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A. Fusco

revisione Gang del Bosco


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A. Fusco
INDICE

Cardiopatia ischemica .................................................................... 4


Angina pectoris stabile ........................................................................................ 6
Angina instabile/infarto miocardico NSTEMI. ............................................... 7
Angina variante di Prinzmetal ........................................................................... 8
Ischemia asintomatica
Infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST: STEMI .................. 9
Trattamento in emergenza degli infarti STEMI .............................................. 17
Trattamento in emergenza degli infarti NSTEMI .......................................... 18

Scompenso cardiaco …………………………….……………… 18


Insufficienza cardiaca Acuta ................................................ 25
Edema polmonare ......................................................... 28
Ipertensione polmonare ....................................................... 29
Cuore polmonare .................................................................. 30
Cuore polmonare cronico ............................................ 31
Cuore polmonare acuto ed embolia polmonare ....... 32

Sincope

Fibrillazione atriale

Malattie valvolari .......................................................................... 39


Stenosi mitralica .................................................................................................. 40
Insufficienza mitralica ........................................................................................ 41
Prolasso mitralico
Stenosi aortica ..................................................................................................... 42
Insufficienza aortica ........................................................................................... 43
Stenosi tricuspidale ............................................................................................ 44
Insufficienza tricuspidale .................................................................................. 45
Valvulopatie polmonari
Valvulopatie miste
Sostituzione valvolare ........................................................................................ 46

Ipertensione arteriosa ................................................................... 47


Dalla dispensa di A.Mazzella

Disturbi del ritmo 3

Pericarditi 21

Miocarditi 24

Cardiomiopatie 25

Endocarditi 29

Malattie dell'Aorta 33
(aneurismi e dissecazione)
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Cardiopatia ischemica
Fisiopatologia coronarica: i vasi coronarici possono essere suddivisi in vasi di conduttanza ossia le grosse
arterie epicardiche ed i loro rami e in vasi di resistenza ossia le per arteriole e i piccoli rami intramiocardici
che sono il principale determinante delle resistenze coronariche.
La circolazione coronarica è influenzata e controllata dalle richieste di ossigeno da parte del cuore. Queste
richieste aumentano con la frequenza cardiaca, la contrattilità e lo stress di parete. Il livello di estrazione di
ossigeno del miocardio è del 70%, molto elevato. Pertanto se vi è un’aumentata richiesta metabolica, l’unico
meccanismo che permette un adeguato apporto di ossigeno è la vasodilatazione del vasi di resistenza con
conseguente diminuzione della resistenza al flusso.
La riserva coronarica è la massima capacità di vasodilatazione e conseguente flusso in risposta ad uno
stimolo. Il fabbisogno miocardico di ossigeno regola pertanto la vasodilatazione dei vasi intramiocardici (che
normalmente hanno grande capacità di dilatarsi) che costituiscono pertanto un particolare microcircolo
dotato di capacità di regolazione metabolica e di autoregolazione dipendente più dal fabbisogno cardiaco
che dal controllo sistemico.
L’aumento della richiesta miocardica pare si esplichi in un aumento dell’idrolisi di ATP con conseguente
rilascio nell’interstizio di adenosina, la quale vaso dilata i rami intramiocardici con incremento del flusso in
proporzione alla richiesta. Il flusso coronarico è generalmente fasico, in quanto è possibile solo durante la
diastole (nelle tachiaritmie pertanto può ridursi a causa della diminuzione del tempo di diastole) perché
in sistole i vasi intramiocardici sono occlusi dalla contrazione. Gli strati sub endocardici sono quelli
maggiormente esposti all’ischemia.
L’ischemia è una riduzione del flusso che si associa naturalmente a danno cellulare (di vario grado). La
principale causa di ischemia è l’aterosclerosi coronarica in quanto la placca ateromatosa ostruisce il
flusso con diminuzione del calibro delle arterie. L’ischemia miocardica può verificarsi anche, molto più
raramente, da spasmo, da trombi o emboli, da anomalie congenite come l’origine del ramo discendente
anteriore della coronaria sinistra dall’arteria polmonare (ischemia e infarto in età infantile), grave ipotrofia
ventricolare da stenosi aortica (ma anche ipetrofia ventricolare con associata maggiore richiesta), e inoltre
la soglia ischemica può essere ad esempio ridotta da una riduzione della capacità di trasporto di ossigeno.

Aterosclerosi coronarica: l’aterosclerosi è la prima causa di ischemia e ha sede principalmente nelle


arterie coronarie epicardiche (il circolo coronarico è in generale una delle sedi preferite dall’aterosclerosi). I
fattori come l’aumento delle LDL e la diminuzione delle HDL, il fumo, l’ipertensione e il diabete provocano
(insieme a fattori di minore importanza, all’omicisteinemia, all’età, all’obesità, al sesso) la cosiddetta
disfunzione endoteliale (che non è per forza una lesione) che favorisce l’inizio della formazione delle
placche ateroma tose.
Le placche tendono a concentrarsi nei punti in cui il flusso passa da laminare a turbolento come le
diramazioni delle arterie epicardiche.
La prima lesione è la stria lipidica che comincia ad osservarsi già intorno ai vent’anni in molti soggetti. È
un’area giallastra con monociti ed esteri del colesterolo. Questa può evolvere in una vera e propria placca
ateromatosa costituita da lipidi, macrofagi, cellule muscolari lisce , fibroblasti e piastrine,la quale è frutto di
un processo infiammatorio cronico mediato, oltre che da vari mediatori di infiammazione, da LDL ossidate
e macrofagi (cellule schiumose).
La placca tende ad ingrandirsi con ulteriore deposito di materiale grasso e fibroso e può condurre ad una
progressiva stenosi del vaso.
Quando la stenosi riduce il diametro dell’arteria epicardica del 50% non basta un pieno incremento del
flusso per rispondere agli aumenti delle esigenze metaboliche (ad esempio sotto sforzo), se l’ostruzione è
del 75-80% il flusso può essere ridotto anche a riposo.
All’inizio i vasi a valle provano a dilatarsi per compensare questo flusso ridotto, ma con il tempo si giunge ad
ischemia miocardica soprattutto quando un aumento delle richieste del miocardio non riesce ad essere
compensato da una vasodilatazione già a riposo molto elevata. Questo spiega perché spesso risultano
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asintomatici anche pazienti con alto grado di stenosi delle coronarie. La gravità e l’insorgenza dell’ischemia
dipende anche dal punto in cui si verifica l’ostruzione (più grave se prossimale, tipo nel tronco comune
della coronaria di sinistra) e dalla possibilità (in genere presente, soprattutto se l’ostruzione è graduale) di
sviluppo di circoli collaterali.
Le placche ateromatose possono andare incontro a varie lesioni come: calcificazione (arterie rigide),
rottura e ulcerazione (si liberano sostanze trombo geniche con possibile sviluppo di trombi a valle).
Generalità sulla cardiopatia ischemica: la cardiopatia ischemica è una condizione di insufficiente
apporto di ossigeno al miocardio. La cardiopatia ischemica può essere sintomatica o meno (e magari
essere rilevabile solo con coronarografia o ECG sotto sforzo) e persino l’IM pare restare non diagnosticato
nel 25% dei pazienti. La fase sintomatica è invece caratterizzata da dolore toracico dovuto ad angina
pectoris o infarto acuto del miocardio.
Le conseguenze dell’aterosclerosi coronaria e dell’ischemia possono essere:
1) Aritmie fatali: l’ischemia causa instabilità elettrica con eccitazione di focolai ectopici che causano
extrasistoli, tachicardie e fibrillazioni ventricolari con conseguente morte improvvisa.
2) Cardiomiopatia ischemica: condizione dovuta a ripetuti danni miocardici che si presenta con
cardiomegalia e scompenso cardiaco (ventricolo sinistro danneggiato) che non hanno determinato alcun
sintomo prima dell’insorgenza di insufficienza cardiaca.
3) Formazione di trombi: Nell’angina stabile l’endotelio che ricopre la placca è liscio, nell’angina instabile
la superficie tende a ulcerarsi con fenomeni di aggregazione piastrinica. A seguito di rottura o ulcerazione
delle placche (che sono instabili a causa di fattori come il trombossano prodotto dalle piastrine) possono
formare un trombo che può depositarsi a valle e causare condizioni cliniche differenti: 1) Se non occlude
il vaso coronarico si manifesta un incremento della gravità del quadro anginoso. 2) Se la progressione
è rapida ma comunque non occlude il vaso si ha infarto sub endocardico (non Q) 3) Se l’occlusione è
completa si ha infarto trans murale (infarto Q).

Indagini diagnostiche per cardiopatia ischemica:


ECG: la patologia ischemica, modificando l’attività elettrica dei miociti, comporta anche della alterazioni
elettrocardiografiche (prevalentemente riguardanti il ventricolo sinistro, più frequentemente sede di
episodi ischemici) quali:
1. Onda T invertita simmetrica: è un segno più evidente nelle derivazioni toraciche. Indica un’ischemia
subepicardica (trans murale). Nella sindrome di Wellens c’è un’onda T invertita in V2 e V3 (stenosi
della coronaria anteriore discendente).
2. Sopraslivellamento del tratto ST: indica la presenza di una lesione ischemica (nell’infarto indica un
episodio acuto). È presente nell’angina variante (transitorio). Può essere di varia entità. Una pericardite
o un aneurisma ventricolare possono provocare innalzamenti del tratto ST (nella sindrome di Brugada
è soprasilvellato in V1 e V3 e c’è BBD). Se non associato a onda Q può indicare un infarto non Q.
3. Sottoslivellamento del tratto ST: segno di intossicazione da digitale, ma soprattutto di infarto sub
endocardico. L’ST appare sottoslivellato e appiattito. È un infarto non Q e non transmurale. Può essere
un’immagine indiretta di sopraslivellamento del tratto ST.
4. Onda Q: un’onda Q significativa (almeno 1mm di ampiezza o 1/3 dell’altezza del QRS) è indice
di necrosi e quindi di infarto. È un segno che in genere non scompare e permane per tutta la vita.

ECG da sforzo: test provocativo in grado di indurre ischemia in soggetti con ostruzione delle coronarie. La
manifestazione ischemica appare in genere come un sottoslivellamento del tratto ST.
Scintigrafia con tallio 201: il tallio 201 è un isotopo che si fissa al miocardio in una concentrazione
dipendente dal flusso coronarico regionale ed evidenzia quindi alterazioni della perfusione coronarica
in presenza di stenosi emodinamicamente significative (soprattutto di IVA). Pertanto permette di vedere
dove sono ostruzionie e se l’ischemia è reversibile (alterazioni che scompaiono dopo circa quattro ore) o
meno.
ECG secondo Holter: registrazione continua per 24-48 ore. Con la collaborazione del paziente permette

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di evidenziare disturbi del ritmo e anomalie di ripolarizzazione ventricolare tipiche delle fasi ischemiche e
di metterle in relazione con la sintomatologia e la frequenza cardiaca del paziente durante la giornata. Si
possono così vedere anche eventuali attacchi ischemici asintomatici ed aritmie verificatesi nel contesto o
meno di tali attacchi.
Arteriografia coronarica: o coronarografia, è l’indagine più specifica per le patologie coronariche. È
un esame invasivo tramite un catetere inserito per via venosa (più femorale) che giunge fino agli osti
coronarici dove poi viene iniettato un mezzo di contrasto per l’esame radiologico delle coronarie che
vengono ben evidenziate. In genere si esegue anche una ventricolo grafia per valutare contrattilità e
valvole ventricolari. Trova indicazioni per valutare una dubbia cardiopatia ischemica o per quantificare
l’ostruzione delle coronarie in paziente con malattia coronarica già avanzata. In genere si esegue quando
la terapia medica non controlla bene i sintomi o se l’angina è instabile. È un esame non privo di rischi quali
l’infarto miocardico (0,7%) e accidenti cerebrovascolari (0,07%).
Classificazione generale della cardiopatia ischemica: i pazienti con cardiopatia ischemica si dividono
in due grandi gruppi:
1) quelli con malattia coronarica cronica che in genere si presentano con angina pectoris stabile;
2)quelli con sindromi coronariche acute (SCA) che possono essere pazienti con:
- infarto miocardico acuto (IMA) con sopraslivellamento del tratto ST all’ECG (STEMI)
- angina instabile o infarto miocardico acuto senza sopraslivellamento del tratto ST (AI/NSTEMI).

Angina pectoris stabile

Definizione: sindrome clinica relativa ad un’ischemia miocardica transitoria. È una malattia coronarica
cronica.
Clinica: il tipico paziente è un uomo oltre 50 anni o una donna oltre 60 che lamenta disturbi al torace in
genere descritti come senso di pesantezza, pressione, oppressione, soffocamento e solo più raramente
come vero e proprio dolore (che comunque è un dolore toracico retro sternale costrittivo). Il dolore
può irradiarsi al collo, alla regione intrascapolare (se al trapezio è più pericardite), alla mascella, ai denti,
all’epigastrio e alle braccia (più sinistro). A volte il dolore può non insorgere in sede retro sternale bensì
solo nelle sedi secondarie.
Gli episodi sono tipicamente scatenati dallo sforzo fisico o dalle emozioni e cessano con il riposo, ma è
possibile anche che si verifichino durante il riposo specie in posizione supina (angina da decubito o angina
a riposo) e il paziente può persino essere svegliato di notte da dispnea e dolore tipico. Dolori taglienti e
immediati o prolungati e lievi sono angina solo molto raramente. Nausea e vomito sono meno comuni che
nell’infarto.
L’ECG può mostrare modificazione dell’ST, inversione dell’onda T e segni di ipertrofia ventricolare che non
sono specifici a meno che non siano concomitanti alla sintomatologia.
Terapia: si basa su
1. Misure generali e stile di vita: il paziente potrà condurre le normali attività lavorative ed
extralavorative (tranne lavori manuali pesanti), magari solo conducendo il tutto più lentamente.
2. Trattamento dei fattori di rischio: cardiomiopatia ipertrofica o valvulopatie ed inoltre patologie quali
obesità, ipertiroidismo ed ipertensione, diabete ed eliminare il fumo di sigaretta. È importante
una dieta che limiti l’apporto di grassi saturi e di sale, monitorare eventuale dislipidemia che può
richiedere terapia con inibitori della HMG-CoA reduttasi (statine).
3. Terapia farmacologica: ha lo scopo di ridurre gli eventi di angina e l’incremento improvviso di
frequenza cardiaca e pressione arteriosa che innalzano il lavoro cardiaco.
Nitroderivati: sono in uso da più di 125 anni, hanno azione benefica, immediata, nel ridurre gli episodi
di angina: vasodilatazione delle arterie coronariche (aumentando il flusso miocardico) e di tutto il circolo
sistemico. La loro azione si esplica sia sulle arterie (riducendo il post-carico, la pressione arteriosa) che
sulle vene (aumento della capacitanza venosa e quindi riduzione del pre-carico). Vengono assorbiti più

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rapidamente e completamente attraverso le mucose (pertanto, soprattutto nell’immediato, si predilige


l’assunzione sublinguale). Per un effetto a lungo termine sono possibile anche l’assunzione trans dermica
(unguento di nitroglicerina) o per os.
Gli effetti collaterali sono tachicardia e aumento della contrattilità in risposta alla diminuita pressione
arteriosa, ma anche tolleranza al farmaco, cefalea pulsante e ipotensione ortostatica. Il più utilizzato è la
nitroglicerina, ma anche l’isosorbide dinitrato.
Beta-bloccanti: provocano una riduzione della richiesta di ossigeno, effetto inotropo e cronotropo
negativo (inoltre soprattutto durante l’esercizio fisico più che a riposo). Sono molto utili in associazione
con i nitrati, in quanto prevengono l’aumento della frequenza e della contrattilità che provocano questi
ultimi. Come effetti collaterali provocano bradicardia, claudicatio intermittens, peggioramento dell’asma
bronchiale e dell’ipoglicemia (ad esempio se insieme ad antidiabetici). I più utilizzati sono atenololo e
metoprololo oltre a propanololo e nadololo.
Calcio antagonisti: vasodilatatori coronarici che determina riduzione della domanda di ossigeno, di
pressione arteriosa e di contrattilitàI più usati sono diltiazem e verapamil, ma anche nifedipina e
amlodipina. Il verapamil (soprattutto) e il diltiazem (negli scompensati) non sono da associare ai beta-
bloccanti per la loro azione inotropo-negativa che potrebbe peggiorare una disfunzione ventricolare
sinistra. L’angina di Prinzmetal risponde bene ai calcio-antagonisti (diidropiridinici).
Nell’approccio iniziale sono preferibili i beta-bloccanti perché rispetto ai calcio-antagonisti determinano
un miglioramento dell’aspettativa di vita. Se però i beta-bloccanti non funzionano, o sono controindicati
(asma o BPCO) o hanno comportato effetti collaterali, o il paziente è affetto da angina di Prinzmetal, si
preferiscono i calcio-antagonisti.

Angina instabile/infarto miocardico senza sopraslivellamento del tratto ST: AI/NSTEMI

L’angina instabile una volta detta angina preinfartuale o insufficienza coronarica acuta è una forma di
angina che ha alta probabilità di evolvere in infarto miocardico acuto.
La diagnosi e anche la definizione di AI è basata sulla presentazione clinica, è infatti un’angina pectoris
che ha una di queste caratteristiche: 1) compare a riposo (o con minimo sforzo) e di solito dura più di 10
minuti (l’angina stabile dura meno ed è più associata allo sforzo), 2) è intensa e di recente insorgenza
(pazienti con angina insorta nelle ultime 3-4 settimane) 3) si verifica seguendo un pattern in crescendo (nel
tempo la sintomatologia anginosa è divenuta più grave, prolungata o frequente).
La diagnosi di NSTEMI viene posta se alla clinica di AI si aggiungono segni di necrosi miocardica
evidenziata dall’aumento degli enzimi di danno miocardico.

Patogenesi: è ovviamente causata da un disequilibrio tra apporto e richiesta di ossigeno che causa ischemia
miocardica. Il processo alla base di quest’ischemia può essere: rottura o erosione di placca con trombi
non occlusivi, che sono la causa più comune, ostruzione dinamica (tipo spasmo coronarico angina di
Prinzmetal), ostruzione meccanica progressiva ma comunque non completa (cosa che spesso causa infarto
sub endocardico, non Q) e AI secondaria a maggiore richiesta o altre cause di minore apporto (anemia o
tachicardia che causa riduzione dei tempi di diastole). A volte queste cause si presentano insieme. Il 40%
dei pazienti ha patologia monovasale (soprattutto IVA), il 5% ha ostruzione del tronco comune, il 10%
nessuna ostruzione critica (spesso questi hanno Prinzmetal). La lesione responsabile visibile all’angiografia
è più spesso un trombo bianco (piastrine) rispetto all’IM. Spesso ci sono placche multiple e può essere utile
valutarne il numero, la percentuale e la localizzazione delle ostruzioni.

Clinica: sintomi e segni sono come quelli dell’angina stabile, in questo caso però il dolore toracico è
abbastanza intenso da essere riconosciuto come doloroso. Se il paziente ha un’ampia area necrotica di
NSTEMI si possono avere segni e sintomi tipici dell’infarto STEMI. ECG: si ha in genere un sottoslivellamento
del tratto ST o anche un’onda T invertita. (le onde T sono meno specifiche se non sono abbastanza profonde

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cioè >0,3mV). Nuove alterazioni dell’ECG in pazienti con sintomi di AI sono segni prognostici negativi.
Il paziente riferisce in genere dolore toracico, di durata in genere inferiore a 20-30 minuti, con possible
associazione di: ansia, nausea, vomito, sudorazione, palpitazioni, dispnea.
Esame obiettivo: spesso normale, ma si può rilevare: terzo e/o quarto tono; soffio sistolico puntuale,
congestione polmonare, distensione venosa giugulare, aumento della pressione.
Enzimi di danno miocardico: livelli elevati di enzimi come CK-MB e troponina comportano rischio
maggiore di morte o recidiva infartuale (cioè però vale solo per pazienti con chiara storia clinica di ischemia,
per cui c’è relazione diretta tra aumento troponina e mortalità).

Diagnosi: bisogna prima di tutto determinare la probabilità che i sintomi siano dovuti a sindrome coronaria.
Dolore ischemico, precedente infarto, segni chiari all’angiografia, nuove alterazioni ischemiche all’ECG,
scompenso cardiaco sono molto indicativi. In secondo luogo contano i fattori di rischio per patologia
coronarica. Gli strumenti diagnostici principali sono anamnesi, ECG, enzimi e test da sforzo. Bisogna
verficare se c’è infarto (ECG ed enziimi), valutare se c’è ischemia a riposo o grave malattia coronarica (dopo
test da sforzo). Incrementi di enzimi o nuove alterazioni dell’ECG mentre il paziente è ricoverato sono
segno di AI/NSTEMI.
Risultano pertanto utili: ECG seriati; Rx torace; Ecocardiogramma.
Indagini di laboratorio: Enzimi cardiaci, elettroliti, creatininemia, Azotemia, Glicemia, etc.

Prognosi: mortalità tra 1-10% in 30 giorni e rischio o recidiva d’infarto tra 3-10%. Fattori di rischio per
malattia coronarica, età superiore a 65 anni, sviluppo di sintomi nonostante terapia con acido acetilsalicilico,
slivellamento del tratto ST maggiore o uguale a 0,5mm peggiorano la prognosi.

Terapia: il paziente deve essere messo a riposo (ricoverato) con monitoraggio ECG continuo. La
terapia prevede l’uso di nitrati e beta-bloccanti oltre ad un trattamento con antitrombotici quali acido
acetilsalicilico o anche eparina non frazionata o enoxaparina (eparina a basso peso molecolare). Il
trattamento a lungo termine è in tutto e per tutto uguale a quello dei pazienti con angina, anche per
quanto riguarda le misure generali.

Angina variante di Prinzmetal

Definizione: è una forma di angina che compare prevalentemente a riposo associata ad un transitorio
sopraslivellamento del tratto ST. L’evidenza all’ECG è presente solo durante l’attacco e dura in genere,
a differenza dell’IM, 5-20 minuti, risultando invece un ECG normale nel resto della giornata. Gli attacchi
tendono a comparire nelle stesse ore e dissociati dallo sforzo.
La sindrome è dovuta ad uno spasmo focale di un’arteria epicardica (più la destra, ma spesso varie) cui
consegue un’ischemia miocardica. In alcuni pazienti lo spasmo arterioso è sistemico (sincope, fenomeno
di Raynaud, emicrania). La causa dello spasmo è forse un’ipercontrattilità della muscolatura liscia vascolare
dovuta al rilascio di fattori vasocostrittori, leucotrieni, serotonina, etc. In genere lo spasmo si verifica entro
1 cm da una placca aterosclerotica (che quindi comunque è presente anche in questi pazienti, che però
in genere, a parte il fumo, hanno meno fattori di rischio per patologia coronarica e sono più giovani). Lo
spasmo coronarico transitorio visto all’angiografia è l’elemento diagnostico fondamentale. A volte possono
aversi episodi di ischemia silente (asintomatica) o anche lievi aumenti di CK-MB e troponina.
Prognosi: dopo un periodo acuto di 3-6 mesi in cui c’è anche un maggiore rischio di infarto miocardico
non fatale (che in 5 anni è del 20%) la sopravvivenza a 5 anni è eccellente (90-95%). La prognosi è peggiore
in pazienti con gravi ostruzioni o che sviluppano importanti aritmie durante gli episodi.
Terapia: nitrati e soprattutto calcio-antagonisti.

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Cardio per Interna

Ischemia asintomatica
Definizione: anche detta silente. I pazienti con IMA, ischemia transitoria e coronaropatia ostruttiva sono
spesso asintomatici anche se hanno segni evidenti all’ECG. Questi episodi comportano comunque un
rischio elevato di sviluppo di infarto miocardico (e talvolta morte) e in base a test da sforzo, all’ECG e all’età
deve essere scelta comunque una terapia adeguata.

Infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST: STEMI


Definizione: L’infarto miocardico costituisce la necrosi tissutale del muscolo cardiaco che si verifica in
seguito ad un’ostruzione delle coronarie. STEMI è una diagnosi associata ad alta (30%) mortalità precoce
(ossia nei 30 giorni successivi) con metà dei decessi avvenuti prima dell’arrivo in ospedale. La mortalità
resta alta (1/25) nell’anno successivo all’episodio e dipende molto dall’età. Una volta posta diagnosi di
sindrome coronarica acuta (sintomatologia tipica) è principalmente l’ECG che permette di distinguere il
tipo di patologia.
La sindrome coronarica acuta può infatti essere senza sopraslivellamento del tratto ST o con
sopraslivellamento del tratto ST. Nel primo caso in un’alta percentuale dei casi non vi sono proprio enzimi
di danno e pertanto non vi è necrosi, perciò non è infarto bensì angina instabile. In una percentuale
comunque alta vi sono enzimi di danno, dunque vi è infarto, ma è un infarto non Q (se il tratto di ST non
è normale ma è sottoslivellato potrebbe essere un infarto sub endocardico) ossia non vi sono le tipiche
onde Q che indicano necrosi all’ECG (sono ben pochi i casi di sindrome coronarica acuta con assenza di
sopraslivellamento del tratto ST, ma presenza di onde Q -questo è un quadro comune se l’infarto magari
è pregresso-).
Nel caso di sopraslivellamento del tratto ST nella maggior parte dei casi l’infarto è con onde Q e solo in
una minoranza dei casi è un infarto non Q.

Patogenesi: è ben noto che la causa principale di IHD (cardiopatia ischemica) sia l’aterosclerosi
coronarica. Questa può causare ostruzione più o meno grave dei vasi coronarici (per lo più epicardici) e
può coinvolgere uno o più spesso diversi vasi. Mentre generalmente le stenosi fisse causano patologie
come l’angina e in genere tanto gravemente quanto grave è la lesione (75% occlusione ischemia da sforzo,
90% ischemia anche a riposo), le sindromi coronariche acute dipendono generalmente da impreviste e
brusche trasformazioni della placca aterosclerotica quali rottura o fissurazione, ulcerazione, erosione. In
breve, generalmente:
1. Angina stabile: è causata da un’ostruzione fissa (senza rottura della placca) e da un’ischemia da
aumentata richiesta del miocardio (raro che ci sia necrosi perché si riesce in genere a formare una rete
di vasi collaterali, dato che l’ostruzione si ingrossa lentamente).
2. Angina instabile: si ha rottura della placca, ma il trombo è solo parzialmente occlusivo.
3. Infarto miocardico: a causa dell’alterazione della placca si forma un trombo che occlude totalmente il
vaso, e rapidamente, in modo che non si riesce a formare un circolo collaterale e si ha pertanto necrosi.
In pratica la sequenza di eventi risulta questa:
Le placche aterosclerotiche hanno una composizione dinamica (per esempio il cappuccio fibroso va
incontro a rimodellamento) e in particolare risultano “vulnerabili” quelle con core lipidico ricco di cellule
schiumose, quelle con molte cellule infiammatorie o con cappucci fibrosi sottili.
Si ha pertanto un’improvvisa modificazione della placca ateromatosa (ulcerazione, emorragia
intramurale, erosione, rottura o fessurazione) con relativa esposizione delle componenti altamente
trombo gene (come il collagene subendoteliale) della placca che causano un’attivazione piastrinica
anche a seguito del rilascio di agonisti. Si ha rilascio di trombossano A2 e ulteriore attivazione piastrinica
e d esposizione del fattore tissutale con relativa attivazione della cascata della coagulazione. Il risultato
è la formazione di un trombo murale che occlude rapidamente il vaso.

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I Gazzellini

Altre cause come emboli, anomalie congenite, vasospasmo possono causare infarti, ma molto più
raramente.
L’ostruzione arteriosa causa ischemia nell’area irrorata dall’arteria occlusa, definita area a rischio. Il miocardio
perde la sua funzione contrattile, avvia un metabolismo anaerobico (di acido lattico, potenzialmente
dannoso), ma soltanto a seguito di un’ischemia severa (meno del 10% del flusso) e duratura (20-30 minuti
almeno) si ha necrosi dei cardiomiociti (ossia danno irreversibile) con rottura della membrana e fuoriuscita
di proteine miocardiche. Un danno permanente di notevole entità si ha dopo un periodo di 2-6 ore
dall’inizio dell’ischemia (dipende anche dal livello di circolo collaterale) e pertanto risulta fondamentale
una rapida diagnosi e intervento.

Anatomia patologica: la forma di infarto più frequente è quella completa, ossia l’infarto trans murale
che coinvolge appunto l’intero spessore della parete ventricolare.
Soprattutto se il trombo si è sciolto rapidamente per trombo lisi può verificarsi un esclusivamente un
infarto sub endocardico (terzo o metà interna della parete) ossia concentrato solo nella sezione più
sensibile all’ischemia (in quanto peggio irrorata).
Quasi tutti gli infarti sono localizzati nella parete del ventricolo sinistro e risparmiano solo una sottile rima
(0,1mm) di miocardio sub endocardico direttamente irrorata dal sangue contenuto nel lume ventricolare.
La sede dell’infarto dipende naturalmente dalla coronaria occlusa:
1. Coronaria discendente anteriore sinistra (40-50%): infarto “anteriore” che coinvolge la parete
anteriore del ventricolo sinistro, l’apice e la parte anteriore del setto interventricolare.
2. Coronaria destra: “infarto posteriore” (ma solo in caso di dominanza destra) che coinvolge la parete
inferiore/posteriore del ventricolo sinistro, la parte posteriore del setto interventricolare e, nel 15-30%
dei casi, parte del ventricolo destro.
3. Coronaria circonflessa sinistra: infarto “laterale” che coinvolge la parete laterale del ventricolo
sinistro, ma non l’apice.
Vi sono anche sedi meno consuete come il tronco comune della sinistra oppure rami secondari.
Le aree miocardiche danneggiate vanno incontro ad una serie di modificazioni che partono dalla necrosi
coagulativa e continuano on processi di infiammazione e riparazione (anche se l’aspetto dipende
naturalmente dalla sopravvivenza del paziente). Macroscopia: Nelle prime 12 ore gli infarti non sono in
genere affatto riconoscibili macroscopicamente. Successivamente è prima visibile come un’area rossastra
( a causa del ristagno ematico), poi è apprezzabile un colorito giallo a causa dell’infiltrato infiammatorio.
Lo spessore della parete cardiaca appare ridotto perché il tessuto necrotico è progressivamente rimosso.
In seguito il centro giallognolo è circondato da una zona iperemica di tessuto di granulazione (entro
2 settimane). Dopo circa un mese l’area diviene grigiastra sino alla formazione di una cicatrice dura
successivamente.
Microscopia: le cellule non mostrano segni prima delle 12 ore. Dopo un giorno si nota la necrosi cellulare e
la perdita delle fibre e successivamente infiltrato infiammatorio che tramite la liberazione di enzimi da parte
dei neutrofili e la fagocitosi dei cardiomiociti morti da parte dei macrofagi eliminano il tessuto necrotico,
che già dopo una settimana viene sostituito da abbondante tessuto di granulazione. Si ha poi lentamente,
nel corso del primo mese, la sostituzione del tessuto di granulazione con tessuto fibroso e almeno entro sei
mesi la formazione finale della cicatrice. Una volta guarita una lesione non è più databile. Nell’infarto trans
murale queste modificazioni sono molto più evidenti e nette che nell’infarto sub endocardico.

Clinica: Il sintomo più caratteristico è il dolore. Il dolore è profondo e viscerale, in genere descritto come
pesante, opprimente o a morsa. Può essere retrosternale, ma anche epigastrico o interscapolovertebrale
e si può irradiare alle braccia (più il sinistro) a collo, mandibola, addome e schiena, anche fino all’occipitale
ma mai sotto l’ombelico. A differenza di quella della pericardite acuta non si irradia al trapezio. Può
assomigliare al dolore dell’angina pectoris, ma, anche se in in curca il 30% dei casi è preceduto da un
fattore precipitante (stress fisico o emotivo, patologia), in genere si presenta a riposo e comunque non è
alleviato dal riposo e dura più di venti minuti. Viene indicato spesso dal paziente con la mano aperta o

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Cardio per Interna

pugno chiuso sul petto (segno di Levine).


È di intensità elevata, spesso in crescendo, avvertito con senso di morte imminente.
In genere non recede alla somministrazione di nitroglicerina sublinguale. Il dolore può essere
accompagnato da sintomi diversi quali astenia, nausea, vomito, dispnea, sudorazione.
Un quarto dei casi di infarto anteriore è associato ad un ipertono adrenergico con tachicardia,
ipertensione, agitazione e tremore; mentre la metà dei casi di infarto inferiore si associa ad un ipertono
vagale con bradicardia, nausea, vomito e collasso. L’infarto può anche essere silente (asintomatico), più
comunemente nei pazienti anziani e soprattutto nei diabetici (minore sensibilità dolorifica e funzionalità
del SNA). Può esserci dispnea soprattutto se è presente insufficienza ventricolare sinistra. In qualche caso
possono sopraggiungere pericolose aritmie.

Diagnosi: fondamentali l’ECG e gli enzimi cardiaci sierici.


Esame obiettivo: dolore toracico retro sternale di durata superiore a 30 minuti, pallore e sdorazione sono
suggestivi di STEMI. Ci possono essere segni di disfunzione ventricolare: l’itto così come il polso carotideo
sono ridotti, ci possono essere un terzo e un quarto tono, indebolimento del primo tono e sdoppiamento
paradosso del secondo, soffio sistolico mitralico, pressione arteriosa a volte ridotta di 10-15mmHg.

ECG: costituisce un mezzo fondamentale nella diagnosi di infarto, soprattutto in fase acuta. È inoltre in grado
di individuare un infarto pregresso. Tramite l’ECG si distinguono infarti con o senza sopraslivellamento del
tratto ST, e infarti Q e non Q (suddivisioni che combaciano spesso, ma non sempre). L’area miocardica
colpita presenta delle alterazioni nella conduzione degli impulsi che vengono rilevate.
I principali segni di cardiopatia ischemica e infarto sono:
Onda T invertita: segno di ischemia.
Tratto ST sottoslivellato: segno di ischemia in ECG da sforzo, comune nell’infarto sub endocardico, ma
può anche essere un’immagine indiretta di lesione.
Tratto ST sopraslivellato: segno di lesione (immagine diretta), è presente anche in altre condizioni. In un
ECG da sforzo in paziente con pregresso infarto può essere un segno di discinesia ventricolare (vedi ECG
cardiopatia ischemica).
Onda Q: è un segno di necrosi. Il tessuto necrotico è del tutto incapace di condurre impulsi e pertanto
crea un vuoto o finestra elettrica che l’ECG è in grado di rilevare. L’elettrodo positivo più vicino alla zona
infartuata rileva infatti l’assenza di vettori nella propria direzione mentre, attraverso questa specie di finestra
elettrica, vede i vettori che si propagano dalla parte opposta e dunque nella direzione opposta. Il risultato
è una profonda deflessione negativa, un’onda Q appunto. Questa è significativa (e non una normale
onda q del complesso QRS dovuta alla propagazione dell’impulso attraverso il setto interventricolare da
sinistra a destra) solo quando ha un’ampiezza maggiore di 1mm o un’altezza almeno di 1/3 del QRS.
Solitamente le lesioni causate dall’infarto vengono distinte in tre o quattro stadi.
1. Modificazioni iperacute: le onde T divengono alte ed ampie.
2. Modificazioni acute: compaiono i segni di lesione come il sopraslivellamento del tratto ST. Della
lesione si può avere, come anche per l’ischemia, un’immagine diretta (da parte degli elettrodi che
guardano l’area lesa) e un’immagine indiretta (da parte degli elettrodi che guardano l’area opposta)
che mostrerà dunque un sottoslivellamento del tratto ST.
3. Modificazioni precoci: comparsa di onde Q patologiche, segno di necrosi. Non sempre!
4. Modificazioni tardive: in genere dopo almeno 48 ore: inversione dell’onda T (segno di ischemia,
che in realtà può anche essere presente prima, magari in pazienti con angina o comunque con episodi
ischemici).
Successivamente le onde T e le variazioni del tratto ST tendono a scomparire lasciando come unico segno
l’onda Q o meglio il complesso QS.
È possibile localizzare l’infarto valutando in quali derivazioni si presentano queste alterazioni. Si può fare
il discorso pensando alle sole onde Q, ma naturalmente è valido anche per il tratto ST e per le onde T
invertite (infarti anteriore, laterale, inferiore o posteriore). Gli infarti si associano spesso ad emiblocchi

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I Gazzellini

(ischemia branche) e quindi anche a deviazioni dell’asse cardiaco.


Esami di laboratorio: a parte una lieve leucocitosi polimorfo nucleata con lieve aumento della conta dei
bianchi e anche lieve aumento della VES, il segno più specifico di infarto sono gli enzimi cardiaci sierici.
Normalmente infatti, gli enzimi miocardici hanno una bassa concentrazione in circolo, quando però vi
è un danno miocardico le proteine contenute all’interno dei cardiomiociti vengono liberate nel sangue,
raggiungendo concentrazioni molto superiori alla norma e costituendo un importante indice diagnostico.
Ogni marker cardiaco sierico ha una sua cinetica, ossia un suo picco di concentrazione e un suo tempo di
comparsa e di scomparsa. Interventi di rivascolarizzazione possono modificare questa cinetica. Valutando
gli enzimi cardiaci si può integrare l’esame clinico e l’ECG per confermare la diagnosi di infarto, soprattutto
nei casi di ECG non diagnostici (assenza di onde Q, da ciò si deduce che sono un valido supporto in caso di
infarti non trans murali). I principali enzimi sono:

Troponine miocardio-specifiche T e I, TnT e TnI: insieme alla troponina C hanno il compito di regolare lo
spostamento della tropo miosina e in generale l’interazione tra actina e miosina tramite un meccanismo
di risposta calcio-dipendente (la troponina C rappresenta il sito di legame con il calcio). Le troponine I e T
miocardiche hanno (a differenza della C), una composizione aminoacidica diversa rispetto a quelle di altri
tessuti muscolari e pertanto sono specifiche di danno miocardico. Il dosaggio si effettua tramite specifici
anticorpi monoclonali. Nell’infarto possono aumentare anche di 20 volte. TnI e TnT sono i marcatori
sierici preferiti per IM, soprattutto quando ci sono valori al limite di CK-MB. Comparsa: 2-6h; Picco: 10-24h.
Durata: 5-14gg.

Mioglobina: rilascio precoce: 2-3h. Ritorno alla normalità in 8-10h. Meno sensibile delle troponine,
soprattutto negli infarti datati. Ma è il marker più precoce.

Creatin fosfochinasi, CK: aumenta entro 4-6 ore dall’inizio dei sintomi, raggiunge il picco nelle 16-24
ore e scompare dopo circa 2-3 giorni. Ha una specificità limitata perché può aumentare in ogni danno
muscolare e in altre patologie. L’isoforma CK-MB è invece tipicamente cardiaca anche se aumenta anche
in interventi di cardiochirurgia e miocarditi oltre alla cardioversione elettrica (che causa spesso aumento
anche di altri enzimi) che è un comune intervento in caso di aritmie pericolose come la fibrillazione
ventricolare.

Altri enzimi sono: transaminasi glutammico-ossalacetica (GOT, compare con la CK e torna a valori
normali in 5-7 gg) e lattato-deidrogenasi (LDH, torna alla normalità in 10 giorni). I pazienti che fanno
terapia trombo litica o interventi di rivascolarizzazione hanno, a causa della maggiore perfusione, un
rilascio degli enzimi molto più rapido, con picco di concentrazione e ritorno alla normalità in meno tempo.
In questo modo la quantità di enzima rilasciata è minore, e questo indica pertanto anche un minore danno
miocardico.

Imaging cardiaco: Ecocardiogramma: permette di valutare le conseguenze di un infarto miocardico.


Non è in grado di distinguere un infarto miocardico pregresso da un evento acuto, né è in grado di definire
bene le dimensioni dell’infarto in quanto non distingue un tessuto necrotico da un tessuto ischemico. È
però semplice e rapido e permette di valutare le anomalie della cinesi parietale (100% deigli infarti Q e
80% dei non Q) e il diminuito spessore delle zone miocardiche colpite, potendo in tal modo ipotizzare
anche quale vaso sia occluso in base alla localizzazione dell’infarto. Permette in generale la rilevazione
di complicanze come l’aneurismo ventricolare, la preforazione del setto interventricolare e l’insufficienza
mitralica ed inoltre permetta la valutazione della funzionalità del ventricolo sinistro (eventuali disfunzioni
ventricolari, diminuzione della frazione di eiezione). È inoltre in grado di valutare l’efficacia di interventi di
riperfusione coronarica.
Scintigrafia miocardica: con tallio o tecnezio, rileva segni di ischemia residua postinfartuale.
Ventricolografia con tecnezio: serve a localizzare la necrosie valutare la frazione di eiezione e quindi la

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Cardio per Interna

funzione ventricolare. Le tecniche radioisotopiche sono in genere cmq meno usate perché indaginose e
spesso poco specifiche.
La risonanza magnetica con gadolinio è un’alternativa.
Tomografia a emissione di positroni: (PET) permette tramite l’impiego di FDG (fluorodesossiglucosio) di
valutare il metabolismo di glucosio da parte del tessuto miocardico e di considerare la presenza o meno
di zone miocardiche vitali. Possono esservi zone che, pur restando vitali, hanno caratteristiche particolari.
Si distinguono:

Complicanze: quadri clinici che possono presentarsi durante l’infarto o in tempi successivi:
1. Disfunzione ventricolare e scompenso cardiaco congestizio: a seguito di un infarto si hanno dei
fenomeni di rimodellamento ventricolare con ingrandimento del ventricolo a seguito dell’allungamento
delle fibre nell’area infartuata e successivamente anche intorno. La dilatazione è associata ad una
disfunzione ventricolare che può evolvere (anche in anni) in uno scompenso cardiaco (sistolico da
ridotta gittata o diastolico da ridotta compliance). Il deficit di pompa è la principale causa di morte
dopo IMA, e ha come segni un terzo o quarto tono e congestione polmonare (radiografia al torace). I
pazienti con scompenso presentano un’aumentata pressione di riempimento ventricolare e dell’arteria
polmonare (verificate con inserimento di un catetere a palloncino). Una funzione ventricolare anomala
è in genere associata ad un deficit di contrattilità di almeno il 20-25% del ventricolo (oltre il 40% si
può avere shock cardiogeno ossia un deficit di pompa con volumi ventricolari di riempimento che
risultano aumentati e forte ipotensione che può portare anossia cerebrale, nell’80% dei casi risulta
mortale). La terapia per lo scompenso cardiaco congestizio dopo IMA è la stessa del normale con
diuretici, vasodilatatori (nitrati) e ACE-inibitori e/o ARB. I diuretici possono peggiorare la situazione
causando ipovolemia.
2. Infarto ventricolare destro: più che una complicanza è una condizione che può avvenire in
concomitanza all’infarto del ventricolo sinistro (30% si infarti laterali). Si può associare a segni di
scompenso cardiaco destro e si può notare in genere un sopraslivellamento del tratto ST nelle
derivazioni precordiali destre dell’ECG.
3. Aritmie: l’incidenza delle aritmie in pazienti con IMA è molto alta in quanto queste possono
essere causate da squilibri del SNA, disturbi elettrolitici, ischemia e rallentamento di conduzione
nelle aree necrotiche. Le aritmie possono aggravare la necrosi diminuendo la perfusione
coronarica e incrementando il consumo di ossigeno (le tachiaritmie riducono il tempo di
diastole e aumentano il lavoro cardiaco) o aggravando il deficit di pompa (bradi aritmie).

Tachiaritmie:
- Extrasistoli ventricolari: i battiti ectopici ventricolari sono comuni e sono dovute all’ipossia e
aggravate da eventuali squilibri idroelettrici quali ipopotassiemia e ipomagnesemia (che sono
aggravanti di molte forme aritmiche e devono essere corretti!). Di per sé non rappresentano un
fenomeno preoccupante perché non compromettono la funzione emodinamica, ma se molto precoci
possono favori l’insorgenza di TV e FV (fenomeno R/T). I beta-bloccanti le riducono notevolmente.
- Tachicardia ventricolare e fibrillazione ventricolare: sono potenzialmente molto pericolose
(si aggiunge a queste anche la torsione di punta) in quanto possono compromettere la condizione
emodinamica. Anche se la terapia profilattica antiaritmica con lidocaina non è più raccomandata si
usano i beta-bloccanti per prevenire queste condizioni. Si trattano con amiodarone, o, se le condizioni
del paziente sono gravi, con cardioversione elettrica (scarica non sincronizzata di 200-300J, se non
funziona si associa ad adrenalina). L’impianto di un ICD è indicato in pazienti con frazione di eiezione
ventricolare inferiore al 40% con episodi di TV e FV post-STEMI.
- Ritmo idioventricolare accelerato: il ritmo idioventricolare può avvenire solo se la funzione del NSA
come pacemaker dominante viene a mancare. È una forma di tachicardia ventricolare in genere quindi
associata a bradiacardia sinusale. Non è tendenzialmente pericolosa perché il ritmo è di 90-100bpm e
non è un preludio a FV, può essere trattata con atropina per favorire un aumento dell’attività del NSA

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I Gazzellini

(tachicardia sinusale).
- Aritmie sopraventricolari: la più comune è la tachicardia sinusale che a meno che non sia sostenuta
(100-120 bpm) e duratura (2 ore, e in tal caso si usa defibrillatore) non è particolarmente preoccupante. Si
può trattare con beta-bloccanti perché in genere è associata a ipertono simpatico. Ritmi idiogiunzionali
accelerati sono possibili.

Bradicardie:
- Bradicardia sinusale: è comune nell’infarto inferiore ed è in genere associata ad ipertono vagale. Il
trattamento con atropina è indicato se c’è compromissione emodinamica. Se persiste si pratica pacing.
- Blocchi di conduzione atrioventricolare e intraventricolare: possono avere cause differenti. Negli
infarti inferiori i blocchi AV sono dovuti in genere a ipertono vagale, negli anteriori principalmente alla
necrosi e ostruzione delle coronarie che vascolarizzano anche le branche del sistema di conduzione.
Il malfunzionamento su base ischemica del sistema di conduzione è alla base anche dei frequenti
emiblocchi o blocchi di branca che si verificano comunemente in caso di IMA. Il BAV è la condizione più
grave e deve essere trattato in caso di compromissione emodinamica con pacing (magari preceduto da
elettrostimolazione temporanea esterna non invasiva). Comunque è indicato in tutti i casi di blocco bi
fascicolare, Mobitz II, BAV di terzo grado, se non rispondono a terapia medica e presentano bradicardia.

4. Aneurisma del ventricolo sinistro: è una discinesia o espansione parietale del ventricolo sinistro. In
genere è associato ad infarti anteriori e coinvolge la parete antero-settale . La parete ventricolare perde
il tessuto muscolare che viene sostituito da tessuto fibroso acinetico e sottile (ben visibile all’esame
ecocardiografico). Può associarsi a disfunzione ventricolare o scompenso e ad aritmie ventricolari. Con
il tempo la zona può dilatarsi e diventare sede di ancoraggio di trombi (con un rischio, raro, di fenomeni
embolici sistemici). La terapia è chirurgica e consiste nell’aneurismectomia ventricolare sinistra.
Quest’intervento è eseguito in ipotermia moderata (28°) e circolazione extracorporea con infusione
cardioplegica potassica a 4°C. L’aneurisma deve essere inciso e i asportato lasciando però dei margini di
tessuto necrotico sui quali poi dovranno essere passati dei punti con sutura in Tevdek 2-0 a punti staccati
su quadratini di Teflon. Se nella parete ventricolare ci sono dei trombi questi dovranno essere rimossi
con cautela. Dopo l’asportazione dell’aneurisma bisogna eseguire interventi di rivascolarizzazione
miocardia mediante applicazione di by-pass.
5. Insufficienza mitralica acuta secondaria: può aversi per rottura dei muscoli papillari e delle corde
tendinee a causa di un grosso infarto antero-laterale, ma può essere anche conseguenza di una
progressiva ischemia dei muscoli papillari. Si può avere dispnea da sforzo fino anche scompenso
cardiaco (e anche shock cardiogeno). La terapia è chirurgica con sostituzione della valvola con una
protesi.
6. Perforazione del setto interventricolare: in genere si manifesta 3-5 giorni dopo l’infarto e può essere
localizzato nella parete inferiore del setto (infarto antero-settale inferiore per ostruzione IVP) o all’apice
del setto (infarto antero-settale apicale per ostruzione di IVA). La conseguenza è uno scompenso
cardiaco grave e il trattamento è chirurgico con intervento eseguito in ipotermia moderata dopo
clampaggio aortico e protezione miocardica con cardioplegia potassica a 4°C. Viene incisa la zona
infartuarta e riparata la perforazione con innesto di un patch in Dacron suturato con punti staccati ad
U di Tevdek 2-0 su Teflon.
7. Dolore toracico ricorrente: nel 25% dei pazienti si sviluppa un’angina residua.
8. Pericardite: il dolore acuto che si estende al trapezio può facilitarne la distinizione dal dolore toracico
ricorrente. La pericardite, definita epistenocardica, si può verificare nella regione sovrastante la necrosi
tra il 2° e il 4° giorno post-infarto. Si può trattare con acido acetilsalicilico.
9. Tromboembolia: possono esserci segni evidenti nel 10% dei pazienti, anche se almeno un altro 10%
presenta fenomeni silenti. Episodi trombo embolici a livello polmonare e sistemico sono più comuni
in infarti estesi, per lo più anteriori, soprattutto se complicati da scompenso e ancor più in caso di
aneurima ventricolare, in cui i trombi murali nel ventricolo sinistro sono una complicanza comune.

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Cardio per Interna

Terapia: la prognosi di STEMI è in gran parte condizionata dal verificarsi di complicanze meccaniche
(deficit di pompa) ed elettriche. La maggior parte dei decessi extraospedalieri avvengono per fibrillazione
ventricolare che quasi nella metà dei casi si verifica nella prima ora. È essenziale quindi che il paziente
venga portato il prima possibile in ospedale (conta molto che sia educato a dare il giusto peso ai sintomi
e che chiami presto soccorso).
Lo scopo principale della terapia è, soprattutto nella fase iniziale, evitare l’insorgenza di complicanze
meccaniche ed elettriche e di iniziare al più presto un adeguato trattamento (medico o chirurgico) che
permetta riperfusione e dunque una limitazione dell’area infartuata. Una volta giunti in ospedale i pazienti
vengono ammessi nell’unità di terapia intensiva coronarica dove vi è un monitoraggio continuo delle
funzioni vitali del paziente, della frequenza, del ritmo e della pressione arteriosa. Vengono eseguiti ECG
ed esami di laboratorio urgenti per verificare IMA e sono comunque disponibili defibrillatori, respiratori,
pacemaker trans toracici e altre apparecchiature. Il trattamento nella fase ospedaliera consiste prima di
tutto in alcune misure generali:
1. Attività: bisogna evitare i fattori che aumentano il lavoro e quindi il consumo di ossigeno da parte del
miocardio, pertanto nelle prime 12 ore almeno il paziente deve restare a letto. I pazienti devono essere
incoraggiati ad assumere posizione eretta nelle prime 24 ore in modo da ridurre la pressione capillare
polmonare ma soprattutto per dare incoraggiamento psicologico. Già dal secondo-terzo giorno i
pazienti possono camminare per la stanza e provvedere da soli al’igiene personale, successivamente
possono fare anche 200 metri di cammino due o tre volte al giorno.
2. Dieta e alvo: nelle prime (12) ore è indicato digiuno e dieta idrica. Successivamente la dieta deve
essere equilibrata con adeguato introito soprattutto di potassio e magnesio oltre che di fibre per
evitare la stipsi che spesso i narcotici possono causare (si può anche aggiungere un emolliente fecale,
il dioctil-sulfosuccinato sodico, e se non basta somministrare lassativi). Le restrizioni riguardano i grassi
ed il colesterolo, oltre che i carboidrati (normali per un paziente sano, da evitare nel diabete).
3. Terapia del dolore e sedazione: si può somministrare sin da subito nitroglicerina sublinguale per
diminuire il dolore toracico (oltre a favorire la vasodilatazione coronarica e un minore sforzo cardiaco).
Sono da evitare in pazienti ipotesi, o con infarto del ventricolo destro o che hanno assunto sildenafil.
La morfina a piccole dosi e in piccoli boli per ev è molto efficace, ma può causare, soprattutto all’inizio,
stipsi, nausea e vomito (per la sua azione anticolinergica, per la quale potrebbe causare anche blocco AV
e bradicardia). I beta bloccanti sono utili perché riducono la richiesta di ossigeno e l’ischemia (e quindi
il dolore ad essa associato). Possono essere somministrate benzodiazepine (tranquillanti) per facilitare
il riposo del paziente, il cui sonno può essere disturbato da ansia e da fastidio per il monitoraggio
continuo soprattutto il primo giorno.
4. Ossigeno: la somministrazione di ossigeno è indicata nel caso in cui la saturazione sia diminuita
(spesso).

Terapia farmacologica:
Antitrombotici: la fibrinolisi è una strategia fondamentale, e la terapia sarebbe bene che fosse iniziata
entro 30 minuti dalla presentazione dei sintomi. Lo scopo è quello si eliminare il trombo nella coronaria
occlusa riassicurando la perfusione e di evitare episodi trombotici a livello sistemico. La terapia fibrinolitica
può ridurre il rischio di morte ospedaliera del 50% riducendo l’area infartuata, limitando la disfunzione
ventricolare sinistra e l’incidenza di complicanze gravi come perforazione del setto interventricolare, shock
cardiogeno ed aritmie fatali. I benefici sono notevoli se iniziata entro le preme 1-3 ore e forse anche fino a
6-12. È preferita la trombo lisi rispetto all’intervento di rivascolarizzazione percutanea in tutti i pazienti che
si presentano nella prima ora, o nei vari casi in cui l’interveto non sia possibile.
Gli agenti utilizzati sono: t-PA (attivatore tissutale del plasminogeno), streptokinasi, e il complesso
attivatore streptokinasi plasminogeno anisoilato (APSAC). Questi farmaci favoriscono l’attivazione del
plasminogeno in plasmina che lisa i trombi. Il farmaco più utilizzato è il t-PA con 15mg di bolo iniziale,
50mg ev nella prima mezz’ora, 35mg ev nella successiva ora. Controindicazioni assolute: pregresso ictus
cerebrale emorragico nell’ultimo anno, emorragia interna o dissezione aortica in atto, ipertensione grave

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(sistolica >180mmHg), neoplasie intracraniche.


Controindicazioni relative: età avanzata, intervento chirurgico recente, ulcera peptica attiva.
Complicanze: le principali sono reazioni allergiche (principalmente alla streptokinasi) ed emorragia (da
banali sanguinamenti a ingenti che richiedono trasfusioni, a emorragie gravi gastrointestinali o cerebrali
come l’ictus emorragico). In aggiunta alla fibrinolisi si usano farmaci anticoagulanti (antitrombinici ed
antipiastrinici) sempre per assicurare una perfusione adeguata. Già in pronto soccorso viene somministrato
acido acetilsalicilico (160-325mg) che comporta inibizione della COX2 con riduzione dei livelli di
trombossano. Dovrebbe poi essere seguita da somministrazione giornaliera.
Anticoagulanti: servono perché può capitare che una placca residua possa con l’attivazione della cascata
coagulativa rioccludere precocemente il vaso. Il farmaco di scelta è l’eparina non frazionata (ENF) per
ev (bolo da 5000 unità poi per ev continua di 1000 unità). La sinergia tra acido acetilsalicilico, eparina
e un trombo litico comporta diminuzione del rischio di mortalità senza un grande aumento del rischio
emorragico.
Farmaci per la protezione del miocardio: Beta-bloccanti: sia in fase acuta che cronica, comportano
diminuzione della richiesta di ossigeno, blocco dell’ischemia e dunque miglioramento anche del dolore
ed hanno un effetto antiaritmico. ACE-inibitori: bloccano il sistema renina-angiotensina-aldosterone che
si attiva durante la fase acuta dell’IMA. Nitrati: la nitroglicerina per ev è poco utile in caso si diano ACE-
inibitori + beta-bloccanti. Calcio-antagonisti: non vi è indicazione precisa e sicura.

Rivascolarizzazione coronarica: viene essenzialmente eseguita mediante due modalità: l’angioplastica


coronarica transluminale percutanea (PTCA, o più in generale interventi coronarici percutanei, PCI) e
bypass coronarico.
La PTCA, introdotta nel 1977 ma notevolmente rimodernata fino ai giorni nostri, ha ormai un ruolo
dominante nel trattamento della coronaropatia, e ha portato alla creazione di una nuova disciplina nota
come cardiologia interventistica.

Indicazioni terapeutiche e criteri di scelta: Scegliere quando effettuare una rivascolarizzazione


piuttosto che semplicemente una terapia medica e, soprattutto, scegliere tra la PTCA ed il bypass non è
facile. La terapia medica nel trattamento della cardiopatia ischemica risulta estremamente rilevante, ma
molti pazienti traggono giovamento dalla rivascolarizzazione coronarica in associazione con la terapia
medica. La rivascolarizzazione è indicata sia in pazienti con sindrome coronarica acuta, sia in alcuni casi
di cardiopatia ischemica non ben controllati dalla terapia. La rivascolarizzazione deve essere pensata per:
1) Pazienti con cardiopatia ischemica e bassa capacità di svolgere esercizio, con un’ampia area di ischemia
miocardica e frazione di eiezione ventricolare <40% o con sintomi non controllabili in corso di esercizio
fisico.
2) Pazienti con presentazione di sindrome coronarica acuta che allo screening con ECG al momento
del triage (trasporto in ospedale) che mostrano sopraslivellamento del tratto ST di almeno 2mm in due
derivazioni precordiali contigue e di 1mm in due derivazioni periferiche.
3) Pazienti che hanno eseguito terapia fibrinolitica ma hanno ancora segni di mancata riperfusione dopo
90 minuti (dolore toracico e sopraslivellamento ST) e si parla di PCI di salvataggio
4) Pazienti con riocclusione della coronaria o sviluppo di un’angina ricorrente.
6) Pazienti che presentano complicanze gravi come lo shock cardiogeno, che hanno diagnosi dubbia, che
hanno rischio di sanguinamento aumentato o che hanno sintomi presenti da almeno 2-3 ore e pertanto
coaguli più maturi e meno facilmente lisati da farmaci.
In tutti questi casi naturalmente prima dell’indicazione all’intervento è necessaria coronarografia e
cateterismo cardiaco per valutare la possibilità di eseguire l’intervento.
La scelta tra bypass e PTCA è ancora più complessa. Con il tempo il numero di rivascolarizzazioni eseguite
con PTCA ha raggiunto e poi anche superato il numero di rivascolarizzazioni eseguite con bypass grazie
soprattutto alle innovazioni tecniche che hanno migliorato di molto l’efficacia di questa procedura. Un
tempo la PTCA presentava grosse limitazioni in condizioni anatomiche, valutabili con coronarografia,

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Cardio per Interna

quali lesioni eccentriche calcifiche, occlusioni croniche totali delle coronarie o ad esempio lesioni
localizzate in biforcazioni. Adesso queste limitazioni sono meno nette. La valutazione deve comunque
essere individuale e molto dipendente dall’anatomia coronarica del paziente, dall’età, dall’insufficienza
ventricolare e da malattie concomitanti.
In generale la PCI è consigliata in pazienti con malattia monovasale (o anche bivasale) con lesioni
anatomiche idonee, mentre il bypass aortocoronarico è consigliato in pazienti con malattia trivasale,
lesioni complicate o ostruzioni totali, malattia bivasale che include la coronaria sinistra discendente
prossimale o il tronco comune, alterata frazione di eiezione ventricolare sinistra e pazienti affetti da diabete
mellito.
La PCI presenta un maggiore rischio di ristenosi rispetto al bypass in quanto mentre la PCI si focalizza
sulla risoluzione delle lesioni responsabili, il bypass pone rimedio non solo al tratto interessato,
ma fornisce una via di perfusione anche qualora si sviluppino lesioni native prossimali all’anastomosi
dell’impianto del vaso nativo.
La PCI ha un minore rischio di mortalità a breve termine (intervento meno invasivo e meno rischioso), ma
ha una maggiore mortalità a lungo termine (es. 5 anni).

Trattamento in emergenza degli infarti STEMI:

Fattore tempo: è fondamentale disostruire la coronaria nel minor tempo possibile, per ridurre le
dimensioni dell’infarto. La riperfusione precoce presenta infatti i massimi vantaggi se eseguita entro le
prime 2 ore dall’inizio dei sintomi. Vi è un tempo decisionale (tempo che impiega il paziente per chiamare
soccorso), tempo casa-ospedale (trasporto), tempo intraospedaliero (dall’arrivo in ospedale fino alla
terapia riperfusiva con farmaci o PTCA). Quest’ultimo dovrebbe esser ridotto a 30’ per l’inizio della terapia
farmacologica e 90’ per l’inizio della PTCA.

Approccio terapeutico extraospedaliero:


Una volta verificato tramite ECG l’infarto STEMI:
Prima di tutto decidere il percorso:
· Dolore insorto da oltre 12 ore: non si possono fare trombo lisi e PTCA, trasportare il paziente
all’UTIC di riferimento. Portarlo in emodinamica se vi sono complicanze.
· Dolore insorto tra 6-12h: si deve trasportare il paziente all’UTIC di riferimento.
· Dolore insorto da meno si 6 ore:
o IMA non ad alto rischio: effettuare trombo lisi, anche in ambulanza.
o IMA ad alto rischio: si intende pazienti >75 anni, pressione sistolica <100, ST sopraslivellato
in 5 o più derivazioni, frequenza cardiaca >100, segni di compromissione emodinamica
come edema polmonare o shock cardiogeno. Si effettua PTCA. Si porta il paziente in
emodinamica direttamente per la PTCA primaria. Se non si arriverebbe a tempo, si fa prima
trombo lisi (con tombolitici o inibitori della glicoproteina IIb/IIa) e poi PTCA facilitata.
In ogni caso: se il paziente è incosciente effettuare le misure di BLS etc.
Se il paziente è cosciente: monitoraggio continuo di ECG, pressione e saturazione con pulsiossimetro.
Ossigeno con cannula nasale, Accesso venoso periferico, Aspirina (per os o in alternativa ev), Analgesia
con nitroglicerina sublinguale (se la pressione è>90mmHg) ogni 5 minuti per un massimo di 3 volte e
se non risponde alla nitroglicerinaàMorfina (una eventuale depressione respiratoria si correggerà con
naloxone).
Si effettua poi: trombo lisi preospedaliera con: Tenecteplase (TNK-TPA) in unica somministrazione.
Pronto soccorso: nel dipartimento di emergenza il paziente viene rivalutato con esami di laboratorio
(enzimi cardiaci, elettroliti, creatinine mia, etc) e strumentali (ECG seriati, ecocardio, rx torace).
Successivamente:

17
I Gazzellini

· Analgesia: Nitroglicerina sublinguale o se non risponde Morfina.


· Beta-bloccanti: Atenololo o Metoprololo o Esmololo (a meno che la frequenza non sia <60, la
pressione <100, segni di ipoperfusione, BAV di II o III grado, Asma o BPCO severa).
· Eparina: eparina sodica in pazienti non ammessi alla terapia trombo litica. Oppure in caso di terapia
con t-PA o TNK-TPA per prevenire la riocclusione.
· Ace-inibitori: captopril, enalapril, etc. Soprattutto ai pazienti con insufficienza sinistra.
· Statine: uso precoce delle statine dal primo giorno.
· PTCA: indicata in alternativa alla terapia fibrinolitica o in caso di shock cardiogeno.
· Trattamento delle complicanze.

Trattamento in emergenza degli infarti NSTEMI:


· A livello extraospedaliero: monitoraggio continuo di ECG, pressione e saturazione con
pulsiossimetro. Ossigeno con cannula nasale, Accesso venoso periferico, Aspirina (per os o
in alternativa ev), Nitroderivati (se la pressione è >90 mmHg) sublinguali, ogni 5 minuti per un
massimo di 3 volte.
· Pronto soccorso: se il paziente presenta ancora dolore toracico: Nitroderivari se la presssione è
>90 mmHg: nitroglicerina per ev; Beta-bloccanti: atenololo o metoprololo o esmololo. Il paziente
in crisi di angina instabile deve essere sottoposto a beta-bloccanti. Antiaggreganti piastrinici:
clopidogrel in aggiunta all’aspirina. Antagonisti dei recettori IIb/IIIa: nei pazienti ad alto rischio
e in cui si è programmata PTCA. Eparina.

Scompenso cardiaco
Definizione: detto anche insufficienza cardiaca, è la situazione fisiopatologica in cui il cuore non è in grado
di pompare una quantità di sangue adeguata alle richieste metaboliche dell’organismo, oppure ci riesce
solo tramite un forte aumento della pressione venosa (aumentato ritorno venoso). Può essere causato da
una ridotta portata e quindi meno sangue pompato oppure da un aumento delle esigenze. Si hanno due
conseguenze principali: ipoperfusione periferica e congestione venosa. Se sono presenti sintomi è reale
scompenso, se il paziente è asintomatico si parla di disfunzione ventricolare. Si può avere una riduzione
della portata ossia disfunzione sistolica (ridotta capacità contrattile) oppure un difetto di riempimento
ossia disfunzione diastolica (ventricolo poco distendibile e meno compliance = maggiore rigidità).

Epidemiologia: molto frequente, con 20 milioni di persone al mondo coinvolte. La prevalenza totale è dell’1-
2%, più comune negli uomini, per quanto vi sia in pratica un’equivalente numero di donne affette data la
maggiore aspettativa di vita. La sua incidenza aumenta infatti progressivamente con l’età e colpisce quasi
il 10% delle persone sopra i 65 anni, risultando sopra questa età la prima causa di ricovero. Questo avviene
poiché l’invecchiamento favorisce condizioni come l’ipertensione e la fibrosi. L’incidenza e la prevalenza
sono in aumento (3-4 volte negli ultimi 25 anni) a causa della maggiore sopravvivenza dei pazienti affetti da
IM (necrosi -> fibrosi -> scompenso). Si può sviluppare in condizione di FE ridotta o preservata. La maggior
parte delle cardiopatie (specie coronaropatie) terminano nello scompenso. Lo scompenso diastolico è più
femminile e la sua incidenza aumenta con l’età (in età giovanile pochi scompensi diastolici, negli anziani
molti, a causa della comune ipertensione). L’ipertrofia ventricolare sinistra è più comune nello scompenso
diastolico così come IM e DM sono più spesso associati a scompenso sistolico.

Eziologia: è in genere dovuto a condizioni che alterano la struttura o la funzione ventricolare, quasi
sempre si ha un’insufficienza miocardica che può essere dovuta a: 1) perdita anatomica o funzionale di
parte del tessuto contrattile (tipo IM), 2) compromissione diffusa delle fibre miocardiche (cardiomiopatie)

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Cardio per Interna

3) sovraccarico cronico di pressione (ipertensione, stenosi) 4) sovraccarico cronico di volume: per esempio
per una quota di sangue rigurgitata a causa di un’insufficienza valvolare. Queste quattro condizioni sono
associate a portata ridotta, tipicamente associata a cause cardiache. 5) scompenso ad alta gittata:
in pratica una forma con sovraccarico di volume perché determinata da condizioni che impongono un
maggiore flusso ematico. Principalmente sono dovute ad un aumento delle “esigenze” e pertanto a cause
extracardiache. Queste sono ad esempio: a) Ipertiroidismo: aumento del MB e della gittata cardiaca,
inoltre sintesi di diverse proteine contrattili, si ha tachicardia e fibrillazione atriale b) Deficit di B12: come
nel beri-beri o alcolismo cronico. Si notano sintomi neurologici e una marcata vasodilatazione periferica
che aumenta il ritorno venoso e pertanto la gittata (Starling). Si può avere anche compromissione del
metabolismo cardiaco e con l’alcol una cardiomiopatia dilatativa. C) Fistole artero-venose: come la
malattia di Paget, poichè vengono saltati i capillari, per migliorare la perfusione il cuore aumenta la gittata
(o portata). D) Anemia: per mantenere il trasporto di ossigeno c’è aumento del flusso ematico. Si ha anche
ipossia miocardica. E) altre condizioni: esercizio fisico intenso, stress, dieta, infezioni, gravidanza.
Le cause principali sono pertanto: cardiopatia ischemica, cardiomiopatie, valvulopatie, cardiopatie
congenite, sindromi da alta portata, infezioni, malattie del pericardio, ipertensione polmonare, modificazioni
strutturali. Fattori precipitanti sono: ischemie, crisi ipertensiva, valvulopatia, fibrillazione atriale, embolia
polmonare, terapia inappropriata, infezioni, anemia, diabete, ipertiroidismo, disturbi elettrolitici, abuso di
alcol o farmaci.
Si può avere scompenso anche per un lavoro acuto improvviso del cuore come nell’ipertensione cardiaca
o nel distacco di un lembo valvolare in un’endocardite, così come a causa di un ostacolo improvviso al
riempimento (tamponamento cardiaco). Altra cosa è l’insufficienza circolatoria, ipoperfusione causata da
altre componenti del sistema circolatorio.

Lo scompenso viene definito in modi diversi: acuto (edema polmonare acuto, shock cardiogeno) e
cronico, sistolico (come nella cardiomiopatia dilatativa, ridotta contrattilità) e diastolico (come nella
cardiomiopatia restrittiva, ridotta distensibilità), destro (congestione venosa sistemica) e sinistro, a
bassa gittata (minore portata) o ad alta gittata (aumento esigenze), retrogrado (sangue “a monte”) e
anterogrado (inadeguato apporto di sangue in periferia).
Patogenesi: Si distinguono un po’ artificiosamente (poiché spesso sono associate) due forme di
scompenso: sistolico o anterogrado (portata inadeguata) e diastolico o retrogrado (elevate pressioni
di riempimento) che sono rispettivamente un deficit di pompa o di distensione. Nel 25-40% la causa
è diastolica. In una persona normale durante l’esercizio c’è molto riempimento rapido e poca diastasi,
poiché la pressione protodiastolica diminuisce e per il riempimento non serve un aumento della pressione
atriale. In una persona con scompenso cardiaco la pressione proto diastolica in esercizio è quasi la stessa
che a riposo e pertanto il riempimento avviene, ma al prezzo di un notevole aumento della pressione
atriale. I due scompensi possono coesistere e l’uno può esitare anche nell’altro. Nella maggior parte dei
casi entrambi i meccanismi sono attivati in maniera variabile. Ad esempio lo scompenso diastolico provoca
una riduzione dell’afflusso di sangue all’atrio che causerà una ridotta gittata sistolica e dunque uno
scompenso anterogrado. Lo scompenso causa l’ipoperfusione periferica con minore irrorazione dei tessuti
e congestione venosa che comporta un aumento della pressione venosa la quale nei capillari comporta
una fuoriuscita di liquido dall’interstizio (cambiamento di equilibrio per la legge di Starling in seguito
all’aumento della pressione idrostatica) con conseguente formazione di edemi.
Un’altra distinzione, anche questa prevalentemente didattica è tra scompenso destro e sinistro. Nella
maggior parte dei casi le cause di scompenso agiscono per lo più sulle cavità sinistre del cuore perché:
la pressione è più elevata nel circolo sistemico (è comune l’ipertensione e un sovraccarico cronico di
pressione sul ventricolo sinistro), le patologie valvolari acquisite sono più frequenti nelle sezioni sinistre
così come la cardiopatia ischemica (ventricolo sinistro). Il cuore destro è quindi meno colpito a meno
che non ci sia patologia polmonare (cuore polmonare) o sin da subito uno scompenso globale. È una
divisione abbastanza didattica, infatti spesso uno scompenso sinistro comporta anche uno scompenso
destro e comunque il miocardio dei due ventricoli è separato da un setto comune (interventricolare) e

19
I Gazzellini

le alterazioni biochimiche e strutturali di uno finiscono per coinvolgere anche l’altro. Ha senso nei casi
acuti o iniziali. I sintomi sono però diversi: Sinistro à difficoltà di scarico delle vene polmonari à edema
polmonare. Destro à difficoltà vene cave à edemi periferici. Il cuore risponde ad una riduzione della
gittata con meccanismi di compenso. Si parla di scompenso quando questi sono insufficienti, prima è solo
disfunzione ventricolare.
Meccanismi di adattamento o rimodellamento: Alle eventuali alterazioni il cuore risponde con
un rimodellamento (principalmente ventricolare) che permette di raggiungere un nuovo equilibrio
(disfunzione ventricolare) che con il tempo può evolvere in scompenso e sintomi.
Legge di Frank-Starling: se la lunghezza della fibra miocardica aumenta, aumenta la forza di contrazione
(massima forza a 2,2 micron). Così nel cuore se aumenta il ritorno venoso e quindi il volume telediastolico
aumenta la gittata cardiaca (aumento volume tele diastolico -> il cuore si dilata -> aumento forza di
contrazione).
Legge di D & G.Hill: più basso è il post-carico maggiore è la velocità di accorciamento della fibra e viceversa.
Legge di Pierre Laplace: lo stress di parete s=P*r/2h (P è la pressione endocavitaria, r il raggio, ha lo
spessore di parete). Pertanto un aumento di pressione o di volume (dimensioni) possono aumentare lo
stress di parete che come conseguenza comporta un maggiore consumo di ossigeno e produzione di
radicali liberi che inducono ipertrofia e fibrosi cardiaca. Per rispondere all’aumentato stress di parete si può
aumentare lo spessore di parete (l’ipertrofia-anche di fibroblasti e quindi fibrosi- agisce in questo senso).
Ipertrofia miocardica: le fibre muscolari non potendo iperproliferare divengono ipertrofiche in risposta
a condizioni di maggiore carico. Lo stress ossidativo sarebbe il primum movens. Il TGF beta pare essere il
principale mediatore di ipertrofia e fibrosi. Vengono attivati una serie di geni come quello per esprime
l’isoforma beta della miosina, normalmente fetale (contrazione più lenta ma con meno energia), o
la pompa del calcio AT-dipendente (porta il calcio nel reticolo sarcoplasmatico più lentamente). Vi
è contemporaneamente una maggiore produzione di collagene da parte dei fibroblasti, si ha fibrosi e
minore distensibilità. Con l’aumento dello spessore si cerca di mantenere costante lo stress di parete che
aumenterebbe con l’aumentare del raggio o della pressione. Nel caso in cui vi sia un sovraccarico cronico
di volume si ha ipertrofia eccentrica ossia con cellule che divengono più lunghe e con proliferazione in
serie dei sarcomeri che produce un aumento di raggio e di spessore (riduzione della gittata, scompenso
sistolico) Nel caso in cui vi sia un sovraccarico cronico di pressione si ha ipertrofia concentrica ossia con
cellule che divengono più grosse e con proliferazione in parallelo dei sarcomeri che produce un aumento
di spessore (aumento della pressione, scompenso diastolico). Dopo un po’ ipertrofia e fibrosi, che all’inizio
sostengono il maggior carico, compromettono la funzione cardiaca.
Meccanismi di adattamento extracardiaci: Aumento dell’estrazione dell’ossigeno: si ha in tutte le
forme di insufficienza cardiocircolatoria con aumento del 2,3 bifosfoglicerato negli eritrociti che riduce
l’affinità dell’Hb per l’O2 e pertanto ne facilita il rilascio nei tessuti (ma fa diminuire la saturazione nel
sangue arterioso). Attivazione dei barocettori: presenti nell’arco aortico e seno carotideo, si attivano
con il cambiamento di pressione e ne inducono la modifica ad esempio attivando e il vago e inibendo
il centro vasocostrittore del bulbo ( abbassando così la pressione, ma nello scompenso comportano
vasocostrizione). Non svolgono un ruolo a lungo termine nella regolazione della pressione arteriosa.
I due meccanismi principali sono però: 1) Attivazione del simpatico: comporta un aumento della frequenza
e contrattilità cardiaca (stimolazione adrenergica) e maggiore vasocostrizione (però non omogenea,
infatti organi nobili come cervello, reni e cuore hanno un controllo autonomo delle resistenze vascolari).
In sostanza ha un effetto inotropo e cronotropo positivo. L’aumento della frequenza normalmente è
legato anche ad un aumento della forza di contrazione (effetto Treppe o Bowdich) però nei pazienti con
scompenso questa relazione forza/frequenza si deprime. Pur essendo una risposta del nostro organismo
per riequilibrare il sistema, l’attivazione adrenergica risulta essere dannosa, in modo evidente in termini
di prognosi. 2) Attivazione del sistema renina-angiotensina: meno flusso ematico renale comporta
rilascio di renina da parte dell’apparato iuxtaglomerulare. Con la formazione di angiotensina II si ha
vasocostrizione arteriolare (in tutti i distretti) e produzione di aldosterone (recupero di sodio e acqua).
AT1 è più nei vasi dando vasocostrizione, AT2 è più nel cuore dando ipertrofia e fibrosi. Questo sistema

20
Cardio per Interna

favorisce una maggiore perfusione degli organi vitali, ma porta anche aumento del post-carico, quindi
maggiore lavoro cardiaco (aumento del flusso ematico) e per la legge di Hill anche una minore velocità di
contrazione. L’aumento del pre-carico, per la legge di Starling favorisce una maggiore gittata almeno fino
al raggiungimento di un plateau oltre il quale l’aumento della volemia è dannoso). L’ipoperfusione induce
il rene a produrre EPO che a lungo termine aumenta gli eritrociti. 3) Per le stesse ragioni del sistema RAA si
attiva anche aumento di vasopressina, ormone pituitario il cui rilascio aumenta a seguito di un aumento
della pressione osmotica rilevato dai meccanocettori. Provoca vasocostrizione e riassorbimento di acqua
nei tubuli renali.
Sistemi di contro regolazione: 1) Liberazione di ormoni e fattori neuroendocrini: servono per
contrastare il simpatico e il sistema renina-angiotensina, sono detti fattori natriuretici atriali (ANP e BNP oltre
a CNP), sostanze vasoattive prodotte in risposta allo stiramento delle cellule atriali (aumento del precarico)
che inducono vasodilatazione ed eliminazione di sodio e acqua. ANP è prodotto soprattutto nell’atrio, BNP
più nel ventricolo. CNP è prodotto nell’SNC ed endotelio vascolare. Durante lo scompenso viene dosato
il BNP perché nei soggetti scompensati è quello che aumenta di più. Nello scompenso c’è un notevole
aumento di BNP, ma pare che non basti in quanto le esigenze sono maggiori e perché aumenta soprattutto
il pro-BNP, fisiologicamente meno attivo. Le prostaglandine inducono vasodilatazione soprattutto a
livello delle arteriole renali. Sottoregolazione recettoriale: o down regulation, per bilanciare l’effetto dei
fattori ormonali vi è un sistema di riduzione del numero e della sensibilità di recettori stimolati in modo
prolungato. Altro: 2) Endotelina: (scarso effetto fisiologico), potente vasocostrittore rilasciato dalle cellule
endoteliale. A livello cardiaco provoca ipertrofia cellulare e fibrosi.
3) TNF alpha e IL-1 beta: diminuisce inotropismo, porta apoptosi e cachessia. Causa rimodellamento del
miocardio con ipertrofia dei miociti e fibrosi oltre cha alterazioni a livello cellulare nell’accompiamento
eccitazione/conduzione e trasporto di ioni.

Clinica: è possibile riscontrare una sintomatologia varia, intensa o sfumata. In generale i sintomi più
importanti sono dispnea, astenia marcata, edema. Non hanno correlazione stretta con la severità della
malattia. Vi sono sintomi più tipici dello scompenso destro (stasi venosa, edemi declivi, stasi epatica) o
più del sinistro (dispnea, astenia, cianosi, edema polmonare).
Sintomi respiratori: Dispnea: è il sintomo più comune oltre all’affaticabilità e consiste in una sensazione
di sforzo a respirare e mancanza di respiro (fame d’aria). È dovuta alla congestione venosa polmonare che
comporta accumulo di liquidi interstiziali e intra-alveolari con attivazione dei recettori J iuxtacapillari (che
provocano una respirazione rapida e superficiale), aumento delle resistenze delle vie aeree, riduzione della
compliance polmonare e affaticamento dei muscoli respiratori (danneggiati anche dall’ipoperfusione
periferica). È meno caratteristica nello scompenso destro e insufficienza tricuspidale. All’inizio si manifesta
solo sotto sforzo poi anche a riposo. Ortopnea: è una dispnea che si manifesta se il paziente è in posizione
supina, ma non se è in posizione eretta perché in questo caso il sangue è nella circolazione e negli arti
inferiori. Quando è sdraiato c’è un maggiore ritorno venoso e si ha ipertensione polmonare. Spesso si
manifesta con tosse notturna e con la necessità di dormire con molti cuscini. Dispnea parossistica
notturna: episodi acuti di grave mancanza del respiro e di tosse che si manifestano la notte, in genere
dopo 1-3 ore di sonno e costringono il malato ad alzarsi con fame d’aria e ad esempio andare alla finestra.
Si possono avere tosse e ansimi e a differenza dell’ortopnea spesso non basta assumere la posizione eretta.
È dovuta al prevalere nel sonno del vago sul simpatico e alla depressione del centro del resprio oltre che
all’aumentato ritorno venoso per la posizione supina. Si associa all’asma cardiaca (affanno secondario a
broncospasmo). Respiro di Cheyne-Stokes: spesso nella fase finale dello scompenso, si ha una minore
sensibilità alla PCO2. Si ha ciclicamente apnea seguita da iperventilazione. Nei casi ancora più gravi si
possono avere crisi e arresto del respiro. Edema polmonare: si manifesta quando c’è un’importante
congestione polmonare. Si ha dispnea e tosse con escreato schiumoso. Apnea notturna.
Classificazione funzionale dei pazienti con scompenso cardiaco di NYHA (associazione cardiologica di
New York): Classe I: pazienti asintomatici per normale attività (sani) II: pazienti che stanno bene a riposo,
ma con sintomi (dispnea per lo più) per sforzi di ordinaria intensità. III: bene a riposo, sintomi per sforzi

21
I Gazzellini

lievi. IV: sintomatici anche a riposo.


Sintomi urinari: Nicturia: più del 66% del volume urinario è notturno. Di giorno l’attività fisica accentua
l’ipoperfusione renale, la notte si smaltiscono i liquidi e aumenta la gittata. Nelle fasi avanzate si ha costante
ipoperfusione e quindi oliguria.
Altri sintomi: sintomi digestivi come nausea vomito e gonfiore sono dovuti alla stasi della porta e delle
mesenteriche. Per riduzione del flusso cerebrale (specie anziani) si può avere confusione, cefalea e insonnia.
Per ipoperfusione muscolare si ha debolezza e facile affaticabilità. Ci può essere per ipossia cardiaca anche
un maggiore rischio di aritmie.
Esame obiettivo: Il paziente si presenta affaticato, con difficoltà a respirare e necessità di mantenere una
posizione verticale. Cuore: ingrandimento dell’aia cardiaca (si ha un itto prolungato e palpabile su due
interspazie per ipertrofia del ventricolo sinistro). A causa dell’ipertono simpatico si ha tachicardia e ritmo
di galoppo. Si ha infatti un terzo tono protodiastolico. Il polso è piccolo, frequente e a volte alternante
(pulsazione forte poi debole). Nelle fasi finali si ha bradicardia. La PA sistolica è ridotta (meno gittata) e la
diastolica è aumentata (aumento resistenze periferiche). La PVC è anche sopra i 20. Cute: la cute appare
fredda e pallida per la vasocostrizione. Possono comparire edemi, all’inizio con fovea. Poi possono indurirsi
e pigmentarsi (specie alle caviglie). Nei casi gravi si ha anasarca. Gli edemi sono nelle parti declivi e se il
paziente è a letto nella regione presacrale. Gli edemi da scompenso sono in genere deprimibili e con fovea,
bilaterali e meno evidenti al mattino. Il paziente può lamentare scarpe strette ad esempio. Giugulari: con
il paziente semidisteso, a 45° con la testa sollevata, si nota un anormale riempimento delle giugulari, che
collabiscono più in alto del normale (stima della PVC= altezza sangue giugulari dallo sterno + 5cm). Si ha
forte distensione delle giugulari con pressione prolungata all’ipocondrio destro (riflesso epatogiugulare).
Torace: si possono avvertire rantoli crepitanti alle basi polmonari, e sempre a causa dell’edema interstiziale
e la congestione bronchiale si possono avere ronchi e asma cardiaca. A volte si ha un versamento
pleurico (spesso bilaterale, se unilaterale per lo più destro). Addome: per aumento della PVC si può avere
epatomegalia (fegato anche dolente) e anche ascite (tardiva). Con il tempo anche atrofia e insufficienza
epatica.
L’astenia è marcata. In tempi passati si parlava di cachessia cardiaca in quanto i livelli di TNF-alpha e
catecolamine erano tanto elevati da avere effetti negativi sul tropismo muscolare.

Complicanze: le più comuni sono aritmie ed edema polmonare acuto.


• Aritmie: la fibrillazione atriale è molto comune in pazienti scompensati. Il farmaco di prima scelta
per ripristinare il ritmo sinusale è l’amiodarone (antiaritmico di classe III). La morte improvvisa per
fibrillazione ventricolare rappresenta quasi il 50% delle cause di morte (il resto per lo più muore
per insufficienza della pompa cardiaca) pertanto bisogna si possono usare i defibrillatori cardiaci
impiantabili (ICD) in pazienti con NYHA II-III sotto terapia. In pazienti con ritmo sinusale può essere
utile (NYHA III-IV) un pacing bi ventricolare.
• Edema polmonare acuto: il paziente è agitato con fame d’aria e ansia, dispnoico (dispnea spesso
improvvisa), tachipneico, tachicardico con diastolica aumentata e differenziale diminuita, cute fredda,
sudata e pallida ed estremità cianotiche. Si possono avere su tutti campi polmonari rantoli inspiratori
e tosse con escreato schiumoso e/o roseo. Si ha ipossia e acidosi, compromissione anche cardiaca,
attivazione adrenergica, aumento resistenze e ulteriore compromissione cardiaca.
• Altro: shock cardiogeno, trombosi venose.

Diagnosi: Si basa all’inizio sul quadro clinico, valutando i sintomi in ordine di importanza.
Sintomi e segni maggiori e minori: Criteri di Framingham: Maggiori (cioè specifici di scompenso):
DPN e ortopnea (che è in pratica lo stesso), rantoli, distensione giugulari e REG +, cardiomegalia, edema
polmonare, ritmo di galoppo S3, aumento PVC. Minori (cioè aspecifici): edemi (declivi), epatomegalia,
dispnea da sforzo, tosse notturna, versamento pleurico, forte perdita di peso dopo diuretici (da edemi).
Inoltre c’è pallore, sudorazione, tachicardia, affticabilità, nicturia, segni di ridotto flusso cerebrale. C’è

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Cardio per Interna

bisogno che siano soddisfatti almeno un criterio maggiore e due minori.


In generale i sintomi di scompenso devono essere necessariamente presenti per permettere la
diagnosi, i segni la supportano solo. Nei casi di recente insorgenza possono infatti non esserci, nei casi
di lunga durata possiamo avere cianosi periferica, palmo delle mani sudato, ittero. La malattia è stata
recentemente suddivisa in 4 stadi:
1) Stadio A: paziente ad alto rischio di sviluppare patologia cardiaca ma asintomatico. Deve essere educato
a controllare pressione arteriosa, dislipidemia, diabete mellito.
2) Stadio B: pazienti asintomatici, ma già affetti da cardiopatia. Necessari farmaci.
3) Stadio C: paziente affetto e sintomatico. Inquadrarlo in una classe NYHA e terapia adatta.
4) Stadio D: paziente affetto, sintomatico e refrattario alla terapia. Terapia palliativa, trapianto, etc.

Indagini: quando si presenta un paziente con dispnea e che ci fa sospettare uno scompenso cardiaco
dobbiamo: Algoritmo diagnostico: Anamnesi (criteri maggiori e minori) à sintomi compatibili con
scompenso. Si cercano prima cause extracardiache, se ci sono à si curano. Se non ci sono valutazione
cardiaca: si cercano cardiopatie (pericarditi, valvulopatie, etc.) à valutazione della frazione di eiezione
(funzione sistolica): se >40% à scompenso diastolico ; se<40% à scompenso sistolico.
A) Analisi di laboratorio: gli esami da richiedere sono: 1) Esame ematochimico completo (emoglobina,
conta leucociti e piastrini). Può escludere anemia. Questa, oltre ad essere di per sé una possibile causa
di scompenso influenza la prognosi. 2) Funzionalità renale: si cercano squilibri elettrolitici che possono
derivare dall’iperaldosteronismo secondario (iponatriemia da trattenimento di liquidi-non bisogna
somministrare sodio, ma togliere i liquidi- e iperpotassemia), dai diuretici della terapia (ipokaliemia da
eccesso di diuretici), azoto ureico, creatinina. 3) Funzionalità epatica: transaminasi (aumento AST e
ALT se c’è epatomegalia per congestione e aumento del PT per riduzione di trombina che sono segni
epatici aspecifici), bilirubina, ipoalbuminamia, fosfatasi alcalina. 4) Funzionalità tiroidea: T4 e TSH se vi
è sospetto distiroidismo. T3 se il paziente è in terapia con amiodarone. 5) Peptidi Natriuretici Cardiaci:
ricerca di BNP. È indice di elevata pressione intracardiaca e un suo livello normale dovrebbe escludere
socmpenso o disfunzione ventricolare sinistra. Viene prdotto come proBNP che poi viene suddiviso.
Si possono isolare anche i frammenti inattivi. Livelli di BNP: <100 pg/ml, 100-400: probabile. >400
molto probabile. Altro: urine, glicemia, lipidi.
B) ECG: può verificare la presenza di anomalie, ipertrofia, blocchi. Radiografia del torace: si può notare
cardiomegalia e edema interstiziale dei polmoni, strie di Kerley (stasi linfatica) e segni di versamento
pleurico.
C) Ecocardiografia: può valutare alcune cause di cardiopatia e soprattutto la funzione e lo stato
ventricolare (si vedrà dilatazione, ridotta frazione di eiezione - % di gittata sul volume tele diastolico -,
ipertrofia). Si possono cercare i fattori natriuretici atriali.
D) Esistono anche alcuni test da sforzo: Una misura “soggettiva” è il 6 minutes walk test: si fa camminare il
paziente il più veloce che può per 6 minuti e si vede quanta strada fa (dipende molto dalla compliance).
Più indaginoso ma più oggettivo è il test del massimo consumo di O­2: la % di O2 che una persona inala
dipende dalla % presente nell’aria ed è pertanto costante, la % di CO2 dipende da quanto ossigeno
consumiamo perché è il prodotto del metabolismo aerobico dell’ossigeno (con fosforilazione ossidativa).
Questo vale a riposo così come durante un’attività fisica moderata, ma quando i nostri muscoli sono
sollecitati a tal punto che il nostro cuore non è più in grado di dar loro un apporto di sangue adeguato
a fornire tutto l’ossigeno di cui hanno bisogno usano la glicolisi anaerobica (e poi la fermentazione con
formazione di acido lattico). In questo caso CO2>O2. Si applica una maschera ad un paziente posto sotto
sforzo e si misura l’entrata di O2 e l’uscita di CO2. Si nota un aumento di O2 sino ad un livello di plateau
oltre il quale il cuore non è più in grado di pompare abbastanza sangue (non aumenta più la portata),
infatti il consumo di ossigeno è funzione diretta della portata cardiaca. Misuriamo dunque il massimo
consumo di O2 al plateau e valutiamo la portata. Questo test può servire anche a regolamentare le liste
per il trapianto di cuore. Una persona sana ha un consumo di ossigeno massimo pari a 30-40 ml/kg/
min (anche di più) e un consumo a riposo di circa 7-8 ml. In base all’ossigeno consumato si possono

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I Gazzellini

tracciare delle curve di sopravvivenza ad un anno. Per i pazienti con consumo basso, ma ancora >18 la
mortalità ad un anno è normale; 14-18= moderatamente aumentata; 10-14= 25%; <10= 75% (è quasi
come il consumo a riposo, insomma questi pazienti non sono in grado di aumentare affatto la portata).
In lista di trapianto entrano pazienti con consumo massimo <14.
Diagnosi differenziale: ECG può aiutare a distinguere ipertrofie da IM, bradi aritmie, pericarditi. Le analisi
di laboratorio (sangue, urine, creatinina) possono aiutare ad escludere altre cause (anemia: scompenso da
ridotto trasporto di ossigeno).
Prognosi: Dipende da molti fattori e patologie associate. Dipende anche dalla classificazione NYHA al
momento della diagnosi . In genere comunque non è buona con probabilità di morte in 4-5 anni maggiore
del 50% più alta negli uomini che nelle donne, nonostante il miglioramento della terapia.

Terapia: Dipende dallo stato del paziente. In generale bisogna rallentare il rimodellamento ventricolare e
la progressione della malattia. È comunque fondamentale la prevenzione dato che in genere la patologia
è preceduta da un lungo stato di disfunzione ventricolare. Le misure generali (terapia igienico-dietetica)
prevedono: test di screening e controlli periodici; sono da evitare stress fisici e psicologici, ma un’attività
fisica modesta negli stati non avanzati è utile per aumentare la tolleranza alo sforzo e sfavorire trombi; la
dieta deve essere ipocalorica per il sovrappeso e comunque con pochi sali (3-4g di sodio e non 8-10). La
terapia si distingue in:
1. Terapia causale: terapia dell’ipertensione arteriosa o polmonare, rivascolarizzazione per la malattia
coronarica e riduzione fattori di rischio, terapia miocardite o cardiomiopatia, terapia aritmie e
terapia chirurgica di un rischio cardiaco.
2. Sintomatica: si divide in
a. Misure generali: riduzione fattori di rischi, programma di attività fisica controllata, riduzione
stress fisici e psichici, dieta leggera ipocalorica e con pochi sali (ma evitare l’iposodiemia),
profilassi della trombosi, etc.
b. Terapia farmacologica: vedi di seguito.
c. Terapia di risincronizzazione cardiaca: elettrostimolazione bi ventricolare regolata
dall’atrio. Indicata nelle classi NYHA III-IV con FE<35% e ritmo sinusale mantenuto.
d. Defribrillatore impiantabile: ICD, riduce la letalità totale di un 30%.
3. Trapianto cardiaco: in caso di scompenso cardiaco refrattario.

Terapia farmacologica: Per la terapia dello scompenso si può immaginare il cuore in difficoltà come dei
cavalli che trainano una carrozza in salita e che non ce la fanno.
Cavalli = cuore; Salita = Post-carico (resistenze periferiche per lo più, pressione arteriosa); Carrozza
con persone a bordo = Pre-carico (volemia, ossia quantità di liquidi in circolo). Noi siamo il nocchiere.
Possiamo:

1) Scegliere la strada più lunga, ma meno ripida = vasodilatatori: ACE-inibitori: sono la scelta a
partire dalla classe I NYHA. Esempi sono captopril, enalapril, lisinopril. In pazienti con ridotta FE sono
fondamentali. Riducono il post-carico (cioè riducono la salita). Bloccano la conversione in angiotensina
II e upregolano la bradichinina. Rallentano il rimodellamento cardiaco. Possono essere inefficaci se non
si è risolta la ritenzione idrica. Come effetti collaterali ci può essere ipotensione e aumento azotemia.
Il rafforzamento delle chinine può dare angioedema e tosse non produttiva. I pazienti intolleranti
possono fare uso di ARB (o sartani, tipo valsartan, candesartan, losartan) cioè inibitori del recettore
dell’angiotensina II. L’impiego di ACE inibitori e sartani ha diminuito la mortalità di ¼ (25%).

2) Facciamo rallentare i cavalli = Beta-bloccanti: (cavedilolo, metoprololo, bisoprololo). Si usano a


partire dalla classe II NYHA oppure dalla I se il paziente è iperteso. Riducono il post-carico (diminuiscono
il lavoro rallentando la frequenza e la diminuendo la gittata) e migliorano la sintomatologia del
paziente scompensato, che in buona parte è dovuta all’ipertono adrenergico. Sono inotropo negativi.

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Cardio per Interna

Questo può sembrare un controsenso in pazienti con ridotta gittata (con scompenso, cioè che non ce
la fanno) eppure la stimolazione adrenergica è un fattore prognostico negativo. I vantaggi pertanto
superano gli svantaggi. Infatti riducono la mortalità di un 35%. Devono però essere dosati con cura
perché possono portare peggioramento dell’insufficienza cardiaca, caduta della pressione, bradicardia,
peggioramento dell’asma (che è una controindicazione all’uso). Si usano nei pazienti stabili e con un
aumento lento della posologia.

3) Facciamo scendere le persone = Diuretici: Diminuiscono il pre carico (scendono le persone = meno
liquidi). Diuretici d’ansa (furosemide, torasemide) e tiazidici (idroclorotiazide, clortalidone che è a
effetto protratto). Aumentano l’eliminazione renale di NaCl e acqua. In ogni caso devono essere associati
ad una dieta iposodica. Quelli d’ansa agiscono sull’ansa di Henle, i tiazidici agicono sul tubulo contorto
distale. I diuretici d’ansa hanno un maggiore effetto (che consiste principalmente nella riduzione del pre-
carico e pertanto riduzione dei sintomi congestizi e accumulo di liquido negli interstizi), i tiazidici possono
essere associati se persiste ritenzione idrica (ma sono meno potenti e inefficaci in caso di insufficienza
renale) nei casi di resistenza ai diuretici d’ansa (dovuta a iponatremia o a FANS). Si utilizzano a partire
dalla III classe NYHA. Principale effetto collaterale è l’ipokaliemia (aumento del rischio di aritmie) e il
peggioramento dell’azotemia. Bisognerebbe sempre iniziare con bassi dosaggi e poi somministrare dosi
crescenti fino a stabilizzazione della diuresi. Si usano solo nel paziente sintomatico con ritenzione idrica.
Antagonisti dell’aldosterone: tipo spironolattone, sono diuretici risparmiatori di potassio. Non si
usano in monoterapia, ma in associazione con i tiazidici e sono controindicati in insufficienza renale.
L’amiloride è risparmiatore di potassio, ma indipendente dall’aldosterone. Nei pazienti a lungo a letto si fa
uso anche di anticoagulanti e antiaggreganti.
Nell’insufficienza acuta si usa di solito un diuretico d’ansa ev. (furosemide), nella cronica un tiazidico ogni
2 giorni. Se in monoterapia si dà potassio o terapia a base di potassio o in associazione con spironolattone.
Se i tiazidici non bastano si aggiunge un diuretico d’ansa.

4) Frustare i cavalli = farmaci inotropo-positivi. Inotropo positivi: agiscono attraverso inibizione della
pompa sodio/potassio con aumento della concentrazione intracellulare di sodio, inibizione della pompa
sodio/calcio e maggiore concentraizione di calcio che aumenta la contrattilità. Ha un indice terapeutico
ridotto (distanza tra dose tossica e terapeutica) ed inoltre molto influenzato dalla concentrazione
plasmatica di elettroliti. Sono pertanto molto rischiosi. Aumentando la concentrazione di potassio si
riduce la tossicità digitalica. Si usano per la loro azione vago-mimetica (cronotropa negativa), riducono
infatti la frequenza a riposo. Sono principalmente digossina e digito tossina (che rispetto a questa non
è eliminata solo per via renale). Si indicano a partire dallo stadio III di NYHA, ma non nell’insufficienza
diastolica. Sì in presenza di tachiaritmie come fibrillazione atriale. Sono rischiose, l’intossicazione da
digitale è più comune in casi di insufficienza renale, ipopotassemia, ipercalcemia, interazioni con farmaci
(calcio antagonisti, amiodarone, tetracicline, levodopa), etc. Sintomi dell’intossicazione da digitale:
vomito e diarrea, visione colorata (in giallo), aritmie. In caso di intossicazione lavanda gastrica e antitossina
digitalica come antidoto, oltre all’aumento della potassemia.

Nitrati: i nitrati sono vasodilatatori venosi e arteriosi, riducono post-carico e pre-carico. La nitroglicerina è
con la furosemide il farmaco di scelta dell’insufficienza cardiaca acuta, ma si può usare anche nella cronica.
È il sintomatico principale della cardiopatia ischemica cronica.

Insufficienza cardiaca Acuta

Lo scompenso cardiaco acuto è una patologia estremamente interessante perché ha una elevatissima
incidenza e prevalenza nella popolazione generale e tende ad aumentare con il tempo, ciononostante
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I Gazzellini

la maggior parte delle raccomandazioni sulle linee guida sono di un livello di evidenza molto basso,
generalmente C (opinioni di esperti), quindi c’è molto da lavorare in questo settore.
Definizione: Acute Heart Failure (AHF): E’ un rapido peggioramento dei segni e dei sintomi dello
scompenso cardiaco. È una condizione grave e pericolosa per la vita che richiede un’attenzione medica
immediata e porta quasi sempre l’ammalato all’ammissione ospedaliera. Molti studiosi dell’argomento
preferiscono alla definizione dello scompenso acuto, la definizione di sindromi dello scompenso cardiaco
acuto, perché lo scompenso acuto può essere dovuto non ad un’unica patologia ma ad un insieme di
disordini tra loro correlati.
In pratica i pazienti con scompenso cardiaco acuto si presentano con un quadro clinico di: peggioramento
scompenso cardiaco cronico (congestione sistemica e polmonare), edema polmonare (distress
respiratorio, tachipnea, saturazione di ossigeno <90), scompenso cardiaco ipertensivo (pressione
elevata), shock cardiogeno (marcata ipoperfusione tissutale con riduzione della sistolica e diuresi scarsa
o assente, congestione polmonare).
Epidemiologia: negli ultimi anni abbiamo assistito ad un aumento del 90% di ammissioni ospedaliere per
AHF. La prevalenza sta aumentando moltissimo nel corso degli anni, si è passati da 3.5 milioni di pazienti
affetti nel 1991, 4.8 milioni nel 2001 e si aspettano 10 milioni di pazienti affetti nel 2037. In percentuale
la prevalenza è il 2% tra i 40 e i 59 anni, aumenta progressivamente al 10% per i soggetti >70 anni. Il
paziente con AHF che si reca al pronto soccorso è in genere anziano, spesso con comorbidità (ipertensione,
cardiopatia ischemica, FA, diabete, etc.).
Eziologia: le cause di insufficienza cardiaca acuta sono molteplici, le principali risultano essere:
1. Cardiopatia ischemica acuta: è probabilmente la causa più comune di shock cardiogeno. Vi è
disfunzione contrattile (per discinesie o per riduzione della massa contrattile) del ventricolo,
principalmente il sinistro. Vi può essere disfunzione sistolica e/o diastolica.
2. Cardiomiopatie: la dilatativa causa deficit della funzione sistolica, la ipertrofica deficit della
funzione diastolica, la aritmogena del ventricolo destro (degenerazione fibroadiposa del
miocardio ventricolare destro) causa alterazioni e aritmie. Le cardi miopatie sono però soprattutto
responsabili di scompenso cardiaco cronico piuttosto che acuto.
3. Miocarditi: possono svilupparsi in modo acuto e fulminante.
4. Pericarditi: un versamento pericardico può determinare compressione o tamponamento pericardico.
Dipende molto dall’entità e soprattutto dalla rapidità del versamento. Lo scompenso cardiaco acuto
è più probabile se il versamento è improvviso.
5. Valvulopatie: Stenosi mitralica, Insufficienza mitralica, Stenosi aortica, Insufficienza aortica,
Stenosi tricuspidale, Insufficienza tricuspidale, Stenosi polmonare, Insufficienza polmonare.
Specie se acute possono essere causa di scompenso.
6. Crisi ipertensive: improvviso aumento della pressione associato a danno organico (emergenze). Il
marcato aumento della pressione tele sistolica genere scompenso acuto.
7. Aritmie: indipendentemente dalla condizione di base possono essere una causa precipitante.
Vi sono anche altre cause: stress, traumi, infezioni, etc.

Fisiopatologia: la patogenesi non è del tutto nota. Chiaramente la causa iniziale può essere molto
variabile. Il risultato è il deficit della funzione sistolica (quindi capacità di pompa) o diastolica (elasticità e
dilatazione) del ventricolo.
Clinica: vi sono tipi di pazienti differenti a seconda del tipo di scompenso prevalente:
· ICA con prevalente deficit sistolico: Sintomi: tosse, dispnea, astenia. Segni: segni di bassa gittata:
cute pallida, fredda o cianotica, respiro frequente. Possibile versamento pleurico e rantoli
polmonari alle basi. Possibile presenza di terzo e/o 4 quarto tono cardiaco. Il polso può apparire
piccolo. Vi è spesso ipotensione e contrazione della diuresi.
· ICA con prevalente deficit diastolico: si ha spesso congestione venosa polmonare o sistemica,
edemi e ritenzione di fluidi. I segni sono simili alla funzione sistolica.
· Insufficienza del ventricolo destro: c’è soprattutto depressione della funzione ventricolare destra.

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Cardio per Interna

Vi è con minore frequenza congestione ed edema polmonare. I sintomi sono per lo più astenia,
dispnea, nausea e sazietà precoce. Segni: ittero ed edemi periferici, distensione venosa
giugulare, terzo e quarto tono cardiaci, ascite ed epatomegalia. Tipica dell’infarto al ventricolo
destro è ad esempio la triade composta da ipotensione, distensione venosa giugulare e campi
polmonari chiari.

Diagnosi: si basa principalmente su anamnesi ed esame clinico. L’anamnesi deve focalizzarsi su


familiarità per cardiopatia ischemica, cardiopatie preesistenti, malattie sistemiche, terapie in corso, fattori
di rischio coronarico. I sintomi riferiti dal paziente possono essere vari (sincope, astenia, dolore toracico o
addominale, febbre) e ci aiutano ad indirizzarci sull’eziologia. I segni clinici sono quelli descritti: eseguire
esame di torace, cuore e addome. Sempre valutare la pressione arteriosa.
Esami di laboratorio: enzimi cardiaci, D-dimero, elettroliti, emogasanalisi possono aiutarci ad orientarci.
La valutazione del peptide nariuretico BNP e del suo precursore NT-proBNP ha un discreto valore
predittivo negativo.
Indagini strumentali: ECG, Rx torace (segni di congestione polmonare come strie di Kerley alle basi,
versamento pleurico, ingrandimento silhouette cardiaca, infarto polmonare, pneumtorace), ecocardiografia,
TC.
Serve una diagnosi precoce, ma può non essere semplice. Si è pertanto elaborato uno score, il PRIDE
SCORE: questo valuta (massimo di 14 punti): elevazione NT-proBNP (vale 4 punti), edema polmonare
visibile all’Rx, ortopnea, febbre, età >75 anni, tosse, etc. È AHF se >6 punti.

Terapia
Il paradosso dell’insufficienza cardiaca acuta è che nonostante l’incidenza e prevalenza altissime, le linee
guida si basano su livelli di evidenza molto bassi, solitamente livello di evidenza C (Il prof ricorda che il
livello di evidenza A è quello che deriva da studi molto forti, con campione alto, a doppio cieco, etc; il
livello C è basato essenzialmente sul parere di esperti del campo). Questo succede perché non è un’unica
patologia, bensì una famiglia di patologie. È quindi difficile identificare un singolo paziente da inserire nel
trials, intrinseca eterogeneità.
1) Misure generali: il paziente deve essere tenuto sotto monitoraggio dei parametri vitali, ECG a 12
derivazioni, saturazione con pulsi ossimetro, è necessario assicurare un accesso venoso. In pronto
soccorso sarà possibile effettuare un ecocardiogramma e un Rx torace.
2) È necessario somministratre Ossigeno al 100% con maschera Venturi. In caso di alterazione della
coscienza, segni di distress respiratorio (forte tachipnea >40), ipossiemia refrattaria alla somministrazione
di ossigeno con maschera, richio di ab ingestisà si procede all’intubazione.
3) In presenza di dolore intensoà somministrazione di Morfina.
4) In presenza di marcato broncospasmoà somministrazione di Aminofillina
· Se il paziente ha edema polmonare acuto:
o Pressione >100mmHg: Furosemide ev. Può essere eventualmente associata ad un tiazidico
(attenzione a ipovolemia, ipokaliemia e disfunzione renale). L’approccio low dose strategy
o quello high dose strategy sono equivalenti.
o Pressione <90mmHg: si somministra Dopamina (non si capisce bene perché ha effetto,
pareva avesse funzione nefroprotettiva soprattutto dei diuretici, ma forse non è vero e non
serve) e Dobutamina (inotropo positivo, tendenzialmente non si usano perché causano
aritmie ed aumentano il consumo di ossigeno).
o Paziente con shock cardiogeno: Dopamina + Levosimendan (inotropo positivo inibitore
della fosfodiesterasi), Noradrenalina (da associare agli inotropi per la potente azione vaso
costrittiva, per mantenere accettabile la pressione arteriosa).
Vengono utilizzati anche vasodilatatori come nitro prussiato o nitroglicerina.
Inoltre abbiamo: Salina ipertonica: di solito prima della somministrazione di diuretico in bolo, è uso
comune dare una salina ipertonica perché si ha un effetto diuretico maggiore, ma non c’è mai stato uno

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I Gazzellini

studio su questo. Ultrafiltrazione: l’ultrafiltrazione dovrebbe funzionare meglio di un diuretico, perché


il LEC contiene 140Meq di Na, mentre il Na nelle urine di pz in terapia con furosemide è circa 60meq
→ c’è una differenza di 80meq di sale non risolto (sono urine ipotoniche)→ quindi il paziente tende ad
accumulare sodio con tutto ciò che questo comporta, come il peggioramento della funzione renale. Con
l’ultrafiltrazione si riesce ad eliminare tutto il sodio e non si hanno le conseguenze da sale non risolto. Però
ci sono pareri differenti nei vari trials: Ad oggi l’ultrafiltrazione non si usa di routine al pronto-soccorso ma
si usa solo se il paziente è resistente totalmente alla terapia diuretica.
Nuovi farmaci: Relaxin: la relaxina è un peptide endogeno inizialmente scoperto come un ormone che
è attivo in gravidanza→ i pz con relaxin avevano miglioramento di sintomi e indici tra cui riammissione
in ospedale e mortalità. Omecamtiv mecarbil: attivatore miosina, è un inotropo che aumenta la forza di
contrazione miocardica senza aumentare il consumo di ossigeno e il calcio intracellulare, limitando così il
rischio di aritmie. Ularitide: nuovo trial, induce diuresi.

Edema polmonare

Definizione: trasudazione massiva di liquido dai capillari polmonari nell’interstizio e alveoli.


