, la loro modulazione in base al tempo e al voltaggio. Per questo
motivo oggi il loro ruolo è ancillare. La classificazione piú diffusa li divide in quattro classi in base al meccanismo
principale (problemi: meccanismi multipli, altri meccanismi).
x classe I: effetto anestetico tramite il blocco delle correnti del Na
o /Ă͗ĂůůƵŶŐĂŵĞŶƚŽƉŽƚĞŶnjŝĂůĞĚ͛ĂnjŝŽŶĞ -‐ chinidina, disopiramide, procainamide
o Ib: accŽƌĐŝĂŵĞŶƚŽƉŽƚĞŶnjŝĂůĞĚ͛ĂnjŝŽŶĞ -‐ lidocaina
o Ic: potenziale invariato -‐ propafenone, flecainide
x classe II͗ŝŶƚĞƌĨĞƌĞŶnjĂĐŽŶů͛ĂnjŝŽŶĞĚĞůůĞĐĂƚĞĐŽůĂŵŝŶĞƐƵŝƌĞĐĞƚƚŽƌŝɴ-‐adrenergici
o ɴ-‐bloccanti non cardioselettivi -‐ propranololo
o ɴϭ-‐bloccanti -‐ atenololo, bisoprololo, metoprololo
o ɴ-‐bloccanti vasodilatatori -‐ carvedilolo
x classe III͗ ƌŝƚĂƌĚŽ ĚĞůůĂ ƌŝƉŽůĂƌŝnjnjĂnjŝŽŶĞ ƚƌĂŵŝƚĞ ů͛ŝŶŝďŝnjŝŽŶĞ ĚĞůůĞ ĐŽƌƌĞŶƚŝ ĚĞů < Ž ů͛ĂƚƚŝǀĂnjŝŽŶĞ Ěŝ ĐŽƌƌĞŶƚŝ Ěŝ
depolarizzazione
o amiodarone, sotalolo
x classe IV: interferenza con la conduttanza del Ca.
o verapamil, diltiazem
x fuori dalla classificazione
o digitale
4
x segnapassi, usati per alcune bradiaritmie (classificazione con lettere: ventricolare a richiesta VVI, atriale a
richiesta AAI, sequenziale atrioventricolare DDD)
x cardiovertitori-‐defibrillatori impiantabili, usati in alcune tachiaritmie.
Segnapassi
migrante
Temporaneamente il nodo seno-‐atriale riduce la frequenza di scarica: il ritmo è dettato talvolta dal nodo SA, talvolta
ĚĂ ĐĞŶƚƌŝ ĞĐƚŽƉŝĐŝ ƐŝƚƵĂƚŝ ŶĞůů͛ĂƚƌŝŽ͘ ůů͛' Ɛŝ ŽƐƐĞƌǀĂ ƵŶĂ ĨƌĞƋƵĞŶnjĂ ĂƚƌŝĂůĞ ŝŶĨĞƌŝŽƌĞ Ă ϭϬϬ͕ĐŽŶ ƉƌĞƐĞŶnjĂ Ěŝ ŽŶĚĞW͛
anomale alternate a onde P normali e con un ritmo ventricolare irregolare. Nessuna terapia.
Esistono anche i corrispettivi battiti di scappamento; hanno la stessa morfologia ma sono isolati.
extrasistŽůŝĐĂ ğ ŵŝŶŽƌĞ ĚĞůů͛ŝŶƚĞƌǀĂůůŽ ŶŽƌŵĂůĞ ĚŽƉƉŝŽ ;ƉĂƵƐĂ ŶŽŶ ĐŽŵƉĞŶƐĂƚŽƌŝĂͿ͘ ^Ğ ŝů ǀĞŶƚƌŝĐŽůŽ ŶŽŶ ĞƌĂ ĂŶĐŽƌĂ
ƉĞƌĨĞƚƚĂŵĞŶƚĞ ƌŝƉŽůĂƌŝnjnjĂƚŽ Ăů ŵŽŵĞŶƚŽ ĚĞůů͛ĞdžƚƌĂƐŝƐƚŽůĞ Ɛŝ ƉƵſ ĂǀĞƌĞ ƵŶĂ ĐŽŶĚƵnjŝŽŶĞ ǀĞŶƚƌŝĐŽůĂƌĞ ĂďĞƌƌĂŶƚĞ ;YZ^
ampio); se non era affatto sensibile sŝŚĂƵŶ͛ĞdžƚƌĂƐŝƐƚŽůĞĂƚƌŝĂůĞŶŽŶĐŽŶĚŽƚƚĂĂŝǀĞŶƚƌŝĐŽůŝ;ŶŽYZ^Ϳ1.
In alcuni casi le extrasistoli atriali si possono ripetere piú volte dopo uno o due cicli normali: si parla di bigeminismo e
trigeminismo atriale.
Nelle persone sane le extrasistoli atriali non richiedono terapia; in casi particolarmente sintomatici, oppure se causano
tachicardie (t. parossistica sopraventricolare, fibrillazione atriale intermittente) si possono usare ɴ-‐bloccanti.
Un focolaio irritabile puó produrre piú extrasistoli ventricolari, in maniera slegata o con bigeminismo, trigeminismo o
quadrigeminismo. 6 o piú extrasistoli ventricolari al minuto sono indice di grave sofferenza ventricolare.
Una sequenza di tre extrasistoli ventricolari consecutive definisce la tachicardia ventricolare non sostenuta; se essa si
protrae per piú di 30 secondi si parla di tachicardia ventricolare sostenuta.
La presenza di complessi ventricolari prematuri a morfologia variabile indica che ci sono piú focolai irritabili ed è un
segno di grande pericolo per il rischio di gravi aritmie, inclusa la fibrillazione ventricolare.
x blocco SA di II grado: assenza intermittente delle onde P.
o tipo 1 (Wenckebach): PQ costante, PP si riducono progressivamente fino a una pausa piú breve di un
normale PP
o tipo 2 (Mobitz): come sopra, ma la pausa è piú lunga di un normale PP.3
x blocco SA di III grado: assenza di onde P, si instaura un ritmo di scappamento.
Esistono cause estrinseche e cause intrinseche; la distinzione è importante da un punto di vista terapeutico (v. sotto).
Le cause estrinseche piú frequenti sono i farmaci (antiaritmici, simpaticolitici, litio, amitriptilina) e le influenze
parasimpatiche; altre cause sono ipotiroidismo, apnee notturne, ipossia, ipotermia, ipertensione endocranica. Le
cause intrinseche sono associate a degenerazione del nodo SA: malattia del nodo del seno, cardiopatia ischemica,
1
E͗ů͛ĂƐƐĞŶnjĂĚĞůYZ^ĂĐĐŽƉƉŝĂƚĂĂůůĂƉĂƵƐĂĚĂƌŝƐŝŶĐƌŽŶŝnjnjĂnjŝŽŶĞƌŝĐŽƌĚĂƵŶďůŽĐĐŽ͕ŵĂŶŽŶůŽğ͘
2
antiaritmici di classe I, sotalolo e amiodarone portano a peggioramento della prognosi.
3
ƉƵſĞƐƐĞƌĐŝƋƵŝŶĚŝƵŶďĂƚƚŝƚŽĚŝƐĐĂƉƉĂŵĞŶƚŽ͕ĐŽŶW͛ĂŶŽŵĂůĂ͘
6
pericarditi, miocarditi, febbre reumatica, collagenopatie, radioterapia, chirurgia, distrofia miotonica, atassia di
Friedreich e altre forme congenite.
Clinicamente i blocchi SA possono essere asintomatici, o associati a cardiopalmo, angina, ipotensione, sincope,
astenia; un terzo dei pazienti sviluppa una tachicardia sopraventricolare (prev. FA). Non determinano un aumento
della mortalità. La malattia del nodo del seno è associata a sindrome bradicardia-‐tachicardia.
Lo scopo della terapia è alleviare i sintomi. Le forme estrinseche a volte possono essere corrette (es. eliminazione
antiaritmici), le forme intrinseche no e possono necessitare di segnapassi,
x blocco AV di I grado: intervallo PQ >0,2 s, ma costante; complessi QRS regolari. Asintomatico.
x blocco AV di II grado: assenza di alcuni QRS dopo alcune onde P.
o tipo 1 (Wenckebach): blocco sopra al fascio di His. PQ si allunga progressivamente fino alla
scomparsa di un QRS. È innocuo.
o tipo 2 (Mobitz): blocco nel o sotto al fascio di His. PQ costante, scomparsa improvvisa di un QRS. Si
puó avere un blocco di condizione 2:1, 3:1 e cosí via. È patologico, si possono avere sincopi.
x blocco AV di III grado: dissociazione atrioventricolare completa, con onde P a frequenza normale e senza
rapporto con complessi QRS a bassa frequenza (ritmo di scappamento idiogiunzionale o idioventricolare). È
patologico.
Cause: ipersensibilità del seno carotideo, reazione vasovagale; iperK, iperMg, ipotiroidismo, iposurrenalismo, farmaci
antiaritmici, endocarditi e miocarditi, collagenopatie, cardiopatia ischemica, tumori, forme congenite.
>ĂĚŝĂŐŶŽƐŝƐŝƉƵſĂǀǀĂůĞƌĞĚĞůů͛'ĚĞůĨĂƐĐŝŽĚŝ,ŝƐƉĞƌĚŝĨĨĞƌĞŶnjŝĂƌĞŝǀĂƌŝƚŝƉŝ͘
La terapia con segnapassi è necessaria per il BAV di Mobitz e quello di III grado; ad ogni modo si deve prima tentare di
correggere possibili cause, e si può fare un tentativo terapeutico con atropina. Si ricorre al segnapassi temporaneo
transcutaneo oppure a quello transvenoso (dalla giugulare o succlavia fino al ventricolo destro); quasi sempre poi è
necessario passare a un segnapassi permanente.
4
meglio controllare questa durata sulle derivate degli arti, perché in quelle precordiali per motivi tecnici puó essere sovrastimata.
7
Tachicardie
Tachicardie
parossistiche
Nelle tachicardia parossistiche un focolaio ectopico molto irritabile invia improvvisamente impulsi in rapida
successione, determinando una frequenza cardiaca compresa generalmente tra 100 e 250 battiti al minuto.
Flutter
atriale
Un focolaio ectopico molto irritabile posto in un atrio si attiva ad una frequenza di 250-‐ϯϱϬďĂƚƚŝƚŝĂůŵŝŶƵƚŽ͘ůů͛'Ɛŝ
ŚĂŶŶŽ ŽŶĚĞ ĨůƵƚƚĞƌ͕ ͞Ă ĚĞŶƚĞ Ěŝ ƐĞŐĂ͕͟ ŝŶ ƌĂƉŝĚĂ ƐƵĐĐĞƐsione; la linea isoelettrica può sparire del tutto. Il nodo AV
protegge il ventricolo da questa frequenza eccessiva e conduce solo un impulso su due o su tre.
Terapia: profilassi della tromboembolia con eparina, cardioversione elettrica, in alternativa cardioversione
farmacologica con amiodarone o ablazione con catetere.
5
ƐĞŝůĨĂƐĐŝŽĚŝ<ĞŶƚğŝŶƚĞƌĞƐƐĂƚŽƐŽůŽƉĞƌǀŝĂƌĞƚƌŽŐƌĂĚĂů͛ŽŶĚĂɷŶŽŶƐŝǀĞĚĞ͘
8
Fibrillazione
atriale
La fibrillazione atriale si manifesta quando molti focolai atriali irritabili emettono rapidi impulsi senza poter essere
ƐŽƉƉƌĞƐƐŝ ĚĂ ƵŶ ĨŽĐŽůĂŝŽ ĚŽŵŝŶĂŶƚĞ͕ Ă ƵŶĂ ͞ĨƌĞƋƵĞŶnjĂ͟ ĂƚƌŝĂůĞ Ěŝ ĐŝƌĐĂ ϯϱϬ-‐450 bpm. Nessuna di queste
ĚĞƉŽůĂƌŝnjnjĂnjŝŽŶŝƌŝĞƐĐĞĂĨĂƌĐŽŶƚƌĂƌƌĞĞĨĨŝĐĂĐĞŵĞŶƚĞů͛ĂƚƌŝŽ͘/ůŶŽĚŽsǀŝĞŶĞĂƚƚŝǀĂƚŽŝŶŵĂŶŝĞƌĂŝƌƌĞŐŽůĂƌĞĞƋƵŝŶĚŝ
conduce alcuni impulsi ai ventricoli.
ECG
Si manifesta come una linea isoelettrica irregolare senza onde P identificabili. La risposta QRS è irregolare (intervalli RR
irregolarmente irregolari), e può essere a frequenza cardiaca variabile: le forme a elevata risposta sono con
tachicardia, quelle a bassa risposta con bradicardia.
x secondaria a cause
o cardiache: insufficienza cardiaca, cardiopatia ipertensiva, vizi mitralici, cardiopatia ischemica,
cardiomiopatia, mio-‐pericarditi, chirurgia, tumori atriali, sindrome del nodo del seno
o extracardiache:, BPCO, embolia polmonare, polmonite, ipertiroidismo, disturbi elettrolitici, trauma,
alcool (holiday heart syndrome), farmaci, obesità
x isolata: principalmente in pazienti sani e non anziani
Tipi clinici
x primo episodio
x FA ricorrente: almeno 2 episodi (di almeno 30 secondi)
x FA parossistica: termina spontaneamente
x FA persistente: termina in risposta a terapia
x FA permanente: non convertibile terapeuticamente.
Manifestazioni e anamnesi
Può essere asintomatica oppure associarsi a cardiopalmo, astenia, dispnea, agitazione, ischemia cerebrale, angina.
WƵŶƚĞŐŐŝŽ,Z͗/ŶŝĞŶƚĞƐŝŶƚŽŵŝї/sƐŝŶƚŽŵŝŵŽůƚŽŐƌĂǀŝ͘
Chiedere come viene percepito il ritmo cardiaco, frequenza e durata degli episodi, malattie CV, abuso di alcool,
familiarità. Stabilire il tipo clinico di FA e gli eventuali trattamenti pregressi.
Gestione del paziente
3° inquadramento diagnostico
anamnesi, EO, ECG, ecocardio. emocromo, TSH, Rx torace, test da sforzo, Holter.
per pazienti scelti: elettrofisiologia, coronarografia, studio della funzione valvolare
4° ristabilimento del ritmo sinusale (cardioversione). È opportuno predire la probabile efficacia (scarsa
se valvulopatia mitralica, tireotossicosi, dilatazione atriale, lunga durata, bassa risposta ventricolare,
ƚĞƌĂƉŝĂ ĚŝŐŝƚĂůŝĐĂ ĂĚ ĂůƚĞ ĚŽƐŝͿ͘ ͛ğ ƌŝƐĐŚŝŽ Ěŝ ĞŵďŽůŝĂ ƉŽƐƚ-‐cardioversione, quindi in presenza di FA
cronica è necessario trattare con warfarin per 1 mese prima di cardiovertire. In acuto si effettua
ƵŶ͛ĞĐŽŐƌĂĨŝĂƚransesofagea; se sono presenti trombi si procede come prima, altrimenti si passa alla
cardioversione.
cardioversione farmacologica: si possono usare antiaritmici di classe IA, IC e III.
x se cardiopatia strutturale: amiodarone
x altrimenti: flecainide, propafenone o ibutilide
cardioversione elettrica: se fallisce la cardioversione farmacologica
cardioversione con ablazione
5° mantenimento del ritmo sinusale͗ ŝŶ ŐĞŶĞƌĂůĞ ů͛ĂŵŝŽĚĂƌŽŶĞ ğ ŝů ĨĂƌŵĂĐŽ ƉŝƷ ĞĨĨŝĐĂĐĞ ;ϲϬ-‐70%
ƌĞƐƚĂŶŽ ƐŝŶƵƐĂůŝ Ă ϭ ĂŶŶŽͿ͘ ͛ĂůƚƌĂ ƉĂƌƚĞ ŶŽŶ ğ dimostrato un vantaggio consistente a favore del
mantenimento del ritmo sinusale!
senza cardiopatia: flecainide, propafenone, sotalolo. 2ª scelta: amiodarone, dofetilide,
ablazione con catetere.
HTA senza marcata ipertrofia Vsx: come sopra
HTA con marcata ipertrofia Vsx: amiodarone, 2ª scelta: ablazione con catetere.
coronaropatia: dofetilide, sotalolo. 2ª scelta: amiodarone, ablazione con catetere.
insufficienza cardiaca: amiodarone, dofetilide. 2ª scelta: ablazione con catetere.
x paziente emodinamicamente instabile
1° cardioversione elettrica ϭϬϬ:їϮϬϬ:їϯϲϬ:
2° stabilizzazione
3° inquadramento diagnostico
Approccio ESC 2006
x FA recentemente scoperta
o parossistica: no terapia a meno che non ci siano sintomi significativi; anticoagulazione
o persistente: 2 possibilità
accettare la FA permanente, con anticoagulazione e controllo FC
controllo FC, anticoagulazione, cardioversione, no mantenimento ritmo sinusale
x FA ricorrente parossistica
o sintomi scarsi: anticoagulazione, controllo FC
o sintomi gravi: anticoagulazione, controllo FC, cardioversione con antiaritmici, 2ª linea ablazione
x FA ricorrente persistente
o sintomi scarsi: anticoagulazione, controllo FC
o sintomi gravi: anticoagulazione, controllo FC, cardioversione con antiaritmici, eventualmente cardioversione
elettrica, poi continuare anticoagulanti e terapia per mantenere ritmo sinusale, considera ablazione in
ultima linea
x FA permanente
o anticoagulazione e controllo FC.
Flutter
ventricolare
Un focolaio ectopico posto in un ventricolo si attiva a una frequenza di 250-‐350 battiti al minuto. Il ventricolo si
ĐŽŶƚƌĂĞ ĂĚ ƵŶĂ ĨƌĞƋƵĞŶnjĂ ƚƌŽƉƉŽ ĂůƚĂ ƉĞƌ ĞƐƐĞƌĞ ĞĨĨŝĐĂĐĞ͘ ůů͛' Ɛŝ ŚĂŶŶŽ ŽŶĚĞ ƐŝŶƵƐŽŝĚĂůŝ Ěŝ ĂŵƉŝĞnjnjĂ ƐŝŵŝůĞ͘ /ů
flutter ventricolare generalmente evolve a fibrillazione ventricolare.
10
Fibrillazione
ventricolare
Piú focŽůĂŝ ǀĞŶƚƌŝĐŽůĂƌŝ ŝƌƌŝƚĂďŝůŝ ƉƌŽĚƵĐŽŶŽ ƵŶĂ ĐŽŶƚƌĂnjŝŽŶĞ ĐŽŶǀƵůƐĂŵĞŶƚĞ ĐĂŽƚŝĐĂ ĚĞŝ ǀĞŶƚƌŝĐŽůŝ͖ ůĂ ͞ĨƌĞƋƵĞŶnjĂ͟
ventricolare è tra 350 e 450 bpm.
ůů͛'ƐŝŚĂƵŶƚƌĂĐĐŝĂƚŽĐŽŵƉůĞƚĂŵĞŶƚĞŝƌƌĞŐŽůĂƌĞ͘
WƌŽŐƌĞƐƐŝǀĂŵĞŶƚĞů͛ĂŵƉŝĞnjnjĂĚĞůůĞĚĞĨůĞƐƐŝŽŶŝƐŝĚŝŵŝŶƵŝƐĐĞ͕ĨŝŶŽĂĚĂƌƌŝǀĂƌĞĂůů͛ĂƌƌĞƐƚŽĐĂƌĚŝĂĐŽ͘
Può essere causata da:
x cardiopatie
x disturbi elettrolitici (ipoK, ipoMg)
x traumi cardiaci, incidente elettrico
x malattie elettriche del cuore
o sindrome del QT lungo: il QT corretto per la frequenza6 è aumentato patologicamente (QTc > 0,44 s). Può
essere dovuto ad alcuni farmaci (antiaritmici, antidepressivi, neurolettici, adrenalina, antistaminici,
antimicotici, antibiotici) o ad alterazioni congenite.
o sindrome del QT corto: canalopatia del potassio, trasmissione AD.
o sindrome di Brugada: canalopatia del sodio, trasmissione AD.
Arresto
cardiocircolatorio
>͛ĂƌƌĞƐƚŽĐĂƌĚŝĂĐŽƉƵžĞƐƐĞƌĞƉƌŽǀŽĐĂƚŽĚĂ͗
x cause cardiache
o cardiopatia ischemica 70%
o cardiomiopatia 10%
o cardiopatia ipertensiva 5%
o altro: malattie elettriche del cuore, miocarditi, tamponamento pericardico
x cause circolatorie: shock, embolia polmonare
x cause metaboliche: ipoK, iperK, acidosi grave
x cause respiratorie: ipossia
Diagnosi: il paziente non risponde e non reagisce allo scuotimento, non è visibile né ascoltabile la respirazione, non si
percepisce il polso carotideo.
Gestione:
x ĨĂƌĐŚŝĂŵĂƌĞƵŶ͛ambulanza
x iniziare la rianimazione cardiopolmonare (RCP):
o aprire le vie respiratorie
o massaggio cardiaco 30
o respirazione artificiale 2
x quando è disponibile un ECG
o se flutter/fibrillazione ventricolare
ĚĞĨŝďƌŝůůĂnjŝŽŶĞїϮŵŝŶƵƚŝĚŝZWїĐŽŶƚƌŽůůŽ'
se persiste: ripeti; preparazione accesso venoso
se persiste: adrenalina e ripeti ciclo
se persiste: amiodarone e ripeti ciclo
se persiste: adrenalina e ripeti ciclo
continua
o se asistolia / dissociazione elettromeccanica
ܳܶܿ ൌ ܳܶΤξܴܴ
6
21
iii
Le pericarditi sono malattie infiammatorie del pericardio caratterizzate da ispessimento di almeno un foglietto del
pericardio e versamento pericardico essudativo (non idropericardio né emopericardio). Possono essere classificate in
base alla clinica in acute (<6 settimane), subacute (da 6 settimane a 6 mesi) e croniche (>6 mesi). Quando si ha
interessamento contemporaneo del miocardio si parla di peri-‐miocarditi.
Pericardite
acuta
Può essere secca (fibrinosa) o essudativa18.
Eziologia
x infettiva
o piú frequentemente forme virali. Coxsackievirus, Echovirus, virus della parotite, Adenovirus, virus
delle epatiti, HIV, CMV, parvovirus B19. Generalmente causano forme acute. Si parla di pericardite
virale idiopatica se non si individua il virus specifico responsabile.
o raramente micobatteri
o molto raramente: forme piogene (S. pneumoniae, S. aureus, Neisseria, Legionella); fungine
(istoplasmosi, coccidioidomicosi, candidosi, blastomicosi), protozoarie e da sifilide.
x immunologica
o febbre reumatica
o collagenopatie (LES, AR, sclerosi sistemica, spondilite anchilosante, vasculiti)
o farmaci: procainamide (antiaritmico), idralazina (vasodilatatore), anticoagulanti
x altro
o sindrome di Dressler dopo giorni-‐settimane da un infarto del miocardio, per il rilascio di proteasi.
o neoplasie: piú frequentemente sono metastasi di prossimità di carcinomi polmonari, mammari o
linfomi o metastasi ematiche di melanomi; rari sono i tumori pericardici primitivi.
o radioterapia
o traumi: in particolare gli incidenti automobilistici con impatto del volante sullo sterno.
o uremia͗ŶĞŝƉĂnjŝĞŶƚŝĐŽŶŝŶƐƵĨĨŝĐŝĞŶnjĂƌĞŶĂůĞĐƌŽŶŝĐĂĞƐŽƚƚŽĚŝĂůŝƐŝ͖ƐŝƌŝƚŝĞŶĞĐŚĞů͛ŝŶĨŝĂŵŵĂnjŝŽne sia
ĐĂƵƐĂƚĂĚĂŝŵĞƚĂďŽůŝƚŝĚĞůů͛ĂnjŽƚŽ͘
o mixedema e ipercolesterolemia: ruolo lesivo del colesterolo.
Clinica
ƐŝƐƚŽŶŽƋƵĂƚƚƌŽĐĂƌĂƚƚĞƌŝƐƚŝĐŚĞĚŝĂŐŶŽƐƚŝĐŚĞƉƌŝŶĐŝƉĂůŝ͗ĚŽůŽƌĞƚŽƌĂĐŝĐŽ͕ƐĨƌĞŐĂŵĞŶƚŽƉĞƌŝĐĂƌĚŝĐŽ͕ĂůƚĞƌĂnjŝŽŶŝĚĞůů͛'͕
versamento pericardico.
Il dolore toracico è forte, retrosternale o precordiale destro, riferito al collo, alle braccia o alla spalla sinistra. Questo
può ƉŽƌƌĞ ĚŝĨĨŝĐŽůƚă ŶĞůůĂ ĚŝĂŐŶŽƐŝ ĚŝĨĨĞƌĞŶnjŝĂůĞ ĐŽŶ ů͛ŝŶĨĂƌƚŽ ĚĞů ŵŝŽĐĂƌĚŝŽ͖ ĐĂƌĂƚƚĞƌŝƐƚŝĐĂŵĞŶƚĞ ƉĞƌž ŝů ĚŽůŽƌĞ
pericardico si ƌŝĚƵĐĞ ƐƚĂŶĚŽ ƐĞĚƵƚŝ Ğ ĐŚŝŶĂƚŝ ŝŶ ĂǀĂŶƚŝ Ğ Ɛŝ ĂŐŐƌĂǀĂ ĐŽŶ ůĂ ƉŽƐŝnjŝŽŶĞ ƐƵƉŝŶĂ Ğ ĚƵƌĂŶƚĞ ů͛ŝŶƐƉŝƌĂnjŝŽŶĞ;
inoltre può irradiarsi al muscolo trapezio.
Lo sfregamento pericardico ğ ƌŝůĞǀĂďŝůĞ Ăůů͛ĂƵƐĐƵůƚĂnjŝŽŶĞ ŶĞůů͛ϴϱй ĚĞŝ ƉĂnjŝĞŶƚŝ͕ ĐŽŵĞ ƵŶĂ ĨƌŝnjŝŽŶĞ ƐƵ ƵŶĂ Ɛuperficie
ƌƵǀŝĚĂ͖ ğ ĐĂƵƐĂƚŽ ĚĂůů͛ĂƚƚƌŝƚŽ ĐŚĞ ƉƌŽĚƵĐĞ ů͛ĞƐƐƵĚĂƚŽ͘ YƵĞƐƚŽ ƌƵŵŽƌĞ ğ caratteristicamente incostante, potendo
scomparire e riapparire modificato dopo qualche giorno. A differenza dello sfregamento pleurico esso si ascolta anche
in apnea.
>͛'ƌiporta cambiamenti della ripolarizzazione ventricolare ĚŽǀƵƚŝĂůů͛ŝŶĨŝĂŵŵĂnjŝŽŶĞdel miocardio subepicardico,
in quattro stadi progressivi. Nel primo stadio si ha sopraslivellamento del tratto ST in tutte le precordiali con
18
ƉĞƌů͛,ĂƌƌŝƐŽŶŝŶǀĞĐĞůĂĨŽƌŵĂĞƐƐƵĚĂƚŝǀĂğĐƌŽŶŝĐĂ͕ĞĂŶĐŚĞů͛,ĞƌŽůĚĚŝĐĞĐŚĞƉƵſĞƐƐĞƌĞƵŶ͛ĞǀŽůƵnjŝŽŶĞĚĞůůĂƐĞĐĐĂ͘
22
andamento concavo. Nel secondo stadio, dopo alcuni giorni, il tratto ST diventa normale; quindi, nel terzo stadio, si ha
inversione delle onde T. Infine, dopo settimane o mesi dalla pericardite acuta, nel quarto stadio si ha si nuovo un
reperto fisiologico. ŽŶƚƌĂƌŝĂŵĞŶƚĞĂůů͛ŝŶĨĂƌƚŽĚĞůmiocardio qui non si hanno onde Q, diminuzione di ampiezza di R o
slivellamenti ST speculari.
Il versamento pericardico è solitamente associato a dolore e ad ampliamento della silhouette cardiaca. Se si sviluppa
rapidamente può causare tamponamento cardiaco. Può essere difficile da distinguere dalla cardiomegalia.
/ŶĐĂƐŽĚŝƐŽƐƉĞƚƚŽĚŝƉĞƌŝĐĂƌĚŝƚĞů͛ĞƐĂŵĞƉŝƷƵƚŝůĞğů͛ecocardiogramma, che individua il liquido endopericardico come
uno spazio anecogeno e permette una sua quantificazione. Se il versamento è abbondante il cuore può muoversi
ůŝďĞƌĂŵĞŶƚĞĂůů͛ŝŶƚĞƌŶŽĚĞůƉĞƌŝĐĂƌĚŝŽ;ĐƵŽƌĞŽƐĐŝůůĂŶƚĞͿ͘
La pericardiocentesi si può effettuare in casi di dubbio. Il liquido viene esaminato macroscopicamente: giallo opaco
indica possibile eziologica batterica; giallo limpido, virale; tinto di sangue, neoplastica o uremica. Il liquido viene quindi
analizzato in laboratorio.
>͛ĞƐĂŵĞĚĞůƐĂŶŐƵĞpuò evidenziare un innalzamento degli indici di infiammazione (VES, PCR, globuline) e, in caso di
ĞƐƚĞŶƐŝŽŶĞĚĞůů͛ŝŶĨŝĂŵŵĂnjŝŽŶĞal miocardio, moderato aumento dei marcatori cardiaci.
Prognosi
e
terapia
Nelle forme infettive la prognosi è buona: la pericardite guarisce anche se tende a recidivare. Nelle forme
autoimmunitarie la prognosi dipende dalla malattia di base.
La terapia per le forme virali ŶŽŶğƐƉĞĐŝĨŝĐĂ͖ƐŝďĂƐĂƐƵůƌŝƉŽƐŽĂůĞƚƚŽĞƐƵůů͛ƵƐŽĚŝĂƐƉŝƌŝŶĂŽ͕ŝŶƐĞĐŽŶĚĂůŝŶĞĂ͕ĚĞŐůŝ
altri FANS. Per le forme batteriche o tubercolari terapia antibiotica; per quelle uremiche, dialisi.
Tamponamento
cardiaco
Il tamponamento cardiaco è una complicanza grave del versamento pericardico; è caratterizzato da un accumulo di
fluido nello spazio pericardico tale da liŵŝƚĂƌĞ ƐŝŐŶŝĨŝĐĂƚŝǀĂŵĞŶƚĞ ů͛ĂĨĨůƵƐƐŽ Ěŝ ƐĂŶŐƵĞ Ăŝ ǀĞŶƚƌŝĐŽůŝ͘ ĂƵƐĞ ŶŽŶ
ƉĞƌŝĐĂƌĚŝƚŝĐŚĞĚĞůƚĂŵƉŽŶĂŵĞŶƚŽĐĂƌĚŝĂĐŽƐŽŶŽƚƌĂƵŵŝƚŽƌĂĐŝĐŝ͕ŝŶƚĞƌǀĞŶƚŝĐŚŝƌƵƌŐŝĐŝĞĚŝƐƐĞĐĂnjŝŽŶŝĚĞůů͛ĂŽƌƚĂ͘
ƵĞ ǀĂƌŝĂďŝůŝ ƉŽƐƐŽŶŽ ĂůƚĞƌĂƌĞ ůĂ ĨŽƌŵĂnjŝŽŶĞ Ğů͛ĞĨĨĞƚƚŽ ĚĞů ƚĂŵƉŽŶĂŵĞŶƚo cardiaco: la distensibilità pericardica e il
volume intracardiaco.
ůů͛ĂƵŵĞŶƚĂƌĞ ĚĞů ƚĂŵƉŽŶĂŵĞŶƚŽ Ɛŝ ŽƐƐĞƌǀĂ ƵŶ ĂƵŵĞŶƚŽ ĚĞůůĂ ƉƌĞƐƐŝŽŶĞ ŝŶƚƌĂƉĞƌŝĐĂƌĚŝĐĂ͘ YƵĂŶĚŽ ƋƵĞƐƚĂ ĂƌƌŝǀĂ Ăů
livello della pressione diastolica nel ventricolo destro si avrà scompenso cardiaco destro; quando giunge al livello del
ǀĞŶƚƌŝĐŽůŽĚĞƐƚƌŽƐŝŝŶƐƚĂƵƌĂŶŽŵĞĐĐĂŶŝƐŵŝĚŝĐŽŵƉĞŶƐŽƋƵĂůŝůĂƚĂĐŚŝĐĂƌĚŝĂĞů͛ĂƵŵĞŶƚŽĚĞůůĞƌĞƐŝƐƚĞŶnjĞƉĞƌŝĨĞƌŝĐŚĞ͕
ĐŚĞƉĞƌžĂůů͛ĂƵŵĞŶƚĂƌĞĚĞůƚĂŵƉŽŶĂŵĞŶƚŽƚĞŶĚŽŶŽĂŶŽŶĞƐƐĞƌĞƐƵĨĨŝĐŝĞŶƚŝ͘
La triade di Beck del tamponamento cardiaco è costituita da:
1. Ipotensione arteriosa. Si ha cianosi e impalpabilità dei polsi periferici.
2. Suoni cardiaci fiochi o assenti.
3. Distensione venosa giugulare con aumento della pressione venosa centrale.
Altre caratteristica importante è il polso paradosso, che consiste in un eccessivo abbassamento inspiratorio della
pressione sistolica arteriosa (il riferimento al polso indica che si può osservare una riduzione del polso periferico
ĚƵƌĂŶƚĞů͛ŝƐƉŝƌĂnjŝŽŶĞͿ͘EŽƌŵĂůŵĞŶƚĞŝŶŝŶƐƉŝƌĂnjŝŽŶĞƐŝforma una depressione intratoracica che fa sí che il cuore destro
riceva un maggior precarico. Nel tamponamento cardiaco il ventricolo destro è compresso dal pericardio e quindi non
riesce a dilatarsi per ricevere questo iperafflusso se non a spese del ventricolo sinistro, il quale pompa meno sangue in
aorta con conseguente riduzione della pressione arteriosa.
La diagnosi del tamponamento cardiaco deve essere precoce in quanto instaurare rapidamente la terapia può salvare
la vita del paziente; si effettua cŽŶ ů͛ĞĐŽĐĂƌĚŝŽŐƌĂĨŝĂ͘ / ƉĂnjŝĞŶƚŝ ĐŽŶ ƉĞƌŝĐĂƌĚŝƚĞ ĂĐƵƚĂ ĚĞǀŽŶŽ ĞƐƐĞƌĞ ƚĞŶƵƚŝ ƐŽƚƚŽ
osservazione proprio per individuare rapidamente un tamponamento. La terapia è chirurgica ed è costituita dalla
pericardiocentesi, generalmente guidata da ecocardiografia con un approccio subxifoideo.
23
>͛eziologia principale nel passato e attualmente nei paesi in via di sviluppo è quella tubercolotica; oggi invece in Italia
questa forma è meno frequente. Tutte le cause di pericardite acuta possono determinare una cronicizzazione.
Clinica
e
diagnosi
I sintomi sono dispnea da sforzo, astenia (per riduzione della gittata) e talvolta dispnea parossistica notturna.
Segni di scompenso destro: edemi declivi, ascite, epatomegalia con fegato da stasi, mentre la parte superiore del
corpo appare ipotrofica. Ci possono essere ittero e cianosi che conferiscono un colore olivastro. Le vene del collo sono
turgide con aumento paradosso ŶĞůů͛ŝŶƐƉŝƌĂnjŝŽŶĞƉƌŽĨŽŶĚĂ;ƐĞŐŶŽĚŝKussmaul).
ůů͛ĂuscuůƚĂnjŝŽŶĞ ĚĞů ĐƵŽƌĞ Ɛŝ ƐĞŶƚĞ͕ Ăůů͛ŝŶŝnjŝŽ ĚĞůůĂ ĚŝĂƐƚŽůĞ͕ ƵŶŽ ƐĐŚŝŽĐĐŽ ƉĞƌŝĐĂƌĚŝĐŽ͕ ƵŶ ƌƵŵŽƌĞ ŝŶƚĞŶƐŽ ĚŽǀƵƚŽ
Ăůů͛ƵƌƚŽĚĞůůĞƉĂƌĞƚŝǀĞŶƚƌŝĐŽůĂƌŝĐŽŶƚƌŽŝůƉĞƌŝĐĂƌĚŝŽƌŝŐŝĚŽ͘^ŝĚŝƐƚŝŶŐƵĞĚĂů///ƚŽŶŽƉĞƌĐŚĠĐŽŵƉĂƌĞƐƵďŝƚŽĚŽƉŽŝů//͘^i
può anche avere uno sdoppiamento del II tono per anticipo della componente aortica.
>ĂƌĂĚŝŽŐƌĂĨŝĂĚĞůƚŽƌĂĐĞŶĞůϱϬйĚĞŝĐĂƐŝŵŽƐƚƌĂĐĂůĐŝĨŝĐĂnjŝŽŶŝĂůů͛ŝŶƚĞƌŶŽ͘ TC o RM lo stesso.
>͛'ŵŽƐƚƌĂ QRS a basso voltaggio e onde T negative.
Ecocardiogramma: echi per calcificazioni pericardiche, ispessimento del pericardio e ridotta espansione diastolica.
Diagnosi differenziale
x con cirrosi: turgore delle giugulari e segno di Kussmaul possono escludere un problema epatico (insieme
Ăůů͛ĂƐƐĞŶnjĂĚŝĞŶnjŝŵŝĞƉĂƚŝĐŝĂůƚĞƌĂƚŝͿ͘
x con cardiomiopatia restrittiva: è la piú simile, mancano solo le calcificazioni pericardiche alla radiografia
(peraltro non costanti). In alternativa biopsia miocardica.
Terapia
I casi lievi devono solo essere sorvegliati; se il paziente si aggrava si può ricorrere a terapia con diuretici (per diminuire
il ritorno venoso e non sforzare il cuore, che comunque ha una diastole limitata) e digitale (per favorire una buona
contrazione).
Se la sintomatologia è importante è indicata la pericardectomia, che libera il cuore dal guscio costrittivo
normalizzando il riempimento.
24
iv
Eziologia
x infettiva
o 50% virale. Coxsackie, parvovirus B19, HHV6, EBV, virus influenzale, Adenovirus, Echovirus, HIV, HCV
e altri. Oltre al danno diretto si può avere danno autoimmune (spesso sono presenti Ig anti-‐
sarcolemma)
o malattia di Chagas: parassitosi da Trypanosoma cruzi, trasmesso col morso della cimice triatomina.
o altre parassitosi: T. brucei (malattia del sonno); Toxoplasma.
o risposte sistemiche alle infezioni batteriche: Diphteria; Clostridium; streptococchi, endocarditi; M.
tubercolosis; Borrelia burgdorferi (malattia di Lyme).
o miceti in immunodeficienze;
o raramente tifo, tubercolosi, sifilide.
x non infettiva
o immunomediata: AR, sarcoidosi, vasculiti
o farmaci (es. clozapina)
o rigetto del trapianto cardiaco
o radioterapia mediastinica
Clinica
Molto variabile; principalmente decorso lieve con guarigione o con persistenza di aritmie non gravi. Nel 15% dei casi si
ha evoluzione a cardiomiopatia dilatativa e a insufficienza cardiaca; raramente mortale. Nelle forme infettive ci
possono essere astenia, tachicardia, extrasistoli. I segni auscultatori sono aspecifici.
Laboratorio
Si possono essere aumento dei marcatori cardiaci, aumento della VES, aumento del BNP. La diagnosi virologica si basa
sulla ricerca dei virus nelle feci e sulla sierologia.
Strumentale
>͛'può individuare aritmie (tachicardia sinusale, extrasistoli), sottoslivellamento ST, onde T appiattite o negative,
QRS a basso voltaggio, alterazioni simili a quelle delle peri-‐miocarditi.
>͛ĞĐŽĐĂƌĚŝŽŐƌĂĨŝĂĞůĂZdžŐĞŶĞƌĂůŵĞŶƚĞƐŽŶŽŶĞŐĂƚŝǀĞ͘
La RM con contrasto può evidenziare aree di accumulo tardivo e segni di edema; consente inoltre di guidare la biopsia
endomiocardica effettuata attraverso cataterismo del cuore sinistro.
Terapia
x eziologica
x sintomatica: riposo
x se insufficienza cardiaca: v.
25
v
Le cardiomiopatie sono un gruppo eterogeneo di malattie del miocardio associate a disfunzione meccanica e/o
elettrica e solitamente a ipertrofia o dilatazione ventricolare. Per definizione sono processi che interessano
ĚŝƌĞƚƚĂŵĞŶƚĞ ŝů ŵŝŽĐĂƌĚŝŽ͕ ĐŽŶ ƵŶ͛ĞnjŝŽůŽŐŝĂ ĐŽŵƉůĞƐƐĂ͕ frequentemente genetica; non possono dunque essere
conseguenza di altre malattie cardiovascolari19.
La classificazione classica delle cardiomiopatie le distingue in dilatative, ipertrofiche e restrittive20. Esiste comunque
una certa sovrapposizione di questĞĨŽƌŵĞ͕ĐŚĞƉŽƐƐŽŶŽĞǀŽůǀĞƌĞů͛ƵŶĂŶĞůů͛ĂůƚƌĂ͘
Recentemente è stata proposta una classificazione nuova, eziologica, che distingue cardiomiopatie primarie, che
riguardano direttamente il cuore e che possono essere genetiche, acquisite o miste, e cardiomiopatie secondarie a
malattie sistemiche. Questa classificazione tuttavia non è ancora molto utilizzata, anche perché nella pratica clinica
attuale non si hanno informazioni genetiche al tempo della presentazione iniziale.
Presentazione
generale
I sintomi ininjŝĂůŝĚĞůůĞĐĂƌĚŝŽŵŝŽƉĂƚŝĞƐŽŶŽĂƐƐŽĐŝĂƚŝĂůů͛ŝŶƚŽůůĞƌĂŶnjĂĂůů͛ĞƐĞƌĐŝnjŝŽ͕ĐŽŶĚŝƐƉŶĞĂĞĂƐƚĞŶŝĂ͘>ĂƉƌŽŐƌĞƐƐŝŽŶĞ
è associata a ritenzione idrica e quindi a dispnea a riposo e ortopnea; gli edemi periferici possono non essere presenti
anche in caso di ritenzione grave.
Tutti e tre i tipi di cardiomiopatia sono associati a insufficienza di tricuspide e mitrale, dolore toracico, tachiaritmie ed
embolia.
La valutazione iniziale del paziente inizia con anamnesi ed esame obiettivo che ricercano segni di malattia cardiaca,
extracardiaca e familiare. La diagnosi e la terapia dipendono dal grado di insufficienza cardiaca.
Eziologie
genetiche
/ůƌƵŽůŽŐĞŶĞƚŝĐŽŶĞůů͛ĞnjŝŽůŽŐŝĂĚĞůůĞĐĂƌĚŝŽŵŝŽƉĂƚŝĞğƐĞŵƉƌĞƉŝƶƌŝĐŽŶŽƐĐŝƵƚŽ͘'ĞŶĞƌĂůŵĞŶƚĞů͛ĞƌĞĚŝƚăğĂƵƚŽƐŽŵŝĐĂ
dominante. Deficit ben caratterizzati sono quelli di miosina, actina e troponina, associati a cardiomiopatia ipertrofica.
Deficit associati alla forma dilatativa sono invece quelli di proteine delle linee Z (es. desmina), del citoscheletro o del
sarcolemma (es. distrofina). Altri deficit che possono provocare cardiomiopatie sono quelli enzimatici (es.
galattosidasi-‐A) e mitocondriali.
La terapia è comunque basata sul fenotipo piuttosto che sulla genetica, fatta eccezione per alcune malattie come
quelle da deficit enzimatico. In caso di sospetto di malattia genetica è consigliabile lo screening con ECG ed
ecocardiografia dei parenti.
Cardiomiopatia
dilatativa
La cardiomiopatia dilatativa è caratterizzata da dilatazione del ventricolo sinistro e riduzione della funzione sistolica,
misurata come riduzione della frazione di eiezione del ventricolo sinistro. È la forma piú frequente.
Eziologia
Questa forma ha diverse possibili eziologie; fino ad un terzo dei casi può essere familiare. Le forme acquisite sono
spesso attribuite ad una lesione iniziale, ad esempio infettiva o tossica, che provoca necrosi, apoptosi e ipertrofia
compensativa, mentre fattori locali e circolanti determinano progressione della malattia anche dopo la cessazione
della lesione iniziale. Si ritiene che questi fattori secondari possano cessare rendendo la malattia inizialmente
reversibile.
19
È quindi errata la distinzione tra cardiomiopatia ischemica e non ischemica.
20
In realtà la cardiomiopatia restrittiva è associata ad un maggiore spessore di parete e a camere che possono essere di volume
ridotto ma anche leggermente aumentato. Oggi la c. restrittiva si definisce in base alla funzione diastolica anomala.
26
La diagnosi di cardiomiopatia dilatativa idiopatica è di esclusione, e si effettua quando gli altri fattori sono stati
esclusi. Costituisce i due terzi delle diagnosi totali.
x Miocarditi (v.)
x Cardiomiopatie tossiche
o Cardiomiopatia alcolica͘ >͛ĞƚĂŶŽůŽ ğ ůĂ ƚŽƐƐŝŶĂ ƉŝƷ ĨƌĞƋƵĞŶƚĞŵĞŶƚĞ ŝŵƉůŝĐĂƚĂ ŶĞůůĂ ĐĂƌĚŝŽŵŝŽƉĂƚŝĂ
ĚŝůĂƚĂƚŝǀĂ͖ ůĂ ƚŽƐƐŝĐŝƚă ğ ĚŽǀƵƚĂ ƐŝĂ Ăůů͛ĞƚĂŶŽůŽ ĐŚĞ Ăůů͛ĂĐĞƚĂůĚĞŝĚĞ͖ Ěŝ ƐĞĐŽŶĚĂƌŝĂ ŝŵƉŽƌƚĂŶnjĂ ƐŽŶŽ ŝ
deficit vitaminici conseguenti.
o Cardiomiopatia chemoterapica. Gli antineoplastici sono i farmaci piú frequentemente associati a
ĐĂƌĚŝŽŵŝŽƉĂƚŝĂĚŝůĂƚĂƚŝǀĂ͖ŝŶƉĂƌƚŝĐŽůĂƌĞŚĂŶŶŽƵŶƌƵŽůŽů͛ĂŶƚƌĂĐŝĐůŝŶĂĞŝůƚƌĂƐƚƵnjƵŵĂď͘
x Cardiomiopatie metaboliche
o Alcuni disturbi endocrini ƉŽƐƐŽŶŽ ďĞƌƐĂŐůŝĂƌĞ ŝů ĐƵŽƌĞ͗ ů͛ŝƉĞƌƚŝƌŽŝĚŝƐŵŽ Ğ ů͛ŝƉŽƚŝƌŽŝĚŝƐŵŽ͖ ŝů ĚŝĂďĞƚĞ
ŵĞůůŝƚŽ͕ů͛ŽďĞƐŝƚă͘
o I deficit nutrizionali come quello di tiamina (malattia di Beri-‐Beri), di carnitina, calcio, fosfato e
magnesio possono essere associati a cardiomiopatie.
o >͛emocromatosi può causare una forma di cardiomiopatia restrittiva con presentazione clinica simile
a una forma dilatativa.
x Cardiomiopatie familiari
o Le forme piú frequenti sono le distrofie muscolari. Sia la distrofia di Duchenne che quella piú lieve di
Becker sono causate da anomalie legate a X del gene della distrofina.
o La displasia ventricolare aritmogenica21 è una malattia genetica autosomica dominante suggerita da
una storia familiare di morte improvvisa o di tachicardia ventricolare seguita da cardiomiopatia. Può
manifestarsi in età molto precoce. La causa è un deficit genetico di proteine del desmosoma che
ĂůƚĞƌĂŶĚŽů͛ĂƌĐŚŝƚĞƚƚƵƌĂŵŝŽĐĂƌĚŝĐĂĚĞƚĞƌŵŝŶĂƐŽƐƚŝƚƵnjŝŽŶĞĚĞůŵƵƐĐŽůŽĐŽŶƚĞƐƐƵƚŽĨŝďƌŽ-‐adiposo la
cui alterata conduzione elettrica determina la formazione di un circuito di rientro. Le pareti
ǀĞŶƚƌŝĐŽůĂƌŝ Ɛŝ ĂƐƐŽƚƚŝŐůŝĂŶŽ Ğ ƉŽƐƐŽŶŽ ĞƐƐĞƌĞ ǀŝƐƵĂůŝnjnjĂƚĞ Ăůů͛ĞĐŽĐĂƌĚŝŽŐƌĂĨŝĂ Ž͕ ŵĞŐůŝŽ͕ ĂůůĂ ZD͖
essenziale la ventricolografia con biopsia. La stessa proteina si trova anche nei capelli e nella pelle,
ĐŽƐŞĂǀŽůƚĞƐŝŚĂƵŶĂƐŝŶĚƌŽŵĞĐŚĞĐŽŝŶǀŽůŐĞĂŶĐŚĞƋƵĞƐƚŝĚŝƐƚƌĞƚƚŝ͘WĞƌƚƌĂƚƚĂƌĞů͛ĂƌŝƚŵŝĂƐŝƵƐĂŶŽɴ-‐
ďůŽĐĐĂŶƚŝ͖ ƉĞƌ ƉƌĞǀĞŶŝƌĞ ůĂ ŵŽƌƚĞ ŝŵƉƌŽǀǀŝƐĂ ğ ƐŽůŝƚĂŵĞŶƚĞ ŝŶĚŝĐĂƚŽ ů͛ŝŵƉŝĂŶƚŽ Ěŝ ƵŶ ĚĞĨŝďƌŝůůĂƚŽƌĞ
impiantabile.
Fisiopatologia
Il danno al miocardio determina ridotta funzionalità contrattile e quindi aumento del volume residuo telesistolico,
con conseguente dilatazione dei ventricoli che determina in seguito dilatazione atriale: il cuore si ingrandisce di 2-‐3
volte. La dilatazione ventricolare può causare spostamento dei muscoli papillari con associata insufficienza mitralica,
che provoca aumento della pressione atriale sinistra e quindi scompenso cardiaco sinistro, con ipertensione
polmonare, il quale progressivamente determina scompenso globale. Altre possibili complicanze della dilatazione
ventricolare sono la tromboembolia e le aritmie.
Diagnosi
e
terapia
>͛anamnesi valuta innanzitutto i sintomi, costituiti da dispnea e astenia e i segni dello scompenso cardiaco; quindi
ǀĞƌŝĨŝĐĂů͛ĞǀĞŶƚƵĂůŝƚăĚŝuna pregressa infezione, il consumo di alcol, la familiarità e gli altri fattori eziologici.
ŽŶů͛esame obiettivo si può ƌŝůĞǀĂƌĞĂůů͛ĂƐĐŽůƚĂnjŝŽŶĞůĂƉƌĞƐĞŶnjĂĚŝƐŽĨĨŝƉĞƌů͛ŝŶƐƵĨĨŝĐŝĞŶnjĂŵŝƚƌĂůŝĐĂ͕ĚŝƚĞƌnjŽĞƋƵĂƌƚŽ
ƚŽŶŽƉĂƚŽůŽŐŝĐŽĞĚŝƌĂŶƚŽůŝƉĞƌů͛ŝƉĞƌƚĞŶƐŝŽŶĞƉŽůŵŽŶĂƌĞ͖ĂůůĂƉĞƌĐƵƐƐŝŽŶĞů͛ŝŶŐƌĂŶĚŝŵĞŶƚŽĚĞůů͛ĂŝĂĐĂƌĚŝĂĐĂ͘
WĞƌůĂĚŝĂŐŶŽƐƚŝĐĂƉĞƌŝŵŵĂŐŝŶŝǀ͘ŝůĐĂƉŝƚŽůŽƐƵůůŽƐĐŽŵƉĞŶƐŽĐĂƌĚŝĂĐŽ͘ŝƉĂƌƚŝĐŽůĂƌĞƌŝůĞǀĂŶnjĂƐŽŶŽů͛ĞĐŽĐĂƌĚŝŽŐƌĂĨŝĂ͕
che consente di valutare dilatazione ventricolare e funzionalità valvolare, e la coronarografia, che consente di fare
diagnosi differenziale con la cardiopatia ischemica.
La biopsia del miocardio consente di differenziare la forma dilatativa dalle altre.
21
la dispensa la chiama miocardiopatia aritmogena del ventricolo destro͕ ŵĂ ů͛,ĂƌƌŝƐŽŶ ĂŐŐŝƵŶŐĞ ĐŚĞ Ɛŝ ğ ŽƐƐĞƌǀĂƚŽ ĐŚĞ ƉƵž
interessare anche il ventricolo sinistro.
27
Cardiomiopatia
ipertrofica
La cardiomiopatia ipertrofica22 è caratterizzata da spiccata ipertrofia ventricolare sinistra in assenza di altre cause,
come ipertensione o valvulopatia. La cardiopatia ipertrofica può essere ostruttiva o non ostruttiva.
Eziologia
/Ŷ ĐŝƌĐĂ ŵĞƚă ĚĞŝ ĐĂƐŝ Ěŝ ĐĂƌĚŝŽŵŝŽƉĂƚŝĂ ŝƉĞƌƚƌŽĨŝĐĂ ğ ŝĚĞŶƚŝĨŝĐĂďŝůĞ ƵŶ͛ĞnjŝŽůŽŐŝĂ ŐĞŶĞƚŝĐĂ͗ ůĂ ŵĂůĂƚƚŝĂ ŚĂ ƵŶĂ
trasmŝƐƐŝŽŶĞ ĂƵƚŽƐŽŵŝĐĂ ĚŽŵŝŶĂŶƚĞ ĐŽŶ ƉĞŶĞƚƌĂŶnjĂ ǀĂƌŝĂďŝůĞ͘ WŝƷ ĚĞůů͛ϴϬй ĚĞůůĞ ŵƵƚĂnjŝŽŶŝ ĐŽůƉŝƐĐŽŶŽ ůĂ catena
pesante della miosina, la proteina C legante la miosina e la troponina T.
Morfologia
>͛ipertrofia si definisce asimmetrica perché interessa principalmente il setto interventricolare (soprattutto nella sua
porzione superiore; questo può provocare alterazioni del flusso aortico) mentre è meno evidente a livello di parete,
differentemente da quanto accade nelle forme secondarie. A causa della prominenza del setto, in sezione trasversale
la cavità ventricolare assume una forma a banana.
ůŝǀĞůůŽ ŝƐƚŽůŽŐŝĐŽ Ɛŝ ŽƐƐĞƌǀĂ ĐŽŶƐŝĚĞƌĞǀŽůĞ ŝƉĞƌƚƌŽĨŝĂ ĚĞůůĞ ĨŝďƌĞ͕ ĂŶŽŵĂůŝĞ ĚĞůů͛ĂƌĐŚŝƚĞƚƚƵƌĂ ƚĞƐƐƵƚĂůĞ Ğ ĨŝďƌŽƐŝ
interstiziale.
Fisiopatologia
La funzione sistolica è spesso aumentata (ipercontrattilità): a volte si può osservare obliterazione della cavità
ventricolare durante la sistole. Si ha inoltre disfunzione diastolica che può essere dovuta alla ridotta distensibilità in
ƐĞŐƵŝƚŽ Ăůů͛ŝƉĞƌƚƌŽĨŝĂ ʹ ma può anche precedere ůĂ ĐŽŵƉĂƌƐĂ Ěŝ ƋƵĞƐƚ͛ƵůƚŝŵĂ͘ La disfunzione diastolica provoca
aumentata pressione nel ventricolo.
^ŝ ŚĂ ŝŶŽůƚƌĞ ƵŶ͛ostruzione aortica sistolica dinamica dovuta a due cause: una sporgenza subaortica data
ĚĂůů͛ŝƉĞƌƚƌŽĨŝĂ ůŽĐĂůŝnjnjĂƚĂ Ğ ƵŶ movimento anteriore sistolico della mitrale͘ >͛ŽƐƚƌƵnjŝŽŶĞ può essere aggravata da
ĐŽŶĚŝnjŝŽŶŝĐŚĞĂƵŵĞŶƚĂŶŽůĂĐŽŶƚƌĂƚƚŝůŝƚă;ĞƐĞƌĐŝnjŝŽĨŝƐŝĐŽ͕ɴ-‐agonisti, digitale) e da manovre o farmaci che riducono il
precarico o il postcarico (manovra di Valsalva, nitrati, ortostatismo prolungato).
La patologia può essere associata ad aritmie.
Manifestazioni
e
diagnosi
>ĂŵĂůĂƚƚŝĂƐŝŵĂŶŝĨĞƐƚĂŐĞŶĞƌĂůŵĞŶƚĞƚƌĂŝǀĞŶƚŝĞŝƋƵĂƌĂŶƚ͛ĂŶŶŝ͘/ůƐŝŶƚŽŵŽƉŝƶĨƌĞƋƵĞŶƚĞğůĂ dispnea da sforzo. Il
dolore toracico da sforzo ğĐĂƵƐĂƚŽĚĂůů͛ĂůƚĂƌŝĐŚŝesta miocardica di ossigeno. Si possono avere anche manifestazioni di
aritmie, come il cardiopalmo e morte improvvisa.
>͛ĞƐĂŵĞ ŽďŝĞƚƚŝǀŽ ƌŝůĞǀĂ ƚŝƉŝĐĂŵĞŶƚĞ ƵŶ soffio sistolico ĐĂƵƐĂƚŽ ĚĂůůĂ ƚƵƌďŽůĞŶnjĂ ǀĞŶƚƌŝĐŽůĂƌĞ Ğ ĚĂůů͛ŝŶƐƵĨĨŝĐŝĞŶnjĂ
mitralica.
>͛'Ğ ƌŝůĞǀĂ ů͛ŝƉĞƌƚƌŽĨŝĂ ǀĞŶƚƌŝĐŽůĂƌĞ ƐŝŶŝƐƚƌĂ ĐŽŵĞ onde Q che possono essere lette erroneamente come segno di
infarto del miocardio. Può inoltre individuare eventuali aritmie.
Terapia
La terapia è volta alla gestione dei sintomi e alla prevenzione della morte improvvisa. I pazienti a basso rischio
ƉŽƐƐŽŶŽ ƐŽƐƚĞŶĞƌĞƵŶ͛Ăƚƚŝǀŝƚă ĨŝƐŝĐĂ ŵŽĚĞƌĂƚĂ͕ ŵĂ Ă ƚƵƚƚŝ ƐŽŶŽ ƐĐŽŶƐŝŐůŝĂƚŝů͛ĂůůĞŶĂŵĞŶƚŽŝŶƚĞŶƐŝǀŽ Ğ ůĞ ĐŽŵƉĞƚizioni
sportive.
22
un tempo chiamata anche stenosi subaortica ipertrofica idiopatica oppure cardiomiopatia ostruttiva.
28
La dispnea e il dolore toracico sono trattati con farmaci che riducono la frequenza cardiaca e la contrazione
ǀĞŶƚƌŝĐŽůĂƌĞ͕ŝŶŵŽĚŽĚĂŵŝŐůŝŽƌĂƌĞŝůƌŝĞŵƉŝŵĞŶƚŽǀĞŶƚƌŝĐŽůĂƌĞ͗ɴ-‐bloccanti e verapamil. Nei casi non responsivi si può
ricorrere alla miomectomia settale.
Nei pazienti ad alto rischio di aritmia è possibile usare un defibrillatore impiantabile.
Cardiomiopatia
restrittiva
La cardiomiopatia restrittiva è caratterizzata da funzione diastolica anomala, dovuta ad una ridotta distensibilità
ventricolare. La pressione telediastolica in entrambi i ventricoli è di conseguenza aumentata, cosa che provoca
scompenso globale.
Eziologia
>ĂĐĂƌĚŝŽŵŝŽƉĂƚŝĂƌĞƐƚƌŝƚƚŝǀĂğŐĞŶĞƌĂůŵĞŶƚĞĐĂƵƐĂƚĂĚĂůů͛ŝŶĨŝůƚƌĂnjŝŽŶĞĚŝƐŽƐƚĂŶnjĞĂŶŽŵĂůĞƚƌĂŝŵŝociti, dal deposito di
metaboliti anomali dentro i miociti o da danno fibrotico.
>͛amiloidosi ğ ůĂ ĐĂƵƐĂ ƉƌŝŶĐŝƉĂůĞ Ěŝ ĐĂƌĚŝŽŵŝŽƉĂƚŝĂ ƌĞƐƚƌŝƚƚŝǀĂ͕ ŝŶ ƉĂƌƚŝĐŽůĂƌĞ ůĂ ƐƵĂ ĨŽƌŵĂ ĚŽǀƵƚĂ Ăůů͛ĂĐĐƵŵƵůŽ Ěŝ
catene leggere di immunoglobuline e secondariamente per lĂĨŽƌŵĂĨĂŵŝůŝĂƌĞĚŽǀƵƚĂĂůů͛ĂĐĐƵŵƵůŽĚŝtranstiretina.
Molti deficit del metabolismo possono provocare accumulo di metaboliti: esempi sono la malattia di Fabry (deficit di
ɲȬgalattosidasi A), malattia di Gaucher, glicogenosi, mucopolisaccaridosi.
La cardiomiopatia restrittiva su base fibrotica si osserva nei pazienti che hanno effettuato radioterapia per cancro
polmonare o mammario, nonché nei pazienti con sclerosi sistemica.
hŶĂĨŝďƌŽƐŝĞƐƚĞƐĂĚĞůů͛ĞƉŝĐĂƌĚŝŽ͕ŶŽŶĂƐƐŽĐŝĂƚĂĂĚĂŶŶŽŵŝŽĐĂƌĚŝĐŽƚƌĂŶƐmurale, può da sola provocare il quadro delle
cardiomiopatie restrittive. Nei paesi temperati si parla di sindrome di Löffler: in una condizione di ipereosinofilia
ƉĞƌƐŝƐƚĞŶƚĞ ƐŝŝŶƐƚĂƵƌĂ ƵŶ ĚĂŶŶŽ Ăůů͛ĞŶĚŽĐĂƌĚŝŽŝŶ ĂƐƐŽĐŝĂnjŝŽŶĞ ĐŽŶŵĂůĂƚƚŝĂ ƐŝƐƚĞŵŝĐĂ͘ EĞŝ paesi tropicali si parla di
fibrosi endomiocardica; istologicamente si tratta della stessa malattie ma ci sono alcune differenze: non è preceduta
da ipereosinofilia, è ugualmente frequente tra uomini e donne, è molto piú diffusa tra i neri.
Manifestazioni
e
diagnosi
Le manifestazioni sono quelle dello scompenso cardiaco: dispnea da sforzo e astenia, edemi periferici, turgore delle
giugulari, epatomegalia e ascite.
>Ă ĚŝĂŐŶŽƐƚŝĐĂ ƉĞƌ ŝŵŵĂŐŝŶŝ ĞǀŝĚĞŶnjŝĂ ĐŽŶ ů͛ĞĐŽĐĂƌĚŝŽŐƌĂĨŝĂ ƉĂƌĞƚŝ ǀĞŶƚƌŝĐŽůĂƌŝ ŝƐƉĞƐƐŝƚĞ Ɛŝŵŵetricamente, con la
ƌĂĚŝŽŐƌĂĨŝĂĚĞůƚŽƌĂĐĞƵŶĂůĞŐŐĞƌĂĐĂƌĚŝŽŵĞŐĂůŝĂ͘>͛'ŵŽƐƚƌĂƐůŝǀĞůůĂŵĞŶƚŽĚĞůƚƌĂƚƚŽ^dĞĂŶŽŵĂůŝĞĚĞůů͛ŽŶĚĂd͘
La biopsia endomiocardica ğ ů͛ƵŶŝĐĂ ŝŶĚĂŐŝŶĞ ĐŚĞ ĐŽŶƐĞŶƚĞ Ěŝ ĞĨĨĞƚƚƵĂƌĞ ĚŝĂŐŶŽƐŝ ĚŝĨĨĞƌĞŶnjŝĂůĞ ĐŽŶ ůĂ ƉĞƌŝĐĂƌĚŝƚĞ
costrittiva.
Terapia
La terapia mira a contrastare gli effetti dello scompenso cardiaco; in tal senso sono particolarmente indicati i diuretici.
>ĂŵĂůĂƚƚŝĂŚĂĐŽŵƵŶƋƵĞƵŶĚĞĐŽƌƐŽůĞŶƚĂŵĞŶƚĞƉƌŽŐƌĞƐƐŝǀŽĞů͛ƵŶŝĐĂǀĞƌĂƚĞƌĂƉŝĂĐƵƌĂƚŝǀĂğŝůƚƌĂƉŝĂŶƚŽĚŝĐƵŽƌĞ͘
29
vi
Endocarditi
infettive
Le endocarditi infettive sono infezioni (batteriche e fungine) delle valvole cardiache, sia naturali che artificiali;
ů͛ŝŶĨĞnjŝŽŶĞƉƵžĂŶĐŚĞŝŶƚĞƌĞƐƐĂƌĞůĂƚŽŶĂĐĂŝŶƚŝŵĂĚĞůů͛ĂŽƌƚĂŽƉƉƵƌĞů͛ĞŶĚŽĐĂƌĚŝŽƐĞƚƚĂůĞŽŵƵƌĂůĞŝŶĂůcune condizioni
patologiche.
>Ă ĐůĂƐƐŝĨŝĐĂnjŝŽŶĞ ƉƵž ĞƐƐĞƌĞ ĞĨĨĞƚƚƵĂƚĂ ƐƵ ďĂƐĞ ĞnjŝŽůŽŐŝĐĂ͖ ƐƵůůĂ ďĂƐĞ ĚĞůů͛ĞǀŽůƵnjŝŽŶĞ ƚĞŵƉŽƌĂůĞ ĚĞůůĂ ŵĂůĂƚƚŝĂ ŝŶ
endocarditi acute e subacute; in base al sito di infezione in endocarditi delle valvole naturali e delle protesi valvolari;
ŝŶďĂƐĞĂŝĨĂƚƚŽƌŝĚŝƌŝƐĐŚŝŽĐŽŵĞů͛endocardite associata a droghe iniettive.
>͛ĞŶĚŽĐĂƌĚŝƚĞ acuta è una malattia febbrile che danneggia rapidamente le strutture cardiache, si diffonde per via
ematica ad altri distretti e, se non trattata, conĚƵĐĞ Ă ŵŽƌƚĞ ŝŶ ƉŽĐŚĞ ƐĞƚƚŝŵĂŶĞ͘ >͛ĞŶĚŽĐĂƌĚŝƚĞ subacuta ha un
decorso asintomatico, raramente causa danno strutturale, non si diffonde ed è lentamente progressiva a meno che
non sia complicata dalla formazione di un embolo.
Eziopatogenesi
Anche se diverse specie di batteri e di funghi causano sporadicamente endocardite la maggioranza dei casi è
determinato da poche specie: 50% streptococchi (S. viridans), 35% stafilococchi (S. aureus e stafilococchi coagulasi-‐
negativi), 10% enterococchi, 1% miceti.
WĞƌĐŚĠ ů͛ĞŶĚŽƚĞůŝŽ ƐŝĂ ŝŶĨĞƚƚĂƚŽ ğ ŶĞĐĞƐƐĂƌŝŽ ĐŚĞ ǀĞŶŐĂ ƉƌĞĐĞĚĞŶƚĞŵĞŶƚĞ ĚĂŶŶĞŐŐŝĂƚŽ Ž ĐŚĞ ĐŽƐƚŝƚƵŝƐĐĂ ƐĞĚĞ Ěŝ
trombosi. I microbi entrano nel flusso ematico tramite le superfici mucosali, la pelle o siti infettivi focali ed aderiscono
alle sedi di trombosi (eccezione per S. aureus ĐŚĞƉƵžĂĚĞƌŝƌĞĚŝƌĞƚƚĂŵĞŶƚĞĂůů͛ĞŶĚŽƚĞůŝŽŝŶƚĂƚƚŽͿ͘'ĞŶĞƌĂůŵĞŶƚĞğŝů
cuore sinistro ad essere interessato; invece nei casi associati a droghe endovenose i microbi provengono dalla pelle
ĂƚƚƌĂǀĞƌƐŽƵŶ͛ŝŶŝĞnjŝŽŶĞĞƋƵŝŶĚŝƐŝŝŵƉŝĂŶƚĂŶŽŐĞŶĞƌĂůŵĞŶƚĞŶĞůĐƵŽƌĞĚĞƐƚƌŽ͘
^Ğ ŝ ďĂƚƚĞƌŝ ƌŝĞƐĐŽŶŽ Ă ƐŽƉƌĂǀǀŝǀĞƌĞ Ăůů͛ĂnjŝŽŶĞ ŝŵŵƵŶŝƚĂƌŝĂƉƌŽůŝĨĞƌĂŶŽ Ğ ŝŶŶĞƐĐĂŶŽ ƵŶŽ ƐƚĂƚŽ ƉƌŽĐŽĂŐƵůĂƚŝǀŽ ĐŚĞ ŶĞ
ĨĂǀŽƌŝƐĐĞ ů͛ƵůƚĞƌŝŽƌĞ ĂĚĞƐŝone; alla fine si formano le vegetazioni, costituite da piastrine, fibrina, microcolonie di
microbi e cellule infiammatorie.
Le conseguenze della formazione di vegetazioni possono essere: stenosi o insufficienza valvolare, ascessi miocardici,
alterazioni della conduzione e formazione di emboli settici.
Clinica
>Ğ ŵĂŶŝĨĞƐƚĂnjŝŽŶŝ ĐůŝŶŝĐŚĞ ĚĞůů͛ĞŶĚŽĐĂƌĚŝƚĞ ŶŽŶ ƐŽŶŽ ƐƉĞĐŝĨŝĐŚĞ͘ >Ă ĨĞďďƌĞ ğ ŝů ƐĞŐŶŽ ĐŽƐƚĂŶƚĞ ĚĞůůĞ ĨŽƌŵĞ ĂĐƵƚĞ͖ ğ
causata dalla rispŽƐƚĂĐŝƚŽĐŚŝŶŝĐĂĂůů͛ŝŶĨĞnjŝŽŶĞ͖può ĂŶĐŚĞĞƐƐĞƌĞů͛ƵŶŝĐŽƐĞŐŶŽĚŝmalattia. Nella forma subacuta si può
avere febbricola oppure solo astenia e calo ponderale e artromialgie.
Le manifestazioni cardiache sono caratterizzate principalmente dai soffi cardiaci, che possono indicare la cardiopatia
ƉƌĞĚŝƐƉŽŶĞŶƚĞ Ž ů͛ĞŶĚŽĐĂƌĚŝƚe stessa. Si può avere insufficienza cardiaca congestizia o infezione del miocardio con
formazione di ascessi.
>͛ĞŵďŽůŝnjnjĂnjŝŽŶĞ ƐĞƚƚŝĐĂe la deposizione di immunocomplessi possono dare luogo a manifestazioni extracardiache:
encefalite embolica, microembolie retiniche, petecchie subungueali e noduli di Osler (piccoli, rossastri e dolorosi, sulle
dita), infarti renali, splenomegalia. >ĞŵĂŶŝĨĞƐƚĂnjŝŽŶŝŶŽŶĐĂƌĚŝĂĐŚĞƐŽŶŽĂƐƐŽĐŝĂƚĞĂůůĂĚƵƌĂƚĂĚĞůů͛ŝŶĨĞnjŝŽŶĞĞƋƵŝŶĚŝ
sono diventate meno frequenti.
30
Laboratorio
^ŝŚĂŶŶŽƐĞŐŶŝĂƐƉĞĐŝĨŝĐŝ͕ĐŽŵĞů͛ĂƵŵĞŶƚŽĚŝs^ĞWZĞů͛ĂŶĞŵŝĂ͘>͛ĞƐĂŵĞĨŽŶĚĂŵĞŶƚĂůĞğƚƵƚƚĂǀŝĂů͛ĞŵŽĐŽůƚƵƌĂ͘/ů
ƉƌĞůŝĞǀŽǀĂĞĨĨĞƚƚƵĂƚŽƉƌŝŵĂĚŝŝŶŝnjŝĂƌĞŐůŝĂŶƚŝďŝŽƚŝĐŝ͕ŝŶƋƵĂůƵŶƋƵĞŵŽŵĞŶƚŽ;ůĂďĂƚƚĞƌŝĞŵŝĂğĐŽŶƚŝŶƵĂ͕ƋƵŝŶĚŝŶŽŶĐ͛ğ
bisogno di aspettaƌĞŝůďƌŝǀŝĚŽͿ͘^ŽŶŽŶĞĐĞƐƐĂƌŝƚƌĞƉƌĞůŝĞǀŝƉĞƌĐŚĠĐ͛ğƵŶĂďĂƐƐĂƐƉĞĐŝĨŝĐŝƚă͘
Diagnosi
La diagnosi certa si basa sulla valutazione istologica e microbiologica. Esistono tuttavia dei criteri clinici con alte
caratteristiche diagnostiche, i criteri di Duke: per porre diagnosi sono necessari entrambi i criteri maggiori, o uno
maggiore e tre minori, o tutti e cinque i minori.
Terapia
La terapia medica Ɛŝ ďĂƐĂ ƐƵůů͛ƵƐŽ Ěŝ ĂŶƚŝďŝŽƚŝĐŝ͘ WĞƌ ĐƵƌĂƌĞ ů͛ĞŶĚŽĐĂƌĚŝƚĞ ğ ŶĞĐĞƐƐĂƌŝŽ ĞƌĂĚŝĐĂƌĞ ƚƵƚƚŝ ŝ ďĂƚƚĞƌŝ ĚĂůůĞ
vegetazioni; questo può essere difficile perché le difese immunitarie locali sono ridotte e perché i batteri presenti
sono metabolicamente inerti. La terapia deve essere quindi battericida e prolungata. Si avvia una terapia empirica
ĚŽƉŽŝƉƌĞůŝĞǀŝƉĞƌů͛ĞŵŽĐŽůƚƵƌĂĞƉŽŝĞǀĞŶƚƵĂůŵĞŶƚĞƐŝĐŽƌƌĞŐŐĞŝŶďĂƐĞĂŝƌŝƐƵůƚĂƚŝĚĞůů͛ĂŶƚŝďŝŽŐƌĂŵŵĂ͘
Prevenzione
/ŶƉĂƐƐĂƚŽƐŝĐŽŶƐŝŐůŝĂǀĂů͛ƵƐŽĚŝĂŶƚŝďŝŽƚŝĐŝƐŝƐƚĞŵŝĐŝƉƌŝŵĂĚŝƉƌŽĐĞĚƵƌĞĐŚĞƉŽƚĞǀĂŶŽŝŶĚƵƌƌĞďĂƚƚĞƌŝĞŵŝĂ;ŝŶƚĞƌǀĞŶƚŝ
odontoiatrici, procedure GI e genitourinarie); si ğ ƉŽŝ ƐƚĂďŝůŝƚŽ ĐŚĞ ĐĞ Ŷ͛ğ ďŝƐŽŐŶŽ ƐŽůŽ ŝŶ ƉĂnjŝĞŶƚŝĐŽŶ ƌŝƐĐŚŝŽ ŵŽůƚŽ
ĂůƚŽ͕ĐŽŶĂŵŽdžŝĐŝůůŝŶĂϮŐƉĞƌŽƐƵŶ͛ŽƌĂƉƌŝŵĂĚĞůůĂƉƌŽĐĞĚƵƌĂ͘
viiiǯ
ǯ
Un aneurisma è una dilatazione patologica di un segmento di un vaso; esso tende ad aumentare con il tempo fino alla
rottura della parete. Si distinguono gli aneurismi veri, che interessano tutte e tre le tuniche, dagli pseudoaneurismi, in
cui una soluzione di continuità nella tonaca intima e muscolare determina la formazione di un ematoma che viene
arginato dai tessuti perivascolari. Gli aneurismi possono essere anche classificati in base alla morfologia in fusiformi (a
tutta circonferenza) e sacculari (limitati); in base alle dimensioni in micro-‐ e macro-‐aneurismi.
Gli aneurismi aortici possono essere distinti in
x toracici (rari)
x addominali (>3 cm), piú frequenti, quasi sempre sottorenali.
Eziologia
La causa piú frequente è la degenerazione della parete aortica, da aterosclerosi. Cause piú rare sono congenite:
Marfan (fibrillina I), Loeys-‐ŝĞƚnj ;ƌĞĐĞƚƚŽƌĞ ƉĞƌ d'&ɴͿ͕ ŚůĞƌƐ-‐Danlos (collageno); infiammatorie: sifilide, vasculiti,
micosi, tubercolosi; traumatiche.
Clinica
e
diagnosi
Generalmente gli aneurismi aortici sono asintomatici, tuttavia a volte possono presentare manifestazioni da
compressione sulle strutture circostanti (vena cava, duodeno, ureteri) e quelli in stadio avanzato possono provocare
ĚŽůŽƌĞ͘>ĂƌŽƚƚƵƌĂĚĞůů͛ĂŶĞƵƌŝƐŵĂğŝŶǀĞĐĞƵŶ͛ĞŵĞƌŐĞŶnjĂŵĞĚŝĐĂ͗ƐŝŚĂƵŶ͛ĞŵŽƌƌĂŐŝĂŵŽůƚŽŝŶƚĞŶƐĂĐŽŶƐŚŽĐŬ͕ŐƌĂǀĞ
ipotensione, colorito bianco e polso impalpabile. La rottura può avvenire nel retroperitoneŽ͕ ŶĞůů͛ŝŶƚĞƐƚŝŶŽ ;ĨŝƐƚŽůĂ
aorto-‐enterica) o nella vena cava (fistola aorto-‐cavale).
Il riscontro di un aneurisma aortico integro avviene quindi spesso nel corso di un esame obiettivo o di diagnostica per
ŝŵŵĂŐŝŶŝ ĞĨĨĞƚƚƵĂƚĂ ƉĞƌ Ăůƚƌŝ ƐĐŽƉŝ͘ ůů͛ĞƐĂŵĞ ŽďŝĞttivo si osserva una pulsazione espansiva in epigastrio o
ŵĞƐŽŐĂƐƚƌŝŽ͖ Ɛŝ ĚŝƐƚŝŶŐƵĞ ĚĂ ƉŽƐƐŝďŝůŝ ŵĂƐƐĞ ŝŶ ƌĂƉƉŽƌƚŽ ĐŽŶ ů͛ĂŽƌƚĂ ƉĞƌĐŚĠ ŶĞůů͛ĂŶĞƵƌŝƐŵĂ ůĂ ƉƵůƐĂnjŝŽŶĞ ǀŝĞŶĞ
trasmessa in tutte le direzioni. Si può discriminare grossolanamente tra aneurismi soprarenali o sottorenali tramite la
manovra di DeBakey, che consiste nel palpare sotto il processo xifoideo a paziente disteso.
>͛ecografia si effettua subito dopo, per individuare sede, estensione craniocaudale e diametro della lesione (>3 cm).
Per definire ŝŶŵĂŶŝĞƌĂ ƉƌĞĐŝƐĂ ƚƵƚƚĞůĞĐĂƌĂƚƚĞƌŝƐƚŝĐŚĞ ĚĞůů͛ĂŶĞƵƌŝƐŵĂ Ɛŝ ƉƵžƵƐĂƌĞůĂ TC con contrasto o la RM con
gadolinio; la prima è un esame rapido mentre la seconda non dà reazioni allergiche e non richiede la presenza
ĚĞůů͛ĂŶĞƐƚĞƐŝƐƚĂ͘
Terapia
Si consiglia il trattamento chirurgico nei pazienti sintomatici o con un aneurisma di diametro elevato: >5,5 cm nei
maschi e >4,5 cm nelle donne25.
Esistono due opzioni:
1. resezione ĚĞůů͛ĂŶĞƵƌŝƐŵĂcon apposizione di protesi. Anestesia generale, laparotomia mediana, clampaggio
ĚĞůů͛ĂŽƌƚĂ͕ĂƉĞƌƚƵƌĂĚĞůů͛ĂŶĞƵƌŝƐŵĂ͕ŝŶƐĞƌnjŝŽŶĞƉƌŽƚĞƐŝ͘
2. apposizione di endoprotesi per via cateterale; essa aderisce alla parete tramite degli uncini e poi viene
ĞƐƉĂŶƐĂ ƚƌĂŵŝƚĞ ů͛ƵƐŽ Ěŝ ƵŶ ƉĂůůŽŶĐŝŶŽ͘ Si usa una protesi a Y rovesciata. Incisione inguinale bilaterale,
ĂŶŐŝŽŐƌĂĨŝĂŝŶƚƌĂŽƉĞƌĂƚŽƌŝĂ͕ƉŽƐŝnjŝŽŶĂŵĞŶƚŽĚĞůĐŽƌƉŽĞƉŽŝĚĞůůĂŐĂŵďĂĚĞůů͛ĞŶĚŽƉƌŽƚĞƐŝ͘
25
Ě͛ĂůƚƌĂƉĂƌƚĞůĂƚĞŶĚĞŶnjĂĂůů͛ĂŐŐƌĂǀĂŵĞŶƚŽĨĂƐşĐŚĞĂŶĐŚĞŐůŝĂůƚƌŝƉĂnjŝĞŶƚŝƐŝĂŶŽĂƌŝƐĐŚŝŽĚŝƌŽƚƚƵƌĂĂŶĞƵƌŝƐŵĂƚŝĐĂ
34
ȋ
ǯȌ
La dissecazione aortica è una lacerazione circonferenziale o trasversale della tonaca intŝŵĂ ĚĞůů͛ĂŽƌƚĂ͘ ŽƐƚŝƚƵŝƐĐĞ
ƵŶ͛ĞŵĞƌŐĞŶnjĂƉŽŝĐŚĠğĂssociata ad altissima mortalità (80% a due settimane se non si è trattati).
La lacerazione della tonaca intima è seguita dal suo scollamento della tonaca media, con formazione di un falso lume
separato dal ůƵŵĞ ǀĞƌŽ ĚĂůĐŽƐŝĚĚĞƚƚŽ ĨůĂƉ ŝŶƚŝŵĂůĞ͖ ůĂ ĚŝƐƐĞĐĂnjŝŽŶĞ Ɛŝ ƉƌŽƉĂŐĂ ƋƵŝŶĚŝ ĚŝƐƚĂůŵĞŶƚĞ ŶĞůů͛ĂŽƌƚĂ Ğ ŶĞůůĞ
sue diramazioni principali (ma può propagarsi anche prossimalmente). In alcuni casi si può avere una seconda
lacerazione distale che determina il rientro del sangue nel lume vero (aorta a doppia canna).
/ů ƉŝĐĐŽ Ě͛ŝŶĐŝĚĞŶnjĂ ĚĞůůĂ ĚŝƐƐĞĐĂnjŝŽŶĞ ĂŽƌƚŝĐĂ ğ ŶĞůůĂ ƐĞƐƚĂ Ğ ƐĞƚƚŝŵĂ ĚĞĐĂĚĞ͖ Őůŝ ƵŽŵŝŶŝ ƐŽŶŽ ĐŽůƉŝƚŝ ĚƵĞ ǀŽůƚĞ Ɖŝú
spesso che le donne.
Eziologia
&ĂƚƚŽƌŝ ĚŝƌŝƐĐŚŝŽ ƐŽŶŽ ů͛ŝƉĞƌƚĞŶƐŝŽŶĞ͕ ůĂ ƐŝŶĚƌŽŵĞ Ěŝ Marfan, la sindrome di Ehlers-‐Danlos, le aortiti, le valvulopatie
congenite della valvola aortica, la gravidanza, il cateterismo aortico.
Classificazione
Esistono due classificazioni in base alla localizzazione.
Stanford DeBakey
In base al tempo intercorso dalla presentazione si parla di
A 1 ascendente e discendente
dissezione aortica acuta (< 15 giorni) e cronica.
2 ascendente
B 3 solo discendente
Clinica
La patologia si presenta con dolore a insorgenza improvvisa molto intenso al torace o alla schiena e sudorazione
profusa͘ ůƚƌŝ ƐŝŶƚŽŵŝ ŝŶĐůƵĚŽŶŽ ůĂ ƐŝŶĐŽƉĞ͕ ůĂ ĚŝƐƉŶĞĂ͕ ů͛ĂƐƚĞŶŝĂ͘ ŝ ƉŽƐƐŽŶŽ ĞƐƐĞƌĞ ĂůƚƌĞ ŵĂŶŝĨĞƐƚĂnjŝŽŶŝ ŝŶ ďĂƐĞ Ăů
ĐŽŝŶǀŽůŐŝŵĞŶƚŽĚŝďƌĂŶĐŚĞĚĞůů͛ĂŽƌƚĂŽĂůůĂĐŽŵƉƌĞƐƐŝŽŶĞĚŝƐƚƌƵƚƚƵƌĞĐŝƌĐŽƐƚĂŶƚŝ͘
Complicanze tipo A: insufficienza valvolare aortica per coinvolgimento retrogrado, tamponamento cardiaco per
rottura in cavità pericardica, infarto del miocardio. Complicanze tipo B: emotorace, emorragia mediastinica o
addominale.
Immagini
La radiografia può individuare un ingrandimento del mediastino superiore. >͛ecografia transtoracica è molto valida
ƉĞƌ ůĞ ĚŝƐƐĞĐĂnjŝŽŶŝ ĐŚĞ ŝŶƚĞƌĞƐƐĂŶŽ ů͛ĂŽƌƚĂ ĂƐĐĞŶĚĞŶƚĞ ŵĞŶƚƌĞ ƋƵĞůůĂ transesofagea, piú invasiva, è utile anche per
valutare il segmento discendente. La TC e la RM possono essere usate solo per i pazienti emodinamicamente stabili
(perché vanno portati in radiologia) ma hanno ottime caratteristiche diagnostiche e riescono a visualizzare il flap
intimale.
Terapia
x ricovero in unità di terapia intensiva per il monitoraggio emodinamico
x riduzione della contrattilità cardiaca e della pressione
o ɴ-‐bloccanti
o in seconda linea calcioȬantagonisti
x analgesia
x ĐŚŝƌƵƌŐŝĂ Ě͛ƵƌŐĞŶnjĂ: indicata nelle dissecazioni tipo A e in quelle tipo B complicate (es. ischemia degli arti
ŝŶĨĞƌŝŽƌŝͿ͘ >͛ŽƉĞƌĂnjŝŽŶĞ Ɛŝ ĞĨĨĞƚƚƵĂ ĐŽŶ ƐƚĞƌŶŽƚŽŵŝĂ ŵĞĚŝĂŶĂ (toracotomia posterolaterale sx per tipo B),
circolazione extracorporea, ipotermia moderata e infusione di soluzione ĐĂƌĚŝŽƉůĞŐŝĐĂ͘ ^ŝ ĂƉƌĞ ů͛ĂŽƌƚĂ e si
ƉƌŽƐĞŐƵĞ ĐŽŶ ů͛escissione del flap intimale͕ ů͛ŽďůŝƚĞƌĂnjŝŽŶĞ ĚĞů ĨĂůƐŽ ůƵŵĞ Ğ ů͛ĂƉƉŽƐŝnjŝŽŶĞ Ěŝ ƵŶ trapianto
interposto; se la valvola aortica è interessata si opta per un trapianto tubovalvolare. In alternativa è possibile
ĞĨĨĞƚƚƵĂƌĞƵŶ͛ŽƉĞƌĂnjŝŽŶĞconservativa suturando la lacerazione intimale e apponendo un rinforzo in Teflon
della parete aortica. >͛ŝŶƚĞƌǀĞŶƚŽĐŚŝƌƵƌŐŝĐŽğĂƐƐŽĐŝĂƚŽĂĚƵŶĂŵŽƌƚĂůŝƚăĚĞůϭϱй͘
I Gazzellini
- Interna -
- Pneumo -
A. Fusco
INDICE
Da l’ Herolds
Polmoniti infettive 35
Pneumopatie intestiziali 38
I Gazzellini
Insufficienza respiratoria
IR, si definisce come la situazione in cui c’è un’alterazione nello scambio gassoso. Non avviene una
sufficiente ossigenazione né eliminazione di CO2.
Si diagnostica in presenza di ipossiemia (PaO2 minore di 60 mmHg) nel sangue arterioso, associata o
meno a una ipercapnia.
Il valore di 60 mmHg è valido solo a livello del mare (varia un poco con il cambiamento della pressione
atmosferica) e sulla curva di dissociazione dell’emoglobina corrisponde ad una saturazione del 90%. Una
saturazione più bassa può provocare ipossia tissutale. Altre cause di ipossia tissutale oltre all’insufficienza
respiratoria sono insufficienza circolatoria, anemica e citotossica (cianuro).
Un altro parametro importante è il gradiente alveolo-arterial de O2 (AaPO2) che è la differenza tra la
PaO2 nel gas alveolare e la PaO2 nel sangue arterioso. In una persona sana con uno scambio normale, la
AaPO2 non scende sotto i 10-15 mmHg. Questo parametro è alterato nelle patologie che coinvolgono il
parenchima polmonare. Le cause extrapolmonari di IR non modificano la AaPO2.
Esiste una IR acuta e una IR cronica. La differenza non la fa quanto dura la IR.
IR acuta: IR senza che si siano messi in moto i meccanismi di compenso.
IR cronica: si sono messi in moto i meccanismi di compenso per evitar l’ipossia tissutale. La stimolazione
dei chemiorecettori periferici (per diminuzione della PaO2) provoca: poliglobulia, aumento della
ventilazione, spostamento (con pari meccanismi) a destra della curva di dissociazione dell’emoglobina.
Avviene anche ritenzione renale di bicarbonato per compensare l’ipercapnia e l’eventuale acidosi
respiratoria.
IR cronica acutizzata: è una IR acuta che avviene in corso di una IR cronica stabile.
Si usa anche un’altra classificazione:
IR parziale: ipossiemia senza ipercapnia.
IR globale: ipossiemia con ipercapnia. Può avvenire con polmone normale (patologie extrapolmonari) e
con polmone patologico.