Eziologia: l’edema polmonare si verifica quando la quantità di liquidi che dal sangue va ad interstizio ed
alveoli è maggiore di quella che ritorna al sangue o è drenata da linfatici. Lo scambio di liquidi avviene
attraverso la barriera alveolo capillare. I linfatici sono in grado di aumentare la velocità di drenaggio. Le
cause di edema polmonare si distinguono in cardiache e non cardiache:
· Cause cardiache: insufficienza cardiaca sinistra da varie cause (infarto del miocardio, disfunzione
ventricolare, aritimie), stenosi o insufficienza mitralica.
· Cause non cardiache: diminuzione pressione oncotica nel sangue (per esempio se c’è insufficienza
renale), diminuzione pressione alveolare, edema polmonare da alta quota (per diminuzione della
pressione alveolare), toracentesi troppo veloce di un grosso versamento pleurico, aumento della
permeabilità dei capillari polmonari (allergica o tossica), altro come sepsi, politrauma, pancreatiti,
annegamento, reazione a farmaci.
Patogenesi: l’insufficienza respiratoria che si ha nell’edema polmonare è dovuta a: diminuzione della
compliance polmonare e della capacità vitale, aumento delle resistenze nelle vie respiratorie.
Clinica: qualunque sia la causa dell’edema la sequenza dell’accumulo di liquidi è la stessa:
· Stadio I: aumento del movimento di liquidi dai capillari all’interstizio, ma senza aumento di
acqua interstiziale (aumentato drenaggio linfatico): può esserci dispnea da sforzo e tachipnea.
L’emogasanalisi (EGA) può mostrare diminuzione di PO2 e PCO2.
· Stadio II: il passaggio di liquidi eccede la capacità di drenaggio, accumulo di liquidi nell’interstizio:
dispnea per sforzi minimi, rantoli polmonari fini (alle basi poi all’apice). All’EGa ulteriore riduzione
di PO2 e PCO2.
· Stadio III: inondamento alveolare: ai rumori fini si aggiungono sibili espiratori (distinguere l’asma
cardiaco dall’asma bronchiale!). All’EGA PO2 bassa, ma PCO2 normale o alta.
1) Edema polmonare cardiogeno: provocato da un’insufficienza di pompa. Vi è aumento della pressione
di incuneamento polmonare secondario ad aumento della pressione venosa.
Eziologia: Cause meccaniche: sovraccarico di pressione (stenosi aortica, ipertensione), sovraccarico
di volume (insufficienza valvolare, shunts), ostacolo al riempimento ventricolare (stenosi mitralica o
tricuspide), pericardite costrittiva (tamponamento), aneurismi ventricolari.
Cause muscolari miocardiche: miocardiopatie, miocarditi, tossici, ischemia, infiammazione, etc.
Alterazioni di ritmo e conduzione: fibrillazione atriale, tachi-bradicardie, disturbi di conduzione.
Clinica: dispnea ad esordio improvviso, frequenza respiratoria elevata, espettorato schiumoso,
impiego dei muscoli respiratori accessori, dolore toracico, tosse, ansia, pallore, sudorazione fredda, narici
dilatate. Segni: rantoli crepitanti, con sibili diffusi. III e IV tono.

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Cardio per Interna

La pressione arteriosa può essere elevata (crisi ipertensiva) o bassa (shock cardiogeno).
Terapia d’urgenza: Decubito ortopnoico (posizione seduta) con gambe pendenti (calo pressione
idrostatica polmonare). Predisporre un accesso venoso. Ossigeno con occhialini nasali + aspirazione
del secreto. Valutare con prelievo venoso: emocromo, elettroliti, creatinine mia, etc. EGA e SaO2. ECG:
anormale, aspecifico. Ecocardiogramma: non necessario in fase acuta.
Radiografia del torace: va effettuata a letto del paziente. Si osserva eventuale cardiomegalia, sfumatura
del disegno vasale, specie in sede ilare. Inoltre strie B di Kerley (orizzontali, laterobasali su ambo i lati). Il
liquido edematoso tende a raccogliersi alle basi polmonari, ma in alcuni casi agli ili con aspetto a parailare
a farfalla.
Terapia: controllo vie aeree, Ossigeno 100% con maschera di Venturi, individuare e corregere le cause
reversibili. Morfina in caso di dolore intenso (diminusce anche il consumo di O2):
· Paziente con pressione arteriosa normale o alta: Diamo vasodilatatori come Nitroglicerina,
Nitroprussiato di sodio. Furosemide. Per di più tecniche di ventilazione meccanica quali la CPAPP,
che ha reso sempre più raro il ricorso all’intubazione tracheale.
· Paziente con pressione arteriosa bassa: Dobutamina. Se <80: Dopamina e Noradrenalina.

2) Edema polmonare non cardiogeno: è conseguente ad aumento della permeabilità alveolo-capillare.


Distinguiamo: ALI (danno polmonare acuto) e ARDS (sindrome da distress respiratorio acuto), forma grave
di ALI. Le cause sono infezioni, aspirazione di tossici, pancreatiti, reazione a farmaci, politraumi, etc. Si ha
improvvisa dispnea, tachipnea e tachicardia. Ipotensione se sepsi
Terapia: in urgenza le misure generali sono le stesse dell’edema cardiogeno. All’RX torace non sono
presenti le linee di Kerley. All’EGA abbiamo alcalosi respiratoria e ipossiemia, in un secondo momento
acidosi. Si somministra Ossigeno in modo da avere una saturazione >90%.

Ipertensione polmonare

Definizione: IP, è caratterizzata da un cronico incremento della pressione in arteria polmonare (PAP) e
incremento delle resistenze polmonari (PVR) che inducono ipertrofia e dilatazione del ventricolo destro.
È definita da una pressione arteriosa media >25mmHG a riposo (valori medi 12-16mmHg), >30 mmHg
durante lo sforzo, o una PAP sistolica >35mmHg (picco sistolico normale 18-25 mmHg). L’IP si definisce
lieve quando la PAP media è tra 19-25, moderata se 26-40mmHg, severa se >40mmHg. L’IP nella sua
forma arteriosa è un’affezione rara (5/100000), ma l’IP in senso generale può essere associata ad affezioni
cardiache e respiratorie croniche molto comuni, pertanto la sua incidenza è decisamente superiore.
Classificazione: si distingue un’ipertensione polmonare arteriosa, un’ipertensione associata a
malattie del cuore sinistro (che interessano atrio o ventricolo, valvulopatie), un’ipertensione associata a
malattie polmonari e/o ipossiemia (BPCO, malattia interstiziale polmonare, sleep apnea, ipoventilazione
alveolare), un’ipertensione dovuta a malattia trombotica cronica o embolia, e miscellanea (da
sarcoidosi, tumori e adenopatie comprimenti i vasi polmonari, etc).

Fisiopatologia: L’aumento delle resistenze vascolari causa alterazioni: Respiratorie: si ha aumento delo
spazio morto funzionale (vi sono unità ad alto rapporto v/p) e limitazione nella diffusione alveolo capillare
con conseguente ipossiemia e ipocapnia con aumento della ventilazione necessaria ad eliminare CO2.
Cardiache: ipertrofia delle sezioni destre con aumento della pressione di riempimento del ventricolo destro,
ipertensione atriale destra e stasi del circolo venoso sistemico. Può esserci un progressivo deterioramento
della portata sistemica con ipotensione ed ipoperfusione dei microcircoli renale, coronario e cerebrale
(conseguenze sistemiche).

Clinica: all’inizio asintomatica, comparsa dei sintomi in media dopo due anni. Si ha: dispnea da sforzo,
sintomo freuquente all’esordio, poi anche a riposo. Si può avere astenia, angina, sincope (40%) in rapporto a
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I Gazzellini

diminuzioni della portata cardiaca. Ortopnea e DPN suggeriscono ipertensione polmonare (da scompenso
sinistro). Eventuali segni tipo fenomeno di Raynaud e artralgie indicano connettivopatie. L’anamnesi può
orientare verso una sindrome ostruttiva da apnee notturne (apnee, russamento, sonnolenza, cefalee al
mattino). Si può utilizzare una classificazione dello stato funzionale (riadattamento di quella del NYHA
per scompenso sinistro). Classe I: no limitazioni nell’attività fisica ordinaria. II: sintomi di dispnea e
fatica con attività fisica ordinaria. III: sintomi con attività fisica minore dell’ordinaria. IV: sintomi anche a
riposo. All’esame obiettivo nel 90% dei pazienti c’è un’accntuazione del II tono sulla polmonare dovuta
all’incremento della pressione arteriosa polmonare, soffio diastolico da insufficienza in area polmonare,
soffio sistolico da rigurgito tricuspidalico per l’eventuale dilatazione destra. Anche epatomegalia, edemi,
distensione delle giugulari a causa dello scompenso destro.

Diagnosi: dopo l’anamnesi e l’esame obiettivo le indagini strumentali prevedono: ECG: poco sensibile e
specifico, ci può essere ipertrofia ventricolare destra. Radiografia dl torace: nel 90% dei casi dilatazione
dei vasi polmonari in regione ilare con aspetto ad albero potato dei vasi periferici. Può evidenziare
patologie responsabili di un’IP secondarie. Ecocardiografia trans-toracica: TTE, forte correlazione con
I risultati ottenuti con cateterismo cardiaco destro. Misurando la velocità di reflusso tricuspidalico si
stima la pressione sistolica in arteria polmonare PAPs che è uguale alla pressione sistolica nel ventricolo
destro (RVSP) in assenza di ostruzioni dell’arteria polmonare. Esami funzionali respiratori: spirometria e
emogasanalisi escludono patologie polmonari o bronchiali. Si ha una riduzione della diffusione alveolo
capillare DLCO (per le alterazioni di capillari e piccole arterie) mentre capacità vitale forzata e indice di
Tiffenau sono normali. Riduzione di DLCO e incremento del gradiente transtricuspidalico sono segni di IP
iniziale. La PaO2 è un po’ ridotta così come pal PCO2 per iperventilazione. Nelle connettivopatie riduzione
isolata di DLCO. Se all’IP è associata fibrosi polmonare ci può essere indice di Tiffenau alto. Polisonnografia
per valutare le apnee notturne. Scintigrafia ventilo-perfusiva polmonare: molto sensibile e specifica
(oltre il 90%) per distinguere tra IPAH e IP post-TEP (nella prima è normale, ella seconda difetti perfusivi).
TC: un aspetto a vetro smerigliato con ispessimento dei setti interlobulari con adenopaite o velature
pleuriche indica malattia polmonare veno-occlusiva. TC con mezzo di contrasto: distingue IP arteriosa e
post-TEP (si vedono I trombi). Test del cammino in 6 minuti: 6MWT, correla con la prognosi. Cateterismo
cardiaco destro: glod standard per individuare IP e valutarne la severità. Bisogna valutare PAP (s,d e
media, >25mmHg), RAP, PWP (pressione di incuneamento capillare ≤15mmHg per istinguere IP arteriosa
e venosa), portata cardiaca e test di vasoreattività a vasodilatatori (caduta dei valori di PAPm di almeno
10mmHg. BNP: prodotto dai ventricoli quando sottoposti a sovraccarichi di volume e pressione. Aumenta
nell’IP perchè il ventricolo destro è sottoposto a sovraccarichi di pressione. I valori plasmatici di BNP
correlano con lo stato funzionale (NYHA e 6MWT), valori pressori e prognosi. Altri esami sono l’angiografia
(TEP), ecografia addome (IP portale), dosaggio anticoripi nelle collagenopatie.

Terapia: prima si riteneva non ci fosse terapia. Si possono usare diuretici (furosemide) per riduerre il
precarico, anticoagulanti per evitare fenomeni di trombosi in situ, calcio antagonisti se il test acuto di
vasodilatazione è positivo (si rischia vadoilatazione sistemica e morte). Farmaci che hano effetti su mortalità
e qualità di vita sono I prostanoidi (epoprostenolo) e altri vasodilatatori (antagonisti recettore endotelina,
adenosina, sildenafil).

Cuore polmonare

Definizione generale: dilatazione o ipertrofia del ventricolo destro in risposta ad aumento del post-carico
(ipertensione polmonare) causata da affezioni del parenchima polmonare, della gabbia toracica e del
controllo respiratorio. Le patologie che possono causare CPC sono vasculopatie polmonari (ipertensione
polmonare primitiva, tromboembolia, arteriti), patologie neuromuscolari e deformità ossee, malattie
polmonari che alterano gli scambi gassosi (malattie parenchimali ostruttive quali brochite cronica eed

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Cardio per Interna

enfisema polmonare e restrittive quali deficit neurologici e muscolari, obesità, ostruzione delle vie aeree,
fibrosi). Inoltre ostruzioni, infiammazioni, compressioni dei vasi polmonari e sindromi da ipoventilazione
alveolare cronica. Si definisce ipertensione polmonare (da lieve in su) un aumento della PAP (pressione
arteria polmonare) oltre i 20mmHg. Quest’aumento determinerà modificazioni del ventricolo destro, le
quali possono essere acute o lente a seconda che il sovraccarico di pressione sia rapido (come nell’embolia
polmonare, cuore polmonare acuto) o lento (cuore polmonare cronico). Spesso si usa cuore polmonare
come sinonimo di cuore polmonare cronico. Ipertensione polmonare e cuore polmonare non collimano
sempre in quanto possono esserci condizioni cardiache alla base dell’ipertensione polmonare (scompenso
sinistro, cardiopatie congenite) e anche un’ipertensione non così grave da causare alterazioni del VD. Non
ci può essere cuore polmonare senza ipertensione.

Cuore polmonare cronico

Definizione: CPC, consiste nel 10-20% delle ospedalizzazioni cardiache in età adulta, e il 40% dei pazienti
con BPCO (con VEMS<1L) presenta cuore polmonare.

Patogenesi: la massa muscolare del VD è 1/6 del VS, il VD è più dilatabile e pertanto mantiene bassa la
pressione venosa, ma ha scarso adattamento al sovraccarico pressorio (accorciamento limitato delle fibre).
Da qui la frase: “il ventricolo sinistro è una camera a pressione, il ventricolo destro è una camera a volume”.
Il post-carico del VD dipende dalle resistenze dei vasi polmonari e dalla compliance delle arterie polmonari
(70% del carico per rispondere al carico meccanico delle geometria ventricolare e alle resistenze vascolari
polmonari, il 30% per distendere le arterie elastiche polmonari). Le patologie che causano ipertensione
polmonare possono anche causare cuore polmonare. . In una prima fase si osserva dilatazione ed ipertrofia
del cuore destro con incapacità del ventricolo di superare il progressivo aumento di post-carico che
comporta aumento della pressione tele diastolica del VD con ipertensione atriale destra, aumento
PVC e stasi venosa sistemica. Inoltre la patologia può aggravarsi con uno scompenso destro con edemi
declivi, epatomegalia e ascite. Con il tempo l’ipertrofia destra disturba anche la funzione del cuore sinistro
(bassa portata ed ipotensione).

Clinica: è una patologia insidiosa con manifestazioni aspecifiche e sintomi spesso coperti o attribuiti a
quelli della patologia polmonare di base. Con il tempo e l’avanzamento verso lo scompenso destro si ha
epatomegalia, ascite, edemi declivi e a volte lieve ittero, inoltre si ha una ritenzione idro-salina (alterazioni
renali) e con il peggioramento dell’ipossiemia e a causa della bassa portata si possono avere disturbi
cerebrali. Si può ascoltare sdoppiamento del II tono (comparsa III solo se c’è scompenso).

Diagnosi: La diagnosi della patologia di base è comunque in genere precedente. Esame obiettivo:
è possibile ascoltare un’accentuazione della componente polmonare del II tono ed in genere uno
sdoppiamento, inoltre sono comuni tachicardia ed un soffio di rigurgito tricuspidale olosistolico per
insufficienza della valvola (oltre ai segni dello scompenso destro se presente). ECG: un’onda P di maggiore
ampiezza e durata è un segno di ipertensione polmonare (dilatazione atrio destro), inoltre vi sono segni di
ipertrofia ventricolare destra. È possibile che si sviluppino aritmie da blocco della conduzione (fino al BBD
completo) ed extrasistole atriali o anche tachicardia sopraventricolare e fibrillazione atriale. Radiografia
del torace: segni di ipertensione sono dilatazione dei vasi polmonari con aspetto ad “albero potato”.
Ecocardiografia trans toracica: rileva dilatazione dell’atrio e del ventricolo destro oltre a poter stimare
la PAP in base alla velocità di rigurgito tricuspidalico. Cateterismo cardiaco: è raramente richiesto perché
invasivo, ma serve a documentare la pressione in arteria polmonare, atrio sinistro e vene polmonari. Esami
di laboratorio: si può avere poliglobulia, all’emogasanalisi aumento PCO2 e diminuzione PO2.

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I Gazzellini

Prognosi e terapia: la prognosi dipende dalla patologia polmonare di base, ma spesso è grave (50% di
mortalità a cinque anni). La terapia si basa principalmente sulla risoluzione della patologia respiratoria di
base. I pazienti possono trovare giovamento dall’ossigenoterapia (con PO2<60mmHg), diuretici se c’è
ritenzione idrosalina, anticoagulanti per evitare trombo embolie. Se sfocia nello scompenso è bene usare
diuretici, e vasodilatatori usati nella terapia dello scompenso per ridurre pre e postcarico.

Cuore polmonare acuto ed embolia polmonare

Definizione: CPA, in pratica si tratta di Tromboembolia polmonare. Infatti è una condizione nella
quale vi è una brusca dilatazione del ventricolo destro dovuta ad una grave ed improvvisa ipertensione
polmonare. La causa più frequente è l’embolia polmonare, ma anche altre condizioni (come atelettasia
massiva e pneumotorace), se gravi possono causarlo. L’embolia polmonare, EP, è un’ostruzione dei vasi
polmonari da parte di emboli (materiali estranei, generalmente provenienti dal sistema venoso profondo).
È una condizione di emergenza respiratoria con alto rischio di mortalità senza terapia giusta (10% a 30
giorni, 25% senza terapia anticoagulante). A volte è complicato porre diagnosi per mancanza di segni
clinici patognomici, pare infatti che più della metà delle embolie polmonari restino non diagnosticate.

Epidemiologia ed eziologia: ha una frequenza di 70-100/100000 all’anno, nel 75-80% dei casi l’embolo
viene a formarsi a seguito di TVP (trombosi venosa profonda) agli arti inferiori. 1 TVP su 10 si complica con
EP. È facilitato da alcuni fattori di rischio quali: trombofilie (fattori primari, rischio tromboembolico fino a 20
volte superiore) e fattori cumulativi (gravidanza, cateteri venosi centrali, fumo, obesità, chirurgia, traumi,
scompenso, contraccettivi orali, lunghi viaggi).
In sostanza la trombosi venosa profonda ed il distacco dell’embolo sono condizioni quasi sempre associate.
La sede più frequente di embolia polmonare è l’arteria polmonare destra.
Solo il 25% delle TVP è sintomatico prima di dare embolia polmonare.
Fattori scatenanti: può essere sufficiente l’alzarsi al mattino, sforzi fisici di vario genere, aumento della
pressione intraddominale.
Patogenesi: non sempre l’embolia causa cuore polmonare acuto in quanto il polmone ha una notevole
riserva funzionale di vasi e pertanto solo un grosso embolo o tanti piccoli emboli possono causare il
CPA. In effetti le ripercussioni respiratorie e cardiocircolatorie dipendono dalle dimensioni dell’embolo
e dell’area ostruita (oltre che dalle condizioni del paziente) e si distinguono pertanto embolie massive
(più del 50% del letto vascolare polmonare è interessato) e non massive. Nell’EP massiva si riscontra
instabilità emodinamica con una pressione arteriosa sistemica <90mmHg, instabilità respiratoria con
dispnea ingravescente a riposo con ipossiemia grave. La EP sub massiva è caratterizzata da stabilità
emodinamica, ma da segni ecocardiografici di disfunzione del ventricolo destro (dilatazione del settore
destro con sbandamento del setto interventricolare destro). La ripercussione cardiocircolatoria è l’aspetto
più grave dell’EP (anche se dipende oltre che dal grado di ostruzione anche dalle condizioni antecedenti).
EP con più del 55% di ostruzione comporta: caduta della frazione di eiezione del VD, tachicardia, aumento
del precarico del VD, diminuzione del flusso coronarico con possibile ischemia. Le alterazioni del VD
comportano automaticamente una riduzione del flusso anche al VS con conseguente: diminuzione della
pressione arteriosa, riduzione del volume ventricolare sinistro e della gittata cardiaca. La riduzione
della gittata comporta ipoperfusione sistemica e ipoperfusione dei vari microcircoli (anche cerebrale)
che possono causare dolore anginoso (coronarico), vertigine, sincope e anche shock. L’embolia però si
associa solo raramente ad infarto polmonare in quanto la perfusione dell’organo è garantita dal circolo
arterioso bronchiale (a meno che non ci sia una pregressa cardiopatia sinistra). Questo è ciò che accade
a valle dell’ostruzione, mentre a monte, nel cuore destro si ha progressiva disfunzione ventricolare.
Questa è dovuta all’ipertensione polmonare, quindi aumento del post-carico a cui all’inizio il ventricolo
destro risponde dilatandosi, poi (a causa del minore meccanismo di Starling rispetto al VS) si giunge alla
disfunzione ventricolare e talvolta all’insufficienza tricuspidale che aggravano la stasi venosa. Dal punto

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Cardio per Interna

di vista respiratorio si ha ipossiemia a causa della comparsa di un notevole spazio morto funzionale
(>>V/P) e di un conseguente squilibrio (<V/P) dei territori ancora normoperfusi. L’iperventilazione
reattiva comporta anche ipocapnia in quanto la CO2 è eliminata più facilmente poiché ha una diffusione
più rapida. La tachipnea non è in grado però di mantenere un’adeguata ossigenazione. Si riscontra un alto
gradiente alveolo-arterioso e meno CO2 nell’aria ispirata (perché l’aria che entra nello spazio morto ne esce
con la stessa concentrazione di CO2).
Si possono avere atelectasie polmonari a causa della riduzione del surfactante, entro 24 ore.

Clinica: Anche se l’EP è generalmente sintomatica, i sintomi variano con il grado di ostruzione, il tempo
intercorso dall’esordio, malattie cardiorespiratorie concomitanti. Nel 95% dei pazienti sono presenti
dispnea improvvisa (in genere da cause non evidenti) associata a tachipnea e tachicardia. Dolore
toracico trafittivo in genere dorsale che si esacerba con gli atti respiratori, oppressione precordiale. I
sintomi sono prevalentemente respiratori nella non massiva e cardiaci nella massiva (più di due arterie
lobari ostruite). Si può avere esordio con ipotensione, polso accelerato, pallore , dispnea, sudorazione
e , quando il VD è insufficiente, epatomegalia e segni di stasi venosa. Si può avere un arresto cardiaco
associato a emoftoe (addensamenti polmonari) o sincope (sindrome neurologica), shock circolatorio.
Complicanze: pleurite, versamento pleurico, infarto polmonare con emottisi, insufficienza del cuore
destro, se recidivante cuore polmonare cronico, etc.

Diagnosi: non è quasi mai facile in quanto l’EP non presenta segni e sintomi specifici. Una buona
anamnesi ed un corretto esame del paziente possono indirizzare verso la soluzione (e contribuiscono
nella definizione della probabilità clinica di EP). Il paziente si presenta in genere con dolore e dispnea e a
volte con palpitazioni, tosse, emoftoe, shock, sudorazione, polso accelerato, etc. Importante verificare la
presenza di fattori di rischio quali: TVP, obesità, allettamento, intervento chirurgico recente, trombofilie.
All’ascoltazione si avverte la componente polmonare del II tono in ritardo (sdoppiamento) e rinforzata,
possibile soffio sistolico da insufficienza tricuspidale. Tra gli strumenti diagnostici si distinguono test di
primo livello e indagini diagnostiche di certezza. Queste ultime non possono essere però adoperate
per tutti i pazienti presentanti i sintomi aspecifici e possono essere adoperate solo in condizioni di forte
sospetto di EP o al termine di un determinato percorso diagnostico.
I test di primo livello sono:
· Dosaggio dei dimeri D della fibrina: test semplice e rapido, che permette di escludere con buona
sicurezza l’EP (alto valore predittivo negativo!!!) anche se ha scarsa specificità (presente anche
in traumi, spesi, polmonite, fibrinolisi, gravidanza). Dosa i prodotti della recente attivazione di un
processo emocoagulativo.
· Troponina e BNP: la troponina (indice di danno miocardico) negativa e il BNP (indice di stress di
parete del ventricolo destro) basso sono indici prognostici positivi, specie se associati a mancanza
di segni di disfunzione ventricolare destra.
· Emogasanalisi: ipossiemia ed ipocapnia. Molto aspecifica e se normale non esclude EP.
· ECG: vi sono alterazioni tipiche solo nel 25% dei casi. Vi può essere Tachicardia sinusale. Anche
sindrome S1Q3T3 ossia con S allargata in D1, Q allargata e T invertita in D3 e inoltre aspetto di BBD.
· EcocardiocolorDoppler: può apparire del tutto normale, ma l’individuazione di alterazioni della
funzione ventricolare destra hanno significato prognostico negativo. Può individuare discinesia del
ventricolo destro, valutazione della pressione sistolica nella polmonare, eventuale individuazione
del trombo nel cuore destro o nell’arteria polmonare.
· Radiografia del torace: possibili alterazioni come la sopraelevazione dell’emidiaframma, la
dilatazione dell’arteria polmonare discendente dx, trasparenza dei campi polmonari, segni di
infarto polmonare, versamento pleurico unilaterale, ingrandimento cardiaco acuto, comparsa di
amputazioni vascolari.
Con questi esami (e magari una valutazione con ecocolordoppler degli arti inferiore per ricercare
segni di TVP) è possibile tentare di definire la probabilità di EP:

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I Gazzellini

Probabilità clinica di EP: Alta: (80-100%) presenza di fattore di rischio e dispnea e/o dolore toracico non
spiegabile da altre cause + alterazioni radiografiche ed emogasanalitiche non spiegabili da altre cause.
Bassa: fattori di rischio assenti e sintomi toracici e alterazioni spiegabili da altre cause. Intermedia: né alta
né bassa.

Indagini diagnostiche di certezza:


· Scintigrafia polmonare di perfusione: alta sensibilità e buona specificità, ma può essere limitata
da condizioni che limitano la visibilità (fibrosi, neoplasie, BPCO). Visualizza zone con deficit di
perfusione e zone (non ostruite) con iperperfusione, eseguita con microembolizzazione dei capillari
polmonari con aggregati di albumina marcata.
· TC-angiografia o RM-angiografia spirale: permette di vedere trombi nelle polmonari sino alle
arterie sub-segmentarie (con m.d.c.). È ormai preferita anche all’angiografia.
· Angiografia polmonare: dovrebbe essere riservata ai pazienti per i quali non è stato possibile
formulare una diagnosi senza. Permette riconoscere presenza e distribuzione degli emboli. È
invasiva e non priva di rischi.
DD: talvolta è difficile la diagnosi differenziale con altre partologie cardiache e respiratorie come l’IM (ECG
tipico, dolore precordiale, biomarker), dissezione aortica (shock), pneumotorace (basta la radiografia per
vederlo), polmoniti, esordi neoplasie, scompenso, affezioni dolorose della parete toracica. Molto utili nelle
diagnosi differenziali i dimeri D e la scintigrafia (no lesioni).

Iter diagnostico: primi passi sono pertanto clinica ed anamnesi.


In seguito si effettua Wells-Score per la previsione di EP: valuta sintomi di TVP recente, frequenza cardiaca
(se alta), immobilizzazione o intervento chirurgico recente, TVP o EP pregressa, etc.
Successivamente Dimero-D e laboratorio, dimostrazione di disfunzione ventricolare destra
all’ecocardiogramma e di ipossiemia, indagini di certezza. Infine dimostrazione TVP arti inferiori.

Prognosi: severa. Il 90% dei pazienti con embolia massiva muoiono entro le prime due ore.
Dipende molto dal livello di gravità. Se emodinamicamente stabile e senza disfunzione (stadio I) o con
(stadio II) la mortalità è modesta. In caso di shock o necessità di rianimazione (stadi III e IV) è piuttosto
elevata. Dipende anche da età, malattie di base, complicanze, tempo di diagnosi.

Terapia: ha due obiettivi: prevenire la recidiva di un’embolia e ridurre la letalità.


· Terapia di emergenza in caso di embolia polmonare acuta: Decubito semiootopnoico e trasporto
in ospedale; Sedazione e trattamento del dolore; Somministrazione di ossigeno con maschera
di Venturi (40-60%) antagonizza la vasocostrizione causata dall’ipossiemia. In caso di fallimento
si può procedere all’intubazione del paziente. Può essere necessaria rianimazione cardio-
polmonare. Ottenere un accesso venoso. Può esserci shock e sindrome da bassa gittata: in tal caso
somministrare inotropi positivi (dobutamina con o senza dopamina o anche noradrenalina).
Liquidi e boli di cristalloidi (inferiori a 500 ml).
· Terapia anticoagulante:
o Paziente emodinamicamente stabile: stadi I e II, si somministra eparina (a basso peso
molecolare come l’Enoxaparina che non richiedono monitoraggio dell’aPTT o eparina
non frazionata) che ha effetto anticoagulante pressoché immediato. In caso di emorragie la
coagulazione è ripristinabile con solfato di protamina. L’eparina è in genere somministrata
fino a raggiungere un PTT di 1,5-2,5. INR tra 2 e3. Per non più di una settimana e viene
in genere incrociata con dicumarolici (non meno di 6 mesi) La trombo lisi non è sempre
indicata a questi stadi.
o Paziente emodinamicamente instabile: Trombolisi: si utilizzano streptochinasi urochinasi
o t-PA. In alternativa è possibile eseguire trombo lisi mediante cateterismo (ultrasuoni,
fibrinolisi locale). Possibile anche embolectomia chiurgica.

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Cardio per Interna

Terapia a lungo termine: proseguire con eparina o anticoagulanti orali.

Prevenzione: prevenzione della TVP (mobilizzazione paziente, calze elastiche, etc.) anche con farmaci
come eparina o anticoagulanti orali.

Sincope
Sincope: non è una malattia, bensì un sintomo caratterizzato da: una perdita di conoscenza
autolimitantesi, transitoria, con esordio rapido, ripresa spontanea, completa e in genere rapida.
Il meccanismo sottostante è una ipoperfusione globale cerebrale.
Epidemiologia: incidenza di 7/1000, 6% negli anziani, alta ricorrenza (studio Framingham). Incidenza
cumulativa >10%. Di più tra i 18-50 anni che tra 50-60. Ancor più dopo i 60-70 anni.
Classificazione: bisogna prima distinguerla da altre condizioni che causano perdita di coscienza. Abbiamo
infatti Sincope reale e apparente. Vi sono infatti attacchi pseudosincopali senza perdita di coscienza
(cadute, lipotimia), o con perdita di coscienza ma non rapida, con recupero spontaneo o transitoria. Le
perdite di coscienza con queste caratteristiche non sono tutte sincopi. Vi sono infatti cause traumatiche e
cause non traumatiche (crisi epilettiche, psicogene, altre).
Cause di sincope: (la causa nel 20-35% dei casi resta ignota) la sincope vera può essere:
1. Neuro-mediata: vaso-vagale, sindrome del seno carotideo, situazionale (emorragia, tosse, starnuto,
post-minzionale, post-prandiale, defecazione, etc), da nevralgia trigeminale o IX.
2. Ortostatica: da insufficienza autonomica (secondaria a atrofia multi sistemica, Parkinson,
neuropatia diabetica, amiloidosi), deplezione di volume (emorragia, diarrea, Addison).
3. Secondaria ad aritmie: disfunzione del nodo del seno, blocco AV, tachicardie ventricolari o
sopraventricolari parossistiche, sindromi ereditaria (QT lungo, Brugada), PM o farmaci.
4. Secondaria a patologie cardiopolmonari: malattie valvolari, cardiopatia ischemica, cardiomiopatia
ostruttiva, mixomi, dissecazione aortica, pericardite, embolia o I.P.
5. Secondaria a patologia cerebrovascolare
Cause di attacchi non sincopali: Con perdita di coscienza: disordini metabolici (ipoglicemia, ipossia,
iperventilazione con ipocapnia, epilessia, intossicazione, TIA vertebrobasilare).
· Senza perdita di coscienza: drop attacks, pseudo-sincope psicogena, TIA carotidei.
Stratificazione del rischio: il rischio aumenta in pazienti >45 anni, con storia di malattia cardiaca
congestizia o di aritmie ventricolari. La coesistenza di patologia cardiaca strutturale aumenta la mortalità
nei pazienti con sincope.
Diagnosi: si comincia sempre con anamnesi, esame obiettivo, misurazione pressione, ECG:
1. Anamnesi: si indagano le circostanze precedenti all’attacco (pranzo, paura, attività, posizione,
etc.), l’esordio stesso (con nausea, vomito, aura, calore, etc.), l’attacco stesso (colorito, durata, etc.),
la fine dell’attacco (nausea, vomito, confusione, etc.). Si cerca anamnesi familiare e patologica
remota e recente (farmaci, aritmie, epilessia, etc.).
Già l’anamnesi può indirizzare verso la diagnosi. Es: Sincope vasovagale: se la sincope è associata a paura,
dolore, prolungata stazione eretta, stress emozionali. Sincope situazionale: se associata a minzione,
tosse, etc. Ortostatica: se associata a ipotensione ortostatica. Neuro-mediata: se accade dopo odore,
sapore sgradevole, prolungata stazione eretta, caldo, dolore trigeminale, passaggio in ortostatismo, luoghi
affollati, rotazione del capo, pressione al collo (cravatta, colletto).
2. Misurazione pressione, esame obiettivo, ECG: L’ECG può darci molte informazioni.
Es: Sincope dovuta ad aritmia cardiaca: diagnosticata se c’è bradicardia sinusale sintomatica, pause
sinusali o blocchi atrioventricolari di II o II grado,parossismi di TSV o TV, malfunzionamento del pacemaker,
BBD e BBS alternati. Sincope dovuta a cardiopatia ischemica: evidenza all’ECG di ischemia miocardica
acuta. Trattamento per l’evento ischemico acuto.

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I Gazzellini

3. Se non abbiamo già un sospetto o diagnosi eziologica, dobbiamo considerare se vi è sospetto di


cardiopatia. Se sì: Valutazione cardiologica: Ecocardio, Monitoraggio ECG, Test da sforzo, Studio
elettrofisiologico, Implanted Loop Recorder. Molto utili sono il massaggio del seno carotideo ed
il Tilt test.
In pronto soccorso deve avvenire la valutazione iniziale del paziente con sincope, che se necessario
verrà inviato alla Syncope Unit. Si dividono i pazienti in:
· Classi di raccomandazione: Classe I: evidenza di utilità del trattamento. Classe II: utilità meno
definita o divergenza di opinioni. III: inutilità unanimemente definita.
· Livelli di evidenza: Livello A: dati basati su multipli trials o meta-analisi. Livello B: dati da un unico
trials o non randomizzati. C: consenso derivato da opinioni concordi di esperti.
L’unità di sincope evita la differenza di trattamento tra cardiologi, neurologi e internisti.
4. Valutazione neurologica: è indicata in pazienti con sospetto di attacco epilettico (classe I livello
C), perdita di coscienza da disautonomia periferica (I C), EEG, RM o TC, US arterie vertebrali sono nel
sospetto di causa non sincopale (III B).
Obiettivi del trattamento: Prevenire recidive e ridurre la mortalità. Migliorare la qualità di vita.
Farmaci antiaritmici:
A) Antiaritmici in senso lato: hanno funzione antiaritmica la digitale (riduce la frequenza ventricolare
per rallentamento della conduzione del nodo AV), parasimpaticolitici (per una bradicardia), simpatico
mimetici (per una bradicardia).
B) Antiaritmici in senso stretto: Classificazione secondo Vaughan Williams:
1. Classe I: antiaritmici bloccanti i canali del sodio: possono avere effetti pro aritmici, specie in
caso di insufficienza cardiaca (la disopiramide anche fibrillazione ventricolare). Sono controindicati
pertanto in caso di insufficienza cardiaca e infarto (specie gli IC).
a. Classe IA: Antiaritmici chinidinici: Chinidina: via di eliminazione epatica. Indicata per la
fibrillazione atriale. Effetti collaterali: gastrointestinali, ematologici, cardiaci (da evitare
in pazienti con patologia cardiaca strutturale). Diminuisce la clearance della digossina.
Ajmalina: TV, in Italia ritirata per i suoi effetti pro aritmici.
b. Classe IB: Antiaritmici lidocainici: Lidocaina: in Italia si usa al posto dell’Ajmalina.
c. Classe IC: Propafenone: eliminazione epatica. Indicata per WPW, tachicardie
sopraventricolari e fibrillazione atriale (sempre senza patologie cardiache organiche).
Sempre azione pro aritmica, gastrointestinali, SNC. Ha anche attività betabloccante (disturbi
respiratori ostruttivi). Fleicainide: = ma no beta-bloccante.
2. Classe II: Antiaritmici betabloccanti: spiazzano le catecolamine dei recettori, diminuendo la
stimolazione simpatica del cuore. Hanno effetto batmotropo, cronotropo, inotropo e dromo
tropo negativo. Migliorano la prognosi di ipertensione, cardiopatia coronarica, insufficienza
cardiaca. Riducono la pressione, effetto antischemico (riducono il consumo miocardico di
ossigeno). I cardioselettivi hanno preferenza per i recettori cardiaci. Alcuni hanno un’intrinseca
attività simpatico mimetica. Abbiamo propranololo (durata 10h), bisoprololo (durata 24h) e altri
(atenololo, metoprololo, carvedilolo che è anche vasodilatatore, durata media 12-24h). Indicati
in: extrasistoli,tachicardie sopraventricolari, tachicardia da ipertiroidismo. Migliorano la
prognosi in pazienti con infarto, si usano in ipertensione arteriosa, angina, terapia insufficienza
cardiaca (associazione con ACE-I).
Controindicazioni: insufficienza cardiaca scompensata, forte bradicardia, forte ipotensione,
malattia del nodo del seno, asma. Con la BPCO basta fare attenzione.
Effetti collaterali: stanchezza, ipotonia (soprattutto all’inizio del trattamento), sensazione di
freddo, vertigini, cefalea, peggioramento insufficienza cardiaca all’inizio, etc. Non associare con altri
antiaritmici tipo calcio-antagonisti (verapamilà blocco AV) e non sospendere in modo brusco
(effetto rebound con iperattivazione del simpatico).
3. Classe III: antiaritmici bloccanti i canali del potassio: Amiodarone: meccanismi di azione delle
classi I e IV. Si indica nella fibrillazione atriale fortemente sintomatica. Anche tachicardie

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Cardio per Interna

sopraventricolare e ventricolare nei pazienti con insufficienza cardiaca. Può causare riduzioni
visione, fotosensibilità, azione pro aritmica, disfunzioni tiroidee. Da controllare la funzionalità
tiroidea prima della somministrazione. Sotalolo: indicato nella fibrillazione atriale. Può avere
effetti pro aritmici e collaterali simili ai beta-bloccanti.
4. Classe IV: antiaritmici calcio antagonisti: sono di tipo finilalchilaminico (come verapamil
e gallopamil) o di tipo benzotiazepinico (come il diltiazem). Nella fibrillazione atriale per
rallentamento della conduzione AV o nelle tachiaritmie da rientro AV. Possono dare effetti collaterali
a livello GI e del SNC, oltre che cardiaci (bradicardia, ritardi di conduzione, etc.). Non associare a
beta-bloccanti. Il verapamil aumenta la concentrazione di altri farmaci.
5. Adenosina: si dà nella tachicardia con QRS stretto. Blocco di breve durata della conduzione AV.
Effetti collaterali: dispnea, flush, broncospasmo.

Elettroterapia dei disturbi del ritmo cardiaco: distinguiamo tre tipo di interventi terapeutici:
1) Terapia con pacemaker:
A) Pacemaker antibradicardici: si utilizzano 5 lettere per definire il tipo:
· 1° lettera: indica il punto di stimolazione (A= atrio; V= ventricolo; D= duale, entrambi).
· 2° lettera: indica il punto di percezione (A, V, D, stesse lettere).
· 3° lettera: tipo di funzionamento (I= inibizione, T= eccitazione; D= doppio, I+T).
· 4° lettera: adattamento alla frequenza: R= rate modification.
· 5° lettera: stimolazione multifocale. Stesse lettere del punto 1.
Il pacemaker a richiesta entra in funzione quando la frequenza minima è al di sotto di un certo livello.
Programmabilità: è la possibilità di programmare la frequenza dello stimolo e l’energia dell’impulso.
Isteresi: ritardo programmato nell’innesco dell’impulso da pacemaker (es:pacemaker tarato per andare a
70/min si attiva quando la frequenza giunge a 60/min). Distinguiamo quind:
1. Pacemaker mono-ventricolare:
a. VVI (ventricolare): in caso di bradi aritmia con fibrillazione atriale. La stimolazione non
è fisiologica in quanto è direttamente ventricolare con imput retrogrado all’atrio (sistole
atriale non ritmica).
b. AAI (atriale): in caso di disturbi del nodo del seno con conduzione AV intatta.
2. Pacemaker bi-ventricolare: DDD: (sequenziale AV) si usa nei pazienti che possono avere necessità
sia di bypassare la conduzione AV che di stimolare il nodo del seno.
3. Pacemaker che adattano la frequenza: VVI-R o DDD-R, in grado di aumentare la frequenza di
stimolazione in base al carico. Utilizzano un sensore di attività (piezocristallo) oppure un sensore
di volume respiratorio/minuto che è un sensore fisiologico, che ha l’unico svantaggio di garantire
una risposta ritardata.
4. Altre funzioni disponibili: appiattimento delle frequenza (in caso di pause del seno sotto-
sforzo) o mode-switching (cambio automatico di modalità da DDD o DDI).
Indicazione all’impianto di pacemaker: bradicardia sintomatica (sindrome del NSA, sindrome del seno
carotideo), blocco SA o AV grave (AV almeno di II grado).
B) Sistemi antitachicardici:
1. ICD: defribillatotre/cradiovertitore impiantabile, utile nelle tachicardie ventricolari e fibrillazione
ventricolare. In caso di TV tenta una cascata preprogrammata di sovra stimolazioni. In caso di
fibrillazione esegue una defibrillazione interna.
2. WCD: cardiovertitore/debrifrillatore portatile, nei casi in cui l’ICD non è stato ancora impiantato
o di dubbia utilità o sospeso, riduce la mortalità per MCI.
Indicazioni: prevenzione secondaria di MCI, prevenzione di morte cardiaca in pazienti con scompenso
cardiaco e frazione di eiezione bassa o sindromi congenite ad alto rischio (es.QT lungo)
3. Pacemaker antitachicardico/bradicardico: PCD, pacemaker cardiovertitore/defibrillatore con
funzione di cardioversione/defibrillazione, sovrastimolaizione, stimolazione antibradicardica.
4. TRC: terapia di risincronizzazione cardiaca. Una sonda trans venosa atriale e due sonde ventricolari

37
I Gazzellini

vengono collocate nel setto ventricolare destro e attravero il sistema coronarico venoso nel
ventricolo sinistro. Si usa in casi di scompenso cardiaco con bassa frazione di eiezione, blocco di
branca sinistra.
Follow-up: regolari controlli della funzione del pacemaker: il primo entro 3 mes, poi dopo 6-12 mesi.
Controllo della risposta dello stimolo, della percezione, carica delle batterie.
2) Cardioversione elettrica e defibrillazione esterna: Indicazione: Assoluta: tachicardie sopraventricolari
o ventricolari con minaccia di shock cardiogeno o fibrillazione ventricolare. Relativa: mancanza di risposta
alla correzione farmacologica della fibrillazione atriale. Vengono depolarizzate le cellule cardiache
contemporaneamente attraverso una scarica di corrente continua applicata al torace. Si riattiveranno
prima le cellule con minore stabilità della membrana a riposo, ossia le cellule del nodo del seno. Però
possono continuare a prevalere foci ectopici.
Scelta dell’energia: Fibrillazione e tachicardia ventricolare polimorfa: Scarica a 200 J, in caso di insuccesso
altre scariche a 360 J. Tachicardia ventricolare monomorfa o fibrillazione atriale: Scarica a 200 J. Il paziente
cosciente viene anestetizzato leggermente per via endovenosa (endomitato), Se vi è rischio di trombosi
bisogna trattare il paziente con anticoagulanti.
3) Elettroablazione (ablazione con catetere = ablazione HF): si tratta dell’eliminazione ad alta frequenza
di tessuto aritmogeno mediante un catetere munito di elettrodi, previa identificazione tramite mapping
intracardiaco. Può essere del nodo AV, delle vie di consuduzione accessorie, etc.

Fibrillazione atriale

Epidemiologia: è la più frequente tachiaritmia sopraventricolare. L’incidenza aumenta con l’età, fino a
raggiungere il 6-7% negli anziani.
Eziologia: può essere primaria (idiopatica, 15% dei casi) o secondaria. Le cause di fibrillazione atriale
secondaria possono essere cardiache: alterazioni mitraliche, malattia coronarica/infarto, insufficienza
cardiaca (>50% in pazienti con NYHA IV), cardiomiopatie, interventi al cuore, sindrome del nodo del seno.
Cause extracardiache sono: ipertensione arteriosa, embolia polmonare, ipertiroidismo, intossicazione da
alcol o farmaci, obesità. In particolare è importante l’associazione con scompenso cardiaco cronico: le
elevate pressioni di riempimento ventricolare si ripercuotono dando elevate pressioni atriali e fenomeni di
stretch della parete atriale che possono essere uno stimolo elettrico per l’insorgenza di fibrillazione atriale.
La fibrillazione atriale aumenta la mortalità nello scompenso cardiaco sia per il peggioramento della
condizione emodinamica sia per possibili fenomeni embolici.
Patogenesi: i circuiti di rientro causano una frequenza atriale di circa 350-600 bpm, che non corrisponde
sempre a una contrazione atriale. Il NAV limita la conduzione al ventricolo che però avrà tempi di diastole
e di sistole irregolari con gittata cardiaca variabile.
Pare che in caso di FA vi sia spesso perdita di massa muscolare atriale e fibrosi atriale. In ogni caso la
fibrillazione causa dilatazione atriale. Vi è una teoria che la causa della FA in un’origine focale, ed una
che la vede in multiple onde caotiche che si distribuiscono all’atrio. Le teorie potrebbero coesistere (nei
pazienti giovani pare essere più comune l’origine focale).
Decorso: Episodio unico: sintomatico o asintomatico. FA ricorrente: 2 o + episodi di durata >30sec
Fibrillazione atriale parossistica: FA ricorrente che termina spontaneamente in genere entro le 48h
(anche 7 giorni). Fibrillazione atriale persistente: termina in solo in risposta alla terapia farmacologica
o elettrica. Fibrillazione atriale permanente: di lunga durata e in cui i tentativi di cardioversione non
hanno dato risultati.
ECG tipico: il NAV fa sì che la frequenza ventricolari non superi generalmente i 100-150 bpm. VI è assenza
di onde P, intervalli RR irregolari, frequenza ventricolare molto variabile. Il fondo del tracciato può
essere piatto o con piccole onde F di fibrillazione irregolari. Possiamo avere:
· FA ad elevata risposta ventricolare: più nei giovani, senza problemi di conduzione.

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Cardio per Interna

· FA a bassa risposta ventricolare: tipica del paziente anziano con turbe di conduzione.
Clinica: spesso è del tutto asintomatica. Specialmente nella forma parossistica possono comparire
palpitazioni, astenia, dispnea, affaticabilità, agitazione, manifestazioni ischemiche cerebrali. Anche polso
irregolare e ridotto, possibile poliuria, vertigine e sincope. L’EHRA score distingue: EHRA I: no sintomi; II:
pochi sintomi; III: influisce sull’attività quotidiana. IV: sintomi disabilitanti.
Complicanze: la principale complicanza è la formazione di trombi atriali con pericolo di embolia
arteriosa, specialmente embolie cerebrali (20% di tutti gli ictus). Il rischio diviene più alto soprattutto in
caso di FA cronica. Fattori di rischio trombo embolico: età >75 anni, pregresso ictus o TIA, insufficienza
cardiaca, sostituzione valvole cardiache, stenosi mitralica, ipertensione e diabete, riscontro di dilatazione e
trombi atriali tramite ecocardiogramma trans esofageo.
Classificazione del rischio CHADS: C: insufficienza Cardiaca H: Hipertension A: Age >75 D: Diabete S:
Stroke (ictus).
Diagnosi: Anamnesi (ritmo cardiaco percepito, frequenza episodi, durata episodi, anamnesi patologica,
abuso di alcol, familiarità). Poi Esame obiettivo, ecocardio, emocromo, TSH, Rx torace, Holter. In pazienti
scelti: elettrofisiologia, coronarografia, studio della funzione vascolare.
Terapia:
1) Paziente emodinamicamente instabile: cioè con pressione arteriosa in calo, segni di shock, scompenso
cardiaco acuto, angina: si provvede alla eparinizzazione (eparina sodica ev) del paziente e successiva
cardioversione elettrica (da 100 a 360 J). Stabilizzazione e diagnosi.
2) Paziente emodinamicamente stabile: in questo caso vi sono due strategie terapeutiche:
· Rate control: controllo della frequenza e prevenzione tromboembolismo. Si preferisce in pazienti
anziani o nei lievemente sintomatici:
o Controllo frequenza: Se stile di vita inattivo: digossina. Se stile di vita attivo: Con HTA o
nessuna patologia: beta-bloccanti (Esmololo), o calcio-antagonisti (Diltiazem e Verapamil,
non con beta-bloccanti), meno la digitale. Insufficienza cardiaca: beta-bloccanti. BPCO:
calcio antagonisti, digitale, beta1-bloccanti.
Altrimenti ablazione del nodo AV e impianto di pacemaker.
o Prevenzione tromboembolia: Se con FA isolata e no fattori di rischio del CHADS: ASA. In
tutti gli altri: Warfarin (ogni settimana controllare se INR è tra 2-3).
· Rhythm control: ristabilimento del ritmo sinusale e (mantenimento). Si preferisce in giovani o
fortemente sintomatici. Ristabilire il ritmo sinusale tramite cardioversione.
o Cardioversione: se la fibrillazione atriale dura da più di 48 ore, prima di effettuare la
cardioversione si somministrano anticoagulanti per almeno 4 settimane:
§ Farmacologica: Se con patologia cardiaca: si preferisce Amiodarone. Altrimenti:
Propafenone o Fleicanamide. Se fallisce: cardioversione elettrica (200J). Esiste
anche la cardioversione con ablazione.
§ Prevenzione recidive: le recidive di fibrillazione atriale dopo cardioversione sono di
circa del 75% entro l’anno. Se con cardiopatia: Amiodarone. Altrimenti: Propafenone
o Fleicainamide o ablazione con catetere.
In pazienti con fibrillazione parossistica si può usare l’approccio pill in the pocket.

Malattie Valvolari
Valvulopatie acquisite: possono essere di tipo restrittivo (stenosi) o di tipo incontinenza (insufficienze).
Entrambe le disfunzioni possono colpire tutti gli apparati valvolari e possono essere isolati (stenosi
o insufficienza di una sola valvola), combinati (steno-insufficienza della stessa valvola) o composti (più
valvole interessate). Le stenosi sono solitamente a insorgenza progressiva, le insufficienze possono
essere acute o croniche. Le valvulopatie sono spesso evidenti all’esame obiettivo (auscultazione di soffi)
39
I Gazzellini

e all’ecocardiogramma (soprattutto con color-doppler) e causano conseguenze emodinamiche nelle


camere cardiache per il tentativo di compenso. Le stenosi causano conseguenze soprattutto a monte,
con ipertrofia e a volte dilatazione delle camere, le insufficienze causano conseguenze sia a monte che
a valle con dilatazione e a volte ipertrofia delle camere che si trovano a manipolare maggiori volumi di
sangue. Quando questi meccanismi si esauriscono può manifestarsi scompenso. Le affezioni della valvola
polmonare sono per lo più congenite o connesse a ipertensione polmonare o (di rado) a endocardite. Per
il resto sono rare.

Stenosi mitralica

Definizione: malattia cronica progressiva della valvola mitrale, caratterizzata da restringimento dell’orifizio
mitralico che crea ostacolo al flusso dell’atrio sinistro durate il riempimento diastolico ventricolare.
La mitrale ha una superficie media normale di 4-6cm2. Se la stenosi è lieve la superficie è ristretta, ma
comunque superiore a 2cm2, se è media è tra 1 e 2cm2, se è severa è <1cm2.
Eziologia: la causa è prevalentemente una cardite reumatica postreptococcica pregressa (ed è più
comune nella donne). Dopo l’infiammazione si ha ispessimento e fibrosi delle cuspidi valvolari con aree
di aderenza e fusione della commessure valvolari. Le cuspidi possono restare flessibili o divenire rigide
e calcifiche. Talvolta i lembi sono talmente aderenti e rigidi da non riuscire né ad aprirsi né a chiudersi
(steno-insufficienza mitralica).
Altre cause sono formazioni neoplastiche (tipo mixoma atriale sinistro) o trombotiche o proliferazione
eccessiva di vegetazioni endocarditiche. La stenosi mitralica congenita è rara.
Fisiopatologia: Se l’orifizion divene minore di 2,5cm2 si ha un aumento della pressione atriale sinistra
ed ipertrofia atriale. Questo comporta pertanto:
§ Formazione di trombi nell’atrio sinistro ingrandito e possibili eventi embolici.
§ Edema polmonare: aumenta la pressione all’interno di vene e capillari polmonari a causa
dell’aumento della pressione atriale. Può causare dispnea e persino emottisi.
§ Insufficienza cardiaca destra: da ipertensione polmonare, ma il paziente è a lungo senza sintomi.
Causa congestione sistemica: turgore delle giugulari, ascite, edema, affaticamento.
§ Ridotta gittata cardiaca sinistra: a causa della stenosi vi è minore riempimento diastolico.
§ Fibrillazione atriale: atrio sinistro ingrandito. Aumenta ancora il rischio di emboli.
Clinica: Il paziente può restrare a lungo asintomatico. I sintomi più comuni sono: dispnea, ortopnea,
dispnea parossistica notturna, edema polmonare. Bronchiti invernali: causate dalla congestione
polmonare e dall’ipersecrezione di muco. Emottisi. Astenia e affaticamento. Palpitazioni: correlate alla
fibrillazione atriale. Embolie sistemiche: a causa della formazioni di trombi nell’atrio sinistro dilatato e a
volte con FA.
Diagnosi: come in tutte le valvulopatie, l’esame obiettivo resta fondamentale:
§ Esame obiettivo:
o Ascite, turgore delle giugulari e edemi declivi: se c’è scompenso destro.
o Soffio diastolico nel focolaio mitralico: nel focolaio mitralico (itto cardiaco).
o Altri segni: facies mitralica (zigomi rossi), I tono aumentato, schiocco mitralico.
§ Esami strumentali: ECG (possible ingrandimento atrio, ipertrofia ventricolare destra, FA). Rx
torace: ingrandimento atrio sinistro, strie di Kerley da edema polmonare. Ecocardiogramma:
permette di vedere alterazioni della valvola e distinguere una stenosi mitralica lieve, moderata
o serrata (severa). Con l’ecocardiografia transesofagea si possono in modo ancora più preciso
rilevare trombi nell’atrio sinistro. Se questi esami non si rivelano diagnostici si può effettuare un
cateterismo cardiaco (rilevazione pressioni).
Terapia medica: la malattia diviene progressivamente più severa. Limitare attività fisica. Un beta-bloccante
può controllare la frequenza e furosemide se vi è scompenso cardiaco destro. Nel caso di fibrillazione
atriale bisogna fare un trattamento anticoagulante con warfarin.
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Cardio per Interna

Terapia chirurgica: è indicata quando il paziente ha area valvolare inferiore a 1,5cm2 ed è almeno
nella II classe NYHA, o ha FA, o episodi embolici, o scompenso destro. Eseguire ecocardio ed ecocardio
la trans esofageo per vedere se ci sono trombi nell’atrio sinistro. Se il lembi sono ancora poco calcificiati
si può eseguire PMBV, ossia valvuloplastica con palloncino (minore mortalità rispetto alla chirurgia).
Nei pazienti in cui la PMBV non ha successo o vi è ristenosi si indica intervento chirurgico. Si può fare
valvulotomia (commissurotomia). Se il paziente è gravemente sintomatico (classe III di NYHA) è indicata
la sostituzione valvolare mitralica con protesi biologica o protesi meccanica (mortalità quasi del 5%).

Insufficienza mitralica

Definizione: IM, è caratterizzata da un reflusso di sangue dal ventricolo sinistro (camera ad alta pressione)
all’atrio sinistro (bassa pressione) durante la sistole ventricolare, a causa di un’incompleta chiusura dei
lembi mitralici. Comporta un grado variabile di dilatazione di entrambe le cavità. Si distingue in acuta e
cronica, ma anche in primaria (alterazione primitiva) o secondaria (disfunzione dell’apparato a causa
della dilatazione del ventricolo sinistro).
Eziologia: il danno può essere a carico dei lembi valvolari (malattia reumatica, che può dare anche
steno-insufficienza, endocarditic, mixomi), anello mitralico (miocardiopatia dilatativa), corde
tendinee (malattie del connettivo), muscoli papillari (infarto del miocardio).
La principale causa di insufficienza secondaria è la disfunzione ventricolare.
Patogenesi:
Insufficienza cronica: si ha adattamento del ventricolo sinistro in quanto i rigurgiti sono di intensità
graduale. All’inizio si ha ipertrofia ventricolare quindi eccentrica (più dilatazione che ipertrofia).
Pertanto con il tempo si ha riduzione della contrattilità con insufficienza ventricolare e ridotta gittata.
Con il tempo anche ipertensione atriale e quindi polmonare.
Insufficienza acuta: il ventricolo si trova all’improvviso a far fronte ad un sovraccarico di volume.
Spesso nelle endocarditi acute o rottura del muscolo papillare a causa di un infarto. Il ventricolo non si
dilata né si ipertrofizza e si ha un marcato aumento pressorio atriale, rapida ipertensione polmonare
e quindi edema polmonare. Si può avere shock cardiogeno.
Clinica: i pazienti restano stazionari molto a lungo.
Insufficienza cronica: a lungo asintomatica. Sintomi da scompenso sinistro come dispnea. Rara la
fibrillazione atriale nell’atrio che può essere però dilatato.
Insufficienza acuta: dispnea che esordisce improvvisamente ed è rapidamente ingravescente, anche
edema polmonare acuto e progressione rapida verso lo shock cardiogeno.
Diagnosi: resta essenziale l’esame obiettivo.
§ Esame obiettivo: Soffio sistolico in area mitralica (apice o itto) dovuto al rigurgito.
§ Esami strumentali: all’ECG è visibile un’ipertrofia atriale sinistra, all’Rx torace: dilatazione
ventricolare sinistra o segni di stasi polmonare. L’ecocardiogramma è un esame fondamentale
perchè evidenzia dilatazioni e l’entità del rigurgito. Se questi esami non si sono rivelati
diagnostici si può eseguire un cateterismo cardiaco. La ventricolografia con m.d.c risulta
spesso diagnostica.
Terapia medica: eventuale warfarin per FA e terapia scompenso se presente.
Terapia chirurgica: l’intervento chirurgico è indicato dal momento in cui cominciano a comparire
sintomi (anche se solo in classe II NYHA). Pazienti che sicuramente devono essere indirizzati alla
chirurgia sono quelli con FE<60%. In caso di insufficienza acuta massiva l’intervento è obbligatorio.
La terapia chirurgica può essere:
§ Riparazione valvolare: la chirurgia conservativao valvuloplastica è il motivo di un’indicazione
chirurgica così precoce. Infatti ha una mortalità intraoperatoria inferiore all’1%. Indicato nel caso
in cui non vi sia sclerosi calcifica dei lembi. Si usano anelli protesici che servono a restringere
l’anulus. Anche riparazione corde tendinee.
41
I Gazzellini

§ Sostituzione valvolare: Ha maggiore mortalità, l’uso di vasodilatatori in fase post-operatoria


l’ha ridotta (spesso avveniva per scompenso cardiaco subito dopo).

Prolasso mitralico

Definizione: alterazione della valvola mitrale che consiste in lembi mitralici ridondanti che i estroflettono
(prolassato) anche cospicuamente oltre l’anello durante la sistole ventricolare. Può interessare fino al
6% della popolazione, specialmente femminile. Solo nel 10% dei casi causa insufficienza mitralica,
che solo in un terzo di questi è di grado rilevante.
Eziologia: vi sono forme primarie (familiari, sindrome di Marfan, altre patologie connettivali), e
secondarie (FR, cardiopatia ischemica, cavità ventricolare ridotta come nella miocardiopatia ipertrofica,
difetti interatriali, anoressia, ipertensione polmonare). Nella sindrome di Marfan quest’alterazione può
coinvolgere anche la valvola tricuspide e aortica.
Clinica: il paziente è spesso asintomatico. I sintomi possono essere una certa astenia e ipotensione
ortostatica. Può esserci notevole ansia per sintomi come vertigini, palpitazioni e fugaci dolori toracici
non associati allo sforzo. Possibili aritmie sopraventricolari.
Esame obiettivo: si può rilevare un click mesosistolico e raramente un soffio sistolico da insufficienza
mitralica che si avverte meglio con paziente in clinostatismo.
Diagnosi: oltre all’esame obiettivo, si possono rilevare all’ECG alterazioni nella depolarizzazione
(tratto ST sottoslivellato e onde T invertite) e all’Holter possono comparire aritmie sopraventricolari. La
diagnosi avviene in genere però mediante ecocardiogramma.
Prognosi: in genere benigna con decorso asintomatico anche per tutta la vita.
Terapia: i pazienti vanno rassicurati sulla benignità della condizione. Se c’è storia di endocardite si
può fare profilassi. I beta-bloccanti possono in alcuni casi alleviare i sintomi (possibili anche ansiolitici).
L’indicazione chirurgica c’è solo nei casi di IM che la richiedono.

Stenosi aortica

Definizione: malattia delle semilunari aortiche con restringimento valvolare che provoca ostruzione
all’efflusso di sangue dal ventricolo sinistro con sviluppo di gradiente pressorio trans valvolare e
ipertrofia concentrica del ventricolo. In un soggetto normale la valvola è tricuspide con ostio tra i 3
e i 4cm2. È considerata stenosi una riduzione sotto i 1,5cm2. Talvolta si associa ad una dilatazione post-
stenotica dell’aorta. Anche altre condizioni possono portare blocco dell’efflusso ventricolare sinistro,
come stenosi sotto o sopravalvolari.
Eziologia: Degenerazione fibro-calcifica di una valvola aortica congenitamente malformata
(maggiore suscettibilità negli individui con valvola bicuspide), malattia reumatica (può causare
anche steno-insufficienza), degenerazione fibro-calcifica senile (infiammazione e progressiva
calcificazione, con gli stessi fattori di rischio dell’aterosclerosi).
Patogenesi: si ha aumento della pressione intraventricolare sinistra che causa ipertrofia
concentrica (più ipertrofia che dilatazione). Grazie a questa ipertrofia adeguata, il paziente resta a
lungo asintomatico. Si ha però aumento del fabbisogno di ossigeno (maggiore spesa energetica)
e contemporaneamente riduzione del flusso coronarico (ipertrofia e ridotto tempo di diastole) con
aumentato rischio di ischemia miocardica. Con il tempo comunque si ha disfunzione diastolica
(riduzione della compliance per rigidità), e quindi scompenso cardiaco sinistro. Si ha aumentata
pressione nell’atrio sinistro con dilatazione atriale e possible insorgenza di fibrillazione atriale oltre
che insorgenza di dispnea.
Clinica: può restare asintomatica per anni (fase di latenza) anche se c’è una stenosi serrata. Dopo la
comparsa dei sintomi (intorno ai 50-60 anni) la prognosi è inferiore ai 5 anni.
La triade classica è: angina pectoris (minore perfusione), sincope (ridotta gittata, soprattutto sotto
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Cardio per Interna

sforzo) e dispnea (per congestione polmonare in caso di scompenso sinistro).


Diagnosi:
§ Esame obiettivo: Soffio sistolico nel focolaio aortico. Possibile sdoppiamento del secondo
tono e IV tono in caso di scompenso. Diminuzione pressione differenziale.
§ Esami strumentali: ECG: possibile ipertrofia ventricolare sinistra e segni di ischemia. Rx
torace: possible dilatazione post-stenotica dell’aorta. Ecocardiogramma: utile come in tutte
le valvulopatie: vede alterazioni della valvola e ventricolo sinistro. Cateterismo cardiaco:
obbligatorio in fase preoperatora, valuta l’entità della stenosi, che può essere: lieve (>1,5cm2);
moderata (1,5-1); medio-serrata (1-0,75); serrata (<0,75).
Terapia medica: negli asintomatici no terapia perché in genere stabili. Se vi è stenosi severa (<1cm2)
va evitata l’attività fisica strenua. Terapia angina (nitrati) e scompenso, se presenti. L’utilizzo di statine
riduce la progressione della stenosi.
Terapia chirurgica:
§ Pazienti con stenosi severa, ma senza disfunzione ventricolare sinistra (FE>50%) e
asintomatici: è bene procrastinare l’intervento ed effettuare controlli periodici.
§ Pazienti con area valvolare <1cm2, frazione di eiezione <50%: sono candidati alla
sostituzione valvolare aortica (previa coronarografia di controllo). La valvuloplastica aortica
percutanea con palloncino non ha dato grandi risultati e può essere indicata solo per pazienti
con alto rischio per intervento chirurgico.

Insufficienza aortica

Definizione: chiusura incompleta delle cuspidi valvolari durante la diastole del ventricolo sinistro, con
relativo reflusso diastolico dall’aorta. Il sovraccarico di volume comporta un’ipertrofia eccentrica che
alla lunga causa scompenso. È dilatata anche l’aorta e nelle fasi avanzate l’anello mitralico (insufficienza
mitralica secondaria funzionale).
Eziologia: un tempo le cause più comuni, erano malattia reumatica e sifilide. Altre cause sono
malformazioni tipo aorta bicuspide, vegetazioni da endocardite (che possono provocare perforazioni),
connettivopatie (tipo sindrome di Marfan), malfunzionamenti delle protesi.
Malattie della radice aortica possono causare insufficienza per dilatazione e distorsione della radice
(come nell’aortiti, ad esempio da lue o AR, e nelle aortopatie non infiammatorie) o per perdita del
supporto commissurale (come nella dissecazione aortica).
Patogenesi: si distinguono una forma acuta ed una cronica:
Insufficienza cronica: il sovraccarico di volume da reflusso causa ipertrofia eccentrica (dilatazione
più che ipertrofia). Si va verso la scompenso sinistro che come primo sintomo presenta la dispnea
da sforzo (aumento pressione polmonare). Si ha riduzione della pressione diastolica aortica con
minore perfusione coronarica che, associata all’aumentata richiesta di ossigeno per ipertrofia,
aumenta il rischio di eventi ischemici (come nella stenosi aortica).
Insufficienza acuta: si ha rigurgito acuto con il ventricolo che non può rispondere con l’ipertrofia
eccentrica. Aumento improvviso della pressione tele diastolica con contemporaneo aumento della
pressione atriale sinistra e quindi nel circolo polmonare. Si può pertanto avere shock cardiogeno
ed edema polmonare acuto.
Clinica:
Insufficienza cronica: all’inizio il paziente è asintomatico, e si può mantenere tale per moltissimi anni.
Poi astenia (ridotta gittata) e più raramente dispnea da sforzo. Alla fine anche angina pectoris ed edema
polmonare da stasi.
Insufficienza acuta: si ha rapidamente ipotensione e sincope, il paziente suda ed è tachicardico,
compare edema polmonare.
Diagnosi:
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I Gazzellini

§ Esame obiettivo: Soffio diastolico da rigurgito in area aortica. Si può avere anche polso
ampio e celere (scoccante) a causa della grande pressione differenziale. La stessa provoca la
cosiddetta danza della arterie con vistose pulsazioni soprattutto delle arterie superficiali e che
causa a volte oscillazioni ritmiche del capo o degli arti.
Nell’insufficienza acuta: meno evidente, polso è piccolo ma non scoccante ed anche il soffio
diastolico è meno evidente e può sfuggire.
§ Esami strumentali: ECG: il complesso QRS può apparire di ampiezza aumentata, possibili
segni di ischemia. Ex torace: possible ventricolo sinistro dilatato o anche aorta ascendente
dilatata. Ecocardiogramma: visione valvola e funzione ventricolo. Nel follow-up è utilizzata
l’angioscintigrafia con tecnezio che valuta funzione ventricolare e frazione di rigurgito.
Cateterismo cardiaco: attualmente meno indicato perché l’ecocardio è molto preciso.
Prognosi: le forme lievi possono essere asintomatiche anche tutta la vita, peggiorano rapidamente
con endocardite infettiva. Dopo la comparsa di disfunzione ventricolare la sopravvivenza a 10 anni è
del 50%. Sono però pericolosi emboli, aritmie e l’insorgenza, per marcata dilatazione ventricolare, di
insufficienza mitralica anche grave.
Terapia medica: nell’acuta c’è risposta a diuretici e vasodilatatori, ma è indicata la chirurgia urgente.
Nella cronica oltre all’uso di anticoagulanti in pazienti con episodi embolici, sono indicati diuretici
e vasodilatatori se non per curare lo scompenso, almeno per mantenere la pressione sistolica
<140mmHg. Bisogna evitare esercizio fisico isometrico, utili i nitrati.
Terapia chirurgica: nelle forme acute l’indicazione è estensiva.
Nelle forme croniche è indicata in pazienti gravemente sintomatici, ma anche i pazienti asintomatici
devono essere seguiti con follow-up che preveda un’ecocardiogramma ogni 6 mesi (o 3-12) perché
i sintomi compaiono solo dopo comparsa di una disfunzione miocardica e il trattamento chirurgico
non ripristina la normale funzione ventricolare se eseguito con troppo ritardo. Un controllo costante
permette di eseguire l’intervento nel momento migliore, quando è ancora utile e quando la mortalità è
bassa. Si indica quando la FE<50%. In genere si esegue sostituzione della valvola. Se vi è dilatazione
o comunque alterazione aortica si possono usare tubi valvolati tipo Bentall che sostituiscono anche
l’aorta ascendente.

Stenosi tricuspidale

Definizione: ST, rara condizione clinica con ostacolo attraverso la tricuspide al flusso dall’atrio al
ventricolo destro durante il suo riempimento diastolico.
Eziologia: è raro che sia isolata, in buona parte dei casi è associata ad una vavulopatia mitralica e/o
anche aortica in quanto la causa più comune è la malattia reumatica. Può essere causata anche da
mixomi, LES, sindromi congenite, sindrome da carcinoide (di solito dà insufficienza).
Fisiopatologia: un restringimento dell’ostio inferiore a 1,5 crea un significativo ostacolo al riempimento
del ventricolo destro. Si ha aumento della pressione nell’atrio destro e riduzione della gittata
cardiaca. Si ha quindi uno stato congestizio del sistema venoso sistemico con turgore giugulare ed
epatosplenomegalia oltre ad un progressivo scompenso cardiaco.
La riduzione della portata spiega perché i livelli della pressione in atrio sinistro e circolo polmonare
sono normali o poco aumentati anche in presenza (molto comune) di una valvulopatia mitralica.
L’atrio destro in genere si dilata anche più precocemente del sinistro.
Clinica: sintomi modesti e atipici, con affaticabilità e astenia (ridotta portata) e dispnea da sforzo.
Sensazione di replezione per l’epatomegalia e la stasi venosa addominale. Attenua i sintomi di una
stenosi mitralica (spesso coesistente) evitando la congestione polmonare.
Diagnosi:
§ Esame obiettivo: Soffio diastolico in area tricuspidale (IV-V spazio sinistro). Si possono
avvertire i segni di stenosi mitralica e/o aortica.
44
Cardio per Interna

§ Esami strumentali: ECG: possible ipertrofia atriale destra. Ex troace: dilatazione atrio destro,
epatomegalia (c’è anche evoluzione in cirrosi). Ecocardiogramma: sempre fondamentale,
anche se la tricuspide non è di facile visualizzazione.
Terapia medica: si fa generalmente profilassi per l’endocardite e i diuretici attenuano i sintomi della
stasi venosa (associati a dieta povera di sodio).
Terapia chirurgica: Se l’orifizio è inferiore a 2cm2 è indicato l’intervento, in genere contemporaneamente
a valvulotomia mitralica. Si può pensare ad una commissurotomia, ma anche sostituzione valvolare.
La valvuloplastica è una possibilità (incerta, boh).

Insufficienza tricuspidale

Definizione: IT, rigurgito di sangue dal ventricolo all’atrio destro durante la sistole ventricolare, con
sovraccarico di volume nelle due cavità e dilatazione. Può essere dovuta a lesioni dell’apparato valvolare
o secondaria a dilatazione ventricolare.
Eziologia: la cardiopatia reumatica resta la prima causa di insufficienza tricuspidale cronica. La
forma cronica si accompagna più spesso a stenosi mitralica (anche perchè questa causa ipertensione
polmonare e possible dilatazione del ventricolo destro). Altre cause sono patologie che colpiscono il
ventricolo destro, sindrome da carcinoide, cardiopatia ischemica cronica. L’ischemia acuta è invece una
causa di IT acuta. Anche endocardite o embolia polmonare.
Patogenesi:
Insufficienza cronica: è raramente un evento isolato. Si ha sovraccarico cronico di volume con
dilatazione di atrio e ventricolo destro, con pressione aumentata nell’atrio destro e nelle vene
cave. La pressione diastolica ventricolare destra resta a lungo normale perché il ventricolo destro ha
grande compliance. Ma se è associata una stenosi mitralica che a causa di ipertensione polmonare
ha portato ad ipertrofia (e ridotta compliance) del ventricolo destro si ha rapido scompenso destro
con le pressioni atriale destra e venosa sistemica che salgono molto con evidente turgore giugulare ed
epatomegalia, anche ascite. È frequente l’associazione (date il notevole disturbo all’atrio destro) con
fibrillazione atriale.
Insufficienza acuta: aumento della pressione atriale sistolica con valori pressori atriali medi però non
troppo elevati. Il sovraccarico di volume è spesso ben tollerato nel ventricolo destro, ma l’aumento
della pressione può causare cuore polmonare acuto.
Clinica: nelle forme croniche associate a valvulopatia mitralica il segno di insufficienza tricuspidale
compare lentamente con edemi declivi, epatomegalia anche notevole e tensione al collo da turgore
giugulare. Nell’acuta può esserci epatomegalia anche dolorosa.
Diagnosi
§ Esame obiettivo: Soffio sistolico in area tricuspidale. Si può rilevare epatomegalia anche
pulsante e reflusso epato-giugulare.
§ ECG: Si può notare ipertrofia ventricolare destra e atriale destra, possibile FA. Rx torace:
dilatazione ventricolare destra. Ecocardio: stima rigurgito e dilatazione atriale e ventricolare.
Cateterismo cardiaco: solo in pazienti con indicazioni chirurgiche.
Spesso bisogna valutare la coesistenza di IT in corso di altre valvulopatie. Mentre nelle forme acute ci si
può confondere con addome acuto, nelle forme croniche si rischia di non capire se un’IT sia primitiva o
secondaria allo scompenso stesso (influenza la terapia).
Prognosi: nelle forme croniche con disfunzione ventricolare destra il quadro procede verso uno
scompenso con rischio di complicazioni con ipertensione portale, ascite, cirrosi epatica. L’intervento
sulla mitrale, nei casi associati a valvulopatia mitralica,può risolvere l’IT o attenuarla, ma non tanto se
c’è già disfunzione ventricolare destra.
Terapia: in sostanza l’IT senza ipertensione polmonare è ben tollerata. Associata a valvulopatia mitralica,
come detto, può bastare risolvere il problema mitralico. In generale le forme di IT lievi non vanno

45
I Gazzellini

trattate. L’intervento può essere considerato in caso di IT rilevante si può praticare con valvuloplastica,
ma anche sostituzione valvolare.

Valvulopatie polmonari
a parte cause congenite, sono piuttosto rare. Una causa può essere la sindrome da carcinoide, la malattia
reumatica colpisce la polmonare raramente. Si avverte un soffio diastolico in area polmonare.

Valvulopatie miste
Steno-insufficienza mitralica: in genere da malattia reumatica. I sintomi dipendono dalla prevalenza
di una o dell’altra. In genere si associa a valvola molto calcificata e compromessa. Il decorso è in genere
più rapido rispetto alle forme pure, con sopravvivenza più bassa.
Steno-insufficienza aortica: doppio vizio aortico, non infrequente. Si ha sempre ipertrofia (adeguata)
ventricolare con ridotta compliance. In genere la causa è una malattia reumatica.

Sostituzione valvolare
Definizione: intervento che prevede l’eliminazione della valvola lesa o mal funzionante e impianto
di una protesi. La trombogenicità della protesi. La mortalità aumenta con l’età e con le patologie
concomitanti. Complicanze tardive sono distacco della protesi, trombo embolie, emorragie da terapia
anticoagulante, deterioramento della protesi, endocardite infettiva. Oggi esistono molti tipi di protesi
valvolari, sia meccaniche che biologiche.

Indicazioni: La scelta tra protesi meccanica e biologica è condizionata da diversi aspetti. Le protesi
meccaniche sono a rischio di complicanze tromboemboliche. Il paziente è costretto a fare un
trattamento anticoagulante a vita, mentre il rischio trombo embolico delle protesi biologiche è quasi
nullo dopo tre mesi. Le protesi meccaniche possono però avere una durata anche illimitata, a differenza
di quelle biologiche che sono molto più sensibili al deterioramento meccanico e per questo i pazienti
necessitano di intervento risostitutivo nel 30% dei casi a 10 anni e nel 50% a 15 anni. In teoria in pazienti
giovani (<65 anni), si preferisce l’uso di protesi meccaniche a meno che non ci siano controindicazioni
alla terapia anticoagulante o il paziente si rifiuti di assumerla. La protesi biologica è indicata in pazienti
con età >65 anni, in pazienti con controindicazioni all’anticoagulazione o che hanno sviluppato
endocardite su protesi meccanica già installata e in donne desiderose di gravidanza.

Protesi meccaniche: ve ne sono di vari tipi, possono essere installate da sole o all’interno di tubi
valvolati (ad es. per sostituzione della radice aortica). Sono costituite da materiale sintetico come
dacron, teflon e titanio.

Protesi biologiche: sono costituite di materiale di origine valvolare (protesi di Hancock) o non valvolare
(come il pericardio). Questo può provenire dallo stesso paziente (autograft), ma anche da cadavere
(homograft) o da animale (xenograft, valvole aortiche porcine o pericardio bovino criopreservato).
L’homograft vengono prelevate da cadavere poi sterilizzate a bassa concentrazione antibiotica (minore
potere citotossico) e criopreservate. Si possono anche asportare da cuori battenti da cuori non
trapiantabili (homovital, con vitalità cellulare preservata) e in tal caso non vengono né trattate né
preservate, bensì mantenute a 4° con tempo tra espianto e impianto minore di 48 ore.

46
Cardio per Interna

Ipertensione arteriosa
Definizione: secondo le nuove linee guida i valori limite sarebbero:
Pressione: Sistolica Diastolica
Ottimale < 120 mm Hg e < 80 mm Hg
Normale 120-129 mm Hg e/o 80-84 mm Hg
Normale-alta 130-139 mmHg e/o 85-89 mm Hg
Ipertensione di
140-159 mmHg e/o 90-99 mm Hg
grado 1

Ipertensione di
160-179 mm Hg e/o 100-109 mm Hg
grado 2

Ipertensione di
≥ 180 mm Hg e/o ≥ 110 mm Hg
grado 3

Ipertensione
≥ 140 mm Hg e/o < 90 mm Hg
sistolica isolata

La pressione normale-alta è comunque importante perché rientra nella diagnosi di sindrome metabolica.
L’ ipertensione sistolica isolata è dovuta all’aumentata rigidità dei vasi, tipica degli anziani, che infatti
hanno in genere un’aumento della pressione differenziale.
Misurazione della pressione: viene misurata con lo sfigmomanometro ad entrambe le braccia, dopo
2-3 minuti da seduti e in condizione di riposo. Per definire la valutazione del livello di gravità servono 3
misurazioni in due giorni diversi. Esiste anche l’Holter pressorio delle 24 ore.
Il primo tono di Korotkoff è la pressione sistolica, il valore a cui i toni scompaiono è la diastolica. La
misurazione è valida solo se eseguita su braccia di circonferenze normali. In caso di aumentata gittata
(febbre, anemia, gravidanza, etc.) i toni possono essere udibili fino a 0 mmHg ed in tal caso il valore
diastolico si deve leggere al diminuire dei toni di Korotkoff.
Differenze tra le due braccia: in caso di aortite, arteriosclerosi arco aortico, occlusione della succlavia o
dell’istmo aortico, dissecazione aortica, cause ignote.
L’ipertensione da camice bianco è un’ipertensione isolata dovuta alla misurazione del dottore.
Nella sclerosi della media di Mönckeberg è possibile ottenere valori erroneamente aumentati a causa
dell’aumentata rigidità della arterie da deposito di cristalli di idrossiapatite.
Epidemiologia: incidenza di circa il 25% nei pazienti industrializzati.
Fisiopatologia: l’ipertensione è data da gittata x resistente periferiche, pertanto un aumento dell’una o
dell’altra causa un aumento della pressione.
Eziologia: Ipertensione essenziale: nel 90% dei casi. Ha un eziologia multifattoriale (sovrappeso,
alimentazione, diabete, alcolici, sale, stress, fumo, età, sedentarietà).
Ipertensione secondaria: Cause renali: stenosi arterie renali o danno renale. Endocrina: iperaldosteronismo
primario, Cushing, acromegalia, feocromocitoma. Altro: stenosi istmo dell’aorta, apnea del sonno,
farmaci (contraccettivi, EPO, corticosteroidi, cocaina, liquirizia, etc.), ma anche gravidanza (con o senza
preeclampsia).
Rischio cardiovascolare: l’ipertensione è un fattore di rischio cardiovascolare. Gli altri fattori sono età,
fumo, dislipidemia, familiarità, obesità, diabete (fattore di rischio indipendente).

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I Gazzellini

Il rischio cardiovascolare aumenta con l’aumentare della pressione a partire da 110/70

Clinica: è tipicamente asintomatica. Può esserci però cefalea specie al mattino, vertigini, ansietà, dolori
precordiali o palpitazione, epistassi, dispnea da sforzo.
Complicanze:
· Lesioni vascolari del fondo oculare: I stadio: vasi ridotti di calibro. II stadio: alterazioni strutturali
come arterie a filo di rame. III stadio: lesioni alla retiana (retinopatia ipertensiva) con emorragie a
fiamma. IV stadio: edema papillare bilaterale.
· Cuore: ipertrofia ventricolare sinistra e insufficienza cardiaca, coronaropatia.
· Danni cerebrali: ischemia e infarto cerebrale da aterosclerosi vasi intra o extra-cranici, emorragia
cerebrale, encefalopatia ipertensiva.
· Nefropatia: microalbuminuria, poi nerosi con albuminuria, poi insufficienza renale.
· Aorta: aneurisma aorta addominale, dissecazione aortica.
· Ipertensione maligna: può svilupparsi da qualunque ipertensione ed è caratterizzata da una
diastolica maggiore di 120-130, alterazioni del fondo oculare III-IV stadio, IRC., encefalopatia
ipertensiva. Trattata con urgenza con Nitroprussiato e Diazossido per ev.
Diagnosi ed approccio al paziente: Anamnesi (disturbi ipertensivi, farmaci, consumo di alcol, caffè, fumo,
droghe, patologie secondarie, familiarità). Visita e diagnosi (misurazione, valutazione della presenza di altri
fattori di rischio cardiovascolare). Diagnosi di ipertensione secondaria: ad esempio in pazienti giovani
o in caso di ipertensione grave non normalizzabile con la combinazione di 3 farmaci: ricerca catecolamine
per feocromocitoma, Cushing, etc.
Diagnosi dei danni organici: cuore, arterie extracraniche, aorta, arti inferiori, reni.
Individuazione del rischio cardiovascolare: si utilizzano score come il PROCAM Score che valuta: età,
sesso, diabete, familiarità, fumo, ipertensione, peso, terapia e individua il rischio cardiovascolare a 10 anni.

Terapia: l’obiettivo primario è la riduzione del rischio cardiovascolare, che si ottiene attraverso il
controllo della pressione arteriosa. L’associazione di più farmaci è spesso fondamentale. In base alla
gravità dell’ipertensione e ad altri fattori di rischio in generale vale questo schema:
· Pressione Normale: anche in caso di 3 o più FR o di diabete basta: Modifica stile di vita.
· Pressione Normale-Alta: considerare la terapia farmacologica in caso di 3 o più FR o di un danno
d’organo o sindrome metabolica. In caso di Diabete anche terapia farmacologica.
· Ipertensione di 1°grado: Fino a 2 FR: Modifica stile di vita, se non funziona dopo
settimaneàTerapia farmacologica. >3FR o SM o danno o Diabete: Modifica stile di vita+Terapia
farmacologica.
· Ipertensione di 2°grado: Fino a 2 FR: Modifica stile di vita, se non funziona dopo
settimaneàTerapia farmacologica. >3FR o SM o danno o Diabete: Modifica stile di vita+Terapia
farmacologica.
· Ipertensione di 3°grado: Da subito: Modifica stile di vita + Terapia farmacologica.
· Malattia CV o danno renale: In ogni caso: Modifica stile di vita + Terapia farmacologica.
La terapia va normalmente seguita per anni, in genere per tutta la vita. È necessaria compliance e controllo
dell’efficacia dela terapia anche con automonitoraggio. Bisogna ottenere il controllo della pressione con
l’associazione che abbia il minor numero possibile di effetti collaterali e la migliore tollerabilità da parte del
paziente. Vari studi, come lo studio ASCOTT, hanno dimostrato come spesso non vi è completo controllo
(e che l’associazione calcio-antagonista ACEi è superiore a quella diuretico-beta-bloccante). È più facile
controllare la diastolica che la sistolica.
Misure generali: normalizzazione del peso, esercizio fisico, sospensione di farmaci favorenti l’ipertensione
(FANS, corticosteroidi, contraccettivi, EPO), dieta equilibrata con meno grassi animali, astensione da fumo,
alcol e droghe, rimozione ipercolesterolemia e iperglicemia.
Terapia farmacologica: i 5 medicinali di prima scelta sono: diuretici tiazidici, ACE-I, sartani, calcio
antagonisti e beta-bloccanti.

48
Cardio per Interna

Si inizia in genere con Monoterapia e si aggiunge un altro farmaco in caso di insufficiente efficacia. I
migliori in monoterapia sembrano essere i Calcio-Antagonisti. Nonostante questo si preferiscono ACE-I
e Sartani perché pur essendo un pochino meno efficaci in monoterapia, hanno una minore frequenza di
effetti collaterali. Sono inoltre più efficaci in pazienti con albuminuria.
Terapia di associazione: è quasi sempre necessaria in diabetici e pazienti con danno renali, ma anche
nella maggioranza dei pazienti con ipertensione lieve. In genere minimizza gli effetti collaterali potendosi
somministrare dosi più basse di ciascun farmaco. Per questo molti (come Strazzullo) preferiscono l’inizio
con una terapia combinata di 2 farmaci a basso dosaggio.
Associazioni razionali: Calcioantagonista + ACEi (vasodilatatori con meccanismi diversi), diuretico
tiazidico + altro farmaco (il diuretico aggiunge sempre un effetto). Il beta-bloccante è meglio non
associarlo ad un ACEi o sartano perché entrambi abbassano la renina. Inoltre è una buon associazione
calcioantagonista diidropiridinico +beta-bloccante in quanto il primo aumenta la frequenza ed il
secondo la diminuisce. Mai diltiazem o verapamil che abbassano la frequenza.
Associazione di 3 faramaci: se non bastano 2. Ad esempio: Diuretico + ACEi + Calcio-antagonista
Resistenza alla terapia: se con l’associazione di 3 farmaci (compreso un diuretico) non si controlla
l’ipertensione. Può essere dovuta a mancata compliance, errata misurazione (pseudo resistenze) oppure a
cause di ipertensione secondaria non riconosciute.

[Calcio-antagonisti: agiscono bloccando i canali L long lasting del calcio, riducendo così le resistenze
periferiche. Sono benzodiazepinici (diltiazem) o fenilalchilaminci (verapamil) e diidropiridinici (nifedipina,
amlodipina). Effetti collaterali: flushing, cefalea, allergie, vertigine, astenia, parestesie, edemi malleolari o
pretibiali. Controindicazioni. Insufficienza cardiaca, angina pectoris e infarto del miocardio, gravidanza e
allattamento. Aumentano la digossinemia.]

49
Estratto dalla dispensa
di A.Mazzella

Disturbi del ritmo 3

Pericarditi 21

Miocarditi 24

Cardiomiopatie 25

Endocarditi 29

Malattie dell'Aorta 33
(aneurismi e dissecazione)


3  
 

i‹•–—”„‹†‡Ž”‹–‘  

I  disturbi  del  ritmo  cardiaco  derivano  da  anomalie  della  generazione  o  della  conduzione  degli  impulsi  elettrici.  
Le  bradiaritmie  sono  causate  da  deficit  senoatriali  o  da  deficit  di  conduzione  a  qualsiasi  livello;  le  tachiaritmie  da  centri  
ectopici  di  automatismo,  circuiti  di  rientro  o  depolarizzazioni  precoci  (trigger).    
Classificazione  

A. disturbi  di  formazione  dello  stimolo  


a. origine  senoatriale:  aritmia  sinusale,  bradicardia  sinusale,  tachicardia  sinusale  
b. origine   ectopica   passiva:   segnapassi   migrante,   ritmo   di   scappamento   atriale,   giunzionale  
(idiogiunzionale),  ventricolare  (idioventricolare)  
c. origine  ectopica  attiva:  extrasistoli  atriali,  giunzionali,  ventricolari;  ritmi  di  scappamento  accelerati  
B. disturbi   di   conduzione   dello   stimolo:   blocco   senoatriale,   sindrome   del   nodo   senoatriale,   blocco  
atrioventricolare,  blocchi  di  branca,  emiblocchi  
C. tachiaritmie:   tachicardia   parossistica,   rientro   nodale,   rientro   atrioventricolare   (WPW),   flutter   atriale,  
fibrillazione  atriale,  tachicardia  ventricolare,  flutter  e  fibrillazione  ventricolare  

Eziologia:  cause  miocardiche  (cardiopatia  ischemica,  miocarditi,  cardiomiopatie);  cause  emodinamiche  (valvulopatie,  
ipertensione   arteriosa,   ipertensione   polmonare);   cause   extracardiache   (disturbi   elettrolitici,   ipertiroidismo,   ipossia,  
ĨĂƌŵĂĐŝ͕ĚƌŽŐŚĞ͙Ϳ  
La  valutazione  del  paziente  con  sospetta  aritmia  si  basa  su  due  punti  chiave:  anamnesi  e  ECG.  I  pazienti  con  aritmie  
sono  spesso  asintomatici,  ma  talvolta  possono  avere  cardiopalmo,  manifestazioni  da  ridotta  portata  (a  carico  di  SNC  e  
miocardio)  e  manifestazioni  tromboemboliche.  
>͛' Ă ƌŝƉŽƐŽ ƉƵž ŝŶĚŝǀŝĚƵĂƌĞ caratteristiche   rare  ma   importanti,   come   le   onde   delta   nella   WPW,   allungamento   o  
accorciamento   del   tratto   QT,   anomalie   del   tratto   ST   nella   Brugada,   onde   epsilon   nella   displasia   aritmogenica   del  
ventricolo  destro.  Il  monitoraggio  Holter  consente  spesso  di  identificare  le  alterazioni  elettriche  durante  un  periodo  
sintomatico.  

>ĂƚĞƌĂƉŝĂĚĞůůĞĂƌŝƚŵŝĞƐŝďĂƐĂƐƵůů͛ƵƐŽĚŝĨĂƌŵĂĐŝĂŶƚŝĂƌŝƚŵŝĐŝ͕ƐƵůů͛ĂďůĂnjŝŽŶĞƚƌĂŵŝƚĞĐĂƚĞƚĞƌĞĞƐƵůů͛ƵƐŽĚŝĚŝƐƉŽƐŝƚŝǀŝ͘  
I  farmaci  antiaritmici  hanno  meccanismi  di  azione  complessi  e  non  ben  chiari,  a  causa  della  somiglianza  tra  i  bersagli  
farmacologici,   la   variabilità   della   loro   espressione,   la   loro   modulazione   in   base   al   tempo   e   al   voltaggio.   Per   questo  
motivo   oggi   il   loro   ruolo   è   ancillare.   La   classificazione   piú   diffusa   li   divide   in   quattro   classi   in   base   al   meccanismo  
principale  (problemi:  meccanismi  multipli,  altri  meccanismi).  

x classe  I:  effetto  anestetico  tramite  il  blocco  delle  correnti  del  Na  
o /Ă͗ĂůůƵŶŐĂŵĞŶƚŽƉŽƚĞŶnjŝĂůĞĚ͛ĂnjŝŽŶĞ  -­‐  chinidina,  disopiramide,  procainamide  
o Ib:  accŽƌĐŝĂŵĞŶƚŽƉŽƚĞŶnjŝĂůĞĚ͛ĂnjŝŽŶĞ  -­‐  lidocaina  
o Ic:  potenziale  invariato  -­‐  propafenone,  flecainide  
x classe  II͗ŝŶƚĞƌĨĞƌĞŶnjĂĐŽŶů͛ĂnjŝŽŶĞĚĞůůĞĐĂƚĞĐŽůĂŵŝŶĞƐƵŝƌĞĐĞƚƚŽƌŝɴ-­‐adrenergici  
o ɴ-­‐bloccanti  non  cardioselettivi  -­‐  propranololo  
o ɴϭ-­‐bloccanti  -­‐  atenololo,  bisoprololo,  metoprololo  
o ɴ-­‐bloccanti  vasodilatatori  -­‐  carvedilolo  
x classe   III͗ ƌŝƚĂƌĚŽ ĚĞůůĂ ƌŝƉŽůĂƌŝnjnjĂnjŝŽŶĞ ƚƌĂŵŝƚĞ ů͛ŝŶŝďŝnjŝŽŶĞ ĚĞůůĞ ĐŽƌƌĞŶƚŝ ĚĞů < Ž ů͛ĂƚƚŝǀĂnjŝŽŶĞ Ěŝ ĐŽƌƌĞŶƚŝ Ěŝ
depolarizzazione  
o amiodarone,  sotalolo  
x classe  IV:  interferenza  con  la  conduttanza  del  Ca.  
o verapamil,  diltiazem  
x fuori  dalla  classificazione  
o digitale  
4  
 

o parasimpaticolitici:  atropina,  ipratropio  


o simpaticomimetici:  orciprenalina  
o adenosina  
>͛ablazione   con   catetere   consiste   nella   distruzione   selettiva   di   una   regione   di   miocardio   da   cui   partono   gli   impulsi  
anomali.  Si  effettua  con  radiofrequenze,  e  meno  frequentemente  con  le  basse  temperature.  
I  dispositivi  cardiaci  sono:  

x segnapassi,   usati   per   alcune   bradiaritmie   (classificazione   con   lettere:   ventricolare   a   richiesta   VVI,   atriale   a  
richiesta  AAI,  sequenziale  atrioventricolare  DDD)  
x cardiovertitori-­‐defibrillatori  impiantabili,  usati  in  alcune  tachiaritmie.  

Disturbi  di  formazione  dello  stimolo  


Aritmie  sinusali  
ƐŝƐƚĞ ƵŶ͛ĂƌŝƚŵŝĂ ƐŝŶƵƐĂůĞƌĞƐƉŝƌĂƚŽƌŝĂ͕ ĨŝƐŝŽůŽŐŝĐĂ ;ŝŶƐƉŝƌĂnjŝŽŶĞ ї ј ƌŝƚŽƌŶŽ ǀĞŶŽƐŽ ї ƌŝĨůĞƐƐŽ Ěŝ ĂƵŵĞŶƚŽ ĚĞůůĂ &͖
ǀŝĐĞǀĞƌƐĂŶĞůů͛ĞƐƉŝƌĂnjŝŽŶĞƉĞƌĂƚƚŝǀĂnjŝŽŶĞǀĂŐĂůĞͿ͖ĞƐŝƐƚĞĂŶĐŚĞƵŶ͛ĂƌŝƚŵŝĂƐŝŶƵƐĂůĞƉĂƚŽůŽŐŝĐĂĚĂĚĂŶŶŽĂůŶŽĚŽ^͘  
Bradicardia  sinusale:  v.  blocco  SA.  
La  tachicardia  sinusale  puó  essere  fisiologica,  da  farmaci  (alcool,  nicotina,  caffeina,  adrenalina,  atropina)  e  patologica  
(febbre,  ipertiroidismo,  anemia,  ipossia,  ipotensione,  shock,  emorragia,  insufficienza  cardiaca,  cardiopatia  ischemica.  
Si  poƐƐŽŶŽƐŽŵŵŝŶŝƐƚƌĂƌĞɴ-­‐bloccanti  se  la  tachicardia  è  potenzialmente  dannosa  (es.  angina  frequenza-­‐dipendente).  

Segnapassi  migrante  
Temporaneamente  il  nodo  seno-­‐atriale  riduce  la  frequenza  di  scarica:  il  ritmo  è  dettato  talvolta  dal  nodo  SA,  talvolta  
ĚĂ ĐĞŶƚƌŝ ĞĐƚŽƉŝĐŝ ƐŝƚƵĂƚŝ ŶĞůů͛ĂƚƌŝŽ͘ ůů͛' Ɛŝ ŽƐƐĞƌǀĂ ƵŶĂ ĨƌĞƋƵĞŶnjĂ ĂƚƌŝĂůĞ ŝŶĨĞƌŝŽƌĞ Ă ϭϬϬ͕ĐŽŶ ƉƌĞƐĞŶnjĂ Ěŝ ŽŶĚĞW͛
anomale  alternate  a  onde  P  normali  e  con  un  ritmo  ventricolare  irregolare.  Nessuna  terapia.  

Ritmi  di  scappamento  


Si  costituiscono  quando  il  nodo  senoatriale  cessa  completamente  la  sua  attività  di  segnapassi  (blocco  SA  di  III  tipo),  
ŽƉƉƵƌĞƋƵĂŶĚŽĐ͛ğƵŶďůŽĐĐŽƚŽƚĂůĞĚŝĐŽŶĚƵnjŝŽŶĞĂŵŽŶƚĞĚŝƵŶƐĞŐŶĂƉĂƐƐŝƐĞĐŽŶĚĂƌŝŽ͘  

x ritmo  di  scappamento  atriale:  frequenza  60-­‐80/min͖ŽŶĚĞW͛ĂŶŽŵĂůĞƐĞŵƉƌĞ  uguali.  


x ritmo  idiogiunzionale:  frequenza  40-­‐60/min͖ŽŶĚĞWĂƐƐĞŶƚŝŽƉƉƵƌĞW͛ŝŶǀĞƌƚŝƚĂ;ƉĞƌĚĞƉŽůĂƌŝnjnjĂnjŝŽŶĞĂƚƌŝĂůĞ
retrograda,  prima,  durante  o  dopo  il  complesso  QRS)  
x ritmo   idioventricolare:   frequenza   20-­‐40/min;   principalmente   sono   causate   da   blocchi   sotto   al   nodo   AV;   si  
hanno  onde  P  svincolate  dai  complessi  QRS  e  complessi  QRS  slargati.  

Esistono  anche  i  corrispettivi  battiti  di  scappamento;  hanno  la  stessa  morfologia  ma  sono  isolati.  

Ritmi  di  scappamento  accelerati  


Il  ritmo  idiogiunzionale  e  quello  idioventricolare  possono,  in  alcuni  casi  (es.  infarto  del  miocardio),  provoca  tachicardia:  
si  parla  di  ritmo  idiogiunzionale/idioventricolare  accelerato.  RIVA:  3+  complessi  tra  40  e  120  bpm.  Tra  90  e  120  bpm  è  
molto  simile  alla  tachicardia  ventricolare,  ma  è  un  ritmo  benigno.  

Extrasistoli  atriali  (complessi  prematuri  atriali)  


Molto  frequenti.  hŶĨŽĐŽůĂŝŽŝƌƌŝƚĂďŝůĞƐŝƚƵĂƚŽŶĞůů͛ĂƚƌŝŽĚĞƚĞƌŵŝŶĂŝŵƉƌŽǀǀŝƐĂŵĞŶƚĞƵŶĂŽƉŝƷĐŽŶƚƌĂnjŝŽŶŝĐĂƌĚŝĂĐŚĞ͘  
>͛ŝƌƌŝƚĂďŝůŝƚăƉƵſĞƐƐĞƌĞĐĂƵƐĂƚĂĚĂƚĞŶƐŝŽŶĞ͕ĂĚƌĞŶĂůŝŶĂ͕ĂƵŵĞŶƚŽĚŝƚŽŶŽƐŝŵƉĂƚŝĐŽ͕ĐĂĨĨĞŝŶĂ͕ĂŶĨĞƚĂŵŝŶĞ͕ĐŽĐĂŝŶĂ͕ɴϭ-­‐
agonisti,  digitale,  ipertiroidismo,  nicotina,  in  una  certa  misura  anche  da  ipossia.  
>͛ĞdžƚƌĂƐŝƐƚŽůĞĂƚƌŝĂůĞĚĞƉŽůĂƌŝnjnjĂĂŶĐŚĞŝůŶŽĚŽƐĞŶŽĂƚƌŝĂůĞ͕ĐŚĞƐŝƌŝƐŝŶĐƌŽŶŝnjnjĂƉĞƌĐŽŵŝŶĐŝĂƌĞƵŶĐŝĐůŽĚŽƉŽƌŝƐƉĞƚƚŽ  
Ăůů͛ĞdžƚƌĂƐŝƐƚŽůĞ͘  
ůů͛' Ɛŝ ŽƐƐĞƌǀĂ ƵŶ͛ŽŶĚĂW͛ ĂŶŽŵĂůĂĐŚĞĐŽŵƉĂƌĞ ƉƌŝŵĂ ĚĞů ƉƌĞǀŝƐƚŽ ;W 1W͛ф WWͿĞ ĂĐƵŝ ƐĞŐƵĞ ƵŶ ĐŽŵƉůĞƐƐŽ YZ^
ŐĞŶĞƌĂůŵĞŶƚĞŶŽƌŵĂůĞĞƉŽŝƵŶĂƉĂƵƐĂŶŽƌŵĂůĞ;W͛W2  =  PP):  nel  complesso  quindi  la  distanza  tra  attività  pre-­‐  e  post-­‐
5  
 

extrasistŽůŝĐĂ ğ ŵŝŶŽƌĞ ĚĞůů͛ŝŶƚĞƌǀĂůůŽ ŶŽƌŵĂůĞ ĚŽƉƉŝŽ ;ƉĂƵƐĂ ŶŽŶ ĐŽŵƉĞŶƐĂƚŽƌŝĂͿ͘ ^Ğ ŝů ǀĞŶƚƌŝĐŽůŽ ŶŽŶ ĞƌĂ ĂŶĐŽƌĂ
ƉĞƌĨĞƚƚĂŵĞŶƚĞ ƌŝƉŽůĂƌŝnjnjĂƚŽ Ăů ŵŽŵĞŶƚŽ ĚĞůů͛ĞdžƚƌĂƐŝƐƚŽůĞ Ɛŝ ƉƵſ ĂǀĞƌĞ ƵŶĂ ĐŽŶĚƵnjŝŽŶĞ ǀĞŶƚƌŝĐŽůĂƌĞ ĂďĞƌƌĂŶƚĞ ;YZ^
ampio);  se  non  era  affatto  sensibile  sŝŚĂƵŶ͛ĞdžƚƌĂƐŝƐƚŽůĞĂƚƌŝĂůĞŶŽŶĐŽŶĚŽƚƚĂĂŝǀĞŶƚƌŝĐŽůŝ;ŶŽYZ^Ϳ1.  
In  alcuni  casi  le  extrasistoli  atriali  si  possono  ripetere  piú  volte  dopo  uno  o  due  cicli  normali:  si  parla  di  bigeminismo  e  
trigeminismo  atriale.  
Nelle  persone  sane  le  extrasistoli  atriali  non  richiedono  terapia;  in  casi  particolarmente  sintomatici,  oppure  se  causano  
tachicardie  (t.  parossistica  sopraventricolare,  fibrillazione  atriale  intermittente)  si  possono  usare  ɴ-­‐bloccanti.  

Extrasistoli  ventricolari  (complessi  prematuri  ventricolari)  


/ů ĨŽĐŽůĂŝŽ ŝƌƌŝƚĂďŝůĞ ğ ƐŝƚƵĂƚŽ ŶĞů ǀĞŶƚƌŝĐŽůŽ͘ >͛ŝƌƌŝƚĂďŝůŝƚă ƉƵž ĞƐƐĞƌĞ ĐĂƵƐĂƚĂ ĚĂ ŝƉŽƐƐŝĞŵŝĂ ;ĐĂƌĚŝŽƉĂƚŝĂ ŝƐĐŚĞŵŝĐĂ͕
ƉŶĞƵŵŽƉĂƚŝĞ͕ĐŽĐĂŝŶĂĞĂůƚƌŽͿ͕ŝƉŽƉŽƚĂƐƐŝĞŵŝĂ͕ĂůĐƵŶĞĐĂƌĚŝŽƉĂƚŝĞ;ƉƌŽůĂƐƐŽŵŝƚƌĂůŝĐŽ͕ŵŝŽĐĂƌĚŝƚŝ͙Ϳ͕ĨĂƌŵĂĐŝ͘  
ůů͛' Ɛŝ ŽƐƐĞƌǀĂ ƵŶ ĐŽŵplesso   ventricolare   prematuro:   cade   prima   di   quando   comparirebbe   il   QRS   normale   (può  
ĂŶĐŚĞŝŶŐůŽďĂƌĞů͛ŽŶĚĂWͿ͕ŚĂ  grandi  larghezza  e  ampiezza  (QRS  >0,11  s:  si  conduce  piú  lentamente  perché  non  usa  il  
sistema   di  conduzione)   ed   è   solitamente   di   carica   complessiva   opposta   rispetto   ai   complessi   QRS   normali.   Poiché  il  
ŶŽĚŽƐĞŶŽĂƚƌŝĂůĞŶŽŶǀŝĞŶĞƌŝƐŝŶĐƌŽŶŝnjnjĂƚŽů͛ŝŶƚĞƌǀĂůůŽƉƌĞ-­‐  e  post-­‐extrasistolico  corrisponde  al  doppio  di  un  intervallo  
ZZŶŽƌŵĂůĞ͖ƐŝŚĂƋƵŝŶĚŝƵŶĂ͞ƉĂƵƐĂĐŽŵƉĞŶƐĂƚŽƌŝĂ͟ƚƌĂů͛ĞdžƚƌĂƐŝƐƚŽůĞǀĞŶƚricolare  e  il  ciclo  successivo.  

Un  focolaio  irritabile  puó  produrre  piú  extrasistoli  ventricolari,  in  maniera  slegata  o  con  bigeminismo,  trigeminismo  o  
quadrigeminismo.  6  o  piú  extrasistoli  ventricolari  al  minuto  sono  indice  di  grave  sofferenza  ventricolare.  
Una  sequenza  di  tre  extrasistoli  ventricolari  consecutive  definisce  la  tachicardia  ventricolare  non  sostenuta;  se  essa  si  
protrae  per  piú  di  30  secondi  si  parla  di  tachicardia  ventricolare  sostenuta.  

La  presenza  di  complessi  ventricolari  prematuri  a  morfologia  variabile  indica  che  ci  sono  piú  focolai  irritabili  ed  è  un  
segno  di  grande  pericolo  per  il  rischio  di  gravi  aritmie,  inclusa  la  fibrillazione  ventricolare.  

^ĞƵŶ͛ĞdžƚƌĂƐŝƐƚŽůĞǀĞŶƚƌŝĐŽůĂƌĞŵŽůƚŽƉƌĞĐŽĐĞĐĂĚĞŝŶĐŽŝŶĐŝĚĞŶnjĂĐŽŶƵŶ͛ŽŶĚĂd(fenomeno  R  su  T)  si  puó  instaurare  


una  fibrillazione  ventricolare.  
Le  extrasistoli  ventricolari  hanno  una  soglia  alta  di  trattamento:  nei  soggetti  sani  non  richiedono  terapia;  nei  pazienti  
con   cardiopatie   ed   extrasistoli   ventricolari  frequenti   ed   episodi   di   tachicardia   ventricolare   non   sostenuta   si   possono  
somministrare   antiaritmici,   anche   se   non   ci   sono   prove   di  efficacia   sulla   riduzione   della   morte   cardiaca   improvvisa;  
2
ƋƵĞůůŝĚŝƐĐĞůƚĂƐŽŶŽŝɴ-­‐bloccanti   .  

Blocchi  di  conduzione  

Blocchi  senoatriali  (BSA)  


Il  nodo  senoatriale  propaga  gli  impulsi  in  modo  lento  o  irregolare.  

x blocco  SA  di  II  grado:  assenza  intermittente  delle  onde  P.  
o tipo  1  (Wenckebach):  PQ  costante,  PP  si  riducono  progressivamente  fino  a  una  pausa  piú  breve  di  un  
normale  PP  
o tipo  2  (Mobitz):  come  sopra,  ma  la  pausa  è  piú  lunga  di  un  normale  PP.3  
x blocco  SA  di  III  grado:  assenza  di  onde  P,  si  instaura  un  ritmo  di  scappamento.  