Cause di IR:
Ipoventilazione: diminuzione del volume di aria che giunge allo scambio gassoso. Ossia diminuzione
della ventilazione alveolare (ventilazione totale meno ventilazione dello spazio morto). È dovuta a
patologie che non coinvolgono il polmone, ma diminuiscono la ventilazione.
Provoca ipossiemia e ipercapnia (IR globale) però la AaPO2 è normale.
Alterazione della diffusione: alterazione del processo di diffusione passiva che permetta il passaggio
di ossigeno dall’alveolo al sangue. Avviene in alcune patologie polmonari. Una volta si pensava che il
principale meccanismo fosse l’ispessimento della membrana alveolo-capillare, però pare che in realtà sia
più importante la perdita della struttura polmonare e del letto capillare polmonare.
Il principale meccanismo pare essere la diminuzione del tempo di contatto (nel quale l’ossigeno passa
alle emazie). Normalmente il tempo è di 3-4 secondi e basta un terzo del tempo perché la PO2 nel sangue
sia la stessa che nell’alveolo.
Riassumendo abbiamo ipossiemia per alterazione della diffusione quando c’è: diminuzione de la pO2,
inspessimento della membrana capillare, tempo di transito accorciato (che accade quando c’è un
4
Pneumo per Interna
alto volume cardiaco o diminuzione del letto capillare per distruzione od ostruzione).
Effetto shunt: avviene quando c’è un passaggio di sangue non ossigenato direttamente nella
circolazione sistemica, senza passare per lo scambio gassoso polmonare. In questo caso il rapporto V/Q
sarà uguale a 0.
Vi sono alcuni shunt fisiologici (che tra l’altro fanno sì che la saturazione di ossigeno nel sangue arterioso
non sia mai proprio del 100%) come la circolazione bronchiale e le vene di Tebesio. La presenza di
alcuni veri e propri shunt o cortocircuiti patologici può essere una causa di ipossiemia, ma non è molto
comune. Molto più probabile è che ci siano zone polmonari non ventilate come accade nell’atelettasia
o nell’edma polmonare. L’AaPO2 è alto, c’è ipossiemia che non si modifica con la somministrazione di
ossigeno e ipocapnia dovuta all’iperventilazione che c’è in questi casi (risposta alla bassa saturazione di
O2).
Diminuzione della FiO2: diminuzione della frazione inspirata di O2 con conseguente ipossiemia. Può
accadere ad esempio in soggetti che vivono ad alte quote. C’è iperventilazione e quindi ipocapnia.
Altri meccanismi: quando c’è un’insufficienza cardiaca o una diminuzione della concentrazione
di emoglobina i tessuti rispondono aumentando la frazione di estrazione di ossigeno e pertanto
aggravando l’ipossiemia. È un meccanismo collaterale.
La IR cronica può essere ipercapnica o no. In genere quando c’è ipoventilazione in genere c’è IR
globale con ipossiemia e ipercapnia, mentre alterazioni polmonari causano in genere solo ipossiemia.
L’ipossiemia può migliorare con l’ossigeno terapia però per migliorare l’ipercapnia bisogna migliorare la
ventilazione.
Vi sono anche casi in cui intervengono entrambi i meccanismi insieme.
Quindi: nell’ipoventilazione abbiamo diminuzione di pO2 e pCO2; nelle alterazioni del rapporto V/Q
abbiamo diminuzione di pO2 senza una grande diminuzione della pCO2; nelle patologie interstiziali
abbiamo ipossiemia senza ipercapnia; nel distress respiratorio abbiamo ipossiemia, ma ipocapnia.
Clinica: abbiamo sintomi di ipossiemia e ipercapnia ai quali sempre si aggiungono (soprattutto nella
insufficienza respiratoria cronica) i sintomi della patologia di base.
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I Gazzellini
comunemente cefalea (per la vasodilatazione cerebral) poi alterazioni del ciclo sonno-veglia e
sonnolenza, confusione mentale e in ultima istanza il coma ipercapnico.
Un altro segno caratteristico è il tremore o flapping che è comune a molte encefalopatie.
Manifestazioni nella IR cronica acutizzata: i sintomi saranno molto influenzati dalla patologia di base.
Comporta una peggiore ipossiemia e (a volte) ipercapnia. C’è quasi sempre dispnea, respirazione rapida e
superficiale, uso della muscolatura accessoria, sudorazione, diminuzione dei livelli di coscienza.
Diagnosi eziologica della IR cronica: un primo passo possiamo farlo valutando la AaPO2, se è alterata ci
orienta verso una patologia polmonare, se non è alterata ci orienta verso una patologia extrapolmonare.
Spirometria: la spirometria è la prova basica della funzione polmonare, fondamentale per stabilire la
causa di una IR. Il calcolo di parametri come la FEV1 (flusso espiratorio al primo secondo), FVC (capacità
vitale), rapporto FEV1/FVC ci permette ad esempio di classificare le patologie in tre classi:
Alterazione ventilatoria ostruttiva: limitazione al flusso aereo (diminuzione FEV1).
Alterazione ventilatoria restrittiva: diminuzione dei volumi polmonari (diminuzione FVC).
Alterazione ventilatoria mista: sia ostruttiva che restrittiva.
La spirometria valuta anche il grado di gravità di queste condizioni e in genere si suole eseguire anche
dopo stimolazione tramite un broncodilatatore (generalmente beta2-agonista).
Pletismografia: o tecniche di diffusione dei gas inerti: permette di valutare i volumi polmonari statici
come la capacità polmonare totale o la capacità polmonare residua o il volume residuo. Si usa nel caso di
patologie che alla spirometria sono risultate alterazioni restrittive o miste.
Analisi della capacità polmonare di transferencia del monossido di carbonio (DLCO): test molto
utilizzato che misura la quantità di CO che passa attraverso la membrana alveolo capillare nell’unità di
tempo. Serve per determinare la superficie vascolare disponibile per lo scambio di gas (infatti divisa
per la ventilazione alveolare si chiama KCO ossia fattore di transferencia). È utile per diagnosticare un
enfisema, anemia, patologie vascolari polmonari, malattie interstiziali, etc.
Test per cause neuromuscolari: si eseguono test per misurare la pressione ispiratoria minima e
massima, la resistenza dei muscoli respiratori, la pressione trans diaframmatica.
Prove da sforzo: alcune manifestazioni possono non essere percepite a riposo però manifestarsi sotto
sforzo.
Ci sono esercizi di tipo submaximo come la prova dei sei minuti di marcha (si valuta la saturazione sotto
6
Pneumo per Interna
sforzo), esercizi di tipo maximo (con cicloergometro o tapiz-roulant) in cui si monitorizzano variazioni
nelle variabili ventilatorie per valutare l’esistenza di un fattore limitante (che si modifica sotto sforzo) che
limiti la capacità di risposta allo sforzo di un individuo.
Altre prove: si può fare una analisi del patron ventilatorio, studi di chemiosensibilidad, studio dela
funzione respiratoria durante il sonno (patologie che si manifestano durante il sonno).
Quindi: prima di tutto di conferma l’esistenza di IR, poi si tenta la diagnosi eziologica prima valutando
l’AaPO2 (per distinguere cause polmonari o no), poi si fa una esplorazione funzionale (spirometria) e altre
prove in base ai risultati ottenuti che aiuteranno a restringere le diagnosi possibili.
Misure generali: cessazione del fumo di tabacco, dieta per correggere denutrizione o obesità, evitare i
fattori scatenanti nei pazienti con asma, profilassi infettiva, manejo delle secrezioni, riabilitazione (anche
solo per aumentare la qualità di vita senza guarigione), trattamento dei fattori aggravanti la ipossiemia
come l’anemia, l’ipotiroidismo, le aritmie o l’insufficienza cardiaca.
Trattamento eziologico:
Il trattamento più importante è l’ossigenoterapia. Serve a mantenere la PO2 sopra i 70 mmHg e la
saturazione sopra il 93%. A volte possiamo aggravare l’ipercapnia.
Si dice ipossiemia refrattaria un’ipossiemia (in genere dovuta alla presenza di shunt) con aumento
della PaO2 minore di 10 dopo un incremento della FiO2 maggiore di 0,2. In questi casi si può pensare di
procedere con la ventilazione meccanica.
Fonti di O2: Ossigeno liquido: usato per lo più in ospedale. Si mantiene a basse temperature e per farlo
tornare gassoso si pone semplicemente a temperatura ambiente.
Cilindro di alta pressione: ossigeno mantenuto in bottiglie a temperatura ambiente però ad alta
pressione in modo che si liquefa, non si usa quasi.
Concentratore: compressore che concentra l’aria per poter dare alte concentrazioni di ossigeno.
Alla fonte di ossigeno si associa un manometro che misura la pressione e un manometro riduttore che
permette di regolare la pressione a cui esce l’ossigeno. C’è anche un flussometro per controllare il flusso.
Prima di somministrare l’ossigeno bisogna umidificarlo tramite un umidificatore (recipiente con acqua
distillata) affinché non secchi le vie aeree.
Tipo di somministrazione:
Sistemi ad alto flusso: apportano tutta l’atmosfera di gas respirato. Ossia sia l’ossigeno che gli altri gas
vengono somministrati in quantità determinate da noi e costante, e quindi con una FiO2 costante. Un
esempio è il sistema Venturi: che consta di una maschera con orifizi che permettono il passaggio di aria
ambiente. C’è una valvola che determina quanta percentuale di ossigeno e di aria ambiente il paziente
deve respirare. Molto buono in pazienti instabili con dispnea severa
Sistemi a basso flusso: non mantengono una FiO2 costante e non apportano tutta l’aria che il paziente
respira. La FiO2 dipende dal flusso di ossigeno , dal tipo di respirazione (superficiale o profonda) del
malato (superficiale sarà una FiO2 più bassa) e dalla grandezza del reservorio di O2.
Sono così gafas nasales, mascarilla semplice e mascarilla reservorio che è una mascera collegata
a una borsa che funziona da riserva di ossigeno. In alcune l’aria espirata si mischi con l’ossigeno della
borsa diminuendo man mano la quantità di ossigeno che entra,in altre un sistema di valvole chiude il
passaggio durante l’espirazione e quindi non c’è alterazione dell’aria nella borsa.
Indicazioni dell’ossigenoterapia:
IR acuta: ipossiemia arteriosa (tante patologie polmonari e non come asma, atelettasia, polmoniti,
7
I Gazzellini
trombo embolia, etc.), ipossia tissutale senza ipossiemia (succede nell’anemia, nell’intossicazione da
cianuro, etc.), altre situazioni (infarto del miocardio, shock cariogeno o ipovolemico, etc.).
IR cronica: si da ossigeno sempre se la PO2 è inferiore a 55 mmHg e la saturazione minore dell’88%, però
anche nel caso in cui la PO2 è solo inferiore a 60 ma in più c’è: cuore polmonare cronico, ipertensione
arteriosa polmonare, insufficienza cardiaca, aritmie, poliglobulia.
L’ossigeno si deve porre per un minimo di 15 ore e la dose deve essere aumentata la notte.
Ventilazione meccanica: può essere invasiva o no. La invasiva si pone in UCI e consiste nell’intubazione
oro tracheale.
Gli obbiettivi della ventilazione meccanica sono: mantenere lo scambio gassoso, incrementare il
volume polmonare, ridurre lo sforzo respiratorio.
È indicata in condizioni di alterata funzione ventilatoria: parada respiratoria o cardiaca, insufficienza
respiratoria ipossiemica grave (saturazione minore del 90%, pause respiratorie, diminuzione dei livelli
di coscienza, aspirazione massiva, instabilità emodinamica), IR ipercapnica (globale), ipertensione
endocraneale, rischio elevato di infezioni, etc.
Ventilazione meccanica non invasiva: incominciò nell’epidemia di polio con il polmone di acciaio
(acero): macchina dove si metteva il paziente solo con la testa fuori che generava una pressione positiva
che ventilava il malato. Ha dei vantaggi rispetto all’invasiva che sono che non necessita la sedazione,
si evitano farmaci, tiene meno complicazioni, si mantiene la fonazione e la deglutizione oltre alla
espettorazione. È indicata per:
IR acuta: esacerbazione dell’EPOC, edema polmonare cardiogenico, infezioni in immunodepressi,
patologie restrittive. IR cronica: deformità della cassa toracica, patologie neuromuscolari di progressione
lenta, sindrome di ipoventilazione (centrale o anche solo per obesità), EPOC con ipercapnia. Alcune
controindicazioni sono: traumatismo facciale, secrezione eccessiva, ostruzioni delle vie aeree, instabilità
emodinamica, parada cardiorespiratoria, bassi livelli di coscienza.
Le interfacce paziente-respiratore sono mascherine etc.
Sindrome da distress respiratorio nell’adulto: quadro di IR grave per alterazione della membrana
alveolo-capillare con conseguente aumento della sua permeabilità e formazione di edema polmonare. È
la forma più severa di danno polmonare acuto, in genere è una manifestazione di un problema infettivo
o infiammatorio sistemico. Esordio acuto. Provoca una IR severa con coefficiente PO2/FiO2 minore di 200
mmHg.
Fisiopatologia: si produce una reazione infiammatoria con liberazione di interleuchine che aumentano
l’infiammazione (neutrofili) con secrezione di enzimi proteolitici che danneggiano la membrana alvelo-
capillare provocando uscita di liquido ed edema. L’infiammazione e l’edema coadiuvano nel causare
alterazioni della ventilazione polmonare e della perfusione. L’infiammazione provoca anche la perdita
di surfactante e il collasso alveolare con deposito delle cosiddette membrane ialine (costituite di
surfactante, detriti cellulari e plasma) con polmone che diviene rigido. Si perde distensibilità polmonare
e serve un maggiore sforzo respiratorio. Si ha ipossiemia per il collasso degli alveoli che causa uno shunt
8
Pneumo per Interna
(zone polmonari dove non avvengono scambi gassosi). Normalmente si possono distinguere tre fasi,
anche se non sempre:
1) Fase essudativa: si altera lo scambio gassoso per la distruzione delle cellule dell’epitelio alveolare e
la perdita di surfactante. Nell’alveolo ci sono neutrofili, proteine cellule morte, resti si surfactante che
formeranno le membrane ialine. È di durata relativa (in genere prima settimana).
2) Fase proliferativa: le seconde due settimane. Comincia un processo di riparazione con scomparsa dei
neutrofili e proliferazione degli pneumociti di tipo II. In questa fase possono esserci febbre e leucocitosi. I
polmoni vanno incontro ad un processo di fibrosi,
3) Fase fibrotica: nella terza-quarta settimana. C’è fibrosi estesa dei condotti alveolari e dell’interstizio
polmonare. Alterazioni enfisematose negli acini. Anche proliferazione endoteliale con occlusione
vascolare e ipertensione polmonare. Mortalità (serve ventilazione meccanica).
Diagnosi: incontreremo segni e sintomi della patologia di base più una insufficienza respiratoria
progressiva con aumento del lavoro respiratorio. Può esserci febbre e leucocitosi nella fase
proliferativa. Con una semplice radiografia del torace possiamo vedere infiltrati bilaterali diffusi senza
cardiomegalia.
Diagnosi differenziale: Le patologie che producono infiltrati polmonari bilaterali sono:
Edema acuto del polmone cardiogenico: bisogna basarsi sulla storia clinica del paziente (edemi,
dispnea, cardiopatie), presenza o meno di cardiomegalia, derrame pleural (frequente nell’edema
cardiogenico) così come le linee di Kerley.
Hemorragia alveolare diffusa: quadro raro, a volte da lupus. Broncopolmonite: severa. Pneumopatie
interstiziali acute, polmoniti da ipersensibilità, polmonite eosinofila acuta, alcune neoplasie.
Trattamento: consiste soprattutto nel trattare la patologia di base e fare ossigenoterapia e ventilazione
meccanica.
Questi pazienti sono però ad alto rischio di complicazioni come infezioni nosocomiali.
È molto importante una nutrizione adeguata per evitare perdita della funzione muscolare.
Per evitare una maggiore uscita di liquido nell’alveolo si fa restrizione di liquidi e uso di diuretici.
I corticoidi non è stato dimostrato che tengano utilità, non servono vasodilatatori e surfactante.
L’ossido nitrico viene utilizzato per dilatare i vasi polmonari, ma non è stato dimostrato che riduca la
mortalità. Lo stesso vale per i cambi posturali che pure migliorano la ventilazione.
Attualmente, essendo i polmoni rigidi e poco distendibili, si preferisce ventilare a volumi più bassi per
provocare meno complicazioni. Per favorire l’espirazione si applica una pressione positiva nella sua fase
finale per non far chiudere gli alveoli al momento dell’uscita dell’aria.
Complicanze: ci sono complicanze polmonari (fibrosi, baro trauma, edema), gastrointestinali (emorragia,
ileo, neumoperitoneo), renali, caridache (ipertensione arteriosa, aritmie), infettive (sepsi, polmoniti)
ematologiche, epatiche, endocrine, neurologiche , malnutrizione.
Prognosi: la mortalità è intorno al 30-40%. Peggiorano la prognosi un’età avanzata, un numero maggiore
di organi affetti, la presenza di patologie croniche.
I pazienti sopravvissuti vanno in genere incontro ad un recupero progressivo e non hanno molte sequele.
La sequela più comune è la fibrosi.
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AFFEZIONI POLMONARI CRONICHE OSTRUTTIVE
Sinonimi
COLD = chronic obstructive lung disease
COPD = chronic obstructive pulmonary disease
BPCO = broncopneumopatia cronica ostruttiva.
Definizione: bronchite cronica ostruttiva e/o enfisema polmonare ostruttivo.
Epidemiologia
È l’affezione respiratoria più frequente, e la causa più frequente di cuore polmonare e
di insufficienza respiratoria.
Statistiche comparative sulla mortalità dimostrano che l’Inghilterra con il Galles, la
Scozia e l’Irlanda del Nord ne detiene il primato.
La morbilità da bronchite aumenta a partire dal 20° anno di vita fino all’età avanzata.
Il 50% dei soggetti fumatori, dopo i 40 anni ha una bronchite cronica.
BRONCHITE CRONICA
Definizione dell’OMS: si parla di bronchite cronica quando un paziente presenta tosse pro-
duttiva per almeno 3 mesi per 2 anni consecutivi.
Epidemiologia: malattia polmonare cronica più frequente; sino al 10% della popolazione
nei Paesi industrializzati. M:F = 3:1.
Eziologia: è multifattoriale:
1. fattori esogeni:
— fumo di sigarette! Il 90% dei bronchitici cronici è fumatore o ex-fumatore. Il
50% dei fumatori oltre i 40 anni è affetto da bronchite cronica
— inquinamento atmosferico (ad es. SO2, polveri): ambiente di lavoro/ambiente
esterno, condizioni climatiche (freddo-umido), miniera. Dopo una dose cumula-
tiva di polveri pari a 100 [(mg/m3) × anno], raddoppia il rischio di ammalarsi di
BPCO o enfisema (malattia professionale dei minatori delle miniere di carbone)
— le infezioni broncopolmonari recidivanti portano all’aggravamento della BPCO
2. fattori endogeni: sindromi da deficit di anticorpi (ad es. deficit di IgA), deficit di
α1-antitripsina, discinesia ciliare primitiva, e altre cause ereditarie.
Anatomia patologica
Inizialmente paralisi ciliare, con insufficienza muco-ciliare, successivamente distruzione
dell’epitelio ciliare, aumento abnorme della secrezione della mucosa bronchiale partico-
larmente a carico dei bronchi di maggior calibro; ghiandole della mucosa ipertrofiche,
metaplasia piatta dell’epitelio bronchiale, infiltrazione linfo-plasmacellulare; dopo l’i-
pertrofia iniziale si instaura un’atrofia della mucosa bronchiale; la parete dei bronchi di-
viene più sottile e si affloscia. Durante l’espirazione forzata si ha così un collasso bron-
chiale, con conseguente ostruzione esobronchiale e disturbo della distribuzione della
ventilazione.
Clinica
Evoluzione in 3 stadi:
1. bronchite cronica non ostruttiva = bronchite cronica semplice + espettorazione (re-
versibile). Espettorazione mattutina che assume un aspetto purulento in caso di in-
fezione batterica (in presenza di grandi quantità di escreato pensare alla possibilità
388
di bronchiectasie). Se l’escreato ha odore fetido, pensare a un focolaio broncopneu-
monico oppure a un ascesso polmonare
2. bronchite cronica ostruttiva (COB) con dispnea da sforzo e diminuzione del rendi-
mento
3. complicanze tardive: enfisema ostruttivo, insufficienza respiratoria, cuore polmonare.
I disturbi sono più accentuati in autunno e in inverno.
Ogni infezione delle vie respiratorie costituisce un grosso rischio per il paziente, in
quanto la ridotta funzione polmonare può essere rapidamente compromessa fino alla in-
sorgenza di insufficienza respiratoria critica.
Auscultazione: rumori secchi e/o umidi (a seconda della quantità dell’escreato, della com-
ponente spastica e dell’infiltrazione infiammatoria).
Coltura dell’escreato + antibiogramma
Modalità di prelievo del campione: profonda espettorazione al mattino, dopo scrupolo-
sa pulizia della bocca con acqua; un prelievo di secreto endobronchiale è più attendibi-
le (aspirazione cieca o durante broncoscopia). Il materiale deve essere esaminato velo-
cemente, oppure inviato al laboratorio in contenitore refrigerato. I germi più frequente-
mente in causa nelle riacutizzazioni sono:
— batteri: solitamente Haemophilus influenzae, spesso associato a pneumococchi; più
raramente altri batteri (ad es. Staphylococcus aureus, Moraxella catharralis, ecc.). In
casi gravi avanzati, si osserva una variazione dello spettro dei patogeni (enterobat-
teri, Proteus, Klebsiella, Pseudomonas, ecc.)
— virus (ad es. Rhinovirus, virus influenzale A e B, ecc.)
— micoplasma
Nota: virus e micoplasmi hanno un ruolo favorente la sovrainfezione batterica.
Laboratorio
Esclusione di una sindrome da deficit di anticorpi (dosaggio delle immunoglobuline), di
un deficit di α1-antitripsina.
Radiologia: è normale in caso di bronchite non complicata; piccoli addensamenti marezza-
ti depongono per un’infiltrazione infiammatoria.
Broncoscopia
Con batteriologia, citologia e istologia (biopsia).
Funzionalità polmonare
— Bronchite cronica non ostruttiva: solitamente valori ancora normali; per escludere
un’iperreattività bronchiale è consigliabile un test di provocazione con metacolina.
— Bronchite cronica ostruttiva: documentazione di un disturbo ventilatorio ostruttivo.
Stadi della BPCO sec. l’European Respiratory Society (in base al VEMS % del-
l’atteso):
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• lieve > 70%
• media 50-69%
• grave < 50%
Nei fumatori si osserva una precoce riduzione del MEF25.
Un’ostruzione reversibile si riconosce col test di broncolisi: miglioramento del
VEMS e delle resistenze respiratorie dopo inalazione di un simpaticomimetico β2-
stimolante.
— In caso di enfisema polmonare complicato: volume di gas intratoracico aumentato.
— Determinazione del CO nell’aria espirata nei fumatori: i non fumatori hanno valori
< 5 ppm; i fumatori possono raggiungere 50 ppm e oltre a seconda del consumo di
sigarette.
Emogasanalisi arteriosa
In caso di insufficienza respiratoria parziale: pO2 diminuita.
In caso di insufficienza respiratoria globale: pO2 diminuita e pCO2 aumentata.
Se sono noti i valori di base, la pulsossimetria consente di rilevare un’eventuale peg-
gioramento della saturazione di O2, oppure il miglioramento secondario alla terapia.
Complicanze
Broncopolmonite, bronchite purulenta, ascesso polmonare, bronchiectasie secondarie,
complicanze dello stadio 3 (vedi Clinica).
Diagnosi differenziale
1. Bronchite secondaria ad altre affezioni:
— carcinoma bronchiale.
Nota: la bronchite cronica è una diagnosi di esclusione! Ciò significa che oc-
corre sempre accertare che sotto una stessa sintomatologia con tosse ed espetto-
razione non si nasconda un’affezione completamente diversa. Questo vale in
particolare per il carcinoma bronchiale, nel quale la bronchite cronica costituisce
una delle diagnosi errate più frequenti. Non è pertanto consigliabile porre alcu-
na diagnosi senza prima aver eseguito una radiografia del torace; in caso di dia-
gnosi incerta, praticare una broncoscopia.
— tubercolosi (documentazione colturale del patogeno)
— bronchiectasie (escreato a 3 strati, TC, broncografia)
— sindrome sino-bronchiale = sinusite cronica quale causa di bronchiti recidivanti
! ORL, radiografia dei seni paranasali
— corpi estranei nel sistema bronchiale ! broncoscopia
2. Asma bronchiale (nella crisi di tosse, «il bronchitico tossisce all’esterno, l’asmatico
all’interno!»).
Diagnosi
Anamnesi (fumo di sigaretta!) + clinica (tosse cronica produttiva).
Terapia
Sequenziale e a lungo termine!
— eliminare le noxae patogene (fumo di sigaretta, esposizione alle polveri)
— eliminare i focolai d’infezione (sinusite cronica)
— in caso di esacerbazione acuta, somministrare antibiotici ad ampio spettro, dopo
aver eseguito il prelievo dell’escreato o del secreto bronchiale per la diagnostica
batteriologica. Alternative: macrolidi (ad es. claritromicina), aminopenicilline + ini-
bitore della β-lattamasi (ad es. amoxicillina + acido clavulanico oppure ampicillina
+ sulbactam), cefalosporine; farmaci di seconda scelta sono i nuovi fluorochinoloni
(vedi cap. Polmonite)
390
— terapia a 3 stadi della bronchite ostruttiva:
1. inalazione di β2-simpaticomimetici a breve durata d’azione secondo necessità,
eventualmente associati a parasimpaticolitici (= anticolinergici)
2. aggiunta di preparati teofillinici retard, evtl. β2-mimetici a lunga durata d’azione
3. ulteriore tentativo terapeutico con glucocorticosteroidi orali (ad es. prednisolone
20 mg/die per 2 settimane):
• in caso di miglioramento (aumento del VEMS ≥ 15%): ridurre la dose e infi-
ne passare agli steroidi per via inalatoria
• in caso di mancato miglioramento: sospendere gli steroidi.
— mucolitici in caso di secreto denso, bere molto, aerosol-terapia (vedi Terapia dell’a-
sma bronchiale)
— terapia inalatoria con soluzione di NaCl 0,9%; in caso di bronchite spastica, som-
ministrazione di β2-simpaticomimetici (ad es. salbutamolo)
— massaggio a percussione per stimolare l’espettorazione
— ginnastica respiratoria
— immunizzazione attiva contro pneumococchi e virus influenzali
— trattamento delle complicanze tardive (vedi capp. Enfisema polmonare e Cuore pol-
monare).
Prognosi
La bronchite cronica non ostruttiva è spesso ancora reversibile dopo la rimozione delle
noxae (fumo di sigaretta, esposizione alle polveri); la prognosi peggiora con la com-
parsa dei disturbi ventilatori ostruttivi, che riducono la spettanza di vita.
Prevenzione
Rinunciare al fumo di sigaretta, non esporsi alle polveri (ad es. in miniera).
ENFISEMA POLMONARE
Definizione (OMS)
Dilatazione irreversibile degli spazi aerei situati distalmente al bronchiolo terminale,
conseguente a distruzione della loro parete.
Epidemiologia
In base ai reperti autoptici ospedalieri, l’enfisema polmonare rappresenta la causa di
morte principale nel 10% dei casi.
Anatomia patologica
1. Enfisema primario atrofico («normale» enfisema legato all’età)
2. Enfisema secondario:
— enfisema centrolobulare (centroacinare), come complicanza della BPCO.
— enfisema panlobulare (panacinare) in caso di deficit congenito di inibitori delle
α1-proteasi
— enfisema cicatriziale (iperdilatazione del tessuto polmonare in corrispondenza di
regioni polmonari fibrotiche).
— enfisema vicariante (per iperespansione del polmone residuo dopo resezio-
ne polmonare, nonché in caso di gravi deformazioni del torace, come nella sco-
liosi).
Eziologia e patogenesi
Concetto proteasi/antiproteasi
Anche in condizioni normali nel polmone avviene la liberazione di proteasi (particolar-
391
mente elastasi) dai granulociti neutrofili. Queste proteasi vengono neutralizzate dagli
inibitori delle proteasi. In presenza di una prevalenza delle proteasi avviene la digestio-
ne del polmone e pertanto la formazione di enfisema.
Fenotipo α1-antitripsina
(mg/dl)
Soggetto sano PIMM > 250
Paziente eterozigote PIMZ/PIMS 50-250
Paziente omozigote PIZZ/PISS < 50
392
2. tipo BB («blue bloater» = soggetto bronchitico):
— soggetti in sovrappeso
— cianosi marcata con poliglobulia, mai dispnea
— tosse ed espettorazione (generalmente bronchite cronica)
— insufficienza respiratoria globale (ipossiemia + ipercapnia) con aumentata pres-
sione del liquor e cefalea
— cuore polmonare che si instaura precocemente, con insufficienza cardiaca destra.
Complicanze
1. Insufficienza respiratoria
I citati disturbi della funzione polmonare portano all’aumento dello spazio morto
funzionale che non partecipa agli scambi gassosi. A partire da un livello critico, si
giunge all’insufficienza respiratoria parziale (ipossiemia) e infine a quella globale
(ipossiemia + ipercapnia).
2. Ipertensione polmonare e cuore polmonare, causati da:
a) costrizione arteriolare da ipossia in settori polmonari ventilati al minimo = ri-
flesso di Euler-Liljestrand
b) distruzione dei capillari.
Ispezione
• torace a botte
• coste orizzontali
• fosse clavicolari sporgenti
• ridotta differenza tra circonferenza toracica inspiratoria ed espiratoria
• movimento respiratorio paradosso delle ultime coste
• «corona venosa di Sahl»: piccole vene cutanee nella regione dell’arco costale, peral-
tro osservabili anche in soggetti sani.
Percussione
• basi polmonari abbassate, poco mobili
• iperfonesi plessica
• diminuzione o innalzamento dell’aia di ottusità cardiaca assoluta
• per l’appiattimento del diaframma il margine epatico può essere palpabile molto al di
sotto dell’arco costale (diagnosi differenziale: epatomegalia).
Auscultazione
• murmure vescicolare e toni cardiaci poco apprezzabili
• rumori secchi diffusi.
Radiologia
• iperdiafania dei campi polmonari, con rarefazione del disegno vascolare periferico
• aumento del diametro toracico sagittale, appiattimento del diaframma
• aumento degli spazi intercostali e orizzontalizzazione delle coste
• evtl. bolle enfisematose più grandi.
Nei casi di deficit di α1-antitripsina l’enfisema colpisce le aree polmonari basali.
Reperti radiologici in caso di cuore polmonare:
• arco polmonare prominente
• dilatazione delle arterie polmonari prossimali all’ilo
• contemporanea riduzione di calibro alla periferia
• aumento di volume del cuore destro con riempimento della regione retrosternale in
proiezione laterale.
393
TC ad alta definizione
È il metodo più sensibile per la dimostrazione di un enfisema polmonare.
Funzionalità polmonare
1. Aumento del volume d’aria intratoracica e della capacità polmonare totale.
2. Disturbi ventilatori ostruttivi
— Ostruzione esobronchiale:
• diminuzione in fase espiratoria della tensione polmonare (perdita di elasticità)
con restringimento espiratorio dei bronchi ! aumento espiratorio della resi-
stenza respiratoria e diminuzione del volume di riserva espiratorio. Nella re-
spirazione a riposo, le resistenze possono essere ancora normali; aumentano in
corso di attività fisica, quando il respiro diviene più profondo; compare così
dispnea;
• collasso espiratorio dei bronchi dovuto all’instabilità delle pareti nell’enfise-
ma avanzato.
— Ostruzione endobronchiale:
tumefazione della mucosa bronchiale – secrezione mucosa – broncospasmo nel
quadro di asma bronchiale o bronchite cronica ostruttiva.
Il disturbo ventilatorio ostruttivo promuove lo sviluppo dell’enfisema attraverso
la sovratensione e distruzione degli alveoli. Il sacco alveolare ingrandito e af-
flosciato, in caso di espirazione forzata, può occludere il bronchiolo, con collas-
so espiratorio dei bronchioli prima che gli alveoli siano ventilati (air trapping).
In caso di forte ostruzione e tachipnea l’espirazione può essere ritardata in mo-
do tale da intersecarsi con l’inspirazione (= ventilazione parallela): inoltre, du-
rante l’inspirazione, la parete toracica può ritirarsi verso l’interno (= antagoni-
smo diaframma-parete toracica).
– Diminuzione del volume espiratorio massimo in un secondo = VEMS (assolu-
to e relativo) (FEV1 = volume espiratorio forzato nel primo secondo).
Nella curva spirometrica del VEMS compare spesso una deflessione. Ciò si
spiega con l’improvviso collasso delle vie respiratorie periferiche instabili du-
rante una espirazione forzata (fenomeno «check valve»). Il VEMS è il para-
metro più semplice e più sensibile per valutare il decorso di un enfisema
ostruttivo.
Nota: fin tanto che si ha un enfisema polmonare senza rilevante ostruzione
ventilatoria, la capacità di rendimento del paziente non è oltremodo compro-
messa. Se VEMS è < 0,8 l, vi è di solito invalidità (sempre che il paziente ab-
bia eseguito correttamente il test, cosa talvolta difficile da valutare).
Come espressione del processo di invecchiamento fisiologico del polmone, il
VEMS diminuisce all’anno dei seguenti valori medi:
• non fumatori 120 ml
• fumatori 140 ml
• deficit grave di α1-antitripsina 120 ml
• enfisema polmonare > 60 ml
– deformazione ad arco concavo della curva espiratoria flusso-volume, con
eventuale deflessione da fenomeno «check valve» (vedi sopra)
– aumento delle resistenze respiratorie e forma a clava della curva di resisten-
za, quale indicazione dell’instabilità delle vie respiratorie periferiche
– col test di broncolisi è possibile distinguere la quota di compromissione ven-
tilatoria ostruttiva reversibile da quella irreversibile
394
– la capacità di diffusione (fattore transfer) è diminuita nell’enfisema polmona-
re (nell’asma bronchiale e nella bronchite cronica non complicata da enfisema
è abitualmente normale).
IRV
IRV
CV CV = capacità vitale
RV
CV ERV
VC RV = volume residuo
TLC TLC = capacità polmonare totale
ERV
VC = volume corrente
RV RV ERV = volume di riserva espiratorio
IRV = volume di riserva inspiratorio
Normale Enfisema
ostruttivo
395
— vaccinazione contro il virus dell’influenza e gli pneumococchi
— trattamento sostitutivo con concentrati di α1-antitripsina in presenza di grave de-
ficit congenito di questa sostanza: il livello di α1-antitripsina deve essere > 80
mg/dl (all’immunodiffusione radiale). Prospettiva futura: terapia genica somatica.
2. Trattamento sintomatico:
— trattamento broncolitico dell’enfisema polmonare ostruttivo secondo lo schema
a 3 stadi (vedi cap. Bronchite cronica ostruttiva)
— ginnastica respiratoria, tecnica respiratoria
l’enfisematoso deve imparare ad evitare il collasso espiratorio delle vie respira-
torie respirando con le labbra leggermente chiuse («pursed lips breathing»).
Senza questo accorgimento, che mantiene una pressione endobronchiale suffi-
ciente per evitare il collasso delle vie respiratorie, l’enfisematoso incorrerebbe
rapidamente, con respirazione incontrollata e libera, in crisi di dispnea. In com-
mercio si trovano dispositivi manuali per aumentare le resistente respiratorie.
— terapia del cuore polmonare: (vedi capitolo relativo)
— in caso di poliglobulia conclamata, salasso con prudenza
— terapia dell’ipossia: poiché nel paziente enfisematoso, con insufficienza respira-
toria globale (blue bloater), l’ipossia arteriosa è il più importante stimolo respi-
ratorio, la somministrazione incontrollata di O2 è assolutamente controindicata!
In caso di ipossia acuta, la somministrazione di ossigeno va effettuata con pru-
denza e controllando i gas ematici: se con l’apporto di O2 dovessero peggiorare
ipercapnia e funzione cerebrale è indicato il trattamento respiratorio:
• respirazione intermittente assistita mediante un respiratore con comando di
pressione attraverso maschera nasale o boccaglio. In caso di ulteriore peggio-
ramento !
• respirazione controllata con tubo endotracheale.
In caso di ipossia cronica (PaO2 < 55 mm Hg) senza tendenza all’ipercapnia si
può attuare un trattamento a lungo termine con ossigeno (vedi cap. Cuore pol-
monare). L’ossigenoterapia a lungo termine può allungare la sopravvivenza dei
pazienti ipossiemici.
Nota: i farmaci che deprimono la respirazione (come morfina, diazepam e bar-
biturici) sono controindicati nei soggetti enfisematosi!
3. Intervento di riduzione del volume polmonare: la riduzione di circa il 20% del tes-
suto polmonare enfisematoso porta spesso al miglioramento della funzione polmo-
nare.
4. Trapianto di polmone: vedi cap. Insufficienza respiratoria.
Prognosi
Dipende decisamente dal tempestivo trattamento ottimale. Se il paziente non smette di
fumare non è possibile influenzare la progressione della malattia. Con valori di VEMS
< 1 l la spettanza di vita è nettamente ridotta e vi è inabilità lavorativa. Le cause di
morte più frequenti sono l’insufficienza respiratoria e il cuore polmonare. Con l’ossige-
no-terapia controllata a lungo termine si può migliorare la prognosi.
ASMA BRONCHIALE
Definizione
L’asma è una malattia infiammatoria cronica delle vie respiratorie. In soggetti predi-
sposti, l’infiammazione conduce a crisi di «fame d’aria» secondarie a restringimento
delle vie respiratorie (ostruzione bronchiale). L’ostruzione può regredire spontaneamen-
396
te o con adeguato trattamento. L’infiammazione provoca l’aumento della sensibilità del-
le vie respiratorie (iperreattività bronchiale) nei confronti di numerosi stimoli.
Epidemiologia
Prevalenza: circa 5% degli adulti e sino al 10% dei bambini; la prevalenza sta aumen-
tando in tutto il mondo. M:F = 2:1. Prevalenza più elevata in Scozia e Nuova Zelanda;
prevalenza più bassa nell’Europa dell’Est e Asia. L’asma allergico compare solitamen-
te in età infantile, quello non allergico in età media (> 40 anni).
Frequenza delle singole forme di asma: il 10% dei soggetti asmatici adulti è affetto da
asma estrinseco o intrinseco, l’80% da forme miste. Nei bambini ed in età giovanile
prevale l’asma puramente allergico; in età superiore ai 45 anni l’asma infettivo è la for-
ma più frequente.
Eziologia
1. Asma allergico (asma estrinseco)
a) da sostanze allergizzanti presenti nell’ambiente (vedi più avanti)
b) da sostanze allergizzanti di tipo lavorativo
2. Asma non allergico (asma intrinseco)
— dopo episodi infettivi delle vie respiratorie
— forma pseudoallergica (da intolleranza) da analgesici
— da stimoli irritanti di natura chimica o tossica
— asma/tosse in seguito a reflusso gastro-esofageo
— asma da sforzo (particolarmente in bambini e giovani).
3. Forme miste: estrinseco + intrinseco.
Fattori genetici: le cosiddette affezioni atopiche (asma bronchiale, rinite allergica e neuro-
dermite) si manifestano spesso a livello familiare e sono caratterizzate da una predispo-
sizione, trasmessa ereditariamente come carattere autosomico dominante, a produrre
elevate quantità di IgE.
Quando entrambi i genitori sono affetti da tali malattie, nel 40-50% dei casi i figli pre-
sentano un’affezione atopica (in caso tale affezione si verifichi solo in uno dei genito-
ri, tale frequenza si dimezza). Circa 1/4 dei pazienti con rinite da pollini sviluppa, dopo
un periodo > 10 anni, un asma da pollini. Il 50% della popolazione dell’isola Tristan da
Cunha soffre d’asma in seguito a ereditarietà famigliare. Il gene mutato CC16 variante
38A sembra svolgere un ruolo significativo nella predisposizione all’asma.
Patogenesi
La predisposizione genetica e gli agenti esogeni scatenanti (allergeni, infezioni) condu-
cono all’infiammazione bronchiale. Successivamente compare la iperreattività bronchia-
le ed evtl. l’asma bronchiale. Si hanno pertanto 3 caratteristiche tipiche della malattia:
1. infiammazione bronchiale: la reazione infiammatoria della mucosa bronchiale, sca-
tenata da allergeni o infezioni, svolge un ruolo centrale nella patogenesi dell’asma,
che vede la partecipazione di mastociti, linfociti T, granulociti eosinofili e mediato-
ri della flogosi
2. iperreattività bronchiale: in tutti gli asmatici è presente, all’esordio e nel decorso
della malattia, uno stato di iperreattività bronchiale aspecifica. Il test di provocazio-
ne con metacolina rileva tale iperreattività nel 15% della popolazione adulta, ma so-
lo il 5% soffre di asma bronchiale clinicamente evidente
3. ostruzione endobronchiale causata da:
• broncospasmo
• edema della mucosa e infiltrato flogistico locale
• ipersecrezione di muco denso (discrinia).
— Patogenesi dell’asma allergico: il meccanismo più importante è rappresentato dalla
397
reazione allergica di tipo I, mediata dalle IgE. Queste, interagendo con allergeni
specifici, determinano la degranulazione dei mastociti, con liberazione di sostanze
mediatrici come l’istamina, ECF-A (eosinophil chemotactic factor of anaphylaxis),
leucotrieni e bradichinina.
Queste sostanze mediatrici determinano un’ostruzione endobronchiale.
Accanto alla reazione asmatica immediata causata da IgE, dopo inalazione di aller-
geni si può avere anche una reazione tardiva dopo 6-12 ore. Alcuni pazienti hanno
ambedue le forme di reazione («dual reactions»).
L’insorgenza iniziale di un asma prettamente allergico è da attribuire quasi sempre
ad un singolo allergene; nel corso degli anni però lo spettro delle cause scatenanti
si amplia, per cui la prevenzione basata sull’evitare il contatto con l’allergene di-
venta sempre più difficile.
— Patogenesi della reazione pseudoallergica: la reazione pseudoallergica attiva gli
stessi mediatori delle reazioni allergiche, distinguendosi nei seguenti punti:
• le reazioni pseudoallergiche non sono specifiche per l’agente scatenante
• si manifestano già durante la prima somministrazione (nessuna sensibilizzazione,
non mediate da IgE)
• non sono acquisite ma determinate geneticamente.
Un’intolleranza all’acido acetilsalicilico e ad altri FANS è presente nel 10% circa di
tutti i pazienti con asma non allergico (solo raramente con asma allergico). Spesso
esiste anche un’intolleranza ad altre sostanze, come il solfito (ad es. nel vino), la ti-
ramina (formaggio), il glutammato, ecc.
Cause scatenanti un attacco acuto d’asma:
— esposizione all’antigene, sostanze inalanti irritanti
— infezioni respiratorie virali
— farmaci scatenanti l’asma (ASA, betabloccanti, parasimpaticomimetici)
— sforzo fisico (asma da sforzo)
— aria fredda
— terapia inadeguata.
Clinica
I sintomi asmatici possono presentare una stagionalità ricorrente (allergia stagionale ai
pollini), non avere stagionalità oppure essere presenti per tutto l’anno (asma perenne);
— il sintomo principale è rappresentato da attacchi parossistici di dispnea, con sibili
espiratori (diagnosi differenziale: stridore inspiratorio nell’ostruzione delle vie re-
spiratorie superiori!).
— tosse stizzosa, assai fastidiosa (sintomo precoce dell’iperreattività bronchiale).
— durante l’attacco il paziente è dispnoico, in decubito semi-ortopnoico con interessa-
mento della muscolatura ausiliare della respirazione (espirio prolungato).
— quando il paziente è molto provato, alternanza respiratoria = alternarsi della respi-
razione toracica con quella addominale.
— tachicardia, evtl. polso paradosso con caduta della PA in fase inspiratoria > 10 mm
Hg.
— auscultazione: ronchi, gemiti o sibili prevalentemente espiratori. In caso di bronco-
spasmo grave con iperdistensione polmonare (volumen pulmonum auctum) oppure
di enfisema conclamato non si percepisce quasi nulla («silent chest»).
— percussione: iperfonesi plessica con abbassamento del diaframma.
— laboratorio: eventuale aumento nel sangue e nell’escreato degli eosinofili e della
ECP (= proteina cationica eosinofila), quale indicazione di una flogosi allergica; in
caso di asma allergico aumento della IgE specifiche e totali; in caso di asma infet-
tivo eventuale leucocitosi, aumento della VES e della PCR.
398
— escreato: scarso, denso, vischioso (in caso di asma infettivo talvolta è di colore ver-
de-giallastro).
— ECG: tachicardia sinusale, eventuali segni da sovraccarico del cuore destro: P pol-
monare, deviazione assiale destra, eventuale blocco di branca destra, eventuale tipo
S1, Q3 o tipo S1, S2, S3.
— radiografia del torace: polmoni iperespansi (campi polmonari iperdiafani) con ab-
bassamento del diaframma, silhouette cardiaca più sottile.
— funzionalità polmonare:
• VEMS diminuito. Valutazione della reversibilità dell’ostruzione bronchiale con il
test di broncolisi: aumento del VEMS di almeno il 20% dopo inalazione di un β2-
agonista
• PEF e MEF50 diminuiti; la misurazione del picco di flusso è importante perché
può essere eseguita dal paziente, anche al domicilio; gli asmatici mostrano oscil-
lazioni circadiane del grado di ostruzione bronchiale, con aumento dell’ostruzione
nelle prime ore del mattino
• in caso di ostruzione marcata, diminuzione della capacità vitale, con aumento del
volume residuo da «air trapping» e spostamento della posizione respiratoria me-
dia verso l’inspirazione
• resistenza respiratoria aumentata; a partire da valori di resistenza di 0,45 kPa/l/s
il paziente percepisce l’asma come fame d’aria.
Nota: poiché l’asma bronchiale è una malattia a crisi parossistiche, la funzionalità
polmonare può essere normale negli intervalli intercritici. In questo caso è possibile
documentare la iperreattività bronchiale con il test di provocazione.
— emogasanalisi arteriosa nell’attacco d’asma: 3 stadi
Stadio pO2 pCO2 pH
I = iperventilazione n # $ Alcalosi respiratoria
II = insufficienza respiratoria parziale # n n
III = insufficienza respiratoria # acidosi respiratoria
< 50 > 45
III = globale (+ acidosi metabolica)
Complicanze
• stato di male asmatico: crisi d’asma resistente ai β2-adrenergici con pericolo di vita
• enfisema polmonare ostruttivo: in questo caso oltre alla già descritta ostruzione en-
dobronchiale dell’asma può verificarsi anche un’ulteriore ostruzione esobronchiale =
collasso espiratorio dei bronchioli conseguente a instabilità della parete dei bron-
chioli
• ipertensione polmonare e cuore polmonare
• insufficienza respiratoria.
Livelli di gravità dell’asma (Deutsche Atemwegsliga, 1999)
(*) VEMS = volume espiratorio massimo in 1 secondo; PEF = picco di flusso espiratorio
399
Diagnosi differenziale
1. Con altre affezioni:
— bronchite cronica ostruttiva: anamnesi
— asma cardiaco = dispnea in pazienti con insufficienza del cuore sinistro e stasi
polmonare (edema polmonare imminente): ronchi umidi, radiografia del torace:
stasi polmonare
— dispnea in caso di embolie polmonari recidivanti
Nota: in entrambe le affezioni può verificarsi un broncospasmo riflesso; in tal
caso anche una terapia antiasmatica può ottenere miglioramenti parziali dei di-
sturbi, ma ciò non deve portare alla diagnosi errata di asma bronchiale!
— stridore inspiratorio in caso di ostruzione delle vie respiratorie extratoraciche
(ad es. corpi estranei, edema della glottide, laringospasmo intermittente = vocal
cord dysfunction)
— pneumotorace a valvola (differenza auscultatoria tra i 2 lati)
— sindrome da iperventilazione
— asma bronchiale in corso di sindrome da carcinoide.
2. Diagnosi differenziale asma estrinseco (allergico) - intrinseco (non allergico).
Diagnosi
1. Diagnosi di iperreattività bronchiale
• valutazione del picco di flusso nell’arco di 4 settimane, con misurazioni al matti-
no e alla sera:
oscillazioni del valore del picco di flusso > 20%
• test di provocazione con metacolina:
se un paziente sospettato di asma mostra valori normali di VEMS e di resistenza
respiratoria, è consigliabile l’esecuzione di un test di provocazione per documen-
tare l’iperreattività bronchiale: dopo l’inalazione di sostanze ad effetto broncoco-
strittore (ad es. metacolina), in caso di test positivo si osserva un raddoppio della
resistenza e una caduta del VEMS di almeno il 20%.
PC 20 = concentrazione della sostanza impiegata nel test che provoca una caduta
del VEMS pari ad almeno il 20%. Con la metacolina una PC 20 ≤ 8 mg/dl è in-
dicativa di iperreattività bronchiale.
2. Diagnosi di asma bronchiale manifesto
anamnesi + clinica + funzionalità polmonare con test di broncolisi.
3. Evtl. dimostrazione di infiammazione delle vie respiratorie (non sono indagini di
routine);
• dimostrazione di granulociti eosinofili nell’escreato
• evtl. broncoscopia con lavaggio broncoalveolare (BAL).
4. Individuazione degli allergeni
a) Anamnesi allergologica (ambiente di lavoro, tempo libero).
400
b) Eventuale assenza di sintomi in certe situazioni (ad es. in vacanza) ed eventua-
le loro ricomparsa in altre (ad es. ambiente di lavoro).
c) Test cutanei: Prick-test, test intracutanei per la dimostrazione in una reazione
immediata IgE mediata (tipo I):
— screening con allergeni comuni ubiquitari:
• nel sospetto di allergia ai pollini, identificazione dei pollini principali:
in caso di allergia primaverile: pollini degli alberi di nocciolo, ontano,
frassino, betulla
in caso di allergia estiva: pollini di graminacee e cereali
in caso di allergia autunnale: pollini di artemisia, composite
• acaro della polvere, aspergillo, pelo ed epitelio di animali
• allergie professionali: sono spesso allergizzanti: prodotti a base di farina,
prodotti cotti al forno, polveri di derrate alimentari anche per uso veteri-
nario, allergeni vegetali, polvere di legno e di sughero, antigeni di origine
animale, isocianati, prodotti per parrucchieri, cosmetici, ecc.
— test di conferma con gli allergeni sospetti:
i test cutanei vanno eseguiti nei periodi intercritici. Corticosteroidi orali, an-
tiistaminici e stabilizzatori dei mastociti devono essere sospesi 1-4 settimane
prima dei test, a seconda della loro durata d’azione. La valutazione dei test
(diametro del pomfo) viene eseguita dopo 10-15 minuti. Come controllo ne-
gativo (0) si usa il solo solvente; come controllo positivo (+++) si usa l’i-
stamina. Poiché, sebbene raramente, sono possibili reazioni anafilattiche, te-
nere pronti i farmaci d’emergenza.
Nota: un test cutaneo positivo non documenta ancora il significato patoge-
netico dell’allergene. Solo la positività del test di provocazione con l’aller-
gene sospetto è sicuramente diagnostica.
d) Diagnosi immunologica:
— dosaggio delle IgE totali: nella polisensibilizzazione, il livello delle IgE to-
tali è aumentato, nella monosensibilizzazione i valori sono spesso normali;
poiché sino a 1/3 dei pazienti con asma non allergico ha comunque valori
aumentati, le IgE totali non hanno grande valore diagnostico;
— valutazione delle IgE specifiche: rappresenta la dimostrazione che un aller-
gene sospetto ha indotto la formazione di IgE specifiche (metodica: ad es.
RAST = Radio-Allergo-Sorbent-Test, CAP System);
— test di liberazione di istamina dai granulociti basofili (non è un’indagine di
routine): gli allergeni sospetti vengono incubati in vitro con una sospensione
leucocitaria e viene misurata la liberazione di istamina.
e) Test di provocazione: nei casi dubbi, gli allergeni sospetti vengono fatti inalare
(test di provocazione nasale o bronchiale a seconda di quale sia l’organo bersa-
glio) per appurare se sono in grado di scatenare una reazione, seppur attenuata.
In altre parole, se sono in grado di indurre un’ostruzione bronchiale misurabile.
Il test non è privo di pericoli (farmaci e rianimazione pronti!) e occorre tenere
presente eventuali reazioni tardive dopo 6-8 h (tenere fino ad allora il paziente
sotto controllo medico). Precedentemente sospendere per almeno 2 giorni i far-
maci che possono influenzare la reattività bronchiale.
f) Diagnosi dell’asma professionale
— aumento dell’ostruzione bronchiale in corso di esposizione lavorativa (con-
fronto dei picchi di flusso durante il tempo libero e durante il lavoro);
— identificazione dell’allergene sospetto per mezzo di un’anamnesi lavorativa
401
dettagliata (prendere contatti con il medico del luogo di lavoro), prove cuta-
nee e determinazione delle IgE specifiche;
— test di provocazione positivo.
Terapia
a. Causale
È possibile solo in alcuni casi e in misura limitata
• asma allergico: tentativo di riduzione del carico allergenico e iposensibilizzazio-
ne specifica (vedi sotto)
• asma non allergico: evitare e trattare le infezioni respiratorie; curare eventuali si-
nusiti già presenti; trattamento del reflusso gastro-esofageo.
b. Sintomatica:
Trattamento «a scaletta», su 4 livelli successivi (Deutsche Atemwegsliga, 1999)
Scopo del trattamento non è l’aumento sino alle dosi massime di una monoterapia,
ma l’ottimizzazione della cura associando farmaci diversi. Lo schema «a scaletta» è
solo di aiuto nell’orientamento terapeutico. In caso di peggioramento acuto è neces-
sario passare rapidamente ai livelli successivi; dopo un miglioramento, la riduzione
della terapia deve essere lenta e prudente.
Per ottimizzare l’efficacia della cura sono necessarie l’istruzione del paziente e l’au-
tomisurazione domiciliare dell’ostruzione, mediante un semplice apparecchio di mi-
surazione del picco di flusso.
Quale parametro di riferimento il paziente deve determinare il proprio valore mi-
gliore = valore di picco di flusso più elevato in assenza di disturbi. Tutti i valori
misurati vanno riferiti al valore personale migliore ! schema «a semaforo»:
— verde: valori di picco di flusso pari all’80-100% del valore personale migliore:
assenza di sintomi
— giallo: valori di picco di flusso tra 60 e 80% del valore personale migliore: di-
sturbi ingravescenti ! urgente necessità di trattamento in base allo schema
— rosso: valore di picco di flusso < 60%: trattamento farmacologico d’emergenza
e valutazione medica immediata (vi è pericolo di vita!).
Tre domande in caso d’asma «resistente agli steroidi»:
1. il paziente assume regolarmente i farmaci (compliance)?
2. vi sono fattori scatenanti ignoti? (allergeni, betabloccanti, intolleranza all’ASA,
ecc.)
3. la diagnosi di asma bronchiale è corretta?
402
A) Farmaci ad effetto antiinfiammatorio
1. Glucocorticosteroidi: sono i più potenti antiinfiammatori.
Meccanismo d’azione:
• antiflogistici, antiallergici, immunosoppressori;
• effetto β-sensibilizzante sui bronchi: nello stato asmatico i broncodilatatori hanno
una minore efficacia a causa della minore sensibilità dei β-recettori. I corticoste-
roidi ristabiliscono la sensibilità dei β-recettori.
a) Somministrazione sistemica
Effetti collaterali: la terapia sistemica cronica a dosi di prednisolone ≥ 7,5 mg/
die (o equivalenti) provoca un Cushing iatrogeno: vedi cap. Glucocorticosteroidi.
— Indicazioni alla terapia con steroidi per via orale:
• peggioramento dei sintomi dell’asma nonostante un dosaggio ottimale dei
broncodilatatori e degli steroidi per via inalatoria
• aumento spontaneo dell’impiego dei broncodilatatori da parte del paziente
• caduta del valore di picco di flusso a valori < 60% del valore individuale
migliore
• attacchi notturni d’asma, nonostante un trattamento ottimale.
Dosaggio: inizialmente 25-50 mg/die, a seconda della gravità; dopo miglio-
ramento clinico, lenta e graduale riduzione.
— Indicazioni alla terapia con steroidi per via endovenosa:
nello stato di male asmatico i corticosteroidi e.v. sono tassativi.
Dosaggio: iniziare con 100-250 mg di prednisolone e.v.; se la sintomatolo-
gia migliora, somministrare 50 mg ogni 4 h. In caso di miglioramento clini-
co ridurre ulteriormente la dose e passare al trattamento orale. Sotto stretto
controllo clinico, riduzione graduale della dose giornaliera di 5 mg per vol-
ta. Generalmente la dose giornaliera totale viene somministrata al mattino; in
caso di asma notturno talvolta occorre somministrare un terzo della dose
giornaliera alla sera. In caso di necessità, si può suddividere la dose giorna-
liera totale in 3 somministrazioni (ad es. ore 7-15-23). Al di sotto dei 20
mg/die di prednisolone, è indicata l’aggiunta di glucocorticoidi per via ina-
latoria; al di sotto dei 10 mg/die, si deve cercare di evitare la somministra-
zione degli steroidi per via orale, passando a quelli per via inalatoria.
b) Somministrazione topica sotto forma di aerosol dosabile
I glucocorticoidi per inalazione sono farmaci ben tollerati ed efficaci per inibire
la flogosi bronchiale. Nell’asma allergico costituiscono i farmaci di base.
Gli steroidi per inalazione iniziano ad agire solo dopo una settimana e non so-
no pertanto adatti per il trattamento di attacchi asmatici acuti. Nell’attacco
asmatico acuto i glucocorticoidi vanno somministrati sempre per via parenterale
(in associazione a broncodilatatori).
Nella maggior parte dei pazienti che necessitano temporaneamente di glucocor-
ticoidi orali è poi possibile sostituire gli steroidi orali con quelli per via inala-
toria.
403
Budenoside, flunisolide e fluticasone sono già in forma biologicamente attiva e
vengono velocemente inattivati nella circolazione.
Il beclometasone è un profarmaco che per avere piena efficacia deve essere
idrolizzato nella posizione C21.
Il mometasone furosato viene inalato come polvere; dosaggio: 0,2-0,4 mg × 1-
2/die.
Effetti collaterali: infezione da candida nel cavo orale, raramente raucedine. Con
dosi giornaliere < 1 mg, gli effetti collaterali sistemici sono improbabili. In caso
di assunzione protratta ad alte dosi, aumentato rischio di cataratta ed evtl. di-
sturbi dell’accrescimento nei bambini.
Controindicazioni: TBC polmonare, micosi, infezioni batteriche delle vie respi-
ratorie.
Regole per la somministrazione per via inalatoria:
• a parità di dose totale, la somministrazione in 2 volte/die è altrettanto effica-
ce dell’inalazione in 4 volte/die;
• l’utilizzo di ausili per l’inalazione (spacer) migliora la distribuzione intrabron-
chiale dei farmaci;
• non più del 30% della dose somministrata raggiunge le vie respiratorie, la
parte restante si deposita nell’orofaringe: a questo livello la comparsa di mi-
cosi può essere largamente evitata assumendo lo spray prima dei pasti e con
successivo lavaggio della bocca;
• la terapia con steroidi per via inalatoria non deve essere intermittente, ma co-
stante a lungo termine;
• in presenza di broncospasmo, la somministrazione degli steroidi per via inala-
toria deve essere preceduta da quella dei β2-simpaticomimetici, atti a indurre
la broncolisi.
2. Stabilizzatori dei mastociti e antiallergici.
Sono efficaci solo per la prevenzione; non sono adatti come terapia dell’attacco
acuto; sono più attivi nei bambini che negli adulti.
• Disodiocromoglicato (= DSCG)
Meccanismo d’azione: inibisce il rilascio dei mediatori dai mastociti sensibilizza-
ti. Poiché l’inalazione del farmaco in polvere può rappresentare uno stimolo irri-
tante, si consiglia la terapia aerosol.
Dosaggio: 2 spruzzi × 4 volte/die.
Effetti collaterali: non sono noti effetti collaterali gravi.
• Nedocromil
Meccanismo d’azione: simile al disodiocromoglicato.
Dosaggio: 2 spruzzi × 4 volte/die.
• Chetotifene
Meccanismo d’azione: stabilizzazione dei mastociti + effetto antiistaminico; azio-
ne preventiva insufficiente.
Dosaggio: a causa degli effetti collaterali sedativi, nei primi giorni somministrare
soltanto 1 compressa per via orale alla sera, in seguito 1 compressa × 2 volte al dì.
Effetti collaterali: sedazione, secchezza delle fauci, eventualmente vertigini; tali
fenomeno spesso scompaiono durante il trattamento.
B) Broncodilatatori
A livello della muscolatura bronchiale sono rappresentati quattro tipi di recettori, ma so-
lamente la stimolazione dei β2-recettori determina una dilatazione della muscolatura
bronchiale, mentre la stimolazione di tutti gli altri recettori (α-recettori, recettori ista-
minergici, recettori colinergici) comporta una broncocostrizione.
404
Lo stato funzionale della muscolatura bronchiale dipende dal rapporto cAMP/cGMP in-
tracellulare (adenosinmonofosfato ciclico/guanosinmonofosfato ciclico).
Tanto maggiore è il rapporto, più le fibre muscolari sono rilasciate. I farmaci β2-agoni-
sti (stimolanti l’adenilciclasi) e gli xantinoderivati (inibitori della fosfodiesterasi) au-
mentano tale rapporto.
1. β2-stimolanti = β2-simpaticomimetici = β2-adrenergici = β2-agonisti
Meccanismo d’azione: agiscono prevalentemente sui recettori β2 della muscolatura
bronchiale, tuttavia hanno anche effetti cardiaci minori, agendo sui recettori β1 del
cuore.
Indicazioni: i farmaci β2-stimolanti sono i broncodilatatori più potenti.
• β2-simpaticomimetici a breve durata d’azione: durata dell’effetto 4-6 ore.
Indicazione: terapia immediata dell’attacco d’asma.
Esempi: fenoterolo, sulbutamolo, terbutalina, clenbuterolo, reproterolo, pirbuterolo.
• β2-simpaticomimetici a lunga durata d’azione: durata dell’effetto 8-12 ore.
Indicazione: a partire dal 3° livello dello schema a 4 livelli: prevenzione di attac-
chi asmatici notturni (in alternativa ai preparati retard di teofillinici). Non adatti
per la terapia immediata dell’attacco d’asma.
Nota: a partire dal 3º livello, i β2-simpaticomimetici + corticosteroidi per via ina-
latoria costituiscono il trattamento di base. I β2-agonisti a lunga durata d’azione
sviluppano il loro effetto ritardato dopo circa 20 minuti. Non sono pertanto indi-
cati per un trattamento immediato dell’attacco asmatico. Per l’attacco acuto som-
ministrare sempre β2-agonisti a breve durata d’azione.
Esempi: formaterolo, salmeterolo.
Effetti collaterali: tachicardia, cardiopalmo, disturbi del ritmo ventricolare, iperten-
sione, tremore, irrequietezza, disturbi del sonno, nell’ischemia coronarica scatena-
mento di una crisi anginosa, evtl. ipopotassiemia in caso di alte dosi.
Controindicazioni: grave ischemia coronarica, cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva,
tachiaritmie, ipertiroidismo, ecc.
Impiego: si è dimostrato molto valido l’impiego di questi farmaci come aerosol do-
sato, a pronta azione (entro un minuto). Gli spacer garantiscono una distribuzione
ottimale della sostanza. Apparecchi per aerosol con valvole che guidano l’inspira-
zione facilitano la sincronizzazione della liberazione della dose e dell’inspirazione.
La dose necessaria per la somministrazione in aerosol è solo il 10% di quella per
via orale! Sussiste tuttavia il rischio di un’impiego non controllato da parte del pa-
ziente.
Dosaggio: si è posto il sospetto che una terapia cronica con β2-adrenergici possa
aumentare la mortalità dei pazienti asmatici. Pertanto, in caso di asma lieve, si rac-
comanda l’impiego dei β2-adrenergici come sintomatici (1-2 spruzzi in caso di crisi
dispnoica). In caso di asma bronchiale grave instabile non è possibile rinunciare ad
un trattamento cronico e regolare (2 spruzzi × 3-4 volte/die) in associazione a cor-
ticosteroidi per via inalatoria e altri antiasmatici.
In caso di asma notturno, prendere in considerazione l’impiego di un β2-adrenergi-
co a lunga durata d’azione da somministrare alla sera (in alternativa alla teofillina).
Nota: se il paziente necessita di più di 10 spruzzi al giorno di un beta2-adrenergico,
la situazione è minacciosa; l’intero programma terapeutico deve essere rivalutato ed
eventualmente portato ad un livello superiore.
2. Derivati della teofillina (Metilxantine):
Meccanismo d’azione: broncospasmolisi, protezione dei mastociti, stimolazione re-
spiratoria centrale e stimolo della muscolatura respiratoria, effetto inotropo e crono-
405
tropo positivo sul cuore. In caso di ostruzione di grado medio, la teofillina ha un ef-
fetto broncodilatore meno efficace dei β2-adrenergici. In caso di ostruzione grave, il
suo effetto si somma a quello dei β2-adrenergici.
Indicazioni: quando la monoterapia con β2-stimolanti non è sufficiente, è utile as-
sociare gli xantino-derivati. Le teofilline sono particolarmente adatte per la terapia e
la prevenzione degli attacchi asmatici notturni, inoltre per la terapia e.v. dell’attac-
co asmatico acuto.
Effetti collaterali
• disturbi a livello del SNC: irrequitezza, disturbi del sonno, cefalea, tremore mu-
scolare, iperventilazione
• disturbi gastrointestinali: nausea, vomito, diarrea, pirosi
• tachicardia, evtl. extrasistolia, tachiaritmie
• reazioni allergiche con l’uso e.v. di preparati a base di etilendiamina.
Controindicazioni: infarto cardiaco recente, tachiaritmia, cardiomiopatia ipertrofica
ostruttiva, ecc.
La teofillina ha un range terapeutico molto stretto, compreso fra 8-20 µg/ml (con-
centrazione plasmatica); oltre i 25 µg/ml sussiste il rischio di disturbi del ritmo car-
diaco (tachiaritmie) e di convulsioni.
L’emivita plasmatica presenta notevoli variazioni individuali. Il 90% della teofillina
somministrata viene metabolizzata attraverso il fegato; il sistema enzimatico catabo-
lico del citocromo P450 è influenzato da vari fattori ! nei pazienti con età > 60
anni, infezioni febbrili, epatopatie croniche, insufficienza del cuore destro (cuore
polmonare!) nonché dopo assunzione di particolari farmaci (come cimetidina, anti-
biotici macrolidi, chinoloni, allopurinolo), l’emivita plasmatica del farmaco è mag-
giore. In queste situazioni è opportuno ridurre la dose.
Anche la caffeina ha un’azione broncodilatatrice ed aumenta sia l’efficacia che gli
effetti collaterali della teofillina.
Conseguenze: poiché la clearance individuale del farmaco varia da soggetto a sog-
getto, ed inoltre può essere alterata dalla contemporanea assunzione di altri farma-
ci, si consiglia di individualizzare sempre la dose monitorando la concentrazione
plasmatica del farmaco, specialmente in presenza di gravi attacchi asmatici con
cuore polmonare!
Impiego:
• le compresse retard vengono generalmente somministrate per via orale. Con le
preparazioni in gocce l’inizio dell’azione è rapido.
Dosaggio: la dose giornaliera iniziale negli adulti è di 400-800 mg, possibilmen-
te controllando la teofillinemia. La dose giornaliera totale dei farmaci retard vie-
ne suddivisa in 2 somministrazioni quotidiane (1/3 al mattino e 2/3 la sera). Qua-
lora gli attacchi siano solo notturni, viene somministrata un’unica dose serale
• per via endovenosa
Dosaggio: 200 mg lentamente (in 5 minuti) per e.v., terapia per infusione da ef-
fettuarsi in ambiente ospedaliero. Se il paziente non è mai stato trattato con teo-
fillinici, sino a 800 mg in 500 ml in soluzione di infusione/24 h controllando la
concentrazione plasmatica.
3. Farmaci anticolinergici
• ipratropio bromuro
• ossitropio bromuro.
Effetti collaterali: entrambe queste sostanze, contrariamente all’atropina, sono poco
assorbite per via gastro-enterica per cui gli effetti sistemici dell’atropina (secchezza
406
delle fauci e disturbi della accomodazione) sono rari e modesti. L’ossitropio bromu-
ro ha una durata d’azione di circa 6 h, per cui può essere utile per prevenire gli at-
tacchi notturni.
Dosaggio: gli anticolinergici vengono somministrati per via inalatoria (1-2 spruzzi
× 3 volte/die. Possono essere associati ai β2-stimolanti, diminuendo la dose di que-
sti ultimi (es. ipratropio bromuro + fenoterolo).
C) Antagonisti dei leucotrieni
Solo il 50% circa dei pazienti trae vantaggio dagli antileucotrienici. Se dopo 1-2 setti-
mane non è comparso alcun effetto, se ne deve trarre la conclusione che in quel pa-
ziente sono inefficaci
• inibitori della 5-lipossigenasi: zileuton
• antagonisti del recettore-1 cisteinil-leucotrienico: «lukasti»: zafirlukast, pranlukast,
montelukast.
Indicazioni: hanno valore solo preventivo (a partire dal 2º livello); non sono utili nel
trattamento dell’attacco acuto.
Controindicazioni: gravidanza, allattamento, reazioni allergiche, ecc.
Dosaggio: ad es. montelukast 10 mg/die per via orale, da assumere alla sera.
Meccanismo d’azione: blocco dei mediatori dell’infiammazione.
Effetti collaterali: cefalea, disturbi addominali, artralgie, raramente eosinofilia, sindro-
me di Churg-Strauss, ecc.
D) Ulteriori misure terapeutiche
— Soministrazione di antibiotici in caso di asma infettivo
Per la scelta dell’antibiotico vedi cap. Bronchite cronica. Dopo un buon trattamento
dell’infezione, i β-recettori dei bronchi sono nuovamente sensibilizzati alla sommi-
nistrazione di broncodilatatori!
— Espettoranti
Indicazioni: secreto bronchiale denso (discrinia), stasi del muco, difficoltà alla
espettorazione.
Regola di base: abbondante apporto di liquidi.
• Secretolitici: produzione di un secreto meno viscoso; ad es. bromexina e suo me-
tabolita ambroxolo (attenzione agli effetti collaterali: reazioni allergiche).
• Mucolitici: fludificazione del secreto bronchiale tramite distruzione di ponti disol-
furo; ad es. N-acetilcisteina (attenzione agli effetti collaterali: raramente induzio-
ne o accentuazione del broncospasmo, tinnito, ecc.).
Nota: poiché l’impiego per inalazione può determinare una costrizione bronchiale
riflessa, si consiglia la somministrazione per via orale (o parenterale, in ospedale).
L’umidificazione dell’aria facilita l’espettorazione; a questo scopo è sufficiente l’ac-
qua, eventualmente con aggiunta di sale.
L’impiego di enzimi proteolitici è controindicato, come anche la somministrazione
di antitussigeni quali la codeina (se non in caso di tosse notturna che disturba il
sonno).
Anche il secretolitico migliore non può essere efficace se contemporaneamente non
viene somministrata una sufficiente quantità di liquidi: occorre perciò che il pa-
ziente beva molto o che venga eseguita in ospedale una terapia infusionale con 2-3
l/24 h.
— Educazione respiratoria: evitare la respirazione a pressione intermittente e l’iper-
ventilazione, respirare con labbra socchiuse ! impedimento di un collasso espira-
torio dei bronchi; sfruttare la tosse per espettorare, stimolare l’espettorazione me-
diante massaggio a percussione, ecc.
407
— Terapia di un eventuale reflusso gastro-esofageo.
— Misure psicoterapeutiche e trattamento climatico adeguato possono essere di gran-
de aiuto.
Terapia dello stato di male asmatico
— In terapia intensiva: controllo della funzione cardio-circolatoria e polmonare, e del-
l’equilibrio idro-elettrolitico.
— Posizione seduta.
— Sedazione: il paziente deve essere calmato e tranquillizzato dal medico o dal perso-
nale infermieristico. È bene non somministrare tranquillanti (es. diazepam) per il lo-
ro effetto depressivo sulla respirazione. In caso di iniziale ipercapnia e se il pazien-
te non è ricoverato sono assolutamente controindicati.
— Somministrazione di ossigeno: il trattamento ospedaliero dell’attacco di asma acuto
prevede la somministrazione di O2 per breve tempo tramite sonda nasale (2-4
l/min.), con monitoraggio dell’emogasanalisi e dell’ossimetria digitale. La terapia
con O2 non è adatta in caso di insufficienza respiratoria globale (ipossiemia + iper-
capnia). Poiché l’ipossiemia è l’ultimo stimolo della respirazione, eventualmente oc-
corre eseguire la terapia con respirazione assistita.
— Glucocorticosteroidi e.v.: sono irrinunciabili! A seconda delle necessità, prednisolo-
ne 125-250 mg ogni 4-6 ore.
— Broncodilatatori, tenendo conto della terapia precedente:
• teofillina: inizialmente 200 mg lentamente e.v., ulteriore somministrazione per in-
fusione monitorando la teofillinemia
• β2-simpaticomimetici a breve durata d’azione: inizialmente 4 spruzzi.
Nota: in caso di precedente abuso, da parte del paziente, nell’impiego di β2-adre-
nergici, l’ulteriore loro somministrazione non è priva di rischi (tachiaritmie, ipo-
potassiemia, ecc.).
La terapia parenterale con β2-adrenergici va praticata solo in pazienti giovani e
con una frequenza cardiaca < 130/min.; ad es. terbutalina 0,5 mg s.c. oppure re-
proterolo 1 fiala da 1 ml (= 90 µg) e.v. lentamente, ulteriore somministrazione
per infusione (dose media negli adulti: 1 ml = 90 µg/ora).
— Secretolitici + adeguata idratazione per via parenterale.
— Nel sospetto di asma infettivo somministrazione di antibiotici (vedi cap. Bronchite
cronica).
— Eventuale respirazione assistita, broncoaspirazione endoscopica, lavaggio bron-
chiale ed eventuale somministrazione endobronchiale di ketamina a scopo broncoli-
tico (per gli effetti collaterali e le controindicazioni, vedi foglio illustrativo del far-
maco).
Indicazione: insufficienza respiratoria acuta con pO2 < 50 mmHg e pCO2 > 55
mmHg e acidosi respiratoria. In caso di ipercapnia cronica preesistente vengono tal-
volta tollerati valori più elevati di pCO2. L’esaurimento muscolare del diaframma
con movimenti inspiratori paradossi della parete addominale, nonché turbe di co-
scienza subentranti sono indicazioni alla ventilazione artificiale assistita.
— Prevenzione dell’ulcera da stress (ad es. con inibitori della secrezione acida ga-
strica).
Durante l’attacco d’asma, fare attenzione a:
antitussigeni, betabloccanti (sono presenti anche in alcuni colliri), acido acetilsalicilico
(reazione pseudo-allergica!), sedativi (depressione respiratoria!), parasimpaticomimetici
(pilocarpina, carbacolo, ecc.), catetere in succlavia (aumentato pericolo di pneumotora-
ce!). Se possibile, evitare la digitale o comunque monitorare la digitalemia (rischio di
aritmie da ipossiemia e catecolamine).
408
Nota: non sottovalutare nessun attacco d’asma e portare rapidamente il paziente in
ospedale (con accompagnamento medico)! Tenere in osservazione il paziente in terapia
intensiva! Nessun trattamento aggressivo troppo affrettato (in particolare, intubazione e
ventilazione assistita), prima di aver esperito tutti gli altri tentativi terapeutici!
Prevenzione dell’asma bronchiale
1. Protezione dagli stimoli che agiscono sull’iperattività bronchiale:
— astensione dal fumo
— evitare l’esposizione a eventuali allergeni
— evitare aria fredda, nebbia e sostanze irritanti (polveri, ecc.)
— profilassi antinfettiva
— immunizzazione attiva contro pneumococchi e virus influenzali
— trattamento di un eventuale reflusso gastro-esofageo
— evitare sforzi fisici esagerati (pericolo di asma da sforzo).
Misure preventive in caso di allergia verso gli acari:
• evitare piante da appartamento, animali domestici, mobili imbottiti, tappeti ed al-
tri oggetti che attirano polvere
• materassi/coperte/cuscini di fibre sintetiche con apposite coperture contro gli aca-
ri, ma che consentono la traspirazione
• di notte, indossare biancheria da notte per evitare il depositarsi nel letto della de-
squamazione cutanea
• umidificare poco l’aria e bassa temperatura ambiente
• uso quotidiano dell’aspirapolvere con filtri adeguati, frequente cambio delle len-
zuola
• verificare l’eventuale presenza di acari nella polvere (Acarex-test) ed utilizzare
eventualmente acaricidi (in schiuma e polvere).
2. Circa il 50% di tutti i casi di asma infantile è evitabile con opportune misure di
prevenzione dell’atopia nei lattanti: allattamento al seno più protratto possibile, ri-
nunciare agli animali domestici e all’esposizione al fumo passivo (vedi anche cap.
Allergia alimentare).
3. In caso di allergia ai pollini, attenzione alle frequenti allergie crociate tra: pollini
di betulla, frutta cruda con semi (in particolare mele) e carote; più raramente: arte-
misia e sedano/aromi.
4. Evitare l’impiego di farmaci che potenzialmente potrebbero determinare asma:
— ASA o altri FANS in caso di reazioni pseudoallergiche
— betabloccanti.
5. Immunoterapia
Desensibilizzazione:
Indicazioni: pazienti < 55 anni, durata dei disturbi non > 5 anni. Possibilmente al-
lergia monovalente.
Principio: la desensibilizzazione va eseguita nell’intervallo libero da asma. Sommi-
nistrazione sottocutanea dell’allergene in piccole dosi che vengono gradualmente
aumentate nel corso della terapia per raggiungere una tolleranza agli allergeni re-
sponsabili. Durata della desensibilizzazione: minimo 3 anni.
Percentuale di successo: dipende dall’età e può arrivare sino al 70% (è più elevata
nei soggetti più giovani e in caso di allergia monovalente).
Effetti collaterali: leggeri sintomi locali nel punto di inoculo (5-15% dei casi),
broncospasmo, raramente reazioni anafilattiche; eventuali reazioni tardive dopo 4-8
h ! il paziente dovrebbe rimanere almeno 30 min (meglio 2 ore) nell’ambulatorio
del medico ed essere informato sulle possibili reazioni tardive (broncospasmo) e
sulla automedicazione.
409
Controindicazioni: infezioni, sintomi asmatici, malattie debilitanti, terapia con beta-
bloccanti (fallimento della terapia con adrenalina in caso di reazione anafilattica);
malattie nelle quali sia controindicato un eventuale trattamento con adrenalina (ad
es. cardiopatia ischemica), malattie immunitarie, gravidanza, ecc.
Prognosi
Asma nei bambini: guarigione > 50% dei casi.
Asma negli adulti: guarigione in circa il 20% dei casi, miglioramento in circa il 40%.
Una terapia a lungo termine con glucocorticoidi per via inalatoria può migliorare deci-
samente la prognosi. La Germania è oggi tra i Paesi col più elevato tasso di mortalità
per asma bronchiale, dopo l’Inghilterra, l’Australia e la Nuova Zelanda.
POLMONITI
Definizione
Infiammazione polmonare acuta o cronica che colpisce il parenchima alveolare e/o l’in-
terstizio.
Epidemiologia
Causa di morte più frequente tra tutte le malattie infettive nei Paesi industrializzati. Le
polmoniti occupano il 3° posto nella statistica delle cause di morte nel mondo.
Principi di classificazione
A) Classificazione anatomo-patologica
— secondo la localizzazione della polmonite:
• polmoniti alveolari (spesso infezioni batteriche)
• polmoniti interstiziali (spesso infezioni virali)
— secondo il grado di diffusione della polmonite:
• polmoniti lobari
• polmoniti lobulari (a focolaio)
B) Classificazione eziologica
— infezioni: virus, batteri, miceti, parassiti
— noxae fisiche (radiazioni, corpi estranei endobronchiali)
— noxae chimiche (gas irritanti, succo gastrico, olii)
— alterazioni circolatorie (polmonite da infarto, polmonite da stasi)
C) Classificazione clinica
1. in base ad eventuali altre malattie:
— polmonite primitiva: comparsa di polmonite in assenza di precedenti malat-
tie cardio-polmonari
— polmonite secondaria: in seguito ad altre affezioni cardio-polmonari, ad es.:
• da disturbi circolatori (polmonite da stasi in caso di insufficienza cardiaca
sinistra, polmonite da infarto dopo embolia polmonare, polmonite ipostati-
ca nel paziente allettato)
• da alterazioni bronchiali (carcinoma bronchiale, stenosi bronchiale ad es.
da corpi estranei, bronchiectasie)
• da aspirazione (polmonite da aspirazione)
• da sovrainfezione batterica (ad es. in corso di influenza)
2. in base al decorso: acuta o cronica.
410
35
ix
/ŶĨĞnjŝŽŶŝĐŚĞĐŽůƉŝƐĐŽŶŽŝůƉĂƌĞŶĐŚŝŵĂŽů͛ŝŶƚĞƌƐƚŝnjŝŽĂůǀĞŽůĂƌĞ͘
Patogenesi
e
patologia
La polmonite è causata dalla ƉƌŽůŝĨĞƌĂnjŝŽŶĞĚŝŵŝĐƌŽƌŐĂŶŝƐŵŝƉĂƚŽŐĞŶŝŶĞŐůŝĂůǀĞŽůŝĞĚĂůůĂƌŝƐƉŽƐƚĂĚĞůů͛ŽƐƉŝƚĞĂƋƵĞƐƚŝ
microrganismi.
I microrganismi accedono alle vie respiratorie inferiori in diversi modi: piú frequentemente per aspirazione
ĚĂůů͛ŽƌŽĨĂƌŝŶŐĞ;ĚƵƌĂŶƚĞŝůƐŽŶŶŽŶĞŐůŝ anziani, in pazienti con ridotta coscienza), poi per inalazione e raramente per
ĚŝƐƐĞŵŝŶĂnjŝŽŶĞĞŵĂƚŽŐĞŶĂŽƉĞƌĞƐƚĞŶƐŝŽŶĞĚŝƵŶ͛ŝŶĨĞnjŝŽŶĞƉůĞƵƌŝĐĂŽŵĞĚŝĂƐƚŝŶŝĐĂ͘
>ĂĚŝĨĞƐĂĚĞůů͛ŽƐƉŝƚĞğĐŽƐƚŝƚƵŝƚĂĚĂƵŶŝŶƐŝĞŵĞĚŝĨĂƚƚŽƌŝ͗ƉĞůŝĞƚƵƌďŝŶĂƚŝĚĞůůĞŶĂƌŝĐŝ͕ ramificazioni bronchiali, pulizia
mucociliare, fattori antibatterici, riflesso faringeo, flora batterica locale, macrofagi alveolari. Quando i macrofagi non
riescono piú ad eliminare i patogeni innescano la reazione infiammatoria che determina la sindrome clinica della
polmonite: febbre, leucocitosi, dilatazione dei capillari con fuoriuscita di liquido (rilevabile come infiltrato
ĞŶĚŽĂůǀĞŽůĂƌĞĂůůĂƌĂĚŝŽŐƌĂĨŝĂĞƌĂŶƚŽůŝĂůů͛ĂƐĐŽůƚĂnjŝŽŶĞͿĞĚĞƌŝƚƌŽĐŝƚŝ;ĞŵŽƚƚŝƐŝͿ͘
La polmonite da S. pneumoniae (come tutte le lobari) attraversa una serie di stadi. Nella prima fase di edema si ha un
essudato proteico negli alveoli, ma è raramente individuabile perché sfocia rapidamente nella fase di epatizzazione
rossa͘ /Ŷ ƋƵĞƐƚĂ ĨĂƐĞ͕ ŽůƚƌĞ Ăůů͛ĞƐƐƵĚĂnjŝŽŶĞ Ěŝ ĞƌŝƚƌŽĐŝƚŝ͕ Ɛŝ ŚĂ un rilevante afflusso di neutrofili. Nella fase di
epatizzazione grigia gli eritrociti sono stati degradati (con fuoriuscita di ferro), sono spariti i batteri e si osserva
presenza di neutrofili e fibrina. Nella fase di risoluzione i macrofagi tornano ad essere la popolazione cellulare
prevalente.
Classificazione
x Classificazione anatomo-‐patologica
o polmoniti alveolari (o tipiche): prev. batteriche
o polmoniti interstiziali (o atipiche o non batteriche): prev. virali, o da batteri intracellulari o miceti.
x Classificazione in base al luogo di contrazione:
o polmoniti di comunità
o polmoniti nosocomiali (se si manifesta almeno due giorni dopo il ricovero o entro due giorni dalla dimissione).
x ͞ƚŝƉŝĐŝ͟ ;S. pneumoniae, H. influenzae, S. aureus, bacilli gram-‐negativi come Klebsiella pneumoniae e
Pseudomonas aeruginosa)
x ͞ĂƚŝƉŝĐŝ͟;Mycoplasma pneumoniae, Chlamydia pneumoniae, Legionella ƐƉƉ͕ǀŝƌƵƐĚĞůů͛ŝŶĨůƵĞŶnjĂ͕ĂĚĞŶŽǀŝƌƵƐ͕
virus respiratorio sinciziale, Pneumocystis jirovecii in pazienti immunodepressi). I patogeni atipici non
possono essere coltivati sui terreni consueti (perché intracellulari) né possono essere tinti con la tintura di
'ƌĂŵ͕ ĞĚ ĞƐƐĞŶĚŽŝŶƚƌŝŶƐĞĐĂŵĞŶƚĞƌĞƐŝƐƚĞŶƚŝ Ăŝ ɴ-‐lattamici devono essere contrastati con un macrolide, un
fluorochinolone o una tetraciclina.
Nonostante un accurato esame clinico e radiologico nella metà dei casi non si individua la specifica eziologia della CAP;
ĂĚŽŐŶŝŵŽĚŽƉŽƐƐŽŶŽĞƐƐĞƌĞĚ͛ĂŝƵƚŽƵŶĂƐĞƌŝĞĚŝĐŽŶƐŝĚĞƌĂnjŝŽŶŝĞƉŝĚĞŵŝŽůŽŐŝĐŚĞĞĚĞŝĨĂƚƚŽƌŝĚŝƌŝƐĐŚŝŽ͘
ƌĂƌĂŵĞŶƚĞ͕ ŝ ƉĂƚŽŐĞŶŝ ƉŽƐƐŽŶŽ ĞƐƐĞƌĞ ŵŝĐĞƚŝ Ğ ǀŝƌƵƐ͘ >Ă ƚƌĂƐŵŝƐƐŝŽŶĞ ƉƵž ĞƐƐĞƌĞ ĐŽůůĞŐĂƚĂ Ăůů͛ĂŵďŝĞŶƚĞ͕ ĂůůĞ
apparecchiature (es. ventilazione meccanica), al personale sanitario o agli altri pazienti.
>Ă ƐĞƋƵĞŶnjĂ Ěŝ ƐǀŝůƵƉƉŽ ĚĞůůĂ ŵĂůĂƚƚŝĂ ƉƌĞǀĞĚĞ ůĂ ĐŽůŽŶŝnjnjĂnjŝŽŶĞ ĚĞůů͛ŽƌŽĨĂƌŝŶŐĞ ĐŽŶ ŵŝĐƌŽŽƌŐĂŶŝƐŵŝ ƉĂƚŽŐĞŶŝ͕
ů͛ĂƐƉŝƌĂnjŝŽŶĞ Ěŝ ƋƵĞƐƚŝ ŶĞů ƚƌĂƚƚŽ ƌĞƐƉŝƌĂƚŽƌŝŽ Ğ ůĂ ĐŽŵƉƌŽŵŝƐƐŝŽŶe dei meccanismi di difesa; questi fattori sono
ĚĞƚĞƌŵŝŶĂƚŝĚĂůů͛ƵƐŽĚŝƌĞƐƉŝƌĂƚŽƌŝĂƌƚŝĨŝĐŝĂůŝĞĚŝĂŶƚŝďŝŽƚŝĐŝĂĚĂŵƉŝŽƐƉĞƚƚƌŽ͘
Problema: batteri multiresistenti. S. aureus meticillina-‐resistente (MRSA), enterococchi resistenti a vancomicina,
Enterobacteriacee ĐŽŶɴ-‐lattamasi, K. pneumoniae con carbapenemasi.
Epidemiologia
>͛ŝŶĐŝĚĞŶnjĂĂŶŶƵĂůĞĚŝWŶĞŐůŝh^ğĚŝϭϮƐƵϭϬϬϬ͕ĂŶĐŚĞƐĞĂƵŵĞŶƚĂŶĞůůĞĨĂƐĐĞĚŝĞƚăĞƐƚƌĞŵĞ͖ƋƵĞƐƚĂƉŽůŵŽŶŝƚĞğ
tra le infezioni la prima causa di mortalità nella comunità. La stagionalità di alcune forme può far propendere per
ƵŶ͛ĞnjŝŽůŽŐŝĂŽƵŶ͛ĂůƚƌĂ͘
/ ĨĂƚƚŽƌŝ Ěŝ ƌŝƐĐŚŝŽƉĞƌůĂ WŝŶ ŐĞŶĞƌĂůĞ ƐŽŶŽů͛ĂůĐŽůŝƐŵŽ͕ ů͛ĂƐŵĂ͕ ů͛ŝŵŵƵŶŽƐŽƉƉƌĞƐƐŝŽŶĞ͕ů͛Ğƚă ŵĂŐŐŝŽƌĞ Ăŝ ϳϬ ĂŶŶŝ͘
Fattori specifici per la CAP da S. pneumoniae sono la demenza, ů͛ŝŶƐƵĨĨŝĐŝĞŶnjĂĐĂƌĚŝĂĐĂ͕ůĂƉĂƚŽůŽŐŝĂĐĞƌĞďƌŽǀĂƐĐŽůĂƌĞ͕ŝů
tabagismo e la BPCO.
Le polmoniti interstiziali ƐŽŶŽ ĐĂƌĂƚƚĞƌŝnjnjĂƚĞ ĚĂ ƵŶ͛accentuazione della trama interstiziale con opacità a vetro
smerigliato. Poiché il coinvolgimento alveolare è scarso si ha povertà di segni e sintomi, con un decorso atipico.
Il dosaggio della procalcitonina, la cui produzione è stimolata da alcune tossine batteriche, permette di discriminare le
infezioni batteriche da quelle virali.
Poiché il trattamento diretto ad un patogeno specifico non è stato dimostrato migliore del trattamento empirico, la
diagnosi eziologŝĐĂ ;ĐŽůƚƵƌĂ ĚĞůů͛ĞƐƉĞƚƚŽƌĂƚŽ͕ ƚĞƐƚ ĂŶƚŝŐĞŶŝĐŝ͕ ƐŝĞƌŽůŽŐŝĂͿ ŚĂ ƐĞŶƐŽ ƐŽůŽ ƉĞƌ ƌŝĚƵƌƌĞ ů͛ŝŶƐŽƌŐĞŶnjĂ Ěŝ
resistenze agli antibiotici e per raccogliere dati epidemiologici.
Diagnosi differenziale:
x riposo a letto
x prevenzione del tromboembolismo
x sufficiente apporto di liquidi (per contrastare disidratazione da febbre e per mucolisi)
x antibiotici
o terapia empirica iniziale: macrolide (es. azitromicina) o tetraciclina (es. doxiciclina)
CAP non ospedalizzati senza FR: (secondo Herold prima linea amoxicillina, seconda
macrolide o doxiciclina)
CAP non ospedalizzati con FR (Herold: amoxicillina e clavulanico prima linea)
CAP ospedalizzati senza sospetto di P. aeruginosa: amoxicillina e clavulanico
CAP ospedalizzati con sospetto di P. aeruginosa:
HCAP senza sospetto di batterio multiresistente: singolo farmaco (es. ceftriaxone)
HCAP con sospetto di batterio multiresistente: combinazione di tre farmaci, due bersagliati
a P. aeruginosa e uno a MRSA.
o quando si effettua la diagnosi eziologica si passa alla terapia specifica (se necessario).
38
x
Le pneumopatie interstiziali (o infiltrative diffuse) sono un gruppo eterogeneo di malattie polmonari che interessano
il parenchima polmonare (alveoli e interstizio). Si possono considerare due grandi categorie: le pneumopatie
interstiziali su base infiammatorio-‐fibrotica e quelle su base granulomatosa (es. sarcoidosi); ciascuno dei due gruppi
include forme idiopatiche e forme secondarie a una causa nota.
Eziologia
x 50% cause note:
o infezioni
o sostanze tossiche inalate (es. polveri inerti: pneumoconiosi; polveri organiche: AAE)
o farmaci
o radiazioni
o malattie immunologiche sistemiche
x 50% fibrosi polmonare idiopatica, Idiopathic Interstitial Pneumonia (IIP). Ha sette sottotipi.
Patogenesi
Il processo prevede una serie di danni multipli di piccola entità agli alveoli; si determina infiammazione cronica che
ƉƌŽŐƌĞĚŝƐĐĞĂůů͛ŝŶƚĞƌƐƚŝnjŝŽ͘>͛ŝŶĨŝĂŵŵĂnjŝŽŶĞŶŽŶğůĂĐĂƌĂƚƚĞƌŝƐƚŝĐĂŝƐƚŽůŽŐŝĐĂƉƌĞŵŝŶĞŶƚĞĚĞůůĂŵĂůĂƚƚŝĂ;ĐŚĞŝŶǀĞĐĞğŝů
focus fibroblastico) ma è comunque necessaria per lo sviluppo della malattia26͘ /Ŷ ƐĞŐƵŝƚŽ Ăůů͛ŝŶĨŝĂŵŵĂnjŝŽŶĞ Ɛŝ ŚĂ
attivazione delle cellule epiteliali e deposito di fibrina, condizioni che determinano migrazione, proliferazione e
ĂƚƚŝǀĂnjŝŽŶĞĚĞŝĨŝďƌŽďůĂƐƚŝ͘^ŝƌŝƚŝĞŶĞĐŚĞŝůƉƵŶƚŽƉĂƚŽŐĞŶĞƚŝĐŽĐŚŝĂǀĞƐŝĂƵŶ͛ĂůƚĞƌĂnjŝŽŶĞĚĞůƉƌŽĐĞƐƐŽĚŝƌŝƉĂƌĂnjŝŽŶĞĚĞů
danno polmonare causato ĚĂƵŶ͛ĂůƚĞƌĂnjŝŽŶĞĚĞůůĂĨƵŶnjŝŽŶĞĨŝďƌŽďůĂƐƚŝĐĂ͖ƋƵĞƐƚŽĚĞƚĞƌŵŝŶĂƵŶĞĐĐĞƐƐŽĚŝĚĞƉŽƐŝnjŝŽŶĞ
di matrice extracellulare che dà luogo alla fine alla fibrosi polmonare.
Manifestazioni
Si ha una dispnea da sforzo progressiva, tosse secca; possono esserci febbre e artralgie. Negli stadi avanzati si arriva a
dispnea a riposo, tachipnea, insufficienza respiratoria, cianosi, dita a bacchetta di tamburo, unghie a vetrino
Ě͛ŽƌŽůŽŐŝŽ͕ĐƵŽƌĞƉŽůŵŽŶĂƌĞ͘
La fibrosi polmonare idiopatica ha una progressione rapida e una prognosi negativa solitamente entro 3 anni dalla
diagnosi. Spesso è complicata da infezioni, ipertensione polmonare e disfunzione ventricolare.
Diagnosi
1A. Anamnesi. La malattia è piú frequente nelle persone oltre i 50 anni, negli uomini e nei fumatori. Il sintomo
principale è la dispnea, seguita da tosse, febbre e artralgie.
1B. Esame obiettivo. Si riscontrano tachipnea, ippocratismo digitale e rantoli crepitanti basali bilaterali.
1C. Esami ematochimici di esclusione. Il laboratorio consente principalmente di escludere cause note, come patologie
autoimmuni, infettive o neoplastiche.
2A. Esami di funzionalità respiratoria. Quelli che valutano il volume polmonare consentono di individuare un deficit
ventilatorio restrittivo: riduzione della capacità polmonare totale (TLC) alla pletismografia e riduzione contemporanea
del FEV1 Ğ ĚĞůůĂ &s ;ƌĂƉƉŽƌƚŽ ƵŐƵĂůĞ Ž ĂƵŵĞŶƚĂƚŽͿ ĂůůĂ ƐƉŝƌŽŵĞƚƌŝĂ͘ >͛ĞŵŽŐĂƐĂŶĂůŝƐŝ ƌŝǀĞůĂ ŝƉŽĐĂƉŶŝĂ ĚĂ
iperventilazione delle fasi iniziali della malattia e ipercapnia piú ipossiemia da insufficienza respiratoria in quelle finali.
Gli esami di diffusione individuano una riduzione della capacità di diffusione.
2B. Radiografia del torace. Può evidenziare opacità reticolari soprattutto alle basi, con riduzione dei volumi dei lobi
inferiori.
26
secondo il Bariffi no
39
3A. Test da sforzo. Il Six Minutes Walking Test e il test da sforzo cardio-‐polmonare permettono di valutare anomalie
dello scambio gassoso durante lo sforzo fisico.
3B. TC ad alta risoluzione. Permette di qualificare morfologicamente le pneumopatie interstiziali, orientando verso
ů͛ƵŶĂŽů͛ĂůƚƌĂ͘>ĂĨŝďƌŽƐŝƉŽůŵŽŶĂƌĞŝĚŝŽƉĂƚŝĐĂ͕ŝŶƉĂƌƚŝĐŽůĂƌĞ͕ğĐĂƌĂƚƚĞƌŝnjnjĂƚĂĚĂůůĂƉƌĞƐĞŶnjĂĚŝŽƉĂĐŝƚăƌĞƚŝĐŽůĂƌŝĂůůĞ
basi con addensamento del parenchima e zone di ƉŽůŵŽŶĞĂĨĂǀŽĚ͛ĂůǀĞĂƌĞ. La presenza di aree estese di opacità a
vetro smerigliato deve indirizzare verso le altre pneumopatie interstiziali.
4A. Lavaggio broncoalveolare. Può essere usato in casi di TC dubbia per escludere diagnosi alternative, come quella
infettiva o tumorale. Nella fibrosi polmonare il lavaggio rileva un aumento della quantità di neutrofili e un lieve
aumento degli eosinofili.
4B. Ecocardiografia doppler. Consente di individuare ipertensione polmonare (segno di pneumopatia avanzata)
stimando la pressione arteriosa polmonare sistolica.
5. Biopsia polmonare. È il metodo piú ĞĨĨŝĐĂĐĞƉĞƌĐŽŶĨĞƌŵĂƌĞůĂĚŝĂŐŶŽƐŝ͘ƐŝƐƚŽŶŽĚŝǀĞƌƐŝĂƉƉƌŽĐĐŝƉĞƌů͛ŽƚƚĞŶŝŵĞŶƚŽ
del campione bioptico. La biopsia a polmone aperto conduce a diagnosi nella quasi totalità dei casi perché consente di
ŽƚƚĞŶĞƌĞ ƵŶ ĐĂŵƉŝŽŶĞ ŐƌĂŶĚĞ͖ Ě͛Ăůƚra parte presenta complicanze piuttosto frequentemente. La biopsia polmonare
transbronchiale non è utile per la fibrosi polmonare idiopatica mentre lo può essere per altre patologie come la
sarcoidosi. La toracoscopia videoassistita viene eseguita in anestesia generale ed è paragonabile alla biopsia a
ƉŽůŵŽŶĞĂƉĞƌƚŽ͘>ĞĐĂƌĂƚƚĞƌŝƐƚŝĐŚĞŝƐƚŽůŽŐŝĐŚĞĚĞůůĂŵĂůĂƚƚŝĂƐŽŶŽůĂĚŝƐƚƌƵnjŝŽŶĞĚĞůů͛ĂƌĐŚŝƚĞƚƚƵƌĂƉŽůŵŽŶĂƌĞ͕ĐŽŶĨŽĐŝ
fibroblastici e aree infiammatorie.
Si effettua diagnosi di fibrosi polmonare idiopatica in presenza di una biopsia polmonare positiva o con la positività di
tutti i criteri maggiori e di tre dei quattro criteri minori.
Terapia
Per le forme a eziologia nota si fa terapia eziologica, se esiste (es. antibiotici).
Per la fibrosi polmonare idiopatica le attuali opzioni terapeutiche classiche si basano sulla teoria infiammatoria e
includono corticosteroidi e immunomodulanti; di questi ĨĂƌŵĂĐŝ ƚƵƚƚĂǀŝĂ ŶŽŶ ğ ƐƚĂƚĂ ĚŝŵŽƐƚƌĂƚĂ ƵŶ͛ĞĨĨŝĐĂĐŝĂ
terapeutica.
>Ğ ƚĞƌĂƉŝĞ ŝŶŶŽǀĂƚŝǀĞ Ɛŝ ďĂƐĂŶŽ ƐƵůůĂ ĐĞŶƚƌĂůŝƚă ƉĂƚŽŐĞŶĞƚŝĐĂ ĚĞůů͛ĂůƚĞƌĂnjŝŽŶĞ ĚĞůůĂ ƌŝƉĂƌĂnjŝŽŶĞ͘ /ů pirfenidone è un
ĂŐĞŶƚĞĂŶƚŝĨŝďƌŽƚŝĐŽ͖ů͛N-‐acetilcisteina è un antiossidante e mucolitico efficace in combinazione con la terapia classica;
il bosentan ğƵŶĂŶƚĂŐŽŶŝƐƚĂĚĞůů͛ĞŶĚŽƚĞůŝŶĂϭĐŚĞĂŐŝƐĐĞƌŝĚƵĐĞŶĚŽůĂƐŝŶƚĞƐŝĚŝĐŽůůĂŐĞŶĞ͖ů͛/ŶƚĞƌĨĞƌŽŶĞɶantagonizza
gli effetti profibrotici del TGF sui fibroblasti.
Se è presente insufficienza ƌĞƐƉŝƌĂƚŽƌŝĂƐŽŶŽŝŶĚŝĐĂƚĞů͛ŽƐƐŝŐĞŶŽƚĞƌĂƉŝĂĞůĂǀĞŶƚŝůĂnjŝŽŶĞĂƐƐŝƐƚŝƚĂ͘
- Interna -
- Nefro -
A. Fusco
INDICE
Calcio
Cenni di Emodialisi
(da Wikipedia)
Dalla dispensa di A.Mazzella
Glomerulonefriti 74
Alterazioni idro-saline e acido -base 78
Acqua e sali 78
Sodio 79
Potassio 81
Equilibrio acido/base 84
Malattia renale cronica (chronic kid- Gli stadi G3 e G4 identificano la CKD, mentre lo stadio
G5 identifica l’IRC (che fa parte dello spettro della CKD).
ney disease, CKD) Nella stadiazione dell’IRC rientrano anche gli stadi G1 e
G2, in quanto vi può essere evidenza di danno renale an-
Definizione che in assenza di riduzione del GFR (es. nella nefropatia
La CKD viene definita dalla persistenza di danno renale o diabetica spesso il primo segno e l’albumnuria aumentata,
alterazione della funzione renale per più di 3 mesi. e in fase iniziale il GFR è normale o addirittura aumenta-
Criteri per la definizione di CKD to, e solo dopo diminuisce).
a. GFR < 60 ml/min/1,73m2 Lo stadio G2, pur non rappresentando CKD, identifica
(Misurato con equazioni o clearance della creatinina) comunque una condizione di rischio maggiore rispetto
b. Evidenza di danno renale alla condizione G1.
(vedi doc sulla valutazione del rene) NOTA: in un paziente con CKD, il GFR può normalizzar-
Il limite di 3 mesi è arbitrario, ma è necessario per distin- si in seguito a trattamento. In questi pazienti, si parla di
guere la CKD dall’AKI. In genere l’inizio del danno può CKD trattata, così come si parla di ipertensione trattata o
essere desunto dall’anamnesi e dal quadro clinico. In caso di DM trattato. In pratica il paziente non è guarito, ma è
di dubbio tra CKD e AKI, la valutazione va ripetuta dopo semplicemente sotto trattamento.
un tempo adeguato in modo da documentare la persisten-
za dell’alterazione o del danno renale per più di 3 mesi. Epidemiologia
La malattia renale cronica si estrinseca soprattutto negli
Stadiazione anziani e, in considerazione della migliorata accuratezza
Il rischio di morte per tutte le cause, e soprattutto per cau- diagnostica, e dell’invecchiamento generale della popola-
se cardiovascolari, aumenta in maniera proporzionale zione, la sua incidenza è aumentata negli ultimi anni, così
all’aggravarsi della CKD. Appare pertanto logico stadiare come quella di ESRD (malattia renale terminale).
la malattia, in quanto ciò ha importanti implicazioni pro-
gnostiche e terapeutiche. Eziopatogenesi
La stadiazione della CKD deve essere fatta in base ai se- La maggior parte delle cause di CKD sono irreversibili.
guenti parametri: Tuttavia, cronico non vuol dire necessariamente irrever-
a. Eziologia sibile, e pertanto in alcuni casi la malattia renale cronica è
b. Categoria di GFR totalmente reversibile, con o senza trattamento (es. terapia
c. Categoria di albuminuria immunosoppressiva per le glomeurlonefriti).
Per quanto riguarda l’eziologia, questa può influenzare Le cause di CKD sono le stesse dell’AKI, ma ciò che va-
pesantemente prognosi e trattamento del paziente. Occor- ria è semplicemente la durata.
re infatti tenere presente che la CKD è una condizione A queste se ne aggiungono alcune altre non in grado, da
clinica, e non deve essere trattata come una malattia, ma sole, di provocare danno renale acuto e IRA:
come la sua manifestazione. È quindi SEMPRE necessa- a. Malattie o alterazioni renali congenite o eredita-
rio identificare e trattare la malattia sottostante. rie (es. rene policistico, ridotta massa renale alla
Per quanto riguarda le categorie di GFR, sono i seguenti: nascita)
G1 – Normale o alto >90 b. Reflusso vescico-ureterale
G2 – Leggermente dimi- 60-89
nuito Anatomia patologica
G3a – Da leggermente a 45-59 L’aspetto anatomo-patologico del rene con CKD varia a
moderatamente diminuito seconda della causa sottostante. In ogni caso, indipenden-
G3b – Da moderatamente 30-44 temente dalla causa, potranno essere evidenti, in fase ini-
a gravemente diminuito ziale, le alterazioni dovute ai meccanismi di adattamento
G4 – Gravemente dimi- 15-29 in seguito alla perdita graduale di nefroni funzionanti
nuuto (rappresentate dall’ipertrofia compensatoria dei nefroni
G5 – Insufficienza renale <15
rimanenti) e, in fase tardiva, la progressiva involuzione
ESRD – end stage renal Alterazione della funzio-
del parenchima renale, che va incontro ad atrofia e fibrosi,
disease o malattia renale ne renale irreversibile e di
terminale gravità tale da essere fata- con i reni che si fanno di piccole dimensioni (ciò avviene
le in assenza di dialisi o perché l’ipertrofia dei nefroni ne altera la funzione, de-
trapianto renale terminando per esempio ipertensione glomerulare per so-
Alternativamente, stenere l’iperfiltrazione, cosa che alla lunga determina
l’ESRD viene fatta coin- danno glomerulare e tubulare e perdita di ulteriori nefroni
cidere da alcuni con le con successiva atrofia).
manifestazioni cliniche
dell’uremia. Fisiopatologia e clinica
Nella CKD vi è una progressiva perdita delle funzioni re- sio, che può derivare da: 1) acidosi metabolica; 2) carichi
nali, che ricordiamo essere: esogeni, come eccessi di frutta, di succhi di frutta, di ver-
dure crude, e sostituti del sale da cucina contenenti potas-
Funzioni renali sio; 3) condizioni ipercataboliche, come infezioni, traumi,
Escretoria febbre elevata, terapia cortisonica; 4) farmaci che interfe-
1. Urea riscono con l’omeostasi del potassio, quali beta-bloccanti,
2. Acido urico diuretici risparmiatori di potassio, ACEi, ARB, antagoni-
3. Ammoniaca sti dell’aldosterone; 5) costipazione; 6) ipoaldosteroni-
4. Creatinina smo.
5. Tossine e pigmenti (urocromogeni) Nel complesso, qiundi, i pazienti con CKD sono proni
6. Farmaci e altre sostanze
all’iperkaliemia.
Omeostatica
Calcio e fosforo
1. Acqua
2. Sodio Il calcio viene in genere riassorbito dai reni in gran parte,
3. Potassio mentre il fosforo viene per lo più escreto. Con la riduzio-
4. Calcio ne della funzionalità renale tende a verificarsi un incre-
5. Fosforo mento della fosforemia, così che il fosforo tende a legarsi
6. Magnesio al calcio e a depositarsi maggiormente nelle ossa. Il risul-
7. Equilibrio acido-base tato è l’ipocalcemia, che stimola le paratiroidi a produrre
8. Pressione arteriosa il PTH, che determina riassorbimento di calcio e fosforo
Ormonale dalle ossa, riassorbimento di calcio dal rene ed escrezione
1. Produzione EPO di fosfato con le urine. Il PTH determina infine attivazio-
2. Attivazione Vit. D ne della vitD, che aumenta l’assorbimento intestinale e
3. Catabolismo insulina renale sia di calcio che di fosforo, riportando la situazione
Le prime funzioni ad alterarsi in seguito ad un declino
alla normalità. Si raggiunge quindi un nuovo equilibrio,
della funzionalità renale sono quelle omeostatiche, in
ma per valori di PTH più alti. Con l’ulteriore riduzione
quanto per quella escretoria, la riduzione del GFR viene
della funzione renale, l’equilibrio si sposta ancora più in
compensata inizialmente da un aumento della secrezione
alto, e l’iperparatiroidismo si aggrava progressivamente.
tubulare o dell’eliminazione attraverso altre vie. Le ultime
Il paziente con CKD è quindi prono all’ipocalcemia e
funzioni ad alterarsi sono poi quelle ormonali.
all’iperfosforemia, a cui contribuisce in fase tardiva anche
Acqua
la ridotta attivazione della vitamina D.
La diuresi non si riduce nella CKD. Anzi si mantiene, an-
Le alterazioni del metabolismo calcio-fosforo portano poi
che nelle fasi avanzate, attorno ai 2 litri al giorno.Ciò che
all’osteodistrofia renale, caratterizzata dal combinarsi di
invece si verifica è che diminuisce la capacità del rene di
osteite fibrosa, osteosclerosi, osteomalacia e, raramente,
rispondere a carichi idrici oppure di concentrare le urine
osteoporosi. L’osteodistrofia renale è comunque
per ritenere acqua. Nel complesso quindi il paziente è più
un’alterazione molto tardiva.
suscettibile al sovraccarico o alla perdita di volume, e le
Equilibrio acido-base
urine emesse hanno la stessa osmolarità del plasma (1010,
Viene compromessa la capacità del rene di rigenerare bi-
isostenuria), e sono “chiare come l’acqua”.
carbonato, e il paziente diviene prono all’acidosi metabo-
Sodio
lica.
Così come per l’acqua, anche l’escrezione di sodio tende
Produzione di EPO
a mantenersi normale, e diminuisce la capacità del pazien-
Viene meno con l’aggravarsi della funzione renale, ed è il
te di rispondere a carichi esterni di sodio (va incontro a
fattore principale nella patogenesi dell’anemia di questi
ipervolemia e ipertensione).
pazienti (normocromica normocitica). Gli altri fattori so-
Alcuni pazienti invece sono selettivamente affetti da una
no rappresentati da una ridotta risposta dal midollo osseo
“nefropatia con perdita di sale”, per cui perdono molto
all’EPO e da una ridotta vita dei GR, entrambi dovuti alle
sodio con le urine e necessitano di reintegrarlo.
tossine uremiche che si accumulano. In questi pazienti vi
Pressione arteriosa
è anemia normocromica normocitica, con IR basso e mi-
CKD e ipertensione arteriosa sono invariabilmente asso-
dollo non iperplastico (come invece dovrebbe essere in
ciate, anche se spesso non si capisce, nel singolo paziente,
risposta all’anemia).
quale sia venuta prima. Nel paziente con CKD,
Catabolismo insulina
l’ipertensione arteriosa deriva soprattutto dalle alterazioni
L’insulina nei pazienti con CKD resta in circolo più tem-
del volume plasmatico dovute alla disfunzione renale, le-
po, e li rende più suscettibili all’ipoglicemia. Tale perico-
gate soprattutto alla ritenzione di sodio.
lo è elevato nei pazienti sotto terapia insulinica, che devo-
Potassio
no aggiustare le dosi adeguatamente.
Il potassio viene normalmente escreto più che riassorbito
Accumulo farmaci e altre sostanze
dal rene. Così come per acqua e sodio, ne aumenta
l’escrezione attiva (e viene riassorbito sodio), ma dimi-
nuisce la capacità di far fronte a un incremento del potas-
I soggetti con CKD vanno più facilmente incontro ad in- E lo screening andrebbe fatto sia misurando il GFR che
tossicazioni da farmaci, per cui il dosaggio deve essere ricercando l’albuminuria.
aggiustato tenendo conto del GFR.
Accumulo di urea, acido urico, tossine e pigmenti Valutazione del paziente
L’accumulo di questi composti tossici determina una va- Il paziente deve essere valutato in maniera accurata e
rietà di conseguenze a vari livelli: completa (anamnesi, EO, esami di laboratorio e strumen-
1. Anemia (vedi sopra) tali appropriati) in maniera da individuare i fattori pro-
2. Resistenza all’insulina: oltre ad andare soggetti gnostici e stabilire il trattamento più appropriato.
ad ipoglicemia, i pazienti con CKD presentano I fattori prognostici sono i seguenti: 1) stadiazione
alterata tolleranza al glucosio e DM dell’IRC (eziologia, GFR, albuminuria); 2) comorbidità.
3. Alterazioni mentali: confusione, allucinazioni,
torpore, coma Trattamento
4. Alterazioni nervose periferiche: crampi, tic ner- I cardini del trattamento della CKD sono: 1) trattare
vosi, singhiozzo, sensazione di freddo, impoten- (quando possibile) la malattia di base; 2) correggere le
za, parestesie, ipostenia degli arti inferiori (neu- alterazioni derivanti dalla CKD; 3) terapia nutrizionale
ropatia uremica) Correzione delle alterazioni derivanti dalla CKD
5. Altri sintomi nervosi: cefalea, nausea, vomito, Ciascuna alterazione va corretta singolarmente. Per alcu-
anoressia ne il trattamento è differente da quello classico:
6. Alterazione della coagulazione: tali composti in- Ipertensione arteriosa
terferiscono con i fattori della coagulazione de- Va trattata nel modo classico. I farmaci da utilizzare di
terminando diatesi emorragica preferenza sono ACEi e ARB e i target terapeutici sono:
7. Iperammoniemia ed iperuricemia: possono ag- • <140/90 se albuminuria è A1
gravare il quadro rispettivamente dei pazienti • <130/80 se albuminuria è A2 o maggiore
con malattia epatica e di quelli con artrite gottosa Il sodio deve essere ristretto a <2g al giorno!
8. Discromie: gli urocromogeni si accumulano a li- Anemia
vello cutaneo, dando alla cute un colorito “giallo Va trattata con l’EPO ricombinante.
sporco”, e divengono più scuri dopo esposizione Alterato metabolismo calcio-fosforo
al sole. Va trattato con chelanti intestinali del fosforo (sali di cal-
9. Pericardite uremica: è un’alterazione rara e tar- cio, sevelamer, lantanio carbonato, idrossido di allumi-
diva. nio).
NOTA: nonostante tutte queste alterazioni, occorre tenere L’idrossido di alluminio va utilizzato solo per poco tem-
presente che la maggior parte dei pazienti, anche in fase po.
avanzata, sono del tutto asintomatici, e anzi si sentono Nel trattamento dell’iperparatiroidismo secondario, il car-
bene! dine è rappresentato dall’utilizzo di VitD e suoi analoghi,
NOTA2: nella CKD si verificano anche alterazioni del che incrementano la calcemia (PTH target: 150-
metabolismo lipidico (!VLDL e IDL, "HDL) probabil- 300pg/ml).
mente a causa della perdita di apolipoproteine con le uri- Terapia nutrizionale
ne. I pazienti con CKD devono rispettare il più possibile una
dieta sana, evitando gli eccessi di frutta e verdura, e devo-
Diagnosi e screening no attuare restrizione di sale e proteine. In particolare
I criteri diagnostici sono quelli della definizione e stadia- queste ultime devono essere ridotte del 25-30%, e la quota
zione di CKD. introdotta deve essere ad elevato valore biologico.
La malattia renale cronica andrebbe ricercata in tutti i pa-
zienti con fattori di rischio per CKD, quali: Nel complesso, infine, vanno trattate tutte le comorbidità
1. Età >50 anni del paziente, compresa l’obesità e la sindrome metabolica,
2. DM che si associano, da sole, ad albuminuria (= danno renale)
3. Ipertensione arteriosa per ragioni ancora da chiarire.
4. Malattia cardiovascolare
5. Iperlipidemia
6. Obesità
7. Sindrome metabolica
8. Fumo
9. HIV
10. HCV
11. Tumore maligno
12. Storia familiare di CKD
13. Terapia con farmaci potenzialmente nefrotossici
Danno renale acuto (acute kidney in-
Epidemiologia
jury or impairment, AKI) È difficile stimare la prevalenza dell’AKI, in quanto, non
corrispondendo necessariamente all’IRA vera e propria,
Il concetto di danno renale acuto ha largamente sostituito, molti casi possono passare inosservati.
negli ultimi tempi, quello di insufficienza renale acuta (I- La maggior parte dei casi si presentano nelle seguenti si-
RA), per indicare un improvviso declino nella funzionali- tuazioni:
tà renale. 1. Anziani: in quanto hanno una fisiologica ridu-
Il concetto di AKI comprende infatti quello di IRA, ma zione del GFR e sono spesso sottoposti a poli-
non si limita ad essa. farmacoterapia, e inoltre hanno comorbidità im-
portanti
Definizione di AKI 2. Pazienti in UTI: che spesso sono colpiti da sepsi
L’AKI è una riduzione improvvisa della funzionalità re- e quadri di MOF
nale, definita da: 3. Interventi chirurgici: soprattutto gli interventi di
1. !SCr >= 0,3 mg/dL in 48h cardiochirurgia e di chirurgia vascolare sull’aorta
2. !SCr 1,5 volte il valore basale nell’arco di 7gg addominale.
3. Volume urinario <0,5ml/Kg/h per 6 ore
4. "GFR >25% nell’arco di 7gg Eziopatogenesi
La presenza di anche solo uno di questi elementi definisce Dato che l’AKI è una sindrome clinica caratterizzata da
il danno renale acuto. una ridotta funzionalità renale, ne consegue che tale situa-
zione può verificarsi sia in assenza che in presenza di
Stadiazione dell’AKI danno renale.
Più viene compromessa la funzione renale, più peggiora Su tale base le cause di AKI sono classicamente distinte
la prognosi del paziente, in maniera continua. Data in:
l’importanza prognostica di questo dato, appare quindi 1. Prerenali
utile stadiare l’AKI. 2. Renali
La stadiazione dell’AKI viene fatta secondo il sistema 3. Postrenali
RIFLE, che sta per: Nel primo caso non si ha, almeno all’inizio, danno orga-
Gli indicatori che corrispondono agli stadi elencati sono i nico renale.
seguenti: Cause di AKI
Stadiazione dell’AKI Pre-renali
R = risk ! rischio di danno renale Vi è una riduzione improvvisa della perfusione renale.
1. !SCr >= 0,3 mg/dL in 48h Riduzione del volume extracellulare
2. !SCr 1,5 volte il valore basale nell’arco di 1. Emorragia
7gg 2. Perdite GI: vomito, diarrea
3. Volume urinario <0,5ml/Kg/h per 6 ore 3. Perdite renali: diuretici, iperglicemia, DI
4. "GFR >25% nell’arco di 7gg 4. Perdite cutanee: ustioni, ipertermia
I = injury ! danno renale 5. Aumento terzo spazio: ascite, ipoalmumine-
1. !SCr tra 2 e 3 volte il valore basale nell’arco mia
di 7gg Riduzione della gittata cardiaca
2. Volume urinario <0,5ml/Kg/h per 12 ore 1. Disfunzione sistolica VS
3. "GFR >50% nell’arco di 7gg 2. Malattie valvolari
F = failure ! insufficienza renale 3. Pericardite costrittiva e tamponamento cardia-
1. !SCr > 3 volte il valore basale nell’arco di co
7gg 4. Embolia polmonare
2. SCr >= 4mg/dL (con un incremento acuto di Vasodilatazione sistemica
almeno 0,5mg/dL) Sepsi, anafilassi
3. Anuria per 12h Vasocostrizione renale selettiva
4. Volume urinario <0,3ml/Kg/h per 24 ore 1. Farmaci: adrenalina, NE, ciclosporina
5. "GFR >75% nell’arco di 7gg 2. Sindrome epato-renale
6. Necessità di dialisi Farmaci che riducono la capacità di autoregolazione
L = loss of function ! perdita completa di funzione renale in situazioni di ipoperfusione
renale 1. FANS
Stadio III (F) per >4 settimane 2. ACEi
E = end stage renal disease ! danno irreversibile e 3. ARB
tanto grave da rendere necessaria la terapia sostitutiva Renali
(dialisi) per più di 3 mesi Vi è danno renale diretto
NOTA: se il paziente presenta parametri appartenenti a 2 Da NTA (necrosi tubulare acuta)
stadi differenti, si sceglie sempre lo stadio più grave. 1. Ischemica (evoluzione della forma pre-renale)
2. Da nefrotossine: aminoglicosidi, mezzi di sottostante oppure dalle manifestazioni dell’insufficienza
contrasto, mioglobina, cisplatino, catene leg- renale, e il paziente può essere o meno oligo/anurico e
gere. presentare urine e parametri di laboratorio con caratteri
Da nefrite interstiziale differenti a seconda della causa dell’AKI.
1. Da farmaci (potenzialmente tutti): vi è una re-
azione allergica al farmaco con infiltrato in- Approccio al paziente
terstiziale di granulociti eosinofili e cellule T Una volta diagnosticata l’AKI (vedi definizione) si deve
2. Infettiva: batterica (maggioranza dei casi), vi- procedere allo stesso tempo all’inquadramento della causa
rale (CMV)
e alla valutazione del paziente per la necessità di
Da danno glomerulare
un’eventuale correzione di complicanze dell’AKI (es. il
Glomerulonefriti:
fatto che un paziente mostri segni di sovraccarico di vo-
1. Da Ig anti MBG: Sdr. di Goodpasture, malat-
tia anti-GBM lume a livello polmonare ci dà indicazioni sia sulla possi-
2. Da ANCA: Granulomatosi di Wegener, PAN, bile eziologia che sulla terapia da effettuare).
GN a semilune Pertanto, di fronte a un paziente con AKI da causa scono-
3. Da attivazione del complemento (immuno- sciuta vanno effettuati:
complessi): GN prolifertiva idiopatica, GN a 1. Anamnesi
semilune, GN membranoproliferativa, GN 2. Valutazione dello stato di volume (per vedere se
post-infettiva, Nefrite lupica, Crioglobuline- c’è AKI pre-renale)
mia, Endocardite batterica, Nefropatia da IgA
Danno microvascolare
HTA maligna, SUE/PTT, crisi sclerodermica, gestosi
Da danno dei grossi vasi
1. Arterie: trombosi dell’arteria renale, embolia
2. Vene: trombosi delle vene renali
Post-renali
Vi è ostruzione al flusso urinario, stasi della preurina a
monte, e conseguente cessazione della filtrazione e
danno tubulare tossico e ischemico
Ostruzione intrinseca
1. Calcoli
2. Neoplasie
3. Coaguli
4. Necrosi papillare
5. Stenosi uretrale
Ostruzione estrinseca
1. Neoplasie retroperitoneali
2. Aderenze
3. Ipertrofia o neoplasia prostatica
Vescica neurogena
3. Emocromo, dosaggio anticorpi anti-MBG, AN-
Fisiopatologia CA, C3, esame delle urine (per AKI renale)
Con l’aggravamento dell’AKI vengono progressivamente 4. Ecografia renale (per AKI post-renale)
meno le funzioni renali, per cui il paziente va incontro a: 5. Valutazione dello stato di volume + dosaggio di
sovraccarico di volume (ipertensione arteriosa, precipita- urea, acido urico ed elettroliti (per valutare le
zione di un’insufficienza cardiaca ed edema polmonare, complicanze dell’AKI)
edemi periferici), disionemie (iperkalemia, ipocalcemia,
iperfosfatemia), alterazioni acido-base (acidosi metaboli- Terapia
ca), ritenzione di tossine (urea, acido urico, creatinina, La terapia deve prevedere 1) correzione immediata delle
altre tossine uremiche). complicanze dell’AKI; 2) terapia eziologica.
La presenza di queste alterazioni ci dà poi delle manife- Entrambi gli aspetti sono trattati singolarmente altrove.
stazioni caratteristiche, quali quelle del sovraccarico di
volume appena descritte, e progressive alterazioni dello
stato mentale.
Clinica
La presentazione clinica del paziente è altamente variabi-
le, e molti casi di AKI possono manifestarsi semplice-
mente come alterazioni dei parametri di laboratorio. In
altri casi, il quadro può essere dominato dalla condizione
Fisiologia del calcio
Ipercalcemia
Il calcio è il minerale più largamente rappresentato
nell'organismo umano: nell'adulto è contenuto nella misu- Definizione
ra di 1200 g circa, il 99% del quale nello scheletro e nei L’ipercalcemia è definita da un aumento oltre i limiti del-
denti. Il rimanente 1% è ripartito tra tessuti molli e liquidi la norma del calcio plasmatico, o della frazione di calcio
extracellulari; in questi ultimi la quota ionizzata (45% cir- ionizzato.
ca) rappresenta la quota funzionalmente attiva. Eziopatogenesi
Nelle ossa il calcio svolge un ruolo strutturale come com- Le cause dell’ipercalcemia sono elencate in tabella.
ponente dell’idrossiapatite e costituisce una riserva per il Cause di ipercalcemia
mantenimento della concentrazione plasmatica, che varia Eccesso di PTH
tra 2,2-2,6 mmol/l (9-10,5 mg/dl) Nell'ambito extra ed 1. Iperparatiroidismo primitivo (adenoma o K
intracellulare il calcioione è richiesto per lo svolgimento paratiroideo)
di funzioni altamente specializzate (attivazioni enzimati- 2. Terapia con litio (stimola il recettore per il Ca
che, trasmissione dell'impulso nervoso, contrazione mu- sulle paratiroidi)
scolare, permeabilità delle membrane, moltiplicazione e 3. Ipercalcemia ipocalciurica familiare (disor-
differenziazione cellulare). dine AD caratterizzato da eccessiva secrezio-
ne di PTH)
Bilancio del calcio
4. Malattia di Jansen (come sopra, ma è la ri-
L'assorbimento del calcio è pari al 35% della quota ingeri- sposta dei tessuti che è eccessiva)
ta, e avviene sia a livello del piccolo che del grosso inte- 5. Produzione di PTHrP (K squamocellulari,
stino. specialmente del polmone)
La fonte alimentare principale di calcio è rappresentata Eccesso di vitD
dal latte e dai suoi derivati (67% del fabbisogno giornalie- 1. Intossicazione da vit. D
ro), mentre il resto del fabbisogno è fornito da verdure 2. Malattie granulomatose (es. sarcoidosi)
(12%), cereali (8%), carni e pesce (6%). E' difficile stima- 3. Sdr. di Williams
re quanto pesi l'assunzione di Ca++ tramite l'acqua pota- Aumento del riassorbimento osseo
bile, perché la sua concentrazione può variare molto. 1. Metastasi osteolitiche
Il calcio viene giornalmente perso attraverso la desqua- 2. Ipertiroidismo
mazione, le urine, le feci e il sudore, e deve quindi essere 3. Immobilizzazione
continuamente reintegrato. 4. Diuretici tiazidici
Regolazione della calcemia 5. Intossicazione da vit.A
La calcemia è regolata dagli ormoni calcio-regolatori: pa- Insufficienza renale
1. Iperparatiroidismo secondario
ratormone, calcitriolo (1,25 OH-colecalciferolo) e calci-
2. Intossicazione da alluminio
tonina.
3. Sindrome latte-alcali
Il paratormone (PTH) è secreto dalle ghiandole paratiroi-
L’iperparatiroidismo primitivo si manifesta nell’80%
di, ed è un ormone ipercalcemizzante. Determina osteolisi
dei casi come adenoma solitario, e nel restante 20% come
(riassorbimento di Ca e P dall’osso) e aumento del rias-
carcinoma o come adenoma nell’ambito di una MEN (1,
sorbimento renale di Ca++, mentre aumenta l’escrezione
2a o 2b). In genere l’adenoma di per sé è asintomatico,
renale di P. L’assorbimento renale PTH-mediato si verifi-
ma l’eccesso di PTH determina ipercalcemia, nefrolitiasi
ca nel tratto spesso dell’ansa di Henle, per via paracellula-
ricorrente, ulcera peptica, aumento del riassorbimento os-
re e transcellulare, mentre quello PTH-indipendente si era
seo e alterazioni comportamentali.
già verificato nel TCP grazie al sodio.
L’intossicazione da vit. D è rara, e per instaurarla sono
Il calcitriolo è la forma attiva della vitamina D. La vita-
necessarie somministrazioni di vit. D pari a 50-100 volte
mina D può venire in parte ingerita (grasso crudo del pe-
la dose abituale, per molto tempo.
sce) e in parte prodotta dalla pelle grazie all’esposizione
Nelle malattie granulomatose i macrofagi dei granulomi
ai raggi UV. Per esplicare a pieno la sua azione deve però
esprimono la 1-idrossilasi, attivando costitutivamente
essere attivata (1-idrossilata) a livello renale, e tale rea-
l’ormone.
zione è fortemente stimolata dal PTH. La vitD determina
L’intossicazione da alluminio si verifica nei pazienti in
aumento dell’assorbimento intestinale e renale di calcio E
dialisi, e compromette la deposizione di calcio nell’osso,
fosfato.
così come l’attività osteoblastica.
La calcitonina è l’unico ormone ipocalcemizzante. Agisce
La sindrome latte-alcali è una sindrome caratterizzata da
su specifici recettori sugli osteoclasti, riducendo il rias-
ipercalcemia, alcalosi e insufficienza renale, dovuta ad
sorbimento osseo. Il suo ruolo fisiologico è marginale,
eccessiva ingestione di calcio e antiacidi assorbibili, come
mentre è più importante negli stati patologici.
il CaCO. L’assorbimento di calcio determina perdita rena-
le di sodio e riassorbimento di bicarbonato. Quest’ultimo
incremena il riassorbimento renale di Ca, aggravando il 3. Fosfato EV: è rapidamente efficace, ma può es-
quadro clinico. sere fatale, quindi è riservato solo ai pazienti con
Fisiopatologia e clinica ipercalcemia grave che ha indotto grave IC o IR.
Le manifestazioni cliniche dell’ipercalcemia sono le se- Tra le terapie basate sul meccanismo patogenetico abbia-
guenti: mo:
1. Disturbi neuropsichiatrici: ansia, depressione, 1. Farmaci che riducono il riassorbimento osseo:
deterioramento cognitivo. Se l’ipercalcemia è bisfosfonati, mitramicina, salcatonina (calcitoni-
grave compaiono letargia, confusione, stupore, na di salmone), gallio nitrato.
coma. 2. Farmaci attivi nelle malattie granulomatose:
2. Disturbi gastrointestinali: stipsi, anoressia e corticosteroidi
nausea. Raramente pancreatite acuta e ulcera
peptica. La stipsi è probabilmente dovuta alla Focus on – terapia dell’iperparatiroidismo primitivo
diminuzione del tono della muscolatura liscia in- La domanda principale è se sussista o meno l’indicazione
testinale, o a turbe del SNA. La pancreatite acuta chirurgica, che in genere è data da un’ipercalcemia grave
è forse dovuta a deposizione di calcio nei dotti (>4,5mmol/L), evenienza rara in questo disturbo.
pancreatici, o ad attivazione calcio-indotta degli La malattia può anche essere controllata farmacologica-
enzimi pancreatici. Infine, l’ulcera peptica è pro- mente, con bisfosfonati e calcimimetici (farmaci che sti-
babilmente indotta dall’aumentato rilascio di ga- molano il recettore per il calcio nelle paratiroidi, inibendo
strina calcio-indotto. la secrezione del PTH).
3. Disturbi renali: poliuria, nefrolitiasi, IRA, IRC.
La poliuria deriva da DI nefrogenico calcio-
indotto, l’IRA può derivare da vasocostrizione Ipocalcemia
renale e deplezione di volume acuta, e si instaura
solo per valori di calcemia molto elevati. L’IRC Definizione
è dovuta a danno cronico alle cellule tubulari L’ipocalcemia è definita da una quantità di calcio plasma-
calcio-indotto. tico <2,2mmol/L o da una diminuzione del iCa.
4. Disturbi cardiovascolari: l’ipercalcemia deter- Eziopatogenesi
mina accorciamento del QT, e aumento del ri- Le cause di ipocalcemia sono presentate in tabella.
schio ti tachiaritmie sopraventricolari. Inoltre Cause di ipocalcemia
l’ipercalcemia cronica determina deposizione di PTH ridotto o assente
calcio nel cuore e nelle pareti vascolari. 1. Ipoparatiroidismo ereditario
5. Muscoli: c’è grave astenia 2. Ipoparatiroidismo acquisito: rimozione chi-
Approccio diagnostico rurgica delle paratiroidi, ipomagnesemia, au-
Se si determina il calcio totale, bisogna stare attenti, per- toimmune.
ché può essere aumentato in assenza di aumento del iCa, Inefficacia del PTH (PTH elevato)
per svariati motivi (pseudoipercalcemia). 1. IRC
Allo stesso modo, un’ipoalbuminemia grave determinerà 2. Pseudo-ipoparatiroidismo
un aumento del iCa pur in presenza di valori di calcio to- 3. Richiesta eccessiva di PTH (es. dopo perdita
tale normali. ingente di calcio)
Alla valutazione clinica in genere abbiamo pochi elementi Alterazioni della vit. D (PTH elevato)
1. Deficit da insufficiente apporto alimentare o
che sono specifici di una determinata eziologia. L’unico
ridotta esposizione solare
orientamento ci può venire dal fatto che, in genere, i pa-
2. Anticonvulsivi
zienti con iperparatiroidismo primitivo presentano livelli 3. Rachitismo vit.D-dipendente di tipo I
di calcemia solo moderatamente elevati, mentre quelli con 4. Malassorbimento intestinale di calcio
neoplasia maligna presentano spesso calcemia molto alta. 5. Rachitismo di tipo II
La diagnosi eziologica comunque richiede il dosaggio in Aumentata deposizione nei tessuti
sequenza di: 1)PTH; 2) Vitamina D e PTHrP 1. Iperfosforemia
Terapia L’ipoparatiroidismo ereditario può presentarsi come
La terapia migliore è sempre quella del disturbo di base. un’entitàisolata o nell’ambito di sindromi come la sdr. di
Nella situazione acuta, o qualora la terapia eziologica non Di George.
sia possibile, i provvedimenti attuabili sono i seguenti: Lo pseudo-ipoparatiroidismo è una condizione caratte-
1. Idratazione + diuretici dell’ansa: possono esse- rizzata dalla resistenza dei tessuti all’azione del PTH, ed è
re attuati in maniera più o meno energica a se- una patologia ereditaria.
conda della calcemia (>3mmol/L non è grave). Gli anticonvulsivi determinano deficit di vitamina D au-
2. Dialisi mentandone la conversione in metaboliti inattivi.
Il rachitismo è un disturbo caratterizzato da deficit di mi-
neralizzazione ossea nell’infanzia e deformità ossee. Il
tipo I e II sono entrambi dovuti a resistenza dei tessuti pe- nico inferiore, sono: Mg, creatinina, fosfato, metaboliti
riferici all’azione della vitamina, ma il tipo I è meno gra- della vitamina D, fosfatasi alcalina.
ve.
xix
Sindrome nefritica
ͻ oliguria
riduzione del flusso glomerulare
ͻ edemi localizzati a regioni con lassità tessutaria
con ritenzione idrosalina
ͻ ipertensione generalmente <170/120, talvolta piú grave
Possibili associazioni S. nefritica S. nefrosica
Esame
delle
urine
g. acuta post-‐streptococcica xxx
x oliguria
g. IgA mesangiale (m. di Berger) x
x Ĺ peso specifico
x proteinuria modesta g. membranoproliferativa x x
x colore rosso g. a lesioni minime xxx
x sedimento ricco di eritrociti e cilindri g. membranosa xxx
x iposodiuria glomerulosclerosi focale e segmentale ? x
s. di Goodpasture ?
ipercolesterolemia
ipertrigliceridemia
La glomerulonefrite causa un aumento della permeabilità glomerulare; se questo determina una perdita di proteine
sufficientemente marcata si ha una riduzione della pressione oncotica ematica, con conseguenti edemi. Se gli edemi
sono marcati si può ĂǀĞƌĞ ŝƉŽǀŽůĞŵŝĂ͕ ĐŚĞ ƉƌŽǀŽĐĂ ĂƵŵĞŶƚŽ ĚĞůů͛aldosterone con ritenzione di sodio e quindi
aumento della pressione idrostatica e peggioramento degli edemi.
Allo stesso tempo la perdita di proteine determina un accumulo di proteine tossiche nelle cellule tubulari, con flogosi
e fibrosi.
>͛ŝƉŽŶĐŚŝĂ ĚĞƚĞƌŵŝŶĂ ƵŶ ƚĞŶƚĂƚŝǀŽ Ěŝ compenso epatico: il fegato sintetizza nuove proteine, tra cui però anche
fibrinogeno e fattori del complemento che contribuiscono a provocare uno stato di ipercoagulabilità che aumenta il
rischio di trombosi.
Laboratorio
x Esame delle urine
o oliguria
o proteinuria e cilindri ialini
o iposodiuria
x Esame del sangue
o ŝƉŽƉƌŽƚŝĚĞŵŝĂĞĂƵŵĞŶƚŽĂƉŝĐĐŽĚĞůůĞɲϮ-‐globuline
o ipertrigliceridemia e ipercolesterolemia
o iposodiemia
o ipocalcemia
o ipercreatininemia e iperazotemia
x Biopsia renale: va eseguita in tutti i pazienti adulti per stabilire la glomerulonefrite responsabile; nei bambini
si prova la terapia steroidea (efficace per la g. a lesioni minime, forma pediatrica piú frequente).
Terapia
x dieta: normo/ipo-‐proteica, iposodica, povera in acidi grassi saturi e colesterolo
x movimento (previene la trombosi, facilita il riassorbimento degli edemi)
x riduzione edemi: associare
o tiazidico o ĚŝƵƌĞƚŝĐŽĚ͛ĂŶƐĂ
o antialdosteronico (spironolattone, canrenoato di potassio, amiloride)
x riduzione proteinuria (meccanismi non chiari, possono essere associati tra di loro):
o ACE-‐inibitori
o sartanici
x riduzione lipidemia
o statina
x no: restrizione idrica (eccetto nei rari casi con grave iposodiemia), dieta iperproteica o infusione albumina
(provocherebbero solo un aumento della proteinuria)
Glomerulonefriti
Le glomerulonefriti sono malattie glomerulari a patogenesi immunitaria umorale (soprattutto per immunocomplessi)
o cellulo-‐mediata. Si dividono in primitive e secondarie.
x ĚŝƵƌĞƚŝĐŽĚ͛ĂŶƐĂ
x anti-‐ipertensivo
x benzodiazepina se si sviluppa encefalopatia ipertensiva
48
ŵĂƉƵſĐŽůƉŝƌĞƋƵĂůƐŝĂƐŝĞƚăĞƉƵſƐĞŐƵŝƌĞƵŶ͛ŝŶĨĞnjŝŽŶĞŝŶƋƵĂůƐŝĂƐŝĚŝƐƚƌĞƚƚŽĚĂƉĂƌƚĞĚŝStreptococcus o altri agenti infettivi.
76
Glomerulonefrite
membranoproliferativa
ƐŽƌĚŝƐĐĞĐŽŶƐŝŶĚƌŽŵĞŶĞĨƌŝƚŝĐĂŽĐŽŶƐŝŶĚƌŽŵĞŶĞĨƌŽƐŝĐĂŽƐĞŶnjĂƐŝŶƚŽŵĂƚŽůŽŐŝĂ͘ǀŽůǀĞŶĞůϵϬйĚĞŝĐĂƐŝǀĞƌƐŽů͛/Z͘
Diagnosi con biopsia; la microscopia consente di differenziare un tipo I e un tipo II (il tipo II recidiva quasi sempre nel
rene trapiantato). Non esistono terapie efficaci.
x steroidi
o prednisone 60 mg/m2/die per 4 settimane, poi a giorni alterni per 4 settimane, poi si scala la dose e
si sospende.
x immunosoppressori ƐĞĐ͛ğƐƚĞƌŽŝĚŽ-‐resistenza
o ciclofosfamide 1-‐2 mg/kg/die
o clorambucil 0,1-‐0,2 mg/kg/die
Glomerulonefrite
membranosa
È caratterizzata da sindrome nefrosica: oliguria, edemi, proteinuria, alterazioni metabolismo lipidico. Evolve
ŐĞŶĞƌĂůŵĞŶƚĞ ǀĞƌƐŽ ů͛ŝŶƐƵĨĨŝĐŝĞŶnjĂ ƌĞŶĂůĞ ĐƌŽŶŝĐĂ͘ Può essere primitiva o secondaria a neoplasie, epatite B, sifilide,
LES, farmaci.
Diagnosi: biopsia renale, che mostra un ispessimento diffuso della membrana basale glomerulare. Terapie efficaci non
esistono, forse il prednisone.
Diagnosi: biopsia renale, che rivela lesioni sclerotiche limitate solo ad alcuni segmenti di alcuni glomeruli. Terapia: si
tenta con gli steroidi, efficaci nel 25% dei casi, altrimenti associazione con immunosoppressione.
x steroidi: per os e a bassi dosaggi per classi meno gravi, ev per classi piú gravi;
x immunosoppressori: si possono associare in caso di assenza di risposta;
x plasmaferesi nelle forme gravi a esordio acuto.
77
Amiloidosi
renale
Consiste nella deposizione nella parete vascolare renale di materiale amorfo fibrillare (amiloide) di origine variabile
(catene leggere Ig, proteina sierica non Ig e altre). Può essere secondaria a mieloma multiplo, malattie infiammatorie,
ŝŶĨĞƚƚŝǀĞ Ž ŶĞŽƉůĂƐƚŝĐŚĞ͕ ĨĂŵŝůŝĂƌĞ Ž ƉƌŝŵŝƚŝǀĂ͘ /ŶĚƵĐĞ ƐŝŶĚƌŽŵĞ ŶĞĨƌŽƐŝĐĂ Ğ ƚĂůǀŽůƚĂ /Z͖ ĞǀŽůǀĞ ǀĞƌƐŽ ů͛/Z͘
accompagnata da manifestazioni extrarenali. Diagnosi con biopsia renale. Terapia della malattia di base nelle forme
secondarie.
Tipo II: adulti. Sintomatologia simil-‐influenzale. Evoluzione e biopsia come sopra. Da immunocomplessi.
Tipo III: adulti. Sintomatologia simil-‐influenzale e coinvolgimento altri organi. Evoluzione e biopsia come sora. Da Ig
anti-‐ANCA; è una vasculite.
Terapia, comune: in acuto steroidi ad alte dosi ev, ciclofosfamide e talvolta plasmaferesi. Poi si continua per 1-‐2 anni
per via orale.
78
xx-‐ -‐
Acqua
e
sali
I liquidi corporei (circa il 55% del peso corporeo) sono divisi in compartimenti: sierica urinaria
(mEq/L) (mEq/die)
x 2/3 intracellulare
x 1/3 extracellulare Na+ 135-‐145 170
o ¼ plasmatico (3,5 L) K
+
3,5-‐5 50-‐200
o ¾ interstiziale
HCO3-‐ 24
o terzo spazio (principalmente liquidi nel tubo digerente)
-‐
Cl 96-‐106
>Ă ĚŝƐƚƌŝďƵnjŝŽŶĞ ĚĞůů͛ĂĐƋƵĂ ŶĞŝ ǀĂƌŝ ĐŽŵƉĂƌƚŝŵĞŶƚŝ ĚŝƉĞŶĚĞ ĚĂůůa pressione
idrostatica e dalů͛ŽƐŵŽůĂůŝƚă͕ ĐŚĞ ĐŽŶƐŝƐƚĞ ŶĞůůĂ ĐŽŶĐĞŶƚƌĂnjŝŽŶĞ Ěŝ ƚƵƚƚŝ ŝ ƐŽůƵƚŝ ƉƌĞƐĞŶƚŝ ŶĞůůĂ ƐŽůƵnjŝŽŶĞ͘ >͛ŽƐŵŽůĂůŝƚă
sierica è data principalmente dal sodio, dal cloro, dal bicarbonato e dal glucosio; può essere stimata moltiplicando per
due la concentrazione del solo sodio. >͛ŽƐŵŽůĂůŝƚăŝŶƚƌĂĐĞůůƵůĂƌĞğŝŶǀĞĐĞĚĂƚĂƉƌŝŶĐŝƉĂůŵĞŶƚĞĚĂůƉŽƚĂƐƐŝŽĞĚĂŝĨŽƐfati
organici.
>Ă ƚŽŶŝĐŝƚă ĚĞŝ ůŝƋƵŝĚŝ ĐŽƌƉŽƌĞŝ ğ ƌĞŐŽůĂƚĂ ŽŵĞŽƐƚĂƚŝĐĂŵĞŶƚĞ͘ >͛ŝƉĞƌŽƐŵŽůĂƌŝƚă ƉƌŽǀŽĐĂ ƐĞƚĞ Ğ ĂƵŵĞŶƚŽ ĚĞů ƌŝůĂƐĐŝŽ
neuroipofisario di ADH, con stimolazione del riassorbimento idrico. Anche una marcata riduzione del volume
extracellulare induce rilascio di ADH. >͛ŝƉŽǀŽůĞŵŝĂƐƚŝŵŽůĂůĂƐĞĐƌĞnjŝŽŶĞĚŝƌĞŶŝŶĂĞĂƚƚŝǀĂnjŝŽŶĞĚĞůƐŝƐƚĞŵĂZ͕ĐŽŶ
aumento del riassorbimento del sodio e quindi di acqua. L͛ŝƉĞƌǀŽůĞŵŝĂ͕ ŝŶǀĞĐĞ͕ ƐƚŝŵŽůĂ ůĂ ƐĞĐƌĞnjŝŽŶĞ Ěŝ EW͕ ĐŚĞ
inibisce il riassorbimento di sodio.
Cause
x perdita di sodio renale
o insufficienza renale tubulo-‐interstiziale: il tubulo perde la capacità di riassorbire gli elettroliti.
o diuretici
o ipoaldosteronismo
o diuresi osmotica (glucosio, urea, mannitolo)
x perdita di sodio gastrointestinale: vomito, diarrea secretiva, drenaggi. Ci può essere perdita di altri elettroliti
e quindi anche alcalosi (vomito) o acidosi (diarrea)
x perdita di sodio cutanea: sudorazione per febbre, ustioni
x perdita di acqua dalle vie respiratorie: iperventilazione, in particolare in pazienti con ventilazione meccanica
x sequestro di liquidi nel terzo spazio: ileo, peritonite, ascite, pancreatite, emorragie interne, sindrome da
schiacciamento muscolare
x љ apporto idrico, es. prima di interventi chirurgici: può contribuire.
Manifestazioni
Sete, cute secca, lingua asciutƚĂ͕ďƵůďŝŽĐƵůĂƌŝĐĞĚĞǀŽůŝ͕ĐŽůůĂďŝŵĞŶƚŽĚĞůůĞǀĞŶĞ͘^ĞĐ͛ğŐƌĂǀĞŝƉŽǀŽůĞŵŝĂƐŝŚĂ rapida
perdita di peso, letargia, astenia, oliguria, tachicardia o anche shock. I pazienti allettati possono essere asintomatici; in
questi casi si può ƌŝĐĞƌĐĂƌĞů͛ŝƉŽƚĞŶƐŝŽne ortostatica, la tachicardia ortostatica.
Ĺcreatininemia e azotemia; Ļ Na urinario (IRA funzionale).
Terapia
x correzione volemia
o idratazione orale
79
o idratazione intravenosa con soluzione 0,9% di NaCl se la deplezione è marcata
x correzione altre alterazioni elettrolitiche, se presenti
o infusione elettroliti carenti
Sodio
Iposodiemia
(iponatriemia)
Riduzione della concentrazione sierica di sodio: [Na+] <135 mEq/L. È causata generalmente da un bilancio idrico
positivo, solo raramente da carenza di sale. È molto comune.
Cause
^ĞĐŽŶĚŽů͛,ĂƌƌŝƐŽŶƐŝƐƵĚĚŝǀŝĚĞŝŶďĂƐĞĂůůĂǀŽůĞŵŝĂ͗ŝƉŽƐŽĚŝĞŵŝĂŝƉŽǀŽůĞŵŝĐĂ͕ŶŽƌŵŽǀŽůĞŵŝĐĂĞŝƉĞƌǀŽůĞŵŝĐĂ͘
hŶĂƵŵĞŶƚŽĚĞůů͛ĂƉƉŽƌƚŽĚŝĂĐƋƵĂpuò ĐŽŶƚƌŝďƵŝƌĞĂůů͛ŝŶƐŽƌŐĞŶnjĂĚŝŝƉŽƐŽĚŝĞŵŝĂ͘hŶĂĐĂƵƐĂŵŽůƚŽĨƌĞƋƵĞŶƚĞğƋƵĞůůĂ
ŝĂƚƌŽŐĞŶĂ͕ ĐŽŶ ů͛ŝŶĨƵƐŝŽŶĞ Ěŝ ƐŽůƵnjŝŽŶŝ ŐůƵĐŽƐĂƚĞ ĐŽŶ ƉŽĐŽ EĂů͕ ĂĚ ĞƐĞŵƉŝŽ ĚŽƉŽ ůĂ ĐŚŝƌƵƌŐŝĂ͘ hŶ͛ĂůƚƌĂ ĐĂƵƐĂ ğ ůĂ
polidipsia psicogena.
La pseudo-‐iposodiemia Ɛŝ ŚĂ ƋƵĂŶĚŽ Đ͛ğ una marcata iperlipemia o iperprotidemia: la concentrazione di sodio
ŶĞůů͛ĂĐƋƵĂğŶŽƌŵĂůĞ͕ŵĂĂƉƉĂƌĞƌŝĚŽƚƚĂƉĞƌĐŚĠŝůƉůĂƐŵĂğŽĐĐƵƉĂƚŽĚĂĂůƚƌĞƐŽƐƚĂŶnjĞ͘
Manifestazioni
Per [Na+] 125-‐135 mEq/L non si ha sintomatologia. Per [Na+] <125 mEq/L si manifestano disturbi a carico dei muscoli e
ŝŶƉĂƌƚŝĐŽůĂƌĞĚĞůů͛ĞŶĐĞĨĂůŽ͕ĐŚĞƌŝƐĞŶƚĞƉĂƌƚŝĐŽůĂƌŵĞŶƚĞĚĞůů͛ĂƵŵĞŶƚĂƚŽǀŽůƵŵĞŝŶƚƌĂĐĞůůƵůĂƌĞ͘Inizialmente si ha
nausea, vomito, cefalea, contrazioni muscolari; poi letargia, crisi epilettiche, erniazione del tronco encefalico, coma e
morte. ^Ğů͛ŝƉŽƐŽĚŝĞŵŝĂğĐƌŽŶŝĐĂ;хϰϴŽƌĞͿƐŝŚĂƵŶĂĚĂƚƚĂŵĞŶƚŽĐŚĞƌĞŶĚĞŵĞŶŽĞǀŝĚĞŶƚŝůĞŵĂŶŝĨĞƐƚĂnjŝŽŶŝ͕ŵĂĐŚĞ
in caso di rapida correzione della sodiemia mette a rischio di brusca disidratazione neuronale con la grave sindrome da
demielinizzazione osmotica, principalmente a livello pontino.
Valutazione
diagnostica
È necessario individuare la causa sottostante; si valutano ůĂǀŽůĞŵŝĂĞůĂƐŽĚŝƵƌŝĂƉĞƌĐůĂƐƐŝĨŝĐĂƌĞů͛iposodiemia.
x storia farmacologica
x radiografia toracica: possibili cause polmonari di secrezione inappropriata di ADH
x ŽƐŵŽůĂůŝƚăƐŝĞƌŝĐĂ͗ƐĞŶŽƌŵĂůĞĐŽŶƐĞŶƚĞĚŝĞƐĐůƵĚĞƌĞůĂƉƐĞƵĚŽŝƉŽƐŽĚŝĞŵŝĂ͕ŶĞůů͛ŝƉŽƐŽĚŝĞŵŝĂğƌŝĚŽƚƚĂ
49
ŶĚƌĞƵĐĐŝ͗ƐŝŚĂĐŽŶƚĞŵƉŽƌĂŶĞĂŵĞŶƚĞŝƉŽǀŽůĞŵŝĂĞŝƉŽŽƐŵŽůĂůŝƚă͖ů͛ĂƵŵĞŶƚŽĚŝ,ƉĞŐŐŝŽƌĂů͛ŽƐŵŽůĂůŝƚă͘
80
Terapia
x correzione: deve essere lenta.
o infusione di salina ipertonica (NaCl al 3% = 513 mM) in acuto, per 1-‐2 mM/h per un totale di 4-‐6
ŵD͖ğƵŶĐĂƌŝĐŽůĞŐŐĞƌŽ͕ĚŽƉŽŝůƋƵĂůĞƐŝĂƚƚƵĂŶŽůĞŵŝƐƵƌĞƐŽƚƚŽƌŝƉŽƌƚĂƚĞ͘>͛ĂƵŵĞŶƚŽĚĞůůĂƐŽĚŝĞŵŝĂ
è scarsamente prevedibile, quindi è essenziale monitorarla ogni 2-‐4 ore durante il trattamento.
o restrizione idrica
50
in base al rapporto ionico urina/plasma si restringe a 1 L/die (rapporto >1) o <500 mL/die
(rapporto <1)
difficile nei pazienti con SIADH, che hanno molta sete
o infusione di K+ ƐĞĐ͛ğŝƉŽƉŽƚĂƐƐŝĞŵŝĂ͖ŵŝŐůŝŽƌĂĂŶĐŚĞůĂƐŽĚŝĞŵŝĂ
x rimozione delle cause reversibili (es. ipotiroidismo, iposurrenalismo, alcune SIADH, cardiomiopatie, beer
potomania).
Ipersodiemia
(ipernatriemia)
+
Aumento della concentrazione sierica di sodio: [Na ] >145 mEq/L. DŽůƚŽŵĞŶŽĐŽŵƵŶĞĚĞůů͛ŝƉŽƐŽĚŝĞŵŝĂ͘ Indica in
genere una combinazione di disidratazione e carenza di sodio di minore entità; meno frequentemente è causata da un
carico iatrogenico eccessivo di sodio.
Cause
x љ apporto idrico: fattore contribuente
o impossibilità di assumere liquidi: coma, deficit della deglutizione
o ridotto senso della sete: es. anziani.
x perdita di acqua renale
o diabete insipido centrale: ů͛ŝƉŽĨŝƐŝ ŶŽŶ ƉƌŽĚƵĐĞ ,͘ >͛ĂƐƐĞŶnjĂ ĚĞůů͛ĂnjŝŽŶĞ ĂŶƚŝĚŝƵƌĞƚŝĐĂ ƉƌŽǀŽĐĂ
poliuria a basso peso specifico (e quindi polidipsia)
o diabete insipido nefrogenico: ŝů ƌĞŶĞ ŶŽŶ ƌŝƐƉŽŶĚĞ Ăůů͛,͕ ƉĞƌ ĐĂƵƐĞ ĂĐƋƵŝƐŝƚĞ (es. litio e molti
antivirali) o raramente ereditarie.
o diuresi osmotica, es. glicosuria
x perdita di acqua extrarenale
o febbre con sudorazione profusa͗Đ͛ğĂŶĐŚĞƉĞƌĚŝƚĂĚŝƐŽĚŝŽ͕ŵĂŵŝŶŽƌĞƌŝƐƉĞƚƚŽĂƋƵĞůůĂĚi acqua.
o ustioni gravi
o diarrea osmotica
x љĞůŝŵŝŶĂnjŝŽŶĞĚŝEĂ+51
o Cushing
o iperaldosteronismo
Manifestazioni
+
Compaiono per livelli di [Na ] >155 mEq/L e sono simili a quelle da iposodiemia. Anche in questo caso lo sviluppo lento
provoca un adattamento che però mette a rischio di edema cerebrale in caso di rapida reidratazione.
Valutazione
x se oliguria ipertonica: il rene funziona bene, quindi perdita extrarenale
x se poliuria ipertonica: diuresi osmotica
x ƐĞƉŽůŝƵƌŝĂŝƉŽƚŽŶŝĐĂ͗ĚŝĂďĞƚĞŝŶƐŝƉŝĚŽїƚĞƐƚĚŝƌŝƐƉŽƐƚĂĂůů͛,ƉĞƌĚŝĨĨĞƌĞŶnjŝĂƌĞĐĞŶƚƌĂůĞĞƉĞƌŝĨĞƌŝĐŽ
ሺሾܰܽା ሿ௨ ሾ ܭା ሿ௨ ሻΤሾܰܽା ሿ
50
51
ů͛,ĂƌƌŝƐŽŶŶŽŶůŝĐŝƚĂ͘
81
Terapia
x correzione: lentamente, per evitare edema cerebrale (generalmente riportare il deficit di acqua entro 48 ore)
o introduzione di acqua per os o tramite sondino nasogastrico: è il modo migliore perché è il modo
piú rapido di somministrare acqua senza elettroliti.
o infusione di soluzione glucosata al 5%, in alternativa.
x ĐŽƌƌĞnjŝŽŶĞĚĞůů͛ŝƉŽǀŽůĞŵŝĂ (se presente)
o infusione di NaCl allo 0,9%
x rimozione delle cause reversibili
o ĂŶĂůŽŐŽĚĞůů͛, (endonasale, ev o per os) per diabete insipido centrale
o dieta iposodica e diuretici tiazidici per diabete insipido nefrogenico
Potassio
Il potassio plasmatico viene mantenuto tra 3,5 e 5 ŵDŐƌĂnjŝĞ Ăůů͛ĞƐĐƌĞnjŝŽŶĞ ƚŽƚĂůĞ Ěŝ ƋƵĞůůŽŝŶƚƌŽĚŽƚƚŽ ĐŽŶ ůĂ ĚŝĞƚĂ
;ϵϬйƌĞŶĂůĞϭϬйŝŶƚĞƐƚŝŶĂůĞͿ͛͘ĂůƚƌĂƉĂƌƚĞŝůϵϴйĚĞůƉŽƚĂƐƐŝŽĚĞůů͛ŽƌŐĂŶŝƐŵŽƐŝƚƌŽǀĂĚĞŶƚƌŽůĞĐĞůůƵůĞ͕ĞƋƵŝŶĚŝƵŶĂ
sua redistribuzione può alterare in modo netto la potassiemia.
ImportĂŶƚŝŐůŝƐĐĂŵďŝĐĂƚŝŽŶŝĐŝ<ͬ,ĞEĂͬ<ĞŝůƌƵŽůŽĚĞŐůŝŽƌŵŽŶŝĐŚĞĂŐŝƐĐŽŶŽƐƵŝĐĂŶĂůŝEĂ͘&ĂǀŽƌŝƐĐŽŶŽů͛ŝŶŐƌĞƐƐŽ
ĚŝƉŽƚĂƐƐŝŽŶĞůůĞĐĞůůƵůĞĞƋƵŝŶĚŝů͛ŝƉŽƉŽƚĂƐƐŝĞŵŝĂ͗ĂůĐĂůŽƐŝ͕ɴ-‐adrenergici, insulina, aldosterone. &ĂǀŽƌŝƐĐŽŶŽů͛ƵƐĐŝƚĂĚŝ
potassio dalle ceůůƵůĞĞƋƵŝŶĚŝů͛ŝƉĞƌƉŽƚĂƐƐŝĞŵŝĂ͗ĂĐŝĚŽƐŝ͕ɲ-‐adrenergici.
Ipopotassiemia
(ipokaliemia)
Potassio plasmatico <3,5 mM. È una condizione frequente nei pazienti ospedalizzati (fino al 20%) ed è associata ad un
notevole aumento della mortalità a causa degli effetti negativi su ritmo cardiaco e pressione arteriosa.
Cause
x ingresso nelle cellule (redistributiva)
o alcalosi metabolica (anche secondaria a vomito)
o ormoni: insulina, ŝƉĞƌƚŽŶŽ ɴϮ-‐adrenergico, ɴϮ-‐agonisti͕ ɲ-‐antagonisti, stimolazione Na/K ATPasi
(teofillina, caffeina), ipertiroidismo
o stato anabolico: somministrazione di vitamina B12 o folato (eritrociti), GM-‐CSF (leucociti),
nutrizione parenterale totale
o intossicazione da bario (impedisce la fuoriuscita)
o pseudo-‐ipopotassiemia: es. ingresso del potassio in leucociti in eccesso per leucemia
x perdita non renale (potassiuria <15 mmol/die)
o diarrea (anche per lassativi), associata ad acidosi metabolica
o sudorazione o ustioni di grande entità
x perdita renale (potassiuria >15 mmol/die)
o aumento del flusso distale e aumento Na distale, con scambio: diuretici, diuresi osmotica,
nefropatie con perdita di sale, antibiotici.
o aumento di secrezione di K: iperaldosteronismo primario e secondario, ipersurrenalismo
secondario, ŝŶĂƚƚŝǀĂnjŝŽŶĞ ĚĞůů͛ĞŶnjŝŵĂ ϭϭɴ-‐idrossisterolo deidrogenasi 2 (che disattiva il cortisolo,
impedendogli di agire come mineralcorticoide) genetica o tramite acido glicirrizico, sindrome di
Liddle (attivazione ENaC).
o deficit di magnesio͗ƌĞŶĚĞů͛ŝƉŽƉŽƚĂƐƐŝemia resistente alla correzione.
x ridotto apporto alimentare: causa molto rara
82
Manifestazioni
>͛ŝƉŽƉŽƚĂƐƐŝĞŵŝĂƐŝŵĂŶŝĨĞƐƚĂƐƵůůĞĐĞůůƵůĞŵƵƐĐŽůĂƌŝĐĂƌĚŝĂche, scheletriche e intestinali. È generalmente asintomatica
fino a concentrazioni di K tra 3 e 3,5.
ECG: onde T larghe e appiattite o invertite52, depressione ST, allungamento QT,
ĐŽŵƉĂƌƐĂ ŽŶĚĂ h͕ ƉŝƷ ŵĂƌĐĂƚĞ ƋƵĂŶƚŽ ƉŝƷ ğ ŐƌĂǀĞ ů͛ŝƉŽƉŽƚĂƐƐŝĞŵŝĂ͘ Le aritmie
ĚŝǀĞŶƚĂŶŽƉŝƷĨƌĞƋƵĞŶƚŝƐĞĐ͛ğƵŶĂĐĂƌĚŝŽƉĂƚŝĂƉƌĞĞƐŝƐƚĞŶƚĞ͘
Muscolo scheletrico: debolezza o anche paralisi (grave se interessa i muscoli
respiratori); rabdomiolisi (possibile insufficienza renale). Muscolatura intestinale: ileo,
con stipsi. ĻK lieve e grave
Valutazione
Anamnesi ed esame obiettivo. Farmaci (lassativi, diuretici, antibiotici, insulina, teofillina), dieta (liquirizia, caffè), segni
di malattie endocrinologiche (Cushing, ipertiroidismo), esami di laboratorio (elettroliti, azoto, creatinina, osmolalità
ƐŝĞƌŝĐĂ͕DŐ͕Ă͕ĞŵŽĐƌŽŵŽ͕Ɖ,ƵƌŝŶĂƌŝŽͿїcause varie
Terapia
La correzione urgente ma cauta del potassio deve essere considerata in pazienti con grave ipopotassiemia
redistributiva (<2,5) o quando ci sono delle complicanze gravi; si ha però rischio di iperpotassiemia. La potassiemia va
quindi controllata in maniera scrupolosa.
x correzione
o KCl per via orale ĚŝďĂƐĞ͕ŝŶƉĂƌƚŝĐŽůĂƌĞƐĞĐ͛ğĂůĐĂůŽƐŝŵĞƚĂďŽůŝĐĂ
endovena solo se è impossibile la somministrazione orale, 20-‐40 mmol/L, in soluzione salina (non
glucosata: il conseguente aumento di insulina peggiora la situazione!)
o bicarbonato o citrato di potassio ƐĞĐ͛ğĂŶĐŚĞĂĐŝĚŽƐŝŵĞƚĂďŽůŝĐĂ
o fosfato di potassio oƌĂůĞŽĞǀƐĞĐ͛ğĂŶĐŚĞŝƉŽĨŽƐĨĂƚĞŵŝĂ
o magnesio ŽƌĂůĞŽĞǀƐĞĐ͛ğŝƉŽŵĂŐŶĞƐĞŵŝĂ͕ĞƐƐĞŶnjŝĂůĞƉĞƌĐŚĠĂůƚƌŝŵĞŶƚŝŶŽŶƐŝƌŝƉƌŝƐƚŝŶĂŶĞĂŶĐŚĞŝůƉŽƚĂƐƐŝŽ
52
no pot no tea
53
TTKG = [K]u/[K]p * osmolp/osmolu. Dovrebbe essere <4 in ipopotassiemia e >7 in iperpotassiemia.
83
Iperpotassiemia
(iperkaliemia)
Potassio plasmatico >5,5 mEq/L. Si verifica nel 10% dei pazienti ospedalizzati. È dovuta generalmente alla riduzione
ĚĞůů͛ĞƐĐƌĞnjŝŽŶĞƌĞŶĂůĞ͘
Cause
x pseudo-‐iperpotassiemia: per efflusso cellulare in leucocitosi o trombocitosi, o per emolisi in vitro
x aumentato introito: dietetico (pomodori, banane, agrumi; può contribuire); iatrogenico.
x uscita dalle cellule (redistributiva)
o acidosi
o iperosmolarità: glucosio, mannitolo, destrosio, mezzo di contrasto
o ɴ-‐bloccanti
o digitale
o necrosi massiva: rabdomiolisi, ustioni, lisi tumorali, emorragie interne, emolisi
x Ļ escrezione
o insufficienza renale
o inibizione asse RAA: ACE-‐inibitori, sartanici, aliskiren, antialdosteronici e diuretici anti-‐ENaC
o ipoaldosteronismo (o resistenza renale ai mineralcorticoidi)
malattie tubulo-‐interstiziali (LES, malattia a cellule falciformi, uropatia ostruttiva)
nefropatia diabetica
ĨĂƌŵĂĐŝ͗&E^͕ɴ-‐bloccanti, ciclosporina, tacrolimus
insufficienza renale cronica
resistenza ereditaria
o insufficienza surrenalica primitiva: Addison, infezioni (HIV, TBC), infiltrazioni, farmaci (es. eparina),
sindromi ereditarie, sindrome da anticorpi anti-‐fosfolipidi
o ridotto apporto distale di K: insufficienza cardiaca, ipovolemia
Manifestazioni
ƵŶ͛ĞŵĞƌŐĞŶnjĂŵĞĚŝĐĂƉĞƌŝƐƵŽŝĞĨĨĞƚƚŝƐƵůĐƵŽƌĞ͘^ŝƉŽƐƐŽŶŽĂǀĞƌĞĚŝǀĞƌƐĞĂƌŝƚŵŝĞ͗
bradicardia sinusale, blocco SA, fibrillazione ventricolare, arresto cardiaco.
ECG: onde T appuntite; poi diminuzione e scomparsa onda P; poi slargamento QRS.
Si hanno anche effetti sul muscolo scheletrico, con astenia e anche paralisi flaccida.
ĹK lieve e grave
Valutazione
Occorre innanzitutto valutare se Đ͛ğďŝƐŽŐŶŽĚŝƵŶƚƌĂƚƚĂŵĞŶƚŽĚŝĞŵĞƌŐĞŶnjĂ;<хϲŽĂůƚĞƌĂnjŝŽŶŝ'Ϳ͖ƋƵŝŶĚŝƐŝƌŝĐĞƌĐĂ
la causa.
ŶĂŵŶĞƐŝ ĞĚ ĞƐĂŵĞ ŽďŝĞƚƚŝǀŽ͘ &ĂƌŵĂĐŝ ;ɴ-‐bloccanti, digitale, chemioterapici antitumorali, ACE-‐inibitori, sartanici,
aliskiren, antialdosteronici, diuretici risparmiatori del potassio, FANS, ciclosporina, tacrolimus, eparina), dieta, fattori
di rischio per insufficienza renale. Lab come per ipoK: elettroliti, azoto, creatinina, osmolalità, Mg e Ca, emocromo, pH
urinario.
Terapia
1. antagonismo degli effetti cardiaci
a. calcio Ğǀ͗ƌŝĚƵĐĞů͛ĞĐĐŝƚĂďŝůŝƚăƐĞŶnjĂĂůƚĞƌĂƌĞŝůƉŽƚĞŶnjŝĂůĞĚŝƌŝƉŽƐŽ͘ϭϬŵ>ĐĂůĐŝŽŐůƵĐŽŶĂƚŽ10% in
2-‐ϯŵŝŶƵƚŝ͕ƐŽƚƚŽŵŽŶŝƚŽƌĂŐŐŝŽĐĂƌĚŝĂĐŽ͘>͛ĞĨĨĞƚƚŽŝŶŝnjŝĂĚŽƉŽϭ-‐3 minuti e dura 30-‐60 minuti; va
ƌŝƉĞƚƵƚŽƐĞŶŽŶĐ͛ğŵŝŐůŝŽƌĂŵĞŶƚŽŽƐĞĐ͛ğŶƵŽǀŽƉĞŐŐŝŽƌĂŵĞŶƚo.
i. ů͛ĞǀĞŶƚƵĂůĞŝƉĞƌĐĂůĐĞŵŝĂpuò aggravare gli effetti tossici della digitale, quindi cautela.
2. rapida riduzione della potassiemia tramite ingresso nelle cellule
a. insulina regolare 10 U endovena seguita immediatamente da 50 mL di destrosio al 50%;
ů͛ĞĨĨĞƚƚŽ ŝnizia in 10-‐20 minuti e dura 4-‐ϲ ŽƌĞ͘ ^Ğ Đ͛ğ ŝƉĞƌŐůŝĐĞŵŝĂ ŵĂƌĐĂƚĂ ŶŽŶ Ɛŝ ĚĞǀĞ
somministrare il destrosio.
b. ɴ2-‐agonisti͕ ƐŽůŽ ƐĞ ĂƐƐŽĐŝĂƚŝ Ăůů͛ŝŶƐƵůŝŶĂ͘ ^ŽŶŽ ĞĨĨŝĐĂĐŝ ŵĂ ƉŽĐŽ ƵƐĂƚŝ͘ ůďƵƚĞƌŽůŽ ϭϬ-‐20 mg
nebulizzati in 4 mL di salina normale, inalati in 10 minuti.
c. ďŝĐĂƌďŽŶĂƚŽĚŝƐŽĚŝŽ͗ƐŽůŽƐĞĐ͛ğŝŶĚŝĐĂnjŝŽŶĞƉĞƌĂĐŝĚŽƐŝŵĞƚĂďŽůŝĐĂ
3. rimozione del potassio
a. resine a scambio cationico, es. sodio polistirene sulfonato. Effetto lento.
b. diuretici
c. dialisi, efficace ma lenta.
Equilibrio
acido/base
Il pH arterioso è mantenuto tra 7,35 e 7,45 grazie a sistemi tampone extra-‐ e intracellulari e meccanismi di regolazione
renali e respiratori (bicarbonato e CO2).
>ĞĐŽŵƉŽŶĞŶƚŝŵĞƚĂďŽůŝĐŚĞĞƌĞƐƉŝƌĂƚŽƌŝĞĐŚĞĚĞƚĞƌŵŝŶĂŶŽŝůƉ,ĞŵĂƚŝĐŽƐŽŶŽĚĞƐĐƌŝƚƚĞĚĂůů͛ĞƋƵĂnjŝŽŶĞĚŝ,-‐H:
ܱܥܪଷ ି
ܪൌ ǡͳ ݈݃
ܲܽைଶ ൈ ͲǡͲ͵Ͳͳ
In generale la produzione di CO2 e la sua escrezione sono allo stesso livello, in modo di mantenere una pressione di
CO2 di 40 mmHg. Un aumento della CO2 è causato generalmente da ipoventilazione e una sua riduzione da
iperventilazione; queste alterazioni possono essere indice di alterato controllo nervoso della respirazione o
ĐĂŵďŝĂŵĞŶƚŝĐŽŵƉĞŶƐĂƚŽƌŝĂƵŶ͛ĂůƚĞƌĂnjŝŽŶĞƉƌŝŵŝƚŝǀĂĚĞůďŝĐĂƌďŽŶĂƚŽƉůĂƐŵĂƚŝĐŽ͘
I reni regolano il bicarbonato plasmatico con tre processi: riassorbimento del bicarbonato filtrato (che richiede
ů͛ĞƐĐƌĞnjŝŽŶĞ Ěŝ ƉƌŽƚŽŶŝͿ, formazione di acido titolabile, escrezione di ammonio nelle urine. Fisiologicamente il
bicarbonato è intorno a 24 mmol/L.
Le alterazioni cliniche piú comuni sono semplici, cioè acidosi o alcalosi, metabolica o respiratoria. Meno
frequentemente sono miste, cioè sono causate da alterazioni contemporaneamente del rene e del polmone.
Le alterazioni nella CO2 e nel HCO3-‐ determinano delle alterazioni compensatorie, la cui entità può essere predetta con
delle equazioni ŽĐŽŶĚĞŝŶŽŵŽŐƌĂŵŵŝ͘^ĞůĂƉƌĞĚŝnjŝŽŶĞğĞƌƌĂƚĂǀƵŽůĚŝƌĞĐŚĞů͛ĂůƚĞƌĂnjŝŽŶĞğŵŝƐƚĂ͘
EĞůůĂǀĂůƵƚĂnjŝŽŶĞĚĞůů͛ĞƋƵŝůŝďƌŝŽĂĐŝĚŽͬďĂƐĞƐŝĚĞǀĞƉƌŽĐĞĚĞƌĞƉĞƌƉĂƐƐŝ͗
1. effettuare contemporaneamente emogasanalisi e valutazione elettrolitica
2. ĐŽŵƉĂƌĂƌĞŝůďŝĐĂƌďŽŶĂƚŽŶĞůůĞĚƵĞĂŶĂůŝƐŝƉĞƌǀĞƌŝĨŝĐĂƌĞů͛ĂĐĐƵƌĂƚĞnjnjĂ
3. identificare il tipo di disturbo acido-‐base
4. calcolare il gap anionico. Rappresenta gli anioni non misurati, normalmente è 10-‐12 mmol/L; si calcola cosí:
GA = Na ʹ (Cl + HCO3).
5. se aumenta il gap anionico ǀƵŽů ĚŝƌĞ Ž ĐŚĞ Đ͛ğ ƵŶ ĂƵŵĞŶƚŽ Ěŝ ĂŶŝŽŶŝ ŶŽŶ ŵŝƐƵƌĂƚŝ ;ĐŽƌƉŝ ĐŚĞƚŽŶŝĐŝ, acido
ůĂƚƚŝĐŽͿŽĐŚĞĐ͛ğƵŶĂĚŝŵŝŶƵnjŝŽŶĞĚŝĐĂƚŝŽŶŝŶŽŶŵŝƐƵƌĂƚŝ;Ă͕DŐ͕<Ϳ
6. ƐĞƐŝƌŝĚƵĐĞŝůŐĂƉĂŶŝŽŶŝĐŽǀƵŽůĚŝƌĞĐŚĞĐ͛ğƵŶĂƵŵĞŶƚŽĚŝĐĂƚŝŽŶŝ͕ƵŶĐĂƚŝŽŶĞĂŶŽŵĂůŽ;>ŝ͕/ŐͿ͕ƵŶĂƌŝĚuzione
ĚŝĂůďƵŵŝŶĂ͕ƵŶ͛ŝƉĞƌǀŝƐĐŽƐŝƚăĞŵĂƚŝĐĂŽƵŶ͛ŝƉĞƌůŝƉŝĚĞŵŝĂĐŚĞŵĂƐĐŚĞƌĂŶŽŝůƐŽĚŝŽĞŝůĐůŽƌŽ
7. stimare la risposta compensatoria
8. ĐŽŵƉĂƌĂɷŐĂƉĂŶŝŽŶŝĐŽĞɷďŝĐĂƌďŽŶĂƚŽ: consentono di identificare eventuali disturbi misti in cui pH, PaCO2
e HCO3-‐ sono normali.
9. compara il cambio nel Cl con il cambio nel Na.
Acidosi
metabolica
>͛ĂĐŝĚŽƐŝŵĞƚĂďŽůŝĐĂƐŝpuò verificare per:
x iperpotassiemia indotta da farmaci (diuretici risparmiatori di potassio, trimetoprim, pentamidina, ACE-‐I, ARB,
FANS, ciclosporina, tacrolimus)
x altro (carichi di acido, escrezione di corpi chetonici, rapida somministrazione di fisiologica, ippurato, resine a
scambio cationico)
La terapia nei casi di acidosi grave (pH <7,10) si basa sulla somministrazione di bicarbonato di sodio per via
endovenosa (50-‐100 mEq in 30-‐ϰϱŵŝŶƵƚŝͿ͕ĐŽŶů͛ŽďŝĞƚƚŝǀŽĚŝƉŽƌƚĂƌĞŝůƉ,Ăϳ͕Ϯ;ŶŽŶŽůƚƌĞ͕ƉĞƌĐŚĠƵŶĂǀŽůƚĂƌŝƐŽůƚĂůĂ
causĂĚŝĂĐŝĚŽƐŝƐŝƉŽƚƌĞďďĞƉĂƐƐĂƌĞĂůů͛ĂůĐĂůŽƐŝŝĂƚƌŽŐĞŶĂͿ͘
Occorre inoltre rimuovere o correggere la causa di acidosi. Nella chetoacidosi diabetica il trattamento si basa
ƐƵůů͛ŝŶƐƵůŝŶĂ;ŝŶŝďŝƐĐĞůĂĨŽƌŵĂnjŝŽŶĞĚŝĐŚĞƚŽŶŝͿĞƐƵůů͛ŝĚƌĂƚĂnjŝŽŶĞĐŽŶƐŽůƵnjŝŽŶĞĨŝƐiologica. Per la chetoacidosi alcolica
soluzione glucosata (5% destrosio in soluzione fisiologica). EĞůů͛ĂĐŝĚŽƐŝ ĚĂ ƐĂůŝĐŝůĂƚŝ ůĂǀĂŐŐŝŽ ŐĂƐƚƌŝĐŽ ĐŽŶ ƐŽůƵnjŝŽŶĞ
fisiologica, quindi carbone attivo tramite sondino nasogastrico. Nelle forme da glicole polietilenico e metanolo:
supplementi di tiamina e piridossina, etanolo o fomepizolo ev (competono), dialisi.