Esistono  cause  estrinseche  e  cause  intrinseche;  la  distinzione  è  importante  da  un  punto  di  vista  terapeutico  (v.  sotto).  
Le   cause   estrinseche   piú   frequenti   sono   i   farmaci   (antiaritmici,   simpaticolitici,   litio,   amitriptilina)   e   le   influenze  
parasimpatiche;   altre   cause   sono   ipotiroidismo,   apnee   notturne,   ipossia,   ipotermia,   ipertensione   endocranica.   Le  
cause   intrinseche   sono   associate   a   degenerazione   del   nodo   SA:   malattia   del   nodo   del   seno,   cardiopatia   ischemica,  

                                                                                                                         
1
 E͗ů͛ĂƐƐĞŶnjĂĚĞůYZ^ĂĐĐŽƉƉŝĂƚĂĂůůĂƉĂƵƐĂĚĂƌŝƐŝŶĐƌŽŶŝnjnjĂnjŝŽŶĞƌŝĐŽƌĚĂƵŶďůŽĐĐŽ͕ŵĂŶŽŶůŽğ͘  
2
 antiaritmici  di  classe  I,  sotalolo  e  amiodarone  portano  a  peggioramento  della  prognosi.  
3
 ƉƵſĞƐƐĞƌĐŝƋƵŝŶĚŝƵŶďĂƚƚŝƚŽĚŝƐĐĂƉƉĂŵĞŶƚŽ͕ĐŽŶW͛ĂŶŽŵĂůĂ͘  
6  
 

pericarditi,   miocarditi,   febbre   reumatica,   collagenopatie,   radioterapia,   chirurgia,   distrofia   miotonica,   atassia   di  
Friedreich  e  altre  forme  congenite.    
Clinicamente   i   blocchi   SA   possono   essere   asintomatici,   o   associati   a   cardiopalmo,   angina,   ipotensione,   sincope,  
astenia;   un   terzo   dei   pazienti   sviluppa   una   tachicardia   sopraventricolare   (prev.   FA).   Non   determinano   un   aumento  
della  mortalità.  La  malattia  del  nodo  del  seno  è  associata  a  sindrome  bradicardia-­‐tachicardia.  
Lo   scopo   della   terapia   è   alleviare   i   sintomi.   Le   forme   estrinseche   a   volte   possono   essere   corrette   (es.   eliminazione  
antiaritmici),  le  forme  intrinseche  no  e  possono  necessitare  di  segnapassi,  

Blocchi  atrioventricolari  (BAV)  


^ŝ ǀĞƌŝĨŝĐĂ ƋƵĂŶĚŽ ŝŶƚĞƌǀĂůůŽ WY хϬ͕Ϯ Ɛ͘ YƵĞƐƚ͛ŝŶƚĞƌǀĂůůŽ ;ĂŶĐŚĞ ĚĞƚƚŽ WZͿ ǀĂ ĚĂůů͛ŝŶŝnjŝŽ ĚĞůů͛ŽŶĚĂ W Ăůů͛ŝŶŝnjŝŽ ĚĞů
complesso  QRS;  0,2  s  corrispondono  a  un  quadrato  grande.  3  gradi:  

x blocco  AV  di  I  grado:  intervallo  PQ  >0,2  s,  ma  costante;  complessi  QRS  regolari.  Asintomatico.  
x blocco  AV  di  II  grado:  assenza  di  alcuni  QRS  dopo  alcune  onde  P.  
o tipo   1   (Wenckebach):   blocco   sopra   al   fascio   di   His.   PQ   si   allunga   progressivamente   fino   alla  
scomparsa  di  un  QRS.  È  innocuo.  
o tipo  2  (Mobitz):  blocco  nel  o  sotto  al  fascio  di  His.  PQ  costante,  scomparsa  improvvisa  di  un  QRS.  Si  
puó  avere  un  blocco  di  condizione  2:1,  3:1  e  cosí  via.  È  patologico,  si  possono  avere  sincopi.  
x blocco   AV   di   III   grado:   dissociazione   atrioventricolare   completa,   con   onde   P   a   frequenza   normale   e   senza  
rapporto  con  complessi  QRS  a  bassa  frequenza  (ritmo  di  scappamento  idiogiunzionale  o  idioventricolare).  È  
patologico.  
Cause:  ipersensibilità  del  seno  carotideo,  reazione  vasovagale;  iperK,  iperMg,  ipotiroidismo,  iposurrenalismo,  farmaci  
antiaritmici,  endocarditi  e  miocarditi,  collagenopatie,  cardiopatia  ischemica,  tumori,  forme  congenite.  
>ĂĚŝĂŐŶŽƐŝƐŝƉƵſĂǀǀĂůĞƌĞĚĞůů͛'ĚĞůĨĂƐĐŝŽĚŝ,ŝƐƉĞƌĚŝĨĨĞƌĞŶnjŝĂƌĞŝǀĂƌŝƚŝƉŝ͘  

La  terapia  con  segnapassi  è  necessaria  per  il  BAV  di  Mobitz  e  quello  di  III  grado;  ad  ogni  modo  si  deve  prima  tentare  di  
correggere  possibili   cause,   e   si   può   fare   un   tentativo   terapeutico  con   atropina.   Si  ricorre   al   segnapassi   temporaneo  
transcutaneo  oppure  a  quello  transvenoso  (dalla  giugulare   o  succlavia  fino  al  ventricolo  destro);  quasi  sempre  poi  è  
necessario  passare  a  un  segnapassi  permanente.  

Blocchi  di  branca  


hŶĂ ĚĞůůĞ ĚƵĞ ďƌĂŶĐŚĞ ĚĞů ĨĂƐĐŝŽ Ěŝ ,ŝƐ ƚƌĂƐŵĞƚƚĞů͛ŝŵƉƵůƐŽ ƉŝƷ ůĞŶƚĂŵĞŶƚĞ͖ŝůƌŝƐƵůƚĂƚŽ ğĐŚĞŝů ǀĞŶƚƌŝĐŽůŽ ĐŽůƉŝƚŽ Ɛŝ
depolarizzeră ƉŝƷ ůĞŶƚĂŵĞŶƚĞ Ěŝ ƋƵĞůůŽ ƐĂŶŽ͘ ůů͛' ƋƵĞƐƚŽ ĂƉƉĂƌĞ ĐŽŵĞ ƵŶ ĐŽŵƉůĞƐƐŽ YZ^ ƌŝƚĂƌĚĂƚŽ ĐŚĞ͕
ƐŽǀƌĂƉƉŽŶĞŶĚŽƐŝ Ă ƋƵĞůůŽ ĚĞů ǀĞŶƚƌŝĐŽůŽ ƐĂŶŽ͕ ĨŽƌŵĂ ƵŶ ĐŽŵƉůĞƐƐŽ YZ^ ĂůůĂƌŐĂƚŽ Ğ Ă ĚƵĞ ƉƵŶƚĞ͕ Z Ğ Z͛͘ /ů YZ^ Ɛŝ
definisce   allargato   quando   è   >0,12   s,   cioè   per   3   quadratini.4   Quando   si  riconosce   un   blocco   di  branca   si  valutano   le  
derivate  toraciche  destre  (V1,  V2)  e  sinistre  (V5,  V6).  Se  si  osserva  una  morfologia  da  blocco  di  branca  con  una  durata  
QRS  0,1-­‐0,12  s  si  parla  di  blocco  di  branca  incompleto.  

x blocco  di  branca  destro͗ZZ͛ŝŶsϭĞsϮ;  QRS  a  forma  di  M.  


x blocco  di  branca  sinistro͗ZZ͛ŝŶsϱĞsϲ  
Emiblocchi.  Emiblocco  sinistro  anteriore:  deviazione  assiale  sinistra  e  altro.  Emiblocco  sinistro  posteriore:  deviazione  
assiale  destra,  QRS  non  allargato.  Blocco  bifascicolare  destro  e  sinistro  anteriore;  blocco  bifascicolare  destro  e  sinistro  
posteriore.  Blocco  trifascicolare:  analogo  al  BAV  III.  
NB:  ƐĞĐ͛ğ  blocco  di  branca  non  è  possibile  valutare  alcuni  parametri:  asse  cardiaco,  ipertrofia  ventricolare,  alterazioni  
nelů͛'ĚĂƐĨŽƌnjŽƉĞƌĂŶŐŝŶĂƉĞĐƚŽƌŝƐ͘  
Cause:  simili  a  blocchi  AV.  
dĞƌĂƉŝĂ͗ŝůďůŽĐĐŽƚƌŝĨĂƐĐŝĐŽůĂƌĞƐŝƚƌĂƚƚĂĐŽŵĞŝůs///͘WĞƌŝďůŽĐĐŚŝďŝĨĂƐĐŝĐŽůĂƌŝƐŝǀĂůƵƚĂů͛ŝŶĚŝĐĂnjŝŽŶĞĂůƐĞŐŶĂƉĂƐƐi.  

                                                                                                                         
4
 meglio  controllare  questa  durata  sulle  derivate  degli  arti,  perché  in  quelle  precordiali  per  motivi  tecnici  puó  essere  sovrastimata.  
7  
 

Tachicardie  
Tachicardie  parossistiche  
Nelle   tachicardia   parossistiche   un   focolaio   ectopico   molto   irritabile   invia   improvvisamente   impulsi   in   rapida  
successione,  determinando  una  frequenza  cardiaca  compresa  generalmente  tra  100  e  250  battiti  al  minuto.  

x Tachicardie  parossistiche  sopraventricolari:  


o Tachicardia  da  rientro   nodale͗ ŶĞů ŶŽĚŽ s Đ͛ğ ƵŶĂ ǀŝĂ ĚŝĐŽŶĚƵnjŝŽŶĞƌĞƚƌŽŐƌĂĚĂ ĐŚĞ ƐŝĂĨĨŝĂŶĐĂ Ă
ƋƵĞůůĂ ĂŶƚĞƌŽŐƌĂĚĂ͖ ƋƵĂŶĚŽ Ɛŝ ǀĞƌŝĨŝĐĂ ƵŶ͛ĞdžƚƌĂƐŝƐƚŽůĞ ĂƚƌŝĂůĞ Ɛŝ ŚĂ ƵŶ͛ĞĐĐŝƚĂnjŝŽŶĞ ĐŝƌĐŽůĂƌĞ͘ >͛'
mostra  QRS  stretti,  generalmente  senza  onda  P.  Si  manifesta  con  improvvisi  attacchi  di  cardiopalmo;  
durano   minuti   o   ore.   Terapia:   stimolazione   vagale   (es.   massaggio   carotideo,   manovra   di   Valsalva),  
altrimenti   adenosina,   altrimenti   verapamil,   se   non   si   ha   successo   cardioversione   elettrica.   Se   la  
tachicardia  è  recidivante  si  può  ricorrere  ĂĚŝŐŝƚĂůĞ͕ɴ-­‐bloccanti,  calcioantagonisti  o  Ăůů͛ĂďůĂnjŝŽŶĞĐŽŶ
catetere.  
o Tachicardia   da   rientro   atrioventricolare   ʹ   Wolff-­‐Parkinson-­‐White͗ Đ͛ğ ƵŶĂ ǀŝĂ Ěŝ ĐŽŶĚƵnjŝŽŶĞ
accessoria  tra  atrio  e  ventricolo  (fascio  di  Kent)  che  determina  una  precoce  attivazione  ventricolare.  
ůů͛'ƐŝŽƐƐĞƌǀĂƵŶ͛ŽŶĚĂɷůĞŐŐĞƌŵĞŶƚĞƉƌŝŵĂĚĞůů͛ŝŶŝnjŝŽĚĞůYZ^͖ŝŶsϭĞƐƐĂğƉŽƐŝƚŝǀĂƐĞŝůĨĂƐĐŝŽĚŝ
5
Kent   si   trova   a   sinistra   e   negativa   se   si   trova   a   destra.   YƵĂŶĚŽ Ɛŝ ŚĂ ƵŶ͛ĞdžƚƌĂƐŝƐƚŽůĞ Ɛŝ ƉƌŽĚƵĐĞ
ƵŶ͛ĞĐĐŝƚĂnjŝŽŶĞĐŝƌĐŽůĂƌĞŽƌƚŽĚƌŽŵŝĐĂ͗ƚĂĐŚŝĐĂƌĚŝĂƉĂƌŽƐƐŝƐƚŝĐĂĂĐŽŵƉůĞƐƐŝYZ^ƐƚƌĞƚƚŝĞƐĞŶnjĂŽŶĚĂɷ͘
Piú   raramente   si   ha   eccitazione   antidromica,   a   complessi   QRS   larghi.   Terapia:   propafenone;   se  
recidivante:  ablazione  con  catetere.  
x Tachicardia  ventricolare:  un  focolaio  ectopico  ventricolare  molto  irritabile  invia  impulsi  in  rapida  successione.  
 ĐĂƵƐĂƚĂ ĚĂ ƐƚŝŵŽůŝ ŝƉŽƐƐŝĐŝ ŐƌĂǀŝ Ğ ĂůƚƌĞ ĐĂƵƐĞ Ěŝ ƐŽĨĨĞƌĞŶnjĂ ǀĞŶƚƌŝĐŽůĂƌĞ͘ ůů͛' Ɛi   ha   un   aspetto  
caratteristico,  simile  a  enormi  extrasistoli  ventricolari  (QRS  anomali  e  slargati,  >0,14 s).  Il  nodo  SA  continua  a  
ĞŵĞƚƚĞƌĞ ŝŵƉƵůƐŝ͕ ŵĂ ůĞ ŽŶĚĞ W ƐŽŶŽ ŵĂƐĐŚĞƌĂƚĞ Ğ Đ͛ğ ĚŝƐƐŽĐŝĂnjŝŽŶĞ ĂƚƌŝŽ-­‐ǀĞŶƚƌŝĐŽůĂƌĞ ;ƚĂůǀŽůƚĂ ƵŶ͛ŽŶĚĂ W
ƉƵžĞƐƐĞƌĞƚƌĂƐŵĞƐƐĂ͕ĐŽŶůĂĨŽƌŵĂnjŝŽŶĞĚŝƵŶ͞ďĂƚƚŝƚŽĚŝĐĂƚƚƵƌĂ͘͟Si  ha  scompenso  cardiaco,  quindi  richiede  
un   intervento   terapeutico   rapido;  ma   è  importante   fare   diagnosi   differenziale   con   altre  forme   che   causano  
QRS  slargati,  in  particolare  le  tachicardie  parossistiche  sopraventricolari  con  blocco  di  branca  e  la  WPW.  

TSV  con  blocco   TV  


complesso  QRS  nelle  derivate  toraciche   assenza  di  complesso  QRS  nelle  derivate  toraciche  
QRS  <  0,14  s  in  una  derivata  toracica   QRS  >  0,14  s  in  tutte  le  derivate  toraciche  
assenza  di  battiti  di  cattura/fusione   battiti  di  cattura  e  di  fusione  
criteri  in  V1  e  V6  caratteristici   criteri  in  V1  e  V6  caratteristici  
La  terapia  della  tachicardia  ventricolare  prevede:  
9 controllo  terapia  digitalica,  potassiemia  
9 somministrazione  ossigeno  
9 cardioversione  elettrica  
9 ĂŶƚŝĂƌŝƚŵŝĐŝ͗ůŝĚŽĐĂŝŶĂ͖ĂŵŝŽĚĂƌŽŶĞƐĞĐ͛ğŝŶƐƵĨĨŝĐŝĞŶnjĂĐĂƌĚŝĂĐĂ͘  
9 prevenzione  delle  recidive:  ɴ-­‐bloccanti;  sotalolo  o  amiodarone;  ablazione  con  catetere.  

Flutter  atriale  
Un  focolaio  ectopico  molto  irritabile  posto  in  un  atrio  si  attiva  ad  una  frequenza  di  250-­‐ϯϱϬďĂƚƚŝƚŝĂůŵŝŶƵƚŽ͘ůů͛'Ɛŝ
ŚĂŶŶŽ ŽŶĚĞ ĨůƵƚƚĞƌ͕ ͞Ă ĚĞŶƚĞ Ěŝ ƐĞŐĂ͕͟ ŝŶ ƌĂƉŝĚĂ ƐƵĐĐĞƐsione;   la   linea   isoelettrica   può   sparire   del   tutto.   Il   nodo   AV  
protegge  il  ventricolo  da  questa  frequenza  eccessiva  e  conduce  solo  un  impulso  su  due  o  su  tre.  
Terapia:   profilassi   della   tromboembolia   con   eparina,   cardioversione   elettrica,   in   alternativa   cardioversione  
farmacologica  con  amiodarone  o  ablazione  con  catetere.  

                                                                                                                         
5
 ƐĞŝůĨĂƐĐŝŽĚŝ<ĞŶƚğŝŶƚĞƌĞƐƐĂƚŽƐŽůŽƉĞƌǀŝĂƌĞƚƌŽŐƌĂĚĂů͛ŽŶĚĂɷŶŽŶƐŝǀĞĚĞ͘  
8  
 

Fibrillazione  atriale  
La   fibrillazione   atriale   si   manifesta   quando   molti   focolai   atriali   irritabili   emettono   rapidi   impulsi   senza   poter   essere  
ƐŽƉƉƌĞƐƐŝ ĚĂ ƵŶ ĨŽĐŽůĂŝŽ ĚŽŵŝŶĂŶƚĞ͕ Ă ƵŶĂ ͞ĨƌĞƋƵĞŶnjĂ͟ ĂƚƌŝĂůĞ Ěŝ ĐŝƌĐĂ ϯϱϬ-­‐450   bpm.   Nessuna   di   queste  
ĚĞƉŽůĂƌŝnjnjĂnjŝŽŶŝƌŝĞƐĐĞĂĨĂƌĐŽŶƚƌĂƌƌĞĞĨĨŝĐĂĐĞŵĞŶƚĞů͛ĂƚƌŝŽ͘/ůŶŽĚŽsǀŝĞŶĞĂƚƚŝǀĂƚŽŝŶŵĂŶŝĞƌĂŝƌƌĞŐŽůĂƌĞĞƋƵŝŶĚŝ
conduce  alcuni  impulsi  ai  ventricoli.  
ECG  
Si  manifesta  come  una  linea  isoelettrica  irregolare  senza  onde  P  identificabili.  La  risposta  QRS  è  irregolare  (intervalli  RR  
irregolarmente   irregolari),   e   può   essere   a   frequenza   cardiaca   variabile:   le   forme   a   elevata   risposta   sono   con  
tachicardia,  quelle  a  bassa  risposta  con  bradicardia.  

È  ů͛ĂƌŝƚŵŝĂƐŽƐƚĞŶƵƚĂƉŝƷĐŽŵƵŶĞ͗  ŶĞğĂĨĨĞƚƚŽĨŝŶŽĂůů͛ϭйĚĞŐůŝĂĚƵůƚŝ  e  fino  al  6%  degli  anziani.    


Eziologia  
Può  essere:  

x secondaria  a  cause  
o cardiache:   insufficienza   cardiaca,   cardiopatia   ipertensiva,   vizi   mitralici,   cardiopatia   ischemica,  
cardiomiopatia,  mio-­‐pericarditi,  chirurgia,  tumori  atriali,  sindrome  del  nodo  del  seno  
o extracardiache:,  BPCO,  embolia  polmonare,  polmonite,  ipertiroidismo,  disturbi  elettrolitici,  trauma,  
alcool  (holiday  heart  syndrome),  farmaci,  obesità  
x isolata:  principalmente  in  pazienti  sani  e  non  anziani  
Tipi  clinici  

x primo  episodio  
x FA  ricorrente:  almeno  2  episodi  (di  almeno  30  secondi)  
x FA  parossistica:  termina  spontaneamente  
x FA  persistente:  termina  in  risposta  a  terapia  
x FA  permanente:  non  convertibile  terapeuticamente.  
Manifestazioni  e  anamnesi  
Può   essere   asintomatica   oppure   associarsi   a   cardiopalmo,   astenia,   dispnea,   agitazione,   ischemia   cerebrale,   angina.  
WƵŶƚĞŐŐŝŽ,Z͗/ŶŝĞŶƚĞƐŝŶƚŽŵŝї/sƐŝŶƚŽŵŝŵŽůƚŽŐƌĂǀŝ͘  
Chiedere   come   viene   percepito   il   ritmo   cardiaco,   frequenza   e   durata   degli   episodi,   malattie   CV,   abuso   di   alcool,  
familiarità.  Stabilire  il  tipo  clinico  di  FA  e  gli  eventuali  trattamenti  pregressi.  
Gestione  del  paziente  

x paziente  emodinamicamente  stabile  


1° controllo  della  frequenza  cardiaca:  obiettivo  60-­‐80  a  riposo,  90-­‐120  sotto  sforzo.  
ƒ se  stile  di  vita  inattivo,  digitale  
ƒ se  stile  di  vita  attivo  dipende  dalle  malattie  associate  
x ŶĞƐƐƵŶĂŽ,d͗ɴ-­‐bloccante,  calcioantagonisti,  digitale  
x ŝŶƐƵĨĨŝĐŝĞŶnjĂĐĂƌĚŝĂĐĂ͗ɴ-­‐bloccante,  digitale  
x WK͗ĐĂůĐŝŽĂŶƚĂŐŽŶŝƐƚŝ͕ĚŝŐŝƚĂůĞ͕ɴϭ-­‐bloccanti  
ƒ se  non  trattabile  farmacologicamente:  ablazione  nodo  AV  e  impianto  di  segnapassi.  
2° prevenzione  tromboembolia:  
ƒ a  tutti  i  pazienti  tranne  con  FA  isolata:  warfarin,  obiettivo  INR  2-­‐3.  
ƒ a   pazienti   con   FA   isolata,   età   <75   anni,   no   FR   elevati,   max   1   FR   moderato,   ecocardio  
normale:  AAS  325  mg/die  
x (FR  moderato:  >75  aa,  HTA,  IC,  FEvsx<35%,  DM.  FR  elevato:  precedente  ictus/TIA,  
stenosi  mitralica,  valvola  meccanica)  
9  
 

3° inquadramento  diagnostico  
ƒ anamnesi,  EO,  ECG,  ecocardio.  emocromo,  TSH,  Rx  torace,  test  da  sforzo,  Holter.  
ƒ per  pazienti  scelti:  elettrofisiologia,  coronarografia,  studio  della  funzione  valvolare  
4° ristabilimento  del  ritmo  sinusale  (cardioversione).  È  opportuno  predire  la  probabile  efficacia  (scarsa  
se  valvulopatia  mitralica,  tireotossicosi,  dilatazione  atriale,  lunga  durata,  bassa  risposta  ventricolare,  
ƚĞƌĂƉŝĂ ĚŝŐŝƚĂůŝĐĂ ĂĚ ĂůƚĞ ĚŽƐŝͿ͘ ͛ğ ƌŝƐĐŚŝŽ Ěŝ ĞŵďŽůŝĂ ƉŽƐƚ-­‐cardioversione,   quindi   in  presenza   di   FA  
cronica   è   necessario   trattare   con   warfarin   per   1   mese   prima   di   cardiovertire.   In   acuto   si   effettua  
ƵŶ͛ĞĐŽŐƌĂĨŝĂƚransesofagea;  se  sono  presenti  trombi  si  procede  come  prima,  altrimenti  si  passa  alla  
cardioversione.  
ƒ cardioversione  farmacologica:  si  possono  usare  antiaritmici  di  classe  IA,  IC  e  III.  
x se  cardiopatia  strutturale:  amiodarone  
x altrimenti:  flecainide,  propafenone  o  ibutilide  
ƒ cardioversione  elettrica:  se  fallisce  la  cardioversione  farmacologica  
ƒ cardioversione  con  ablazione  
5° mantenimento   del   ritmo   sinusale͗ ŝŶ ŐĞŶĞƌĂůĞ ů͛ĂŵŝŽĚĂƌŽŶĞ ğ ŝů ĨĂƌŵĂĐŽ ƉŝƷ ĞĨĨŝĐĂĐĞ ;ϲϬ-­‐70%  
ƌĞƐƚĂŶŽ ƐŝŶƵƐĂůŝ Ă ϭ ĂŶŶŽͿ͘ ͛ĂůƚƌĂ ƉĂƌƚĞ ŶŽŶ ğ dimostrato   un   vantaggio   consistente   a   favore   del  
mantenimento  del  ritmo  sinusale!  
ƒ senza   cardiopatia:   flecainide,   propafenone,   sotalolo.   2ª   scelta:   amiodarone,   dofetilide,  
ablazione  con  catetere.  
ƒ HTA  senza  marcata  ipertrofia  Vsx:  come  sopra  
ƒ HTA  con  marcata  ipertrofia  Vsx:  amiodarone,  2ª  scelta:  ablazione  con  catetere.  
ƒ coronaropatia:  dofetilide,  sotalolo.  2ª  scelta:  amiodarone,  ablazione  con  catetere.  
ƒ insufficienza  cardiaca:  amiodarone,  dofetilide.  2ª  scelta:  ablazione  con  catetere.  
x paziente  emodinamicamente  instabile  
1° cardioversione  elettrica  ϭϬϬ:їϮϬϬ:їϯϲϬ:  
2° stabilizzazione  
3° inquadramento  diagnostico  
Approccio  ESC  2006  

x FA  recentemente  scoperta  
o parossistica:  no  terapia  a  meno  che  non  ci  siano  sintomi  significativi;  anticoagulazione  
o persistente:  2  possibilità  
ƒ accettare  la  FA  permanente,  con  anticoagulazione  e  controllo  FC  
ƒ controllo  FC,  anticoagulazione,  cardioversione,  no  mantenimento  ritmo  sinusale    
x FA  ricorrente  parossistica  
o sintomi  scarsi:  anticoagulazione,  controllo  FC  
o sintomi  gravi:  anticoagulazione,  controllo  FC,  cardioversione  con  antiaritmici,  2ª  linea  ablazione  
x FA  ricorrente  persistente  
o sintomi  scarsi:  anticoagulazione,  controllo  FC  
o sintomi  gravi:  anticoagulazione,  controllo  FC,  cardioversione  con  antiaritmici,  eventualmente  cardioversione  
elettrica,   poi   continuare   anticoagulanti   e   terapia   per   mantenere   ritmo   sinusale,   considera   ablazione   in  
ultima  linea  
x FA  permanente  
o anticoagulazione  e  controllo  FC.  

Flutter  ventricolare  
Un   focolaio   ectopico   posto   in   un   ventricolo   si   attiva   a   una   frequenza   di   250-­‐350   battiti   al   minuto.   Il   ventricolo   si  
ĐŽŶƚƌĂĞ ĂĚ ƵŶĂ ĨƌĞƋƵĞŶnjĂ ƚƌŽƉƉŽ ĂůƚĂ ƉĞƌ ĞƐƐĞƌĞ ĞĨĨŝĐĂĐĞ͘ ůů͛' Ɛŝ ŚĂŶŶŽ ŽŶĚĞ ƐŝŶƵƐŽŝĚĂůŝ Ěŝ ĂŵƉŝĞnjnjĂ ƐŝŵŝůĞ͘ /ů
flutter  ventricolare  generalmente  evolve  a  fibrillazione  ventricolare.  
10  
 

Fibrillazione  ventricolare  
Piú   focŽůĂŝ ǀĞŶƚƌŝĐŽůĂƌŝ ŝƌƌŝƚĂďŝůŝ ƉƌŽĚƵĐŽŶŽ ƵŶĂ ĐŽŶƚƌĂnjŝŽŶĞ ĐŽŶǀƵůƐĂŵĞŶƚĞ ĐĂŽƚŝĐĂ ĚĞŝ ǀĞŶƚƌŝĐŽůŝ͖ ůĂ ͞ĨƌĞƋƵĞŶnjĂ͟
ventricolare  è  tra  350  e  450  bpm.  
ůů͛'ƐŝŚĂƵŶƚƌĂĐĐŝĂƚŽĐŽŵƉůĞƚĂŵĞŶƚĞŝƌƌĞŐŽůĂƌĞ͘  
WƌŽŐƌĞƐƐŝǀĂŵĞŶƚĞů͛ĂŵƉŝĞnjnjĂĚĞůůĞĚĞĨůĞƐƐŝŽŶŝƐŝĚŝŵŝŶƵŝƐĐĞ͕ĨŝŶŽĂĚĂƌƌŝǀĂƌĞĂůů͛ĂƌƌĞƐƚŽĐĂƌĚŝĂĐŽ͘  
Può  essere  causata  da:  

x cardiopatie  
x disturbi  elettrolitici  (ipoK,  ipoMg)  
x traumi  cardiaci,  incidente  elettrico  
x malattie  elettriche  del  cuore  
o sindrome  del  QT  lungo:  il  QT  corretto  per  la  frequenza6  è  aumentato  patologicamente  (QTc  >  0,44  s).  Può  
essere   dovuto   ad   alcuni   farmaci   (antiaritmici,   antidepressivi,   neurolettici,   adrenalina,   antistaminici,  
antimicotici,  antibiotici)  o  ad  alterazioni  congenite.  
o sindrome  del  QT  corto:  canalopatia  del  potassio,  trasmissione  AD.  
o sindrome  di  Brugada:  canalopatia  del  sodio,  trasmissione  AD.    

Arresto  cardiocircolatorio  
>͛ĂƌƌĞƐƚŽĐĂƌĚŝĂĐŽƉƵžĞƐƐĞƌĞƉƌŽǀŽĐĂƚŽĚĂ͗  

x cause  cardiache  
o cardiopatia  ischemica  70%  
o cardiomiopatia  10%  
o cardiopatia  ipertensiva  5%  
o altro:  malattie  elettriche  del  cuore,  miocarditi,  tamponamento  pericardico  
x cause  circolatorie:  shock,  embolia  polmonare  
x cause  metaboliche:  ipoK,  iperK,  acidosi  grave  
x cause  respiratorie:  ipossia  

Diagnosi:  il  paziente  non  risponde  e  non  reagisce  allo  scuotimento,  non  è  visibile  né  ascoltabile  la  respirazione,  non  si  
percepisce  il  polso  carotideo.  

Gestione:  

x ĨĂƌĐŚŝĂŵĂƌĞƵŶ͛ambulanza  
x iniziare  la  rianimazione  cardiopolmonare  (RCP):  
o aprire  le  vie  respiratorie  
o massaggio  cardiaco  30  
o respirazione  artificiale  2  
x quando  è  disponibile  un  ECG  
o se  flutter/fibrillazione  ventricolare  
ƒ ĚĞĨŝďƌŝůůĂnjŝŽŶĞїϮŵŝŶƵƚŝĚŝZWїĐŽŶƚƌŽůůŽ'  
ƒ se  persiste:  ripeti;  preparazione  accesso  venoso  
ƒ se  persiste:  adrenalina  e  ripeti  ciclo  
ƒ se  persiste:  amiodarone  e  ripeti  ciclo  
ƒ se  persiste:  adrenalina  e  ripeti  ciclo  
ƒ continua  
o se  asistolia  /  dissociazione  elettromeccanica  
   

                                                                                                                         
 ܳܶܿ ൌ  ܳܶΤξܴܴ  
6
21  
 

iii‡”‹…ƒ”†‹–‹  

Le   pericarditi   sono   malattie   infiammatorie   del   pericardio   caratterizzate   da   ispessimento   di   almeno   un   foglietto   del  
pericardio  e  versamento  pericardico  essudativo  (non  idropericardio  né  emopericardio).  Possono  essere  classificate  in  
base   alla   clinica   in   acute   (<6   settimane),   subacute   (da   6   settimane   a   6   mesi)   e   croniche   (>6   mesi).   Quando   si   ha  
interessamento  contemporaneo  del  miocardio  si  parla  di  peri-­‐miocarditi.  

Pericardite  acuta  
Può  essere  secca  (fibrinosa)  o  essudativa18.  

Eziologia  
x infettiva  
o piú   frequentemente   forme   virali.   Coxsackievirus,   Echovirus,   virus   della   parotite,   Adenovirus,   virus  
delle  epatiti,  HIV,  CMV,  parvovirus  B19.  Generalmente  causano  forme  acute.  Si  parla  di  pericardite  
virale  idiopatica  se  non  si  individua  il  virus  specifico  responsabile.  
o raramente  micobatteri  
o molto   raramente:   forme   piogene   (S.   pneumoniae,   S.   aureus,   Neisseria,   Legionella);   fungine  
(istoplasmosi,  coccidioidomicosi,  candidosi,  blastomicosi),  protozoarie  e  da  sifilide.  
x immunologica  
o febbre  reumatica  
o collagenopatie  (LES,  AR,  sclerosi  sistemica,  spondilite  anchilosante,  vasculiti)  
o farmaci:  procainamide  (antiaritmico),  idralazina  (vasodilatatore),  anticoagulanti  
x altro  
o sindrome  di  Dressler  dopo  giorni-­‐settimane  da  un  infarto  del  miocardio,  per  il  rilascio  di  proteasi.  
o neoplasie:   piú   frequentemente   sono   metastasi   di   prossimità   di   carcinomi   polmonari,   mammari   o  
linfomi  o  metastasi  ematiche  di  melanomi;  rari  sono  i  tumori  pericardici  primitivi.  
o radioterapia  
o traumi:  in  particolare  gli  incidenti  automobilistici  con  impatto  del  volante  sullo  sterno.  
o uremia͗ŶĞŝƉĂnjŝĞŶƚŝĐŽŶŝŶƐƵĨĨŝĐŝĞŶnjĂƌĞŶĂůĞĐƌŽŶŝĐĂĞƐŽƚƚŽĚŝĂůŝƐŝ͖ƐŝƌŝƚŝĞŶĞĐŚĞů͛ŝŶĨŝĂŵŵĂnjŝŽne  sia  
ĐĂƵƐĂƚĂĚĂŝŵĞƚĂďŽůŝƚŝĚĞůů͛ĂnjŽƚŽ͘  
o mixedema  e  ipercolesterolemia:  ruolo  lesivo  del  colesterolo.  

Clinica  
ƐŝƐƚŽŶŽƋƵĂƚƚƌŽĐĂƌĂƚƚĞƌŝƐƚŝĐŚĞĚŝĂŐŶŽƐƚŝĐŚĞƉƌŝŶĐŝƉĂůŝ͗ĚŽůŽƌĞƚŽƌĂĐŝĐŽ͕ƐĨƌĞŐĂŵĞŶƚŽƉĞƌŝĐĂƌĚŝĐŽ͕ĂůƚĞƌĂnjŝŽŶŝĚĞůů͛'͕
versamento  pericardico.  
Il  dolore  toracico  è  forte,  retrosternale  o  precordiale  destro,  riferito  al  collo,  alle  braccia  o  alla  spalla  sinistra.  Questo  
può   ƉŽƌƌĞ ĚŝĨĨŝĐŽůƚă ŶĞůůĂ ĚŝĂŐŶŽƐŝ ĚŝĨĨĞƌĞŶnjŝĂůĞ ĐŽŶ ů͛ŝŶĨĂƌƚŽ ĚĞů ŵŝŽĐĂƌĚŝŽ͖ ĐĂƌĂƚƚĞƌŝƐƚŝĐĂŵĞŶƚĞ ƉĞƌž ŝů ĚŽůŽƌĞ
pericardico   si   ƌŝĚƵĐĞ ƐƚĂŶĚŽ ƐĞĚƵƚŝ Ğ ĐŚŝŶĂƚŝ ŝŶ ĂǀĂŶƚŝ Ğ Ɛŝ ĂŐŐƌĂǀĂ ĐŽŶ ůĂ ƉŽƐŝnjŝŽŶĞ ƐƵƉŝŶĂ Ğ ĚƵƌĂŶƚĞ ů͛ŝŶƐƉŝƌĂnjŝŽŶĞ;  
inoltre  può  irradiarsi  al  muscolo  trapezio.  
Lo   sfregamento   pericardico   ğ ƌŝůĞǀĂďŝůĞ Ăůů͛ĂƵƐĐƵůƚĂnjŝŽŶĞ ŶĞůů͛ϴϱй ĚĞŝ ƉĂnjŝĞŶƚŝ͕ ĐŽŵĞ ƵŶĂ ĨƌŝnjŝŽŶĞ ƐƵ ƵŶĂ Ɛuperficie  
ƌƵǀŝĚĂ͖ ğ ĐĂƵƐĂƚŽ ĚĂůů͛ĂƚƚƌŝƚŽ ĐŚĞ ƉƌŽĚƵĐĞ ů͛ĞƐƐƵĚĂƚŽ͘ YƵĞƐƚŽ ƌƵŵŽƌĞ ğ   caratteristicamente   incostante,   potendo  
scomparire  e  riapparire  modificato  dopo  qualche  giorno.  A  differenza  dello  sfregamento  pleurico  esso  si  ascolta  anche  
in  apnea.  
>͛'ƌiporta  cambiamenti  della  ripolarizzazione  ventricolare  ĚŽǀƵƚŝĂůů͛ŝŶĨŝĂŵŵĂnjŝŽŶĞdel  miocardio  subepicardico,  
in   quattro   stadi   progressivi.   Nel   primo   stadio   si   ha   sopraslivellamento   del   tratto   ST   in   tutte   le   precordiali   con  

                                                                                                                         
18
 ƉĞƌů͛,ĂƌƌŝƐŽŶŝŶǀĞĐĞůĂĨŽƌŵĂĞƐƐƵĚĂƚŝǀĂğĐƌŽŶŝĐĂ͕ĞĂŶĐŚĞů͛,ĞƌŽůĚĚŝĐĞĐŚĞƉƵſĞƐƐĞƌĞƵŶ͛ĞǀŽůƵnjŝŽŶĞĚĞůůĂƐĞĐĐĂ͘  
22  
 

andamento  concavo.  Nel  secondo  stadio,  dopo  alcuni  giorni,  il  tratto  ST  diventa  normale;  quindi,  nel  terzo  stadio,  si  ha  
inversione   delle   onde   T.   Infine,   dopo   settimane   o   mesi   dalla   pericardite   acuta,   nel   quarto   stadio   si   ha   si   nuovo   un  
reperto  fisiologico.  ŽŶƚƌĂƌŝĂŵĞŶƚĞĂůů͛ŝŶĨĂƌƚŽĚĞůmiocardio  qui  non  si  hanno  onde  Q,  diminuzione  di  ampiezza  di  R  o  
slivellamenti  ST  speculari.  
Il  versamento  pericardico  è  solitamente  associato  a  dolore  e  ad  ampliamento  della  silhouette  cardiaca.  Se  si  sviluppa  
rapidamente  può  causare  tamponamento  cardiaco.  Può  essere  difficile  da  distinguere  dalla  cardiomegalia.  
/ŶĐĂƐŽĚŝƐŽƐƉĞƚƚŽĚŝƉĞƌŝĐĂƌĚŝƚĞů͛ĞƐĂŵĞƉŝƷƵƚŝůĞğů͛ecocardiogramma,  che  individua  il  liquido  endopericardico  come  
uno   spazio   anecogeno   e   permette   una   sua   quantificazione.   Se   il   versamento   è   abbondante   il   cuore   può   muoversi  
ůŝďĞƌĂŵĞŶƚĞĂůů͛ŝŶƚĞƌŶŽĚĞůƉĞƌŝĐĂƌĚŝŽ;ĐƵŽƌĞŽƐĐŝůůĂŶƚĞͿ͘  

La  pericardiocentesi  si  può  effettuare  in  casi  di  dubbio.  Il  liquido  viene  esaminato  macroscopicamente:  giallo  opaco  
indica  possibile  eziologica  batterica;  giallo  limpido,  virale;  tinto  di  sangue,  neoplastica  o  uremica.  Il  liquido  viene  quindi  
analizzato  in  laboratorio.  
>͛ĞƐĂŵĞĚĞůƐĂŶŐƵĞpuò  evidenziare  un  innalzamento  degli  indici  di  infiammazione  (VES,  PCR,  globuline)  e,  in  caso  di  
ĞƐƚĞŶƐŝŽŶĞĚĞůů͛ŝŶĨŝĂŵŵĂnjŝŽŶĞal  miocardio,  moderato  aumento  dei  marcatori  cardiaci.  

Prognosi  e  terapia  
Nelle   forme   infettive   la   prognosi   è   buona:   la   pericardite   guarisce   anche   se   tende   a   recidivare.   Nelle   forme  
autoimmunitarie  la  prognosi  dipende  dalla  malattia  di  base.  
La  terapia  per  le  forme  virali  ŶŽŶğƐƉĞĐŝĨŝĐĂ͖ƐŝďĂƐĂƐƵůƌŝƉŽƐŽĂůĞƚƚŽĞƐƵůů͛ƵƐŽĚŝĂƐƉŝƌŝŶĂŽ͕ŝŶƐĞĐŽŶĚĂůŝŶĞĂ͕ĚĞŐůŝ
altri  FANS.  Per  le  forme  batteriche  o  tubercolari  terapia  antibiotica;  per  quelle  uremiche,  dialisi.  

Tamponamento  cardiaco  
Il  tamponamento  cardiaco  è  una  complicanza  grave  del  versamento  pericardico;  è  caratterizzato  da  un  accumulo  di  
fluido   nello   spazio   pericardico   tale   da   liŵŝƚĂƌĞ ƐŝŐŶŝĨŝĐĂƚŝǀĂŵĞŶƚĞ ů͛ĂĨĨůƵƐƐŽ Ěŝ ƐĂŶŐƵĞ Ăŝ ǀĞŶƚƌŝĐŽůŝ͘ ĂƵƐĞ ŶŽŶ
ƉĞƌŝĐĂƌĚŝƚŝĐŚĞĚĞůƚĂŵƉŽŶĂŵĞŶƚŽĐĂƌĚŝĂĐŽƐŽŶŽƚƌĂƵŵŝƚŽƌĂĐŝĐŝ͕ŝŶƚĞƌǀĞŶƚŝĐŚŝƌƵƌŐŝĐŝĞĚŝƐƐĞĐĂnjŝŽŶŝĚĞůů͛ĂŽƌƚĂ͘  
ƵĞ ǀĂƌŝĂďŝůŝ ƉŽƐƐŽŶŽ ĂůƚĞƌĂƌĞ ůĂ ĨŽƌŵĂnjŝŽŶĞ Ğů͛ĞĨĨĞƚƚŽ ĚĞů ƚĂŵƉŽŶĂŵĞŶƚo   cardiaco:   la  distensibilità   pericardica  e   il  
volume  intracardiaco.  

ůů͛ĂƵŵĞŶƚĂƌĞ ĚĞů ƚĂŵƉŽŶĂŵĞŶƚŽ Ɛŝ ŽƐƐĞƌǀĂ ƵŶ ĂƵŵĞŶƚŽ ĚĞůůĂ ƉƌĞƐƐŝŽŶĞ ŝŶƚƌĂƉĞƌŝĐĂƌĚŝĐĂ͘ YƵĂŶĚŽ ƋƵĞƐƚĂ ĂƌƌŝǀĂ Ăů
livello  della  pressione  diastolica  nel  ventricolo  destro  si  avrà  scompenso  cardiaco  destro;  quando  giunge  al  livello  del  
ǀĞŶƚƌŝĐŽůŽĚĞƐƚƌŽƐŝŝŶƐƚĂƵƌĂŶŽŵĞĐĐĂŶŝƐŵŝĚŝĐŽŵƉĞŶƐŽƋƵĂůŝůĂƚĂĐŚŝĐĂƌĚŝĂĞů͛ĂƵŵĞŶƚŽĚĞůůĞƌĞƐŝƐƚĞŶnjĞƉĞƌŝĨĞƌŝĐŚĞ͕
ĐŚĞƉĞƌžĂůů͛ĂƵŵĞŶƚĂƌĞĚĞůƚĂŵƉŽŶĂŵĞŶƚŽƚĞŶĚŽŶŽĂŶŽŶĞƐƐĞƌĞƐƵĨĨŝĐŝĞŶƚŝ͘  
La  triade  di  Beck  del  tamponamento  cardiaco  è  costituita  da:  
1. Ipotensione  arteriosa.  Si  ha  cianosi  e  impalpabilità  dei  polsi  periferici.  
2. Suoni  cardiaci  fiochi  o  assenti.  
3. Distensione  venosa  giugulare  con  aumento  della  pressione  venosa  centrale.  

Altre   caratteristica   importante   è   il   polso   paradosso,   che   consiste   in   un   eccessivo   abbassamento   inspiratorio   della  
pressione   sistolica   arteriosa   (il   riferimento   al   polso   indica   che   si   può   osservare   una   riduzione   del   polso   periferico  
ĚƵƌĂŶƚĞů͛ŝƐƉŝƌĂnjŝŽŶĞͿ͘EŽƌŵĂůŵĞŶƚĞŝŶŝŶƐƉŝƌĂnjŝŽŶĞƐŝforma  una  depressione  intratoracica  che  fa  sí  che  il  cuore  destro  
riceva  un  maggior  precarico.  Nel  tamponamento  cardiaco  il  ventricolo  destro  è  compresso  dal  pericardio  e  quindi  non  
riesce  a  dilatarsi  per  ricevere  questo  iperafflusso  se  non  a  spese  del  ventricolo  sinistro,  il  quale  pompa  meno  sangue  in  
aorta  con  conseguente  riduzione  della  pressione  arteriosa.  
La  diagnosi  del  tamponamento  cardiaco  deve  essere  precoce  in  quanto  instaurare  rapidamente  la  terapia  può  salvare  
la   vita   del   paziente;   si   effettua   cŽŶ ů͛ĞĐŽĐĂƌĚŝŽŐƌĂĨŝĂ͘ / ƉĂnjŝĞŶƚŝ ĐŽŶ ƉĞƌŝĐĂƌĚŝƚĞ ĂĐƵƚĂ ĚĞǀŽŶŽ ĞƐƐĞƌĞ ƚĞŶƵƚŝ ƐŽƚƚŽ
osservazione   proprio   per   individuare   rapidamente   un   tamponamento.   La   terapia   è   chirurgica   ed   è   costituita   dalla  
pericardiocentesi,  generalmente  guidata  da  ecocardiografia  con  un  approccio  subxifoideo.  
23  
 

Pericardite  cronica  costrittiva  


>Ă ƉĞƌŝĐĂƌĚŝƚĞ ĐƌŽŶŝĐĂ ĐŽƐƚƌŝƚƚŝǀĂ Ɛŝ ǀĞƌŝĨŝĐĂ ƋƵĂŶĚŽ ƵŶĂ ƉĞƌŝĐĂƌĚŝƚĞ ĂĐƵƚĂ ğ ƐĞŐƵŝƚĂ ĚĂůů͛ŽďůŝƚĞƌĂnjŝŽŶĞ ĚĞůůĂ ĐĂǀŝƚă
pericardica,   con   formazione   di   tessuto   di   granulazione   e   poi   di   una   cicatrice   che   circonda   il   cuore   e   ne   impedisce   i  
movimenti.  
/ů ƉĞƌŝĐĂƌĚŝŽ ƌŝŐŝĚŽ ĞƐĞƌĐŝƚĂ ƵŶ͛ĂnjŝŽŶĞ ĐŽƐƚƌŝƚƚŝǀĂ ƐƵů ĐƵŽƌĞ ƐŽƉƌĂƚƚƵƚƚŽ ŝŶ ĚŝĂƐƚŽůĞ͕ Ă ĚŝĨĨĞƌĞŶnjĂ ĚĞů ǀĞƌƐĂŵĞŶƚŽ
pericardico:  il  pericardio  rigido  non  esercita  una  pressione  durante  tutte  le  fasi,  ma  è  una  resistenza  invincibile  quando  
il  cuore  si  espande.  A  lungo  andare  si  può  avere  atrofia  miocardica.  

>͛eziologia  principale  nel  passato  e  attualmente  nei  paesi  in  via  di  sviluppo  è  quella  tubercolotica;  oggi  invece  in  Italia  
questa  forma  è  meno  frequente.  Tutte  le  cause  di  pericardite  acuta  possono  determinare  una  cronicizzazione.  

Clinica  e  diagnosi  
I  sintomi  sono  dispnea  da  sforzo,  astenia  (per  riduzione  della  gittata)  e  talvolta  dispnea  parossistica  notturna.    

Segni   di   scompenso   destro:   edemi   declivi,   ascite,   epatomegalia   con   fegato   da   stasi,   mentre   la   parte   superiore   del  
corpo  appare  ipotrofica.  Ci  possono  essere  ittero  e  cianosi  che  conferiscono  un  colore  olivastro.  Le  vene  del  collo  sono  
turgide  con  aumento  paradosso  ŶĞůů͛ŝŶƐƉŝƌĂnjŝŽŶĞƉƌŽĨŽŶĚĂ;ƐĞŐŶŽĚŝKussmaul).    
ůů͛ĂuscuůƚĂnjŝŽŶĞ ĚĞů ĐƵŽƌĞ Ɛŝ ƐĞŶƚĞ͕ Ăůů͛ŝŶŝnjŝŽ ĚĞůůĂ ĚŝĂƐƚŽůĞ͕ ƵŶŽ ƐĐŚŝŽĐĐŽ ƉĞƌŝĐĂƌĚŝĐŽ͕ ƵŶ ƌƵŵŽƌĞ ŝŶƚĞŶƐŽ ĚŽǀƵƚŽ
Ăůů͛ƵƌƚŽĚĞůůĞƉĂƌĞƚŝǀĞŶƚƌŝĐŽůĂƌŝĐŽŶƚƌŽŝůƉĞƌŝĐĂƌĚŝŽƌŝŐŝĚŽ͘^ŝĚŝƐƚŝŶŐƵĞĚĂů///ƚŽŶŽƉĞƌĐŚĠĐŽŵƉĂƌĞƐƵďŝƚŽĚŽƉŽŝů//͘^i  
può  anche  avere  uno  sdoppiamento  del  II  tono  per  anticipo  della  componente  aortica.    
>ĂƌĂĚŝŽŐƌĂĨŝĂĚĞůƚŽƌĂĐĞŶĞůϱϬйĚĞŝĐĂƐŝŵŽƐƚƌĂĐĂůĐŝĨŝĐĂnjŝŽŶŝĂůů͛ŝŶƚĞƌŶŽ͘  TC  o  RM  lo  stesso.  
>͛'ŵŽƐƚƌĂ  QRS  a  basso  voltaggio  e  onde  T  negative.    

Ecocardiogramma:  echi  per  calcificazioni  pericardiche,  ispessimento  del  pericardio  e  ridotta  espansione  diastolica.    
Diagnosi  differenziale  

x con   cirrosi:   turgore   delle   giugulari   e   segno   di   Kussmaul   possono   escludere   un   problema   epatico   (insieme  
Ăůů͛ĂƐƐĞŶnjĂĚŝĞŶnjŝŵŝĞƉĂƚŝĐŝĂůƚĞƌĂƚŝͿ͘  
x con   cardiomiopatia   restrittiva:   è   la   piú   simile,   mancano   solo   le   calcificazioni   pericardiche   alla   radiografia  
(peraltro  non  costanti).  In  alternativa  biopsia  miocardica.  

Terapia  
I  casi  lievi  devono  solo  essere  sorvegliati;  se  il  paziente  si  aggrava  si  può  ricorrere  a  terapia  con  diuretici  (per  diminuire  
il  ritorno  venoso  e  non  sforzare  il  cuore,  che  comunque  ha  una  diastole  limitata)  e  digitale  (per  favorire  una  buona  
contrazione).  
Se   la   sintomatologia   è   importante   è   indicata   la   pericardectomia,   che   libera   il   cuore   dal   guscio   costrittivo  
normalizzando  il  riempimento.  

   
24  
 

iv‹‘…ƒ”†‹–‹  

Le  miocarditi  sono  malattie  infiammatorie  del  muscolo  cardiaco.  

Eziologia  
x infettiva  
o 50%  virale.  Coxsackie,  parvovirus  B19,  HHV6,  EBV,  virus  influenzale,  Adenovirus,  Echovirus,  HIV,  HCV  
e   altri.   Oltre   al   danno   diretto   si   può   avere   danno   autoimmune   (spesso   sono   presenti   Ig   anti-­‐
sarcolemma)  
o malattia  di  Chagas:  parassitosi  da  Trypanosoma  cruzi,  trasmesso  col  morso  della  cimice  triatomina.  
o altre  parassitosi:  T.  brucei  (malattia  del  sonno);  Toxoplasma.  
o risposte   sistemiche   alle   infezioni   batteriche:   Diphteria;   Clostridium;   streptococchi,   endocarditi;   M.  
tubercolosis;  Borrelia  burgdorferi  (malattia  di  Lyme).  
o miceti  in  immunodeficienze;  
o raramente  tifo,  tubercolosi,  sifilide.  
x non  infettiva  
o immunomediata:  AR,  sarcoidosi,  vasculiti  
o farmaci  (es.  clozapina)    
o rigetto  del  trapianto  cardiaco  
o radioterapia  mediastinica  

Clinica  
Molto  variabile;  principalmente  decorso  lieve  con  guarigione  o  con  persistenza  di  aritmie  non  gravi.  Nel  15%  dei  casi  si  
ha   evoluzione   a   cardiomiopatia   dilatativa   e   a   insufficienza   cardiaca;   raramente   mortale.   Nelle   forme   infettive   ci  
possono  essere  astenia,  tachicardia,  extrasistoli.  I  segni  auscultatori  sono  aspecifici.  

Laboratorio  
Si  possono  essere  aumento  dei  marcatori  cardiaci,  aumento  della  VES,  aumento  del  BNP.  La  diagnosi  virologica  si  basa  
sulla  ricerca  dei  virus  nelle  feci  e  sulla  sierologia.  

Strumentale  
>͛'può  individuare  aritmie  (tachicardia  sinusale,  extrasistoli),  sottoslivellamento  ST,  onde  T  appiattite  o  negative,  
QRS  a  basso  voltaggio,  alterazioni  simili  a  quelle  delle  peri-­‐miocarditi.  
>͛ĞĐŽĐĂƌĚŝŽŐƌĂĨŝĂĞůĂZdžŐĞŶĞƌĂůŵĞŶƚĞƐŽŶŽŶĞŐĂƚŝǀĞ͘  

La  RM  con  contrasto  può  evidenziare  aree  di  accumulo  tardivo  e  segni  di  edema;  consente  inoltre  di  guidare  la  biopsia  
endomiocardica  effettuata  attraverso  cataterismo  del  cuore  sinistro.  

Terapia  
x eziologica  
x sintomatica:  riposo  
x se  insufficienza  cardiaca:  v.  
   
25  
 

vƒ”†‹‘‹‘’ƒ–‹‡  

Le   cardiomiopatie   sono   un   gruppo   eterogeneo   di   malattie   del   miocardio   associate   a   disfunzione   meccanica   e/o  
elettrica   e   solitamente   a   ipertrofia   o   dilatazione   ventricolare.   Per   definizione   sono   processi   che   interessano  
ĚŝƌĞƚƚĂŵĞŶƚĞ ŝů ŵŝŽĐĂƌĚŝŽ͕ ĐŽŶ ƵŶ͛ĞnjŝŽůŽŐŝĂ ĐŽŵƉůĞƐƐĂ͕   frequentemente   genetica;   non   possono   dunque   essere  
conseguenza  di  altre  malattie  cardiovascolari19.  

La  classificazione  classica  delle  cardiomiopatie  le  distingue  in   dilatative,  ipertrofiche  e  restrittive20.  Esiste  comunque  
una  certa  sovrapposizione  di  questĞĨŽƌŵĞ͕ĐŚĞƉŽƐƐŽŶŽĞǀŽůǀĞƌĞů͛ƵŶĂŶĞůů͛ĂůƚƌĂ͘  

Recentemente   è   stata   proposta   una   classificazione   nuova,   eziologica,   che   distingue   cardiomiopatie   primarie,   che  
riguardano   direttamente   il   cuore   e   che   possono   essere   genetiche,   acquisite   o   miste,   e   cardiomiopatie   secondarie   a  
malattie   sistemiche.   Questa   classificazione  tuttavia   non   è  ancora  molto   utilizzata,   anche   perché   nella   pratica   clinica  
attuale  non  si  hanno  informazioni  genetiche  al  tempo  della  presentazione  iniziale.  

Presentazione  generale  
I  sintomi  ininjŝĂůŝĚĞůůĞĐĂƌĚŝŽŵŝŽƉĂƚŝĞƐŽŶŽĂƐƐŽĐŝĂƚŝĂůů͛ŝŶƚŽůůĞƌĂŶnjĂĂůů͛ĞƐĞƌĐŝnjŝŽ͕ĐŽŶĚŝƐƉŶĞĂĞĂƐƚĞŶŝĂ͘>ĂƉƌŽŐƌĞƐƐŝŽŶĞ
è  associata  a  ritenzione  idrica  e  quindi  a  dispnea  a  riposo  e  ortopnea;  gli  edemi  periferici  possono  non  essere  presenti  
anche  in  caso  di  ritenzione  grave.  
Tutti  e  tre  i  tipi  di  cardiomiopatia  sono  associati  a  insufficienza  di  tricuspide  e  mitrale,  dolore  toracico,  tachiaritmie  ed  
embolia.  
La  valutazione  iniziale  del  paziente  inizia  con  anamnesi  ed  esame  obiettivo  che  ricercano  segni  di  malattia   cardiaca,  
extracardiaca  e  familiare.  La  diagnosi  e  la  terapia  dipendono  dal  grado  di  insufficienza  cardiaca.  

Eziologie  genetiche  
/ůƌƵŽůŽŐĞŶĞƚŝĐŽŶĞůů͛ĞnjŝŽůŽŐŝĂĚĞůůĞĐĂƌĚŝŽŵŝŽƉĂƚŝĞğƐĞŵƉƌĞƉŝƶƌŝĐŽŶŽƐĐŝƵƚŽ͘'ĞŶĞƌĂůŵĞŶƚĞů͛ĞƌĞĚŝƚăğĂƵƚŽƐŽŵŝĐĂ
dominante.  Deficit  ben  caratterizzati  sono  quelli  di  miosina,  actina  e  troponina,  associati  a  cardiomiopatia  ipertrofica.  
Deficit  associati  alla  forma  dilatativa  sono  invece  quelli  di  proteine  delle  linee  Z  (es.  desmina),  del  citoscheletro  o  del  
sarcolemma   (es.   distrofina).   Altri   deficit   che   possono   provocare   cardiomiopatie   sono   quelli   enzimatici   (es.  
galattosidasi-­‐A)  e  mitocondriali.  
La   terapia   è   comunque   basata   sul   fenotipo   piuttosto   che   sulla   genetica,   fatta   eccezione   per   alcune   malattie   come  
quelle   da   deficit   enzimatico.   In   caso   di   sospetto   di   malattia   genetica   è   consigliabile   lo   screening   con   ECG   ed  
ecocardiografia  dei  parenti.  

Cardiomiopatia  dilatativa  
La  cardiomiopatia  dilatativa  è  caratterizzata  da  dilatazione  del  ventricolo  sinistro  e  riduzione  della  funzione  sistolica,  
misurata  come  riduzione  della  frazione  di  eiezione  del  ventricolo  sinistro.  È  la  forma  piú  frequente.  

Eziologia  
Questa   forma   ha   diverse   possibili   eziologie;   fino   ad   un   terzo   dei   casi   può   essere   familiare.  Le   forme   acquisite   sono  
spesso   attribuite   ad   una   lesione   iniziale,   ad   esempio   infettiva   o   tossica,   che   provoca   necrosi,   apoptosi   e   ipertrofia  
compensativa,   mentre   fattori   locali   e   circolanti   determinano   progressione   della   malattia   anche   dopo   la   cessazione  
della   lesione   iniziale.   Si   ritiene   che   questi   fattori   secondari   possano   cessare   rendendo   la   malattia   inizialmente  
reversibile.  

                                                                                                                         
19
 È  quindi  errata  la  distinzione  tra  cardiomiopatia  ischemica  e  non  ischemica.  
20
 In  realtà  la  cardiomiopatia  restrittiva  è  associata  ad  un  maggiore  spessore  di  parete  e  a  camere  che  possono  essere  di  volume  
ridotto  ma  anche  leggermente  aumentato.  Oggi  la  c.  restrittiva  si  definisce  in  base  alla  funzione  diastolica  anomala.  
26  
 

La   diagnosi   di   cardiomiopatia   dilatativa   idiopatica   è   di   esclusione,   e   si   effettua   quando   gli   altri   fattori   sono   stati  
esclusi.  Costituisce  i  due  terzi  delle  diagnosi  totali.  

x Miocarditi  (v.)  
x Cardiomiopatie  tossiche  
o Cardiomiopatia   alcolica͘ >͛ĞƚĂŶŽůŽ ğ ůĂ ƚŽƐƐŝŶĂ ƉŝƷ ĨƌĞƋƵĞŶƚĞŵĞŶƚĞ ŝŵƉůŝĐĂƚĂ ŶĞůůĂ ĐĂƌĚŝŽŵŝŽƉĂƚŝĂ
ĚŝůĂƚĂƚŝǀĂ͖ ůĂ ƚŽƐƐŝĐŝƚă ğ ĚŽǀƵƚĂ ƐŝĂ Ăůů͛ĞƚĂŶŽůŽ ĐŚĞ Ăůů͛ĂĐĞƚĂůĚĞŝĚĞ͖ Ěŝ ƐĞĐŽŶĚĂƌŝĂ ŝŵƉŽƌƚĂŶnjĂ ƐŽŶŽ ŝ
deficit  vitaminici  conseguenti.  
o Cardiomiopatia   chemoterapica.   Gli   antineoplastici   sono   i   farmaci   piú   frequentemente   associati   a  
ĐĂƌĚŝŽŵŝŽƉĂƚŝĂĚŝůĂƚĂƚŝǀĂ͖ŝŶƉĂƌƚŝĐŽůĂƌĞŚĂŶŶŽƵŶƌƵŽůŽů͛ĂŶƚƌĂĐŝĐůŝŶĂĞŝůƚƌĂƐƚƵnjƵŵĂď͘  
x Cardiomiopatie  metaboliche  
o Alcuni   disturbi   endocrini   ƉŽƐƐŽŶŽ ďĞƌƐĂŐůŝĂƌĞ ŝů ĐƵŽƌĞ͗ ů͛ŝƉĞƌƚŝƌŽŝĚŝƐŵŽ Ğ ů͛ŝƉŽƚŝƌŽŝĚŝƐŵŽ͖ ŝů ĚŝĂďĞƚĞ
ŵĞůůŝƚŽ͕ů͛ŽďĞƐŝƚă͘  
o I   deficit   nutrizionali   come   quello   di   tiamina   (malattia   di   Beri-­‐Beri),   di   carnitina,   calcio,   fosfato   e  
magnesio  possono  essere  associati  a  cardiomiopatie.  
o >͛emocromatosi  può  causare  una  forma  di  cardiomiopatia  restrittiva  con  presentazione  clinica  simile  
a  una  forma  dilatativa.    
x Cardiomiopatie  familiari  
o Le  forme  piú  frequenti  sono  le  distrofie  muscolari.  Sia  la  distrofia  di  Duchenne  che  quella  piú  lieve  di  
Becker  sono  causate  da  anomalie  legate  a  X  del  gene  della  distrofina.    
o La  displasia  ventricolare  aritmogenica21  è  una  malattia  genetica  autosomica  dominante  suggerita  da  
una  storia  familiare  di  morte  improvvisa  o  di  tachicardia  ventricolare  seguita  da  cardiomiopatia.  Può  
manifestarsi   in   età   molto   precoce.   La   causa   è   un   deficit   genetico   di   proteine   del   desmosoma   che  
ĂůƚĞƌĂŶĚŽů͛ĂƌĐŚŝƚĞƚƚƵƌĂŵŝŽĐĂƌĚŝĐĂĚĞƚĞƌŵŝŶĂƐŽƐƚŝƚƵnjŝŽŶĞĚĞůŵƵƐĐŽůŽĐŽŶƚĞƐƐƵƚŽĨŝďƌŽ-­‐adiposo  la  
cui   alterata   conduzione   elettrica   determina   la   formazione   di   un   circuito   di   rientro.   Le   pareti  
ǀĞŶƚƌŝĐŽůĂƌŝ Ɛŝ ĂƐƐŽƚƚŝŐůŝĂŶŽ Ğ ƉŽƐƐŽŶŽ ĞƐƐĞƌĞ ǀŝƐƵĂůŝnjnjĂƚĞ Ăůů͛ĞĐŽĐĂƌĚŝŽŐƌĂĨŝĂ Ž͕ ŵĞŐůŝŽ͕ ĂůůĂ ZD͖
essenziale  la  ventricolografia  con  biopsia.  La  stessa  proteina  si  trova  anche  nei  capelli  e  nella  pelle,  
ĐŽƐŞĂǀŽůƚĞƐŝŚĂƵŶĂƐŝŶĚƌŽŵĞĐŚĞĐŽŝŶǀŽůŐĞĂŶĐŚĞƋƵĞƐƚŝĚŝƐƚƌĞƚƚŝ͘WĞƌƚƌĂƚƚĂƌĞů͛ĂƌŝƚŵŝĂƐŝƵƐĂŶŽɴ-­‐
ďůŽĐĐĂŶƚŝ͖ ƉĞƌ ƉƌĞǀĞŶŝƌĞ ůĂ ŵŽƌƚĞ ŝŵƉƌŽǀǀŝƐĂ ğ ƐŽůŝƚĂŵĞŶƚĞ ŝŶĚŝĐĂƚŽ ů͛ŝŵƉŝĂŶƚŽ Ěŝ ƵŶ ĚĞĨŝďƌŝůůĂƚŽƌĞ
impiantabile.  

Fisiopatologia  
Il  danno  al  miocardio  determina  ridotta  funzionalità  contrattile  e  quindi  aumento  del  volume  residuo  telesistolico,  
con  conseguente  dilatazione  dei  ventricoli  che  determina  in  seguito  dilatazione  atriale:  il  cuore  si  ingrandisce  di  2-­‐3  
volte.  La  dilatazione  ventricolare  può  causare  spostamento  dei  muscoli  papillari  con  associata  insufficienza  mitralica,  
che   provoca   aumento   della   pressione   atriale   sinistra   e   quindi   scompenso   cardiaco   sinistro,   con   ipertensione  
polmonare,   il   quale   progressivamente   determina   scompenso   globale.   Altre   possibili   complicanze   della   dilatazione  
ventricolare  sono  la  tromboembolia  e  le  aritmie.  

Diagnosi  e  terapia  
>͛anamnesi   valuta   innanzitutto   i   sintomi,   costituiti   da   dispnea   e   astenia   e   i   segni   dello   scompenso   cardiaco;   quindi  
ǀĞƌŝĨŝĐĂů͛ĞǀĞŶƚƵĂůŝƚăĚŝuna  pregressa  infezione,  il  consumo  di  alcol,  la  familiarità  e  gli  altri  fattori  eziologici.  
ŽŶů͛esame  obiettivo  si  può  ƌŝůĞǀĂƌĞĂůů͛ĂƐĐŽůƚĂnjŝŽŶĞůĂƉƌĞƐĞŶnjĂĚŝƐŽĨĨŝƉĞƌů͛ŝŶƐƵĨĨŝĐŝĞŶnjĂŵŝƚƌĂůŝĐĂ͕ĚŝƚĞƌnjŽĞƋƵĂƌƚŽ
ƚŽŶŽƉĂƚŽůŽŐŝĐŽĞĚŝƌĂŶƚŽůŝƉĞƌů͛ŝƉĞƌƚĞŶƐŝŽŶĞƉŽůŵŽŶĂƌĞ͖ĂůůĂƉĞƌĐƵƐƐŝŽŶĞů͛ŝŶŐƌĂŶĚŝŵĞŶƚŽĚĞůů͛ĂŝĂĐĂƌĚŝĂĐĂ͘  
WĞƌůĂĚŝĂŐŶŽƐƚŝĐĂƉĞƌŝŵŵĂŐŝŶŝǀ͘ŝůĐĂƉŝƚŽůŽƐƵůůŽƐĐŽŵƉĞŶƐŽĐĂƌĚŝĂĐŽ͘ŝƉĂƌƚŝĐŽůĂƌĞƌŝůĞǀĂŶnjĂƐŽŶŽů͛ĞĐŽĐĂƌĚŝŽŐƌĂĨŝĂ͕
che   consente   di   valutare   dilatazione   ventricolare   e   funzionalità   valvolare,   e   la   coronarografia,   che   consente   di   fare  
diagnosi  differenziale  con  la  cardiopatia  ischemica.    

La  biopsia  del  miocardio  consente  di  differenziare  la  forma  dilatativa  dalle  altre.  
                                                                                                                         
21
  la   dispensa   la   chiama   miocardiopatia   aritmogena   del   ventricolo   destro͕ ŵĂ ů͛,ĂƌƌŝƐŽŶ ĂŐŐŝƵŶŐĞ ĐŚĞ Ɛŝ ğ ŽƐƐĞƌǀĂƚŽ ĐŚĞ ƉƵž
interessare  anche  il  ventricolo  sinistro.  
27  
 

Per  escludere  coronaropatie  è  possibile  effettuare  la  coronarografia.  


La  terapia  è  quella  generica  per  lo  scompenso  cardiaco;  il  trapianto  resta  una  possibilità  importante.  

Cardiomiopatia  ipertrofica  
La   cardiomiopatia   ipertrofica22   è   caratterizzata   da  spiccata   ipertrofia   ventricolare   sinistra  in   assenza   di   altre   cause,  
come  ipertensione  o  valvulopatia.  La  cardiopatia  ipertrofica  può  essere  ostruttiva  o  non  ostruttiva.  

Eziologia  
/Ŷ ĐŝƌĐĂ ŵĞƚă ĚĞŝ ĐĂƐŝ Ěŝ ĐĂƌĚŝŽŵŝŽƉĂƚŝĂ ŝƉĞƌƚƌŽĨŝĐĂ ğ ŝĚĞŶƚŝĨŝĐĂďŝůĞ ƵŶ͛ĞnjŝŽůŽŐŝĂ ŐĞŶĞƚŝĐĂ͗ ůĂ ŵĂůĂƚƚŝĂ ŚĂ ƵŶĂ
trasmŝƐƐŝŽŶĞ ĂƵƚŽƐŽŵŝĐĂ ĚŽŵŝŶĂŶƚĞ ĐŽŶ ƉĞŶĞƚƌĂŶnjĂ ǀĂƌŝĂďŝůĞ͘ WŝƷ ĚĞůů͛ϴϬй ĚĞůůĞ ŵƵƚĂnjŝŽŶŝ ĐŽůƉŝƐĐŽŶŽ ůĂ catena  
pesante  della  miosina,  la  proteina  C  legante  la  miosina  e  la  troponina  T.  

Morfologia  
>͛ipertrofia  si  definisce  asimmetrica  perché  interessa  principalmente  il  setto  interventricolare  (soprattutto  nella  sua  
porzione  superiore;  questo  può  provocare  alterazioni  del  flusso  aortico)  mentre  è  meno  evidente  a  livello  di  parete,  
differentemente  da  quanto  accade  nelle  forme  secondarie.  A  causa  della  prominenza  del  setto,  in  sezione  trasversale  
la  cavità  ventricolare  assume  una  forma  a  banana.  
 ůŝǀĞůůŽ ŝƐƚŽůŽŐŝĐŽ Ɛŝ ŽƐƐĞƌǀĂ ĐŽŶƐŝĚĞƌĞǀŽůĞ ŝƉĞƌƚƌŽĨŝĂ ĚĞůůĞ ĨŝďƌĞ͕ ĂŶŽŵĂůŝĞ ĚĞůů͛ĂƌĐŚŝƚĞƚƚƵƌĂ ƚĞƐƐƵƚĂůĞ Ğ ĨŝďƌŽƐŝ
interstiziale.  

Fisiopatologia  
La   funzione   sistolica   è   spesso   aumentata   (ipercontrattilità):   a   volte   si   può   osservare   obliterazione   della   cavità  
ventricolare  durante  la  sistole.  Si  ha  inoltre  disfunzione  diastolica  che  può  essere  dovuta  alla  ridotta  distensibilità  in  
ƐĞŐƵŝƚŽ Ăůů͛ŝƉĞƌƚƌŽĨŝĂ ʹ   ma   può   anche   precedere   ůĂ ĐŽŵƉĂƌƐĂ Ěŝ ƋƵĞƐƚ͛ƵůƚŝŵĂ͘ La   disfunzione   diastolica   provoca  
aumentata  pressione  nel  ventricolo.  

^ŝ ŚĂ ŝŶŽůƚƌĞ ƵŶ͛ostruzione   aortica   sistolica   dinamica   dovuta   a   due   cause:   una   sporgenza   subaortica   data  
ĚĂůů͛ŝƉĞƌƚƌŽĨŝĂ ůŽĐĂůŝnjnjĂƚĂ Ğ ƵŶ movimento   anteriore   sistolico   della   mitrale͘ >͛ŽƐƚƌƵnjŝŽŶĞ può   essere   aggravata   da  
ĐŽŶĚŝnjŝŽŶŝĐŚĞĂƵŵĞŶƚĂŶŽůĂĐŽŶƚƌĂƚƚŝůŝƚă;ĞƐĞƌĐŝnjŝŽĨŝƐŝĐŽ͕ɴ-­‐agonisti,  digitale)  e  da  manovre  o  farmaci  che  riducono  il  
precarico  o  il  postcarico  (manovra  di  Valsalva,  nitrati,  ortostatismo  prolungato).  
La  patologia  può  essere  associata  ad  aritmie.  

Manifestazioni  e  diagnosi  
>ĂŵĂůĂƚƚŝĂƐŝŵĂŶŝĨĞƐƚĂŐĞŶĞƌĂůŵĞŶƚĞƚƌĂŝǀĞŶƚŝĞŝƋƵĂƌĂŶƚ͛ĂŶŶŝ͘/ůƐŝŶƚŽŵŽƉŝƶĨƌĞƋƵĞŶƚĞğůĂ dispnea  da  sforzo.  Il  
dolore  toracico  da  sforzo  ğĐĂƵƐĂƚŽĚĂůů͛ĂůƚĂƌŝĐŚŝesta  miocardica  di  ossigeno.  Si  possono  avere  anche  manifestazioni  di  
aritmie,  come  il  cardiopalmo  e  morte  improvvisa.  
>͛ĞƐĂŵĞ ŽďŝĞƚƚŝǀŽ ƌŝůĞǀĂ ƚŝƉŝĐĂŵĞŶƚĞ ƵŶ soffio   sistolico   ĐĂƵƐĂƚŽ ĚĂůůĂ ƚƵƌďŽůĞŶnjĂ ǀĞŶƚƌŝĐŽůĂƌĞ Ğ ĚĂůů͛ŝŶƐƵĨĨŝĐŝĞŶnjĂ
mitralica.  
>͛'Ğ ƌŝůĞǀĂ ů͛ŝƉĞƌƚƌŽĨŝĂ ǀĞŶƚƌŝĐŽůĂƌĞ ƐŝŶŝƐƚƌĂ ĐŽŵĞ onde  Q   che   possono   essere   lette   erroneamente  come   segno   di  
infarto  del  miocardio.  Può  inoltre  individuare  eventuali  aritmie.  

>͛ĞĐŽĐĂƌĚŝŽŐƌĂĨŝĂĐŽŶƐĞŶƚĞĚŝŝŶĚŝǀŝĚƵĂƌĞ͕ŽůƚƌĞĂůů͛ŝƉĞƌƚƌŽĨŝĂƐĞƚƚĂůĞ͕ŝůmovimento  anteriore  mitralico.    

Terapia  
La   terapia   è   volta   alla   gestione   dei   sintomi   e   alla   prevenzione   della   morte   improvvisa.   I   pazienti   a   basso   rischio  
ƉŽƐƐŽŶŽ ƐŽƐƚĞŶĞƌĞƵŶ͛Ăƚƚŝǀŝƚă ĨŝƐŝĐĂ ŵŽĚĞƌĂƚĂ͕ ŵĂ Ă ƚƵƚƚŝ ƐŽŶŽ ƐĐŽŶƐŝŐůŝĂƚŝů͛ĂůůĞŶĂŵĞŶƚŽŝŶƚĞŶƐŝǀŽ Ğ ůĞ ĐŽŵƉĞƚizioni  
sportive.  

                                                                                                                         
22
 un  tempo  chiamata  anche  stenosi  subaortica  ipertrofica  idiopatica  oppure  cardiomiopatia  ostruttiva.  
28  
 

La   dispnea   e   il   dolore   toracico   sono   trattati   con   farmaci   che   riducono   la   frequenza   cardiaca   e   la   contrazione  
ǀĞŶƚƌŝĐŽůĂƌĞ͕ŝŶŵŽĚŽĚĂŵŝŐůŝŽƌĂƌĞŝůƌŝĞŵƉŝŵĞŶƚŽǀĞŶƚƌŝĐŽůĂƌĞ͗ɴ-­‐bloccanti  e  verapamil.  Nei  casi  non  responsivi  si  può  
ricorrere  alla  miomectomia  settale.  
Nei  pazienti  ad  alto  rischio  di  aritmia  è  possibile  usare  un  defibrillatore  impiantabile.  

Cardiomiopatia  restrittiva  
La   cardiomiopatia   restrittiva   è   caratterizzata   da   funzione   diastolica   anomala,   dovuta   ad   una   ridotta   distensibilità  
ventricolare.   La   pressione   telediastolica   in   entrambi   i   ventricoli   è   di   conseguenza   aumentata,   cosa   che   provoca  
scompenso  globale.  

Eziologia  
>ĂĐĂƌĚŝŽŵŝŽƉĂƚŝĂƌĞƐƚƌŝƚƚŝǀĂğŐĞŶĞƌĂůŵĞŶƚĞĐĂƵƐĂƚĂĚĂůů͛ŝŶĨŝůƚƌĂnjŝŽŶĞĚŝƐŽƐƚĂŶnjĞĂŶŽŵĂůĞƚƌĂŝŵŝociti,  dal  deposito  di  
metaboliti  anomali  dentro  i  miociti  o  da  danno  fibrotico.    

>͛amiloidosi   ğ ůĂ ĐĂƵƐĂ ƉƌŝŶĐŝƉĂůĞ Ěŝ ĐĂƌĚŝŽŵŝŽƉĂƚŝĂ ƌĞƐƚƌŝƚƚŝǀĂ͕ ŝŶ ƉĂƌƚŝĐŽůĂƌĞ ůĂ ƐƵĂ ĨŽƌŵĂ ĚŽǀƵƚĂ Ăůů͛ĂĐĐƵŵƵůŽ Ěŝ
catene  leggere  di  immunoglobuline  e  secondariamente  per  lĂĨŽƌŵĂĨĂŵŝůŝĂƌĞĚŽǀƵƚĂĂůů͛ĂĐĐƵŵƵůŽĚŝtranstiretina.  

Molti  deficit  del  metabolismo  possono  provocare  accumulo  di  metaboliti:  esempi  sono  la  malattia  di  Fabry  (deficit  di  
ɲȬgalattosidasi  A),  malattia  di  Gaucher,  glicogenosi,  mucopolisaccaridosi.  

La   cardiomiopatia   restrittiva   su   base   fibrotica   si   osserva   nei   pazienti   che   hanno   effettuato   radioterapia   per   cancro  
polmonare  o  mammario,  nonché  nei  pazienti  con  sclerosi  sistemica.  
hŶĂĨŝďƌŽƐŝĞƐƚĞƐĂĚĞůů͛ĞƉŝĐĂƌĚŝŽ͕ŶŽŶĂƐƐŽĐŝĂƚĂĂĚĂŶŶŽŵŝŽĐĂƌĚŝĐŽƚƌĂŶƐmurale,  può  da  sola  provocare  il  quadro  delle  
cardiomiopatie   restrittive.   Nei   paesi   temperati   si   parla   di   sindrome   di   Löffler:   in   una   condizione   di   ipereosinofilia  
ƉĞƌƐŝƐƚĞŶƚĞ ƐŝŝŶƐƚĂƵƌĂ ƵŶ ĚĂŶŶŽ Ăůů͛ĞŶĚŽĐĂƌĚŝŽŝŶ ĂƐƐŽĐŝĂnjŝŽŶĞ ĐŽŶŵĂůĂƚƚŝĂ ƐŝƐƚĞŵŝĐĂ͘ EĞŝ paesi   tropicali   si   parla  di  
fibrosi  endomiocardica;  istologicamente  si  tratta  della  stessa  malattie  ma  ci  sono  alcune  differenze:  non  è  preceduta  
da  ipereosinofilia,  è  ugualmente  frequente  tra  uomini  e  donne,  è  molto  piú  diffusa  tra  i  neri.  

Manifestazioni  e  diagnosi  
Le  manifestazioni  sono  quelle  dello  scompenso  cardiaco:  dispnea  da  sforzo  e  astenia,  edemi  periferici,  turgore  delle  
giugulari,  epatomegalia  e  ascite.  
>Ă ĚŝĂŐŶŽƐƚŝĐĂ ƉĞƌ ŝŵŵĂŐŝŶŝ ĞǀŝĚĞŶnjŝĂ ĐŽŶ ů͛ĞĐŽĐĂƌĚŝŽŐƌĂĨŝĂ ƉĂƌĞƚŝ ǀĞŶƚƌŝĐŽůĂƌŝ ŝƐƉĞƐƐŝƚĞ Ɛŝŵŵetricamente,   con   la  
ƌĂĚŝŽŐƌĂĨŝĂĚĞůƚŽƌĂĐĞƵŶĂůĞŐŐĞƌĂĐĂƌĚŝŽŵĞŐĂůŝĂ͘>͛'ŵŽƐƚƌĂƐůŝǀĞůůĂŵĞŶƚŽĚĞůƚƌĂƚƚŽ^dĞĂŶŽŵĂůŝĞĚĞůů͛ŽŶĚĂd͘  
La   biopsia   endomiocardica   ğ ů͛ƵŶŝĐĂ ŝŶĚĂŐŝŶĞ ĐŚĞ ĐŽŶƐĞŶƚĞ Ěŝ ĞĨĨĞƚƚƵĂƌĞ ĚŝĂŐŶŽƐŝ ĚŝĨĨĞƌĞŶnjŝĂůĞ ĐŽŶ ůĂ ƉĞƌŝĐĂƌĚŝƚĞ
costrittiva.  

Terapia  
La  terapia  mira  a  contrastare  gli  effetti  dello  scompenso  cardiaco;  in  tal  senso  sono  particolarmente  indicati  i  diuretici.  
>ĂŵĂůĂƚƚŝĂŚĂĐŽŵƵŶƋƵĞƵŶĚĞĐŽƌƐŽůĞŶƚĂŵĞŶƚĞƉƌŽŐƌĞƐƐŝǀŽĞů͛ƵŶŝĐĂǀĞƌĂƚĞƌĂƉŝĂĐƵƌĂƚŝǀĂğŝůƚƌĂƉŝĂŶƚŽĚŝĐƵŽƌĞ͘  
29  
 

vi†‘…ƒ”†‹–‹  

Endocarditi  infettive  
Le   endocarditi   infettive   sono   infezioni   (batteriche   e   fungine)   delle   valvole   cardiache,   sia   naturali   che   artificiali;  
ů͛ŝŶĨĞnjŝŽŶĞƉƵžĂŶĐŚĞŝŶƚĞƌĞƐƐĂƌĞůĂƚŽŶĂĐĂŝŶƚŝŵĂĚĞůů͛ĂŽƌƚĂŽƉƉƵƌĞů͛ĞŶĚŽĐĂƌĚŝŽƐĞƚƚĂůĞŽŵƵƌĂůĞŝŶĂůcune  condizioni  
patologiche.  
>Ă ĐůĂƐƐŝĨŝĐĂnjŝŽŶĞ ƉƵž ĞƐƐĞƌĞ ĞĨĨĞƚƚƵĂƚĂ ƐƵ ďĂƐĞ ĞnjŝŽůŽŐŝĐĂ͖ ƐƵůůĂ ďĂƐĞ ĚĞůů͛ĞǀŽůƵnjŝŽŶĞ ƚĞŵƉŽƌĂůĞ ĚĞůůĂ ŵĂůĂƚƚŝĂ ŝŶ
endocarditi  acute  e  subacute;  in  base  al  sito  di  infezione  in  endocarditi  delle  valvole  naturali  e  delle  protesi  valvolari;  
ŝŶďĂƐĞĂŝĨĂƚƚŽƌŝĚŝƌŝƐĐŚŝŽĐŽŵĞů͛endocardite  associata  a  droghe  iniettive.  
>͛ĞŶĚŽĐĂƌĚŝƚĞ acuta   è   una   malattia   febbrile   che   danneggia   rapidamente   le   strutture   cardiache,   si   diffonde   per   via  
ematica   ad   altri   distretti   e,   se   non   trattata,   conĚƵĐĞ Ă ŵŽƌƚĞ ŝŶ ƉŽĐŚĞ ƐĞƚƚŝŵĂŶĞ͘ >͛ĞŶĚŽĐĂƌĚŝƚĞ subacuta   ha   un  
decorso  asintomatico,  raramente  causa  danno  strutturale,  non  si  diffonde  ed  è  lentamente  progressiva  a  meno  che  
non  sia  complicata  dalla  formazione  di  un  embolo.  

Le  condizioni  predisponenti  sono  ůĞƉĂƚŽůŽŐŝĞĐĂƌĚŝĂĐŚĞĐŽŶŐĞŶŝƚĞ͕ůĂŵĂůĂƚƚŝĂƌĞƵŵĂƚŝĐĂ͕ů͛ƵƐŽĚŝĚƌŽŐŚĞŝŶŝĞƚƚŝǀĞĞůĂ


presenza   di   dispositivi   intracardiaci.   Le   protesi   possono   essere   infettate   indipendentemente   dalla   loro   natura  
ŵĞĐĐĂŶŝĐĂŽďŝŽůŽŐŝĐĂ͖ů͛ŝŶĨĞnjŝŽŶĞǀĂůǀŽůĂƌĞƉƵžĞƐƐĞƌĞƉƌĞĐŽĐĞ;ĞŶƚƌŽĚƵĞŵĞƐŝĚĂůů͛ŝŶƚĞƌǀĞŶƚŽͿŽƚĂƌĚŝǀĂ͘  

Eziopatogenesi  
Anche   se   diverse   specie   di   batteri   e   di   funghi   causano   sporadicamente   endocardite   la   maggioranza   dei   casi   è  
determinato   da   poche   specie:   50%   streptococchi   (S.   viridans),   35%   stafilococchi   (S.   aureus  e   stafilococchi   coagulasi-­‐
negativi),  10%  enterococchi,  1%  miceti.  
WĞƌĐŚĠ ů͛ĞŶĚŽƚĞůŝŽ ƐŝĂ ŝŶĨĞƚƚĂƚŽ ğ ŶĞĐĞƐƐĂƌŝŽ ĐŚĞ ǀĞŶŐĂ ƉƌĞĐĞĚĞŶƚĞŵĞŶƚĞ ĚĂŶŶĞŐŐŝĂƚŽ Ž ĐŚĞ ĐŽƐƚŝƚƵŝƐĐĂ ƐĞĚĞ Ěŝ
trombosi.  I  microbi  entrano  nel  flusso  ematico  tramite  le  superfici  mucosali,  la  pelle  o  siti  infettivi  focali  ed  aderiscono  
alle  sedi  di  trombosi  (eccezione  per  S.  aureus  ĐŚĞƉƵžĂĚĞƌŝƌĞĚŝƌĞƚƚĂŵĞŶƚĞĂůů͛ĞŶĚŽƚĞůŝŽŝŶƚĂƚƚŽͿ͘'ĞŶĞƌĂůŵĞŶƚĞğŝů
cuore  sinistro  ad  essere  interessato;  invece  nei  casi  associati  a  droghe  endovenose  i  microbi  provengono  dalla  pelle  
ĂƚƚƌĂǀĞƌƐŽƵŶ͛ŝŶŝĞnjŝŽŶĞĞƋƵŝŶĚŝƐŝŝŵƉŝĂŶƚĂŶŽŐĞŶĞƌĂůŵĞŶƚĞŶĞůĐƵŽƌĞĚĞƐƚƌŽ͘  
^Ğ ŝ ďĂƚƚĞƌŝ ƌŝĞƐĐŽŶŽ Ă ƐŽƉƌĂǀǀŝǀĞƌĞ Ăůů͛ĂnjŝŽŶĞ ŝŵŵƵŶŝƚĂƌŝĂƉƌŽůŝĨĞƌĂŶŽ Ğ ŝŶŶĞƐĐĂŶŽ ƵŶŽ ƐƚĂƚŽ ƉƌŽĐŽĂŐƵůĂƚŝǀŽ ĐŚĞ ŶĞ
ĨĂǀŽƌŝƐĐĞ ů͛ƵůƚĞƌŝŽƌĞ ĂĚĞƐŝone;   alla   fine   si   formano   le   vegetazioni,   costituite   da   piastrine,   fibrina,   microcolonie   di  
microbi  e  cellule  infiammatorie.  
Le  conseguenze  della  formazione  di  vegetazioni  possono  essere:  stenosi  o  insufficienza  valvolare,  ascessi  miocardici,  
alterazioni  della  conduzione  e  formazione  di  emboli  settici.  

Clinica  
>Ğ ŵĂŶŝĨĞƐƚĂnjŝŽŶŝ ĐůŝŶŝĐŚĞ ĚĞůů͛ĞŶĚŽĐĂƌĚŝƚĞ ŶŽŶ ƐŽŶŽ ƐƉĞĐŝĨŝĐŚĞ͘ >Ă ĨĞďďƌĞ ğ ŝů ƐĞŐŶŽ ĐŽƐƚĂŶƚĞ ĚĞůůĞ ĨŽƌŵĞ ĂĐƵƚĞ͖ ğ
causata  dalla  rispŽƐƚĂĐŝƚŽĐŚŝŶŝĐĂĂůů͛ŝŶĨĞnjŝŽŶĞ͖può  ĂŶĐŚĞĞƐƐĞƌĞů͛ƵŶŝĐŽƐĞŐŶŽĚŝmalattia.  Nella  forma  subacuta  si  può  
avere  febbricola  oppure  solo  astenia  e  calo  ponderale  e  artromialgie.    
Le  manifestazioni  cardiache  sono  caratterizzate  principalmente  dai  soffi  cardiaci,  che  possono  indicare  la  cardiopatia  
ƉƌĞĚŝƐƉŽŶĞŶƚĞ Ž ů͛ĞŶĚŽĐĂƌĚŝƚe   stessa.   Si   può   avere   insufficienza   cardiaca   congestizia   o   infezione   del   miocardio   con  
formazione  di  ascessi.  
>͛ĞŵďŽůŝnjnjĂnjŝŽŶĞ ƐĞƚƚŝĐĂe   la   deposizione   di  immunocomplessi   possono   dare   luogo   a  manifestazioni  extracardiache:  
encefalite  embolica,  microembolie  retiniche,  petecchie  subungueali  e  noduli  di  Osler  (piccoli,  rossastri  e  dolorosi,  sulle  
dita),  infarti  renali,  splenomegalia.  >ĞŵĂŶŝĨĞƐƚĂnjŝŽŶŝŶŽŶĐĂƌĚŝĂĐŚĞƐŽŶŽĂƐƐŽĐŝĂƚĞĂůůĂĚƵƌĂƚĂĚĞůů͛ŝŶĨĞnjŝŽŶĞĞƋƵŝŶĚŝ  
sono  diventate  meno  frequenti.    
30  
 

Laboratorio  
^ŝŚĂŶŶŽƐĞŐŶŝĂƐƉĞĐŝĨŝĐŝ͕ĐŽŵĞů͛ĂƵŵĞŶƚŽĚŝs^ĞWZĞů͛ĂŶĞŵŝĂ͘>͛ĞƐĂŵĞĨŽŶĚĂŵĞŶƚĂůĞğƚƵƚƚĂǀŝĂů͛ĞŵŽĐŽůƚƵƌĂ͘/ů
ƉƌĞůŝĞǀŽǀĂĞĨĨĞƚƚƵĂƚŽƉƌŝŵĂĚŝŝŶŝnjŝĂƌĞŐůŝĂŶƚŝďŝŽƚŝĐŝ͕ŝŶƋƵĂůƵŶƋƵĞŵŽŵĞŶƚŽ;ůĂďĂƚƚĞƌŝĞŵŝĂğĐŽŶƚŝŶƵĂ͕ƋƵŝŶĚŝŶŽŶĐ͛ğ
bisogno  di  aspettaƌĞŝůďƌŝǀŝĚŽͿ͘^ŽŶŽŶĞĐĞƐƐĂƌŝƚƌĞƉƌĞůŝĞǀŝƉĞƌĐŚĠĐ͛ğƵŶĂďĂƐƐĂƐƉĞĐŝĨŝĐŝƚă͘  

Diagnosi  
La   diagnosi   certa   si   basa   sulla   valutazione   istologica   e   microbiologica.   Esistono   tuttavia   dei   criteri   clinici   con   alte  
caratteristiche   diagnostiche,   i   criteri   di   Duke:   per   porre   diagnosi   sono   necessari   entrambi   i   criteri   maggiori,   o   uno  
maggiore  e  tre  minori,  o  tutti  e  cinque  i  minori.  

Criteri  maggiori   Criteri  minori  


1. due  emocolture  positive  ;͙Ϳ   1. uno  dei  seguenti  fattori  eziologici:  
2. una  delle  seguenti:   a. cardiopatia  predisponente  
a. ecocardiogramma  positivo   b. uso  di  droghe  iniettive  
b. nuova  insufficienza  valvolare   2. febbre  >  38°C  
3. manifestazioni  vascolari  (es.  emorragia  cerebrale)  
4. manifestazioni  immunologiche  (es.  nn.  di  Osler)  
5. prove  microbiologiche  secondarie  (es.  sierologia)  
>͛ŝƐŽůĂŵĞŶƚŽ ĚĞů ƉĂƚŽŐĞŶŽ ĚĂůů͛ĞŵŽĐŽůƚƵƌĂ ğ ĞƐƐĞŶnjŝĂůĞ ƉĞƌ ůĂ ĚŝĂŐŶŽƐŝ͕ ůĂ ĚĞƚĞƌŵŝŶĂnjŝŽŶĞ ĚĞůůĂ ƐĞŶƐŝďŝůŝƚă ĂŐůŝ
ĂŶƚŝďŝŽƚŝĐŝĞůĂƉŝĂŶŝĨŝĐĂnjŝŽŶĞƚĞƌĂƉĞƵƚŝĐĂ͘/ŶƵŶϭϬйĚĞŝĐĂƐŝƚƵƚƚĂǀŝĂů͛ĞŵŽĐŽůƚƵƌĂğŶĞŐĂƚŝǀĂ͘  

Terapia  
La   terapia   medica   Ɛŝ ďĂƐĂ ƐƵůů͛ƵƐŽ Ěŝ ĂŶƚŝďŝŽƚŝĐŝ͘ WĞƌ ĐƵƌĂƌĞ ů͛ĞŶĚŽĐĂƌĚŝƚĞ ğ ŶĞĐĞƐƐĂƌŝŽ ĞƌĂĚŝĐĂƌĞ ƚƵƚƚŝ ŝ ďĂƚƚĞƌŝ ĚĂůůĞ
vegetazioni;   questo   può   essere   difficile   perché   le   difese   immunitarie   locali   sono   ridotte   e   perché   i   batteri   presenti  
sono   metabolicamente   inerti.   La   terapia   deve   essere   quindi   battericida   e   prolungata.   Si   avvia   una   terapia   empirica  
ĚŽƉŽŝƉƌĞůŝĞǀŝƉĞƌů͛ĞŵŽĐŽůƚƵƌĂĞƉŽŝĞǀĞŶƚƵĂůŵĞŶƚĞƐŝĐŽƌƌĞŐŐĞŝŶďĂƐĞĂŝƌŝƐƵůƚĂƚŝĚĞůů͛ĂŶƚŝďŝŽŐƌĂŵŵĂ͘  

x terapia  empirica,  valvola  naturale  


o ampicillina  12-­‐24  g/die  ev  +  gentamicina  (aminoglicoside)  3  mg/kg/die  ev  +  cefotaxim  6  g/die  ev  
x terapia  empirica,  valvola  protesica  
o vancomicina  +  gentamicina  +  rifampicina  
x terapia  per  streptococchi  
o penicillina  G  2-­‐3  mU  endovena  per  4  settimane  
o ceftriaxone  se  allergia  a  penicillina,  vancomicina  se  allergia  a  tutti  ŝɴ-­‐lattamici  
x terapia  per  stafilococchi  
o nafcillina/oxacillina  2  g  endovena  per  4-­‐6  settimane  
o vancomicina  ƐĞĂůůĞƌŐŝĂĂɴ-­‐lattamici  o  MRSA.  per  4-­‐6  settimane  

/ŶĂůĐƵŶŝĐĂƐŝğŶĞĐĞƐƐĂƌŝŽů͛intervento  chirurgico,  es.  disfunzione  valvolare  con  insufficienza  cardiaca  congestizia,  


valvola  protesica  instabile,  batteriemia  persistente.  

Prevenzione  
/ŶƉĂƐƐĂƚŽƐŝĐŽŶƐŝŐůŝĂǀĂů͛ƵƐŽĚŝĂŶƚŝďŝŽƚŝĐŝƐŝƐƚĞŵŝĐŝƉƌŝŵĂĚŝƉƌŽĐĞĚƵƌĞĐŚĞƉŽƚĞǀĂŶŽŝŶĚƵƌƌĞďĂƚƚĞƌŝĞŵŝĂ;ŝŶƚĞƌǀĞŶƚŝ
odontoiatrici,   procedure   GI   e  genitourinarie);   si  ğ ƉŽŝ ƐƚĂďŝůŝƚŽ ĐŚĞ ĐĞ Ŷ͛ğ ďŝƐŽŐŶŽ ƐŽůŽ ŝŶ ƉĂnjŝĞŶƚŝĐŽŶ ƌŝƐĐŚŝŽ ŵŽůƚŽ
ĂůƚŽ͕ĐŽŶĂŵŽdžŝĐŝůůŝŶĂϮŐƉĞƌŽƐƵŶ͛ŽƌĂƉƌŝŵĂĚĞůůĂƉƌŽĐĞĚƵƌĂ͘  

Endocarditi  non  infettive  


x endocardite  reumatica:  febbre  reumatica  
x endocardite  di  Libman-­‐Sacks:  LES  
x sindrome  di  Löffler:  cŽůƉŝƚŽů͛ĞŶĚŽĐĂƌĚŝŽĚĞůǀĞŶƚƌŝĐŽůŽĚĞƐƚƌŽ͕Ɛŝpuò  ǀĞƌŝĨŝĐĂƌĞƋƵĂŶĚŽĐ͛ğĞŽƐŝŶŽĨŝůŝĂ;ĂƐŵĂ
allergico,  linfomi  e  leucemie).  
   
33  
 

viiiƒŽƒ––‹‡†‡ŽŽǯƒ‘”–ƒ  

‡—”‹•ƒ†‡ŽŽǯƒ‘”–ƒ  
Un  aneurisma  è  una  dilatazione  patologica  di  un  segmento  di  un  vaso;  esso  tende  ad  aumentare  con  il  tempo  fino  alla  
rottura  della  parete.  Si  distinguono  gli  aneurismi  veri,  che  interessano  tutte  e  tre  le  tuniche,  dagli  pseudoaneurismi,  in  
cui   una   soluzione   di   continuità   nella   tonaca   intima   e  muscolare   determina   la   formazione   di   un  ematoma  che   viene  
arginato  dai  tessuti  perivascolari.  Gli  aneurismi  possono  essere  anche  classificati  in  base  alla  morfologia  in  fusiformi  (a  
tutta  circonferenza)  e  sacculari  (limitati);  in  base  alle  dimensioni  in  micro-­‐  e  macro-­‐aneurismi.  
Gli  aneurismi  aortici  possono  essere  distinti  in    

x toracici  (rari)  
x addominali  (>3  cm),  piú  frequenti,  quasi  sempre  sottorenali.  

Eziologia  
La   causa   piú   frequente   è   la   degenerazione   della   parete   aortica,   da   aterosclerosi.   Cause   piú   rare   sono   congenite:  
Marfan   (fibrillina   I),   Loeys-­‐ŝĞƚnj ;ƌĞĐĞƚƚŽƌĞ ƉĞƌ d'&ɴͿ͕ ŚůĞƌƐ-­‐Danlos   (collageno);   infiammatorie:   sifilide,   vasculiti,  
micosi,  tubercolosi;  traumatiche.  

Clinica  e  diagnosi  
Generalmente   gli   aneurismi   aortici   sono   asintomatici,   tuttavia   a   volte   possono   presentare   manifestazioni   da  
compressione  sulle  strutture  circostanti  (vena  cava,  duodeno,  ureteri)  e  quelli  in  stadio  avanzato  possono  provocare  
ĚŽůŽƌĞ͘>ĂƌŽƚƚƵƌĂĚĞůů͛ĂŶĞƵƌŝƐŵĂğŝŶǀĞĐĞƵŶ͛ĞŵĞƌŐĞŶnjĂŵĞĚŝĐĂ͗ƐŝŚĂƵŶ͛ĞŵŽƌƌĂŐŝĂŵŽůƚŽŝŶƚĞŶƐĂĐŽŶƐŚŽĐŬ͕ŐƌĂǀĞ
ipotensione,   colorito   bianco   e   polso   impalpabile.   La   rottura   può   avvenire   nel   retroperitoneŽ͕ ŶĞůů͛ŝŶƚĞƐƚŝŶŽ ;ĨŝƐƚŽůĂ
aorto-­‐enterica)  o  nella  vena  cava  (fistola  aorto-­‐cavale).  
Il  riscontro  di  un  aneurisma  aortico  integro  avviene  quindi  spesso  nel  corso  di  un  esame  obiettivo  o  di  diagnostica  per  
ŝŵŵĂŐŝŶŝ ĞĨĨĞƚƚƵĂƚĂ ƉĞƌ Ăůƚƌŝ ƐĐŽƉŝ͘ ůů͛ĞƐĂŵĞ ŽďŝĞttivo   si   osserva   una   pulsazione   espansiva   in   epigastrio   o  
ŵĞƐŽŐĂƐƚƌŝŽ͖ Ɛŝ ĚŝƐƚŝŶŐƵĞ ĚĂ ƉŽƐƐŝďŝůŝ ŵĂƐƐĞ ŝŶ ƌĂƉƉŽƌƚŽ ĐŽŶ ů͛ĂŽƌƚĂ ƉĞƌĐŚĠ ŶĞůů͛ĂŶĞƵƌŝƐŵĂ ůĂ ƉƵůƐĂnjŝŽŶĞ ǀŝĞŶĞ
trasmessa  in  tutte  le  direzioni.  Si  può  discriminare  grossolanamente  tra  aneurismi  soprarenali  o  sottorenali  tramite  la  
manovra  di  DeBakey,  che  consiste  nel  palpare  sotto  il  processo  xifoideo  a  paziente  disteso.  
>͛ecografia  si  effettua  subito  dopo,  per  individuare  sede,  estensione  craniocaudale  e  diametro  della  lesione  (>3  cm).  
Per   definire  ŝŶŵĂŶŝĞƌĂ ƉƌĞĐŝƐĂ ƚƵƚƚĞůĞĐĂƌĂƚƚĞƌŝƐƚŝĐŚĞ ĚĞůů͛ĂŶĞƵƌŝƐŵĂ Ɛŝ ƉƵžƵƐĂƌĞůĂ TC   con  contrasto   o  la  RM   con  
gadolinio;   la   prima   è   un   esame   rapido   mentre   la   seconda   non   dà   reazioni   allergiche   e   non   richiede   la   presenza  
ĚĞůů͛ĂŶĞƐƚĞƐŝƐƚĂ͘  

Terapia  
Si   consiglia   il   trattamento   chirurgico   nei   pazienti   sintomatici   o   con   un   aneurisma   di   diametro   elevato:   >5,5   cm   nei  
maschi  e  >4,5  cm  nelle  donne25.  
Esistono  due  opzioni:  

1. resezione  ĚĞůů͛ĂŶĞƵƌŝƐŵĂcon  apposizione  di  protesi.  Anestesia  generale,  laparotomia  mediana,  clampaggio  
ĚĞůů͛ĂŽƌƚĂ͕ĂƉĞƌƚƵƌĂĚĞůů͛ĂŶĞƵƌŝƐŵĂ͕ŝŶƐĞƌnjŝŽŶĞƉƌŽƚĞƐŝ͘  
2. apposizione   di   endoprotesi   per   via   cateterale;   essa   aderisce   alla   parete   tramite   degli   uncini   e   poi   viene  
ĞƐƉĂŶƐĂ ƚƌĂŵŝƚĞ ů͛ƵƐŽ Ěŝ ƵŶ ƉĂůůŽŶĐŝŶŽ͘   Si   usa   una   protesi   a   Y   rovesciata.   Incisione   inguinale   bilaterale,  
ĂŶŐŝŽŐƌĂĨŝĂŝŶƚƌĂŽƉĞƌĂƚŽƌŝĂ͕ƉŽƐŝnjŝŽŶĂŵĞŶƚŽĚĞůĐŽƌƉŽĞƉŽŝĚĞůůĂŐĂŵďĂĚĞůů͛ĞŶĚŽƉƌŽƚĞƐŝ͘  

                                                                                                                         
25
 Ě͛ĂůƚƌĂƉĂƌƚĞůĂƚĞŶĚĞŶnjĂĂůů͛ĂŐŐƌĂǀĂŵĞŶƚŽĨĂƐşĐŚĞĂŶĐŚĞŐůŝĂůƚƌŝƉĂnjŝĞŶƚŝƐŝĂŶŽĂƌŝƐĐŚŝŽĚŝƌŽƚƚƵƌĂĂŶĞƵƌŝƐŵĂƚŝĐĂ  
34  
 

‹••‡…ƒœ‹‘‡ƒ‘”–‹…ƒȋƒ‡—”‹•ƒ†‹••‡…ƒ–‡†‡ŽŽǯƒ‘”–ƒȌ  
La   dissecazione   aortica   è   una   lacerazione   circonferenziale   o   trasversale   della   tonaca   intŝŵĂ ĚĞůů͛ĂŽƌƚĂ͘ ŽƐƚŝƚƵŝƐĐĞ
ƵŶ͛ĞŵĞƌŐĞŶnjĂƉŽŝĐŚĠğĂssociata  ad  altissima  mortalità  (80%  a  due  settimane  se  non  si  è  trattati).  
La  lacerazione  della  tonaca  intima  è  seguita  dal  suo  scollamento  della  tonaca  media,  con  formazione  di  un  falso  lume  
separato   dal   ůƵŵĞ ǀĞƌŽ ĚĂůĐŽƐŝĚĚĞƚƚŽ ĨůĂƉ ŝŶƚŝŵĂůĞ͖ ůĂ ĚŝƐƐĞĐĂnjŝŽŶĞ Ɛŝ ƉƌŽƉĂŐĂ ƋƵŝŶĚŝ ĚŝƐƚĂůŵĞŶƚĞ ŶĞůů͛ĂŽƌƚĂ Ğ ŶĞůůĞ
sue   diramazioni   principali   (ma   può   propagarsi   anche   prossimalmente).   In   alcuni   casi   si   può   avere   una   seconda  
lacerazione  distale  che  determina  il  rientro  del  sangue  nel  lume  vero  (aorta  a  doppia  canna).  
/ů ƉŝĐĐŽ Ě͛ŝŶĐŝĚĞŶnjĂ ĚĞůůĂ ĚŝƐƐĞĐĂnjŝŽŶĞ ĂŽƌƚŝĐĂ ğ ŶĞůůĂ ƐĞƐƚĂ Ğ ƐĞƚƚŝŵĂ ĚĞĐĂĚĞ͖ Őůŝ ƵŽŵŝŶŝ ƐŽŶŽ ĐŽůƉŝƚŝ ĚƵĞ ǀŽůƚĞ Ɖŝú  
spesso  che  le  donne.  

Eziologia  
&ĂƚƚŽƌŝ ĚŝƌŝƐĐŚŝŽ ƐŽŶŽ ů͛ŝƉĞƌƚĞŶƐŝŽŶĞ͕ ůĂ ƐŝŶĚƌŽŵĞ Ěŝ   Marfan,   la   sindrome   di  Ehlers-­‐Danlos,   le   aortiti,   le   valvulopatie  
congenite  della  valvola  aortica,  la  gravidanza,  il  cateterismo  aortico.  

Classificazione  
Esistono  due  classificazioni  in  base  alla  localizzazione.  
Stanford   DeBakey    
In   base   al   tempo   intercorso   dalla   presentazione   si   parla   di  
A   1   ascendente  e  discendente  
dissezione  aortica  acuta  (<  15  giorni)  e  cronica.  
2   ascendente  
 
B   3   solo  discendente  
 

Clinica  
La   patologia   si   presenta   con   dolore   a   insorgenza   improvvisa   molto   intenso   al   torace   o   alla   schiena   e   sudorazione  
profusa͘ ůƚƌŝ ƐŝŶƚŽŵŝ ŝŶĐůƵĚŽŶŽ ůĂ ƐŝŶĐŽƉĞ͕ ůĂ ĚŝƐƉŶĞĂ͕ ů͛ĂƐƚĞŶŝĂ͘ ŝ ƉŽƐƐŽŶŽ ĞƐƐĞƌĞ ĂůƚƌĞ ŵĂŶŝĨĞƐƚĂnjŝŽŶŝ ŝŶ ďĂƐĞ Ăů
ĐŽŝŶǀŽůŐŝŵĞŶƚŽĚŝďƌĂŶĐŚĞĚĞůů͛ĂŽƌƚĂŽĂůůĂĐŽŵƉƌĞƐƐŝŽŶĞĚŝƐƚƌƵƚƚƵƌĞĐŝƌĐŽƐƚĂŶƚŝ͘  
Complicanze   tipo   A:   insufficienza   valvolare   aortica   per   coinvolgimento   retrogrado,   tamponamento   cardiaco   per  
rottura   in   cavità   pericardica,   infarto   del   miocardio.   Complicanze   tipo   B:   emotorace,   emorragia   mediastinica   o  
addominale.  

Immagini  
La   radiografia   può   individuare  un   ingrandimento   del  mediastino   superiore.   >͛ecografia  transtoracica   è  molto  valida  
ƉĞƌ ůĞ ĚŝƐƐĞĐĂnjŝŽŶŝ ĐŚĞ ŝŶƚĞƌĞƐƐĂŶŽ ů͛ĂŽƌƚĂ ĂƐĐĞŶĚĞŶƚĞ ŵĞŶƚƌĞ ƋƵĞůůĂ transesofagea,   piú   invasiva,   è   utile   anche   per  
valutare  il  segmento  discendente.  La  TC  e  la  RM  possono  essere  usate  solo  per  i  pazienti  emodinamicamente  stabili  
(perché   vanno   portati   in   radiologia)   ma   hanno   ottime   caratteristiche   diagnostiche   e   riescono   a   visualizzare   il   flap  
intimale.    