Alcalosi
metabolica
Alto pH, alto HCO3-‐, alta PaCO2 per ipoventilazione compensatoria.
>͛ĂůĐĂůŽƐŝŵetabolica si può verificare per perdita di acidi (es. HCl nel vomito) o per aumento di HCO3-‐ (prev. per Ļ
escrezione renale di HCO3-‐, ma anche per carichi esterni). Ad ogni modo, perché persista, è necessario che divenga
deficitario il meccanismo di compenso della riduzione del riassorbimento di bicarbonato. La condizione è peggiorata
ĚĂůů͛ŝƉŽǀŽůĞŵŝĂĞĚĂůů͛ŝƉŽƉŽƚĂƐƐŝĞŵŝĂ;ƐĐĂŵďŝŽ<ͬ,Ϳ͕
Produce alterazioni del sistema nervoso centrale e periferico come confusione mentale, crisi epilettiche, parestesie,
ĐƌĂŵƉŝŵƵƐĐŽůĂƌŝ͕ƚĞƚĂŶŽ͕ĂƌŝƚŵŝĞ;ƐŽŵŝŐůŝĂĂůů͛ŝƉŽĐĂůĐĞŵŝa).
Cause:
Acidosi
respiratoria
љƉ,͕ј,Kϯ-‐͕јWĂKϮ
Cause (ipoventilazione)
x alterato controllo centrale della ventilazione: anestetici, morfina, sedativi, traumi cranici, tumori cerebrali,
ictus, infezioni cerebrali
x malattie polmonari gravi: BPCO, asma bronchiale, enfisema, pneumoconiosi, ARDS
x deficit neuromuscolare: poliomielite, cifoscoliosi, miastenia, Guillan-‐Barré, distrofia muscolare, SLA
87
x varie: obesità
Un aumento rapido della PaCO2 può provocare ansia, dispnea, confusione, psicosi, allucinazioni e può progredire a
ĐŽŵĂ͘ hŶ͛ŝƉĞƌĐĂƉŶŝĂ ĐƌŽŶŝĐĂ può determinare disturbi del sonno, perdita di memoria, sonnolenza, cambi di
personalità, deficit di coordinazione, disturbi motori.
>ĂĚŝĂŐŶŽƐŝƌŝĐŚŝĞĚĞƵŶ͛ĞŵŽŐĂƐĂŶĂůŝƐŝ͕Ănamnesi e esame obiettivo, studi di funzionalità polmonare.
La terapia per le forme acute può ƌŝĐŚŝĞĚĞƌĞ ů͛ŝŶƚƵďĂnjŝŽŶĞ ƚƌĂĐŚĞĂle e la ventilazione assistita e una cauta
ŽƐƐŝŐĞŶŽƚĞƌĂƉŝĂ͘ >Ă WĂKϮ ĂŶĚƌĞďďĞ ƌŝĚŽƚƚĂ ĐŽŶ ƌŝŐƵĂƌĚŽ ƉĞƌ ĞǀŝƚĂƌĞ ƵŶ͛ĂůĐĂůŽƐŝ͘ >Ğ ĨŽƌme croniche sono spesso
difficili da correggere; possono essere utili delle tecniche per migliorare la funzionalità polmonare.
Alcalosi
respiratoria
јƉ,͕љ,Kϯ-‐͕љWĂKϮ
Cause (iperventilazione)
x alterato controllo nervoso: dolore, ansia (sindrome da iperventilazione), psicosi, febbre, ictus, infezioni
cerebrali, tumori, traumi
x ipossia: alte altitudini, polmonite, edema polmonare, anemia grave
x farmaci o ormoni: progesterone, gravidanza, salicilati, metilxantine, insufficienza cardiaca
x stimolazione di recettori toracici: emotorace, embolia polmonare
x altro: setticemia, insufficienza epatica, iperventilazione meccanica, esposizione a calore, recupero da acidosi
metabolica
Le manifestazioni includono vertigini, confusione, crisi epilettiche, alterazioni cardiovascolari in pazienti anestetizzati o
sotto ventilazione meccanica.
>͛ĂůĐĂůŽƐŝƌĞƐƉŝƌĂƚŽƌŝĂĐƌŽŶŝĐĂğŝůĚŝƐƚƵƌďŽĂĐŝĚŽ-‐base piú comune nei pazienti critici.
La terapia è diretta a migliorare il disturbo scatenante. Se è causata dalla ventilazione meccanica è possibile alterare le
sue impostazioni (es. frequenza, volume tidalico). I pazienti con sindrome da iperventilazione devono essere
ƌĂƐƐŝĐƵƌĂƚŝĞ͕ĚƵƌĂŶƚĞů͛ĂƚƚĂĐĐŽĂĐƵƚŽ͕ƉŽƐƐŽŶŽƌĞƐƉŝƌĂƌĞŝŶƵŶƐĂĐĐŚĞƚƚŽĚŝĐĂƌƚĂƉĞƌĂďďĂƐƐĂƌĞŝůƉ,͘
Casi
clinici
Caso
clinico
1
(acido-‐base)
Una ragazza di 23 anni si ricovera dopo una storia di tre giorni di febbre, tosse produttiva con emottisi, confusione e
ŝƉŽƚĞŶƐŝŽŶĞ ŽƌƚŽƐƚĂƚŝĐĂ͘ /Ŷ ĂŶĂŵŶĞƐŝ͕ ĚŝĂďĞƚĞ ŵĞůůŝƚŽ ƚŝƉŽ /͘ >͛ĞƐĂŵĞ ŽďŝĞƚƚŝǀŽ ŶĞů ŚĂ ŝĚĞŶƚŝĨŝĐĂƚŽ ŝƉŽƚĞŶƐŝŽŶĞ
ortostatica, tachicardia, respiro di Kussmaul, alito acetonico e addensamento polmonare basale destro.
Approccio
diagnostico
Si procede per fasi:
ȱ юѧѧђљљіћі
ȬȱћѡђџћюȱȬ
Ȭȱ ђџіюѡџіюȱȬ
A. FUSCO
INDICE
FDSLWROLH
,QVWDELOLWjFDGXWHHVLQFRSHFDSLWROLH
6LQGURPHGDLPPRELOL]]D]LRQHOHVLRQLGDGHFXELWRHULVFKLR
2VWHRSRURVL
ȱ юѧѧђљљіћі
ћѡџќёѢѧіќћђ ƐѐюѝіѡќљіȱſȱђȱƀƑ
Invecchiamento della popolazione: nei paesi industrializzati e a partire dalla seconda metà del XX secolo è in
corso e si sta in realtà finalizzando una vera e propria rivoluzione demografica. La rappresentazione grafica della
popolazione per fasce d’età, che fino al 1950 era assimilabile ad una piramide, assume oggi l’aspetto di un fuso, e nel
2030 sarà una piramide rovesciata.
I motivi di questa rivoluzione sono fondamentalmente due:
Aumento dell’aspettativa di vita: nell’Ottocento l’aspettativa di vita era di poco superiore ai 40 anni, oggi
sfiora gli 80. I motivi sono principalmente una forte riduzione della mortalità infantile e giovanile, grazie al
miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie e i progressi in campo medico (antibiotici e vaccini), e una
riduzione della mortalità senile grazie alle misure di prevenzione e terapia delle malattie cardiovascolari
e non solo.
Riduzione della natalità: soprattutto per la maggiore possibilità di prevenire le nascite indesiderate. In
Italia il tasso di natalità è molto basso, in aumento con l’immigrazione.
L’Italia come tutti i paesi occidentali si trova pertanto nella fase finale della transizione demografica ed è attualmente,
con il 20% di anziani, la nazione più vecchia dopo il Giappone. Le previsioni sono di un mantenimento di questo
primato anche in futuro. Le province più vecchie sono soprattutto al centro-nord, mentre al sud le più giovani (in
primis la provincia di Napoli).
Problemi dell’invecchiamento: l’aumento dell’aspettativa di vita ha causato la nascita e lo sviluppo di una nuova
categoria di malati, anziani. Le principali problematiche sono:
Comorbilità e multipatologia: comorbilità indica la presenza di altre patologie in pazienti affetti da una
patologia cronica. Il termine multi patologia indica invece la compresenza di più patologie croniche in
uno stesso soggetto che pertanto dovrà essere valutato nella sua interezza, senza fare riferimento ad una
patologia indice e valutando invece le conseguenze di tutte le patologie sulla sua salute. Ha un impatto
molto rilevante sul sistema sanitario.
Fragilità: condizione di estrema vulnerabilità caratterizzata da: elevata suscettibilità a eventi acuti,
rischio iatrogeno ed eventi avversi, fluttuazioni rapide dello stato di salute, lenta capacità di recupero,
continua richiesta di intervento medico, alto rischio di mortalità. Non è un sinonimo di disabilità.
Disabilità: qualsiasi limitazione o perdita di capacità di compiere un’attività nel modo o nell’ampiezza
considerati normali per un essere un umano. L’incapacità di compiere una o più BADL (azioni basilari di vita
quotidiana) inficia molto la qualità della vita. Si distinguono due forme di disabilità: Catastrofica: si sviluppa
in un tempo < 2 anni con immediata perdita di 3 o più BADL (più comune negli uomini). Le sue cause
principali sono gli ictus e le fratture del femore. Progressiva: ad insorgenza lenta (> 2 anni) e con perdita più
tardiva delle BADL (più comune nelle donne). Le sue cause principali sono le artropatie croniche, diabete,
arteriopatie degli arti inferiori. Importante la demenza.
Invecchiamento al femminile: le donne vivono mediamente più a lungo degli uomini e sono pertanto coinvolte
più frequentemente e più a lungo da patologie croniche. Vanno incontro più facilmente a condizioni di disabilità e
più a lungo vi devono sopravvivere.
Medicina difensiva: è quella medicina nata a causa dell’aumento di denunce per “malpractice” la quale, nata negli
Stati Uniti, è oggi sempre più diffusa anche in Italia. Il medico evita interventi rischiosi e decide più spesso per
approcci conservativi o per eseguire un maggior numero di inutili test per sicurezza. Questo comporta oltre che un
aggravio economico sul sistema sanitario, anche un disagio per i pazienti o effettivamente degli errori che, nel loro
complesso, costituiscono questi sì un tipo di “malpractice”. Data la complessità e il maggiore rischio iatrogeno nei
pazienti anziani, questi ultimi sono tra i soggetti maggiormente danneggiati da questa tendenza.
Medicina della complessità: oggi le malattie croniche sono il problema dominante della sanità pubblica, anche
dal punto di vista economico. Il concetto di medicina della complessità si contrappone alla medicina centrata sulla
malattia o medicina della semplicità, un approccio che può essere valido in un paziente con una sola malattia
o una condizione di polipatologia stabile, ma non in un anziano. La medicina della complessità richiede invece
di definire di ciò che è trattabile e ciò che non lo è, stabilire l’ordine per importanza e trattabilità delle patologie,
individuare gli obiettivi di cura; un approccio complesso al paziente nella sua interezza che è necessario in un
soggetto in invecchiamento avanzato con condizioni di comorbilità e magari di disabilità o fragilità. In questi casi
anche le linee guida e la medicina basata sull’evidenza (l’EBM, che utilizza i risultati degli RCT) non risulta del tutto
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applicabile, in parte perché gli stessi studi spesso escludono proprio i soggetti anziani e con multipatotologia, in
parte perché le linee guida tendono a semplificare la complessità della medicina e non tengono conto dell’unicità.
Partendo proprio dall’unicità dell’individuo si è sviluppato il concetto di medicina narrativa. La medicina narrativa
è un approccio che arricchisce l’atto medico grazie ai racconti dei pazienti, dei medici e di quanti operano
nel pianeta salute. La capacità di raccontare, la maniera di raccontare, oltre ad arricchire la comprensione della
patologie di componenti emotive e personali oltre a quelle tecniche e scientifiche, è anche un modo per elevare il
rapporto medico-paziente ed aiutare a conoscere il soggetto che si ha di fronte. Si aggiunge così un piano soggettivo
che diventa fondamentale nel processo decisionale anche e soprattutto per valutare gli obiettivi, le priorità, la
compliance di un paziente complesso. L’obiettivo è quello di integrare gli aspetti della soggettività e dell’intuizione
alla metodologia dell’EBM.
Medicina geriatrica: la gerontologia è la scienza che studia i molteplici aspetti dell’invecchiamento. È premessa
fondamentale alla geriatria (termine coniato all’inizio del ‘900 da Nascher), scienza che si occupa dello studio e del
trattamento del paziente anziano complesso. La necessità di questa patologia è dovuta alla rapida espansione di
malattie croniche e debilitanti dovuta alla rivoluzione demografica. I nuovi pazienti necessitano pertanto a causa di
un’interazione tra diverse patologie croniche, condizioni di fragilità o disabilità, componenti psicologiche e sociali
peculiari, di una valutazione multidisciplinare (VMD). La VMD è uno strumento della geriatria atto a individuare e
descrivere tutti i bisogni assistenziali (funzionali, sociali, psichici, etc.) definendo il bisogno assistenziale globale,
superando quindi l’approccio della medicina tecnologica. La geriatria si propone pertanto come un modello di
medicina centrata sul malato anziché sulla malattia. Altro aspetto importante della geriatria è il tenere sempre
presente l’aspettativa di vita, la qualità di vita del paziente, il rapporto tra rischio (o disagio) e benefico, l’etica.
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Invecchiamento: è un processo che induce molteplici modificazioni a carico di tessuti e apparati con una conseguente
perdita della capacità di adattarsi (omeostenosi, in contrapposizione con omeostasi). Non è un processo universale:
esistono piante, protozoi, vermi che non invecchiano. Può essere graduale (molti animali, uomo), rapido o lento.
Bisognerebbe forse distinguerlo dalla senescenza: insieme delle modificazioni associate all’età che si rifletto
negativamente sulla funzionalità e sulla capacità di sopravvivenza dell’individuo.
Significato biologico: vi sono due principali teorie sul significato biologico dell’invecchiamento:
Teorie evolutive adattative: l’invecchiamento, sviluppatosi attraverso gerontogeni, sarebbe un processo
vantaggioso per la specie per aumentare il ricambio generazionale e quindi l’adattamento. Però in natura si
muore soprattutto in giovane età ed inoltre la selezione naturale dovrebbe nascere come un processo che
riguarda gli individui e solo poi la specie.
Teorie evolutive non adattative: l’invecchiamento è solo un fenomeno casuale di “usura”, ossia un
“abbandono biologico” dopo l’età riproduttiva, ciò per cui si è “programmati”. Alcune teorie di questo tipo
sono:
o Teoria dell’accumulo di mutazioni: l’invecchiamento sarebbe l’effetto dell’accumulo di casuale di
mutazioni di geni espressi in epoca post-riproduttiva.
o Teoria dell’antagonismo pleiotropico: geni vantaggiosi ai fini della riproduzione sarebbero
dannosi in epoca post-riproduttiva (esempi sono l’ipertensione arteriosa per degenerazione calcifica
dei vasi o l’ipertrofia prostatica per gli androgeni).
o Teoria del “soma usa e getta”: essendo le risorse energetiche finite e non infinite, ai fini della
conservazione della specie è privilegiata la funzione riproduttiva. Le cellule somatiche sarebbero
solo un contenitore per le cellule germinali.
Caratteristiche generali: nella specie umana l’invecchiamento è un processo universale, continuo e progressivo,
che si sviluppa con velocità diversa da soggetto a soggetto anche all’interno dello stesso soggetto nei vari organi
e apparati. È un processo eterogeneo: all’interno della stessa fascia d’età ogni individuo ha una sua età biologica,
ciascun organo ha una propria età biologica, e vi è eterogeneità anche all’interno dello stesso organo. L’invecchiamento
è caratterizzato pertanto da: variabilità inter e intraindividuale, confine non definito tra condizione fisiologica
e patologica, riduzione delle riserve funzionali, ridotta capacità di adattamento (omeostenosi), diminuita
capacità di recupero, maggiore suscettibilità alle malattie, aumentato rischio di morte.
L’anziano è un soggetto a massima individualità biologica, del quale non è possibile identificare un modello
paradigmatico di riferimento che sia espressione della normalità.
Classificazione dell’invecchiamento: si distinguono in sostanza tre tipologie di invecchiamento:
Invecchiamento di successo: condizioni fisiche e mentali buone, riguarda una stretta minoranza di persone
di alto livello socio-economico e buono stile di vita.
Invecchiamento in salute: progressiva riduzione delle capacità psicofisiche senza malattie.
Invecchiamento associato a malattia: riguarda la maggior parte delle persone anziane. Progressivo
decadimento delle capacità psicofisiche in presenza di malattie e disabilità.
Fattori dell’invecchiamento: secondo la maggior parte degli studiosi la longevità della specie umana sarebbe
un limite non valicabile (maximum lifespan: 125 anni), ma negli ultimi anni c’è stato un progressivo allungamento
della speranza di vita. Questa dipende da vari fattori:
Fattori genetici: la durata massima della vita è specie-specifica. Per di più influiscono parametri
antropometrici (peso del corpo e del cervello e soprattutto estensione delle aree associative cerebrali),
sesso femminile. A confermare il valore dei fattori genetici sono non solo queste considerazioni, ma anche
la simile aspettativa di vita tra gemelli monozigoti, la presenza di familiarità in caso di individui centenari,
l’esistenza di sindromi genetiche progeroidi come la sindrome di Hutchinson-Gilford (alterazione della
laminina del nucleoscheletro), la sindrome di Werner (alterazione dell’elicasi che comporta instabilità
genomica e aumento delle mutazioni), la sindrome di Down (aumentata presenza di placche amiloidi nel
cervello e altre alterazioni).
Fattori ambientali: condizioni di vita. Ha un valore importante anche la terapia medica.
Fattori comportamentali: dieta e soprattutto apporto calorico, attività fisica (aumenta l’aspettativa di
vita di circa due anni), fumo, alcool e droghe, fattori psicosociali.
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Pare che la genetica influisca per un 35% circa, ambiente, terapia e comportamento per un 65%.
Teorie dell’invecchiamento: come vi sono molte teorie sul perché si invecchia ve ne sono numerose anche sul
come si invecchia. Principalmente si distinguono tre gruppi di teorie, anche se nessuna è del tutto esauriente né
esclude le altre (ipotesi multifattoriale dell’invecchiamento):
1. Teorie dell’orologio biologico: l’invecchiamento è considerato come un fenomeno di tipo sistemico in cui
uno specifico orologio biologico attribuisce una quota di tempo per la funzione riproduttiva, che sarebbe
quella principale. Tra queste:
a. Teoria neuroendocrina: l’invecchiamento è una progressiva disregolazione del SNE, con
conseguente diminuzione delle capacità di omeostasi ed adattative.
b. Teoria immunitaria: maggiore suscettibilità alle malattie per deficit immunitari.
c. Teoria del “rate of living” e velocità metabolica: una delle più antiche, la durata massima della
specie dipenderebbe dall’intensità con cui si consuma energia.
2. Teorie genetiche: il primum movens sarebbero modificazioni funzionali del genoma:
a. Teoria del declino della stabilità genetica e delle mutazioni somatiche: alla base della senescenza
starebbe l’accumulo di danni genici non riparati.
b. Teoria dei meccanismi epigenetici: il livello di metilazione del DNA si ridurrebbe con l’età e ciò è
stato associato sia all’invecchiamento che ad alcune patologie.
c. Teoria del declino della funzione mitocondriale: i mitocondri di organismi invecchiati mostrano
un riduzione del numero e anomalie strutturali.
d. Teoria dell’accorciamento dei telomeri: la telomerasi funziona durante la vita embrionale. Poi
i telomeri si accorciano progressivamente ad ogni divisione cellulare fino a raggiungere la soglia
critica della senescenza replicativa.
3. Teorie stocastiche: danni molecolari casuali accumulati causano perdita di funzione:
a. Teoria dell’accumulo di materiali di rifiuto: perdita di funzionalità per accumulo di materiali di
rifiuto nelle cellule, come le lipofuscine.
b. Teoria dei legami crociati delle macromolecole: legami covalenti o idrogeno tra le macromolecole
intra ed extracellulari causerebbero una perdita di funzionalità.
c. Teoria dello stress ossidativo: l’invecchiamento sarebbe causato dall’accumulo di danno ossidativo
sulle macromolecole. È una teoria di grande interesse e molti riscontri, anche vista la possibilità
di misurare questo stress ossidativo. Questo è dovuto alla produzione di radicali liberi o ROS
(soprattutto nei mitocondri) i quali possono causare danno a tutte le molecole biologiche. Gli
organismi sarebbero in equilibrio tra la produzione dei ROS e gli antiossidanti. In questo senso la
restrizione calorica pare aumentare la longevità, in base soprattutto ad una minore produzione
di ROS. I radicali liberi rientrano inoltre nella patogenesi dei molte patologie dell’invecchiamento
come: cataratta (foto-ossidazione delle proteine del cristallino), aterosclerosi (ossidazione LDL),
danno da ischemia-riperfusione, malattie neurodegenerative: nel Parkinson pare che i ROS
siano fondamentali per la morte dei neuroni della sub stantia nigra; nell’Alzheimer pare che la beta-
amiloide sia in grado di generare radicali liberi.
Invecchiamento femminile: la maggiore sopravvivenza della donna pare essere legata alla necessità di una
maggiore resistenza per la gravidanza e l’allattamento (fenomeno riscontrabile in gran parte del mondo animale).
Pare che influiscano fattori genetici (presenza del doppio cromosoma X che permette di compensare mutazioni),
fattori endocrini (maggiori estrogeni fornirebbero protezione cellulare), dimorfismo cerebrale, fattori immunitari
e socio-ambientali.
B) Invecchiamento dei tessuti connettivi e della matrice cellulare: sono effetti molto importanti, tanto da aver
portato a teorie extracellulari della senescenza come la teoria del collagene. Tutte le macromolecole extracellulari
vanno incontro a profonde modificazioni che consistono soprattutto in una maggiore glicazione e una degradazione
proteica anomala. Esempi:
Fibre collagene: diminuisce la loro suscettibilità alle collagenasi e pertanto aumentano di numero.
Oltre a ciò si ha un progressivo aumento dei legami crociati. Conseguenze: diminuzione dell’elasticità
e aumento di volume e rigidità della matrice extracellulare. Le fibre tendono a frammentarsi ed i
fibroblasti ne producono meno in sostituzione.
Fibre elastiche: si ha progressiva degradazione dell’elastina e sostituzione con la pseudo elastina,
anomala, meno elastica e più sensibile all’elastasi. Le fibre risultano meno elastiche e si frammentano di più.
Proteoglicani: riduzione di numero e diminuzione del rapporto componente glucidica/proteica.
Conseguenze: ridotta capacità di trattenere liquidi.
Conseguenze: Strutturali: irrigidimento della matrice extracellulari ed idrofobia. Funzionali: alterazione nel
trasporto di nutrienti e prodotti di rifiuto oltre che dei segnali chimici ed ormonali.
Risultati: tipici della senescenza sono pertanto: aumento del connettivo interstiziale degli organi parenchimali,
diminuzione dell’elasticità di organi e tessuti, aumentata fragilità dei tessuti (ad esempio assottigliamento e
fragilità della cute, ma anche di vasi e cartilagine).
Invecchiamento di organi e sistemi: bisogna distinguere prima di tutto il concetto di normale (presente in tutti gli
individui di una determinata età) e norma (di comune riscontro, ma non presente in tutti). Ciò che è normale non si
può curare né prevenire, al massimo rallentare.
Pertanto, i normali processi di invecchiamento riguardano un po’ tutti gli apparati:
1) Apparato tegumentario:
Cause: invecchiamento intrinseco (predisposizione genetica), effetto delle radiazioni solari e sintesi di ormoni.
Effetti: alterazioni qualitative, minore capacità proliferativa, riduzione del numero di melanociti, riduzione dello
spessore del derma, riduzione della vascolarizzazione e delle terminazioni nervose, riduzione dei bulbi e follicoli
piliferi, aumento dei pori ghiandolari, riduzione delle ghiandole sudoripare.
Conseguenze: la pelle si assottiglia, diviene secca, anelastica e fragile. Si ha una pigmentazione screziata con
lentiggini, comparsa di chiazze ecchimotiche per fragilità vasale, meno capelli.
Alterazioni funzionali: riduzione della funzione di barriera, riduzione della sensibilità tattile e termo-dolorifica,
riduzione della termoregolazione, riduzione della risposta ad eventi lesivi, ridotta permeabilità, ridotta funzione
immunitaria. Riduzione di produzione della vitamina D.
Implicazioni cliniche: aumentato rischio di: lesioni precancerose e cancerose, cheratosi, infezioni batteri e
micotiche, lesioni termiche, lesioni da decubito, ulcere venose, prurito.
2) Organi di senso: vi è alta incidenza di cecità e sordità tra gli anziani le quali inficiano la qualità della vita e per di
più contribuiscono a causare incidenti, deterioramento cognitivo, depressione.
Occhio: conseguenza normale dell’invecchiamento è la presbiopia (incapacità di mettere a fuoco da
vicino). Per di più si ha riduzione del film lacrimale (sindrome dell’occhio secco), aumento della pressione
endooculare, riduzione progressiva del campo visivo e della quantità di luce che arriva alla retina, oltre che
dell’acuità visiva e della capacità di distinguere i colori. Implicazioni cliniche: aumentato rischio di: cataratta,
degenerazione maculare retinica, sindrome dell’occhio secco, glaucoma, ectropion, trichiasi, etc.
Orecchio: a causa di vari fattori intrinseci ed estrinseci (come l’esposizione cronica a rumore) si ha
presbiacusia (incapacità di percepire i toni puri nel range delle alte frequenze), aumento della latenza
dei potenziali uditivi evocati, riduzione della capacità di comprendere il linguaggio (consonanti). In più
alterazioni vestibolari come riduzione della sensibilità ai cambi di postura e riduzione della capacità di
compensare danni vestibolari con maggiore persistenza dei disturbi vertiginosi. Implicazioni cliniche:
aumentato rischio di sordità, sbandamenti, vertigini, sindromi menieriformi.
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3) Apparato osteomuscolare:
Tessuto osseo: nel corso della vita l’osso passa attraverso 3 fasi: una fase I di accrescimento che dura non
oltre la terza decade. Una fase II di plateau che dura circa 10 anni. Una fase III di depauperamento che
inizia intorno ai 40 anni. A partire dalla V decade appunto si hanno modificazioni delle componenti dell’osso:
o Componente trabecolare: si ha graduale assottigliamento delle trabecole. Nelle donne: riduzione
del 20-25% entro 5 anni dalla menopausa, dell’1% annuo successivamente. Negli uomini:
perdita costante dell’1% annuo.
o Componente corticale: progressivo assottigliamento con aumento della porosità. Nelle donne:
riduzione del 10% entro 5 anni dalla menopausa, di < 1% annuo successivamente. Negli
uomini: perdita costante di < 0,2-0,3% annuo.
Cause: essendo l’osso in equilibrio tra azione di osteoclasti e osteoblasti abbiamo:
o Aumento osteoclastogenesi: soprattutto riduzione degli estrogeni (infatti forte caduta con la
menopausa). Poi anche down regulation di vari assi neuroendocrini, riduzione della produzione di
Vit.D da parte del rene e aumento del PTH. In più riduzione attività motoria, introito di alimenti
con calcio, uso di alcol e fumo.
o Riduzione osteoblastogenesi: per riduzione fattori endocrini e cellule staminali.
Implicazioni cliniche: deformazione artrosica dell’osso esposto al carico, aumentato rischio di
osteoporosi, aumento di fatture (anche per aumento cadute) e disabilità.
Cartilagine articolare: modificazioni strutturali che ne riducono la resistenza alle sollecitazioni meccaniche.
Sono diverse da quelle dell’osteoartrosi che pure è più comune in età avanzata. Si ha aumentato rischio di
osteoartrosi e perdita di funzione articolare.
Tessuto muscolare: la principale conseguenza dell’invecchiamento è la sarcopenia, ossia la riduzione
della massa muscolare (valutabile anche con DEXA similmente all’osteoporosi). In effetti diminuisce l’area
muscolare e l’escrezione di creatinina, aumenta il tessuto adiposo e connettivo nel muscolo e si ha
effettiva riduzione della massa muscolare generalmente 1-2% annuo dopo la quinta decade.
Cause: l’atrofia delle fibre muscolari pare essere causata da riduzione del numero delle cellule staminali
miogeniche, e fattori sistemici come: degenerazione dei motoneuroni spinali, stress ossidativo con
circolo vizioso del mitocondrio (il mitocondrio subisce l’azione dei ROS, funziona peggio e produce più
ROS), stato-proinfiammatorio cronico, riduzione degli ormoni androgeni ed estrogeni, GH, IGF-1 e
vit.D. Fattori aggravanti sono certamente la sedentarietà e la malnutrizione oltre ad alcuni farmaci.
Alterazioni clinico-funzionali: diminuzione della forza, potenza e resistenza muscolare. In più la sarcopenia
causa osteopenia, alterazione della termoregolazione, riduzione del metabolismo basale e quindi
obesità e insulino-resistenza. Oltre questo aumenta il declino funzionale, il rischio di cadute e fratture
per ridotto mantenimento di equilibrio, la fragilità e la disabilità. La soluzione è l’esercizio fisico,
preferibile contro resistenza.
4) Apparato cardiovascolare: alcune alterazioni del cuore senile sono simili all’ipertensione:
Alterazioni strutturali:
o Cavità cardiache: aumento della massa cardiaca, lieve ipertrofia concentrica del ventricolo
sinistro, modesto ingrandimento atriale sinistro, variabile grado di fibrosi e calcificazione del
tessuto connettivo cardiaco.
o Miocardio: riduzione del numero ed aumento volume dei miociti, deposizione di grasso
subepicardico e intercellulare, amiloidosi senile (incostante), accumuli di lipofuscina (atrofia
giallo-bruna), aumento della fibrosi interstiziale.
o Valvole cardiache: accumuli di lipidi e calcio: calcificazione dell’anulus mitralico e degenerazione
calcifica delle semilunari aortiche.
o Tessuto di conduzione: diminuzione del numero di mio cellule (pacemaker) e aumento fibrosi
interstiziale, tessuto adiposo, collagene, calcificazione.
o Coronarie: calcificazioni parietali, tortuosità ed ectasie (non patologiche).
o Arterie: Macroscopicamente: Elastiche: aumento spessore, lume e calibro. Muscolari: aumento
spessore e riduzione lume. Microscopicamente: più nelle elastiche, aumento spessore intimale,
aumento connettivo, frammentazione elastina.
Ispessimento di arterie di grande calibro. Modesta dilatazione radice dell’aorta.
o Vene: minore tono delle vene degli arti inferiori. Questo spiega la maggiore frequenza di varici oltre
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5) Apparato respiratorio: dipendono molto dallo stile di vita e dalle condizioni ambientali:
Alterazioni strutturali:
o Gabbia toracica: aumenta il diametro antero-posteriore e si riducono gli spazi intercostali
a causa di un progressivo aumento della cifosi dorsale. Per di più si ha riduzione della forza
dei muscoli respiratori (compreso il diaframma) e anchilosi delle articolazioni costo-vertebrali e
costo-sternali.
o Polmoni: riduzione del numero di ghiandole secretorie e quindi riduzione della clearance
muco-ciliare e dell’efficienza immunitaria. Anche riduzione del calibro delle piccole vie aeree e
della superficie alveolare (lentamente partire dalla terza decade), alterazione della componente
elastica con dilatazione dei dotti alveolari (enfisema senile) nonché una maggiore tendenza al
collasso durante l’espirazione.
Alterazioni funzionali:
o Gabbia toracica: aumento della rigidità, riduzione delle forze di ritorno elastico e quindi aumento
del lavoro respiratorio.
o Polmoni: lo stesso nei polmoni in cui vi è alterato rapporto ventilazione/ perfusione per riduzione di
volumi e flussi polmonari. Rischio di infezioni e dispnea.
o Volumi polmonari: Statici: aumentano VR (50%) e CFR, stabile la CPT. Dinamici: si riduce
progressivamente il VEMS e il PEF, così come la CV. Scende la pressione massima espiratoria.
Dopo il 65-70 anni le alterazioni sono evidenti.
o Scambio gassoso: si altera il rapporto ventilazione/perfusione e si riduce la capacità di diffusione.
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Implicazioni cliniche: effetti simili all’enfisema di grado lieve, molto condizionati dall’abitudine al fumo, si
ha pertanto una riduzione lieve della funzione, che resta sostanzialmente invariata a riposo e con una
moderata attività fisica. Aumentata suscettibilità alle infezioni respiratorie. Aumentato rischio di
insufficienza respiratoria in corso di asma, embolia polmonare, scompenso cardiaco.
6) Apparato digerente: le modificazioni sono di scarsa entità e non sempre valgono per tutti:
Cavo orale: alterazione della formazione del bolo alimentare per minore forza e perdita elementi dentari.
Aumento rischio di gengiviti, carie, infezioni, lesioni, malnutrizione.
Sistema nervoso enterico: forse la riduzione neuroni causa prolungato transito intestinale
Sistema immunitario: aumento di incidenza e severità delle infezioni gastrointestinali.
Oro-faringe ed esofago: alterata coordinazione neuromuscolare e rischio di disfagia.
Stomaco: alterazione dei meccanismi di protezione gastrica. Aumentato rischio di infezione da HP, gastrite
cronica, malattia peptica, gastrite da FANS, malnutrizione, neoplasie.
Intestino tenue: aumentato tempo di transito e ridotto assorbimento di calcio.
Colon e Retto: alterazioni muscolare e perdita neuro enterica. Aumentato rischio di ischemie e diverticolosi
oltre che di neoplasie. Alterazione dello sfintere anale, ridotta sensibilità ed elasticità. Aumentato rischio di
stipsi, incontinenza fecale, dischezia.
Fegato: riduzione del volume e del numero di epatociti, riduzione della capacità di rigenerazione e minore
efficienza dei meccanismi di fase I. Aumentata incidenza di malattie epatobiliari, di epatopatie croniche,
epatiti virali e da farmaci, calcolosi biliare.
Pancreas: riduzione di peso e volume. Aumentato rischio di tumore, pancreatite acuta.
7) Rene: sulle normali alterazioni dell’invecchiamento, essendo il rene un organo molto vascolarizzato, incidono
fortemente patologie come ipertensione e diabete.
Alterazioni strutturali:
o Macroscopiche: riduzione della massa e del volume renale, lentamente (fino a 25% a 80 anni) e
a partire dalla terza decade in cui vi è il picco di massa renale. Vi è anche riduzione del numero di
nefroni funzionanti, ispessimento della capsula fibrosa, aumento tessuto adiposo perirenale e
aspetto pseudo lobare (rene grinzo arteriosclerotico).
o Microscopiche: simile al quadro nell’ipertensione arteriosa. Glomeruli: riduzione di numero
totale, aumento del numero di glomeruli fibrosclerotici, aumento numero di cellule mesangiali,
con ispessimento della membrana basale. Tubuli: riduzione numero e lunghezza specie i
prossimali), aumento dello spessore della membrana basale, aumentato numero di diverticoli (che
diventeranno le cisti di ritenzione, sede di partenza di infezione e infiammazioni che causano
fibrosi). Interstizio: aumento fibre collagene e fibrosi. Vasi extraparenchimali: aumento spessore
e riduzione del calibro. Vasi intraparenchimali: riduzione elasticità, aumento spessore, riduzione
calibro, spiralizzazione, shunts arterie afferenti-efferenti.
Alterazioni funzionali:
o Glomerulari: il flusso plasmatico renale si riduce del 10% ogni decade (finale 50% circa a 80
anni). Si riduce il flusso plasmatico glomerulare con conseguente riduzione della clearance
della creatinina (anche se non costante).
o Vascolari: ridotta efficienza dell’autoregolazione del flusso ematico renale (per la riduzione
del flusso glomerulare, e compromissione del sistema RAA) e ridotta sintesi di prostaglandine ed
altre sostanze vasoattive.
o Tubulari: ridotta capacità di concentrare le urine (sia il riassorbimento obbligatorio tramite il
tubulo prossimale sia quello facoltativo tramite tubulo distale e ADH), ridotta capacità di mantenere
in equilibrio potassio e fosfati, ridotta capacità di diluire le urine, di acidificare le urine e anche
di riassorbire glucosio.
o Endocrine: ridotta secrezione della renina (30-50%), lieve riduzione dell’eritropoietina, ridotta
trasformazione della vitamina D in calcitriolo.
Implicazioni cliniche: maggiore rischio di intossicazione da farmaci eliminati per via renale, aumentata
incidenza di iper e ipovolemia e acidosi-alcalosi, aumentato rischio di anemia, di IRA, di ischemia, di
infezioni delle vie urinarie e di osteoporosi.
In sostanza parametri come la creatinina normale, ma soprattutto il FG (riduzione del 50-60% a 80 anni), e la
clearance della creatinina (50 ml/min a 80 anni) sono normalmente alterati.
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8) Sistema endocrino: è convinzione generale che l’invecchiamento del sistema endocrino, in quanto fondamentale
per l’omeostasi abbia un ruolo nell’invecchiamento dell’intero organismo:
Pancreas e metabolismo glucidico: non è nota la ragione, ma negli anziani vi sono livelli più alti di insulina
per insensibilità periferica e alto rischio di ridotta tolleranza al glucosio.
Ipotalamo-ipofisi-tiroide: la funzione tiroidea diminuisce, ma è in genere ben conservata.
Ipotalamo-ipofisi-surrene: cosiddetta adrenopausa, selettiva atrofia della zona reticolare del corticosurrene
che comporta fondamentalmente una riduzione del DHEA e DHEAS. Il DHEA pare svolga molteplici effetti
anti-invecchiamento a livello di più sistemi.
Ipotalamo-ipofisi-somatomedine: cosiddetta somatopausa, con riduzione del GH e IGF-1. Gli effetti
sono una riduzione della massa magra, aumento della massa grassa e anche osteopenia e ridotta
tolleranza all’esercizio.
Ipotalamo-ipofisi-gonadi: Ovaie: menopausa, riduzione della produzione di estrogeni con conseguente:
riduzione libido, atrofia tratto uro-genitale, disturbi psico-affettivi, osteoporosi e riassorbimento osseo,
neoplasie ginecologiche.
Testicoli: andropausa, anche se la perdita delle funzioni testicolari è in realtà solo parziale, si ha comunque
riduzione del testosterone con conseguente riduzione libido, disfunzione erettile e (insieme a riduzione
DHEA) disturbi del sonno e depressione.
9) Sistema nervoso: a parte una lieve e costante (0,1%) riduzione del peso e volume del cervello, abbiamo una
progressiva perdita di elementi neuronali, riduzione di sintesi e attività dei neurotrasmettitori e comparsa di
una serie di alterazioni morfologiche delle varie componenti cellulari ed extracellulari (corpi di Lewy e Hirano,
etc.). Vi sono sintomi e segni di deterioramento delle condizioni cognitive e motorie. Tipica la riduzione della
memoria (si ha anche riduzione del volume dell’ippocampo), già dopo i 60 anni, con riduzione della capacità di
attenzione e concentrazione. I disturbi motori sono i più tardivi a comparire (alterazione del sistema piramidale ed
extrapiramidale, riduzione della sub stantia nigra, locus coeruleus, cellule di Bets, nuclei di Meynert, etc.). Ambiente
e unicità di ogni individuo rivestono comunque un ruolo fondamentale. Implicazioni cliniche: aumentato rischio di
deterioramento mentale e demenza, sindromi da deprivazione sensoriale, Parkinson e parkinsonismi, stato
confusionale, depressione.
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џюєіљіѡѩǰȱѣюљѢѡюѧіќћђȱњѢљѡіёіѠѐіѝљіћюџђȱƐƑȱђȱџђѡђȱёђіȱѠђџѣіѧіȱƐѐюѝіѡќљіȱƃǰȱƄȱђȱƀƄƑ
Il paziente anziano: l’anziano è un paziente particolare, in primo luogo perché la malattia in vecchiaia colpisce
un soggetto che si trova in uno stato di più o meno avanzata instabilità omeostatica e di vulnerabilità, con minore
capacità di resistere, patologie che si presentano in modo atipico, l’approccio terapeutico non potrà avere come
obiettivo finale la cura, etc.
Elementi di specificità dell’anziano: Fattore invecchiamento: si realizza in maniera diversa da soggetto a
soggetto e non è facile stabilire quale sia la normalità. Le affezioni si presentano in modo atipico, meno netto, con
quadri di maggiore sofferenza dei sistemi, maggiore precocità dell’evoluzione, etc. Fattore multi patologia: il 40%
degli anziani ha almeno una patologia cronica grave, mentre il 43% circa è affetto da tre o più malattie croniche.
Fattore polifarmacoterapia: strettamente legato alla multi patologia, complica la diagnosi e la terapia. Fattore
psicodinamica: l’anziano vive la malattia in modo diverso dal giovane, non come qualcosa di estraneo, bensì come
qualcosa che lo avvicina alla morte e spesso irrisolvibile. Fattore funzionale: rischio di disabilità. Fattore psico-
affettivo e sociale: la prognosi è spesso influenzata dal suo benessere psicosociale.
Nascita del concetto di fragilità: queste emergenze sanitarie sono tutte legate in sostanza alla comparsa di un
nuovo soggetto clinico, una nuova tipologia di paziente, l’anziano fragile. La geriatria negli ultimi 20-25 anni ha
sviluppato questo nuovo concetto e una specifica metodologia di valutazione, la valutazione multidisciplinare,
ad esso dedicata. L’espressione frail elderly ha così cominciato ad essere utilizzata. In parte per definire un
anziano compromesso nella sua indipendenza e autonomia da condizioni e patologie, dall’altra per definire una
situazione pre-clinica in cui “l’anziano fragile, pur avendo una ridotta riserva funzionale, può vivere in condizioni
di indipendenza. Quando invece stressato da una malattia, un trauma o condizioni sfavorevoli, la sua capacità di
svolgere le attività basilari di vita quotidiana si sgretola” (Brocklehurst). I fattori principali di essa sono la malattia, il
disuso e l’invecchiamento.
La fragilità assume con il tempo un ruolo centrale tanto che la medicina geriatrica viene spesso identificata come
medicina dell’anziano fragile. In età moderna sono stati proposti criteri identificativi e operativi per la fragilità che
la definissero in modo pratico. In ogni caso fragilità e disabilità non sono sinonimi di una stessa condizione.
Quelli che hanno avuto un maggiore successo sono stati i modelli di fragilità di Linda Fried e Kenneth Rockwood.
A) Fragilità secondo Fried: il gruppo della Fried definisce la fragilità come: “condizione di estrema vulnerabilità a
condizioni ed eventi avversi. L’anziano fragile è quindi inteso come un paziente ad elevato rischio di eventi avversi
come cadute, declino funzionale, disabilità, ospedalizzazione, istituzionalizzazione e morte. Si individua attraverso
6 criteri: ridotta forza muscolare, perdita non intenzionale di peso, astenia, ridotta attività fisica, ritardo nel
cammino, deficit cognitivo (sul libro manca). Perché si delinei la fragilità sono necessari almeno 3 criteri.
In questi criteri non viene incluso quello della malattia (per quanto una perdita di peso potrebbe indicarla). Questo
fa sì che la fragilità per la Fried sia una condizione pre-clinica, indipendente da disabilità e comorbilità. In pratica
la fragilità è un insieme che può intersecarsi con comorbilità e disabilità, ma vi sono un 26% di pazienti fragili che
restano fuori da comorbilità e disabilità.
La fragilità in assenza di comorbilità e disabilità è una fase pre-clinica, una condizione di vulnerabilità. La
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vulnerabilità si oppone alla funzionalità, essendo la funzione bassa nel bambino, crescente fino all’età adulta e poi
decrescente nell’anziano. L’invecchiamento è però eterogeneo avendosi una biforcazione nel livello di vulnerabilità
tra un invecchiamento di successo e un invecchiamento normale. Ancora al di sotto saranno coloro che hanno un
invecchiamento patologico, quindi con effettiva presenza di malattie.
[In più il libro aggiunge che per la Fried la fragilità si configura come una vera e propria sindrome clinica individuabile
con quei criteri e caratterizzata da una propria fisiopatologia. In questa sarebbe centrale uno stato infiammatorio
cronico con elevati IL1-6 e TNF-alpha, una relativa sarcopenia che è centrale per la debolezza, il ritardo nel cammino,
il rischio di cadute; e l’elevata cortisolemia che contribuisce alla disregolazione dell’omeostasi. Le principali critiche
a questa visione sono l’esclusione di parametri psicologici nella valutazione clinica, oltre che l’esclusione di fattori
sociali, ambientali, affettivi e assistenziali dall’eziopatogenesi della fragilità].
La vulnerabilità rappresenta perciò la riduzione di quei processi di protezione endogena che l’organismo ha
sviluppato per combattere le patologie (difese immunitarie e metaboliche).
Gli stili di vita possono preservare questi meccanismi di protezione endogena che normalmente sono ridotti
dall’invecchiamento? Per rispondere utilizziamo un esempio:
Precondizionamento ischemico: questo è un meccanismo di protezione endogena contro l’infarto del
miocardio. Ripetuti brevi episodi ischemici (episodi di angina che precedono l’infarto del miocardio) possono
infatti proteggere ritardando la morte cellulare dopo occlusione coronarica, indipendentemente dallo
sviluppo di circoli collaterali. Fu dimostrato infatti che l’infarto a ciel sereno ha una prognosi peggiore di
quello preceduto da una serie di eventi anginosi (angina prenfartuale). Questo studio fu però effettuato
su di una popolazione adulta, ma non anziana. Negli anziani pareva questo meccanismo non sembrava
esserci (vulnerabilità=riduzione dei meccanismi di protezione endogena) o almeno non in maniera costante.
Probabilmente gli stili di vita influenzavano la riduzione età-correlata del precondizionamento
ischemico. Infatti valutando la PASE (scala for elderly della physical activity) e il BMI (valutazione indiretta
della dieta) si definì che scarsa attività fisica e alto BMI portavano più alta mortalità in caso di infarto.
La mortalità dopo angina preinfartuale si riduceva in caso di basso BMI e alta PASE. L’angina preinfartuale
ha un valore predittivo della mortalità in pazienti sedentari e in sovrappeso, mentre ha un valore
protettivo negli allenati e in normopeso.
Ecco che dunque la vulnerabilità o meglio il livello di funzione varia tra l’invecchiamento normale e
l’invecchiamento di successo in base allo stile di vita, mentre la forbice tra invecchiamento normale e patologico
è data dalla presenza di patologie.
B) Fragilità secondo Rockwood: la fragilità è uno stato che risulta dall’interazione tra invecchiamento, malattie e
altre condizioni che incidono negativamente sullo stato di salute. Lo stato di fragilità si individua dalla rilevazione
di tutto ciò che è espressione di danno, creando così la CSHA (canadian study of health and aging) clinical
frailty scale. Rockwood intende l’anziano fragile come persona, malata, ospedalizzata, con disabilità. Nell’ipotesi di
Rockwood la fragilità rientra praticamente nel concetto di disabilità (e questa nella comorbilità).
La fragilità è una fase post-clinica, in presenza di comorbilità e disabilità. Pertanto inventa uno strumento per
quantificare lo stato di fragilità, un indice di fragilità (indice di deficit cumulativi). Indice di fragilità: quest’indice
risulta molto più predittivo della mortalità rispetto a Fried. Risulta anche maggiormente predittivo della disabilità
incidente. Gli anziani con maggiore sopravvivenza a lungo termine sono infatti definiti robusti da Rockwood e
fragili da Fried. Quelli con un medio grado di mortalità cominciano a essere fragili per Rockwood mentre per Fried
rientrano nella comorbilità e disabilità. Quelli ad alta mortalità sono fragili per entrambi.
L’IF varia da 0 a 1 (incompatibile con la vita) ed è attualmente formato da 40 items distinti in:
Indici antropometrici: BMI, tempo di valutazione di 1 minuto.
Autosufficienza: domande su necessità di aiuto a lavarsi, vestirsi, etc. 5 minuti.
Condizioni generali: fatica, perdita di peso, giudizio sulla propria salute. 3 minuti.
Mobilità: domande e valutazione tempo impiegato per percorrere 3 metri. 3 minuti.
Tono dell’umore: sentirsi depresso, felice, solo. 2 minuti.
Patologie: diabete, artrosi, ipertensione, cancro, BPCO, scompenso, etc. 3 minuti.
Deficit cognitivo: effettuazione del Mini mental test. 10 minuti.
Funzionalità respiratoria: picco del flusso espiratorio. 5 minuti.
Forza muscolare: forza nel sollevamento e nella presa (dinamometro). 10 minuti.
Il tutto richiede 30-40 minuti, però ha ricevuto critiche di difficile acquisizione e valutazione.
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Fragilità in sintesi: la verità sta nel mezzo. È importante sia la vulnerabilità (fase pre-clinica della fragilità) che la
fragilità caratterizzata da comorbilità e disabilità (fase post-clinica).
Il pathway della fragilità risulterebbe così: si parte dalla vulnerabilità (fase pre-clinica secondo Fried) Æ comparsa
della malattia Æ fragilità clinica Æ disabilità.
Concetto di fragilità: in generale dunque possiamo includere: riduzione delle riserve funzionali (vulnerabilità),
comorbilità, esposizione a multipli fattori di rischio, atipia di presentazione clinica, aumentato rischio iatrogeno e
di disabilità, stato socio-economico-ambientale critico.
[Secondo il libro: possiamo distinguere tra:
Fragilità latente: si manifesta solo sotto l’azione di un importante evento stressante. Ad esempio: pazienti
con malattie croniche stabili ed età molto avanzata (70% nei >90 anni).
Fragilità pauci-sintomatica: rilevabile attraverso segni e sintomi, perdita di autonomia, progressiva
immobilità. Si manifesta dopo eventi stressanti di intensità lieve-moderata.
Fragilità conclamata: molteplici patologie croniche, alcune anche scompensate, diversi gradi di disabilità.
Estrema instabilità clinica. Esempi: anziani che muoio per rilevanti variazioni di temperatura ambientale,
influenza, eventi traumatici fisici o psichici modesti, procedimenti diagnostici o interventi terapeutici
condotti con poca cautela.]
Valutazione multidisciplinare geriatrica: la VMD è lo strumento tecnologico della medicina geriatrica. È una
metodologia valutativo-diagnostica e operativa con la quale vengono identificati i molteplici problemi
del soggetto anziano, valutate le limitazioni e risorse, definite le sue necessità assistenziali e viene elaborato un
programma di cura complessivo. Richiede un approccio interdisciplinare con intervento contemporaneo di
diverse figure professionali al fine di proporre un complessivo piano di assistenza individualizzato (PAI). La
VMD si occupa della valutazione del paziente su diversi piani: fisico (individuare le patologie presenti), cognitivo
ed affettivo (disturbi cognitivi, tono dell’umore, comportamento), funzionale (condizioni di fragilità, disabilità,
dipendenza), socio-economico, condizioni ambientale (ad es. barriere architettoniche).
Obiettivi VMD: Identificazione dei bisogni e delle problematiche assistenziali; Guida all’identificazione
degli obiettivi assistenziali (“problem solving process”); Programmazione dell’intervento assistenziale (prevenzione,
cura, riabilitazione); Miglioramento dello stato funzionale e della qualità di vita; Ottimizzazione dell’allocazione
delle risorse; Riduzione dell’utilizzo dei servizi non necessari; Long-term case management; Controllo qualità
(realizzazione banca dati).
Strumenti VMD: la VMD ha a disposizioni diversi strumenti, a più livelli:
Strumenti di prima generazione: “tradizionali”, valutano in maniera descrittiva le singole aree
problematiche dell’anziano.
I principali sono: ADL (valutazione delle “activity of daily living”): determinazione del punteggio: si valuta andare
in bagno, vestirsi, andare ai servizi, spostarsi, controllare gli sfinteri, aimentarsi: sette categorie da A a G + altro;
IADL (scala delle “instrumental activity of daily living”): attività più complesse come usare il telefono, fare la spesa,
cucinare, etc; GDS (geriatric depression scale): 100 domande Si/No. >10 è depressione grave, 6-10 lieve-moderata.
CIRS-G (scala geriatrica cumulativa di valutazione delle comorbilità): importante per la prognosi. MMSE (mini-mental
state examination): <18 grave; 18-24: dubbio; TINETTI (perfomance oriented mobility assessment); MNA (mini-
nutritional assessment): ha una parte di screening e una di assesment: punteggio cumulativo >17Æ malnutrizione;
SF-12 (questionario sullo stato di salute).
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Limiti: ciascuno valuta una singola area, hanno valore solo descrittivo senza risalire ai fattori causali, esistono
anche strumenti diversi per una singola area (difficile confrontabilità).
Strumenti di seconda generazione: “polivalenti”, sono strumenti di valutazione globale,
onnicomprensivi, che unificano il metodo di VMD, guidano verso una corretta diagnosi eziologica,
conducono ad un migliore PAI, garantiscono il monitoraggio dello stato di salute, consentono la
realizzazione di un database.
o VAOR: Valutazione dell’Anziano Ospite in Residenza, è l’analogo del RAI-MDS adattato in Italia,
e si compone di due parti. Una SVER (Scheda di Valutazione Elementare del Residente) e una
SIP (Sequenze di Identificazione dei Problemi). La SVER con oltre 300 domande è in grado
di esplorare il 90% delle problematiche che riguardano l’anziano residente con il minimo
di informazioni necessari (MDS) all’elaborazione di uno specifico programma assistenziale.
La SVER per ogni problema rimanda infatti a protocolli specifici per la ricerca dei fattori
responsabili e la successiva elaborazione di un PAI. Questa comprenderà vari strumenti di
prima generazione: MMSE, GDS, ADL, CIRS ad esempio. Ne esistono di più tipi: VAOR-RSA,
VAOR-ADI, VAOR-Ospedale, VAOR-Post-Acuti. Attualmente il VAOR sta sostituendo in
queste categorie di pazienti il sistema dei DRG (inadatti per il paziente anziano, sostituiti
in america dai RUG-resource uniform groups che dividono i residenti in sette gruppi clinici
con esigenze diverse), sta fornendo la base per database e per uniformare la valutazione
(costituendo quasi uno strumento di terza generazione).
Rubstein ha effettuato diversi studi che dimostrano l’utilità della VMD. Questa pare (anche da recenti metanalisi)
diminuire la mortalità dei soggetti così trattati rispetto ai controlli (fino ad un 20%). Per di più risulta essere più
efficace in soggetti: >75, con basso punteggio di ADL (disabilità), con comorbilità, con scarso supporto sociale
(non sposati o comunque senza un caregiver). In pratica funziona estremamente bene proprio verso i soggetti
fragili.
[Lavoro in equipe: la VMD non può prescindere dalla collaborazione tra più figure professionali. È necessario che
gli obiettivi siano chiari e pianificati, che vi sia pari autorevolezza e collaborazione tra i professionisti, che vi sia
comunicazione tra essi].
Rete dei servizi: Rubstein pubblicò nel 1984 uno studio in cui affermò che era necessario pertanto gestire in
maniera diversa dal normale i pazienti anziani fragili. Il vecchio modello era infatti:
Rete tradizionale dell’assistenza sanitaria: il paziente geriatrico si rivolge al medico di medicina generale
il quale lo indirizza a: ospedale, DH, ambulatorio, medico specialistico.
Questo modello inadeguato è ancora comune in alcune regioni italiane. Il medico di base manca spesso degli
strumenti necessari per affrontare i problemi dell’anziano. Sulla famiglia grava gran parte dell’assistenza. L’ospedale
è il luogo della certezza delle cure, che utilizza ancora il modello dei DRG. I servizi territoriali sono spesso carenti.
Vi è la necessità di un nuovo modello.
Modello dell’assistenza continuativa: questo modello ha la missione della presa in carico a lungo termine
(long term care) del paziente nella sua globalità, senza discontinuità, e flessibile. Per applicare questo modello è
necessaria una nuova rete di servizi:
Rete dei servizi geriatrici: il paziente geriatrico si rivolge al medico di medicina generale il quale lo invia
all’UVG, l’Unità Valutatitiva Geriatrica che applica la VMD e crea il PAI.
Unità di Valutazione Geriatrica: UVG, secondo Rubstein il paziente geriatrico ha bisogno di un equipe di soggetti, di
cui il geriatra deve essere il coordinatore. I medici specialisti risultano figure secondarie. Compiti dell’UVG: individua
i pazienti di interesse geriatrico, definisce i bisogni assistenziali socio-sanitari soprattutto per la preservazione
dell’autosufficienza ed il recupero o mantenimento delle capacità funzionali residue. L’UVG deve applicare la
metodologia del VMD e definire un PAI, oltre che indirizzare di volta in volta il paziente verso le strutture o i servizi
che soddisfino i suoi bisogni. Distinguiamo:
UVG territoriale: stabilisce la necessità di ADI, ospedalizzazione domiciliare, DH, residenze sanitarie. Si
coordina o anche identifica con la UVG ospedaliera.
UVG ospedaliera: stabilisce la necessità di ospedalizzazione, definisce i bisogni assistenziali durante la
degenza, predispone i servizi assistenziali da attivare al momento della dimissione, per ridurre la degenza,
per reintrodurre il paziente.
Rete dei servizi geriatrici: comprende i servizi in grado di far fronte alle diverse esigenze del paziente in forma
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Rete dei servizi per l’assistenza geriatrica in sintesi: l’assistenza continuativa prevede dunque:
1) Ricorso al medico di famiglia da parte dell’anziano e invio ad una UVG.
2) Case manager: figura non medica (in genere un infermiere specializzato) che sta a monte dell’UVG con il compito
di effettuare la valutazione geriatrica e poi smistare i pazienti. Nata perché il modello funzionava “troppo bene”
e l’affluenza era eccessivamente alta.
3) UVG: VMD del paziente e definizione: non necessita assistenza oppure PAI.
4) PAI: può comprendere il ricorso a Servizi di base e/o Servizi specialistici.
5) Rivalutazione e controllo: continua attenzione e comunicazione tra le strutture, cambio del PAI.
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Sensazione di instabilità: dizziness, termine generico che fa riferimento ad un’alterata percezione della propria
stabilità nello spazio, riferita con espressioni molto varie da parte dei pazienti (mi sento mancare, ho la testa leggera,
non mi reggono le gambe, barcollo, etc.). Ha un impatto importante sulla qualità di vita del paziente, è uno dei
principali fattori di rischio per le cadute. Viene considerata una sindrome geriatrica, spesso in associazione con
altre sindromi, con una genesi multifattoriale, dovuta a minore efficienza (weakest link) dei sistemi per la stabilità
posturale. Il mantenimento dell’equilibrio è garantito dal riposizionamento dinamico istante per istante del CMC
(centro di massa corporea) grazie a vari sistemi. Invecchiamento:
Alterazione della sensibilità propriocettiva: danno alla sensibilità vibratoria e cinestesica, riduzione della
sensibilità visiva, minore efficienza della funzione vestibolare.
Alterazione di centri e vie nervose: rallentamento nell’attivazione muscolare involontaria.
Sistema muscolo-scheletrico: flessione delle ginocchia ed utilizzo della strategia d’anca invece di quella di
caviglia o di ginocchia per guadagnare stabilità, riduzione di forza e massa muscolare Æ andatura senile
idiopatica (precauzionale).
L’instabilità è in genere riconducibile a 4 situazioni cliniche:
1. Vertigine: sensazione di spostamento del corpo e del capo nello spazio, rotatorio (soggettiva) o dell’ambiente
(oggettiva). Possono essere acute o ricorrenti. Una forma molto comune (specie in donne anziane) è la
vertigine parossistica benigna (posizionale).
2. Instabilità posturale: incapacità di mantenimento dell’equilibrio per alterazioni di equilibrio e andatura. È
associata alle alterazioni dell’invecchiamento oltre che da encefalopatie, sindromi extrapiramidali, idrocefalo
occulto normoteso, patologie del sistema muscolo-scheletrico, malattie del midollo spinale, neuropatie,
malattie degli organi di senso, ipotensione ortostatica, farmaci.
3. Pre-sincope: e sincope vera e propria. Conosce le stesse cause della sincope.
4. Altro: idiopatica, non inquadrabile: iperventilazione, disturbi psichiatrici, etc.
Diagnosi: anamnesi accurata per definire questa sensazione di instabilità, utilizzo della VMD.
Cadute: le cadute sono comuni in tutta la popolazione, ma risultano un reale problema nel paziente anziano, tanto
da essere attualmente considerate una sindrome geriatrica. Nell’anziano sono effettivamente più frequenti e di
maggiore gravità. Possono essere accidentali o non.
Epidemiologia: pare che la metà dei >80 e 1/3 dei >65 cada almeno una volta all’anno.
Fattori di rischio: per quale motivo gli anziani cadono più facilmente?
Fattore weakest link: l’invecchiamento, come visto per la dizziness, causa alterazioni dell’apparato
visivo, uditivo, locomotore e nervoso. Si ha cambio del controllo posturale (minore efficacia del riflesso
di raddrizzamento del piede), cambiamenti nella deambulazione (tendenza a sollevare meno i piedi, gli
uomini tendono a piegarsi in avanti, le donne tendono ad una andatura dondolante).
Fattore malattia: sensazione di instabilità, patologie specifiche soprattutto vertigine, malattie nervose
(demenze, patologie extrapiramidali, ictus, epilessia) e cardiovascolari (aritmie, ipotensione ortostatica,
sincope) poi anemie, disturbi elettrolitici, etc. Senza contare ad esempio cose come l’ipertrofia prostatica
(che costringe a svegliarsi di notte).
Fattore ambiente: spesso si somma agli altri fattori: utilizzo di tappeti, bagno scivoloso, ma anche costrizione
a letto e carrozzina, dopo la dimissione dall’ospedale, etc.
Cause comuni di cadute: incidenti, sincope, drop attack (cedono le gambe per insufficienza vertebro-basilare),
vertigini, ipotensione ortostatica, farmaci (come ipotensivanti e tranquillanti).
Conseguenze e complicanze: sono numerose, la mortalità cresce al crescere dell’età, così come il rischio di disabilità.
Quest’ultimo aumenta con il tempo che passa l’anziano a terra prima di essere soccorso. Abbiamo conseguenze
immediate (come fratture), e tardive (come la paura di cadere):
Lesioni dei tessuti molli: ecchimosi, ferite, possono essere più o meno gravi.
Fratture: sono la conseguenza più frequente, spesso a causa della maggiore fragilità dell’osso nell’anziano.
L’osteoporosi (T-score <2,5 DS dalla densità media) è il fattore di rischio principale. Le sedi più frequenti
sono:
o Frattura del femore: la sua incidenza aumenta con l’età. È la conseguenza più severa e a differenza
delle altre fratture richiede l’ospedalizzazione. È più comune nell’anziano che nel giovane, oltre che
per la diversa densità ossea, anche perché l’andatura (e spesso l’utilizzo del bastone) fa sì che la
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caduta avvenga in genere di fianco o all’indietro anziché in avanti. La mortalità nei primi 6 mesi
supera il 20% e vi è un’alta percentuale di soggetti che non recuperano la propria mobilità.
o Fratture vertebrali: molto correlata a densità ossea e osteoporosi, spesso è spontanea. Più comuni
nel sesso femminile, tendono o sommarsi dopo la frattura di una singola vertebra. Il dolore può
essere cronico o acuto.
o Altre fratture: le sedi più comuni sono polsi, poi omero, tibia, pelvi.
Traumi cranio-encefalici: sono associati ad elevata mortalità. Si distinguono:
o Ematoma subdurale: di gran lunga il più frequente. Un fattore predisponente è l’atrofia cerebrale
(può presentarsi anche senza un trauma riconoscibile). La raccolta di sangue si sviluppa lentamente
tra dura madre ed aracnoide a causa della lacerazione dei seni venosi. Può essere acuto (meno di
3 giorni), subacuto e cronico. In realtà vi è comunque un periodo lucido prima del progressivo
aumento del sangue: il problema è che la scatola cranica è chiusa ed anche piccoli versamenti
possono causare quadri clinici gravi.
o Ematoma epidurale: rottura arteria meningea media. Rara, per rottura osso temporale. La perdita
di coscienza è immediata.
o Emorragia intraparenchimale: in genere traumi cranici di grande intensità.
o Contusione cerebrale: varietà di danni e sintomi che dipendono dalla sede colpita.
Generali: ciascuna delle conseguenze aumenta la probabilità che si verifichino:
o Ricovero in ospedale: di per sé una complicanza, visto che aumenta la mortalità, il rischio di
disabilità, patologie infettive, fragilità, problemi psicologici.
o Disabilità: in particolar modo frequente a seguito della rottura del femore.
o Paura di cadere: è una conseguenza tardiva che determina ansia, insicurezza, autolimitazione
nello svolgimento delle attività e dunque declino funzionale. Diminuisce relazioni sociali, aumenta
rischio altre caudute e istituzionalizzazione.
Valutazione dell’anziano con storia di caduta:
Anamnesi: fondamentale un’anamnesi generale accurata, patologia, farmacologica, funzionale ed
ambientale. Indagare sulle circostanze dell’evento (ricordarsi che gli anziani tendono a minimizzare),
modalità, se era già caduto altre volte, se in relazione con l’alzarsi dal letto o dalla poltrona, con i pasti,
presenza sintomi premonitori. Chiedere direttamente: era cosciente?; Ha avuto sintomi prima?; testimoni?;
farmaci?; ricorda la caduta?; quale pensa sia la causa?;
Valutazione dell’equilibrio e andatura: si utilizza generalmente la scala di Tinetti. Valuta:
o Equilibrio: il soggetto è seduto su di una sedia rigida senza braccioli. Si valuta se mantiene
l’equilibrio, se riesce ad alzarsi, se mantiene la stazione eretta, se riesce a girarsi e a sedersi (1-16). Se
non mantiene l’equilibrio all’inizio il punteggio è 0.
o Andatura: il soggetto cammina per dieci passi di fronte all’esaminatore, all’inzio con il suo passo
normale, poi più veloce. Se li usa, può adoperare strumenti per la deambulazione. Si valuta l’inizio
della deambulazione, lunghezza e altezza del passo, simmetria e continuità del passo, traiettoria,
posizione del tronco. (1-12). Se la persona non è deambulante il punteggio è 0.
o Classificazione: un risultato complessivo tra 0 e 1 è una controindicazione alla deambulazione,
tra 2-18 è a rischio, >19 è deambulante.
Esame obiettivo: Indici vitali (PA, Frequenza cardiaca e respiratoria), cute (rossa, cianotica, potrebbe avere
crisi ipossemiche saltuarie se non è ben ossigenato), midriasi (sospetto di ematoma subdurale o lesione
neurologica), arti (piede diabetico, utilizzo scarpe), apparato cardiovascolare e nervoso con attenzione.
Esami addizionali: Ematocrito (eventuali deficit di Hb), Rx torace (non molto utile, cause grossolane), ECG
o Holter (eventuali aritmie).
Algoritmo diagnostico:
Se il paziente è scivolatoÆvalutazione cause ambientali.
Caduto all’improvviso per cedimento gambeÆ Eco doppler, TAC encefalo con mdc, RMN fossa cranica
posteriore.
Riferisce instabilitàÆ Eco doppler, EEG, TAC encefalo con mdc.
VertigineÆSoggettiva (otorinolaringoiatria); Oggettiva (valutazione neurologica).
SincopeÆ algoritmo specifico della sincope.
Principi di terapia: bisogna prima trattare eventuali conseguenze fisiche. Se vi è diagnosi eziologica bisogna
provvedere al trattamento delle patologie sottostanti. Fondamentale una terapia fisico-riabilitativa per rieducare
il paziente e rafforzare il tono muscolare, ricorrere ad ausili per la deambulazione. Supporto psicologico se vi è paura
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ȱ юѧѧђљљіћі
di cadere.
Prevenzione: oltre alla terapia riabilitativa ed un programma di esercizi contro resistenza può essere utile un
intervento di valutazione e modifica dell’ambiente domestico (eliminare ostacoli, tappeti, pantofole, indossare
scarpe adatte); sospensione farmaci psicotropi, interventi su pavimenti, arredi da bagno, mobili, sedie, letti.
Sincope: per sincope si intende un’improvvisa perdita di coscienza accompagnata da caduta e seguita da un rapido,
completo e spontaneo recupero. Dura da 15 secondi a 2-3 minuti. La pre-sincope o lipotimia indica la sensazione
di imminente perdita di coscienza, senza che si realizzi. Il meccanismo patogenetico è lo stesso, nella maggior parte
dei casi una caduta della pressione arteriosa sistemica, ma vi sono pure altre cause. Le frequenza e le conseguenze
di sincope negli anziani sono molto maggiori (fratture, etc.) oltre alla successiva paura di cadere.
Epidemiologia: frequente, 11/1000 all’anno nei soggetti tra 70-80, aumenta con l’età.
Fattori di rischio: con l’età si riduce l’efficacia dei meccanismi di controllo e compenso della pressione arteriosa
sistemica e della perfusione cerebrale:
Diminuita efficienza barocettiva: baro riflesso alterato
Predisposizione all’ipotensione ortostatica (ridotto adattamento della frequenza, etc.)
Predisposizione all’ipotensione per ipovolemia (diminuita azione sistema RAA, sete, etc.)
Ridotta efficienza auto regolativa del flusso cerebrale (da arteriolosclerosi, etc.).
Il baro riflesso alterato è il fattore più importante. Normalmente nel passaggio dal clino all’ortostatismo vi è
una diminuzione di pressione cui fa seguito un aumento della frequenza cardiaca. Nell’anziano la sensibilità dei
barocettori è diminuita così come la capacità del cuore di aumentare la frequenza. Se non si alza lentamente può
avere sincope.
Altri fattori: disabilità, comorbilità, polifarmacoterapia (maggiore rischio di effetti collaterali).
Il rischio di sincope aumenta quasi proporzionalmente al numero di farmaci assunti. Tra i farmaci i più rischiosi sono
ACE-inibitori e sartani, diuretici, vasodilatatori, antiaritmici associati a torsione di punta, digossina, beta-
bloccanti, alfa-litici, infine benzodiazepine e altri psicoattivi.
Eziologia e classificazione: distinguiamo:
1. Sincope di origine cardiaca: 14% dei casi, dovuti ad una cardiopatia come stenosi aortica.
Nell’anziano è due volte più frequente che nella popolazione generale. È la forma correlata alla più alta mortalità.
Può essere secondaria a:
Malattia strutturale cardiaca o cardiopolmonare: stenosi aortica, altre valvulopatie, infarto del miocardio
(qualora non muoia), cardiomiopatia ostruttiva.
Aritmie: sindrome del nodo del seno, BAV, tachicardie parossistiche sopraventricolari e ventricolari,
malfunzionamento del pacemaker, farmaci.
Le cause più comuni sono malattia del nodo del seno, tachicardia ventricolare, mentre il 20% di tutti i casi di
sincope è dovuto ad aritmia, per questo ECG e Holter sono spesso diagnostici.
2. Sincope di origine non cardiaca: 66% neuro mediata (rientra l’ipotensione ortostatica).
Gruppo molto eterogeneo, di cui la causa più comune è l’ipotensione ortostatica, poi anche l’ipersensibilità del seno
carotideo e l’alterata risposta neuro-mediata vaso-vagale:
Neuro-mediata: Vaso-Vagale, ipersensibilità del nodo del seno, situazionale (tosse, emorragia, post-
minzionale, post-esercizio fisico, post-prandiale etc.).
Da ipotensione ortostatica: L’ipotensione ortostatica è definita come la caduta di almeno 20 mmHg
della pressione sistolica nel passaggio dal clino all’ortostatismo. La sua frequenza aumenta con l’età. Nei
soggetti con sistolica alta è più frequente. Nel passaggio in piedi 500-800 ml di sangue vengono dislocati
alle estremità inferiori e a livello splancnico. Questo causa un decremento del ritorno venoso a livello
centrale con una riduzione della portata cardiaca e quindi una stimolazione dei barocettori che di
riflesso aumentano il tono simpatico e le resistenza vascolari aumentando la frequenza cardiaca. Negli
anziani vi è: deterioramento della regolazione della pressione, possibili patologie che alterino l’efficienza
del sistema autonomo, frequente polifarmacoterapia che può accentuare la disfunzione. I farmaci, le
patologie cardiovascolari e neurogeniche possono accentuare l’effetto di queste disfunzioni (stenosi aortica,
insufficienza cardiaca, aritmie, insufficienza adreno-surrenalica, alcool, disidratazioni, nefropatie, atrofie
cerebrali, diabete, neuropatie).
Da causa cerebrovascolare: sintromi da furto vascolare.
3. Sincope di origine ignota o indeterminata: più del 20%, spesso multifattoriale.
Pseudosincope: non rientra nella classificazione. È una perdita di coscienza che dura più tempo di 15 min (per lo più
associata ad ictus o epilessia). La sincope vera dura molto meno.
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Clinica: spesso la sincope può essere preceduta da sintomi premonitori (presincope) quali: nausea, sudorazione,
debolezza e turbe della visione. Differenze tra diversi tipi di sincope:
Neuromediata: no malattia cardiaca, dopo suoni o odori spiacevoli o dolore, può essere associata a stazione
eretta, sforzo, pasti, compressione del collo.
Da ipotensione ortostatica: caduta della pressione in ortostatismo >20mmHg o pressione inferiore a
90<mmHg, Dopo stazione eretta o farmaci ipotensivi o sforzo.
Cardiaca: patologia cardiaca, anche posizione supina, dolore toracico, familiarità.
Cerebrovascolare: associata ad esercizi con le braccia, differenza tra polsi delle due braccia.
Diagnosi: prima di tutto valutazione iniziale del paziente con perdita transitoria di coscienza:
1. Distinzione tra sincope vera o pseudo-sincope:
a. Sincope: effettuare la diagnosi eziologica.
b. Pseudo-sincope: confermare con test specifici o valutazione specialistica.
2. Diagnosi eziologica: possiamo trovarci di fronte a:
a. Diagnosi eziologica certa: cominciare il trattamento.
b. Diagnosi incerta: effettuare una preliminare stratificazione del rischio.
3. Stratificazione del rischio: distinguere il paziente in:
a. Alto rischio: sono pazienti con rischio di eventi gravi a breve termine. Serve una valutazione precoce
e trattamento.
b. Basso rischio con sincope ricorrente: si effettuano test per la diagnosi di sincope cardiaca o neuro-
mediata poi trattamento in relazione alla positività ECG.
c. Basso rischio con sincope isolata: non serve ulteriore valutazione.
In generale i pazienti a basso rischio gestiti in modo adeguato non necessitano ricovero, quelli ad alto rischio
devono essere ospedalizzati. Si definisce ad alto rischio un paziente con: grave patologia arteriosa strutturale
o alle coronarie, dati clinici o ECG che suggeriscono una sincope dovuta ad aritmia, comorbidità importanti
(anemia severa, disturbi elettrolitici).
La sincope che si sviluppa dopo esercizio fisico è in genere benigna, mentre quella che si sviluppa durante l’esercizio
fisico ha una prognosi generalmente peggiore e sarebbe da indagare.
Oggi esistono le OBI, strutture di osservazione a breve intensità nelle quali i pazienti che accedono al pronto soccorso
sono tenuti 48h sotto osservazione e si indaga sulle possibili cause.
Algoritmo diagnostico: si deve giungere alla diagnosi definitiva e quindi al trattamento. Inizia con
1. Anamnesi, esame obiettivo, ECG, pressione arteriosa in clino e ortostatismo:
a. Diagnosi definitiva e quindi trattamento oppure sospetto diagnostico.
2. Sospetto diagnostico: le cause possono essere:
a. Cardiache:
Aritmie: Si esegue: massaggio carotideo e ECG 24hÆ SEFÆ Tilt table-test
Bassa portata: Si esegue: ECG, Prova da sforzo, TAC polmone, Coronarografia Æ Massaggio
carotideo e Tilt table-test.
b. Neurologiche: possibile pseudo sincope. Se esegue: Doppler carotideo, EEG, TAC craneale Æ
Massaggio carotideo e Tilt table-test.
c. Neuromediate: Si esegue: Massaggio carotideo e Tilt table-test, Holter pressorio 24h Æ Prova
da sforzo e ECG 24h.
3. Se tutti i test risultano negativi: Valutazione psichiatrica o Loop recorder (registrazione del ritmo
cardiaco registrata per 6 mesi con dispositivo impiantabile sottocute).
Anamnesi: deve riguardare le circostanze precedenti l’attacco (posizione, attività in corso, fattori predisponenti),
modalità d’esordio (eventuali sintomi precursori), decorso (caduta, durata, coscienza o meno, respiro, morsicatura
della lingua). Importante l’anamnesi patologica e familiare.
Valutazione dei prodromi: ci permettono una distinzione preliminare tra sincope cardiaca e non cardiaca. I
prodromi della cardiaca sono soprattutto: dispnea. Della non cardiaca: nausea, vomito e visione offuscata.
Predittivi di sincope cardiogena sono: palpitazioni pre-sincope, cardiopatia o ECG patologico, sincope durante lo
sforzo, da supino, etc.
Esame obiettivo: valutare colorito, idratazione, temperatura, pressione arteriosa in clino e ortostatismo,
auscultazione cardiaca, segni di traumi, tono muscolare ed eventuali deficit neurologici focali, morsicatura della
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lingua.
ECG: possono essere rilevanti aritmie, disturbi di confuzione, QT lungo, bradicardia sinusale o blocco seno atriale,
ipertrofia ventricolare, onde Q di infarto, sindrome di Brugada, onde epsilon.
Sospetto di sincope cardiaca: è importante l’indagine strumentale. La principale è il Tilt table test.
La TC in pronto soccorso è più utile per individuare eventuali danni da caduta.
1) Tilt-table test: diagnostico nel 66% dei casi. Per potenziare il tilt test si può somministrare nitroglicerina per
ridurre ancora il pre-carico. Si è notato infatti che spesso, come nella sincope vaso-vagale, è la minore efficacia del
simpatico e quindi la forte vasodilatazione il primo fattore. Pertanto la nitroglicerina potenzia la reazione vagale. Il
tilt test è infatti soprattutto diagnostico in caso di causa cardiaca (sincope vaso-vagale, azione di farmaci, ipotensione
ortostatica). Il paziente è posto su supino su di un lettino inclinabile verso l’ortostatismo (in genere 60°). Si esegue
minotoraggio ECGgrafico continuo durante il test. Interpretazione: Classificazione di VASIS:
Vasis tipo I: Risposta mista: al momento della sincope vi è riduzione della frequenza cardiaca (che si
mantiene superiore a 40 bpm o inferiore per meno di 10 secondi). Riduzione della pressione arteriosa
prima del calo della frequenza cardiaca.
Vasis tipo IIA: Risposta cardioinibitoria senza asistolia: al momento della sincope vi è riduzione della
frequenza cardiaca anche al di sotto di 40 bpm, ma senza asistolia (o per <3 secondi). Riduzione della
pressione arteriosa prima del calo della frequenza cardiaca.
Vasis tipo IIB: Risposta cardioinibitoria con asistolia: al momento della sincope vi è una asistolia > 3sec.
Riduzione della pressione arteriosa prima o insieme alla frequenza.
Vasis tipo III: Risposta vaso depressiva pura: la frequenza cardiaca sale dall’inizio del test e non scende
mai più del 10%. La PA cala fino a causare sincope.
Il VASIS IIb indicherebbe l’utilizzo di un pacemaker (al loop recorder noteremo una genesi aritmica della sincope)
anche se questo non previene l’effetto della vasodilatazione e quindi ulteriori possibili sincopi.
2) Massaggio carotideo: si massaggia con 3 dita per almeno 10 secondi la carotide del apziente nella sede di
massima pulsatilità. Il tutto si esegue in clino e orto statismo, a destra e a sinistra, prima e dopo la somministrazione
di atropina e con monitoraggio ECGgrafico continuo.
Interpretazione: Ipersensibilità seno-carotideo: caduta della pressione sistolica >50 mmHg oppure asistolia >
3sec a seguito del massaggio.
Sindrome del seno carotideo: riproduzione della sincope in presenza di ipersensibilità.
Terapia: prima di tutto la sincope è un meccanismo di difesa per mantenere la perfusione cerebrale. Infatti la
posizione orizzontale dopo la caduta favorisce l’arrivo di sangue al cervello. Per diminuire la probabilità di danni
cerebrali bisogna lasciare il paziente con sincope in posizione orizzontale. Se il paziente si trova su di una sedia a
rotelle porlo in posizione orizzontale.
1) Causa cardiogena: in questo causa la terapia verte sulla risoluzione della causa. Se il paziente ha stenosi aortica
questa è curabile con sostituzione valvolare, se ha un blocco atrioventricolare di II o III grado è curabile con
pacemaker, una tachicardia ventricolare con defibrillatore.
2) Causa non cardiogena: mentre le cause cardiogene sono gravi ma curabili ed inoltre diagnosticabili con test
specifici, in queste è più complesso. Il Tilt test ha bassa sensibilità e spesso i dati dei differenti test non combaciano.
L’approccio mai come in questo caso deve essere una valutazione multidisciplinare. Risultano infatti fondamentali
in questi casi:
Presidi dietetici: aumentare l’introito di liquidi e sali.
Presidi comportamentali: evitare luoghi caldi e affollati, prolungata stazione eretta, uso di calze elastiche,
manovre di contro-pressione, tilt training.
Terapia farmacologica: midrodina, paroxetina, etilefrina, fludocortisone, disopiramide.
Evitare reazioni avverse: ACEI, sartani, diuretici, vasodilatatori, alfa-litici, sostanze psicoattive,
benzodiazepine, ganglioplegici, alcool.
Elettrostimolazione cardiaca: laddove sia possibile e necessario. Bicamerale DRD o CLS.
Pertanto nell’anziano: In genere sono sufficienti misure comportamentali e rassicurazioni sulla prognosi benigna
(effettivamente la prognosi dei pazienti con sincope non cardiogena è assimilabile a quelli senza eventi di sincope).
Se la sincope è molto frequente e ricorrente necessita di ulteriore trattamento. I beta-bloccanti, a parte in casi di
cardioinibizione, risultano efficaci.
Esempio: se il paziente ha ad esempio una ipotensione ortostatica e tachicardia atriale risulterà efficace la
disopiramide con effetto anticolinergico ed antiaritmico.
È sempre importante una VMD in quanto spesso i pazienti sono imprecisi nell’anamnesi perché per esempio con
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Syncope Unit: è un’unità ospedaliera esistente nei paesi anglosassoni e funzionante 24h su 24. I pazienti sono
distinti in basso ed alto rischio (il che riduce i ricoveri inutili). Le figure professionali partecipanti sono un cardiologo
(che la fa da padrone), un neurologo, un geriatra, un audiologo, un internista. Si eseguono comunemente esami
cardiologici e il tilt table test.
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Sindrome da immobilizzazione: in geriatria con il termina immobilità si intende non solo l’incapacità totale
o parziale dell’individuo di spostarsi, ma anche le conseguenze che essa ha sul’intero organismo. L’anziano può
arrivarci in maniera acuta o subdola. Essendo l’anziano maggiormente predisposto all’immobilità oltre che alle
gravi conseguenze di essa, si inserisce l’immobilizzazione tra le sindromi geriatriche (come cadute, incontinenza,
deterioramento cognitivo, sarcopenia). Negli anziani i fattori di rischio determinano l’insorgenza di queste sindromi,
la fragilità determina le gravi conseguenze di queste sindromi (morte, disabilità).
Epidemiologia: si distinguono due livelli di limitazione: primo livello (incapacità di salire e scendere le scale
o camminare per periodi brevi), secondo livello (incapacità di spostarsi dal letto o dalla poltrona). L’immobilità
aumenta con l’età, interessa quasi il 20% delle persone tra 65 e 80 anni e circa il 40% delle persone sopra gli 80 anni.
Fattori di rischio dell’anziano: sono fondamentalmente: comorbilità, vulnerabilità (ridotta capacità di tolleranza
agli effetti dell’immobilizzazione) e sarcopenia (una vera e propria sindrome geriatrica). In più sono importanti
fattori biologici (stato di salute, deterioramento funzionale), psico-comportamentali (diversa reazione allo stato
di malattia), socio-ambientali (situazione sociale disagiata, sedentarietà, alimentazione scorretta, scarso supporto
sociale).
Meccanismi causanti la sindrome: la sindrome è molto più comune nell’anziano che nel resto della popolazione.
Vari gruppi di patologie possono portare all’immobilizzazione:
Malattie muscolo-scheletriche: artriti, osteoartrosi, osteoporosi, polimialgia reumatica, borsiti e tendiniti
Æ dolore, ridotta ampiezza di movimento, debolezza muscolare.
Malattie cardiache: insufficienza cardiaca cronica, coronaropatia Æ dispnea, angina, astenia profonda,
psicosi o condizionamento psicologico.
Malattie polmonari: BPC ostruttiva o restrittiva Æ dispnea, minore capacità aerobica.
Malattie neurologiche: demenza, ictus, Parkinson, neuropatia periferica, radicoliti Æ perdita della
funzione motoria, dolore, debolezza muscolare, perdita input sensoriali.
Altre malattie: arteriopatia obliterante, retinopatia, ipotensione ortostatica, insufficienza labirintica Æ
dolore, deficit visivo, instabilità, vertigini, paura.
A questo c’è da aggiungere una cultura medica che ancora vede “lana, latte e letto” come elementi centrali nella
terapia dell’anziano fragile. Inoltre l’ospedalizzazione favorisce l’immobilità non esistendo spesso programmi di
mobilizzazione o di riabilitazione in ogni reparto.
Meccanismi con cui si instaura la sindrome:
1. Decondizionamento fisico: assenza di movimento che determina direttamente l’involuzione dell’apparato
muscolo-scheletrico ed articolare.
2. Clinostatismo prolungato: alterazione dei meccanismi di adattamento antigravitario e modificazioni della
funzionalità di organi e apparati indotte dalla clinostasi.
3. Deprivazione sensoriale: possibile sviluppo di depressione e demenza.
Conseguenze dell’immobilizzazione:
Manifestazioni cardiocircolatorie:
o Cuore: già dopo poche ore avviene una redistribuzione della volemia dalla periferia al centro.
Quest’ultima causa un aumento del flusso polmonare e della portata cardiaca del 20-30% (che
già può causare scompenso in pazienti cardiopatici). Pertanto anche facile insorgenza di edema
polmonare acuto per scompenso. Ridotto adattamento all’ortostatismo (facile ipotensione
ortostatica e sincopi). In generale ridotto adattamento del cuore a richieste aumentate.
o Sistema arterioso: aumentato tono adrenergico con aumento dell’aggregazione piastrinica e
lipolisi. Meno prostaglandine e aumentato rischio di trombosi arteriosa
o Sistema venoso: stasi perifericaÆ aumentato rischio di trombosi ed embolia.
Manifestazioni respiratorie: riduzione attività dei muscoli toracici ed aumento azione di quelli
addominali Æ modificazione rapporto V/P e ridotta CV Æ ipossia ed ipercapnia. Diminuzione della
tosse, ristagno secreti, aumento flusso polmonare Æ infezioni.
Manifestazioni muscolo-scheletriche:
o Muscoli: diminuita sintesi proteica e aumento catabolismoÆ ridotta forza contrattileÆ ipostenia
o astenia, contratture, ipotrofia muscolare.
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Complicanze: le più frequenti sono pertanto: edema polmonare acuto, infezioni respiratorie, tromboflebiti e
possibile embolia polmonare, infezioni urinarie, calcoli, lesioni da decubito:
Rischio di edema polmonare acuto: in caso di segni clinici di EPA bisogna monitorare i parametri
emogasanalitici, valutare la pervietà delle vie aeree ed eventualmente usare ossigeno al 100%. Somministrare
iv.: morfina e furosemide Æ valutare la PAÆ se >100 dare nitroglicerina; se <70 dopamina e
noradrenalina; se 70-100: dobutamina.
Problemi nel trattamento farmacologico dello scompenso: il deficit cognitivo, la deprivazione sensoriale
e la depressione possono interferire con l’assunzione dei farmaci. Inoltre i diuretici posso aggravare
l’incontinenza urinaria, i beta-bloccanti aggravare una BPCO, entrambi aggravano l’ipotensione ortostatica,
gli ACEinibitori la disfunzione renale.
Rischio di trombosi venosa profonda ed embolia polmonare: calzature compressive ed eparina a basso
peso molecolare salvo controindicazioni.
Rischio di broncopolmonite: teicoplanina, meropenem, clindamicina, fluconazolo.
Rischio di infezioni urinarie: ciprofloxacina, ceftazidime.
Monitoraggio ematochimico: sempre da effettuare con emocromo, emogasanalisi, glicemia, fattori emocoagulativi,
elettroliti, osmolarità, azotemia, bilirubinemia, quadro proteico, etc.
Lesioni da decubito: o piaghe da decubito o ulcere da pressione, sono forse il più frequente problema legato
all’immobilizzazione del paziente. Più del 50% delle ulcere si manifestano negli ultrasettantenni e dopo una
settimana a letto il rischio di ulcera è del 28%.
Eziologia: la formazione delle ulcere si deve a sfregamento, stiramento e compressione della cute. Nei seduti
sono più frequenti che negli allettati in quanto vi è una maggiore pressione.
Fattori di rischio: nell’anziano sono molto più frequenti per i cambiamenti nel derma (minore idratazione, meno fibre
elastiche e collagene) e la minore rapidità nella guarigione delle ferite. Altri fattori sono: magrezza (meno adipe)
o obesità (più pressione), denutrizione (minore apporto proteico), secchezza della cute, ipotensione arteriosa,
comorbilità (diabete e microangiopatia). Ancora deterioramento mentale, mobilità assente, incontinenza
sfinterica.
Patogenesi: le ulcere tendono a formarsi a livello delle sporgenze ossee soprattutto nelle sedi sacrale, calcaneare e
scapolare (se supino), spine iliache anteriori e zona prerotulea (se prono), trocanterica, malleolare, zigomatica
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e padiglioni (se laterale). La pressione e soprattutto lo sfregamento causano una riduzione del flusso sanguigno
con conseguente necrosi tissutale. Il danno finisce per interessare anche i vasi linfatici con ipossia e danno
ischemico-necrotico.
Stadi patologici: in base alla progressione della lesione distinguiamo:
1. Stadio I: cute integra, eritema persistente, che non scompare alla digitopressione.
2. Stadio II: lesione cutanea, soluzione di continuo limitata all’epidermide e al derma.
3. Stadio III: ulcerazione crateri forme, con necrosi (tessuto scuro) che interessa cute e sottocute, fino ma non
oltre la fascia muscolare.
4. Stadio IV: ulcerazione a tutto spessore con necrosi che raggiunge il muscolo e l’osso. Può essere molto
estesa e dolorosa, difficile da trattare.
Conseguenze: oltre ad abbassare la qualità della vita, possono essere causa di infezioni locali, prolungamento della
degenza ed anche morte per possibili sepsi.
Prevenzione e trattamento:
Preliminare valutazione del rischio e della presenza di fattori di rischio, rivalutazione periodica.
Valutazione e osservazione costante dello stato della cute. Controllare bene regione sacrale, natiche,
regione trocanterica, malleoli, calcagni, tuberosità ischiatica.
Prevenzione: nel paziente a rischio e in quello con lesioni:
o Mobilitazione regolare e continua: soprattutto evitare per molto tempo posizioni che inducono
sfregamento, come la poltrona o il busto elevato a letto.
o Pulizia della cute con acqua e detergenti, poi asciugatura: senza sfregamento e senza sostanze
irritanti. Evitare di massaggiare le prominenze ossee.
o Utilizzo di materiali che riducono la pressione: come materassi o cuscini ad acqua, ad aria o in
gomma piuma, evitare anche le ciambelle.
Trattamento: valutazione delle lesioni, misurazione e registrazione nella cartella clinica, rivalutazione
periodica. Terapia con vitamina C, adeguato apporto proteico, antibiotici per sepsi o infezione locale,
asportazione del tessuto necrotico, innesti, suture, etc.
Rischio Iatrogeno: gli ultra settantenni prendono in media 8 farmaci/die. Bisogna considerare:
1) Biodisponibilità dei farmaci: la biodisponibilità (del 100% nella somministrazione ev.) è la quantità di farmaco che
giunge in circolo. La sua variabilità aumenta con l’età. Nell’anziano è ridotta per diminuzione della secrezione
acida gastrica, del flusso circolatorio e del trasporto attivo attraverso la membrana cellulare, invece risulta
aumentata dalla riduzione della motilità gastrointestinale che garantisce un maggior tempo di permanenza
del farmaco.
2) Volume di distribuzione: rapporto tra la dose del farmaco e la sua concentrazione plasmatica. È determinato dal
legame del farmaco con le proteine plasmatiche (soprattutto l’albumina) e con i tessuti e dal flusso ematico a livello
degli organi e tessuti. Nell’anziano risulta ridotto per riduzione della massa muscolare, dei liquidi corporei e del
flusso sanguigno e per aumento della α1-glicoproteina, mentre risulta aumentato per riduzione dell’albumina
sierica.
3) Clearance totale corporea: è la velocità di eliminazione del farmaco dall’organismo ed è determinata soprattutto
dalla Cl renale ed epatica.
Clearance renale è uguale alla clearance della creatinina: UxV/P, con U: [] urinaria creatinina; V: volume di
urine per unità di tempo; P: [] plasmatica di creatinina. Nell’età avanzata si ha riduzione della clearance
renale per riduzione della perfusione ematica e della massa renale. Dai 20 aa diminuisce la clearance
renale del 10% per ogni decade.
Clearance epatica: con l’età si riduce la perfusione ematica, la massa epatica e il contenuto di enzimi/g di
tessuto con riduzione della clearance epatica. Un dosaggio ridotto sarebbe per tutti i farmaci metabolizzati
a livello epatico, soprattutto per quelli ad alta clearance.
4) Emivita: tempo richiesto per il dimezzamento della quantità totale di farmaco nell’organismo, rapporto tra il
volume di distribuzione e la clearance. Varia gli intervalli tra le somministrazioni.
Spesso negli anziani è aumentata, quindi è possibile distanziare di più le somministrazioni.
In generale negli anziani sono sufficienti dosi minori, ma c’è differenza: l’isoprotenerolo dà meno vasodilatazione
con l’aumentare dell’età, l’effetto della fenilefrina resta invece invariato.
La maggiore frequenza delle reazioni avverse ai farmaci negli anziani è perà dovuta soprattutto alla
polifarmacoterapia più che alla variazioni di questi parametri!!!. In generale bisogna:
1) iniziare da dosi basse e aumentare lentamente se necessario; 2) prestare attenzione ai possibili effetti tossici,
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(attenzione: le reazioni avverse in questi pz possono presentarsi in maniera atipica); 3) se il farmaco ha stretto
margine terapeutico, i pz devono essere attentamente monitorizzati;
4) particolare attenzione a quelli che agiscono sul SNC (sedativi, ipnici). 5) Prestare molta attenzione all’anamnesi
indagando su tutti i farmaci assunti, anche senza prescrizione medica!!!
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L’incontinenza urinaria è la perdita involontaria di urine in quantità o con frequenza tali da costituire per l’individuo
un problema sociale o di salute. È un sintomo, non una malattia. Ha costi sanitari elevati e risvolti psicologici negativi
oltre che rischio di istituzionalizzazione, aumentato rischio di piaghe da decubito, infezioni urinarie, cadute.
Epidemiologia: circa il 15-20% degli anziani non ospedalizzati e quasi il 50% tra gli ospedalizzati. È più comune nelle
donne e con l’avanzare dell’età.
Anatomia e fisiologia della minzione: la minzione avviene attraverso una arco riflesso il cui controllo è nei
segmenti sacrali del midollo a loro volta controllati da centri nervosi superiori quali ponte e corteccia. Vi
sono due sfinteri, uno prossimale (collo vescicale) involontario ed uno distale (uretra) volontario. Il sistema
parasimpatico garantisce la contrazione del detrusore della vescica e il rilasciamento dello sfintere. Il sistema
simpatico garantisce la contrazione dello sfintere ed il rilasciamento del detrusore.
L’invecchiamento è un fattore predisponente all’incontinenza urinaria. Infatti abbiamo un aumento del tessuto
fibroso e una diminuzione di quello elastico e muscolare con conseguente: ridotta capacità di dilatazione della
vescica, ridotta capacità contrattile degli sfinteri, comparsa di contrazioni involontarie della vescica, aumento
del volume residuo postminzionale. Questi cambiamenti non causano incontinenza ma predispongono ad essa.
Entrano poi in gioco una serie di altri fattori: capacità di vestirsi e svestirsi, raggiungimento dei servizi igienici, capacità
cognitive, adeguata mobilità. Vi è spesso un fattore precipitante che ha causato l’incontinenza. La risoluzione di
questo in genere la risolve.
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Esame obiettivo: condizioni cliniche generali, stato cognitivo, autonomia, presenza di edemi declivi,
piaghe da decubito, obesità, tosse, globo vescicale, ernie, prolasso genitali, neoplasie, esplorazione
digito-rettale, alterazioni SNC o periferico, VMD dello stato cognitivo e funzionale, perdita di urine al test
del colpo di tosse.
Esame delle urine: per escludere infezioni, patologie neoplastiche o metaboliche.
Questi dati dovrebbero permetterci di distinguere un’insufficienza urinaria transitoria da una forma persistente. Il
prossimo passo è distinguere il tipo di insufficienza persistente.
Sono utili il test del colpo di tosse: a paziente supino si fa compiere un colpo di tosse. Se avviene una perdita
conseguente al colpo che si arresta subito dopo è incontinenza da sforzo, se la perdita avviene, ma non si arresta
è più probabile che sia incontinenza da urgenza. In secondo luogo si valuta il residuo post-minzionale. Si esegue
con ecografie con scansioni sovrapubiche. Valori inferiori ai 50 ml sono fisiologici, valori superiori a 200 ml possono
indicare incontinenza da urgenza o da rigurgito (che ha ampio residuo postminzionale).
2) II livello: si basa su consulenza specialistiche e indagini strumentali. È indicato in caso di presenza o sospetto
di ematuria, infezioni ricorrenti, disuria persistenti, prolassi, alterazioni prostatiche, malattie neurologiche, pregressi
interventi chirurgici, se la terapia non ha funzionato, in mancanza di correlazione tra sintomi ed esame obiettivo, in
previsione di un intervento.
Terapia: l’incontinenza, seppur non sempre guaribile è quasi sempre migliorabile. Misure:
Tecniche comportamentali e misure ambientali: ridurre l’introduzione di liquidi nelle ore serali, rimuovere
barriere architettoniche, programmare le minzioni.
Farmaci: anticolinergici (aumentano la capacità vescicale e riducono le contrazioni involontari), alpha-
agonisti (aumentano la contrazione dello sfintere), estro-progestinici (aumentano la resistenza dei tessuti
periuretrali), alpha-bloccanti e 5-alpha reduttasi (rilassano la muscolatura liscia, utili in caso di urgenza
associata a ipertrofia prostatica).
Dispositivi di continenza sociale: sono semplici ed efficaci, ma a parte l’impatto psicologico, hanno
controindicazioni: pannolini e tamponi assorbenti (aumento rischio di lesioni cutanee), dispositivi esterni
di raccolta (lesioni da decubito peniene e infezioni del tratto urinario), catetere vescicale a permanenza
(aumento rischio infezioni, calcoli, contrazioni detrusore, mobilità ed autonomia funzionale).
Chirurgia: sospensione vescicale, impianto di uno sfintere urinario artificiale, prostatectomia, dilatazione di
stenosi uretrali.
In generale distinguiamo una continenza indipendente (capacità di espletare la funzione in modo autonomo),
continenza dipendente (espletare la funzione con l’aiuto di un caregiver), continenza sociale (così compromesse
da richiedere solo mezzi di ausilio applicati alla persona).
In base invece al tipo di incontinenza indipendente i presidi terapeutici utilizzati sono:
Incontinenza da urgenza: riabilitazione, esercizi di rinforzo della muscolatura pelvica tecniche
comportamentali (esercizi di contrazione dello sfintere), anticolinergici.
Incontinenza funzionale: interventi ambientali e comportamentali.
Incontinenza da sforzo: riabilitazione e esercizi di rinforzo della muscolatura pelvica , assorbenti, estrogeni
e alpha –agonisti, antidepressivi triciclici, chirurgia.
Incontinenza da rigurgito: correzione cause sottostanti, cateterismo, esercizi di rinforzo della muscolatura
addominale, chirurgia (correzione ostruzione).
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Delirium: è un disturbo dello stato di coscienza caratterizzato da esordio acuto (ore o giorni), andamento fluttuante,
frequente accentuazione nelle ore notturne. Sono presenti alterazioni cognitive (deficit mnesici, disorientamento),
alterazioni del linguaggio e della percezione (allucinazione o falsa interpretazione di stimoli reali). Il quadro è
molto eterogeneo. Abbiamo:
Forma iperattiva: paziente irritabile, irrequieto, agitato, a volte aggressivo.
Forma ipoattiva: paziente poco vigile, sonnolento, a volte stato stuporoso.
Forma mista: i due stati si alternano, con alterazione del ritmo sonno-veglia.
Epidemiologia: è una complicanza frequente nei pazienti anziani ospedalizzati. In particolar modo nei pazienti
chirurgici, ustionati e fratturati di femore.
Eziopatogenesi: è in genere causato da condizioni di stress psico-fisico: infezioni, ritenzione urinaria o fecale,
eventi cardiovascolari acuti, infarto, aritmie, embolia polmonare, insufficienza epatica, ipoglicemia, ipotiroidismo,
iperglicemia, alterazioni idroelettriche, neoplasie, nell’anziano anche cambio di domicilio o ospedalizzazione.
Anche numerosi farmaci: benzodiazepine, antidepressi, antiparkinsoniani con attività anticolinergica e
dopaminergica, alcuni analgesici, sali di litio, sostanze tossiche (insetticidi, vernici, CO, sospensione di farmaci
psicoattivi o alcool).
L’evento finale sarebbe uno squilibrio dei neurotrasmettitori con compromissione dell’attività colinergica e
aumento di quella dopaminergica e di noradrenalina e glutammato. Può essere dovuto ad una aumentato
rilascio di citochine, alterazione della barriera ematoencefalica, aumentata azione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene
con aumentato rilascio di cortisolo.
Fattori predisponenti e precipitanti: nell’anziano la causa è sempre multifattoriale. Predisponenti sono deficit
uditivi o visivi importanti, disidratazione, alterazioni cognitive, patologie gravi. Precipitanti sono interventi,
manovre diagnostiche, infezioni, cateteri, nuovi farmaci, fratture, etc.
Prognosi: il delirium ha un significato prognostico sfavorevole. È associato a prolungamento della degenza, elevato
rischio di disabilità, istituzionalizzazione e morte.
Delirium e demenza: il deterioramento mentale e ancor più la demenza sono un fattore di rischio importante
di delirium. Il 60% dei pazienti con delirium sono affetti da demenza (che aumenta di tre volte la probabilità). Il
delirium può peraltro slatentizzare (?!) un deterioramento cognitivo e pare possa essere un fattore predisponente al
successivo sviluppo di demenza. La diagnosi differenziale va posta soprattutto con la demenza a corpi di Lewy che
però presenta ipersensibilità ai neurolettici ed inoltre soprattutto allucinazioni visive, mentre nel delirium vi sono
soprattutto allucinazioni uditive (anche Sindrome di Cotard: convinzione di essere morti).
Diagnosi: spesso resta non diagnosticato, nonostante la frequenza a causa dei sintomi poco chiari e dell’andamento
fluttuante.
I criteri del DSM IV sono: 1) Disturbo dello stato di coscienza con ridotta attenzione. 2) Modificazione dello stato
cognitivo non giustificata da precedente deterioramento mentale. 3) Insorgenza del disturbo in breve tempo. 4)
Evidenza di una causa.
Importante distinguerlo dalla depressione (per quanto possono esserci sintomi depressivi) perché dare un
antidepressivo colinergico peggiora la situazione. DD con demenza: l’esordio è acuto e non insidioso, i sintomi
sono fluttuanti e non progressivi, lo stato di coscienza è alterato (nella demenza solo negli stadi finali) così come
attenzione e memoria (nella demenza solo la memoria), la psicosi è comune (nella demenza è rara).
Il Confusion Assessment Method permette una diagnosi ad alta sensibilità: 1) Comparsa acuta dei sintomi e
decorso fluttuante 2) Disattenzione 3) Disorganizzazione del pensiero 4) Livello di coscienza stuporoso o
ipervigile. Diagnosi nel caso in cui sono presenti i punti 1 e 2 + il 3 o il 4. Alta concordanza con l’MMSE.
Prevenzione: sui fattori di rischio: deterioramento mentale, insonnia, permanenza a letto, ipovedenza e sordità,
disidratazione. La VMD aiuterebbe molto nella prevenzione.
Terapia: sarebbe fondamentale individuare rapidamente e risolvere il fattore causale. Bisogna intervenire sui fattori
di rischio ed evitare complicanze (immobilizzazione, malnutrizione, infezioni, lesioni a sé stesso). Ambiente tranquillo
e presenza di familiari, evitare mezzi di contenimento fisici che aumentano il rischio. Come farmaci sedanti si usa
l’aloperidolo per via intramuscolare (col tempo dimezzare poi sospendere) che ha scarsi effetti anticolinergici
anche se è parkinsonizzante negli anziani. Nei pazienti con insufficienza epatica si usa fisostigmina.
Nei casi di delirium tremens da astinenza da alcolici sono indicate le benzodiazepine.
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Deterioramento mentale: è una delle principali sindromi geriatriche (ipotensione ortostatica, depressione,
sincope e cadute, malnutrizione, incontinenza, immobilità, deprivazione sensoriale), è una condizione
solitamente ingravescente con alterate prestazioni cognitive. Il cervello è effettivamente uno dei weakest
link dell’invecchiamento. Dopo anni di difficile definizione (e distinzione dalla demenza) usa oggi il termine Mild
Cognitive Impairment (MCI). Questo è definito come deficit riferiti di memoria (confermati da un soggetto
esterno), di entità superiore rispetto all’età ed alla scolarità, in presenza di funzioni cognitive normali e
autosufficienza.
Oggi se ne distinguono in realtà 4 sottotipi, ciascuno evolverebbe verso una certa demenza:
amnestic-MCI-single domain: lieve compromissione solo mnesica Æ AD.
amnestic-MCI-multiple domain: memoria e altre funzioni ÆAD o demenza vascolare.
non-amnestic-MCI-single domain: un’area cognitiva, non mnesicaÆ altre demenze.
non-amnestic-MCI-multiple domain: più aree, non mnesicaÆ altre demenze.
L’MCI sarebbe una via di mezzo tra un deterioramento cognitivo fisiologico ed uno patologico. Sarebbe meglio
definirlo Cognitive Impairment No Dementia (CIND).
Cause del deterioramento mentale: invecchiamento fisiologico, depressione (valutabile con il GDS), delirium,
deprivazione sensoriale, deterioramento cognitivo patologico, farmaci. Tra i farmaci che comportano un
deterioramento, reversibile, ci sono: anticolinergici (Parkinson), TCA (amitriptilina e imipramina; meglio la
desipramina), antiepilettici, antpsicotici, benzodiazepine, oppiacei, e soprattutto i FANS (auto somministrazione).
È difficile distinguere tra deterioramento fisiologico e patologico. La CIND è una via di mezzo, sempre più comune
(come la demenza) con l’avanzare dell’età (dopo gli 85 solo 1/3 è normale).
Spesso il passaggio da MCI a demenza (soprattutto Alzheimer) avviene già nei primi 48 mesi.
Fattori di rischio perché questo accada sono presenza dell’allele epsilon 4 della lipoproteina, livelli ridotti di alpha
amiloide e proteina tau nel liquor, elevati livelli di omocisteina, atrofia dell’ippocampo, compromissione delle
capacità di attenzione.
Demenza: diagnosticata spesso in fase molto avanzata, è una patologia molto diffusa. Secondo il DSM IV è una
sindrome caratterizzata da deficit cognitivi multipli di cui almeno uno comporti deterioramento mnesico ed
almeno un altro tra: afasia, agnosia, aprassia, deficit disesecutivo. Devono compromettere la salute del soggetto
da un punto di vista socio-comportamentale e rappresentare un cambiamento rispetto allo status quo ante. In
ordine di frequenza la più comune è la Malattia di Alzheimer, poi demenza vascolare, Parkinson demenza, fronto-
temporale, demenza a corpi di Lewy. La vascolare è quasi comune come l’Alzheimer tra 65-75 anni, dopo l’Alzheimer
è più comune. L’incidenza varia con l’età: 6% >65anni, ma 0,25% tra 65-69, 8% a 90.
Classificazione delle demenze:
Demenze primarie: a carattere degenerativo, sono:
o Demenze corticali: senza segni motori prevalenti
Demenza di Alzheimer: 50-70% di tutte le demenze. Nucleo di Meynert.
Demenza fronto-temporale.
o Demenze sottocorticali: con segni motori prevalenti
Demenza a corpi di Lewy
Parkinson demenza (evoluzione del Parkinson verso la demenza)
Paralisi sopranucleare progressiva: rara
Degenerazione cortico-basale: rara
Corea di Huntington: rara
Demenze secondarie:
o Demenza vascolare (pazienti colpiti da ictus)
o Disturbi endocrino-metabolici (soprattutto ipotiroidismo, ipertiroidismo)
o Malattie infettive e infiammatorie del SNC (meningoencefaliti, specie AIDS).
o Sostanze tossiche: alcool, metalli pesanti.
o Stati carenziali: vitamina B12, folati, tiamina, malnutrizione.
o Processi espansivi endocranici: neoplasie, ematomi e ascessi.
Pseudodemenze: ascesso sub-durale, eliminabile con drenaggio, ma se fisso causa demenza secondaria;
pseudo demenza depressiva (le patologie psichiatriche possono causare deterioramento). Vigorito include
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Clinica: quadro clinico della fase conclamata della patologia si compone di più disturbi:
1. Declino cognitivo: deficit della memoria, disorientamento temporo-spaziale, aprassia, afasia, agrafia,
alessia, deficit di ragionamento, acalculia, agnosia, deficit visuo-spaziali.
2. Disturbi comportamentali e psichici: aggressività, disinibizione, agitazione, ansia, imprecazione, domande
ripetitive, riduzione del tono dell’umore, possibili allucinazioni, deliri, depressione, labilità emotiva,
alterazione del ritmo sonno-veglia e dell’appetito.
3. Compromissione funzionale: diminuisce la capacità di compiere ADL e IADL, aumenta dunque la disabilità,
oltre che il numero di farmaci assunti, complica l’assistenza, aumentando pertanto la mortalità
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Storia naturale: la clinica si presenta in modo subdolo e lineare, non a gradini. È una progressione lenta e continua
che dura in media circa 10 anni. Distinguiamo:
Stadio I, amnesico: è colpita prevalentemente la memoria, poi ansia e depressione, disorientamento,
disturbi del linguaggio.
Stadio 2, demenza conclamata: difficoltà nel riconoscere cose o persone, azioni afinalistiche, disturbi del
comportamento come: apatia, agitazione, ripetitività, incontinenza urinaria funzionale, aprassia, wandering
(nomadismo, si perdono).
Stadio 3, vegetativo: il paziente deve essere istituzionalizzato.
Questi stadi correlano direttamente con il punteggio sempre più basso ottenuto al MMSE.
All’inizio vi è dunque una fase di sintomi precoci in cui il paziente ha difficoltà ad esempio nel trovare le parole, ma
ha ancora una buona memoria autobiografica. Poi con il tempo le alterazioni cognitive si fanno più gravi risultando
un problema per la sua vita sociale. Abbiamo deliri, incapacità di compiere azioni di vita quotidiana, allucinazioni,
apatia, depressione. Nella fase terminale il paziente è istituzionalizzato e confinato a letto.
Terapia farmacologica: è essenzialmente sintomatica, basata sulla stimolazione della trasmissione neuronale
colinergica e sulla modulazione di quella glutammatergica. I farmaci disponibili non sono in grafo di bloccare o far
regredire la patologia. Si utilizzano:
Inibitori dell’acetilcolinesterasi: questi farmaci pare funzionino grazie all’aumento della disponibilità
sinaptica dell’acetilcolina, effetto neurotrofico e neuro protettivo, regolazione del metabolismo dell’APP. Tra
questi farmaci ricordiamo:
o Donepezil: il primo ad essere stato introdotto, inibitore specifico e reversibile
dell’acetilcolinesterasi cerebrale, emivita di oltre 70 ore. Vi è buona aderenza alla terapia ed è ben
tollerato (bassa incidenza effetti collaterali: anoressia, vomito).
o Rivastigmina: anche per via trans dermica. È uninibitore pseudo irreversibile dell’acetilcolinesterasi
e della butirrilcolinesterasi (forse per questo agisce anche negli stadi avanzati della patologia). Scarsi
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Terapia dei disturbi comportamentali delle demenze: puntano al sollievo dai disturbi, miglioramento della qualità
di vita di paziente e caregivers, miglioramento funzioni cognitive. È in generale importante intervenire sull’ambiente
e cercare di privilegiare soluzioni non farmacologiche ai problemi. Attenzione all’anamnesi farmacologica, eventuali
interazioni, utilizzo del dosaggio minimo efficace e sempre attenzione alla comparsa di effetti collaterali.
Deliri/Allucinazioni: Modificare ambiente e comportamento adeguato del caregiver (distrarre il paziente,
rassicurarlo, ignorare le false accuse, stimolare l’attività fisica). Solo se non funziona farmaci: aloperidolo,
risperidone, clozapina, olanzapina, etc.
Agitazione: Modificare ambiente e comportamento adeguato del caregiver (rassicurare, distrarre il paziente,
supporto emotivo-affettivo). Solo se non funziona farmaci: trazodone, propanololo, carbamazepina, etc.
Depressione: Modificare ambiente e comportamento adeguato del caregiver (rinforzi positivi, psicoterapia,
no stress). Solo se non funziona farmaci: trazodone, sertralina, etc.
Insonnia: Modificare ambiente e comportamento adeguato del caregiver (no riposi diurni e stimolanti,
tranquillità). Solo se non funziona farmaci: trazodone, sertralina, etc.
Demenza fronto-temporale: o malattia di Pick. Se ne distinguono in realtà 3 forme. La più comune è la variante
frontale. Caratteristiche: esordio tra 45-65 anni, deterioramento ad inizio insidioso a lenta progressione.
Vengono compromesse le capacità relazionali con disturbi della personalità e del comportamento. Queste
sono soprattutto atteggiamento antisociale, aggressività, disinibizione, cleptomania. Cambiamento abitudini
alimentari (voracità, bulimia), alterazioni del linguaggio con eloquio ridotto e stereotipato con ripetizioni fino
all’ecolalia. Deficit attenzione.
Sono state descritte forme familiari, legati a mutazione proteina tau (cromosoma 17).
Anatomia patologica: caratterizzata da marcata atrofia e asimmetria dei lobi frontali e temporali anteriori,
visibile anche alla SPECT. A livello microscopico cellule ovoidali diffusamente colorate (cellule di Pick) con
inclusioni argirofile intracitoplasmatiche (corpi di Pick).
Terapia: gli anticolinesterasici sono inutili, da evitare gli antipsicotici tipici (ipersensibilità agli effetti piramidali),
trattamento depressione e aggressività (olanzapina).
DD tra malattia di Pick e Alzheimer: la memoria, la capacità di calcolo e le funzioni visuo-spaziali sono
conservate, mentre attenzione e concentrazione sono compromesse sin dall’inizio.
Altre forme: l’Afasia progressiva non fluente è caratterizzata soprattutto da alterazioni del linguaggio e parafasie,
con minore frequenza di sintomi comportamentali. Extrapiramidalismo.
Demenza semantica: precoce disturbo di comprensione e denominazione di oggetti.
Demenza sottocorticale a corpi di Lewy: è la forma degenerativa più frequente dopo l’AD. Possiede sintomi che
possono farla confondere con la malattia di Parkinson da cui viene distinta per la prevalenza maggiore di disturbi
cognitivi rispetto a quelli motori. Ha esordio subdolo, tra 60-90 anni, andamento fluttuante dei sintomi. Vi sono
disturbi motori (extrapiramidalismo), progressiva alterazione della abilità visuospaziali, mentre la memoria è
conservata nelle fasi inziali. Vi è riduzione dell’attenzione e nel 90% dei casi allucinazioni visive, patognomiche.
I disturbi motori sono sostanzialmente simili al Parkinson (bradicinesia e rigidità).
Anatomia patologica: sono presenti i corpi di Lewy (presenti anche nel Parkinson e pure nell’AD), composti di
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alpha-sinucleina aggregata ad altre proteine. Si distribuiscono soprattutto alle regioni corticali temporali e
sottocorticali (sub stantia nigra, locus coeruleus, corteccia paraippocampale). Coinvolgimento anche del nucleo di
Meynert che spiegherebbe la risposta ad anticolinesterasici.
Terapia: anticolinesterasici sono efficaci su apatia, agitazione, allucinazioni, deficit cognitivo e deliri. Non usare gli
antipsicotici tipici (extrapiramidalismo), cautela con gli atipici.
Parkinson demenza: compromissione precoce delle funzioni motorie e lentamente e con l’avanzare dell’età
compromissione più frequente e rapida delle funzioni cognitive. I principali fattori di rischio di Parkinson sono età
avanzata, bassa scolarità e depressione.
Eziopatogenesi: progressiva involuzione delle strutture sottocorticali e corticali della quale sono espressione la
presenza di corpi di Lewy, placche senili e grovigli neuro fibrillari. Pare che il meccanismo sia una ridotta attività
colinergica per riduzione dei neurotrasmettitori monoaminergici. Particolare coinvolgimento della sub stantia
nigra.
Clinica: bradi psichismo, compromissione delle funzioni esecutive, diminuita attenzione e concentrazione,
deterioramento delle capacità di critica e giudizio. Vi sono alterazioni della memoria, ma diverse dall’AD. Rari afasia,
aprassia e agnosia. Deficit visuo-spaziali. Alterazioni motorie: prevalgono bradicinesia e rigidità, poi anche
tremore. Con il tempo si sviluppano disturbi comportamentali e depressione, comuni anche le allucinazioni (in parte
anche per la terapia).
Terapia: L-Dopa, che aumenta la concentrazione di dopamina sinaptica. Pare che la rivastigmina migliori in parte
la cognitività e l’attenzione anche in questi pazienti.
Demenza vascolare: gruppo di demenze aventi come patogenesi comune un danno cerebrale a genesi vascolare su
base ischemica o emorragica. L’età avanzata e l’anamnesi per eventi cardiovascolari o elevato rischio cardiovascolare
sono indicative. La sopravvivenza è inferiore all’AD a causa dell’alto rischio eventi cardiovascolari in questi pazienti.
Fattori di rischio: età avanzata, rischio cardiovascolare (aterosclerosi, diabete, ipertensione, etc.).
Fattori genetici: pare che anche in questo caso l’allele 4 dell’APOE sia predisponente.
Classificazione: in base alle lesioni e alla loro localizzazione (radiologica) si distinguono:
Demenza multi-infartuale: infarti soprattutto corticali, ma non solo, derivati di solito dall’occlusione
trombo embolica delle principali arterie cerebrali.
Demenza da singoli infarti strategici: in determinate arre critiche, danni specifici.
Demenza da patologia dei piccoli vasi: coinvolta la sostanza bianca sottocorticale, in cui visone lacune o
aree microinfartuali.
Altre forme: emorragiche, da ipoperfusione, su base vasculitica (immunitarie, neoplasie).
È dibattuta l’esistenza di una demenza mista forma che comprende coesistenza di alterazioni cerebrali di tipo
degenerativo e vascolare. Il danno vascolare slatentizza il danno degenerativo.
Clinica: tipico è l’interessamento a chiazze delle funzioni cognitive, con grave compromissione di alcune e
sostanziale integrità di altre. La diversa patogenesi porta diversa clinica. Distinguiamo:
Forme a prevalente interessamento corticale: sono forme acute come la demenza multi-infartuale e
quella da singoli infarti strategici. Hanno decorso tipicamente a “gradini”, con periodi di stabilità seguiti
da improvvisi peggioramenti. Sono presenti disturbi differenti a seconda delle aree coinvolte (deficit visuo-
spaziali, alterazioni motorie, incontinenza, disartria, amnesia, aprassia, etc.) Elevata frequenza di disturbi
depressivi e crisi epilettiche.
Forme a prevalente interessamento sottocorticale: subacute e con andamento cronico-progressivo
come la demenza da patologia dei piccoli vasi. Sono presenti disturbi di deambulazione, bradicinesia,
rigidità extrapiramidale, apatia, etc.
Diagnosi: per la diagnosi abbiamo bisogno di: presenza di demenza (definizione DSM IV), cerebrovasculopatia
documentata da segni neurologici focali o reperti neuro radiologici, stretta relazione temporale tra evento
cerebro-vascolare ed insorgenza dei sintomi.
DD con AD: storia di ictus, esordio brusco, andamento a gradini, sintomi neurologici focali.
Per la diagnosi si esegue VMD, esame obiettivo generale e neurologico, indagini ematochimiche e strumentali,
tecniche di neuroimaging (TC, RM, SPECT).
Idrocefalo normoteso: patologia rara, da alterato riassorbimento de liquor, con conseguente aumento della
pressione e progressiva dilatazione delle cavità ventricolari. Clinica: atassia, incontinenza sfinterica e deterioramento
mentale (memoria, andamento fluttuante).
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Insufficienza cardiaca: il professore preferisce si parli di insufficienza cardiaca cronica che poi può acutizzarsi e non
di scompenso cardiaco. L’IC è una condizione la cui incidenza aumenta con l’età a causa del fatto che la cardiopatia
ischemica e l’ipertensione arteriosa sono tipiche patologie età-correlate. L’incidenza è maggiore nei maschi, ma la
prevalenza nelle donne (sopravvivono di più).
È la causa principale di ospedalizzazione nell’anziano.
Eziologia: negli anziani è tipica la causa multifattoriale. Le più frequenti sono ipertensione arteriosa e cardiopatia
ischemica, ma anche valvulopatie (come stenosi e insufficienza aortica) e la sostituzione valvolare aortica. Fattori
precipitanti: il principale è la scarsa aderenza alla terapia, ad esempio: autoriduzione dei diuretici (per incontinenza
urinaria), non aderenza alla dieta, abuso di analgesici (FANS, che causano ritenzione idrosalina) o di beta-bloccanti e
calcio-antagonisti. L’insorgenza di aritmie, l’ischemia, l’ipertensione arteriosa non controllata sono altri fattori. Altri
sono anemie, patologie tiroidee, infezioni e sepsi.
Fisiopatologia: l’insufficienza può insorgere acutamente o instaurarsi in maniera subdola. Oltre alla maggiore
incidenza di cardiopatia ischemica (e la sopravvivenza ad eventi ischemici) e di ipertensione arteriosa, sono
importanti le modificazioni del cuore senile oltre che il maggiore carico del ventricolo sinistro a causa della
diminuita elasticità di aorta e grandi vasi.
Solitamente si distinguono due forme di insufficienza, entrambe con riduzione della portata:
Disfunzione sistolica: riduzione della contrattilità del ventricolo sinistro.
Disfunzione diastolica: riduzione della distensibilità delle pareti.
La distinzione non è netta e queste condizioni in genere coesistono nello stesso paziente.
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La principale conseguenza della ridotta portata è l’ipoperfusione renale la quale causa un incremento dell’azione
del sistema renina-angiotensina-aldosterone associata ad un incremento delle catecolamine. Il risultato è
una potente vasocostrizione e aumento del riassorbimento renale di sodio che nel breve periodo fungono da
compenso (maggiore volemia), mantenendo la perfusione tissutale, ma nel lungo periodo causano ulteriore
danno cardiaco portando allo scompenso. Si ha così fibrosi cardiaca, ipertrofia miociti, maggior consumo di
ossigeno, aritmie.
Clinica: la prima caratteristica dell’insufficienza cardiaca dell’anziano è l’atipia di presentazione, a causa della
frequente comorbilità somatica e psichica. Possono non essere presenti i segni e sintomi tipici del paziente
tradizionale, ed essere invece presenti manifestazioni atipiche. Una delle cause principali è la frequente coesistenza
di altre patologie (BPCO, anemia, obesità, cifoscoliosi) che nascondono i sintomi dell’insufficienza cardiaca oltre al
fatto che l’astenia e l’affaticabilità vengono spesso confuse con condizioni normali della vecchiaia.
Mentre in passato si faceva soprattutto distinzione tra scompenso destro e sinistro, oggi si preferisce distinguere
scompenso diastolico e sistolico. Da ricordare che possono coesistere:
Sistolico: il ventricolo è dilatato, con frazione di eiezione ridotta.
Paziente tipico: adulto, uomo, spesso con pregressa cardiopatia ischemica o insufficienza valvolare, dispnea,
normotensione.
Diastolico: ventricolo normale o piccolo, con pareti ispessite e riempimento limitato. Paziente tipico:
anziano, donna con ipertensione o stenosi aortica, aritmie (fibrillazione atriale), ipertesa (scompenso
diastolico).
Pare che la prevalenza dello scompenso diastolico aumenti con l’età fino. Comune nell’anziano.
È sul paziente tipico che si basano i Criteri di Boston, molto utilizzati per la diagnosi di scompenso cardiaco. Il
paziente ottiene un punteggio da 0 a 12 (>12 è scompenso certo). In base a:
1) Anamnesi: dispnea: no (0), nel camminare (2), parossistica notturna (3), a riposo (4).
2) Esame obiettivo: frequenza cardiaca: 90-110 (1) >110 (2); rantoli; pressione venosa giugulare, sibili (3); terzo
tono (3)
3) Rx torace: edema polmonare (4); versamento pleurico (3).
Noi dobbiamo però distinguere tra manifestazioni tipiche ed atipiche dell’insufficienza:
Manifestazioni tipiche: Sintomi: dispnea (da sforzo, parossistica notturna), astenia, intolleranza allo
sforzo. Segni: tosse notturna, edema polmonare acuto, rantoli polmonari, versamento pleurico, terzo e
quarto tono (ritmo di galoppo), turgore giugulare e reflusso epatogiugulare (tipici dello scompenso destro),
epatomegalia, edemi declivi.
Manifestazioni atipiche, frequenti nell’anziano:
o Sistemiche: malessere, stanchezza, astenia e facile faticabilità, riduzione attività fisica, perdita
dell’autonomia.
o Neurologiche: delirium, irritabilità, ansia, depressione, disturbi del sonno.
o Gastroenteriche: anoressia, disturbi addominali, nausea, diarrea.
o Nicturia con oliguria diurna e respiro di Cheynes-Stokes.
Segni e sintomi comuni di una riacutizzazione di un’insufficienza cardiaca cronica in un paziente anziano
sono pertanto, secondo Abete: declino cognitivo, depressione, delirium, nausea, respiro di Cheynes-Stokes. Il
sintomo dispnea diviene sempre meno comune con l’età!!!
Fattori precipitanti: nel paziente tradizionale sono soprattutto cardiaci, mentre nell’anziano sono prevalentemente
extracardiaci (infezioni vie respiratorie e urinarie) e tachiaritmie.
Diagnosi: molto importante la clinica e l’anamnesi. Gli esami strumentali servono soprattutto per confermare la
presenza di cardiopatia e per definirla meglio:
Anamnesi e VMD: BADL e IADL (in alternativa Barthel Index), FIM (fuctional indipendence measure), CIRS,
MMSE, GDS, Social support score, PASE, Tinetti score.
Si valuta l’attività funzionale, deficit cognitivi, vita sociale, problemi clinici. Importante è anche la
valutazione del grado di compliance (la terapia la do al paziente o al caregiver???).
Esami da effettuare: oltre naturalmente all’esame obiettivo:
o ECG: molte informazioni. Utilissimo se dice che il paziente ha slargamento del QRS.
o Rx Torace: è tra i criteri di Boston. Valutare edema polmonare e versamento.
o Ecocardiogramma: tipica dell’anziano è la disfunzione diastolica (no riduzione FE).
o Esami scintigrafici
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Terapia: gli obiettivi della terapia nell’anziano sono di migliorare la prognosi e soprattutto la qualità della vita.
Richiede sempre la valutazione multidisciplinare. Un approccio multidisciplinare migliora la qualità della vita e la
sopravvivenza. Terapia classica (libro):
Primo livello: correzione, se possibile, dei fattori eziologici o precipitanti l’insufficienza cardiaca: ipertensione,
anemia, tireotossicosi, terapia inappropriata con FANS.
Secondo livello: Farmaci. In geriatria vi è molta discrepanza tra le indicazioni dell’EBM e la pratica clinica
(esclusione dei soggetti anziani dagli studi):
o ACE-inibitori: promuovono la vasodilatazione e la diminuzione di precarico e post-carico.
Sono la prima scelta terapeutica. Anche in soggetti >80 anni. Meno effetto con FANS! I sartanici
(bloccanti dei recettori per l’angiotensina II) sono una buona alternativa se il paziente non tollera
gli ACE-I o anche in aggiunta ad essi.
o Beta-bloccanti: riducono lo sforzo cardiaco. Aumento qualità di vita e riduzione della mortalità.
Anche nei >80 anni.
o Diuretici: (d’ansa, tiazidici, metolazone) non modificano l’evoluzione della malattia, ma riducendo
la volemia migliorano il quadro clinico e la tolleranza allo sforzo. L’anziano risponde meno ai
tiazidici. Da utilizzare con cautela perché possono ridurre la FE e vi è rischio di squilibri idro-elettrici
e ipotensione ortostatica.
Diuretici (spironolattone): miglioramento quadro clinico e meno ospedalizzazione.
o Calcio-antagonisti e digossina: attualmente non raccomandati.
Terzo livello:
Considerazioni di Abete sulla terapia: bisogna analizzare le peculiarità dell’anziano:
Comorbilità non cardiache: è comune la terapia con una serie di farmaci che non sono cardioattivi, ma
servono a curare patologie concomitanti extracardiache comuni nell’anziano (broncodilatatori, antibiotici,
psicofarmaci, antidolorifici). Una patologia comune è la diverticolite che causa perforazione, quindi
emorragia ed anemia, fattore precipitante di una quadro di ICC. Sarà necessaria prima un’emotrasfusione.
Lo stesso vale per un paziente con tireotossicosi.
Differenze tra pratica clinica e trials: nei trial sono spesso esclusi pazienti con comorbilità e disabilità.
Nella pratica clinica sono invece i più comuni. Gli studi di intervento sono quelli che in genere escludono
i pazienti anziani e fragili (si dà un farmaco ad un gruppo e placebo ad un altro). Molto utili per la geriatria
sono invece gli studi osservazionali nei quali invece sono inclusi i pazienti che normalmente incontriamo
nella pratica clinica.
Insufficienza cardiaca diastolica: alcuni autori dicono che la mortalità nella insufficienza con FE conservata
è bassa e quasi nulla. Abete afferma che la mortalità è soprattutto per causa extracardiaca. Un’infezione
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Ictus: è una sindrome polieziologica con deficit focale neurologico a esordio improvviso di origine vascolare. La
causa può essere ischemica (80%) o un’emorragia spontanea intracerebrale (in caso di ipertensione severa o in
pazienti che assumono anticoagulanti). L’ischemia può avere origine da arterie cerebrali extra-craniche, in genere
la carotide interna (soprattutto a livello della biforcazione carotidea) oppure da arterie cerebrali intracraniche
(circolo di Willis e ramificazioni).
Epidemiologia: molto più comune in età avanzata, è frequente causa di mortalità e disabilità.
Eziologia dell’infarto ischemico: la causa di gran lunga più comune è l’aterosclerosi (70%), in particolar modo
della carotide interna. L’ipertensione arteriosa è infatti il principale fattore di rischio (il 75% di tutti i pazienti con
ictus è iperteso). Un’altra causa può essere un’embolia arteriosa di origine cardiaca o aterosclerotica da arterie
periferiche.
Patogenesi: stenosi di piccole arterie cerebrali possono causare infarti lacunari o encefalopatia subcorticale
arteriosclerotica (in genere disturbi lievi e reversibili). La stenosi della carotide interna è la prima causa. Stenosi con
restringimento del lume minore del 75% sono in genere asintomatiche. In ogni caso la gravità del danno dipende
molto dalla presenza di anastomosi e dall’estensione e sede dell’area cerebrale colpita dall’ischemia.
Clinica: si distinguono quattro stadi di patologia occlusiva della carotide interna:
1. Stadio I: stenosi asintomatica (se <75% generalmente lo è).
2. Stadio II: TIA: attacco ischemico transitorio. Disturbi visivi, debolezza agli arti e disturbi della parola che
regrediscono in genere in 10 minuti o comunque entro 24 ore.
3. Stadio III: RIND: deficit neurologico ischemico reversibile: la regressione del deficit neurologico richiede un
periodo >24 ore.
4. Stadio IV: infarto cerebrale completo: regressione parziale o assente del deficit neurologico. Disturbi della
coscienza, emiparesi, disturbi della parola e sensoriali.
In caso di occlusione della carotide interna: dipende molto dalle anastomosi, si ha emiparesi sensitivo-motoria
contro laterale, amaurosis fugax, possibili disturbi di coscienza e del linguaggio, eventuale deviazione della
testa dal lato colpito.
In caso di occlusione di tipo vertebro-basilare: vertigine, nistagmo, vomito, disturbi vista.
In caso di emorragia sub aracnoidea: rigidità nucale (!!!), possibile paralisi dei nervi cranici, se grave anche disturbi
della coscienza, emiparesi, fino al coma profondo.
Diagnosi: prima di tutto anamnesi e clinica tipiche. Si valutano paresi facciale, paresi brachiale, disturbi del
linguaggio. Poi anche disturbi visivi (riduzione campo visivo), paresi dela gamba, emipoestesia. Poi diagnostica
per immagini: TC cranio (spesso negativa prima di 12 ore) che differenzia la causa ischemica (ipodensità) da
quella emorragica (iperdensità). L’RMN da risultati più precocemente e distingue il tessuto ischemico da quello
perinfartuale. Si esegue anche cografia dei tronchi sovraortici, diagnostica cardiaca (ECG per valutare fibrillazione
atriale, ecocardio, etc.).
Terapia: si ricovera il paziente in una Stroke unit. Misure generali (controllo funzioni vitali, ossigeno, inizio precoce
di trattamento con antiaggregante piastrinico come ASA, ma solo dopo conferma che non si tratta di un evento
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emorragico). La pressione viene mantenuta a livelli un po’ più alti della norma. Successivamente Rivascolarizzazione:
la terapia trombo litica con alteplase ev. è valida solo entro 3 ore dai sintomi. Riabilitazione: terapia riabilitativa del
paziente.
Prognosi: l’80% sopravvive, ma 2/3 hanno importanti lesioni permanenti. 20% recidiva.
Prevenzione: utilizzo di antiaggreganti piastrinici (ASA o clopidogrel) dopo evento CV (TIA, infarto). Se si individua
una stenosi asintomatica >80% della carotide interna o sintomatica >50% si può effettuare PTA (angioplastica
transluminale percutanea, meno invasiva) della carotide o TEA (chirurgica, gold standard, tromboendoarterectomia
e angioplastica).
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Osteoporosi: malattia sistemica dello scheletro caratterizzata da ridotta massa ossea e da alterazioni qualitative
della struttura ossea che si accompagnano ad aumentato rischio di frattura.
Si distinguono forme primitive, ossia l’osteoporosi senile e menopausale, e secondarie: da malattie o farmaci.
Eziopatogenesi: Una volta raggiunto il picco di massa ossea (in dipendenza da fattori genetici, attività fisica, ormoni,
dieta), è fisiologica una perdita di massa ossea dello 0,7%/anno. L’osteoporosi accelera questo meccanismo. In età
senile, essendo l’osso in equilibrio tra azione di osteoclasti e osteoblasti abbiamo:
Aumento osteoclastogenesi: soprattutto riduzione degli estrogeni (infatti forte caduta con la menopausa).
Poi anche down regulation di vari assi neuroendocrini, riduzione della produzione di vitamina D da parte
del rene e aumento del PTH. In più riduzione attività motoria, introito di alimenti con calcio, uso di alcol
e fumo.
Riduzione osteoblastogenesi: per riduzione fattori endocrini e cellule staminali.
In generale contribuiscono fattori genetici e acquisiti (alcolici, fumo, magrezza, inadeguato introito di calcio e
riduzione dell’attività fisica e del relativo stimolo della massa ossea) e fattori endocrini come la diminuzione di
estrogeni, di GH e di IGF1 e l’aumento del PTH che spingono tutti al riassorbimento osseo. In più vi è riduzione dei
livelli di vitamina D. Alcune patologie (ipertiroidismo o iperparatiroidismo) e farmaci (glucocorticoidi) possono
influire negativamente.
Si ha porosità del tessuto osseo con spongiosizzazione della parte compatta. Si differenzia dall’osteomalacia
perché la mineralizzazione nell’osso superstite è normale.
Clinica: è asintomatica fino a quando non causa fratture ossee. Sono possibili fratture vertebrali, che se multiple
causano dolore, perdita di altezza e deformità come cifoscoliosi e lordosi. Altre fratture come la rottura del femore e
del bacino hanno gravi complicanze (specie in anziani, specie se richiedono ricovero). Le fratture possono essere del
tutto spontanee o legate ad eventi traumatici di scarsa entità.
Diagnosi: si valuta la diminuzione della BMD (densità minerale ossea). Non si vede bene all’Rx e anche il laboratorio
(ricerca di ALP, fosforo, etc.) non è utile. All’Rx può essere visibile nel momento in cui si sia perso il 30-40% della
massa. La mineralometria (o densitometria) ossea computerizzata (MOC) è la tecnica di elezione. Nelle donne
si misura spesso a livello lombare, poi a causa di alterazioni, in tarda età si misura a livello femorale. Il risultato si
esprime in due modi:
T-score: deviazione della densità minerale ossea del paziente con quella media della popolazione dello
stesso sesso al picco di massa ossea (circa a 30 anni). Si considera normale tra +2,5 e -1. Se inferiore a -1 si
parla di osteoporosi.
Z-score: deviazione rispetto alla media della popolazione di pari sesso ed età.
Può essere utile la TC quantitativa. Esami biochimici possono escludere cause di osteoporosi secondaria. Si
eseguono poi esami radiografici per valutare eventuali fratture vertebrali asintomatiche.
Terapia: lo scopo principale è quello di ridurre il rischio di fratture e ciò include anche la prevenzione delle cadute.
In caso di osteoporosi secondaria occorre trattare la patologia responsabile. La prima forma di terapia la correzione
delle abitudini di vita: è necessario smettere di fumare, correggere eventuale abuso di alcol, svolgere attività fisica e
migliorare l’apporto di calcio nella dieta. È possibile somministrare calcio e vitamina D.
I principali farmaci utilizzati sono i bifosfonati (in grado di ridurre l’attività degli osteoclasti).
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I Gazzellini
- Interna -
- Immuno -
A. Fusco
INDICE
Connettiviti ................................................. 6
Vasculiti ...................................................... 14
Aggiunte .................................................... 18
Artrite reumatoide
L’artrite reumatoide (AR) è una malattia infiammatoria cronica che colpisce prevalentemente le
articolazioni diartrodiali, anche se può coinvolgere ogni distretto dell’organismo. A livello
articolare è un processo infiammatorio di carattere erosivo che può portare all’anchilosi.
Epidemiologia: non vi sono predilezioni di clima o di razza. La prevalenza è compresa tra lo 0,3 e
il 2% (1% in Europa) con picchi del 5% in alcuni indiani d’America. Incidenza: 25-30/100000.
Le femmine sono più colpite dei maschi con rapporto 3 o 4/1. L’esordio è più comune tra i 40 e i 60
anni. Negli ultimi anni pare ci sia una riduzione della incidenza e della gravità della malattia.
Fattori di rischio: sesso femminile, positività al fattore reumatoide (FR), anticorpo anti-citrullina,
familiarità. Gli individui atopici sembrano avere un rischio minore.
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di citochine, soprattutto IL-1 e TNF alpha e poi altre). Avvengono contemporaneamente
fenomeni di natura infiammatoria (flogosi acuta) e di differenziazione e proliferazione
sinoviale (tipici di una fase cronica).
Anatomia patologica: si comincia a formare il panno sinoviale per iperplasia dei
sinoviociti A e B e formazione dei villi sinoviali (con crescita ancora non polarizzata e
senza invasione della cartilagine articolare). Reazione vascolare: vasodilatazione e
aumento della permeabilità sviluppo di edema della membrana sinoviale e accumulo di
fibrina nel liquido sinoviale. Reazione cellulare: infiltrazione dei linfociti e PMN nella
sinovia (ragociti). Inizia la risposta degli osteoclasti dell’osso sub condrale.
Clinica: IL-1 e TNF in eccesso portano malessere e astenia. È presente rigidità articolare e
mattutina, tumefazione articolare e dolorabilità.
3. Infiammazione acuta conclamata: accentuazione dello stadio 2. Sintomi dello stadio
precedente, fenomeni più gravi. Compare anche dolore articolare, tumefazione e calore in
loco, limitazione funzionale (a causa dell’accumulo di liquido e proliferazione dei tessuti
molli). Radiologia: edema dei tessuti molli ispessimento delle capsule articolari.
4. Organizzazione del processo proliferativo sinoviale: si forma il vero e proprio panno
sinoviale. I villi sinoviali si fanno più grandi. Il panno è un tessuto di granulazione
deostruente che si accresce in senso centripeto e invade (a partire dalle zone marginali) la
cartilagine ialina articolare, tendini e osso subcondrale.
Clinica: ulteriore accentuazione dei segni di flogosi, maggiore limitazione funzionale.
Radiologia: reperti come nello stadio 3 (edema dei tessuti molli), riduzione della rima
articolare asimmetrica per erosione a cairco della cartilagine, osteoporosi periarticolare.
5. Invasione e distruzione della cartilagine e dell’osso subcondrale: l’invasione coinvolge
tutta la cartilagine e le strutture periarticolari. Il panno erode i 2 capi ossei, altera tutte le
strutture e si forma un ponte tra le due ossa con una deformità permanente.
Clinica: stessi sintomi dello stadio 4 ma ulteriore perdita funzionale (limitazione dei
movimenti attivi e passivi) e deformità. Possono comparire sintomi extrarticolari.
Radiologia: rima articolare ancora più ridotta, erosioni, deformità.
Clinica: dominano le manifestazioni articolari e par articolari. Le extrarticolari sono più rare, ma
possono essere gravi e condizionare la prognosi dei pazienti.
Esordio: l’esordio è molto variabile, in genere graduale e insidioso e soprattutto a livello
articolare. Possono essere coinvolte più articolazioni con distribuzione simmetrica (esordio
poliarticolare) o una o poche articolazioni (più raro, esordio mono o oligoarticolare). Nei casi a
esordio graduale c’è rigidità mattutina di lunga durata e con il tempo franca artrite. L’esordio
acuto è più raro, con segni di flogosi sin dall’inizio. In alcuni pazienti ci possono essere anche
sintomi sistemici (febbre, rash, astenia, perdita di peso, mialgie) ma molto raramente le
manifestazioni sistemiche precedono quelle articolari. Modalità meno comuni: esordio
palindromico: episodi di dolore e tumefazione di una o due articolazioni che durano 2-3 giorni e si
risolvono senza reliquati, in genere a mani e polsi. Polimialgia reumatica: frequente nell’AR ad
esordio senile, del tutto simile alla normale mialgia reumatica. In genere però compare artrite.
Nel corso della patologia distinguiamo manifestazioni articolari ed extrarticolari:
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vento” per lussazione volare delle IFP; dita “ad asola” con iperflessione IFP e
iperestensione IFD; dita “a collo di cigno” con iperestensione IFP e iperflessione IFD;
pollice a Z con iperflezzione MCF e iperestensione IF. Il risultato può essere una mano
deformata a gobba di cammello o di dromedario.
• Polsi: può avvenire sublussazione dell’estremità distale dell’ulna, il cosiddetto caput ulnae.
A livello dell’arto superiore colpisce con frequenza anche gomiti e spalle dando sempre
dolorabilità e limitazione funzionale.
• Piedi: normalmente coinvolge prima l’avampiede e poi il retro piede manifestandosi
inizialmente con una meta tarsalgia e poi con artrite. Può causare deformità come:
sublussazione metatarsale plantare + valgismo dell’alluce piede triangolare; dita “a
martello” con iperestensione MTF e iperflessione IF. La caviglia è coinvolta più raramente.
• Ginocchio: oltre a notarsi il suo coinvolgimento per il ballottamento rotuleo è possibile la
formazione di cisti sinoviali nel cavo popliteo (cisti di Baker) che possono aumentare di
volume, causare limitazione funzionale, comprimere vasi venosi e rompersi.
• Coxofemorale: tipico dolore inguinale irradiato al ginocchio o dolore alla natica.
• Colonna cervicale: il quadro più temibile è la sinovite della articolazione atlodontoidea
che può causare erosione e sublussazione del dente dell’epistrofeo che può causare
compressione midollare. L’interessamento sotto l’atlante è raro.
• Altre: temporomandibolari, cricoaritenoidee, manubrio sternale, etc. Coinvolgimento raro.
Manifestazioni pararticolari: la malattia può colpire anche tendini, guaine e borse sierose. Le
tenosinoviti sono molto frequenti e possono anche essere il primo sintomo. Si presentano con
dolore al eseguire alcuni movimenti, possibile una tumefazione lungo i tendini colpiti. Nelle mani
colpisce gli estensori dando il tipico quadro del “dito a scatto” e una possibile irritazione del nervo
mediano (sindrome del tunnel carpale). Possibili noduli reumatoidi a livello delle guaine tendinee.
Le borsiti sono solitamente localizzate a gomito, spalle e articolazione coxofemorale.
Manifestazioni extrarticolari: possono essere distinte in quattro gruppi: disordini che derivano
dalla localizzazione del processo reumatoide in sedi diversi dalle articolazioni, complicanze della
patologia (amiloidosi), sindromi associate (alveolite) e complicanze della terapia.
• Cute: le lesioni più comuni sono i noduli reumatoidi. Sono localizzati per lo più a livello
sottocutaneo nelle zone più esposte a pressione (gomiti, etc.) e non si ulcerano. La vasculite
cutanea è rara e si manifesta con rash, porpora e ulcere cutanee.
• Muscoli: molto comune la debolezza muscolare che può riguardare i muscoli par articolari
o essere generalizzata. Anche miopatia da cortisone. Rara una vera e propria miosite.
• Sistema nervoso: riguardano il sistema nervoso periferico. Abbiamo sindromi da
intrappolamento (fasci nervosi pressati da infiammazione, edema, etc.) come la sindrome
del tunnel carpale o la mielopatia cervicale. Neuropatia sensitiva distale: lieve, per la
vasculite dei vasa nervorum. La patologia ha importanti risvolti psicologici (depressione).
• Osso: la più frequente è la osteoporosi ai capi iuxtarticolari o diffusa (fratture patologiche).
• Cuore: raro l’impegno cardiaco (il coinvolgimento anatomo-patologico invece no). La
pericardite è molto raramente sintomatica. Più rare le lesioni endocardiche e miocardiche
(noduli reumatoidi a livello valvolare). Possibile coinvolgimento del sistema di conduzione
a causa di noduli o di vasculite coronarica che può causare angina o anche infarto.
• Polmoni: la plaurite è rara come la pericardite. Nel parenchima può esserci pneumopatia
nodulare in genere asintomatica. La sindrome di Caplan è una forma con noduli più
grandi e multipli che vanno incontro ad escavazione (nei minatori e negli esposti a silice o
asbesto). Possibile la alveolite fibrosante (fibrosi diffusa) e l’arterite polmonare.
• Rene: rare le alterazioni da amiloidosi e vasculite reumatoide, più frequente il danno
iatrogeno da FANS (necrosi papillare) o ciclosporina A (alterazione arteriole renali).
• Apparato gastrointestinale: danni iatrogeni o da vasculite o da amiloidosi. Possibile
l’associazione con xerostomia (Sjögren secondaria associata all’AR).
• Occhio: xeroftalmia e cheratocongiuntivite sono le più frequenti. Episclerite o anche
sclerite (più profonda) ossia infiammazioni della sclera (dolore, fotofobia, etc.).
• Milza e linfonodi: sono abbastanza comuni una splenomegalia e una linfadenopatia.
3
francamente erosivo, più comune nel sesso maschile, rapidamente evolutivo, vasculite diffusa, più
manifestazioni extrarticolari, FR ad alto titolo; morbo di Still dell’adulto: quadro raro con febbre
elevata, rash cutaneo maculare, linfoadonmegalia e splenomegalia però con leucocitosi. La
patologia può risolveri ma anche ripresentarsi o evolvere in modo cronico.
Diagnosi: non è molto difficile nelle fasi avanzate, di più in fase precoce. Esistono dei criteri
classificativi ARA/ACR, utili anche per la diagnosi: sono necessari almeno 4 criteri tra:
• Rigidità articolare mattutina di almeno 1 ora (per almeno 6 settimane).
• Tumefazione (atrite) di 3 o più articolazioni (per almeno 6 settimane).
• Tumefazione (atrite) delle IFP, MCF, polsi (per almeno 6 settimane).
• Tumefazione (atrite) simmetrica (per almeno 6 settimane).
• Noduli reumatoidi
• Positività del FR
• Erosioni e/o osteoporosi articolare a mani o polsi alla radiografia.
Esami di laboratorio e strumentali:
• Analisi del sangue: è riscontrabile una moderata anemia normocitica e una riduzione
della sideremia (nelle malattie croniche vi è riduzione della vita media dei globuli rossi),
più tardi può esserci anemia sideropenica da FANS. Globuli bianchi normali, in genere,
leucocitosi nel morbo di Still. Indici di flogosi: VES, PCR, fibrinogeno, alpha2-globuline,
sono tutti aumentati. Spesso ipergammaglobulinemia (IgG in fase precoce, IgM avanzata).
C’è anche aumento degli immunocomplessi circolanti (ICC) e diminuzione di C3 e C4.
• Autoanticorpi: nel 70-75% dei pazienti si riscontra il fattore reumatoide, FR. Questo è un
autoanticorpo IgM diretto contro il Fc delle IgG umane, prodotto dalle plasmacellule. Viene
forse prodotto in soggetti con ridotti enzimi di glicosilazione delle proteine, e gli Fc poco
glicosilati sono riconosciuti come estranei. Presente pure nel Sjögren, crioglobulinemia
mista, neoplasie maligne, etc. Pertanto la specificità non è altissima. In genere nei pazienti
affetti da AR maggiore è FR maggiore è l’impegno viscerale, inoltre l’FR può essere anche
di classe IgG o anche IgA.
Per evidenziare l’FR si usa: metodo tradizionale (reazione di Waaler-Rose) molto specifico
(agglutinazione dei GR di pecora con il siero del paziente, se positivo); latex test meno
specifico (invece dei GR ci sono particelle in lattice), test con IgG umane aggregate
(l’antigene sono IgG aggregate che in presenza di Fr danno torbidità misurabile), tecniche
immunoenzimatiche, più sensibili ma più costose (a differenza degli altri test trovano pure
FR di tipo IgG o IgA). La presenza o meno dell’FR distingue l’AR sieropositiva dalla
sieronegativa. La sieropositiva si associa molto a HLA-DR4 o DR1.
Altri autoanticorpi sono gli anti-CCP con sensibilità simile all’FR e specificità maggiore.
Sembrano apparire in fasi molto precoci (anche dieci anni prima dei sintomi) e se presenti
con l’FR il grado di predittività aumenta. Nel 25% anche positività ad anticorpi anti-nucleo.
• Esame del liquido sinoviale: nei pazienti con AR è torbido e poco viscoso, più proteine e
meno glucosio. Aumento dei leucociti, prevalentemente neutrofili. Possibile trovare i
ragociti, polimorfo nucleati con inclusioni citoplasmatiche (fagocitosi di
immunocomplessi), anche se non sono un reperto specifico (anche artriti settiche).
• Radiologia: nelle fasi precoci solo è dimostrabile la tumefazione dei tessuti molli. Le lesioni
più specifiche sono le erosioni, che compaiono prima in nelle bare areas (aree nude) poi
alterano il profilo dei capi articolari. Nello stadio avanzato osteoporosi diffusa e marcata.
Meglio la tecnica a bassa diffusione che l’Rx semplice. Si possono anche utilizzare RM o
TC, più costose e precise. L’ecografia per le lesioni pararticolari, soprattutto cisti poplitee.
Diagnosi differenziale: soprattutto in fase iniziale bisogna distinguere l’AR dalle artriti
sieronegativie e spondilite anchilosante (asimmetriche, coinvolgimento sacroiliache,
manifestazioni extrarticolari caratteristiche di ciascuna), dalle connettiviti sistemiche (clinica e
autoanticorpi specifici), dalle artriti microcristalline (studio del liquido sinoviale), dalla
osteoartrosi delle mani (no alterazioni umorali, coinvolgimento più di IFD e IFP).
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La patologia non è considerata fatale però riduce la vita media di 7 anni negli uomini e 3 anni nelle
donne. Nelle forme con alterazioni articolari severe e manifestazioni extrarticolari la
sopravvivenza può essere del 45-55% a 5 anni (morte per complicanze). L’utilizzo di corticoidi e
immunosoppressori aumenta il rischio infettivo.
Follow-up: si utilizzano: Diseas Activity Store (DAS28) che calcola vari valori. Criteri ARA di
remissione: morning stiffness <15 minuti, no astenia né segni di sinoviti, VES <30 (uomini) o >20
(donne), no segni di progressione del danno radiologico. Classi Steinbrater: indicano la capacità
funzionale: I: nessuna limitazione II: attività normale però con dolore o irritazione III: limitazione
per le normali attività IV: paziente impossibilitato nelle normali attività e cura di sé. Nel follow-up
si valutano anche il danno articolare (tecniche di imaging), valutazione farmaci (analisi).
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Connettiviti
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o Lupus eritematoso cutaneo subacuto: si presenta con lesioni papulosquamose
(simili a psoriasi) o in forma anulare-policiclica. Queste lesioni non danno atrofia e
cicatrici come il LED, però sono più associate a sintomi sistemici e hanno
fotosensibilità spiccata. La tendenza a evolvere in LES è del 25%.
o Lupus eritematoso cutaneo acuto: tipico segno di patologia sistemica. Eritema a
farfalla, è un eritema fotosensibile al volto o orecchie, mento, collo, braccia, etc.
o LE tumido: placche edematose, non desquamanti. Quasi non evolve in LES.
o LE profondo o panniculite lupica: impegno di derma e ipoderma, noduli profondi,
che esitano in sclerosi e cicatrice depressa. Evoluzione in LES del 50%.
• Mucose: simili alle lesioni cutanee. Il LES può colpire congiuntiva, labbra, cavità orale, etc.
• Manifestazioni articolari e muscolo scheletriche: le manifestazioni più frequenti e costanti
e sono l’esordio della patologia nel 70% dei casi. Artralgia e artrite in genere poliarticolare
che può somigliare al reumatismo articolare acuto (migrante e con resitutio ad integrum), o
all’AR (simmetrica e con deformità ossia Sdr. di Jaccoud). Frequente la mialgia.
• Cuore: il quadro più frequente è la pericardite (50%) che si presenta con dolore esacerbato
dai movimenti e respiro, possibili segni di versamento, raro il tamponamento. Esiste la
possibilità di una miocardite (forse secondaria a vasculite dei rami coronarici). Questo può
comportare alterazioni elettrocardiografiche (sopraslivellamento ST da pericardite),
funzionali (disfunzione miocardica da miocardite), maggiore frequenza di cardiopatia
ischemica (favorita da terapia steroidea, ipertensione, alterazioni renali, aumentata
coagulazione da anticorpi antifosfolipidi). Propria del LES è la endocardite verrucosa
atipica che in genere non causa alterazioni funzionali però può essere individuata
all’ecocardiogramma (forse dovuta agli anticorpi antifosfolipidi). Fenomeni vasculitici e
trombotici che riguardano i vasi.
• Polmone e pleura: pleurite con o senza versamento quasi nella metà dei casi. Le polmoniti
possono essere di natura infettiva, ma anche polmonite lupica acuta (rara), polmonite
interstiziale cronica (tipica anche di altre connettiviti). Può seguire o sovrapporsi una
fibrosi polmonare con quadro di tipo restrittivo. Può esserci ipertensione polmonare e
anche embolia polmonare (quadro acuto).
• Manifestazioni gastroenteriche, epatiche e pancreatiche: la gastrite, l’ulcera peptica, la
enterite o colite sono nella maggior parte dovute ai farmaci e solo raramente a una causa
vascolare. Può esserci disfagia a danno dell’esofago. La pancreatite è rara, ma grave.
L’interessamento epatico è più frequente, molto comune l’aumento delle transaminasi, che
può essere dovuto ad una epatite lupica o epatopatia iatrogena (da farmaci). Rara l’ascite,
in genere associata ad una sindrome nefrosica, rara anche la peritonite (sempre sierositi).
• Rene: coinvolto in circa la metà dei pazienti anche se al microscopio elettronico si vedono
segni nel 100% dei casi. Nel LES i quadri sono variabili, possono sovrapporsi e in generale
divenire man mano più gravi. Possiamo avere proteinuria ed ematuria asintomatiche, ma
anche sindrome nefritica o nefrosica, insufficienza renale cronica, glomerulo nefrite. Si
distingue: Classe I: no segni di nefropatia. Classe II: in genere solo ematuria o proteinuria.
Classe III: segni clinici, proteinuria o ematuria costanti. Classe IV: quadro con sindrome
nefritica o nefrosica, proteinuria e/o ematuria costanti, possibile insufficienza renale con
ipertensione arteriosa. Classe V: evoluzione verso l’insufficienza renale cronica che nella
Classe VI è conclamata, irreversibile e associata a ipertensione arteriosa. La sindrome
nefrosica nel LES è particolare perché associata a ematuria oltre che a forte proteinuria e
soprattutto nel protidogramma le gammaglobuline non calano bensì restano elevate
(produzione Ig) e le beta-globuline possono calare (sintesi ridotta). Prognosi severa.
• Manifestazioni neurologiche: sono frequenti e hanno significato prognostico negativo. Il
danno può essere di tipo vasculitico o immunitario (per esempio deposizione di
immunocomplessi a bloccare il plessi corioidei alterando la permeabilità della BEC). Si
riscontrano in effetti anticorpi anitneuronali e anti proteina P ribosomiale. Si possono
presentare psicosi, accessi epilettici , lesioni focali (nervi cranici), disordini del
movimento, cefalea (piuttosto frequente). Possibili mieliti e neuriti. Disfunzioni cognitive
• Altre manifestazioni: nausea, vomito, diarrea, manifestazioni oculari come congiuntivite,
sindrome sicca, uveite, vasculite retinica, neurite ottica e fotosensibilità, fenomeno di
Raynaud, tiroidite, milza ingrossata, linfonodi con aree di necrosi, possibile necrosi
asettica delle ossa, etc.
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Diagnosi: le manifestazioni del lupus sono spesso aspecifiche e, soprattutto all’esordio difficili da
ricondurre a questa patologia. Più agevole diventa la diagnosi quando aumentano i sintomi.
• Esami di laboratorio: oltre alle alterazioni bioumorali dovute ai danni d’organo (aumento
transaminasi, alterazione protidogramma, etc.) nel lupus abbiamo VES elevata, PCR
normale o elevata, Gammaglobuline quasi sempre aumentate. La complementemia (C3 e
C4) è in genere diminuita per consumo dei fattori.
Ciò che però più aiuta nel lupus è la ricerca degli ANA, anticorpi antinucleo che sono
presenti nel 100% dei casi e in genere ad alto titolo. Però possono essere presenti anche in
altre situazioni. Un marker del LES è considerato l’anticorpo anti-DNA nativo ossia anti-
dsDNA che si trova nel 55% circa dei casi (molto associato alla nefrite lupica). Tra gli ENA
è specifico anti-Sm (Smith) che però si trova solo nel 35% circa dei casi. Si possono
riscontrare anche SS-A, SS-B, anti-RNP, che possono indirizzare su alcuni quadri-patologici
di lupus (neonatale, da deficit congenito del complemento, etc.) e che si trovano anche in
altre connettiviti. Comuni anche gli anticorpi antifosfolipidi e anticardiolipina.
Per la diagnosi di LES, è possibile usare i criteri ARA per la classificazione del LES. Un paziente è
malato quando presente 4 criteri su 11, anche se non è obbligatorio il complimento di essi per la
diagnosi (sono per la classificazione, non sono criteri diagnostici). Questi sono: Rash malare, rash
discoide, fotosensibilità (rash fotosensibile), ulcere orali, artrite (non erosiva), sierosite (pleurite o
pericardite), disturbi renali, neurologici, ematologici, immunologici, ANA elevati.
Prognosi: è buona, la sopravvivenza negli ultimi anni è aumentata fino a 80-90% a 10 anni. Fattori
prognostici negativi: impegno renale, impegno cerebrale, HTA, presenza di anticorpi anti-
fosfolipidi. Cause di morte: coinvolgimento sistemico, danno renale, infezioni. È in aumento la
morte per effetti collaterali dei farmaci. C’è maggiore rischio di eventi trombo embolici.
Terapia: non c’è una terapia eziologica però si agisce sulle alterazioni immunologiche.
• Forme lievi: casi senza impegno viscerale e con alterazioni ematologiche lievi. Si utilizzano
FANS, corticosteroidi (prednisone, a basse dosi si preferiscono ai FANS per la minore
tossicità), antimalarici di sintesi (clorochina o idrossiclorochina che però sono tossici per la
retina e richiedono controlli oculistici). In genere non sono necessari immunosoppressori.
• Forme severe: impegno viscerale e alterazioni ematologiche maggiori. Si utilizzano
corticosteroidi a dosi più elevate (1g anziché 20-25mg), immunosoppressori (il più efficace
pare essere la cilcofosfamide, ma anche azatioprina, ciclosporina A e ultimamente il meno
tossico micofenolato mofetil). Si possono utilizzare le immunoglobuline endovena ad alte
dosi e la plasmaferesi (che si associa alla terapia immunosoppressiva e si usa solo in caso
di emorrafia polmonare, PTT o in caso di manifestazioni violente o resistenti).
I corticosteroidi sono antinfiammatori intorno ai 10mg/die e immunosoppressori a 1/mg/kg/die
(dose più alta). Se il LES è associato a sindrome da anticorpi antifosfolipidi si usano anticoagulanti
con obiettivo INR di 3. La gravidanza è a rischio, ma non più controindicata, si danno basse dosi di
corticosteroidi. Se l’artrite resiste a cortisone e antimalarici si pensa al metotrexato.
Follow up: essendo una malattia cronica il paziente va seguito nel tempo eseguendo: emocromo
con conta piastrinica, esame delle urine, creatinine mia, livelli di C3 e C4 e di ANA, controlli
oculistici e profilo lipidico (uso di steroidi).
Lupus da farmaci: alcuni farmaci come procainamide e idralazina possono indurre una sindrome
lupus-like. Sono ipotizzati anche altri farmaci. Si cercano gli ANA per decidere se sospendere o no.
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• Anticorpi anticardiolipina (aCL): sono IgG e IgM specifiche per complessi β2-glicoproteina
1-fosfolipidi. Sono fattore di rischio per trombosi se presenti a titolo medio-alto, su 2 test a
distanza di 12 settimane l’uno dall’altro. Si evidenzia con test immunoenzimatici (ELISA).
• Anticorpi anti-β2-GPI: sono di classe IgG e IgM. Aumentano il rischio di trombosi e
aterosclerosi (bloccare β2-GPI causa trombosi). Sempre test ELISA a distanza di 12 sett.
Epidemiologia: rapporto donne:uomini 5:1, presente nel 10-20% degli aborti da causa ignota.
Eziopatogenesi: sia la eziologia che la patogenesi sono ignote. Non si conosce come si formano gli
anticorpi anti-fosfolipidi però è noto che essi predispongono alla trombosi probabilmente per:
interazione con le cellule endoteliali, con i monociti, le piastrine, componenti del sistema di
coagulazione e complemento (inibiscono gli anticoagulanti e la fibrinolisi).
Clinica: le manifestazioni variano dalla trombosi venosa singola alla APS catastrofica. Abbiamo:
Manifestazioni trombotiche:
• Cute: ulcere e gangrena (trombosi dei piccoli vasi del derma), livedo reticularis.
• SNC: interessamento ischemico: ictus e TIA, corea, epilessia, cefalea intrattabile.
• Apparato respiratorio: tromboembolia polmonare o trombosi in situ.
• Apparato cardiovascolare: angina o infarto, trombosi endocavitaria. Alterazioni valvolari.
• Reni: microangiopatia trombotica.
• Arti superiori e inferiori: trombosi venosa profonda.
Manifestazioni ematologiche: piastrinopenia (frequente), anemia emolitica.
Manifestazioni ostetriche: poliabortività, parto pre-termine, ritardo di accrescimento, trombosi
dei vasi placentari, aumento delle complicanze materne: pre-eclampsia, gestosi, altro.
APS catastrofica: 1% dei casi, rara forma di APS con molteplici fenomeni trombotici (almeno 3
distretti coinvolti nell’arco di giorni o settimane), mortalità del 50%. L’interessamento è in ordine
soprattutto: renale, polmonare, neurologico, cardiaco, cutaneo.
Diagnosi: devono essere presenti almeno 1 criterio clinico + 1 laboratoristico.
• Criteri clinici: Trombosi vascolari: confermate da rilievi strumentali. Impegno ostetrico: 1 o
più aborti di causa sconosciuta dopo la 10° settimana, 3 o più aborti spontanei prima della
10° settimana, 1 o più nascite premature prima della 34° settimana.
• Criteri laboratoristici: Presenza di LA o aCL o β2-GPI: 2 determinazioni a 12 sett. di distanza
Terapia: bisogna eliminare i fattori di rischio aggiuntivo (tipo fumo, etc.) ed effettuare profilassi.
Profilassi primaria: se il paziente è asintomatico può non farsi o solo ASA (acido acetilsalicilico) a
basse dosi. Paziente con LES + LA o altri anti-fosfolipidi: idrossiclorochina + ASA basse dosi.
In corso di evento trombotico o trombo embolico: si dà, come nella trombosi per altre cause,
eparina sodica endovenosa, con APTT 1,5-2 volte i valori medi basali o eparina a basso peso
molecolare a dosaggio pieno. Nella sindrome catastrofica anche plasmaferesi e steroidi.
Profilassi secondaria (dopo l’evento trombotico): si usano anticoagulanti orali. Se il paziente ha
avuto un primo evento venoso: Warfarin con target INR 2-3. Se il paziente ha avuto un primo
evento arterioso o è terapia-resistente: Warfarin con targeti INR 3-4 o associato ad antiaggregante.
Profilassi delle complicanze ostetriche: si dà eparina + ASA a basse dosi in caso di aborti precoci
ripetuti o aborti dopo la 10° settimana o in caso di evento trombotico precedente.
Prospettive terapeutiche: antiaggreganti di combinazione, inibitori del fattore Xa, statine, inibitori
diretti della trombina, idrossiclorochina.
Sclerodermie:
Gruppo di patologie causate da meccanismi autoimmunitari-infiammatori che esitano in fibrosi
della cute e di altri organi e apparati. Sono definite clinicamente dalla presenza di sclerosi cutanea
prossimale delle dita (oppure sclerodattilia, ulcere ischemiche alle dita, fibrosi polmonare).
Si distinguono principalmente due forme di sclerodermia:
1. Sclerosi sistemica: caratterizzata da sclerosi cutanea, fenomeno di Raynaud, impegno
viscerale. Al suo interno, in base al coinvolgimento cutaneo, incontriamo:
• Forma cutanea limitata: sindrome CREST, sintomi cutanei soprattutto a volto e mani.
• Forma cutanea intermedia: anche la parte prossimale degli arti, ma non il tronco.
• Forma cutanea diffusa: anche il tronco, frequenti sintomi viscerali.
In più abbiamo la sclerosi sistemica sine scleroderma, sclerodermia indotta da sostanze
chimiche e la sclerodermia associata ad altre connettiviti (sindromi overlap).
2. Sclerodermia circoscritta: solo sclerosi cutanea, ha in genere una prognosi migliore:
• Morfea: sclerodermia a placche (chiazze): localizzata, generalizzata o profonda.
• Sclerodermia lineare: più giovanile, anche con lesioni trofiche della muscolatura.
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Epidemiologia: è sottostimata per le forme oligosintomatiche non diagnosticate. Molto più nel
sesso femminile (1:3, 1:9), picco tra 30-50 anni (tranne la sclerodermi lineare). 50-300 su milione.
Eziopatogenesi: l’eziologia è ignota, contribuiscono fattori genetici (HLA-DR5), infezioni (CMV),
farmaci (bleomicina). Il primus movens della patogenesi pare essere il danno vascolare (dovuto ad
autoanticorpi, radicali liberi o altro) che provoca l’attivazione dell’endotelio e la produzione di
citochine infiammatorie ed endotelina. Le citochine infiammatorie richiamano cellule
dell’immunità innata e linfociti T (che tra l’altro producono anche TGF-beta), l’endotelina funge
da vasocostrittore ed è fibrogenica. Vengono così stimolati i fibroblasti tissutali (tramite TGF-beta,
endotelina e ipossia tissutale) causando l’eccessiva fibrosi caratteristica della patologia.
Anatomia patologica: si notano fibrosi, infiltrato periva scolare linfocitario (T), alterazioni del
microcircolo (capillari tortuosi e dilatati, anche distrutti, arteriole ispessite).
Clinica: nel 95% dei casi esordisce con il fenomeno di Raynaud. Le manifestazioni sono:
• Cute: si formano prima chiazze eritemato-edematose rosso-violacee asintomatiche. Hanno
evoluzione centrifuga (infiammazione periferica e già sclerosi centrale). Dopo la sclerosi la
lesione è pallida e dura al centro (anche alopecia) circondata da un anello eritematoso.
Regrediscono poi lasciando aree iperpigmentate o nel 10% dei casi cicatriziali (atrofia). Si
possono poi avere discromie (chiazze iperpigmentate, melanodermia, o ipopigmentate) e
calcinosi (depositi di calcio che affiorano in superficie, a volte ulcerati) (40% dei pz.). Si
distingue una morfea a placche localizzata (lesioni in un unico sito, al massimo profonde
fino all’ipoderma), generalizzata (più placche a tronco e arti, sempre ipoderma), profonda
(soprattutto ipoderma), sclerodermia lineare (coinvolge anche tessuto muscolare e osseo).
Se le lesioni sono al volto si ha la facies sclerodermica (amimica, con microchelia e
microstomia, rughe della fronte spianate, solchi radiali attorno alla bocca, naso affilato). Le
lesioni si trattano con penicillina, corticosteroidi (ma anche PUVA-terapia, ciclosporina A)
• Manifestazioni vascolari: sono ulcere ischemiche, teleangectasie e fenomeno di Raynaud.
Le ulcere sono secondarie agli episodi di vasospasmo, sono molto dolore. La telangectasia
è una dilatazione dei vasi, presente nel 90% dei pazienti (dopo 10 anni). + nelle zone acrali!
• Occhi: cheratocongiuntiviste secca con fibrosi a palpebre e ghiandole lacrimali (riduzione
della secrezione). Per la xeroftalmia si usano le lacrime artificiali.
• Bocca: fibrosi e xerostomia (riduzione della secrezione) delle ghiandole salivari e fibrosi
della membrana periodontale. Xerostomia e xeroftalmia configurano la sindrome di
Sjögren secondaria. La terapia per la xerostomia è bere spesso e compresse i pilocarpina.
• Tiroide: fibrosi tiroidea con o senza tiroidite autoimmune.
• Apparato respiratorio: comune la fibrosi interstiziale polmonare (70%) e pleurica con
alterazione del microcircolo polmonare. Dà tosse, secca, dispnea da sforzo, sindrome
restrittiva e possibile ipertensione polmonare (condiziona la prognosi). Aumento rischio
di cancro. La pneumopatia sclerodermia o (s. di Erasmus) risponde bene a ciclofosfamide.
• Apparato cardiovascolare: fibrosi che causa microangiopatia coronarica, disturbi di
conduzione, scompenso cardiaco, possibile pericardite. Si danno antiaritmici, etc.
• Apparato digerente: Esofago: fibrosi del terzo distale che causa pirosi, esofagite, poi con il
tempo esofago di Barrett, e disfagia. Terapia sintomatica. Intestino tenue e colon: fibrosi
che causa distensione addominale, dolore, malassorbimento, etc.
• Reni: alterazioni del microcircolo renale con proteinuria ed ematuria seguite con il tempo da
ipertensione arteriosa e IRC. La crisi renale sclerodermica è una IRA con HTA maligna.
• Apparato locomotore: Muscoli: miosite (come la polimiosite). Ossa: spesso osteoporosi per
malassorbimento. Articolazioni: sinovite poi fibrosi della sinovia. Osserviamo artrite che
può anche essere grave (erosiva). Risponde a basse dosi di steroidi. Tendini: tendinite,
all’achilleo, ma anche tibiale e soprattutto dita (mano ad artiglio).
• Sistema immunitario ed ematopoietico: possibile anemia (da malassorbimento B12).
Ipocomplementemia, indici di flogosi negativi, produzione di vari autoanticorpi.
L’impegno cutaneo è in genere successivo al fenomeno di Raynaud. Queste sono le
manifestazioni più frequenti poi vengono quelle polmonari e il coinvolgimento esofageo.
Diagnosi: si realizza con il criterio maggiore (sclerosi cutanea) + 2 criteri minori (tra
sclerodattilia, ulcere ischemiche alle dita, fibrosi polmonare bilaterale più alle basi).
Tra le forme sistemiche la forma cutanea limitata (sindrome CREST) sta per: Calcinosi, Raynaud,
Esofagite, Sclerosi, Teleangectasie. L’impegno sistemico è tardivo. Nella forma cutanea diffusa
l’impegno sistemico è grave e precoce e la morfea è generalizzata. Prognosi: Sopravvivenza a 5
anni del 90%, 80% a 10 anni. Fattori negativi: interessamento polmonare, cardiaco e renale.
Terapia: Farmaci vasoattivi: sono molto utilizzata i calcio antagonisti (riducono il vasospasmo e le
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resistenze vascolari), sartani e prostanoidi (iloprost, vasodilatatore).
Farmaci immunosoppressori: pare essere efficace la ciclofosfamide, a boli mensili.
Farmaci antifibrotici: si usa la D-penicillamina. In associazione a immunosoppressori e
antifibrotici si ottengono risultati anche con la plasmaferesi.
[Fenomeno di Raynaud: ischemia acrale parossistica, risposta vascolare esagerata alle variazioni
di temperatura, al freddo e allo stress. Colpisce per lo più le dita delle mani.
Epidemiologia: può essere primario (senza patologie note associate), secondario (sintomo di una
malattia sottostante), non idiopatico non secondario (quando della patologia causante ci sono i
sintomi e il sospetto, ma non la certezza). Tende a colpire più le donne che gli uomini, più tra 10-
40 anni. Gli uomini sono colpiti in età più avanzata.
Eziopatogenesi: le cause note più frequenti si FeR secondario sono sclerodermia, altre connettiviti
e LES, poi malattie ematologiche, professionali, neoplasia, farmaci, etc. I meccanismi possibili di
patogenesi sono: aumento dell’attività simpatica (magari ipersensibilità dei recettori alfa-2),
alterazione della produzione delle sostanze vasoattive dell’endotelio, occlusione anatomica o
riduzione della pressione di perfusione nella zona affetta, iperviscosità ematica.
Clinica: ha esordio improvviso (soprattutto a mani, piedi e volto) scatenato da freddo o stress. Si
compone di tre fasi: vasocostrizione (pallore), cianosi, vasodilatazione (arrossamento). Una delle
tre fasi può mancare (specie la vasodilatazione). Può dare anche dolore, parestesie, ulcere
ischemiche. In genere è simmetrico se secondario ad una patologia sistemica.
Diagnosi: clinica, si valuta con esami si primario o secondario. Si può confondere con acrocianosi
(se è presente solo la cianosi), eritromelalgia (reazione dolorosa al caldo), disordini trombotici, etc.
Terapia: sempre sintomatica. Bisogna evitare i fattori scatenanti, fare esercizio fisico, farmaci calcio
antagonisti, antagonisti alfa-1, antagonisti della serotonina, prostaglandine, altri in studio.
La simpaticectomia risulta inutile nel Raynaud secondario, e forse lo è anche nel primario.]
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MM è molto aumentata però meno nelle fasi avanzate di atrofia, poi utili sono anche la
mioglobina e la creatina (che si ritrova nelle urine se c’è necrosi muscolare).
• Manifestazioni cutanee: si riscontrano solo nella Dermatomiosite. Sono si 4 tipi:
o Chiazze eritematose eliotrope: nelle fotosedi, colore rosso-lilla con edema
palpebrale (sede tipica), che possono divenire atrofiche o teleangectasiche.
o Placche eritemato-squamose psoriasi formi: a gomiti e ginocchia.
o Papule violacee: al dorso delle mani e avambracci (papule di Gottron).
o Ispessimento della cuticola: + teleangectasie periungueali.
• Altre manifestazioni: febbre, dimagrimento, fibrosi interstiziale polmonare, aritmie o
miocardite, miosite del terzo prossimale dell’esofago (disfagia), IRC.
Diagnosi: si usano principalmente i criteri di Bohan e Peter, ossia: 1) Rash cutaneo caratteristico
2) Debolezza muscoli prossimali 3) Aumento enzimi muscolari 3) Alterazioni elettromiografiche
4) Alterazioni bioptiche muscolari. PM: Definita con 4 criteri, probabile con 3 e possibile con 2.
DM: Definita con 3 criteri, probabile con 2 e possibile con 1. MCI: sospetto clinico conferma
istologica. La diagnosi si avvale perciò della clinica, delle analisi e degli esami strumentali:
Esami di laboratorio: aumento aspecifico degli indici di flogosi, enzimi muscolari soprattutto la
CPK-MM (anche isoenzima MB). Può aumentare anche la mioglobina nelle urine (è la
mioglobinuria a causare IRC) e la creatina.
Con ELISA o immunofluorescenza diretta si possono trovare autoanticorpi sierici: anticorpi anti t-
RNA come Jo-1, gli anti Mi-2 (complesso macromolecolare di proteine nucleari coinvolto nella
trascrizione genica) sono presenti nel 5-15% delle miositi e sono altamente specifici e associati a
prognosi favorevole, gli anti-Ku (eterodimero legato ad una protein-kinasi DNA-dipendente
importante nel riparo del DNA) presenti nel 3-19% delle miositi e associati a sindrome overlap
Dermatomiosite/Sclerodermia (la più comune overlap) e presenti anche in LES, Sjögren, AP.
Altri esami: Elettromiografia: registra fibrillazione spontanea e potenziali a dente di sega,
complessi polibasici durante la contrazione volontaria con riduzione de p.d.a. (segno di perdita
delle fibre muscolari), scariche ripetute di potenziali irregolari. Caratteristica della PDM.
Risonanza magnetica nucleare mucolare: come diagnostica del tessuto e guida della biopsia.
Ecografia muscolare: studio morfologico del muscolo e valutazione dell’infiammazione.
Biopsia muscolare: deve essere fatta prima della terapia e deve seguire lo studio elettromiografico.
Si esegue in una zona dove l’interessamento muscolare è in fase di attività. Mostra
l’infiammazione e le alterazioni tipiche prima della terapia. In caso di MCI il reperto può essere
negativo per infiammazione. Si incontrano vacuoli citoplasmatici (anche in altre miopatie).
Prognosi: importante la diagnosi precoce, i corticoidi l’hanno migliorata. PM e DM hanno
sopravvivenza dell’84% a 10 anni. La MCI ha prognosi peggiore.