Terapia  
x ricovero  in  unità  di  terapia  intensiva  per  il  monitoraggio  emodinamico  
x riduzione  della  contrattilità  cardiaca  e  della  pressione  
o ɴ-­‐bloccanti  
o in  seconda  linea  calcioȬantagonisti  
x analgesia  
x ĐŚŝƌƵƌŐŝĂ Ě͛ƵƌŐĞŶnjĂ:   indicata   nelle   dissecazioni   tipo   A   e   in   quelle   tipo   B   complicate   (es.   ischemia   degli   arti  
ŝŶĨĞƌŝŽƌŝͿ͘ >͛ŽƉĞƌĂnjŝŽŶĞ Ɛŝ ĞĨĨĞƚƚƵĂ ĐŽŶ ƐƚĞƌŶŽƚŽŵŝĂ ŵĞĚŝĂŶĂ   (toracotomia   posterolaterale   sx   per   tipo   B),  
circolazione   extracorporea,   ipotermia   moderata   e   infusione   di   soluzione   ĐĂƌĚŝŽƉůĞŐŝĐĂ͘ ^ŝ ĂƉƌĞ ů͛ĂŽƌƚĂ   e   si  
ƉƌŽƐĞŐƵĞ ĐŽŶ ů͛escissione   del   flap   intimale͕ ů͛ŽďůŝƚĞƌĂnjŝŽŶĞ ĚĞů ĨĂůƐŽ ůƵŵĞ Ğ ů͛ĂƉƉŽƐŝnjŝŽŶĞ Ěŝ ƵŶ trapianto  
interposto;  se  la  valvola  aortica  è  interessata  si  opta  per  un  trapianto  tubovalvolare.  In  alternativa  è  possibile  
ĞĨĨĞƚƚƵĂƌĞƵŶ͛ŽƉĞƌĂnjŝŽŶĞconservativa  suturando  la  lacerazione  intimale  e  apponendo  un  rinforzo  in  Teflon  
della  parete  aortica.  >͛ŝŶƚĞƌǀĞŶƚŽĐŚŝƌƵƌŐŝĐŽğĂƐƐŽĐŝĂƚŽĂĚƵŶĂŵŽƌƚĂůŝƚăĚĞůϭϱй͘    
I Gazzellini

- Interna -
- Pneumo -

A. Fusco
INDICE

Insuff. Respiratoria ......................................................................... 4

Da l’ Herolds

BPCO ...................... 388

Enfisema ................. 391

Asma ....................... 396

Dalla dispensa di A.Mazzella

Polmoniti infettive 35

Pneumopatie intestiziali 38
I Gazzellini

Insufficienza respiratoria
IR, si definisce come la situazione in cui c’è un’alterazione nello scambio gassoso. Non avviene una
sufficiente ossigenazione né eliminazione di CO2.
Si diagnostica in presenza di ipossiemia (PaO2 minore di 60 mmHg) nel sangue arterioso, associata o
meno a una ipercapnia.
Il valore di 60 mmHg è valido solo a livello del mare (varia un poco con il cambiamento della pressione
atmosferica) e sulla curva di dissociazione dell’emoglobina corrisponde ad una saturazione del 90%. Una
saturazione più bassa può provocare ipossia tissutale. Altre cause di ipossia tissutale oltre all’insufficienza
respiratoria sono insufficienza circolatoria, anemica e citotossica (cianuro).
Un altro parametro importante è il gradiente alveolo-arterial de O2 (AaPO2) che è la differenza tra la
PaO2 nel gas alveolare e la PaO2 nel sangue arterioso. In una persona sana con uno scambio normale, la
AaPO2 non scende sotto i 10-15 mmHg. Questo parametro è alterato nelle patologie che coinvolgono il
parenchima polmonare. Le cause extrapolmonari di IR non modificano la AaPO2.

Esiste una IR acuta e una IR cronica. La differenza non la fa quanto dura la IR.
IR acuta: IR senza che si siano messi in moto i meccanismi di compenso.
IR cronica: si sono messi in moto i meccanismi di compenso per evitar l’ipossia tissutale. La stimolazione
dei chemiorecettori periferici (per diminuzione della PaO2) provoca: poliglobulia, aumento della
ventilazione, spostamento (con pari meccanismi) a destra della curva di dissociazione dell’emoglobina.
Avviene anche ritenzione renale di bicarbonato per compensare l’ipercapnia e l’eventuale acidosi
respiratoria.
IR cronica acutizzata: è una IR acuta che avviene in corso di una IR cronica stabile.
Si usa anche un’altra classificazione:
IR parziale: ipossiemia senza ipercapnia.
IR globale: ipossiemia con ipercapnia. Può avvenire con polmone normale (patologie extrapolmonari) e
con polmone patologico.

Cause di IR:
Ipoventilazione: diminuzione del volume di aria che giunge allo scambio gassoso. Ossia diminuzione
della ventilazione alveolare (ventilazione totale meno ventilazione dello spazio morto). È dovuta a
patologie che non coinvolgono il polmone, ma diminuiscono la ventilazione.
Provoca ipossiemia e ipercapnia (IR globale) però la AaPO2 è normale.

Alterazione del rapporto ventilazione/perfusione (V/Q): il rapporto ventilazione perfusione nelle


varie unità alveolari non è mai esattamente uguale a 1. Agli apici la perfusione è maggiore, mentre è
maggiore la ventilazione alle basi. Ci sono patologie in cui il rapporto V/Q è basso (efecto mezcla
venosa come avviene nell’asma, EPOC e polmonite) e si produce solo una ipossiemia (l’ipercapnia è
compensata dall’aumento della ventilazione). In altre patologie il rapporto V/Q è alto (efecto espacio
muerto come avviene nell’embolia polmonare e nell’enfisema) e si produce solo una lieve ipocapnia.

Alterazione della diffusione: alterazione del processo di diffusione passiva che permetta il passaggio
di ossigeno dall’alveolo al sangue. Avviene in alcune patologie polmonari. Una volta si pensava che il
principale meccanismo fosse l’ispessimento della membrana alveolo-capillare, però pare che in realtà sia
più importante la perdita della struttura polmonare e del letto capillare polmonare.
Il principale meccanismo pare essere la diminuzione del tempo di contatto (nel quale l’ossigeno passa
alle emazie). Normalmente il tempo è di 3-4 secondi e basta un terzo del tempo perché la PO2 nel sangue
sia la stessa che nell’alveolo.
Riassumendo abbiamo ipossiemia per alterazione della diffusione quando c’è: diminuzione de la pO2,
inspessimento della membrana capillare, tempo di transito accorciato (che accade quando c’è un

4
Pneumo per Interna

alto volume cardiaco o diminuzione del letto capillare per distruzione od ostruzione).

Effetto shunt: avviene quando c’è un passaggio di sangue non ossigenato direttamente nella
circolazione sistemica, senza passare per lo scambio gassoso polmonare. In questo caso il rapporto V/Q
sarà uguale a 0.
Vi sono alcuni shunt fisiologici (che tra l’altro fanno sì che la saturazione di ossigeno nel sangue arterioso
non sia mai proprio del 100%) come la circolazione bronchiale e le vene di Tebesio. La presenza di
alcuni veri e propri shunt o cortocircuiti patologici può essere una causa di ipossiemia, ma non è molto
comune. Molto più probabile è che ci siano zone polmonari non ventilate come accade nell’atelettasia
o nell’edma polmonare. L’AaPO2 è alto, c’è ipossiemia che non si modifica con la somministrazione di
ossigeno e ipocapnia dovuta all’iperventilazione che c’è in questi casi (risposta alla bassa saturazione di
O2).

Diminuzione della FiO2: diminuzione della frazione inspirata di O2 con conseguente ipossiemia. Può
accadere ad esempio in soggetti che vivono ad alte quote. C’è iperventilazione e quindi ipocapnia.

Altri meccanismi: quando c’è un’insufficienza cardiaca o una diminuzione della concentrazione
di emoglobina i tessuti rispondono aumentando la frazione di estrazione di ossigeno e pertanto
aggravando l’ipossiemia. È un meccanismo collaterale.
La IR cronica può essere ipercapnica o no. In genere quando c’è ipoventilazione in genere c’è IR
globale con ipossiemia e ipercapnia, mentre alterazioni polmonari causano in genere solo ipossiemia.
L’ipossiemia può migliorare con l’ossigeno terapia però per migliorare l’ipercapnia bisogna migliorare la
ventilazione.
Vi sono anche casi in cui intervengono entrambi i meccanismi insieme.
Quindi: nell’ipoventilazione abbiamo diminuzione di pO2 e pCO2; nelle alterazioni del rapporto V/Q
abbiamo diminuzione di pO2 senza una grande diminuzione della pCO2; nelle patologie interstiziali
abbiamo ipossiemia senza ipercapnia; nel distress respiratorio abbiamo ipossiemia, ma ipocapnia.

Clinica: abbiamo sintomi di ipossiemia e ipercapnia ai quali sempre si aggiungono (soprattutto nella
insufficienza respiratoria cronica) i sintomi della patologia di base.

Manifestazioni dell’ipossiemia: l’ipossiemia può produrre:


Ipertensione arteriosa polmonare: vasocostrizione polmonare (meccanismo di compenso per cercare
di riequilibrare il rapporto V/Q quando la ventilazione è bassa) che nel tempo può causare cuore
polmonare cronico ossia scompenso cardiaco destro (fegato da stasi, edemi, aumento pressione venosa
centrale).
Tachicardia: tentativo per aumentare il lavoro cardiaco.
Dispnea: è il sintomo più frequente che si produce nel tentativo di aumentare la ventilazione con
conseguente aumento dello sforzo respiratorio. C’è aumento della frequenza respiratoria, e dell’uso della
muscolatura respiratoria accessoria. Può essere anche dovuta alla patologia di base.
Disordini neuropsichiatrici: causati dalla ipossia cerebrale. Possono essere ansietà, irritabilità, tremore,
sonnolenza e anche confusione e coma.
A livello sistemico possiamo avere segni di disfunzione di vari organi, ad esempio renale.
Può esserci una perdita di peso (forse per aumento dei mediatori come il TNF indotto dall’ipossia
tissutale).
Un’altra risposta è la poliglobulia che però può favorire fenomeni trombo embolici.
Un segno caratteristico è la cianosi che si produce quando la quantità di emoglobina ridotta periferica è
maggiore di 5g/dl. È condizionato da fattori come la quantità totale di emoglobina, etc.

Manifestazioni dell’ipercapnia: sono dovute al coinvolgimento dell’SNC. I pazienti riferiscono

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I Gazzellini

comunemente cefalea (per la vasodilatazione cerebral) poi alterazioni del ciclo sonno-veglia e
sonnolenza, confusione mentale e in ultima istanza il coma ipercapnico.
Un altro segno caratteristico è il tremore o flapping che è comune a molte encefalopatie.

Manifestazioni nella IR cronica acutizzata: i sintomi saranno molto influenzati dalla patologia di base.
Comporta una peggiore ipossiemia e (a volte) ipercapnia. C’è quasi sempre dispnea, respirazione rapida e
superficiale, uso della muscolatura accessoria, sudorazione, diminuzione dei livelli di coscienza.

Diagnosi di IR cronica: dapprima bisogna confermare l’esistenza dell’insufficienza respiratoria tramite


gasometria e poi ricercarne le cause con esami specifici.
Gasometria arteriale: o emogasanalisi, che dimostra una pO2 minore di 60 mmHg e/o una pCO2
maggiore di o uguale a 45 mmHg. Questo esame permette di conoscere anche la saturazione di
emoglobina e la presenza di alterazioni dell’equilibrio acido-base e dunque del pH.
Si parla di ipossiemia per valori della PO2 minori di 80 ma maggiori di 60, sotto i 60 è IR.
Si parla di ipercapnia per valori della PCO2 maggiori di 45, ipocapnia se minori di 45.
Pulsossimetria: è una maniera non invasiva (determinazione transcutanea) per determinare la
sola saturazione di ossigeno (che è in relazione alla quantità di ossigeno disciolta nel plasma). È
particolarmente utile durante il sonno e nelle prove da sforzo.
Gradiente alveolo-arteriale di ossigeno (AaPO2): si calcola a partire dalla PaCO2, PaO2 e dipende
dalla pressione atmosferica e dalla frazione inspirata di O2. È un indicatore dell’efficacia del parenchima
polmonare nell’effettuare lo scambio gassoso e si riscontra alterato in tutte le patologie che modificano
lo scambio di gas. Può essere utile nel determinare la causa della IR.
Determinazione della PaCO2: possibile in modo invasivo, nell’aria espirata e con analisi transcutanea.

Diagnosi eziologica della IR cronica: un primo passo possiamo farlo valutando la AaPO2, se è alterata ci
orienta verso una patologia polmonare, se non è alterata ci orienta verso una patologia extrapolmonare.
Spirometria: la spirometria è la prova basica della funzione polmonare, fondamentale per stabilire la
causa di una IR. Il calcolo di parametri come la FEV1 (flusso espiratorio al primo secondo), FVC (capacità
vitale), rapporto FEV1/FVC ci permette ad esempio di classificare le patologie in tre classi:
Alterazione ventilatoria ostruttiva: limitazione al flusso aereo (diminuzione FEV1).
Alterazione ventilatoria restrittiva: diminuzione dei volumi polmonari (diminuzione FVC).
Alterazione ventilatoria mista: sia ostruttiva che restrittiva.
La spirometria valuta anche il grado di gravità di queste condizioni e in genere si suole eseguire anche
dopo stimolazione tramite un broncodilatatore (generalmente beta2-agonista).
Pletismografia: o tecniche di diffusione dei gas inerti: permette di valutare i volumi polmonari statici
come la capacità polmonare totale o la capacità polmonare residua o il volume residuo. Si usa nel caso di
patologie che alla spirometria sono risultate alterazioni restrittive o miste.

Analisi della capacità polmonare di transferencia del monossido di carbonio (DLCO): test molto
utilizzato che misura la quantità di CO che passa attraverso la membrana alveolo capillare nell’unità di
tempo. Serve per determinare la superficie vascolare disponibile per lo scambio di gas (infatti divisa
per la ventilazione alveolare si chiama KCO ossia fattore di transferencia). È utile per diagnosticare un
enfisema, anemia, patologie vascolari polmonari, malattie interstiziali, etc.

Test per cause neuromuscolari: si eseguono test per misurare la pressione ispiratoria minima e
massima, la resistenza dei muscoli respiratori, la pressione trans diaframmatica.

Prove da sforzo: alcune manifestazioni possono non essere percepite a riposo però manifestarsi sotto
sforzo.
Ci sono esercizi di tipo submaximo come la prova dei sei minuti di marcha (si valuta la saturazione sotto

6
Pneumo per Interna

sforzo), esercizi di tipo maximo (con cicloergometro o tapiz-roulant) in cui si monitorizzano variazioni
nelle variabili ventilatorie per valutare l’esistenza di un fattore limitante (che si modifica sotto sforzo) che
limiti la capacità di risposta allo sforzo di un individuo.

Altre prove: si può fare una analisi del patron ventilatorio, studi di chemiosensibilidad, studio dela
funzione respiratoria durante il sonno (patologie che si manifestano durante il sonno).

Quindi: prima di tutto di conferma l’esistenza di IR, poi si tenta la diagnosi eziologica prima valutando
l’AaPO2 (per distinguere cause polmonari o no), poi si fa una esplorazione funzionale (spirometria) e altre
prove in base ai risultati ottenuti che aiuteranno a restringere le diagnosi possibili.

Trattamento IR cronica: l’obiettivo è garantire un apporto adeguato di ossigeno ai tessuti.

Misure generali: cessazione del fumo di tabacco, dieta per correggere denutrizione o obesità, evitare i
fattori scatenanti nei pazienti con asma, profilassi infettiva, manejo delle secrezioni, riabilitazione (anche
solo per aumentare la qualità di vita senza guarigione), trattamento dei fattori aggravanti la ipossiemia
come l’anemia, l’ipotiroidismo, le aritmie o l’insufficienza cardiaca.

Trattamento eziologico:
Il trattamento più importante è l’ossigenoterapia. Serve a mantenere la PO2 sopra i 70 mmHg e la
saturazione sopra il 93%. A volte possiamo aggravare l’ipercapnia.
Si dice ipossiemia refrattaria un’ipossiemia (in genere dovuta alla presenza di shunt) con aumento
della PaO2 minore di 10 dopo un incremento della FiO2 maggiore di 0,2. In questi casi si può pensare di
procedere con la ventilazione meccanica.

Fonti di O2: Ossigeno liquido: usato per lo più in ospedale. Si mantiene a basse temperature e per farlo
tornare gassoso si pone semplicemente a temperatura ambiente.
Cilindro di alta pressione: ossigeno mantenuto in bottiglie a temperatura ambiente però ad alta
pressione in modo che si liquefa, non si usa quasi.
Concentratore: compressore che concentra l’aria per poter dare alte concentrazioni di ossigeno.
Alla fonte di ossigeno si associa un manometro che misura la pressione e un manometro riduttore che
permette di regolare la pressione a cui esce l’ossigeno. C’è anche un flussometro per controllare il flusso.
Prima di somministrare l’ossigeno bisogna umidificarlo tramite un umidificatore (recipiente con acqua
distillata) affinché non secchi le vie aeree.
Tipo di somministrazione:
Sistemi ad alto flusso: apportano tutta l’atmosfera di gas respirato. Ossia sia l’ossigeno che gli altri gas
vengono somministrati in quantità determinate da noi e costante, e quindi con una FiO2 costante. Un
esempio è il sistema Venturi: che consta di una maschera con orifizi che permettono il passaggio di aria
ambiente. C’è una valvola che determina quanta percentuale di ossigeno e di aria ambiente il paziente
deve respirare. Molto buono in pazienti instabili con dispnea severa
Sistemi a basso flusso: non mantengono una FiO2 costante e non apportano tutta l’aria che il paziente
respira. La FiO2 dipende dal flusso di ossigeno , dal tipo di respirazione (superficiale o profonda) del
malato (superficiale sarà una FiO2 più bassa) e dalla grandezza del reservorio di O2.
Sono così gafas nasales, mascarilla semplice e mascarilla reservorio che è una mascera collegata
a una borsa che funziona da riserva di ossigeno. In alcune l’aria espirata si mischi con l’ossigeno della
borsa diminuendo man mano la quantità di ossigeno che entra,in altre un sistema di valvole chiude il
passaggio durante l’espirazione e quindi non c’è alterazione dell’aria nella borsa.

Indicazioni dell’ossigenoterapia:
IR acuta: ipossiemia arteriosa (tante patologie polmonari e non come asma, atelettasia, polmoniti,

7
I Gazzellini

trombo embolia, etc.), ipossia tissutale senza ipossiemia (succede nell’anemia, nell’intossicazione da
cianuro, etc.), altre situazioni (infarto del miocardio, shock cariogeno o ipovolemico, etc.).
IR cronica: si da ossigeno sempre se la PO2 è inferiore a 55 mmHg e la saturazione minore dell’88%, però
anche nel caso in cui la PO2 è solo inferiore a 60 ma in più c’è: cuore polmonare cronico, ipertensione
arteriosa polmonare, insufficienza cardiaca, aritmie, poliglobulia.
L’ossigeno si deve porre per un minimo di 15 ore e la dose deve essere aumentata la notte.

Ventilazione meccanica: può essere invasiva o no. La invasiva si pone in UCI e consiste nell’intubazione
oro tracheale.
Gli obbiettivi della ventilazione meccanica sono: mantenere lo scambio gassoso, incrementare il
volume polmonare, ridurre lo sforzo respiratorio.
È indicata in condizioni di alterata funzione ventilatoria: parada respiratoria o cardiaca, insufficienza
respiratoria ipossiemica grave (saturazione minore del 90%, pause respiratorie, diminuzione dei livelli
di coscienza, aspirazione massiva, instabilità emodinamica), IR ipercapnica (globale), ipertensione
endocraneale, rischio elevato di infezioni, etc.
Ventilazione meccanica non invasiva: incominciò nell’epidemia di polio con il polmone di acciaio
(acero): macchina dove si metteva il paziente solo con la testa fuori che generava una pressione positiva
che ventilava il malato. Ha dei vantaggi rispetto all’invasiva che sono che non necessita la sedazione,
si evitano farmaci, tiene meno complicazioni, si mantiene la fonazione e la deglutizione oltre alla
espettorazione. È indicata per:
IR acuta: esacerbazione dell’EPOC, edema polmonare cardiogenico, infezioni in immunodepressi,
patologie restrittive. IR cronica: deformità della cassa toracica, patologie neuromuscolari di progressione
lenta, sindrome di ipoventilazione (centrale o anche solo per obesità), EPOC con ipercapnia. Alcune
controindicazioni sono: traumatismo facciale, secrezione eccessiva, ostruzioni delle vie aeree, instabilità
emodinamica, parada cardiorespiratoria, bassi livelli di coscienza.
Le interfacce paziente-respiratore sono mascherine etc.

Sindrome da distress respiratorio nell’adulto: quadro di IR grave per alterazione della membrana
alveolo-capillare con conseguente aumento della sua permeabilità e formazione di edema polmonare. È
la forma più severa di danno polmonare acuto, in genere è una manifestazione di un problema infettivo
o infiammatorio sistemico. Esordio acuto. Provoca una IR severa con coefficiente PO2/FiO2 minore di 200
mmHg.

Epidemiologia: ha un’incidenza annuale dell’ordine di 60-80/100000. Ha una mortalità superiore al 30-


40%. Se associata a disfunzione multi organo la mortalità è anche maggiore.

Eziologia: può essere causata da fattori polmonari o extrapolmonari:


Fattori polmonari: polmonite, aspirazione di contenuto gastrico, embolia, contusione polmonare,
lesioni per inalazione di sostanze irritanti, affogamento, SARS, influenza aviaria, riperfusione.
Fattori sistemici ed extrapolmonari: sepsi, shock, grandi ustioni, trauma multiplo, trasfusioni, bypass,
pancreatite acuta, insufficienza epatica fulminante.

Fisiopatologia: si produce una reazione infiammatoria con liberazione di interleuchine che aumentano
l’infiammazione (neutrofili) con secrezione di enzimi proteolitici che danneggiano la membrana alvelo-
capillare provocando uscita di liquido ed edema. L’infiammazione e l’edema coadiuvano nel causare
alterazioni della ventilazione polmonare e della perfusione. L’infiammazione provoca anche la perdita
di surfactante e il collasso alveolare con deposito delle cosiddette membrane ialine (costituite di
surfactante, detriti cellulari e plasma) con polmone che diviene rigido. Si perde distensibilità polmonare
e serve un maggiore sforzo respiratorio. Si ha ipossiemia per il collasso degli alveoli che causa uno shunt

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Pneumo per Interna

(zone polmonari dove non avvengono scambi gassosi). Normalmente si possono distinguere tre fasi,
anche se non sempre:
1) Fase essudativa: si altera lo scambio gassoso per la distruzione delle cellule dell’epitelio alveolare e
la perdita di surfactante. Nell’alveolo ci sono neutrofili, proteine cellule morte, resti si surfactante che
formeranno le membrane ialine. È di durata relativa (in genere prima settimana).
2) Fase proliferativa: le seconde due settimane. Comincia un processo di riparazione con scomparsa dei
neutrofili e proliferazione degli pneumociti di tipo II. In questa fase possono esserci febbre e leucocitosi. I
polmoni vanno incontro ad un processo di fibrosi,
3) Fase fibrotica: nella terza-quarta settimana. C’è fibrosi estesa dei condotti alveolari e dell’interstizio
polmonare. Alterazioni enfisematose negli acini. Anche proliferazione endoteliale con occlusione
vascolare e ipertensione polmonare. Mortalità (serve ventilazione meccanica).

Diagnosi: incontreremo segni e sintomi della patologia di base più una insufficienza respiratoria
progressiva con aumento del lavoro respiratorio. Può esserci febbre e leucocitosi nella fase
proliferativa. Con una semplice radiografia del torace possiamo vedere infiltrati bilaterali diffusi senza
cardiomegalia.
Diagnosi differenziale: Le patologie che producono infiltrati polmonari bilaterali sono:
Edema acuto del polmone cardiogenico: bisogna basarsi sulla storia clinica del paziente (edemi,
dispnea, cardiopatie), presenza o meno di cardiomegalia, derrame pleural (frequente nell’edema
cardiogenico) così come le linee di Kerley.
Hemorragia alveolare diffusa: quadro raro, a volte da lupus. Broncopolmonite: severa. Pneumopatie
interstiziali acute, polmoniti da ipersensibilità, polmonite eosinofila acuta, alcune neoplasie.

Trattamento: consiste soprattutto nel trattare la patologia di base e fare ossigenoterapia e ventilazione
meccanica.
Questi pazienti sono però ad alto rischio di complicazioni come infezioni nosocomiali.
È molto importante una nutrizione adeguata per evitare perdita della funzione muscolare.
Per evitare una maggiore uscita di liquido nell’alveolo si fa restrizione di liquidi e uso di diuretici.
I corticoidi non è stato dimostrato che tengano utilità, non servono vasodilatatori e surfactante.
L’ossido nitrico viene utilizzato per dilatare i vasi polmonari, ma non è stato dimostrato che riduca la
mortalità. Lo stesso vale per i cambi posturali che pure migliorano la ventilazione.
Attualmente, essendo i polmoni rigidi e poco distendibili, si preferisce ventilare a volumi più bassi per
provocare meno complicazioni. Per favorire l’espirazione si applica una pressione positiva nella sua fase
finale per non far chiudere gli alveoli al momento dell’uscita dell’aria.

Complicanze: ci sono complicanze polmonari (fibrosi, baro trauma, edema), gastrointestinali (emorragia,
ileo, neumoperitoneo), renali, caridache (ipertensione arteriosa, aritmie), infettive (sepsi, polmoniti)
ematologiche, epatiche, endocrine, neurologiche , malnutrizione.

Prognosi: la mortalità è intorno al 30-40%. Peggiorano la prognosi un’età avanzata, un numero maggiore
di organi affetti, la presenza di patologie croniche.
I pazienti sopravvissuti vanno in genere incontro ad un recupero progressivo e non hanno molte sequele.
La sequela più comune è la fibrosi.

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AFFEZIONI POLMONARI CRONICHE OSTRUTTIVE

Sinonimi
COLD = chronic obstructive lung disease
COPD = chronic obstructive pulmonary disease
BPCO = broncopneumopatia cronica ostruttiva.
Definizione: bronchite cronica ostruttiva e/o enfisema polmonare ostruttivo.
Epidemiologia
È l’affezione respiratoria più frequente, e la causa più frequente di cuore polmonare e
di insufficienza respiratoria.
Statistiche comparative sulla mortalità dimostrano che l’Inghilterra con il Galles, la
Scozia e l’Irlanda del Nord ne detiene il primato.
La morbilità da bronchite aumenta a partire dal 20° anno di vita fino all’età avanzata.
Il 50% dei soggetti fumatori, dopo i 40 anni ha una bronchite cronica.

BRONCHITE CRONICA

Definizione dell’OMS: si parla di bronchite cronica quando un paziente presenta tosse pro-
duttiva per almeno 3 mesi per 2 anni consecutivi.
Epidemiologia: malattia polmonare cronica più frequente; sino al 10% della popolazione
nei Paesi industrializzati. M:F = 3:1.
Eziologia: è multifattoriale:
1. fattori esogeni:
— fumo di sigarette! Il 90% dei bronchitici cronici è fumatore o ex-fumatore. Il
50% dei fumatori oltre i 40 anni è affetto da bronchite cronica
— inquinamento atmosferico (ad es. SO2, polveri): ambiente di lavoro/ambiente
esterno, condizioni climatiche (freddo-umido), miniera. Dopo una dose cumula-
tiva di polveri pari a 100 [(mg/m3) × anno], raddoppia il rischio di ammalarsi di
BPCO o enfisema (malattia professionale dei minatori delle miniere di carbone)
— le infezioni broncopolmonari recidivanti portano all’aggravamento della BPCO
2. fattori endogeni: sindromi da deficit di anticorpi (ad es. deficit di IgA), deficit di
α1-antitripsina, discinesia ciliare primitiva, e altre cause ereditarie.
Anatomia patologica
Inizialmente paralisi ciliare, con insufficienza muco-ciliare, successivamente distruzione
dell’epitelio ciliare, aumento abnorme della secrezione della mucosa bronchiale partico-
larmente a carico dei bronchi di maggior calibro; ghiandole della mucosa ipertrofiche,
metaplasia piatta dell’epitelio bronchiale, infiltrazione linfo-plasmacellulare; dopo l’i-
pertrofia iniziale si instaura un’atrofia della mucosa bronchiale; la parete dei bronchi di-
viene più sottile e si affloscia. Durante l’espirazione forzata si ha così un collasso bron-
chiale, con conseguente ostruzione esobronchiale e disturbo della distribuzione della
ventilazione.
Clinica
Evoluzione in 3 stadi:
1. bronchite cronica non ostruttiva = bronchite cronica semplice + espettorazione (re-
versibile). Espettorazione mattutina che assume un aspetto purulento in caso di in-
fezione batterica (in presenza di grandi quantità di escreato pensare alla possibilità

388
di bronchiectasie). Se l’escreato ha odore fetido, pensare a un focolaio broncopneu-
monico oppure a un ascesso polmonare
2. bronchite cronica ostruttiva (COB) con dispnea da sforzo e diminuzione del rendi-
mento
3. complicanze tardive: enfisema ostruttivo, insufficienza respiratoria, cuore polmonare.
I disturbi sono più accentuati in autunno e in inverno.
Ogni infezione delle vie respiratorie costituisce un grosso rischio per il paziente, in
quanto la ridotta funzione polmonare può essere rapidamente compromessa fino alla in-
sorgenza di insufficienza respiratoria critica.

bronchite cronica non ostruttiva


↓ fumo
bronchite cronica ostruttiva ← infezioni recidivanti
fattori endogeni

enfisema polmonare ostruttivo
↓ ↓
ipertensione polmonare insufficienza respiratoria
+ cuore polmonare

Auscultazione: rumori secchi e/o umidi (a seconda della quantità dell’escreato, della com-
ponente spastica e dell’infiltrazione infiammatoria).
Coltura dell’escreato + antibiogramma
Modalità di prelievo del campione: profonda espettorazione al mattino, dopo scrupolo-
sa pulizia della bocca con acqua; un prelievo di secreto endobronchiale è più attendibi-
le (aspirazione cieca o durante broncoscopia). Il materiale deve essere esaminato velo-
cemente, oppure inviato al laboratorio in contenitore refrigerato. I germi più frequente-
mente in causa nelle riacutizzazioni sono:
— batteri: solitamente Haemophilus influenzae, spesso associato a pneumococchi; più
raramente altri batteri (ad es. Staphylococcus aureus, Moraxella catharralis, ecc.). In
casi gravi avanzati, si osserva una variazione dello spettro dei patogeni (enterobat-
teri, Proteus, Klebsiella, Pseudomonas, ecc.)
— virus (ad es. Rhinovirus, virus influenzale A e B, ecc.)
— micoplasma
Nota: virus e micoplasmi hanno un ruolo favorente la sovrainfezione batterica.
Laboratorio
Esclusione di una sindrome da deficit di anticorpi (dosaggio delle immunoglobuline), di
un deficit di α1-antitripsina.
Radiologia: è normale in caso di bronchite non complicata; piccoli addensamenti marezza-
ti depongono per un’infiltrazione infiammatoria.
Broncoscopia
Con batteriologia, citologia e istologia (biopsia).
Funzionalità polmonare
— Bronchite cronica non ostruttiva: solitamente valori ancora normali; per escludere
un’iperreattività bronchiale è consigliabile un test di provocazione con metacolina.
— Bronchite cronica ostruttiva: documentazione di un disturbo ventilatorio ostruttivo.
Stadi della BPCO sec. l’European Respiratory Society (in base al VEMS % del-
l’atteso):

389
• lieve > 70%
• media 50-69%
• grave < 50%
Nei fumatori si osserva una precoce riduzione del MEF25.
Un’ostruzione reversibile si riconosce col test di broncolisi: miglioramento del
VEMS e delle resistenze respiratorie dopo inalazione di un simpaticomimetico β2-
stimolante.
— In caso di enfisema polmonare complicato: volume di gas intratoracico aumentato.
— Determinazione del CO nell’aria espirata nei fumatori: i non fumatori hanno valori
< 5 ppm; i fumatori possono raggiungere 50 ppm e oltre a seconda del consumo di
sigarette.
Emogasanalisi arteriosa
In caso di insufficienza respiratoria parziale: pO2 diminuita.
In caso di insufficienza respiratoria globale: pO2 diminuita e pCO2 aumentata.
Se sono noti i valori di base, la pulsossimetria consente di rilevare un’eventuale peg-
gioramento della saturazione di O2, oppure il miglioramento secondario alla terapia.
Complicanze
Broncopolmonite, bronchite purulenta, ascesso polmonare, bronchiectasie secondarie,
complicanze dello stadio 3 (vedi Clinica).
Diagnosi differenziale
1. Bronchite secondaria ad altre affezioni:
— carcinoma bronchiale.
Nota: la bronchite cronica è una diagnosi di esclusione! Ciò significa che oc-
corre sempre accertare che sotto una stessa sintomatologia con tosse ed espetto-
razione non si nasconda un’affezione completamente diversa. Questo vale in
particolare per il carcinoma bronchiale, nel quale la bronchite cronica costituisce
una delle diagnosi errate più frequenti. Non è pertanto consigliabile porre alcu-
na diagnosi senza prima aver eseguito una radiografia del torace; in caso di dia-
gnosi incerta, praticare una broncoscopia.
— tubercolosi (documentazione colturale del patogeno)
— bronchiectasie (escreato a 3 strati, TC, broncografia)
— sindrome sino-bronchiale = sinusite cronica quale causa di bronchiti recidivanti
! ORL, radiografia dei seni paranasali
— corpi estranei nel sistema bronchiale ! broncoscopia
2. Asma bronchiale (nella crisi di tosse, «il bronchitico tossisce all’esterno, l’asmatico
all’interno!»).
Diagnosi
Anamnesi (fumo di sigaretta!) + clinica (tosse cronica produttiva).
Terapia
Sequenziale e a lungo termine!
— eliminare le noxae patogene (fumo di sigaretta, esposizione alle polveri)
— eliminare i focolai d’infezione (sinusite cronica)
— in caso di esacerbazione acuta, somministrare antibiotici ad ampio spettro, dopo
aver eseguito il prelievo dell’escreato o del secreto bronchiale per la diagnostica
batteriologica. Alternative: macrolidi (ad es. claritromicina), aminopenicilline + ini-
bitore della β-lattamasi (ad es. amoxicillina + acido clavulanico oppure ampicillina
+ sulbactam), cefalosporine; farmaci di seconda scelta sono i nuovi fluorochinoloni
(vedi cap. Polmonite)

390
— terapia a 3 stadi della bronchite ostruttiva:
1. inalazione di β2-simpaticomimetici a breve durata d’azione secondo necessità,
eventualmente associati a parasimpaticolitici (= anticolinergici)
2. aggiunta di preparati teofillinici retard, evtl. β2-mimetici a lunga durata d’azione
3. ulteriore tentativo terapeutico con glucocorticosteroidi orali (ad es. prednisolone
20 mg/die per 2 settimane):
• in caso di miglioramento (aumento del VEMS ≥ 15%): ridurre la dose e infi-
ne passare agli steroidi per via inalatoria
• in caso di mancato miglioramento: sospendere gli steroidi.
— mucolitici in caso di secreto denso, bere molto, aerosol-terapia (vedi Terapia dell’a-
sma bronchiale)
— terapia inalatoria con soluzione di NaCl 0,9%; in caso di bronchite spastica, som-
ministrazione di β2-simpaticomimetici (ad es. salbutamolo)
— massaggio a percussione per stimolare l’espettorazione
— ginnastica respiratoria
— immunizzazione attiva contro pneumococchi e virus influenzali
— trattamento delle complicanze tardive (vedi capp. Enfisema polmonare e Cuore pol-
monare).
Prognosi
La bronchite cronica non ostruttiva è spesso ancora reversibile dopo la rimozione delle
noxae (fumo di sigaretta, esposizione alle polveri); la prognosi peggiora con la com-
parsa dei disturbi ventilatori ostruttivi, che riducono la spettanza di vita.
Prevenzione
Rinunciare al fumo di sigaretta, non esporsi alle polveri (ad es. in miniera).

ENFISEMA POLMONARE

Definizione (OMS)
Dilatazione irreversibile degli spazi aerei situati distalmente al bronchiolo terminale,
conseguente a distruzione della loro parete.
Epidemiologia
In base ai reperti autoptici ospedalieri, l’enfisema polmonare rappresenta la causa di
morte principale nel 10% dei casi.
Anatomia patologica
1. Enfisema primario atrofico («normale» enfisema legato all’età)
2. Enfisema secondario:
— enfisema centrolobulare (centroacinare), come complicanza della BPCO.
— enfisema panlobulare (panacinare) in caso di deficit congenito di inibitori delle
α1-proteasi
— enfisema cicatriziale (iperdilatazione del tessuto polmonare in corrispondenza di
regioni polmonari fibrotiche).
— enfisema vicariante (per iperespansione del polmone residuo dopo resezio-
ne polmonare, nonché in caso di gravi deformazioni del torace, come nella sco-
liosi).
Eziologia e patogenesi
Concetto proteasi/antiproteasi
Anche in condizioni normali nel polmone avviene la liberazione di proteasi (particolar-

391
mente elastasi) dai granulociti neutrofili. Queste proteasi vengono neutralizzate dagli
inibitori delle proteasi. In presenza di una prevalenza delle proteasi avviene la digestio-
ne del polmone e pertanto la formazione di enfisema.

inibitori delle " deficit congenito


Infezioni polmonari ! proteasi
proteasi " inattivazione da fumo
Δ
" di sigarette
Cause dell’aumentata attività delle proteasi granulocitarie:
infezioni broncopolmonari, polmoniti, bronchite cronica, asma bronchiale.
Cause della diminuita attività degli inibitori di proteasi:
il gene dell’inibitore delle α1-proteasi è localizzato sul cromosoma 14. La maggior par-
te degli individui è omozigote per l’allele M (PIMM).
1. Deficit congenito degli inibitori di α1-proteasi (= deficit di α1-antitripsina):
a) forma grave omozigote (fenotipo PIZZ o PISS):
forte diminuzione dell’α1-antitripsina (< 50 mg/dl), con sviluppo di enfisema già
durante l’infanzia o nella prima giovinezza, talvolta anche di cirrosi epatica.
Frequenza della forma grave di deficit di α1-antitripsina: 1-2% di tutti i pazien-
ti affetti da enfisema polmonare, ovvero 1:10.000 della popolazione.
Nota: il deficit grave di α1-antitripsina è riconoscibile già nell’elettroforesi del
siero dalla netta riduzione delle α1-globuline.
b) forma lieve eterozigote (fenotipo PIMZ o PIMS):
livelli di α1-antitripsina moderatamente abbassati (50-250 mg/dl). Si considera
come valore soglia per la comparsa di malattia la concentrazione sierica di 80
mg/dl (immunodiffusione radiale). Decisive per la formazione dell’enfisema
polmonare sono le noxae scatenanti (infezioni, fumo, polveri). Se mancano que-
ste noxae i soggetti possono raggiungere un’età di vita normale. In presenza di
noxae per via inalatoria (fumo, polveri) e/o di infezioni polmonari questi sog-
getti muoiono 1-2 decenni prima per le conseguenze di un enfisema polmonare
precoce.

Fenotipo α1-antitripsina
(mg/dl)
Soggetto sano PIMM > 250
Paziente eterozigote PIMZ/PIMS 50-250
Paziente omozigote PIZZ/PISS < 50

2. Deficit di α1-antitripsina acquisito:


inattivazione dell’α1-antitripsina da ossidanti del fumo di sigarette (è la causa
più frequente)
Mentre nel deficit congenito di α1-antitripsina è riscontrabile un enfisema pan-
lobulare, nel fumatore con normale concentrazione sierica di α1-antitripsina si
sviluppa un enfisema centrolobulare.
Clinica
Secondo Dornhorst, Burrows e Fletcher si riscontrano due tipi clinici di enfisema che,
pur con quadri intermedi di transizione, caratterizzano però il corredo sintomatologico.
1. tipo PP («pink puffer» = tipo dispnoico-cachettico):
— soggetti magri (normopeso o sottopeso)
— dispnea marcata, evtl. tosse irritativa secca, ma mai cianosi
— insufficienza respiratoria parziale (solo ipossiemia)

392
2. tipo BB («blue bloater» = soggetto bronchitico):
— soggetti in sovrappeso
— cianosi marcata con poliglobulia, mai dispnea
— tosse ed espettorazione (generalmente bronchite cronica)
— insufficienza respiratoria globale (ipossiemia + ipercapnia) con aumentata pres-
sione del liquor e cefalea
— cuore polmonare che si instaura precocemente, con insufficienza cardiaca destra.
Complicanze
1. Insufficienza respiratoria
I citati disturbi della funzione polmonare portano all’aumento dello spazio morto
funzionale che non partecipa agli scambi gassosi. A partire da un livello critico, si
giunge all’insufficienza respiratoria parziale (ipossiemia) e infine a quella globale
(ipossiemia + ipercapnia).
2. Ipertensione polmonare e cuore polmonare, causati da:
a) costrizione arteriolare da ipossia in settori polmonari ventilati al minimo = ri-
flesso di Euler-Liljestrand
b) distruzione dei capillari.
Ispezione
• torace a botte
• coste orizzontali
• fosse clavicolari sporgenti
• ridotta differenza tra circonferenza toracica inspiratoria ed espiratoria
• movimento respiratorio paradosso delle ultime coste
• «corona venosa di Sahl»: piccole vene cutanee nella regione dell’arco costale, peral-
tro osservabili anche in soggetti sani.
Percussione
• basi polmonari abbassate, poco mobili
• iperfonesi plessica
• diminuzione o innalzamento dell’aia di ottusità cardiaca assoluta
• per l’appiattimento del diaframma il margine epatico può essere palpabile molto al di
sotto dell’arco costale (diagnosi differenziale: epatomegalia).
Auscultazione
• murmure vescicolare e toni cardiaci poco apprezzabili
• rumori secchi diffusi.
Radiologia
• iperdiafania dei campi polmonari, con rarefazione del disegno vascolare periferico
• aumento del diametro toracico sagittale, appiattimento del diaframma
• aumento degli spazi intercostali e orizzontalizzazione delle coste
• evtl. bolle enfisematose più grandi.
Nei casi di deficit di α1-antitripsina l’enfisema colpisce le aree polmonari basali.
Reperti radiologici in caso di cuore polmonare:
• arco polmonare prominente
• dilatazione delle arterie polmonari prossimali all’ilo
• contemporanea riduzione di calibro alla periferia
• aumento di volume del cuore destro con riempimento della regione retrosternale in
proiezione laterale.

393
TC ad alta definizione
È il metodo più sensibile per la dimostrazione di un enfisema polmonare.
Funzionalità polmonare
1. Aumento del volume d’aria intratoracica e della capacità polmonare totale.
2. Disturbi ventilatori ostruttivi
— Ostruzione esobronchiale:
• diminuzione in fase espiratoria della tensione polmonare (perdita di elasticità)
con restringimento espiratorio dei bronchi ! aumento espiratorio della resi-
stenza respiratoria e diminuzione del volume di riserva espiratorio. Nella re-
spirazione a riposo, le resistenze possono essere ancora normali; aumentano in
corso di attività fisica, quando il respiro diviene più profondo; compare così
dispnea;
• collasso espiratorio dei bronchi dovuto all’instabilità delle pareti nell’enfise-
ma avanzato.
— Ostruzione endobronchiale:
tumefazione della mucosa bronchiale – secrezione mucosa – broncospasmo nel
quadro di asma bronchiale o bronchite cronica ostruttiva.
Il disturbo ventilatorio ostruttivo promuove lo sviluppo dell’enfisema attraverso
la sovratensione e distruzione degli alveoli. Il sacco alveolare ingrandito e af-
flosciato, in caso di espirazione forzata, può occludere il bronchiolo, con collas-
so espiratorio dei bronchioli prima che gli alveoli siano ventilati (air trapping).
In caso di forte ostruzione e tachipnea l’espirazione può essere ritardata in mo-
do tale da intersecarsi con l’inspirazione (= ventilazione parallela): inoltre, du-
rante l’inspirazione, la parete toracica può ritirarsi verso l’interno (= antagoni-
smo diaframma-parete toracica).
– Diminuzione del volume espiratorio massimo in un secondo = VEMS (assolu-
to e relativo) (FEV1 = volume espiratorio forzato nel primo secondo).
Nella curva spirometrica del VEMS compare spesso una deflessione. Ciò si
spiega con l’improvviso collasso delle vie respiratorie periferiche instabili du-
rante una espirazione forzata (fenomeno «check valve»). Il VEMS è il para-
metro più semplice e più sensibile per valutare il decorso di un enfisema
ostruttivo.
Nota: fin tanto che si ha un enfisema polmonare senza rilevante ostruzione
ventilatoria, la capacità di rendimento del paziente non è oltremodo compro-
messa. Se VEMS è < 0,8 l, vi è di solito invalidità (sempre che il paziente ab-
bia eseguito correttamente il test, cosa talvolta difficile da valutare).
Come espressione del processo di invecchiamento fisiologico del polmone, il
VEMS diminuisce all’anno dei seguenti valori medi:
• non fumatori 120 ml
• fumatori 140 ml
• deficit grave di α1-antitripsina 120 ml
• enfisema polmonare > 60 ml
– deformazione ad arco concavo della curva espiratoria flusso-volume, con
eventuale deflessione da fenomeno «check valve» (vedi sopra)
– aumento delle resistenze respiratorie e forma a clava della curva di resisten-
za, quale indicazione dell’instabilità delle vie respiratorie periferiche
– col test di broncolisi è possibile distinguere la quota di compromissione ven-
tilatoria ostruttiva reversibile da quella irreversibile

394
– la capacità di diffusione (fattore transfer) è diminuita nell’enfisema polmona-
re (nell’asma bronchiale e nella bronchite cronica non complicata da enfisema
è abitualmente normale).

Volume residuo Volume di gas intratoracico


(% TLC) (% del teorico)
Normale 30 100

Enfisema: lieve 40-50 > 120


Enfisema: medio 51-60 > 140
Enfisema: grave > 60 > 170

IRV
IRV
CV CV = capacità vitale
RV
CV ERV
VC RV = volume residuo
TLC TLC = capacità polmonare totale
ERV
VC = volume corrente
RV RV ERV = volume di riserva espiratorio
IRV = volume di riserva inspiratorio
Normale Enfisema
ostruttivo

3. Emogasanalisi arteriosa (mmHg): 3 stadi:

Stadio pO2 pCO2 pH


I = iperventilazione n # $ alcalosi respiratoria
II = insufficienza respiratoria parziale # n n
III = insufficienza respiratoria # acidosi respiratoria
< 50 > 45
III = globale (+ acidosi metabolica)

Se sono noti i valori di base, la pulsossimetria consente di rilevare un peggioramento


della saturazione di O2 oppure il miglioramento secondario alla terapia (anche se la pO2
è più precisa).
Diagnosi
• anamnesi (bronchite cronica? asma bronchiale? fumatore?)
• clinica/funzione polmonare/quadro radiologico del torace, TC ad alta definizione
• esclusione di un deficit congenito di α1-antitripsina (soprattutto in soggetti < 50 anni).
Nota: la clinica e il quadro radiologico del torace non consentono una diagnosi preco-
ce; questa può essere ottenuta solamente mediante TC ad alta definizione e pletismo-
grafia corporea.
Terapia
1. Impedire che l’enfisema progredisca:
— evitare noxae esogene (fumo di sigarette!); posti di lavoro privi di polveri
— trattamento tempestivo delle infezioni broncopolmonari (vedi cap. Bronchite
cronica)

395
— vaccinazione contro il virus dell’influenza e gli pneumococchi
— trattamento sostitutivo con concentrati di α1-antitripsina in presenza di grave de-
ficit congenito di questa sostanza: il livello di α1-antitripsina deve essere > 80
mg/dl (all’immunodiffusione radiale). Prospettiva futura: terapia genica somatica.
2. Trattamento sintomatico:
— trattamento broncolitico dell’enfisema polmonare ostruttivo secondo lo schema
a 3 stadi (vedi cap. Bronchite cronica ostruttiva)
— ginnastica respiratoria, tecnica respiratoria
l’enfisematoso deve imparare ad evitare il collasso espiratorio delle vie respira-
torie respirando con le labbra leggermente chiuse («pursed lips breathing»).
Senza questo accorgimento, che mantiene una pressione endobronchiale suffi-
ciente per evitare il collasso delle vie respiratorie, l’enfisematoso incorrerebbe
rapidamente, con respirazione incontrollata e libera, in crisi di dispnea. In com-
mercio si trovano dispositivi manuali per aumentare le resistente respiratorie.
— terapia del cuore polmonare: (vedi capitolo relativo)
— in caso di poliglobulia conclamata, salasso con prudenza
— terapia dell’ipossia: poiché nel paziente enfisematoso, con insufficienza respira-
toria globale (blue bloater), l’ipossia arteriosa è il più importante stimolo respi-
ratorio, la somministrazione incontrollata di O2 è assolutamente controindicata!
In caso di ipossia acuta, la somministrazione di ossigeno va effettuata con pru-
denza e controllando i gas ematici: se con l’apporto di O2 dovessero peggiorare
ipercapnia e funzione cerebrale è indicato il trattamento respiratorio:
• respirazione intermittente assistita mediante un respiratore con comando di
pressione attraverso maschera nasale o boccaglio. In caso di ulteriore peggio-
ramento !
• respirazione controllata con tubo endotracheale.
In caso di ipossia cronica (PaO2 < 55 mm Hg) senza tendenza all’ipercapnia si
può attuare un trattamento a lungo termine con ossigeno (vedi cap. Cuore pol-
monare). L’ossigenoterapia a lungo termine può allungare la sopravvivenza dei
pazienti ipossiemici.
Nota: i farmaci che deprimono la respirazione (come morfina, diazepam e bar-
biturici) sono controindicati nei soggetti enfisematosi!
3. Intervento di riduzione del volume polmonare: la riduzione di circa il 20% del tes-
suto polmonare enfisematoso porta spesso al miglioramento della funzione polmo-
nare.
4. Trapianto di polmone: vedi cap. Insufficienza respiratoria.
Prognosi
Dipende decisamente dal tempestivo trattamento ottimale. Se il paziente non smette di
fumare non è possibile influenzare la progressione della malattia. Con valori di VEMS
< 1 l la spettanza di vita è nettamente ridotta e vi è inabilità lavorativa. Le cause di
morte più frequenti sono l’insufficienza respiratoria e il cuore polmonare. Con l’ossige-
no-terapia controllata a lungo termine si può migliorare la prognosi.

ASMA BRONCHIALE

Definizione
L’asma è una malattia infiammatoria cronica delle vie respiratorie. In soggetti predi-
sposti, l’infiammazione conduce a crisi di «fame d’aria» secondarie a restringimento
delle vie respiratorie (ostruzione bronchiale). L’ostruzione può regredire spontaneamen-

396
te o con adeguato trattamento. L’infiammazione provoca l’aumento della sensibilità del-
le vie respiratorie (iperreattività bronchiale) nei confronti di numerosi stimoli.
Epidemiologia
Prevalenza: circa 5% degli adulti e sino al 10% dei bambini; la prevalenza sta aumen-
tando in tutto il mondo. M:F = 2:1. Prevalenza più elevata in Scozia e Nuova Zelanda;
prevalenza più bassa nell’Europa dell’Est e Asia. L’asma allergico compare solitamen-
te in età infantile, quello non allergico in età media (> 40 anni).
Frequenza delle singole forme di asma: il 10% dei soggetti asmatici adulti è affetto da
asma estrinseco o intrinseco, l’80% da forme miste. Nei bambini ed in età giovanile
prevale l’asma puramente allergico; in età superiore ai 45 anni l’asma infettivo è la for-
ma più frequente.
Eziologia
1. Asma allergico (asma estrinseco)
a) da sostanze allergizzanti presenti nell’ambiente (vedi più avanti)
b) da sostanze allergizzanti di tipo lavorativo
2. Asma non allergico (asma intrinseco)
— dopo episodi infettivi delle vie respiratorie
— forma pseudoallergica (da intolleranza) da analgesici
— da stimoli irritanti di natura chimica o tossica
— asma/tosse in seguito a reflusso gastro-esofageo
— asma da sforzo (particolarmente in bambini e giovani).
3. Forme miste: estrinseco + intrinseco.
Fattori genetici: le cosiddette affezioni atopiche (asma bronchiale, rinite allergica e neuro-
dermite) si manifestano spesso a livello familiare e sono caratterizzate da una predispo-
sizione, trasmessa ereditariamente come carattere autosomico dominante, a produrre
elevate quantità di IgE.
Quando entrambi i genitori sono affetti da tali malattie, nel 40-50% dei casi i figli pre-
sentano un’affezione atopica (in caso tale affezione si verifichi solo in uno dei genito-
ri, tale frequenza si dimezza). Circa 1/4 dei pazienti con rinite da pollini sviluppa, dopo
un periodo > 10 anni, un asma da pollini. Il 50% della popolazione dell’isola Tristan da
Cunha soffre d’asma in seguito a ereditarietà famigliare. Il gene mutato CC16 variante
38A sembra svolgere un ruolo significativo nella predisposizione all’asma.
Patogenesi
La predisposizione genetica e gli agenti esogeni scatenanti (allergeni, infezioni) condu-
cono all’infiammazione bronchiale. Successivamente compare la iperreattività bronchia-
le ed evtl. l’asma bronchiale. Si hanno pertanto 3 caratteristiche tipiche della malattia:
1. infiammazione bronchiale: la reazione infiammatoria della mucosa bronchiale, sca-
tenata da allergeni o infezioni, svolge un ruolo centrale nella patogenesi dell’asma,
che vede la partecipazione di mastociti, linfociti T, granulociti eosinofili e mediato-
ri della flogosi
2. iperreattività bronchiale: in tutti gli asmatici è presente, all’esordio e nel decorso
della malattia, uno stato di iperreattività bronchiale aspecifica. Il test di provocazio-
ne con metacolina rileva tale iperreattività nel 15% della popolazione adulta, ma so-
lo il 5% soffre di asma bronchiale clinicamente evidente
3. ostruzione endobronchiale causata da:
• broncospasmo
• edema della mucosa e infiltrato flogistico locale
• ipersecrezione di muco denso (discrinia).
— Patogenesi dell’asma allergico: il meccanismo più importante è rappresentato dalla

397
reazione allergica di tipo I, mediata dalle IgE. Queste, interagendo con allergeni
specifici, determinano la degranulazione dei mastociti, con liberazione di sostanze
mediatrici come l’istamina, ECF-A (eosinophil chemotactic factor of anaphylaxis),
leucotrieni e bradichinina.
Queste sostanze mediatrici determinano un’ostruzione endobronchiale.
Accanto alla reazione asmatica immediata causata da IgE, dopo inalazione di aller-
geni si può avere anche una reazione tardiva dopo 6-12 ore. Alcuni pazienti hanno
ambedue le forme di reazione («dual reactions»).
L’insorgenza iniziale di un asma prettamente allergico è da attribuire quasi sempre
ad un singolo allergene; nel corso degli anni però lo spettro delle cause scatenanti
si amplia, per cui la prevenzione basata sull’evitare il contatto con l’allergene di-
venta sempre più difficile.
— Patogenesi della reazione pseudoallergica: la reazione pseudoallergica attiva gli
stessi mediatori delle reazioni allergiche, distinguendosi nei seguenti punti:
• le reazioni pseudoallergiche non sono specifiche per l’agente scatenante
• si manifestano già durante la prima somministrazione (nessuna sensibilizzazione,
non mediate da IgE)
• non sono acquisite ma determinate geneticamente.
Un’intolleranza all’acido acetilsalicilico e ad altri FANS è presente nel 10% circa di
tutti i pazienti con asma non allergico (solo raramente con asma allergico). Spesso
esiste anche un’intolleranza ad altre sostanze, come il solfito (ad es. nel vino), la ti-
ramina (formaggio), il glutammato, ecc.
Cause scatenanti un attacco acuto d’asma:
— esposizione all’antigene, sostanze inalanti irritanti
— infezioni respiratorie virali
— farmaci scatenanti l’asma (ASA, betabloccanti, parasimpaticomimetici)
— sforzo fisico (asma da sforzo)
— aria fredda
— terapia inadeguata.
Clinica
I sintomi asmatici possono presentare una stagionalità ricorrente (allergia stagionale ai
pollini), non avere stagionalità oppure essere presenti per tutto l’anno (asma perenne);
— il sintomo principale è rappresentato da attacchi parossistici di dispnea, con sibili
espiratori (diagnosi differenziale: stridore inspiratorio nell’ostruzione delle vie re-
spiratorie superiori!).
— tosse stizzosa, assai fastidiosa (sintomo precoce dell’iperreattività bronchiale).
— durante l’attacco il paziente è dispnoico, in decubito semi-ortopnoico con interessa-
mento della muscolatura ausiliare della respirazione (espirio prolungato).
— quando il paziente è molto provato, alternanza respiratoria = alternarsi della respi-
razione toracica con quella addominale.
— tachicardia, evtl. polso paradosso con caduta della PA in fase inspiratoria > 10 mm
Hg.
— auscultazione: ronchi, gemiti o sibili prevalentemente espiratori. In caso di bronco-
spasmo grave con iperdistensione polmonare (volumen pulmonum auctum) oppure
di enfisema conclamato non si percepisce quasi nulla («silent chest»).
— percussione: iperfonesi plessica con abbassamento del diaframma.
— laboratorio: eventuale aumento nel sangue e nell’escreato degli eosinofili e della
ECP (= proteina cationica eosinofila), quale indicazione di una flogosi allergica; in
caso di asma allergico aumento della IgE specifiche e totali; in caso di asma infet-
tivo eventuale leucocitosi, aumento della VES e della PCR.

398
— escreato: scarso, denso, vischioso (in caso di asma infettivo talvolta è di colore ver-
de-giallastro).
— ECG: tachicardia sinusale, eventuali segni da sovraccarico del cuore destro: P pol-
monare, deviazione assiale destra, eventuale blocco di branca destra, eventuale tipo
S1, Q3 o tipo S1, S2, S3.
— radiografia del torace: polmoni iperespansi (campi polmonari iperdiafani) con ab-
bassamento del diaframma, silhouette cardiaca più sottile.
— funzionalità polmonare:
• VEMS diminuito. Valutazione della reversibilità dell’ostruzione bronchiale con il
test di broncolisi: aumento del VEMS di almeno il 20% dopo inalazione di un β2-
agonista
• PEF e MEF50 diminuiti; la misurazione del picco di flusso è importante perché
può essere eseguita dal paziente, anche al domicilio; gli asmatici mostrano oscil-
lazioni circadiane del grado di ostruzione bronchiale, con aumento dell’ostruzione
nelle prime ore del mattino
• in caso di ostruzione marcata, diminuzione della capacità vitale, con aumento del
volume residuo da «air trapping» e spostamento della posizione respiratoria me-
dia verso l’inspirazione
• resistenza respiratoria aumentata; a partire da valori di resistenza di 0,45 kPa/l/s
il paziente percepisce l’asma come fame d’aria.
Nota: poiché l’asma bronchiale è una malattia a crisi parossistiche, la funzionalità
polmonare può essere normale negli intervalli intercritici. In questo caso è possibile
documentare la iperreattività bronchiale con il test di provocazione.
— emogasanalisi arteriosa nell’attacco d’asma: 3 stadi
Stadio pO2 pCO2 pH
I = iperventilazione n # $ Alcalosi respiratoria
II = insufficienza respiratoria parziale # n n
III = insufficienza respiratoria # acidosi respiratoria
< 50 > 45
III = globale (+ acidosi metabolica)

Complicanze
• stato di male asmatico: crisi d’asma resistente ai β2-adrenergici con pericolo di vita
• enfisema polmonare ostruttivo: in questo caso oltre alla già descritta ostruzione en-
dobronchiale dell’asma può verificarsi anche un’ulteriore ostruzione esobronchiale =
collasso espiratorio dei bronchioli conseguente a instabilità della parete dei bron-
chioli
• ipertensione polmonare e cuore polmonare
• insufficienza respiratoria.
Livelli di gravità dell’asma (Deutsche Atemwegsliga, 1999)

VEMS o PEF (*)


Grado Frequenza Sintomi diurni Sintomi notturni
(% del normale)
1. intermittente ≤ 2 volte/settimana ≤ 2 volte/mese > 80%
75%
2. persistente, lieve < 1 volta/giorno > 2 volte/mese ≥ 80%
3. persistente, medio 20% tutti i giorni > 1 volta/settimana tra 60 e 80%
4. persistente, grave 15% costanti spesso ≤ 60%

(*) VEMS = volume espiratorio massimo in 1 secondo; PEF = picco di flusso espiratorio

399
Diagnosi differenziale
1. Con altre affezioni:
— bronchite cronica ostruttiva: anamnesi
— asma cardiaco = dispnea in pazienti con insufficienza del cuore sinistro e stasi
polmonare (edema polmonare imminente): ronchi umidi, radiografia del torace:
stasi polmonare
— dispnea in caso di embolie polmonari recidivanti
Nota: in entrambe le affezioni può verificarsi un broncospasmo riflesso; in tal
caso anche una terapia antiasmatica può ottenere miglioramenti parziali dei di-
sturbi, ma ciò non deve portare alla diagnosi errata di asma bronchiale!
— stridore inspiratorio in caso di ostruzione delle vie respiratorie extratoraciche
(ad es. corpi estranei, edema della glottide, laringospasmo intermittente = vocal
cord dysfunction)
— pneumotorace a valvola (differenza auscultatoria tra i 2 lati)
— sindrome da iperventilazione
— asma bronchiale in corso di sindrome da carcinoide.
2. Diagnosi differenziale asma estrinseco (allergico) - intrinseco (non allergico).

Asma estrinseco Asma intrinseco

Familiarità per atopia molto frequente –


Rinite e/o congiuntivite allergica molto frequente –
Ipersensibilità ai FANS – frequente
IgE sieriche specifiche e/o totali aumentate si –
Test cutanei e/o di provocazione positivi si –
Esordio della malattia prevalentemente in prevalentemente in
età infantile età adulta

Diagnosi
1. Diagnosi di iperreattività bronchiale
• valutazione del picco di flusso nell’arco di 4 settimane, con misurazioni al matti-
no e alla sera:
oscillazioni del valore del picco di flusso > 20%
• test di provocazione con metacolina:
se un paziente sospettato di asma mostra valori normali di VEMS e di resistenza
respiratoria, è consigliabile l’esecuzione di un test di provocazione per documen-
tare l’iperreattività bronchiale: dopo l’inalazione di sostanze ad effetto broncoco-
strittore (ad es. metacolina), in caso di test positivo si osserva un raddoppio della
resistenza e una caduta del VEMS di almeno il 20%.
PC 20 = concentrazione della sostanza impiegata nel test che provoca una caduta
del VEMS pari ad almeno il 20%. Con la metacolina una PC 20 ≤ 8 mg/dl è in-
dicativa di iperreattività bronchiale.
2. Diagnosi di asma bronchiale manifesto
anamnesi + clinica + funzionalità polmonare con test di broncolisi.
3. Evtl. dimostrazione di infiammazione delle vie respiratorie (non sono indagini di
routine);
• dimostrazione di granulociti eosinofili nell’escreato
• evtl. broncoscopia con lavaggio broncoalveolare (BAL).
4. Individuazione degli allergeni
a) Anamnesi allergologica (ambiente di lavoro, tempo libero).

400
b) Eventuale assenza di sintomi in certe situazioni (ad es. in vacanza) ed eventua-
le loro ricomparsa in altre (ad es. ambiente di lavoro).
c) Test cutanei: Prick-test, test intracutanei per la dimostrazione in una reazione
immediata IgE mediata (tipo I):
— screening con allergeni comuni ubiquitari:
• nel sospetto di allergia ai pollini, identificazione dei pollini principali:
in caso di allergia primaverile: pollini degli alberi di nocciolo, ontano,
frassino, betulla
in caso di allergia estiva: pollini di graminacee e cereali
in caso di allergia autunnale: pollini di artemisia, composite
• acaro della polvere, aspergillo, pelo ed epitelio di animali
• allergie professionali: sono spesso allergizzanti: prodotti a base di farina,
prodotti cotti al forno, polveri di derrate alimentari anche per uso veteri-
nario, allergeni vegetali, polvere di legno e di sughero, antigeni di origine
animale, isocianati, prodotti per parrucchieri, cosmetici, ecc.
— test di conferma con gli allergeni sospetti:
i test cutanei vanno eseguiti nei periodi intercritici. Corticosteroidi orali, an-
tiistaminici e stabilizzatori dei mastociti devono essere sospesi 1-4 settimane
prima dei test, a seconda della loro durata d’azione. La valutazione dei test
(diametro del pomfo) viene eseguita dopo 10-15 minuti. Come controllo ne-
gativo (0) si usa il solo solvente; come controllo positivo (+++) si usa l’i-
stamina. Poiché, sebbene raramente, sono possibili reazioni anafilattiche, te-
nere pronti i farmaci d’emergenza.
Nota: un test cutaneo positivo non documenta ancora il significato patoge-
netico dell’allergene. Solo la positività del test di provocazione con l’aller-
gene sospetto è sicuramente diagnostica.
d) Diagnosi immunologica:
— dosaggio delle IgE totali: nella polisensibilizzazione, il livello delle IgE to-
tali è aumentato, nella monosensibilizzazione i valori sono spesso normali;
poiché sino a 1/3 dei pazienti con asma non allergico ha comunque valori
aumentati, le IgE totali non hanno grande valore diagnostico;
— valutazione delle IgE specifiche: rappresenta la dimostrazione che un aller-
gene sospetto ha indotto la formazione di IgE specifiche (metodica: ad es.
RAST = Radio-Allergo-Sorbent-Test, CAP System);
— test di liberazione di istamina dai granulociti basofili (non è un’indagine di
routine): gli allergeni sospetti vengono incubati in vitro con una sospensione
leucocitaria e viene misurata la liberazione di istamina.
e) Test di provocazione: nei casi dubbi, gli allergeni sospetti vengono fatti inalare
(test di provocazione nasale o bronchiale a seconda di quale sia l’organo bersa-
glio) per appurare se sono in grado di scatenare una reazione, seppur attenuata.
In altre parole, se sono in grado di indurre un’ostruzione bronchiale misurabile.
Il test non è privo di pericoli (farmaci e rianimazione pronti!) e occorre tenere
presente eventuali reazioni tardive dopo 6-8 h (tenere fino ad allora il paziente
sotto controllo medico). Precedentemente sospendere per almeno 2 giorni i far-
maci che possono influenzare la reattività bronchiale.
f) Diagnosi dell’asma professionale
— aumento dell’ostruzione bronchiale in corso di esposizione lavorativa (con-
fronto dei picchi di flusso durante il tempo libero e durante il lavoro);
— identificazione dell’allergene sospetto per mezzo di un’anamnesi lavorativa

401
dettagliata (prendere contatti con il medico del luogo di lavoro), prove cuta-
nee e determinazione delle IgE specifiche;
— test di provocazione positivo.
Terapia
a. Causale
È possibile solo in alcuni casi e in misura limitata
• asma allergico: tentativo di riduzione del carico allergenico e iposensibilizzazio-
ne specifica (vedi sotto)
• asma non allergico: evitare e trattare le infezioni respiratorie; curare eventuali si-
nusiti già presenti; trattamento del reflusso gastro-esofageo.
b. Sintomatica:
Trattamento «a scaletta», su 4 livelli successivi (Deutsche Atemwegsliga, 1999)

Trattamento al bisogno Trattamento a lungo termine


1º livello β2-mimetici a breve durata d’azione nessuno
2º livello β2-mimetici a breve durata d’azione steroidi per via inalatoria a bassa dose:
in alternativa nei bambini: DSCG o
nedocromil
3º livello β2-mimetici a breve durata d’azione steroidi per via inalatoria a dose media,
β2-mimetici a lunga durata d’azione,
teofillinici
4º livello β2-mimetici a breve durata d’azione come nel 3º livello, ma steroidi per via
inalatoria a dosi maggiori + steroidi
per via orale
Nel 2º e 3º livello è possibile anche l’aggiunta di antagonisti dei leucotrieni

Scopo del trattamento non è l’aumento sino alle dosi massime di una monoterapia,
ma l’ottimizzazione della cura associando farmaci diversi. Lo schema «a scaletta» è
solo di aiuto nell’orientamento terapeutico. In caso di peggioramento acuto è neces-
sario passare rapidamente ai livelli successivi; dopo un miglioramento, la riduzione
della terapia deve essere lenta e prudente.
Per ottimizzare l’efficacia della cura sono necessarie l’istruzione del paziente e l’au-
tomisurazione domiciliare dell’ostruzione, mediante un semplice apparecchio di mi-
surazione del picco di flusso.
Quale parametro di riferimento il paziente deve determinare il proprio valore mi-
gliore = valore di picco di flusso più elevato in assenza di disturbi. Tutti i valori
misurati vanno riferiti al valore personale migliore ! schema «a semaforo»:
— verde: valori di picco di flusso pari all’80-100% del valore personale migliore:
assenza di sintomi
— giallo: valori di picco di flusso tra 60 e 80% del valore personale migliore: di-
sturbi ingravescenti ! urgente necessità di trattamento in base allo schema
— rosso: valore di picco di flusso < 60%: trattamento farmacologico d’emergenza
e valutazione medica immediata (vi è pericolo di vita!).
Tre domande in caso d’asma «resistente agli steroidi»:
1. il paziente assume regolarmente i farmaci (compliance)?
2. vi sono fattori scatenanti ignoti? (allergeni, betabloccanti, intolleranza all’ASA,
ecc.)
3. la diagnosi di asma bronchiale è corretta?

402
A) Farmaci ad effetto antiinfiammatorio
1. Glucocorticosteroidi: sono i più potenti antiinfiammatori.
Meccanismo d’azione:
• antiflogistici, antiallergici, immunosoppressori;
• effetto β-sensibilizzante sui bronchi: nello stato asmatico i broncodilatatori hanno
una minore efficacia a causa della minore sensibilità dei β-recettori. I corticoste-
roidi ristabiliscono la sensibilità dei β-recettori.
a) Somministrazione sistemica
Effetti collaterali: la terapia sistemica cronica a dosi di prednisolone ≥ 7,5 mg/
die (o equivalenti) provoca un Cushing iatrogeno: vedi cap. Glucocorticosteroidi.
— Indicazioni alla terapia con steroidi per via orale:
• peggioramento dei sintomi dell’asma nonostante un dosaggio ottimale dei
broncodilatatori e degli steroidi per via inalatoria
• aumento spontaneo dell’impiego dei broncodilatatori da parte del paziente
• caduta del valore di picco di flusso a valori < 60% del valore individuale
migliore
• attacchi notturni d’asma, nonostante un trattamento ottimale.
Dosaggio: inizialmente 25-50 mg/die, a seconda della gravità; dopo miglio-
ramento clinico, lenta e graduale riduzione.
— Indicazioni alla terapia con steroidi per via endovenosa:
nello stato di male asmatico i corticosteroidi e.v. sono tassativi.
Dosaggio: iniziare con 100-250 mg di prednisolone e.v.; se la sintomatolo-
gia migliora, somministrare 50 mg ogni 4 h. In caso di miglioramento clini-
co ridurre ulteriormente la dose e passare al trattamento orale. Sotto stretto
controllo clinico, riduzione graduale della dose giornaliera di 5 mg per vol-
ta. Generalmente la dose giornaliera totale viene somministrata al mattino; in
caso di asma notturno talvolta occorre somministrare un terzo della dose
giornaliera alla sera. In caso di necessità, si può suddividere la dose giorna-
liera totale in 3 somministrazioni (ad es. ore 7-15-23). Al di sotto dei 20
mg/die di prednisolone, è indicata l’aggiunta di glucocorticoidi per via ina-
latoria; al di sotto dei 10 mg/die, si deve cercare di evitare la somministra-
zione degli steroidi per via orale, passando a quelli per via inalatoria.
b) Somministrazione topica sotto forma di aerosol dosabile
I glucocorticoidi per inalazione sono farmaci ben tollerati ed efficaci per inibire
la flogosi bronchiale. Nell’asma allergico costituiscono i farmaci di base.
Gli steroidi per inalazione iniziano ad agire solo dopo una settimana e non so-
no pertanto adatti per il trattamento di attacchi asmatici acuti. Nell’attacco
asmatico acuto i glucocorticoidi vanno somministrati sempre per via parenterale
(in associazione a broncodilatatori).
Nella maggior parte dei pazienti che necessitano temporaneamente di glucocor-
ticoidi orali è poi possibile sostituire gli steroidi orali con quelli per via inala-
toria.

Norme commerciali Dosaggio (mg/die; 1 mg = 1000 µg)


Principio attivo
(esempi) 2º livello 3º livello 4º livello
Beclometasone Clenil 0,255 (1 spruzzo) - 0,50 sino a 1,0 sino a 2,0
Budenoside Pulmaxan 0,255 (1 spruzzo) - 0,40 sino a 0,8 sino a 1,6
Flunisolide Nisolid 0,255 (1 spruzzo) - 0,50 sino a 1,0 sino a 2,0
Fluticasone Flixotide 0,125 (1 spruzzo) - 0,25 sino a 0,5 sino a 1,0

403
Budenoside, flunisolide e fluticasone sono già in forma biologicamente attiva e
vengono velocemente inattivati nella circolazione.
Il beclometasone è un profarmaco che per avere piena efficacia deve essere
idrolizzato nella posizione C21.
Il mometasone furosato viene inalato come polvere; dosaggio: 0,2-0,4 mg × 1-
2/die.
Effetti collaterali: infezione da candida nel cavo orale, raramente raucedine. Con
dosi giornaliere < 1 mg, gli effetti collaterali sistemici sono improbabili. In caso
di assunzione protratta ad alte dosi, aumentato rischio di cataratta ed evtl. di-
sturbi dell’accrescimento nei bambini.
Controindicazioni: TBC polmonare, micosi, infezioni batteriche delle vie respi-
ratorie.
Regole per la somministrazione per via inalatoria:
• a parità di dose totale, la somministrazione in 2 volte/die è altrettanto effica-
ce dell’inalazione in 4 volte/die;
• l’utilizzo di ausili per l’inalazione (spacer) migliora la distribuzione intrabron-
chiale dei farmaci;
• non più del 30% della dose somministrata raggiunge le vie respiratorie, la
parte restante si deposita nell’orofaringe: a questo livello la comparsa di mi-
cosi può essere largamente evitata assumendo lo spray prima dei pasti e con
successivo lavaggio della bocca;
• la terapia con steroidi per via inalatoria non deve essere intermittente, ma co-
stante a lungo termine;
• in presenza di broncospasmo, la somministrazione degli steroidi per via inala-
toria deve essere preceduta da quella dei β2-simpaticomimetici, atti a indurre
la broncolisi.
2. Stabilizzatori dei mastociti e antiallergici.
Sono efficaci solo per la prevenzione; non sono adatti come terapia dell’attacco
acuto; sono più attivi nei bambini che negli adulti.
• Disodiocromoglicato (= DSCG)
Meccanismo d’azione: inibisce il rilascio dei mediatori dai mastociti sensibilizza-
ti. Poiché l’inalazione del farmaco in polvere può rappresentare uno stimolo irri-
tante, si consiglia la terapia aerosol.
Dosaggio: 2 spruzzi × 4 volte/die.
Effetti collaterali: non sono noti effetti collaterali gravi.
• Nedocromil
Meccanismo d’azione: simile al disodiocromoglicato.
Dosaggio: 2 spruzzi × 4 volte/die.
• Chetotifene
Meccanismo d’azione: stabilizzazione dei mastociti + effetto antiistaminico; azio-
ne preventiva insufficiente.
Dosaggio: a causa degli effetti collaterali sedativi, nei primi giorni somministrare
soltanto 1 compressa per via orale alla sera, in seguito 1 compressa × 2 volte al dì.
Effetti collaterali: sedazione, secchezza delle fauci, eventualmente vertigini; tali
fenomeno spesso scompaiono durante il trattamento.
B) Broncodilatatori
A livello della muscolatura bronchiale sono rappresentati quattro tipi di recettori, ma so-
lamente la stimolazione dei β2-recettori determina una dilatazione della muscolatura
bronchiale, mentre la stimolazione di tutti gli altri recettori (α-recettori, recettori ista-
minergici, recettori colinergici) comporta una broncocostrizione.

404
Lo stato funzionale della muscolatura bronchiale dipende dal rapporto cAMP/cGMP in-
tracellulare (adenosinmonofosfato ciclico/guanosinmonofosfato ciclico).
Tanto maggiore è il rapporto, più le fibre muscolari sono rilasciate. I farmaci β2-agoni-
sti (stimolanti l’adenilciclasi) e gli xantinoderivati (inibitori della fosfodiesterasi) au-
mentano tale rapporto.
1. β2-stimolanti = β2-simpaticomimetici = β2-adrenergici = β2-agonisti
Meccanismo d’azione: agiscono prevalentemente sui recettori β2 della muscolatura
bronchiale, tuttavia hanno anche effetti cardiaci minori, agendo sui recettori β1 del
cuore.
Indicazioni: i farmaci β2-stimolanti sono i broncodilatatori più potenti.
• β2-simpaticomimetici a breve durata d’azione: durata dell’effetto 4-6 ore.
Indicazione: terapia immediata dell’attacco d’asma.
Esempi: fenoterolo, sulbutamolo, terbutalina, clenbuterolo, reproterolo, pirbuterolo.
• β2-simpaticomimetici a lunga durata d’azione: durata dell’effetto 8-12 ore.
Indicazione: a partire dal 3° livello dello schema a 4 livelli: prevenzione di attac-
chi asmatici notturni (in alternativa ai preparati retard di teofillinici). Non adatti
per la terapia immediata dell’attacco d’asma.
Nota: a partire dal 3º livello, i β2-simpaticomimetici + corticosteroidi per via ina-
latoria costituiscono il trattamento di base. I β2-agonisti a lunga durata d’azione
sviluppano il loro effetto ritardato dopo circa 20 minuti. Non sono pertanto indi-
cati per un trattamento immediato dell’attacco asmatico. Per l’attacco acuto som-
ministrare sempre β2-agonisti a breve durata d’azione.
Esempi: formaterolo, salmeterolo.
Effetti collaterali: tachicardia, cardiopalmo, disturbi del ritmo ventricolare, iperten-
sione, tremore, irrequietezza, disturbi del sonno, nell’ischemia coronarica scatena-
mento di una crisi anginosa, evtl. ipopotassiemia in caso di alte dosi.
Controindicazioni: grave ischemia coronarica, cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva,
tachiaritmie, ipertiroidismo, ecc.
Impiego: si è dimostrato molto valido l’impiego di questi farmaci come aerosol do-
sato, a pronta azione (entro un minuto). Gli spacer garantiscono una distribuzione
ottimale della sostanza. Apparecchi per aerosol con valvole che guidano l’inspira-
zione facilitano la sincronizzazione della liberazione della dose e dell’inspirazione.
La dose necessaria per la somministrazione in aerosol è solo il 10% di quella per
via orale! Sussiste tuttavia il rischio di un’impiego non controllato da parte del pa-
ziente.
Dosaggio: si è posto il sospetto che una terapia cronica con β2-adrenergici possa
aumentare la mortalità dei pazienti asmatici. Pertanto, in caso di asma lieve, si rac-
comanda l’impiego dei β2-adrenergici come sintomatici (1-2 spruzzi in caso di crisi
dispnoica). In caso di asma bronchiale grave instabile non è possibile rinunciare ad
un trattamento cronico e regolare (2 spruzzi × 3-4 volte/die) in associazione a cor-
ticosteroidi per via inalatoria e altri antiasmatici.
In caso di asma notturno, prendere in considerazione l’impiego di un β2-adrenergi-
co a lunga durata d’azione da somministrare alla sera (in alternativa alla teofillina).
Nota: se il paziente necessita di più di 10 spruzzi al giorno di un beta2-adrenergico,
la situazione è minacciosa; l’intero programma terapeutico deve essere rivalutato ed
eventualmente portato ad un livello superiore.
2. Derivati della teofillina (Metilxantine):
Meccanismo d’azione: broncospasmolisi, protezione dei mastociti, stimolazione re-
spiratoria centrale e stimolo della muscolatura respiratoria, effetto inotropo e crono-

405
tropo positivo sul cuore. In caso di ostruzione di grado medio, la teofillina ha un ef-
fetto broncodilatore meno efficace dei β2-adrenergici. In caso di ostruzione grave, il
suo effetto si somma a quello dei β2-adrenergici.
Indicazioni: quando la monoterapia con β2-stimolanti non è sufficiente, è utile as-
sociare gli xantino-derivati. Le teofilline sono particolarmente adatte per la terapia e
la prevenzione degli attacchi asmatici notturni, inoltre per la terapia e.v. dell’attac-
co asmatico acuto.
Effetti collaterali
• disturbi a livello del SNC: irrequitezza, disturbi del sonno, cefalea, tremore mu-
scolare, iperventilazione
• disturbi gastrointestinali: nausea, vomito, diarrea, pirosi
• tachicardia, evtl. extrasistolia, tachiaritmie
• reazioni allergiche con l’uso e.v. di preparati a base di etilendiamina.
Controindicazioni: infarto cardiaco recente, tachiaritmia, cardiomiopatia ipertrofica
ostruttiva, ecc.
La teofillina ha un range terapeutico molto stretto, compreso fra 8-20 µg/ml (con-
centrazione plasmatica); oltre i 25 µg/ml sussiste il rischio di disturbi del ritmo car-
diaco (tachiaritmie) e di convulsioni.
L’emivita plasmatica presenta notevoli variazioni individuali. Il 90% della teofillina
somministrata viene metabolizzata attraverso il fegato; il sistema enzimatico catabo-
lico del citocromo P450 è influenzato da vari fattori ! nei pazienti con età > 60
anni, infezioni febbrili, epatopatie croniche, insufficienza del cuore destro (cuore
polmonare!) nonché dopo assunzione di particolari farmaci (come cimetidina, anti-
biotici macrolidi, chinoloni, allopurinolo), l’emivita plasmatica del farmaco è mag-
giore. In queste situazioni è opportuno ridurre la dose.
Anche la caffeina ha un’azione broncodilatatrice ed aumenta sia l’efficacia che gli
effetti collaterali della teofillina.
Conseguenze: poiché la clearance individuale del farmaco varia da soggetto a sog-
getto, ed inoltre può essere alterata dalla contemporanea assunzione di altri farma-
ci, si consiglia di individualizzare sempre la dose monitorando la concentrazione
plasmatica del farmaco, specialmente in presenza di gravi attacchi asmatici con
cuore polmonare!
Impiego:
• le compresse retard vengono generalmente somministrate per via orale. Con le
preparazioni in gocce l’inizio dell’azione è rapido.
Dosaggio: la dose giornaliera iniziale negli adulti è di 400-800 mg, possibilmen-
te controllando la teofillinemia. La dose giornaliera totale dei farmaci retard vie-
ne suddivisa in 2 somministrazioni quotidiane (1/3 al mattino e 2/3 la sera). Qua-
lora gli attacchi siano solo notturni, viene somministrata un’unica dose serale
• per via endovenosa
Dosaggio: 200 mg lentamente (in 5 minuti) per e.v., terapia per infusione da ef-
fettuarsi in ambiente ospedaliero. Se il paziente non è mai stato trattato con teo-
fillinici, sino a 800 mg in 500 ml in soluzione di infusione/24 h controllando la
concentrazione plasmatica.
3. Farmaci anticolinergici
• ipratropio bromuro
• ossitropio bromuro.
Effetti collaterali: entrambe queste sostanze, contrariamente all’atropina, sono poco
assorbite per via gastro-enterica per cui gli effetti sistemici dell’atropina (secchezza

406
delle fauci e disturbi della accomodazione) sono rari e modesti. L’ossitropio bromu-
ro ha una durata d’azione di circa 6 h, per cui può essere utile per prevenire gli at-
tacchi notturni.
Dosaggio: gli anticolinergici vengono somministrati per via inalatoria (1-2 spruzzi
× 3 volte/die. Possono essere associati ai β2-stimolanti, diminuendo la dose di que-
sti ultimi (es. ipratropio bromuro + fenoterolo).
C) Antagonisti dei leucotrieni
Solo il 50% circa dei pazienti trae vantaggio dagli antileucotrienici. Se dopo 1-2 setti-
mane non è comparso alcun effetto, se ne deve trarre la conclusione che in quel pa-
ziente sono inefficaci
• inibitori della 5-lipossigenasi: zileuton
• antagonisti del recettore-1 cisteinil-leucotrienico: «lukasti»: zafirlukast, pranlukast,
montelukast.
Indicazioni: hanno valore solo preventivo (a partire dal 2º livello); non sono utili nel
trattamento dell’attacco acuto.
Controindicazioni: gravidanza, allattamento, reazioni allergiche, ecc.
Dosaggio: ad es. montelukast 10 mg/die per via orale, da assumere alla sera.
Meccanismo d’azione: blocco dei mediatori dell’infiammazione.
Effetti collaterali: cefalea, disturbi addominali, artralgie, raramente eosinofilia, sindro-
me di Churg-Strauss, ecc.
D) Ulteriori misure terapeutiche
— Soministrazione di antibiotici in caso di asma infettivo
Per la scelta dell’antibiotico vedi cap. Bronchite cronica. Dopo un buon trattamento
dell’infezione, i β-recettori dei bronchi sono nuovamente sensibilizzati alla sommi-
nistrazione di broncodilatatori!
— Espettoranti
Indicazioni: secreto bronchiale denso (discrinia), stasi del muco, difficoltà alla
espettorazione.
Regola di base: abbondante apporto di liquidi.
• Secretolitici: produzione di un secreto meno viscoso; ad es. bromexina e suo me-
tabolita ambroxolo (attenzione agli effetti collaterali: reazioni allergiche).
• Mucolitici: fludificazione del secreto bronchiale tramite distruzione di ponti disol-
furo; ad es. N-acetilcisteina (attenzione agli effetti collaterali: raramente induzio-
ne o accentuazione del broncospasmo, tinnito, ecc.).
Nota: poiché l’impiego per inalazione può determinare una costrizione bronchiale
riflessa, si consiglia la somministrazione per via orale (o parenterale, in ospedale).
L’umidificazione dell’aria facilita l’espettorazione; a questo scopo è sufficiente l’ac-
qua, eventualmente con aggiunta di sale.
L’impiego di enzimi proteolitici è controindicato, come anche la somministrazione
di antitussigeni quali la codeina (se non in caso di tosse notturna che disturba il
sonno).
Anche il secretolitico migliore non può essere efficace se contemporaneamente non
viene somministrata una sufficiente quantità di liquidi: occorre perciò che il pa-
ziente beva molto o che venga eseguita in ospedale una terapia infusionale con 2-3
l/24 h.
— Educazione respiratoria: evitare la respirazione a pressione intermittente e l’iper-
ventilazione, respirare con labbra socchiuse ! impedimento di un collasso espira-
torio dei bronchi; sfruttare la tosse per espettorare, stimolare l’espettorazione me-
diante massaggio a percussione, ecc.

407
— Terapia di un eventuale reflusso gastro-esofageo.
— Misure psicoterapeutiche e trattamento climatico adeguato possono essere di gran-
de aiuto.
Terapia dello stato di male asmatico
— In terapia intensiva: controllo della funzione cardio-circolatoria e polmonare, e del-
l’equilibrio idro-elettrolitico.
— Posizione seduta.
— Sedazione: il paziente deve essere calmato e tranquillizzato dal medico o dal perso-
nale infermieristico. È bene non somministrare tranquillanti (es. diazepam) per il lo-
ro effetto depressivo sulla respirazione. In caso di iniziale ipercapnia e se il pazien-
te non è ricoverato sono assolutamente controindicati.
— Somministrazione di ossigeno: il trattamento ospedaliero dell’attacco di asma acuto
prevede la somministrazione di O2 per breve tempo tramite sonda nasale (2-4
l/min.), con monitoraggio dell’emogasanalisi e dell’ossimetria digitale. La terapia
con O2 non è adatta in caso di insufficienza respiratoria globale (ipossiemia + iper-
capnia). Poiché l’ipossiemia è l’ultimo stimolo della respirazione, eventualmente oc-
corre eseguire la terapia con respirazione assistita.
— Glucocorticosteroidi e.v.: sono irrinunciabili! A seconda delle necessità, prednisolo-
ne 125-250 mg ogni 4-6 ore.
— Broncodilatatori, tenendo conto della terapia precedente:
• teofillina: inizialmente 200 mg lentamente e.v., ulteriore somministrazione per in-
fusione monitorando la teofillinemia
• β2-simpaticomimetici a breve durata d’azione: inizialmente 4 spruzzi.
Nota: in caso di precedente abuso, da parte del paziente, nell’impiego di β2-adre-
nergici, l’ulteriore loro somministrazione non è priva di rischi (tachiaritmie, ipo-
potassiemia, ecc.).
La terapia parenterale con β2-adrenergici va praticata solo in pazienti giovani e
con una frequenza cardiaca < 130/min.; ad es. terbutalina 0,5 mg s.c. oppure re-
proterolo 1 fiala da 1 ml (= 90 µg) e.v. lentamente, ulteriore somministrazione
per infusione (dose media negli adulti: 1 ml = 90 µg/ora).
— Secretolitici + adeguata idratazione per via parenterale.
— Nel sospetto di asma infettivo somministrazione di antibiotici (vedi cap. Bronchite
cronica).
— Eventuale respirazione assistita, broncoaspirazione endoscopica, lavaggio bron-
chiale ed eventuale somministrazione endobronchiale di ketamina a scopo broncoli-
tico (per gli effetti collaterali e le controindicazioni, vedi foglio illustrativo del far-
maco).
Indicazione: insufficienza respiratoria acuta con pO2 < 50 mmHg e pCO2 > 55
mmHg e acidosi respiratoria. In caso di ipercapnia cronica preesistente vengono tal-
volta tollerati valori più elevati di pCO2. L’esaurimento muscolare del diaframma
con movimenti inspiratori paradossi della parete addominale, nonché turbe di co-
scienza subentranti sono indicazioni alla ventilazione artificiale assistita.
— Prevenzione dell’ulcera da stress (ad es. con inibitori della secrezione acida ga-
strica).
Durante l’attacco d’asma, fare attenzione a:
antitussigeni, betabloccanti (sono presenti anche in alcuni colliri), acido acetilsalicilico
(reazione pseudo-allergica!), sedativi (depressione respiratoria!), parasimpaticomimetici
(pilocarpina, carbacolo, ecc.), catetere in succlavia (aumentato pericolo di pneumotora-
ce!). Se possibile, evitare la digitale o comunque monitorare la digitalemia (rischio di
aritmie da ipossiemia e catecolamine).

408
Nota: non sottovalutare nessun attacco d’asma e portare rapidamente il paziente in
ospedale (con accompagnamento medico)! Tenere in osservazione il paziente in terapia
intensiva! Nessun trattamento aggressivo troppo affrettato (in particolare, intubazione e
ventilazione assistita), prima di aver esperito tutti gli altri tentativi terapeutici!
Prevenzione dell’asma bronchiale
1. Protezione dagli stimoli che agiscono sull’iperattività bronchiale:
— astensione dal fumo
— evitare l’esposizione a eventuali allergeni
— evitare aria fredda, nebbia e sostanze irritanti (polveri, ecc.)
— profilassi antinfettiva
— immunizzazione attiva contro pneumococchi e virus influenzali
— trattamento di un eventuale reflusso gastro-esofageo
— evitare sforzi fisici esagerati (pericolo di asma da sforzo).
Misure preventive in caso di allergia verso gli acari:
• evitare piante da appartamento, animali domestici, mobili imbottiti, tappeti ed al-
tri oggetti che attirano polvere
• materassi/coperte/cuscini di fibre sintetiche con apposite coperture contro gli aca-
ri, ma che consentono la traspirazione
• di notte, indossare biancheria da notte per evitare il depositarsi nel letto della de-
squamazione cutanea
• umidificare poco l’aria e bassa temperatura ambiente
• uso quotidiano dell’aspirapolvere con filtri adeguati, frequente cambio delle len-
zuola
• verificare l’eventuale presenza di acari nella polvere (Acarex-test) ed utilizzare
eventualmente acaricidi (in schiuma e polvere).
2. Circa il 50% di tutti i casi di asma infantile è evitabile con opportune misure di
prevenzione dell’atopia nei lattanti: allattamento al seno più protratto possibile, ri-
nunciare agli animali domestici e all’esposizione al fumo passivo (vedi anche cap.
Allergia alimentare).
3. In caso di allergia ai pollini, attenzione alle frequenti allergie crociate tra: pollini
di betulla, frutta cruda con semi (in particolare mele) e carote; più raramente: arte-
misia e sedano/aromi.
4. Evitare l’impiego di farmaci che potenzialmente potrebbero determinare asma:
— ASA o altri FANS in caso di reazioni pseudoallergiche
— betabloccanti.
5. Immunoterapia
Desensibilizzazione:
Indicazioni: pazienti < 55 anni, durata dei disturbi non > 5 anni. Possibilmente al-
lergia monovalente.
Principio: la desensibilizzazione va eseguita nell’intervallo libero da asma. Sommi-
nistrazione sottocutanea dell’allergene in piccole dosi che vengono gradualmente
aumentate nel corso della terapia per raggiungere una tolleranza agli allergeni re-
sponsabili. Durata della desensibilizzazione: minimo 3 anni.
Percentuale di successo: dipende dall’età e può arrivare sino al 70% (è più elevata
nei soggetti più giovani e in caso di allergia monovalente).
Effetti collaterali: leggeri sintomi locali nel punto di inoculo (5-15% dei casi),
broncospasmo, raramente reazioni anafilattiche; eventuali reazioni tardive dopo 4-8
h ! il paziente dovrebbe rimanere almeno 30 min (meglio 2 ore) nell’ambulatorio
del medico ed essere informato sulle possibili reazioni tardive (broncospasmo) e
sulla automedicazione.

409
Controindicazioni: infezioni, sintomi asmatici, malattie debilitanti, terapia con beta-
bloccanti (fallimento della terapia con adrenalina in caso di reazione anafilattica);
malattie nelle quali sia controindicato un eventuale trattamento con adrenalina (ad
es. cardiopatia ischemica), malattie immunitarie, gravidanza, ecc.
Prognosi
Asma nei bambini: guarigione > 50% dei casi.
Asma negli adulti: guarigione in circa il 20% dei casi, miglioramento in circa il 40%.
Una terapia a lungo termine con glucocorticoidi per via inalatoria può migliorare deci-
samente la prognosi. La Germania è oggi tra i Paesi col più elevato tasso di mortalità
per asma bronchiale, dopo l’Inghilterra, l’Australia e la Nuova Zelanda.

POLMONITI

Definizione
Infiammazione polmonare acuta o cronica che colpisce il parenchima alveolare e/o l’in-
terstizio.
Epidemiologia
Causa di morte più frequente tra tutte le malattie infettive nei Paesi industrializzati. Le
polmoniti occupano il 3° posto nella statistica delle cause di morte nel mondo.
Principi di classificazione
A) Classificazione anatomo-patologica
— secondo la localizzazione della polmonite:
• polmoniti alveolari (spesso infezioni batteriche)
• polmoniti interstiziali (spesso infezioni virali)
— secondo il grado di diffusione della polmonite:
• polmoniti lobari
• polmoniti lobulari (a focolaio)
B) Classificazione eziologica
— infezioni: virus, batteri, miceti, parassiti
— noxae fisiche (radiazioni, corpi estranei endobronchiali)
— noxae chimiche (gas irritanti, succo gastrico, olii)
— alterazioni circolatorie (polmonite da infarto, polmonite da stasi)
C) Classificazione clinica
1. in base ad eventuali altre malattie:
— polmonite primitiva: comparsa di polmonite in assenza di precedenti malat-
tie cardio-polmonari
— polmonite secondaria: in seguito ad altre affezioni cardio-polmonari, ad es.:
• da disturbi circolatori (polmonite da stasi in caso di insufficienza cardiaca
sinistra, polmonite da infarto dopo embolia polmonare, polmonite ipostati-
ca nel paziente allettato)
• da alterazioni bronchiali (carcinoma bronchiale, stenosi bronchiale ad es.
da corpi estranei, bronchiectasie)
• da aspirazione (polmonite da aspirazione)
• da sovrainfezione batterica (ad es. in corso di influenza)
2. in base al decorso: acuta o cronica.

410
35  
 

ix‘Ž‘‹–‹‹ˆ‡––‹˜‡  

/ŶĨĞnjŝŽŶŝĐŚĞĐŽůƉŝƐĐŽŶŽŝůƉĂƌĞŶĐŚŝŵĂŽů͛ŝŶƚĞƌƐƚŝnjŝŽĂůǀĞŽůĂƌĞ͘  

Patogenesi  e  patologia  
La  polmonite  è  causata  dalla  ƉƌŽůŝĨĞƌĂnjŝŽŶĞĚŝŵŝĐƌŽƌŐĂŶŝƐŵŝƉĂƚŽŐĞŶŝŶĞŐůŝĂůǀĞŽůŝĞĚĂůůĂƌŝƐƉŽƐƚĂĚĞůů͛ŽƐƉŝƚĞĂƋƵĞƐƚŝ
microrganismi.  
I   microrganismi   accedono   alle   vie   respiratorie   inferiori   in   diversi   modi:   piú   frequentemente   per   aspirazione  
ĚĂůů͛ŽƌŽĨĂƌŝŶŐĞ;ĚƵƌĂŶƚĞŝůƐŽŶŶŽŶĞŐůŝ  anziani,  in  pazienti  con  ridotta  coscienza),  poi  per  inalazione  e  raramente  per  
ĚŝƐƐĞŵŝŶĂnjŝŽŶĞĞŵĂƚŽŐĞŶĂŽƉĞƌĞƐƚĞŶƐŝŽŶĞĚŝƵŶ͛ŝŶĨĞnjŝŽŶĞƉůĞƵƌŝĐĂŽŵĞĚŝĂƐƚŝŶŝĐĂ͘  
>ĂĚŝĨĞƐĂĚĞůů͛ŽƐƉŝƚĞğĐŽƐƚŝƚƵŝƚĂĚĂƵŶŝŶƐŝĞŵĞĚŝĨĂƚƚŽƌŝ͗ƉĞůŝĞƚƵƌďŝŶĂƚŝĚĞůůĞŶĂƌŝĐŝ͕ ramificazioni  bronchiali,  pulizia  
mucociliare,  fattori  antibatterici,  riflesso  faringeo,  flora  batterica  locale,  macrofagi  alveolari.  Quando  i  macrofagi  non  
riescono   piú   ad   eliminare   i   patogeni   innescano   la   reazione   infiammatoria   che   determina   la   sindrome   clinica   della  
polmonite:   febbre,   leucocitosi,   dilatazione   dei   capillari   con   fuoriuscita   di   liquido   (rilevabile   come   infiltrato  
ĞŶĚŽĂůǀĞŽůĂƌĞĂůůĂƌĂĚŝŽŐƌĂĨŝĂĞƌĂŶƚŽůŝĂůů͛ĂƐĐŽůƚĂnjŝŽŶĞͿĞĚĞƌŝƚƌŽĐŝƚŝ;ĞŵŽƚƚŝƐŝͿ͘  
La  polmonite  da  S.  pneumoniae  (come  tutte  le  lobari)  attraversa  una  serie  di  stadi.  Nella  prima  fase  di  edema  si  ha  un  
essudato   proteico   negli   alveoli,   ma  è   raramente  individuabile   perché   sfocia  rapidamente   nella  fase   di   epatizzazione  
rossa͘ /Ŷ ƋƵĞƐƚĂ ĨĂƐĞ͕ ŽůƚƌĞ Ăůů͛ĞƐƐƵĚĂnjŝŽŶĞ Ěŝ ĞƌŝƚƌŽĐŝƚŝ͕ Ɛŝ ŚĂ   un   rilevante   afflusso   di   neutrofili.   Nella   fase   di  
epatizzazione   grigia   gli   eritrociti   sono   stati   degradati   (con   fuoriuscita   di   ferro),   sono   spariti   i   batteri   e   si   osserva  
presenza   di   neutrofili   e   fibrina.   Nella   fase   di   risoluzione   i   macrofagi   tornano   ad   essere   la   popolazione   cellulare  
prevalente.  

Classificazione  
x Classificazione  anatomo-­‐patologica  
o polmoniti  alveolari  (o  tipiche):  prev.  batteriche  
o polmoniti  interstiziali  (o  atipiche  o  non  batteriche):  prev.  virali,  o  da  batteri  intracellulari  o  miceti.  
x Classificazione  in  base  al  luogo  di  contrazione:  
o polmoniti  di  comunità  
o polmoniti  nosocomiali  (se  si  manifesta  almeno  due  giorni  dopo  il  ricovero  o  entro  due  giorni  dalla  dimissione).  

Eziologia  delle  polmoniti  di  comunità  (CAP)  


I  microrganismi  che  possono  causare  polmonite  di  comunità  sono  batteri,  funghi,  virus  e  protozoi.  La  maggior  parte  
dei  casi,  tuttavia,  sono  causati  da  pochi  microbi,  capitanati  da  S.  pneumoniae  e  M.  pneumoniae.  

Può  essere  utile  distinguere  i  patogeni:  

x ͞ƚŝƉŝĐŝ͟ ;S.   pneumoniae,   H.   influenzae,   S.   aureus,   bacilli   gram-­‐negativi   come   Klebsiella   pneumoniae   e  
Pseudomonas  aeruginosa)  
x ͞ĂƚŝƉŝĐŝ͟;Mycoplasma  pneumoniae,  Chlamydia  pneumoniae,  Legionella   ƐƉƉ͕ǀŝƌƵƐĚĞůů͛ŝŶĨůƵĞŶnjĂ͕ĂĚĞŶŽǀŝƌƵƐ͕
virus   respiratorio   sinciziale,   Pneumocystis   jirovecii   in   pazienti   immunodepressi).   I   patogeni   atipici   non  
possono   essere   coltivati   sui   terreni   consueti  (perché  intracellulari)   né   possono   essere   tinti   con   la   tintura   di  
'ƌĂŵ͕ ĞĚ ĞƐƐĞŶĚŽŝŶƚƌŝŶƐĞĐĂŵĞŶƚĞƌĞƐŝƐƚĞŶƚŝ Ăŝ ɴ-­‐lattamici   devono   essere   contrastati   con   un  macrolide,   un  
fluorochinolone  o  una  tetraciclina.  
Nonostante  un  accurato  esame  clinico  e  radiologico  nella  metà  dei  casi  non  si  individua  la  specifica  eziologia  della  CAP;  
ĂĚŽŐŶŝŵŽĚŽƉŽƐƐŽŶŽĞƐƐĞƌĞĚ͛ĂŝƵƚŽƵŶĂƐĞƌŝĞĚŝĐŽŶƐŝĚĞƌĂnjŝŽŶŝĞƉŝĚĞŵŝŽůŽŐŝĐŚĞĞĚĞŝĨĂƚƚŽƌŝĚŝƌŝƐĐŚŝŽ͘  

Eziologia  delle  polmoniti  nosocomiali  (HCAP)  


'ůŝ ĂŐĞŶƚŝ ĞnjŝŽůŽŐŝĐŝ ĚĞůů͛,W ŝŶĐůƵĚŽŶŽ ƐŝĂ ŝ ďĂƚƚĞƌŝ ƉĂƚŽŐĞŶŝ ĚĞůůĂ W ĐŚĞ ďĂƚƚĞƌŝ ŵƵůƚŝƌesistenti:   Klebsiella,  
Enterobacteriacee,   Pseudomonas,   Acinetobacter,   S.   aureus   (anche   MRSA)   sono   i   piú   frequenti.   È   da   ricordare   che,  
36  
 

ƌĂƌĂŵĞŶƚĞ͕ ŝ ƉĂƚŽŐĞŶŝ ƉŽƐƐŽŶŽ ĞƐƐĞƌĞ ŵŝĐĞƚŝ Ğ ǀŝƌƵƐ͘ >Ă ƚƌĂƐŵŝƐƐŝŽŶĞ ƉƵž ĞƐƐĞƌĞ ĐŽůůĞŐĂƚĂ Ăůů͛ĂŵďŝĞŶƚĞ͕ ĂůůĞ
apparecchiature  (es.  ventilazione  meccanica),  al  personale  sanitario  o  agli  altri  pazienti.  
>Ă ƐĞƋƵĞŶnjĂ Ěŝ ƐǀŝůƵƉƉŽ ĚĞůůĂ ŵĂůĂƚƚŝĂ ƉƌĞǀĞĚĞ ůĂ ĐŽůŽŶŝnjnjĂnjŝŽŶĞ ĚĞůů͛ŽƌŽĨĂƌŝŶŐĞ ĐŽŶ ŵŝĐƌŽŽƌŐĂŶŝƐŵŝ ƉĂƚŽŐĞŶŝ͕
ů͛ĂƐƉŝƌĂnjŝŽŶĞ Ěŝ ƋƵĞƐƚŝ ŶĞů ƚƌĂƚƚŽ ƌĞƐƉŝƌĂƚŽƌŝŽ Ğ ůĂ ĐŽŵƉƌŽŵŝƐƐŝŽŶe   dei   meccanismi   di   difesa;   questi   fattori   sono  
ĚĞƚĞƌŵŝŶĂƚŝĚĂůů͛ƵƐŽĚŝƌĞƐƉŝƌĂƚŽƌŝĂƌƚŝĨŝĐŝĂůŝĞĚŝĂŶƚŝďŝŽƚŝĐŝĂĚĂŵƉŝŽƐƉĞƚƚƌŽ͘  
Problema:   batteri   multiresistenti.   S.   aureus   meticillina-­‐resistente   (MRSA),   enterococchi   resistenti   a   vancomicina,  
Enterobacteriacee  ĐŽŶɴ-­‐lattamasi,  K.  pneumoniae  con  carbapenemasi.  

Epidemiologia  
>͛ŝŶĐŝĚĞŶnjĂĂŶŶƵĂůĞĚŝWŶĞŐůŝh^ğĚŝϭϮƐƵϭϬϬϬ͕ĂŶĐŚĞƐĞĂƵŵĞŶƚĂŶĞůůĞĨĂƐĐĞĚŝĞƚăĞƐƚƌĞŵĞ͖ƋƵĞƐƚĂƉŽůŵŽŶŝƚĞğ
tra   le   infezioni   la   prima   causa   di   mortalità   nella   comunità.   La   stagionalità   di   alcune   forme   può   far   propendere   per  
ƵŶ͛ĞnjŝŽůŽŐŝĂŽƵŶ͛ĂůƚƌĂ͘  

/ ĨĂƚƚŽƌŝ Ěŝ ƌŝƐĐŚŝŽƉĞƌůĂ WŝŶ ŐĞŶĞƌĂůĞ ƐŽŶŽů͛ĂůĐŽůŝƐŵŽ͕ ů͛ĂƐŵĂ͕ ů͛ŝŵŵƵŶŽƐŽƉƉƌĞƐƐŝŽŶĞ͕ů͛Ğƚă ŵĂŐŐŝŽƌĞ Ăŝ ϳϬ ĂŶŶŝ͘
Fattori  specifici  per  la  CAP  da  S.  pneumoniae  sono  la  demenza,  ů͛ŝŶƐƵĨĨŝĐŝĞŶnjĂĐĂƌĚŝĂĐĂ͕ůĂƉĂƚŽůŽŐŝĂĐĞƌĞďƌŽǀĂƐĐŽůĂƌĞ͕ŝů
tabagismo  e  la  BPCO.  

Manifestazioni  cliniche  e  diagnosi  


La  CAP  può  presentarsi  in  forme  da  lievi  a  fatali.  
Nelle   forme   tipiche   si   ha   esordio   improvviso   con   brividi   e   febbre   alta   con   tachicardia   compromissione   dello   stato  
generale;  tosse,  dispnea,  tachipnea;  possibili  la  pleurite  
ĐŽŶĚŽůŽƌĞƚŽƌĂĐŝĐŽĂůůĂƌĞƐƉŝƌĂnjŝŽŶĞĞů͛ŝŶƚĞƌĞƐƐĂŵĞŶƚŽ Polmonite  tipica   Polmonite  atipica  
ĚŝĂĨƌĂŵŵĂƚŝĐŽĐŽŶĚŽůŽƌĞĂůů͛ŝƉŽĐŽŶĚƌŝŽĚĞƐƚƌo.  La  tosse   esordio  brusco   esordio  subdolo  
si  accompagna  a  escreato  rugginoso.  ͛ğĂƵŵĞŶƚŽĚĞůůĂ
qualsiasi  età   adolescenti  
PCR  e  della  VES;  leucocitosi  neutrofilica.  Dopo  circa  una  
ƐĞƚƚŝŵĂŶĂ Đ͛ğ ƐĨĞďďƌĂŵĞŶƚŽ ĐŽŶ ƌŝƐĐŚŝŽ Ěŝ ƐĐŽŵƉĞŶƐŽ radiologia  alveolare   radiologia  interstiziale  
cardio-­‐circolatorio  (questo  andamento  clinico  ormai  non   escreato  purulento  e  rugginoso   scarso  escreato  mucoide  
si  vede  piú  grazie  agli  antibiotici).   frequente  dolore  pleurico   raro  dolore  pleurico  
Nelle   forme   atipiche   ů͛ĞƐŽƌĚŝŽ ğ ƐƵďĚŽůŽ͖ Ɛŝ ŚĂ ĐĞĨĂůĞĂ͕ consolidamento   rantoli  crepitanti  
mialgie,   febbre   non   elevata   e   senza   brividi;   la   tosse   è  
neutrofilia   a  volte  linfocitosi  
secca   o   con   scarso   escreato   mucoide.   Il   reperto  
auscultatorio  è  molto  scarso.  
I  reperti  obiettivi  dipendono  dal  grado  di  consolidamento  polmonare  e  dalla  presenza  o  meno  di  un  essudato  pleurico  
ƐŝŐŶŝĨŝĐĂƚŝǀŽ͘hŶĂƵŵĞŶƚŽĚĞůůĂĨƌĞƋƵĞŶnjĂƌĞƐƉŝƌĂƚŽƌŝĂĞů͛ƵƐŽĚĞŝŵƵƐĐŽůŝƌĞƐƉŝƌĂƚŽƌŝĂĐĐĞƐƐŽƌŝƐŽŶŽƌĞƉĞƌƚŝĐŽŵƵŶŝ͘  
ůů͛auscultazione   si   possono   percepire   rantoli,   crepitii,   soffio   bronchiale   e   sfregamenti   pleurici.   Alla   percussione   si  
ottiene  un  suono  ipofonetico.  Alla  palpazione  si  può  rilevare  un  fremito  vocale  tattile  di  solito  lievemente  aumentato  
(maggiore   conduzione   vibratoria   attraverso   il   liquido   e   pervietà   bronchiale   per   il   consolidamento   polmonare).   Alla  
percussione  si  ha  un  suono  ottuso.  
>͛ĂŶĂŵŶĞƐŝ Ğ ů͛ĞƐĂŵĞ ŽďŝĞƚƚŝǀŽ ƐŽŶŽ ĨŽŶĚĂŵĞŶƚĂůŝ͕ ƚƵƚƚĂǀŝĂ ůĞ ůŽƌŽĐĂƌĂƚƚĞƌŝƐƚŝĐŚĞ diagnostiche   non   sono   elevate:   è  
quindi  spesso  necessaria  una  radiografia  del  torace  per  differenziare  la  CAP  da  altre  malattie.  La  radiografia  consente  
di   differenziare   grossolanamente   polmoniti   alveolari,   generalmente   batteriche,   da   polmoniti   interstiziali,  
generalmente  virali.  In  realtà  la  distinzione  andrebbe  effettuata  tramite  biopsia.  
Le   polmoniti   alveolari   sono   caratterizzate   da   un   addensamento   parenchimale   ad   estensione   lobare   (polmonite  
lobare)   o   diffusa   (broncopolmonite);   corrispondono   generalmente   al  decorso   tipico.   Questa   condizione   deve   essere  
ĚŝƐƚŝŶƚĂ ĚĂůů͛ĂƚĞůĞƚƚĂƐŝĂ Ğ ĚĂů ĐŽůůĂƐƐŽ͗ ŶĞůů͛ĂĚĚĞŶƐĂŵĞŶƚŽ ĚĞlla   polmonite   si   ha   riduzione   della   quantità   di   aria   nel  
ƉŽůŵŽŶĞ͖ŶĞůů͛ĂƚĞůĞƚƚĂƐŝĂƐŝŚĂŽƐƚƌƵnjŝŽŶĞďƌŽŶĐŚŝĂůĞĐŽŶƌŝĚŽƚƚĂƋƵĂŶƚŝƚăĚŝĂƌŝĂ͖ŶĞůĐŽůůĂƐƐŽƐŝƌŝĚƵĐĞůĂĐĂƉĂĐŝƚăĚŝ
espansione  polmonare  a  causa  di  versamento  pleurico  o  pneumotorace.  
37  
 

Le   polmoniti   interstiziali   ƐŽŶŽ ĐĂƌĂƚƚĞƌŝnjnjĂƚĞ ĚĂ ƵŶ͛accentuazione   della   trama   interstiziale   con   opacità   a   vetro  
smerigliato.  Poiché  il  coinvolgimento  alveolare  è  scarso  si  ha  povertà  di  segni  e  sintomi,  con  un  decorso  atipico.  
Il  dosaggio  della  procalcitonina,  la  cui  produzione  è  stimolata  da  alcune  tossine  batteriche,  permette  di  discriminare  le  
infezioni  batteriche  da  quelle  virali.  
Poiché  il  trattamento  diretto  ad  un  patogeno  specifico  non  è  stato  dimostrato  migliore  del  trattamento  empirico,  la  
diagnosi   eziologŝĐĂ ;ĐŽůƚƵƌĂ ĚĞůů͛ĞƐƉĞƚƚŽƌĂƚŽ͕ ƚĞƐƚ ĂŶƚŝŐĞŶŝĐŝ͕ ƐŝĞƌŽůŽŐŝĂͿ ŚĂ ƐĞŶƐŽ ƐŽůŽ ƉĞƌ ƌŝĚƵƌƌĞ ů͛ŝŶƐŽƌŐĞŶnjĂ Ěŝ
resistenze  agli  antibiotici  e  per  raccogliere  dati  epidemiologici.  