Terapia: Fase di induzione: corticosteroidi (prednisone) a dosi elevate per 4-6 settimane. Fase di
mantenimento: graduale riduzione fino alla dose minima di prednisone per assicurare il controllo.
I farmaci di prima scelta da associare ai corticoidi sono le immunoglobuline esogene IGIV. Se non
si raggiunge il controllo si possono aggiungere immunosoppressori come il metotrexato, AZT e
ciclofosfamide. Possibili anche farmaci biologici, plasmaferesi, etc. Lo scopo è il miglioramento
della forza muscolare. Se non si vede miglioramento con immunosoppressori controllare con
un’altra biopsia se si tratta di MCI.
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farfalla e fotosensibilità (LES), rash eliotropo e papule di Gottron (DM), fibrosi polmonare, etc.
Sierologia: anticorpi anti-U1 RNP dimostrabili con elettroforesi o ELISA. Ipergammaglobulinemia
Diagnosi: tramite criteri, per esempio 4 fattori diagnostici delle tre patologie (in alcune
classificazioni fondamentale l’acrosclerosi), o un sintomo comune + altri tipici (tipo Raynaud).
Prognosi: remissione spontanea o controllo con terapia a basse dosi. Può evolvere a sclerodermia.
Terapia: risponde bene a corticoidi a basse dosi e FANS. Alternativa: metotrexato, antimalarici.
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Vasculiti
Arterite di Takayasu: o sindrome dell’arco aortico, rara vasculite che interessa principalmente
l’arco aortico e i suoi rami (e l’arteria polmonare). Incidenza di 2 casi su un milione, colpisce per lo
più adolescenti e giovani donne.
Patogenesi e anatomia patologica: la patogenesi è cellulo-mediata. Vi è un’infiammazione
granulomatosa nella media e nell’avventizia )infiltrato di cellule giganti, polimorfo nucleati e
linfociti). Si può generare o meno la stenosi de vaso, comunque riduzione del lume vascolare.
Sono colpite soprattutto le ramificazioni dei vasi.
Clinica: vi è una fase prodromica con sintomi aspecifici come febbre, malessere, sudorazione
notturna, perdita di peso, artralgia, però senza alterazioni bioumorali.
La fase conclamata si presenta con segni d’insufficienza vascolare nei tratti interessati. Questi
possono essere: carotidi (ictus, sincopi, convulsioni), arterie retiniche (disturbi visivi), succlavie
(ridotta forza muscolare, anisosfigmia, ischemia alle dita), aorta e coronarie (insufficienza aortica
e angina), polmonari (ipertensione polmonare), renali (ipertensione), mesenteriche (dolore,
emorragia), ileo femorali (claudicatio intermittens).
Diagnosi: si basa sulla clinica, la conferma è l’angiografia. Per la diagnosi servono almeno 3
criteri dei 6 seguenti: insorgenza prima dei 40 anni, claudicatio intermittens (specie arti superiori,
riduzione del polso arteria brachiale, differenziale pressorio tra le due braccia >10 mmHg, soffio
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all’aorta o succlavia, occlusione o dell’aorta o dei suoi rami visibile all’angiografia.
Prognosi: andamento ondulante, riaccensioni periodiche. Morte per ictus, IMA, IRC, aneurismi.
Terapia: i corticosteroidi controllano i sintomi e arrestano la progressione. Se il soggetto è
resistente si danno altri immunosoppressori (inibitori TNF-alfa e metotrexato). Si può pensare
all’angiplastica transluminale percutanea e stenting nelle stenosi critiche non fibrotiche.
Arterite a cellule giganti: o arterite temporale (o di Horton), arterite granulomatosa che colpisce
principalmente le arterie che originano dall’arco aortico. Più frequente della Takayasu (7/100000),
prevalente nel sesso femminile e aumenta con l’età. Associazione con HLA-DRB1-04.
Patogenesi e anatomia patologica: la patogenesi è cellulo-mediata con attivazione dei T che
penetrano nei vasa vasorum producendo IFN-gamma che è quello che favorisce l’infiltrato di
cellue giganti (anche linfociti e PMN) che caratterizza l’infiammazione granulomatosa. Il vaso
assume calibro irregolare, presentando lesioni segmentarie (noduli, dilatazioni e restringimenti).
Colpisce con più frequenza i rami della carotide esterna (arteria temporale), ma non solo.
Clinica: soliti sintomi aspecifici delle vasculiti in fase prodromica.
Fase conclamata: sintomi derivanti dalla flogosi dei vasi (arteria come cordone duro, rossatro,
dolorabile con possibile cefalea temporale, frontale o occiptale) e sintomi da insufficienza
vascolare: arteria centrale della retina e oftalmica (diplopia, amaurosi, cecità anche improvvisa,
glaucoma), arterie cerebrali (ictus, afasia, anacusia, etc.), temporale (claudicatio masseteri e
lingua, ulcerazioni cuoio capelluto), aorta (aneurismi), coronarie (angina o IMA), ileo femorali.
Diagnosi: si sospetta in pazienti di età >50 anni con sintomi generali, cefalea e disturbi della vista.
La conferma si fa con la biopsia (ma le lesioni sono segmentarie, dunque si prendono 3-5 cm di
arteria temporale). La biopsia è uguale alla Wegener.
Per la diagnosi servono almeno 3 dei seguenti 5 criteri: età >50 anni, cefalea, anomalie dell’arteria
temporale, VES elevata, alterazioni istologiche caratteristiche (granuloma).
Prognosi: la mortalità è bassa, la morte avviene per ictus, IMA o aneurisma dissecante dell’aorta.
Terapia: va iniziata subito la terapia steroidea anche prima della conferma bioptica. 40-60mg/die
di prednisone da ridurre gradualmente (per prevenire la perdita della vista e attenuare i sintomi).
Polimialgia reumatica: PMR, caratterizzata da intenso dolore e rigidità dei cingoli scapolare e
pelvico accompagnata da sintomi generali. Aumento importante degli indici di flogosi. Spesso
associata alla arterite temporale, colpisce soprattutto anziani (e, come l’arterite, gli scandinavi).
Eziopatogenesi: fattori genetici, ormonali, ambientali, infettivi (esordio simil-influenzale).
Clinica: esordio in genere improvviso con dolore dei cingoli e a volte anche artrite. La forza
muscolare è conservata (DD con polimiosite) e sono interessati i movimenti articolari globali.
Diagnosi: è clinica (età avanzata, esordio brusco, dolore e rigidità) e grazie ad esami di
laboratorio. In questi gli enzimi muscolari non sono aumentati, si riscontrano anticorpi anti-
fosfolipidi, notevole aumento degli indici di flogosi.
Possono esserci (a TC e Rx) erosioni articolari. L’elettromiografia è normale (DD con PM-DM).
La diagnosi si pone in assenza di altre patologie in grado di spegare i sintomi e in presenza di
questi 3 criteri (2 se c’è buona risposta agli steroidi): età>50 anni, dolore bilaterale e rigidità
mattutina (a dorso, spalle, collo, braccia, cosce), VES >40.
DD con artrite reumatoide a esordio senile: (DD con miositi e connettiviti è più agevole): sintomi
uguali. In genere AR presenta anticorpi antricitrullina e colpisce le articolazioni periferiche.
Terapia: cortisonici, si tiene d’occhio la ves. Come per l’arterite la terapia dura circa 2 anni.
Prognosi: buona, per la brillante risposta agli steroidi. Può insorgere arterite di Horton.
Poliarterite nodosa: PAN, vasculite con lesioni necrotizzanti segmentarie prevalentemente de vasi
di medio calibro. Rara, colpisce più i maschi tra 30-50 anni.
Patogenesi e anatomia patologica: patogenesi da immunocomplessi (forse scatenata da antigeni
virali). Le lesioni sono necrosi fibrinoide (con infiltrato di monociti e PMN), i granulomi sono rari.
Colpisce le arterie di medio e piccolo calibro per lo più renali e viscerali (raramente bronchiali). Le
lesioni sono segmentarie, alle biforcazioni, con stenosi e aneurismi.
Clinica: fase prodromica con sintomi aspecifici. Fase conclamata: dipende dall’organo (stenosi ed
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emorragie da rottura di aneurismi): soprattutto arterie renali (iperazotemia, ipercreatininemia,
infarti multipli e con il tempo IRC e HTA), poi anche testicolari (orchite, epididimite),
mesenteriche (dolore addominale, diarrea, emorragia), cute, poi coronarie, vasi SNC e oculari, etc.
Si può anche avere artrite delle grandi articolazioni, non deformante e simmetrica.
Diagnosi: confermata dalla biopsia dell’organo sintomatico (in alternativa angiografia). Criteri:
(almeno 3 per la diagnosi) perdita di peso >4 kg, livedo reticularis, dolore testicolare, mialgie,
neuropatia, ipertensione, iperazotemia e ipercreatininemia, anomalie arteriografiche o bioptiche.
Questa è in realtà la PAN classica, esiste anche unaforma associata ad HBV e la PAN “limitata”,
ossia che interessa un solo organo (anche solo manifestazioni cutanee: porpora, noduli, ulcere).
Terapia: in generale prednisone e ciclofosfamide. Se associata ad HBV: IFN-gamma, cortisonici e
plasmaferesi. Controllare l’ipertensione sempre.
Prognosi: infausta senza terapia: sopravvivenza 10-20% a 5 anni. Con terapia: 55% a 5 anni.
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livello polmonare e una pauci-immune a livello glomerulare (senza immunocomplessi!).
Clinica: simile alla Wegenere con manifestazioni aspecifiche, emottisi e progressione verso IRC.
Diagnosi: sospetto clinico e conferma bioptica. 80% sono presenti gli ANCA, in genere p-ANCA.
Prognosi e terapia: sopravvivenza a 5 anni del 74%, morte per cause renali o cardiache o
gastrointestinali. Il trattamento è uguale alla granulomatosi di Wegener.
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La diagnosi e l’intervento terapeutico di AR deve essere precoce. Infatti nel primo anno c’è una
floridità maggiore che condizionerà l’evoluzione della patologia. E’importante perciò intervenire
nella window opportunity. La diagnostica per immagini risulta essere inutile nelle fasi iniziali (nel
90% dei pazienti le erosioni compaiono nel giro di due anni). Utile RMN e Eco. Se fallisce la
diagnosi precoce il 50% dei pazienti diventerà disabile entro 5 anni.
Grazie alla tecnologia ricombinante sono stati introdotti prima anticorpi monoclonali chimerici
(suffisso -ximab), poi gli umanizzati (-zumab –umab con componente murina inferiore al 10%)
e, infine, gli interamente umani (-cept) impiegati sempre con maggiore successo.
Infliximab è un anticorpo chimerico monoclonale diretto contro TNFa (pare che a dosi alte sia
minimamente in grado di indurre un piccolo recupero di massa ossea).
Adalimumab è il farmaco leader con riduzione degli effetti collaterali( immuno soppressione),; il
Certolizumab è la versione peghilata che ha somministrazione una volta al mese.
Rituximab anticorpo diretto contro CD20 dei linfociti B, induce apoptosi ( usato con successo nel
trattamento linfomi Hodgkin)
LES
La PCR nel Les è meno alta che nell’AR. Inoltre se si eleva durante la terapia immunosoppressiva
dobbiamo sospettare un processo infettivo e aggiungere Ab.
Per il Les la terapia monoclonale non ha gli stessi risultati, non dà remissione ma uno stato di low
activity disease.
Artrite: di jacoud, non erosiva e riducibile (dd con A. Psoriasica e AR) perché non è pèresente la
componente anchilotica, ma interessamento a carico dei tessuti molli.
Manifestazioni neuropsichiatriche:
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Nel monitoraggio del Les dobbiamo fare attenzione ai trigliceridi e colesterolo, perché a causa dei
CCS, questi pazienti sono più predisposti ad accudenti cerebrovascolari.
Nel Les non sono stati riscontrati target specifici come per AR (IL1, 6, TNF). Si sa però che il
linfocita B ha un ruolo importante. Perciò fu sperimentato il Belimumab ( anticorpo monoclonale
umano diretto contro un fattore di membrana BlySS stimolante l’attivazione dei B) ma con risultati
scoraggianti, se non per il fatto che consentiva, associato a CCs, di abbassarne la dose.
In generale nell’AR si danno bassi dosaggi CCS, nel Les alti (1mg/Kg al giorno). Per Rash o led
idrossiclorochina. Per il rene Ciclofosfamide ( è necessaria una buona idratazione in modo che il
farmaco arrivi diluito a livello renale e sia ridotta la probabilità di danno renale).
PAN
Il danno renale può generare HT ( per insufficienza pre renale) mentre l’interessamento del
glomerulo è abbastanza raro ( arterite dei medi vasi).
Si associa a: Churg strauss ( si formano i granulomi necrotizzanti che nell pan non ci sono +
eosinofilia), Kawasaki, crioglobulinemia essenziale, sd cogan (maggior interessamento occhio).
Terapia:
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I Gazzellini
- Interna -
- Gastro -
A. Fusco
INDICE
Fegato .......................................................... 6
Pancreas ..................................................... 15
Intestino ..................................................... 18
ESOFAGO e STOMACO
Definizione: L’MRGE è la patologia più frequente del tratto gastroenterico superiore. È una
condizione clinica che si sviluppa quando il reflusso di contenuto gastrico in esofago determina
sintomi fastidiosi. Vi sono sindromi esofagee (con o senza danno mucosale) ed extaesofagee (forme ad
associazione con MRGE provata o ipotetica). Il danno mucosale è presente solo in un terzo dei casi,
più spesso ,infatti, è NERD (forma non erosiva). All’interno delle forme con danno mucosale il quadro
più frequente è quello di esofagite non complicata.
MRGE ha un’incidenza di 1-3%. Tra il 10 e il 20% di MRGE vanno incontro ad esofago di Barrett.
Molte forme non erosive tendono con gli anni a divenire erosive.
Clinica: lo spettro clinico delle manifestazioni (esofagee e non) è molto ampio. I sintomi più comuni
sono pirosi e dolori urenti soprattutto dopo i pasti, rigurgito, sensazione di peso retro sternale,
eruttazione di aria. La probabilità di presentare almeno un sintomo extraesofageo è di un terzo, i più
comuni sono dolore toracico, tosse stizzosa (bronchite), raucedine (laringite) e asma. La durata e la
severità dei sintomi tipici sono un fattore di rischio. Le manifestazioni respiratorie e
otorinolaringoiatriche (ORL, come laringite e tosse) sono comunque poco controllabile con la normale
terapia per MRGE come gli inibitori di pompa protonica (PPI).
Diagnosi: Bisogna dapprima riconoscere i sintomi tipici e assenza di segni d’allarme che richiedano
analisi strumentale come anoressia, disfagia, sintomi prolungati refrattari a terapia, calo ponderale, età
>50 anni. Difficile però che il paziente dica proprio “pirosi” o “rigurgito”, si usano questionari.
Importante la correlazione dei sintomi con il pasto, la posizione corporea e il sonno.
Sintomi lunghi e frequenti possono indurre all’endoscopia per la ricerca dell’esofago di Barrett.
Bisogna tener presente che più del 50% dei pazienti con sintomi tipici di MRGE non presenta
esofagite. Secondo la classificazione endoscopica dell’esofagite (Classificazione di Los Angeles) si
distingue: un Grado A o lesione minima, che è di dimensioni inferiori a 5mm e isolata (non considera
iperemia e fragilità). Grado B: lesione >5mm confinata tra le pliche, grado C: lesione che si estende
per due o più pliche, grado D: lesione circonferenziale.
Ph-metria delle 24 ore: serve a verificare l’esposizione patologica all’acido e la correlazione con i
sintomi. Distingue la pirosi funzionale dei NERD con MRGE. Si usa se EGDS è negativa, nella
valutazione preoperatoria o nella valutazione del paziente refrattario a terapia. E’ ritenuta patologica
un’esposizione esofagea all’acido (ph<4) che supera il 5% del tempo di registrazione. Un altro
parametro è costituito dalla corrispondenza reflusso-sintomi. Un valore >50% è patologico. Bisogna
sospendere una settimana prima i PPI.
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Ph-impedenziometria delle 24 ore: si preferisce perché rileva anche episodi non acidi di reflusso
caratterizzandoli. Sono più elettrodi così si può anche valutare l’estensione prossimale del reflusso per
valutare pazienti con ORL.
Bilimetria in 24 ore: valuta la presenza di bilirubina in esofago.
Test all’PPI: test farmacologico empirico, fatto con dosi doppie, somministrate bis in die, di PPI , è
positivo se c’è riduzione del 50% dei sintomi.
Rx esofago con bario e altri test, non si eseguono in casi tipici.
Complicanze: ulcerazioni, aspirazione notturna del contenuto gastrico, sviluppo di condizioni
precancerose come l’esofago di Barrett (sostituzione del normale epitelio squamoso pluristratificato
con epitelio metaplastico cilindrico intestinale), neoplasie intraepiteliali (NIE), stenosi esofagea con
eventuale odinofagia.
DD: esofagite,disturbi della motilità esofagea (spasmo neuromuscolare esofageo diffuso, esofago
ipercontrattile), ulcera esofagea a stampo (spesso da bifosfonati), diverticoli, carcinoma, acalasia…
Terapia: La cura è sintomatologica con PPI per poco, anti-H2 e una dieta per curare l’obesità. I sintomi
se più gravi possono essere curati con approccio step-up cioè cominciando con dieta e poi valutando
man mano l’approccio farmacologico o step-down cioè subito con farmaci più potenti e poi riducendo
la dose.
In generale però distinguiamo una terapia conservativa:
Bisogna modificare lo stile di vita: sideve eliminare alcol, fumo e obesità. Evitare cioccolata, bevande
acide, pasti notturni,mentapiterita o farmaci che riducono il tono sfinterale (anticolinergici, calcio
antagonisti, teofillina…).
La terapia farmacologica consta nell’utilizzo di PPI, antagonisti H2, antiacidi ( ovvero idrossido di Mg
o di Al. Usati nell’automedicazione o solo in caso di forme lievi senza esofagite). Infatti la secrezione
acida è dovuta alle cellule parietali che producono HCl immettendolo con H-K-ATPasi nei tubuli del
citoplasma. Gli stimoli sono l’istamina (tramite i recettori H2) prodotta dalle cellule enterocromaffini ,
l’acetilcolina dal vago e la gastrina prodotta dalle cellule G. Il cibo stimola il tutto. I PPI si legano alla
pompa protonica inibendola, pur rimanendo nel plasma per poco tempo, e il loro effetto svanisce solo
con la rigenerazione naturale delle cellule epiteliali. Vengono somministrati in genere twice-a-day
(mattina e sera). Il trattamento per MRGE è la riduzione della secrezione acida in modo da portare il
pH sopra 4 per almeno 12 ore al giorno. Si usano i PPI (omeoprazolo, esomeprazolo 20 mg/die;
pantoprazolo 40mg/die) e in secondo luogo anti-H2 (Cimetidina 800mg, Ranitidina 300mg che a un
dosaggio medio danno soppressione 50% della secrezione acida). Ci sono vari PPI, simili, ma
l’esomeprazolo è il più potente. Se il reflusso è notturno meglio una dose prima di cena o uso di anti-
H2 prima di andare a letto. Anche nel Barrett il principio è lo stesso con approccio step-down. Gli
agenti pro cinetici aiutano. Dal momento che la recidiva dopo sospensione trattamento è del 50%, si
consiglia una terapia anti recidiva a lungo termine con anti PPI.
PPI e anti-H2 sono controindicati in gravidanza e allattamento.
E.Collaterali PPI:. Diarrea, disturbi GI, cefalea. La soppressione tot dell’acidità porta a
ipergastrinemia e ipertrofia delle cellule enterocromaffini. La terapia a lungo termine favorisce invece
gastrite atrofica cronica. L’acloridria favorisce colonizzazione batterica. Solo ad alte dosei
interagiscono con P-450, rallentando il catabolismo di alcuni farmaci.
E.C. anti-H2: cefalea, diarrea, ginecomastia disturbi potenza sessuale, stato confusionale. La
cimetidina,soprattutto, è sconsigliata in quanto interagisce con il cit. P-450 ( aumenta effetto di alcuni
farmaci). Inoltre cimetidina e ranitidina aumentando la concentrazione di alcol nel sangue inibendo
l’alcol deidrogenasi.
E.C. Sali alluminio: stipsi, ipofosfatemia ( si forma fosfato di alluminio insolubile nel tenue): Sali di
magnesio: Ipeermagnesemia (sconsigliato in IR). I Sali non vanno assunti con altri farmaci.
Terapia on demand: in caso di recidive occasionali. Di mantenimento: recidive frequenti e Barrett.
Non erosive reflux disease (NERD): Non ci sono segni macroscopici di esofagite. Spesso sono
microscopici, a volte niente affatto. A volte la pirosi è funzionale e altre volte è associata a reflusso non
acido (biliare). I PPI sono efficaci solo in parte e possono essere usati farmaci di barriera o baclofen
(agonista dei GABAb). C’è l’opzione chirurgica antireflusso. Per le forme con sintomi extraesofagei
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posologie doppie. Spesso si fa una terapia di mantenimento a lunga durata soprattutto se c’è
tendenza alla recidiva entro 6 mesi. I PPI non portano effetti collaterali gravi, bisognerebbe però
eradicare H.pylori, verificare la B12 e il metabolismo di altri farmaci. Sono rari i casi di
demineralizzazione ossea. Nei pazienti con Barrett bisogna eseguire endoscopia ogni tre anni per il
monitoraggio. In modesti casi è necessaria una terapia chirurgica (stadio IV, fallimento della terapia
conservativa) ossia la fundoplicatio, che avvolge il fondo dello stomaco alla parte terminale
dell’esofago ( serve per aumentare la pressione sfinterale) eseguita anche in laparoscopia e quindi
mini-invasiva. Serve consulenza di un gastroenterologo e si fa in caso di sintomi persistenti e resistenti
ad una terapia media, in caso di complicanze polmonari ricorrenti e in presenza di affezioni
complicanti. Può recidivare, dare intolleranza a bevande gassate (senso di oppressione epigastrica).
Gastriti
Gastrite acuta: Eziologia: Noxae esogene: eccesso alimentare, alcolici, acido acetilsalicilico, FANS,
corticosteroidi, tossinfezioni alimentari batteriche. Stress: traumi, ustioni, shock, post-operatorio.
Istologia: infiltrati leucocitari superficiali nella mucosa. Difetti epiteliali fino ad erosioni.
Clinica: inappetenza, nausea, vomito, eruttazione, pesantezza, dolore epigastrico, gusto sgradevole.
Complicanze: in caso di gastrite erosiva, ulcera da stress. Diagnosi: clinica, endoscopia, esame
istologico. Terapia: eliminazione noxae esogene, restrizione alimentare temporanea. PPI, antiemetici.
Gastrite cronica:
Definizione: documentazione istologica di cellule infiammatorie nella mucosa gastrica.
Epidemiologia: all’età di 50 anni circa il 50% dei soggetti presenta una colonizzazione di HP.
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Anatomia patologica in generale: si possono riscontrare diverse alterazioni infiammatorie gastriche:
Cellule infiammatorie: linfociti, plasmacellule, monociti nella lamina propria. Neutrofili se
l’infiammazione è attiva. Fibrosi della lamina propria: spesso associata ad atrofia mucosa.
Atrofia mucosa: perdita di struttere ghiandolari. Vi può essere sostituzione di esse con fibrosi oppure
con metaplasia intestinale. La mucosa potrà avere i caratteri dell’intestino tenue o crasso. L’atrofia ed
in particolare la metaplasia intestinale causano un aumento del rischio di carcinoma gastrico.
OLGA staging system: definisce lo stadio della gastrite in base all’estensione topografica delle lesione
atrofiche nei diversi settori della mucosa gastrica (antro e corpo). Lo stadio di atrofia di ciascuna parte
va da 0 a 3 e il Grado da 0 a IV. Valuta l’intensità di infiammazione, ma anche il rischio neoplastico.
Clinica: spesso non vi sono sintomi. Vi può essere, prevalentemente nel tipo B, una sindrome
dispeptica (non ulcer dyspepsia) caratterizzata da: fastidio peso o dolore epigastrico, eruttazione,
gonfiore, nausea e disturbi digestivi non specifici. Possibile alitosi in caso di infezione da HP. Vi può
essere anemia macrocitica (da carenza di B12) o anche microcitica (da carenza di ferro).
Complicanze: Gastrite tipo B, da HP: possono comparire anticorpi anti cellue parietali (anti H-K
ATPasi) e svilupparsi una gastrite di tipo A. Rischio di ulcera duodenale (5%) o gastrica (1%). Il
rischio di carcinoma dello stomaco è basso, ma c’è. Vi è anche rischio di MALTOMA.
Gastrite tipo A, autoimmune: gastrite atrofica, anemia perniciosa, rischio di carcinoma gastrico.
Gastrite tipo C, da FANS: ulcera, emorragia gastrica.
Diagnosi sierologica: nella gastrite del corpo i livelli sierici di gastrina sono alti o molto alti, mentre il
livello di pepsinogeno è basso. Nella gastrite dell’antro (sede di produzione della gastrina) sono bassi.
Diagnosi: è fondamentale la gastroscopia e la biopsia per l’analisi anatomo-patologica. Il campione
bioptico deve essere preso con attenzione e comprendere muscularis mucosae ed essere
rappresentativo di tutte le regioni funzionali. Si fa dunque: Gastroscopia+ biopsia di antro e corpo.
Diagnostica di HP: endoscopia/biopsia, Test rapido dell’ureasi ( HP è un Gram- ad attività ureasica),
istologia, coltura. Si fa test del respiro dopo somministrazione di urea marcata con 13 C, che viene
scissa dall’ureasi di HP. Si misura, poi, mediante spettrometria, la massa di CO2 marcata
espirata(sensibilità ridotta col trattamento con PPI); dimostrazione di antigeni HP nelle feci (anticorpi
HP possono persistere anche dopo eradicazione).
Eventuale diagnostica della gastrite di tipo A: ricerca di autoanticorpi anti fattori intrinseco, anti
cellule parietali, livello di B12 sierica)
Terapia:
Gastrite tipo B da HP: Oggi la terapia più usata è la terapia sequenziale che, rispetto alla triplice
terapia ( PPI+ Claritromicina, metronidazolo) ha percentuali più elevate di eradicazione (>90%): per i
primi 5 giorni Pantoprazolo 40mg 2vv/die + amoxicillina 1g 2vv/die; seguita per altri 5gg
Pantoprazolo (40 mg 2vv/die), claritromicina (500 mg 2vv/ die), Tinidazolo (500 mg 2vv/die).
Gastrite autoimmune tipo A: in parte guarisce con trattamento eradicante, integrazione di vitamina
B12 . Controlli bioptici regolari per aumentato rischio di carcinoma.
Gastrite chimica: sospendi FANs o aggiungi PPI.
Malattia peptica
Definizione: Presenza di erosioni o ulcere a stomaco e duodeno. Le erosioni sono lesioni piccole e
superficiali che non superano la muscularis mucosae. L’ulcera è una soluzione di continuo che supera
la muscularis mucosae. L’ulcera peptica è una patologia cronica con cicatrizzazioni e recidive, a volte
gravi complicanze. Colpisce il 4% della popolazione e causa il 10% delle dispepsie.
Eziologia: la causa è sempre la formazione di uno squilibrio tra fattori aggressivi e di difesa.
• Ulcera peptica HP positiva: è conseguenza di una gastrite cronica HP-positiva. La
colonizzazione di HP è presenta in più del 95% dei pazienti con ulcera duodenale e in circa il
75% dei pazienti con ulcera gastrica. H.pylori è un batterio che aderisce all’epitelio gastrica e
libera enzimi e tossine (come VacA e CagA), induce la produzione di citochine infiammatorie.
Vi sono anche fattori genetici: ad esempio l’ulcera duodenale è più comune nei soggetti di
gruppo sanguigno zero e con HLA B5.
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• Ulcera peptica HP-negativa: le cause sono soprattutto assunzione di FANS (che inibiscono la
sintesi di prostaglandine ad azione gastroprotettrice), ma anche fumo (fattore favorente
secondario). Una causa rara è la sindrome di Zollinger-Ellison (ipergastrinemia). Altre cause
sono iperparatiroidismo, mastocitosi sistemica, iperplasia cellule G.
• Ulcera acuta ed erosioni da stress: diversi fattori di stress come trattamento intensivo dopo
politrauma, ustioni, grossi interventi, trauma cranico, respirazione assistita a lungo.
Clinica: Nel 30% dei casi è asintomatica e si manifesta con un’emorragia, mentre nel 50% dà dolore
epigastrico. Possono anche esserci sintomi dispeptici vaghi e la sintomatologia è episodica, con pause
e recidive, spesso stagionale. In più: Ulcera duodenale: dolore tardivo rispetto al pasto, più notturno e
a digiuno, migliora dopo assunzione di cibo. Ulcera gastrica: dolore subito dopo il pasto o
indipendente dal cibo, non migliora con l’assunzione. Ulcere da FANS: asintomatiche, emorragie.
Complicanze: Acute: Emorragia: la più frequente, può dare shock ipovolemico e morte; Perforazione:
dolore addominale violentissimo e improvviso; Penetrazione: se nel pancreas dà dolore posteriore;
Tardive: Stenosi cicatriziale del piloro: vomito e calo ponderale. Insufficienza pilorica: reflusso.
Degenerazione carcinomatosa: avverrebbe circa nel 3% dei casi, ma in realtà vi sono dati discordanti.
Terapia:
Conservativa: Terapia con ulcera correlata a HP: L’eradicazione di HP è fondamentale, altrimenti
recidiva 80% casi. Si usa la triplice terapia (vd gastrite cronica) per sette giorni. Per valutare
l’eradicazione si fa il test 13 C respiratorio dopo 6-8 settimane. Le reinfezioni sono rare.
Ulcera HP negativa da FANs: sospendere FANs, oppure PPI e, in caso di recidiva, misoprostolo
(analogo delle prostaglandine, controindicato in gravidanza. Può dare diarrea, dolori GI)
Chirurgica: Si esegue quando abbiamo complicanze che non possono essere bloccate per via
endoscopica ( emorragia arteriosa, perforazione, stenosi pilorica), carcinoma. Si esegue per ridurre la
secrezione acida. Abbiamo un Billroth I ( resezione dei 2/3 dello stomaco con gastroduodenostomia),
oppure Billroth II (con gastrodigiunostomia, meno vantaggiosa funzionalmente); vagotomia
prossimale selettiva.
Complicanze: si può avere una sindrome post gastrectomia con disturbi secondari all’assunzione di
cibo (dumping precoce o tardivo). Dumping precoce: dopo 20 min dall’assunzione abbiamo
borborigmi,diarrea,vomito,palpitazioni,sudorazione. La causa è il rapido svuotamento gastrico ma
anche ipovolemia transitoria per la presenza di carboidrati iperosmotici.Si evita facendo piccoli pasti
frequenti,poveri in carboidrati. Dumping tardiva: rara. Si manifesta con ipoglicemia, sudorazione,
agitazione, fame (causata dalla eccessiva secrezione di insulina dopo pasti ricchi in carboidrati).
Altri disturbi correlati all’intervento: sensazione di ripienezza e pesantezza,durante o subito dopo il
pasto. In caso di vagotomia, se non è eseguita piloro plastica, si può avere sensazione di ripienezza da
svuotamento gastrico protratto, reflusso. In caso di svuotamento rapido e mancata sincronia con la
secrezione del succo pancreatico e della bile, possiamo avere calo ponderale. Tardivamente c’è anemia
da carenza di vit.B 12. Il moncone gastrico ha un rischio aumentato di carcinoma.
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FEGATO
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piastrinopenia), segni muco-cutanei (prurito, spider naevi, atrofia della cute, lingua rossa, eritema
palmare e plantare). Nella donna anche disturbi mestruali, nell’uomo ginecomastia, atrofia testicoli.
Complicanze: cirrosi epatica, epatocarcinoma primitivo, manifestazioni specifiche di HBV e HBC.
Diagnosi: anamnesi e clinica, poi laboratorio con markers virali e anticorpi, ecografia (ma anche TC o
RMN) epatica, biopsia e istologia epatica, fibroscan (determinazione della rigidità ossia fibrosi).
Diagnosi: Soggetti con infezione attiva: devono avere HBsAg. Vaccinati: anti-HBs. Infezione
passata: anti-HBs e anti-HBc (anche solo questo dopo molto tempo). Bisogna poi distinguere:
• Portatore sano: ha HBsAg, ma va solo monitorato con transaminasi e HBV-DNA ogni sei mesi.
• Epatite B immuno-attiva HBeAg +: aspettare sei mesi prima della terapia perché può esserci
spontanea siero conversione e formazione di anti-HBe. Si inizia il trattamento se HBV-DNA>
105 e le transaminasi sono sempre aumentate.
• Epatite B immuno-attiva cronica HBeAg -: trattamento se c’è HBV-DNA>10 alla5/ml.
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• Se c’è cirrosi: terapia antivirale qualunque sia la carica virale.
• Se non c’è cirrosi: terapia antivirale in caso di carica virale >104 copie di HBV-DNA/ml o
transaminasi elevate.
La terapia farmacologica consiste in:
1. Immunomodulatori: IFN-alpha2a, alpha2b o Peginterferone alfa2a o 2b. - peghilato alpha2a
Utilizzo: IFN 3 volte a settimana, a giorni alterni. Peghilato: una volta a settimana.
Durata: fino 48 settimane. Effetto: blocco replicazione e siero conversione (30-40% dei casi).
Effetti collaterali: autoimmunità (vasculiti, artriti), depressione, aumento transaminasi,
polmoniti, cefalea, alterazione della vista, sviluppo di anticorpi anti-interferone. Da
controllare in pazienti con patologie cardiache, può causare anche alterazioni tiroidee. Non si
usa solitamente sui bambini e attenzione in gravidanza e in pazienti in terapia antiretrovirale.
2. Antivirali: si indicano in caso di effetti collaterali o controindicazioni all’IFN. I pazienti con
bassa attività infiammatoria rispondono male all’interferone. Si usano:
a. Analoghi nucleosidici (aumento transaminasi, effetti GI, no in gravidanza):
Lamivudina: punta a diminuire la carica virale, terapia che dura anche anni.
Entecavir: in pazienti resistenti alla lamivudina (non diminuisce la carica dopo 6 mesi).
Telbivudin: no in caso di cirrosi epatica scompensata.
b. Analoghi nucleotidici: Adefovir (effetti GI e renali, no gravidanza) e Tenofovir.
Prognosi: i portatori sani hanno prognosi favorevole. Per gli altri pericolo cirrosi ed epatocarcinoma.
Epatite cronica da HDV: l’infezione simultanea di HBV e HDV (confezione) ha la stessa prognosi
dell’infezione da HBV (ma maggiore frequenza di epatite fulminante). La sovra infezione di un
portatore di HbsAg con HDV causa l’epatite cronica B+D, in genere con maggiore danno epatico.
Diagnosi: anti-HDV e HDV-RNA + biopsia epatica.
Terapia: IFN alpha spesso non ha successo. La mortalità è 3 volte superiore all’epatite B.
Epatite cronica da HCV: costituisce il 70% delle epatiti croniche. Può avere un decorso acuto
sintomatico (e con ittero) che nel 50% dei casi si risolve spontaneamente. Le infezioni asintomatiche
hanno (70%) cronicizzano più spesso. Il 20% svilupperà entro 20 anni una cirrosi epatica. Il 3-4%
all’anno di queste cirrosi si scompensa, e l’1-2% si trasforma in epatocarcinoma. A determinare il
decorso della malattia sono alcuni cofattori come età, carica virale, alterazioni immunitarie e
soprattutto altre cause epatolesive come farmaci, alcol, dismetabolismo.
Manifestazioni specifiche: può avere conseguenze extra-epatiche come porfiria cutanea tarda,
glomerulo nefrite membrano-proliferativa, tiroidite di Hashimoto, Sjögren. Soprattuto può causare
crioglobulinemia mista dovuta a immunocomplessi circolanti prodotti per iperstimolazione del
linfociti B da parte dei costituenti virali che causano porpora, artralgie e anche danno renale e
neuropatia. Associazione con linfoma non-Hodgkin a cellule B. A volte si sviluppano autoanticorpi
nel sangue (autoimmunità indotta dall’HCV) come ANA e anti-LKM (20% dei casi).
Diagnosi: clinica e sierologia: test anticorpi anti-HCV e determinazione viremia con HCV-RNA che
pur non essendo prognostico può servire al monitoraggio e indica replicazione e infettività. Si può
anche determinare il genotipo virale. Bisogna inoltre eseguire biopsia epatica che permette di valutare
grading e staging dell’epatite cronica e la concomitante presenza di altre patologie. Le transaminasi
non sono direttamente correlate alla prognosi, pertanto anche se normali si può fare la biopsia (che
invece può essere evitata se jl genotipo virale è 2 o 3 e quindi facile da trattare). Un’alternativa meno
precisa e meno rischiosa della biopsia epatica è l’elastografia epatica (fibroscan), più il fegato è duro
(fibrotico) più l’onda elastica si propaga rapidamente (influenzata da obesità, versamenti, etc.).
Terapia: l’obiettivo è l’eradicazione del virus (mancanza di HCV-RNA dopo 6 mesi di follow-up). Si
usano: Interferone (IFN 2a o 2b, peginterferone) e Ribavirina. Effetti collaterali e controindicazioni
ribavirina: leucocitopenia (infezioni), anemia, trombocitopenia. No in gravidanza o IRC o cirrosi
scompensata. Ridurre la dose in caso di leucocitopenia marcata. Durata: dipende dal genotipo virale:
• Genotipi 2 e 3: devono essere trattati e basta, per 24 settimane (buona eradicazione).
• Genotipi 1 e 4: si trattano per 48 settimane con valutazione intermedia a 12 e 24 settimane. Se
c’è riduzione della carica <2 logaritmi si interrompe la terapia (risulterà inutile).
La terapia è sconsigliata in caso di cirrosi scompensata, scarso successo soprattutto nel genotipo 1.
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Epatite autoimmune: AIH, colpisce soprattutto le donne, in genere entro i 30 anni, familiarità.
Caratteristiche: segni di epatopatia cronica, possibili manifestazioni autoimmuni extraepatiche
(tiroidite, artrite, vasculite, MICI, etc.), transaminasi elevate, protide mia totale aumentata così come le
gammaglobuline, istologia di epatite cronica attiva, markers virali negativi. Sono spesso presenti
anticorpi tipici cioè ANA, anti-LKM, SMA. Questi anticorpi possono anche essere presenti in corso di
epatite C e in questo senso i markers virali possono permettere la diagnosi differenziale.
Terapia: corticosteroidi e azatioprina, profilassi osteoporosi con vitamina D.
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Malattie epatiche congenite
Emocromatosi: malattia da accumulo di ferro. È in genere un disordine ereditario del metabolismo del
ferro che causa un maggiore riassorbimento di ferro nel duodeno (normalmente 1-2mg di Fe/die
contro i 3-4mg dei soggetti emocromatosici). Quando la concentrazione di ferro è di almeno 5 volte
superiore rispetto ai valori normali (3,5g nell'uomo e 2,2g nella donna) si verifica accumulo del
metallo, in ferritina e emosiderina, all’interno delle cellule soprattutto epatiche, cardiache e
pancreatiche. Dal punto di vista anatomo patologico l’emocromatosi è un accumulo di ferro con
danno tissutale, mentre l’emosiderosi è un accumulo di ferro senza danno tissutale.
• Emocromatosi ereditaria o primitiva: patologia AR con penetranza variabile.
Nell’emocromatosi si ha un difetto del sistema regolatore dell’epcidina. Questa molecola, prodotta
anche nella risposta sistemica all’infiammazione, è strettamente regolata dai livelli ematici di ferro
tramite i sensori epatici HFE, TfR2 (recettore della transferrina), e HJV (emojuvelina). Una volta
prodotta si lega alla ferroportina sulla superficie delle cellule favorendo l’internalizzazione e la
degradazione di quest’ultima che è una proteine che consente l’efflusso di ferro, che pertanto si
accumula. Un danno ai sensori oppure al sistema epcidina-ferroportina può causare emocromatosi.
1. Emocromatosi tipo 1: : gene HFE, la più frequente (90%) AR. Nei caucasici 5/1000, ma c’è
ampia variabilità fenotipica. Cofattori di rischio di danno epatico sono alcol, virus, NASH. Il
gene HFE difettoso causa sideropenia nelle cellule dell’intestino tenue per cui l’assorbimento
di ferro da parte di queste diviene sregolato. L’esordio è in genere dopo un forte accumulo,
ossia dopo i 40 anni. Il danno epatico varia da lieve aumento transaminasi ed epatomegalia ad
una cirrosi (con rischio aumentato di epatocarcinoma). Può causare diabete, disfunzioni
endocrine, iperpigmentazione cutanea, artralgie, cardiomiopatia da accumulo.
2. Emocromatosi tipo 2: gene HJV (2A) o epcidina (2B). Più accumulo, esordio tra i 20 e i 30 anni.
3. Emocromatosi 3: gene TfR2, clinica come la 1.
4. Emocromatosi 4: malattia da ferroportina. Tra i 10-50 aa. Si ha accumulo soprattutto in
macrofagi e cellule do Kupffer, con anemia e epatopatia cronica. È l’unica AD.
In genere l’emocromatosi in età adulta è definita classica. Più rare sono le forme giovanili (prima dei
30 anni) e ancor di più quelle neonatali (che richiedono trapianto di fegato nei primi mesi di vita).
• Emocromatosi secondarie: sono spesso dovute a: anemie emolitiche e talassemia (da un lato
per l’aumentato assorbimento di ferro e dall’altro per le continue trasfusioni) in genere trattate
con deferoxamina (E.C. neurotossici: ipoacusia neurosensoriale, tinnitus, danno retinico). Altre
cause sono: siderosi alcolica o siderosi in corso di epatopatie croniche.
Clinica: Cirrosi epatica (75%), epatosplenomegalia (90%). Spesso carcinoma epatocellulare come
complicanza della cirrosi (la diagnosi precoce con alfafetoproteina + eco). Diabete mellito,
iperpigmentazione della cute (specie ascelle), cardiomiopatia da accumulo di metallo (disturbi del
ritmo, IC), disturbi endocrini secondari a lesioni ipofisarie (ipogonadismo, amenorrea, ipotiroidismo),
dolori articolari (articolazioni carpo-metacarpali).
Diagnosi: in laboratorio si valuta: ferritina sierica (>300 microgrammi/l) e la percentuale di
saturazione della transferrina (=ferro sierico: capacità legante del ferro tot x 100) e ferritina a digiuno
(proteina di fase acuta è spesso aumentata anche in tumori come linfomi). Pertanto:
• Se FS è normale e ST<45%: si ritesta dopo un anno.
• Se ST>45%: si determina il genotipo cercando la mutazione C282Y in omozigosi (tipica
dell’emocromatosi 1, gene HFE sul cromosoma 6). Se assente si cercano gli altri geni e si
escludono altre cause di patologie epatiche. Se presente si procede ai salassi (si preferisce
effettuare prima una biopsia epatica in pazienti di età superiore ai 40 anni e ferritinemia
>1000ng/ml o elevate transaminasi.
Si può fare anche biopsia epatica ed evidenziare l’HIC, ossia la concentrazione epatica di ferro o l’HII
(indice epatico di ferro, ovvero rapporto fra concentrazione di ferro e età >1,9).
TC/RMN possono permettere una valutazione semiquantitativa del contenuto epatico di ferro.
Terapia: Dieta povera in ferro, vietati gli alcolici. Salassi settimanali da 500 ml per tenere la ferritina
sotto i 50 microgrammi/l. Dopodiché diventano 4 in un anno. In caso la terapia con salassi sia
controindicata (anemia IC) si usano chelanti del ferro, come deferoxamina.
Prognosi: aspettativa di vita normale se paziente preso in una fase pre cirrotica, peggiore se c’è cirrosi.
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Malattia di Wilson: malattia da accumulo di rame, ereditaria, monogenica AR causata da
un’alterazione dell’ATPasi7B che serve al trasporto di rame fuori dall’epatocita, con conseguente
alterazione dell’eliminazione biliare del rame. Nonostante l’aumentata eliminazione renale vi è
accumulo di rame in fegato, cervello e cornea. Più di 200 diverse mutazioni, con presentazione molto
variabile ed esordio a varie età, spesso prima dei vent’anni. L’incidenza mondiale è di 1-2/100000, ma
ad es. in Sardegna è 1/6000 per l’effetto fondatore.
Clinica: grande eterogenicità clinica, diagnosi tardiva. L’età d’esordio è spesso intorno ai 12 anni con
manifestazioni sopra fegato e SNC. Quelli con manifestazioni epatiche hanno mortalità maggiore:
• Manifestazioni epatiche: può iniziare con epatomegalia e dolore addominale con transaminasi
rialzate, raramente epatite fulminante (100% mortalità senza trapianto). Evolve verso la cirrosi.
• Manifestazioni neuro-psichiatriche: distonia degli arti, tremori, disturbi locomozione,
scrittura e disfagia, disartria, a volte fino spasticità e discinesia. Irritabilità e depressione.
• Manifestazioni oculari: Nel 90% di quelli con disturbi neurologici e nel 50% di quelli epatici
c’è anello di Kayser-Fleischer con deposito di sali di rame nella cornea a livello della
membrana di Descemet.
• Altro: anemia emolitica e trombocitopenia dovute a danno ossidativo, a volte accumulo
renale con proteinuria ed ematuria (sindrome di Fanconi), colelitiasi e pancreatite, anche
ipogonadismo, infertilità ed amenorrea oltre che maggiore rischio di complicanze in
gravidanza. Può aversi una cardiomiopatia con disturbi del ritmo.
Diagnosi: Criteri di Sternlieb: almeno due manifestazioni tra: anello visibile con lampada a fessura,
sintomi neurologici e cerulopasmina sierica <15mg/dl (può però essere bassa in molte condizioni che
diminuiscono le proteine circolanti e più alta in condizioni che aumentano gli estrogeni come la
gravidanza e nell’infiammazione). Se normale e non c’è anello si può valutare cupruria ( >250
microgranni/Tag e alta anche in altre epatopatie e in malattia di Wilson eterozigote), cupremia e
contenuto epatico di rame >250microg/g (normalmente è sotto i 50). Altri valori sono Cu sierico
totale <70 microg/dl; Cu sierico libero >10 micg/dl.
Test di carico della penicillammina: si verifica dopo somministrazione di penicillammina un netto
aumento dell'eliminazione di rame nelle urine dell 24h. Test al rame marcato: somministrazione via
orale di 64Cu , normalmente si assisterebbe a un doppio picco di raddioattività. Nella malattia di
Wilson manca il secondo picco ( che corrisponde all'inclusione del rame nella ceruloplasmina).
La diagnostica genetica è evitata a causa delle molte mutazioni. Si può anche fare RMN cerebrale
(atrofia n. della base; pure monitorare terapia, le alterazioni sono reversibili), e anche SPECT.
Terapia: Controllo dieta con acqua con contenuto di rame controllato, no fegato e crostacei e no
integratori vitaminici. Si usano chelanti per pazienti sintomatici, sali di zinco per pazienti
presintomatici e per la terapia di mantenimento. Si usano agenti chelanti: Penicillamina D che
mobilizza il rame dai tessuti e ne aumenta l’escrezione urinaria, ha numerosi effetti collaterali e nel 20-
30% dei casi viene sospeso, associata a volte a piridossina, a volte può causare all’inizio un
peggioramento dei sintomi neurologici. Alternativa è la trientina. Oltre agli agenti chelanti ci sono i
sali di zinco che interferiscono con l’uptake del rame nel GI e inducono le metallotionine di enterociti
e fegato (legano il rame). Pochi effetti collaterali. Il più tollerato è l’acetato di zinco.
Se c’è epatopatia scompensata farmaco-resistente si fa trapianto di fegato con 80% di sopravvivenza.
La cirrosi epatica
Patologia caratterizzata da fibrosi con formazione di setti di tessuto connettivo e noduli di
rigenerazione. È secondaria ad una necrosi e infiammazione, con sostituzione di tessuto epatico con
tessuto fibroso, capillarizzazione dei sinusoidi, formazione di shunt porto-centrali e quindi
formazione di noduli con sconvolgimento della struttura epatica.
Anatomia patologica: può essere micronodulare (come in genere l’alcolica) o macronodulare (spesso
la virale) se i noduli sono <o> di 3 mm. Anche mista.
Epidemiologia: Mortalità di 20/100000, più maschi, al nord più alcolica al sud più virale. 30-
60/100000 all’anno (26000).
Eziopatogenesi: è l’esito finale di molte epatopatie croniche. Le cause virali e alcoliche sono quasi il
90% (virus B, C e D), a volte miste. Altre forme: metaboliche, iatrogene, autoimmuni, colestatiche, da
cause vascolari sono più rare. Si può dire criptogenica se la causa non è chiara. La causa di cirrosi è la
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progressiva fibrosi (setti attivi e passivi) e deposizione di collagene (I e III) che comporta prima
deposito nello spazio di Disse e capillarizzazione dei sinusoidi, poi formazione di shunt vascolari
dentro il tessuto fibroso residuato. Avviene necrosi porto-portale e porto-centrale, con architettura
sovvertita, epatociti che si ritrovano all’interno di noduli di rigenerazione e che proliferano.
Clinica: se compensata può non dare alcun sintomo evidente. Nella sintomatologia distinguiamo:
• Sintomi generali: astenia, peso epigastrico, meteorismo, nausea, eventuale calo ponderale.
• Segni cutanei: spider naevi (specie torace e volto), eritema palmare e plantare, labbra e lingua
patinata, prurito, atrofia cutanea, contrattura di Dupuytren.
• Disturbi ormonali: nell’uomo possibile perdita di peli, impotenza, atrofia testicolare,
eventuale ginecomastia. Nella donna disturbi mestruali, eventuale amenorrea secondaria.
• Sintomi specifici dell’eziologia: Wilson, emocromatosi, segni di epatite, etc.
• Segni di cirrosi scompensata (complicanze): ittero, diatesi emorragica, malnutrizione,
ipertensione portale (e conseguenze), encefalopatia e coma, epatocarcinoma (tardivo).
Diagnosi: oltre alla clinica si può rilevare: fegato ingrossato e bozzoluto, splenomegalia, ascite.
• Laboratorio: Indici di diminuita sintesi epatica: fattori di coagulazione dipendenti dalla
vitamina K (II, VII, IX, X) diminuiti, antitrombina diminuita, albumina diminuita, bilirubina
aumentata. Ipergammaglobulinemia. Trombocitopenia in caso di ipersplenismo.
Encefalopatia epatica: ammoniemia aumentata. Possono essere aumentati: transaminasi,
LDH, ALP e gamma-GT.
• Ecografia: superficie epatica irregolare, parenchima disomogeneo, margine epatico
arrotondato, riduzione del flusso nella vena porta in caso di ipertensione portale, fibrosi.
• Fibroscan: misura la velocità di propagazione nel fegato di un’onda a bassa frequenza.
Terapia:
• Trattamento sintomatico: evitare alcol e farmaci epatotossici. Trattare fattori scatenanti come
le infezioni. Sospendere diuretici e sedativi. Ridurre i metaboliti tossici (ammoniaca,
mercaptano, GABA): diminuire il catabolismo proteico somministrando glucosio. Ridurre
l’apporto proteico a 1g/die. Sopprimere la flora batterica intestinale attraverso disaccaridi
come il Lattulosio (effetti collaterali: diarrea e nause) o il lacticolo.
• Trattamento malattia di base e trattamento delle complicanze.
• Follow-up epatocarcinoma: ecografia e dosaggio alpha-fetoproteina ogni 6 mesi.
• Trapianto di fegato: il trapianto di parte di fegato si utilizza prevalentemente nei bambini. Il
tasso di sopravvivenza è dell’80% a 5 anni. Complicanze: rigetto del trapianto (si utilizzano
corticosteroidi, anticorpi monoclonali, ciclosporina A). Gli effetti collaterali saranno infezioni,
nefrotossicità e ipertensione (ciclosporina), osteoporosi (corticoidi).
Prognosi: dipende dall’eziologia e dalla presenza di complicanze. Per valutare la gravità si utilizza
l’indice di Child-Pugh che valuta: Albumina sierica: (se <2,8 g/dl 3 punti); Bilirubina sierica (se >3
mg/dl 3 punti); Tempo di Quick (se <40% 3 punti); Ascite all’ecografia (se è di grado medio, 3 punti);
Encefalopatia (se di III-IV grado, 3 punti). Si assegna ad ognuno dei parametri un punteggio da 1 a 3.
• Child A: 5-6, sopravvivenza a 1 anno quasi del 100%. A 5 anni 75%.
• Child B: 7-9, sopravvivenza a 1 anno circa dell’85%. A 5 anni 40%.
• Child C: 10-15: sopravvivenza a 1 anno circa del 35%. A 5 anni 20%.
La morte sopraggiunge per insufficienza epatica ed encefalopatia, emorragie, sindrome epato-renale,
peritonite batterica spontanea ed epatocarcinoma (2-3 casi/100 cirrotici all’anno).
Complicanze della cirrosi epatica: caratterizzano la cirrosi scompensata. Il 10% di cirrosi compensate
ogni anno diventa scompensata. Le più importanti sono ipertensione portale ed encefalopatia.
Ipertensione portale
Si definisce come un aumento pressoio nella vena porta >12 mmHg. Nel soggetto sano la pressione
nella vena porta è di 3-6 mmHg. Nella cirrosi sia le alterazioni funzionali, sia le anomalie
dell’architettura (come fibrosi, trombosi vascolare) portano all’aumento delle resistenze epatiche e
quindi all’ipertensione portale vasodilatazione splancnica ipovolemia con aumento del flusso
portale attivazione del sistema renina angiotensina. Quest’ultimo aumenta la volemia e pertanto
la gittata e quindi aumenta ancora l’ipertensione portale in un circolo vizioso.
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Eziologia: le cause di ipertensione possono essere:
• Blocco preepatico: trombosi della vena porta (da poliglobulia, contraccettivi, compressione per
tumori o cisti, ferite).
• Blocco intraepatico: Presinusoidale (cisti, metastasi), Sinusoidale (cirrosi), Post-sinusoidale.
• Blocco post-epatico: sindrome di Budd-Chiari, altre cause di occlusione vene epatiche,
pericardite costrittiva, insufficienza cardiaca destra o completa.
Conseguenze dell’ipertensione portale: queste sono principalmente:
1. Formazione di circoli collaterali ed emorragie: In caso di ipertensione portale, le numerose
connessioni tra vasi tributari della vena porta e della cava vanno incontro a ipertrofia e
sviluppo di un circolo collaterale. Abbiamo: varici esofagee (vena gastrica sinistra-plessi
venosi esofagei), emorroidi (vene emorroidarie superiori-vene emorroidarie medie e inferiori),
caput medusae (vene paraombelicali e ombelicali-vene superficiali dell’addome) e altri.
Una delle più temute complicanze dell’ipertensione portale sono però le varici esofagee, che si
accompagno ad un elevato tasso di mortalità. Il 70-80% dei cirrotici va incontro a formazioni di varici
esofagee entro 5 anni. Si tratta di varici (vaso venoso che per cedimento si dilata e diventa tortuoso) a
carico del plesso sotto-mucoso dell’esofago.
Clinica: la principale complicanza delle varici è la rottura, associata a forte sanguinamento. Pare che
la causa della rottura siano “colpi” ipertensivi legati a tosse, sforzi fisici, etc. Il rischio di morte al
primo episodio emorragico è 30-50% e rimane all’incirca tale anche in caso di recidiva. Il rischio di
morte e risanguinamento è molto elevato durante le prime 3-5 settimane dall’episodio emorragico e
per questo è importante intervenire precocemente.
Diagnosi: si usa l’endoscopia digestiva con video endoscopio che permette una buona visione delle
varici che si presentano come cordoni longitudinali serpiginosi occupanti da 1/3 a tutto l’esofago.
Classificazione del rischio emorragico: dipende dalla presenza di strie rosse e dal grado Child-Pugh.
Altre tecniche di diagnosi sono: Tc-spirale, angio-RMN, angiografia, portografia, esame manometrico
(utile perché una pressione differenziale di 12mmHg tra porta e arterie epatiche è a rischio emorragia).
1) Profilassi del primo sanguinamento: visto l’elevato rischio di mortalità si fa:
• Terapia medica farmacologica: beta-bloccanti adrenergici non selettivi (propanololo, le
controindicazioni sono diabete, bronco pneumopatia). Si deve cercare di ridurre il gradiente
porto epatico a meno di 12. Si possono usare anche nitrati (isosorbide-5monoitrato).
• Se la terapia medica non si può fare o non ha effetto si fa legatura endoscopica delle varici
2) Terapia dell’emergenza emorragica:
• Rianimazione: accessi venosi per infusione di sangue e liquidi, sondino naso-gastrico ampio
per valutare la presenza di sangue, trattamento di eventuali deficienze coagulative e infusione
di sangue o plasma expanders. Prevenzione degli ab ingestis, possibile intubazione,
trattamento antibiotico, bilanciamento idro-elettrico, lattulosio per prevenire l’encefalopatia.
• Endoscopia d’urgenza e terapia endoscopica: è la diagnosi di certezza, si fa quando il paziente
è stabile. Si può eseguire contestualmente terapia con scleroterapia o legatura endoscopica.
• Farmaci: Sono farmaci vasoattivi che riducono la portata ematica delle varici come:
gliopressina (spesso associata a nitroglicerina), somatostatina, octreotide.
• Sonda di Sengstaken-Blakemore: garantisce emostasi per compressione Non più di 6-8 ore.
• TIPS o derivazione porto-cavale chirurgica: chirurgia d’urgenza con derivazioni portocavali
oppure TIPS (shunt porto-sistemico trans giugulare intraepatico).
3) Profilassi della recidiva emorragica: rischio quasi del 70% entro l’anno.
• Farmaci: beta-bloccanti associati o no ai nitrati long acting.
• Terapia endoscopica: gli interventi possibili sono essenzialmente due:
o Scleroterapia: si iniettano nel lume vasale e a livello perivascolare sostanze che
inducono tromboflebite e quindi sclerosi delle varici.
o Legatura endoscopica: dispositivo più semplice che ha sostituito la scleroterapia.
• Interventi chirurgici derivativi: ormai si fanno solo shunt selettivi. Tra questi ultimi:
Intervento di Inokuchi: si anastomizza alla cava la sola gastrica di sinistra (funziona poco);
Shunt splenorenale distale di Warren: si isola la vena splenica (e si anastomizza con la renale
di sinistra. In questo modo si abbassa la pressione detendendo le varici esofagee.
• TIPS e trapianto di fegato: la TIPS non è indicata in caso di encefalopatia e Child C.
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2. Ipersplenismo: o splenomegalia congestizia. Di frequente riscontro nei pazienti con
ipertensione portale. È una condizione di trombocitopenia, leucopenia e raramente
eritrocitopenia che si associa a splenomegalia. Più grave in caso di blocchi preepatici.
È fondamentalmente dovuto ad un aumento del sequestro, piuttosto che alla distruzione di elementi
figurati. Bisogna tuttavia sempre essere cauti a porre indicazione a splenectomia.
3. Ascite: accumulo di liquidi sierosi nella cavità peritoneale. L’ascite può essere da causa portale,
ma anche cardiaca (pericardite costrittiva o insufficienza), neoplastica, infiammatoria, etc.
In corso di cirrosi epatica l’ascite è dovuta a vari fattori: ipertensione portale con ipervolemia dei vasi
splancnici, aumentata produzione linfatica, ipoalbuminemia, aumentato riassorbimento di sodio.
Clinica: aumento della circonferenza addominale, aumento di peso, addome globoso in piedi e
deborda in posizione supina, ombelico estroflesso, eventuale dispnea.
Dimostrazione dell’ascite: ballottamento, ottusità addominale, ecografia o anche TC o RMN.
Esame del liquido ascitico: puntura con controllo ecografico. Si valuta: albumina, LDH, esame
batteriologico e citologico (leucociti, cellule tumorali).
Complicanze dell’ascite: esofagite da reflusso, dispnea, ernie, idrotorace, aumentato rischio di
emorragia delle varici esofagee. La complicanza più importante è però la peritonite batterica
spontanea (PBS). Gli agenti sono soprattutto cocchi E. Coli e cocchi Gram +. Raramente si presenta
con febbre e dolore addominale. All’esame del liquido ascitico avremo granulociti elevati e sarà
possibile trovare il germe nel liquido ascitico. La comparsa di PBS in un paziente con cirrosi epatica è
segno di prognosi infausta (letalità fino al 50%).
Terapia: Casi lievi: può bastare la restrizione del sodio (2g/die). Si possono utilizzare anche
antagonisti dell’aldosterone (spironolattone) che causa aumento della sodiuria e colo ponderale.
Casi di media gravità: aggiungere un diuretico d’ansa (furosemide o torasemide). Il riassorbimento
dell’ascite deve essere graduale (non superare un calo ponderale di 500 g al giorno). La terapia
diuretica può causare sindrome epatorenale, peggiorare l’encefalopatia, causare iposodiemia o
ipopotassiemia. L’ascite refrattaria alla terapia non risponde a questi trattamenti e ha prognosi
sfavorevoli. Si possono effettuare: paracentesi (+ infusione di albumina), TIPS, trapianto.
Terapia PBS: cefalosporine di 3° generazione (cefotaxime, ceftriaxone) e inibitori della girasi.
Encefalopatia epatica: complicanza comune della cirrosi dovuta alla presenza di sostanze
neurotossiche nel sangue (soprattutto ammoniaca, ma anche mercaptano, fenoli, acidi grassi, etc.). Il
danno al SNC è dovuto all’insufficienza epatica (mancata detossificazione) e alla formazione di circoli
collaterali (quindi “salto” della circolazione epatica) anche iatrogeni (la TIPS la peggiora).
Clinica: alterazione coscienza e funzione neuromuscolare. 20% dei cirrotici, 50% in quelli con
interventi di shunt porto-sistemico. Se non c’è manifestazione evidente si usano test psicometrici
come il number connection test (stadio 0). Di vario grado: da leggero disorientamento, rallentamento,
flapping tremor (I), a sintomi più netti (II), profonda alterazione coscienza e confusione (III), a coma
(IV). Può essere episodica, cronica o ricorrente. A volte avviene a seguito di fattori precipitanti quali
stipsi, emorragie, infezioni, diete iperproteiche, eccesso diuretici. Ammoniemia >100mg/dl.
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PANCREAS
Pancreatite acuta
È una malattia infiammatoria acuta, con distruzione del parenchima ghiandolare per fuoriuscita dal
sistema duttale degli enzimi pancreatici attivati. Può essere distinta in lieve (miniima alterazione
dell’organo e no complicanze) e severa (associata a insufficienza d’organo o complicanze e alterazioni
sistemiche e dello stato generale). Vi è la possibilità di completa restitutio ad integrum.
Eziologia: vi sono diversi fattori in grado di scatenare una pancreatite acuta, anche idiopatica:
• Calcolosi biliare: associata al 60% dei casi di pancreatite acuta, forse dovuta ad ostruzione del
dotto di Wirsung e/o reflusso di bile e soprattutto di enzimi pancreatici.
• Alcolismo: forse responsabile di quasi il 30% dei casi. Pare sia dovuta a stimolazione vagale,
maggiore sensibilità dei recettori pancreatici alla secretina, aumento di gastrina. Si ha
aumentata contrattura dello sfintere di Oddi e maggiore concentrazione di proteine nel secreto
pancreatico che potrebbero creare aggregati (plug) e ostruire i dotti.
• Ipercalcemia: da iperparatiroidismo, mieloma, sarcoidosi, etc. L’eccessiva concentrazione di
calcio nel succo pancreatico ne favorirebbe la precipitazione e quindi ostruzione.
• Iperlipoprotineimie familiari: danno vascolare da acidi grassi scissi dalle lipasi.
• Interventi chirurgici recenti: che interessino il pancreas o le strutture circostanti. Anche ERCP,
interventi di gastroresezione e splenectomia, circolazione extracorporea.
• Malattie vascolari: aterosclerosi e vasculite possono causare pancreatite su base ischemica.
• Cause iatrogene: da estrogeni, corticosteroidi, tetracicline, mezzi di contrasto, CPRE.
Patogenesi: la pancreatite è dovuta all’azione degli enzimi pancreatici stessi sul parenchima. La
tripsina attiva i proenzimi in lipasi, proteasi, fosfolipasi ed elastasi. Inoltre attiva il complemento e
quindi l’infiammazione. Normalmente vi sono dei sistemi di inattivazione, cioè antiproteasi come
l’alpha1-antitripsina . La pancreatite si genera quando non vi è più equilibrio tra questi due sistemi.
Anatomia patologica: le lesioni sono: edema, emorragie endoparenchimali e necrosi.
Manifestazioni sistemiche: l’azione enzimatica tossica può diffondersi ed indurre effetti sistemici,
oltre che locali. Vi è spesso formazione di trasudato ed essudato nel retro peritoneo, ma anche in
regioni distanti dal pancreas (sottocutaneo, interstizio polmonare, cavità peritoneale). Vi può essere
ipotensione (per diminuzione delle resistenze periferiferiche, forse associata a liberazione di sostanze
vasoattive o a ipoalbuminemia che causerebbe anche i trasudati), ipocalcemia (perdita di calcio per
precipitazione o forse riduzione della sensiblità al paratormone nell’osso). Vi è in sostanze un quadro
talvolta settico e ipotensivo. Questo si associa nei casi gravi a insufficienza renale e insufficienza
respiratoria (quadro polmonare simile all’ARDS, dovuto forse alle fosfolipasi circolanti che
causerebbero lesioni delle membrane basali).
Clinica: una pancreatite lieve si associa in genere a dolore addominale lieve che recede in 2-3 giorni.
La pancreatite severa è associata a dolore epigastrico intenso, costante e spesso con distribuzione a
barra (anche ipocondri) o a cintura (anche fianchi e dorso). Il quadro può essere quello di un addome
acuto. Vi è frequente distensione addominale, nausea e vomito, febbre, ileo, contrattura di difesa
(incostante), ipotensione. Il dolore è trafittivo e non risponde bene agli analgesici (gli oppioidi
aumentano il tono dello sfintere di Oddi e lo peggiorano, meglio salicilati). Il paziente appare spesso
con le cosce flesse sull’addome e piegato. Il dolore è comunque improvviso e di grado molto alto.
Esame obiettivo: possibili ecchimosi sui fianchi (segno di Gray-Turner) o periombelicali (di Cullen)
indicativi di stravaso ematico. A volte vi è ileo paralitico, distensione meterorica e contrattura
muscolare. È frequente l’ittero, franco o sclerale. Vi può essere quadro shock con tachicardia,
ipotensione, disidratazione, insufficienza respiratoria, oliguria e insufficienza renale, iperglicemia,
respiro di Kussmaul, tetania da ipocalcemia, etc. Possibile comparsa di versamento pleurico, febbre.
Complicanze: le più frequenti sono: formazione di ascessi o pseudo cisti, raccolta acuta di liquidi,
necrosi pancreatica. Altre complicanze sono: tetania (da ipocalcemia), diabete mellito (per estensione
alla componente endocrina), emorragie gastrointestinali, insufficienza renale acuta, quadro di
distress respiratorio (ARDS), encefalopatia pancratica (per azione degli enzimi sulla mielina e la
possibile insufficienza epatica), tromboflebiti, fistole e perforazioni intestinali.
Diagnosi: oltre ad anamnesi, clinica ed esame obiettivo, sono fondamentali: Esami di laboratorio:
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• Amilasemia: nei primi 2-3 giorni di sintomi vi è aumento dell’amilasi nel sangue che però può
regredire, soprattutto se vi è ampia distruzione della ghiandola. All’inizio aumenta di 3-5
volte. È poco specifica, si riscontra anche in occlusioni intestinali o ad esempio nell’ulcera
gastroduodenale, carcinomi del pancreas, patologie delle ghiandole salivari, insufficienza
renale, malattie polmonari, ustioni. L’entità dell’elevazione non è un indice di gravità.
• Amilasuria: si raccolgono urine nelle 2 o meglio 24 ore. Può restare elevata per più giorni.
• Altri valori alterati: transaminasi, LDH, lipasemia (più accurata e duratura dell’amilasemia),
bilirubina, gamma-GT, fosfatasi alcalina. Inoltre si ha leucocitosi neutrofila, aumento VES,
acidosi respiratoria. Anche ipocalcemia, ematocrito elevato, aumento della glicemia, riduzione
dei livelli di C3 e C4.
Poiché durante una pancreatite acuta la clearance renale dell’amilasi è superiore a quella della
creatinina si suole usare il rapporto: amilasuria/amilasemia x creatininemia/creatininuria x100. Se
questo è < 3 è improbabile la pancreatite. Possibile tra 3 e 5, probabile se è > 5.
Diagnosi strumentali: Rx addome: può evidenziare livelli idroaerei e dilatazione intestinale. L’ansa
sentinella è quando il livello idroaereo (segno di ileo paralitico) è in corrispondenza della prima ansa
digiunale (quadrante superiore sinistro). Anche possibile il segno del colon escluso (distensione
gassosa del colon ascendente, ma il discendente è vuoto). Rx torace: sempre utile, può evidenziare un
versamento pleurico. Ecografia addominale: è complessa per il pancreas, può evidenziare edema,
calcoli, dilatazione delle vie biliari, pseudo cisti.
Un indagine di secondo livello è la TC con mdc: indagine che fornisce più informazioni e consente di
valutare anche la gravità della pancreatite: grado A (pancreas normale), B (edema del pancreas), C
(edema anche del grasso peripancreatico), D(presenza di un flemmone), E (presenza di due o più
raccolte liquide o di aria nel tessuto pancreatico o peripancreatico). ERCP: è sconsigliata.
Diagnosi differenziale: distinguere da colica biliare, colecistite acuta, ulcera peptica perforata,
occlusione intestinale, infarto mesenterico, rottura di aneurisma aortico.
Valutazione della gravità: segni correlati a mortalità più elevata sono i criteri di Renson:
• Criteri iniziali: età>55 anni, leucociti>16000, glicemia>200, LDH>350, SGOT>250.
• Dopo 48 ore: riduzione dell’ematocrito, azotemia >50, calcemia <8, PO2 <60, deficit di basi e
sequestro di liquidi (>600 ml).
Segno prognostico sfavorevole è pure rilevazione di liquido peritoneale bruno alla paracentesi.
Per definire una pancreatite severa (e iniziare quindi i procedimenti terapeutici adatti) si usa però il
sistema prognostico di Glasgow: Comparsa di 3 o più alterazioni tra: glicemia >180, leucociti>15000,
LDH>600, azotemia >96, GOT>200, calcemia<8, albumina<3,2, PO2<60.
Il sistema APACHE II valuta invece lo stato generale del paziente.
Terapia medica: gli obiettivi della terapia sono ridurre la secrezione pancreatica, correggere lo
squilibrio elettrolitico e ripristinare l’equilibrio acido-base. Assistenza generale:
• Dolore: si utilizzano analgesici non oppiodi come Meperidina o FANS.
• Funzione respiratoria: si esegue un EGA ed eventuale ossigenoterapia se PaO2<60.
• Protezione pancreatica: si posiziona un sondino naso-gastrico (per aspirare le secrezione
acide gastriche) e il paziente deve stare a digiuno per 1-2 settimane. Si attua perciò nutrizione
parenterale totale (riduzione della stimolazione pancreatica). Si può fare inibizione
secrezione gastrica (PPI o anti-H2) e pancreatica (Somatostatina, Octreotide).
• Mantenimento della volemia e dell’equilibrio elettrolitico: frequenti alterazioni.
• Eventualemente associare: terapia antibiorica, farmaci antiproteasici (Aprotinina).
• Si può eseguire il lavaggio peritoneale allo scopo di rimuovere dal peritoneo i succhi
enzimatici pancreatici e le sostanze tossiche presenti.
Terapia chirurgico-interventistica: estrema discordanza sui tempi e le modalità di intervento:
• Intervento chirurgico precoce: può essere indicate la rimozione di un’ostruzione biliare
attraverso papillosfinterotomia con ERCP (si dovrà poi fare colicistectomia per le
complicanze). Se c’è pancreatite acuta severa può essere indicato un intervento rapido di
pancreasectomia parziale o torale (alta mortalità).
• Trattamento complicanze: le infezioni pancreatiche (ascessi, pseudo cisti) si risolvono con
drenaggio chirurgico e antibioticoterapia.
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Pancreatite cronica
Patologia infiammatoria multifattoriale, con presenza di fibrosi e istoflogosi sia acinare che endocrina.
Danno irreversibile. A volte episodi ricorrenti tipo pancreatite acuta, meno spesso dolore continuo. Si
ha sempre meno dolore, ma più malassorbimento e diabete. L’alcol è una delle principali cause.
Etiopatogenesi: Più uomini. 10-15/100000 all’anno. Esiste ereditaria. Alcol e fumo sono fattori di
rischio. L’abuso etilico è associato nel 40%, dipende da dose e durata (più se >80g/die). È dovuta ad
un’ostruzione del sistema duttale pancreatico. Probabilmente le cause di ostruzione sono molteplici e
associate a processi flogistici, neoplastici, cicatriziali dopo necrosi e soprattutto la litiasi biliare. Si ha
man mano atrofia acinare e poi anche endocrina. L’alcol e il fumo, oltre che avere effetto citotossico e
favorire la flogosi hanno anche l’effetto di causare stenosi. Può essere anche autoimmune tramite
immunità immuno-mediata. Vi sono anche cause ereditarie (anche pancreas divisum).
Clinica: il principale sintomo è il dolore, continuo o intervallato da benessere, epigastrico ma diffuso
anche a ipocondri (a barra) e posteriormente (a cintura), esacerbato da alcol e cibo. Con il tempo il
dolore si riduce ed aumentano sintomi endocrini e di malassorbimento. La mal digestione si
caratterizza per perdita di peso, crampi, flatulenza e gonfiore, alvo alterato con possibile steatorrea (e
a volte anche deficit di vitamine liposolubili). L’insufficienza endocrina insulina, ma anche glucagone.
Complicanze: Lesioni cavitarie: pseudo cisti dopo necrosi e cisti da ritenzione (a seguito di
ostruzione). Ostruzione duodenale: nei casi di distrofia cistica della parete. Ittero: compressione
coledoco da cisti o edema/flogosi (spesso forte nell’autoimmune). Calo ponderale (dolore→ meno
cibo), diabete, malassorbimento. Si può avere ascite pancreatica per rottura del sistema duttale.
Adenocarcinoma pancreatico: più rischio come in molte patologie infiammatorie croniche.
Diagnosi: Laboratorio: amilasemia e lipasemia caratterizzano (se aumentate di 3-5 volte, per non
confonderle con altre patologie) le riacutizzazioni. Per lo stato esocrino: valutazione grassi fecali (o
semplicemente peso fecale), elastasi 1 fecale (se minore di 200microg/g).
Endocrino: valutazione glicemia e diabete, detto pancreatogenico o tipo IIIc (il diabete da PC può
essere da deficit di insulina o da insulino-resistenza).
Diagnosi strumentale: la CPRE è sempre meno importante in quanto si usa TC,RM,EUS (per valutare
il danno) ed ECRM. La radiografia dell’addome solo se ci sono calcificazioni. L’ecografia
(eventualmente dopo stimolo con secretina per meglio vedere il Wirsung) è per la sua semplicità un
esame di primo livello. La metodica ottimale è forse CPRM, che si preferisce nei bimbi (no radiazioni)
ed è sensibili come l’EUS e TC, non invasiva come la TC, precisa morfologicamente come la CPRE.
Inoltre se associata a somministrazione di secretina permette di vedere meglio il dotto principale, con
stenosi e disfunzioni papilla e di valutare la riserva esocrina di parenchima pancreatico.
Terapia:
1) Controllo fasi acute come nella pancreatite acuta.
2) Trattamento del dolore: nella fase acuta è come nella pancreatite acuta, anche con gabesato
mesilato. Il dolore da PC è nocicettivo, neuropatico e psicogenico, da ipertensione duttale, stenosi
biliare e flogosi. Prima di tutto no alcol e fumo. Poi FANS e oppioidi minori (tramadolo). Poi oppioidi
maggiori (morfina, buprenorfina). Anche antidepressivi come triciclici e inibitori del reuptake della
serotonina. Anche enzimi pancreatici (si ha così meno CCK che ha effetto algogeno) e antiossidanti.
Per evitare il calo di peso si danno enzimi pancreatici (almeno 30000U di lipasi per pasto) dieta con
pochi grassi ma ipercalorica e con polivitaminici. Metilprednisolone per la autoimmune. Il diabete di
tipo III è instabile (con spesso ipoglicemia per mancata contro regolazione da glucagone) e si
preferisce trattarlo con insulina più che antidiabetici orali.
Terapia endoscopica: CPRE con sfinterotomia per risolvere ostruzione Oddi o Wirsung. Se c’è
calcolosi difficile si consiglia prima litotrissia extracorporea con onde d’urto (ESWL). Con CPRE si
possono anche posizionare protesi plastiche (stent) attraverso la papilla per bypassare il sistema
duttale. Anche drenaggio cisti.
Terapia chirurgica: nei casi molto gravi con interventi: derivativi (anastomosi tra Wirsung e un’ansa
digiunale), demolitivi (asportazione parte di parenchima con più flogosi, misti. Derivativo è meglio
perché risparmia il pancreas, ma talvolta soprattutto in caso di autoimmune o da distrofia cistica è
meglio il demolitivo (ci può essere sospetto di cancro).
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INTESTINO
Morbo di Crohn: infiammazione granulomatosa cronica, su base immunitaria, che può coinvolgere
tutto il tratto intestinale. Le sedi più frequenti sono ileo terminale, valvola ileocecale e cieco.
Anatomia patologica: la parete intestinale è rigida e ispessita, il mesentere edematoso, i linfonodi
aumentati di volume. Le lesioni interessano la parete in tutto lo spessore e sono discontinue (a salto).
Il lume intestinale è ridotto di calibro. All’inizio ci sono ulcere aftoidi superficiali serpiginose e
discontinue, intervallate ad aree sane (ma con edema). Le lesioni però possono estendersi e raramente
causare anche perforazione della parete. Si possono formare anche adesioni e fistole (in genere
entero-enteriche). Si possono avere ascessi e flebiti. L’ileite può dare luogo anche a fistole che
conducono all’esterno, l’infiammazione del retto a vagina o uretra. Si ha dunque una flogosi cronica
granulomatosa e ispessimento della parete intestinale con edema, ipertrofia e aumento di collagene.
Non è stata dimostrata una completa restitutio a integrum.
Clinica: molto varia, anche in rapporto a tipo e sede delle lesioni. Ha remissioni e riacutizzazioni.
• Sintomi generali: dolori addominali e diarrea (di solito non sanguinolenta), flatulenza.
• Sintomi acuti: simili all’appendicite con dolori colici in fossa iliaca destra, febbricola.
• Sintomi extraintestinali: più frequenti nel Crohn che nella RCU:
o Cute: dermatite, afte, eritema nodoso, pioderma gangrenoso.
o Occhi: uveite, perisclerite, irite, cheratite.
o Articolazioni: artrite, spondilite anchilosante.
o Fegato: colangite sclerosante primitiva (molto più comune nella RCU).
Complicanze:
• Fistole ed ascessi anorettali: le fistole anali sono comunemente il primo sintomo.
• Disturbi di crescita: in caso di presentazione in età infantile.
• Sindrome da malassorbimento e calo ponderale: nel 70% dei casi il Crohn coinvolge l’ileo
(con o senza colon). Può dare malassorbimento (come ridotto assorbimento di B12 con anemia
megaloblastica, ridotto acido folico o ferro) o anche malnutrizione proteico-calorica (per
anoressia e dolore, perdite intestinali, aumentato catabolismo per flogosi e febbre).
• Stenosi intestinali: eventuali sub-occlusioni. Rare le perforazioni.
• Altro: effetti collaterali farmaci, rischio di carcinomi colo rettali (meno della RCU).
Decorso: è caratterizzata da remissioni e riacutizzazioni. Durante i periodi di remissione le lesioni
intestinali non recedono mai completamente.
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Terapia: non eziologica. In fase attiva si può fare ricovero, altrimenti controllo ogni 3-6 mesi. Dipende
dalle lesioni, dal paziente, dai farmaci efficaci e la responsività e refrattarietà. Gli obiettivi sono la
remissione, prevenzione complicanze e riacutizzazione o recidiva, chiusura fistole,risparmio steroidi,
blocco manifestazioni extraintestinali e ripristino crescita.
Terapia conservativa:
• Dietetica e di supporto: se c'è malassorbimento provvedi all'apporto delle sostanze di cui c'è
carenza, profilassi osteoporosi (vit. D e calcio), smettere di fumare riduce le recidive.
• Farmacologica: Induzione della remissione: si utilizzano:
o Corticosteroidi: Terapia topica: ha minori effetti collaterali ma è utile solo in caso di
interessamento ileocecale, senza manifestazioni extraintestinali (Budesonide 3mg/die).
Terapia sistemica: Prednisone ad alte dosi (30-60 mg/die da diminuire di 5mg alla
settimana dopo la prima settimana in cui si cala di venti mg, fino al dosaggio di
mantenimento di 10 mg a giorni alterni per almeno 3 mesi). In caso di interessamento
di retto o sigma si devono aggiungere clismi di corticoidi. Nel caso di terapia con
corticosteroidi: 1/3 dei pazienti ha una remissione stabile, 1/3 diventa steroido-
dipendente, 1/3 è refrattario e necessita di immunosoppressori.
o Una valida alternativa è la Sulfasalazina.
o Immunosoppressori: Azatioprina o 6-Mercaptopurina sono indicate quando c'è
dipendenza o refrattarietà agli steroidi, frequenti recidive (più di 2/anno), ripetuti
interventi chirurgici. AZP può avere come effetti collaterali pancreatite, epatite
colestasica, depressione midollare.
o Farmaci biologici: anti-TNF come Infliximab, Adalimumab sottocutaneo per pazienti
refrattari ai CCS e non rispondenti agli immunosoprressori. 80% di successo (effetti
collaterali: infezioni opportunistiche, reazioni allergiche, neurite ottica).
o Antibiotici: il Metronidazolo (ampio spettro) o Ciprofloxacina. Rappresentano terapia
conservativa in caso di fistole, grazie al loro effetto battericida sugli anaerobi. Possono
causare intolleranza all’alcol, disturbi GI, allergia, cefalea, leucopenia.
• Farmacologica: Mantenimento remissione: il 70% dei pazienti presenta recidiva entro i due
anni. Trattare con CCS, 5-ASA, AZP ( 2/3 raggiunge una remissione permanente).
• Endoscopia interventistica: si usa in caso di segmenti stenosati per dilatarli con un palloncino
o per chiudere le fistole.
• Terapia chirurgica: recidiva nel 60-80% a 10 anni, ha solo un significato palliativo. Si usa solo
per pazienti refrattari a terapia o steroido-dipendenti. Anche stenosi, perforazione, ascessi,
fistole con altri organi (vescica). In genere si tratta di una chirurgia mininvasiva laparoscopica.
C'è resezione del tratto interessato. Ileostomia definitiva se le lesioni interessano retto e colon.
Prognosi: alto tasso di recidiva. Le complicanze costringono spesso a intervenire con la chirurgia. Per
l’aumentato rischio di carcinoma colon rettale è necessario eseguire controlli colonscopici. Il morbo di
Crohn è possibile che recidivi anche dopo chirurgia in altre parti del tubo digerente.
Rettocolite ulcerosa: malattia infiammatoria ulcerativa della mucosa che insorge nel retto e può
estendersi a colon e cieco in maniera continua.
Anatomia patologica: nel 50% dei casi è una colite distale, localizzata solo al retto (proctite) o a retto e
sigma (proctosigmoidite). Può però estendersi al colon sinistro (colite sinistra) o fino al cieco
(pancolite). Le lesioni infiammatorie si estendono solo a mucosa e sotto mucosa. Nello stadio iniziale
vi è solo mucosa arrossata ed edematosa che sanguina al contatto. Possibili piccole ulcerazioni.
Ascessi criptici (granulociti nelle cripte). Stadio cronico-avanzato: ulcerazioni recidivanti con
distruzione della mucosa, spesso formazione di pseudopolipi. Può causare atrofia della mucosa, ma
non si formano ispessimenti e stenosi. Vi è rischio di sviluppo di displasia e quindi di carcinoma colo
rettale specie in pazienti con anche colangite sclerosante e che non usano mesalazina.
Clinica: la manifestazione tipica è diarrea mucosa e sanguinolenta. Dolori addominali prima della
defecazione e febbre. Può esserci tenesmo, alterazioni varie dell’alvo. Le manifestazioni
extraintestinali sono le stesse del Crohn, con maggiore frequenza di colangite sclerosante primaria.
Complicanze: può causare anemia, astenia, calo ponderale, ma anche emorragia massiva e
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perforazione e fistole. Il megacolon tossico è una complicanza acuta grave con abnorme dilatazione
gassosa del colon. Pare che la causa sia l’estensione dell’infiammazione ai plessi nervosi mioenterici.
Manovre diagnostiche invasive, oppioidi e anticolinergici possono scatenare un megacolon tossico
(MCT). La sintomatologia è caratterizzata da diarrea ematica, intensi dolori addominali, distensione
addominale e pallore, tachicardia, febbre anche elevata e confusione. All’esame obiettivo appare ileo
paralitico. Può causare perforazione. Si hanno alterazioni elettrolitiche (calcio, fosforo e potassio, per
alterato assorbimento) e alcalosi man mano più grave.
Vi è aumentato rischio di carcinomi colo-rettali per insorgenza di displasie dell’epitelio.
Decorso: è cronico recidivante con esacerbazioni che si alternano a remissioni. Più raramente (10%) il
decorso è continuato senza che vi sia mai remissione completa. Possibile anche un decorso acuto
fulminante con diarrea colerica, febbre, disidratazione e shock.
Diagnosi: anamnesi e clinica. Ispezione anale ed esplorazione digitale del retto. Ileo-colonscopia
completa con biopsie. Bisogna eseguire colonscopie di controllo per la diagnosi precoce di carcinoma
colo-rettale con esecuzione di biopsie. Soprattutto in caso di intervento con pouch ileo-anale.
Ecografie: può dimostrare un ispessimento diffuso della parete del colon.
Laboratorio: anemia, leucocitosi, VES e PCR aumentate. Escludere una colangite sclerosante primaria
in caso si trovino alterata gamma-GT e ALP. Possono essere dimostrabili autoanticorpi: p-ANCA.
Può essere confusa con una malattia intestinale infettiva o parassitaria (Shigella e Salmonella).
Possono esserci coliti severe da sovra infezioni di patogeni come CMV (non dare immunosoppresori).
La classificazione di Truelove e Witts tiene conto di numero di evacuazioni, febbre, frequenza
cardiaca, emoglobina e VES per valutare la gravità della patologia.
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Colite microscopica: malattia intestinale cronica che causa diarrea cronica acquosa, con genesi
multifattoriale (forse i FANS sono scatenanti). Può essere collagenica (ispessimento dello strato di
colagene sub epiteliale per ridotta eliminazione) o linfocitaria (linfocitosi intraepiteliale).
Clinica: diarrea acquosa >4 settimane con attacchi intermittenti. Anche calo ponderale, dolori
addominali, diarrea notturna, nausea, meteorismo.
Diagnosi: il reperto endoscopico risulta macroscopicamente normale. Sono indicate biopsie multiple
in quanto l’interessamento è spesso discontinuo.
Terapia: sospendere i FANS. Corticosteroidi: Budesonide 6-8 settimane.
Malassorbimento: difetto nell'assorbimento di prodotti alimentari scissi nel lume intestinale e/o del
trasporto attraverso il torrente ematico e linfatico. Si associa ad affezioni dell'intestino tenue
(celiachia,infezioni intestinali, parassitosi croniche (esame parassitologico delle feci), amiloidosi
(depositi di amiloide), malattia di Whipple (infiltrazione della lamina propria da parte dei macrofagi
PAS+), deficit di lattasi (test respiratorio dell H2 ), Crohn (granulomi), amiloidosi), resezione
dell'intestino tenue, angina abdominis, linfomi maligni (infiltrazioni nella almina propria di cellule
linfomatose),drenaggio linfatico enterico, da tumori (gastrinoma, vipoma ecc).
Maldigestione: deficit dei meccanismi digestivi. Nella cattiva digestione pura si verifica solo
un'alterazione nell'assorbimento dei lipidi e delle proteine, raramente dei carboidrati. In generale c'è
un'alterazione della predigestione gastrica, della scissione delle componenti alimentari ad opera di
enzimi pancreatici o dell'emulsione di grassi da parte della bile. Si associa a uno stato post-
gastroresezione, a insufficienza pancreatica esocrina (da pancreatite cronica: chimotripsina+ elastasi
nelle feci sono diminuite), carenza di acidi biliari coniugati (colestasi con aumento di bilirubina
diretta, gamma GT, LAP; insufficiente riassorbimento nell'ileo), resezione ileale, Crohn ecc.
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Terapia: Causale: somministrazione di enzimi, ioni e vitamine carenti, trattamento infiammazioni,
neoplasie, diete prive di glutine o di lattosio. Sintomatica: regolazione del bilancio idroelettrolitico.
Malattia celiaca:
MC, enteropatia con atrofia villi intestinali, iperplasia, cripte, infiltrato infiammatorio nella mucosa,
causata dall’ingestione di glutine (farine di frumento, orzo e segale) che regredisce con l’eliminazione
di quest’ultimo dalla dieta. Può presentarsi nei neonati come negli adulti sia ex novo sia con sintomi
latenti sin dall’infanzia e poi precipitati per gastroenteriti o gravidanza. È pleomorfa, con sintomi lievi
o grave malassorbimento. Diagnosi precoce e dieta prevengono da sintomi, danni e complicanze.
1/200, più donne, 10% nei gruppi a rischio (familiari, anemia sideropenica, altre autoimmuni).