Diagnosi  differenziale:  

x pneumopatie  non  infettive  


o edema  polmonare  
o embolia  polmonare  (scintigrafia  di  perfusione)  
o emorragia  alveolare  
o alveolite  allergica  estrinseca  (anamnesi  lavorativa)  
o sarcoidosi  (lavaggio  broncoalveolare,  biopsia  transbronchiale)  
x tubercolosi  polmonare  
x carcinoma  polmonare  (broncoscopia  con  biopsia)  

Gestione  del  paziente  e  terapia  


La   scelta   del   luogo   di   ricovero   (ospedale   o   casa)   si   effettua   in   base   al   punteggio   CURB65:   confusione,   urea,  
respirazione  >30/min,  pressione  arteriosa  <90/60,  65+  anni  di  età.  In  generale  pazienti  in  buone  condizioni  generali,  
senza  altre  malattie  e  non  anziani  non  devono  essere  ricoverati.  

x riposo  a  letto  
x prevenzione  del  tromboembolismo  
x sufficiente  apporto  di  liquidi  (per  contrastare  disidratazione  da  febbre  e  per  mucolisi)  
x antibiotici  
o terapia  empirica  iniziale:  macrolide  (es.  azitromicina)  o  tetraciclina  (es.  doxiciclina)  
ƒ CAP   non   ospedalizzati   senza   FR:   (secondo   Herold   prima   linea   amoxicillina,   seconda  
macrolide  o  doxiciclina)  
ƒ CAP  non  ospedalizzati  con  FR  (Herold:  amoxicillina  e  clavulanico  prima  linea)  
ƒ CAP  ospedalizzati  senza  sospetto  di  P.  aeruginosa:  amoxicillina  e  clavulanico  
ƒ CAP  ospedalizzati  con  sospetto  di  P.  aeruginosa:    
ƒ HCAP  senza  sospetto  di  batterio  multiresistente:  singolo  farmaco  (es.  ceftriaxone)  
ƒ HCAP  con  sospetto  di  batterio  multiresistente:  combinazione  di  tre  farmaci,  due  bersagliati  
a  P.  aeruginosa  e  uno  a  MRSA.  
o quando  si  effettua  la  diagnosi  eziologica  si  passa  alla  terapia  specifica  (se  necessario).  
   
38  
 

x ‡—‘’ƒ–‹‡‹–‡”•–‹œ‹ƒŽ‹  
Le  pneumopatie  interstiziali  (o  infiltrative  diffuse)  sono  un  gruppo  eterogeneo  di  malattie  polmonari  che  interessano  
il   parenchima   polmonare   (alveoli   e   interstizio).   Si   possono   considerare   due   grandi   categorie:   le   pneumopatie  
interstiziali  su  base  infiammatorio-­‐fibrotica  e  quelle  su  base  granulomatosa  (es.  sarcoidosi);  ciascuno  dei  due  gruppi  
include  forme  idiopatiche  e  forme  secondarie  a  una  causa  nota.  

Eziologia  
x 50%  cause  note:  
o infezioni  
o sostanze  tossiche  inalate  (es.  polveri  inerti:  pneumoconiosi;  polveri  organiche:  AAE)  
o farmaci  
o radiazioni  
o malattie  immunologiche  sistemiche  
x 50%  fibrosi  polmonare  idiopatica,  Idiopathic  Interstitial  Pneumonia  (IIP).  Ha  sette  sottotipi.  

Patogenesi  
Il  processo  prevede  una  serie  di  danni  multipli  di  piccola  entità  agli  alveoli;  si  determina  infiammazione   cronica  che  
ƉƌŽŐƌĞĚŝƐĐĞĂůů͛ŝŶƚĞƌƐƚŝnjŝŽ͘>͛ŝŶĨŝĂŵŵĂnjŝŽŶĞŶŽŶğůĂĐĂƌĂƚƚĞƌŝƐƚŝĐĂŝƐƚŽůŽŐŝĐĂƉƌĞŵŝŶĞŶƚĞĚĞůůĂŵĂůĂƚƚŝĂ;ĐŚĞŝŶǀĞĐĞğŝů
focus   fibroblastico)   ma   è   comunque   necessaria   per   lo   sviluppo   della   malattia26͘ /Ŷ ƐĞŐƵŝƚŽ Ăůů͛ŝŶĨŝĂŵŵĂnjŝŽŶĞ Ɛŝ ŚĂ
attivazione   delle   cellule   epiteliali   e   deposito   di   fibrina,   condizioni   che   determinano   migrazione,   proliferazione   e  
ĂƚƚŝǀĂnjŝŽŶĞĚĞŝĨŝďƌŽďůĂƐƚŝ͘^ŝƌŝƚŝĞŶĞĐŚĞŝůƉƵŶƚŽƉĂƚŽŐĞŶĞƚŝĐŽĐŚŝĂǀĞƐŝĂƵŶ͛ĂůƚĞƌĂnjŝŽŶĞĚĞůƉƌŽĐĞƐƐŽĚŝƌŝƉĂƌĂnjŝŽŶĞĚĞů
danno  polmonare  causato  ĚĂƵŶ͛ĂůƚĞƌĂnjŝŽŶĞĚĞůůĂĨƵŶnjŝŽŶĞĨŝďƌŽďůĂƐƚŝĐĂ͖ƋƵĞƐƚŽĚĞƚĞƌŵŝŶĂƵŶĞĐĐĞƐƐŽĚŝĚĞƉŽƐŝnjŝŽŶĞ
di  matrice  extracellulare  che  dà  luogo  alla  fine  alla  fibrosi  polmonare.  

Manifestazioni  
Si  ha  una  dispnea  da  sforzo  progressiva,  tosse  secca;  possono  esserci  febbre  e  artralgie.  Negli  stadi  avanzati  si  arriva  a  
dispnea   a   riposo,   tachipnea,   insufficienza   respiratoria,   cianosi,   dita   a   bacchetta   di   tamburo,   unghie   a   vetrino  
Ě͛ŽƌŽůŽŐŝŽ͕ĐƵŽƌĞƉŽůŵŽŶĂƌĞ͘  
La   fibrosi   polmonare   idiopatica   ha   una   progressione   rapida   e   una   prognosi   negativa   solitamente   entro   3   anni   dalla  
diagnosi.  Spesso  è  complicata  da  infezioni,  ipertensione  polmonare  e  disfunzione  ventricolare.  

Diagnosi  
1A.   Anamnesi.   La   malattia   è   piú   frequente   nelle   persone   oltre   i   50   anni,   negli   uomini   e   nei   fumatori.   Il   sintomo  
principale  è  la  dispnea,  seguita  da  tosse,  febbre  e  artralgie.    
1B.  Esame  obiettivo.  Si  riscontrano  tachipnea,  ippocratismo  digitale  e  rantoli  crepitanti  basali  bilaterali.  
1C.  Esami  ematochimici  di  esclusione.  Il  laboratorio  consente  principalmente  di  escludere  cause  note,  come  patologie  
autoimmuni,  infettive  o  neoplastiche.  
2A.  Esami  di  funzionalità  respiratoria.  Quelli  che  valutano  il  volume  polmonare  consentono  di  individuare  un  deficit  
ventilatorio  restrittivo:  riduzione  della  capacità  polmonare  totale  (TLC)  alla  pletismografia  e  riduzione  contemporanea  
del   FEV1   Ğ ĚĞůůĂ &s ;ƌĂƉƉŽƌƚŽ ƵŐƵĂůĞ Ž ĂƵŵĞŶƚĂƚŽͿ ĂůůĂ ƐƉŝƌŽŵĞƚƌŝĂ͘ >͛ĞŵŽŐĂƐĂŶĂůŝƐŝ ƌŝǀĞůĂ ŝƉŽĐĂƉŶŝĂ ĚĂ
iperventilazione  delle  fasi  iniziali  della  malattia  e  ipercapnia  piú  ipossiemia  da  insufficienza  respiratoria  in  quelle  finali.  
Gli  esami  di  diffusione  individuano  una  riduzione  della  capacità  di  diffusione.  
2B.  Radiografia  del  torace.  Può  evidenziare  opacità  reticolari  soprattutto  alle  basi,  con  riduzione  dei  volumi  dei  lobi  
inferiori.  

                                                                                                                         
26
 secondo  il  Bariffi  no  
39  
 

3A.  Test  da  sforzo.  Il  Six  Minutes  Walking  Test  e  il  test  da  sforzo  cardio-­‐polmonare  permettono  di  valutare  anomalie  
dello  scambio  gassoso  durante  lo  sforzo  fisico.    
3B.   TC   ad   alta   risoluzione.   Permette   di   qualificare  morfologicamente   le   pneumopatie  interstiziali,   orientando   verso  
ů͛ƵŶĂŽů͛ĂůƚƌĂ͘>ĂĨŝďƌŽƐŝƉŽůŵŽŶĂƌĞŝĚŝŽƉĂƚŝĐĂ͕ŝŶƉĂƌƚŝĐŽůĂƌĞ͕ğĐĂƌĂƚƚĞƌŝnjnjĂƚĂĚĂůůĂƉƌĞƐĞŶnjĂĚŝŽƉĂĐŝƚăƌĞƚŝĐŽůĂƌŝĂůůĞ
basi  con  addensamento  del  parenchima  e  zone  di  ƉŽůŵŽŶĞĂĨĂǀŽĚ͛ĂůǀĞĂƌĞ.  La  presenza  di  aree  estese  di  opacità  a  
vetro  smerigliato  deve  indirizzare  verso  le  altre  pneumopatie  interstiziali.  
4A.  Lavaggio  broncoalveolare.  Può  essere  usato  in  casi  di  TC  dubbia  per  escludere  diagnosi  alternative,  come  quella  
infettiva   o   tumorale.   Nella   fibrosi   polmonare   il   lavaggio   rileva   un   aumento   della   quantità   di   neutrofili   e   un   lieve  
aumento  degli  eosinofili.  

4B.   Ecocardiografia   doppler.   Consente   di   individuare   ipertensione   polmonare   (segno   di   pneumopatia   avanzata)  
stimando  la  pressione  arteriosa  polmonare  sistolica.  
5.  Biopsia  polmonare.  È  il  metodo  piú  ĞĨĨŝĐĂĐĞƉĞƌĐŽŶĨĞƌŵĂƌĞůĂĚŝĂŐŶŽƐŝ͘ƐŝƐƚŽŶŽĚŝǀĞƌƐŝĂƉƉƌŽĐĐŝƉĞƌů͛ŽƚƚĞŶŝŵĞŶƚŽ
del  campione  bioptico.  La  biopsia  a  polmone  aperto  conduce  a  diagnosi  nella  quasi  totalità  dei  casi  perché  consente  di  
ŽƚƚĞŶĞƌĞ ƵŶ ĐĂŵƉŝŽŶĞ ŐƌĂŶĚĞ͖ Ě͛Ăůƚra   parte   presenta  complicanze   piuttosto   frequentemente.   La   biopsia   polmonare  
transbronchiale   non   è   utile   per   la   fibrosi   polmonare   idiopatica   mentre   lo   può   essere   per   altre   patologie   come   la  
sarcoidosi.   La   toracoscopia   videoassistita   viene   eseguita   in   anestesia   generale   ed   è   paragonabile   alla   biopsia   a  
ƉŽůŵŽŶĞĂƉĞƌƚŽ͘>ĞĐĂƌĂƚƚĞƌŝƐƚŝĐŚĞŝƐƚŽůŽŐŝĐŚĞĚĞůůĂŵĂůĂƚƚŝĂƐŽŶŽůĂĚŝƐƚƌƵnjŝŽŶĞĚĞůů͛ĂƌĐŚŝƚĞƚƚƵƌĂƉŽůŵŽŶĂƌĞ͕ĐŽŶĨŽĐŝ
fibroblastici  e  aree  infiammatorie.  
Si  effettua  diagnosi  di  fibrosi  polmonare  idiopatica  in  presenza  di  una  biopsia  polmonare  positiva  o  con  la  positività  di  
tutti  i  criteri  maggiori  e  di  tre  dei  quattro  criteri  minori.  

Criteri  maggiori  (tutti)   Criteri  minori  (almeno  3)  


Deficit  ventilatorio  restrittivo   >  50  anni  
TC  ad  alta  risoluzione  positiva  (disegno  basale  reticolare  bilaterale)   >  3  mesi  di  durata  della  malattia  
Esclusione  di  cause  primarie   Dispnea  ingravescente  
Esclusione  di  diagnosi  alternativa  al  lavaggio  bronco-­‐alveolare   Rantoli  crepitanti  in  entrambe  le  basi  polmonari  

Terapia  
Per  le  forme  a  eziologia  nota  si  fa  terapia  eziologica,  se  esiste  (es.  antibiotici).  
Per   la   fibrosi   polmonare   idiopatica   le   attuali   opzioni   terapeutiche   classiche   si   basano   sulla   teoria   infiammatoria   e  
includono   corticosteroidi   e   immunomodulanti;   di   questi   ĨĂƌŵĂĐŝ ƚƵƚƚĂǀŝĂ ŶŽŶ ğ ƐƚĂƚĂ ĚŝŵŽƐƚƌĂƚĂ ƵŶ͛ĞĨĨŝĐĂĐŝĂ
terapeutica.  
>Ğ ƚĞƌĂƉŝĞ ŝŶŶŽǀĂƚŝǀĞ Ɛŝ ďĂƐĂŶŽ ƐƵůůĂ ĐĞŶƚƌĂůŝƚă ƉĂƚŽŐĞŶĞƚŝĐĂ ĚĞůů͛ĂůƚĞƌĂnjŝŽŶĞ ĚĞůůĂ ƌŝƉĂƌĂnjŝŽŶĞ͘ /ů pirfenidone   è   un  
ĂŐĞŶƚĞĂŶƚŝĨŝďƌŽƚŝĐŽ͖ů͛N-­‐acetilcisteina  è  un  antiossidante  e  mucolitico  efficace  in  combinazione  con  la  terapia  classica;  
il  bosentan  ğƵŶĂŶƚĂŐŽŶŝƐƚĂĚĞůů͛ĞŶĚŽƚĞůŝŶĂϭĐŚĞĂŐŝƐĐĞƌŝĚƵĐĞŶĚŽůĂƐŝŶƚĞƐŝĚŝĐŽůůĂŐĞŶĞ͖ů͛/ŶƚĞƌĨĞƌŽŶĞɶantagonizza  
gli  effetti  profibrotici  del  TGF  sui  fibroblasti.  
Se  è  presente  insufficienza  ƌĞƐƉŝƌĂƚŽƌŝĂƐŽŶŽŝŶĚŝĐĂƚĞů͛ŽƐƐŝŐĞŶŽƚĞƌĂƉŝĂĞůĂǀĞŶƚŝůĂnjŝŽŶĞĂƐƐŝƐƚŝƚĂ͘  

In  ultima  linea  si  valuta  il  trapianto  di  polmone.  


   
I Gazzellini

- Interna -
- Nefro -

A. Fusco
INDICE

Malattia renale cronica

Danno renale acuto

Calcio

Cenni di Emodialisi
(da Wikipedia)
Dalla dispensa di A.Mazzella

Glomerulonefriti 74
Alterazioni idro-saline e acido -base 78
Acqua e sali 78
Sodio 79
Potassio 81
Equilibrio acido/base 84
Malattia renale cronica (chronic kid- Gli stadi G3 e G4 identificano la CKD, mentre lo stadio
G5 identifica l’IRC (che fa parte dello spettro della CKD).
ney disease, CKD) Nella stadiazione dell’IRC rientrano anche gli stadi G1 e
G2, in quanto vi può essere evidenza di danno renale an-
Definizione che in assenza di riduzione del GFR (es. nella nefropatia
La CKD viene definita dalla persistenza di danno renale o diabetica spesso il primo segno e l’albumnuria aumentata,
alterazione della funzione renale per più di 3 mesi. e in fase iniziale il GFR è normale o addirittura aumenta-
Criteri per la definizione di CKD to, e solo dopo diminuisce).
a. GFR < 60 ml/min/1,73m2 Lo stadio G2, pur non rappresentando CKD, identifica
(Misurato con equazioni o clearance della creatinina) comunque una condizione di rischio maggiore rispetto
b. Evidenza di danno renale alla condizione G1.
(vedi doc sulla valutazione del rene) NOTA: in un paziente con CKD, il GFR può normalizzar-
Il limite di 3 mesi è arbitrario, ma è necessario per distin- si in seguito a trattamento. In questi pazienti, si parla di
guere la CKD dall’AKI. In genere l’inizio del danno può CKD trattata, così come si parla di ipertensione trattata o
essere desunto dall’anamnesi e dal quadro clinico. In caso di DM trattato. In pratica il paziente non è guarito, ma è
di dubbio tra CKD e AKI, la valutazione va ripetuta dopo semplicemente sotto trattamento.
un tempo adeguato in modo da documentare la persisten-
za dell’alterazione o del danno renale per più di 3 mesi. Epidemiologia
La malattia renale cronica si estrinseca soprattutto negli
Stadiazione anziani e, in considerazione della migliorata accuratezza
Il rischio di morte per tutte le cause, e soprattutto per cau- diagnostica, e dell’invecchiamento generale della popola-
se cardiovascolari, aumenta in maniera proporzionale zione, la sua incidenza è aumentata negli ultimi anni, così
all’aggravarsi della CKD. Appare pertanto logico stadiare come quella di ESRD (malattia renale terminale).
la malattia, in quanto ciò ha importanti implicazioni pro-
gnostiche e terapeutiche. Eziopatogenesi
La stadiazione della CKD deve essere fatta in base ai se- La maggior parte delle cause di CKD sono irreversibili.
guenti parametri: Tuttavia, cronico non vuol dire necessariamente irrever-
a. Eziologia sibile, e pertanto in alcuni casi la malattia renale cronica è
b. Categoria di GFR totalmente reversibile, con o senza trattamento (es. terapia
c. Categoria di albuminuria immunosoppressiva per le glomeurlonefriti).
Per quanto riguarda l’eziologia, questa può influenzare Le cause di CKD sono le stesse dell’AKI, ma ciò che va-
pesantemente prognosi e trattamento del paziente. Occor- ria è semplicemente la durata.
re infatti tenere presente che la CKD è una condizione A queste se ne aggiungono alcune altre non in grado, da
clinica, e non deve essere trattata come una malattia, ma sole, di provocare danno renale acuto e IRA:
come la sua manifestazione. È quindi SEMPRE necessa- a. Malattie o alterazioni renali congenite o eredita-
rio identificare e trattare la malattia sottostante. rie (es. rene policistico, ridotta massa renale alla
Per quanto riguarda le categorie di GFR, sono i seguenti: nascita)
G1 – Normale o alto >90 b. Reflusso vescico-ureterale
G2 – Leggermente dimi- 60-89
nuito Anatomia patologica
G3a – Da leggermente a 45-59 L’aspetto anatomo-patologico del rene con CKD varia a
moderatamente diminuito seconda della causa sottostante. In ogni caso, indipenden-
G3b – Da moderatamente 30-44 temente dalla causa, potranno essere evidenti, in fase ini-
a gravemente diminuito ziale, le alterazioni dovute ai meccanismi di adattamento
G4 – Gravemente dimi- 15-29 in seguito alla perdita graduale di nefroni funzionanti
nuuto (rappresentate dall’ipertrofia compensatoria dei nefroni
G5 – Insufficienza renale <15
rimanenti) e, in fase tardiva, la progressiva involuzione
ESRD – end stage renal Alterazione della funzio-
del parenchima renale, che va incontro ad atrofia e fibrosi,
disease o malattia renale ne renale irreversibile e di
terminale gravità tale da essere fata- con i reni che si fanno di piccole dimensioni (ciò avviene
le in assenza di dialisi o perché l’ipertrofia dei nefroni ne altera la funzione, de-
trapianto renale terminando per esempio ipertensione glomerulare per so-
Alternativamente, stenere l’iperfiltrazione, cosa che alla lunga determina
l’ESRD viene fatta coin- danno glomerulare e tubulare e perdita di ulteriori nefroni
cidere da alcuni con le con successiva atrofia).
manifestazioni cliniche
dell’uremia. Fisiopatologia e clinica
Nella CKD vi è una progressiva perdita delle funzioni re- sio, che può derivare da: 1) acidosi metabolica; 2) carichi
nali, che ricordiamo essere: esogeni, come eccessi di frutta, di succhi di frutta, di ver-
dure crude, e sostituti del sale da cucina contenenti potas-
Funzioni renali sio; 3) condizioni ipercataboliche, come infezioni, traumi,
Escretoria febbre elevata, terapia cortisonica; 4) farmaci che interfe-
1. Urea riscono con l’omeostasi del potassio, quali beta-bloccanti,
2. Acido urico diuretici risparmiatori di potassio, ACEi, ARB, antagoni-
3. Ammoniaca sti dell’aldosterone; 5) costipazione; 6) ipoaldosteroni-
4. Creatinina smo.
5. Tossine e pigmenti (urocromogeni) Nel complesso, qiundi, i pazienti con CKD sono proni
6. Farmaci e altre sostanze
all’iperkaliemia.
Omeostatica
Calcio e fosforo
1. Acqua
2. Sodio Il calcio viene in genere riassorbito dai reni in gran parte,
3. Potassio mentre il fosforo viene per lo più escreto. Con la riduzio-
4. Calcio ne della funzionalità renale tende a verificarsi un incre-
5. Fosforo mento della fosforemia, così che il fosforo tende a legarsi
6. Magnesio al calcio e a depositarsi maggiormente nelle ossa. Il risul-
7. Equilibrio acido-base tato è l’ipocalcemia, che stimola le paratiroidi a produrre
8. Pressione arteriosa il PTH, che determina riassorbimento di calcio e fosforo
Ormonale dalle ossa, riassorbimento di calcio dal rene ed escrezione
1. Produzione EPO di fosfato con le urine. Il PTH determina infine attivazio-
2. Attivazione Vit. D ne della vitD, che aumenta l’assorbimento intestinale e
3. Catabolismo insulina renale sia di calcio che di fosforo, riportando la situazione
Le prime funzioni ad alterarsi in seguito ad un declino
alla normalità. Si raggiunge quindi un nuovo equilibrio,
della funzionalità renale sono quelle omeostatiche, in
ma per valori di PTH più alti. Con l’ulteriore riduzione
quanto per quella escretoria, la riduzione del GFR viene
della funzione renale, l’equilibrio si sposta ancora più in
compensata inizialmente da un aumento della secrezione
alto, e l’iperparatiroidismo si aggrava progressivamente.
tubulare o dell’eliminazione attraverso altre vie. Le ultime
Il paziente con CKD è quindi prono all’ipocalcemia e
funzioni ad alterarsi sono poi quelle ormonali.
all’iperfosforemia, a cui contribuisce in fase tardiva anche
Acqua
la ridotta attivazione della vitamina D.
La diuresi non si riduce nella CKD. Anzi si mantiene, an-
Le alterazioni del metabolismo calcio-fosforo portano poi
che nelle fasi avanzate, attorno ai 2 litri al giorno.Ciò che
all’osteodistrofia renale, caratterizzata dal combinarsi di
invece si verifica è che diminuisce la capacità del rene di
osteite fibrosa, osteosclerosi, osteomalacia e, raramente,
rispondere a carichi idrici oppure di concentrare le urine
osteoporosi. L’osteodistrofia renale è comunque
per ritenere acqua. Nel complesso quindi il paziente è più
un’alterazione molto tardiva.
suscettibile al sovraccarico o alla perdita di volume, e le
Equilibrio acido-base
urine emesse hanno la stessa osmolarità del plasma (1010,
Viene compromessa la capacità del rene di rigenerare bi-
isostenuria), e sono “chiare come l’acqua”.
carbonato, e il paziente diviene prono all’acidosi metabo-
Sodio
lica.
Così come per l’acqua, anche l’escrezione di sodio tende
Produzione di EPO
a mantenersi normale, e diminuisce la capacità del pazien-
Viene meno con l’aggravarsi della funzione renale, ed è il
te di rispondere a carichi esterni di sodio (va incontro a
fattore principale nella patogenesi dell’anemia di questi
ipervolemia e ipertensione).
pazienti (normocromica normocitica). Gli altri fattori so-
Alcuni pazienti invece sono selettivamente affetti da una
no rappresentati da una ridotta risposta dal midollo osseo
“nefropatia con perdita di sale”, per cui perdono molto
all’EPO e da una ridotta vita dei GR, entrambi dovuti alle
sodio con le urine e necessitano di reintegrarlo.
tossine uremiche che si accumulano. In questi pazienti vi
Pressione arteriosa
è anemia normocromica normocitica, con IR basso e mi-
CKD e ipertensione arteriosa sono invariabilmente asso-
dollo non iperplastico (come invece dovrebbe essere in
ciate, anche se spesso non si capisce, nel singolo paziente,
risposta all’anemia).
quale sia venuta prima. Nel paziente con CKD,
Catabolismo insulina
l’ipertensione arteriosa deriva soprattutto dalle alterazioni
L’insulina nei pazienti con CKD resta in circolo più tem-
del volume plasmatico dovute alla disfunzione renale, le-
po, e li rende più suscettibili all’ipoglicemia. Tale perico-
gate soprattutto alla ritenzione di sodio.
lo è elevato nei pazienti sotto terapia insulinica, che devo-
Potassio
no aggiustare le dosi adeguatamente.
Il potassio viene normalmente escreto più che riassorbito
Accumulo farmaci e altre sostanze
dal rene. Così come per acqua e sodio, ne aumenta
l’escrezione attiva (e viene riassorbito sodio), ma dimi-
nuisce la capacità di far fronte a un incremento del potas-
I soggetti con CKD vanno più facilmente incontro ad in- E lo screening andrebbe fatto sia misurando il GFR che
tossicazioni da farmaci, per cui il dosaggio deve essere ricercando l’albuminuria.
aggiustato tenendo conto del GFR.
Accumulo di urea, acido urico, tossine e pigmenti Valutazione del paziente
L’accumulo di questi composti tossici determina una va- Il paziente deve essere valutato in maniera accurata e
rietà di conseguenze a vari livelli: completa (anamnesi, EO, esami di laboratorio e strumen-
1. Anemia (vedi sopra) tali appropriati) in maniera da individuare i fattori pro-
2. Resistenza all’insulina: oltre ad andare soggetti gnostici e stabilire il trattamento più appropriato.
ad ipoglicemia, i pazienti con CKD presentano I fattori prognostici sono i seguenti: 1) stadiazione
alterata tolleranza al glucosio e DM dell’IRC (eziologia, GFR, albuminuria); 2) comorbidità.
3. Alterazioni mentali: confusione, allucinazioni,
torpore, coma Trattamento
4. Alterazioni nervose periferiche: crampi, tic ner- I cardini del trattamento della CKD sono: 1) trattare
vosi, singhiozzo, sensazione di freddo, impoten- (quando possibile) la malattia di base; 2) correggere le
za, parestesie, ipostenia degli arti inferiori (neu- alterazioni derivanti dalla CKD; 3) terapia nutrizionale
ropatia uremica) Correzione delle alterazioni derivanti dalla CKD
5. Altri sintomi nervosi: cefalea, nausea, vomito, Ciascuna alterazione va corretta singolarmente. Per alcu-
anoressia ne il trattamento è differente da quello classico:
6. Alterazione della coagulazione: tali composti in- Ipertensione arteriosa
terferiscono con i fattori della coagulazione de- Va trattata nel modo classico. I farmaci da utilizzare di
terminando diatesi emorragica preferenza sono ACEi e ARB e i target terapeutici sono:
7. Iperammoniemia ed iperuricemia: possono ag- • <140/90 se albuminuria è A1
gravare il quadro rispettivamente dei pazienti • <130/80 se albuminuria è A2 o maggiore
con malattia epatica e di quelli con artrite gottosa Il sodio deve essere ristretto a <2g al giorno!
8. Discromie: gli urocromogeni si accumulano a li- Anemia
vello cutaneo, dando alla cute un colorito “giallo Va trattata con l’EPO ricombinante.
sporco”, e divengono più scuri dopo esposizione Alterato metabolismo calcio-fosforo
al sole. Va trattato con chelanti intestinali del fosforo (sali di cal-
9. Pericardite uremica: è un’alterazione rara e tar- cio, sevelamer, lantanio carbonato, idrossido di allumi-
diva. nio).
NOTA: nonostante tutte queste alterazioni, occorre tenere L’idrossido di alluminio va utilizzato solo per poco tem-
presente che la maggior parte dei pazienti, anche in fase po.
avanzata, sono del tutto asintomatici, e anzi si sentono Nel trattamento dell’iperparatiroidismo secondario, il car-
bene! dine è rappresentato dall’utilizzo di VitD e suoi analoghi,
NOTA2: nella CKD si verificano anche alterazioni del che incrementano la calcemia (PTH target: 150-
metabolismo lipidico (!VLDL e IDL, "HDL) probabil- 300pg/ml).
mente a causa della perdita di apolipoproteine con le uri- Terapia nutrizionale
ne. I pazienti con CKD devono rispettare il più possibile una
dieta sana, evitando gli eccessi di frutta e verdura, e devo-
Diagnosi e screening no attuare restrizione di sale e proteine. In particolare
I criteri diagnostici sono quelli della definizione e stadia- queste ultime devono essere ridotte del 25-30%, e la quota
zione di CKD. introdotta deve essere ad elevato valore biologico.
La malattia renale cronica andrebbe ricercata in tutti i pa-
zienti con fattori di rischio per CKD, quali: Nel complesso, infine, vanno trattate tutte le comorbidità
1. Età >50 anni del paziente, compresa l’obesità e la sindrome metabolica,
2. DM che si associano, da sole, ad albuminuria (= danno renale)
3. Ipertensione arteriosa per ragioni ancora da chiarire.
4. Malattia cardiovascolare
5. Iperlipidemia
6. Obesità
7. Sindrome metabolica
8. Fumo
9. HIV
10. HCV
11. Tumore maligno
12. Storia familiare di CKD
13. Terapia con farmaci potenzialmente nefrotossici
Danno renale acuto (acute kidney in-
Epidemiologia
jury or impairment, AKI) È difficile stimare la prevalenza dell’AKI, in quanto, non
corrispondendo necessariamente all’IRA vera e propria,
Il concetto di danno renale acuto ha largamente sostituito, molti casi possono passare inosservati.
negli ultimi tempi, quello di insufficienza renale acuta (I- La maggior parte dei casi si presentano nelle seguenti si-
RA), per indicare un improvviso declino nella funzionali- tuazioni:
tà renale. 1. Anziani: in quanto hanno una fisiologica ridu-
Il concetto di AKI comprende infatti quello di IRA, ma zione del GFR e sono spesso sottoposti a poli-
non si limita ad essa. farmacoterapia, e inoltre hanno comorbidità im-
portanti
Definizione di AKI 2. Pazienti in UTI: che spesso sono colpiti da sepsi
L’AKI è una riduzione improvvisa della funzionalità re- e quadri di MOF
nale, definita da: 3. Interventi chirurgici: soprattutto gli interventi di
1. !SCr >= 0,3 mg/dL in 48h cardiochirurgia e di chirurgia vascolare sull’aorta
2. !SCr 1,5 volte il valore basale nell’arco di 7gg addominale.
3. Volume urinario <0,5ml/Kg/h per 6 ore
4. "GFR >25% nell’arco di 7gg Eziopatogenesi
La presenza di anche solo uno di questi elementi definisce Dato che l’AKI è una sindrome clinica caratterizzata da
il danno renale acuto. una ridotta funzionalità renale, ne consegue che tale situa-
zione può verificarsi sia in assenza che in presenza di
Stadiazione dell’AKI danno renale.
Più viene compromessa la funzione renale, più peggiora Su tale base le cause di AKI sono classicamente distinte
la prognosi del paziente, in maniera continua. Data in:
l’importanza prognostica di questo dato, appare quindi 1. Prerenali
utile stadiare l’AKI. 2. Renali
La stadiazione dell’AKI viene fatta secondo il sistema 3. Postrenali
RIFLE, che sta per: Nel primo caso non si ha, almeno all’inizio, danno orga-
Gli indicatori che corrispondono agli stadi elencati sono i nico renale.
seguenti: Cause di AKI
Stadiazione dell’AKI Pre-renali
R = risk ! rischio di danno renale Vi è una riduzione improvvisa della perfusione renale.
1. !SCr >= 0,3 mg/dL in 48h Riduzione del volume extracellulare
2. !SCr 1,5 volte il valore basale nell’arco di 1. Emorragia
7gg 2. Perdite GI: vomito, diarrea
3. Volume urinario <0,5ml/Kg/h per 6 ore 3. Perdite renali: diuretici, iperglicemia, DI
4. "GFR >25% nell’arco di 7gg 4. Perdite cutanee: ustioni, ipertermia
I = injury ! danno renale 5. Aumento terzo spazio: ascite, ipoalmumine-
1. !SCr tra 2 e 3 volte il valore basale nell’arco mia
di 7gg Riduzione della gittata cardiaca
2. Volume urinario <0,5ml/Kg/h per 12 ore 1. Disfunzione sistolica VS
3. "GFR >50% nell’arco di 7gg 2. Malattie valvolari
F = failure ! insufficienza renale 3. Pericardite costrittiva e tamponamento cardia-
1. !SCr > 3 volte il valore basale nell’arco di co
7gg 4. Embolia polmonare
2. SCr >= 4mg/dL (con un incremento acuto di Vasodilatazione sistemica
almeno 0,5mg/dL) Sepsi, anafilassi
3. Anuria per 12h Vasocostrizione renale selettiva
4. Volume urinario <0,3ml/Kg/h per 24 ore 1. Farmaci: adrenalina, NE, ciclosporina
5. "GFR >75% nell’arco di 7gg 2. Sindrome epato-renale
6. Necessità di dialisi Farmaci che riducono la capacità di autoregolazione
L = loss of function ! perdita completa di funzione renale in situazioni di ipoperfusione
renale 1. FANS
Stadio III (F) per >4 settimane 2. ACEi
E = end stage renal disease ! danno irreversibile e 3. ARB
tanto grave da rendere necessaria la terapia sostitutiva Renali
(dialisi) per più di 3 mesi Vi è danno renale diretto
NOTA: se il paziente presenta parametri appartenenti a 2 Da NTA (necrosi tubulare acuta)
stadi differenti, si sceglie sempre lo stadio più grave. 1. Ischemica (evoluzione della forma pre-renale)
2. Da nefrotossine: aminoglicosidi, mezzi di sottostante oppure dalle manifestazioni dell’insufficienza
contrasto, mioglobina, cisplatino, catene leg- renale, e il paziente può essere o meno oligo/anurico e
gere. presentare urine e parametri di laboratorio con caratteri
Da nefrite interstiziale differenti a seconda della causa dell’AKI.
1. Da farmaci (potenzialmente tutti): vi è una re-
azione allergica al farmaco con infiltrato in- Approccio al paziente
terstiziale di granulociti eosinofili e cellule T Una volta diagnosticata l’AKI (vedi definizione) si deve
2. Infettiva: batterica (maggioranza dei casi), vi- procedere allo stesso tempo all’inquadramento della causa
rale (CMV)
e alla valutazione del paziente per la necessità di
Da danno glomerulare
un’eventuale correzione di complicanze dell’AKI (es. il
Glomerulonefriti:
fatto che un paziente mostri segni di sovraccarico di vo-
1. Da Ig anti MBG: Sdr. di Goodpasture, malat-
tia anti-GBM lume a livello polmonare ci dà indicazioni sia sulla possi-
2. Da ANCA: Granulomatosi di Wegener, PAN, bile eziologia che sulla terapia da effettuare).
GN a semilune Pertanto, di fronte a un paziente con AKI da causa scono-
3. Da attivazione del complemento (immuno- sciuta vanno effettuati:
complessi): GN prolifertiva idiopatica, GN a 1. Anamnesi
semilune, GN membranoproliferativa, GN 2. Valutazione dello stato di volume (per vedere se
post-infettiva, Nefrite lupica, Crioglobuline- c’è AKI pre-renale)
mia, Endocardite batterica, Nefropatia da IgA
Danno microvascolare
HTA maligna, SUE/PTT, crisi sclerodermica, gestosi
Da danno dei grossi vasi
1. Arterie: trombosi dell’arteria renale, embolia
2. Vene: trombosi delle vene renali
Post-renali
Vi è ostruzione al flusso urinario, stasi della preurina a
monte, e conseguente cessazione della filtrazione e
danno tubulare tossico e ischemico
Ostruzione intrinseca
1. Calcoli
2. Neoplasie
3. Coaguli
4. Necrosi papillare
5. Stenosi uretrale
Ostruzione estrinseca
1. Neoplasie retroperitoneali
2. Aderenze
3. Ipertrofia o neoplasia prostatica
Vescica neurogena
3. Emocromo, dosaggio anticorpi anti-MBG, AN-
Fisiopatologia CA, C3, esame delle urine (per AKI renale)
Con l’aggravamento dell’AKI vengono progressivamente 4. Ecografia renale (per AKI post-renale)
meno le funzioni renali, per cui il paziente va incontro a: 5. Valutazione dello stato di volume + dosaggio di
sovraccarico di volume (ipertensione arteriosa, precipita- urea, acido urico ed elettroliti (per valutare le
zione di un’insufficienza cardiaca ed edema polmonare, complicanze dell’AKI)
edemi periferici), disionemie (iperkalemia, ipocalcemia,
iperfosfatemia), alterazioni acido-base (acidosi metaboli- Terapia
ca), ritenzione di tossine (urea, acido urico, creatinina, La terapia deve prevedere 1) correzione immediata delle
altre tossine uremiche). complicanze dell’AKI; 2) terapia eziologica.
La presenza di queste alterazioni ci dà poi delle manife- Entrambi gli aspetti sono trattati singolarmente altrove.
stazioni caratteristiche, quali quelle del sovraccarico di
volume appena descritte, e progressive alterazioni dello
stato mentale.

Clinica
La presentazione clinica del paziente è altamente variabi-
le, e molti casi di AKI possono manifestarsi semplice-
mente come alterazioni dei parametri di laboratorio. In
altri casi, il quadro può essere dominato dalla condizione
Fisiologia del calcio
Ipercalcemia
Il calcio è il minerale più largamente rappresentato
nell'organismo umano: nell'adulto è contenuto nella misu- Definizione
ra di 1200 g circa, il 99% del quale nello scheletro e nei L’ipercalcemia è definita da un aumento oltre i limiti del-
denti. Il rimanente 1% è ripartito tra tessuti molli e liquidi la norma del calcio plasmatico, o della frazione di calcio
extracellulari; in questi ultimi la quota ionizzata (45% cir- ionizzato.
ca) rappresenta la quota funzionalmente attiva. Eziopatogenesi
Nelle ossa il calcio svolge un ruolo strutturale come com- Le cause dell’ipercalcemia sono elencate in tabella.
ponente dell’idrossiapatite e costituisce una riserva per il Cause di ipercalcemia
mantenimento della concentrazione plasmatica, che varia Eccesso di PTH
tra 2,2-2,6 mmol/l (9-10,5 mg/dl) Nell'ambito extra ed 1. Iperparatiroidismo primitivo (adenoma o K
intracellulare il calcioione è richiesto per lo svolgimento paratiroideo)
di funzioni altamente specializzate (attivazioni enzimati- 2. Terapia con litio (stimola il recettore per il Ca
che, trasmissione dell'impulso nervoso, contrazione mu- sulle paratiroidi)
scolare, permeabilità delle membrane, moltiplicazione e 3. Ipercalcemia ipocalciurica familiare (disor-
differenziazione cellulare). dine AD caratterizzato da eccessiva secrezio-
ne di PTH)
Bilancio del calcio
4. Malattia di Jansen (come sopra, ma è la ri-
L'assorbimento del calcio è pari al 35% della quota ingeri- sposta dei tessuti che è eccessiva)
ta, e avviene sia a livello del piccolo che del grosso inte- 5. Produzione di PTHrP (K squamocellulari,
stino. specialmente del polmone)
La fonte alimentare principale di calcio è rappresentata Eccesso di vitD
dal latte e dai suoi derivati (67% del fabbisogno giornalie- 1. Intossicazione da vit. D
ro), mentre il resto del fabbisogno è fornito da verdure 2. Malattie granulomatose (es. sarcoidosi)
(12%), cereali (8%), carni e pesce (6%). E' difficile stima- 3. Sdr. di Williams
re quanto pesi l'assunzione di Ca++ tramite l'acqua pota- Aumento del riassorbimento osseo
bile, perché la sua concentrazione può variare molto. 1. Metastasi osteolitiche
Il calcio viene giornalmente perso attraverso la desqua- 2. Ipertiroidismo
mazione, le urine, le feci e il sudore, e deve quindi essere 3. Immobilizzazione
continuamente reintegrato. 4. Diuretici tiazidici
Regolazione della calcemia 5. Intossicazione da vit.A
La calcemia è regolata dagli ormoni calcio-regolatori: pa- Insufficienza renale
1. Iperparatiroidismo secondario
ratormone, calcitriolo (1,25 OH-colecalciferolo) e calci-
2. Intossicazione da alluminio
tonina.
3. Sindrome latte-alcali
Il paratormone (PTH) è secreto dalle ghiandole paratiroi-
L’iperparatiroidismo primitivo si manifesta nell’80%
di, ed è un ormone ipercalcemizzante. Determina osteolisi
dei casi come adenoma solitario, e nel restante 20% come
(riassorbimento di Ca e P dall’osso) e aumento del rias-
carcinoma o come adenoma nell’ambito di una MEN (1,
sorbimento renale di Ca++, mentre aumenta l’escrezione
2a o 2b). In genere l’adenoma di per sé è asintomatico,
renale di P. L’assorbimento renale PTH-mediato si verifi-
ma l’eccesso di PTH determina ipercalcemia, nefrolitiasi
ca nel tratto spesso dell’ansa di Henle, per via paracellula-
ricorrente, ulcera peptica, aumento del riassorbimento os-
re e transcellulare, mentre quello PTH-indipendente si era
seo e alterazioni comportamentali.
già verificato nel TCP grazie al sodio.
L’intossicazione da vit. D è rara, e per instaurarla sono
Il calcitriolo è la forma attiva della vitamina D. La vita-
necessarie somministrazioni di vit. D pari a 50-100 volte
mina D può venire in parte ingerita (grasso crudo del pe-
la dose abituale, per molto tempo.
sce) e in parte prodotta dalla pelle grazie all’esposizione
Nelle malattie granulomatose i macrofagi dei granulomi
ai raggi UV. Per esplicare a pieno la sua azione deve però
esprimono la 1-idrossilasi, attivando costitutivamente
essere attivata (1-idrossilata) a livello renale, e tale rea-
l’ormone.
zione è fortemente stimolata dal PTH. La vitD determina
L’intossicazione da alluminio si verifica nei pazienti in
aumento dell’assorbimento intestinale e renale di calcio E
dialisi, e compromette la deposizione di calcio nell’osso,
fosfato.
così come l’attività osteoblastica.
La calcitonina è l’unico ormone ipocalcemizzante. Agisce
La sindrome latte-alcali è una sindrome caratterizzata da
su specifici recettori sugli osteoclasti, riducendo il rias-
ipercalcemia, alcalosi e insufficienza renale, dovuta ad
sorbimento osseo. Il suo ruolo fisiologico è marginale,
eccessiva ingestione di calcio e antiacidi assorbibili, come
mentre è più importante negli stati patologici.
il CaCO. L’assorbimento di calcio determina perdita rena-
le di sodio e riassorbimento di bicarbonato. Quest’ultimo
incremena il riassorbimento renale di Ca, aggravando il 3. Fosfato EV: è rapidamente efficace, ma può es-
quadro clinico. sere fatale, quindi è riservato solo ai pazienti con
Fisiopatologia e clinica ipercalcemia grave che ha indotto grave IC o IR.
Le manifestazioni cliniche dell’ipercalcemia sono le se- Tra le terapie basate sul meccanismo patogenetico abbia-
guenti: mo:
1. Disturbi neuropsichiatrici: ansia, depressione, 1. Farmaci che riducono il riassorbimento osseo:
deterioramento cognitivo. Se l’ipercalcemia è bisfosfonati, mitramicina, salcatonina (calcitoni-
grave compaiono letargia, confusione, stupore, na di salmone), gallio nitrato.
coma. 2. Farmaci attivi nelle malattie granulomatose:
2. Disturbi gastrointestinali: stipsi, anoressia e corticosteroidi
nausea. Raramente pancreatite acuta e ulcera
peptica. La stipsi è probabilmente dovuta alla Focus on – terapia dell’iperparatiroidismo primitivo
diminuzione del tono della muscolatura liscia in- La domanda principale è se sussista o meno l’indicazione
testinale, o a turbe del SNA. La pancreatite acuta chirurgica, che in genere è data da un’ipercalcemia grave
è forse dovuta a deposizione di calcio nei dotti (>4,5mmol/L), evenienza rara in questo disturbo.
pancreatici, o ad attivazione calcio-indotta degli La malattia può anche essere controllata farmacologica-
enzimi pancreatici. Infine, l’ulcera peptica è pro- mente, con bisfosfonati e calcimimetici (farmaci che sti-
babilmente indotta dall’aumentato rilascio di ga- molano il recettore per il calcio nelle paratiroidi, inibendo
strina calcio-indotto. la secrezione del PTH).
3. Disturbi renali: poliuria, nefrolitiasi, IRA, IRC.
La poliuria deriva da DI nefrogenico calcio-
indotto, l’IRA può derivare da vasocostrizione Ipocalcemia
renale e deplezione di volume acuta, e si instaura
solo per valori di calcemia molto elevati. L’IRC Definizione
è dovuta a danno cronico alle cellule tubulari L’ipocalcemia è definita da una quantità di calcio plasma-
calcio-indotto. tico <2,2mmol/L o da una diminuzione del iCa.
4. Disturbi cardiovascolari: l’ipercalcemia deter- Eziopatogenesi
mina accorciamento del QT, e aumento del ri- Le cause di ipocalcemia sono presentate in tabella.
schio ti tachiaritmie sopraventricolari. Inoltre Cause di ipocalcemia
l’ipercalcemia cronica determina deposizione di PTH ridotto o assente
calcio nel cuore e nelle pareti vascolari. 1. Ipoparatiroidismo ereditario
5. Muscoli: c’è grave astenia 2. Ipoparatiroidismo acquisito: rimozione chi-
Approccio diagnostico rurgica delle paratiroidi, ipomagnesemia, au-
Se si determina il calcio totale, bisogna stare attenti, per- toimmune.
ché può essere aumentato in assenza di aumento del iCa, Inefficacia del PTH (PTH elevato)
per svariati motivi (pseudoipercalcemia). 1. IRC
Allo stesso modo, un’ipoalbuminemia grave determinerà 2. Pseudo-ipoparatiroidismo
un aumento del iCa pur in presenza di valori di calcio to- 3. Richiesta eccessiva di PTH (es. dopo perdita
tale normali. ingente di calcio)
Alla valutazione clinica in genere abbiamo pochi elementi Alterazioni della vit. D (PTH elevato)
1. Deficit da insufficiente apporto alimentare o
che sono specifici di una determinata eziologia. L’unico
ridotta esposizione solare
orientamento ci può venire dal fatto che, in genere, i pa-
2. Anticonvulsivi
zienti con iperparatiroidismo primitivo presentano livelli 3. Rachitismo vit.D-dipendente di tipo I
di calcemia solo moderatamente elevati, mentre quelli con 4. Malassorbimento intestinale di calcio
neoplasia maligna presentano spesso calcemia molto alta. 5. Rachitismo di tipo II
La diagnosi eziologica comunque richiede il dosaggio in Aumentata deposizione nei tessuti
sequenza di: 1)PTH; 2) Vitamina D e PTHrP 1. Iperfosforemia
Terapia L’ipoparatiroidismo ereditario può presentarsi come
La terapia migliore è sempre quella del disturbo di base. un’entitàisolata o nell’ambito di sindromi come la sdr. di
Nella situazione acuta, o qualora la terapia eziologica non Di George.
sia possibile, i provvedimenti attuabili sono i seguenti: Lo pseudo-ipoparatiroidismo è una condizione caratte-
1. Idratazione + diuretici dell’ansa: possono esse- rizzata dalla resistenza dei tessuti all’azione del PTH, ed è
re attuati in maniera più o meno energica a se- una patologia ereditaria.
conda della calcemia (>3mmol/L non è grave). Gli anticonvulsivi determinano deficit di vitamina D au-
2. Dialisi mentandone la conversione in metaboliti inattivi.
Il rachitismo è un disturbo caratterizzato da deficit di mi-
neralizzazione ossea nell’infanzia e deformità ossee. Il
tipo I e II sono entrambi dovuti a resistenza dei tessuti pe- nico inferiore, sono: Mg, creatinina, fosfato, metaboliti
riferici all’azione della vitamina, ma il tipo I è meno gra- della vitamina D, fosfatasi alcalina.
ve.

Fisiopatologia e clinica Terapia


Le manifestazioni dell’ipocalcemia possono essere distin- L’ipocalcemia viene trattata con supplementi di calcio PO
te in acute e croniche. e vitamina D.
Manifestazioni acute
1. Da ipereccitabilità neuromuscolare
a. Parestesie (periorali, acrali)
b. Fascicolazioni
c. Spasmo carpo-pedalico
d. Segno di Trousseau
e. Segno di Chvostek
f. Laringospasmo
g. Broncospasmo
h. Convulsioni
2. Cardiache
a. QT lungo
b. Aritmie
c. ↓contrattilià cardiaca
d. Ipotensione
3. Papilledema
Manifestazioni croniche
1. Calcificazioni ectopiche (nuclei della base)
2. Segni extrapiramidali
3. Parkinsonismo
4. Demenza
5. Cataratte subcapsulari
6. Anomalie dentarie
7. Cute secca
NOTE:
Il segno di Chvostek consiste in una contrazione dei mu-
scoli innervati dal nervo faciale in risposta a una stimola-
zione a livello della guancia.
Il segno di Trousseau si evidenzia gonfiando il bracciale
dello sfigmomanometro e tenendolo gonfio per alcuni mi-
nuti interrompendo l’afflusso di sangue al braccio. Il se-
gno è positivo quando si flettono polso e articolazioni me-
tacarpofalangee, si estendono le dita e si flette il police sul
palmo della mano (mano da ostetrico, spasmo carpopeda-
le).
Entrambi i segni sono persenti in caso di ipocalcemia la-
tente (tetania), ma anche nell’ipomagnesemia, nei soggetti
con diarrea, difterite, morbillo, tetano, mixedema.
L’ipocalcemia, in particolare, provoca un aumento
dell’eccitabilità dei nervi del braccio e avambraccio e, nel
caso del Trousseau, tale situazione è esacerbata
dall’ischemia prodotta dallo sfigmomanometro.
Diagnosi
Il primo passo nella valutazione dell’ipocalcemia è la de-
terminazione dell’albumina plasmatica, per i motivi de-
scritti sopra a proposito dell’ipercacemia.
L’anamnesi e l’esame fisico in genere suggeriscono
un’eziologia univoca per il disturbo. Qualora non fosse
possibile stabilire in questo modo l’eziologia, si può ricor-
rere al dosaggio del PTH. Altri test utili, ma di valore cli-
74  
 

xix
Ž‘‡”—Ž‘‡ˆ”‹–‹  

Sindrome  nefritica  

macroematuria   ͻ  con  cilindri  ematici  

proteinuria  modesta   ͻ  non  provoca  ipoalbuminemia  

ͻ  oliguria  
riduzione  del  flusso  glomerulare  
ͻ  edemi  localizzati  a  regioni  con  lassità  tessutaria  
con  ritenzione  idrosalina  
ͻ  ipertensione  generalmente  <170/120,  talvolta  piú  grave  
 
Possibili  associazioni   S.  nefritica   S.  nefrosica  
Esame  delle  urine  
g.  acuta  post-­‐streptococcica   xxx    
x oliguria  
g.  IgA  mesangiale  (m.  di  Berger)   x    
x Ĺ  peso  specifico  
x proteinuria  modesta   g.  membranoproliferativa   x   x  
x colore  rosso   g.  a  lesioni  minime     xxx  
x sedimento  ricco  di  eritrociti  e  cilindri   g.  membranosa     xxx  
x iposodiuria   glomerulosclerosi  focale  e  segmentale   ?   x  
s.  di  Goodpasture   ?    

Sindrome  nefrosica   g.  da  LES   x   x  


porpora  di  Schönlein-­‐Henoch   x    
oliguria   crioglobulinemia  mista   x   x  
amiloidosi  renale     x  
proteinuria  marcata  (>3  g/die)  
g.  rapidamente  progressive   x    
ipoprotidemia  e  edemi  declivi  

ipercolesterolemia  

ipertrigliceridemia  
 
La  glomerulonefrite  causa  un  aumento  della  permeabilità  glomerulare;  se  questo  determina  una  perdita  di  proteine  
sufficientemente  marcata  si  ha  una  riduzione  della  pressione  oncotica  ematica,  con  conseguenti  edemi.  Se  gli  edemi  
sono   marcati   si   può   ĂǀĞƌĞ ŝƉŽǀŽůĞŵŝĂ͕ ĐŚĞ ƉƌŽǀŽĐĂ ĂƵŵĞŶƚŽ ĚĞůů͛aldosterone   con   ritenzione   di   sodio   e   quindi  
aumento  della  pressione  idrostatica  e  peggioramento  degli  edemi.  
Allo  stesso  tempo  la  perdita  di  proteine  determina  un  accumulo  di  proteine  tossiche  nelle  cellule  tubulari,  con  flogosi  
e  fibrosi.  
>͛ŝƉŽŶĐŚŝĂ ĚĞƚĞƌŵŝŶĂ ƵŶ ƚĞŶƚĂƚŝǀŽ Ěŝ   compenso   epatico:   il   fegato   sintetizza   nuove   proteine,   tra   cui   però   anche  
fibrinogeno  e  fattori  del  complemento  che  contribuiscono  a  provocare  uno  stato  di  ipercoagulabilità  che  aumenta  il  
rischio  di  trombosi.  

>͛ŝƉŽǀŽůĞŵŝĂƉƌŽǀŽĐĂĂŶĐŚĞĂƵŵĞŶƚŽĚĞůůĂƐŝŶƚesi  di  ADH,  che  determina  iposodiemia  da  diluizione.  


75  
 

Laboratorio  
x Esame  delle  urine  
o oliguria  
o proteinuria  e  cilindri  ialini  
o iposodiuria  
x Esame  del  sangue  
o ŝƉŽƉƌŽƚŝĚĞŵŝĂĞĂƵŵĞŶƚŽĂƉŝĐĐŽĚĞůůĞɲϮ-­‐globuline  
o ipertrigliceridemia  e  ipercolesterolemia  
o iposodiemia  
o ipocalcemia  
o ipercreatininemia  e  iperazotemia  
x Biopsia  renale:  va  eseguita  in  tutti  i  pazienti  adulti  per  stabilire  la  glomerulonefrite  responsabile;  nei  bambini  
si  prova  la  terapia  steroidea  (efficace  per  la  g.  a  lesioni  minime,  forma  pediatrica  piú  frequente).  

Terapia  
x dieta:  normo/ipo-­‐proteica,  iposodica,  povera  in  acidi  grassi  saturi  e  colesterolo  
x movimento  (previene  la  trombosi,  facilita  il  riassorbimento  degli  edemi)    
x riduzione  edemi:  associare  
o tiazidico  o  ĚŝƵƌĞƚŝĐŽĚ͛ĂŶƐĂ  
o antialdosteronico  (spironolattone,  canrenoato  di  potassio,  amiloride)  
x riduzione  proteinuria  (meccanismi  non  chiari,  possono  essere  associati  tra  di  loro):  
o ACE-­‐inibitori  
o sartanici  
x riduzione  lipidemia  
o statina  
x no:   restrizione   idrica   (eccetto   nei   rari   casi   con   grave   iposodiemia),   dieta   iperproteica   o   infusione   albumina  
(provocherebbero  solo  un  aumento  della  proteinuria)  

Glomerulonefriti  
Le  glomerulonefriti  sono  malattie  glomerulari  a  patogenesi  immunitaria  umorale  (soprattutto  per  immunocomplessi)  
o  cellulo-­‐mediata.  Si  dividono  in  primitive  e  secondarie.  

Glomerulonefrite  acuta  post-­‐streptococcica  


Tipicamente  colpisce  i  bambini  o  i  giovani  in  seguito  a  una  faringotonsillite  streptococcica48;  è  dovuta  alla  deposizione  
di   immunocomplessi;   si  manifesta   con   sindrome   nefritica:  ematuria,   oliguria,   edemi,   ipertensione   arteriosa;   talvolta  
può   svilupparsi   insufficienza   renale   acuta.   La   sindrome   nefritica   regredisce   generalmente   in   un   paio   di   giorni,   con  
persistenza  di  proteinuria  e  microematuria  asintomatica  per  un  anno.  
>Ă ĚŝĂŐŶŽƐŝ Ɛŝ ďĂƐĂ ƐƵůů͛ĂƐƐŽĐŝĂnjŝŽŶĞ ĐŽŶ ů͛ŝŶĨĞnjŝŽŶĞ Ğ ƐƵůůĂ ƐƚŽƌŝĂ ĐůŝŶŝĐĂ͖ ƐŽůŽ ŝŶ ĐĂƐŽ Ěŝ ƉĞƌƐŝƐƚĞŶnjĂ Ěŝ ŽůŝŐƵƌŝĂ Ž
ipertensione  è  indicata  la  biopsia.  
>ĂƚĞƌĂƉŝĂƉƌĞǀĞĚĞů͛ƵƐŽĚŝ͗  

x ĚŝƵƌĞƚŝĐŽĚ͛ĂŶƐĂ  
x anti-­‐ipertensivo  
x benzodiazepina  se  si  sviluppa  encefalopatia  ipertensiva  
 

                                                                                                                         
48
 ŵĂƉƵſĐŽůƉŝƌĞƋƵĂůƐŝĂƐŝĞƚăĞƉƵſƐĞŐƵŝƌĞƵŶ͛ŝŶĨĞnjŝŽŶĞŝŶƋƵĂůƐŝĂƐŝĚŝƐƚƌĞƚƚŽĚĂƉĂƌƚĞĚŝStreptococcus  o  altri  agenti  infettivi.  
76  
 

Glomerulonefrite  IgA  mesangiale  (m.  di  Berger)  


ůĂŐůŽŵĞƌƵůŽŶĞĨƌŝƚĞƉŝƷĨƌĞƋƵĞŶƚĞŶĞůů͛ĂĚƵůƚŽ͕ƐŽƉƌĂƚƚƵƚƚŽŶĞůŐŝŽǀĂŶĞĂĚƵůƚŽ͖ğĐĂƵƐĂƚĂĚĂůůĂĚĞƉŽƐŝnjŝŽŶĞĚŝ/ŐŶĞů
mesangio.  Si  manifesta  nel  40%  dei  casi  dopo  un  episodio  infettivo  (prev.  faringite)  con  macroematuria  di  breve  durata  
che   può   recidivare;   nel   10%   dei   casi   con   sindrome   nefritica   e   in   metà   dei   casi   è   asintomatica   e   associata   a  
microematuria  e  lieve  proteinuria.  ZĂƌĂŵĞŶƚĞƐŝŶĚƌŽŵĞŶĞĨƌŽƐŝĐĂĞ/Z͘ǀŽůǀĞĨƌĞƋƵĞŶƚĞŵĞŶƚĞǀĞƌƐŽů͛/Z͘  
Diagnosi  con  biopsia;  non  esistono  terapie  efficaci.  Nella  metà  dei  casi  recidiva  nel  rene  trapiantato.  

Glomerulonefrite  membranoproliferativa  
ƐŽƌĚŝƐĐĞĐŽŶƐŝŶĚƌŽŵĞŶĞĨƌŝƚŝĐĂŽĐŽŶƐŝŶĚƌŽŵĞŶĞĨƌŽƐŝĐĂŽƐĞŶnjĂƐŝŶƚŽŵĂƚŽůŽŐŝĂ͘ǀŽůǀĞŶĞůϵϬйĚĞŝĐĂƐŝǀĞƌƐŽů͛/Z͘
Diagnosi  con  biopsia;  la  microscopia  consente  di  differenziare  un  tipo  I  e  un  tipo  II  (il  tipo  II  recidiva  quasi  sempre  nel  
rene  trapiantato).  Non  esistono  terapie  efficaci.    

Glomerulonefrite  a  lesioni  minime  


È   la  forma   piú   frequente   tra  il   primo   e  il   decimo   anno   di  età;   si   manifesta  con   sindrome   nefrosica  (oliguria,   edemi,  
proteinuria,  alterazioni  metabolismo  lipidico).  
La  diagnosi  si  sospetta  sempre  in  età  pediatrica  e  si  inizia  la  terapia.  Se  la  terapia  fallisce  si  effettua  biopsia  renale,  che  
rivela  caratteristicamente  una  scarsità  di  anomalie  istologiche.  

x steroidi  
o prednisone  60  mg/m2/die  per  4  settimane,  poi  a  giorni  alterni  per  4  settimane,  poi  si  scala  la  dose  e  
si  sospende.  
x immunosoppressori  ƐĞĐ͛ğƐƚĞƌŽŝĚŽ-­‐resistenza  
o ciclofosfamide  1-­‐2  mg/kg/die  
o clorambucil  0,1-­‐0,2  mg/kg/die  

Glomerulonefrite  membranosa  
È   caratterizzata   da   sindrome   nefrosica:   oliguria,   edemi,   proteinuria,   alterazioni   metabolismo   lipidico.   Evolve  
ŐĞŶĞƌĂůŵĞŶƚĞ ǀĞƌƐŽ ů͛ŝŶƐƵĨĨŝĐŝĞŶnjĂ ƌĞŶĂůĞ ĐƌŽŶŝĐĂ͘ Può   essere   primitiva   o   secondaria   a   neoplasie,   epatite   B,   sifilide,  
LES,  farmaci.  
Diagnosi:  biopsia  renale,  che  mostra  un  ispessimento  diffuso  della  membrana  basale  glomerulare.  Terapie  efficaci  non  
esistono,  forse  il  prednisone.  

Glomerulosclerosi  focale  e  segmentale  


 ĂƐƐŽĐŝĂƚĂ Ă ƐŝŶĚƌŽŵĞ ŶĞĨƌŽƐŝĐĂ͕ŵĂ ƐƉĞƐƐŽ Đ͛ğ ĂŶĐŚĞŵŝĐƌŽĞŵĂƚƵƌŝĂ Ğ ŝƉĞƌƚĞŶƐŝŽŶĞ ĂƌƚĞƌŝŽƐĂ͖ ĞǀŽůǀĞ ǀĞƌƐŽ ů͛/Z Ğ
spesso  recidiva  nel  rene  trapiantato.  

Diagnosi:  biopsia  renale,  che  rivela  lesioni  sclerotiche  limitate  solo  ad  alcuni  segmenti  di  alcuni  glomeruli.  Terapia:  si  
tenta  con  gli  steroidi,  efficaci  nel  25%  dei  casi,  altrimenti  associazione  con  immunosoppressione.  

Glomerulonefrite  da  LES  (nefrite  lupica)  


Si  ha  nel  30%  dei  pazienti  con  LES.  Può  manifestarsi  con  sindrome  nefrosica  o  nefritica  o  senza  sintomi;  evolve  spesso  
ǀĞƌƐŽů͛/Z͘  
>ĂĚŝĂŐŶŽƐŝƐŝďĂƐĂƐƵůů͛ĂƐƐŽĐŝĂnjŝŽŶĞĐŽŶŝů>^ĞƐƵůůĂďŝŽƉƐŝĂ͕ĐŚĞĐŽŶƐĞŶƚĞĚŝĚŝĨĨĞƌĞŶnjŝĂƌĞƐĞŝĐůĂƐƐŝĚŝŵĂůĂƚƚŝĂĞĚŝ
trattare  di  conseguenza.  

x steroidi:  per  os  e  a  bassi  dosaggi  per  classi  meno  gravi,  ev  per  classi  piú  gravi;  
x immunosoppressori:  si  possono  associare  in  caso  di  assenza  di  risposta;  
x plasmaferesi  nelle  forme  gravi  a  esordio  acuto.  
77  
 

Porpora  di  Schönlein-­‐Henoch  


È   una   vasculite   dei   piccoli   vasi   che   può   interessare   molti   organi:   cute,   articolazioni,   GI,   rene.   Principalmente   è   una  
malattia   pediatrica.   È   caratterizzata   clinicamente   da   porpora   cutanea,   con   macule   rosse   rilevate,   persistenti   alla  
pressione,   localizzate   principalmente   alle   estremità.   60%   artralgie   e   dolore   addominale   diffuso.   Dopo   qualche  
settimana  ci  può  essere  danno  renale  variabile  e  solo  raramente  tendente  alla  progressione.  
ůůĂ ŵŝĐƌŽƐĐŽƉŝĂ Đ͛ğ ƵŶ ƋƵĂĚƌŽ ƐŝŵŝůĞ ĂůůĂ Ő͘ /Ő ŵĞƐĂŶŐŝĂůĞ͘ >Ă ƚĞƌĂƉŝĂ ĐŽŶ ƐƚĞƌŽŝĚŝ ğ ĞĨĨŝĐĂĐĞ ƉƌŝŶĐŝƉĂůŵĞŶƚĞ ƐƵůůe  
artralgie  e  sul  dolore  addominale.  

Amiloidosi  renale  
Consiste   nella   deposizione   nella  parete   vascolare   renale  di   materiale   amorfo   fibrillare  (amiloide)   di   origine   variabile  
(catene  leggere  Ig,  proteina  sierica  non  Ig  e  altre).  Può  essere  secondaria  a  mieloma  multiplo,  malattie  infiammatorie,  
ŝŶĨĞƚƚŝǀĞ Ž ŶĞŽƉůĂƐƚŝĐŚĞ͕ ĨĂŵŝůŝĂƌĞ Ž ƉƌŝŵŝƚŝǀĂ͘ /ŶĚƵĐĞ ƐŝŶĚƌŽŵĞ ŶĞĨƌŽƐŝĐĂ Ğ ƚĂůǀŽůƚĂ /Z͖ ĞǀŽůǀĞ ǀĞƌƐŽ ů͛/Z͘ 
accompagnata  da  manifestazioni  extrarenali.  Diagnosi  con  biopsia  renale.  Terapia  della  malattia  di  base   nelle  forme  
secondarie.  

Altre  forme  secondarie  


x Crioglobulinemia  mista:  nel  20%  dei  casi  può  provocare  danno  renale  variabile,  da  lievi  alterazioni  funzionali  
a  sindrome  nefritica  o  nefrosica  e  insufficienza  renale.  
x Mieloma  multiplo͗ů͛ĞůŝŵŝŶĂnjŝŽŶĞƵƌŝŶĂƌŝĂ  della  proteina  di  Bence-­‐Jones  può  indurre  danno  renale.  
x Neoplasie:  linfomi,  K  polmone  e  colon,  tumore  di  Wilms  
x Infezione  da  HIV:  nel  10%  dei  casi  si  ha  danno  renale  con  sindrome  nefrosica.    

Glomerulonefriti  rapidamente  progressive  


Tipo   I:   età   giovanile,   inizio   brusco   con   sindrome   nefritica,   febbre,   artromialgie   e   dolori   addominali.   Ci   può   essere  
emorragia   polmonare   (sindrome   di   Goodpasture).   Rapida   progressione   verso   IRC   in   fase   dialitica.   Diagnosi:   biopsia  
renale  (semilune  nella  capsula  di  Bowman)  e  ricerca  Ig  anti-­‐MBG  circolanti  (patogenetici).  

Tipo  II:  adulti.  Sintomatologia  simil-­‐influenzale.  Evoluzione  e  biopsia  come  sopra.  Da  immunocomplessi.  
Tipo   III:   adulti.   Sintomatologia   simil-­‐influenzale   e  coinvolgimento  altri   organi.   Evoluzione   e   biopsia  come   sora.  Da   Ig  
anti-­‐ANCA;  è  una  vasculite.  
Terapia,  comune:  in  acuto  steroidi  ad  alte  dosi  ev,  ciclofosfamide  e  talvolta  plasmaferesi.  Poi  si  continua  per  1-­‐2  anni  
per  via  orale.  
   
78  
 

xxŽ–‡”ƒœ‹‘‹‹†”‘-­‐•ƒŽ‹‡‡ƒ…‹†‘-­‐„ƒ•‡  

Acqua  e  sali  
I  liquidi  corporei  (circa  il  55%  del  peso  corporeo)  sono  divisi  in  compartimenti:     sierica   urinaria  
(mEq/L)   (mEq/die)  
x 2/3  intracellulare  
x 1/3  extracellulare   Na+   135-­‐145   170  
o ¼  plasmatico  (3,5  L)   K  
+
3,5-­‐5   50-­‐200  
o ¾  interstiziale  
HCO3-­‐   24    
o terzo  spazio  (principalmente  liquidi  nel  tubo  digerente)  
-­‐
Cl   96-­‐106    
>Ă ĚŝƐƚƌŝďƵnjŝŽŶĞ ĚĞůů͛ĂĐƋƵĂ ŶĞŝ ǀĂƌŝ ĐŽŵƉĂƌƚŝŵĞŶƚŝ ĚŝƉĞŶĚĞ ĚĂůůa   pressione  
idrostatica   e   dalů͛ŽƐŵŽůĂůŝƚă͕ ĐŚĞ ĐŽŶƐŝƐƚĞ ŶĞůůĂ ĐŽŶĐĞŶƚƌĂnjŝŽŶĞ Ěŝ ƚƵƚƚŝ ŝ ƐŽůƵƚŝ ƉƌĞƐĞŶƚŝ ŶĞůůĂ ƐŽůƵnjŝŽŶĞ͘ >͛ŽƐŵŽůĂůŝƚă
sierica  è  data  principalmente  dal  sodio,  dal  cloro,  dal  bicarbonato  e  dal  glucosio;  può  essere  stimata  moltiplicando  per  
due  la  concentrazione  del  solo  sodio.  >͛ŽƐŵŽůĂůŝƚăŝŶƚƌĂĐĞůůƵůĂƌĞğŝŶǀĞĐĞĚĂƚĂƉƌŝŶĐŝƉĂůŵĞŶƚĞĚĂůƉŽƚĂƐƐŝŽĞĚĂŝĨŽƐfati  
organici.  

>Ă ƚŽŶŝĐŝƚă ĚĞŝ ůŝƋƵŝĚŝ ĐŽƌƉŽƌĞŝ ğ ƌĞŐŽůĂƚĂ ŽŵĞŽƐƚĂƚŝĐĂŵĞŶƚĞ͘ >͛ŝƉĞƌŽƐŵŽůĂƌŝƚă ƉƌŽǀŽĐĂ ƐĞƚĞ Ğ ĂƵŵĞŶƚŽ ĚĞů ƌŝůĂƐĐŝŽ
neuroipofisario   di   ADH,   con   stimolazione   del   riassorbimento   idrico.   Anche   una   marcata   riduzione   del   volume  
extracellulare  induce  rilascio  di  ADH.  >͛ŝƉŽǀŽůĞŵŝĂƐƚŝŵŽůĂůĂƐĞĐƌĞnjŝŽŶĞĚŝƌĞŶŝŶĂĞĂƚƚŝǀĂnjŝŽŶĞĚĞůƐŝƐƚĞŵĂZ͕ĐŽŶ
aumento   del   riassorbimento   del   sodio   e   quindi   di   acqua.   L͛ŝƉĞƌǀŽůĞŵŝĂ͕ ŝŶǀĞĐĞ͕ ƐƚŝŵŽůĂ ůĂ ƐĞĐƌĞnjŝŽŶĞ Ěŝ EW͕ ĐŚĞ
inibisce  il  riassorbimento  di  sodio.  

Ipovolemia  (deplezione  volume  extracellulare)  


La  deplezione  del  volume  extracellulare  è  dovuta  principalmente  alla  perdita  combinata  di  sodio  e  acqua.  

Cause  
x perdita  di  sodio  renale  
o insufficienza  renale  tubulo-­‐interstiziale:  il  tubulo  perde  la  capacità  di  riassorbire  gli  elettroliti.  
o diuretici  
o ipoaldosteronismo  
o diuresi  osmotica  (glucosio,  urea,  mannitolo)  
x perdita  di  sodio  gastrointestinale:  vomito,  diarrea  secretiva,  drenaggi.  Ci  può  essere  perdita  di  altri  elettroliti  
e  quindi  anche  alcalosi  (vomito)  o  acidosi  (diarrea)  
x perdita  di  sodio  cutanea:  sudorazione  per  febbre,  ustioni  
x perdita  di  acqua  dalle  vie  respiratorie:  iperventilazione,  in  particolare  in  pazienti  con  ventilazione  meccanica  
x sequestro   di   liquidi   nel   terzo   spazio:   ileo,   peritonite,   ascite,   pancreatite,   emorragie   interne,   sindrome   da  
schiacciamento  muscolare  
x љ  apporto  idrico,  es.  prima  di  interventi  chirurgici:  può  contribuire.  

Manifestazioni  
Sete,  cute  secca,  lingua  asciutƚĂ͕ďƵůďŝŽĐƵůĂƌŝĐĞĚĞǀŽůŝ͕ĐŽůůĂďŝŵĞŶƚŽĚĞůůĞǀĞŶĞ͘^ĞĐ͛ğŐƌĂǀĞŝƉŽǀŽůĞŵŝĂƐŝŚĂ rapida  
perdita  di  peso,  letargia,  astenia,  oliguria,  tachicardia  o  anche  shock.  I  pazienti  allettati  possono  essere  asintomatici;  in  
questi  casi  si  può  ƌŝĐĞƌĐĂƌĞů͛ŝƉŽƚĞŶƐŝŽne  ortostatica,  la  tachicardia  ortostatica.  
Ĺcreatininemia  e  azotemia;  Ļ  Na  urinario  (IRA  funzionale).  

Terapia  
x correzione  volemia  
o idratazione  orale  
79  
 

o idratazione  intravenosa  con  soluzione  0,9%  di  NaCl  se  la  deplezione  è  marcata  
x correzione  altre  alterazioni  elettrolitiche,  se  presenti  
o infusione  elettroliti  carenti  

Sodio  

Iposodiemia  (iponatriemia)  
Riduzione   della   concentrazione   sierica   di   sodio:   [Na+]   <135   mEq/L.   È   causata   generalmente   da   un   bilancio   idrico  
positivo,  solo  raramente  da  carenza  di  sale.  È  molto  comune.  

Cause  
^ĞĐŽŶĚŽů͛,ĂƌƌŝƐŽŶƐŝƐƵĚĚŝǀŝĚĞŝŶďĂƐĞĂůůĂǀŽůĞŵŝĂ͗ŝƉŽƐŽĚŝĞŵŝĂŝƉŽǀŽůĞŵŝĐĂ͕ŶŽƌŵŽǀŽůĞŵŝĐĂĞŝƉĞƌǀŽůĞŵŝĐĂ͘  

  Ipovolemica   Normovolemica   Ipervolemica  


(Ļ acqua,  ĻĻNa)   (Ĺ acqua,  = Na)   (ĹĹ acqua,  ĹNa)  
[Na]u   Perdite  di  sodio  renali  per  eccesso   Sindrome  da  inappropriata   Insufficienza  renale  acuta  
>20   di  diuretici  o  per  nefropatie   secrezione  di  ADH  (malattie  
mM   polmonari  e  del  SNC,  tumori,  SSRI,  
ecstasy  e  molti  altri  farmaci).  
Ipoaldosteronismo  (come   Deficit  glucocorticoidi  (come   Insufficienza  renale  cronica  
ŶĞůů͛ŝƉŽƐƵƌƌĞŶĂůŝƐŵŽƉƌŝŵŝƚŝǀŽͿ   ŶĞůů͛ŝƉŽƐƵƌƌĞŶĂůŝƐŵŽƐĞĐŽŶĚĂƌŝŽͿ  
Diuresi  osmotica  (chetonuria,   Ipotiroidismo    
glicosuria,  bicarbonaturia)  
49
[Na]u   Perdite  di  sodio  extrarenali:     Sindromi  edemigene :  sindrome  
<20   vomito,  diarrea  secretiva,  terzo   nefrotica,  cirrosi,  insufficienza  
mM   spazio   cardiaca  
ů Ěŝ ĨƵŽƌŝ Ěŝ ƋƵĞƐƚĂ ĐůĂƐƐŝĨŝĐĂnjŝŽŶĞ Đ͛ğ ůĂ beer   potomania:   i   gravi   alcolisti,   nutrendosi   di   nulla   fuorché   di   birra,  
ŝŶƚƌŽĚƵĐŽŶŽƉŽĐŚŝƐƐŝŵŽƐŽĚŝŽŶĞůů͛ŽƌŐĂŶŝƐŵŽ͕ĚĞƚĞƌŵŝŶĂŶĚŽƵŶĂŝƉŽƐŽĚŝĞŵŝĂ  da  ridotto  apporto.  

hŶĂƵŵĞŶƚŽĚĞůů͛ĂƉƉŽƌƚŽĚŝĂĐƋƵĂpuò  ĐŽŶƚƌŝďƵŝƌĞĂůů͛ŝŶƐŽƌŐĞŶnjĂĚŝŝƉŽƐŽĚŝĞŵŝĂ͘hŶĂĐĂƵƐĂŵŽůƚŽĨƌĞƋƵĞŶƚĞğƋƵĞůůĂ
ŝĂƚƌŽŐĞŶĂ͕ ĐŽŶ ů͛ŝŶĨƵƐŝŽŶĞ Ěŝ ƐŽůƵnjŝŽŶŝ ŐůƵĐŽƐĂƚĞ ĐŽŶ ƉŽĐŽ EĂů͕ ĂĚ ĞƐĞŵƉŝŽ ĚŽƉŽ ůĂ ĐŚŝƌƵƌŐŝĂ͘ hŶ͛ĂůƚƌĂ ĐĂƵƐĂ ğ ůĂ
polidipsia  psicogena.  
La   pseudo-­‐iposodiemia   Ɛŝ ŚĂ ƋƵĂŶĚŽ Đ͛ğ   una   marcata   iperlipemia   o   iperprotidemia:   la   concentrazione   di   sodio  
ŶĞůů͛ĂĐƋƵĂğŶŽƌŵĂůĞ͕ŵĂĂƉƉĂƌĞƌŝĚŽƚƚĂƉĞƌĐŚĠŝůƉůĂƐŵĂğŽĐĐƵƉĂƚŽĚĂĂůƚƌĞƐŽƐƚĂŶnjĞ͘  

Manifestazioni  
Per  [Na+]  125-­‐135  mEq/L  non  si  ha  sintomatologia.  Per  [Na+]  <125  mEq/L  si  manifestano  disturbi  a  carico  dei  muscoli  e  
ŝŶƉĂƌƚŝĐŽůĂƌĞĚĞůů͛ĞŶĐĞĨĂůŽ͕ĐŚĞƌŝƐĞŶƚĞƉĂƌƚŝĐŽůĂƌŵĞŶƚĞĚĞůů͛ĂƵŵĞŶƚĂƚŽǀŽůƵŵĞŝŶƚƌĂĐĞůůƵůĂƌĞ͘Inizialmente  si  ha  
nausea,  vomito,  cefalea,  contrazioni  muscolari;  poi  letargia,  crisi  epilettiche,  erniazione  del  tronco  encefalico,  coma  e  
morte.  ^Ğů͛ŝƉŽƐŽĚŝĞŵŝĂğĐƌŽŶŝĐĂ;хϰϴŽƌĞͿƐŝŚĂƵŶĂĚĂƚƚĂŵĞŶƚŽĐŚĞƌĞŶĚĞŵĞŶŽĞǀŝĚĞŶƚŝůĞŵĂŶŝĨĞƐƚĂnjŝŽŶŝ͕ŵĂĐŚĞ
in  caso  di  rapida  correzione  della  sodiemia  mette  a  rischio  di  brusca  disidratazione  neuronale  con  la  grave  sindrome  da  
demielinizzazione  osmotica,  principalmente  a  livello  pontino.  

Valutazione  diagnostica  
È  necessario  individuare  la  causa  sottostante;  si  valutano  ůĂǀŽůĞŵŝĂĞůĂƐŽĚŝƵƌŝĂƉĞƌĐůĂƐƐŝĨŝĐĂƌĞů͛iposodiemia.  

x storia  farmacologica  
x radiografia  toracica:  possibili  cause  polmonari  di  secrezione  inappropriata  di  ADH  
x ŽƐŵŽůĂůŝƚăƐŝĞƌŝĐĂ͗ƐĞŶŽƌŵĂůĞĐŽŶƐĞŶƚĞĚŝĞƐĐůƵĚĞƌĞůĂƉƐĞƵĚŽŝƉŽƐŽĚŝĞŵŝĂ͕ŶĞůů͛ŝƉŽƐŽĚŝĞŵŝĂğƌŝĚŽƚƚĂ  
                                                                                                                         
49
 ŶĚƌĞƵĐĐŝ͗ƐŝŚĂĐŽŶƚĞŵƉŽƌĂŶĞĂŵĞŶƚĞŝƉŽǀŽůĞŵŝĂĞŝƉŽŽƐŵŽůĂůŝƚă͖ů͛ĂƵŵĞŶƚŽĚŝ,ƉĞŐŐŝŽƌĂů͛ŽƐŵŽůĂůŝƚă͘  
80  
 

x creatinina:  se  elevata  indica  insufficienza  renale  


x potassiemia:  se  elevata  indica  iposurrenalismo  
x glicemia:  se  elevata  indica  diuresi  osmotica  
x funzioni  tiroidea,  surrenalica  e  ipofisaria:  per  cause  endocrine  

Terapia  
x correzione:  deve  essere  lenta.  
o infusione   di   salina   ipertonica   (NaCl  al   3%   =   513  mM)   in   acuto,   per   1-­‐2  mM/h   per  un   totale  di   4-­‐6  
ŵD͖ğƵŶĐĂƌŝĐŽůĞŐŐĞƌŽ͕ĚŽƉŽŝůƋƵĂůĞƐŝĂƚƚƵĂŶŽůĞŵŝƐƵƌĞƐŽƚƚŽƌŝƉŽƌƚĂƚĞ͘>͛ĂƵŵĞŶƚŽĚĞůůĂƐŽĚŝĞŵŝĂ
è  scarsamente  prevedibile,  quindi  è  essenziale  monitorarla  ogni  2-­‐4  ore  durante  il  trattamento.  
o restrizione  idrica  
50
ƒ in  base  al  rapporto  ionico  urina/plasma  si  restringe  a  1  L/die  (rapporto  >1)  o  <500  mL/die  
(rapporto  <1)  
ƒ difficile  nei  pazienti  con  SIADH,  che  hanno  molta  sete  
o infusione  di  K+  ƐĞĐ͛ğŝƉŽƉŽƚĂƐƐŝĞŵŝĂ͖ŵŝŐůŝŽƌĂĂŶĐŚĞůĂƐŽĚŝĞŵŝĂ  
x rimozione   delle   cause   reversibili   (es.   ipotiroidismo,   iposurrenalismo,   alcune   SIADH,   cardiomiopatie,   beer  
potomania).  

Ipersodiemia  (ipernatriemia)  
+
Aumento  della  concentrazione  sierica  di  sodio:  [Na ]  >145  mEq/L.  DŽůƚŽŵĞŶŽĐŽŵƵŶĞĚĞůů͛ŝƉŽƐŽĚŝĞŵŝĂ͘  Indica  in  
genere  una  combinazione  di  disidratazione  e  carenza  di  sodio  di  minore  entità;  meno  frequentemente  è  causata  da  un  
carico  iatrogenico  eccessivo  di  sodio.  

Cause  
x љ  apporto  idrico:  fattore  contribuente  
o impossibilità  di  assumere  liquidi:  coma,  deficit  della  deglutizione  
o ridotto  senso  della  sete:  es.  anziani.  
x perdita  di  acqua  renale  
o diabete   insipido   centrale:   ů͛ŝƉŽĨŝƐŝ ŶŽŶ ƉƌŽĚƵĐĞ ,͘ >͛ĂƐƐĞŶnjĂ ĚĞůů͛ĂnjŝŽŶĞ ĂŶƚŝĚŝƵƌĞƚŝĐĂ ƉƌŽǀŽĐĂ
poliuria  a  basso  peso  specifico  (e  quindi  polidipsia)  
o diabete   insipido   nefrogenico:   ŝů ƌĞŶĞ ŶŽŶ ƌŝƐƉŽŶĚĞ Ăůů͛,͕ ƉĞƌ ĐĂƵƐĞ ĂĐƋƵŝƐŝƚĞ (es.   litio   e   molti  
antivirali)  o  raramente  ereditarie.  
o diuresi  osmotica,  es.  glicosuria  
x perdita  di  acqua  extrarenale  
o febbre  con  sudorazione  profusa͗Đ͛ğĂŶĐŚĞƉĞƌĚŝƚĂĚŝƐŽĚŝŽ͕ŵĂŵŝŶŽƌĞƌŝƐƉĞƚƚŽĂƋƵĞůůĂĚi  acqua.  
o ustioni  gravi  
o diarrea  osmotica  
x љĞůŝŵŝŶĂnjŝŽŶĞĚŝEĂ+51  
o Cushing  
o iperaldosteronismo  

Manifestazioni  
+
Compaiono  per  livelli  di  [Na ]  >155  mEq/L  e  sono  simili  a  quelle  da  iposodiemia.  Anche  in  questo  caso  lo  sviluppo  lento  
provoca  un  adattamento  che  però  mette  a  rischio  di  edema  cerebrale  in  caso  di  rapida  reidratazione.  

Valutazione  
x se  oliguria  ipertonica:  il  rene  funziona  bene,  quindi  perdita  extrarenale  
x se  poliuria  ipertonica:  diuresi  osmotica  
x ƐĞƉŽůŝƵƌŝĂŝƉŽƚŽŶŝĐĂ͗ĚŝĂďĞƚĞŝŶƐŝƉŝĚŽїƚĞƐƚĚŝƌŝƐƉŽƐƚĂĂůů͛,ƉĞƌĚŝĨĨĞƌĞŶnjŝĂƌĞĐĞŶƚƌĂůĞĞƉĞƌŝĨĞƌŝĐŽ  
                                                                                                                         
 ሺሾܰܽା ሿ௨ ൅ ሾ‫ ܭ‬ା ሿ௨ ሻΤሾܰܽା ሿ௣௟  
50
51
 ů͛,ĂƌƌŝƐŽŶŶŽŶůŝĐŝƚĂ͘  
81  
 

 
 

Terapia  
x correzione:  lentamente,  per  evitare  edema  cerebrale  (generalmente  riportare  il  deficit  di  acqua  entro  48  ore)  
o introduzione  di  acqua  per  os  o  tramite  sondino  nasogastrico:  è  il  modo  migliore  perché  è  il  modo  
piú  rapido  di  somministrare  acqua  senza  elettroliti.  
o infusione  di  soluzione  glucosata  al  5%,  in  alternativa.  
x ĐŽƌƌĞnjŝŽŶĞĚĞůů͛ŝƉŽǀŽůĞŵŝĂ  (se  presente)  
o infusione  di  NaCl  allo  0,9%  
x rimozione  delle  cause  reversibili  
o ĂŶĂůŽŐŽĚĞůů͛,  (endonasale,  ev  o  per  os)  per  diabete  insipido  centrale  
o dieta  iposodica  e  diuretici  tiazidici  per  diabete  insipido  nefrogenico  

Potassio  
Il   potassio   plasmatico   viene  mantenuto   tra   3,5   e   5  ŵDŐƌĂnjŝĞ Ăůů͛ĞƐĐƌĞnjŝŽŶĞ ƚŽƚĂůĞ Ěŝ ƋƵĞůůŽŝŶƚƌŽĚŽƚƚŽ ĐŽŶ ůĂ ĚŝĞƚĂ
;ϵϬйƌĞŶĂůĞϭϬйŝŶƚĞƐƚŝŶĂůĞͿ͛͘ĂůƚƌĂƉĂƌƚĞŝůϵϴйĚĞůƉŽƚĂƐƐŝŽĚĞůů͛ŽƌŐĂŶŝƐŵŽƐŝƚƌŽǀĂĚĞŶƚƌŽůĞĐĞůůƵůĞ͕ĞƋƵŝŶĚŝƵŶĂ
sua  redistribuzione  può  alterare  in  modo  netto  la  potassiemia.  
ImportĂŶƚŝŐůŝƐĐĂŵďŝĐĂƚŝŽŶŝĐŝ<ͬ,ĞEĂͬ<ĞŝůƌƵŽůŽĚĞŐůŝŽƌŵŽŶŝĐŚĞĂŐŝƐĐŽŶŽƐƵŝĐĂŶĂůŝEĂ͘&ĂǀŽƌŝƐĐŽŶŽů͛ŝŶŐƌĞƐƐŽ
ĚŝƉŽƚĂƐƐŝŽŶĞůůĞĐĞůůƵůĞĞƋƵŝŶĚŝů͛ŝƉŽƉŽƚĂƐƐŝĞŵŝĂ͗ĂůĐĂůŽƐŝ͕ɴ-­‐adrenergici,  insulina,  aldosterone.  &ĂǀŽƌŝƐĐŽŶŽů͛ƵƐĐŝƚĂĚŝ
potassio  dalle  ceůůƵůĞĞƋƵŝŶĚŝů͛ŝƉĞƌƉŽƚĂƐƐŝĞŵŝĂ͗ĂĐŝĚŽƐŝ͕ɲ-­‐adrenergici.  

Ipopotassiemia  (ipokaliemia)  
Potassio  plasmatico  <3,5  mM.  È  una  condizione  frequente  nei  pazienti  ospedalizzati  (fino  al  20%)  ed  è  associata  ad  un  
notevole  aumento  della  mortalità  a  causa  degli  effetti  negativi  su  ritmo  cardiaco  e  pressione  arteriosa.  

Cause  
x ingresso  nelle  cellule  (redistributiva)  
o alcalosi  metabolica  (anche  secondaria  a  vomito)  
o ormoni:   insulina,   ŝƉĞƌƚŽŶŽ ɴϮ-­‐adrenergico,   ɴϮ-­‐agonisti͕ ɲ-­‐antagonisti,   stimolazione   Na/K   ATPasi  
(teofillina,  caffeina),  ipertiroidismo  
o stato   anabolico:   somministrazione   di   vitamina   B12   o   folato   (eritrociti),   GM-­‐CSF   (leucociti),  
nutrizione  parenterale  totale  
o intossicazione  da  bario  (impedisce  la  fuoriuscita)  
o pseudo-­‐ipopotassiemia:  es.  ingresso  del  potassio  in  leucociti  in  eccesso  per  leucemia  
x perdita  non  renale  (potassiuria  <15  mmol/die)  
o diarrea  (anche  per  lassativi),  associata  ad  acidosi  metabolica  
o sudorazione  o  ustioni  di  grande  entità  
x perdita  renale  (potassiuria  >15  mmol/die)  
o aumento   del   flusso   distale   e   aumento   Na   distale,   con   scambio:   diuretici,   diuresi   osmotica,  
nefropatie  con  perdita  di  sale,  antibiotici.  
o aumento   di   secrezione   di   K:   iperaldosteronismo   primario   e   secondario,   ipersurrenalismo  
secondario,   ŝŶĂƚƚŝǀĂnjŝŽŶĞ ĚĞůů͛ĞŶnjŝŵĂ ϭϭɴ-­‐idrossisterolo   deidrogenasi   2   (che   disattiva   il   cortisolo,  
impedendogli   di   agire   come   mineralcorticoide)   genetica   o   tramite   acido   glicirrizico,   sindrome   di  
Liddle  (attivazione  ENaC).  
o deficit  di  magnesio͗ƌĞŶĚĞů͛ŝƉŽƉŽƚĂƐƐŝemia  resistente  alla  correzione.  
x ridotto  apporto  alimentare:  causa  molto  rara  
82  
 

Manifestazioni  
>͛ŝƉŽƉŽƚĂƐƐŝĞŵŝĂƐŝŵĂŶŝĨĞƐƚĂƐƵůůĞĐĞůůƵůĞŵƵƐĐŽůĂƌŝĐĂƌĚŝĂche,  scheletriche  e  intestinali.  È  generalmente  asintomatica  
fino  a  concentrazioni  di  K  tra  3  e  3,5.  
ECG:   onde   T   larghe   e   appiattite   o   invertite52,   depressione   ST,   allungamento   QT,  
ĐŽŵƉĂƌƐĂ ŽŶĚĂ h͕ ƉŝƷ ŵĂƌĐĂƚĞ ƋƵĂŶƚŽ ƉŝƷ ğ ŐƌĂǀĞ ů͛ŝƉŽƉŽƚĂƐƐŝĞŵŝĂ͘   Le   aritmie  
ĚŝǀĞŶƚĂŶŽƉŝƷĨƌĞƋƵĞŶƚŝƐĞĐ͛ğƵŶĂĐĂƌĚŝŽƉĂƚŝĂƉƌĞĞƐŝƐƚĞŶƚĞ͘  
Muscolo   scheletrico:   debolezza   o   anche   paralisi   (grave   se   interessa   i   muscoli  
respiratori);  rabdomiolisi  (possibile  insufficienza  renale).  Muscolatura  intestinale:  ileo,  
con  stipsi.   ĻK  lieve  e  grave  

Valutazione  
Anamnesi  ed  esame  obiettivo.  Farmaci  (lassativi,  diuretici,  antibiotici,  insulina,  teofillina),  dieta  (liquirizia,  caffè),  segni  
di   malattie   endocrinologiche   (Cushing,   ipertiroidismo),   esami   di   laboratorio   (elettroliti,   azoto,   creatinina,   osmolalità  
ƐŝĞƌŝĐĂ͕DŐ͕Ă͕ĞŵŽĐƌŽŵŽ͕Ɖ,ƵƌŝŶĂƌŝŽͿїcause  varie  

x K  urinario  <15  mmol/die:  cause  extrarenali  


o acidosi  metabolica:  diarrea  
o pH  normale:  sudorazione  profusa  
o alcalosi  metabolica:  diuretici,  vomito,  sudorazione  profusa  
x K  urinario  >15  mmol/die:  cause  renali  
53
o Ļ  gradiente  di  potassio  transtubulare  (<2)͗ĂƵŵĞŶƚŽĚĞůĨůƵƐƐŽƚƵďƵůĂƌĞїdiuresi  osmotica  
o Ĺ  gradiente  di  potassio  transtubulare  (>4):  aumento  di  secrezione  distale  di  potassio  
ƒ ipo/normotensione  
x alcalosi  metabolica  
o Ĺ  Cl  urinario:  diuretici  
o Ļ  Cl  urinario:  vomito  
ƒ ipertensione  arteriosa  
x Ĺ  aldosterone  
o Ĺ renina:   ƐƚĞŶŽƐŝ ĚĞůů͛ĂƌƚĞƌŝĂ ƌĞŶĂůĞ,   tumore   secernente   renina,   ipertensione  
maligna  
o Ļrenina:  iperaldosteronismo  primario  
x =  aldosterone  
o Ĺ  cortisolo:  Cushing  
o =  cortisolo:  Liddle,  liquirizia  

Terapia  
La   correzione   urgente   ma   cauta   del   potassio   deve   essere   considerata   in   pazienti   con   grave   ipopotassiemia  
redistributiva  (<2,5)  o  quando  ci  sono  delle  complicanze  gravi;  si  ha  però  rischio  di  iperpotassiemia.  La  potassiemia  va  
quindi  controllata  in  maniera  scrupolosa.  

x correzione  
o KCl  per  via  orale  ĚŝďĂƐĞ͕ŝŶƉĂƌƚŝĐŽůĂƌĞƐĞĐ͛ğĂůĐĂůŽƐŝŵĞƚĂďŽůŝĐĂ  
ƒ endovena   solo   se   è   impossibile   la   somministrazione   orale,   20-­‐40   mmol/L,   in   soluzione   salina   (non  
glucosata:  il  conseguente  aumento  di  insulina  peggiora  la  situazione!)    
o bicarbonato  o  citrato  di  potassio  ƐĞĐ͛ğĂŶĐŚĞĂĐŝĚŽƐŝŵĞƚĂďŽůŝĐĂ  
o fosfato  di  potassio  oƌĂůĞŽĞǀƐĞĐ͛ğĂŶĐŚĞŝƉŽĨŽƐĨĂƚĞŵŝĂ  
o magnesio  ŽƌĂůĞŽĞǀƐĞĐ͛ğŝƉŽŵĂŐŶĞƐĞŵŝĂ͕ĞƐƐĞŶnjŝĂůĞƉĞƌĐŚĠĂůƚƌŝŵĞŶƚŝŶŽŶƐŝƌŝƉƌŝƐƚŝŶĂŶĞĂŶĐŚĞŝůƉŽƚĂƐƐŝŽ  

                                                                                                                         
52
 no  pot  no  tea  
53
 TTKG  =  [K]u/[K]p  *  osmolp/osmolu.  Dovrebbe  essere  <4  in  ipopotassiemia  e  >7  in  iperpotassiemia.  
83  
 

Iperpotassiemia  (iperkaliemia)  
Potassio   plasmatico  >5,5   mEq/L.   Si   verifica   nel   10%   dei   pazienti   ospedalizzati.  È   dovuta   generalmente   alla  riduzione  
ĚĞůů͛ĞƐĐƌĞnjŝŽŶĞƌĞŶĂůĞ͘  

Cause  
x pseudo-­‐iperpotassiemia:  per  efflusso  cellulare  in  leucocitosi  o  trombocitosi,  o  per  emolisi  in  vitro  
x aumentato  introito:  dietetico  (pomodori,  banane,  agrumi;  può  contribuire);  iatrogenico.  
x uscita  dalle  cellule  (redistributiva)  
o acidosi  
o iperosmolarità:  glucosio,  mannitolo,  destrosio,  mezzo  di  contrasto  
o ɴ-­‐bloccanti  
o digitale  
o necrosi  massiva:  rabdomiolisi,  ustioni,  lisi  tumorali,  emorragie  interne,  emolisi  
x Ļ  escrezione  
o insufficienza  renale  
o inibizione  asse  RAA:  ACE-­‐inibitori,  sartanici,  aliskiren,  antialdosteronici  e  diuretici  anti-­‐ENaC  
o ipoaldosteronismo  (o  resistenza  renale  ai  mineralcorticoidi)  
ƒ malattie  tubulo-­‐interstiziali  (LES,  malattia  a  cellule  falciformi,  uropatia  ostruttiva)  
ƒ nefropatia  diabetica  
ƒ ĨĂƌŵĂĐŝ͗&E^͕ɴ-­‐bloccanti,  ciclosporina,  tacrolimus  
ƒ insufficienza  renale  cronica  
ƒ resistenza  ereditaria  
o insufficienza  surrenalica  primitiva:  Addison,  infezioni  (HIV,  TBC),  infiltrazioni,  farmaci  (es.  eparina),  
sindromi  ereditarie,  sindrome  da  anticorpi  anti-­‐fosfolipidi  
o ridotto  apporto  distale  di  K:  insufficienza  cardiaca,  ipovolemia  

Manifestazioni  
ƵŶ͛ĞŵĞƌŐĞŶnjĂŵĞĚŝĐĂƉĞƌŝƐƵŽŝĞĨĨĞƚƚŝƐƵůĐƵŽƌĞ͘^ŝƉŽƐƐŽŶŽĂǀĞƌĞĚŝǀĞƌƐĞĂƌŝƚŵŝĞ͗
bradicardia  sinusale,  blocco  SA,  fibrillazione  ventricolare,  arresto  cardiaco.  

ECG:  onde  T  appuntite;  poi  diminuzione  e  scomparsa  onda  P;  poi  slargamento  QRS.  
Si  hanno  anche  effetti  sul  muscolo  scheletrico,  con  astenia  e  anche  paralisi  flaccida.  
ĹK  lieve  e  grave  
Valutazione  
Occorre  innanzitutto  valutare  se  Đ͛ğďŝƐŽŐŶŽĚŝƵŶƚƌĂƚƚĂŵĞŶƚŽĚŝĞŵĞƌŐĞŶnjĂ;<хϲŽĂůƚĞƌĂnjŝŽŶŝ'Ϳ͖ƋƵŝŶĚŝƐŝƌŝĐĞƌĐĂ
la  causa.  
ŶĂŵŶĞƐŝ ĞĚ ĞƐĂŵĞ ŽďŝĞƚƚŝǀŽ͘ &ĂƌŵĂĐŝ ;ɴ-­‐bloccanti,   digitale,   chemioterapici   antitumorali,   ACE-­‐inibitori,   sartanici,  
aliskiren,  antialdosteronici,  diuretici  risparmiatori  del  potassio,  FANS,  ciclosporina,  tacrolimus,  eparina),  dieta,  fattori  
di  rischio  per  insufficienza  renale.  Lab  come  per  ipoK:  elettroliti,  azoto,  creatinina,  osmolalità,  Mg  e  Ca,  emocromo,  pH  
urinario.  

x K  urinario  <40  mmol/die  


o Ļ  gradiente  di  potassio  transtubulare  (<5):  ridotta  secrezione  distale  di  potassio  
ƒ resistenza  al  fludrocortisone:  resistenza  tubulare  (farmaci  o  altro)  
ƒ sensibilità  al  fludrocortisone:  ipoaldosteronismo  
ƒ Ĺ  renina:  insufficienza  surrenalica,  ACE-­‐I  o  sartanici,  eparina  
ƒ Ļ  renina:  DM,  nefropatie  tubulo-­‐interstiziali,  FANS,  ɴ-­‐bloccanti  
o Ĺ  gradiente  di  potassio  transtubulare  (>8):  ridotto  flusso  tubulare:  insufficienza  renale  
84  
 

Terapia  
1. antagonismo  degli  effetti  cardiaci  
a. calcio  Ğǀ͗ƌŝĚƵĐĞů͛ĞĐĐŝƚĂďŝůŝƚăƐĞŶnjĂĂůƚĞƌĂƌĞŝůƉŽƚĞŶnjŝĂůĞĚŝƌŝƉŽƐŽ͘ϭϬŵ>ĐĂůĐŝŽŐůƵĐŽŶĂƚŽ10%  in  
2-­‐ϯŵŝŶƵƚŝ͕ƐŽƚƚŽŵŽŶŝƚŽƌĂŐŐŝŽĐĂƌĚŝĂĐŽ͘>͛ĞĨĨĞƚƚŽŝŶŝnjŝĂĚŽƉŽϭ-­‐3  minuti  e  dura  30-­‐60  minuti;  va  
ƌŝƉĞƚƵƚŽƐĞŶŽŶĐ͛ğŵŝŐůŝŽƌĂŵĞŶƚŽŽƐĞĐ͛ğŶƵŽǀŽƉĞŐŐŝŽƌĂŵĞŶƚo.  
i. ů͛ĞǀĞŶƚƵĂůĞŝƉĞƌĐĂůĐĞŵŝĂpuò  aggravare  gli  effetti  tossici  della  digitale,  quindi  cautela.  
2. rapida  riduzione  della  potassiemia  tramite  ingresso  nelle  cellule  
a. insulina   regolare   10   U   endovena   seguita   immediatamente   da   50   mL   di   destrosio   al   50%;  
ů͛ĞĨĨĞƚƚŽ ŝnizia   in   10-­‐20   minuti   e   dura   4-­‐ϲ ŽƌĞ͘ ^Ğ Đ͛ğ ŝƉĞƌŐůŝĐĞŵŝĂ ŵĂƌĐĂƚĂ ŶŽŶ Ɛŝ ĚĞǀĞ
somministrare  il  destrosio.  
b. ɴ2-­‐agonisti͕ ƐŽůŽ ƐĞ ĂƐƐŽĐŝĂƚŝ Ăůů͛ŝŶƐƵůŝŶĂ͘ ^ŽŶŽ ĞĨĨŝĐĂĐŝ ŵĂ ƉŽĐŽ ƵƐĂƚŝ͘ ůďƵƚĞƌŽůŽ ϭϬ-­‐20   mg  
nebulizzati  in  4  mL  di  salina  normale,  inalati  in  10  minuti.  
c. ΀ďŝĐĂƌďŽŶĂƚŽĚŝƐŽĚŝŽ͗ƐŽůŽƐĞĐ͛ğŝŶĚŝĐĂnjŝŽŶĞƉĞƌĂĐŝĚŽƐŝŵĞƚĂďŽůŝĐĂ΁  
3. rimozione  del  potassio  
a. resine  a  scambio  cationico,  es.  sodio  polistirene  sulfonato.  Effetto  lento.  
b. diuretici  
c. dialisi,  efficace  ma  lenta.  

Equilibrio  acido/base  
Il  pH  arterioso  è  mantenuto  tra  7,35  e  7,45  grazie  a  sistemi  tampone  extra-­‐  e  intracellulari  e  meccanismi  di  regolazione  
renali  e  respiratori  (bicarbonato  e  CO2).  
>ĞĐŽŵƉŽŶĞŶƚŝŵĞƚĂďŽůŝĐŚĞĞƌĞƐƉŝƌĂƚŽƌŝĞĐŚĞĚĞƚĞƌŵŝŶĂŶŽŝůƉ,ĞŵĂƚŝĐŽƐŽŶŽĚĞƐĐƌŝƚƚĞĚĂůů͛ĞƋƵĂnjŝŽŶĞĚŝ,-­‐H:  
‫ܱܥܪ‬ଷ ି
‫ ܪ݌‬ൌ ͸ǡͳ ൅ ݈‫݃݋‬  
ܲܽ஼ைଶ  ൈ ͲǡͲ͵Ͳͳ
In  generale  la  produzione  di  CO2  e  la  sua  escrezione  sono  allo  stesso  livello,  in  modo  di  mantenere  una  pressione  di  
CO2   di   40   mmHg.   Un   aumento   della   CO2   è   causato   generalmente   da   ipoventilazione   e   una   sua   riduzione   da  
iperventilazione;   queste   alterazioni   possono   essere   indice   di   alterato   controllo   nervoso   della   respirazione   o  
ĐĂŵďŝĂŵĞŶƚŝĐŽŵƉĞŶƐĂƚŽƌŝĂƵŶ͛ĂůƚĞƌĂnjŝŽŶĞƉƌŝŵŝƚŝǀĂĚĞůďŝĐĂƌďŽŶĂƚŽƉůĂƐŵĂƚŝĐŽ͘  
I   reni   regolano   il   bicarbonato   plasmatico   con   tre   processi:   riassorbimento   del   bicarbonato   filtrato   (che   richiede  
ů͛ĞƐĐƌĞnjŝŽŶĞ Ěŝ ƉƌŽƚŽŶŝͿ,   formazione   di   acido   titolabile,   escrezione   di   ammonio   nelle   urine.   Fisiologicamente   il  
bicarbonato  è  intorno  a  24  mmol/L.  