Eziopatogenesi: Fattori genetici: (familiarità), HLA DQ2 (90% dei celiaci vs 20% sani) e se non c’è
DQ2 c’è DQ8 (se mancano in pratica si esclude MC). Fattori ambientali: gliadina, componente del
glutine (nel grano), scissa in vari peptidi con varia tossicità e anche ordeina (orzo) e segalina (segale)
sono analoghe. La gliadina in genere degradata, raggiunge la lamina propria (insomma penetra nella
mucosa, forse tramite difetti delle tight-junctions) e la transglutaminasi le toglie un gruppo aminico (è
poliaminata) rendendola ancora più immunogena, le cellule APC la presentano (se hanno DQ2 o DQ8)
ai T con reazione infiammatoria e lesioni nella mucosa. Si sviluppano anche anticorpi anti-gliadina
(AGA), anti-endomisio (EMA), anti-transglutaminasi (anti-tg) e anche anti-gliadina deaminata.
Clinica: ampia variabilità di presentazioni. Forma maggiore, tipica: malassorbimento globale con
steatorrea, calo ponderale, diarrea, calo ponderale. Forma minore, atipica: sintomi extraintestinali
come anemia, ipostaturismo (età pediatrica), dolori ossei e fratture, dispepsia, amenorrea e infertilità,
sintomi neurologici, cute secca e alopecia, ipoplasia smalto dentario, ipertransminasemia. Silente:
sierologia positiva e atrofia villi senza sintomi. Latente: sierologia positiva, no danno istologico. Sprue
refrattario: resiste alla dieta.
Patologie associate soprattutto autoimmuni: dermatite erpetiforme di Duhring (eritemi, placche,
vescichette erpetiformi particolarmente all'estremità), diabete mellito I (3%), Down (7%), Sindrome di
Turner(8%), deficit di IgA (5%)CBP, CSP.
Complicanze: è raddoppiata la mortalità dei celiaci adulti, comunque circa 2,5% se seguono dieta e
6% se non la seguono. Se c’è diagnosi tardiva e poca dieta insorgono le complicanze che sono il
linfoma intestinale a cellule T, digiuno-ileite ulcerativa, cancro del tenue, sprue refrattaria. In
genere diagnosi precoce e dieta e rigorosa proteggono dalle complicanze. Abitualmente c'è deficit
secondario di lattasi (test del respiro all' H2 patologico dopo somministrazione di lattosio).
Laboratorio: test allo xilosio patologicamente ridotto (malassorbimento); test positivo agli anticorpi:
IgA antigliadina (specificità limitata), IgA anti-endomisio (più specifici dei precedenti), IgA anti
Transglutamminasi ( specificità> 95%).
Diagnosi: si può fare con istologia su biopsia duodenale (consigliata in soggetti a rischio e familiari)
+ sierologia con anticorpi. Gli anticorpi più specifici sono anti-Tg e EMA, gli AGA solo per bambini
sotto i 2 anni, la gliadina deaminata è in fase di sviluppo. IgA e IgG. Alto valore predittivo negativo ha
la ricerca di DQ2 e DQ8 (soggetti a rischio).
Il danno istologico segue la classificazione Di Marsh: 1): infiltrato linfocitario intraepiteliale 2)
Iperplasia cripte 3)(a,b,c) atrofia dei villi lieve, moderata, severa 4)atrofia totale dei villi.
Il miglioramento clinico con dieta priva di glutine viene affiancato a biopsia di controllo, in caso di
diagnosi incerta, come anche il test con glutine e la ripetizione della biopsia.
Terapia: dieta priva di glutine (patate, mais, riso, semi di soia), evitare prodotti contenenti frumento,
orzo, segale, ecc. Terapia di supporto solo per grave malassorbimento (vitamine e minerali). Si segue
tutta la vita anche nelle forme asintomatiche e silenti, non si sa se è utile nelle latenti. È una dieta
impegnativa e abbastanza costosa, ma serve perché le complicanze possono manifestarsi anche senza
malassorbimento.
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I Gazzellini
- Interna -
- Endo -
A. Fusco
INDICE
Tiroide ..................................................................... 66
Surrene .................................................................... 70
IPOGLICEMIE E DISLIPIDEMIE
Ipoglicemia
L'ipoglicemia è definita con la triade di Whipple: riduzione della glicemia, sintomatologia correlata,
regressione sintomatica all'innalzamento glicemico. Il limite di riferimento inferiore della glicemia è di
70 mg/dL; si ha ipoglicemia sotto i 55 mg/dL. La causa principale è la terapia per il diabete mellito;
secondariamente può essere dovuta a insufficienza d'organo, sepsi, deficit ormonali, insulinoma e
altre condizioni. L'ipoglicemia, se grave e prolungata, può portare a morte. La sua diagnosi deve
essere presa in considerazione in tutti i pazienti con confusione, stato alterato di coscienza o
convulsioni.
1
insulinica; precedenti episodi di ipoglicemia grave (e quindi inconsapevolezza dell'ipoglicemia).
La metformina e altri farmaci utilizzabili nella terapia per il diabete non dovrebbero causare
ipoglicemia; usata in associazione con l'insulina o con i secretagoghi dell'insulina aumenta il rischio.
I livelli insulinemici sono fortemente dipendenti dal BMI, in soggetti obesi i valori possono quindi
essere elevati.
1) Ipoglicemia a digiuno:
Deficit ormonali: ipopituitarismo, insufficienza surrenalica, deficit di catecolammine, di glucagone.
Deficit enzimatici: di glucosio6fosfatasi, fosforilasi epatica, piruvato carbossilasi, fruttosio1-
6difosfatasi, PEP carbossichinasi, glicogeno sintasi.
Mancanza di substrati: ipoglicemia chetoacidosica dell'infanzia, malnutrizione grave, distruzione
muscolare, fase tardiva della gravidanza.
Patologie critiche: insufficienza epatica, renale, cardiaca, sepsi.
Farmaci: beta-bloccanti, chinoloni, Ace-inibitori, Sartani, Salicilati (alte dosi, come nel salicilismo).
Alcol: assunto per diversi giorni senza cibo. Inibisce la gluconeogenesi.
2
glucosio intravenoso, seguito da infusione di soluzione glucosata guidata da valutazioni seriali della
glicemia.Se la terapia intravenosa non è praticabile: glucagone sottocutaneo o intramuscolare, che
stimola la glicogenolisi, seguito da assunzione di cibo. La prevenzione di nuovi episodi di ipoglicemia
dipende dalla causa sottostante.
Terapia Ipoglicemia reattiva: dieta frazionata con carboidrati a lento assorbimento
Nel caso di ipoglicemia reattiva post-prandiale, viene effettuato l'OGTT protratto per 5 ore:
-se è positiva la triade di whipple-----> ipoglicemia alimentare, ipoglicemia funzionale
-se è negativa la triade di whipple---->somministrare pasto misto----> se Whipple + :ipersensiibilità a
leucina, galattosemia, intolleranza al fruttosio...*Triade di Whipple: crisi ipoglicemica a digiuno,
glicemia <50mg/dL e risoluzione della crisi con somministrazione di glucosio.
Insulinoma: è il più frequente tumore del pancreas endocrino. In genere è benigno e unico, multiplo
soprattutto nel caso di MEN1. Nel 50% dei casi produce soltanto insulina, il resto anche altri ormoni.
Clinica: ipoglicemia, triade di Whipple.
Diagnosi: Test del digiuno: provocazione dell’ipoglicemia tramite digiuno e ripetute valutazione di
insuline mia e peptide C.
Diagnosi localizzazione: spesso intraoperatoria, la preoperatoria è difficile con piccoli tumori.
Possibile TC, scintigrafia con octreotide
Terapia: intervento chirurgico anche in laparoscopia. Se le crisi ipoglicemiche sono ripetute si può
ricorrere a somministrazione di diazossido + diuretico per evitare l'ipertensione dovuta al farmaco.
Prima dell’intervento o se inoperabile: Octreotide. In caso di metastasi epatiche: chemio, radionuclidi.
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VLDL. Queste entrano in circolo e, come i Chilomicroni, acquisiscono apoc2 ed esteri del colesterolo
dalle HDL; cedono quindi acidi grassi ai tessuti periferici (muscolo, tessuto adiposo). I residui di
VLDL sono detti IDL e vengono rapidamente metabolizzati dal fegato, in parte catabolizzati e in parte
convertiti in LDL. Le LDL sono le principali fonti di colesterolo per i tessuti periferici (e per lo stesso
fegato). Le cellule captano le LDL legandosi alla loro apob100, quindi le endocitano e le indirizzano al
lisosoma, ricavando colesterolo libero. I livelli di colesterolo citoplasmatici vengono regolati da due
enzimi. Il primo è l’acil-colesterolo Aciltrasferasi (ACAT), che esterifica il colesterolo. Il secondo è
l’idrossimetilglutaril-coenzima A reduttasi (HMG-coA reduttasi), tappa di regolazione della sintesi de
novo del colesterolo. La formula di Friedewald ( Colesterolo LDL = colesterolo tot - (col HDL+
(Tg/5)). Si divide per 5 il valore dei Tg, perché il rapporto nelle VLDL tra Tg e colesterolo è di 5:1.
Permette di calcolare il colesterolo nelle LDL a condizione che i trigliceridi siano <400 mg/dl:
Le HDL trasportano il colesterolo dalle cellule extraepatiche al fegato (trasporto inverso); in più è
responsabile del trasporto a tessuti steroidogenici come le ghiandole del corticosurrene, che
necessitano colesterolo per la produzione di ormoni steroidei. Sono sintetizzate nel Fegato e
nell’intestino come HDL nascenti (discoidi), nel sangue si arricchiscono di Apo a1, quindi nei tessuti
ricevono esteri del colesterolo, diventando sferiche. Il fegato acquisisce il colesterolo per endocitosi o
tramite una lipasi. L’importanza del trasporto inverso giace nel ruolo del fegato di escretore del
colesterolo, attraverso la bile.
Ipercolesterolemia familiare: Malattia ereditaria AD, causata da deficit dei recettori delle LDL
(parziale, negli eterozigoti, totale negli omozigoti). Frequenza:Eterozigoti 1:500 (valori di
colesterolo: 300-500 mg/dl); Omozigoti 1:1.000.000 (valori di colesterolo 600-1000 mg/dl). Le
caratteristiche cliniche principali: Storia familiare, xantomatosi tendinea ( principalmente tendine di
Achille, tendine estensore delle dita), cardiopatia ischemica. Si fa Diagnosi: in presenza di Col. > 300
mg/dl nell’ adulto > 250 < 16 a oppure Col. LDL > 200 mg/dl nell’ adulto; diagnosi certa se + xantomi
tendinei nel proposito o nei parenti di I grado; diagnosi possibile se nell’ anamnesi familiare : Infarto
del miocardio < 55 a. oppure colesterolemia elevata nei parenti di I grado.
Iperlipemia familiare combinata: Si presenta con elevati livelli di trigliceridi e colesterolo e presenza
negli altri membri della famigli dello stesso fenotipo. Ha una frequenza 1:100. A.D. E’ un disordine
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eterogeneo, con evidente difficoltà diagnostica. C’è un aumentato rischio cardiovascolare.
E’aumentata la sintesi di Apo B100 e VLDL.
Ipertrigliceridemia familiare: c’è una storia familiare di ipertrigliceridemia, c’è fenotipo IV con
incremento delle VLDL circolanti( incremento della banda pre-b nel lipidogramma), trigliceridi
circolanti compresi tra 250-1000 mg/dl, livelli aumentati di colesterolo legato alle VLDL, livelli
aumentati di colesterolo LDL-c e APOb 100, colesterolo HDL ridotto, frequente associazione con
insulino resistenza, possibile presenza di patologia cardiovascolare, valori della trigliceridemia>1.000
mg/dl espongono a rischio di pancreatite acuta.
Conseguenze: la conseguenza principale delle dislipidemie è l’aterosclerosi, con tutte le sue sequele:
cardiopatia ischemica, arteriopatia obliterante periferica, ictus.
In caso di ipertrigliceridemia marcata si può avere pancreatite e steatosi epatica.
Si possono avere xantomi, in corrispondenza di tendini, palpebre, ginocchia e gomiti, pieghe
interdigitali, glutei, avambracci e palme delle mani.
Diagnosi: Profilo lipidico: trigliceridi, colesterolo totale e HDL, formula di Friedewald per il calcolo
del colesterolo LDL39, rapporto LDL/HDL, Lp(a). Anamnesi per dieta e stile di vita. Ricerca cause
secondarie: diabete mellito, sindrome metabolica, malattie epatobiliari, pancreatite, tireopatie,
nefropatie.Anamnesi familiare ed eventualmente valutazione genetica.
Terapia:al di là del trattamento delle malattie causali, si basa su dieta, esercizio, farmaci
ipolipemizzanti. La scelta dipende dal livello di colesterolo LDL e dalla presenza di fattori di rischio:
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1) Dieta: apporto calorico appropriato (per raggiungere o mantenere il peso ideale); carboidrati
(meglio se complessi, 55% calorie totali), grassi (meglio gli insaturi, 30%), colesterolo (<200 mg/die,
evitare roba tipo tuorlo d’uovo), proteine (<15%), fibre, omega 3, no alcol se c’è ipertrigliceridemia.
Nel caso di ipertrigliceridemia severa con chilomicronemia riduzione dei grassi (<20%) eventualmente
utilizzando acidi grassi a media catena. N.B. Bisogna sempre per prima cosa ridurre le LDL, poi si
riducono i trigliceridi.
2) Esercizio fisico: fino a 5 giorni alla settimana, 45’ di attività.
3) Farmaci ipolipemizzanti:
• Statine: LDL ! 18-55% , HDL" 5-15%, Tg ! 7-30%. Inibiscono la HMG-CoA e quindi la sintesi
endogena di colesterolo. Le più potenti sono Atorvastatina e Rosvastatina. Altre sono
simvastatina, lava statina, etc. Controindicazioni relative: farmaci (ciclosporina, antibiotici
macrolidi, vari antifungini e inibitori del citocromo P-450 (fibrati e niacina con cautela). Effetti
collaterali: miopatie e mialgie, aumento della CK, raramente grave rabdomiolisi.
• Resine a scambio anionico: LDL ! 15-30%; HDL"3-5%; TG nessuna variazione. Formano
complessi insolubili con gli acidi biliari. Colestiramina. Controindicazioni assolute:
disbetalipoproteinemia; TG >400 mg/dl, Relative: TG >200 mg/dl
• Fibrati: LDL ! 5-20% (" se TG elevati), HDL" 10-20%,TG! 20-50%. Aumentano il catabolismo di
lipoproteine con triglicerdii. Controindicazioni assolute: nefropatia grave; epatopatia grave.
• Acido nicotinico: LDL ! 5-25%, HDL" 15-35%, TG ! 20-50%. Controindicazioni Assoluta:
epatopatia cronica; gotta grave. Relative: diabete, iperuricemia; malattia ulcerosa peptica.
• Acidi grassi #-3 LDL " 8-10%, HDL" 1-5%,TG! 15-35%. Controindicazioni Relative: diabete.
• Ezitimib: nuovo, da associrare alla statina per ridurre il livello di LDL.
Le statine sono i farmaci di prima scelta. Se abbiamo un paziente con presenza di trigliceridi elevati è
possibile utilizzare in associazione alle statine i fibrati. Un soggetto che inizia un trattamento con
statine deve sempre essere informato sui possibili effetti collaterali.Il monitoraggio degli enzimi
muscolari può essere eseguito col fine di controllare una eventuale tossicità muscolare. Se i sintomi
muscolari sono tollerabili e la CK<5 si continua la terapia con statine. Se CK>5-10 o i sintomi
muscolari sono intollerabili, bisogna considerare la sospensione della terapia. Eventualmente può
essere ripresa dopo un mese per valutare la riproducibilità della sintomatologia alla stessa dose. Se
questa persiste, si cambia statina, si da alla dose minima e si aggiunge 10 mg di ezetimib e con
rosvastatina a giorni alterni. Se perdura: ezetimib in ionoterapia, fibrati o acido nicotinico.
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Diabete mellito
Gruppo di disordini metabolici che condividono il fenotipo di iperglicemia. I vari tipi di diabete
sono causati da un’interazione complessa di fattori genetici e ambientali; l’iperglicemia è causata
da ridotta secrezione insulinica, ridotto utilizzo e aumentata sintesi di glucosio (causati da minore
sensibilità all’insulina). La disregolazione metabolica del diabete mellito provoca alterazioni
secondarie in diversi distretti corporei, in particolare è la principale causa di nefropatia terminale,
amputazione degli arti inferiori, cecità nell’adulto e predispone a malattie cardiovascolari.
Epidemiologia: La prevalenza del diabete mellito è aumentata negli ultimi vent’anni: nel mondo
ci sono circa 285 milioni di diabetici. In Italia il 5-6% della popolazione è affetto da DM. La
prevalenza è maggiore con l’avanzare dell’età e della sovra alimentazione ed è simile negli uomini
e nelle donne.
Classificazione eziologica:
Tipo 1: Distruzione delle cellule beta del pancreas. C’è deficit assoluto di insulina. Abbiamo:
Forma 1A immunomediata: LADA (latent autoimmune diabetes in adults). Si manifesta fra 25-40 a
di vita. La carenza di insulina si forma lentamente. Vanno dimostrati gli anticorpi anti GAD; Forma
1B idiopatica: Rara. Senza causa riconosciuta. I soggetti con questa forma di diabete hanno
insulinopenia permanente e sono tendenti alla chetoacidosi, ma non hanno alcuna evidenza di
autoimmunità;
Tipo 2: Gruppo eterogeneo di malattie caratterizzate da ridotta sensibilità all’insulina, alterata
secrezione di insulina, aumentata sintesi di glucosio.
Altri tipi specifici di diabete
• difetti genetici della funzione delle cellule beta con ereditarietà A.D. (MODY: maturity onset
diabetes of the young senza dimostrazione di autoanticorpi e senza obesità)
• difetti genetici del meccanismo di azione dell’insulina
• malattie del pancreas esocrino (es. pancreatite, fibrosi cistica)
• endocrinopatie (es. acromegalia, Cushing, feocromocitoma)
• farmaci (es. glucocorticoidi, diuretici, ormoni tiroidei)
• altro: infezioni (rosolia congenita, CMV), forme immuno- mediate rare (anticorpi anti recettori
dell’insulina), altre sindromi genetiche associate (down, Turner, Klineferter), Diabete gestazionale.
Classificazione dell’OMS secondo la gravità clinica: Alterata tolleranza al glucosio, non
insulinodipendente (DM 2), diabetici di tipo 2 che necessitano di antidiabetici orali+ insulina,
diabetici di tipo 1 e 2 senza produzione propria di insulina.
Diagnosi e screening: La tolleranza al glucosio si classifica in tre categorie: omeostasi normale del
glucosio, alterata omeostasi del glucosio, diabete mellito. Si può valutare tramite la glicemia a
digiuno (FPG), la risposta al carico orale di glucosio dopo due ore, l’emoglobina glicata (A1C).
Diabete mellito: Glicemia a digiuno: ≥126 mg/d; Risposta al carico orale dopo 2 h: ≥200 mg/dL;
Emoglobina glicata: ≥6,5%; Glicemia casuale: ≥200 mg/dL con sintomi.
Alterata omeostasi: FPG: 100-125 mg/dL; OGTT: 140-199 mg/dL; Emoglobina glicata: 5,7-6,4%.
Omeostasi normale: FPG: <100 mg/dL; OGTT: <140 mg/dL; Emoglobina glicata: <5,6%.
L’alterata omeostasi del glucosio racchiude un insieme di persone che hanno un maggior rischio di
sviluppare diabete: dopo 10 anni una persona su tre sviluppa diabete mellito.
I test più affidabili ed economici per identificare il diabete mellito sono la glicemia a digiuno e
l’emoglobina glicata; il test di risposta al carico orale non è usato di routine (è più indaginoso).
Poiché la diagnosi di diabete mellito ha delle importanti conseguenze per il paziente è necessario
confermare il primo risultato con un secondo test prima di porre diagnosi definitiva. È consigliato
usare la glicemia a digiuno e l’emoglobina glicata come test di screening per il DMT2 in tutte le
persone oltre i 45 anni di età ogni 3 anni, in particolar modo se sono sovrappeso (IMC >25 kg/m2)
e hanno altri fattori di rischio.
La determinazione a digiuno è un test sensibile, che deve essere fatto dopo 8 ore dall’assunzione di
cibo. Un’iperglicemia transitoria può aversi in caso di: infarto miocardico, ischemia cerebrale,
ipertensione endocranica, avvelenamento da CO, somministrazione di diuretici tiazidici.
OGTT: non è un’indagine di routine, si preferisce praticarla in casi dubbi, dopo la valutazione
della glicemia a digiuno. Il paziente deve digiunare 10 ore prima del test. Fattori fisici e farmaci
come estrogeni, diuretici e corticosteroidi possono alterare il risultato.
Determinazione della glicosuria: la normale soglia renale di glucosio è di 150-180 mg/dl.
Determinazione di corpi chetonici: si potrà riscontrare beta-idrossibutirrato.
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Fisiologia dell’insulina :L’insulina è prodotta nelle cellule beta delle isole pancreatiche come pre-
pro-insulina; è trasformata in un ormone peptidico formato da una catena A e una catena B legate
da un ponte disolfuro, con il rilascio di un peptide C31. La secrezione dell'insulina è regolata
principalmente dal glucosio: all'aumentare della glicemia il glucosio entra liberamente nelle cellule
beta attraverso il trasportatore GLUT2 ! glicolisi e fosforilazione ossidativa ! ATP ! chiusura
canale KATP ! non esce piú K+ !
depolarizzazione ! esocitosi. In seguito all’ingestione di cibo le cellule neuroendocrine del tratto
gastrointestinale rilasciano le incretine (es. GLP-1), che amplificano la secrezione insulinica.
L’insulina passa nel sistema venoso portale e per il 50% viene rimossa emetabolizzata dal fegato; la
restante quota agisce a livello sistemico sui recettori insulinici, di tipo tirosina-chinasico, composti
da due subunità e due subunità . L'azione dell'insulina è sul fegato, sull'adipe e sul muscolo con
effetti anabolici (glicogeno, acidi grassi, proteine) e anticatabolici (riduzione lipolisi, glicogenolisi,
catabolismo proteico).
Patogenesi del tipo 1 (<10%): Il diabete mellito tipo 1 è il risultato dell’interazione tra fattori
genetici (concordanza del 60% in omozigoti), ambientali (proteine di latte bovino)e immunologici
(coxackie virus, rubeola, parotite, CMV)che portano alla distruzione delle cellule beta pancreatiche
e al deficit insulinico. Le massa di cellule beta è normale alla nascita ma si riduce successivamente
per un processo autoimmunitario innescato da fattori ambientali. Quando l’80% delle cellule
viene distrutto abbiamo la comparsa dei sintomi (iperglicemia). Il passaggio a diabete mellito
franco è innescato da un aumento della richiesta di insulina (infezioni o la pubertà). Importante è
l’influenza genetica. Particolarmente correlato è l’aplotipo HLA-DR3 o HLA-DR4 (presente nel
90% della popolazione affetta), poi i polimorfismi nel promotore dell’insulina, CTLA4, PTPN22Le
cellule beta sono le uniche coinvolte nel processo autoimmunitario. Sono presenti anticorpi anti
insulina (IAA, l’antigene è la proinsulina), anti glutammato decarbossilasi (GAD), anti ICA512
(anticorpi anticellule insulari. Antigene: ganglioside), anti IA-2( tirosinfosfatasi),il trasportatore
di zinco ZnT- 8. Dimostrazione in caso di diabete di tipo 1:ICA 80%, GADAIA e 2° insieme >90%,
transitoria remissione sotto terapia immunosoppressiva. IAA non sono importanti per la diagnosi.
Patogenesi del tipo 2 (>90%)Sono centrali per lo sviluppo del DMT2 la ridotta sensibilità
all’insulina e la sua secrezione anomala. Il primo fenomeno precede il secondo, ma il diabete
diventa manifesto solo quando la secrezione insulinica diventa inadeguata. La dicitura “ridotta
sensibilità all’insulina” indica l’incapacità dell’insulina di agire efficacemente sui tessuti bersaglio;
è preferibile al termine “insulinoresistenza” perché un livello più alto di insulina è comunque in
grado di normalizzare la glicemia. Il diabete mellito tipo 2 ha una forte componente genetica
(concordanza in omozigoti 70-90%) e le persone con un genitore con DMT2 hanno un rischio
aumentato. Fra i geni coinvolti importante è il TF7L2 (transcription factor 7-like 2), in misura
minore il recettore PPAR , IRS, il recettore IR del potassio, un trasportatore dello zinco32. Non si
conosce esattamente il meccanismo patogenetico, ma generalmente alterano lo sviluppo o la
funzione delle cellule insulari o la secrezione insulinica. All’inizio della malattia la sensibilità
all’insulina diminuisce ma la tolleranza al glucosio rimane costante perché le cellule beta
compensano ipersecernendo insulina. Il sistema si scompensa quando le cellule beta non riescono
a sostenere il ritmo di secrezione e iniziano a iposecernere insulina con conseguente ridotta
tolleranza al glucosio; poi si ha diabete mellito franco. Alla fine si ha insufficienza delle cellule
beta. La ridotta sensibilità all’insulina provoca un minore utilizzo di glucosio da parte dei tessuti
insulino- sensibili e un maggior rilascio epatico di glucosio. Il meccanismo molecolare di ridotta
sensibilità insulinica non è ancora chiarito; è possibile che siano coinvolti meccanismi di
fosforilazione inibitoria postrecettoriale (es. PI-3K riduce l’esposizione di GLUT4 sulla
membrana). L’obesità centrale, condizione molto frequente (80%) nei pazienti con diabete mellito
tipo 2, ha un ruolo patogenetico: l’aumentata massa adipocitaria provoca un incremento di acidi
grassi liberi e adipochine iperglicemizzanti nonché una riduzione di adiponectina (che ha effetto
ipoglicemizzante). Una conseguenza secondaria è l’afflusso epatocitario di grassi, che provoca
aumentata sintesi di grassi nel fegato (e possibilmente steatoepatite). La secrezione insulinica
inizialmente è normale (addirittura aumentata per compensare, v. sopra); in un secondo momento
diminuisce, in maniera limitata alla sua quota stimolata dal glucosio. Progressivamente
l’alterazione secretoria diventa più grave; al deficit vero e proprio si accompagna un
disaccoppiamento iperglicemia-secrezione. La causa della ridotta secrezione non è chiara; è
possibile che sia conseguenza della tossicità da glucosio o da acidi grassi o che sia dovuta a
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depositi fibrillari di amilina.
Il diabete di tipo 2 è una malattia a larga prevalenza, in cui sono molto importanti i fattori
ambientali e che si può quindi prevenire, screenando la popolazione per identificare forme di
diabete o di altre alterazioni metaboliche (alterata glicemia a digiuno o ridotta tolleranza al
glucosio). Le misure di screening: glicemia a digiuno in tutti i soggetti con età > 45 anni. Se il test
risulta negativo dovrà essere ripetuto ogni 3 anni. Il test di glicemia a digiuno si fa nei soggetti di
età < 45 anni se: obesi (> 120% del peso ideale o con BMI > 27kg/m2); con un parente di 1° grado
affetto da diabete; gruppo etnico ad alto rischio di diabete; donne che hanno partorito un bambino
di peso > 4kg (microsomia) o con pregressa diagnosi di diabete gestazionale (GDM); ipertesi (P.A.
> 140/90 mmHg); colesterolo HDL < 35 mg/dl e/o trigliceridi > 250 mg/dl; positivi per alterata
glicemia a digiuno (IGF) o alterata tolleranza al glucosio (IGT). In questi casi il controllo glicemico,
se negativo, deve essere più frequente (annuale?). Secondo alcuni, nei soggetti ad alto rischio (con
due o più fattori di rischio), sarebbe necessario effettuale anche un test da carico orale di glucosio,
in quanto è la metodica più idonea nell’identificare la ridotta tolleranza al glucosio. Situazioni di
stress (infezioni, traumi,interventi chirurgici, infarto), endocrinopatie o farmaci possono far
palesare un DM 2.
DM tipo 1 DM tipo 2
patogenesi Carenza insulinica Resistenza insulinica
costituzione fisica astenica Obesa
esordio Spesso acuto lento
età 12-24 a >40 a
Cell B Ridotte a < 10% Lievemente ridotte
Insulina plasma/pept C Ridotti/assenti Inizialm. aumentati
autoanticorpi + -
Eq. metabolico Labile stabile
Tend. Alla chetosi Marcata lieve
Ris. Alle sulfonamidi Assente buona
Terapia insulinica Necessaria Solo all’esaurimento delle
riserve insulina
Diabete monogenico: Esistono sei forme di diabete mellito che dipendono dalla mutazione di un
singolo gene e si ereditano in modo autosomico dominante; sono dette MODY (maturity- onset
diabetes of the young). I MODY 1, 3 e 5 sono causati da mutazioni nei fattori epatocitari nucleari
(HNF), che sono fattori di trascrizione coinvolti nello sviluppo delle cellule insulari e
nell’espressione di geni correlati alla secrezione dell’insulina. Il MODY 2 è causato da mutazioni
nel gene per la glucochinasi che alterano la valutazione della glicemia da parte delle cellule beta;
insieme al MODY 3 è la forma più frequente. Il MODY 4 è raro ed è causato da mutazioni nel
fattore promotore dell’insulina 1. I MODY si manifestano con diabete neonatale transitorio o
permanente; esiste un fenotipo moderato (es. MODY 2), con media iperglicemia e rare
complicanze, e un fenotipo grave (es. MODY 3) con grave iperglicemia e frequenti complicanze.
Mutazioni: MODY 1: HNF-4 MODY 2: GK; MODY 3: HNF-1 ; MODY 4: IPF-; MODY 5: HNF- 1 ;
MODY 6: NeuroD1. Il MODY,pone problemi di diagnosi differenziale con le forme di diabete di
tipo 2 puro. I criteri diagnostici sono: età di insorgenza < 25 anni; controllo metabolico senza
insulina per oltre 2 anni; ereditarietà autosomica dominante (tre generazioni). Quando sono
presenti questi criteri si può pensare alla ricerca dell’alterazione genetica, in quanto il MODY è
l’unica forma di diabete monogenica.
Diabete LADA : Il latent autoimmune diabetes of the adult è un sottotipo del diabete mellito tipo
1; è detto anche non insulin- requiring autoimmune diabetes, NIRAD. È catatterizzato da
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un'insulite poco aggressiva che progredisce lentamente verso il deficit secretorio di insulina e
l’insulino- dipendenza ( riduzione di C- peptide a digiuno e dopo stimolo). Ha una presentazione
iniziale simile a quella del tipo 2, ma senza obesità. Elementi utili per la diagnosi e per la terapia
sono: età di esordio del diabete generalmente > 25 anni; presentazione clinica all’esordio simile a
quella del diabete tipo 2 senza obesità, inizialmente trattabile con dieta e/o OHA; necessità di
intraprendere insulinoterapia nell’arco di mesi (>6) o di anni (≤ 10); stessi alleli di suscettibilità
HLA del diabete tipo 1 (l’associazione con tali marker genetici si indebolisce con l’aumentare
dell’età alla diagnosi) e positività per alcuni autoanticorpi organo- specifici " insulari. In generale,
si può effettuare la valutazione di marcatori autoimmunitari ( Ab anti insula; Ab anti insulina;
anticorpi anti GAD ovvero anti acido glutammico decarbossilasi). Se uno o più di questi anticorpi
risultano positivi è molto probabile che ci troviamo di fronte ad una forma di
Diabete latente autoimmune dell’ adulto (LADA) o Diabete autoimmune non richiedente insulina
(NIRAD). Anche se c’è da dire che,la ricerca di questi anticorpi, da un punto di vista chimico, non
è agevole e sono pochissimi i laboratori che sono in grado di ricercarli.
Complicanze acute del diabete mellito: Il diabete mellito può condurre a due complicanze acute,
la chetoacidosi diabetica e lo stato iperglicemico iperosmolare. Entrambe le condizioni sono
associate a deficit insulinico, ipovolemia e anomalie acido-base e possono portare a gravi
complicanze se non sono prontamente diagnosticate e trattate.
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L/h di soluzione 0,45%; quando la glicemia raggiunge i 200 mg/dL si usa una soluzione con
glucosio al 5%.
2. Bolo di insulina endovena (0,1 unità/kg), poi infusione endovena continua di 5-10 unità/h.
Quando la glicemia raggiunge i 200 mg/dL si riduce l’infusione continua e si aggiunge la
soluzione con 50 glucosio (v. sopra): questo consente di evitare di far tornare immediatamente la
glicemia nei valori di riferimento (con conseguenti complicanze: si può avere edema cerebrale per
ipotonicità).
3. Monitorare lo stato del paziente: glicemia ogni 2 ore, elettroliti ogni 4 ore, stato
emodinamico,respiratorio, mentale, di idratazione. 4.Reintegrare il potassio. 5.Continuare il
trattamento fino alla stabilizzazione (glicemia 150-250 mg/dL, risoluzione dell’acidosi). 6.Stabilire
la causa scatenante: sospensione trattamento insulinico, infezione, trauma, infarto, cocaina.
Complicanze croniche del diabete mellito: Le complicanze croniche del diabete mellito
coinvolgono molti organi e sono responsabili della maggioranza della morbidità e morbilità
associate alla malattia. Si dividono in vascolari e non vascolari.
1. vascolari: microvascolari: retinopatia, neuropatia, nefropatia (specifiche del diabete) o
macrovascolari: coronaropatia, arteriopatia periferica, ischemia cerebrale, soglia dell’angina
disturbata (eventuali infarti silenti), arterpatia periferica obliterante o occlusiva. Prognosi meno
favorevole ( il rischio di infarto è aumentato del 20-30% se c’è HTA, o >30% se concomitante
nefropatia).
2. non vascolari: gastroparesi, infezioni, manifestazioni genitourinarie e dermatologiche, deficit
uditivo. Il rischio di complicanze croniche aumenta in funzione della durata e della gravità
dell’iperglicemia; solitamente non si manifestano prima di vent’anni di iperglicemia (nel DMT2
possono essere il problema che porta alla diagnosi). Il meccanismo esatto con cui l’iperglicemia
conduce alle complicanze non è chiaro; sono state proposte diverse teorie:
1.AGE: l’eccesso intracellulare di glucosio provoca la formazione di prodotti terminali di
glicosilazione avanzata, che provocano reticolazione proteica e alterazioni endoteliali.
2.via del sorbitolo: l’eccesso di glucosio è convertito sorbitolo, che favorisce la
produzione di ROS.
3.PKC: l’iperglicemia determina aumento della via della PKC che altera la sintesi di proteine
endoteliali e neuronali.
4.ipotesi emergente: l’iperglicemia provocherebbe cambiamenti epigenetici.
Micro vascolari: 1)Retinopatia diabetica :Il diabete mellito è la causa principale di cecità acquisita
tra i 20 e i 74 anni (DM1 svluppa RD nel 90% a 15 a; DM2 25% a 15 a). Laneovascolarizzazione è
indotta da un fattore di crescita angiogenetico. Il cattivo controllo metabolico, HTA e fumo
peggiorano la RD. La retinopatia diabetica si sviluppa attraversando un primo stadio non
proliferativo e un secondo stadio proliferativo. Il primo stadio: lieve: solamente microaneurismi.
moderato: singole emorragie intra retiniche con veno di calibro variabile con aspetto a filo di perle.
grave: microaneurismi e emorragie intra retiniche in tutti e quattro i quadranti o vene a filo di
perla in almeno due quadranti o anomalie intraretiniche micro vascolari in almeno un quadrante
(regola del 4-2-1). Il passaggio allo stadio proliferativo è segnato dalla comparsa di vasculo
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neogenesi in risposta all’ipossia retinica; i nuovi vasi si formano vicino al nervo ottico e alla
macula, si danneggiano facilmente, con conseguenti emorragia del corpo vitreo, fibrosi e distacco
della retina ( anche glaucoma). La maculopatia diabetica (focale,diffusa, ischemica) è una
complicanza della retinopatia in cui la macula è interessata da alterazioni edematose,le quali
provocano perdita della vista. La prevenzione è il modo migliore per contrastare la retinopatia
diabetica, e si basa sul controllo glicemico e pressorio. È inoltre necessario effettuare
un’oftalmoscopia con pupille dilatate regolarmente: inizialmente ogni due anni, poi ogni anno. La
retinopatia diabetica, se individuata precocemente, può essere trattata efficacemente con
fotocoagulazione al laser. Screening retinopatia diabetica (esame del fondo oculare,
fluoroangiografia):
Diabete di tipo 1: Alla diagnosi, per fini educativi/dimostrativi; dopo 5 anni o alla pubertà: In
assenza di RD, almeno ogni 2 anni, In presenza di RD non proliferante lieve/moderata, ogni 6
mesi, In presenza di RD più avanzata, a giudizio dell’oculista. Diabete di tipo 2: Alla diagnosi: In
assenza di RD, ogni 2 anni; in presenza di RD non proliferante lieve/moderata, ogni 6 mesi; in
presenza di RD più avanzata, a giudizio dell’oculista.
2)Neuropatia diabetica: Un paziente diabetico su due sviluppa neuropatia diabetica, che si può
manifestare come polineuropatia periferica sensoriale e motoria ( 80%),la polineuropatia
prossimale (rara) e neuropatia autonomica( 2° per frequenza). La forma più comune è la
polineuropatia distale simmetrica, che si manifesta con parestesie a calzino, ariflessia
(dell’achilleo), e progressivamente perdita della sensibilità somatica e dolorifica (il che pone a
rischio di ulcerazioni ai piedi). Un sintomo precoce è la riduzione della sensibilità vibratoria
(testata mediante diapason). Valutabile anche perdita della sensibilità pressoria, termica e
dolorifica. C’è riduzione della velocità di conduzione delle fibre nervose. La polineuropatia
prossimale si presenta con: 1)una forma rara di neuropatia asimmetrica con dolori all’anca e alla
porzione anteriore della coscia, riduzione del riflesso patellare e eventuale paresi del quatricipite;
2)Paresi dei nervi facciali periferici (es paresi dei muscoli oculari con diplopia) 3)radiculopatia
diabetica con dolori ‘a cintura’ e alterazione della sensibilità ( a livello del tronco). La neuropatia
autonomica ( colpisce il simpatico e il parasimpatico)può interessare diversi sistemi con
manifestazioni specifiche. Cardiovascolare: 15 % dei casi. Aritmie ventricolari sino alla
fibrillazione, ischemia miocardica silente, ridotta o assente variabilità della frequenza cardiaca (ad
es. durante il test di Valsalva o o durante test ortostatico),ipotensione ortostatica (assenza di
tachicardia riflessa nel passaggio alla posizione eretta) sincope. Gastrointestinali: disfagia,
gastroparesi,
diarrea, costipazione, incontinenza. Genitourinari perdita di sensibilità vescicale, incontinenza
urinaria, disfunzione erettile, disfunzione sessuale femminile. Neuroendocrino: assenza della
contro regolazione ormonale all’ipoglicemia (scarsezza di sintomi), ridotta increzione
catecolamminergica allo stimolo ortostatico e allo sforzo. Termoregolazione: ridotta secrezione
sudoripara (piede diabetico caldo e asciutto), ridotta vasodilatazione. È necessario effettuare
annualmente l’esame obiettivo neurologico, ricercando perdita di sensibilità e perdita dei riflessi.
La terapia non è molto efficace: la normalizzazione della glicemia spesso non causa la remissione
dei sintomi.
Sindrome del piede diabetico: 25% di tutti i diabetici anziani. Lesioni traumatiche al piede, di
varia eziologia, possono portare a ulcera infetta e necessità di amputazione del piede. Il piede
diabetico si presenta come caldo e cute molto secca ( non c’ odore di piedi), ridotto stimolo tattile e
vibratorio, della sensibilità termo dolorifica. Alla podografia si rileva (valutazione dinamica della
distribuzione della pressione nel piede) c’è aumento pressorio sull’avampiede e sull’alluce.
Frequenti complicanze: ulcere neuropatiche non dolenti nelle zone sottoposte a carico e
sovrinfezione. Nel 50% dei casi (fumatori, ipercolesterolemici, HTA), possiamo avere un piede
ischemico da occlusione arteriosa con una clinica caratterizzata da: piede freddo, pallido,
eventualmente sub cianotico. Il polso pedideo spesso non è apprezzabile e al doppler PAcaviglia/
PA braccio è < 0,9, sensibilità propriocettiva profonda conservata, necrosi o gangrena. Il 35% ha
una forma mista neuropatico-ischemica.
Secondo la classificazione del piede diabetico di Wagner abbiamo cinque gradi: 0. Piede a rischio
senza lesione; 1. Ferita superficiale; 2. Ferita fino al tendine; 3. Ferita fino all’osso; 4. Limitata
necrosi del tallone o dell’avampiede; 5. Necrosi di tutto il piede. La classificazione è completata:
A. nessuna infezione/ischemia B. con infezione C. con ischemia D. con infezione e ischemia.
12
Nefropatia diabetica : Patologia caratterizzata da (micro)albuminuria persistente (>20mg/l),
HTA, diminuita velocità di filtrazione glomerulare, aumentato rischio cardiovascolare (20%per
pazienti con creatinina sierica aumentata). I fattori di rischio per una nefropatia accelerata sono:
HTA, rid dell’albumina, accuratezza della regolazione del diabete, ipercolesterolemia,fumo,
elevata assunzione di proteine. Anatomia patologica: DM1: glomerulo sclerosi; DM2: aspecifiche
alterazioni renali, vascolari e tubulo interstiziali.
La nefropatia diabetica è caratterizzata da una sequenza predicibile di eventi distinguibile in
cinque stadi; le lesioni, un tempo credute irreversibili, fino a un certo stadio possono regredire in
seguito a normoglicemia prolungata.
1.Fase di iperfunzione. Nei primi anni di malattia si sviluppa iper perfusione glomerulare e
ipertrofia renale (iperglicemia dà attivazione dei fattori di crescita) con aumento della velocità di
filtrazione glomerulare; l’albuminuria è normale e non ci sono lesioni istologiche. 2.Fase silente.
Compaiono lesioni istologiche glomerulari in assenza di manifestazioni cliniche. 3.Fase della
nefropatia incipiente. Dopo 10 anni dall’inizio della malattia nel 40% dei pazienti si ha aumento
della permeabilità glomerulare con Microalbuminuria. 4. Fase della nefropatia conclamata. Nei
successivi 10 anni in un paziente su due si ha evoluzione a macroalbuminuria (proteinuria): in
seguito all’accumulo di glicoproteine si verifica espansione mesangiale che determina riduzione
del lume dei capillari glomerulari, con riduzione progressiva della velocità di filtrazione
glomerulare. Glomerulo sclerosi e fibrosi interstiziale .5.Fase della nefropatia cronica.
Progressivamente si ha perdita di funzione renale fino all’insufficienza renale entro 7-10 anni in un
caso su due. In questo caso il paziente necessita di dialisi o di trapianto d’organo. È necessario
effettuare annualmente la valutazione dell’albuminuria, della creatininemia e della velocità di
filtrazione glomerulare. In caso di microalbuminuria, una volta escluse le altre possibili cause, si
ripete l’analisi nell’arco di sei mesi: se due test dell’albuminuria su tre sono positivi si avvia il
trattamento, che si basa su ACE-inibitori o su antagonisti del recettore dell'angiotensina II. La
frequenza e la gravità della nefropatia sono correlate alla durata del diabete e al controllo
metabolico. Si è visto che una terapia ipertensiva precoce con ACEi (anche in presenza di
ipertensione border line) rallenta la progressione della nefropatia e riduce la mortalità
cardiovascolare.
13
peggiore prognosi, interessamento di vasi multipli, rischio
aumentato per le donne. Fattori di rischio per le complicanze macrovascolari sono la dislipidemia
($tg, #HDL, $LDLpd), l’ipertensione, l’obesità, la ridotta attività fisica, il fumo di sigaretta,
l’alterata coagulazione. L’iperglicemia agisce probabilmente provocando anomalie delle
apolipoproteine, glicosilazione di proteine plasmatiche e endoteliali, glicossidazone e
infiammazione subclinica. È possibile effettuare lo screening dei pazienti diabetici asintomatici:
annualmente si effettua l’esame obiettivo cardiovascolare di base e, solo nei pazienti ad alto
rischio, esami strumentali più specifici. Il trattamento delle malattie cardiovascolari non differisce
da quello utilizzato per i pazienti non diabetici.
Altre complicanze croniche del diabete: La cataratta è più frequente, rispetto alla popolazione
sana, sotto i 30 anni nei pazienti con DMT1 e sopra nei pazienti con DMT2. È causata da
glicosilazione delle proteine del cristallino e iperattivazione della via del sorbitolo. La terapia
consiste nella sostituzione del cristallino con una lente. Le infezioni sono più frequenti e più gravi
nei pazienti diabetici a causa di un insieme di fattori: la ridotta perfusione provoca ristagno,
l’iperglicemia facilita la colonizzazione e altera l’immunità. La dermatopatia diabetica è la
manifestazione cutanea più frequente del diabete mellito; è caratterizzata dalla presenza di
macchie marroni atrofico-cicatriziali, più frequentemente in sede pretibiale.
Diminuzione della resistena alle infezioni; alterazione del metabolismo dei lipidi (aumento dei
trigliceridi e diminuzione delle HDL), ipertrigliceridemia e steatosi epatica, ipoaldosteronismo.
Approccio al paziente diabetico: un’anamnesi accurata deve focalizzarsi su aspetti quali il peso, la
storia familiare di diabete mellito, il rischio cardiovascolare, l’esercizio fisico, il fumo e il consumo
di etanolo. I sintomi di iperglicemia includono poliuria, polidipsia, perdita di peso, astenia, visione
sfocata, infezioni superficiali ricorrenti, riduzione della guarigione cutanea. L’esame obiettivo deve
essere particolarmente centrato su aspetti come il peso e l’indice di massa corporeo, lo stato della
retina, la pressione arteriosa ortostatica, lo stato dei piedi (cute, sensibilità) e i polsi periferici. La
valutazione di laboratorio deve innanzitutto determinare se il paziente rientra nei criteri
diagnostici per il diabete mellito, quindi permette di seguire l’efficacia del controllo glicemico. È
possibile anche valutare condizioni associati al diabete mellito, come la microalbuminuria, la
dislipidemia, la disfunzione tiroidea, il rischio cardiovascolare.
Terapia: gli scopi della terapia sono: 1. eliminare i sintomi correlati all’iperglicemia; 2. eliminare le
complicanze croniche; 3. permettere al paziente uno stile di vita il più normale possibile.
Obiettivi della terapia: gli obiettivi terapeutici sono:
Emoglobina glicata (HbA1c): <7%; Glicemia capillare pre-prandiale: 70-130 mg/dl;
Glicemia capillare post-prandiale: <180 mg/dl; Pressione arteriosa: <130/80;
LDL: <100 mg/dl; HDL: >40-50 (donne) mg/dl; Trigliceridi: <150 mg/dl.
Nei pazienti giovani affetti da diabete di tipo 1 sarebbe auspicabile arrivare anche a valori di
HbA1c di 6.5 %. In persone più anziane ci si “accontenta” anche di valori tra il 7 e l’8 %.
Poiché è relativamente semplice conseguire il primo obiettivo (i sintomi regrediscono quando la
glicemia si riduce sotto i 200 mg/dL) la terapia è solitamente mirata a conseguire gli altri due;
d’altra parte la concordanza dei pazienti tende a diminuire non appena essi perdono la
motivazione del trattamento sintomatico. È importante che i pazienti diabetici siano educati in
modo continuativo circa la malattia e che la terapia sia affiancata dal controllo della nutrizione e
da un adeguato esercizio fisico. Il monitoraggio glicemico si compone di un quadro a breve
termine,fornito dall’automonitoraggio, e da uno a lungo termine fornito dal controllo
dell’emoglobina glicata. L’automonitoraggio prevede l’uso di un glucometro, che calcola la
glicemia del sangue capillare; la frequenza di misurazione deve essere personalizzata: i pazienti
trattati con insulina misurano la glicemia almeno tre volte al giorno (per stabilire la dose
farmaceutica e per valutarne l’efficacia), mentre la maggior parte dei pazienti con DMT2 hanno
bisogno di una frequenza di misurazione minore.
Terapia dietetica: nel diabete di tipo 1 il paziente è in genere normopeso, mentre nel diabete di
tipo II un obiettivo importante è portare il BMI <25. In generale bisogna evitare pasti pesanti e
preferire piccoli pasti frequenti. Composizione della dieta: proteine 10-15% (delle calorie), grassi
(30%, meglio insaturi), carboidrati (50-60%, preferibile evitare monosaccaridi e disaccaridi perché
rapidamente assorbiti). In più fibre (rallentano l’assorbimento di carboidrati).
14
Terapia nel Diabete di tipo 1: i cardini della terapia del DMT1 sono la somministrazione di
insulina, la dieta e l’esercizio fisico. L’insulina è indispensabile per supplire alla carenza
dell’ormone endogeno e idealmente mima il pattern fisiologico di secrezione. In media il
fabbisogno giornaliero di insulina è di 0,5-1 U per kg di peso corporeo. Lo schema di
somministrazione più adottato è quello intensivo, che consiste nella somministrazione di iniezioni
multiple o nell’utilizzo di microinfusori: un’insulina basale al giorno e un’insulina rapida ad ogni
pasto principale. Un altro schema è l’iniezione continua subcutanea di insulina (CSII), in cui un
dispositivo rilascia nel sottocute quantità predeterminate di insulina nell’arco delle 24 ore in base
ad un input regolato a sua volta dall’automonitoraggio glicemico.
Nei diabetici di tipo 1 possono esserci metodiche di somministrazione insulinica diverse, ad
esempio mediante microinfusori preprogrammati sulla base delle glicemie dei giorni precedenti.
Terapia nel tipo 2: Le classi di farmaci usati nella terapia del DMT2 sono:
• Farmaci non insulino-secretagoghi (non insulinotropi):
1) Biguanidi: Metformina: Insulino-sensibilizzante: riduce la produzione epatica di glucosio,
aumenta il suo utilizzo periferico; ritarda l’assorbimento intestinal.. Lieve riduzione di LDL e TG.
Assunzione: si parte da dosi basse. Ha un effetto ipoglicemizzante ritardato di alcune settimane.
Controindicazioni: può dare acidosi lattica pertanto da evitare in caso di insufficienza renale,
insufficienza cardiaca (forse), insufficienza epatica, interventi chirurgici. No gravidanza.
Effetti collaterali: disturbi gastrointestinali (30 % dei casi), per cui si consiglia di assumere prima
le dosi minime per poi aumentarla; causa anche dimagrimento. Acidosi lattica.
Quando il filtrato è al di sotto dei 45-50 ml/min, in genere nei nefropatici si usa l’insulina.
3) Incretine: Inibitori DDP4 (Gliptine) e Analoghi GLP-1 (Exenatide, Liraglutide): sono costosi.
Stimolano l’azione pro-insulinica del GLP1 o tramite inibizione del DDP4 (enzima che degrada
GLP1) o analoghi resistenti a DDP4. Gli inibitori di DDP4 aumentano anche HDL e riducono i
trigliceridi, non cambiano il peso corporeo, ma sono meno efficaci. Gli analoghi del GLP-1
aumentano la sazietà rallentando lo svuotamento gastrico (azione a livello centrale). Vengono dati
per via sottocutanea ed hanno il vantaggio di dipendere dalla gliceima, ossia il loro effetto si
riduce al ridursi della glicemia, riducendo i rischi di ipoglicemia. Inoltre, aumentano i livelli di
insulina solo dopo l’introduzione per os di pasti ricchi in carboidrati (glucosio dato per ev non
15
Schema terapeutico:
Dieta ipocalorica + attività fisica.
-se controllo insufficiente: aggiungere Metformina (in genere si usa come primo farmaco (no nei
soggetti con IR) anche perché è stato dimostrato che riduce gli eventi cardiovascolari)
-se controllo insufficiente: aggiungere Glitazoni o Sulfanilurea o Secretagogo o Incretine
-se controllo insufficiente: aggiungere insulina bed-time (insulina intermedia serale).
-se controllo insufficiente: terapia insulinica
Insulina:
Indicazioni alla terapia insulinica: Diabete di tipo I, Diabete di tipo II (in caso di fallimento o
insufficienza di dieta e ADO, in gravidanza, in caso di complicanze, prima di interventi chirurgici).
Terapia insulinica convenzionale: si usa insulina intermedia o mista; è piú semplice ma è uno
schema rigido, non regolabile in base alla quantità di cibo né all’attività fisica:
• Modello a 2 somministrazioni: Colazione: 2/3-3/4 dose. Cena: il resto.
• Modello a 3 somministrazioni: Mattina: mista. Mezzogiorno: normale. Sera: mista.
16
Il dosaggio preprandiale di insulina è calcolato dal paziente attraverso una formula, es. 1 unità per
ogni 10 g di carboidrati piú 1 unità per ogni 50 mg/dL di scarto della glicemia dalla glicemia
preprandiale desiderata. Peculiarità nel diabete di tipo 2: Visto che la secrezione di insulina non è
completamente assente la terapia insulinica si inizia con una singola dose giornaliera di insulina
lenta (0,4 U/kg/die), per esempio prima di andare a dormire. Quando la malattia progredisce
spesso diventa necessario aggiungere delle iniezioni preprandiali, come per il DM tipo 1.
Terapia insulinica intensificata con pompe (microinfusore): una pompa esterna infonde insulina
rapida sottocute. L’infusione avviene continuamente per l’apporto basale (alcuni apparecchi
consentono di aumentarlo alle prime ore del mattino, per evitare il fenomeno dell’alba); l’apporto
pre-pasto è invece indicato di volta in volta dal paziente stesso in base all’entità del pasto e
dell’attività fisica.
Complicanze:
Ipoglicemia: per sovradosaggio, inadeguato apporto di carboidrati, maggiore attività fisica,
riduzione del peso corporeo, interazione con farmaci e alcool.
Iperglicemia mattutina (“fenomeno dell’alba”): per aumentata secrezione notturna di GH.
Lipodistrofia nei punti di iniezione ! importante variare. Resistenza all’insulina. Infezioni
locali (pompa). Coma iperglicemico per ostruzione della pompa.
17
66
xvii
La tiroide è una ghiandola endocrina che produce due ormoni correlati, la tiroxina (T 4) e la triiodiotironina (T3); questi
ŽƌŵŽŶŝŚĂŶŶŽƵŶƌƵŽůŽĨŽŶĚĂŵĞŶƚĂůĞŶĞůůĂĚŝĨĨĞƌĞŶnjŝĂnjŝŽŶĞĐĞůůƵůĂƌĞĚƵƌĂŶƚĞůŽƐǀŝůƵƉƉŽĞŶĞůů͛ŽŵĞŽƐƚĂƐŝƚĞƌŵŝĐĂĞ
metabolŝĐĂ ŶĞůů͛Ğƚă ĂĚƵůƚĂ͘ >Ă ƚŝƌŽŝĚĞ ğ ĨŽƌŵĂƚĂ ĚĂ ƵŶ ŝŶƐŝĞŵĞ Ěŝ ĨŽůůŝĐŽůŝ ƐĨĞƌŝĐŝ ĐŽŶƚĞŶĞŶƚŝ ĐĞůůƵůĞ ĨŽůůŝĐŽůĂƌŝ ĐŚĞ
circondano la colloide, un fluido che contiene la tireoglobulina; si sviluppa dal pavimento linguale e migra fino alla
regione anteriore del collo; cellule della cresta neurale dal corpo ultimobranchiale portano invece alla formazione
delle cellule C midollari che producono calcitonina. Lo sviluppo tiroideo è mediato da una serie di fattori: TTF1, TTF2,
PAX8.
Le malattie tiroidee possono essere da aumentato volume (gozzo), infiammatorie, disfunzioni (ipertiroidismo,
ipotiroidismo) e noduli/tumori (benigni o maligni)43.
Il NIS è inibito dai perclorati e dai tiocianati (utile per diagnosi); la TPO è inibita dal metimazolo e dal propiltiouracile
(usati in terapia); può diventare bersaglio di autoanticorpi e una sua mutazione può provocare gozzo da
disormonogenesi.. La tireoglobulina può diventare bersaglio di autoanticorpi e, visto che è prodotta solo nella tiroide,
può essere usata come marcatore tumorale. Il TSH-‐R può essere bersagliato da autoanticorpi stimolanti, può subire
mutazioni attivanti o inattivanti ed è prodotto anche dai preadipociti retro-‐orbitali e in altri tessuti.
Gli ormoni tiroidei entrano nelle cellule per diffusione passiva e attraverso il trasportatore MCT8; interagiscono quindi
ĐŽŶŝƌĞĐĞƚƚŽƌŝŶƵĐůĞĂƌŝdZɲ;ƉƌŝŶĐŝƉĂůŵĞŶƚĞĞƐƉƌĞƐƐŽŝŶ^E͕ƌĞŶŝ͕ŐŽŶĂĚŝ͕ŵƵƐĐŽůŽ͕ĐƵŽƌĞͿĞdZɴ;ŝƉŽƚĂůĂŵŽ͕ŝƉŽĨŝƐŝ͕
ĨĞŐĂƚŽͿ͕ƐƵŝƋƵĂůŝůĂƚƌŝŝŽĚŝŽƚŝƌŽŶŝŶĂŚĂƵŶ͛ĂĨĨŝŶŝƚăϭϬǀŽůƚĞŵĂŐŐŝŽƌĞĚĞůůĂƚŝƌŽdžŝŶĂ͖ĞƐŝƐƚŽŶŽĂŶĐŚe effetti non genomici.
I recettori interagiscono con le sequenze TRE del DNA determinando una serie di effetti biologici:
Ipotiroidismo
>͛ŝƉŽƚŝƌŽŝĚŝƐŵŽğƵŶĂƉĂƚŽůŽŐŝĂĚĂƌŝĚŽƚƚĂŽŝŶƐƵĨĨŝĐŝĞŶƚĞĂnjŝŽŶĞĚĞŐůŝŽƌŵŽŶŝƚŝƌŽŝĚĞŝĐŚĞŝŶƚĞƌĞƐƐĂů͛ŝŶƚĞƌŽŽƌŐĂŶŝƐŵŽ͘
Può essere primitivo, centrale
e
periferico;
esistono
forme
acquisite
e
forme
congenite.
È
una
malattia
piuttosto
frequente
che
colpisce
piú
spesso
le
donne
(1,5%Ƃ;
1%
ƃ)
.
Eziologia
ǯ
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di ormoni tiroidei e alto TSH alla nascita. È causato principalmente da discinesia tiroidea (agenesia, ectopia, ipoplasia),
piú raramente da difetti di ormonogenesi o da resistenza al TSH. Se non trattato esita in cretinismo: oggi per questo
ŵŽƚŝǀŽ Ɛŝ ĞĨĨĞƚƚƵĂ ůŽ ƐĐƌĞĞŶŝŶŐ ƉĞƌ ů͛ŝƉŽƚŝƌŽŝĚŝƐŵŽ ĐŽŶŐĞŶŝƚŽ ƐƵ ƚƵƚƚŝ ŝ ŶĞŽŶĂƚŝ͕ ƚƌĂŵŝƚĞ ƚĞƐƚ Ěŝ 'ƵƚŚƌŝĞ ƐƵů ƐĂŶŐƵĞ
prelevato dal tallone.
ǯ
>͛ŝƉŽƚŝƌŽŝĚŝƐŵŽ ƉƌŝŵŝƚŝǀŽ ğ ĐĂƵƐĂƚŽ ĚĂ ŝŶƐƵĨĨŝĐŝĞŶƚĞ ƉƌŽĚƵnjŝŽŶĞ Ěŝ ŽƌŵŽŶŝ ƚŝƌŽŝĚĞŝ ƉĞƌ ƵŶ ĚĞĨŝĐŝƚ ĨƵŶnjŝŽŶĂůĞ ĚĞůůĂ
tiroide; questo a sua volta può avere varie cause:
Manifestazioni
In seguito ad una fase compensata in cui i livelli ormonali tiroidei sono normali e quelli di TSH aumentati si ha
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x ŵĞƚĂďŽůŝƐŵŽŐĞŶĞƌĂůĞ͗ƌŝĚƵnjŝŽŶĞĚĞůů͛ĂƉƉĞƚŝƚŽ͕ƌŝĚƵnjŝŽŶĞĚĞůůĂƚĞƌŵŽŐĞŶĞƐŝ
x pelle: le manifestazioŶŝĐƵƚĂŶĞĞƐŽŶŽƐƉĞƐƐŽůĞƉƌŝŵĞ͕ŐĞŶĞƌĂůŵĞŶƚĞŶŽŶƐŽŶŽŐƌĂǀŝ͘>͛ĞƉŝĚĞƌŵŝĚĞğƐĞĐĐŽ͕
ĐŽŶŝƉĞƌĐŚĞƌĂƚŽƐŝĚĞůůŽƐƚƌĂƚŽĐŽƌŶĞŽ͘WĞƌů͛ĂĐĐƵŵƵůŽĚŝŐůŝĐŽƐĂŵŝŶŽŐůŝĐĂŶŝŶĞůĚĞƌŵĂƐŝƉƵžĂǀĞƌĞŵŝdžĞĚĞŵĂ͕
localizzato principalmente agli occhi (m. palpebrale) e alle mani. Altre manifestazioni sono la riduzione della
sudorazione, la caduta dei capelli e la deformazione delle unghie.
68
o
il mixedema può localizzarsi anche alla lingua, provocando macroglossia, e alle corde vocali,
provocando raucedine.
x cuore e vasi: aumento della resistenza periferica, riduzione della frequenza e della contrattilità cardiaca. Tra
ůĞ ĐŽŶƐĞŐƵĞŶnjĞĐ͛ğ ƵŶĂƌŝĚŽƚƚĂƉĞƌĨƵƐŝŽŶĞ ƚĞƐƐƵƚĂůĞĐŚĞ Ěă ůƵŽŐŽ Ă ĨƌĞĚĚĞnjnjĂĚĞůůĂ ĐƵƚĞ Ğ ĂŝŶƚŽůůĞƌĂŶnjĂ Ăů
freddo. In alcuni casi si può avere ipertensione diastolica Ğ͕ŶĞůů͛ŝƉŽƚŝƌŽŝĚŝƐŵŽŐƌĂǀĞ͕ǀĞƌƐĂŵĞŶƚŽƉĞƌŝĐĂƌĚŝĐŽ͘
o ƌĞŶĞ͗ ů͛ĂƵŵĞŶƚŽ ĚĞůůĞ ƌĞƐŝƐƚĞŶnjĞ ƉĞƌŝĨĞƌŝĐŚĞ ƉƌŽǀŽĐĂ ĂŶĐŚĞ ĐŽŶƚƌĂnjŝŽŶĞ ĚĞůůĂ ĚŝƵƌĞƐŝ Ğ ƌŝƚĞŶnjŝŽŶĞ
ŝĚƌŝĐĂ;ĐŚĞƉƌŽǀŽĐĂŵŽĚĞƌĂƚŽĂƵŵĞŶƚŽĚŝƉĞƐŽͿ͕ŶŽŶĐŚĠƌĂůůĞŶƚĂŵĞŶƚŽĚĞůů͛ĞůŝŵŝŶĂnjŝŽŶĞĚĞŝĨĂƌŵĂĐŝ
x polmonŝ͗ ůĞ ŵĂŶŝĨĞƐƚĂnjŝŽŶŝ ƌĞƐƉŝƌĂƚŽƌŝĞ ƐŽŶŽ ƐƉĞƐƐŽ ŐƌĂǀŝ͕ ĚĂůůĂ ĚŝƐƉŶĞĂ Ăůů͛ĂĐŝĚŽƐŝ ƌĞƐƉŝƌĂƚŽƌŝĂ Ğ Ăů
versamento pleurico.
x sistema gastrointestinale: si passa da una lieve riduzione della mobilità intestinale (con stipsi) a ileo paralitico
con pseudo-‐ostruzione intestinale.
x SNC e muscolo: difficoltà di concentrazione, bradilalia, letargia, depressione, rallentamento dei riflessi e dei
movimenti volontari;
x ĂůƚƌŽ͗ŝƉŽĂĐƵƐŝĂ ĞǀĞƌƚŝŐŝŶŝ͕ŵŝĂůŐŝĞ͕ ƉĂƌĞƐƚĞƐŝĞ͕ ĚŝƐďĞƚĂůŝƉŽƉƌŽƚĞŝŶĞŵŝĞ͕ ŐĂůĂƚƚŽƌƌĞĂ ;ƉĞƌů͛ĂƵŵĞŶƚŽ ĚĞů dRH,
che stimola la PRL)
Diagnosi
In presenza delle manifestazioni tipiche si valutano i livelli plasmatici di FT 4 e TSH, in base ai quali si possono
ĚŝĨĨĞƌĞŶnjŝĂƌĞ ů͛ŝƉŽƚŝƌŽŝĚŝƐŵŽ ƉƌŝŵŝƚŝǀŽ ĚĂ ƋƵĞůůŽ ĐĞŶƚƌĂůĞ͖ ƋƵĞƐƚ͛ƵůƚŝŵŽ ƉƵž ĞƐƐĞƌĞ ƐƵĐĐĞƐƐŝǀĂŵĞŶƚĞ ĚŝĨĨĞƌĞnziato in
ipofisario o ipotalamico grazie alla valutazione del TRH.
Nei pazienti con ipotiroidismo primitivo andrebbe valutata la funzione cardiaca tramite ECG e ecocardiografia.
Terapia
È necessario effettuare una terapia sostitutiva con L-‐tiroxina, mirando alla normalizzazione dei valori di TSH e degli
ormoni tiroidei; solitamente è necessario effettuare il trattamento per 2-‐ϰŵĞƐŝƉĞƌƉŽŝǀĂůƵƚĂƌŶĞů͛ĞĨĨŝĐĂĐŝĂ͖ůĂƚĞƌĂƉŝĂ
va generalmente proseguita per tutta la vita.
Tireotossicosi
e
ipertiroidismo
Con tireotossicosi si riferisce a un aumento degli ormoni tiroidei circolanti; con ipertiroidismo ad una condizione di
ƚŝƌĞŽƚŽƐƐŝĐŽƐŝĚŽǀƵƚĂĂĚƵŶ͛ĂƵŵĞŶƚĂƚĂƐĞĐƌĞnjŝŽŶĞĚĂƉĂƌƚĞĚĞůůĂƚŝƌŽŝĚĞ͘
La tireotossicosi si può distinguere in base alla captazione di iodio radioattivo in
Manifestazioni
Il quadro clinico include manifestazioni comuni a tutte le tireotossicosi e manifestazioni specifiche del morbo di
Basedow-‐Graves.
x metabolismo generale: aumento della velocità del metabolismo, dimagrimento paradosso con polifagia,
intolleranza al caldo
x SNC: ansia, insonnia
x muscolo: aumentata faticabilità, fini tremori alle estremità
x pelle: cute calda, aumento della sudorazione, fragilità ungueale, tendenza alla caduta dei capelli
x cuore e vasi: tachicardia, aumento della pressione arteriosa differenziale
x ƐŝƐƚĞŵĂŐĂƐƚƌŽŝŶƚĞƐƚŝŶĂůĞ͗ĚĂůů͛ĂƵŵĞŶƚĂƚĂĨƌĞƋƵĞŶnjĂĚĞůů͛ĂůǀŽĂůůĂĚŝĂƌƌĞĂ
x ossa: osteoporosi
x Basedow
o tiroide: gozzo (generalmente diffuso);
o occhio: oftalmopatia (esoftalmo, iniezione congiuntivale, edema periorbitale, retrazione della
palpebra, secchezza, sensazione di sabbia, diplopia);
o cute: dermopatia tiroidea (mixedema pretibiale) 5%.
o acropachia (dita a bacchetta di tamburo), rara.
Diagnosi
Occorre innanzitutto valutare i livelli plasmatici di TSH e di T4. Se il TSH è basso e la tiroxina alta si ha una tireotossicosi
primaria; se il TSH è normale o aumentato e la tiroxina è alta si deve sospettare una forma secondaria. Tra le
tireotossicosi primarie va inizialmente ricercato il Basedow, tramite la valutazione delle manifestazioni specifiche e
degli autoanticorpi; quindi le forme nodulari attraverso ecografia; la scintigrafia consente di evidenziare le forme a
bassa captazione (la tiroide non è visualizzabile).
Terapia
La terapia può essere farmacologica, radiometabolica o chirurgica.
La terapia farmacologica consiste nella somministrazione di tionamidi, farmaci che inibiscono la secrezione ormonale
tiroidea. Vantaggi: facile, reversibile, remissione permanente nel 50% dei Basedow. Svantaggi: lunga (fino a due anni),
possibili recidive, non porta a remissione le forme nodulari, ha effetti collaterali. I due tionamidi principali sono il
metimazolo (MMI) e il propiltiouracile (PTU); il primo è piú facilmente disponibile, costa meno, ha minori effetti
collaterali e riesce ad attraversare la placenta.
La terapia radiometabolica sfrutta la captazione tiroidea dello iodio e agisce provocando citolisi sulle cellule follicolari
tutte (Basedow) o sulle aree iperfunzionanti (forme nodulari); può determinare ipotiroidismo.
La terapia chirurgica consiste nella tiroidectomia (Basedow, gozzo multinodulare tossico) o nella lobectomia (adenoma
tossico); il vantaggio è che induce remissione permanente; lo svantaggio è che determina ipotiroidismo da trattare a
vita.
70
xviii
Le ghiandole surrenali sono organi addominali retroperitoneali; sono dotate di un sistema arterioso simil-‐portale che
ǀĂĚĂůů͛ĞƐƚĞƌŶŽĂůů͛ŝŶƚĞƌŶŽ͘/ůƐƵƌƌĞŶĞğĨŽƌŵĂƚŽĚĂĚƵĞĐŽŵƉŽŶĞŶƚŝĞŵďƌŝŽůŽŐŝĐĂŵĞŶƚĞĞĨƵŶnjŝŽŶĂůŵĞŶƚĞĚŝƐƚŝŶƚĞ͗ůĂ
corticale e la midollare.
Secrezione
ormonale
x La corticale è formata a sua volta da due unità funzionali:
o la glomerulare, che
produce
mineralcorticoidi
ed
è
regolata
dal
sistema
renina-‐angiotensina.
La
renina
è
secreta
dal
rene
in
seguito
a
Ļpressione
arteriosa,
ĻNa+
ǯǡĹrilascio
di
ǯ
ͳǡ
ǯ
AT2;
questa
stimola
la
secrezione
di
aldosterone
(con
retroinibizione).
o la fascicolata-‐reticolata che produce glucocorticoidi e precursori degli androgeni; è regolata da tre
sistemi: stress-‐CRH-‐ACTH ipofisario, che stimola soprattutto la secrezione di cortisolo; ritmo
circadiano; retroinibizione.
x La midollare produce catecolamine ;ŶŽƌĂĚƌĞŶĂůŝŶĂ Ğ ĂĚƌĞŶĂůŝŶĂͿ ŝŶ ƌŝƐƉŽƐƚĂ Ăů ƌŝůĂƐĐŝŽ ĚĞůů͛ĂĐĞƚŝůĐŽůŝŶĂ ĚĂ
ƉĂƌƚĞĚĞůůĞĨŝďƌĞƐŝŵƉĂƚŝĐŚĞƉƌĞŐĂŶŐůŝĂƌŝŝŶĐŽŶĚŝnjŝŽŶŝĚŝƐƚƌĞƐƐĐŽŵĞů͛ŝƉŽŐůŝĐĞŵŝĂŽů͛ŝƉŽƚĞŶƐŝŽŶĞŽƌƚŽƐƚĂƚŝĐĂ͘
Azioni
ormonali
/ů ĐŽƌƚŝƐŽůŽ ğ ůĞŐĂƚŽ ƉĞƌ ŝů ϳϬй ĂůůĂ '͕ ƉĞƌ ŝů ϮϬй Ăůů͛ĂůďƵŵŝŶĂ Ğ ƉĞƌ ŝů ϭϬй ğ ŝŶ ĨŽƌŵĂ ůŝďĞƌĂ͖ ů͛ĂůĚŽƐƚĞƌŽŶĞ ğ
ĚĞďŽůŵĞŶƚĞůĞŐĂƚŽĂůů͛ĂůďƵŵŝŶĂ͘>͛ĂnjŝŽŶĞďŝŽůŽŐŝĐĂĚĞŐůŝŽƌŵŽŶŝĂǀǀŝĞŶĞĂƚƚƌĂǀĞƌƐŽŝůůĞŐĂŵĞĐŽŶƌĞĐĞƚƚŽƌŝŶƵĐůĞĂƌŝ͘
Il ĐŽƌƚŝƐŽůŽŚĂƵŶ͛ĂnjŝŽŶĞŝƉĞƌŐůŝĐĞŵŝnjnjĂŶƚĞ͕ƉƌŽƚĞŽůŝƚŝĐĂĞůŝƉŽůŝƚŝĐĂ͘,ĂĂĨĨŝŶŝƚăƉĞƌŝůƌĞĐĞƚƚŽƌĞƉĞƌŝŵŝŶĞƌĂůĐŽƌƚŝĐŽŝĚŝ͕
ŵĂ ů͛ĂƐƉĞƚƚŽ ƐŽĚŝŽƌŝƚĞŶƚŝǀŽ ƐŽůŝƚĂŵĞŶƚĞ ŶŽŶ Ɛŝ ŵĂŶŝĨĞƐƚĂ ƉĞƌĐŚĠ ƋƵĞƐƚŽ ƌĞĐĞƚƚŽƌĞ ğ ĂĐĐŽƉƉŝĂƚŽ ĂůůĂ ϭϭɴ-‐
idrossisteroido-‐deidrogenasi, che lo converte in cortisone. Aumenta la contrattilità cardiaca, sensibilizza i vasi
Ăůů͛ĂĚƌĞŶĂůŝŶĂ͕ğŝƉŽĐĂůĐĞŵŝnjnjĂŶƚĞ͕ĂŶƚŝŶĨŝĂŵŵĂƚŽƌŝŽĞŝŵŵƵŶŽƐŽƉƉƌĞƐƐŝǀŽ͘
>͛ĂůĚŽƐƚĞƌŽŶĞ ƌĞŐŽůĂŝů ďŝůĂŶĐŝŽ ĞůĞƚƚƌŽůŝƚŝĐŽ ĂƵŵĞŶƚĂŶĚŽ ŝůƌŝĂƐƐŽƌďŝŵĞŶƚŽ Ěŝ ƐŽĚŝŽĞ ĂĐƋƵĂ;ĞĨĨetto sodioritentivo e
idroritentivo) e riducendo di conseguenza il potassio e i protoni ematici. Questi effetti sono mediati dalla maggiore
esposizione dei canali ENaC, che riassorbono sodio.
Gli androgeni surrenalici sono principalmente dei precursori, che acquisiscono la vera azione biologica in seguito alla
trasformazione nelle gonadi.
Le catecolamine
agiscono
tramite
i
recettori
adrenergici
in
molti
distretti
corporei:
x cuore
e
vasi:
Ĺfrequenza,
gittata
e
pressione
sistolica,
Ĺresistenza
vascolare
֜
effetto
ipertensivo;
ǯ
Ǣ
x rene:
ritenzione
di
sodio
e
acqua
x vie
respiratorie:
broncodilatazione
x metabolismo:
effetto
iperglicemizzante
e
lipolitico.
Insufficienza
surrenalica
>͛ŝŶƐƵĨĨŝĐŝĞŶnjĂƐƵrrenalica, o iposurrenalismo, consiste nella ridotta produzione di glucocorticoidi e mineralcorticoidi.
Può essere:
PGA2: piú frequente, insufficienza surrenalica, tiroidite di Hashimoto, ipo/iper-‐tiroidismo,
gastrite atrofica, alopecia, vitiligine, celiachia, miastenia grave; esordio in età adulta;
poligenica, autosomica dominante.
o infezioni:
tubercolosi (un tempo la causa principale);
AIDS;
sepsi meningococcica;
o malattie da accumulo;
o metastasi da linfomi, tumori polmonari, gastrointestinali, renali, mammari;
o interventi chirurgici e traumi;
o alcuni farmaci;
o forme congenite: adrenoleucodistrofia, ipoplasia surrenalica congenita, deficit familiare di
glucocorticoidi;
x secondaria:
o a soppressione iatrogena (glucocorticoidi) degli ormoni ipotalamo-‐ipofisari (piú frequente);
o a patologie e a chirurgia ipotalamo-‐ipofisarie.
>Ğ ŵĂŶŝĨĞƐƚĂnjŝŽŶŝ ĐůŝŶŝĐŚĞ ĚĞůů͛ŝŶƐƵĨĨŝĐŝĞŶnjĂ ƐƵƌƌĞŶĂůŝĐĂ ƉƌŝŵŝƚŝǀĂ ƐŽŶŽ ĐĂƵƐĂƚĞ ĚĂůůĂ ƉĞƌĚŝƚĂ ĚĞůůĞ ƐĞĐƌĞnjŝŽŶĞ Ěŝ
ŐůƵĐŽĐŽƌƚŝĐŽŝĚŝ͕ ĂŶĚƌŽŐĞŶŝ Ğ ŵŝŶĞƌĂůĐŽƌƚŝĐŽŝĚŝ͕ ŵĞŶƚƌĞ ŶĞůů͛ŝŶƐƵĨĨŝĐŝĞŶnjĂ ƐƵƌƌĞŶĂůŝĐĂ ƐĞĐŽŶĚĂƌŝĂ ůĂ ƐĞĐƌezione di
mineralcorticoidi è mantenuta grazie alla normale funzionalità del sistema renina-‐angiotensina-‐aldosterone; in questo
caso possono però manifestarsi altri sintomi causati dal coinvolgimento di altri assi endocrini o dalla compressione di
strutturĞĂĚŝĂĐĞŶƚŝĂůů͛ŝƉŽĨŝƐŝ͘
>͛ŝŶƐƵĨĨŝĐŝĞŶnjĂƐƵƌƌĞŶĂůŝĐĂcronica si manifesta con segni e sintomi piuttosto aspecifici: astenia, anoressia, perdita di
peso, dolori osteomuscolari. Una caratteristica che distingue la forma primitiva dalla secondaria è la pigmentazione
cutanea, rispettivamente eccessiva e scarsa. Nella forma primitiva, a causa del deficit di aldosterone, si osserva anche
iposodiemia e iperpotassiemia.
>͛ŝŶƐƵĨĨŝĐŝĞŶnjĂ ƐƵƌƌĞŶĂůŝĐĂ acuta si verifica solitamente nelle forme primitive in seguito ad un evento scatenante
stressogeno; inizialmente si ha ipotensione posturale, che può sfociare in shock ipovolemico e coma. Può mimare un
quadro di addome acuto: dolore addominale, nausea, vomito, febbre.
Il sospetto clinico di insufficienza surrenalica si deve confermare evidenziando una riduzione del cortisolo urinario o
una riduzione del cortisolo al mattino (la valutazione casuale della cortisolemia non è valida perché il cortisolo è
secreto con un ritmo circadiano e inoltre il deficit può essere proprio nĞůůĂƌŝƐƉŽƐƚĂĂůů͛d,͘Ϳ͘YƵŝŶĚŝƐŽŶŽŝŶĚŝĐĂƚŝǀŝ
per le forme primitive (Addison) una riduzione del cortisolo dopo test di stimolo con ACTH o un aumento ĚĞůů͛d,͘
^ƵŐŐĞƐƚŝǀĂƉĞƌŝƉŽƐƵƌƌĞŶĂůŝƐŵŽƐĞĐŽŶĚĂƌŝŽğůĂƌŝĚƵnjŝŽŶĞĚĞůů͛d,͘ĚĂƌŝĐŽƌĚĂƌĞĐŽŵƵŶƋƵĞche, in caso di sospetta
crisi acuta, è preferibile avviare la terapia in seguito alla valutazione del solo cortisolo, per poi confermare la diagnosi.
>Ă ƚĞƌĂƉŝĂ ƉĞƌ ůĞ ĐƌŝƐŝ ĂĐƵƚĞ ƉƌĞǀĞĚĞ ů͛ŝŵŵĞĚŝĂƚĂ ƌĞŝĚƌĂƚĂnjŝŽŶĞ ĐŽŶ ŝŶĨƵƐŝŽŶĞ Ěŝ ƐŽůƵnjŝŽŶĞ ƐĂůŝŶĂ͕ ůĂ ƐŽƐtituzione
ŽƌŵŽŶĂůĞ Ěŝ ŐůƵĐŽĐŽƌƚŝĐŽŝĚŝ ;ŝĚƌŽĐŽƌƚŝƐŽŶĞͿ Ğ ŵŝŶĞƌĂůĐŽƌƚŝĐŽŝĚŝ ;ƵŶĂ ǀŽůƚĂ ĐŚĞ Ɛŝ ƌŝĚƵĐĞ ů͛ŝĚƌŽĐŽƌƚŝƐŽŶĞ͕ ĐŚĞ Ă ĚŽƐŝ
elevate ha azione mineraloattiva).
WĞƌ ů͛ŝŶƐƵĨĨŝĐŝĞŶnjĂ ƐƵƌƌĞŶĂůŝĐĂ ĐƌŽŶŝĐĂ ğ ŶĞĐĞƐƐĂƌŝĂ ůĂ ƐŽƐƚŝƚƵnjŝŽŶĞ ŽƌŵŽŶĂůĞ͗ Ěŝ ŐůƵĐŽĐŽƌƚŝĐŽidi mimando il motivo
fisiologico di secrezione ed incrementando il dosaggio in condizioni di stress (es. febbre, interventi chirurgici) e
ŶĞůů͛ƵůƚŝŵŽ ƚƌŝŵĞƐƚƌĞ Ěŝ ŐƌĂǀŝĚĂŶnjĂ͖ Ěŝ ŵŝŶĞƌĂůĐŽƌƚŝĐŽŝĚŝ ŶĞůůĞ ĨŽƌŵĞ ƉƌŝŵŝƚŝǀĞ ĐŽŶ ĨůƵŽƌŽŝĚƌŽĐŽƌƚŝƐŽŶĞ͖ Ěŝ ĂŶĚƌŽŐĞŶŝ
(DHEA) se necessario.
x s. di Cushing iatrogena: è causata dalla somministrazione di glucocorticoidi esogeni; è la forma piú frequente;
46
/ޖkܼݕݜăȀ
72
x Ɛ͘ĚŝƵƐŚŝŶŐĞŶĚŽŐĞŶĂ͗ğĐĂƵƐĂƚĂĚĂůů͛ŝƉĞƌƐĞĐƌĞnjŝŽŶĞƐƵƌƌĞŶĂůŝĐĂĚŝŐůƵĐŽĐŽƌƚŝĐŽŝĚŝ
o ACTH-‐dipendente ;ϴϬйͿƐĞĂůůĂďĂƐĞĐ͛ğƵŶĞĐĐĞƐƐŽĚŝĐŽƌƚŝĐŽƚƌŽƉŝŶĂ
malattia di Cushing (da adenoma ipofisario): prev. tra i 20 e i 40 anni, colpisce piú spesso le
donne; solitamente si tratta di un microadenoma
sindrome da ACTH ectopico (C. paraneoplastico): prev. tra i 40 e i 60 anni, piú spesso gli
uomini; ha origine solitamente da un tumore neuroendocrino ben differenziato
sindrome da CRH ectopico
o ACTH-‐indipendente (20%) se è causata da una patologia primitiva surrenalica
adenoma surrenalico: causa piú frequente; solitamente unilaterale
carcinoma surrenalico: piú ĨƌĞƋƵĞŶƚĞŶĞůů͛ŝŶĨĂŶnjŝĂ
iperplasia surrenalica
displasia surrenalica nodulare pigmentata: associata al complesso di Carney
>͛ŝƉĞƌĐŽƌƚŝƐŽůŝƐŵŽ Ɛŝ ŵĂŶŝĨĞƐƚĂ ƐŝƐƚĞŵŝĐĂŵĞŶƚĞ͖ ƐƉŝĐĐĂŶŽ Őůŝ ĞĨĨĞƚƚŝ ƉƌŽƚĞŽůŝƚŝĐŝ͕ ůŝƉŽƐŝŶƚĞƚŝĐŝ͕ ƐŽĚŝŽƌŝƚĞŶƚŝǀŝ Ğ
immunosoppressivi.
x metabolismo glicidico e lipidico: obesità centrale, facies lunare, riduzione della sensibilità insulinica
x metabolismo proteico: ipotrofia della muscolatura prossimale, osteoporosi, assottigliamento cutaneo con
larghe strie purpuree, difficoltà nella cicatrizzazione, fragilità vascolare con ecchimosi
x sistema immunitario: suscettibilità alle infezioni
x sistema cardiovascolare: scompenso cardiaco
x sistema nervoso: depressione
x azione sui recettori per mineralcorticoidi: ipopotassiemia, alcalosi, ipertensione arteriosa
x iperandrogenismo: amenorrea e irsutismo, infertilità maschile, alopecia, acne
x melanodermia nelle forme da ĹACTH
La maggior parte di questi sintomi non è specifica; inoltre il quadro clinico, eccetto le forme a eziologia maligna, si
sviluppa lentamente e può essere quindi confuso con forme di obesità idiopatica. Riscontrare miopatia prossimale
(braccia sottili e cosce sottili, difficoltà ad alzarsi) e strie purpuree indirizza verso la sindrome di Cushing in modo piú
specifico.
In presenza di sospetto diagnostico è necessario confermare la diagnosi:
x Iperaldosteronismo primitivo: la zona glomerulare del surrene produce in eccesso mineralcorticoidi
73
o
iperplasia surrenalica bŝůĂƚĞƌĂůĞ͕ŝŶƐŝĞŵĞĂůů͛ĂĚĞŶŽŵĂğůĂĐĂƵƐĂƉŝú frequente;
o
adenoma surrenalico (sindrome di Conn): prev. unilaterale;
o
carcinoma surrenalico: prev. in pazienti giovani;
o
iperaldosteronismo sopprimibile con glucocorticoidi: in seguito a crossing-‐over ineguale si forma un
ŐĞŶĞĐŚŝŵĞƌŝĐŽĚĞůů͛ĂůĚŽƐƚĞƌŽŶĞĐŽŶŝůƉƌŽŵŽƚŽƌĞĚĞůĐŽƌƚŝƐŽůŽ͗ů͛ĂůĚŽƐƚĞƌŽŶĞǀŝĞŶĞƋƵŝŶĚŝƐƚŝŵŽůĂƚŽ
ĚĂůů͛d,͖
x Iperaldosteronismo secondario: il surrene è iperstimolato dal sistema renina-‐angiotensina:
o ƐƚĞŶŽƐŝĚĞůů͛ĂƌƚĞƌŝĂƌĞŶĂůĞ͗ƌŝĚƵnjŝŽŶĞƉƌessoria
o ƐĐŽŵƉĞŶƐŽĐĂƌĚŝĂĐŽ͗ŝƉŽƉĞƌĨƵƐŝŽŶĞĚĞůů͛ĂƌƚĞƌŝŽůĂĂĨĨĞƌĞŶƚĞ
o cirrosi: ipotensione da vasodilatazione splancnica
o sindrome nefrosica
o tumori secernenti renina
x Forme periferiche
o iperstimolazione del recettore per mineralcorticoidi da altri steroidi:
mutanjŝŽŶŝ ŝŶĂƚƚŝǀĂŶƚŝ ůĂ ϭϭɴ-‐idrossisteroidodeidrogenasi determinano un eccesso di
cortisolo libero;
ŝŶŝďŝnjŝŽŶĞĚĞůůĂϭϭɴ-‐,^ĚĂƉĂƌƚĞĚĞůů͛ĂĐŝĚŽŐůŝĐŝƌƌŝnjŝĐŽ
sindrome di Cushing
o sindrome di Liddle: mutazione di ENaC che ne riduce la degradazione
>͛ĞĐĐĞƐƐŝǀĂ ĂƚƚŝǀĂnjŝŽŶĞ ĚĞůDZ ĚĞƚĞƌŵŝŶĂ ĂƵŵĞŶƚŽ ĚĞůů͛ĞƐƉŽƐŝnjŝŽŶĞ Ğ ĚĞůů͛Ăƚƚŝǀŝƚă ĚĞŝ ĐĂŶĂůŝEĂ͕ ĐŽŶ ĐŽŶƐĞŐƵĞŶƚĞ
ritenzione idrosalina e deplezione di potassio e protoni: si ha ipertensione arteriosa, ipopotassiemia, alcalosi, nonché
ĂƌŝƚŵŝĞĞĐĞĨĂůĞĂ;ů͛ŝƉĞƌƐŽĚŝĞŵŝĂ è mascherata dalla ritenzione idrica). >͛ĂůĚŽƐƚĞƌŽŶĞŚĂĂŶĐŚĞĞĨĨĞƚƚŝĚŝƌĞƚƚŝĂůŝǀĞůůŽ
ĐĂƌĚŝĂĐŽĞƌĞŶĂůĞ͘>ĂĐĂƌĂƚƚĞƌŝƐƚŝĐĂĚĞůůĂŵĂůĂƚƚŝĂğů͛ŝƉŽƉŽƚĂƐƐŝĞŵŝĂ͕ĂŶĐŚĞƐĞƋƵĞƐƚĂƉƵžŶŽŶƉƌĞƐĞŶƚĂƌƐŝĂůů͛ĞƐŽƌĚŝŽ
nella metà dei pazienti; se marcata può provocare crampi e debolezza muscolare.
Si deve sospettare iperaldosteronismo in pazienti con ipertensione grave (>180/110) o con ipertensione (>160/100)
associata a ipopotassiemia, massa surrenalica o esordio sotto i 40 anni. La prima fase di valutazione prevede la
ŵŝƐƵƌĂnjŝŽŶĞŝŶĐŽŶƚĞŵƉŽƌĂŶĞĂĚĞůůĂƌĞŶŝŶĂĞĚĞůů͛ĂůĚŽƐƚĞƌŽŶĞ47 per calcolare il rapporto A/R se questo è elevato il test
ğƐƵŐŐĞƐƚŝǀŽƉĞƌĨŽƌŵĞƉƌŝŵŝƚŝǀĞĞƐŝƉĂƐƐĂĂŝƚĞƐƚĚŝĐŽŶĨĞƌŵĂ͕ĐŚĞŵŝƌĂŶŽĂĐŽŶĨĞƌŵĂƌĞů͛ĂƵƚŽŶŽŵŝĂĚĞůůĂƐĞĐƌĞnjŝŽŶĞ
di aldosterone Ğ ĂŐŝƐĐŽŶŽ ŝŶŝďĞŶĚŽ ů͛ĂƐƐĞ ƌĞŶŝŶĂ-‐angiotensina-‐aldosterone: carico salino, fludrocortisone o ACE-‐
ŝŶŝďŝƚŽƌĞ͖ƐĞů͛ĂůĚŽƐƚĞƌŽŶĞŶŽŶğƐŽƉƉƌĞƐƐŽƐŝƉĂƐƐĂĂůůĂĚŝĂŐŶŽƐƚŝĐĂƉĞƌŝŵŵĂŐŝŶŝƉĞƌŝĚĞŶƚŝĨŝĐĂƌĞůĂĐĂƵƐĂ͘>Ădğŝů
metodo di elezione, anche se può non evidenziare lesioni piú piccole di 5 mm. Può essere utile la scintigrafia
surrenalica con iodocolesterolo marcato previa soppressione funzionale della fascicolata tramite desametasone. Per i
pazienti candidati alla chirurgia è possibile differenziare le forme unilaterali (adenomi, carcinomi) da quelle bilaterali
(iperplasia surrenalica b.) tramite il cateterismo delle vene surrenaliche, che valuta il rapporto aldosterone/cortisolo
nelle due vene.
I pazienti <40 anni con lesione unilaterale possono essere trattati con surrenalectomia laparoscopica; gli altri possono
essere trattati farmacologicamente con spironolattone (antagonista di MR).
47
la
misurazione
va
fatta
prima
in
clinostatismo
e
una
seconda
volta
dopo
tre
ore
di
ortostatismo
(se
i
valori
non
sono
modificati
è
indice
di
indipendenza
dal
sistema
omeostatico
e
quindi
di
adenoma);
idealmente
si
dovrebbe
interrompere
la
terapia
antiipertensiva
I Gazzellini
- Interna -
- Emato -
A. Fusco
INDICE
1
Nel caso della leucemia mieloide, essa viene classificata quali il midollo osseo mostra iperplasia eritroide (reversi-
come acuta (LMA) o cronica (LMC) sulla base della per- bile se tali vitamine vengono reintegrate).
centuale di blasti presenti nel midollo osseo (sempre Nel caso della leucemia linfoide e del linfoma, essi ven-
>20% nella forma acuta; variabile in quella cronica), e gono definitivamente classificati in base ad indagini cito-
sulla base delle indagini citogenetiche, che dirimono ogni genetiche ed immunofenotipiche, che permettono di indi-
dubbio. viduare la cellula di origine della neoplasia. Tale identifi-
La LMA va distinta inoltre dalla mielodisplasia, che può cazione non ha valore prognostico, ma permette di diffe-
presentarsi con una percentuale di blasti nel midollo at- renziare tra loro le varie forme, orientando il trattamento.
torno al 20%, e dal deficit di vitamina B12 o di folati, nei
2
NOTA: vista l’importanza del linfoma di Hodgkin (LH)
tutti gli altri linfomi vengono definiti convenzionalmente
“linfomi non-Hodgkin” (LNH).
Va infine segnalato che, nei pazienti con neoplasia di ori-
gine linfoide, vi sono alcuni sistemi di stadiazione ed in-
dici prognostici comuni.
3
Leucemia mieloide acuta (LMA)
Definizione Clinica
Rientrano sotto la definizione di LMA un gruppo di no- I pazienti con LMA sono per lo più sintomatici al momen-
plasie ematopoietiche, che coinvolgono i precursori mie- to della presentazione clinica. Possiamo classificare i sin-
loidi. tomi come:
Costituzionali
La LMA si caratterizza per l’accumulo, nel midollo osseo, 1. Astenia
nel sangue periferico, e occasionalmente nei tessuti, di 2. Debolezza muscolare
precursori mieloidi (forme immature, blasti). 3. Anoressia
4. Calo ponderale
Epidemiologia 5. Febbre
La LMA è la leucemia acuta più comune negli adulti, co- Da espansione midollare
stituendo circa l’80% dei casi. È invece rara nei bambini, 1. Dolori ossei (sterno)
e infatti l’età media alla diagnosi è di 65 anni. Da infiltrazione dei tessuti
1. Linfadenopatia (rara)
Eziopatogenesi 2. Splenomegalia (rara)
A differenza della LMC, la LMA è stata associata con un 3. Sarcoma mieloide (<1%)
certo numero di fattori di rischio, ossia: • Ipertrofia gengivale
1. Ereditarietà: alcune sindromi con aneuploidia • Lesioni cutanee
cromosomica (Down, Klinefelter, Patau) o carat- 4. Sintomi da infiltrazione del SNC
terizzate da fragilità cromosomica (anemia di Da pancitopenia
Fanconi, atassia-teleangectasia). Trombocitopenia
2. Radiazioni 1. Petecchie, ecchimosi
3. Agenti chimici: benzene, fumo, ossido di etilene, 2. Sanguinamento gengivale
erbicidi e pesticidi Eritrocitopenia
4. Farmaci: i chemioterapici antineoplastici sono la 1. Astenia
principale causa iatrogena di LMA. In questi casi 2. Pallore cutaneo
la patologia insorge da 1 a 6 anni dopo il tratta- Leucopenia (neutropenia)
mento con tali farmaci. 1. Infezoni ! febbre
Inoltre, va ricordato come alcune alterazioni ematologiche
quali le sindromi mielodisplastiche possano evolvere poi Esami di laboratorio
in LMA. Emocromo. L’emocromo dei pazienti con LMA mostrerà
Tali fattori agiscono, secondo le attuali ipotesi patogeneti- nella maggioranza dei casi:
che, determinando danno al DNA. Secondo la “two hit 1. Anemia normocromica normocitica con basso IR
hypothesis” vi sarebbe una prima mutazione che conferi- 2. Piastrinopenia da moderata a grave
sce a determinati cloni di precursori un vantaggio seletti- 3. Leucocitosi (>15.000)
vo e, successivamente, una seconda mutazione ne com- Striscio periferico. Tale esame rivelerà un grande quantità
prometterebbe il differenziamento (dando quindi come di blasti in circolo in circa il 95% dei pazienti. Poiché i
risultato l’accumulo di precursori). blasti mieloidi sono morfologicamente indistinguibili da
quelli linfoidi (= diagnosi differenziale con leucemia lin-
Fisiopatologia foide acuta) è necessario distinguerli tramite alcuni ele-
La proliferazione midollare dei suddetti precursori ostaco-
menti:
la la normale mielopoiesi, determinando riduzione di tutte
1. Corpi di Auer: sono dei granuli citoplasmatici
le linee cellulari normali, e le cellule leucemiche liberate
in circolo possono accumularsi, a volte, a livello dei tes- eosinofili, presenti solo nei blasti mieloidi
suti. 2. Reazione della MPO: è positiva solo nei blasti
L’intenso metabolismo e turnover cellulare determinano mieloidi
inoltre accumulo di acido urico nel sangue, con tutte le 3. Immunofenotipizzazione: si ricercano i marker di
possibili conseguenze (artrite gottosa, nefrolitiasi da acido membrana della serie mieloide o linfoide. NO-
urico).
4
TA: in entrambi i casi i blasti possono pure e- 7. M5 = LMA monocitica
sprimere entrambi i markers. 8. M6 = Eritroleucemia
Biopsia o aspirato del midollo osseo. In genere si pratica 9. M7 = LMA megacarioblastica
prima l’aspirato e, se non si può aspirare nulla (per Riguardo invece alla prognosi, essa è correlata, oltre che
l’eccessiva cellularità del midollo o per fibrosi midollare) allo stato della malattia (% di blasti in circolo), anche e
allora si pratica la biopsia. L’aspetto di quest’esame sarà soprattutto ad altri fattori, quali: 1) età, che è il più impor-
simile a quello dello striscio periferico, con una grandis- tante; 2) Malattie croniche o acute intercorrenti; 3) per-
sima abbondanza di blasti in proliferazione. formance status; 4) Reperti cromosomici specifici.
5
Leucemia mieloide cronica (LMC)
Clinica
Definizione Al momento della presentazione clinica, i pazienti
La LMC è una neoplasia mieloproliferativa della possono essere:
serie granulocitica. • Asintomatici (50%): In questi pazienti la
malattia viene sospettata sulla base delle
È caratterizzata da accumulo in circolo di granu- modifiche agli esami di laboratorio di rou-
lociti in vari stadi di maturazione, e ha un decorso tine (vedi oltre).
bifasico o trifasico (fase cronica, fase accelerata e • Sintomatici: in questi pazienti predomi-
fase blastica). nano i sintomi costituzionali, legati
all’ipermetabolismo della malattia (aste-
Epidemiologia nia, perdita di peso, sudorazione notturna,
La LMC causa il 15-20% delle leucemie negli a- malessere generale). Possono essere pre-
dulti. L’erà media alla diagnosi è di 50-60 anni. senti anche sintomi più specifici, ossia do-
Fatta eccezione per le radiazioni, non sono stati lore all’ipocondrio sx (occasionalmente
identificati altri fattori di rischio per la malattia. irradiato alla spalla sx) o senso di sazietà
Non è chiaro se vi sia o meno una predisposizione precoce, dovuti alla splenomegalia da in-
genetica allo sviluppo di tale neoplasia: esistono filtrazione splenica di cellule neoplasti-
alcune famiglie che presentano diversi casi di ma- che. Può anche essere presenta dolorabili-
lattia, per lo più associati a mutazioni somatiche tà alla parte inferiore dello sterno, dovuta
di BCR/ABL (vedi oltre) o JAK, ma nella popola- all’espansione del midollo osseo, oppure
zione generale non sono stati identificati fattori di artrite e nefrolitiasi, dovute
predisposizione genetica. all’iperuricemia.
L’esame obiettivo rivelerà per lo più splenome-
Patogenesi e genetica galia e, nei pazienti in fase accelerata (vedi oltre)
La LMC è nel 90-95% dei casi dovuta a una tra- anche un interessamento dei linfonodi.
slocazione cromosomica (9;22) che determina la
formazione di un cromosoma ibrido (Cromosoma Esami di laboratorio
Philadelphia) e la sintesi di una proteina aberran- Emocromo. L’emocromo dei pazienti con LMC
te, la proteina BCR/ABL. Tale proteina ha attività mostrerà per lo più:
costitutiva di tirosina kinasi, e determina prolife- 1. Anemia normocitica normocromica
razione incontrollata e resistenza all’apoptosi dei 2. Leucocitosi neutrofila
precursori granulocitari. 3. Piastrine normali o alte
Nei restanti casi sono presenti per lo più altre NOTA: un numero di piastrine basso deve indurre
complesse traslocazioni che comprendono i cro- a riconsiderare la diagnosi di LMC per altri disor-
mosomi 9 e 22, ma che non determinano forma- dini mieloproliferativi!
zione del cromosoma Philadelphia. Striscio periferico. Lo striscio periferico della
LMC è piuttosto caratteristico: è evidente la leu-
Fisiopatologia cocitosi, con abbondanza soprattutto di neutrofili,
Le traslocazioni appena descritte determinano ac- ma anche di eosinofili e basofili. Caratteristica-
cumulo in circolo di granulociti e di loro precurso- mente, le forme circolanti sono sia in maturazione
ri. Caratteristicamente, nella LMC, si accumulano che mature, e i blasti sono in genere <2%.
in circolo prevalentemente neutrofili, ma anche Allo striscio periferico è importante effettuare an-
basofili ed eosinofili. che la reazione per la fosfatasi alcalina neutrofila.
La proliferazione midollare dei precursori granu- Tale reazione è necessaria per differenziare la
locitari ostacola la normale eritropoiesi, e i granu- LMC dalla reazione leucemoide (ossia leucocitosi
lociti liberati in circolo tendono ad accumularsi a e trombocitosi che si osservano quando c’è in-
livello dei tessuti, soprattutto la milza. fiammazione acuta). Nella LMC infatti, essendo i
L’intenso metabolismo e turnover cellulare de- neutrofili in circolo anormali, la reazione della fo-
terminano inoltre accumulo di acido urico nel sfatasi alcalina sarà negativa, o comunque non sa-
sangue, con tutte le possibili conseguenze (artrite rà ai livelli normali, osservabili nella reazione leu-
gottosa, nefrolitiasi da acido urico). cemoide.
6
Biopsia del midollo osseo. Le caratteristiche della splenico; 3) percentuale di blasti circolanti; 4)
biopsia sono simili a quelle dello striscio periferi- conta piastrinica; 5) conta di basofili ed eosinofili.
co. Anomalie caratteristiche sono rappresentate Terapia
da: 1) una riduzione delle aree di proliferazione Le possibilità di trattamento per i pazienti con
eritroide; 2) “Megacariociti nani”, ossia megaca- LMC sono essenzialmente tre:
riociti con caratteristiche anomale e dimensioni 1. Trapianto di midollo osseo (potenzial-
ridotte. mente curativo)
2. Inibitori delle tirosina-kinasi (controllano
Diagnosi e inquadramento la malattia)
La conferma diagnostica di LMC viene ottenuta 3. Agenti citotossici (palliativi)
grazie alle indagini citogenetiche, effettuate sul Trapianto di midollo osseo. Rappresenta
campione bioptico. Allo stesso tempo, tali indagi- l’opzione curativa per i pazienti giovani, e an-
ni ci forniscono informazioni che ci permettono di drebbe considerata in tutti i pazienti in crisi blasti-
inquadrare il paziente dal punto di vista progno- ca, qualora ci fosse un donatore disponibile.
stico e terapeutico. Inibitori delle tirosina kinasi. Sono imatinib, da-
Citogenetica. Come accennato prima, le alterazio- satinib e nilotinib. Sebbene non possano curare la
ni genetiche più comuni coinvolgono i cromosomi malattia, sono efficaci nel controllarla a lungo
9 e 22, ma possono essere presenti numerose altre termine.
alterazioni. In particolare, possiamo dire che le Agenti citotossici. Questo gruppo di farmaci in-
alterazioni descritte in precedenza sono necessarie clude: 1) idrossiurea, che viene utilizzata nei pa-
per la genesi della malattia, mentre le ulteriori zienti con leucocitosi spiccatissima in attesa della
mutazioni acquisite (es. trisomie ed aneuploidie) diagnosi; 2) IFN; 3) Citarabina.
sono responsabili della transizione della malattia
verso la fase accelerata o la fase blastica, e inoltre In generale, nei pazienti in cui non è disponibile
sono predittori di scarsa risposta alla terapia. un donatore, il trattamento iniziale è con inibitori
Quota di blasti. Sulla base della conta di blasti nel della tirosina kinasi.
sangue periferico o nel midollo osseo, e di altre La prognosi è peggiore nei pazienti in fase accele-
caratteristiche, possiamo stadiare la malattia in: rata e in crisi blastica, soprattutto se sono già stati
Fase cronica trattati con tali farmaci.
1. Malattia indolente
2. Facilmente controllata con la chemiote-
rapia
3. Blasti <10%
Fase accelerata
1. Blasti 10-20%
2. Basofili periferici >20%
3. Piastrine <100mila
4. Piastrine >1mln non responsive alla te-
rapia
5. Evoluzione citogenetica
6. Splenomegalia o leucocitosi progressi-
ve, non responsive alla terapia
Fase blastica
1. Blasti >20% nel sangue periferico
2. Blasti >30% nel midollo osseo
3. Grandi aggregati di blasti nel midollo
4. Infiltrati di blasti periferici
Prognosi
Sono stati ideati vari indici prognostici per la
LMC (Sokal, Hasford). In generale, i fattori de-
terminanti per la prognosi sono: 1) età; 2) volume
7
115
xxix
Con anemia si intente la riduzione della quantità totale di emoglobina nel sangue.
In realtà per conoscere la quantità occorre moltiplicare la concentrazione per il volume ematico, e poiché calcolare
ƋƵĞƐƚ͛ƵůƚŝŵŽğĐŽŵƉůĞƐƐŽƐŝƉƌĞĨĞƌŝƐĐĞƵƐĂƌĞůĂĐŽŶĐĞŶƚƌĂnjŝŽŶĞĚŝĞmoglobina come indice per valutare la presenza di
anemia.
Si pone diagnosi generica di anemia quando la concentrazione di emoglobina è
<12 g/dL nella donna < 13 g/dL ŶĞůů͛ƵŽŵŽ74.
&ŝŶŽĂϭϬŐͬĚ>ů͛ĂŶĞŵŝĂğůŝĞǀĞ͕ĨŝŶŽĂϴŐͬĚ>ŵŽĚĞƌĂƚĂĞƐŽƚƚŽƋƵĞƐƚŽlivello grave.
Classificazione
patogenetica
Le anemie possono essere distinte in base al meccanismo patogenetico responsabile della riduzione dei livelli di
emoglobina. La classificazione non è comunque precisa perché più meccanismi insieme possono causare un singolo
sottotipo.
Manifestazioni
cliniche
ůĐƵŶĞŵĂŶŝĨĞƐƚĂnjŝŽŶŝĐůŝŶŝĐŚĞƐŽŶŽĐŽŵƵŶŝĂƚƵƚƚĞůĞĂŶĞŵŝĞĞĚŝƉĞŶĚŽŶŽŐĞŶĞƌĂůŵĞŶƚĞĚĂůů͛ĞŶƚŝƚăĚĞůůĂƌŝĚƵnjŝŽŶĞĚŝ
emoglobina; altre dipendono dal tipo specifico di anemia.
74
OMS 2008, sul Tura dice <11,5 e <12,5.
116
Le manifestazioni generali originano dalla riduzione della capacità di trasporto di ossigeno al sangue e quindi
ŶĞůů͛ŝƉŽƐƐŝĂƚĞƐƐƵƚĂůĞ͘>ĂůŽƌŽƉƌĞƐĞŶnjĂĞĚĞŶƚŝƚăğĐŽŵƵŶƋƵĞĚŝƉĞŶĚĞŶƚĞĚĂůůĂǀĞůŽĐŝƚăĚŝŝŶƐƚĂƵƌĂnjŝŽŶĞĚĞůů͛ĂŶĞŵŝĂ
perché nelle forme croniche si instaurano meccanismi di compenso.
EĞůůĞĨŽƌŵĞĐƌŽŶŝĐŚĞƐŝŚĂƉĂůůŽƌĞĚĞůůĂĐƵƚĞĞĚĞůůĞŵƵĐŽƐĞ͖ŝŶĨŽƌŵĞŐƌĂǀŝƐŝƉƵžƌŝůĞǀĂƌĞĂůů͛ĂƵƐĐƵůƚĂnjŝŽŶĞĐĂƌĚŝĂĐĂƵŶ
soffio sistolico da eiezione.
Nelle forme acute il paziente descrive una transizione rapida dal benessere ad astenia intensa, dispnea, cardiopalmo,
ĐĞĨĂůĞĂƉƵůƐĂŶƚĞ͕ǀĞƌƚŝŐŝŶŝĞůŝƉŽƚŝŵŝĞ͘/ƐĞŐŶŝŽďŝĞƚƚŝǀŝƐŽŶŽƋƵĞůůŝĚĞůů͛ŝƉĞƌĐŝŶĞƐŝĐĂƌĚŝŽĐŝƌĐŽůĂƚŽƌŝĂ͕ĐŽŵĞůĂƚĂĐŚŝĐĂƌĚŝa.
Manifestazioni specifiche (vedi) consentono di orientare la diagnosi verso i vari tipi di anemia)
La terapia sostitutiva con eritropoietina umana ricombinante (rHuEPO) è indicata in presenza di anemia moderata; si
effettuĂ ƉĞƌ ǀŝĂ ĞŶĚŽǀĞŶŽƐĂ Ž ƐŽƚƚŽĐƵƚĂŶĞĂ͘ >͛ŽďŝĞƚƚŝǀŽ ƚĞƌĂƉĞƵƚŝĐŽ ğ Ěŝ ƌĂŐŐŝƵŶŐĞƌĞ ƵŶĂ ĐŽŶĐĞŶƚƌĂnjŝŽŶĞ
emoglobinica da anemia lieve; non si cerca di aumentarla ulteriormente per il rischio di ipertensione e trombosi.
YƵĂŶĚŽğƐƚĂƚŽƌĂŐŐŝƵŶƚŽů͛ŽďŝĞƚƚŝǀŽƐŝƌŝĚƵĐe la dose fino alla dose minima efficace di mantenimento. La refrattarietà
alla terapia si può avere per carenza di ferro, intossicazione da alluminio, flogosi, fibrosi midollare e formazione di
anticorpi anti-‐EPO.
EŽŶĞƐƐĞŶĚŽƐŝŶƚĞƚŝnjnjĂƚĂĚĂůů͛ŽƌŐĂŶŝƐŵŽ͕Ěeve essere introdotta con la dieta; si trova essenzialmente nelle proteine di
origine animale. Il processo di assorbimento è complesso:
1. nello stomaco la cobalamina viene rilasciata dai complessi proteici a cui è legata
2. ƐŝĐŽŵďŝŶĂĐŽŶů͛ĂƉƚŽĐŽƌƌŝŶĂ͕ƵŶĂŐůŝcoproteina salivare (detta anche proteina R)
3. ů͛ĂƉƚŽĐŽƌƌŝŶĂǀŝĞŶĞĚŝŐĞƌŝƚĂĚĂůůĂƚƌŝƉƐŝŶĂƉĂŶĐƌĞĂƚŝĐĂ
4. la cobalamina si lega al fattore intrinseco prodotto dalle cellule parietali del corpo e del fondo dello stomaco
5. ŶĞůů͛ŝůĞŽĚŝƐƚĂůĞŝůĐŽŵƉůĞƐƐŽ&/-‐cobalamina si lega al recettore cubilina e viene internalizzato
6. il fattore intrinseco è distrutto
7. la cobalamina circola nel sangue legata alla transcobalamina II (captabile) e alla transcobalamina I (stabile)
8. le cellule captano rapidamente il complesso TCII-‐cobalamina.
ǯ
>͛ĂĐŝĚŽĨŽůŝĐŽğů͛ĂĐŝĚŽƉƚĞƌŽŝĐŽŵŽŶŽŐůƵƚĂŵŵĂƚŽ͖ƐƵŽŝĚĞƌŝǀĂƚŝƐŽŶŽŝĨŽůĂƚŝ͕ĐŚĞŚĂŶŶŽƉŝƶƵŶŝƚăŐůƵƚĂŵŵŝĐŚĞ͘/ĨŽůĂƚŝ
sono cofattori essenziali per la sintesi di purine e pirimidine, e quindi degli acidi nucleici, e della metionina sintasi.
Anche i folati devono essere introdotti con la dieta. Si trovano in molti tipi di alimenti, in particolare negli ortaggi, ma
vengono degradati con la cottura.
1. ů͛ĂĐŝĚŽĨŽůŝĐŽƉƵžĞƐƐĞƌĞĂƐƐŽƌďŝƚŽĚŝƌĞƚƚĂŵĞŶƚĞŶĞŐůŝenterociti del digiuno
2. i folati sono meno facilmente assorbibili e quindi vengono prima idrolizzati ad acido folico
3. ŶĞŐůŝĞŶƚĞƌŽĐŝƚŝů͛ĂĐŝĚŽĨŽůŝĐŽğĐŽŶǀĞƌƚŝƚŽŝŶϱ-‐metiltetraidrofolato
4. il 5-‐metilTHF entra in circolo per due terzi libero e per un terzo leŐĂƚŽĂůů͛ĂůďƵŵŝŶĂ
5. il folato è captato perifericamente grazie al recettore PCFT.
75
WƌĞƐĞŶnjĂ͕ƉĂƚŽůŽŐŝĐĂ͕ĚŝƵƌĞĂŶĞůƐĂŶŐƵĞ͘^ŝĚŝƐƚŝŶŐƵĞĚĂůů͛ƵƌŝĐĞŵŝĂ͕ĐŚĞğĨŝƐŝŽůŽŐŝĐĂ͘
76
ĞǀŝĚĞŶƚĞŵĞŶƚĞŝůĚĂŶŶŽĂŐŝƐĐĞƐƵůEŵĂŶŽŶƐƵůů͛ZE͘
118
>Ă ĐŽďĂůĂŵŝŶĂ ƐŝĞƌŝĐĂ ğ ŝŶĨĞƌŝŽƌĞ Ă ϭϬϬ ƉŐͬŵ>͖ Ɛŝ ŚĂ ŝƉĞƌďŝůŝƌƵďŝŶĞŵŝĂ ŶŽŶ ĐŽŶŝƵŐĂƚĂ Ğ ĂƵŵĞŶƚŽ ĚĞůů͛>, ƉĞƌ
eritroblastolisi intramidollare ed emolisi.
La diagnosi di carenza di cobalamina si pone sulla base del quadro clinico ed ematologico ed è confermata dai livelli
sierici di cobalamina (ridotti), omocisteina e metilmalonato (aumentati).
È quindi necessario individuare la causa della carenza vitaminica. Il test di Schilling consiste nella somministrazione di
ĐŽďĂůĂŵŝŶĂ ŵĂƌĐĂƚĂ Ğ ĐŽŶƐĞŶƚĞ Ěŝ ǀĂůƵƚĂƌĞ ƐĞ Đ͛ğ ĚŝĨĞƚƚŽƐŽ ĂƐƐŽƌďŝŵĞŶƚŽ Ğ ƐĞ ƋƵĞƐƚŽ ǀŝĞŶĞ ĐŽƌƌĞƚƚŽ ĐŽŶ ůĂ
somministrazione di fattore intrinseco. Per confermare la diagnosi di anemia perniciosa si possono dosare gli
autoanticorpi (anti-‐cellule parietali e anti-‐fattore intrinseco) ed effettuare una gastroscopia con biopsia.
>ĂƚĞƌĂƉŝĂğƐŽƐƚŝƚƵƚŝǀĂĐŽŶĐŽďĂůĂŵŝŶĂƐŽŵŵŝŶŝƐƚƌĂƚĂƉĞƌǀŝĂƉĂƌĞŶƚĞƌĂůĞ͘>͛ĞŵŽŐůŽďŝŶĂƐŝŶŽƌŵĂůŝnjnjĂĞŶƚƌŽĚƵĞŵĞƐŝ
e anche la sintomatologia neurologica regredisce a meno che non si siano instaurati danni irreversibili.
>Ă ĐůŝŶŝĐĂ ğ ƐŽǀƌĂƉƉŽŶŝďŝůĞ ĂůůĂ ĨŽƌŵĂ ĚĂ ĐĂƌĞŶnjĂ Ěŝ ĐŽďĂůĂŵŝŶĂ͕ ĂĚ ĞĐĐĞnjŝŽŶĞ ĚĞůů͛ĂƐƐĞŶnjĂ Ěŝ ŵĂŶŝĨĞƐƚĂnjŝŽŶŝ
neurologiche.
La diagnosi si effettua con il dosaggio dĞůů͛ĂĐŝĚŽĨŽůŝĐŽŶĞůƐŝĞƌŽ͕ĐŚĞğфϰŶŐͬŵ>͕ŽŝŶĐĂƐŽĚŝĚƵďďŝŽŶĞůĚŽƐĂŐŐŝŽĚĞůůĂ
sua quota intraeritrocitaria.
La terapia è sostitutiva, con la somministrazione di folati per via orale.
Anemia sideropenica
Nelů͛ŽƌŐĂŶŝƐŵŽĂĚƵůƚŽƐŽŶŽƉƌĞƐĞŶƚŝŵĞĚŝĂŵĞŶƚĞϯŐĚŝĨĞƌƌŽ͕ĐŽŶĂŵƉŝĞǀĂƌŝĂnjŝŽŶŝƚƌĂŝĚƵĞƐĞƐƐŝ͘
Con una dieta adeguata si introducono nel corpo 25 mg di ferro al giorno. Il ferro è assorbito principalmente nel
duodeno e nel digiuno prossimale; per lo più si trova legato al gruppo eme (ferro emico) e può essere assorbito
ĚŝƌĞƚƚĂŵĞŶƚĞ Ž ƉƌĞǀŝĂ ƌŝĚƵnjŝŽŶĞ ĂůůŽ ƐƚĂƚŽ ĨĞƌƌŽƐŽ͕ ŐƌĂnjŝĞ Ăů ƚƌĂƐƉŽƌƚĂƚŽƌĞ Dd͘ EĞůů͛ĞŶƚĞƌŽĐŝƚĂ ;ĐŽŵĞ ĂŶĐŚĞ ŶĞŝ
macrofagi) il ferro può essere immagazzinato nella ferritina o rilasciato attraverso la ferroportina, passando alla
transferrina circolante.
>ĂĨĞƌƌŽƉŽƌƚŝŶĂğŝŶŝďŝƚĂ͕ƚƌĂŵŝƚĞŝŶĚŝƌŝnjnjĂŵĞŶƚŽĂůůĂĚĞŐƌĂĚĂnjŝŽŶĞ͕ĚĂůů͛ĞƉĐŝĚŝŶĂ͕ĐŚĞƋƵŝŶĚŝƌŝĚƵĐĞůĂĐŽŶĐĞŶƚƌĂnjŝŽŶĞ
ĞŵĂƚŝĐĂĚŝĨĞƌƌŽ͘>ĂƐŝŶƚĞƐŝĚĞůů͛ĞƉĐŝĚŝŶĂğƐƚŝŵŽůĂƚĂĚĂůů͛ĂĐĐƵŵƵůŽ anomalo di ferro e dalle citochine infiammatorie,
ŵĞŶƚƌĞğŝŶŝďŝƚĂĚĂůůĂĐĂƌĞŶnjĂĚŝĨĞƌƌŽ͕ĚĂůů͛ŝƉŽƐƐŝĂĞĚĂůů͛ĂŶĞŵŝĂ͘
Il trasporto del ferro ai tessuti avviene grazie alla transferrina. La sua sintesi, epatocitaria, è retroinibita in base alle
riserve cellulari di ferro. La molecola è costituita da due lobi, ciascuno dei quali con un sito di legame per uno ione di
ferro trivalente; a seconda della saturazione si parla di apotransferrina, di transferrina mono-‐ e bi-‐valente. Quando la
transferrina si lega al suo recettore di membrana viene internalizzata, cede il ferro e quindi viene esocitata.
Tutti gli organi necessitano di ferro, ma esso è immagazzinato principalmente nel fegato (epatociti) e nel midollo
ŽƐƐĞŽ Ăůů͛ŝŶƚĞƌŶŽ Ěŝ ŵŽůĞĐŽůĞ Ěŝ ƐƚŽĐĐĂŐŐŝŽ͗ ůĂ ĨĞƌƌŝƚŝŶĂ ;ƉƌŽŶƚŽ ƵƚŝůŝnjnjŽͿ Ğ ů͛ĞŵŽƐŝĚĞƌŝŶĂ ;ƐƚĂďŝůĞͿ͘ >Ă ĨĞƌƌŝƚŝŶĂ ƉƵž
contenere 4500 ioni di ferro; è sintetizzata in misura proporzionale al ferro intracellulare e la sua quota sierica, per
quanto nettamente minoritaria a quella cellulare, è comunque indicativa dei depositi corporei di ferro.
Le perdite fisiologiche di ferro sono molto ridotte e avvengono principalmente per esfoliazione degli enterociti;
ƐĞĐŽŶĚĂƌŝĂŵĞŶƚĞ ƉĞƌ ĚĞƐƋƵĂŵĂnjŝŽŶĞ ĐƵƚĂŶĞĂ͕ ĐŽŶ ŝů ƐƵĚŽƌĞ Ğ ů͛ĞŵĂƚƵƌŝĂ ĨŝƐŝŽůŽŐŝĐĂ͖ ŶĞůůĂ ĚŽŶŶĂ Ɛŝ ĂŐŐŝƵŶŐono il
ĨůƵƐƐŽ ŵĞƐƚƌƵĂůĞ͕ ůĂ ŐƌĂǀŝĚĂŶnjĂ Ğ ů͛ĂůůĂƚƚĂŵĞŶƚŽ͘ EŽŶ ĞƐŝƐƚŽŶŽ ŵĞĐĐĂŶŝƐŵŝ ŽŵĞŽƐƚĂƚŝĐŝ ƉĞƌ ĞůŝŵŝŶĂƌĞ ƵŶ ĞĐĐĞƐƐŽ Ěŝ
ferro.
Fisiopatologia
>ĂĐĂƌĞŶnjĂĚŝĨĞƌƌŽƐŝƉƵžƐǀŝůƵƉƉĂƌĞƉĞƌŵŽƚŝǀŝĚŝǀĞƌƐŝĂƐĞĐŽŶĚĂĚĞůů͛ĞƚăĞĚĞůƐĞƐƐŽ͘EĞůů͛ŝŶĨĂŶnjŝĂƐŝƉƵžĂǀĞre carenza
ĚŝĨĞƌƌŽƌĞůĂƚŝǀĂĐĂƵƐĂƚĂĚĂƵŶĂƵŵĞŶƚĂƚŽĨĂďďŝƐŽŐŶŽ͖ŶĞůůĂƉƵďĞƌƚăŶĞůƐĞƐƐŽĨĞŵŵŝŶŝůĞů͛ŝŶŝnjŝŽĚĞůů͛ĂƚƚŝǀŝƚăŵĞƐƚƌƵĂůĞ
ğ ĂƐƐŽĐŝĂƚŽ ĂĚ ĂƵŵĞŶƚĂƚĂ ƉĞƌĚŝƚĂ͘ EĞůů͛Ğƚă ĂĚƵůƚĂ ůĞ ĐĂƵƐĞ Ěŝ ĐĂƌĞŶnjĂ Ěŝ ĨĞƌƌŽ ƐŽŶŽ ŶĞůůĞ ĚŽŶŶĞ ĐŽƌƌĞůĂƚĞ ĂůůĂ ǀŝƚĂ
riprodutƚŝǀĂ ;ŝƉĞƌŵĞŶŽƌƌĞĂ͕ ŐƌĂǀŝĚĂŶnjĞ ƉůƵƌŝŵĞ͕ ĂďŽƌƚŝ͕ ŵĞƚƌŽƌƌĂŐŝĞͿ Ğ ŶĞůů͛ƵŽŵŽ ƉĞƌ ĞŵŽƌƌĂŐŝĞ ŐĂƐƚƌŽŝŶƚĞƐƚŝŶĂůŝ͕
manifeste o occulte.
La carenza di ferro determina anemia perché riduce la sintesi di emoglobina (e secondariamente determina anche
ipoproliferazione midollare).
120
Clinica
>͛ĞƐŽƌĚŝŽĚĞůů͛ĂŶĞŵŝĂƐŝĚĞƌŽƉĞŶŝĐĂğŝŶƐŝĚŝŽƐŽƉĞƌĐŚĠů͛ŽƌŐĂŶŝƐŵŽƚĞŶĚĞĂĚĂĚĂƚƚĂƌƐŝ͘
͛ğƐƉĞƐƐŽƐŝŶƚŽŵĂƚŽůŽŐŝĂĐŽůůĞŐĂƚĂĂůůĞŵƵĐŽƐĞĞĂŐůŝĂŶŶĞƐƐŝĐƵƚĂŶĞŝ͗ĨƌĂŐŝůŝƚăƵŶŐƵĞĂůĞ;ĂǀǀĂůůĂŵĞŶƚŽĂƐĐŽĚĞůůŝŶĂ
patognomonico); lingua liscia, arrossata e dolorante; stomatite angolare; gastrite con ipocloridria.
Nei bambini la carenza di ferro può provocare disturbi cognitivi, come il deficit di attenzione.
Laboratorio
>Ă ĐĂƌĞŶnjĂ Ěŝ ĨĞƌƌŽ ŶŽŶ Ɛŝ ƚƌĂĚƵĐĞ ŝŵŵĞĚŝĂƚĂŵĞŶƚĞ ŝŶ ĂŶĞŵŝĂ ƉĞƌĐŚĠ ů͛ŽƌŐĂŶŝƐŵŽ attinge ai depositi tessutali (in
ƐĞƋƵĞŶnjĂĨĞƌƌŝƚŝŶĂ͕ƚƌĂŶƐĨĞƌƌŝŶĂ͕ĞŶnjŝŵŝĐŽŶƚĞŶĞŶƚŝĨĞƌƌŽͿĞƐŽůŽĂůůĂĨŝŶĞŵĂŶĐĂŝůĨĞƌƌŽƉĞƌůĂƐŝŶƚĞƐŝĚĞůů͛ĞŵŽŐůŽďŝŶĂ͘
Terapia
>ĂƚĞƌĂƉŝĂƉƌĞǀĞĚĞůĂĐŽƌƌĞnjŝŽŶĞĚĞůůĂĐĂƵƐĂĞů͛ŝŶƚĞŐƌĂnjŝŽŶĞĚĞůĨĞƌƌŽŵĂŶĐĂŶƚĞ͘
>͛ĂůŝŵĞŶƚĂnjŝŽŶĞ͕ ĚĂ ƐŽůĂ͕ ğ ŝŶƐƵĨĨŝĐŝĞŶƚĞ ĂŝŶƚĞŐƌĂƌĞ ůĂ ĐĂƌĞŶnjĂ Ěŝ ferro. Il ferro viene somministrato per via orale al
mattino a digiuno, in dose da 100-‐ϭϱϬŵŐĞƉĞƌƵŶĂĚƵƌĂƚĂĚŝƉĞŶĚĞŶƚĞĚĂůů͛ĞŶƚŝƚăĚĞůůĂĐĂƌĞŶnjĂ͖ŵĞŶƐŝůŵĞŶƚĞƐŝǀĂůƵƚĂ
il livello di emoglobina. Se questo non si normalizza si passa alla somministrazione endovenosa.
Anemia da infiammazione cronica La patogenesi è dettata dagli effetti delle citochine infiammatorie, alcuni dei
ƋƵĂůŝ ŵĞĚŝĂƚŝ ĚĂůů͛ĞƉĐŝĚŝŶĂ͘ >͛ĂƵŵĞŶƚŽ ĚĞůů͛ĞƉĐŝĚŝŶĂ ƉƌŽǀŽĐĂ ƵŶŽ ƐƚĂƚŽ Ěŝ
Hb 9-‐11 g/dL
carenza di ferro funzionale: il ferro rimane bloccato negli enterociti e nei
Ĺ ferritina ŵĂĐƌŽĨĂŐŝ͘ ĨĨĞƚƚŝ ĚŝƌĞƚƚŝ ĚĞůůĞ ĐŝƚŽĐŚŝŶĞ ŝŶĨŝĂŵŵĂƚŽƌŝĞ ƐŽŶŽ ŝŶǀĞĐĞ ů͛ŝŶŝďŝnjŝŽŶĞ
Ļ sideremia) ĚĞůů͛ĞƌŝƚƌŽƉŽŝĞƐŝ͕ ů͛ŝŶŝďŝnjŝŽŶĞ ĚĞůůĂ ƐŝŶƚĞƐŝ Ěŝ ĞƌŝƚƌŽƉŽŝĞƚŝŶĂ Ğ ů͛ĂƚƚŝǀĂnjŝŽŶĞ
Ļ transferrina ĚĞůů͛ĞŵŽĐĂƚĞƌĞƐŝŵĂĐƌŽĨĂŐŝĐĂ͘
Ļ saturazione della transferrina >Ă ĐůŝŶŝĐĂ ĚŝƉĞŶĚĞ ƉƌŝŶĐŝƉĂůŵĞŶƚĞ ĚĂůůĂ ŵĂůĂƚƚŝĂ Ěŝ ďĂƐĞ͕ ǀŝƐƚŽ ĐŚĞ ů͛ĂŶĞŵŝĂ
generalmente non è grave.
Ļ recettore della transferrina
>Ă ƚĞƌĂƉŝĂ ĐŽŶ ŝŶƚĞŐƌĂnjŝŽŶĞ Ěŝ ĨĞƌƌŽ ğ ŝŶĞĨĨŝĐĂĐĞ͘ ^Ğ ů͛ĂŶĞŵŝĂ ğ ŐƌĂǀĞ Ɛŝ ƉƵž
anemia microcitica e ipocromica
instaurare una terapia trasfusionale oppure si può somministrare eritropoietina
јŝŶĚŝĐŝĚŝĨůŽŐŽƐŝ ricombinante.
121
xxx
x leucemia mieloide acuta, che in base alla morfologia dei blasti e alla presenza di alterazioni citogenetiche e
molecolari si suddivide in sette sottotipi (M1-‐M7)
x sindromi mielodisplastiche
x sindromi mielodisplastiche-‐mieloproliferative
x neoplasie mieloproliferative croniche, che in base alla cellula proliferante si sottoclassificano: leucemia mieloide
cronica e mielofibrosi idiopatica, policitemia vera, trombocitemia essenziale, leucemia eosinofilica cronica,
mastocitosi sistemica
x liberazione di citochine їsintomi costituzionali: astenia, anoressia, perdita di peso, febbre
x deficit di cellule ematiche mature їĂŶĞŵŝĂ͕ŝŶĨĞnjŝŽŶŝĞĚĞŵŽƌƌĂŐŝĞ
x infiltrazione di tessuti non emopoietici (rara)
La diagnosi di AML si pone in baƐĞĂůů͛ĞƐĂŵĞĚĞůƐĂŶŐƵĞƉĞƌŝĨĞƌŝĐŽĞĚĞůŵŝĚŽůůŽŽƐƐĞŽ͘
La prognosi non è molto buona; dipende da numerosi fattori, in base ai quali si stabilisce un rischio alto, medio o
basso che influenza il programma terapeutico seguente alla remissione completa. Sono fattori sfavorevoli età
avanzata, forte leucocitosi alla diagnosi, localizzazioni extramidollari, tipi M0 e M5-‐M7, alcune caratteristiche di
cariotipo, immunofenotipo e biologia molecolare.
La terapia prevede una fase di induzione-‐consolidamento e una successiva alla remissione; parallelamente è
importante la terapia di supporto.
x induzione: 2-‐3 cicli di citarabina (7 giorni) e antraciclina (3 giorni), seguito quindi da 1-‐2 cicli di
consolidamento. Ai due farmaci si può aggiungere ů͛ĞƚŽƉŽƐƐŝĚĞ.
o per la leucemia M3 la terapia è distinta: si usano antraciclina e acido retinoico.
x ĚŽƉŽ ů͛ŝŶĚƵnjŝŽŶĞ Đ͛ğ ĂůƚĂ ƉƌŽďĂďŝůŝƚă Ěŝ ƌŝĐĂĚƵƚĂ͕ ƋƵŝŶĚŝ Ɛŝ ĚĞǀĞ ƐĐĞŐůŝĞƌĞ ĐŽme procedere; il trapianto di
ĐĞůůƵůĞƐƚĂŵŝŶĂůŝğů͛ŽƉnjŝŽŶĞŵŝŐůŝŽƌĞ;ϰϬйƐŽƉƌĂǀǀŝǀĞŶnjĂĂϱĂŶŶŝͿŵĂŶŽŶğƉƌĂƚŝĐĂďŝůĞŶĞŐůŝĂŶnjŝĂŶŝ͘
x terapia di supporto: trasfusione di eritrociti e piastrine, isolamento del paziente, la profilassi antibiotica.
Sindromi
linfoproliferative
Patologie neoplastiche della linfocitopoiesi, classificabili come:
x A espressione leucemica: leucemia linfoide acuta, leucemia linfoide cronica e altre
x A espressione linfomatosa: linfoma di Hodgkin, linfomi non Hodgkin
x Con produzione di Ig monoclonali: gammapatie monoclonali
Clinica. Nel 25% dei casi la LLC è asintomatica e la diagnosi è casuale. Più tipica è la presenza di diffusa linfadenopatia,
con linfonodi indolenti, non duri, mobili, e di epato/splenomegalia. Più rari i sintomi da scompenso mieloide e da
immunodeficienza.
Laboratorio͘ >͛ĞŵŽĐƌŽŵŽ mostra una linfocitosi >5000/mm3 (nel linfoma la linfocitosi è più modesta e le
linfoadenopatie più evidenti e meno simmetriche). La biopsia midollare (eventualmente integrata da biopsia ossea)
mostra infiltrazione linfoide midollare >30%. Altre possibili alterazioni laboratoristiche sono anemia e piastrinopenia
;ĚŽǀƵƚĞ Ăůů͛ŝŶĨŝůƚƌĂnjŝŽĞŶ ůŝŶĨŽŝĚĞ ŵŝĚŽůůĂƌĞͿ͕ ŝƉŽŐĂŵŵĂŐůŽďƵůŝŶĞŵŝĂ͕ ŝƉĞƌƵƌŝĐĞŵŝĂ͕ ŝƉĞƌƚƌĂŶƐĂŵŝŶĂƐĞŵŝĂ͕ ĂƵŵĞŶƚŽ Ěŝ
fosfatasi alcalina. Sono state inoltre riconosciute alcune alterazioni del cariotipo.
Terapia. Nei pazienti con malattia indolente, soprattutto se anziani, ci si limita a sorvegliare la malattia fino a
progressione evidente. È possibile quindi somministrare clorambucile con o senza cortisone, e, nei casi non responsivi,
schemi polichemioterapici (CVP, CHOP) o con analoghi delle purine (es fludarabina) o anche anti-‐CD20 (Rituximab). In
pazienti giovani la terapia di prima linea è la fludarabina più la ciclofosfamide.
In casi particolari si possono impiegare radioterapia, linfocitoaferesi, splenectomia, trapianto di midollo.
Prognosi͘ >Ă ƐŽƉƌĂǀǀŝǀĞŶnjĂ ğ ĐŽƌƌĞůĂƚĂ Ăůů͛ĞŶƚŝƚă ĚĞůůĂ ůŝŶĨŽĐŝƚŽƐŝ͕ ĚĞůů͛ĂŶĞŵŝĂ Ğ ĚĞůůĂ ƉŝĂƐƚƌŝŶŽƉĞŶŝĂ͘ ůƚƌŝ ĨĂƚƚŽƌŝ
prognostici negativi sono: esordio in stadio avanzato, tempo di raddoppiamento linfocitario<12 mesi, presenza di
sintomi sistemici, presenza di alcune alterazioni cromosomiche (es delezione 11 e 17). Le complicanze principali sono
ůĞŝŶĨĞnjŝŽŶŝ͕ů͛ĂŶĞŵŝĂĞŵŽůŝƚŝĐĂĂƵƚŽŝŵŵƵŶĞĞů͛ĂƉůĂƐŝĂĞƌŝƚƌŽďůĂƐƚŝĐĂ;ŵĞĚŝĂƚĞƋƵĞƐƚĞƵůƚŝŵĞĚĂŝůŝŶĨŽĐŝƚŝdͿ͘>Ă>>͕Ă
differenza della LMC, non evolve in una fase blastica, ma può trasformarsi in leucemia a prolinfociti (LPL) e linfoma a
grandi cellule (sd di Richter)
/ůůŝŶĨŽŵĂĚŝ,ŽĚŐŬŝŶŚĂƵŶ͛ŝŶĐŝĚĞŶnjĂĚŝϭ͗ϭϬϬ͘ϬϬϬ͕D͗&сϭ͕ϱ͗ϭ͘
Clinica. Oltre il 50% dei pazienti presenta unicamente una tumefazione linfonodale superficiale, spesso sopraclaveare
o laterocervicale (variante di presentazione A). Negli altri casi sono presenti sintomi quali febbricola, sudorazioni
notturne, prurito, calo ponderale (varietà B).
>͛ĞƐĂŵĞŽďŝĞƚtivo può mostrare interessamento di una o più sedi linfonodali, a distribuzione spesso asimmetrica. Le
localizzazioni più frequenti sono: sovraclaveare (sinistra), medisastinica, lomboaortica. I linfonodi sono indolenti,
ipomobili, con tendenza a confluire in pacchetti. Se è presente massa linfoghiandolare mediastinica di diametro
ƚƌĂƐǀĞƌƐŽшϳĐŵƋů͛ŝŵƉĞŐŶŽğĚĞĨŝŶŝƚŽ͞ďƵůŬLJ͘͟
Il LH può essere classificato in 4 stadi in base alla classificazione di Ann Arbor (1971), che tiene conto principalmente
del numero e della localizzazione delle regioni linfonodali interessate. La maggior parte dei pazienti esordisce in II e III
ƐƚĂĚŝŽ͘WĞƌůĂĚĞƚĞƌŵŝŶĂnjŝŽŶĞĚĞůůŽƐƚĂĚŝŽ͕ŽůƚƌĞĂůů͛ĞƐĂŵĞŽďŝĞƚƚŝǀŽ͕ĐŝƐŝĂǀǀĂůĞĚŝŝŶĚĂŐŝŶŝƌĂĚŝŽůŽŐŝĐŚĞ͕ďŝŽƉƚŝĐŚĞĞ
medico-‐nucleari. Inoltre la PET, superiore alla TAC per la stadiazione, è usata anche per la valutazione del trattamento.
Laboratorio. >͛ĞŵŽĐƌŽŵŽ non è caratteristicamente alterato, ma può mostrare anemia, leucocitopenia (in particolare
linfopenia). Ci può essere un aumento della VES e, in caso di interessamento epatico, di transaminasi, fosfatasi
alcaline, ɶGT. Dal punto di vista immunologico, non ci sono alterazioni quantitative del linfociti T, ma spesso la loro
attività (evidenziabile col test della tubercolina) è ridotta.
/ŶĨŝŶĞ͕ƉĞƌůĂĚŝĂŐŶŽƐŝğŶĞĐĞƐƐĂƌŝŽů͛ĞƐĂŵĞŝƐƚŽůŽŐŝĐŽ͕ŐĞŶĞƌĂůŵente praticato su un linfonodo.
125
Quella classica può essere: ͞Ă ƐĐůĞƌŽƐŝ ŶŽĚƵůĂƌĞ͟ ;ůĂ ƉŝƷ ĨƌĞƋƵĞŶƚĞͿ͕ ͞a cellularità mista͕͟ ͞ricca in linfociti͟ Ž ͞Ă
ĚĞƉůĞnjŝŽŶĞůŝŶĨŽĐŝƚĂƌŝĂ͘͟
Terapia. Si avvale di
Linfomi
aggressivi
Clinica͘/Ŷ ĐŝƌĐĂ ůĂ ŵĞƚă ĚĞŝ ƉĂnjŝĞŶƚŝ Őŝă Ăůů͛ĞƐŽƌĚŝŽ ƐŽŶŽ ƉƌĞƐĞŶƚŝ ƐŝŶƚŽŵŝ ƐŝƐƚĞŵŝĐŝ ;ĨĞďďƌĞ͕ ƐƵĚŽƌĞ͕ ĐĂůŽ ƉŽŶĚĞƌĂůĞͿ͕
adenomegalie (con possibile sindrome mediastinica), epatomegalia. I LNH diffondono rapidamente per via ematica,
possono interessare il midollo osseo.
ƉŽƐƐŝďŝůĞĂƉƉůŝĐĂƌĞůĂĐůĂƐƐŝĨŝĐĂnjŝŽŶĞĚŝŶŶƌďŽƌŵĂğů͛ŝƐƚŽƚŝƉŽŝůƉƌŝŶĐŝƉĂůĞĨĂƚƚŽƌĞƉƌŽŐŶŽƐƚŝĐŽ͘
Laboratorio. Spesso VES e LDH sono aumentate, può esserci anemia, interessamento del midollo alla mielobiopsia.
>͛ŝƐƚŽůŽŐŝĂƉĞƌŵĞƚƚĞů͛ŝĚĞŶƚŝĨŝĐĂnjŝŽŶĞĚŝƐŽƚƚŽƚŝƉŝ͗ůŝŶĨŽŵĂůŝŶĨŽďůĂƐƚŝĐŽ͕ŝŵŵƵŶŽďůĂƐƚŝĐŽ͕ĐĞŶƚƌŽďůĂƐƚŝĐŽ͕ĂŐƌĂŶĚŝĐĞůůƵůĞ
anaplastiche, a cellule T periferiche, linfoma di Burkitt.
Terapia͘ ,Ă ĐŽŵĞ ŽďŝĞƚƚŝǀŽ ů͛ĞƌĂĚŝĐĂnjŝŽŶĞ ĐŽŵpleta, attraverso polichemioterapia aggressiva (eventualmente anche
intratecale), sovra massimale in caso di resistenza. Recentemente la chemio è stata associata a anticorpi monoclonali
anti-‐CD20.
Prognosi. La terapia porta alla guarigione del 50% dei casi.
Linfomi
indolenti
Clinica. Solo il 5% dei pazienti avverte sintomi sistemici. Più spesso si evidenziano adenopatie con o senza
splenomegalia. La diffusione sia ematica che linfatica è rapida e molti pz alla diagnosi sono in IV stadio.
Laboratorio. Emocromo mostra sŝŶĚƌŽŵĞ ůĞƵĐĞŵŝĐĂ͖ ů͛osteomielobiopsia evidenzia interessamento midollare.
>͛ŝƐƚŽůŽŐŝĂŝĚĞŶƚŝĨŝĐĂŝƐŽƚƚŽƚŝƉŝ͗ĐĞŶƚƌŽďůĂƐƚŝĐŽͬĐĞŶƚƌŽĐŝƚŝĐŽ͕ŝŵŵƵŶŽĐŝƚŽŵĂ͕ŵŝĐŽƐŝĨƵŶŐŽŝĚĞ͕ƐŝŶĚƌŽŵĞĚŝ^ĠnjĂƌLJ͘
Terapia. Nei pazienti giovani e negli anziani in staĚŝŽ / Ž // ŵŝƌĂ Ăůů͛ĞƌĂĚŝĐĂnjŝŽŶĞ ĚĞůůĂ ŵĂůĂƚƚŝĂ͕ ĂƚƚƌĂǀĞƌƐŽ
polichemioterapia associata a anti-‐CD20 nel primo caso e radioterapia nel secondo.
Nei pazienti anziani in stadio III e IV si ricorre alla monochemioterapia associata o meno a radioterapia.
126
Prognosi. Il decorso clinico è lento e indolente, la sopravvivenza media tra 8 e 10 anni. La terapia permette lunghe
sopravvivenze con malattia persistente in circa il 50% dei casi. Il 20% evolve in linfomi aggressivi.
Linfomi del testicolo. Si manifestano con tumefazione con dolore che si irradia al fianco. Sono quasi sempre molto
aggressivi. Terapia: orchiectomia piú radioterapia scrotale o chemioradioterapia allargata in stadio piú avanzato.
Linfomi del SNC: molto aggressivi, estremamente rari. MĂŶŝĨĞƐƚĂnjŝŽŶŝ ĐůŝŶŝĐŚĞ Ě͛ĞƐŽƌĚŝŽ ƐŽŶŽ ŵŽůƚŽ ǀĂƌŝĂďŝůŝ͕ ĐŽŶ
sintomi di ipertensione endocranica o sintomi che mimano condizioni quali demenza, SM, meningo-‐encefalite. La
diagnosi si basa su indagini strumentali ;d͕ ZD͕ ĂŶŐŝŽŐƌĂĨŝĂ͕ ƐĐŝŶƚŝŐƌĂĨŝĂͿ͕ ƐƵůů͛ĞƐĂŵĞ ĚĞů ůŝƋƵŽƌ͕ ƐƵ ďŝŽƉƐŝĂ ĚĞůůĞ
lesioni. Il trattamento prevede radioterapia associata a chemioterapia.
Linfomi della cute. Le forme principali sono di origine T linfocitaria: micosi fungoide e sindrome di Sézary. La micosi
fungoide esordisce inizialmente con una lesione cutanea scura e attraverso 3 fasi giunge allo stadio tumorale. La
ƐŝŶĚƌŽŵĞĚŝ^ĠnjĂƌLJƐŝŵĂŶŝĨĞƐƚĂĐŽŶƵŶ͛ĞƌŝƚƌŽĚĞƌŵŝĂĞƐĨŽůŝĂƚŝǀĂĞƉƌƵƌŝŐŝŶŽƐĂŝŶƉƌĞƐĞŶnjĂĚŝƐŝŶĚƌŽŵĞůĞƵĐĞŵŝĐĂ͘>Ă
terapia si basa sulla PUVA terapia nelle forme localizzate, sulla polichemioterapia in quelle generalizzate.
Gammapatie
monoclonali
Sindromi linfoproliferative caratterizzate dalla produzione di immunoglobuline da parte delle cellule neoplastiche.
Comportano una modifŝĐĂnjŝŽŶĞ ĚĞůůĂ ĐŽŵƉŽŶĞŶƚĞ ƉƌŽƚŝĚŝĐĂ ĚĞů ƉůĂƐŵĂ Ɖŝƶ ĐŚĞ ů͛ĂƵŵĞŶƚŽ ǀŽůƵŵĞƚƌŝĐŽ ĚĞŐůŝ ŽƌŐĂŶŝ
linfoidi secondari.
Le immunoglobuline hanno carattere monoclonale: sono tutte costituite dalla stessa classe di catena pesante, dallo
stesso tipo di catena leggera, dalla stessa regione ipervariabile͘ůů͛ĞůĞƚƚƌŽĨŽƌĞƐŝƉĞƌƚĂŶƚŽğƉƌĞƐĞŶƚĞƵŶĂĐĂƌĂƚƚĞƌŝƐƚŝĐĂ
ĂůƚĞƌĂnjŝŽŶĞĐŽŶĂƐƉĞƚƚŽ͞ĂĚƵƉůŝĐĞŐƵŐůŝĂĚŝĚƵŽŵŽ͟Ž͞ĂĐŽƌŶĂ͘͟
Le gammapatie monoclonali possono essere:
Clinica. Nel 15% dei casi non ci sono sintomi e la diagnosi è casuale. Negli altri casi, i sintomi si manifestano con:
x ŝŶƚĞƌĞƐƐĂŵĞŶƚŽĚĞůů͛ĂƉƉĂƌĂƚŽƐĐŚĞůĞƚƌŝĐŽ͗ŝĚŽůŽƌŝŽƐƐĞŝƐŽŶŽŝƉŝƶĨƌĞƋƵĞŶƚŝƐŝŶƚŽŵŝĚ͛ĞƐŽƌĚŝŽĞƐŽŶŽĚŽǀƵƚŝ
Ăůů͛ĂƵŵĞŶƚŽĚĞůů͛ĂƚƚŝǀŝƚăŽƐƚĞŽĐůĂƐƚŝĐĂ͘
x Insufficienza renale: è la più frequente e grave complicanza e ne cosƚŝƚƵŝƐĐĞ ů͛ĞƐŽƌĚŝŽ ŶĞů ϮϬй ĚĞŝ ĐĂƐŝ͘ È
dovuta principalmente a danno tubulo-‐interstiziale dato dalle catene leggere Ig (proteinuria di Bence Jones).
x Morbilità infettiva: è la principale causa di morte di questi pazienti ed è dovuta alla soppressione
ĚĞůů͛ŝmmunità umorale.
127
x Sindrome ipercalcemica
x Manifestazioni neurologiche (da compressione o da polineuropatia)
x Sindrome da iperviscosità
Laboratorio͘>͛ĞŵŽĐƌŽŵŽ può mostrare anemia e/o leucopenia e/o piastrinopenia. Ci può essere aumento della VES,
della calcemia, alterazione della funzionalità renale.
>͛ĞůĞƚƚƌŽĨŽƌĞƐŝŽů͛ŝŵŵƵŶŽĨŝƐƐĂnjŝŽŶĞŵŽƐƚƌĂŶŽůĂƉƌĞƐĞŶnjĂĚŝƵŶĂĐŽŵƉŽŶĞŶƚĞDŶĞůƐŝĞƌŽĞͬŽŶĞůůĞƵƌŝŶĞ͕ĐŚĞĐŽŶƐƚĂ
generalmente di Ig complete, più raramente di sole catene leggere.
>͛ŽƐƚĞŽŵŝĞůŽďŝŽƉƐŝĂĚŽĐƵŵĞŶta un eccesso di plasmacellule, spesso con atipie citologiche.
Diagnosi. Si basa su:
- Interna -
- Etc... -
A. Fusco
INDICE
EBM ..................................................... 1
1
- Odds ratio (OR), rischio relativo (RR) oppure hazard esempio il sesso, l’età, il quadro clinico o eventuali pato-
ratio (se si valuta la prognosi) logie associate.
OR=adbc=VN∙VPFN∙FP In tal caso posso utilizzare una tecnica statistica di ran-
domizzazione che prende il nome di propensity score: i
RCT
Gli studi clinici controllati randomizzati prevedono che il pazienti vengono scelti prima del trattamento in maniera
campione venga diviso in gruppi per poi misurare uno uniforme e bilanciata per quanto riguarda sesso, età, con-
dizioni socio-economiche, presenza di condizioni croni-
specifico risultato o outcome o endpoint primario per va-
che e via dicendo. Il gruppo non trattato (o trattato con un
lutare l’effetto di un determinato intervento. L’outcome
specifico deve essere necessariamente definito prima metodo alternativo) costituisce il controfattuale
dell’inizio dello studio, senza andare a valutare quello che Studi caso-controllo
Lo studio caso-controllo è quello più semplice da fare. È
poi si ricava dallo studio stesso.
Lo studio deve essere necessariamente prospettico, cioè uno studio retrospettivo. Mentre nello studio di coorte o
il paziente deve essere arruolato per lo studio e non deve nello studio randomizzato bisogna prendere un certo nu-
mero di persone e seguirle per un certo numero di anni,
essere selezionato a posteriori da un database in maniera
retrospettiva. Ad esempio io non posso andare ad indivi- per cui bisogna effettuare l’arruolamento, seguire i pa-
duare tutti i pazienti che sono stati operati di stenosi aorti- zienti, verificare le perdite al follow-up… lo studio caso-
ca e poi li studio. Si può fare ma è un altro tipo di studio. controllo è uno studio più semplice: prendo in una popo-
lazione un certo numero di fumatori e li confronto con
I pazienti devono essere necessariamente randomizzati,
cioè gli deve essere assegnato il trattamento in maniera pazienti che non sono fumatori e vedo quanti, tra fumatori
completamente casuale. La cosa migliore sarebbe fare lo e non fumatori, hanno avuto un infarto. Permette di calco-
lare l’OR (odds ratio), un modo di esprimere la probabili-
studio in doppio cieco: né il paziente né il medico sanno
il paziente che trattamento riceverà. Questo ovviamente tà.
apre una serie di problematiche di tipo etico perché il pa- Studi di tipo osservazionale
Sono gli studi descrittivi e quelli di prevalenza. Valutano
ziente deve dare il proprio consenso a partecipare ad un
il fenomeno sanitario secondo tre variabili:
trial clinico sull’efficacia di un farmaco in cui potrà avere
la possibilità di essere trattato o meno con il farmaco spe- - Tempo: rileva variazioni periodiche e non;
rimentale. Questo crea anche una serie di problematiche - Spazio: permette confronto tra aree diverse;
di tipo metodologico: se un farmaco viene somministrato - Popolazione: permette la descrizione delle carat-
per os e uno per via endovenosa, ciascun paziente riceverà teristiche dei soggetti in studio relativamente ad
necessariamente due trattamenti uno per os e uno per via età, sesso, razza, classe sociale, stato civile, abitu-
endovenosa solo che in un caso si tratta del farmaco e dini, etc.
nell’altro del placebo o viceversa. In alcuni casi lo studio Al fine di elaborare un’ipotesi eziopatogenica da verifica-
può essere compiuto solo in cieco singolo, ad esempio nel re con studi più complessi.
caso delle pratiche di medicina alternativa (ad esempio Negli studi descrittivi ci si serve di dati preesistenti, men-
l’agopuntura o l’omeopatia). Ovviamente nel caso in cui tre in quelli di prevalenza no.
nel corso di un trattamento dovessero comparire degli ef-
fetti collaterali, deve essere a disposizione un monitor 24
ore su 24 che sia al corrente di quale trattamento sta rice-
vendo il paziente.
Quindi lo studio prospettico è quello più utile ai fini della
valutazione dei nessi causa-effetto.
NOTA: una regola generale, che vale per i RCT come per
gli altri tipi di studi, è che più è numeroso ed omogeneo il
campione, più è vicino al vero (=alla popolazione genera-
le) e quindi più i risultati saranno affidabili. È per questo
che si fanno pure gli studi multicentrici.
Studi di coorte
Gli studi di coorte possono essere sia prospettivi che re-
trospettivi e sono studi in cui i gruppi o coorti di pazienti
vengono seguiti nel tempo nel corso del trattamento, ma
non siamo noi a scegliere il paziente che trattamento rice-
verà. La differenza con gli RCT è l’assenza della rando-
mizzazione, il cui scopo è quello di ridurre i fattori di con-
fondimento. Questo nello studio di coorte non è possibile
e può causare i cosiddetti bias (distorsione) di selezione,
per cui la selezione dei pazienti per i vari gruppi di trat-
tamento può essere distorta dalle informazioni note, ad
2
99
xxiii
La febbre reumatica acuta è una malattia multisistemica causata ĚĂ ƵŶĂ ƌĞĂnjŝŽŶĞ ĂƵƚŽŝŵŵƵŶĞ Ăůů͛ŝŶĨĞnjŝŽŶĞ ĚĂ
Streptococcus pyogenes ;ɴ-‐emolitico, gruppo A). Generalmente tutte le manifestazioni si risolvono completamente,
eccetto il danno alle valvole cardiache (malattia cardiaca reumatica).
Epidemiologia
La febbre reumĂƚŝĐĂ ĂĐƵƚĂ ğ ƵŶĂ ŵĂůĂƚƚŝĂ ĚĞůůĂ ƉŽǀĞƌƚă͗ ĐŽŵƵŶĞ ŝŶ ƚƵƚƚŽ ŝů ŵŽŶĚŽ ĨŝŶŽ ĂŐůŝ ŝŶŝnjŝ ĚĞů ͚ϵϬϬ͕ ůĂ ƐƵĂ
incidenza è declinata negli stati economicamente sviluppati grazie al miglioramento delle condizioni di vita e
Ăůů͛ŝŶƚƌŽĚƵnjŝŽŶĞĚĞŐůŝĂŶƚŝďŝŽƚŝĐŝ͖ŶĞŐůŝƐƚĂti in via di sviluppo la prevalenza è ancora alta. Si tratta di una patologia che
coinvolge principalmente i bambini dai 5 ai 14 anni.
Patogenesi
Tutti i ceppi di S. pyogenes possono causare la malattia quando infettano il tratto respiratorio superiore: se
ů͛ŽƌŐĂŶŝƐŵŽğŐĞŶĞƚŝĐĂŵĞŶƚĞƉƌĞĚŝƐƉŽƐƚŽ;ĂůĐƵŶŝĂůůĞůŝ,>//Ğd'&-‐ɴͿƐŝpuò innescare una reazione autoimmunitaria
che porta a danno tessutale per crossreattività tra alcuni epitopi batterici (N-‐acetilglucosamina, proteina
streptococcica M) e umani (proteine citoscheletriche).
Clinica
La storia naturale della malattia reumatica si può dividere in quattro fasi.
1. infezione streptococcica: generalmente è asintomatica, ma si possono avere i sintomi di faringite (in questo
caso si può isolare il batterio tramite tampone faringeo e coltura in agar-‐sangue o test rapido
immunoenzimatico.
2. febbre reumatica acuta: si ha dopo circa 3 settimane. Le manifestazioni piú frequenti sono la poliartrite e la
febbre; meno comuni la corea e la cardite, ƌĂƌŝů͛ĞƌŝƚĞŵĂŵĂƌŐŝŶĂƚŽĞŝŶŽĚƵůŝƐŽƚƚŽĐƵƚĂŶĞŝ͘
3. attività cronica
4. eventuali riacutizzazioni: facilitano la progressione a malattia reumatica cardiaca.
Le manifestazioni articolari sono costituite principalmente da poliartrite migrante delle grandi articolazioni: ginocchio,
caviglia, anca, gomito; è monolaterale o asimmetrica. Solitamente è molto dolorosa ma dura pochi giorni, e risponde
ƌĂƉŝĚĂŵĞŶƚĞĂůů͛ĂƐƉŝƌŝŶĂ͘ƉŽƐƐŝďŝůĞĐŚĞĐŝƐŝĂartralgia, è meno grave.
Le manifestazioni cardiache possono riguardare endocardio, miocardio e pericardio, ma la lesione caratteristica è
ƋƵĞůůĂǀĂůǀŽůĂƌĞ͘ ƋƵĂƐŝ ƐĞŵƉƌĞĐŽŝŶǀŽůƚĂ ůĂ ŵŝƚƌĂůĞ͕ ƚĂůǀŽůƚĂ ĂŶĐŚĞů͛ĂŽƌƚŝĐĂ͘/ŶŝnjŝĂůŵĞŶƚĞ Ɛŝ può avere una leggera
insufficienza, ma con le progressive riacutizzazioni si può avere cicĂƚƌŝnjnjĂnjŝŽŶĞĞƐƚĞŶŽƐŝǀĂůǀŽůĂƌĞ͘>͛ŝŶƚĞƌĞƐƐĂŵĞŶƚŽ
miocardico può provocare allungamento del tratto PR.
La corea di Sydenham è una manifestazione neurologica caratterizzata da movimenti involontari della testa e degli arti
superiori, debolezza muscolare e labilità emozionale. Può variare ampiamente in gravità ma è autolimitante.
>͛ĞƌŝƚĞŵĂ ŵĂƌŐŝŶĂƚŽ ğ ƵŶ ƌĂƐŚ ĞǀĂŶĞƐĐĞŶƚĞ ŶŽŶ ƉƌƵƌŝŐŝŶŽƐŽ ŐĞŶĞƌĂůŵĞŶƚĞ Ăů ƚƌŽŶĐŽ Ğ ĂŐůŝ Ăƌƚŝ͖ ůĂ ůĞƐŝŽŶĞ ƚĞŶĚĞ Ă
risolversi al centro e a progredire alla periferia. I noduli sottocutanei sono indolenti, piccoli e mobili e si trovano in
corrispondenza delle prominenze ossee.
Diagnosi
Poiché non esiste un test decisivo la diagnosi si basa sulla compresenza di sintomatologia tipica e infezione da S.
pyogenes. Se la diagnosi di infezione non è stata effettuata al momento (ad esempio perché non era sintomatica) è
possibile usare la sierologia, in particolare la ricerca delle Ig anti-‐streptolisina O67 e le Ig anti-‐DNasi B; in alternativa lo
Streptoxyme valuta contemporaneamente le Ig contro cinque diversi antigeni.
67
TAS: titolo antistreptolisinico
100
/ĐƌŝƚĞƌŝĚŝ:ŽŶĞƐ͕ĚĞĨŝŶŝƚŝŶĞů͛ϰϰĞĂŐŐŝŽƌŶĂƚŝĚĂůů͛KD^ŶĞůϮϬϬϯ͕ƉĞƌŵĞƚƚŽŶŽĚŝŝŶĚŝǀŝĚƵĂƌĞŐůŝĞƉŝƐŽĚŝƉƌŝŵĂƌŝ;ϮĐƌŝƚĞƌŝ
maggiori o 1 maggiore e 2 minori, in presenza di infezione confermata) e le riacutizzazioni (2 minori).
x criteri maggiori: cardite, poliartrite, corea di Sydenham, eritema marginato, noduli sottocutanei
x criteri minori: febbre, poliartralgia, ĹVES, leucocitosi, PR prolungato.
Prevenzione
e
terapia
>ĂƉƌĞǀĞŶnjŝŽŶĞƉƌŝŵĂƌŝĂĐŽŶƐŝƐƚĞŶĞůů͛ŝŶĚŝǀŝĚƵĂnjŝŽŶĞĚŝƚƵƚƚŝŝ casi di faringite streptococcica e la terapia antibiotica: in
questo modo si riescono a prevenire la maggior parte dei casi di febbre reumatica acuta. Possono essere usati:
penicillina G benzatina intramuscolare in unica dose o amoxicillina orale per sei giorni. Alla sospensione della terapia
antibiotica va confermata la negativizzazione del tampone faringeo.
Una volta che è presente la febbre reumatica acuta non sono disponibili terapie che impediscano lo sviluppo di
malattia reumatica cardiaca; il trattĂŵĞŶƚŽ ğƋƵŝŶĚŝ ƐŝŶƚŽŵĂƚŝĐŽ͕ ďĂƐĂƚŽ ƉƌŝŶĐŝƉĂůŵĞŶƚĞ ƐƵůů͛ĂƐƉŝƌŝŶĂƉĞƌ ŝů ĐŽŶƚƌŽůůŽ
dei sintomi articolari e della febbre. Nei pazienti con cardite grave è possibile usare il prednisone. La febbre reumatica
acuta dura 3 mesi se non trattata e 1-‐2 settimane se trattata.
ŽƉŽůĂƌŝƐŽůƵnjŝŽŶĞĚĞůů͛ĞǀĞŶƚŽŝŶŝnjŝĂůĞğŝŵƉŽƌƚĂŶƚĞůĂƉƌŽĨŝůĂƐƐŝƐĞĐŽŶĚĂƌŝĂ͕ĐŽŶƉĞŶŝĐŝůůŝŶĂ'ďĞŶnjĂƚŝŶĂŽŐŶŝϯ
settimane per 5-‐ϭϬĂŶŶŝĂƐĞĐŽŶĚĂĚĞůů͛ŝŶƚĞƌĞƐƐĂŵĞŶƚŽĐĂƌĚŝĂĐŽ͘
128
xxxi
Eziologia
infezioni
¾ infezioni piogene localizzate: ascessi epatici, splenici, peri-‐appendicolari, renali, retroperitoneali, osteomieliti,
prostatiti, ascessi dentari, sinusiti, colangiti
¾ infezioni da batteri intravascolari: endocarditi (in particolare HACEK),
¾ infezioni batteriche sistemiche: tifo, gonococcemia, listeriosi, brucellosi, rickettsiosi, psittacosi, borreliosi (es.
Lyme)
¾ micobatteri: tubercolosi extrapolmonare
¾ virali: mononucleosi da EBV, HIV, epatiti, dengue
¾ micotiche: istoplasmosi, criptococcosi
¾ parassitarie: malaria, toxoplasmosi
neoplasie
¾ ematiche: linfoma di Hodgkin, linfomi non Hodgkin, leucemie
¾ solide: K rene, epatoma, K colon
malattie infiammatorie
¾ sistemiche: lupus eritematoso sistemico, artite reumatoide,, polimialgia reumatica
¾ vasculiti: arterite temporale di Horton, Wegener, poliarterite nodosa, Takayasu,
129
>Ă ŵĂůĂƚƚŝĂ Ěŝ >LJŵĞ ğ ĚĂƚĂ ĚĂůů͛ŝŶĨĞnjŝŽŶĞ ĚĂ Borrelia burgdorferi, una spirocheta trasmessa da zecche; si manifesta
inizialmente con un eritema migrante, poi con febbre. Terapia con doxiciclina.
>Ă ĨĞďďƌĞ ĚĂ ĨĂƌŵĂĐŝ ƉƵſ ĞƐƐĞƌĞ ĚĞƚĞƌŵŝŶĂƚĂ ĚŝƌĞƚƚĂŵĞŶƚĞ ĚĂů ĨĂƌŵĂĐŽ͕ ƉĞƌ ƵŶ ĞĨĨĞƚƚŽ ƐƵůů͛ŝƉŽƚĂůĂŵŽ Ž ĐŽŶ
meccanismo allergico. È intermittente o continua, sono presenti brividi, mialgia, leucocitosi, ipotensione, cefalea, rash,
dispepsia e talvolta eosinofilia. Ipertermia maligna in pazienti con anomalie congenite trattati con alcuni anestetici;
sindrome neurolettica maligna come effetto collaterale degli inibitori dopaminergici.
La febbre simulata è intermittente, incoerente con la frequenza cardiaca, senza variazioni circadiane, brividi o
sudorazione.
Le febbri intermittenti sono un sottogruppo di FUO classica caratterizzate da intervallo libero tra due accessi febrili
(diversamente definito dai vari Autori, da 2 a 15 giorni -‐.-‐). I pazienti sono piú giovani, la durata è maggiore, rimangono
piú spesso senza eziologia nota ma la prognosi è buona.
Ipertermia abituale: ritmo circadiano esagerato.
Epidemiologia
infezioni
KǀǀŝĂŵĞŶƚĞů͛ĞƉŝĚĞŵŝŽůŽŐŝĂĚŝ 16%
questo tipo di febbri riflette le
possibilità diagnostiche e senza diagnosi neoplasie
terapeutiche (es. riduzione febbri 51% 7%
NDD causate da neoplasie grazie
a TC, RM, PET.
Altre
forme
&hK ŶŽƐŽĐŽŵŝĂůĞ͘ >Ă ŵĂŐŐŝŽƌĂŶnjĂ ĚĞŝ ƉĂnjŝĞŶƚŝ ŚĂ ƵŶ͛ŝŶĨĞzione. Si parte indagando sulle procedure diagnostiche e
terapeutiche e sugli interventi chirurgici subiti dal paziente.
FUO neutropenica. Alta frequenza di infezioni fungine e batteriche.
FUO con HIV. Già la sola infezione da HIV puó causare la febbre; inoltre ci possono essere infezioni (80%), febbre da
farmaci o linfoma.
131
xxxii
Ictus: improvvisa comparsa di segni o sintomi riferibili a deficit delle funzioni cerebrali, di durata superiore alle 24 ore
o a esito infausto, non attribuibile ad altra causa se non a vasculopatia cerebrale. 87% ischemico, 13% emorragico.
Ictus
ischemico
Epidemiologia
/ŶĐŝĚĞŶnjĂĂŶŶƵĂŝƚĂůŝĂŶĂ͗ϭ͕ϴ͗ϭϬϬϬ͕ĂƵŵĞŶƚĂĐŽŶů͛Ğƚă;ϭϭ͗ϭϬϬϬŶĞŐůŝĂŶnjŝĂŶŝͿ͘WƌĞǀĂůĞŶnjĂŵĞĚŝĂϭ͕ϲй͘ Terza causa di
morte nei pazienti industrializzati dopo malattie cardiovascolari e neoplasie.
Fisiopatologia
/ů ĨůƵƐƐŽ ĞŵĂƚŝĐŽ ĐĞƌĞďƌĂůĞ ŐĂƌĂŶƚŝƐĐĞ ů͛ĂƉƉŽƌƚŽ Ěŝ ŐůƵĐŽƐŝŽ Ğ ŽƐƐŝŐĞŶŽ ŶĞĐĞƐƐĂƌŝŽ Ăůů͛ĞŶĐĞĨĂůŽ͕ ĐŚĞ ŚĂ ƵŶ ĂůƚŽ
fabbisogno energetico. Esso è dotato di meccanismi di autoregolazione: rimane costante al variare della pressione
arteriosa sistemica, entro certi limiti, attraverso la vasocostrizione e la vasodilatazione. Quando il flusso ematico in
ƵŶ͛ĂƌĞĂ ĐĞƌĞďƌĂůĞ Ɛŝ ƌŝĚƵĐĞ Ă ĐĂƵƐĂ Ěŝ ƵŶ͛ŽĐĐůƵƐŝŽŶĞ ǀĂƐĐŽůĂƌĞ Ɛŝ ĂǀƌĂŶŶŽ ƉƌŝŵĂ ĂůƚĞƌĂnjŝŽŶŝ ĨƵŶnjŝŽŶĂůŝ ŶĞƵƌŽŶĂůŝ, poi
alterazioni elettriche e infine morte neuronale.
Eziologia
Classificazione eziologica di Toast:
x ateroƐĐůĞƌŽƐŝ;͞ŝ͘ĂƚĞƌŽtrombotico͟Ϳ (50%)
x cardioembolia(25%)
x ostruzione ĂƌƚĞƌŝĞƉĞŶĞƚƌĂŶƚŝ;͞ŝ͘ůĂĐƵŶĂƌĞ͟Ϳ(20%)
x altro (5%): ipercoagulabilità, vasculiti, dissezioni, droghe, compressioni, ipoperfusione sistemica, criptogenetici
50% 25% 20% 5% aterotrombotico
cardioembolico
0% 20% 40% 60% 80% 100% lacunare
Fattori di rischio modificabili: ipertensione arteriosa, diabete mellito, dislipidemia, dieta ricca in lipidi e sodio,
tabagismo, obesità, alcolismo, fibrillazione atriale, infarto del miocardio, endocarditi infettive, altre cardiopatie,
stenosi carotidea. Importante agire su questi per la prevenzione primaria. Fattori di rischio non modificabili: età
avanzata, sesso maschile, ereditarietà, precedente ictus o TIA.
Clinica
Le manifestazioni degli ictus ischemici sono molto variegate perché dipendono da quale arteria è stata occlusa e
ƋƵŝŶĚŝ ĚĂ ƋƵĂůĞ ĨƵŶnjŝŽŶŝĐĞƌĞďƌĂůŝ ƐŽŶŽ ƐƚĂƚĞ ůĞƐĞ ĚĂůů͛ŝƐĐŚĞŵŝĂ͘ dƵƚƚŝ ŐůŝŝĐƚƵƐ ŚĂŶŶŽ ŝŶĐŽŵƵŶĞů͛ĞƐŽƌĚŝŽ ĂĐƵƚŽĞ ůĂ
progressione rapida della sintomatologia.
Circolo arterioso cerebrale
Due circoli si uniscono nel circolo di Willis:
anteriore dalle carotidi interne, posteriore
dalla basilare (dalle vertebrali).
carotide interna
¾ oftalmica
¾ cerebrale anteriore
¾ cerebrale media
¾ corioidea anteriore
basilare
¾ cerebrale posteriore
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Sproloquio del libro napoletano (mentre nel resto del mondo sono piú pratici ): le sindromi neurovascolari sono i
quadri clinici secondari a ischemia di territori perfusi dai grossi rami cerebrali e si associa alle eziologia
aterotrombotica e cardioembolica; le sindromi lacunari sono i quadri secondari a ischemia dei piccoli vasi penetranti.
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Classificazione di Bamford: anteriori totali (tutti e tre: deficit funzioni superiori, visivo omonimo, motorio/sensoriale
ipsilaterale), anteriori parziali (due dei precedenti, oppure deficit funzioni superiori, oppure monoparesi), posteriori
(emianopsia omonima, paralisi nervo cranico ipsilaterale con deficit motorio controlaterale, disfunzione cerebellare,
deficit dei movimenti coniugati oculari, deficit bilaterale), lacunari (una delle forme descritte sopra).
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Complicanze
x neurologiche
o edema cerebrale: dopo circa 4 giorni, per alterato trasporto ionico (citotossico, piú precoce) o per danno alla
barriera emato-‐encefalica (vasogenico, piú tardivo). Provoca aumento della pressione endocranica e rischio di
erniazione.
o trasformazione emorragica: in un caso su tre, piú comunemente per eziologia cardioembolica o per fibrinolisi.
o epilessia vascolare: crisi epilettiche precoci nelle prime due settimane, buona prognosi; crisi tardive oltre le
due settimane, nella metà dei casi esitano in epilessia.
o delirio
x non neurologiche: ipertensione arteriosa, ostruzione delle vie aeree, ipoventilazione, cardiologiche, trombosi
delle vene profonde ed embolia polmonare, ulcere da decubito, febbre e infezioni
Diagnosi
Si sospetta un ictus quando si hanno manifestazioni neurologiche focali a esordio improvviso e a progressione rapida.
>ĂǀĂůƵƚĂnjŝŽŶĞĚĞǀĞĞƐƐĞƌĞƌĂƉŝĚĂ͕ƉĞƌƐĞůĞnjŝŽŶĂƌĞů͛ĂƉƉƌŽĐĐŝŽƚĞƌĂƉĞƵƚŝĐŽĂĚĞŐƵĂƚŽ͘
1) Scala di Cincinnati: asimmetria del volto, slivellamento arti, disturbo del linguaggio; se uno dei tre è positivo si
ricovera il paziente (72% probabilità ictus).
2) Scala NIHSS a 11 item per valutare rapidamente la gravità del deficit neurologico, 0-‐42 punti: coscienza, data di
nascita, comandi motori, movimenti oculari, campi visivi, paralisi facciale, movimento degli arti superiori,
movimento degli arti inferiori, atassia degli arti, sensorio, linguaggio, disartria, deficit/inattenzione.
3) Anamnesi (a paziente o testimone) ed esame neurologico mirato; essenziale per valutare la presenza di
controindicazioni alla fibrinolisi (es, importante definire il momento di insorgenza del quadro clinico; se è stato al
ƌŝƐǀĞŐůŝŽƐŝĂƐƐƵŵĞĐŚĞů͛ŝŶƐŽƌŐĞŶnjĂƐŝĂƐƚĂƚĂĂůů͛addormentamento).
4) TC cranio: consente di escludere ů͛ŝĐƚƵƐ ĞŵŽƌƌĂŐŝĐŽ ;ŶŽŶĐ͛ğ ŝƉĞƌĚĞŶƐŝƚăͿ Ğ ƋƵŝŶĚŝĚŝ ĂǀǀŝĂƌĞ ŝů ƉƌŽƚŽĐŽůůŽ ƉĞƌ ůĂ
fibrinolisi. Nelle prime 6 ore appare generalmente normale! Si manifesterà ƉŽŝĐŽŶŝƉŽĚĞŶƐŝƚăĚĞůů͛ĂƌĞĂĐŽůƉŝƚĂ͘
5) Varie
a) EL: emocromo, elettroliti, glicemia, funzionalità epatica e renale, profilo coagulativo. Consente di fare
diagnosi differenziale (ipopotassiemia, iperglicemia e ipoglicemia), di individuare controindicazioni alla
fibrinolisi, di identificare fattori prognostici negativi (insufficienza epatica o renale, leucocitosi, anemia)
b) ECG͗ĐŽŶƐĞŶƚĞĚŝŝĚĞŶƚŝĨŝĐĂƌĞƵŶ͛eziologia cardioembolica
c) Rx torace
d) due accessi venosi
Cose che solo il libro napoletano considera delle priorità, seppure in secondo livello: RM cranio,, ecocardio (consente
Ěŝ ŝĚĞŶƚŝĨŝĐĂƌĞ ƵŶ͛ĞnjŝŽůŽŐŝĂ ĐĂƌĚŝŽĞŵďŽůŝĐĂ), ecografia dei tronchi sovraortici (ĐŽŶƐĞŶƚĞ Ěŝ ŝĚĞŶƚŝĨŝĐĂƌĞ ƵŶ͛ĞnjŝŽůŽŐŝĂ
aterotrombotica o ipoperfusiva), ecografia transcranica, angiografia cerebrale.
Terapia
x terapia fibrinolitica con rt-‐PA 0,9 mg/kg ev ƐĞŶŽŶĐŝƐŽŶŽĐŽŶƚƌŽŝŶĚŝĐĂnjŝŽŶŝĞƐŝğĞŶƚƌŽϯŽƌĞĚĂůů͛ĞƐŽƌĚŝŽ (in
alcuni casi entro 4 ore e mezza).
o Controindicazioni assolute: ictus o trauma cranico <3 mesi, emorragia cerebrale pregressa, K o
malformazione o aneurisma cerebrale, chirurgia intracranica o spinale recente; sintomi di emorragia
subaracnoidea, PAs >185 o PAd >110 persistente, ipoglicemia, emorragia interna attiva, diatesi
emorragica acuta, piastrinopenia, anticoagulanti con INR >1,7, eparina <48 h, inibitore diretto della
ƚƌŽŵďŝŶĂŽĚĞůĨy͖ĂůůĂdĞŵŽƌƌĂŐŝĂŽŝƐĐŚĞŵŝĂĚŝƉŝƷĚŝƵŶƚĞƌnjŽĚĞůů͛ĞŶĐĞĨĂůŽ͘
o Occorre sorvegliare il paziente: cefalea, picco pressorio, peggioramento del quadro neurologico,
ĐŽŵƉĂƌƐĂĚŝŶĂƵƐĞĂĞǀŽŵŝƚŽ͕ƌŝĚƵnjŝŽŶĞĚĞůůŽƐƚĂƚŽĚŝĐŽƐĐŝĞŶnjĂĚĞǀŽŶŽĨĂƌƐŽƐƉĞƚƚĂƌĞů͛ĞŵŽƌƌĂŐŝĂ
ŝŶƚƌĂĐƌĂŶŝĐĂ͕ ƉƌŝŶĐŝƉĂůĞ ĐŽŵƉůŝĐĂŶnjĂ͗ Ɛŝ ĨĞƌŵĂ ů͛ŝŶĨƵƐŝŽŶĞ ĚĞů ĨĂƌŵĂĐŽ Ğ Ɛŝ ĞĨĨĞƚƚƵĂ ƵŶĂ d ĐƌĂŶŝŽ
Ě͛ƵƌŐĞŶnjĂ͘78
78
secondo il libro napoletano per le forme cardioemboliche non si deve fare trombolisi: solo anticoagulanti.
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La riabilitazione è molto importante e va iniziata al termine della stabilizzazione clinica; consiste nella riabilitazione
motoria e neuropsicologica.
Prognosi
Secondo la classificazione di Bamford: In base alla scala NIHSS:
mortalità 0-‐7 45% recupero in 2 giorni
a 1 mese a 1 anno 8-‐15 2,5% recupero in 2 giorni
anteriore totale 40% 60% 16-‐42 sequele gravi o morte
anteriore parziale 4% 16%
posteriore 7% 19%
lacunare 2% 11%
Prevenzione
secondaria
Per tutti i casi a eziologia non cardioembolica:
Follow-‐up
x valutazione evoluzione dei sintomi
x rivalutazione NIHSS
x valutazione della concordanza alla terapia farmacologica e riabilitativa
x controllo INR e regolazione warfarin
x valutazione della disabilità con indice Rankin (0 assenza di sintomi, 3 non autosufficiente ma cammina da solo, 6
morte)