Le   alterazioni   cliniche   piú   comuni   sono   semplici,   cioè   acidosi   o   alcalosi,   metabolica   o   respiratoria.   Meno  
frequentemente  sono  miste,  cioè  sono  causate  da  alterazioni  contemporaneamente  del  rene  e  del  polmone.  
Le  alterazioni  nella  CO2  e  nel  HCO3-­‐  determinano  delle  alterazioni  compensatorie,  la  cui  entità  può  essere  predetta  con  
delle  equazioni  ŽĐŽŶĚĞŝŶŽŵŽŐƌĂŵŵŝ͘^ĞůĂƉƌĞĚŝnjŝŽŶĞğĞƌƌĂƚĂǀƵŽůĚŝƌĞĐŚĞů͛ĂůƚĞƌĂnjŝŽŶĞğŵŝƐƚĂ͘  

Alterazione   pH   HCO3-­‐   PaCO2   stima  di  risposta  compensatoria  


Acidosi  metabolica   љ   љ   љ   PaCO2  §  HCO3-­‐  +  15  
Alcalosi  metabolica   ј   ј   ј   PaCO2  §  HCO3-­‐  +  15  
Acidosi  respiratoria   љ   ј   ј   HCO3-­‐  јĚŝϬ͕ϮŵŵŽůͬ>ƉĞƌŽŐŶŝјĚŝWĂK2  di  1  mmHg  (in  acuto)  
Alcalosi  respiratoria   ј   љ   љ   HCO3-­‐  љĚŝϬ͕ϮŵŵŽůͬ>ƉĞƌŽŐŶŝљĚŝWĂK2  di  1  mmHg  (in  acuto)  
 
 
85  
 

EĞůůĂǀĂůƵƚĂnjŝŽŶĞĚĞůů͛ĞƋƵŝůŝďƌŝŽĂĐŝĚŽͬďĂƐĞƐŝĚĞǀĞƉƌŽĐĞĚĞƌĞƉĞƌƉĂƐƐŝ͗  
1. effettuare  contemporaneamente  emogasanalisi  e  valutazione  elettrolitica  
2. ĐŽŵƉĂƌĂƌĞŝůďŝĐĂƌďŽŶĂƚŽŶĞůůĞĚƵĞĂŶĂůŝƐŝƉĞƌǀĞƌŝĨŝĐĂƌĞů͛ĂĐĐƵƌĂƚĞnjnjĂ  
3. identificare  il  tipo  di  disturbo  acido-­‐base  
4. calcolare  il  gap  anionico.  Rappresenta  gli  anioni  non  misurati,  normalmente  è  10-­‐12  mmol/L;  si  calcola  cosí:  
GA  =  Na  ʹ  (Cl  +  HCO3).  
5. se   aumenta   il   gap   anionico   ǀƵŽů ĚŝƌĞ Ž ĐŚĞ Đ͛ğ ƵŶ ĂƵŵĞŶƚŽ Ěŝ ĂŶŝŽŶŝ ŶŽŶ ŵŝƐƵƌĂƚŝ ;ĐŽƌƉŝ ĐŚĞƚŽŶŝĐŝ,   acido  
ůĂƚƚŝĐŽͿŽĐŚĞĐ͛ğƵŶĂĚŝŵŝŶƵnjŝŽŶĞĚŝĐĂƚŝŽŶŝŶŽŶŵŝƐƵƌĂƚŝ;Ă͕DŐ͕<Ϳ  
6. ƐĞƐŝƌŝĚƵĐĞŝůŐĂƉĂŶŝŽŶŝĐŽǀƵŽůĚŝƌĞĐŚĞĐ͛ğƵŶĂƵŵĞŶƚŽĚŝĐĂƚŝŽŶŝ͕ƵŶĐĂƚŝŽŶĞĂŶŽŵĂůŽ;>ŝ͕/ŐͿ͕ƵŶĂƌŝĚuzione  
ĚŝĂůďƵŵŝŶĂ͕ƵŶ͛ŝƉĞƌǀŝƐĐŽƐŝƚăĞŵĂƚŝĐĂŽƵŶ͛ŝƉĞƌůŝƉŝĚĞŵŝĂĐŚĞŵĂƐĐŚĞƌĂŶŽŝůƐŽĚŝŽĞŝůĐůŽƌŽ  
7. stimare  la  risposta  compensatoria  
8. ĐŽŵƉĂƌĂɷŐĂƉĂŶŝŽŶŝĐŽĞɷďŝĐĂƌďŽŶĂƚŽ:  consentono  di  identificare  eventuali  disturbi  misti  in  cui  pH,  PaCO2  
e  HCO3-­‐  sono  normali.  
9. compara  il  cambio  nel  Cl  con  il  cambio  nel  Na.  

Acidosi  metabolica  
>͛ĂĐŝĚŽƐŝŵĞƚĂďŽůŝĐĂƐŝpuò  verificare  per:  

x Ĺ  produzione  endogena  di  acidi  (es.  lattato,  corpi  chetonici)  


x Ļ  escrezione  di  acidi:  (es.  insufficienza  renale)  
x perdita  di  bicarbonato:  (es.  diarrea)  
La  riduzione  del  pH  è  associata  a  iperventilazione,  ad  alterazioni  vascolari  e  a  depressione  del  SNC.  

Acidosi  metaboliche  ad  alto  gap  anionico  


Quattro  cause  principali.  Nella  valutazione  iniziale  si  chiede  al  paziente  se  ha  assunto  farmaci  o  tossine,  si  determina  la  
presenza  di  diabete  mellito,  alcolismo,  segni  di  uremia  e  determinazione  di  urea  e  creatinina,  si  valuta  la  presenza  di  
cristalli  di  ossalato  nelle  urine.  
1. acidosi   lattica.   Si   verifica   per   ipoperfusione   tessutale   (insufficienza   cardiaca,   shock,   anemia   grave)   o   per  
disturbi   del   metabolismo   aerobico   (diabete   mellito,   tumori   maligni,   inibitori   della   RT,   nefropatia   cronica   o  
insufficienza  epatica,  deficit  di  tiamina,  infezioni  gravi,  epilessia).  
2. chetoacidosi.  Si  verifica  per  diabete  mellito  scompensato  e  per  alcolismo.  
3. farmaci  e  tossine  
a. salicilati  
b. alcoli:  glicole  etilenico  (antigelo),  metanolo,  isopropanolo.  
4. insufficienza  renale.  Si  ha  ridotta  escrezione  di  acidi  e  quindi  ridotta  rigenerazione  di  bicarbonato.  

Acidosi  metaboliche  a  gap  anionico  normale/ridotto  ;͞ŝƉĞƌĐůŽƌĞŵŝĐĂ͟Ϳ  


In  queste  acidosi  il  gap  anionico  non  aumenta  perché  la  perdita  di  bicarbonato  è  compensata  da  un  aumento  di  cloro.  

x perdita  di  bicarbonato  gastrointestinale:  diarrea,  drenaggi  


x perdita  di  bicarbonato  renale  (acidosi  tubulare  renale)  
o con  ipopotassiemia  
ƒ prossimale  (tipo  2),  ƉĞƌŝŶŝďŝnjŝŽŶĞĚĞůů͛ĂŶŝĚƌĂƐŝĐĂƌďŽŶŝĐĂŽĚĞůĐŽŶƚƌŽƚƌĂƐƉŽƌƚŽEĂͬ,͖ può  
anche  essere  indotta  da  farmaci  (acetazolamide,  topiramato)  
ƒ distale   (tipo   1),   per   ridotta   secrezione   di   H+,   per   nefropatie   o   farmaci   (anfotericina   B,  
ifosfamide)  
o con  iperpotassiemia  
ƒ generalizzata   distale   (tipo   4),   per   ridotta   secrezione   di   H+   e   K+,   per   deficit   di  
mineralcorticoidi  o  resistenza  o  nefropatia  tubulo-­‐interstiziale.  
86  
 

x iperpotassiemia  indotta  da  farmaci  (diuretici  risparmiatori  di  potassio,  trimetoprim,  pentamidina,  ACE-­‐I,  ARB,  
FANS,  ciclosporina,  tacrolimus)  
x altro  (carichi  di  acido,  escrezione  di  corpi  chetonici,  rapida  somministrazione  di  fisiologica,  ippurato,  resine   a  
scambio  cationico)  

La   terapia   nei   casi   di   acidosi   grave   (pH   <7,10)   si   basa   sulla   somministrazione   di   bicarbonato   di   sodio   per   via  
endovenosa  (50-­‐100  mEq  in  30-­‐ϰϱŵŝŶƵƚŝͿ͕ĐŽŶů͛ŽďŝĞƚƚŝǀŽĚŝƉŽƌƚĂƌĞŝůƉ,Ăϳ͕Ϯ;ŶŽŶŽůƚƌĞ͕ƉĞƌĐŚĠƵŶĂǀŽůƚĂƌŝƐŽůƚĂůĂ
causĂĚŝĂĐŝĚŽƐŝƐŝƉŽƚƌĞďďĞƉĂƐƐĂƌĞĂůů͛ĂůĐĂůŽƐŝŝĂƚƌŽŐĞŶĂͿ͘  
Occorre   inoltre   rimuovere   o   correggere   la   causa   di   acidosi.   Nella   chetoacidosi   diabetica   il   trattamento   si   basa  
ƐƵůů͛ŝŶƐƵůŝŶĂ;ŝŶŝďŝƐĐĞůĂĨŽƌŵĂnjŝŽŶĞĚŝĐŚĞƚŽŶŝͿĞƐƵůů͛ŝĚƌĂƚĂnjŝŽŶĞĐŽŶƐŽůƵnjŝŽŶĞĨŝƐiologica.  Per  la  chetoacidosi  alcolica  
soluzione   glucosata   (5%   destrosio   in   soluzione   fisiologica).   EĞůů͛ĂĐŝĚŽƐŝ ĚĂ ƐĂůŝĐŝůĂƚŝ ůĂǀĂŐŐŝŽ ŐĂƐƚƌŝĐŽ ĐŽŶ ƐŽůƵnjŝŽŶĞ
fisiologica,   quindi   carbone   attivo   tramite   sondino   nasogastrico.   Nelle   forme   da   glicole   polietilenico   e   metanolo:  
supplementi  di  tiamina  e  piridossina,  etanolo  o  fomepizolo  ev  (competono),  dialisi.    

Alcalosi  metabolica  
Alto  pH,  alto  HCO3-­‐,  alta  PaCO2  per  ipoventilazione  compensatoria.    

>͛ĂůĐĂůŽƐŝŵetabolica   si   può   verificare   per   perdita   di   acidi   (es.   HCl   nel   vomito)   o   per   aumento   di HCO3-­‐  (prev.   per Ļ  
escrezione  renale  di  HCO3-­‐,  ma  anche  per  carichi  esterni).  Ad  ogni  modo,  perché  persista,  è  necessario  che  divenga  
deficitario  il  meccanismo  di  compenso  della  riduzione  del  riassorbimento  di  bicarbonato.   La  condizione  è  peggiorata  
ĚĂůů͛ŝƉŽǀŽůĞŵŝĂĞĚĂůů͛ŝƉŽƉŽƚĂƐƐŝĞŵŝĂ;ƐĐĂŵďŝŽ<ͬ,Ϳ͕  
Produce  alterazioni  del  sistema  nervoso  centrale  e  periferico  come  confusione  mentale,  crisi  epilettiche,  parestesie,  
ĐƌĂŵƉŝŵƵƐĐŽůĂƌŝ͕ƚĞƚĂŶŽ͕ĂƌŝƚŵŝĞ;ƐŽŵŝŐůŝĂĂůů͛ŝƉŽĐĂůĐĞŵŝa).  

Cause:  

x carichi  esterni  di  HCO3-­‐  


o somministrazione  di  basi  
o sindrome   latte-­‐alcalini:  ingestione  di   quantità  cospicue   di   latte   e   antiacidi  contenenti  carbonato   di  
ĐĂůĐŝŽĞďŝĐĂƌďŽŶĂƚŽĚŝƐŽĚŝŽ͗ů͛ŝƉĞƌĐĂůĐĞŵŝĂƉƌŽǀŽĐĂƐĞĐƌĞnjŝŽŶĞƚƵďƵůĂƌĞĚŝƉƌŽƚŽŶŝĞŝŶŝďŝƐce  il  PTH  
facilitando  quindi  il  riassorbimento  tubulare  di  bicarbonato.  
x perdita  di  acidi  gastrointestinale:  vomito,  aspirazione  gastrica  
x perdita  di  acidi  renale  
o diuretici:  provocano  una  riduzione  del  riassorbimento  del  Na  e  quindi  maggior  apporto  distale  di  Na,  
scambio  Na/H  ed  eliminazione  H,  con  aumento  della  rigenerazione  di  HCO3-­‐.    
o recupero  da  acidosi  metabolica  
o recupero  da  acidosi  respiratoria  
o iperaldosteronismo   primario:   la   deplezione   di   K   stimola   la   secrezione   tubulare   di   H   e   quindi   la  
rigenerazione  di  HCO3-­‐.  
>Ă ƚĞƌĂƉŝĂ ƉƌĞǀĞĚĞ ůĂ ƌŝŵŽnjŝŽŶĞ ĚĞůůĂ ĐĂƵƐĂ͕ ƐĞ ƉŽƐƐŝďŝůĞ ;ƚĞƌĂƉŝĂ ĚĞůů͛ŝƉĞƌĂůĚŽƐƚĞƌŽŶŝƐŵŽ͕ ŝŶŝďŝƚŽƌŝ ĚĞůůĂ ƉŽŵƉĂ
protonica  se  vomito,  cessazione  dei  diuretici;  se  è  presente  ipovolemia  è  utile  somministrare  soluzione  fisiologica,  se  è  
presente  ipopotassiemia  occorre  correggerla  (v.)  

Acidosi  respiratoria  
љƉ,͕ј,Kϯ-­‐͕јWĂKϮ  

Cause  (ipoventilazione)  

x alterato   controllo   centrale   della   ventilazione:   anestetici,   morfina,   sedativi,   traumi   cranici,   tumori   cerebrali,  
ictus,  infezioni  cerebrali  
x malattie  polmonari  gravi:  BPCO,  asma  bronchiale,  enfisema,  pneumoconiosi,  ARDS  
x deficit  neuromuscolare:  poliomielite,  cifoscoliosi,  miastenia,  Guillan-­‐Barré,  distrofia  muscolare,  SLA  
87  
 

x varie:  obesità  
Un   aumento  rapido   della  PaCO2   può  provocare   ansia,   dispnea,   confusione,   psicosi,   allucinazioni   e   può   progredire   a  
ĐŽŵĂ͘ hŶ͛ŝƉĞƌĐĂƉŶŝĂ ĐƌŽŶŝĐĂ può   determinare   disturbi   del   sonno,   perdita   di   memoria,   sonnolenza,   cambi   di  
personalità,  deficit  di  coordinazione,  disturbi  motori.  
>ĂĚŝĂŐŶŽƐŝƌŝĐŚŝĞĚĞƵŶ͛ĞŵŽŐĂƐĂŶĂůŝƐŝ͕Ănamnesi  e  esame  obiettivo,  studi  di  funzionalità  polmonare.  
La   terapia   per   le   forme   acute   può   ƌŝĐŚŝĞĚĞƌĞ ů͛ŝŶƚƵďĂnjŝŽŶĞ ƚƌĂĐŚĞĂle   e   la   ventilazione   assistita   e   una   cauta  
ŽƐƐŝŐĞŶŽƚĞƌĂƉŝĂ͘ >Ă WĂKϮ ĂŶĚƌĞďďĞ ƌŝĚŽƚƚĂ ĐŽŶ ƌŝŐƵĂƌĚŽ ƉĞƌ ĞǀŝƚĂƌĞ ƵŶ͛ĂůĐĂůŽƐŝ͘ >Ğ ĨŽƌme   croniche   sono   spesso  
difficili  da  correggere;  possono  essere  utili  delle  tecniche  per  migliorare  la  funzionalità  polmonare.  

Alcalosi  respiratoria  
јƉ,͕љ,Kϯ-­‐͕љWĂKϮ  
Cause  (iperventilazione)  

x alterato   controllo   nervoso:   dolore,   ansia   (sindrome   da   iperventilazione),   psicosi,   febbre,   ictus,   infezioni  
cerebrali,  tumori,  traumi  
x ipossia:  alte  altitudini,  polmonite,  edema  polmonare,  anemia  grave  
x farmaci  o  ormoni:  progesterone,  gravidanza,  salicilati,  metilxantine,  insufficienza  cardiaca  
x stimolazione  di  recettori  toracici:  emotorace,  embolia  polmonare  
x altro:  setticemia,  insufficienza  epatica,  iperventilazione  meccanica,  esposizione  a  calore,  recupero  da  acidosi  
metabolica  
Le  manifestazioni  includono  vertigini,  confusione,  crisi  epilettiche,  alterazioni  cardiovascolari  in  pazienti  anestetizzati  o  
sotto  ventilazione  meccanica.  
>͛ĂůĐĂůŽƐŝƌĞƐƉŝƌĂƚŽƌŝĂĐƌŽŶŝĐĂğŝůĚŝƐƚƵƌďŽĂĐŝĚŽ-­‐base  piú  comune  nei  pazienti  critici.  
La  terapia  è  diretta  a  migliorare  il  disturbo  scatenante.  Se  è  causata  dalla  ventilazione  meccanica  è  possibile  alterare  le  
sue   impostazioni   (es.   frequenza,   volume   tidalico).   I   pazienti   con   sindrome   da   iperventilazione   devono   essere  
ƌĂƐƐŝĐƵƌĂƚŝĞ͕ĚƵƌĂŶƚĞů͛ĂƚƚĂĐĐŽĂĐƵƚŽ͕ƉŽƐƐŽŶŽƌĞƐƉŝƌĂƌĞŝŶƵŶƐĂĐĐŚĞƚƚŽĚŝĐĂƌƚĂƉĞƌĂďďĂƐƐĂƌĞŝůƉ,͘  

Casi  clinici  
Caso  clinico  1  (acido-­‐base)  
Una  ragazza  di  23  anni  si  ricovera  dopo  una  storia  di  tre  giorni  di  febbre,  tosse  produttiva  con  emottisi,  confusione  e  
ŝƉŽƚĞŶƐŝŽŶĞ ŽƌƚŽƐƚĂƚŝĐĂ͘ /Ŷ ĂŶĂŵŶĞƐŝ͕ ĚŝĂďĞƚĞ ŵĞůůŝƚŽ ƚŝƉŽ /͘ >͛ĞƐĂŵĞ ŽďŝĞƚƚŝǀŽ ŶĞů  ŚĂ ŝĚĞŶƚŝĨŝĐĂƚŽ ŝƉŽƚĞŶƐŝŽŶĞ  
ortostatica,  tachicardia,  respiro  di  Kussmaul,  alito  acetonico  e  addensamento  polmonare  basale  destro.  

Es.  sangue       Emogasanalisi         Es.  urine       Rx  torace  


Na   130   mEq/L   pH   7,39     chetoni   +   infiltrato  basale  dx  
K   5   mEq/L   pCO2   24   mmHg   glucosio   +    
Cl   96   mEq/L   pO2  (aria  amb.)   89   mmHg        
-­‐
azoto  ureico   20   mg/dL   HCO3   14   mEq/L        
creatinina   1,3   mg/dL   gap  anionico   20   mEq/L        
glucosio   450   mg/dL              
chetoni   ++                

Approccio  diagnostico  
Si  procede  per  fasi:  
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Ȭȱ ћѡђџћюȱȬ
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A. FUSCO
INDICE

Introduzione (capitoli 1 e 2) ........................................................... 4

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)UDJLOLWjYDOXWD]LRQHPXOWLGLVFLSOLQDUH 90' HUHWHGHLVHUYL]L

FDSLWROLH 
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LDWURJHQR FDSLWROR 


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ћѡџќёѢѧіќћђ  ƐѐюѝіѡќљіȱſȱђȱƀƑ
Invecchiamento della popolazione: nei paesi industrializzati e a partire dalla seconda metà del XX secolo è in
corso e si sta in realtà finalizzando una vera e propria rivoluzione demografica. La rappresentazione grafica della
popolazione per fasce d’età, che fino al 1950 era assimilabile ad una piramide, assume oggi l’aspetto di un fuso, e nel
2030 sarà una piramide rovesciata.
I motivi di questa rivoluzione sono fondamentalmente due:
 Aumento dell’aspettativa di vita: nell’Ottocento l’aspettativa di vita era di poco superiore ai 40 anni, oggi
sfiora gli 80. I motivi sono principalmente una forte riduzione della mortalità infantile e giovanile, grazie al
miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie e i progressi in campo medico (antibiotici e vaccini), e una
riduzione della mortalità senile grazie alle misure di prevenzione e terapia delle malattie cardiovascolari
e non solo.
 Riduzione della natalità: soprattutto per la maggiore possibilità di prevenire le nascite indesiderate. In
Italia il tasso di natalità è molto basso, in aumento con l’immigrazione.
L’Italia come tutti i paesi occidentali si trova pertanto nella fase finale della transizione demografica ed è attualmente,
con il 20% di anziani, la nazione più vecchia dopo il Giappone. Le previsioni sono di un mantenimento di questo
primato anche in futuro. Le province più vecchie sono soprattutto al centro-nord, mentre al sud le più giovani (in
primis la provincia di Napoli).
Problemi dell’invecchiamento: l’aumento dell’aspettativa di vita ha causato la nascita e lo sviluppo di una nuova
categoria di malati, anziani. Le principali problematiche sono:
 Comorbilità e multipatologia: comorbilità indica la presenza di altre patologie in pazienti affetti da una
patologia cronica. Il termine multi patologia indica invece la compresenza di più patologie croniche in
uno stesso soggetto che pertanto dovrà essere valutato nella sua interezza, senza fare riferimento ad una
patologia indice e valutando invece le conseguenze di tutte le patologie sulla sua salute. Ha un impatto
molto rilevante sul sistema sanitario.
 Fragilità: condizione di estrema vulnerabilità caratterizzata da: elevata suscettibilità a eventi acuti,
rischio iatrogeno ed eventi avversi, fluttuazioni rapide dello stato di salute, lenta capacità di recupero,
continua richiesta di intervento medico, alto rischio di mortalità. Non è un sinonimo di disabilità.
 Disabilità: qualsiasi limitazione o perdita di capacità di compiere un’attività nel modo o nell’ampiezza
considerati normali per un essere un umano. L’incapacità di compiere una o più BADL (azioni basilari di vita
quotidiana) inficia molto la qualità della vita. Si distinguono due forme di disabilità: Catastrofica: si sviluppa
in un tempo < 2 anni con immediata perdita di 3 o più BADL (più comune negli uomini). Le sue cause
principali sono gli ictus e le fratture del femore. Progressiva: ad insorgenza lenta (> 2 anni) e con perdita più
tardiva delle BADL (più comune nelle donne). Le sue cause principali sono le artropatie croniche, diabete,
arteriopatie degli arti inferiori. Importante la demenza.
Invecchiamento al femminile: le donne vivono mediamente più a lungo degli uomini e sono pertanto coinvolte
più frequentemente e più a lungo da patologie croniche. Vanno incontro più facilmente a condizioni di disabilità e
più a lungo vi devono sopravvivere.

Medicina difensiva: è quella medicina nata a causa dell’aumento di denunce per “malpractice” la quale, nata negli
Stati Uniti, è oggi sempre più diffusa anche in Italia. Il medico evita interventi rischiosi e decide più spesso per
approcci conservativi o per eseguire un maggior numero di inutili test per sicurezza. Questo comporta oltre che un
aggravio economico sul sistema sanitario, anche un disagio per i pazienti o effettivamente degli errori che, nel loro
complesso, costituiscono questi sì un tipo di “malpractice”. Data la complessità e il maggiore rischio iatrogeno nei
pazienti anziani, questi ultimi sono tra i soggetti maggiormente danneggiati da questa tendenza.

Medicina della complessità: oggi le malattie croniche sono il problema dominante della sanità pubblica, anche
dal punto di vista economico. Il concetto di medicina della complessità si contrappone alla medicina centrata sulla
malattia o medicina della semplicità, un approccio che può essere valido in un paziente con una sola malattia
o una condizione di polipatologia stabile, ma non in un anziano. La medicina della complessità richiede invece
di definire di ciò che è trattabile e ciò che non lo è, stabilire l’ordine per importanza e trattabilità delle patologie,
individuare gli obiettivi di cura; un approccio complesso al paziente nella sua interezza che è necessario in un
soggetto in invecchiamento avanzato con condizioni di comorbilità e magari di disabilità o fragilità. In questi casi
anche le linee guida e la medicina basata sull’evidenza (l’EBM, che utilizza i risultati degli RCT) non risulta del tutto

4
ђџіюѡџіюȱѝђџȱ ћѡђџћю

applicabile, in parte perché gli stessi studi spesso escludono proprio i soggetti anziani e con multipatotologia, in
parte perché le linee guida tendono a semplificare la complessità della medicina e non tengono conto dell’unicità.
Partendo proprio dall’unicità dell’individuo si è sviluppato il concetto di medicina narrativa. La medicina narrativa
è un approccio che arricchisce l’atto medico grazie ai racconti dei pazienti, dei medici e di quanti operano
nel pianeta salute. La capacità di raccontare, la maniera di raccontare, oltre ad arricchire la comprensione della
patologie di componenti emotive e personali oltre a quelle tecniche e scientifiche, è anche un modo per elevare il
rapporto medico-paziente ed aiutare a conoscere il soggetto che si ha di fronte. Si aggiunge così un piano soggettivo
che diventa fondamentale nel processo decisionale anche e soprattutto per valutare gli obiettivi, le priorità, la
compliance di un paziente complesso. L’obiettivo è quello di integrare gli aspetti della soggettività e dell’intuizione
alla metodologia dell’EBM.

Medicina geriatrica: la gerontologia è la scienza che studia i molteplici aspetti dell’invecchiamento. È premessa
fondamentale alla geriatria (termine coniato all’inizio del ‘900 da Nascher), scienza che si occupa dello studio e del
trattamento del paziente anziano complesso. La necessità di questa patologia è dovuta alla rapida espansione di
malattie croniche e debilitanti dovuta alla rivoluzione demografica. I nuovi pazienti necessitano pertanto a causa di
un’interazione tra diverse patologie croniche, condizioni di fragilità o disabilità, componenti psicologiche e sociali
peculiari, di una valutazione multidisciplinare (VMD). La VMD è uno strumento della geriatria atto a individuare e
descrivere tutti i bisogni assistenziali (funzionali, sociali, psichici, etc.) definendo il bisogno assistenziale globale,
superando quindi l’approccio della medicina tecnologica. La geriatria si propone pertanto come un modello di
medicina centrata sul malato anziché sulla malattia. Altro aspetto importante della geriatria è il tenere sempre
presente l’aspettativa di vita, la qualità di vita del paziente, il rapporto tra rischio (o disagio) e benefico, l’etica.

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ȱ юѧѧђљљіћі

ћѣђѐѐѕіюњђћѡќȱѓіѠіќљќєіѐќȱƐѐюѝіѡќљіȱƁȱђȱƂƑ
Invecchiamento: è un processo che induce molteplici modificazioni a carico di tessuti e apparati con una conseguente
perdita della capacità di adattarsi (omeostenosi, in contrapposizione con omeostasi). Non è un processo universale:
esistono piante, protozoi, vermi che non invecchiano. Può essere graduale (molti animali, uomo), rapido o lento.
Bisognerebbe forse distinguerlo dalla senescenza: insieme delle modificazioni associate all’età che si rifletto
negativamente sulla funzionalità e sulla capacità di sopravvivenza dell’individuo.
Significato biologico: vi sono due principali teorie sul significato biologico dell’invecchiamento:
 Teorie evolutive adattative: l’invecchiamento, sviluppatosi attraverso gerontogeni, sarebbe un processo
vantaggioso per la specie per aumentare il ricambio generazionale e quindi l’adattamento. Però in natura si
muore soprattutto in giovane età ed inoltre la selezione naturale dovrebbe nascere come un processo che
riguarda gli individui e solo poi la specie.
 Teorie evolutive non adattative: l’invecchiamento è solo un fenomeno casuale di “usura”, ossia un
“abbandono biologico” dopo l’età riproduttiva, ciò per cui si è “programmati”. Alcune teorie di questo tipo
sono:
o   Teoria dell’accumulo di mutazioni: l’invecchiamento sarebbe l’effetto dell’accumulo di casuale di
mutazioni di geni espressi in epoca post-riproduttiva.
o   Teoria dell’antagonismo pleiotropico: geni vantaggiosi ai fini della riproduzione sarebbero
dannosi in epoca post-riproduttiva (esempi sono l’ipertensione arteriosa per degenerazione calcifica
dei vasi o l’ipertrofia prostatica per gli androgeni).
o   Teoria del “soma usa e getta”: essendo le risorse energetiche finite e non infinite, ai fini della
conservazione della specie è privilegiata la funzione riproduttiva. Le cellule somatiche sarebbero
solo un contenitore per le cellule germinali.

Caratteristiche generali: nella specie umana l’invecchiamento è un processo universale, continuo e progressivo,
che si sviluppa con velocità diversa da soggetto a soggetto anche all’interno dello stesso soggetto nei vari organi
e apparati. È un processo eterogeneo: all’interno della stessa fascia d’età ogni individuo ha una sua età biologica,
ciascun organo ha una propria età biologica, e vi è eterogeneità anche all’interno dello stesso organo. L’invecchiamento
è caratterizzato pertanto da: variabilità inter e intraindividuale, confine non definito tra condizione fisiologica
e patologica, riduzione delle riserve funzionali, ridotta capacità di adattamento (omeostenosi), diminuita
capacità di recupero, maggiore suscettibilità alle malattie, aumentato rischio di morte.
L’anziano è un soggetto a massima individualità biologica, del quale non è possibile identificare un modello
paradigmatico di riferimento che sia espressione della normalità.
Classificazione dell’invecchiamento: si distinguono in sostanza tre tipologie di invecchiamento:
 Invecchiamento di successo: condizioni fisiche e mentali buone, riguarda una stretta minoranza di persone
di alto livello socio-economico e buono stile di vita.
 Invecchiamento in salute: progressiva riduzione delle capacità psicofisiche senza malattie.
 Invecchiamento associato a malattia: riguarda la maggior parte delle persone anziane. Progressivo
decadimento delle capacità psicofisiche in presenza di malattie e disabilità.

Fattori dell’invecchiamento: secondo la maggior parte degli studiosi la longevità della specie umana sarebbe
un limite non valicabile (maximum lifespan: 125 anni), ma negli ultimi anni c’è stato un progressivo allungamento
della speranza di vita. Questa dipende da vari fattori:
 Fattori genetici: la durata massima della vita è specie-specifica. Per di più influiscono parametri
antropometrici (peso del corpo e del cervello e soprattutto estensione delle aree associative cerebrali),
sesso femminile. A confermare il valore dei fattori genetici sono non solo queste considerazioni, ma anche
la simile aspettativa di vita tra gemelli monozigoti, la presenza di familiarità in caso di individui centenari,
l’esistenza di sindromi genetiche progeroidi come la sindrome di Hutchinson-Gilford (alterazione della
laminina del nucleoscheletro), la sindrome di Werner (alterazione dell’elicasi che comporta instabilità
genomica e aumento delle mutazioni), la sindrome di Down (aumentata presenza di placche amiloidi nel
cervello e altre alterazioni).
 Fattori ambientali: condizioni di vita. Ha un valore importante anche la terapia medica.
 Fattori comportamentali: dieta e soprattutto apporto calorico, attività fisica (aumenta l’aspettativa di
vita di circa due anni), fumo, alcool e droghe, fattori psicosociali.

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Pare che la genetica influisca per un 35% circa, ambiente, terapia e comportamento per un 65%.
Teorie dell’invecchiamento: come vi sono molte teorie sul perché si invecchia ve ne sono numerose anche sul
come si invecchia. Principalmente si distinguono tre gruppi di teorie, anche se nessuna è del tutto esauriente né
esclude le altre (ipotesi multifattoriale dell’invecchiamento):
1.   Teorie dell’orologio biologico: l’invecchiamento è considerato come un fenomeno di tipo sistemico in cui
uno specifico orologio biologico attribuisce una quota di tempo per la funzione riproduttiva, che sarebbe
quella principale. Tra queste:
a.   Teoria neuroendocrina: l’invecchiamento è una progressiva disregolazione del SNE, con
conseguente diminuzione delle capacità di omeostasi ed adattative.
b.   Teoria immunitaria: maggiore suscettibilità alle malattie per deficit immunitari.
c.   Teoria del “rate of living” e velocità metabolica: una delle più antiche, la durata massima della
specie dipenderebbe dall’intensità con cui si consuma energia.
2.   Teorie genetiche: il primum movens sarebbero modificazioni funzionali del genoma:
a.   Teoria del declino della stabilità genetica e delle mutazioni somatiche: alla base della senescenza
starebbe l’accumulo di danni genici non riparati.
b.   Teoria dei meccanismi epigenetici: il livello di metilazione del DNA si ridurrebbe con l’età e ciò è
stato associato sia all’invecchiamento che ad alcune patologie.
c.   Teoria del declino della funzione mitocondriale: i mitocondri di organismi invecchiati mostrano
un riduzione del numero e anomalie strutturali.
d.   Teoria dell’accorciamento dei telomeri: la telomerasi funziona durante la vita embrionale. Poi
i telomeri si accorciano progressivamente ad ogni divisione cellulare fino a raggiungere la soglia
critica della senescenza replicativa.
3.   Teorie stocastiche: danni molecolari casuali accumulati causano perdita di funzione:
a.   Teoria dell’accumulo di materiali di rifiuto: perdita di funzionalità per accumulo di materiali di
rifiuto nelle cellule, come le lipofuscine.
b.   Teoria dei legami crociati delle macromolecole: legami covalenti o idrogeno tra le macromolecole
intra ed extracellulari causerebbero una perdita di funzionalità.
c.   Teoria dello stress ossidativo: l’invecchiamento sarebbe causato dall’accumulo di danno ossidativo
sulle macromolecole. È una teoria di grande interesse e molti riscontri, anche vista la possibilità
di misurare questo stress ossidativo. Questo è dovuto alla produzione di radicali liberi o ROS
(soprattutto nei mitocondri) i quali possono causare danno a tutte le molecole biologiche. Gli
organismi sarebbero in equilibrio tra la produzione dei ROS e gli antiossidanti. In questo senso la
restrizione calorica pare aumentare la longevità, in base soprattutto ad una minore produzione
di ROS. I radicali liberi rientrano inoltre nella patogenesi dei molte patologie dell’invecchiamento
come: cataratta (foto-ossidazione delle proteine del cristallino), aterosclerosi (ossidazione LDL),
danno da ischemia-riperfusione, malattie neurodegenerative: nel Parkinson pare che i ROS
siano fondamentali per la morte dei neuroni della sub stantia nigra; nell’Alzheimer pare che la beta-
amiloide sia in grado di generare radicali liberi.
Invecchiamento femminile: la maggiore sopravvivenza della donna pare essere legata alla necessità di una
maggiore resistenza per la gravidanza e l’allattamento (fenomeno riscontrabile in gran parte del mondo animale).
Pare che influiscano fattori genetici (presenza del doppio cromosoma X che permette di compensare mutazioni),
fattori endocrini (maggiori estrogeni fornirebbero protezione cellulare), dimorfismo cerebrale, fattori immunitari
e socio-ambientali.

Espressioni generali dell’invecchiamento:


A) Invecchiamento cellulare:
 Membrane cellulari: si ha riduzione dei fosfolipidi, aumento del colesterolo e dunque del rapporto
colesterolo/fosfolipidi. Le conseguenze sono: ridotta fluidità di membrana, riduzione del trasporto
proteico e ridotta permeabilità agli elettroliti (soprattutto potassio). I risultati sono: disidratazione del
citoplasma e riduzione attività enzimatiche.
 Organuli citoplasmatici: Mitocondri: danni all’mtDNA, alterazioni di forma e volume, maggiore suscettibilità
agli agenti fisici e ridotta capacità di fosforilazione ossidativa Apparato di Golgi: frammentazione, riduzione
volume. Lisosomi: per ossidazione lipidi ed aumento della formazione di lipofuscine, uno dei segni di
invecchiamento cellulare.
 Nucleo: variazioni di forma e dimensione, aumento del rapporto nucleo/citoplasma, comparsa di inclusioni
7
ȱ юѧѧђљљіћі

citoplasmatiche e addensamento di cromatina e formazione di legami covalenti DNA-proteine.


Conseguenze: irrigidimento strutturale del DNA. Risultato: riduzione della capacità di protidosintesi.
Naturalmente queste alterazioni risultano più evidenti nei tessuti a basso indice re plicativo come il tessuto nervoso
(in cui si ha in effetti un forte depauperamento cellulare, anche 50-60%), meno evidenti in tessuti a cellule stabili,
praticamente irrilevanti in tessuti a cellule ad alto turnover.

B) Invecchiamento dei tessuti connettivi e della matrice cellulare: sono effetti molto importanti, tanto da aver
portato a teorie extracellulari della senescenza come la teoria del collagene. Tutte le macromolecole extracellulari
vanno incontro a profonde modificazioni che consistono soprattutto in una maggiore glicazione e una degradazione
proteica anomala. Esempi:
 Fibre collagene: diminuisce la loro suscettibilità alle collagenasi e pertanto aumentano di numero.
Oltre a ciò si ha un progressivo aumento dei legami crociati. Conseguenze: diminuzione dell’elasticità
e aumento di volume e rigidità della matrice extracellulare. Le fibre tendono a frammentarsi ed i
fibroblasti ne producono meno in sostituzione.
 Fibre elastiche: si ha progressiva degradazione dell’elastina e sostituzione con la pseudo elastina,
anomala, meno elastica e più sensibile all’elastasi. Le fibre risultano meno elastiche e si frammentano di più.
 Proteoglicani: riduzione di numero e diminuzione del rapporto componente glucidica/proteica.
Conseguenze: ridotta capacità di trattenere liquidi.
Conseguenze: Strutturali: irrigidimento della matrice extracellulari ed idrofobia. Funzionali: alterazione nel
trasporto di nutrienti e prodotti di rifiuto oltre che dei segnali chimici ed ormonali.
Risultati: tipici della senescenza sono pertanto: aumento del connettivo interstiziale degli organi parenchimali,
diminuzione dell’elasticità di organi e tessuti, aumentata fragilità dei tessuti (ad esempio assottigliamento e
fragilità della cute, ma anche di vasi e cartilagine).

Invecchiamento di organi e sistemi: bisogna distinguere prima di tutto il concetto di normale (presente in tutti gli
individui di una determinata età) e norma (di comune riscontro, ma non presente in tutti). Ciò che è normale non si
può curare né prevenire, al massimo rallentare.
Pertanto, i normali processi di invecchiamento riguardano un po’ tutti gli apparati:

1) Apparato tegumentario:
Cause: invecchiamento intrinseco (predisposizione genetica), effetto delle radiazioni solari e sintesi di ormoni.
Effetti: alterazioni qualitative, minore capacità proliferativa, riduzione del numero di melanociti, riduzione dello
spessore del derma, riduzione della vascolarizzazione e delle terminazioni nervose, riduzione dei bulbi e follicoli
piliferi, aumento dei pori ghiandolari, riduzione delle ghiandole sudoripare.
Conseguenze: la pelle si assottiglia, diviene secca, anelastica e fragile. Si ha una pigmentazione screziata con
lentiggini, comparsa di chiazze ecchimotiche per fragilità vasale, meno capelli.
Alterazioni funzionali: riduzione della funzione di barriera, riduzione della sensibilità tattile e termo-dolorifica,
riduzione della termoregolazione, riduzione della risposta ad eventi lesivi, ridotta permeabilità, ridotta funzione
immunitaria. Riduzione di produzione della vitamina D.
Implicazioni cliniche: aumentato rischio di: lesioni precancerose e cancerose, cheratosi, infezioni batteri e
micotiche, lesioni termiche, lesioni da decubito, ulcere venose, prurito.

2) Organi di senso: vi è alta incidenza di cecità e sordità tra gli anziani le quali inficiano la qualità della vita e per di
più contribuiscono a causare incidenti, deterioramento cognitivo, depressione.
 Occhio: conseguenza normale dell’invecchiamento è la presbiopia (incapacità di mettere a fuoco da
vicino). Per di più si ha riduzione del film lacrimale (sindrome dell’occhio secco), aumento della pressione
endooculare, riduzione progressiva del campo visivo e della quantità di luce che arriva alla retina, oltre che
dell’acuità visiva e della capacità di distinguere i colori. Implicazioni cliniche: aumentato rischio di: cataratta,
degenerazione maculare retinica, sindrome dell’occhio secco, glaucoma, ectropion, trichiasi, etc.
 Orecchio: a causa di vari fattori intrinseci ed estrinseci (come l’esposizione cronica a rumore) si ha
presbiacusia (incapacità di percepire i toni puri nel range delle alte frequenze), aumento della latenza
dei potenziali uditivi evocati, riduzione della capacità di comprendere il linguaggio (consonanti). In più
alterazioni vestibolari come riduzione della sensibilità ai cambi di postura e riduzione della capacità di
compensare danni vestibolari con maggiore persistenza dei disturbi vertiginosi. Implicazioni cliniche:
aumentato rischio di sordità, sbandamenti, vertigini, sindromi menieriformi.
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ђџіюѡџіюȱѝђџȱ ћѡђџћю

3) Apparato osteomuscolare:
 Tessuto osseo: nel corso della vita l’osso passa attraverso 3 fasi: una fase I di accrescimento che dura non
oltre la terza decade. Una fase II di plateau che dura circa 10 anni. Una fase III di depauperamento che
inizia intorno ai 40 anni. A partire dalla V decade appunto si hanno modificazioni delle componenti dell’osso:
o   Componente trabecolare: si ha graduale assottigliamento delle trabecole. Nelle donne: riduzione
del 20-25% entro 5 anni dalla menopausa, dell’1% annuo successivamente. Negli uomini:
perdita costante dell’1% annuo.
o   Componente corticale: progressivo assottigliamento con aumento della porosità. Nelle donne:
riduzione del 10% entro 5 anni dalla menopausa, di < 1% annuo successivamente. Negli
uomini: perdita costante di < 0,2-0,3% annuo.
Cause: essendo l’osso in equilibrio tra azione di osteoclasti e osteoblasti abbiamo:
o   Aumento osteoclastogenesi: soprattutto riduzione degli estrogeni (infatti forte caduta con la
menopausa). Poi anche down regulation di vari assi neuroendocrini, riduzione della produzione di
Vit.D da parte del rene e aumento del PTH. In più riduzione attività motoria, introito di alimenti
con calcio, uso di alcol e fumo.
o   Riduzione osteoblastogenesi: per riduzione fattori endocrini e cellule staminali.
Implicazioni cliniche: deformazione artrosica dell’osso esposto al carico, aumentato rischio di
osteoporosi, aumento di fatture (anche per aumento cadute) e disabilità.
 Cartilagine articolare: modificazioni strutturali che ne riducono la resistenza alle sollecitazioni meccaniche.
Sono diverse da quelle dell’osteoartrosi che pure è più comune in età avanzata. Si ha aumentato rischio di
osteoartrosi e perdita di funzione articolare.
 Tessuto muscolare: la principale conseguenza dell’invecchiamento è la sarcopenia, ossia la riduzione
della massa muscolare (valutabile anche con DEXA similmente all’osteoporosi). In effetti diminuisce l’area
muscolare e l’escrezione di creatinina, aumenta il tessuto adiposo e connettivo nel muscolo e si ha
effettiva riduzione della massa muscolare generalmente 1-2% annuo dopo la quinta decade.
Cause: l’atrofia delle fibre muscolari pare essere causata da riduzione del numero delle cellule staminali
miogeniche, e fattori sistemici come: degenerazione dei motoneuroni spinali, stress ossidativo con
circolo vizioso del mitocondrio (il mitocondrio subisce l’azione dei ROS, funziona peggio e produce più
ROS), stato-proinfiammatorio cronico, riduzione degli ormoni androgeni ed estrogeni, GH, IGF-1 e
vit.D. Fattori aggravanti sono certamente la sedentarietà e la malnutrizione oltre ad alcuni farmaci.
Alterazioni clinico-funzionali: diminuzione della forza, potenza e resistenza muscolare. In più la sarcopenia
causa osteopenia, alterazione della termoregolazione, riduzione del metabolismo basale e quindi
obesità e insulino-resistenza. Oltre questo aumenta il declino funzionale, il rischio di cadute e fratture
per ridotto mantenimento di equilibrio, la fragilità e la disabilità. La soluzione è l’esercizio fisico,
preferibile contro resistenza.

4) Apparato cardiovascolare: alcune alterazioni del cuore senile sono simili all’ipertensione:
 Alterazioni strutturali:
o   Cavità cardiache: aumento della massa cardiaca, lieve ipertrofia concentrica del ventricolo
sinistro, modesto ingrandimento atriale sinistro, variabile grado di fibrosi e calcificazione del
tessuto connettivo cardiaco.
o   Miocardio: riduzione del numero ed aumento volume dei miociti, deposizione di grasso
subepicardico e intercellulare, amiloidosi senile (incostante), accumuli di lipofuscina (atrofia
giallo-bruna), aumento della fibrosi interstiziale.
o   Valvole cardiache: accumuli di lipidi e calcio: calcificazione dell’anulus mitralico e degenerazione
calcifica delle semilunari aortiche.
o   Tessuto di conduzione: diminuzione del numero di mio cellule (pacemaker) e aumento fibrosi
interstiziale, tessuto adiposo, collagene, calcificazione.
o   Coronarie: calcificazioni parietali, tortuosità ed ectasie (non patologiche).
o   Arterie: Macroscopicamente: Elastiche: aumento spessore, lume e calibro. Muscolari: aumento
spessore e riduzione lume. Microscopicamente: più nelle elastiche, aumento spessore intimale,
aumento connettivo, frammentazione elastina.
Ispessimento di arterie di grande calibro. Modesta dilatazione radice dell’aorta.
o   Vene: minore tono delle vene degli arti inferiori. Questo spiega la maggiore frequenza di varici oltre
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che di ipotensione ortostatica negli anziani.


 Alterazioni funzionali: principalmente abbiamo:
o   Alterazioni funzionali cardiache: il precarico risulta aumentato per la minore elasticità del
ventricolo sinistro. Pertanto vi è una certa disfunzione diastolica nel senso che il riempimento
risulta più lento e tardivo (soprattutto grazie alla contrazione dell’atrio sinistro che risulta un po’
dilatato). Il volume tele diastolico è però lo stesso (o aumentato) rispetto al giovane. Aumenta
anche il postcarico (aumentata rigidità delle arterie). Il sistema di conduzione risulta rallentato
e maggiormente sensibile al calcio (e quindi alle aritmie). Sia la frequenza cardiaca che la gittata
sistolica a riposo subiscono solo lievi variazioni perciò la gittata cardiaca a riposo è conservata.
Sotto sforzo vi è una minore riserva funzionale del cuore che non può aumentare molto la
frequenza e mantiene la gittata solo grazie ad un maggiore volume tele diastolico e maggiore
dilatazione dei miociti e quindi per la legge di Starling una maggiore forza di contrazione.
o   Aumentata stiffness arteriosa: la rigidità delle arterie è aumentata, pertanto hanno minore
elasticità. Questo causa un aumento della pressione sistolica e una riduzione della diastolica
o comunque un aumento della pressione differenziale. Il ventricolo sinistro deve compiere un
maggiore sforzo anche a causa della maggiore velocità di ritorno dell’onda sfigmica al cuore
(8 m/s nel giovane, 12 nell’anziano) che aumenta la pressione sistolica e diminuisce la diastolica.
L’aumento di velocità dell’onda pressoria è considerato un fattore di rischio indipendente per
coronaropatia, ictus e demenza.
o   Disfunzione beta-recettoriale: vi è downregulation dei recettori beta-adrenergici sia a livello
cardiaco che vascolare, così come upregulation della beta-AR chinasi che fosforila questi recettori.
L’effetto è una minore responsività alle catecolamine a livello dei cardiomiociti così come delle
pareti vascolari. Questa è una causa fondamentale del minore adattamento allo sforzo in quanto
comporta una minore riduzione delle resistenze periferiche, minore aumento della frequenza
cardiaca, minore picco di utilizzo di O2, nonostante un aumento delle catecolamine plasmatiche.
Il volume tele diastolico è aumentato per poter mantenere la gittata.
o   Ridotta funzione dei baro riflessi e aumento ANF, ridotta renina e aldosterone: i baro recettori
(carotidei e del bulbo aortico) hanno una minore efficienza. Ciò espone maggiormente l’anziano
a variazioni pressorie e aumentata il rischio di ipotensione ortostatica. A ciò si aggiunge una
downregulation del sistema RAA e un aumento della produzione di ANF, il che aumenta in
generale la suscettibilità dell’anziano a ipovolemia, disidratazione e ipotensione.
o   Alterata autoregolazione del flusso cerebrale: il flusso cerebrale dovrebbe essere mantenuto
costante indipendentemente dalle pressione arteriosa media. Questo meccanismo è meno efficiente
nell’anziano.

5) Apparato respiratorio: dipendono molto dallo stile di vita e dalle condizioni ambientali:
 Alterazioni strutturali:
o   Gabbia toracica: aumenta il diametro antero-posteriore e si riducono gli spazi intercostali
a causa di un progressivo aumento della cifosi dorsale. Per di più si ha riduzione della forza
dei muscoli respiratori (compreso il diaframma) e anchilosi delle articolazioni costo-vertebrali e
costo-sternali.
o   Polmoni: riduzione del numero di ghiandole secretorie e quindi riduzione della clearance
muco-ciliare e dell’efficienza immunitaria. Anche riduzione del calibro delle piccole vie aeree e
della superficie alveolare (lentamente partire dalla terza decade), alterazione della componente
elastica con dilatazione dei dotti alveolari (enfisema senile) nonché una maggiore tendenza al
collasso durante l’espirazione.
 Alterazioni funzionali:
o   Gabbia toracica: aumento della rigidità, riduzione delle forze di ritorno elastico e quindi aumento
del lavoro respiratorio.
o   Polmoni: lo stesso nei polmoni in cui vi è alterato rapporto ventilazione/ perfusione per riduzione di
volumi e flussi polmonari. Rischio di infezioni e dispnea.
o   Volumi polmonari: Statici: aumentano VR (50%) e CFR, stabile la CPT. Dinamici: si riduce
progressivamente il VEMS e il PEF, così come la CV. Scende la pressione massima espiratoria.
Dopo il 65-70 anni le alterazioni sono evidenti.
o   Scambio gassoso: si altera il rapporto ventilazione/perfusione e si riduce la capacità di diffusione.
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 Implicazioni cliniche: effetti simili all’enfisema di grado lieve, molto condizionati dall’abitudine al fumo, si
ha pertanto una riduzione lieve della funzione, che resta sostanzialmente invariata a riposo e con una
moderata attività fisica. Aumentata suscettibilità alle infezioni respiratorie. Aumentato rischio di
insufficienza respiratoria in corso di asma, embolia polmonare, scompenso cardiaco.

6) Apparato digerente: le modificazioni sono di scarsa entità e non sempre valgono per tutti:
 Cavo orale: alterazione della formazione del bolo alimentare per minore forza e perdita elementi dentari.
Aumento rischio di gengiviti, carie, infezioni, lesioni, malnutrizione.
 Sistema nervoso enterico: forse la riduzione neuroni causa prolungato transito intestinale
 Sistema immunitario: aumento di incidenza e severità delle infezioni gastrointestinali.
 Oro-faringe ed esofago: alterata coordinazione neuromuscolare e rischio di disfagia.
 Stomaco: alterazione dei meccanismi di protezione gastrica. Aumentato rischio di infezione da HP, gastrite
cronica, malattia peptica, gastrite da FANS, malnutrizione, neoplasie.
 Intestino tenue: aumentato tempo di transito e ridotto assorbimento di calcio.
 Colon e Retto: alterazioni muscolare e perdita neuro enterica. Aumentato rischio di ischemie e diverticolosi
oltre che di neoplasie. Alterazione dello sfintere anale, ridotta sensibilità ed elasticità. Aumentato rischio di
stipsi, incontinenza fecale, dischezia.
 Fegato: riduzione del volume e del numero di epatociti, riduzione della capacità di rigenerazione e minore
efficienza dei meccanismi di fase I. Aumentata incidenza di malattie epatobiliari, di epatopatie croniche,
epatiti virali e da farmaci, calcolosi biliare.
 Pancreas: riduzione di peso e volume. Aumentato rischio di tumore, pancreatite acuta.

7) Rene: sulle normali alterazioni dell’invecchiamento, essendo il rene un organo molto vascolarizzato, incidono
fortemente patologie come ipertensione e diabete.
 Alterazioni strutturali:
o   Macroscopiche: riduzione della massa e del volume renale, lentamente (fino a 25% a 80 anni) e
a partire dalla terza decade in cui vi è il picco di massa renale. Vi è anche riduzione del numero di
nefroni funzionanti, ispessimento della capsula fibrosa, aumento tessuto adiposo perirenale e
aspetto pseudo lobare (rene grinzo arteriosclerotico).
o   Microscopiche: simile al quadro nell’ipertensione arteriosa. Glomeruli: riduzione di numero
totale, aumento del numero di glomeruli fibrosclerotici, aumento numero di cellule mesangiali,
con ispessimento della membrana basale. Tubuli: riduzione numero e lunghezza specie i
prossimali), aumento dello spessore della membrana basale, aumentato numero di diverticoli (che
diventeranno le cisti di ritenzione, sede di partenza di infezione e infiammazioni che causano
fibrosi). Interstizio: aumento fibre collagene e fibrosi. Vasi extraparenchimali: aumento spessore
e riduzione del calibro. Vasi intraparenchimali: riduzione elasticità, aumento spessore, riduzione
calibro, spiralizzazione, shunts arterie afferenti-efferenti.
 Alterazioni funzionali:
o   Glomerulari: il flusso plasmatico renale si riduce del 10% ogni decade (finale 50% circa a 80
anni). Si riduce il flusso plasmatico glomerulare con conseguente riduzione della clearance
della creatinina (anche se non costante).
o   Vascolari: ridotta efficienza dell’autoregolazione del flusso ematico renale (per la riduzione
del flusso glomerulare, e compromissione del sistema RAA) e ridotta sintesi di prostaglandine ed
altre sostanze vasoattive.
o   Tubulari: ridotta capacità di concentrare le urine (sia il riassorbimento obbligatorio tramite il
tubulo prossimale sia quello facoltativo tramite tubulo distale e ADH), ridotta capacità di mantenere
in equilibrio potassio e fosfati, ridotta capacità di diluire le urine, di acidificare le urine e anche
di riassorbire glucosio.
o   Endocrine: ridotta secrezione della renina (30-50%), lieve riduzione dell’eritropoietina, ridotta
trasformazione della vitamina D in calcitriolo.
 Implicazioni cliniche: maggiore rischio di intossicazione da farmaci eliminati per via renale, aumentata
incidenza di iper e ipovolemia e acidosi-alcalosi, aumentato rischio di anemia, di IRA, di ischemia, di
infezioni delle vie urinarie e di osteoporosi.
In sostanza parametri come la creatinina normale, ma soprattutto il FG (riduzione del 50-60% a 80 anni), e la
clearance della creatinina (50 ml/min a 80 anni) sono normalmente alterati.
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Per di più a causa delle alterazioni renali e di altri apparati abbiamo:


 Modificazioni sulla farmacocinetica e farmacodinamica:
o   Aumento massa grassa riduzione massa magraÆ ridotto volume di distribuzione di farmaci
idrosolubili e aumentato volume di distribuzione dei liposolubili.
o   Ridotto FG e secrezione tubulareÆaumento della concentrazione di farmaci eliminati per via
renale.
o   Ridotto flusso ematico epatico e attività enzimaticaÆ aumentata concentrazione di farmaci ad
elevata clearance epatica o a metabolismo epatico.
o   Alterazione recettori e secondi messaggeriÆ alterate risposte farmacodinamiche.
 Modificazioni dell’omeostasi idro-salina:
o   Riduzione: sistema RAA, senso della sete, sensibilità del rene all’ADH, capacità di concentrazione
delle urine.
o   Aumento: secrezione del peptide natriuretico atriale.

8) Sistema endocrino: è convinzione generale che l’invecchiamento del sistema endocrino, in quanto fondamentale
per l’omeostasi abbia un ruolo nell’invecchiamento dell’intero organismo:
 Pancreas e metabolismo glucidico: non è nota la ragione, ma negli anziani vi sono livelli più alti di insulina
per insensibilità periferica e alto rischio di ridotta tolleranza al glucosio.
 Ipotalamo-ipofisi-tiroide: la funzione tiroidea diminuisce, ma è in genere ben conservata.
 Ipotalamo-ipofisi-surrene: cosiddetta adrenopausa, selettiva atrofia della zona reticolare del corticosurrene
che comporta fondamentalmente una riduzione del DHEA e DHEAS. Il DHEA pare svolga molteplici effetti
anti-invecchiamento a livello di più sistemi.
 Ipotalamo-ipofisi-somatomedine: cosiddetta somatopausa, con riduzione del GH e IGF-1. Gli effetti
sono una riduzione della massa magra, aumento della massa grassa e anche osteopenia e ridotta
tolleranza all’esercizio.
 Ipotalamo-ipofisi-gonadi: Ovaie: menopausa, riduzione della produzione di estrogeni con conseguente:
riduzione libido, atrofia tratto uro-genitale, disturbi psico-affettivi, osteoporosi e riassorbimento osseo,
neoplasie ginecologiche.
Testicoli: andropausa, anche se la perdita delle funzioni testicolari è in realtà solo parziale, si ha comunque
riduzione del testosterone con conseguente riduzione libido, disfunzione erettile e (insieme a riduzione
DHEA) disturbi del sonno e depressione.

9) Sistema nervoso: a parte una lieve e costante (0,1%) riduzione del peso e volume del cervello, abbiamo una
progressiva perdita di elementi neuronali, riduzione di sintesi e attività dei neurotrasmettitori e comparsa di
una serie di alterazioni morfologiche delle varie componenti cellulari ed extracellulari (corpi di Lewy e Hirano,
etc.). Vi sono sintomi e segni di deterioramento delle condizioni cognitive e motorie. Tipica la riduzione della
memoria (si ha anche riduzione del volume dell’ippocampo), già dopo i 60 anni, con riduzione della capacità di
attenzione e concentrazione. I disturbi motori sono i più tardivi a comparire (alterazione del sistema piramidale ed
extrapiramidale, riduzione della sub stantia nigra, locus coeruleus, cellule di Bets, nuclei di Meynert, etc.). Ambiente
e unicità di ogni individuo rivestono comunque un ruolo fondamentale. Implicazioni cliniche: aumentato rischio di
deterioramento mentale e demenza, sindromi da deprivazione sensoriale, Parkinson e parkinsonismi, stato
confusionale, depressione.

10) Sistema ematopoietico ed immunitario:


 Ematopoiesi: l’invecchiamento in condizioni di normalità ha un’influenza poco significativa sull’ematopoiesi.
Solo in presenza di condizioni che richiedono un’aumentata risposta proliferativa ha minore efficienza.
L’anemia anche modesta in un anziano non è “normale”. Implicazioni cliniche: aumentato rischio di anemia
e minore o lento recupero delle capacità citorigenerative dopo interventi di immunosoppressione.
 Immunità: si ha immunosenescenza che riduce soprattutto l’efficacia del sistema dei linfociti T, ma
anche l’immunità acquisita. L’immunità innata è conservata o potenziata. Implicazioni cliniche: maggiore
vulnerabilità ad agenti patogeni esogeni ed endogeni (tumori). Minore risposta a vaccinazioni e aumentata
suscettibilità a infezioni e cancro, aumentato rischio di patologie autoimmuni, tumori e malattie infettive.

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Il paziente anziano: l’anziano è un paziente particolare, in primo luogo perché la malattia in vecchiaia colpisce
un soggetto che si trova in uno stato di più o meno avanzata instabilità omeostatica e di vulnerabilità, con minore
capacità di resistere, patologie che si presentano in modo atipico, l’approccio terapeutico non potrà avere come
obiettivo finale la cura, etc.
Elementi di specificità dell’anziano: Fattore invecchiamento: si realizza in maniera diversa da soggetto a
soggetto e non è facile stabilire quale sia la normalità. Le affezioni si presentano in modo atipico, meno netto, con
quadri di maggiore sofferenza dei sistemi, maggiore precocità dell’evoluzione, etc. Fattore multi patologia: il 40%
degli anziani ha almeno una patologia cronica grave, mentre il 43% circa è affetto da tre o più malattie croniche.
Fattore polifarmacoterapia: strettamente legato alla multi patologia, complica la diagnosi e la terapia. Fattore
psicodinamica: l’anziano vive la malattia in modo diverso dal giovane, non come qualcosa di estraneo, bensì come
qualcosa che lo avvicina alla morte e spesso irrisolvibile. Fattore funzionale: rischio di disabilità. Fattore psico-
affettivo e sociale: la prognosi è spesso influenzata dal suo benessere psicosociale.

Moderne emergenze sanitarie: la medicina e la società moderna devono far fronte a:


 Emergenza demografica: l’Italia è con il Giappone il paese più vecchio al mondo. La tendenza
all’invecchiamento della popolazione è comune in tutti i paesi occidentali. LA distribuzione della popolazione
per fasce di età, o curva delle nascite, sta lentamente subendo una rettangolarizzazione. Si prevede anche
un’inversione della piramide.
 Emergenza socio-economica: questa rivoluzione demografica porta con se ripercussioni sociali ed
economiche, come una diminuzione degli occupati e quindi della forza lavoro, oltre che scarso supporto
sociale che è dimostrato che aumenta il rischio di mortalità.
 Emergenza epidemiologica: con l’aumentare dell’età media della popolazione aumentano il numero dei
malati e delle malattie. Aumentano i casi totali di comorbilità e disabilità.
 Emergenza assistenziale: è il nostro problema, quello che pone il paziente anziano. Questo è stretto
tra Vulnerabilità; Comorbilità e Disabilità (concetti che vanno insieme e che caratterizzano il paziente
geriatrico). Immediatamente legata alla comorbilità c’è la Polifarmacoterapia. Per di più vi è il problema
dello Stato socio-ambientale critico.

Nascita del concetto di fragilità: queste emergenze sanitarie sono tutte legate in sostanza alla comparsa di un
nuovo soggetto clinico, una nuova tipologia di paziente, l’anziano fragile. La geriatria negli ultimi 20-25 anni ha
sviluppato questo nuovo concetto e una specifica metodologia di valutazione, la valutazione multidisciplinare,
ad esso dedicata. L’espressione frail elderly ha così cominciato ad essere utilizzata. In parte per definire un
anziano compromesso nella sua indipendenza e autonomia da condizioni e patologie, dall’altra per definire una
situazione pre-clinica in cui “l’anziano fragile, pur avendo una ridotta riserva funzionale, può vivere in condizioni
di indipendenza. Quando invece stressato da una malattia, un trauma o condizioni sfavorevoli, la sua capacità di
svolgere le attività basilari di vita quotidiana si sgretola” (Brocklehurst). I fattori principali di essa sono la malattia, il
disuso e l’invecchiamento.
La fragilità assume con il tempo un ruolo centrale tanto che la medicina geriatrica viene spesso identificata come
medicina dell’anziano fragile. In età moderna sono stati proposti criteri identificativi e operativi per la fragilità che
la definissero in modo pratico. In ogni caso fragilità e disabilità non sono sinonimi di una stessa condizione.
Quelli che hanno avuto un maggiore successo sono stati i modelli di fragilità di Linda Fried e Kenneth Rockwood.

A) Fragilità secondo Fried: il gruppo della Fried definisce la fragilità come: “condizione di estrema vulnerabilità a
condizioni ed eventi avversi. L’anziano fragile è quindi inteso come un paziente ad elevato rischio di eventi avversi
come cadute, declino funzionale, disabilità, ospedalizzazione, istituzionalizzazione e morte. Si individua attraverso
6 criteri: ridotta forza muscolare, perdita non intenzionale di peso, astenia, ridotta attività fisica, ritardo nel
cammino, deficit cognitivo (sul libro manca). Perché si delinei la fragilità sono necessari almeno 3 criteri.
In questi criteri non viene incluso quello della malattia (per quanto una perdita di peso potrebbe indicarla). Questo
fa sì che la fragilità per la Fried sia una condizione pre-clinica, indipendente da disabilità e comorbilità. In pratica
la fragilità è un insieme che può intersecarsi con comorbilità e disabilità, ma vi sono un 26% di pazienti fragili che
restano fuori da comorbilità e disabilità.
La fragilità in assenza di comorbilità e disabilità è una fase pre-clinica, una condizione di vulnerabilità. La

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vulnerabilità si oppone alla funzionalità, essendo la funzione bassa nel bambino, crescente fino all’età adulta e poi
decrescente nell’anziano. L’invecchiamento è però eterogeneo avendosi una biforcazione nel livello di vulnerabilità
tra un invecchiamento di successo e un invecchiamento normale. Ancora al di sotto saranno coloro che hanno un
invecchiamento patologico, quindi con effettiva presenza di malattie.
[In più il libro aggiunge che per la Fried la fragilità si configura come una vera e propria sindrome clinica individuabile
con quei criteri e caratterizzata da una propria fisiopatologia. In questa sarebbe centrale uno stato infiammatorio
cronico con elevati IL1-6 e TNF-alpha, una relativa sarcopenia che è centrale per la debolezza, il ritardo nel cammino,
il rischio di cadute; e l’elevata cortisolemia che contribuisce alla disregolazione dell’omeostasi. Le principali critiche
a questa visione sono l’esclusione di parametri psicologici nella valutazione clinica, oltre che l’esclusione di fattori
sociali, ambientali, affettivi e assistenziali dall’eziopatogenesi della fragilità].

La vulnerabilità rappresenta perciò la riduzione di quei processi di protezione endogena che l’organismo ha
sviluppato per combattere le patologie (difese immunitarie e metaboliche).
Gli stili di vita possono preservare questi meccanismi di protezione endogena che normalmente sono ridotti
dall’invecchiamento? Per rispondere utilizziamo un esempio:
 Precondizionamento ischemico: questo è un meccanismo di protezione endogena contro l’infarto del
miocardio. Ripetuti brevi episodi ischemici (episodi di angina che precedono l’infarto del miocardio) possono
infatti proteggere ritardando la morte cellulare dopo occlusione coronarica, indipendentemente dallo
sviluppo di circoli collaterali. Fu dimostrato infatti che l’infarto a ciel sereno ha una prognosi peggiore di
quello preceduto da una serie di eventi anginosi (angina prenfartuale). Questo studio fu però effettuato
su di una popolazione adulta, ma non anziana. Negli anziani pareva questo meccanismo non sembrava
esserci (vulnerabilità=riduzione dei meccanismi di protezione endogena) o almeno non in maniera costante.
Probabilmente gli stili di vita influenzavano la riduzione età-correlata del precondizionamento
ischemico. Infatti valutando la PASE (scala for elderly della physical activity) e il BMI (valutazione indiretta
della dieta) si definì che scarsa attività fisica e alto BMI portavano più alta mortalità in caso di infarto.
La mortalità dopo angina preinfartuale si riduceva in caso di basso BMI e alta PASE. L’angina preinfartuale
ha un valore predittivo della mortalità in pazienti sedentari e in sovrappeso, mentre ha un valore
protettivo negli allenati e in normopeso.
Ecco che dunque la vulnerabilità o meglio il livello di funzione varia tra l’invecchiamento normale e
l’invecchiamento di successo in base allo stile di vita, mentre la forbice tra invecchiamento normale e patologico
è data dalla presenza di patologie.

B) Fragilità secondo Rockwood: la fragilità è uno stato che risulta dall’interazione tra invecchiamento, malattie e
altre condizioni che incidono negativamente sullo stato di salute. Lo stato di fragilità si individua dalla rilevazione
di tutto ciò che è espressione di danno, creando così la CSHA (canadian study of health and aging) clinical
frailty scale. Rockwood intende l’anziano fragile come persona, malata, ospedalizzata, con disabilità. Nell’ipotesi di
Rockwood la fragilità rientra praticamente nel concetto di disabilità (e questa nella comorbilità).
La fragilità è una fase post-clinica, in presenza di comorbilità e disabilità. Pertanto inventa uno strumento per
quantificare lo stato di fragilità, un indice di fragilità (indice di deficit cumulativi). Indice di fragilità: quest’indice
risulta molto più predittivo della mortalità rispetto a Fried. Risulta anche maggiormente predittivo della disabilità
incidente. Gli anziani con maggiore sopravvivenza a lungo termine sono infatti definiti robusti da Rockwood e
fragili da Fried. Quelli con un medio grado di mortalità cominciano a essere fragili per Rockwood mentre per Fried
rientrano nella comorbilità e disabilità. Quelli ad alta mortalità sono fragili per entrambi.
L’IF varia da 0 a 1 (incompatibile con la vita) ed è attualmente formato da 40 items distinti in:
 Indici antropometrici: BMI, tempo di valutazione di 1 minuto.
 Autosufficienza: domande su necessità di aiuto a lavarsi, vestirsi, etc. 5 minuti.
 Condizioni generali: fatica, perdita di peso, giudizio sulla propria salute. 3 minuti.
 Mobilità: domande e valutazione tempo impiegato per percorrere 3 metri. 3 minuti.
 Tono dell’umore: sentirsi depresso, felice, solo. 2 minuti.
 Patologie: diabete, artrosi, ipertensione, cancro, BPCO, scompenso, etc. 3 minuti.
 Deficit cognitivo: effettuazione del Mini mental test. 10 minuti.
 Funzionalità respiratoria: picco del flusso espiratorio. 5 minuti.
 Forza muscolare: forza nel sollevamento e nella presa (dinamometro). 10 minuti.
Il tutto richiede 30-40 minuti, però ha ricevuto critiche di difficile acquisizione e valutazione.

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Fragilità in sintesi: la verità sta nel mezzo. È importante sia la vulnerabilità (fase pre-clinica della fragilità) che la
fragilità caratterizzata da comorbilità e disabilità (fase post-clinica).
Il pathway della fragilità risulterebbe così: si parte dalla vulnerabilità (fase pre-clinica secondo Fried) Æ comparsa
della malattia Æ fragilità clinica Æ disabilità.
Concetto di fragilità: in generale dunque possiamo includere: riduzione delle riserve funzionali (vulnerabilità),
comorbilità, esposizione a multipli fattori di rischio, atipia di presentazione clinica, aumentato rischio iatrogeno e
di disabilità, stato socio-economico-ambientale critico.
[Secondo il libro: possiamo distinguere tra:
 Fragilità latente: si manifesta solo sotto l’azione di un importante evento stressante. Ad esempio: pazienti
con malattie croniche stabili ed età molto avanzata (70% nei >90 anni).
 Fragilità pauci-sintomatica: rilevabile attraverso segni e sintomi, perdita di autonomia, progressiva
immobilità. Si manifesta dopo eventi stressanti di intensità lieve-moderata.
 Fragilità conclamata: molteplici patologie croniche, alcune anche scompensate, diversi gradi di disabilità.
Estrema instabilità clinica. Esempi: anziani che muoio per rilevanti variazioni di temperatura ambientale,
influenza, eventi traumatici fisici o psichici modesti, procedimenti diagnostici o interventi terapeutici
condotti con poca cautela.]

Complessità: strettamente legato al concetto di fragilità è quello di complessità. Il paziente geriatrico è un


paziente complesso a causa delle peculiarità del paziente anziano fragile: comorbilità, polifarmacoterapia, stato
socio-ambientale critico, disabilità, invecchiamento. Vi è alto rischio di cadute, malattie acute, ospedalizzazione,
disabilità, non autosufficienza, morte (fasi dello scompenso a cascata). Il soggetto va incontro facilmente a
istituzionalizzazione.
Concetto soggettivo di complessità: è visto dal medico come un aumento della difficoltà clinica.
Concetto oggettivo di complessità: ad esempio il diagramma di certezza-consenso di Stacey e Zimmermann
mette in relazione il grado di consenso alla terapia da parte del pazienti con il grado di complessità. Un esempio
di questo è lo studio sull’effettiva assunzione dell’ACE inibitori da parte di soggetti scompensati anziani: solo il 25%
di questi lo prendeva. Gli stessi studi clinici su cui si basa l’EBM escludono i pazienti anziani e complessi (ad esempio
con multi patologia) con il risultato di funzionare bene solo per i pazienti semplici e non essere mai del tutto adatti
ai pazienti anziani complessi. È per questo che per il paziente anziano si sta passando dall’EBM alla NEM cioè la
narrative evidence medicine, probabilmente più adatta.

Valutazione multidisciplinare geriatrica: la VMD è lo strumento tecnologico della medicina geriatrica. È una
metodologia valutativo-diagnostica e operativa con la quale vengono identificati i molteplici problemi
del soggetto anziano, valutate le limitazioni e risorse, definite le sue necessità assistenziali e viene elaborato un
programma di cura complessivo. Richiede un approccio interdisciplinare con intervento contemporaneo di
diverse figure professionali al fine di proporre un complessivo piano di assistenza individualizzato (PAI). La
VMD si occupa della valutazione del paziente su diversi piani: fisico (individuare le patologie presenti), cognitivo
ed affettivo (disturbi cognitivi, tono dell’umore, comportamento), funzionale (condizioni di fragilità, disabilità,
dipendenza), socio-economico, condizioni ambientale (ad es. barriere architettoniche).
Obiettivi VMD: Identificazione dei bisogni e delle problematiche assistenziali; Guida all’identificazione
degli obiettivi assistenziali (“problem solving process”); Programmazione dell’intervento assistenziale (prevenzione,
cura, riabilitazione); Miglioramento dello stato funzionale e della qualità di vita; Ottimizzazione dell’allocazione
delle risorse; Riduzione dell’utilizzo dei servizi non necessari; Long-term case management; Controllo qualità
(realizzazione banca dati).
Strumenti VMD: la VMD ha a disposizioni diversi strumenti, a più livelli:
 Strumenti di prima generazione: “tradizionali”, valutano in maniera descrittiva le singole aree
problematiche dell’anziano.
I principali sono: ADL (valutazione delle “activity of daily living”): determinazione del punteggio: si valuta andare
in bagno, vestirsi, andare ai servizi, spostarsi, controllare gli sfinteri, aimentarsi: sette categorie da A a G + altro;
IADL (scala delle “instrumental activity of daily living”): attività più complesse come usare il telefono, fare la spesa,
cucinare, etc; GDS (geriatric depression scale): 100 domande Si/No. >10 è depressione grave, 6-10 lieve-moderata.
CIRS-G (scala geriatrica cumulativa di valutazione delle comorbilità): importante per la prognosi. MMSE (mini-mental
state examination): <18 grave; 18-24: dubbio; TINETTI (perfomance oriented mobility assessment); MNA (mini-
nutritional assessment): ha una parte di screening e una di assesment: punteggio cumulativo >17Æ malnutrizione;
SF-12 (questionario sullo stato di salute).
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Limiti: ciascuno valuta una singola area, hanno valore solo descrittivo senza risalire ai fattori causali, esistono
anche strumenti diversi per una singola area (difficile confrontabilità).
 Strumenti di seconda generazione: “polivalenti”, sono strumenti di valutazione globale,
onnicomprensivi, che unificano il metodo di VMD, guidano verso una corretta diagnosi eziologica,
conducono ad un migliore PAI, garantiscono il monitoraggio dello stato di salute, consentono la
realizzazione di un database.
o   VAOR: Valutazione dell’Anziano Ospite in Residenza, è l’analogo del RAI-MDS adattato in Italia,
e si compone di due parti. Una SVER (Scheda di Valutazione Elementare del Residente) e una
SIP (Sequenze di Identificazione dei Problemi). La SVER con oltre 300 domande è in grado
di esplorare il 90% delle problematiche che riguardano l’anziano residente con il minimo
di informazioni necessari (MDS) all’elaborazione di uno specifico programma assistenziale.
La SVER per ogni problema rimanda infatti a protocolli specifici per la ricerca dei fattori
responsabili e la successiva elaborazione di un PAI. Questa comprenderà vari strumenti di
prima generazione: MMSE, GDS, ADL, CIRS ad esempio. Ne esistono di più tipi: VAOR-RSA,
VAOR-ADI, VAOR-Ospedale, VAOR-Post-Acuti. Attualmente il VAOR sta sostituendo in
queste categorie di pazienti il sistema dei DRG (inadatti per il paziente anziano, sostituiti
in america dai RUG-resource uniform groups che dividono i residenti in sette gruppi clinici
con esigenze diverse), sta fornendo la base per database e per uniformare la valutazione
(costituendo quasi uno strumento di terza generazione).
Rubstein ha effettuato diversi studi che dimostrano l’utilità della VMD. Questa pare (anche da recenti metanalisi)
diminuire la mortalità dei soggetti così trattati rispetto ai controlli (fino ad un 20%). Per di più risulta essere più
efficace in soggetti: >75, con basso punteggio di ADL (disabilità), con comorbilità, con scarso supporto sociale
(non sposati o comunque senza un caregiver). In pratica funziona estremamente bene proprio verso i soggetti
fragili.
[Lavoro in equipe: la VMD non può prescindere dalla collaborazione tra più figure professionali. È necessario che
gli obiettivi siano chiari e pianificati, che vi sia pari autorevolezza e collaborazione tra i professionisti, che vi sia
comunicazione tra essi].

Rete dei servizi: Rubstein pubblicò nel 1984 uno studio in cui affermò che era necessario pertanto gestire in
maniera diversa dal normale i pazienti anziani fragili. Il vecchio modello era infatti:
 Rete tradizionale dell’assistenza sanitaria: il paziente geriatrico si rivolge al medico di medicina generale
il quale lo indirizza a: ospedale, DH, ambulatorio, medico specialistico.
Questo modello inadeguato è ancora comune in alcune regioni italiane. Il medico di base manca spesso degli
strumenti necessari per affrontare i problemi dell’anziano. Sulla famiglia grava gran parte dell’assistenza. L’ospedale
è il luogo della certezza delle cure, che utilizza ancora il modello dei DRG. I servizi territoriali sono spesso carenti.
Vi è la necessità di un nuovo modello.
Modello dell’assistenza continuativa: questo modello ha la missione della presa in carico a lungo termine
(long term care) del paziente nella sua globalità, senza discontinuità, e flessibile. Per applicare questo modello è
necessaria una nuova rete di servizi:
 Rete dei servizi geriatrici: il paziente geriatrico si rivolge al medico di medicina generale il quale lo invia
all’UVG, l’Unità Valutatitiva Geriatrica che applica la VMD e crea il PAI.

Unità di Valutazione Geriatrica: UVG, secondo Rubstein il paziente geriatrico ha bisogno di un equipe di soggetti, di
cui il geriatra deve essere il coordinatore. I medici specialisti risultano figure secondarie. Compiti dell’UVG: individua
i pazienti di interesse geriatrico, definisce i bisogni assistenziali socio-sanitari soprattutto per la preservazione
dell’autosufficienza ed il recupero o mantenimento delle capacità funzionali residue. L’UVG deve applicare la
metodologia del VMD e definire un PAI, oltre che indirizzare di volta in volta il paziente verso le strutture o i servizi
che soddisfino i suoi bisogni. Distinguiamo:
 UVG territoriale: stabilisce la necessità di ADI, ospedalizzazione domiciliare, DH, residenze sanitarie. Si
coordina o anche identifica con la UVG ospedaliera.
 UVG ospedaliera: stabilisce la necessità di ospedalizzazione, definisce i bisogni assistenziali durante la
degenza, predispone i servizi assistenziali da attivare al momento della dimissione, per ridurre la degenza,
per reintrodurre il paziente.

Rete dei servizi geriatrici: comprende i servizi in grado di far fronte alle diverse esigenze del paziente in forma
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globale e continuativa in base alle problematiche emerse dalla VMD. Abbiamo:


 Servizi geriatrici di “base”:
o   Non-residenziali: sono l’ambulatorio del medico di base e l’ADI. L’ADI o assistenza domiciliare
integrata è un servizio che fornisce un complesso di prestazioni mediche, infermieristiche, riabilitative
e sociali rese a domicilio. Ha il fine di evitare o abbreviare la degenza e l’istituzionalizzazione e
consente di realizzare la continuità terapeutica anche dopo la dimissione. È soprattutto valida per
soggetti con fragilità lieve-moderata.
o   Semi-residenziali: Centri servizi socio-assistenziali: ospitano e assistono anziani.
o   Residenziali: Residenza sanitaria assistenziale o RSA: struttura extra-ospedaliera in grado
di fornire prestazioni sociali e assistenziali non specialistiche. Ha il fine di tentare il recupero
psico-fisico attraverso l’assistenza, la stimolazione psicologica, la risocializzazione e di prevenire
l’immobilizzazione. L’organico dovrebbe essere formato da un geriatra e operatori a valenza sanitaria,
sociale e mista.
 Servizi geriatrici “specialistici”:
o   Non-residenziali: Ospedalizzazione domiciliare: realizza a domicilio interventi diagnostici o
terapeutici normalmente possibili in ospedale, magari integrati da breve degenza con accesso e
trasporti facilitati. Ha il fine di evitare o abbreviare la degenza e di evitare l’inevitabile decadimento
pisco-fisico ad essa associato. Risulta particolarmente utile in pazienti con frequenti riacutizzazioni
di patologie croniche, grave compromissione generale, richiedenti particolare assistenza, terminali.
o   Semi-residenziali: Centri diurni: strutture che si rivolgono a pazienti affetti da demenza (Alzheimer),
ma anche dializzati. Solleva le famiglie dall’assistenza.
o   Residenziali: si tratta delle unità operative e di degenza ospedaliere:
ƒ Unità operativa geriatrica per acuti: l’unità di medicina geriatrica, UMG non deve essere
un duplicato di quella di medicina interna. Essa si differenzia per tipologia di pazienti
(anziani), preparazione professionale del personale (ad indirizzo geriatrico), diversa
tipologia edilizia (no barriere, facilitazioni), terapia sub intensiva, presenza di strutture
di riabilitazione, coordinamento con l’UVG territoriale. La metodologia di lavoro è quella
della VMD che deve portare alla formulazione di un PAI.
ƒ Unità operativa post-acuzie: unità ospedaliera a degenza breve (max 20 gg) in cui vengono
trasferiti pazienti da altre unità mediche e chirurgiche quando le condizioni di salute non ne
consentono ancora la dimissione. Sono soprattutto anziani. Questa permette una maggiore
mobilità dei posti letto nelle varie unità specialistiche, continuità di cure, riduzione di
degenza
ƒ Unità operativa di riabilitazione: la riabilitazione ha una sua propria rete di servizi. Nella
riabilitazione si distingue una fase acuta (nell’unità operativa per acuti) una fase intensiva
da effettuare in ospedale (il paziente non può stare più di 60 gg) e una fase esensiva che
può comprendere una riabilitazione domiciliare o in residenze sanitarie assistenziali.
Pronto soccorso: uno studio su come indirizzare i pazienti in pronto soccorso all’unità geriatrica oppure a medicina
interna. Si effettua in pronto soccorso una valutazione della fragilità e si invia il paziente fragile a Geriatria (codice
Argento) dove viene effettivamente gestito meglio.

Rete dei servizi per l’assistenza geriatrica in sintesi: l’assistenza continuativa prevede dunque:
1) Ricorso al medico di famiglia da parte dell’anziano e invio ad una UVG.
2) Case manager: figura non medica (in genere un infermiere specializzato) che sta a monte dell’UVG con il compito
di effettuare la valutazione geriatrica e poi smistare i pazienti. Nata perché il modello funzionava “troppo bene”
e l’affluenza era eccessivamente alta.
3) UVG: VMD del paziente e definizione: non necessita assistenza oppure PAI.
4) PAI: può comprendere il ricorso a Servizi di base e/o Servizi specialistici.
5) Rivalutazione e controllo: continua attenzione e comunicazione tra le strutture, cambio del PAI.

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ћѠѡюяіљіѡѩǰȱѐюёѢѡђȱђȱѠіћѐќѝђȱƐѐюѝіѡќљіȱƆǰȱƇȱђȱƀſƑ
Sensazione di instabilità: dizziness, termine generico che fa riferimento ad un’alterata percezione della propria
stabilità nello spazio, riferita con espressioni molto varie da parte dei pazienti (mi sento mancare, ho la testa leggera,
non mi reggono le gambe, barcollo, etc.). Ha un impatto importante sulla qualità di vita del paziente, è uno dei
principali fattori di rischio per le cadute. Viene considerata una sindrome geriatrica, spesso in associazione con
altre sindromi, con una genesi multifattoriale, dovuta a minore efficienza (weakest link) dei sistemi per la stabilità
posturale. Il mantenimento dell’equilibrio è garantito dal riposizionamento dinamico istante per istante del CMC
(centro di massa corporea) grazie a vari sistemi. Invecchiamento:
 Alterazione della sensibilità propriocettiva: danno alla sensibilità vibratoria e cinestesica, riduzione della
sensibilità visiva, minore efficienza della funzione vestibolare.
 Alterazione di centri e vie nervose: rallentamento nell’attivazione muscolare involontaria.
 Sistema muscolo-scheletrico: flessione delle ginocchia ed utilizzo della strategia d’anca invece di quella di
caviglia o di ginocchia per guadagnare stabilità, riduzione di forza e massa muscolare Æ andatura senile
idiopatica (precauzionale).
L’instabilità è in genere riconducibile a 4 situazioni cliniche:
1.   Vertigine: sensazione di spostamento del corpo e del capo nello spazio, rotatorio (soggettiva) o dell’ambiente
(oggettiva). Possono essere acute o ricorrenti. Una forma molto comune (specie in donne anziane) è la
vertigine parossistica benigna (posizionale).
2.   Instabilità posturale: incapacità di mantenimento dell’equilibrio per alterazioni di equilibrio e andatura. È
associata alle alterazioni dell’invecchiamento oltre che da encefalopatie, sindromi extrapiramidali, idrocefalo
occulto normoteso, patologie del sistema muscolo-scheletrico, malattie del midollo spinale, neuropatie,
malattie degli organi di senso, ipotensione ortostatica, farmaci.
3.   Pre-sincope: e sincope vera e propria. Conosce le stesse cause della sincope.
4.   Altro: idiopatica, non inquadrabile: iperventilazione, disturbi psichiatrici, etc.
Diagnosi: anamnesi accurata per definire questa sensazione di instabilità, utilizzo della VMD.

Cadute: le cadute sono comuni in tutta la popolazione, ma risultano un reale problema nel paziente anziano, tanto
da essere attualmente considerate una sindrome geriatrica. Nell’anziano sono effettivamente più frequenti e di
maggiore gravità. Possono essere accidentali o non.
Epidemiologia: pare che la metà dei >80 e 1/3 dei >65 cada almeno una volta all’anno.
Fattori di rischio: per quale motivo gli anziani cadono più facilmente?
 Fattore weakest link: l’invecchiamento, come visto per la dizziness, causa alterazioni dell’apparato
visivo, uditivo, locomotore e nervoso. Si ha cambio del controllo posturale (minore efficacia del riflesso
di raddrizzamento del piede), cambiamenti nella deambulazione (tendenza a sollevare meno i piedi, gli
uomini tendono a piegarsi in avanti, le donne tendono ad una andatura dondolante).
 Fattore malattia: sensazione di instabilità, patologie specifiche soprattutto vertigine, malattie nervose
(demenze, patologie extrapiramidali, ictus, epilessia) e cardiovascolari (aritmie, ipotensione ortostatica,
sincope) poi anemie, disturbi elettrolitici, etc. Senza contare ad esempio cose come l’ipertrofia prostatica
(che costringe a svegliarsi di notte).
 Fattore ambiente: spesso si somma agli altri fattori: utilizzo di tappeti, bagno scivoloso, ma anche costrizione
a letto e carrozzina, dopo la dimissione dall’ospedale, etc.
Cause comuni di cadute: incidenti, sincope, drop attack (cedono le gambe per insufficienza vertebro-basilare),
vertigini, ipotensione ortostatica, farmaci (come ipotensivanti e tranquillanti).
Conseguenze e complicanze: sono numerose, la mortalità cresce al crescere dell’età, così come il rischio di disabilità.
Quest’ultimo aumenta con il tempo che passa l’anziano a terra prima di essere soccorso. Abbiamo conseguenze
immediate (come fratture), e tardive (come la paura di cadere):
 Lesioni dei tessuti molli: ecchimosi, ferite, possono essere più o meno gravi.
 Fratture: sono la conseguenza più frequente, spesso a causa della maggiore fragilità dell’osso nell’anziano.
L’osteoporosi (T-score <2,5 DS dalla densità media) è il fattore di rischio principale. Le sedi più frequenti
sono:
o   Frattura del femore: la sua incidenza aumenta con l’età. È la conseguenza più severa e a differenza
delle altre fratture richiede l’ospedalizzazione. È più comune nell’anziano che nel giovane, oltre che
per la diversa densità ossea, anche perché l’andatura (e spesso l’utilizzo del bastone) fa sì che la

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caduta avvenga in genere di fianco o all’indietro anziché in avanti. La mortalità nei primi 6 mesi
supera il 20% e vi è un’alta percentuale di soggetti che non recuperano la propria mobilità.
o   Fratture vertebrali: molto correlata a densità ossea e osteoporosi, spesso è spontanea. Più comuni
nel sesso femminile, tendono o sommarsi dopo la frattura di una singola vertebra. Il dolore può
essere cronico o acuto.
o   Altre fratture: le sedi più comuni sono polsi, poi omero, tibia, pelvi.
 Traumi cranio-encefalici: sono associati ad elevata mortalità. Si distinguono:
o   Ematoma subdurale: di gran lunga il più frequente. Un fattore predisponente è l’atrofia cerebrale
(può presentarsi anche senza un trauma riconoscibile). La raccolta di sangue si sviluppa lentamente
tra dura madre ed aracnoide a causa della lacerazione dei seni venosi. Può essere acuto (meno di
3 giorni), subacuto e cronico. In realtà vi è comunque un periodo lucido prima del progressivo
aumento del sangue: il problema è che la scatola cranica è chiusa ed anche piccoli versamenti
possono causare quadri clinici gravi.
o   Ematoma epidurale: rottura arteria meningea media. Rara, per rottura osso temporale. La perdita
di coscienza è immediata.
o   Emorragia intraparenchimale: in genere traumi cranici di grande intensità.
o   Contusione cerebrale: varietà di danni e sintomi che dipendono dalla sede colpita.
 Generali: ciascuna delle conseguenze aumenta la probabilità che si verifichino:
o   Ricovero in ospedale: di per sé una complicanza, visto che aumenta la mortalità, il rischio di
disabilità, patologie infettive, fragilità, problemi psicologici.
o   Disabilità: in particolar modo frequente a seguito della rottura del femore.
o   Paura di cadere: è una conseguenza tardiva che determina ansia, insicurezza, autolimitazione
nello svolgimento delle attività e dunque declino funzionale. Diminuisce relazioni sociali, aumenta
rischio altre caudute e istituzionalizzazione.
Valutazione dell’anziano con storia di caduta:
 Anamnesi: fondamentale un’anamnesi generale accurata, patologia, farmacologica, funzionale ed
ambientale. Indagare sulle circostanze dell’evento (ricordarsi che gli anziani tendono a minimizzare),
modalità, se era già caduto altre volte, se in relazione con l’alzarsi dal letto o dalla poltrona, con i pasti,
presenza sintomi premonitori. Chiedere direttamente: era cosciente?; Ha avuto sintomi prima?; testimoni?;
farmaci?; ricorda la caduta?; quale pensa sia la causa?;
 Valutazione dell’equilibrio e andatura: si utilizza generalmente la scala di Tinetti. Valuta:
o   Equilibrio: il soggetto è seduto su di una sedia rigida senza braccioli. Si valuta se mantiene
l’equilibrio, se riesce ad alzarsi, se mantiene la stazione eretta, se riesce a girarsi e a sedersi (1-16). Se
non mantiene l’equilibrio all’inizio il punteggio è 0.
o   Andatura: il soggetto cammina per dieci passi di fronte all’esaminatore, all’inzio con il suo passo
normale, poi più veloce. Se li usa, può adoperare strumenti per la deambulazione. Si valuta l’inizio
della deambulazione, lunghezza e altezza del passo, simmetria e continuità del passo, traiettoria,
posizione del tronco. (1-12). Se la persona non è deambulante il punteggio è 0.
o   Classificazione: un risultato complessivo tra 0 e 1 è una controindicazione alla deambulazione,
tra 2-18 è a rischio, >19 è deambulante.
 Esame obiettivo: Indici vitali (PA, Frequenza cardiaca e respiratoria), cute (rossa, cianotica, potrebbe avere
crisi ipossemiche saltuarie se non è ben ossigenato), midriasi (sospetto di ematoma subdurale o lesione
neurologica), arti (piede diabetico, utilizzo scarpe), apparato cardiovascolare e nervoso con attenzione.
 Esami addizionali: Ematocrito (eventuali deficit di Hb), Rx torace (non molto utile, cause grossolane), ECG
o Holter (eventuali aritmie).
Algoritmo diagnostico:
 Se il paziente è scivolatoÆvalutazione cause ambientali.
 Caduto all’improvviso per cedimento gambeÆ Eco doppler, TAC encefalo con mdc, RMN fossa cranica
posteriore.
 Riferisce instabilitàÆ Eco doppler, EEG, TAC encefalo con mdc.
 VertigineÆSoggettiva (otorinolaringoiatria); Oggettiva (valutazione neurologica).
 SincopeÆ algoritmo specifico della sincope.
Principi di terapia: bisogna prima trattare eventuali conseguenze fisiche. Se vi è diagnosi eziologica bisogna
provvedere al trattamento delle patologie sottostanti. Fondamentale una terapia fisico-riabilitativa per rieducare
il paziente e rafforzare il tono muscolare, ricorrere ad ausili per la deambulazione. Supporto psicologico se vi è paura
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di cadere.
Prevenzione: oltre alla terapia riabilitativa ed un programma di esercizi contro resistenza può essere utile un
intervento di valutazione e modifica dell’ambiente domestico (eliminare ostacoli, tappeti, pantofole, indossare
scarpe adatte); sospensione farmaci psicotropi, interventi su pavimenti, arredi da bagno, mobili, sedie, letti.

Sincope: per sincope si intende un’improvvisa perdita di coscienza accompagnata da caduta e seguita da un rapido,
completo e spontaneo recupero. Dura da 15 secondi a 2-3 minuti. La pre-sincope o lipotimia indica la sensazione
di imminente perdita di coscienza, senza che si realizzi. Il meccanismo patogenetico è lo stesso, nella maggior parte
dei casi una caduta della pressione arteriosa sistemica, ma vi sono pure altre cause. Le frequenza e le conseguenze
di sincope negli anziani sono molto maggiori (fratture, etc.) oltre alla successiva paura di cadere.
Epidemiologia: frequente, 11/1000 all’anno nei soggetti tra 70-80, aumenta con l’età.
Fattori di rischio: con l’età si riduce l’efficacia dei meccanismi di controllo e compenso della pressione arteriosa
sistemica e della perfusione cerebrale:
 Diminuita efficienza barocettiva: baro riflesso alterato
 Predisposizione all’ipotensione ortostatica (ridotto adattamento della frequenza, etc.)
 Predisposizione all’ipotensione per ipovolemia (diminuita azione sistema RAA, sete, etc.)
 Ridotta efficienza auto regolativa del flusso cerebrale (da arteriolosclerosi, etc.).
Il baro riflesso alterato è il fattore più importante. Normalmente nel passaggio dal clino all’ortostatismo vi è
una diminuzione di pressione cui fa seguito un aumento della frequenza cardiaca. Nell’anziano la sensibilità dei
barocettori è diminuita così come la capacità del cuore di aumentare la frequenza. Se non si alza lentamente può
avere sincope.
Altri fattori: disabilità, comorbilità, polifarmacoterapia (maggiore rischio di effetti collaterali).
Il rischio di sincope aumenta quasi proporzionalmente al numero di farmaci assunti. Tra i farmaci i più rischiosi sono
ACE-inibitori e sartani, diuretici, vasodilatatori, antiaritmici associati a torsione di punta, digossina, beta-
bloccanti, alfa-litici, infine benzodiazepine e altri psicoattivi.
Eziologia e classificazione: distinguiamo:
1.   Sincope di origine cardiaca: 14% dei casi, dovuti ad una cardiopatia come stenosi aortica.
Nell’anziano è due volte più frequente che nella popolazione generale. È la forma correlata alla più alta mortalità.
Può essere secondaria a:
 Malattia strutturale cardiaca o cardiopolmonare: stenosi aortica, altre valvulopatie, infarto del miocardio
(qualora non muoia), cardiomiopatia ostruttiva.
 Aritmie: sindrome del nodo del seno, BAV, tachicardie parossistiche sopraventricolari e ventricolari,
malfunzionamento del pacemaker, farmaci.
Le cause più comuni sono malattia del nodo del seno, tachicardia ventricolare, mentre il 20% di tutti i casi di
sincope è dovuto ad aritmia, per questo ECG e Holter sono spesso diagnostici.
2.   Sincope di origine non cardiaca: 66% neuro mediata (rientra l’ipotensione ortostatica).
Gruppo molto eterogeneo, di cui la causa più comune è l’ipotensione ortostatica, poi anche l’ipersensibilità del seno
carotideo e l’alterata risposta neuro-mediata vaso-vagale:
 Neuro-mediata: Vaso-Vagale, ipersensibilità del nodo del seno, situazionale (tosse, emorragia, post-
minzionale, post-esercizio fisico, post-prandiale etc.).
 Da ipotensione ortostatica: L’ipotensione ortostatica è definita come la caduta di almeno 20 mmHg
della pressione sistolica nel passaggio dal clino all’ortostatismo. La sua frequenza aumenta con l’età. Nei
soggetti con sistolica alta è più frequente. Nel passaggio in piedi 500-800 ml di sangue vengono dislocati
alle estremità inferiori e a livello splancnico. Questo causa un decremento del ritorno venoso a livello
centrale con una riduzione della portata cardiaca e quindi una stimolazione dei barocettori che di
riflesso aumentano il tono simpatico e le resistenza vascolari aumentando la frequenza cardiaca. Negli
anziani vi è: deterioramento della regolazione della pressione, possibili patologie che alterino l’efficienza
del sistema autonomo, frequente polifarmacoterapia che può accentuare la disfunzione. I farmaci, le
patologie cardiovascolari e neurogeniche possono accentuare l’effetto di queste disfunzioni (stenosi aortica,
insufficienza cardiaca, aritmie, insufficienza adreno-surrenalica, alcool, disidratazioni, nefropatie, atrofie
cerebrali, diabete, neuropatie).
 Da causa cerebrovascolare: sintromi da furto vascolare.
3.   Sincope di origine ignota o indeterminata: più del 20%, spesso multifattoriale.
Pseudosincope: non rientra nella classificazione. È una perdita di coscienza che dura più tempo di 15 min (per lo più
associata ad ictus o epilessia). La sincope vera dura molto meno.
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Clinica: spesso la sincope può essere preceduta da sintomi premonitori (presincope) quali: nausea, sudorazione,
debolezza e turbe della visione. Differenze tra diversi tipi di sincope:
 Neuromediata: no malattia cardiaca, dopo suoni o odori spiacevoli o dolore, può essere associata a stazione
eretta, sforzo, pasti, compressione del collo.
 Da ipotensione ortostatica: caduta della pressione in ortostatismo >20mmHg o pressione inferiore a
90<mmHg, Dopo stazione eretta o farmaci ipotensivi o sforzo.
 Cardiaca: patologia cardiaca, anche posizione supina, dolore toracico, familiarità.
 Cerebrovascolare: associata ad esercizi con le braccia, differenza tra polsi delle due braccia.

Diagnosi: prima di tutto valutazione iniziale del paziente con perdita transitoria di coscienza:
1.   Distinzione tra sincope vera o pseudo-sincope:
a.   Sincope: effettuare la diagnosi eziologica.
b.   Pseudo-sincope: confermare con test specifici o valutazione specialistica.
2.   Diagnosi eziologica: possiamo trovarci di fronte a:
a.   Diagnosi eziologica certa: cominciare il trattamento.
b.   Diagnosi incerta: effettuare una preliminare stratificazione del rischio.
3.   Stratificazione del rischio: distinguere il paziente in:
a.   Alto rischio: sono pazienti con rischio di eventi gravi a breve termine. Serve una valutazione precoce
e trattamento.
b.   Basso rischio con sincope ricorrente: si effettuano test per la diagnosi di sincope cardiaca o neuro-
mediata poi trattamento in relazione alla positività ECG.
c.   Basso rischio con sincope isolata: non serve ulteriore valutazione.
In generale i pazienti a basso rischio gestiti in modo adeguato non necessitano ricovero, quelli ad alto rischio
devono essere ospedalizzati. Si definisce ad alto rischio un paziente con: grave patologia arteriosa strutturale
o alle coronarie, dati clinici o ECG che suggeriscono una sincope dovuta ad aritmia, comorbidità importanti
(anemia severa, disturbi elettrolitici).
La sincope che si sviluppa dopo esercizio fisico è in genere benigna, mentre quella che si sviluppa durante l’esercizio
fisico ha una prognosi generalmente peggiore e sarebbe da indagare.
Oggi esistono le OBI, strutture di osservazione a breve intensità nelle quali i pazienti che accedono al pronto soccorso
sono tenuti 48h sotto osservazione e si indaga sulle possibili cause.

Algoritmo diagnostico: si deve giungere alla diagnosi definitiva e quindi al trattamento. Inizia con
1.   Anamnesi, esame obiettivo, ECG, pressione arteriosa in clino e ortostatismo:
a.   Diagnosi definitiva e quindi trattamento oppure sospetto diagnostico.
2.   Sospetto diagnostico: le cause possono essere:
a.   Cardiache:
 Aritmie: Si esegue: massaggio carotideo e ECG 24hÆ SEFÆ Tilt table-test
 Bassa portata: Si esegue: ECG, Prova da sforzo, TAC polmone, Coronarografia Æ Massaggio
carotideo e Tilt table-test.
b.   Neurologiche: possibile pseudo sincope. Se esegue: Doppler carotideo, EEG, TAC craneale Æ
Massaggio carotideo e Tilt table-test.
c.   Neuromediate: Si esegue: Massaggio carotideo e Tilt table-test, Holter pressorio 24h Æ Prova
da sforzo e ECG 24h.
3.   Se tutti i test risultano negativi: Valutazione psichiatrica o Loop recorder (registrazione del ritmo
cardiaco registrata per 6 mesi con dispositivo impiantabile sottocute).

Anamnesi: deve riguardare le circostanze precedenti l’attacco (posizione, attività in corso, fattori predisponenti),
modalità d’esordio (eventuali sintomi precursori), decorso (caduta, durata, coscienza o meno, respiro, morsicatura
della lingua). Importante l’anamnesi patologica e familiare.
Valutazione dei prodromi: ci permettono una distinzione preliminare tra sincope cardiaca e non cardiaca. I
prodromi della cardiaca sono soprattutto: dispnea. Della non cardiaca: nausea, vomito e visione offuscata.
Predittivi di sincope cardiogena sono: palpitazioni pre-sincope, cardiopatia o ECG patologico, sincope durante lo
sforzo, da supino, etc.
Esame obiettivo: valutare colorito, idratazione, temperatura, pressione arteriosa in clino e ortostatismo,
auscultazione cardiaca, segni di traumi, tono muscolare ed eventuali deficit neurologici focali, morsicatura della
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lingua.
ECG: possono essere rilevanti aritmie, disturbi di confuzione, QT lungo, bradicardia sinusale o blocco seno atriale,
ipertrofia ventricolare, onde Q di infarto, sindrome di Brugada, onde epsilon.
Sospetto di sincope cardiaca: è importante l’indagine strumentale. La principale è il Tilt table test.
La TC in pronto soccorso è più utile per individuare eventuali danni da caduta.
1) Tilt-table test: diagnostico nel 66% dei casi. Per potenziare il tilt test si può somministrare nitroglicerina per
ridurre ancora il pre-carico. Si è notato infatti che spesso, come nella sincope vaso-vagale, è la minore efficacia del
simpatico e quindi la forte vasodilatazione il primo fattore. Pertanto la nitroglicerina potenzia la reazione vagale. Il
tilt test è infatti soprattutto diagnostico in caso di causa cardiaca (sincope vaso-vagale, azione di farmaci, ipotensione
ortostatica). Il paziente è posto su supino su di un lettino inclinabile verso l’ortostatismo (in genere 60°). Si esegue
minotoraggio ECGgrafico continuo durante il test. Interpretazione: Classificazione di VASIS:
 Vasis tipo I: Risposta mista: al momento della sincope vi è riduzione della frequenza cardiaca (che si
mantiene superiore a 40 bpm o inferiore per meno di 10 secondi). Riduzione della pressione arteriosa
prima del calo della frequenza cardiaca.
 Vasis tipo IIA: Risposta cardioinibitoria senza asistolia: al momento della sincope vi è riduzione della
frequenza cardiaca anche al di sotto di 40 bpm, ma senza asistolia (o per <3 secondi). Riduzione della
pressione arteriosa prima del calo della frequenza cardiaca.
 Vasis tipo IIB: Risposta cardioinibitoria con asistolia: al momento della sincope vi è una asistolia > 3sec.
Riduzione della pressione arteriosa prima o insieme alla frequenza.
 Vasis tipo III: Risposta vaso depressiva pura: la frequenza cardiaca sale dall’inizio del test e non scende
mai più del 10%. La PA cala fino a causare sincope.
Il VASIS IIb indicherebbe l’utilizzo di un pacemaker (al loop recorder noteremo una genesi aritmica della sincope)
anche se questo non previene l’effetto della vasodilatazione e quindi ulteriori possibili sincopi.
2) Massaggio carotideo: si massaggia con 3 dita per almeno 10 secondi la carotide del apziente nella sede di
massima pulsatilità. Il tutto si esegue in clino e orto statismo, a destra e a sinistra, prima e dopo la somministrazione
di atropina e con monitoraggio ECGgrafico continuo.
Interpretazione: Ipersensibilità seno-carotideo: caduta della pressione sistolica >50 mmHg oppure asistolia >
3sec a seguito del massaggio.
Sindrome del seno carotideo: riproduzione della sincope in presenza di ipersensibilità.

Terapia: prima di tutto la sincope è un meccanismo di difesa per mantenere la perfusione cerebrale. Infatti la
posizione orizzontale dopo la caduta favorisce l’arrivo di sangue al cervello. Per diminuire la probabilità di danni
cerebrali bisogna lasciare il paziente con sincope in posizione orizzontale. Se il paziente si trova su di una sedia a
rotelle porlo in posizione orizzontale.
1) Causa cardiogena: in questo causa la terapia verte sulla risoluzione della causa. Se il paziente ha stenosi aortica
questa è curabile con sostituzione valvolare, se ha un blocco atrioventricolare di II o III grado è curabile con
pacemaker, una tachicardia ventricolare con defibrillatore.
2) Causa non cardiogena: mentre le cause cardiogene sono gravi ma curabili ed inoltre diagnosticabili con test
specifici, in queste è più complesso. Il Tilt test ha bassa sensibilità e spesso i dati dei differenti test non combaciano.
L’approccio mai come in questo caso deve essere una valutazione multidisciplinare. Risultano infatti fondamentali
in questi casi:
 Presidi dietetici: aumentare l’introito di liquidi e sali.
 Presidi comportamentali: evitare luoghi caldi e affollati, prolungata stazione eretta, uso di calze elastiche,
manovre di contro-pressione, tilt training.
 Terapia farmacologica: midrodina, paroxetina, etilefrina, fludocortisone, disopiramide.
 Evitare reazioni avverse: ACEI, sartani, diuretici, vasodilatatori, alfa-litici, sostanze psicoattive,
benzodiazepine, ganglioplegici, alcool.
 Elettrostimolazione cardiaca: laddove sia possibile e necessario. Bicamerale DRD o CLS.
Pertanto nell’anziano: In genere sono sufficienti misure comportamentali e rassicurazioni sulla prognosi benigna
(effettivamente la prognosi dei pazienti con sincope non cardiogena è assimilabile a quelli senza eventi di sincope).
Se la sincope è molto frequente e ricorrente necessita di ulteriore trattamento. I beta-bloccanti, a parte in casi di
cardioinibizione, risultano efficaci.
Esempio: se il paziente ha ad esempio una ipotensione ortostatica e tachicardia atriale risulterà efficace la
disopiramide con effetto anticolinergico ed antiaritmico.
È sempre importante una VMD in quanto spesso i pazienti sono imprecisi nell’anamnesi perché per esempio con
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deficit cognitivi e altre situazioni simili.

Syncope Unit: è un’unità ospedaliera esistente nei paesi anglosassoni e funzionante 24h su 24. I pazienti sono
distinti in basso ed alto rischio (il che riduce i ricoveri inutili). Le figure professionali partecipanti sono un cardiologo
(che la fa da padrone), un neurologo, un geriatra, un audiologo, un internista. Si eseguono comunemente esami
cardiologici e il tilt table test.

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Sindrome da immobilizzazione: in geriatria con il termina immobilità si intende non solo l’incapacità totale
o parziale dell’individuo di spostarsi, ma anche le conseguenze che essa ha sul’intero organismo. L’anziano può
arrivarci in maniera acuta o subdola. Essendo l’anziano maggiormente predisposto all’immobilità oltre che alle
gravi conseguenze di essa, si inserisce l’immobilizzazione tra le sindromi geriatriche (come cadute, incontinenza,
deterioramento cognitivo, sarcopenia). Negli anziani i fattori di rischio determinano l’insorgenza di queste sindromi,
la fragilità determina le gravi conseguenze di queste sindromi (morte, disabilità).
Epidemiologia: si distinguono due livelli di limitazione: primo livello (incapacità di salire e scendere le scale
o camminare per periodi brevi), secondo livello (incapacità di spostarsi dal letto o dalla poltrona). L’immobilità
aumenta con l’età, interessa quasi il 20% delle persone tra 65 e 80 anni e circa il 40% delle persone sopra gli 80 anni.
Fattori di rischio dell’anziano: sono fondamentalmente: comorbilità, vulnerabilità (ridotta capacità di tolleranza
agli effetti dell’immobilizzazione) e sarcopenia (una vera e propria sindrome geriatrica). In più sono importanti
fattori biologici (stato di salute, deterioramento funzionale), psico-comportamentali (diversa reazione allo stato
di malattia), socio-ambientali (situazione sociale disagiata, sedentarietà, alimentazione scorretta, scarso supporto
sociale).

Meccanismi causanti la sindrome: la sindrome è molto più comune nell’anziano che nel resto della popolazione.
Vari gruppi di patologie possono portare all’immobilizzazione:
 Malattie muscolo-scheletriche: artriti, osteoartrosi, osteoporosi, polimialgia reumatica, borsiti e tendiniti
Æ dolore, ridotta ampiezza di movimento, debolezza muscolare.
 Malattie cardiache: insufficienza cardiaca cronica, coronaropatia Æ dispnea, angina, astenia profonda,
psicosi o condizionamento psicologico.
 Malattie polmonari: BPC ostruttiva o restrittiva Æ dispnea, minore capacità aerobica.
 Malattie neurologiche: demenza, ictus, Parkinson, neuropatia periferica, radicoliti Æ perdita della
funzione motoria, dolore, debolezza muscolare, perdita input sensoriali.
 Altre malattie: arteriopatia obliterante, retinopatia, ipotensione ortostatica, insufficienza labirintica Æ
dolore, deficit visivo, instabilità, vertigini, paura.
A questo c’è da aggiungere una cultura medica che ancora vede “lana, latte e letto” come elementi centrali nella
terapia dell’anziano fragile. Inoltre l’ospedalizzazione favorisce l’immobilità non esistendo spesso programmi di
mobilizzazione o di riabilitazione in ogni reparto.
Meccanismi con cui si instaura la sindrome:
1.   Decondizionamento fisico: assenza di movimento che determina direttamente l’involuzione dell’apparato
muscolo-scheletrico ed articolare.
2.   Clinostatismo prolungato: alterazione dei meccanismi di adattamento antigravitario e modificazioni della
funzionalità di organi e apparati indotte dalla clinostasi.
3.   Deprivazione sensoriale: possibile sviluppo di depressione e demenza.

Conseguenze dell’immobilizzazione:
 Manifestazioni cardiocircolatorie:
o   Cuore: già dopo poche ore avviene una redistribuzione della volemia dalla periferia al centro.
Quest’ultima causa un aumento del flusso polmonare e della portata cardiaca del 20-30% (che
già può causare scompenso in pazienti cardiopatici). Pertanto anche facile insorgenza di edema
polmonare acuto per scompenso. Ridotto adattamento all’ortostatismo (facile ipotensione
ortostatica e sincopi). In generale ridotto adattamento del cuore a richieste aumentate.
o   Sistema arterioso: aumentato tono adrenergico con aumento dell’aggregazione piastrinica e
lipolisi. Meno prostaglandine e aumentato rischio di trombosi arteriosa
o   Sistema venoso: stasi perifericaÆ aumentato rischio di trombosi ed embolia.
 Manifestazioni respiratorie: riduzione attività dei muscoli toracici ed aumento azione di quelli
addominali Æ modificazione rapporto V/P e ridotta CV Æ ipossia ed ipercapnia. Diminuzione della
tosse, ristagno secreti, aumento flusso polmonare Æ infezioni.
 Manifestazioni muscolo-scheletriche:
o   Muscoli: diminuita sintesi proteica e aumento catabolismoÆ ridotta forza contrattileÆ ipostenia
o astenia, contratture, ipotrofia muscolare.

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o   Ossa: osteoporosi da disuso per riduzione degli stimoli trofici muscolari.


o   Articolazioni: fibrosi di tendini, legamenti e capsule. Limitazione fino all’anchilosi.
 Manifestazioni gastrointestinali: anoressia, turbe dispeptiche, malnutrizione e stipsi (occlusione intestinale
da fecalomi con pseudo diarrea).
 Manifestazioni urinarie: stasi ed aumento dell’escrezione di calcio causano urolitiasi. L’immobilità
comporta una minore sensibilità vescicale che può causare ritenzione o incontinenza urinaria. La
ritenzione trattata con cateterismo si associa ad aumento delle infezioni. L’incontinenza a peggioramento
piaghe da decubito e possibile depressione.
 Manifestazioni neuro-psichiche: indifferenza o ostilità, depressione, labilità emotiva. Anche stati
confusionali e deterioramento cognitivo (deprivazione sensoriale).
 Manifestazioni cutanee: particolarmente comuni ed importanti. Trattate in seguito.

Complicanze: le più frequenti sono pertanto: edema polmonare acuto, infezioni respiratorie, tromboflebiti e
possibile embolia polmonare, infezioni urinarie, calcoli, lesioni da decubito:
 Rischio di edema polmonare acuto: in caso di segni clinici di EPA bisogna monitorare i parametri
emogasanalitici, valutare la pervietà delle vie aeree ed eventualmente usare ossigeno al 100%. Somministrare
iv.: morfina e furosemide Æ valutare la PAÆ se >100 dare nitroglicerina; se <70 dopamina e
noradrenalina; se 70-100: dobutamina.
 Problemi nel trattamento farmacologico dello scompenso: il deficit cognitivo, la deprivazione sensoriale
e la depressione possono interferire con l’assunzione dei farmaci. Inoltre i diuretici posso aggravare
l’incontinenza urinaria, i beta-bloccanti aggravare una BPCO, entrambi aggravano l’ipotensione ortostatica,
gli ACEinibitori la disfunzione renale.
 Rischio di trombosi venosa profonda ed embolia polmonare: calzature compressive ed eparina a basso
peso molecolare salvo controindicazioni.
 Rischio di broncopolmonite: teicoplanina, meropenem, clindamicina, fluconazolo.
 Rischio di infezioni urinarie: ciprofloxacina, ceftazidime.
Monitoraggio ematochimico: sempre da effettuare con emocromo, emogasanalisi, glicemia, fattori emocoagulativi,
elettroliti, osmolarità, azotemia, bilirubinemia, quadro proteico, etc.

Prevenzione delle complicanze:


 Aspetti neuro-psicologici: le tre D dell’alterazione mentale: depressione, delirium e demenza hanno
ripercussioni sul paziente e sul caregiver. È necessario evitare la deprivazione sensoriale (occhiali,
apparecchi acustici, orologi) e socializzare. Importante anche l’alternanza del caregiver.
 Rischio di malnutrizione: adeguata alimentazione, proteica e vitamine. Almeno un litro e mezzo di acqua
al giorno. In alternativa alimentazione parenterale controllata.
 Ipotensione ortostatica: far scendere il paziente dal letto quanto prima, con aiuto.
 Lesioni da decubito: mobilizzazione, gestione terapeutica, nutrizione. Materiali giusti.
 Stipsi: consumo di fibre, idratazione, eventuali lassativi osmotici e clisteri.
 Incontinenza urinaria: pannolone, catetere vescicale, corretta terapia.
 Problemi muscolo-scheletrici: mantenimento autonomo delle attività quotidiane (mangiare, bere, vestirsi,
pettinarsi), semplici movimenti ed esercizi da poter praticare anche a letto, fondamentale la riabilitazione
motoria dopo la dimissione.

Lesioni da decubito: o piaghe da decubito o ulcere da pressione, sono forse il più frequente problema legato
all’immobilizzazione del paziente. Più del 50% delle ulcere si manifestano negli ultrasettantenni e dopo una
settimana a letto il rischio di ulcera è del 28%.
Eziologia: la formazione delle ulcere si deve a sfregamento, stiramento e compressione della cute. Nei seduti
sono più frequenti che negli allettati in quanto vi è una maggiore pressione.
Fattori di rischio: nell’anziano sono molto più frequenti per i cambiamenti nel derma (minore idratazione, meno fibre
elastiche e collagene) e la minore rapidità nella guarigione delle ferite. Altri fattori sono: magrezza (meno adipe)
o obesità (più pressione), denutrizione (minore apporto proteico), secchezza della cute, ipotensione arteriosa,
comorbilità (diabete e microangiopatia). Ancora deterioramento mentale, mobilità assente, incontinenza
sfinterica.
Patogenesi: le ulcere tendono a formarsi a livello delle sporgenze ossee soprattutto nelle sedi sacrale, calcaneare e
scapolare (se supino), spine iliache anteriori e zona prerotulea (se prono), trocanterica, malleolare, zigomatica
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e padiglioni (se laterale). La pressione e soprattutto lo sfregamento causano una riduzione del flusso sanguigno
con conseguente necrosi tissutale. Il danno finisce per interessare anche i vasi linfatici con ipossia e danno
ischemico-necrotico.
Stadi patologici: in base alla progressione della lesione distinguiamo:
1.   Stadio I: cute integra, eritema persistente, che non scompare alla digitopressione.
2.   Stadio II: lesione cutanea, soluzione di continuo limitata all’epidermide e al derma.
3.   Stadio III: ulcerazione crateri forme, con necrosi (tessuto scuro) che interessa cute e sottocute, fino ma non
oltre la fascia muscolare.
4.   Stadio IV: ulcerazione a tutto spessore con necrosi che raggiunge il muscolo e l’osso. Può essere molto
estesa e dolorosa, difficile da trattare.
Conseguenze: oltre ad abbassare la qualità della vita, possono essere causa di infezioni locali, prolungamento della
degenza ed anche morte per possibili sepsi.
Prevenzione e trattamento:
 Preliminare valutazione del rischio e della presenza di fattori di rischio, rivalutazione periodica.
Valutazione e osservazione costante dello stato della cute. Controllare bene regione sacrale, natiche,
regione trocanterica, malleoli, calcagni, tuberosità ischiatica.
 Prevenzione: nel paziente a rischio e in quello con lesioni:
o   Mobilitazione regolare e continua: soprattutto evitare per molto tempo posizioni che inducono
sfregamento, come la poltrona o il busto elevato a letto.
o   Pulizia della cute con acqua e detergenti, poi asciugatura: senza sfregamento e senza sostanze
irritanti. Evitare di massaggiare le prominenze ossee.
o   Utilizzo di materiali che riducono la pressione: come materassi o cuscini ad acqua, ad aria o in
gomma piuma, evitare anche le ciambelle.
 Trattamento: valutazione delle lesioni, misurazione e registrazione nella cartella clinica, rivalutazione
periodica. Terapia con vitamina C, adeguato apporto proteico, antibiotici per sepsi o infezione locale,
asportazione del tessuto necrotico, innesti, suture, etc.

Rischio Iatrogeno: gli ultra settantenni prendono in media 8 farmaci/die. Bisogna considerare:
1) Biodisponibilità dei farmaci: la biodisponibilità (del 100% nella somministrazione ev.) è la quantità di farmaco che
giunge in circolo. La sua variabilità aumenta con l’età. Nell’anziano è ridotta per diminuzione della secrezione
acida gastrica, del flusso circolatorio e del trasporto attivo attraverso la membrana cellulare, invece risulta
aumentata dalla riduzione della motilità gastrointestinale che garantisce un maggior tempo di permanenza
del farmaco.
2) Volume di distribuzione: rapporto tra la dose del farmaco e la sua concentrazione plasmatica. È determinato dal
legame del farmaco con le proteine plasmatiche (soprattutto l’albumina) e con i tessuti e dal flusso ematico a livello
degli organi e tessuti. Nell’anziano risulta ridotto per riduzione della massa muscolare, dei liquidi corporei e del
flusso sanguigno e per aumento della α1-glicoproteina, mentre risulta aumentato per riduzione dell’albumina
sierica.
3) Clearance totale corporea: è la velocità di eliminazione del farmaco dall’organismo ed è determinata soprattutto
dalla Cl renale ed epatica.
 Clearance renale è uguale alla clearance della creatinina: UxV/P, con U: [] urinaria creatinina; V: volume di
urine per unità di tempo; P: [] plasmatica di creatinina. Nell’età avanzata si ha riduzione della clearance
renale per riduzione della perfusione ematica e della massa renale. Dai 20 aa diminuisce la clearance
renale del 10% per ogni decade.
 Clearance epatica: con l’età si riduce la perfusione ematica, la massa epatica e il contenuto di enzimi/g di
tessuto con riduzione della clearance epatica. Un dosaggio ridotto sarebbe per tutti i farmaci metabolizzati
a livello epatico, soprattutto per quelli ad alta clearance.
4) Emivita: tempo richiesto per il dimezzamento della quantità totale di farmaco nell’organismo, rapporto tra il
volume di distribuzione e la clearance. Varia gli intervalli tra le somministrazioni.
Spesso negli anziani è aumentata, quindi è possibile distanziare di più le somministrazioni.
In generale negli anziani sono sufficienti dosi minori, ma c’è differenza: l’isoprotenerolo dà meno vasodilatazione
con l’aumentare dell’età, l’effetto della fenilefrina resta invece invariato.
La maggiore frequenza delle reazioni avverse ai farmaci negli anziani è perà dovuta soprattutto alla
polifarmacoterapia più che alla variazioni di questi parametri!!!. In generale bisogna:
1) iniziare da dosi basse e aumentare lentamente se necessario; 2) prestare attenzione ai possibili effetti tossici,
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(attenzione: le reazioni avverse in questi pz possono presentarsi in maniera atipica); 3) se il farmaco ha stretto
margine terapeutico, i pz devono essere attentamente monitorizzati;
4) particolare attenzione a quelli che agiscono sul SNC (sedativi, ipnici). 5) Prestare molta attenzione all’anamnesi
indagando su tutti i farmaci assunti, anche senza prescrizione medica!!!

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L’incontinenza urinaria è la perdita involontaria di urine in quantità o con frequenza tali da costituire per l’individuo
un problema sociale o di salute. È un sintomo, non una malattia. Ha costi sanitari elevati e risvolti psicologici negativi
oltre che rischio di istituzionalizzazione, aumentato rischio di piaghe da decubito, infezioni urinarie, cadute.
Epidemiologia: circa il 15-20% degli anziani non ospedalizzati e quasi il 50% tra gli ospedalizzati. È più comune nelle
donne e con l’avanzare dell’età.
Anatomia e fisiologia della minzione: la minzione avviene attraverso una arco riflesso il cui controllo è nei
segmenti sacrali del midollo a loro volta controllati da centri nervosi superiori quali ponte e corteccia. Vi
sono due sfinteri, uno prossimale (collo vescicale) involontario ed uno distale (uretra) volontario. Il sistema
parasimpatico garantisce la contrazione del detrusore della vescica e il rilasciamento dello sfintere. Il sistema
simpatico garantisce la contrazione dello sfintere ed il rilasciamento del detrusore.
L’invecchiamento è un fattore predisponente all’incontinenza urinaria. Infatti abbiamo un aumento del tessuto
fibroso e una diminuzione di quello elastico e muscolare con conseguente: ridotta capacità di dilatazione della
vescica, ridotta capacità contrattile degli sfinteri, comparsa di contrazioni involontarie della vescica, aumento
del volume residuo postminzionale. Questi cambiamenti non causano incontinenza ma predispongono ad essa.
Entrano poi in gioco una serie di altri fattori: capacità di vestirsi e svestirsi, raggiungimento dei servizi igienici, capacità
cognitive, adeguata mobilità. Vi è spesso un fattore precipitante che ha causato l’incontinenza. La risoluzione di
questo in genere la risolve.

Classificazione dell’incontinenza urinaria: in base all’andamento temporale distinguiamo:


 IU transitoria: tende alla guarigione dopo eliminazione della malattia scatenante: DIAPERS
o   Delirium, Infezione delle vie urinarie, Atrofia delle mucose, Pharmacology (diuretici,
antidepressivi, sedativi, alfa-bloccanti, alcool), Psicopatologia (depressione che riduce la
motivazione alla continenza), Endocrinopatie (iperglicemia e ipercalcemia sono associate
a poliuria), Ridotta mobilizzazione, Stipsi, Stasi fecale e fecaloma (ostacolo meccanico o
contrazioni riflesse).
 IU persistente: non regredisce e anzi peggiora con il tempo, ma la soluzione della causa porta un
miglioramento o anche guarigione nel 30% dei casi. Bisogna sempre cercare prima la possibile causa di IU
transitoria prima di poterla escludere. Si distingue in:
1.   Da urgenza: è la forma più frequente, incapacità di posticipare la minzione dopo aver percepito lo stimolo.
La causa è una iperattività del detrusore a sua volta dovuta a danno neurologico (infezione vie urinare,
prostatectomia, radioterapia), patologie del sistema nervoso centrale che compromettono i circuiti inibitori
(ictus, Parkinson).
2.   Funzionale: assenza di alterazioni strutturali. Cause: alterata mobilità, demenza, disabilità
3.   Da sforzo: piccole perdite in seguito ad aumento della pressione addominale, più femminile. Avviene senza
sentire lo stimolo associata a: difetto di trasmissione della pressione addominale all’uretra prossimale
(dislocazione del collo vescicale, da cistocele ad esempio) o alterazione dello sfintere uretrale (obesità,
nell’uomo prostatectomia, etc.).
4.   Da rigurgito: perdita piccola, ma costante. È dovuta a distensione vescicale dopo alterato svuotamento
dovuta a: ostacolo anatomico al deflusso urinario (ipertrofia prostatica, neoplasie), patologia neurologica
(traumi midollo), ipotonia o atonia vesciale (deficit contrattile idiopatico, ipertrofia prostatica, stenosi
uretrale, prolasso uterino).

Diagnosi: la valutazione del paziente anziano incontinente consta di due livelli:


1) I livello: anamnesi, esame delle urine, valutazione del residuo postminzionale:
 Anamnesi: meno del 50% degli anziani, soprattutto gli uomini, dichiara il disturbo. In parte per vergogna
in parte perché assumono sia normale in età avanzata. Bisogna porre domande dirette, perché il paziente
difficilmente ne parla spontaneamente. Può essere utile un diario minzionale dove porre: durata, frequenza
ed entità della minzione, numero, volume, numero delle urgenze e incontinenze per 2-3 giorni. Bisogna
poi informarsi su pollachiuria, nicturia, poliuria, disuria, stranguria, aggravamento alterazioni cognitive e
mobilità, cambi ambientali, uso di assorbenti o altri dispositivi, alterazioni dell’alvo, farmaci (diuretici,
caffeina, psicotropi, anticolinergici, antidepressivi, antipsicotici, sedativo-ipnotici), diabete, introduzione di
liquidi, scompenso, trattamenti precedenti.

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 Esame obiettivo: condizioni cliniche generali, stato cognitivo, autonomia, presenza di edemi declivi,
piaghe da decubito, obesità, tosse, globo vescicale, ernie, prolasso genitali, neoplasie, esplorazione
digito-rettale, alterazioni SNC o periferico, VMD dello stato cognitivo e funzionale, perdita di urine al test
del colpo di tosse.
 Esame delle urine: per escludere infezioni, patologie neoplastiche o metaboliche.
Questi dati dovrebbero permetterci di distinguere un’insufficienza urinaria transitoria da una forma persistente. Il
prossimo passo è distinguere il tipo di insufficienza persistente.
Sono utili il test del colpo di tosse: a paziente supino si fa compiere un colpo di tosse. Se avviene una perdita
conseguente al colpo che si arresta subito dopo è incontinenza da sforzo, se la perdita avviene, ma non si arresta
è più probabile che sia incontinenza da urgenza. In secondo luogo si valuta il residuo post-minzionale. Si esegue
con ecografie con scansioni sovrapubiche. Valori inferiori ai 50 ml sono fisiologici, valori superiori a 200 ml possono
indicare incontinenza da urgenza o da rigurgito (che ha ampio residuo postminzionale).
2) II livello: si basa su consulenza specialistiche e indagini strumentali. È indicato in caso di presenza o sospetto
di ematuria, infezioni ricorrenti, disuria persistenti, prolassi, alterazioni prostatiche, malattie neurologiche, pregressi
interventi chirurgici, se la terapia non ha funzionato, in mancanza di correlazione tra sintomi ed esame obiettivo, in
previsione di un intervento.

Terapia: l’incontinenza, seppur non sempre guaribile è quasi sempre migliorabile. Misure:
 Tecniche comportamentali e misure ambientali: ridurre l’introduzione di liquidi nelle ore serali, rimuovere
barriere architettoniche, programmare le minzioni.
 Farmaci: anticolinergici (aumentano la capacità vescicale e riducono le contrazioni involontari), alpha-
agonisti (aumentano la contrazione dello sfintere), estro-progestinici (aumentano la resistenza dei tessuti
periuretrali), alpha-bloccanti e 5-alpha reduttasi (rilassano la muscolatura liscia, utili in caso di urgenza
associata a ipertrofia prostatica).
 Dispositivi di continenza sociale: sono semplici ed efficaci, ma a parte l’impatto psicologico, hanno
controindicazioni: pannolini e tamponi assorbenti (aumento rischio di lesioni cutanee), dispositivi esterni
di raccolta (lesioni da decubito peniene e infezioni del tratto urinario), catetere vescicale a permanenza
(aumento rischio infezioni, calcoli, contrazioni detrusore, mobilità ed autonomia funzionale).
 Chirurgia: sospensione vescicale, impianto di uno sfintere urinario artificiale, prostatectomia, dilatazione di
stenosi uretrali.
In generale distinguiamo una continenza indipendente (capacità di espletare la funzione in modo autonomo),
continenza dipendente (espletare la funzione con l’aiuto di un caregiver), continenza sociale (così compromesse
da richiedere solo mezzi di ausilio applicati alla persona).
In base invece al tipo di incontinenza indipendente i presidi terapeutici utilizzati sono:
 Incontinenza da urgenza: riabilitazione, esercizi di rinforzo della muscolatura pelvica tecniche
comportamentali (esercizi di contrazione dello sfintere), anticolinergici.
 Incontinenza funzionale: interventi ambientali e comportamentali.
 Incontinenza da sforzo: riabilitazione e esercizi di rinforzo della muscolatura pelvica , assorbenti, estrogeni
e alpha –agonisti, antidepressivi triciclici, chirurgia.
 Incontinenza da rigurgito: correzione cause sottostanti, cateterismo, esercizi di rinforzo della muscolatura
addominale, chirurgia (correzione ostruzione).

Catetere a permanenza: fondamentale il suo corretto utilizzo:


 Inserimento: cateteri tipo Foley, di adeguato calibro. Procedura sterile, ricercare la collaborazione del
paziente. Lubrificazione abbondante e nel maschio uso di gel lubrificante direttamente in uretra. Gonfiare il
palloncino di contenzione con 7-8 ml di fisiologica. Sostituire il catetere ogni 15 giorni.
 Gestione quotidiana: disconnettere la sacca di drenaggio solo per la sostituzione, non usare mai tappi,
sistema di drenaggio in posizione declive, monitorare la diuresi.
 Complicanze: lesioni uretrali, infezioni urinarie (non usare antibiotici a scopo profilattico), ostruzione,
fuoriuscita di urine tra catetere e uretra (occlusione del lume o iperreflessia del detrusore).

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Delirium: è un disturbo dello stato di coscienza caratterizzato da esordio acuto (ore o giorni), andamento fluttuante,
frequente accentuazione nelle ore notturne. Sono presenti alterazioni cognitive (deficit mnesici, disorientamento),
alterazioni del linguaggio e della percezione (allucinazione o falsa interpretazione di stimoli reali). Il quadro è
molto eterogeneo. Abbiamo:
 Forma iperattiva: paziente irritabile, irrequieto, agitato, a volte aggressivo.
 Forma ipoattiva: paziente poco vigile, sonnolento, a volte stato stuporoso.
 Forma mista: i due stati si alternano, con alterazione del ritmo sonno-veglia.
Epidemiologia: è una complicanza frequente nei pazienti anziani ospedalizzati. In particolar modo nei pazienti
chirurgici, ustionati e fratturati di femore.
Eziopatogenesi: è in genere causato da condizioni di stress psico-fisico: infezioni, ritenzione urinaria o fecale,
eventi cardiovascolari acuti, infarto, aritmie, embolia polmonare, insufficienza epatica, ipoglicemia, ipotiroidismo,
iperglicemia, alterazioni idroelettriche, neoplasie, nell’anziano anche cambio di domicilio o ospedalizzazione.
Anche numerosi farmaci: benzodiazepine, antidepressi, antiparkinsoniani con attività anticolinergica e
dopaminergica, alcuni analgesici, sali di litio, sostanze tossiche (insetticidi, vernici, CO, sospensione di farmaci
psicoattivi o alcool).
L’evento finale sarebbe uno squilibrio dei neurotrasmettitori con compromissione dell’attività colinergica e
aumento di quella dopaminergica e di noradrenalina e glutammato. Può essere dovuto ad una aumentato
rilascio di citochine, alterazione della barriera ematoencefalica, aumentata azione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene
con aumentato rilascio di cortisolo.
Fattori predisponenti e precipitanti: nell’anziano la causa è sempre multifattoriale. Predisponenti sono deficit
uditivi o visivi importanti, disidratazione, alterazioni cognitive, patologie gravi. Precipitanti sono interventi,
manovre diagnostiche, infezioni, cateteri, nuovi farmaci, fratture, etc.
Prognosi: il delirium ha un significato prognostico sfavorevole. È associato a prolungamento della degenza, elevato
rischio di disabilità, istituzionalizzazione e morte.

Delirium e demenza: il deterioramento mentale e ancor più la demenza sono un fattore di rischio importante
di delirium. Il 60% dei pazienti con delirium sono affetti da demenza (che aumenta di tre volte la probabilità). Il
delirium può peraltro slatentizzare (?!) un deterioramento cognitivo e pare possa essere un fattore predisponente al
successivo sviluppo di demenza. La diagnosi differenziale va posta soprattutto con la demenza a corpi di Lewy che
però presenta ipersensibilità ai neurolettici ed inoltre soprattutto allucinazioni visive, mentre nel delirium vi sono
soprattutto allucinazioni uditive (anche Sindrome di Cotard: convinzione di essere morti).

Diagnosi: spesso resta non diagnosticato, nonostante la frequenza a causa dei sintomi poco chiari e dell’andamento
fluttuante.
I criteri del DSM IV sono: 1) Disturbo dello stato di coscienza con ridotta attenzione. 2) Modificazione dello stato
cognitivo non giustificata da precedente deterioramento mentale. 3) Insorgenza del disturbo in breve tempo. 4)
Evidenza di una causa.
Importante distinguerlo dalla depressione (per quanto possono esserci sintomi depressivi) perché dare un
antidepressivo colinergico peggiora la situazione. DD con demenza: l’esordio è acuto e non insidioso, i sintomi
sono fluttuanti e non progressivi, lo stato di coscienza è alterato (nella demenza solo negli stadi finali) così come
attenzione e memoria (nella demenza solo la memoria), la psicosi è comune (nella demenza è rara).
Il Confusion Assessment Method permette una diagnosi ad alta sensibilità: 1) Comparsa acuta dei sintomi e
decorso fluttuante 2) Disattenzione 3) Disorganizzazione del pensiero 4) Livello di coscienza stuporoso o
ipervigile. Diagnosi nel caso in cui sono presenti i punti 1 e 2 + il 3 o il 4. Alta concordanza con l’MMSE.
Prevenzione: sui fattori di rischio: deterioramento mentale, insonnia, permanenza a letto, ipovedenza e sordità,
disidratazione. La VMD aiuterebbe molto nella prevenzione.
Terapia: sarebbe fondamentale individuare rapidamente e risolvere il fattore causale. Bisogna intervenire sui fattori
di rischio ed evitare complicanze (immobilizzazione, malnutrizione, infezioni, lesioni a sé stesso). Ambiente tranquillo
e presenza di familiari, evitare mezzi di contenimento fisici che aumentano il rischio. Come farmaci sedanti si usa
l’aloperidolo per via intramuscolare (col tempo dimezzare poi sospendere) che ha scarsi effetti anticolinergici
anche se è parkinsonizzante negli anziani. Nei pazienti con insufficienza epatica si usa fisostigmina.
Nei casi di delirium tremens da astinenza da alcolici sono indicate le benzodiazepine.

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Deterioramento mentale: è una delle principali sindromi geriatriche (ipotensione ortostatica, depressione,
sincope e cadute, malnutrizione, incontinenza, immobilità, deprivazione sensoriale), è una condizione
solitamente ingravescente con alterate prestazioni cognitive. Il cervello è effettivamente uno dei weakest
link dell’invecchiamento. Dopo anni di difficile definizione (e distinzione dalla demenza) usa oggi il termine Mild
Cognitive Impairment (MCI). Questo è definito come deficit riferiti di memoria (confermati da un soggetto
esterno), di entità superiore rispetto all’età ed alla scolarità, in presenza di funzioni cognitive normali e
autosufficienza.
Oggi se ne distinguono in realtà 4 sottotipi, ciascuno evolverebbe verso una certa demenza:
 amnestic-MCI-single domain: lieve compromissione solo mnesica Æ AD.
 amnestic-MCI-multiple domain: memoria e altre funzioni ÆAD o demenza vascolare.
 non-amnestic-MCI-single domain: un’area cognitiva, non mnesicaÆ altre demenze.
 non-amnestic-MCI-multiple domain: più aree, non mnesicaÆ altre demenze.
L’MCI sarebbe una via di mezzo tra un deterioramento cognitivo fisiologico ed uno patologico. Sarebbe meglio
definirlo Cognitive Impairment No Dementia (CIND).
Cause del deterioramento mentale: invecchiamento fisiologico, depressione (valutabile con il GDS), delirium,
deprivazione sensoriale, deterioramento cognitivo patologico, farmaci. Tra i farmaci che comportano un
deterioramento, reversibile, ci sono: anticolinergici (Parkinson), TCA (amitriptilina e imipramina; meglio la
desipramina), antiepilettici, antpsicotici, benzodiazepine, oppiacei, e soprattutto i FANS (auto somministrazione).
È difficile distinguere tra deterioramento fisiologico e patologico. La CIND è una via di mezzo, sempre più comune
(come la demenza) con l’avanzare dell’età (dopo gli 85 solo 1/3 è normale).
Spesso il passaggio da MCI a demenza (soprattutto Alzheimer) avviene già nei primi 48 mesi.
Fattori di rischio perché questo accada sono presenza dell’allele epsilon 4 della lipoproteina, livelli ridotti di alpha
amiloide e proteina tau nel liquor, elevati livelli di omocisteina, atrofia dell’ippocampo, compromissione delle
capacità di attenzione.

Demenza: diagnosticata spesso in fase molto avanzata, è una patologia molto diffusa. Secondo il DSM IV è una
sindrome caratterizzata da deficit cognitivi multipli di cui almeno uno comporti deterioramento mnesico ed
almeno un altro tra: afasia, agnosia, aprassia, deficit disesecutivo. Devono compromettere la salute del soggetto
da un punto di vista socio-comportamentale e rappresentare un cambiamento rispetto allo status quo ante. In
ordine di frequenza la più comune è la Malattia di Alzheimer, poi demenza vascolare, Parkinson demenza, fronto-
temporale, demenza a corpi di Lewy. La vascolare è quasi comune come l’Alzheimer tra 65-75 anni, dopo l’Alzheimer
è più comune. L’incidenza varia con l’età: 6% >65anni, ma 0,25% tra 65-69, 8% a 90.
Classificazione delle demenze:
 Demenze primarie: a carattere degenerativo, sono:
o   Demenze corticali: senza segni motori prevalenti
ƒ Demenza di Alzheimer: 50-70% di tutte le demenze. Nucleo di Meynert.
ƒ Demenza fronto-temporale.
o   Demenze sottocorticali: con segni motori prevalenti
ƒ Demenza a corpi di Lewy
ƒ Parkinson demenza (evoluzione del Parkinson verso la demenza)
ƒ Paralisi sopranucleare progressiva: rara
ƒ Degenerazione cortico-basale: rara
ƒ Corea di Huntington: rara
 Demenze secondarie:
o   Demenza vascolare (pazienti colpiti da ictus)
o   Disturbi endocrino-metabolici (soprattutto ipotiroidismo, ipertiroidismo)
o   Malattie infettive e infiammatorie del SNC (meningoencefaliti, specie AIDS).
o   Sostanze tossiche: alcool, metalli pesanti.
o   Stati carenziali: vitamina B12, folati, tiamina, malnutrizione.
o   Processi espansivi endocranici: neoplasie, ematomi e ascessi.
 Pseudodemenze: ascesso sub-durale, eliminabile con drenaggio, ma se fisso causa demenza secondaria;
pseudo demenza depressiva (le patologie psichiatriche possono causare deterioramento). Vigorito include

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anche trauma e ematoma sub-durale cronico.


Malattia di Alzheimer: è la più frequente demenza nell’anziano, con frequenza che raddoppia ogni 5 anni, 4%
a 75 anni. Sotto i 45 anni è rara, solo nelle forme familiari. Si divide infatti in forma sporadica che si presenta in
maniera isolata, e forma familiare che può essere tardiva (AD2, si presenta dopo i 65 anni) o precoce (AD 1-3-4)
che si presenta intorno ai 50 anni. Fattori di rischio per l’Alzheimer sono considerati: età, sesso (femminile), etnia,
familiarità, genetici tra i non modificabili. Modificabili sono traumi, stress, depressione, tossici, bassa scolarità,
fattori di rischio cardiovascolare (i più facilmente prevenibili).

Patogenesi: distinguiamo diversi aspetti:


1) Aspetti genetici: sono stati identificati alcuni geni legati alla patologia:
 Gene della proteina amiloide (APP): cromosoma 21 (forse implicato anche nelle forme demenziali comuni
nella sindrome di Down), solo 20 famiglie identificate al mondo.
 Gene della Presenilina 1 (PSEN1): cromosoma 14, alterato nella forma AD3, familiare con esordio precoce.
50 mutazioni ritrovate.
 Gene della Presenilina 2 (PSEN2): cromosoma 1, alterato nella forma AD4. 4 mutazioni.
 Allele 4 del gene della APOE: l’APOE trasporta il colesterolo. L’allele 4 è più frequente nelle persone affetta
da Alzheimer. Pare che la frequenza della patologia aumenti da 2 a 5 volte. Aumentano anche i disturbi
comportamentali. L’APOE2 avrebbe effetto protettivo.
2) Patogenesi cellulare: nell’Azheimer si formano placche formate da un nucleo centrale costituito da accumulo di
un peptide di 40-42 aa. detto beta-amiloide. Questa deriva dal clivaggio della proteina precursore dell’amiloide
(APP), proteina trans membrana che subisce clivaggio. Se il suo clivaggio è effettuato dall’alpha-secretasi si scinde
in due peptidi poi facilmente catabolizzati. Se invece è effettuato dalla beta-secretasi, subisce poi un secondo
clivaggio da parte della gamma-secretasi che porta alla formazione del frammento da 40 o da 42 amminoacidi.
3) Aspetti neuropatologici: Le aree cerebrali più precocemente colpite sono: nucleo di Meynert, ippocampo
e corteccia entorinale (strutture a prevalente trasmissione colinergica). Sono zone implicate nella memoria e
nell’attivazione aspecifica del SNC. Successivamente la malattia colpisce anche altre aree. Abbiamo due elementi
anatomopatologici fondamentali:
 Accumulo progressivo di placche senili: SP, formate da beta-amiloide. Costituiscono l’evento
patogenetico centrale. Si distribuiscono nell’interstizio, nella parete dei vasi cerebrali, a livello della corteccia
e di aree associative.
 Gomitoli neuro fibrillari: NFT, sono filamenti a doppia elica di proteina tau fosforilata che si trovano
soprattutto nell’allocortex e neocortex temporo-parietale.
4) Alterazioni neurotrasmettitori: abbiamo alterazioni a livello di molti sistemi:
 Danno della proiezione colinergica dei nuclei basali anteriori: è ridotta l’attività della colina-acetil-
transferasi a livello di neocortex temporale ed ippocampo.
 I sistemi noradrenergici e serotoninergici ascendenti sono alterati. Così anche i neuroni glutamatergici
corticali.
 Sono preservati i recettori muscarinici dell’acetilcolina, permettendo la terapia con acetilcolinesterasici.
Vi è un’aumentata attività delle sinapsi glutamatergiche. Pare che la sequenza sia: atrofia nuclei colinergici
della baseÆcorteccia temporale-ippocampoÆfrontale-parietaleÆrestante corteccia.
L’iperattività glutamatergica quasa neurotossicità attraverso il recettore NMDA del glutammato, causando
l’attivazione incontrollata di enzimi come fosfolipasi, proteasi, etc.
Pertanto da una parte vi è un’ipotesi colinergica (danno a strutture colinergiche) che ha portato all’utilizzo di
farmaci che implementano i livelli di acetilcolina (anticolinesterasici), dall’altra vi è un’ipotesi glutamatergica
(aumento glutammato) che ha portato l’utilizzo della memantina.

Clinica: quadro clinico della fase conclamata della patologia si compone di più disturbi:
1.   Declino cognitivo: deficit della memoria, disorientamento temporo-spaziale, aprassia, afasia, agrafia,
alessia, deficit di ragionamento, acalculia, agnosia, deficit visuo-spaziali.
2.   Disturbi comportamentali e psichici: aggressività, disinibizione, agitazione, ansia, imprecazione, domande
ripetitive, riduzione del tono dell’umore, possibili allucinazioni, deliri, depressione, labilità emotiva,
alterazione del ritmo sonno-veglia e dell’appetito.
3.   Compromissione funzionale: diminuisce la capacità di compiere ADL e IADL, aumenta dunque la disabilità,
oltre che il numero di farmaci assunti, complica l’assistenza, aumentando pertanto la mortalità

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Storia naturale: la clinica si presenta in modo subdolo e lineare, non a gradini. È una progressione lenta e continua
che dura in media circa 10 anni. Distinguiamo:
 Stadio I, amnesico: è colpita prevalentemente la memoria, poi ansia e depressione, disorientamento,
disturbi del linguaggio.
 Stadio 2, demenza conclamata: difficoltà nel riconoscere cose o persone, azioni afinalistiche, disturbi del
comportamento come: apatia, agitazione, ripetitività, incontinenza urinaria funzionale, aprassia, wandering
(nomadismo, si perdono).
 Stadio 3, vegetativo: il paziente deve essere istituzionalizzato.
Questi stadi correlano direttamente con il punteggio sempre più basso ottenuto al MMSE.
All’inizio vi è dunque una fase di sintomi precoci in cui il paziente ha difficoltà ad esempio nel trovare le parole, ma
ha ancora una buona memoria autobiografica. Poi con il tempo le alterazioni cognitive si fanno più gravi risultando
un problema per la sua vita sociale. Abbiamo deliri, incapacità di compiere azioni di vita quotidiana, allucinazioni,
apatia, depressione. Nella fase terminale il paziente è istituzionalizzato e confinato a letto.

Diagnosi: si possono utilizzare i criteri del DSM IV per la diagnosi:


A) Sviluppo di deficit cognitivi multipli: alterazione della memoria + almeno uno tra afasia, aprassia, agnosia,
alterazione delle funzioni cognitive.
B) I deficit cognitivi del criterio A comportano un’alterazione significativa dell’attività lavorativa e sociale, e
costituiscono una perdita di funzione significativa rispetto allo stato precedente.
C) Il decorso è graduale e vi è declino cognitivo continuo.
D) I deficit cognitivi non dipendono da altre patologie dell’SNC o sistemiche né da farmaci.
E) I deficit cognitivi non si manifestano solamente nel corso di episodi di delirio.
F) Le alterazioni non si spiegano meglio con un’altra patologia che altera le funzioni cognitive.
Per l’NINCDS-ADRDA la diagnosi è certa solo con conferma istopatologia bioptica o autoptica.

Percorso diagnostico: serve necessariamente un valutazione multidimensionale e dunque interdisciplinare che


programmi la terapia in base ai bisogni, le potenzialità e le risorse individuali.
1) Strumenti di valutazione iniziali: anamnesi (familiare, psicologica, farmacologica, patologica prossima e
remota), esame obiettivo generale e neurologico.
2) Strumenti di valutazione multidimensionale:
 Valutazione stato cognitivo generale: Mini Mental Test Examination corretta per età e scolarità cioè MMSE:
punteggio inferiore a 24 indica un deficit cognitivo. Si aggiunge un piccolo fattore per l’età (negativo
sotto gli 85 anni, leggermente positivo sopra gli 85).
 Valutazione sintomi non cognitivi: ad esempio GDS (6-11 depressione lieve; >11 grave).
 Comorbilità somatica: ad esempio CIRS
 Valutazione della presenza di delirium: CAM
 Valutazione dello stato funzionale: BADL e IADL, Tinetti, etc.
 Stadiazione demenza, Insight malattia, Qualità della vita (SF-12).
3) Indagini di laboratorio: ematochimiche ed ematologiche, esame delle urine, tiroide, B12 e folati, sierologia della
sifilide. Nella malattia di Alzheimer risultano negativi.
4) Indagini strumentali: Rx torace, ECG (normali) e neuroimaging (TC/RM). La TC può mostrare atrofia cerebrale
generalizzata (maggiore di quanto atteso per l’età). All’RMN si può notare atrofia temporo-parietale bilaterale.
L’atrofia ippocampale all’RMN correla di più con la diagnosi

Terapia farmacologica: è essenzialmente sintomatica, basata sulla stimolazione della trasmissione neuronale
colinergica e sulla modulazione di quella glutammatergica. I farmaci disponibili non sono in grafo di bloccare o far
regredire la patologia. Si utilizzano:
 Inibitori dell’acetilcolinesterasi: questi farmaci pare funzionino grazie all’aumento della disponibilità
sinaptica dell’acetilcolina, effetto neurotrofico e neuro protettivo, regolazione del metabolismo dell’APP. Tra
questi farmaci ricordiamo:
o   Donepezil: il primo ad essere stato introdotto, inibitore specifico e reversibile
dell’acetilcolinesterasi cerebrale, emivita di oltre 70 ore. Vi è buona aderenza alla terapia ed è ben
tollerato (bassa incidenza effetti collaterali: anoressia, vomito).
o   Rivastigmina: anche per via trans dermica. È uninibitore pseudo irreversibile dell’acetilcolinesterasi
e della butirrilcolinesterasi (forse per questo agisce anche negli stadi avanzati della patologia). Scarsi
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effetti periferici, ben tollerato, con nessuna tossicità epatica.


o   Galantamina: inibitore competitivo reversibile dell’acetilcolinesterasi e modulatore
dell’attività dell’acetilcolina su recettori nicotinici. Bassa incidenza di nausea, vomito e anoressia.
o   Altri: tacrina (inibitore acetilcolinesterasi, butirrilcolinesterasi, pseudo colinesterasi) fisostigmina
ed eptastigmina (meno tossica della fisostigmina).
 Antagonisti del recettore NMDA del glutammato: in base all’ipotesi che il glutammato causi neurotossicità
si usa Memantina. È un antagonista non competitivo del recettore NMDA, utilizzato talora in associazione
con gli inibitori dell’acetilcolinesterasi, soprattutto nei casi di demenza severa. Sicura e ben tollerata: no
effetti cardiaci né gastrointestinali.
 Farmaci sperimentali: si sperimentano farmaci per la modificazione del decorso della patologia. Tra questi
vi sono farmaci per ridurre la produzione o facilitare l’eliminazione di beta-amiloide e farmaci neuro protettivi
(antiossidanti, estrogeni, etc.).
In generale gli effetti collaterali dei farmaci inibitori dell’acetilcolinesterasi sono: gastrointestinali (nausea e
vomito), vagotonici sui nodi seno atriale a atrioventricolare, bradicardia, attacchi cardiaci. L’uso di Memantina
nelle fasi avanzate deve essere valutato in base al rapporto rischio-beneficio (che spesso in queste fasi è minimo).

Terapia dei disturbi comportamentali delle demenze: puntano al sollievo dai disturbi, miglioramento della qualità
di vita di paziente e caregivers, miglioramento funzioni cognitive. È in generale importante intervenire sull’ambiente
e cercare di privilegiare soluzioni non farmacologiche ai problemi. Attenzione all’anamnesi farmacologica, eventuali
interazioni, utilizzo del dosaggio minimo efficace e sempre attenzione alla comparsa di effetti collaterali.
 Deliri/Allucinazioni: Modificare ambiente e comportamento adeguato del caregiver (distrarre il paziente,
rassicurarlo, ignorare le false accuse, stimolare l’attività fisica). Solo se non funziona farmaci: aloperidolo,
risperidone, clozapina, olanzapina, etc.
 Agitazione: Modificare ambiente e comportamento adeguato del caregiver (rassicurare, distrarre il paziente,
supporto emotivo-affettivo). Solo se non funziona farmaci: trazodone, propanololo, carbamazepina, etc.
 Depressione: Modificare ambiente e comportamento adeguato del caregiver (rinforzi positivi, psicoterapia,
no stress). Solo se non funziona farmaci: trazodone, sertralina, etc.
 Insonnia: Modificare ambiente e comportamento adeguato del caregiver (no riposi diurni e stimolanti,
tranquillità). Solo se non funziona farmaci: trazodone, sertralina, etc.

Demenza fronto-temporale: o malattia di Pick. Se ne distinguono in realtà 3 forme. La più comune è la variante
frontale. Caratteristiche: esordio tra 45-65 anni, deterioramento ad inizio insidioso a lenta progressione.
Vengono compromesse le capacità relazionali con disturbi della personalità e del comportamento. Queste
sono soprattutto atteggiamento antisociale, aggressività, disinibizione, cleptomania. Cambiamento abitudini
alimentari (voracità, bulimia), alterazioni del linguaggio con eloquio ridotto e stereotipato con ripetizioni fino
all’ecolalia. Deficit attenzione.
Sono state descritte forme familiari, legati a mutazione proteina tau (cromosoma 17).
Anatomia patologica: caratterizzata da marcata atrofia e asimmetria dei lobi frontali e temporali anteriori,
visibile anche alla SPECT. A livello microscopico cellule ovoidali diffusamente colorate (cellule di Pick) con
inclusioni argirofile intracitoplasmatiche (corpi di Pick).
Terapia: gli anticolinesterasici sono inutili, da evitare gli antipsicotici tipici (ipersensibilità agli effetti piramidali),
trattamento depressione e aggressività (olanzapina).
DD tra malattia di Pick e Alzheimer: la memoria, la capacità di calcolo e le funzioni visuo-spaziali sono
conservate, mentre attenzione e concentrazione sono compromesse sin dall’inizio.
Altre forme: l’Afasia progressiva non fluente è caratterizzata soprattutto da alterazioni del linguaggio e parafasie,
con minore frequenza di sintomi comportamentali. Extrapiramidalismo.
Demenza semantica: precoce disturbo di comprensione e denominazione di oggetti.

Demenza sottocorticale a corpi di Lewy: è la forma degenerativa più frequente dopo l’AD. Possiede sintomi che
possono farla confondere con la malattia di Parkinson da cui viene distinta per la prevalenza maggiore di disturbi
cognitivi rispetto a quelli motori. Ha esordio subdolo, tra 60-90 anni, andamento fluttuante dei sintomi. Vi sono
disturbi motori (extrapiramidalismo), progressiva alterazione della abilità visuospaziali, mentre la memoria è
conservata nelle fasi inziali. Vi è riduzione dell’attenzione e nel 90% dei casi allucinazioni visive, patognomiche.
I disturbi motori sono sostanzialmente simili al Parkinson (bradicinesia e rigidità).
Anatomia patologica: sono presenti i corpi di Lewy (presenti anche nel Parkinson e pure nell’AD), composti di
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alpha-sinucleina aggregata ad altre proteine. Si distribuiscono soprattutto alle regioni corticali temporali e
sottocorticali (sub stantia nigra, locus coeruleus, corteccia paraippocampale). Coinvolgimento anche del nucleo di
Meynert che spiegherebbe la risposta ad anticolinesterasici.
Terapia: anticolinesterasici sono efficaci su apatia, agitazione, allucinazioni, deficit cognitivo e deliri. Non usare gli
antipsicotici tipici (extrapiramidalismo), cautela con gli atipici.

Parkinson demenza: compromissione precoce delle funzioni motorie e lentamente e con l’avanzare dell’età
compromissione più frequente e rapida delle funzioni cognitive. I principali fattori di rischio di Parkinson sono età
avanzata, bassa scolarità e depressione.
Eziopatogenesi: progressiva involuzione delle strutture sottocorticali e corticali della quale sono espressione la
presenza di corpi di Lewy, placche senili e grovigli neuro fibrillari. Pare che il meccanismo sia una ridotta attività
colinergica per riduzione dei neurotrasmettitori monoaminergici. Particolare coinvolgimento della sub stantia
nigra.
Clinica: bradi psichismo, compromissione delle funzioni esecutive, diminuita attenzione e concentrazione,
deterioramento delle capacità di critica e giudizio. Vi sono alterazioni della memoria, ma diverse dall’AD. Rari afasia,
aprassia e agnosia. Deficit visuo-spaziali. Alterazioni motorie: prevalgono bradicinesia e rigidità, poi anche
tremore. Con il tempo si sviluppano disturbi comportamentali e depressione, comuni anche le allucinazioni (in parte
anche per la terapia).
Terapia: L-Dopa, che aumenta la concentrazione di dopamina sinaptica. Pare che la rivastigmina migliori in parte
la cognitività e l’attenzione anche in questi pazienti.

Demenza vascolare: gruppo di demenze aventi come patogenesi comune un danno cerebrale a genesi vascolare su
base ischemica o emorragica. L’età avanzata e l’anamnesi per eventi cardiovascolari o elevato rischio cardiovascolare
sono indicative. La sopravvivenza è inferiore all’AD a causa dell’alto rischio eventi cardiovascolari in questi pazienti.
Fattori di rischio: età avanzata, rischio cardiovascolare (aterosclerosi, diabete, ipertensione, etc.).
Fattori genetici: pare che anche in questo caso l’allele 4 dell’APOE sia predisponente.
Classificazione: in base alle lesioni e alla loro localizzazione (radiologica) si distinguono:
 Demenza multi-infartuale: infarti soprattutto corticali, ma non solo, derivati di solito dall’occlusione
trombo embolica delle principali arterie cerebrali.
 Demenza da singoli infarti strategici: in determinate arre critiche, danni specifici.
 Demenza da patologia dei piccoli vasi: coinvolta la sostanza bianca sottocorticale, in cui visone lacune o
aree microinfartuali.
 Altre forme: emorragiche, da ipoperfusione, su base vasculitica (immunitarie, neoplasie).
È dibattuta l’esistenza di una demenza mista forma che comprende coesistenza di alterazioni cerebrali di tipo
degenerativo e vascolare. Il danno vascolare slatentizza il danno degenerativo.
Clinica: tipico è l’interessamento a chiazze delle funzioni cognitive, con grave compromissione di alcune e
sostanziale integrità di altre. La diversa patogenesi porta diversa clinica. Distinguiamo:
 Forme a prevalente interessamento corticale: sono forme acute come la demenza multi-infartuale e
quella da singoli infarti strategici. Hanno decorso tipicamente a “gradini”, con periodi di stabilità seguiti
da improvvisi peggioramenti. Sono presenti disturbi differenti a seconda delle aree coinvolte (deficit visuo-
spaziali, alterazioni motorie, incontinenza, disartria, amnesia, aprassia, etc.) Elevata frequenza di disturbi
depressivi e crisi epilettiche.
 Forme a prevalente interessamento sottocorticale: subacute e con andamento cronico-progressivo
come la demenza da patologia dei piccoli vasi. Sono presenti disturbi di deambulazione, bradicinesia,
rigidità extrapiramidale, apatia, etc.
Diagnosi: per la diagnosi abbiamo bisogno di: presenza di demenza (definizione DSM IV), cerebrovasculopatia
documentata da segni neurologici focali o reperti neuro radiologici, stretta relazione temporale tra evento
cerebro-vascolare ed insorgenza dei sintomi.
DD con AD: storia di ictus, esordio brusco, andamento a gradini, sintomi neurologici focali.
Per la diagnosi si esegue VMD, esame obiettivo generale e neurologico, indagini ematochimiche e strumentali,
tecniche di neuroimaging (TC, RM, SPECT).

Idrocefalo normoteso: patologia rara, da alterato riassorbimento de liquor, con conseguente aumento della
pressione e progressiva dilatazione delle cavità ventricolari. Clinica: atassia, incontinenza sfinterica e deterioramento
mentale (memoria, andamento fluttuante).
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Patognomico è il quadro neuroradiologico con dilatazione delle cavità ventricolari.


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Ipertensione arteriosa: la misurazione della pressione arteriosa nell’anziano presenta problemi di affidabilità.
Basta uno stato di agitazione per poter avere un valore falsato. Altro fattore confondente è il fatto che negli anziani
risulta aumentata la stiffness, ossia la rigidità delle pareti arteriosa, la quale si oppone allo schiacciamento da parte
dello sfigmomanometro e pul determinare un valore differente da quello misurato. L’EBM ha progressivamente
abbassato il cut-off della pressione arteriosa. Bisogna in generale valutare: Pressione diastolica: da sola non ha
valore predittivo di rischio cardiovascolare. Pressione sistolica: esprime sovraccarico. Pressione differenziale:
esprime danno arterioso.
Patologie da ipertensione-ipotensione nell’anziano: sono comuni:
 Ipertensione sistolica isolata: per aumento della rigidità vasale si osserva aumento della sistolica non
accompagnato da aumento della diastolica (elevata pressione differenziale). È un indice di perdita di
elasticità. Ha prevalenza elevata (40% oltre gli 80 anni).
 Ipotensione ortostatica: caduta di almen 20 mmHg della pressione sistolica o di 10 mmHg della pressione
diastolica nel passaggio dal clino all’ortostatismo. Le cause possono essere: disidratazione e malnutrizione,
immobilità, anemia, farmaci, stenosi aortica, Parkinson, neuropatia diabetica, iponatremia. Conesguenze:
cadute, sincopi, eventi cardiovascolari.
Complicanze dell’ipertensione nell’anziano: l’ipertensione causa ipertrofia vascolare, ialinosi dei vasi cerebrali,
encefalopatia ipertensiva, emorragia cerebrale, infarti cerebrali, demenza vascolare, insufficienza renale cronica,
insufficienza ventricolare sinistra, retinopatia.
Diagnosi: l’approccio al paziente deve essere sempre multidisciplinare e individuale. Bisogna tenere conto di
fragilità, comborbidità, politerapia, autonomia funzionale. Bisogna effettuare: misurazioni multiple, in clino e
ortostatismo, tenere conto di gap auscultatorio e pseudo ipertensione, ricerca dell’ipotensione ortostatica,
monitoraggio 24h.
Terapia: bisogna fare un rapporto tra rischi e benefici:
 Benefici: riduzione degli eventi cardiovascolari e della mortalità globale.
 Rischi: effetti collaterali dei farmaci, aumentato rischio di ipotensione posturale (e maggiori danni in
caso di sincope, cadute e fratture), ipoperfusione cerebrale. In più riduzione della qualità della vita:
comparsa di ansia e depressione, riduzione capacità motorie e memoria.
Una farmacoterapia efficace non può prescindere dall’educazione e dalla compliance del paziente.
Pertanto le linee generali da seguire sono: livelli moderatamente elevati di pressione arteriosa sono considerati
accettabili (rischio di stati ipotensivi e di demenza per overtreatment). In generale iniziare con diuretici. Qualora
richiesto combinare ACE-I, sartanici, calcio-antagonisti.

Insufficienza cardiaca: il professore preferisce si parli di insufficienza cardiaca cronica che poi può acutizzarsi e non
di scompenso cardiaco. L’IC è una condizione la cui incidenza aumenta con l’età a causa del fatto che la cardiopatia
ischemica e l’ipertensione arteriosa sono tipiche patologie età-correlate. L’incidenza è maggiore nei maschi, ma la
prevalenza nelle donne (sopravvivono di più).
È la causa principale di ospedalizzazione nell’anziano.
Eziologia: negli anziani è tipica la causa multifattoriale. Le più frequenti sono ipertensione arteriosa e cardiopatia
ischemica, ma anche valvulopatie (come stenosi e insufficienza aortica) e la sostituzione valvolare aortica. Fattori
precipitanti: il principale è la scarsa aderenza alla terapia, ad esempio: autoriduzione dei diuretici (per incontinenza
urinaria), non aderenza alla dieta, abuso di analgesici (FANS, che causano ritenzione idrosalina) o di beta-bloccanti e
calcio-antagonisti. L’insorgenza di aritmie, l’ischemia, l’ipertensione arteriosa non controllata sono altri fattori. Altri
sono anemie, patologie tiroidee, infezioni e sepsi.
Fisiopatologia: l’insufficienza può insorgere acutamente o instaurarsi in maniera subdola. Oltre alla maggiore
incidenza di cardiopatia ischemica (e la sopravvivenza ad eventi ischemici) e di ipertensione arteriosa, sono
importanti le modificazioni del cuore senile oltre che il maggiore carico del ventricolo sinistro a causa della
diminuita elasticità di aorta e grandi vasi.
Solitamente si distinguono due forme di insufficienza, entrambe con riduzione della portata:
 Disfunzione sistolica: riduzione della contrattilità del ventricolo sinistro.
 Disfunzione diastolica: riduzione della distensibilità delle pareti.
La distinzione non è netta e queste condizioni in genere coesistono nello stesso paziente.

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La principale conseguenza della ridotta portata è l’ipoperfusione renale la quale causa un incremento dell’azione
del sistema renina-angiotensina-aldosterone associata ad un incremento delle catecolamine. Il risultato è
una potente vasocostrizione e aumento del riassorbimento renale di sodio che nel breve periodo fungono da
compenso (maggiore volemia), mantenendo la perfusione tissutale, ma nel lungo periodo causano ulteriore
danno cardiaco portando allo scompenso. Si ha così fibrosi cardiaca, ipertrofia miociti, maggior consumo di
ossigeno, aritmie.

Clinica: la prima caratteristica dell’insufficienza cardiaca dell’anziano è l’atipia di presentazione, a causa della
frequente comorbilità somatica e psichica. Possono non essere presenti i segni e sintomi tipici del paziente
tradizionale, ed essere invece presenti manifestazioni atipiche. Una delle cause principali è la frequente coesistenza
di altre patologie (BPCO, anemia, obesità, cifoscoliosi) che nascondono i sintomi dell’insufficienza cardiaca oltre al
fatto che l’astenia e l’affaticabilità vengono spesso confuse con condizioni normali della vecchiaia.
Mentre in passato si faceva soprattutto distinzione tra scompenso destro e sinistro, oggi si preferisce distinguere
scompenso diastolico e sistolico. Da ricordare che possono coesistere:
 Sistolico: il ventricolo è dilatato, con frazione di eiezione ridotta.
Paziente tipico: adulto, uomo, spesso con pregressa cardiopatia ischemica o insufficienza valvolare, dispnea,
normotensione.
 Diastolico: ventricolo normale o piccolo, con pareti ispessite e riempimento limitato. Paziente tipico:
anziano, donna con ipertensione o stenosi aortica, aritmie (fibrillazione atriale), ipertesa (scompenso
diastolico).
Pare che la prevalenza dello scompenso diastolico aumenti con l’età fino. Comune nell’anziano.
È sul paziente tipico che si basano i Criteri di Boston, molto utilizzati per la diagnosi di scompenso cardiaco. Il
paziente ottiene un punteggio da 0 a 12 (>12 è scompenso certo). In base a:
1) Anamnesi: dispnea: no (0), nel camminare (2), parossistica notturna (3), a riposo (4).
2) Esame obiettivo: frequenza cardiaca: 90-110 (1) >110 (2); rantoli; pressione venosa giugulare, sibili (3); terzo
tono (3)
3) Rx torace: edema polmonare (4); versamento pleurico (3).
Noi dobbiamo però distinguere tra manifestazioni tipiche ed atipiche dell’insufficienza:
 Manifestazioni tipiche: Sintomi: dispnea (da sforzo, parossistica notturna), astenia, intolleranza allo
sforzo. Segni: tosse notturna, edema polmonare acuto, rantoli polmonari, versamento pleurico, terzo e
quarto tono (ritmo di galoppo), turgore giugulare e reflusso epatogiugulare (tipici dello scompenso destro),
epatomegalia, edemi declivi.
 Manifestazioni atipiche, frequenti nell’anziano:
o   Sistemiche: malessere, stanchezza, astenia e facile faticabilità, riduzione attività fisica, perdita
dell’autonomia.
o   Neurologiche: delirium, irritabilità, ansia, depressione, disturbi del sonno.
o   Gastroenteriche: anoressia, disturbi addominali, nausea, diarrea.
o   Nicturia con oliguria diurna e respiro di Cheynes-Stokes.
Segni e sintomi comuni di una riacutizzazione di un’insufficienza cardiaca cronica in un paziente anziano
sono pertanto, secondo Abete: declino cognitivo, depressione, delirium, nausea, respiro di Cheynes-Stokes. Il
sintomo dispnea diviene sempre meno comune con l’età!!!
Fattori precipitanti: nel paziente tradizionale sono soprattutto cardiaci, mentre nell’anziano sono prevalentemente
extracardiaci (infezioni vie respiratorie e urinarie) e tachiaritmie.

Diagnosi: molto importante la clinica e l’anamnesi. Gli esami strumentali servono soprattutto per confermare la
presenza di cardiopatia e per definirla meglio:
 Anamnesi e VMD: BADL e IADL (in alternativa Barthel Index), FIM (fuctional indipendence measure), CIRS,
MMSE, GDS, Social support score, PASE, Tinetti score.
Si valuta l’attività funzionale, deficit cognitivi, vita sociale, problemi clinici. Importante è anche la
valutazione del grado di compliance (la terapia la do al paziente o al caregiver???).
 Esami da effettuare: oltre naturalmente all’esame obiettivo:
o   ECG: molte informazioni. Utilissimo se dice che il paziente ha slargamento del QRS.
o   Rx Torace: è tra i criteri di Boston. Valutare edema polmonare e versamento.
o   Ecocardiogramma: tipica dell’anziano è la disfunzione diastolica (no riduzione FE).
o   Esami scintigrafici
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o   RM: ci dà informazioni molto vicine alla realtà.


 Test di laboratorio: normalmente il BNP (peptide natriuretico tipo B) è un biomarker di insufficienza
cardiaca. Però il BNP aumenta con la dilatazione atriale, che è un fenomeno fisiologico nel paziente anziano.
Per questo motivo Abete è perplesso sulla sua utilità.
Valutazione nel tempo: Ongoing Evaluation of Patients, bisogna valutare nel tempo:
 Capacità funzionale: si utilizzano due test: Test cardiopolmonare (efficace nel prevenire eventi avversi
in pazienti con ridotta FE). Test del cammino dei 6 minuti: è importante, anche se pare non correli con la
prognosi (inoltre nell’anziano è difficile da eseguire).
 Stato di volume: bisogna valutare il bilancio idrico. In corsia si può valutare assunzione e perdita di liquidi.
Possiamo però monitorare il peso. Un aumento di peso, ad esempio di 1Kg e mezzo, può farci pensare ad
un problema di congestione per ritenzione idrosalina.
 Laboratorio: la valutazione continua dei parametri sarebbe l’ideale. Oggi si parala sempre più di
telemedicina e della possibilità di valutare ed intervenire a distanza anche tramite l’uso di impianti con
sistemi e dispositivi dipendenti dall’elettrostimolatore, che possono essere in grado di modificare anche la
frequenza cardiaca. Molto efficace. (Bah!!!)
 Prognosi: la sopravvivenza media a 5 anni dalla diagnosi di insufficienza, nei pazienti >65 è inferiore al 50%.
Sicuramente fattori che influiscono negativamente sono: bassa FE, tachiaritmie, elevato BNP, iposodiemia,
età avanzata. L’indice che meglio correla con la prognosi è la classe NYHA. Negli anziani però ancora meglio
della classe NYHA correla con la prognosi l’indice di fragilità. (forse perché nel concetto di fragilità viene
considerato qualcosa che pesa ancor di più sulla mortalità, inoltre nella classe NYHA è importante la dispnea,
che è un sintomo infrequente nell’anziano).

Terapia: gli obiettivi della terapia nell’anziano sono di migliorare la prognosi e soprattutto la qualità della vita.
Richiede sempre la valutazione multidisciplinare. Un approccio multidisciplinare migliora la qualità della vita e la
sopravvivenza. Terapia classica (libro):
 Primo livello: correzione, se possibile, dei fattori eziologici o precipitanti l’insufficienza cardiaca: ipertensione,
anemia, tireotossicosi, terapia inappropriata con FANS.
 Secondo livello: Farmaci. In geriatria vi è molta discrepanza tra le indicazioni dell’EBM e la pratica clinica
(esclusione dei soggetti anziani dagli studi):
o   ACE-inibitori: promuovono la vasodilatazione e la diminuzione di precarico e post-carico.
Sono la prima scelta terapeutica. Anche in soggetti >80 anni. Meno effetto con FANS! I sartanici
(bloccanti dei recettori per l’angiotensina II) sono una buona alternativa se il paziente non tollera
gli ACE-I o anche in aggiunta ad essi.
o   Beta-bloccanti: riducono lo sforzo cardiaco. Aumento qualità di vita e riduzione della mortalità.
Anche nei >80 anni.
o   Diuretici: (d’ansa, tiazidici, metolazone) non modificano l’evoluzione della malattia, ma riducendo
la volemia migliorano il quadro clinico e la tolleranza allo sforzo. L’anziano risponde meno ai
tiazidici. Da utilizzare con cautela perché possono ridurre la FE e vi è rischio di squilibri idro-elettrici
e ipotensione ortostatica.
Diuretici (spironolattone): miglioramento quadro clinico e meno ospedalizzazione.
o   Calcio-antagonisti e digossina: attualmente non raccomandati.
 Terzo livello:
Considerazioni di Abete sulla terapia: bisogna analizzare le peculiarità dell’anziano:
 Comorbilità non cardiache: è comune la terapia con una serie di farmaci che non sono cardioattivi, ma
servono a curare patologie concomitanti extracardiache comuni nell’anziano (broncodilatatori, antibiotici,
psicofarmaci, antidolorifici). Una patologia comune è la diverticolite che causa perforazione, quindi
emorragia ed anemia, fattore precipitante di una quadro di ICC. Sarà necessaria prima un’emotrasfusione.
Lo stesso vale per un paziente con tireotossicosi.
 Differenze tra pratica clinica e trials: nei trial sono spesso esclusi pazienti con comorbilità e disabilità.
Nella pratica clinica sono invece i più comuni. Gli studi di intervento sono quelli che in genere escludono
i pazienti anziani e fragili (si dà un farmaco ad un gruppo e placebo ad un altro). Molto utili per la geriatria
sono invece gli studi osservazionali nei quali invece sono inclusi i pazienti che normalmente incontriamo
nella pratica clinica.
 Insufficienza cardiaca diastolica: alcuni autori dicono che la mortalità nella insufficienza con FE conservata
è bassa e quasi nulla. Abete afferma che la mortalità è soprattutto per causa extracardiaca. Un’infezione
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severa fa precipitare il quadro e il paziente può morire.


 Stato cognitivo e depressivo: è importante la gestione adeguata della depressione. Si consigliano SSRI e
non antidepressivi triciclici (intervengono sulla dinamica catecolamine).
 Terapia elettrica: ne esistono due tipi: Terapia risincronizzante: realizzata in paziente con QRS >120 msec
e FE<35%. Cardiovertore: bisognerebbe impiantarlo a tutti i pazienti con FE <35%, ma non se l’aspettativa
di vita è minore di un anno. Ma chi può dirlo con certezza? Ne nascono fuori problemi medico- legali di
difficile gestione.
 Nuove prospettive:
o   Farmaci: l’ivabradina è un farmaco che riduce la frequenza cardiaca. L’efficacia del farmaco è però
maggiore in pazienti con frequenza cardiaca iniziale più alta. Negli anziani la frequenza cardiaca
è minore, per cui l’ivabradina ha ben poco effetto. Ranolazina: dovrebbe ridurre il sovraccarico
di calcio che si verifica nelle cellule cardiache invecchiate con minori meccanismi di smaltimento
(problemi di SERCA).
o   Terapia genica: la pompa SERCA 2 ha una diminuzione età-dipendente. Nel trial CUPID si sta
tentando una terapia genica sulla pompa SERCA 2.
o   Device: dispositivi, re sincronizzatore, cardiovertori e cuori artificiali come il CIRCULITE, cuore
artificiale miniaturizzato (come un pacemaker) che toglie dalla succlavia e rimanda in circolo. Il
professore è scettico…

Ictus: è una sindrome polieziologica con deficit focale neurologico a esordio improvviso di origine vascolare. La
causa può essere ischemica (80%) o un’emorragia spontanea intracerebrale (in caso di ipertensione severa o in
pazienti che assumono anticoagulanti). L’ischemia può avere origine da arterie cerebrali extra-craniche, in genere
la carotide interna (soprattutto a livello della biforcazione carotidea) oppure da arterie cerebrali intracraniche
(circolo di Willis e ramificazioni).
Epidemiologia: molto più comune in età avanzata, è frequente causa di mortalità e disabilità.
Eziologia dell’infarto ischemico: la causa di gran lunga più comune è l’aterosclerosi (70%), in particolar modo
della carotide interna. L’ipertensione arteriosa è infatti il principale fattore di rischio (il 75% di tutti i pazienti con
ictus è iperteso). Un’altra causa può essere un’embolia arteriosa di origine cardiaca o aterosclerotica da arterie
periferiche.
Patogenesi: stenosi di piccole arterie cerebrali possono causare infarti lacunari o encefalopatia subcorticale
arteriosclerotica (in genere disturbi lievi e reversibili). La stenosi della carotide interna è la prima causa. Stenosi con
restringimento del lume minore del 75% sono in genere asintomatiche. In ogni caso la gravità del danno dipende
molto dalla presenza di anastomosi e dall’estensione e sede dell’area cerebrale colpita dall’ischemia.
Clinica: si distinguono quattro stadi di patologia occlusiva della carotide interna:
1.   Stadio I: stenosi asintomatica (se <75% generalmente lo è).
2.   Stadio II: TIA: attacco ischemico transitorio. Disturbi visivi, debolezza agli arti e disturbi della parola che
regrediscono in genere in 10 minuti o comunque entro 24 ore.
3.   Stadio III: RIND: deficit neurologico ischemico reversibile: la regressione del deficit neurologico richiede un
periodo >24 ore.
4.   Stadio IV: infarto cerebrale completo: regressione parziale o assente del deficit neurologico. Disturbi della
coscienza, emiparesi, disturbi della parola e sensoriali.
In caso di occlusione della carotide interna: dipende molto dalle anastomosi, si ha emiparesi sensitivo-motoria
contro laterale, amaurosis fugax, possibili disturbi di coscienza e del linguaggio, eventuale deviazione della
testa dal lato colpito.
In caso di occlusione di tipo vertebro-basilare: vertigine, nistagmo, vomito, disturbi vista.
In caso di emorragia sub aracnoidea: rigidità nucale (!!!), possibile paralisi dei nervi cranici, se grave anche disturbi
della coscienza, emiparesi, fino al coma profondo.
Diagnosi: prima di tutto anamnesi e clinica tipiche. Si valutano paresi facciale, paresi brachiale, disturbi del
linguaggio. Poi anche disturbi visivi (riduzione campo visivo), paresi dela gamba, emipoestesia. Poi diagnostica
per immagini: TC cranio (spesso negativa prima di 12 ore) che differenzia la causa ischemica (ipodensità) da
quella emorragica (iperdensità). L’RMN da risultati più precocemente e distingue il tessuto ischemico da quello
perinfartuale. Si esegue anche cografia dei tronchi sovraortici, diagnostica cardiaca (ECG per valutare fibrillazione
atriale, ecocardio, etc.).
Terapia: si ricovera il paziente in una Stroke unit. Misure generali (controllo funzioni vitali, ossigeno, inizio precoce
di trattamento con antiaggregante piastrinico come ASA, ma solo dopo conferma che non si tratta di un evento
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emorragico). La pressione viene mantenuta a livelli un po’ più alti della norma. Successivamente Rivascolarizzazione:
la terapia trombo litica con alteplase ev. è valida solo entro 3 ore dai sintomi. Riabilitazione: terapia riabilitativa del
paziente.
Prognosi: l’80% sopravvive, ma 2/3 hanno importanti lesioni permanenti. 20% recidiva.
Prevenzione: utilizzo di antiaggreganti piastrinici (ASA o clopidogrel) dopo evento CV (TIA, infarto). Se si individua
una stenosi asintomatica >80% della carotide interna o sintomatica >50% si può effettuare PTA (angioplastica
transluminale percutanea, meno invasiva) della carotide o TEA (chirurgica, gold standard, tromboendoarterectomia
e angioplastica).

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Osteoporosi: malattia sistemica dello scheletro caratterizzata da ridotta massa ossea e da alterazioni qualitative
della struttura ossea che si accompagnano ad aumentato rischio di frattura.
Si distinguono forme primitive, ossia l’osteoporosi senile e menopausale, e secondarie: da malattie o farmaci.

Eziopatogenesi: Una volta raggiunto il picco di massa ossea (in dipendenza da fattori genetici, attività fisica, ormoni,
dieta), è fisiologica una perdita di massa ossea dello 0,7%/anno. L’osteoporosi accelera questo meccanismo. In età
senile, essendo l’osso in equilibrio tra azione di osteoclasti e osteoblasti abbiamo:
 Aumento osteoclastogenesi: soprattutto riduzione degli estrogeni (infatti forte caduta con la menopausa).
Poi anche down regulation di vari assi neuroendocrini, riduzione della produzione di vitamina D da parte
del rene e aumento del PTH. In più riduzione attività motoria, introito di alimenti con calcio, uso di alcol
e fumo.
 Riduzione osteoblastogenesi: per riduzione fattori endocrini e cellule staminali.
In generale contribuiscono fattori genetici e acquisiti (alcolici, fumo, magrezza, inadeguato introito di calcio e
riduzione dell’attività fisica e del relativo stimolo della massa ossea) e fattori endocrini come la diminuzione di
estrogeni, di GH e di IGF1 e l’aumento del PTH che spingono tutti al riassorbimento osseo. In più vi è riduzione dei
livelli di vitamina D. Alcune patologie (ipertiroidismo o iperparatiroidismo) e farmaci (glucocorticoidi) possono
influire negativamente.
Si ha porosità del tessuto osseo con spongiosizzazione della parte compatta. Si differenzia dall’osteomalacia
perché la mineralizzazione nell’osso superstite è normale.

Clinica: è asintomatica fino a quando non causa fratture ossee. Sono possibili fratture vertebrali, che se multiple
causano dolore, perdita di altezza e deformità come cifoscoliosi e lordosi. Altre fratture come la rottura del femore e
del bacino hanno gravi complicanze (specie in anziani, specie se richiedono ricovero). Le fratture possono essere del
tutto spontanee o legate ad eventi traumatici di scarsa entità.

Diagnosi: si valuta la diminuzione della BMD (densità minerale ossea). Non si vede bene all’Rx e anche il laboratorio
(ricerca di ALP, fosforo, etc.) non è utile. All’Rx può essere visibile nel momento in cui si sia perso il 30-40% della
massa. La mineralometria (o densitometria) ossea computerizzata (MOC) è la tecnica di elezione. Nelle donne
si misura spesso a livello lombare, poi a causa di alterazioni, in tarda età si misura a livello femorale. Il risultato si
esprime in due modi:
 T-score: deviazione della densità minerale ossea del paziente con quella media della popolazione dello
stesso sesso al picco di massa ossea (circa a 30 anni). Si considera normale tra +2,5 e -1. Se inferiore a -1 si
parla di osteoporosi.
 Z-score: deviazione rispetto alla media della popolazione di pari sesso ed età.
Può essere utile la TC quantitativa. Esami biochimici possono escludere cause di osteoporosi secondaria. Si
eseguono poi esami radiografici per valutare eventuali fratture vertebrali asintomatiche.

Terapia: lo scopo principale è quello di ridurre il rischio di fratture e ciò include anche la prevenzione delle cadute.
In caso di osteoporosi secondaria occorre trattare la patologia responsabile. La prima forma di terapia la correzione
delle abitudini di vita: è necessario smettere di fumare, correggere eventuale abuso di alcol, svolgere attività fisica e
migliorare l’apporto di calcio nella dieta. È possibile somministrare calcio e vitamina D.
I principali farmaci utilizzati sono i bifosfonati (in grado di ridurre l’attività degli osteoclasti).

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I Gazzellini

- Interna -
- Immuno -

A. Fusco
INDICE

Artrite reumatoide ..................................... 1

Connettiviti ................................................. 6

Vasculiti ...................................................... 14

Aggiunte .................................................... 18
Artrite reumatoide

L’artrite reumatoide (AR) è una malattia infiammatoria cronica che colpisce prevalentemente le
articolazioni diartrodiali, anche se può coinvolgere ogni distretto dell’organismo. A livello
articolare è un processo infiammatorio di carattere erosivo che può portare all’anchilosi.
Epidemiologia: non vi sono predilezioni di clima o di razza. La prevalenza è compresa tra lo 0,3 e
il 2% (1% in Europa) con picchi del 5% in alcuni indiani d’America. Incidenza: 25-30/100000.
Le femmine sono più colpite dei maschi con rapporto 3 o 4/1. L’esordio è più comune tra i 40 e i 60
anni. Negli ultimi anni pare ci sia una riduzione della incidenza e della gravità della malattia.
Fattori di rischio: sesso femminile, positività al fattore reumatoide (FR), anticorpo anti-citrullina,
familiarità. Gli individui atopici sembrano avere un rischio minore.

Eziopatogenesi: ancora ignota. L’ipotesi è che l’incontro di un individuo geneticamente


predisposto con un antigene scatenante (ancora ignoto) determini un’attivazione del sistema
immunitario che attraverso l’immunità cellulare e umorale porterebbe allo sviluppo di un processo
infiammatorio acuto e successivamente al suo mantenimento e cronicizzazione.
Pare vi sia una predisposizione genetica in quanto la frequenza nei fratelli e nei gemelli omozigoti
degli individui affetti è notevolmente superiore. Vi è un’associazione con gli antigeni di classe II
HLA-DR4 e (in minor misura) DR1. DR4 sarebbe presente nel 60-70% dei casi (contro il 20-30%
della popolazione generale). Pare che DR4 sia anche correlato con la gravità della malattia. In
particolare la suscettibilità è associata ad una precisa sequenza amminoacidica presente nella
regione ipervariabile della catena beta1 del DR4 (sequenza presente in 3 dei 5 sottotipi di HLA-
DR4 ossia DW4, 14 e 15). La suscettibilità in pratica pare sia dovuta ad un particolare epitopo che
può essere presente anche in altri antigeni HLA di classe II (infatti non tutti i malati sono DR4+).
Antigene scatenante: la natura dell’antigene è ancora sconosciuta però vi sono varie ipotesi.
• Agenti infettivi: sono state prese in considerazione numerose specie batteriche e virali. È
più probabile che questi agenti possano scatenare la patologia attraverso un meccanismo
indiretto piuttosto che diretto, ossia attraverso una risposta immunitaria anticorpale o
reattività crociata tra antigeni microbici e auto antigeni articolari (in effetti non sono mai
stati isolati in dal liquido o membrana sinoviale dei pazienti affetti). Una particolare
attenzione esiste verso il virus dell’Epstein-Barr. L’80% dei pazienti con AR ha anticorpi
specifici verso EBV e il 90% ha anti-RANA (diretti contro cellule infettate da EBV). Inoltre è
stato recentemente scoperto mimetismo molecolare tra la glicoproteina virale p110 e la
regione ipervariabile della catena beta1. Per di più EBV è un attivatore policolanale dei
linfociti B (stimola la produzione di immunoglobuline e quindi anche di FR).
• Superantigeni: sono molecole che si legano direttamente da una parte alle molecole MHC
di classe II e dall’altra ai recettori dei linfociti T, potendo attivarli senza necessità di essere
fagocitate, processate e poi esposte. Possono stimolare un numero elevato di linfociti T con
diverse specificità.
• Autoantigeni: l’autoimmunità è sicuramente coinvolta nell’AR però è più probabile che sia
importante nella cronicizzazione che nello scatenamento iniziale della patologia. Possibili
auto antigeni sono: collagene, proteoglicani, un’immunoglobulina di tipo G (verso la cui
regione Fc si sviluppano anticorpi detti fattori reumatoidi, FR; forse a causa di livelli ridotti
di enzimi coinvolti nella glicosilazione delle IgG nei pazienti con artrite reumatoide),
proteine citrullinate (fibrina, vimentina, filagrina, verso cui si formano gli anticorpi
anticitrullina, CCP, importanti nella patogenesi e soprattutto nella diagnosi), RA33,
catepsina, calpastatina, calreticulina, BiP.

Stadi anatomo-patologici dell’artrite reumatoide: la patogenesi è distinta in differenti stadi, con


caratteristiche anatomo-patologiche proprie. In generale si può dire che vi è prima una fase di
induzione (corrispondente ad uno Stadio 0, prima dell’infiammazione), poi una fase
infiammatoria (Stadi 1, 2 e 3 della patologia), e poi una fase distruttiva (Stadi 4 e 5):
1. Riconoscimento immunitario: presentazione dell’antigene alle cellule TCD4 con
produzione di citochine e richiamo di altre cellule infiammatorie. Anatomia patologica:
ancora nulla di visibile. Clinica: ancora nulla. Radiologia: ancora nulla.
2. Infiammazione acuta iniziale: accumulo di neutrofili e cronicizzazione della sinovite. È
causata dalle citochine prodotte nello stadio precedente (in verità tutti questi processi sono
dovuti alla continua produzione di citochine, ed in effetti nell’AR c’è un’eccessiva quantità

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di citochine, soprattutto IL-1 e TNF alpha e poi altre). Avvengono contemporaneamente
fenomeni di natura infiammatoria (flogosi acuta) e di differenziazione e proliferazione
sinoviale (tipici di una fase cronica).
Anatomia patologica: si comincia a formare il panno sinoviale per iperplasia dei
sinoviociti A e B e formazione dei villi sinoviali (con crescita ancora non polarizzata e
senza invasione della cartilagine articolare). Reazione vascolare: vasodilatazione e
aumento della permeabilità  sviluppo di edema della membrana sinoviale e accumulo di
fibrina nel liquido sinoviale. Reazione cellulare: infiltrazione dei linfociti e PMN nella
sinovia (ragociti). Inizia la risposta degli osteoclasti dell’osso sub condrale.
Clinica: IL-1 e TNF in eccesso portano malessere e astenia. È presente rigidità articolare e
mattutina, tumefazione articolare e dolorabilità.
3. Infiammazione acuta conclamata: accentuazione dello stadio 2. Sintomi dello stadio
precedente, fenomeni più gravi. Compare anche dolore articolare, tumefazione e calore in
loco, limitazione funzionale (a causa dell’accumulo di liquido e proliferazione dei tessuti
molli). Radiologia: edema dei tessuti molli  ispessimento delle capsule articolari.
4. Organizzazione del processo proliferativo sinoviale: si forma il vero e proprio panno
sinoviale. I villi sinoviali si fanno più grandi. Il panno è un tessuto di granulazione
deostruente che si accresce in senso centripeto e invade (a partire dalle zone marginali) la
cartilagine ialina articolare, tendini e osso subcondrale.
Clinica: ulteriore accentuazione dei segni di flogosi, maggiore limitazione funzionale.
Radiologia: reperti come nello stadio 3 (edema dei tessuti molli), riduzione della rima
articolare asimmetrica per erosione a cairco della cartilagine, osteoporosi periarticolare.
5. Invasione e distruzione della cartilagine e dell’osso subcondrale: l’invasione coinvolge
tutta la cartilagine e le strutture periarticolari. Il panno erode i 2 capi ossei, altera tutte le
strutture e si forma un ponte tra le due ossa con una deformità permanente.
Clinica: stessi sintomi dello stadio 4 ma ulteriore perdita funzionale (limitazione dei
movimenti attivi e passivi) e deformità. Possono comparire sintomi extrarticolari.
Radiologia: rima articolare ancora più ridotta, erosioni, deformità.

Clinica: dominano le manifestazioni articolari e par articolari. Le extrarticolari sono più rare, ma
possono essere gravi e condizionare la prognosi dei pazienti.
Esordio: l’esordio è molto variabile, in genere graduale e insidioso e soprattutto a livello
articolare. Possono essere coinvolte più articolazioni con distribuzione simmetrica (esordio
poliarticolare) o una o poche articolazioni (più raro, esordio mono o oligoarticolare). Nei casi a
esordio graduale c’è rigidità mattutina di lunga durata e con il tempo franca artrite. L’esordio
acuto è più raro, con segni di flogosi sin dall’inizio. In alcuni pazienti ci possono essere anche
sintomi sistemici (febbre, rash, astenia, perdita di peso, mialgie) ma molto raramente le
manifestazioni sistemiche precedono quelle articolari. Modalità meno comuni: esordio
palindromico: episodi di dolore e tumefazione di una o due articolazioni che durano 2-3 giorni e si
risolvono senza reliquati, in genere a mani e polsi. Polimialgia reumatica: frequente nell’AR ad
esordio senile, del tutto simile alla normale mialgia reumatica. In genere però compare artrite.
Nel corso della patologia distinguiamo manifestazioni articolari ed extrarticolari:

Manifestazioni articolari: sono le principali. Soprattutto colpiscono le diartrodie, in genere


poliartrite. È una poliartrite simmetrica, andamento centripeto (prima le piccole ed evoluzione
prossimale), carattere aggiuntivo (colpisce nuove articolazioni senza lasciare le vecchie). Questo la
distingue da patologie come il reumatismo articolare acuto, che è tipicamente sostitutivo.
Sono colpite soprattutto: interfalangee prossimali (IFP), metacarpofalangee (MCF), polsi, poi
metatarsofalangee (MTF), interfalangee dei piedi, ginocchia, gomiti, spalle, anche, colonna, etc.
Il sintomo principale è il dolore spontaneo e continuo, aumentato dal movimento e dal carico.
Altro sintomo è la rigidità articolare in particolare al mattino, di lunga durata (DD con
osteoartrosi in cui è di breve durata). Poi debolezza, affaticabilità, tumefazione articolare (per il
versamento ed edema dei tessuti molli) che ad esempio è evidente nel “ballottamento rotuleo”. Vi
è rossore e calore della cute sopra l’articolazione. Il dolore può nelle fasi iniziali essere solo
dolorabilità (alla digitopressione). Appare limitazione funzionale che si accentua con il tempo
sino a causare anchilosi e deformità articolari. Nel dettaglio colpisce:
• Mani: sono le più coinvolte. Nell’ordine IFP, MCF, meno le interfalangee distali (IFD). Si
possono con il tempo instaurare alcune deformità: deviazione assiale delle dita “a colpo di

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vento” per lussazione volare delle IFP; dita “ad asola” con iperflessione IFP e
iperestensione IFD; dita “a collo di cigno” con iperestensione IFP e iperflessione IFD;
pollice a Z con iperflezzione MCF e iperestensione IF. Il risultato può essere una mano
deformata a gobba di cammello o di dromedario.
• Polsi: può avvenire sublussazione dell’estremità distale dell’ulna, il cosiddetto caput ulnae.
A livello dell’arto superiore colpisce con frequenza anche gomiti e spalle dando sempre
dolorabilità e limitazione funzionale.
• Piedi: normalmente coinvolge prima l’avampiede e poi il retro piede manifestandosi
inizialmente con una meta tarsalgia e poi con artrite. Può causare deformità come:
sublussazione metatarsale plantare + valgismo dell’alluce  piede triangolare; dita “a
martello” con iperestensione MTF e iperflessione IF. La caviglia è coinvolta più raramente.
• Ginocchio: oltre a notarsi il suo coinvolgimento per il ballottamento rotuleo è possibile la
formazione di cisti sinoviali nel cavo popliteo (cisti di Baker) che possono aumentare di
volume, causare limitazione funzionale, comprimere vasi venosi e rompersi.
• Coxofemorale: tipico dolore inguinale irradiato al ginocchio o dolore alla natica.
• Colonna cervicale: il quadro più temibile è la sinovite della articolazione atlodontoidea
che può causare erosione e sublussazione del dente dell’epistrofeo che può causare
compressione midollare. L’interessamento sotto l’atlante è raro.
• Altre: temporomandibolari, cricoaritenoidee, manubrio sternale, etc. Coinvolgimento raro.

Manifestazioni pararticolari: la malattia può colpire anche tendini, guaine e borse sierose. Le
tenosinoviti sono molto frequenti e possono anche essere il primo sintomo. Si presentano con
dolore al eseguire alcuni movimenti, possibile una tumefazione lungo i tendini colpiti. Nelle mani
colpisce gli estensori dando il tipico quadro del “dito a scatto” e una possibile irritazione del nervo
mediano (sindrome del tunnel carpale). Possibili noduli reumatoidi a livello delle guaine tendinee.
Le borsiti sono solitamente localizzate a gomito, spalle e articolazione coxofemorale.

Manifestazioni extrarticolari: possono essere distinte in quattro gruppi: disordini che derivano
dalla localizzazione del processo reumatoide in sedi diversi dalle articolazioni, complicanze della
patologia (amiloidosi), sindromi associate (alveolite) e complicanze della terapia.
• Cute: le lesioni più comuni sono i noduli reumatoidi. Sono localizzati per lo più a livello
sottocutaneo nelle zone più esposte a pressione (gomiti, etc.) e non si ulcerano. La vasculite
cutanea è rara e si manifesta con rash, porpora e ulcere cutanee.
• Muscoli: molto comune la debolezza muscolare che può riguardare i muscoli par articolari
o essere generalizzata. Anche miopatia da cortisone. Rara una vera e propria miosite.
• Sistema nervoso: riguardano il sistema nervoso periferico. Abbiamo sindromi da
intrappolamento (fasci nervosi pressati da infiammazione, edema, etc.) come la sindrome
del tunnel carpale o la mielopatia cervicale. Neuropatia sensitiva distale: lieve, per la
vasculite dei vasa nervorum. La patologia ha importanti risvolti psicologici (depressione).
• Osso: la più frequente è la osteoporosi ai capi iuxtarticolari o diffusa (fratture patologiche).
• Cuore: raro l’impegno cardiaco (il coinvolgimento anatomo-patologico invece no). La
pericardite è molto raramente sintomatica. Più rare le lesioni endocardiche e miocardiche
(noduli reumatoidi a livello valvolare). Possibile coinvolgimento del sistema di conduzione
a causa di noduli o di vasculite coronarica che può causare angina o anche infarto.
• Polmoni: la plaurite è rara come la pericardite. Nel parenchima può esserci pneumopatia
nodulare in genere asintomatica. La sindrome di Caplan è una forma con noduli più
grandi e multipli che vanno incontro ad escavazione (nei minatori e negli esposti a silice o
asbesto). Possibile la alveolite fibrosante (fibrosi diffusa) e l’arterite polmonare.
• Rene: rare le alterazioni da amiloidosi e vasculite reumatoide, più frequente il danno
iatrogeno da FANS (necrosi papillare) o ciclosporina A (alterazione arteriole renali).
• Apparato gastrointestinale: danni iatrogeni o da vasculite o da amiloidosi. Possibile
l’associazione con xerostomia (Sjögren secondaria associata all’AR).
• Occhio: xeroftalmia e cheratocongiuntivite sono le più frequenti. Episclerite o anche
sclerite (più profonda) ossia infiammazioni della sclera (dolore, fotofobia, etc.).
• Milza e linfonodi: sono abbastanza comuni una splenomegalia e una linfadenopatia.

Varianti cliniche: sindrome di Caplan (inalazione di polveri); sindrome di Felty (manifestazioni


tipiche dell’AR, splenomegalia e leucopenia); AR maligna: coinvolgimento poliarticolare e

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francamente erosivo, più comune nel sesso maschile, rapidamente evolutivo, vasculite diffusa, più
manifestazioni extrarticolari, FR ad alto titolo; morbo di Still dell’adulto: quadro raro con febbre
elevata, rash cutaneo maculare, linfoadonmegalia e splenomegalia però con leucocitosi. La
patologia può risolveri ma anche ripresentarsi o evolvere in modo cronico.

Diagnosi: non è molto difficile nelle fasi avanzate, di più in fase precoce. Esistono dei criteri
classificativi ARA/ACR, utili anche per la diagnosi: sono necessari almeno 4 criteri tra:
• Rigidità articolare mattutina di almeno 1 ora (per almeno 6 settimane).
• Tumefazione (atrite) di 3 o più articolazioni (per almeno 6 settimane).
• Tumefazione (atrite) delle IFP, MCF, polsi (per almeno 6 settimane).
• Tumefazione (atrite) simmetrica (per almeno 6 settimane).
• Noduli reumatoidi
• Positività del FR
• Erosioni e/o osteoporosi articolare a mani o polsi alla radiografia.
Esami di laboratorio e strumentali:
• Analisi del sangue: è riscontrabile una moderata anemia normocitica e una riduzione
della sideremia (nelle malattie croniche vi è riduzione della vita media dei globuli rossi),
più tardi può esserci anemia sideropenica da FANS. Globuli bianchi normali, in genere,
leucocitosi nel morbo di Still. Indici di flogosi: VES, PCR, fibrinogeno, alpha2-globuline,
sono tutti aumentati. Spesso ipergammaglobulinemia (IgG in fase precoce, IgM avanzata).
C’è anche aumento degli immunocomplessi circolanti (ICC) e diminuzione di C3 e C4.
• Autoanticorpi: nel 70-75% dei pazienti si riscontra il fattore reumatoide, FR. Questo è un
autoanticorpo IgM diretto contro il Fc delle IgG umane, prodotto dalle plasmacellule. Viene
forse prodotto in soggetti con ridotti enzimi di glicosilazione delle proteine, e gli Fc poco
glicosilati sono riconosciuti come estranei. Presente pure nel Sjögren, crioglobulinemia
mista, neoplasie maligne, etc. Pertanto la specificità non è altissima. In genere nei pazienti
affetti da AR maggiore è FR maggiore è l’impegno viscerale, inoltre l’FR può essere anche
di classe IgG o anche IgA.
Per evidenziare l’FR si usa: metodo tradizionale (reazione di Waaler-Rose) molto specifico
(agglutinazione dei GR di pecora con il siero del paziente, se positivo); latex test meno
specifico (invece dei GR ci sono particelle in lattice), test con IgG umane aggregate
(l’antigene sono IgG aggregate che in presenza di Fr danno torbidità misurabile), tecniche
immunoenzimatiche, più sensibili ma più costose (a differenza degli altri test trovano pure
FR di tipo IgG o IgA). La presenza o meno dell’FR distingue l’AR sieropositiva dalla
sieronegativa. La sieropositiva si associa molto a HLA-DR4 o DR1.
Altri autoanticorpi sono gli anti-CCP con sensibilità simile all’FR e specificità maggiore.
Sembrano apparire in fasi molto precoci (anche dieci anni prima dei sintomi) e se presenti
con l’FR il grado di predittività aumenta. Nel 25% anche positività ad anticorpi anti-nucleo.
• Esame del liquido sinoviale: nei pazienti con AR è torbido e poco viscoso, più proteine e
meno glucosio. Aumento dei leucociti, prevalentemente neutrofili. Possibile trovare i
ragociti, polimorfo nucleati con inclusioni citoplasmatiche (fagocitosi di
immunocomplessi), anche se non sono un reperto specifico (anche artriti settiche).
• Radiologia: nelle fasi precoci solo è dimostrabile la tumefazione dei tessuti molli. Le lesioni
più specifiche sono le erosioni, che compaiono prima in nelle bare areas (aree nude) poi
alterano il profilo dei capi articolari. Nello stadio avanzato osteoporosi diffusa e marcata.
Meglio la tecnica a bassa diffusione che l’Rx semplice. Si possono anche utilizzare RM o
TC, più costose e precise. L’ecografia per le lesioni pararticolari, soprattutto cisti poplitee.
Diagnosi differenziale: soprattutto in fase iniziale bisogna distinguere l’AR dalle artriti
sieronegativie e spondilite anchilosante (asimmetriche, coinvolgimento sacroiliache,
manifestazioni extrarticolari caratteristiche di ciascuna), dalle connettiviti sistemiche (clinica e
autoanticorpi specifici), dalle artriti microcristalline (studio del liquido sinoviale), dalla
osteoartrosi delle mani (no alterazioni umorali, coinvolgimento più di IFD e IFP).

Prognosi: la AR ha in genere fasi di attività alternate a fasi di remissione spontanea o indotta


dalla terapia, con durata variabile dei due periodi. La remissione è spesso parziale. I casi a più
rapida evoluzione sono quelli con HLA-DR4 e FR elevato, impegno extrarticolare. Per la maggior
parte le forme sono policicliche (70%), monocicli che nel 20% e progressive nel 10%.
La prognosi quoad valetudinem è severa, con erosioni articolari nell’80% nel primo anno. Il 25-
50% dopo 10 anni ha un’importante perdita funzionale articolare e deve abbandonare il lavoro.

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La patologia non è considerata fatale però riduce la vita media di 7 anni negli uomini e 3 anni nelle
donne. Nelle forme con alterazioni articolari severe e manifestazioni extrarticolari la
sopravvivenza può essere del 45-55% a 5 anni (morte per complicanze). L’utilizzo di corticoidi e
immunosoppressori aumenta il rischio infettivo.
Follow-up: si utilizzano: Diseas Activity Store (DAS28) che calcola vari valori. Criteri ARA di
remissione: morning stiffness <15 minuti, no astenia né segni di sinoviti, VES <30 (uomini) o >20
(donne), no segni di progressione del danno radiologico. Classi Steinbrater: indicano la capacità
funzionale: I: nessuna limitazione II: attività normale però con dolore o irritazione III: limitazione
per le normali attività IV: paziente impossibilitato nelle normali attività e cura di sé. Nel follow-up
si valutano anche il danno articolare (tecniche di imaging), valutazione farmaci (analisi).

Terapia: è ancora controversa e prevalentemente empirica. Ha come obiettivi: abolire o attenure


l’infiammazione articolare e il dolore associato, rallentare la progressione, preservare o recuperare
la funzione articolare, prevenire o limitare le deformità articolari, correggerle o attenuarle. Bisogna
indurre la remissione e controllare le riacutizzazioni: diminuire l’altezza dei “denti di sega”.
Misure generali: importante il sostegno psicologico e l’educazione del paziente. Limitare le
attività per prevenire l’eccessivo carico, riposo nelle fasi di acutizzazione e movimento in quelle di
remissione per prevenire l’anchilosi e l’atrofia muscolare.
Terapia farmacologica: attualmente si indica di agire almeno nelle prime 12 settimane dalla
comparsa dei sintomi. Può essere sistemica o locale. Della terapia sistemica fanno parte:
• Farmaci sistemici a effetto rapido: hanno rapido effetto, ma limitato nel tempo: FANS:
sono impiegati per primi, riducono dolore, infiammazione locale e rigidità mattutina. Si
usano in dosi frazionate durante il giorno, a maggiore durata la sera. Cortisonici: si
preferiscono quelli a breve durata, in genere prednisone e non più di 5-10 mg/die.
• Farmaci sistemici di fondo: nelle forme lievi si possono dare antimalarici di sintesi
(clorochina) e sulfasalazina. Il più impiegato nelle forme persistentemente attive è il
methotrexate (da associare al corticosteroide) che è ormai il farmaco di riferimento: dose
unica con acido folico è a bassa tossicità e può arrestare la progressione delle erosioni.
Ciclosporina e leflunomide hanno effetto più rapido e in grado di arrestare le lesioni.
o Farmaci biologici: sono l’infliximab (anti-TNFalpha) che si da endovenoso con il
methotrexate, l’etarnecept (proteina ricombinante di fusione per il frammento Fc
delle IgG), l’anakinra (antagonista del recettore dell’IL1), etc. Effetti collaterali
comuni sono reazioni sistemiche o locali, aumento rischio infettivo, sviluppo di
anticorpi inattivanti. Hanno costi elevati e si usano nei casi non responsivi.
• Farmaci a effetto locale: nelle forme mono-oligoarticolari resistenti a trattamento possono
darsi cortisonici ritardo iniettati a livello intra o periarticolare. L’effetto è ottimo, ma non
dura a è temporaneo e non possono essere ripetute più di una volta al mese. Alternative
sono la sinoviectomia chimica (iniezione di sostanze radioattive o acido osmico che
provocano una necrosi e successiva riformazione della sinoviale).
Terapia fisica e riabilitativa: può complementare la farmacologica. Crioterapia ed elettroterapia.
La riabilitazione deve prevenire le deformità, mantenere la funzione e il trofismo muscolare.
Terapia occupazionale: misure di tipo educativo e apparecchiature che servono a rendere il
paziente più autonomo nella vita di tutti i giorni. Da affiancare alla chinesiterapia.
Terapia chirurgica: interventi si sioviectomia e osteotomia possono prevenire alcune lesioni e
deformità o correggere le malformazioni. In fase evolutiva se vi è forte limitazione e dolore si
possono realizzare interventi di artroprotesi o artrodesi (risoluzione solo del dolore).

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Connettiviti

Lupus eritematoso sistemico


Il LES è una malattia reumatica infiammatoria cronica a eziologia sconosciuta e a patogenesi
autoimmunitaria.
Epidemiologia: incidenza in aumento anche per la migliore capacità diagnostica. Diversa nei vari
gruppi etnici, all’incirca 8/100000. Rapporto uomini:donne 1:9. Esordio in genere tra 20 e 40 anni.
Patogenesi: l’eziologia è ancora ignota e comunque multifattoriale, certamente autoimmune.
Fattori predisponenti sono:
• Genetici: alcuni alleli HLA di classe II e III (soprattutto DR e DQ), alcuni geni non HLA
soprattutto del complemento, della via dell’interferone, dell’attivazione dei linfociti e geni
importanti nella regolazione dell’apoptosi.
• Ormonali: il sesso femminile è più esposto in quanto gli estrogeni risultano stimolanti
l’immunità, legandosi a recettori sui linfociti e stimolandone attivazione e sopravvivenza.
• Ambientali: si sono ipotizzati agenti infettivi (alcuni virus) per meccanismi di mimetismo
molecolare. Sicuramente influiscono i raggi ultravioletti che inducono l’apoptosi delle
cellule della cute (esponendo antigeni) e aumentano l’antigenicità di DNA e proteine
alterandoli. Farmaci come procainamide e idralazina possono dare una forma di lupus da
farmaci. Altri fattori di rischio sono il fumo di sigaretta e l’esposizione al silicio.
La patologia in sostanza è scatenata da una iperattivazione dell’immunità sia innata che
adattativa, attivazione policlonale e risposta dei linfociti B, compromissione della tolleranza al
self e riduzione delle cellule T regolatorie, e difetti nella clearance degli immunocomplessi.
Effettivamente pare che le cellule apoptotiche espongano per molto tempo auto antigeni (DNA e
proteine del nucleo, RNA e proteine associate, etc.), questi provocano una attivazione immunitaria
con produzione di autoanticorpi e formazione di immunocomplessi. La ridotta eliminazione degli
immunocomplessi causa infiammazione cronica.
Autoanticorpi: i più importanti autoanticorpi prodotti sono gli ANA, anticorpi anti-nucleo che
sono i più importanti da valutare perché sempre presenti: dsDNA (anti-DNA a doppia elica),
ssDNA (anti-DNA denaturato o a singola elica), anti-istoni, RNA, SS-A e SS-B (proteine legate
all’RNA). CI sono anche anticorpi anti costituenti del citoplasma, anti-cardiolipina e anti-
fosfolipidi (che identificano pazienti ad alto rischio cardiovascolare).
Anatomia patologica: il lupus porta lesioni specifiche di singoli organi e apparati e lesioni generali
a carico del connettivo (è una connettivite). Questi ultimi sono la necrosi fibrinoide, i granulomi, le
inclusioni citoplasmatiche e soprattutto i corpi ematossilinici. Questi sono patognomoci, sono
corpi rotondi fortemente rossi alla colorazione che contengono DNA, probabilmente costituiti
appunto da materiale che ha reagito con anticorpi antinucleo. Le altre lesioni sono soprattutto a
carico di cute, reni, cuore, polmoni, GI, ma anche milza linfonodi e SNC (vasi).
Clinica: il LES al suo esordio può coinvolgere uno o più organi, con il tempo più manifestazioni.
La gravità è molto variabile. In genere la patologia attraversa fasi di quiescenza e riacutizzazioni:
• Manifestazioni generali: quasi sempre c’è astenia marcata, spesso febbre di entità
variabile e perdita di peso in più della metà dei casi.
• Manifestazioni ematologiche: è in genere presente anemia (per lo più normocromica e
normocitica). Molto frequente le leucopenia (<4000, per lo più da anticorpi anti-leucociti).
Pure piastrinopenia anche se in genere lieve, senza manifestazioni emorragiche.
• Cute: lesioni cutanee sono piuttosto varie, in genere sono localizzate nella metà superiore
del corpo. Vi sono alcune presentazioni principali:
o Lupus eritematoso discoide, LED: non sempre è associato a LES (ossia sistemico),
anche se nella sua forma più diffusa tende a evolvere a LES. Insorge intorno ai 40
anni. Le lesioni si sviluppano soprattutto nelle regioni foto esposte come viso, collo
e arti, ma anche cuoio capelluto (in questo caso danno alopecia cicatriziale). Le
lesioni sono caratterizzate da un denso infiltrato linfocitario, necrosi fibrinoide,
ipercheratosi follicolare e atrofia dell’epidermide.
Distinguiamo 2 forme di LED: localizzato (volto) e diffuso (al di sotto del collo). Le
lesioni hanno un’evoluzione in 4 fasi: Eritema: chiazza rossastra asintomatica a
limiti netti. Ipercheratosi: comparsa di squame secche che ricoprono la lesione e
sono assenti in periferia. Atrofia: il centro della lesione diviene depresso, liscio e
glabro. Vitiligine: chiazze ipopigmentate al centro e ipercromiche in periferia. In
genere la terapia è con protezione dai raggi UV e corticosteroidi topici.

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o Lupus eritematoso cutaneo subacuto: si presenta con lesioni papulosquamose
(simili a psoriasi) o in forma anulare-policiclica. Queste lesioni non danno atrofia e
cicatrici come il LED, però sono più associate a sintomi sistemici e hanno
fotosensibilità spiccata. La tendenza a evolvere in LES è del 25%.
o Lupus eritematoso cutaneo acuto: tipico segno di patologia sistemica. Eritema a
farfalla, è un eritema fotosensibile al volto o orecchie, mento, collo, braccia, etc.
o LE tumido: placche edematose, non desquamanti. Quasi non evolve in LES.
o LE profondo o panniculite lupica: impegno di derma e ipoderma, noduli profondi,
che esitano in sclerosi e cicatrice depressa. Evoluzione in LES del 50%.
• Mucose: simili alle lesioni cutanee. Il LES può colpire congiuntiva, labbra, cavità orale, etc.
• Manifestazioni articolari e muscolo scheletriche: le manifestazioni più frequenti e costanti
e sono l’esordio della patologia nel 70% dei casi. Artralgia e artrite in genere poliarticolare
che può somigliare al reumatismo articolare acuto (migrante e con resitutio ad integrum), o
all’AR (simmetrica e con deformità ossia Sdr. di Jaccoud). Frequente la mialgia.
• Cuore: il quadro più frequente è la pericardite (50%) che si presenta con dolore esacerbato
dai movimenti e respiro, possibili segni di versamento, raro il tamponamento. Esiste la
possibilità di una miocardite (forse secondaria a vasculite dei rami coronarici). Questo può
comportare alterazioni elettrocardiografiche (sopraslivellamento ST da pericardite),
funzionali (disfunzione miocardica da miocardite), maggiore frequenza di cardiopatia
ischemica (favorita da terapia steroidea, ipertensione, alterazioni renali, aumentata
coagulazione da anticorpi antifosfolipidi). Propria del LES è la endocardite verrucosa
atipica che in genere non causa alterazioni funzionali però può essere individuata
all’ecocardiogramma (forse dovuta agli anticorpi antifosfolipidi). Fenomeni vasculitici e
trombotici che riguardano i vasi.
• Polmone e pleura: pleurite con o senza versamento quasi nella metà dei casi. Le polmoniti
possono essere di natura infettiva, ma anche polmonite lupica acuta (rara), polmonite
interstiziale cronica (tipica anche di altre connettiviti). Può seguire o sovrapporsi una
fibrosi polmonare con quadro di tipo restrittivo. Può esserci ipertensione polmonare e
anche embolia polmonare (quadro acuto).
• Manifestazioni gastroenteriche, epatiche e pancreatiche: la gastrite, l’ulcera peptica, la
enterite o colite sono nella maggior parte dovute ai farmaci e solo raramente a una causa
vascolare. Può esserci disfagia a danno dell’esofago. La pancreatite è rara, ma grave.
L’interessamento epatico è più frequente, molto comune l’aumento delle transaminasi, che
può essere dovuto ad una epatite lupica o epatopatia iatrogena (da farmaci). Rara l’ascite,
in genere associata ad una sindrome nefrosica, rara anche la peritonite (sempre sierositi).
• Rene: coinvolto in circa la metà dei pazienti anche se al microscopio elettronico si vedono
segni nel 100% dei casi. Nel LES i quadri sono variabili, possono sovrapporsi e in generale
divenire man mano più gravi. Possiamo avere proteinuria ed ematuria asintomatiche, ma
anche sindrome nefritica o nefrosica, insufficienza renale cronica, glomerulo nefrite. Si
distingue: Classe I: no segni di nefropatia. Classe II: in genere solo ematuria o proteinuria.
Classe III: segni clinici, proteinuria o ematuria costanti. Classe IV: quadro con sindrome
nefritica o nefrosica, proteinuria e/o ematuria costanti, possibile insufficienza renale con
ipertensione arteriosa. Classe V: evoluzione verso l’insufficienza renale cronica che nella
Classe VI è conclamata, irreversibile e associata a ipertensione arteriosa. La sindrome
nefrosica nel LES è particolare perché associata a ematuria oltre che a forte proteinuria e
soprattutto nel protidogramma le gammaglobuline non calano bensì restano elevate
(produzione Ig) e le beta-globuline possono calare (sintesi ridotta). Prognosi severa.
• Manifestazioni neurologiche: sono frequenti e hanno significato prognostico negativo. Il
danno può essere di tipo vasculitico o immunitario (per esempio deposizione di
immunocomplessi a bloccare il plessi corioidei alterando la permeabilità della BEC). Si
riscontrano in effetti anticorpi anitneuronali e anti proteina P ribosomiale. Si possono
presentare psicosi, accessi epilettici , lesioni focali (nervi cranici), disordini del
movimento, cefalea (piuttosto frequente). Possibili mieliti e neuriti. Disfunzioni cognitive
• Altre manifestazioni: nausea, vomito, diarrea, manifestazioni oculari come congiuntivite,
sindrome sicca, uveite, vasculite retinica, neurite ottica e fotosensibilità, fenomeno di
Raynaud, tiroidite, milza ingrossata, linfonodi con aree di necrosi, possibile necrosi
asettica delle ossa, etc.

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Diagnosi: le manifestazioni del lupus sono spesso aspecifiche e, soprattutto all’esordio difficili da
ricondurre a questa patologia. Più agevole diventa la diagnosi quando aumentano i sintomi.
• Esami di laboratorio: oltre alle alterazioni bioumorali dovute ai danni d’organo (aumento
transaminasi, alterazione protidogramma, etc.) nel lupus abbiamo VES elevata, PCR
normale o elevata, Gammaglobuline quasi sempre aumentate. La complementemia (C3 e
C4) è in genere diminuita per consumo dei fattori.
Ciò che però più aiuta nel lupus è la ricerca degli ANA, anticorpi antinucleo che sono
presenti nel 100% dei casi e in genere ad alto titolo. Però possono essere presenti anche in
altre situazioni. Un marker del LES è considerato l’anticorpo anti-DNA nativo ossia anti-
dsDNA che si trova nel 55% circa dei casi (molto associato alla nefrite lupica). Tra gli ENA
è specifico anti-Sm (Smith) che però si trova solo nel 35% circa dei casi. Si possono
riscontrare anche SS-A, SS-B, anti-RNP, che possono indirizzare su alcuni quadri-patologici
di lupus (neonatale, da deficit congenito del complemento, etc.) e che si trovano anche in
altre connettiviti. Comuni anche gli anticorpi antifosfolipidi e anticardiolipina.
Per la diagnosi di LES, è possibile usare i criteri ARA per la classificazione del LES. Un paziente è
malato quando presente 4 criteri su 11, anche se non è obbligatorio il complimento di essi per la
diagnosi (sono per la classificazione, non sono criteri diagnostici). Questi sono: Rash malare, rash
discoide, fotosensibilità (rash fotosensibile), ulcere orali, artrite (non erosiva), sierosite (pleurite o
pericardite), disturbi renali, neurologici, ematologici, immunologici, ANA elevati.
Prognosi: è buona, la sopravvivenza negli ultimi anni è aumentata fino a 80-90% a 10 anni. Fattori
prognostici negativi: impegno renale, impegno cerebrale, HTA, presenza di anticorpi anti-
fosfolipidi. Cause di morte: coinvolgimento sistemico, danno renale, infezioni. È in aumento la
morte per effetti collaterali dei farmaci. C’è maggiore rischio di eventi trombo embolici.
Terapia: non c’è una terapia eziologica però si agisce sulle alterazioni immunologiche.
• Forme lievi: casi senza impegno viscerale e con alterazioni ematologiche lievi. Si utilizzano
FANS, corticosteroidi (prednisone, a basse dosi si preferiscono ai FANS per la minore
tossicità), antimalarici di sintesi (clorochina o idrossiclorochina che però sono tossici per la
retina e richiedono controlli oculistici). In genere non sono necessari immunosoppressori.
• Forme severe: impegno viscerale e alterazioni ematologiche maggiori. Si utilizzano
corticosteroidi a dosi più elevate (1g anziché 20-25mg), immunosoppressori (il più efficace
pare essere la cilcofosfamide, ma anche azatioprina, ciclosporina A e ultimamente il meno
tossico micofenolato mofetil). Si possono utilizzare le immunoglobuline endovena ad alte
dosi e la plasmaferesi (che si associa alla terapia immunosoppressiva e si usa solo in caso
di emorrafia polmonare, PTT o in caso di manifestazioni violente o resistenti).
I corticosteroidi sono antinfiammatori intorno ai 10mg/die e immunosoppressori a 1/mg/kg/die
(dose più alta). Se il LES è associato a sindrome da anticorpi antifosfolipidi si usano anticoagulanti
con obiettivo INR di 3. La gravidanza è a rischio, ma non più controindicata, si danno basse dosi di
corticosteroidi. Se l’artrite resiste a cortisone e antimalarici si pensa al metotrexato.
Follow up: essendo una malattia cronica il paziente va seguito nel tempo eseguendo: emocromo
con conta piastrinica, esame delle urine, creatinine mia, livelli di C3 e C4 e di ANA, controlli
oculistici e profilo lipidico (uso di steroidi).
Lupus da farmaci: alcuni farmaci come procainamide e idralazina possono indurre una sindrome
lupus-like. Sono ipotizzati anche altri farmaci. Si cercano gli ANA per decidere se sospendere o no.

Sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi


La sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi (APS) è una caratterizzata clinicamente dalla presenza di
trombosi arteriose/venose ricorrenti o complicanze gestazionali e presenza di anticorpi anti-
fosfolipidi. L’APS puó essere primaria o associata ad altre malattie, soprattutto il LES. Sono
presenti Ig anti-fosfolipidi nell’1-5% della popolazione generale, nel 33% dei pazienti con LES e nel
10% dei pazienti con altre malattie autoimmuni, ma anche in malattie infettivi e neoplasie; solo un
terzo delle persone con Ig anti-fosfolipidi manifesta clinicamente la malattia.
Anticorpi anti-fosfolipidi: sono autoanticorpi di classi varie (IgG, IgM e raramente IgA), diretti
non contro i fosfolipidi, ma contro diverse proteine plasmatiche che veicolano fosfolipidi anionici
(soprattutto β2-glicoproteina I, protrombina, annessina V, altre). Se ne distinguono diversi tipi:
• Lupus anticoagulant (LA): Impediscono l’attivazione della protrombina legandosi ai
fosfolipidi tramite la β2-glicoproteina I. Sono gli Ac più specifici per evidenziare l’APS.
Sono diagnostici se, dopo un primo test (+), la presenza è confermata dopo 12 settimane. Si
effettuano 2 test emocoagulativi. Se almeno uno è allungato si verifica la presenza di LA.

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• Anticorpi anticardiolipina (aCL): sono IgG e IgM specifiche per complessi β2-glicoproteina
1-fosfolipidi. Sono fattore di rischio per trombosi se presenti a titolo medio-alto, su 2 test a
distanza di 12 settimane l’uno dall’altro. Si evidenzia con test immunoenzimatici (ELISA).
• Anticorpi anti-β2-GPI: sono di classe IgG e IgM. Aumentano il rischio di trombosi e
aterosclerosi (bloccare β2-GPI causa trombosi). Sempre test ELISA a distanza di 12 sett.
Epidemiologia: rapporto donne:uomini 5:1, presente nel 10-20% degli aborti da causa ignota.
Eziopatogenesi: sia la eziologia che la patogenesi sono ignote. Non si conosce come si formano gli
anticorpi anti-fosfolipidi però è noto che essi predispongono alla trombosi probabilmente per:
interazione con le cellule endoteliali, con i monociti, le piastrine, componenti del sistema di
coagulazione e complemento (inibiscono gli anticoagulanti e la fibrinolisi).
Clinica: le manifestazioni variano dalla trombosi venosa singola alla APS catastrofica. Abbiamo:
Manifestazioni trombotiche:
• Cute: ulcere e gangrena (trombosi dei piccoli vasi del derma), livedo reticularis.
• SNC: interessamento ischemico: ictus e TIA, corea, epilessia, cefalea intrattabile.
• Apparato respiratorio: tromboembolia polmonare o trombosi in situ.
• Apparato cardiovascolare: angina o infarto, trombosi endocavitaria. Alterazioni valvolari.
• Reni: microangiopatia trombotica.
• Arti superiori e inferiori: trombosi venosa profonda.
Manifestazioni ematologiche: piastrinopenia (frequente), anemia emolitica.
Manifestazioni ostetriche: poliabortività, parto pre-termine, ritardo di accrescimento, trombosi
dei vasi placentari, aumento delle complicanze materne: pre-eclampsia, gestosi, altro.
APS catastrofica: 1% dei casi, rara forma di APS con molteplici fenomeni trombotici (almeno 3
distretti coinvolti nell’arco di giorni o settimane), mortalità del 50%. L’interessamento è in ordine
soprattutto: renale, polmonare, neurologico, cardiaco, cutaneo.
Diagnosi: devono essere presenti almeno 1 criterio clinico + 1 laboratoristico.
• Criteri clinici: Trombosi vascolari: confermate da rilievi strumentali. Impegno ostetrico: 1 o
più aborti di causa sconosciuta dopo la 10° settimana, 3 o più aborti spontanei prima della
10° settimana, 1 o più nascite premature prima della 34° settimana.
• Criteri laboratoristici: Presenza di LA o aCL o β2-GPI: 2 determinazioni a 12 sett. di distanza
Terapia: bisogna eliminare i fattori di rischio aggiuntivo (tipo fumo, etc.) ed effettuare profilassi.
Profilassi primaria: se il paziente è asintomatico può non farsi o solo ASA (acido acetilsalicilico) a
basse dosi. Paziente con LES + LA o altri anti-fosfolipidi: idrossiclorochina + ASA basse dosi.
In corso di evento trombotico o trombo embolico: si dà, come nella trombosi per altre cause,
eparina sodica endovenosa, con APTT 1,5-2 volte i valori medi basali o eparina a basso peso
molecolare a dosaggio pieno. Nella sindrome catastrofica anche plasmaferesi e steroidi.
Profilassi secondaria (dopo l’evento trombotico): si usano anticoagulanti orali. Se il paziente ha
avuto un primo evento venoso: Warfarin con target INR 2-3. Se il paziente ha avuto un primo
evento arterioso o è terapia-resistente: Warfarin con targeti INR 3-4 o associato ad antiaggregante.
Profilassi delle complicanze ostetriche: si dà eparina + ASA a basse dosi in caso di aborti precoci
ripetuti o aborti dopo la 10° settimana o in caso di evento trombotico precedente.
Prospettive terapeutiche: antiaggreganti di combinazione, inibitori del fattore Xa, statine, inibitori
diretti della trombina, idrossiclorochina.

Sclerodermie:
Gruppo di patologie causate da meccanismi autoimmunitari-infiammatori che esitano in fibrosi
della cute e di altri organi e apparati. Sono definite clinicamente dalla presenza di sclerosi cutanea
prossimale delle dita (oppure sclerodattilia, ulcere ischemiche alle dita, fibrosi polmonare).
Si distinguono principalmente due forme di sclerodermia:
1. Sclerosi sistemica: caratterizzata da sclerosi cutanea, fenomeno di Raynaud, impegno
viscerale. Al suo interno, in base al coinvolgimento cutaneo, incontriamo:
• Forma cutanea limitata: sindrome CREST, sintomi cutanei soprattutto a volto e mani.
• Forma cutanea intermedia: anche la parte prossimale degli arti, ma non il tronco.
• Forma cutanea diffusa: anche il tronco, frequenti sintomi viscerali.
In più abbiamo la sclerosi sistemica sine scleroderma, sclerodermia indotta da sostanze
chimiche e la sclerodermia associata ad altre connettiviti (sindromi overlap).
2. Sclerodermia circoscritta: solo sclerosi cutanea, ha in genere una prognosi migliore:
• Morfea: sclerodermia a placche (chiazze): localizzata, generalizzata o profonda.
• Sclerodermia lineare: più giovanile, anche con lesioni trofiche della muscolatura.

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Epidemiologia: è sottostimata per le forme oligosintomatiche non diagnosticate. Molto più nel
sesso femminile (1:3, 1:9), picco tra 30-50 anni (tranne la sclerodermi lineare). 50-300 su milione.
Eziopatogenesi: l’eziologia è ignota, contribuiscono fattori genetici (HLA-DR5), infezioni (CMV),
farmaci (bleomicina). Il primus movens della patogenesi pare essere il danno vascolare (dovuto ad
autoanticorpi, radicali liberi o altro) che provoca l’attivazione dell’endotelio e la produzione di
citochine infiammatorie ed endotelina. Le citochine infiammatorie richiamano cellule
dell’immunità innata e linfociti T (che tra l’altro producono anche TGF-beta), l’endotelina funge
da vasocostrittore ed è fibrogenica. Vengono così stimolati i fibroblasti tissutali (tramite TGF-beta,
endotelina e ipossia tissutale) causando l’eccessiva fibrosi caratteristica della patologia.
Anatomia patologica: si notano fibrosi, infiltrato periva scolare linfocitario (T), alterazioni del
microcircolo (capillari tortuosi e dilatati, anche distrutti, arteriole ispessite).
Clinica: nel 95% dei casi esordisce con il fenomeno di Raynaud. Le manifestazioni sono:
• Cute: si formano prima chiazze eritemato-edematose rosso-violacee asintomatiche. Hanno
evoluzione centrifuga (infiammazione periferica e già sclerosi centrale). Dopo la sclerosi la
lesione è pallida e dura al centro (anche alopecia) circondata da un anello eritematoso.
Regrediscono poi lasciando aree iperpigmentate o nel 10% dei casi cicatriziali (atrofia). Si
possono poi avere discromie (chiazze iperpigmentate, melanodermia, o ipopigmentate) e
calcinosi (depositi di calcio che affiorano in superficie, a volte ulcerati) (40% dei pz.). Si
distingue una morfea a placche localizzata (lesioni in un unico sito, al massimo profonde
fino all’ipoderma), generalizzata (più placche a tronco e arti, sempre ipoderma), profonda
(soprattutto ipoderma), sclerodermia lineare (coinvolge anche tessuto muscolare e osseo).
Se le lesioni sono al volto si ha la facies sclerodermica (amimica, con microchelia e
microstomia, rughe della fronte spianate, solchi radiali attorno alla bocca, naso affilato). Le
lesioni si trattano con penicillina, corticosteroidi (ma anche PUVA-terapia, ciclosporina A)
• Manifestazioni vascolari: sono ulcere ischemiche, teleangectasie e fenomeno di Raynaud.
Le ulcere sono secondarie agli episodi di vasospasmo, sono molto dolore. La telangectasia
è una dilatazione dei vasi, presente nel 90% dei pazienti (dopo 10 anni). + nelle zone acrali!
• Occhi: cheratocongiuntiviste secca con fibrosi a palpebre e ghiandole lacrimali (riduzione
della secrezione). Per la xeroftalmia si usano le lacrime artificiali.
• Bocca: fibrosi e xerostomia (riduzione della secrezione) delle ghiandole salivari e fibrosi
della membrana periodontale. Xerostomia e xeroftalmia configurano la sindrome di
Sjögren secondaria. La terapia per la xerostomia è bere spesso e compresse i pilocarpina.
• Tiroide: fibrosi tiroidea con o senza tiroidite autoimmune.
• Apparato respiratorio: comune la fibrosi interstiziale polmonare (70%) e pleurica con
alterazione del microcircolo polmonare. Dà tosse, secca, dispnea da sforzo, sindrome
restrittiva e possibile ipertensione polmonare (condiziona la prognosi). Aumento rischio
di cancro. La pneumopatia sclerodermia o (s. di Erasmus) risponde bene a ciclofosfamide.
• Apparato cardiovascolare: fibrosi che causa microangiopatia coronarica, disturbi di
conduzione, scompenso cardiaco, possibile pericardite. Si danno antiaritmici, etc.
• Apparato digerente: Esofago: fibrosi del terzo distale che causa pirosi, esofagite, poi con il
tempo esofago di Barrett, e disfagia. Terapia sintomatica. Intestino tenue e colon: fibrosi
che causa distensione addominale, dolore, malassorbimento, etc.
• Reni: alterazioni del microcircolo renale con proteinuria ed ematuria seguite con il tempo da
ipertensione arteriosa e IRC. La crisi renale sclerodermica è una IRA con HTA maligna.
• Apparato locomotore: Muscoli: miosite (come la polimiosite). Ossa: spesso osteoporosi per
malassorbimento. Articolazioni: sinovite poi fibrosi della sinovia. Osserviamo artrite che
può anche essere grave (erosiva). Risponde a basse dosi di steroidi. Tendini: tendinite,
all’achilleo, ma anche tibiale e soprattutto dita (mano ad artiglio).
• Sistema immunitario ed ematopoietico: possibile anemia (da malassorbimento B12).
Ipocomplementemia, indici di flogosi negativi, produzione di vari autoanticorpi.
L’impegno cutaneo è in genere successivo al fenomeno di Raynaud. Queste sono le
manifestazioni più frequenti poi vengono quelle polmonari e il coinvolgimento esofageo.
Diagnosi: si realizza con il criterio maggiore (sclerosi cutanea) + 2 criteri minori (tra
sclerodattilia, ulcere ischemiche alle dita, fibrosi polmonare bilaterale più alle basi).
Tra le forme sistemiche la forma cutanea limitata (sindrome CREST) sta per: Calcinosi, Raynaud,
Esofagite, Sclerosi, Teleangectasie. L’impegno sistemico è tardivo. Nella forma cutanea diffusa
l’impegno sistemico è grave e precoce e la morfea è generalizzata. Prognosi: Sopravvivenza a 5
anni del 90%, 80% a 10 anni. Fattori negativi: interessamento polmonare, cardiaco e renale.
Terapia: Farmaci vasoattivi: sono molto utilizzata i calcio antagonisti (riducono il vasospasmo e le

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resistenze vascolari), sartani e prostanoidi (iloprost, vasodilatatore).
Farmaci immunosoppressori: pare essere efficace la ciclofosfamide, a boli mensili.
Farmaci antifibrotici: si usa la D-penicillamina. In associazione a immunosoppressori e
antifibrotici si ottengono risultati anche con la plasmaferesi.

[Fenomeno di Raynaud: ischemia acrale parossistica, risposta vascolare esagerata alle variazioni
di temperatura, al freddo e allo stress. Colpisce per lo più le dita delle mani.
Epidemiologia: può essere primario (senza patologie note associate), secondario (sintomo di una
malattia sottostante), non idiopatico non secondario (quando della patologia causante ci sono i
sintomi e il sospetto, ma non la certezza). Tende a colpire più le donne che gli uomini, più tra 10-
40 anni. Gli uomini sono colpiti in età più avanzata.
Eziopatogenesi: le cause note più frequenti si FeR secondario sono sclerodermia, altre connettiviti
e LES, poi malattie ematologiche, professionali, neoplasia, farmaci, etc. I meccanismi possibili di
patogenesi sono: aumento dell’attività simpatica (magari ipersensibilità dei recettori alfa-2),
alterazione della produzione delle sostanze vasoattive dell’endotelio, occlusione anatomica o
riduzione della pressione di perfusione nella zona affetta, iperviscosità ematica.
Clinica: ha esordio improvviso (soprattutto a mani, piedi e volto) scatenato da freddo o stress. Si
compone di tre fasi: vasocostrizione (pallore), cianosi, vasodilatazione (arrossamento). Una delle
tre fasi può mancare (specie la vasodilatazione). Può dare anche dolore, parestesie, ulcere
ischemiche. In genere è simmetrico se secondario ad una patologia sistemica.
Diagnosi: clinica, si valuta con esami si primario o secondario. Si può confondere con acrocianosi
(se è presente solo la cianosi), eritromelalgia (reazione dolorosa al caldo), disordini trombotici, etc.
Terapia: sempre sintomatica. Bisogna evitare i fattori scatenanti, fare esercizio fisico, farmaci calcio
antagonisti, antagonisti alfa-1, antagonisti della serotonina, prostaglandine, altri in studio.
La simpaticectomia risulta inutile nel Raynaud secondario, e forse lo è anche nel primario.]

Miopatie infiammatorie idiopatiche


Gruppo eterogeneo di malattie muscolari acquisite a patogenesi autoimmune, caratterizzate da un
processo infiammatorio cronico a carico della muscolatura scheletrica. Ne esistono 3 forme:
Polimiosite (PM, la più frequente se associata, ma da sola è la più rara). Dermatomiosite (DM),
Miosite da corpi inclusi (MCI).
Epidemiologia: in generale abbastanza rare, prevalenza di 4/100000. La DM colpisce tutte le età, la
PM sopra i 18, la MCI sopra i 50 anni. Sono più comuni nelle donne (la MCI no). Possono anche,
soprattutto negli uomini e per lo più con DM, essere associate a neoplasie.
Eziopatogenesi: non è chiara, alcuni fattori esterni agirebbero da trigger su soggetti
geneticamente predisposti (alcuni HLA). I possibili trigger sono: virus e retrovirus (influenza,
HBV, HCV, etc…), farmaci (D-penicillamina, triptofano, etc.), agenti biologici (Il-2, Gh, silicone).
Comune è tutte e tre le forme è una patogenesi di tipo autoimmune:
• Polimiosite: si nota un infiltrato di linfociti T CD8+ (citotossici) nell’endomisio sia nelle
fibre danneggiate che in quelle sane con assenza di danno vascolare e senza atrofia
perifascicolare. In sostanza il danno muscolare è cellulo-mediato.
• Dermatomiosite: forse a causa della produzione di autoanticorpi c’è attivazione del
complemento con conseguente atrofia perifascicolare (per distruzione da parte del MAC
delle cellule dei capillari), e chemiotassi di macrofagi e linfociti nel perimisio e alivello
periva scolare. Abbiamo così atrofia muscolare perifascicolare, riduzione del numero di
capillari e segni di ischemia, edema del derma papillare, atrofia dell’epidermide.
• Miosite da corpi inclusi: si nota come nella polimiosite un infiltrato linfociti CD8+
(probabilmente anche qui è cellulo-mediata) però anche presenza di vacuoli nei miociti e
inclusioni di beta-amiloide e proteina tau. Non risponde all’immunosoppressione.
Clinica: quadro dominato dalle manifestazioni muscolari o muscolari e cutanee (DM):
• Manifestazioni muscolari: si riscontrano in tutte e tre le forme. Coinvolgono soprattutto la
muscolatura del cingolo pelvico e scapolare (PM) (ma collo, respirazione, masticazione,
fonazione) e la muscolatura distale degli arti (MCI). Mai gli oculomotori.
Il sintomo principale è la debolezza muscolare (fatica nelle attività quotidiane, esorido
subdolo). La progressione è molto lenta (settimane e mesi in PM e DM, anni in MCI). Non
si tratta di polimiositi se la debolezza non si associa anche a riduzione della forza
muscolare. Si rilevano all’esame clinico riduzione della forza muscolare, dolorabilità alla
palpazione, contratture, atrofia muscolare nei casi avanzati. Esami di laboratorio: aumento
degli enzimi muscolari (CPK, LDH, aldolasi). La Creatinkinasi (CK o CPK) o isoforma

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MM è molto aumentata però meno nelle fasi avanzate di atrofia, poi utili sono anche la
mioglobina e la creatina (che si ritrova nelle urine se c’è necrosi muscolare).
• Manifestazioni cutanee: si riscontrano solo nella Dermatomiosite. Sono si 4 tipi:
o Chiazze eritematose eliotrope: nelle fotosedi, colore rosso-lilla con edema
palpebrale (sede tipica), che possono divenire atrofiche o teleangectasiche.
o Placche eritemato-squamose psoriasi formi: a gomiti e ginocchia.
o Papule violacee: al dorso delle mani e avambracci (papule di Gottron).
o Ispessimento della cuticola: + teleangectasie periungueali.
• Altre manifestazioni: febbre, dimagrimento, fibrosi interstiziale polmonare, aritmie o
miocardite, miosite del terzo prossimale dell’esofago (disfagia), IRC.
Diagnosi: si usano principalmente i criteri di Bohan e Peter, ossia: 1) Rash cutaneo caratteristico
2) Debolezza muscoli prossimali 3) Aumento enzimi muscolari 3) Alterazioni elettromiografiche
4) Alterazioni bioptiche muscolari. PM: Definita con 4 criteri, probabile con 3 e possibile con 2.
DM: Definita con 3 criteri, probabile con 2 e possibile con 1. MCI: sospetto clinico conferma
istologica. La diagnosi si avvale perciò della clinica, delle analisi e degli esami strumentali:
Esami di laboratorio: aumento aspecifico degli indici di flogosi, enzimi muscolari soprattutto la
CPK-MM (anche isoenzima MB). Può aumentare anche la mioglobina nelle urine (è la
mioglobinuria a causare IRC) e la creatina.
Con ELISA o immunofluorescenza diretta si possono trovare autoanticorpi sierici: anticorpi anti t-
RNA come Jo-1, gli anti Mi-2 (complesso macromolecolare di proteine nucleari coinvolto nella
trascrizione genica) sono presenti nel 5-15% delle miositi e sono altamente specifici e associati a
prognosi favorevole, gli anti-Ku (eterodimero legato ad una protein-kinasi DNA-dipendente
importante nel riparo del DNA) presenti nel 3-19% delle miositi e associati a sindrome overlap
Dermatomiosite/Sclerodermia (la più comune overlap) e presenti anche in LES, Sjögren, AP.
Altri esami: Elettromiografia: registra fibrillazione spontanea e potenziali a dente di sega,
complessi polibasici durante la contrazione volontaria con riduzione de p.d.a. (segno di perdita
delle fibre muscolari), scariche ripetute di potenziali irregolari. Caratteristica della PDM.
Risonanza magnetica nucleare mucolare: come diagnostica del tessuto e guida della biopsia.
Ecografia muscolare: studio morfologico del muscolo e valutazione dell’infiammazione.
Biopsia muscolare: deve essere fatta prima della terapia e deve seguire lo studio elettromiografico.
Si esegue in una zona dove l’interessamento muscolare è in fase di attività. Mostra
l’infiammazione e le alterazioni tipiche prima della terapia. In caso di MCI il reperto può essere
negativo per infiammazione. Si incontrano vacuoli citoplasmatici (anche in altre miopatie).
Prognosi: importante la diagnosi precoce, i corticoidi l’hanno migliorata. PM e DM hanno
sopravvivenza dell’84% a 10 anni. La MCI ha prognosi peggiore.
Terapia: Fase di induzione: corticosteroidi (prednisone) a dosi elevate per 4-6 settimane. Fase di
mantenimento: graduale riduzione fino alla dose minima di prednisone per assicurare il controllo.
I farmaci di prima scelta da associare ai corticoidi sono le immunoglobuline esogene IGIV. Se non
si raggiunge il controllo si possono aggiungere immunosoppressori come il metotrexato, AZT e
ciclofosfamide. Possibili anche farmaci biologici, plasmaferesi, etc. Lo scopo è il miglioramento
della forza muscolare. Se non si vede miglioramento con immunosoppressori  controllare con
un’altra biopsia se si tratta di MCI.

Connettiviti indifferenziate e da sovrapposizione (overlap)


Si parla di connettivite indifferenziata quando il paziente non soddisfa il numero minimo di
criteri per diagnosticare una connettivite. Sono entità sfumate le cui manifestazioni più frequenti
sono l’artrite e il fenomeno di Raynaud. Spesso evolvono in connettiviti definite.
Le connettiviti da sovrapposizione o sindromi overlap sono un gruppo di malattie nelle quali il
paziente soddisfa i criteri diagnostici di più di una connettivite. È possibile osservare un gran
numero di combinazioni. Tra le più comuni vi è la Dermatomiosite/Sclerodermia.

Connettivite mista: è la più frequente sindrome da overlap. Si hanno contemporaneamente le


manifestazioni di LES, sclerodermia e polidermatomiosite associate al positività all’anticorpo
anti-nRNP. A lungo è stata denominata Sindrome di Sharp, come fosse distinta.
Epidemiologia: 2-3/100000, colpisce quasi solo donne, con esordio in genere a 30-40 anni.
Eziopatogenesi: multifattoriale: infezioni virali, associazione HLA-DR4, autoimmunità.
Clinica: presenta variabilmente le manifestazioni delle tre patologie. In genere 100% fenomeno di
Raynaud, 75% sclerodattilia (dita a salsicciotto), poliartrite non deformante, poi anche rash a

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farfalla e fotosensibilità (LES), rash eliotropo e papule di Gottron (DM), fibrosi polmonare, etc.
Sierologia: anticorpi anti-U1 RNP dimostrabili con elettroforesi o ELISA. Ipergammaglobulinemia
Diagnosi: tramite criteri, per esempio 4 fattori diagnostici delle tre patologie (in alcune
classificazioni fondamentale l’acrosclerosi), o un sintomo comune + altri tipici (tipo Raynaud).
Prognosi: remissione spontanea o controllo con terapia a basse dosi. Può evolvere a sclerodermia.
Terapia: risponde bene a corticoidi a basse dosi e FANS. Alternativa: metotrexato, antimalarici.

Sindrome di Sjögren: è una malattia infiammatoria cronica a patogenesi autoimmune


caratterizzata da riduzione della secrezione delle ghiandole salivari e lacrimali con conseguente
cheratocongiuntivite secca e xerostomia (sindrome sicca). Può anche coinvolgere tutte le ghiandole
esocrine (esocrinopatia autoimmune).
Epidemiologia: prevalenza 0,5-1% della forma primaria, nel 30% dei casi altre patologie
autoimmuni possono causare Sjögren secondaria.
Eziopatogenesi: ignota, però probabilmente multifattoriale. Gioca un ruolo la predisposizione
genetica (HLA-DR3 soprattutto) e forse un’infezione virale persistente (da herpes virus, retrovirus,
etc.). Nel siero dei pazienti sono presenti anticorpi anti-SSA e anti-SSB. Forse, a seguito di
un’infezione virale, l’epitelio ghiandolare provoca una reazione infiammatoria con infiltrazione
linfocitaria e produzione di citochine, produzione di anticorpi contro gli antigeni nucleari.
Clinica: si distinguono manifestazioni legate al coinvolgimento ghiandolare e non:
Manifestazioni ghiandolari:
• Xeroftalmia: ridotta secrezione lacrimale, cheratocongiuntivite secca (sensazione corpo
estraneo, bruciore, dolore) con complicanze oculari (come sovrinfezione, ulcerazioni, etc.).
• Xerostomia: secchezza del cavo orale, difficoltà nella masticazione e deglutizione. Favorite le
infezioni buccali e le carie, stomatite da Candida. La mucosa appare asciutta e arrossata.
• Tumefazione delle parotidi: aumento consistenza, possibile febbre.
• Esocrinopatia: a volte sono coinvolte anche altre ghiandole (ad esempio nasali, genitali, etc.).
Manifestazioni sistemiche: frequenti, possono anche precedere l’interessamento ghiandolare.
• Generali: artritie e artralgia, vasculiti, fenomeno di Raynaud, mialgie, epatosplenomegalia.
• Altre: polmonari, renali, cardiache, muscolari, tiroidee, neurologiche, etc.
• Neoplasie: aumento della frequenza dei linfomi non-Hodgkin (specialmente maltomi).
Diagnosi: si fonda su segni clinici di impegno ghiandolare e riscontri sierologici. Non vi è ancora
accordo sui criteri diagnostici. I criteri su cui c’è più accordo sono i seguenti
1) Sintomi oculari (domande al pz) 2) Sintomi orali (domande) 3) Segni oculari (positività ai test)
4) Istopatologia (alla biopsia delle ghiandole salivari minori o parotide) 5) Impegno delle
ghiandole salivari (positività ai test) 6) Presenza nel siero degli autoanticorpi SS-A e SS-B.
Devono essere presenti 4 criteri di cui uno deve essere il 4 o il 6. Ossia ci deve essere per forza
conferma alla biopsia o presenza degli anti-SS-A e SS-B. Se prima vi è evidenza di una connettivite
si può sospettare una sindrome di Sjögren secondaria.
Test della secrezione lacrimale: test di Schirmer: apposizione di una strisciolina di carta nel
fornice papebrale, tempo di rottura del film lacrimale (colorazione del film corneae con
fluoresceina e visione con lampada a fissura), etc.
Test di secrezione salivare: scialometria oppure il test di Saxon (con una spugnetta).
Altri test: scialografia (dopo introduzione di mezzo di contrasto nel dotto di Stenone), scintigrafia,
ecografia della parotide, biopsia delle ghiandole salivari.
Vi sono anche alterazioni degli esami di laboratorio (indici di flogosi, lieve anemia, riduzione
complemento), presenza del fattore reumatoide, anticorpi anti-SSA e SSB, altri autoanticorpi.
DD: altre cause di xerosotomia sono: cause locali (infezioni, terapia radiante), cause sistemiche
(ematologiche, pancreatiche, endocrine, neuropsichiatriche, da malnutrizione o da farmaci).
Terapia: è una sindrome piuttosto benigna, pertanto il trattamento è sintomatico e conservativo.
Per la xeroftalmia si utilizzano le lacrime artificiali, per la xerostomia chewing gum o spray
idratanti, accurata igiene orale. Manifestazioni extraghiandolari: cortisonici e FANS.
Altri farmaci sono l’idrossiclorochina, ciclosporina A, ciclofosfamide, metotrexato, etc…

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Vasculiti

Aspetti generali: sono un gruppo eterogeneo di affezioni caratterizzate da infiammazione e


necrosi delle pareti vascolari che possono causare stenosi e aneurismi determinando lesioni
ischemico-emorragiche dei tessuti interessati.
Eziopatogenesi: i principali meccanismi sono:
1. Deposizione di immunocomplessi: è il meccanismo più frequente (tipico di PAN e vasculiti
da ipersensibilità). Gli immunocomplessi si depositano nella parete dei vasi e attivano
fattori chemio tattici (attivando il complemento), leucociti che liberano enzimi proteolitici e
il rilascio di citochine.
2. Alterazione della risposta cellulo-mediata: questo determina la formazione di granulomi
come nel morbo di Wegener e sindrome di Churg-Strauss.
3. Anticorpi contro le cellule endoteliali: AECA, anticorpi aspecifici che si trovano in più
vasculiti (Wegener, poliangioite microscopica e Kawasaki), citotossici per le cellule
endoteliali, inducendo apoptosi e promuovendo la trombosi intravascolare.
4. Anticorpi contro gli enzimi lisosomi ali dei neutrofili: ANCA, mediano il danno
endoteliale tramite l’adesione dei neutrofili e la liberazione di ROS e altri composti.
5. Agenti infettivi e cellule tumorali: possono dare danno diretto, stimolare la produzione di
anticorpi, la formazione di immunocomplessi, risposta immunitaria cellulo-mediata, etc.
Classificazione: non è facile, ve ne è una basata sul calibro dei vasi prevalentemente coinvolti nelle
varie sindromi vasculitiche. Vi è poi una subdivisione in ANCA-associate e da immunocomplessi:
• Vasculiti dei grandi vasi: Arterite a cellule giganti (ACG) e Arterite di Takayasu.
• Vasculiti dei vasi di medio calibro: Poliarterite nodosa (PAN), Malattia di Kawasaki.
• Vasculiti dei piccoli vasi: si distinguono a loro volta in:
o ANCA-associate: Granulomatosi di Wegener, Poliangioite microscopica,
Sindrome di Churg-Strauss
o Da immunocomplessi: Porpora di Schönlein-Henoch, Vasculite
crioglobulinemica, Angioite cutanea leucocitoclasica, Malattia di Behçet.
Clinica: le vasculiti sono in genere caratterizzate da una fase prodromica con febbre, malessere
generale, astenia, perdita di peso, artralgie e mialgie, modificazioni di fase acuta delle analisi.
Seguono poi le manifestazioni specifiche. In generale possono esserci sintomi da insufficienza
vascolare del distretto interessato (per proliferazione dell’intima oppure stenosi del vaso).
Diagnosi: i sintomi generali così come manifestazioni quali microematuria, ischemie, porpora,
gromerulonefriti, etc., generano il sospetto che deve condurre alle analisi sierologiche. La
diagnosi si può porre definitivamente solo con la angiografia (che si preferisci alla biopsia quando
il rischio di questa è elevata, si sospetta una patologia di vasi di grande calibro) e meglio ancora
con la biopsia delle aree lese. Alla biopsia vedremo lesioni attive (che rispondono alla terapia
setroidea) e esiti di processi riparativi (che invece non rispondono) alcuni con caratteristiche che
possono indirizzarci anche verso la diagnosi differenziale tra i diversi tipi di vasculiti.
Terapia: utilizzo in generale di farmaci sintomatici, corticoidi, terapia immunosoppressiva.

Arterite di Takayasu: o sindrome dell’arco aortico, rara vasculite che interessa principalmente
l’arco aortico e i suoi rami (e l’arteria polmonare). Incidenza di 2 casi su un milione, colpisce per lo
più adolescenti e giovani donne.
Patogenesi e anatomia patologica: la patogenesi è cellulo-mediata. Vi è un’infiammazione
granulomatosa nella media e nell’avventizia )infiltrato di cellule giganti, polimorfo nucleati e
linfociti). Si può generare o meno la stenosi de vaso, comunque riduzione del lume vascolare.
Sono colpite soprattutto le ramificazioni dei vasi.
Clinica: vi è una fase prodromica con sintomi aspecifici come febbre, malessere, sudorazione
notturna, perdita di peso, artralgia, però senza alterazioni bioumorali.
La fase conclamata si presenta con segni d’insufficienza vascolare nei tratti interessati. Questi
possono essere: carotidi (ictus, sincopi, convulsioni), arterie retiniche (disturbi visivi), succlavie
(ridotta forza muscolare, anisosfigmia, ischemia alle dita), aorta e coronarie (insufficienza aortica
e angina), polmonari (ipertensione polmonare), renali (ipertensione), mesenteriche (dolore,
emorragia), ileo femorali (claudicatio intermittens).
Diagnosi: si basa sulla clinica, la conferma è l’angiografia. Per la diagnosi servono almeno 3
criteri dei 6 seguenti: insorgenza prima dei 40 anni, claudicatio intermittens (specie arti superiori,
riduzione del polso arteria brachiale, differenziale pressorio tra le due braccia >10 mmHg, soffio

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all’aorta o succlavia, occlusione o dell’aorta o dei suoi rami visibile all’angiografia.
Prognosi: andamento ondulante, riaccensioni periodiche. Morte per ictus, IMA, IRC, aneurismi.
Terapia: i corticosteroidi controllano i sintomi e arrestano la progressione. Se il soggetto è
resistente si danno altri immunosoppressori (inibitori TNF-alfa e metotrexato). Si può pensare
all’angiplastica transluminale percutanea e stenting nelle stenosi critiche non fibrotiche.

Arterite a cellule giganti: o arterite temporale (o di Horton), arterite granulomatosa che colpisce
principalmente le arterie che originano dall’arco aortico. Più frequente della Takayasu (7/100000),
prevalente nel sesso femminile e aumenta con l’età. Associazione con HLA-DRB1-04.
Patogenesi e anatomia patologica: la patogenesi è cellulo-mediata con attivazione dei T che
penetrano nei vasa vasorum producendo IFN-gamma che è quello che favorisce l’infiltrato di
cellue giganti (anche linfociti e PMN) che caratterizza l’infiammazione granulomatosa. Il vaso
assume calibro irregolare, presentando lesioni segmentarie (noduli, dilatazioni e restringimenti).
Colpisce con più frequenza i rami della carotide esterna (arteria temporale), ma non solo.
Clinica: soliti sintomi aspecifici delle vasculiti in fase prodromica.
Fase conclamata: sintomi derivanti dalla flogosi dei vasi (arteria come cordone duro, rossatro,
dolorabile con possibile cefalea temporale, frontale o occiptale) e sintomi da insufficienza
vascolare: arteria centrale della retina e oftalmica (diplopia, amaurosi, cecità anche improvvisa,
glaucoma), arterie cerebrali (ictus, afasia, anacusia, etc.), temporale (claudicatio masseteri e
lingua, ulcerazioni cuoio capelluto), aorta (aneurismi), coronarie (angina o IMA), ileo femorali.
Diagnosi: si sospetta in pazienti di età >50 anni con sintomi generali, cefalea e disturbi della vista.
La conferma si fa con la biopsia (ma le lesioni sono segmentarie, dunque si prendono 3-5 cm di
arteria temporale). La biopsia è uguale alla Wegener.
Per la diagnosi servono almeno 3 dei seguenti 5 criteri: età >50 anni, cefalea, anomalie dell’arteria
temporale, VES elevata, alterazioni istologiche caratteristiche (granuloma).
Prognosi: la mortalità è bassa, la morte avviene per ictus, IMA o aneurisma dissecante dell’aorta.
Terapia: va iniziata subito la terapia steroidea anche prima della conferma bioptica. 40-60mg/die
di prednisone da ridurre gradualmente (per prevenire la perdita della vista e attenuare i sintomi).

L’arterite di Horton e la polimialgia reumatica sono patologie strettamente associate (possono


comparire in età senile e anche nello stesso paziente), probabilmente con eziopatogenesi comune.
Il 40-60% dei pazienti con arterite temporale presenta anche sintomi di polimialgia reumatica. In
comune anche la risposta agli steroidi. La relazione tra le due patologie non è ancora ben definita.

Polimialgia reumatica: PMR, caratterizzata da intenso dolore e rigidità dei cingoli scapolare e
pelvico accompagnata da sintomi generali. Aumento importante degli indici di flogosi. Spesso
associata alla arterite temporale, colpisce soprattutto anziani (e, come l’arterite, gli scandinavi).
Eziopatogenesi: fattori genetici, ormonali, ambientali, infettivi (esordio simil-influenzale).
Clinica: esordio in genere improvviso con dolore dei cingoli e a volte anche artrite. La forza
muscolare è conservata (DD con polimiosite) e sono interessati i movimenti articolari globali.
Diagnosi: è clinica (età avanzata, esordio brusco, dolore e rigidità) e grazie ad esami di
laboratorio. In questi gli enzimi muscolari non sono aumentati, si riscontrano anticorpi anti-
fosfolipidi, notevole aumento degli indici di flogosi.
Possono esserci (a TC e Rx) erosioni articolari. L’elettromiografia è normale (DD con PM-DM).
La diagnosi si pone in assenza di altre patologie in grado di spegare i sintomi e in presenza di
questi 3 criteri (2 se c’è buona risposta agli steroidi): età>50 anni, dolore bilaterale e rigidità
mattutina (a dorso, spalle, collo, braccia, cosce), VES >40.
DD con artrite reumatoide a esordio senile: (DD con miositi e connettiviti è più agevole): sintomi
uguali. In genere AR presenta anticorpi antricitrullina e colpisce le articolazioni periferiche.
Terapia: cortisonici, si tiene d’occhio la ves. Come per l’arterite la terapia dura circa 2 anni.
Prognosi: buona, per la brillante risposta agli steroidi. Può insorgere arterite di Horton.

Poliarterite nodosa: PAN, vasculite con lesioni necrotizzanti segmentarie prevalentemente de vasi
di medio calibro. Rara, colpisce più i maschi tra 30-50 anni.
Patogenesi e anatomia patologica: patogenesi da immunocomplessi (forse scatenata da antigeni
virali). Le lesioni sono necrosi fibrinoide (con infiltrato di monociti e PMN), i granulomi sono rari.
Colpisce le arterie di medio e piccolo calibro per lo più renali e viscerali (raramente bronchiali). Le
lesioni sono segmentarie, alle biforcazioni, con stenosi e aneurismi.
Clinica: fase prodromica con sintomi aspecifici. Fase conclamata: dipende dall’organo (stenosi ed

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emorragie da rottura di aneurismi): soprattutto arterie renali (iperazotemia, ipercreatininemia,
infarti multipli e con il tempo IRC e HTA), poi anche testicolari (orchite, epididimite),
mesenteriche (dolore addominale, diarrea, emorragia), cute, poi coronarie, vasi SNC e oculari, etc.
Si può anche avere artrite delle grandi articolazioni, non deformante e simmetrica.
Diagnosi: confermata dalla biopsia dell’organo sintomatico (in alternativa angiografia). Criteri:
(almeno 3 per la diagnosi) perdita di peso >4 kg, livedo reticularis, dolore testicolare, mialgie,
neuropatia, ipertensione, iperazotemia e ipercreatininemia, anomalie arteriografiche o bioptiche.
Questa è in realtà la PAN classica, esiste anche unaforma associata ad HBV e la PAN “limitata”,
ossia che interessa un solo organo (anche solo manifestazioni cutanee: porpora, noduli, ulcere).
Terapia: in generale prednisone e ciclofosfamide. Se associata ad HBV: IFN-gamma, cortisonici e
plasmaferesi. Controllare l’ipertensione sempre.
Prognosi: infausta senza terapia: sopravvivenza 10-20% a 5 anni. Con terapia: 55% a 5 anni.

Malattia di Kawasaki: o sindrome muco cutanea linfonodale, vasculite acuta autolimitantesi


dell’infanzia. Colpisce bambini fino a 5 anni. Incidenza variabile, maggiore tra gli asiatici.
Patogenesi e anatomia patologica: patogenesi cellulo-mediata (forse da AECA). Colpisce arterei
di medio calibro. Comporta pan arterite necrotizzante, rari i granulomi. Spesso aneurismi.
Clinica: esordio acuto (senza fase prodromica). C’è febbre alta, congiuntivite bilaterale non
essudativa, eritema orale e delle labbra (lingua a fragola), linfadenopatia laterocervicale, rash
polimordo, desquamazione di mani e piedi, nel 50% interessamento cardiaco con coronarite.
Diagnosi: febbre per più di 5 giorni con almeno 4 criteri di 5: congiuntivite, eritema orale,
alterazioni estremità, rash polimorfo, linfadenopatia cervicale.
Prognosi: complicanze fatali nel 2% dei casi, per il resto buona.
Terapia: acido acetilsalicilico, Ig endvena (riduce molto le complicanze coronariche, soprattutto
aneurismi). Se non funzionano si danno steroidi o anti-TNFalfa. Può essere necessario il bypass!

Granulomatosi di Wegener: vasculite necrotizzante dei vasi di piccolo calibro, infiammazione


granulomatosa e necrotizzante dell’apparato respiratorio e glomerulonefrite necrotizzante.
Prevalenza di 3/100000, colpisce tutte le età e i sessi. Esordio in media a 40 anni.
Patogenesi ed anatomia patologica: patogenesi cellulo-mediata. Forse scatenata nei soggetti
predisposti da un antigene esogeno (nelle vie respiratorie?) con aumentata secrezione di IFN-
gamma, TNFalpha e IL-12. Molti pazienti sviluppano i cANCA (contro la proteinasi-3). Colpisce i
piccoli vasi (arterie e vene) con granulomi necrotizzanti (infiltrato di PMN e mononucleati). Le
manifestazioni sono dovute in parte alla flogosi in parte all’insufficienza vascolare.
Clinica: Fase prodromica: soliti sintomi aspecifici + sintomi respiratori superiori (rinite, otite,etc.)
Fase conclamata: Manifestazioni polmonari (tosse, dolore, dispnea, emottisi, possibile escavazione
e infezione dei granulomi), renali (proteinuria, ematuria, IRC), sistemiche (cerebrali, oculari,
cardiache, genitali, nervi periferici, porpora e noduli ulcerati, artralgie, etc.).
Diagnosi: si basa sulla clinica ed è confermata dalla biopsia (idealmente polmonare a cielo
aperto). Devono essere presenti 2 criteri su 4: infiammazione nasale/orale, Rx torace con lesioni
polmonari, sedimento urinario attivo, biopsia positiva. Nel 90% dei casi sono presenti c-ANCA,
altamente specifici, ma non esclusivi (servono al massimo ad avvalorare la diagnosi).
DD:: con tumori respiratori, altre vasculti, Goodpasture, granuloma della linea mediana
(coinvolgimento vascolare secondario e poi ulcere al volto), granulomatosi linfoidi (i granulomi
sono cosituiti per lo più di linfociti B).
Prognosi e terapia: la sopravvivenza senza terapia è del 10% a 2 anni. La terapia prevede 2 tempi:
Paziente con creatinina <500mmol/L: prednisone + ciclofosfamide. Paziente con creatinina>500:
aggiungere metilprednisolone e plasmaferesi. Forme refrattarie: Ig endovena o inibitori TNF-alfa.
Forma localizzata: solo cortisone. La remissione si mantiene con prednisone a giorni alterni e
AZT. È una terapia con molti effetti collaterali. La ciclofosfamide si usa solo se c’è coinvolgimento
viscrale oltre che delle vie respiratorie superiori. La terapia da osteoporosi, DM, cataratta, etc.
Follow-up: attenzione alla conta dei leucociti (evitare complicanze infettive). Gli ANCA si
controllano perché se sono elevati bisogna fare attenzion, ma non sono utili a predire recidive.

Poliangioite microscopica: o micropoliangioite, MPA, vasculite necrotizzante sistemica delle


arterie di piccolo calibro che può dare glomerulo nefrite ed emorragia polmonare (a differenza
della PAN, di cui dovrebbe essere la “forma microscopica”). Entrambi i sessi, 40-50 anni.
Patogenesi ed anatomia patologica: possibile ruolo degli ANCA. Colpisce piccoli vasi, soprattutto
di reni e polmoni. Lesioni attive con necrosi fibrinoide ma senza granulomi. Pare una capillarità a

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livello polmonare e una pauci-immune a livello glomerulare (senza immunocomplessi!).
Clinica: simile alla Wegenere con manifestazioni aspecifiche, emottisi e progressione verso IRC.
Diagnosi: sospetto clinico e conferma bioptica. 80% sono presenti gli ANCA, in genere p-ANCA.
Prognosi e terapia: sopravvivenza a 5 anni del 74%, morte per cause renali o cardiache o
gastrointestinali. Il trattamento è uguale alla granulomatosi di Wegener.

Sindrome di Churg-Strauss: o angioite granulomatoso-allergica: vasculite sistemica con


eosinofilia periferica e tissutale, granulomi extravascolari, asma grave.
Malattia rara, colpisce a qualunque età, poco più comune nel sesso femminile.
Patogenesi ed anatomia patologica: patogenesi cellulo-mediata con granulomi, immunocomplessi
e p-ANCA, forse scatenata da cause infettive. Colpisce piccoli vasi, soprattutto polmonari (ma non
solo). Lesioni con eosinofili e granulomi extravascolari.
Clinica: fase prodromica con sintomi aspecifici, rinite allergica + poliposi nasale + asma. Seconda
fase con eosinofilia periferica e polmonite o gastroenterite. Terza fase: vasculite sistemica con
mononeurite, lesioni cutanee (porpora e noduli), cardiopatia.
Diagnosi: clinica e conferma bioptica. Devono essere presenti almeno 4 criteri tra: asma,
eosinofilia >10%, neuropatia, infiltrati polmonari, anormalità seni nasali, biopsia vascolare.
Anche qui i p-ANCA sono aumentati, ma anche qui non si usano per la diagnosi.
Prognosi e terapia: sopravvivenza a 5 anni del 25% senza terapia. Terapia uguale alla Wegener.

Porpora di Schönlein-Henoch o porpora anafilattoide, vasculite dei piccoli vasi, tipicamente


pediatrica, con lieve preferenza per il sesso maschile.
Patogenesi ed anatomia patologica: da immunocomplessi (soprattutto IgA). Colpisce i piccoli
vasi e sono presenti nelle lesioni detriti cellulari di leucociti (leucocitoclasica).
Clinica: Tetrade con: porpora palpabile, sintomi articolari (artralgie, rara l’artrite), sintomi
gastrointestinali (nausea, vomito, diarrea), impegno renale (proteinuria, ematuria, ma raramente
anche IRA o sindrome nefrosica, negli adulti può essere più grave che nei bambini).
Diagnosi: clinica con conferma bioptica (vasi). Devono essere presenti 2 criteri tra: porpora
palpabile, età >20 anni, angina abdominis, biopsia con granulociti nella parete dei vasi.
Prognosi: malattia in genere autolimitante (dipende dall’interessamento renale).
Terapia: solo se c’è impegno viscerale: prednisolone + immunosoppressori, anche plasmaferesi.

Crioglobulinemie: le crioglobuline sono anticorpi precipitanti a basse temperature. Sono di tipo 1


(monoclonali, nelle malattie linfoproliferative), tipo 2 (policlonali le IgG e monoclonali le IgM,
nella crioglobulinemia mista essenziale, ossia non secondaria), tipo 3 (policolonali anche le IgM,
generalmente associate a malattie autoimmuni, neoplasie ematologiche e epatite C).

Crioglobulinemia mista essenziale: patologie con presenza di crioglobuline di tipo 2.


Colpisce circa il 5% dei pazienti con HCV (anti-HCV in più del 90% dei pazienti affetti).
Patogenesi ed anatomia patologica: è da deposizione di immunocomplessi (crioglobuline),
colpisce i piccoli vasi di cute, reni e sistema nervoso. Leucocitoclasica come la Schönlein-Henoch.
Clinica: Tetrade con: porpora palpabile, artrite, glomerulo nefrite, neuropatia periferica.
Possibile anche fenomeno di Raynaud, Sjögrem iperviscosità, rischio linfomi non-Hodgkin.
Diagnosi: clinica, conferma bioptica. L’associazione con HCV e la presenza di clioglobuline la
differenziano dalla porpora di Schönlein-Henoch.
Prognosi: non è grave, è legata soprattutto al coinvolgimento renale.
Terapia: IFN peghilato alfa 2a o alfa 2b + ribavirina per 24-48 settimane (HCV). Nei casi gravi si
possono utilizzare anche corticosteroidi e plasmaferesi o altri immmunosoppressori.

Cenni di altre patologie di interesse:


Malattia di Behçet: malattia sistemica ad eziologia ignota, con lesione dei piccoli vasi. I sintomi
sono soprattutto lesioni muco cutanee (lesioni aftose a cavo orale e genitali, ulcere cutanee) e
oculari (panuveite) poi anche SNC, GI, trombosi e aneurismi. Diagnosi clinica.
Eritema nodoso: vasculite, con eruzioni nodulari multiple, per lo più agli arti inferiori.
Sindrome di Cogan: simile alla PAN, con coinvolgimento aorta, sordità e cheratite interstiziale.
Policondrite ricorrente: malattia rara con episodi recidivanti di infiammazione progressiva
distruzione del tessuto cartilagineo. Soprattutto condrite del padiglione auricolare (dando
orecchio a cavolfiore), deformazione a sella del naso, artrite, poi sintomi respiratori e insufficienza
aortica. La prognosi è infausta soprattutto per collasso respiratorio o rotture aneurismatiche.

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La diagnosi e l’intervento terapeutico di AR deve essere precoce. Infatti nel primo anno c’è una
floridità maggiore che condizionerà l’evoluzione della patologia. E’importante perciò intervenire
nella window opportunity. La diagnostica per immagini risulta essere inutile nelle fasi iniziali (nel
90% dei pazienti le erosioni compaiono nel giro di due anni). Utile RMN e Eco. Se fallisce la
diagnosi precoce il 50% dei pazienti diventerà disabile entro 5 anni.

Grazie alla tecnologia ricombinante sono stati introdotti prima anticorpi monoclonali chimerici
(suffisso -ximab), poi gli umanizzati (-zumab –umab con componente murina inferiore al 10%)
e, infine, gli interamente umani (-cept) impiegati sempre con maggiore successo.

Infliximab è un anticorpo chimerico monoclonale diretto contro TNFa (pare che a dosi alte sia
minimamente in grado di indurre un piccolo recupero di massa ossea).

Etanercept: è una proteina di fusione del recettore p75 del TNFa.

Adalimumab è il farmaco leader con riduzione degli effetti collaterali( immuno soppressione),; il
Certolizumab è la versione peghilata che ha somministrazione una volta al mese.

Tocilizumab blocca il recettore solubile e di membrana dell’IL6 (attiva i Linfo B,T,osteoclasti,


piastrine)

Rituximab anticorpo diretto contro CD20 dei linfociti B, induce apoptosi ( usato con successo nel
trattamento linfomi Hodgkin)

LES

Endocardite verrucosa si vede con eco trans esofagea.

La PCR nel Les è meno alta che nell’AR. Inoltre se si eleva durante la terapia immunosoppressiva
dobbiamo sospettare un processo infettivo e aggiungere Ab.

Nei criteri va aggiunto:

danno renale (proteinuria>0,5g/die); SNC (convulsioni, psicosi);ematologiche (anemia,


leucopenia,linfopenia, pastrinopenia per autoanticorpi contro la superficie cellulare). Reperti
immunologici (fenomeno LE, anti DNA, anti Sm…)

Per il Les la terapia monoclonale non ha gli stessi risultati, non dà remissione ma uno stato di low
activity disease.

Artrite: di jacoud, non erosiva e riducibile (dd con A. Psoriasica e AR) perché non è pèresente la
componente anchilotica, ma interessamento a carico dei tessuti molli.

Possono associarsi manifestazioni non specifiche del Les:

calcinosi cutanea (Sclerodermia), livedo reticularis (APL), la vasculite cutanea e fenomeno di


Raynaud.

Manifestazioni neuropsichiatriche:

Ictus, psicosi. Se somministrati precocemente possiamo avere miglioramenti con


immunosoppressori e CCS

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Nel monitoraggio del Les dobbiamo fare attenzione ai trigliceridi e colesterolo, perché a causa dei
CCS, questi pazienti sono più predisposti ad accudenti cerebrovascolari.

Nel Les non sono stati riscontrati target specifici come per AR (IL1, 6, TNF). Si sa però che il
linfocita B ha un ruolo importante. Perciò fu sperimentato il Belimumab ( anticorpo monoclonale
umano diretto contro un fattore di membrana BlySS stimolante l’attivazione dei B) ma con risultati
scoraggianti, se non per il fatto che consentiva, associato a CCs, di abbassarne la dose.

In generale nell’AR si danno bassi dosaggi CCS, nel Les alti (1mg/Kg al giorno). Per Rash o led
idrossiclorochina. Per il rene Ciclofosfamide ( è necessaria una buona idratazione in modo che il
farmaco arrivi diluito a livello renale e sia ridotta la probabilità di danno renale).

PAN

Scatenata spesso da farmaci contenenti gpsolforici (penicillina, tiouracile), infezioni batteriche


(Stafilo, strepto), virus (HBV, HCV, HIV, influenza)

Il danno renale può generare HT ( per insufficienza pre renale) mentre l’interessamento del
glomerulo è abbastanza raro ( arterite dei medi vasi).

Si associa a: Churg strauss ( si formano i granulomi necrotizzanti che nell pan non ci sono +
eosinofilia), Kawasaki, crioglobulinemia essenziale, sd cogan (maggior interessamento occhio).

L’angiografia selettiva è considerata diagnostica anche in assenza di sicuri elementi anatomo


patologici.

Terapia:

1) Eliminare eventuali agenti responsabili (es. farmaci)


2) alte dosi di CCS (1 mg/kg) possono indurre remissione parziale o completa e prevenire
l’evoluzione.
3) Immunosoppressori ( con o meno CCS).
4) Terapia contro HT e IR

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I Gazzellini

- Interna -
- Gastro -

A. Fusco
INDICE

Esofago e stomaco ..................................... 1

Fegato .......................................................... 6

Pancreas ..................................................... 15

Intestino ..................................................... 18
ESOFAGO e STOMACO

Malattia da reflusso gastro-esofageo

Definizione: L’MRGE è la patologia più frequente del tratto gastroenterico superiore. È una
condizione clinica che si sviluppa quando il reflusso di contenuto gastrico in esofago determina
sintomi fastidiosi. Vi sono sindromi esofagee (con o senza danno mucosale) ed extaesofagee (forme ad
associazione con MRGE provata o ipotetica). Il danno mucosale è presente solo in un terzo dei casi,
più spesso ,infatti, è NERD (forma non erosiva). All’interno delle forme con danno mucosale il quadro
più frequente è quello di esofagite non complicata.
MRGE ha un’incidenza di 1-3%. Tra il 10 e il 20% di MRGE vanno incontro ad esofago di Barrett.
Molte forme non erosive tendono con gli anni a divenire erosive.

Clinica: lo spettro clinico delle manifestazioni (esofagee e non) è molto ampio. I sintomi più comuni
sono pirosi e dolori urenti soprattutto dopo i pasti, rigurgito, sensazione di peso retro sternale,
eruttazione di aria. La probabilità di presentare almeno un sintomo extraesofageo è di un terzo, i più
comuni sono dolore toracico, tosse stizzosa (bronchite), raucedine (laringite) e asma. La durata e la
severità dei sintomi tipici sono un fattore di rischio. Le manifestazioni respiratorie e
otorinolaringoiatriche (ORL, come laringite e tosse) sono comunque poco controllabile con la normale
terapia per MRGE come gli inibitori di pompa protonica (PPI).

Fisiopatologia: la patogenesi è multifattoriale, squilibrio tra fattori difensivi e aggressivi.


Fattori difensivi: l’effetto chimico della saliva, la contiguità dello strato epiteliale (tight junctions ), la
capacità tampone degli ioni idrogeno refluiti, turn-over cellulare, muco, peristalsi, SEI competente
accoppiato allo sfintere esterno diaframmatico, adeguato svuotamento gastrico.
Fattori aggressivi: acidità del reflusso e volume, pepsina, presenza di bile ed enzimi pancreatici a
causa di un reflusso duodenale.
Il maggiore fattore di rischio è TLESR cioè rilasciamento inappropriato del SEI quando c’è distensione
del fondo gastrico. L’ernia iatale è importante perché causa un disaccoppiamento degli sfinteri interno
ed esterno oltre ad essere una riserva di acido che comporta un re-reflusso. Il reflusso durante la notte
è peggio per il clinostatismo e perché manca la deglutizione cosciente. C’è un circolo vizioso tra
incompetenza del SEI ed esofagite perché TLESR porta reflusso acido che nel tempo dà flogosi che
riduce la perstalsi portando accorciamento funzionale poi anche anatomico, (per la fibrosi), che
facilita l’ernia iatale che peggiora ancora il reflusso. I sintomi in caso di danno mucosale sono dovuti
all’acido che raggiunge direttamente le terminazioni sensoriali. Nei NERD c’è allargamento delle tight
junctions o spesso iperalgesia viscerale. Non c’è parallelismo tra gravità dei sintomi e del danno. Tosse
ed asma sono dovuti all’inalazione del reflusso.

Diagnosi: Bisogna dapprima riconoscere i sintomi tipici e assenza di segni d’allarme che richiedano
analisi strumentale come anoressia, disfagia, sintomi prolungati refrattari a terapia, calo ponderale, età
>50 anni. Difficile però che il paziente dica proprio “pirosi” o “rigurgito”, si usano questionari.
Importante la correlazione dei sintomi con il pasto, la posizione corporea e il sonno.
Sintomi lunghi e frequenti possono indurre all’endoscopia per la ricerca dell’esofago di Barrett.
Bisogna tener presente che più del 50% dei pazienti con sintomi tipici di MRGE non presenta
esofagite. Secondo la classificazione endoscopica dell’esofagite (Classificazione di Los Angeles) si
distingue: un Grado A o lesione minima, che è di dimensioni inferiori a 5mm e isolata (non considera
iperemia e fragilità). Grado B: lesione >5mm confinata tra le pliche, grado C: lesione che si estende
per due o più pliche, grado D: lesione circonferenziale.
Ph-metria delle 24 ore: serve a verificare l’esposizione patologica all’acido e la correlazione con i
sintomi. Distingue la pirosi funzionale dei NERD con MRGE. Si usa se EGDS è negativa, nella
valutazione preoperatoria o nella valutazione del paziente refrattario a terapia. E’ ritenuta patologica
un’esposizione esofagea all’acido (ph<4) che supera il 5% del tempo di registrazione. Un altro
parametro è costituito dalla corrispondenza reflusso-sintomi. Un valore >50% è patologico. Bisogna
sospendere una settimana prima i PPI.

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Ph-impedenziometria delle 24 ore: si preferisce perché rileva anche episodi non acidi di reflusso
caratterizzandoli. Sono più elettrodi così si può anche valutare l’estensione prossimale del reflusso per
valutare pazienti con ORL.
Bilimetria in 24 ore: valuta la presenza di bilirubina in esofago.
Test all’PPI: test farmacologico empirico, fatto con dosi doppie, somministrate bis in die, di PPI , è
positivo se c’è riduzione del 50% dei sintomi.
Rx esofago con bario e altri test, non si eseguono in casi tipici.
Complicanze: ulcerazioni, aspirazione notturna del contenuto gastrico, sviluppo di condizioni
precancerose come l’esofago di Barrett (sostituzione del normale epitelio squamoso pluristratificato
con epitelio metaplastico cilindrico intestinale), neoplasie intraepiteliali (NIE), stenosi esofagea con
eventuale odinofagia.
DD: esofagite,disturbi della motilità esofagea (spasmo neuromuscolare esofageo diffuso, esofago
ipercontrattile), ulcera esofagea a stampo (spesso da bifosfonati), diverticoli, carcinoma, acalasia…

Terapia: La cura è sintomatologica con PPI per poco, anti-H2 e una dieta per curare l’obesità. I sintomi
se più gravi possono essere curati con approccio step-up cioè cominciando con dieta e poi valutando
man mano l’approccio farmacologico o step-down cioè subito con farmaci più potenti e poi riducendo
la dose.
In generale però distinguiamo una terapia conservativa:
Bisogna modificare lo stile di vita: sideve eliminare alcol, fumo e obesità. Evitare cioccolata, bevande
acide, pasti notturni,mentapiterita o farmaci che riducono il tono sfinterale (anticolinergici, calcio
antagonisti, teofillina…).
La terapia farmacologica consta nell’utilizzo di PPI, antagonisti H2, antiacidi ( ovvero idrossido di Mg
o di Al. Usati nell’automedicazione o solo in caso di forme lievi senza esofagite). Infatti la secrezione
acida è dovuta alle cellule parietali che producono HCl immettendolo con H-K-ATPasi nei tubuli del
citoplasma. Gli stimoli sono l’istamina (tramite i recettori H2) prodotta dalle cellule enterocromaffini ,
l’acetilcolina dal vago e la gastrina prodotta dalle cellule G. Il cibo stimola il tutto. I PPI si legano alla
pompa protonica inibendola, pur rimanendo nel plasma per poco tempo, e il loro effetto svanisce solo
con la rigenerazione naturale delle cellule epiteliali. Vengono somministrati in genere twice-a-day
(mattina e sera). Il trattamento per MRGE è la riduzione della secrezione acida in modo da portare il
pH sopra 4 per almeno 12 ore al giorno. Si usano i PPI (omeoprazolo, esomeprazolo 20 mg/die;
pantoprazolo 40mg/die) e in secondo luogo anti-H2 (Cimetidina 800mg, Ranitidina 300mg che a un
dosaggio medio danno soppressione 50% della secrezione acida). Ci sono vari PPI, simili, ma
l’esomeprazolo è il più potente. Se il reflusso è notturno meglio una dose prima di cena o uso di anti-
H2 prima di andare a letto. Anche nel Barrett il principio è lo stesso con approccio step-down. Gli
agenti pro cinetici aiutano. Dal momento che la recidiva dopo sospensione trattamento è del 50%, si
consiglia una terapia anti recidiva a lungo termine con anti PPI.
PPI e anti-H2 sono controindicati in gravidanza e allattamento.
E.Collaterali PPI:. Diarrea, disturbi GI, cefalea. La soppressione tot dell’acidità porta a
ipergastrinemia e ipertrofia delle cellule enterocromaffini. La terapia a lungo termine favorisce invece
gastrite atrofica cronica. L’acloridria favorisce colonizzazione batterica. Solo ad alte dosei
interagiscono con P-450, rallentando il catabolismo di alcuni farmaci.
E.C. anti-H2: cefalea, diarrea, ginecomastia disturbi potenza sessuale, stato confusionale. La
cimetidina,soprattutto, è sconsigliata in quanto interagisce con il cit. P-450 ( aumenta effetto di alcuni
farmaci). Inoltre cimetidina e ranitidina aumentando la concentrazione di alcol nel sangue inibendo
l’alcol deidrogenasi.
E.C. Sali alluminio: stipsi, ipofosfatemia ( si forma fosfato di alluminio insolubile nel tenue): Sali di
magnesio: Ipeermagnesemia (sconsigliato in IR). I Sali non vanno assunti con altri farmaci.
Terapia on demand: in caso di recidive occasionali. Di mantenimento: recidive frequenti e Barrett.

Non erosive reflux disease (NERD): Non ci sono segni macroscopici di esofagite. Spesso sono
microscopici, a volte niente affatto. A volte la pirosi è funzionale e altre volte è associata a reflusso non
acido (biliare). I PPI sono efficaci solo in parte e possono essere usati farmaci di barriera o baclofen
(agonista dei GABAb). C’è l’opzione chirurgica antireflusso. Per le forme con sintomi extraesofagei

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posologie doppie. Spesso si fa una terapia di mantenimento a lunga durata soprattutto se c’è
tendenza alla recidiva entro 6 mesi. I PPI non portano effetti collaterali gravi, bisognerebbe però
eradicare H.pylori, verificare la B12 e il metabolismo di altri farmaci. Sono rari i casi di
demineralizzazione ossea. Nei pazienti con Barrett bisogna eseguire endoscopia ogni tre anni per il
monitoraggio. In modesti casi è necessaria una terapia chirurgica (stadio IV, fallimento della terapia
conservativa) ossia la fundoplicatio, che avvolge il fondo dello stomaco alla parte terminale
dell’esofago ( serve per aumentare la pressione sfinterale) eseguita anche in laparoscopia e quindi
mini-invasiva. Serve consulenza di un gastroenterologo e si fa in caso di sintomi persistenti e resistenti
ad una terapia media, in caso di complicanze polmonari ricorrenti e in presenza di affezioni
complicanti. Può recidivare, dare intolleranza a bevande gassate (senso di oppressione epigastrica).

Gastriti

Gastrite acuta: Eziologia: Noxae esogene: eccesso alimentare, alcolici, acido acetilsalicilico, FANS,
corticosteroidi, tossinfezioni alimentari batteriche. Stress: traumi, ustioni, shock, post-operatorio.
Istologia: infiltrati leucocitari superficiali nella mucosa. Difetti epiteliali fino ad erosioni.
Clinica: inappetenza, nausea, vomito, eruttazione, pesantezza, dolore epigastrico, gusto sgradevole.
Complicanze: in caso di gastrite erosiva, ulcera da stress. Diagnosi: clinica, endoscopia, esame
istologico. Terapia: eliminazione noxae esogene, restrizione alimentare temporanea. PPI, antiemetici.

Gastrite cronica:
Definizione: documentazione istologica di cellule infiammatorie nella mucosa gastrica.
Epidemiologia: all’età di 50 anni circa il 50% dei soggetti presenta una colonizzazione di HP.

Eziologia e classificazione: vi sono essenzialmente due sistemi di classificazione delle gastriti.


1) Classificazione ABC: basata su criteri eziologici e istologici.
• Tipo A: Gastrite autoimmune: estesa dal cardias alla mucosa del corpo, gastrite del corpo.
Eziologia: è per lo più ignota, pare essere conseguenza di un’infezione da H.Pylori. Si ha una
reazione autoimmune con autoanticorpi diretti conto le cellule parietali.
Anatomia patologica: Gastrite atrofica che coinvolge la mucosa acido-secernente, per lo più
ossintica (corpo più che antro). Si ha pertanto atrofia della mucosa e si possono sviluppare
aree di metaplasia intestinale. Tende a causare acloridria.
Caratteristiche: la presenza di metaplasia intestinale può favorire lo sviluppo di cancro. Può
aversi anemia da carenza di vitamina B12 (anemia perniciosa) per mancanza del fattore
intrinseco (distruzione delle cellule che lo producono e anticorpi contro il fattore intrinseco).
• Tipo B: Gastrite batterica: per lo più causata dall’infezione da H.Pylori. L’infezione può
avvenire per via oro-orale o oro-fecale e la frequenza dell’infezione aumenta con l’età.
Anatomia patologica: coinvolge prevalentemente l’antro, gastrite antrale e diminuiscono le
cellule epiteliali. Può esservi ipocloridria, ma mai acloridria. Possibili metaplasie intestinali.
• Tipo C: Gastrite da sostanze chimiche: in genere senza atrofia. Possono esservi erosioni. Le
cause sono soprattutto reflusso biliare, FANS, alcol.
• Altre forme: Gastrite granulomatosa di Crohn: localizzazione gastrica del morbo di Crohn,
con infiltrati granulomatosi discontinui. Gastrite eosinofila: genesi allergica, infiltrati
eosinofili ed eventualmente elevate IgE ed eosinofilia nel sangue. Altri patogeni: miceti (come
Candida) e virus (CMV e HIV) soprattutto in pazienti immunodepressi.

2) Classificazione di Sidney: basata su criteri eziologici, istologici ed endoscopici. Distingue:


• Endoscopia: gastrite eritematosa, con erosioni piatte, erosioni polipoide, gastrite atrofica,
gastrite emorragica, gastrite da reflusso (biliare), gastrite a pliche giganti (di Menetrier).
• Istologia: Eziologia (come ABC), Topografia (gastrite dell’antro, del corpo, pan gastrite).
Morfologia: Gastrite cronica (infiltrati di linfociti e plasmacellule nella lamina propria),
Attività infiammatoria (quantità di neutrofili), Atrofia ghiandolare del corpo (riduzione delle
cellule principali e parietali con evoluzione a gastrite atrofica), Metaplasia intestinale (totale,
incompleta con cellule caliciformi, incompleta con di tipo colico), colonizzazione HP.

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Anatomia patologica in generale: si possono riscontrare diverse alterazioni infiammatorie gastriche:
Cellule infiammatorie: linfociti, plasmacellule, monociti nella lamina propria. Neutrofili se
l’infiammazione è attiva. Fibrosi della lamina propria: spesso associata ad atrofia mucosa.
Atrofia mucosa: perdita di struttere ghiandolari. Vi può essere sostituzione di esse con fibrosi oppure
con metaplasia intestinale. La mucosa potrà avere i caratteri dell’intestino tenue o crasso. L’atrofia ed
in particolare la metaplasia intestinale causano un aumento del rischio di carcinoma gastrico.
OLGA staging system: definisce lo stadio della gastrite in base all’estensione topografica delle lesione
atrofiche nei diversi settori della mucosa gastrica (antro e corpo). Lo stadio di atrofia di ciascuna parte
va da 0 a 3 e il Grado da 0 a IV. Valuta l’intensità di infiammazione, ma anche il rischio neoplastico.

Clinica: spesso non vi sono sintomi. Vi può essere, prevalentemente nel tipo B, una sindrome
dispeptica (non ulcer dyspepsia) caratterizzata da: fastidio peso o dolore epigastrico, eruttazione,
gonfiore, nausea e disturbi digestivi non specifici. Possibile alitosi in caso di infezione da HP. Vi può
essere anemia macrocitica (da carenza di B12) o anche microcitica (da carenza di ferro).
Complicanze: Gastrite tipo B, da HP: possono comparire anticorpi anti cellue parietali (anti H-K
ATPasi) e svilupparsi una gastrite di tipo A. Rischio di ulcera duodenale (5%) o gastrica (1%). Il
rischio di carcinoma dello stomaco è basso, ma c’è. Vi è anche rischio di MALTOMA.
Gastrite tipo A, autoimmune: gastrite atrofica, anemia perniciosa, rischio di carcinoma gastrico.
Gastrite tipo C, da FANS: ulcera, emorragia gastrica.

Diagnosi sierologica: nella gastrite del corpo i livelli sierici di gastrina sono alti o molto alti, mentre il
livello di pepsinogeno è basso. Nella gastrite dell’antro (sede di produzione della gastrina) sono bassi.
Diagnosi: è fondamentale la gastroscopia e la biopsia per l’analisi anatomo-patologica. Il campione
bioptico deve essere preso con attenzione e comprendere muscularis mucosae ed essere
rappresentativo di tutte le regioni funzionali. Si fa dunque: Gastroscopia+ biopsia di antro e corpo.
Diagnostica di HP: endoscopia/biopsia, Test rapido dell’ureasi ( HP è un Gram- ad attività ureasica),
istologia, coltura. Si fa test del respiro dopo somministrazione di urea marcata con 13 C, che viene
scissa dall’ureasi di HP. Si misura, poi, mediante spettrometria, la massa di CO2 marcata
espirata(sensibilità ridotta col trattamento con PPI); dimostrazione di antigeni HP nelle feci (anticorpi
HP possono persistere anche dopo eradicazione).
Eventuale diagnostica della gastrite di tipo A: ricerca di autoanticorpi anti fattori intrinseco, anti
cellule parietali, livello di B12 sierica)

Terapia:
Gastrite tipo B da HP: Oggi la terapia più usata è la terapia sequenziale che, rispetto alla triplice
terapia ( PPI+ Claritromicina, metronidazolo) ha percentuali più elevate di eradicazione (>90%): per i
primi 5 giorni Pantoprazolo 40mg 2vv/die + amoxicillina 1g 2vv/die; seguita per altri 5gg
Pantoprazolo (40 mg 2vv/die), claritromicina (500 mg 2vv/ die), Tinidazolo (500 mg 2vv/die).
Gastrite autoimmune tipo A: in parte guarisce con trattamento eradicante, integrazione di vitamina
B12 . Controlli bioptici regolari per aumentato rischio di carcinoma.
Gastrite chimica: sospendi FANs o aggiungi PPI.

Malattia peptica
Definizione: Presenza di erosioni o ulcere a stomaco e duodeno. Le erosioni sono lesioni piccole e
superficiali che non superano la muscularis mucosae. L’ulcera è una soluzione di continuo che supera
la muscularis mucosae. L’ulcera peptica è una patologia cronica con cicatrizzazioni e recidive, a volte
gravi complicanze. Colpisce il 4% della popolazione e causa il 10% delle dispepsie.
Eziologia: la causa è sempre la formazione di uno squilibrio tra fattori aggressivi e di difesa.
• Ulcera peptica HP positiva: è conseguenza di una gastrite cronica HP-positiva. La
colonizzazione di HP è presenta in più del 95% dei pazienti con ulcera duodenale e in circa il
75% dei pazienti con ulcera gastrica. H.pylori è un batterio che aderisce all’epitelio gastrica e
libera enzimi e tossine (come VacA e CagA), induce la produzione di citochine infiammatorie.
Vi sono anche fattori genetici: ad esempio l’ulcera duodenale è più comune nei soggetti di
gruppo sanguigno zero e con HLA B5.

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• Ulcera peptica HP-negativa: le cause sono soprattutto assunzione di FANS (che inibiscono la
sintesi di prostaglandine ad azione gastroprotettrice), ma anche fumo (fattore favorente
secondario). Una causa rara è la sindrome di Zollinger-Ellison (ipergastrinemia). Altre cause
sono iperparatiroidismo, mastocitosi sistemica, iperplasia cellule G.
• Ulcera acuta ed erosioni da stress: diversi fattori di stress come trattamento intensivo dopo
politrauma, ustioni, grossi interventi, trauma cranico, respirazione assistita a lungo.

Localizzazioni: secondo Johnson vi sono tre tipi di ulcera:


• Tipo I: piccola curvatura prossima all’angulus: Ipoacida.
• Tipo II: ulcera gastrica distale e angelus + ulcera duodenale: normo o iperacida.
• Tipo III: ulcera gastrica prepilorica: iperacida.
Le ulcere localizzate in modo atipico sono rare e sospette per carcinoma. Ulcere multiple sono causate
da farmaci (FANS) o raramente dalla sindrome di Zollinger-Ellison. L’ulcera duodenale si trova
generalmente sulla parete anteriore del bulbo duodenale.

Clinica: Nel 30% dei casi è asintomatica e si manifesta con un’emorragia, mentre nel 50% dà dolore
epigastrico. Possono anche esserci sintomi dispeptici vaghi e la sintomatologia è episodica, con pause
e recidive, spesso stagionale. In più: Ulcera duodenale: dolore tardivo rispetto al pasto, più notturno e
a digiuno, migliora dopo assunzione di cibo. Ulcera gastrica: dolore subito dopo il pasto o
indipendente dal cibo, non migliora con l’assunzione. Ulcere da FANS: asintomatiche, emorragie.
Complicanze: Acute: Emorragia: la più frequente, può dare shock ipovolemico e morte; Perforazione:
dolore addominale violentissimo e improvviso; Penetrazione: se nel pancreas dà dolore posteriore;
Tardive: Stenosi cicatriziale del piloro: vomito e calo ponderale. Insufficienza pilorica: reflusso.
Degenerazione carcinomatosa: avverrebbe circa nel 3% dei casi, ma in realtà vi sono dati discordanti.

Diagnosi: Si fa endoscopia con biopsia di antro e corpo (+ ricerca di H.pylori).


Diagnostica eziologica: Ricerca H.Pylori (meno sensibile con assunzione di PPI e antibiotici):
• Endoscopia/biopsia: Test rapido dell’ureasi: viraggio in rosso sul campione bioptico, esame
istologico su biopsie multiple. 13C-UBT, test fecali immunoenzimatici.
In caso di ulcera HP-negativa, senza uso di FANS in anamnesi: escludere Zollinger Ellison (gastrina
basale. Provocazione con secretina, forte aumentato). Escludere iperparatiroidismo (Ca e PTH alti).

Terapia:
Conservativa: Terapia con ulcera correlata a HP: L’eradicazione di HP è fondamentale, altrimenti
recidiva 80% casi. Si usa la triplice terapia (vd gastrite cronica) per sette giorni. Per valutare
l’eradicazione si fa il test 13 C respiratorio dopo 6-8 settimane. Le reinfezioni sono rare.
Ulcera HP negativa da FANs: sospendere FANs, oppure PPI e, in caso di recidiva, misoprostolo
(analogo delle prostaglandine, controindicato in gravidanza. Può dare diarrea, dolori GI)
Chirurgica: Si esegue quando abbiamo complicanze che non possono essere bloccate per via
endoscopica ( emorragia arteriosa, perforazione, stenosi pilorica), carcinoma. Si esegue per ridurre la
secrezione acida. Abbiamo un Billroth I ( resezione dei 2/3 dello stomaco con gastroduodenostomia),
oppure Billroth II (con gastrodigiunostomia, meno vantaggiosa funzionalmente); vagotomia
prossimale selettiva.
Complicanze: si può avere una sindrome post gastrectomia con disturbi secondari all’assunzione di
cibo (dumping precoce o tardivo). Dumping precoce: dopo 20 min dall’assunzione abbiamo
borborigmi,diarrea,vomito,palpitazioni,sudorazione. La causa è il rapido svuotamento gastrico ma
anche ipovolemia transitoria per la presenza di carboidrati iperosmotici.Si evita facendo piccoli pasti
frequenti,poveri in carboidrati. Dumping tardiva: rara. Si manifesta con ipoglicemia, sudorazione,
agitazione, fame (causata dalla eccessiva secrezione di insulina dopo pasti ricchi in carboidrati).
Altri disturbi correlati all’intervento: sensazione di ripienezza e pesantezza,durante o subito dopo il
pasto. In caso di vagotomia, se non è eseguita piloro plastica, si può avere sensazione di ripienezza da
svuotamento gastrico protratto, reflusso. In caso di svuotamento rapido e mancata sincronia con la
secrezione del succo pancreatico e della bile, possiamo avere calo ponderale. Tardivamente c’è anemia
da carenza di vit.B 12. Il moncone gastrico ha un rischio aumentato di carcinoma.

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FEGATO

Epatiti virali acute


I virus epatitici maggiori sono HAV e HEV (via enterale) e HBV, HDV, HCV (parenterale).HAV e
HEV danno epatite acuta autolimitata, senza possibilità di evolvere in cronica. Anche EBV, CMV,
herpes virus e rosolia sono epatotropi, ma minori. Altri sono l’HGV e TTV (transfusion trasmitted). In
genere provocano tutti un danno per lo più da immunità cellulo-mediata più che citotossico diretto.
Clinica: periodo prodromico di malessere generale, inappetenza, nausea, vomito, rash, atralgie. Nella
fase in atto ci può essere ittero, dolore nell’ipocondrio destro, in genere aumento delle transaminasi.
Epatite fulminante: 1 per mille dei casi, grave insufficienza epatica che poi diventa MOD. Si ha edema
cerebrale e ipertensione endocranica oltre che insufficienze di reni, polmoni, midollo, circolatorio. Si
ha per perdita delle funzioni epatocellulari: minore sintesi di glucosio e dei fattori di coagulazione.
Virus A: a RNA, via oro-fecale, ma anche parenterale. Più in basse condizioni igieniche. Si diagnostica
con IgM anti-HAV (in corso), IgG (pregressa). Con incubazione di circa un mese, 25% fulminante se
dopo i 50 anni, si presenta con ittero, aumento transaminasi, nausea e vomito, astenia e dolore
quadranti superiori. C’è un vaccino. Virus E: simile all’A, diagnosi con IgM e IgG.
Virus B: virus a DNA, la particella di Dane è quella infettiva con HBsAg e HBcAg (anche HBeAg,
forma secretoria), cancerogeno indipendentemente dalla cirrosi. 400 milioni di portatori cronici nel
mondo. L’Italia è a bassa endemia (1% HBsAg) Diagnosi: Infezione in corso: HBsAg, HBV-Dna,
HBeAG (viremia e replicazione attiva), anche IgM anti-HBc. Pregressa: IgG anti-HBc, anti-HBe
(guarigione), anti-HBs. Esiste un vaccino.
Virus D: virus difettivo a RNA che richiede HBV. In corso: HDV-RNA e IgM anti-HD. Pregressa: IgG
anti-HD. Co-infezione spesso epatite acuta grave, superinfezione anche fulminante.
Virus C: piccolo a RNA, parenterale. In Italia circa i 3% negli adulti. HCV-RNA sicuro in corso, Anti-
HCV anche se è solo pregressa. Clinica: l’acuta è paucisintomatica o asintomatica spesso. Diviene
cronica nel 70% dei casi circa. Non c’è vaccino. Terapia: non ve n’è di specifica. Nella B acuta si può
provare la lamivudina della cronica. Nella C acuta la somministrazione di IFN-alpha fa eliminare il
virus e blocca la cronicizzazione nell’80% dei casi (meglio IFN peghilato una volta la settimana).

Epatiti croniche virali


Presenza di un processo necroinfiammatorio del tessuto epatico conseguente ad un’infezione virale
presente da oltre 6 mesi. Può essere da HBV, HDV, HCV. Altre forme di epatite cronica sono quella
autoimmune ed altre affezioni che possono manifestarsi come epatite cronica.
Anatomia patologica: attualmente non si usano più i concetti di epatite cronica attiva ed epatite
cronica lobulare. L’analisi istologica dell’epatite deve valutare tre elementi:
• Eziologia: epatiti virali o meno, ad esempio, si può rilevare il virus.
• Grading: grado di attività infiammatoria, ossia grado di “lesione” dell’epatite, si basa sulla
necrosi della lamina limitante, l’infiltrato portale, l’alterazione lobulare. Può essere:
o Minima: solo limitati infiltrati infiammatori portali.
o Lieve: infiltrato infiammatorio portale con singole aree di necrosi periportale e necrosi
della lamina limitante (che separa lo spazio portale dal parenchima lobulare), attività
infiammatoria lobulare limitata.
o Media: numerose aree di necrosi periportale e anche necrosi lobulare focale.
o Grave: necrosi evidente con aree di necrosi lobulari confluenti a ponte.
• Staging: grado delle fibrosi. Può essere:
o Minima: leggero aumento del tessuto connettivo portale.
o Lieve: aumento maggiore del connettivo portale e modesta infiltrazione lobulare.
o Media: aumento ancora del connettivo portale e formazione di singoli setti.
o Grave: formazione di numerosi setti ed evoluzione in fibrosi.
Sono poi tipici dell’epatite B gli epatociti a vetro smerigliato (contenenti HBsAg in abbondanza).
Clinica: spesso asintomatica (soprattutto se l’attività infiammatoria è minima o lieve) con fegato di
dimensione normale e al massimo astenia e dispepsia. Nelle forme con attività media o grave vi è:
astenia, affaticabilità, anoressia, dolore alla palpazione dell’area epatica, possibili fasi di ittero, quasi
sempre epatomegalia, a volte splenomegalia (può esserci lieve ipersplenismo e quindi leuco e

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piastrinopenia), segni muco-cutanei (prurito, spider naevi, atrofia della cute, lingua rossa, eritema
palmare e plantare). Nella donna anche disturbi mestruali, nell’uomo ginecomastia, atrofia testicoli.
Complicanze: cirrosi epatica, epatocarcinoma primitivo, manifestazioni specifiche di HBV e HBC.
Diagnosi: anamnesi e clinica, poi laboratorio con markers virali e anticorpi, ecografia (ma anche TC o
RMN) epatica, biopsia e istologia epatica, fibroscan (determinazione della rigidità ossia fibrosi).

Epatite cronica da HBV


Epidemiologia: al mondo la prevalenza di portatori di HBsAg è di circa il 6%, più maschi.
Trasmissione: per via parenterale, sessuale o perinatale. Incubazione: da 1 a 6 mesi. L’infettività
perdura invece finché è riscontrabile HBV-Dna nel sangue. Solo 1/1000 muore per epatite fulminante.
Il 95% dei casi è asintomatico o ha un’infezione acuta e passeggera. Nel 5% dei casi cronicizza potendo
poi residuare nel portatore come portatore sano oppure epatite cronica. Più precisamente l’infezione
parte come acuta, evolve in cronica nel 90% se perinatale, 30% se in prima infanzia, 5% in età adulta.
Patogenesi: più che l’azione citotossica dell’HBV è la reazione immunitaria cellulare, operata dai
linfociti T citotossici e IFN-alpha a causare il danno cellulare epatico.
Decorso clinico: l’infezione cronica può avere 3 fasi:
• Fase precoce della replicazione virale (ad alta replicazione): vi è alta viremia e replicazione, il
paziente è altamente infettivo. Sono presenti HBV-DNA e HBeAg.
• Fase tardiva della replicazione virale (a bassa replicazione): non vengono prodotti virus
completi, bensì particelle dell’involucro virale. Il 5% di pazienti all’anno (in terapia con IFN-
alpha il 50%) passa dalla fase ad alta replicazione a questa. Avviene la siero conversione, ossia
scompare HBeAG nel sangue e appaiono anticorpi anti-HBe. Al momento vi è un brusco
aumento delle transaminasi che poi si normalizzano. Basso HBV-DNA.
• Fase di guarigione definitiva: si osserva di rado spontaneamente. Si ha perdita della
positività HBsAg, comparsa di anti-HBs e scomparsa di HBV-DNA. Con terapia con IFN-
alpha questo avviene invece nel 10% dei casi.
Modalità di decorso: pertanto tra i pazienti con infezione cronica da HBV possiamo distinguere:
• Portatore sano (inattivo o asintomatico) di HBsAg: HBsAg, anti-HBc e anti-HBe positivo. Le
transaminasi sono normali. L’istologia epatica è in genere normale., possono essere presenti
epatociti a vetro smerigliato. Se HBV-DNA negativo non è infettivo. La prognosi è favorevole.
• Portatore immunotollerante: alta carica virale (alto HBV-DNA e HBeAg), transaminasi
normali o poco aumentate. È tipica dei soggetti infettati per via perinatale (i bimbi hanno
scarsa risposta cellulo-mediata). Dopo ance 10-30 anni può divenire immunoattiva.
• Epatite B immuno-attiva: è replicativa, HBV-DNA positivo. Può essere:
o HBeAg positiva: aumento transaminasi, HBV-DNA aumentato (>105/ml), istologia
evidente. Pericolo di cirrosi epatica se altamente replicativa.
o HBeAg negativa: dopo terapia o spontaneamente può esservi conversione a negativa,
con transaminasi aumentata, HBV aumentato (meno di 105), istologia e prognosi simili
alla forama HBeAg positiva.
Ricordiamo che è possibile una forma con anti-HBe, ma HBeAg negativa anche nel caso in cui il virus
muti e non sintetizzi più HBeAg, pur continuando un poco la replicazione.
Manifestazioni specifiche dell’epatite B: sono possibili panarterite nodosa e glomerulo nefrite
membrano-proliferativa. Complicanze: cirrosi epatica (20% dopo 10 anni), epatocarcinoma primitivo
(rischio basso se HBeAg negativo) nel 15% ogni 5 anni dei pazienti con cirrosi.

Diagnosi: Soggetti con infezione attiva: devono avere HBsAg. Vaccinati: anti-HBs. Infezione
passata: anti-HBs e anti-HBc (anche solo questo dopo molto tempo). Bisogna poi distinguere:
• Portatore sano: ha HBsAg, ma va solo monitorato con transaminasi e HBV-DNA ogni sei mesi.
• Epatite B immuno-attiva HBeAg +: aspettare sei mesi prima della terapia perché può esserci
spontanea siero conversione e formazione di anti-HBe. Si inizia il trattamento se HBV-DNA>
105 e le transaminasi sono sempre aumentate.
• Epatite B immuno-attiva cronica HBeAg -: trattamento se c’è HBV-DNA>10 alla5/ml.

Terapia: si utilizzano preferenzialmente immunomodulatori, in seconda linea gli antivirali.

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• Se c’è cirrosi: terapia antivirale qualunque sia la carica virale.
• Se non c’è cirrosi: terapia antivirale in caso di carica virale >104 copie di HBV-DNA/ml o
transaminasi elevate.
La terapia farmacologica consiste in:
1. Immunomodulatori: IFN-alpha2a, alpha2b o Peginterferone alfa2a o 2b. - peghilato alpha2a
Utilizzo: IFN 3 volte a settimana, a giorni alterni. Peghilato: una volta a settimana.
Durata: fino 48 settimane. Effetto: blocco replicazione e siero conversione (30-40% dei casi).
Effetti collaterali: autoimmunità (vasculiti, artriti), depressione, aumento transaminasi,
polmoniti, cefalea, alterazione della vista, sviluppo di anticorpi anti-interferone. Da
controllare in pazienti con patologie cardiache, può causare anche alterazioni tiroidee. Non si
usa solitamente sui bambini e attenzione in gravidanza e in pazienti in terapia antiretrovirale.
2. Antivirali: si indicano in caso di effetti collaterali o controindicazioni all’IFN. I pazienti con
bassa attività infiammatoria rispondono male all’interferone. Si usano:
a. Analoghi nucleosidici (aumento transaminasi, effetti GI, no in gravidanza):
Lamivudina: punta a diminuire la carica virale, terapia che dura anche anni.
Entecavir: in pazienti resistenti alla lamivudina (non diminuisce la carica dopo 6 mesi).
Telbivudin: no in caso di cirrosi epatica scompensata.
b. Analoghi nucleotidici: Adefovir (effetti GI e renali, no gravidanza) e Tenofovir.
Prognosi: i portatori sani hanno prognosi favorevole. Per gli altri pericolo cirrosi ed epatocarcinoma.

Epatite cronica da HDV: l’infezione simultanea di HBV e HDV (confezione) ha la stessa prognosi
dell’infezione da HBV (ma maggiore frequenza di epatite fulminante). La sovra infezione di un
portatore di HbsAg con HDV causa l’epatite cronica B+D, in genere con maggiore danno epatico.
Diagnosi: anti-HDV e HDV-RNA + biopsia epatica.
Terapia: IFN alpha spesso non ha successo. La mortalità è 3 volte superiore all’epatite B.

Epatite cronica da HCV: costituisce il 70% delle epatiti croniche. Può avere un decorso acuto
sintomatico (e con ittero) che nel 50% dei casi si risolve spontaneamente. Le infezioni asintomatiche
hanno (70%) cronicizzano più spesso. Il 20% svilupperà entro 20 anni una cirrosi epatica. Il 3-4%
all’anno di queste cirrosi si scompensa, e l’1-2% si trasforma in epatocarcinoma. A determinare il
decorso della malattia sono alcuni cofattori come età, carica virale, alterazioni immunitarie e
soprattutto altre cause epatolesive come farmaci, alcol, dismetabolismo.
Manifestazioni specifiche: può avere conseguenze extra-epatiche come porfiria cutanea tarda,
glomerulo nefrite membrano-proliferativa, tiroidite di Hashimoto, Sjögren. Soprattuto può causare
crioglobulinemia mista dovuta a immunocomplessi circolanti prodotti per iperstimolazione del
linfociti B da parte dei costituenti virali che causano porpora, artralgie e anche danno renale e
neuropatia. Associazione con linfoma non-Hodgkin a cellule B. A volte si sviluppano autoanticorpi
nel sangue (autoimmunità indotta dall’HCV) come ANA e anti-LKM (20% dei casi).
Diagnosi: clinica e sierologia: test anticorpi anti-HCV e determinazione viremia con HCV-RNA che
pur non essendo prognostico può servire al monitoraggio e indica replicazione e infettività. Si può
anche determinare il genotipo virale. Bisogna inoltre eseguire biopsia epatica che permette di valutare
grading e staging dell’epatite cronica e la concomitante presenza di altre patologie. Le transaminasi
non sono direttamente correlate alla prognosi, pertanto anche se normali si può fare la biopsia (che
invece può essere evitata se jl genotipo virale è 2 o 3 e quindi facile da trattare). Un’alternativa meno
precisa e meno rischiosa della biopsia epatica è l’elastografia epatica (fibroscan), più il fegato è duro
(fibrotico) più l’onda elastica si propaga rapidamente (influenzata da obesità, versamenti, etc.).
Terapia: l’obiettivo è l’eradicazione del virus (mancanza di HCV-RNA dopo 6 mesi di follow-up). Si
usano: Interferone (IFN 2a o 2b, peginterferone) e Ribavirina. Effetti collaterali e controindicazioni
ribavirina: leucocitopenia (infezioni), anemia, trombocitopenia. No in gravidanza o IRC o cirrosi
scompensata. Ridurre la dose in caso di leucocitopenia marcata. Durata: dipende dal genotipo virale:
• Genotipi 2 e 3: devono essere trattati e basta, per 24 settimane (buona eradicazione).
• Genotipi 1 e 4: si trattano per 48 settimane con valutazione intermedia a 12 e 24 settimane. Se
c’è riduzione della carica <2 logaritmi si interrompe la terapia (risulterà inutile).
La terapia è sconsigliata in caso di cirrosi scompensata, scarso successo soprattutto nel genotipo 1.

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Epatite autoimmune: AIH, colpisce soprattutto le donne, in genere entro i 30 anni, familiarità.
Caratteristiche: segni di epatopatia cronica, possibili manifestazioni autoimmuni extraepatiche
(tiroidite, artrite, vasculite, MICI, etc.), transaminasi elevate, protide mia totale aumentata così come le
gammaglobuline, istologia di epatite cronica attiva, markers virali negativi. Sono spesso presenti
anticorpi tipici cioè ANA, anti-LKM, SMA. Questi anticorpi possono anche essere presenti in corso di
epatite C e in questo senso i markers virali possono permettere la diagnosi differenziale.
Terapia: corticosteroidi e azatioprina, profilassi osteoporosi con vitamina D.

Steatosi e steatoepatite non alcolica, NAFLD


Malattia metabolica epatica (considerata anche nel contesto della sindrome metabolica) che
comprende: steatosi (lieve-moderata e grave) e NASH (steatoepatite, ossia steatosi con attività
necroinfiammatoria) che a volte possono evolvere sino a fibrosi e cirrosi (cirrosi epatica micro
nodulare). L’incidenza della steatosi sembra essere intorno al 15-20% della popolazione adulta e
anche più del 50% tra diabetici e obesi, e 3-5% per la steatoepatite. Non essendoci per definizione
abuso di alcol, le condizioni di rischio sono: obesità, diabete, nutrizione parenterale, flogosi intestinale,
diverticoli, farmaci (CCS, tamoxifen e estrogeni sintetici, terapia antiretrovirali, amiodarione),
chirurgia GI (resezione del tenue, duodenopancreasectomia), alimentazione parenterale, Wilson.
Spesso insorge in un contesto di sindrome metabolica. La prima tappa sembra essere infatti
l’insulino-resistenza. Il passaggio a steatoepatite, che non sempre avviene è probabilmente dovuto al
fatto che gli epatociti steatosici sono più suscettibili ad altre noxae patogene. Pare che alterazioni della
flora intestinale siano importanti. Interventi di chirurgia, un’alterazione della mobilità intestinale,
nutrizione parenterale totale, alterano la flora batterica e sono tutti fattori di rischio per NASH.
Classificazione: si distinguono 3 stadi:
• Steatosi pura: si distingue in relazione al grading istologico in: lieve ( deposito di grasso in < di
1/3 degli epatociti); moderata ( <2/3 degli epatociti); grave (>2/3).
• Steatoepatite non alcolica: caratterizzata da danni alle cellule epatiche (steatosi, rigonfiamento
e morte cellulare)+ infiltrati infiammatori cellulari (neutrofili>mononucleari)+/- fibrosi. Le
lesioni, non si distinguono dalla steatoepatite alcolica. Ma il consumo di alcol è <20g/die.
Clinica: la patologia è per lo più asintomatica, da cercare in presenza di fattori di rischio o di
epatomegalia o ipertransaminasemia (in genere x2) aspecifica.
Diagnosi: è istologica. Possibile un aumento della gamma-G, della transaminasi e anche ALP e
ferritine mia. Spesso è inquadrata nella sindrome metabolica, che se c’è richiede di valutare il danno
epatico così viceversa il riscontro di NAFLD induce la ricerca delle altre componenti della sindrome
(ipertrigliceridemia, obesità, ipertensione, basso HDL, iperglicemia).
Ecografia: sarà visibile un fegato iperecogeno, brillante, indice di steatosi. All'eco il fegato appare
spesso aumentato di dimensioni, con margine inferiore arrotondato. Il fibroscan con valutazione di
più parametri non è in grado di sostituire la biopsia, soprattutto nei casi di fibrosi lievi e non gravi.
La biopsia è l’unico test che permette la certezza, ma non si può fare su fegato iperbrillante senza iper
transaminasemia perché la patologia mostra in genere prognosi favorevole senza evoluzione. Pur
essendo probabilmente la più comune patologia epatica, la storia naturale della malattia non è nota.
Nella maggioranza dei casi la steatosi ha un decorso benigno e non si complica, ma nel 5% dei pazienti
ogni 10 anni si può sovrapporre cirrosi (erroneamente diagnosticata come cirrosi criprogenica).
Terapia: Non esiste una terapia sostenuta da adeguate evidenze di efficacia. Per lo più modifica stile
di vita sedentario (esercizio fisico), riduzione peso e introduzione di grassi saturi e zuccheri semplici.

Sindrome metabolica: o sindrome X è un insieme di anomalie metaboliche che determinano


aumentato rischio di malattia cardiovascolare e diabete mellito, di steatoepatite e sindrome dell’ovaio
policistico. La causa iniziale pare essere la ridotta sensibilità all’insulina indotta dall’obesità
(soprattutto centrale) che causa eccesso di acidi grassi liberi. Vi è aumentata lipolisi, aumento di
VLDL e trigliceridi, diminuzione delle HDL. L’eccesso di insulina produce effetti ipertensivi.
Diagnosi: Circonferenza vita + altri 2 criteri: (se superiori ai valori o sotto trattamento)
Circonferenza vita: ≥94 cm ♂ e ≥80 cm ♀.
Trigliceridi: ≥ 150 mg/dl. HDL: <40 mg/dl ♂ e <50 mg/dl ♀
Pressione arteriosa: ≥ 130/85 Glicemia a digiuno: ≥100 mg/dl (o diabete mellito tipo 2).

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Malattie epatiche congenite

Emocromatosi: malattia da accumulo di ferro. È in genere un disordine ereditario del metabolismo del
ferro che causa un maggiore riassorbimento di ferro nel duodeno (normalmente 1-2mg di Fe/die
contro i 3-4mg dei soggetti emocromatosici). Quando la concentrazione di ferro è di almeno 5 volte
superiore rispetto ai valori normali (3,5g nell'uomo e 2,2g nella donna) si verifica accumulo del
metallo, in ferritina e emosiderina, all’interno delle cellule soprattutto epatiche, cardiache e
pancreatiche. Dal punto di vista anatomo patologico l’emocromatosi è un accumulo di ferro con
danno tissutale, mentre l’emosiderosi è un accumulo di ferro senza danno tissutale.
• Emocromatosi ereditaria o primitiva: patologia AR con penetranza variabile.
Nell’emocromatosi si ha un difetto del sistema regolatore dell’epcidina. Questa molecola, prodotta
anche nella risposta sistemica all’infiammazione, è strettamente regolata dai livelli ematici di ferro
tramite i sensori epatici HFE, TfR2 (recettore della transferrina), e HJV (emojuvelina). Una volta
prodotta si lega alla ferroportina sulla superficie delle cellule favorendo l’internalizzazione e la
degradazione di quest’ultima che è una proteine che consente l’efflusso di ferro, che pertanto si
accumula. Un danno ai sensori oppure al sistema epcidina-ferroportina può causare emocromatosi.
1. Emocromatosi tipo 1: : gene HFE, la più frequente (90%) AR. Nei caucasici 5/1000, ma c’è
ampia variabilità fenotipica. Cofattori di rischio di danno epatico sono alcol, virus, NASH. Il
gene HFE difettoso causa sideropenia nelle cellule dell’intestino tenue per cui l’assorbimento
di ferro da parte di queste diviene sregolato. L’esordio è in genere dopo un forte accumulo,
ossia dopo i 40 anni. Il danno epatico varia da lieve aumento transaminasi ed epatomegalia ad
una cirrosi (con rischio aumentato di epatocarcinoma). Può causare diabete, disfunzioni
endocrine, iperpigmentazione cutanea, artralgie, cardiomiopatia da accumulo.
2. Emocromatosi tipo 2: gene HJV (2A) o epcidina (2B). Più accumulo, esordio tra i 20 e i 30 anni.
3. Emocromatosi 3: gene TfR2, clinica come la 1.
4. Emocromatosi 4: malattia da ferroportina. Tra i 10-50 aa. Si ha accumulo soprattutto in
macrofagi e cellule do Kupffer, con anemia e epatopatia cronica. È l’unica AD.
In genere l’emocromatosi in età adulta è definita classica. Più rare sono le forme giovanili (prima dei
30 anni) e ancor di più quelle neonatali (che richiedono trapianto di fegato nei primi mesi di vita).
• Emocromatosi secondarie: sono spesso dovute a: anemie emolitiche e talassemia (da un lato
per l’aumentato assorbimento di ferro e dall’altro per le continue trasfusioni) in genere trattate
con deferoxamina (E.C. neurotossici: ipoacusia neurosensoriale, tinnitus, danno retinico). Altre
cause sono: siderosi alcolica o siderosi in corso di epatopatie croniche.
Clinica: Cirrosi epatica (75%), epatosplenomegalia (90%). Spesso carcinoma epatocellulare come
complicanza della cirrosi (la diagnosi precoce con alfafetoproteina + eco). Diabete mellito,
iperpigmentazione della cute (specie ascelle), cardiomiopatia da accumulo di metallo (disturbi del
ritmo, IC), disturbi endocrini secondari a lesioni ipofisarie (ipogonadismo, amenorrea, ipotiroidismo),
dolori articolari (articolazioni carpo-metacarpali).
Diagnosi: in laboratorio si valuta: ferritina sierica (>300 microgrammi/l) e la percentuale di
saturazione della transferrina (=ferro sierico: capacità legante del ferro tot x 100) e ferritina a digiuno
(proteina di fase acuta è spesso aumentata anche in tumori come linfomi). Pertanto:
• Se FS è normale e ST<45%: si ritesta dopo un anno.
• Se ST>45%: si determina il genotipo cercando la mutazione C282Y in omozigosi (tipica
dell’emocromatosi 1, gene HFE sul cromosoma 6). Se assente si cercano gli altri geni e si
escludono altre cause di patologie epatiche. Se presente si procede ai salassi (si preferisce
effettuare prima una biopsia epatica in pazienti di età superiore ai 40 anni e ferritinemia
>1000ng/ml o elevate transaminasi.
Si può fare anche biopsia epatica ed evidenziare l’HIC, ossia la concentrazione epatica di ferro o l’HII
(indice epatico di ferro, ovvero rapporto fra concentrazione di ferro e età >1,9).
TC/RMN possono permettere una valutazione semiquantitativa del contenuto epatico di ferro.
Terapia: Dieta povera in ferro, vietati gli alcolici. Salassi settimanali da 500 ml per tenere la ferritina
sotto i 50 microgrammi/l. Dopodiché diventano 4 in un anno. In caso la terapia con salassi sia
controindicata (anemia IC) si usano chelanti del ferro, come deferoxamina.
Prognosi: aspettativa di vita normale se paziente preso in una fase pre cirrotica, peggiore se c’è cirrosi.

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Malattia di Wilson: malattia da accumulo di rame, ereditaria, monogenica AR causata da
un’alterazione dell’ATPasi7B che serve al trasporto di rame fuori dall’epatocita, con conseguente
alterazione dell’eliminazione biliare del rame. Nonostante l’aumentata eliminazione renale vi è
accumulo di rame in fegato, cervello e cornea. Più di 200 diverse mutazioni, con presentazione molto
variabile ed esordio a varie età, spesso prima dei vent’anni. L’incidenza mondiale è di 1-2/100000, ma
ad es. in Sardegna è 1/6000 per l’effetto fondatore.
Clinica: grande eterogenicità clinica, diagnosi tardiva. L’età d’esordio è spesso intorno ai 12 anni con
manifestazioni sopra fegato e SNC. Quelli con manifestazioni epatiche hanno mortalità maggiore:
• Manifestazioni epatiche: può iniziare con epatomegalia e dolore addominale con transaminasi
rialzate, raramente epatite fulminante (100% mortalità senza trapianto). Evolve verso la cirrosi.
• Manifestazioni neuro-psichiatriche: distonia degli arti, tremori, disturbi locomozione,
scrittura e disfagia, disartria, a volte fino spasticità e discinesia. Irritabilità e depressione.
• Manifestazioni oculari: Nel 90% di quelli con disturbi neurologici e nel 50% di quelli epatici
c’è anello di Kayser-Fleischer con deposito di sali di rame nella cornea a livello della
membrana di Descemet.
• Altro: anemia emolitica e trombocitopenia dovute a danno ossidativo, a volte accumulo
renale con proteinuria ed ematuria (sindrome di Fanconi), colelitiasi e pancreatite, anche
ipogonadismo, infertilità ed amenorrea oltre che maggiore rischio di complicanze in
gravidanza. Può aversi una cardiomiopatia con disturbi del ritmo.
Diagnosi: Criteri di Sternlieb: almeno due manifestazioni tra: anello visibile con lampada a fessura,
sintomi neurologici e cerulopasmina sierica <15mg/dl (può però essere bassa in molte condizioni che
diminuiscono le proteine circolanti e più alta in condizioni che aumentano gli estrogeni come la
gravidanza e nell’infiammazione). Se normale e non c’è anello si può valutare cupruria ( >250
microgranni/Tag e alta anche in altre epatopatie e in malattia di Wilson eterozigote), cupremia e
contenuto epatico di rame >250microg/g (normalmente è sotto i 50). Altri valori sono Cu sierico
totale <70 microg/dl; Cu sierico libero >10 micg/dl.
Test di carico della penicillammina: si verifica dopo somministrazione di penicillammina un netto
aumento dell'eliminazione di rame nelle urine dell 24h. Test al rame marcato: somministrazione via
orale di 64Cu , normalmente si assisterebbe a un doppio picco di raddioattività. Nella malattia di
Wilson manca il secondo picco ( che corrisponde all'inclusione del rame nella ceruloplasmina).
La diagnostica genetica è evitata a causa delle molte mutazioni. Si può anche fare RMN cerebrale
(atrofia n. della base; pure monitorare terapia, le alterazioni sono reversibili), e anche SPECT.
Terapia: Controllo dieta con acqua con contenuto di rame controllato, no fegato e crostacei e no
integratori vitaminici. Si usano chelanti per pazienti sintomatici, sali di zinco per pazienti
presintomatici e per la terapia di mantenimento. Si usano agenti chelanti: Penicillamina D che
mobilizza il rame dai tessuti e ne aumenta l’escrezione urinaria, ha numerosi effetti collaterali e nel 20-
30% dei casi viene sospeso, associata a volte a piridossina, a volte può causare all’inizio un
peggioramento dei sintomi neurologici. Alternativa è la trientina. Oltre agli agenti chelanti ci sono i
sali di zinco che interferiscono con l’uptake del rame nel GI e inducono le metallotionine di enterociti
e fegato (legano il rame). Pochi effetti collaterali. Il più tollerato è l’acetato di zinco.
Se c’è epatopatia scompensata farmaco-resistente si fa trapianto di fegato con 80% di sopravvivenza.

La cirrosi epatica
Patologia caratterizzata da fibrosi con formazione di setti di tessuto connettivo e noduli di
rigenerazione. È secondaria ad una necrosi e infiammazione, con sostituzione di tessuto epatico con
tessuto fibroso, capillarizzazione dei sinusoidi, formazione di shunt porto-centrali e quindi
formazione di noduli con sconvolgimento della struttura epatica.
Anatomia patologica: può essere micronodulare (come in genere l’alcolica) o macronodulare (spesso
la virale) se i noduli sono <o> di 3 mm. Anche mista.
Epidemiologia: Mortalità di 20/100000, più maschi, al nord più alcolica al sud più virale. 30-
60/100000 all’anno (26000).
Eziopatogenesi: è l’esito finale di molte epatopatie croniche. Le cause virali e alcoliche sono quasi il
90% (virus B, C e D), a volte miste. Altre forme: metaboliche, iatrogene, autoimmuni, colestatiche, da
cause vascolari sono più rare. Si può dire criptogenica se la causa non è chiara. La causa di cirrosi è la

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progressiva fibrosi (setti attivi e passivi) e deposizione di collagene (I e III) che comporta prima
deposito nello spazio di Disse e capillarizzazione dei sinusoidi, poi formazione di shunt vascolari
dentro il tessuto fibroso residuato. Avviene necrosi porto-portale e porto-centrale, con architettura
sovvertita, epatociti che si ritrovano all’interno di noduli di rigenerazione e che proliferano.
Clinica: se compensata può non dare alcun sintomo evidente. Nella sintomatologia distinguiamo:
• Sintomi generali: astenia, peso epigastrico, meteorismo, nausea, eventuale calo ponderale.
• Segni cutanei: spider naevi (specie torace e volto), eritema palmare e plantare, labbra e lingua
patinata, prurito, atrofia cutanea, contrattura di Dupuytren.
• Disturbi ormonali: nell’uomo possibile perdita di peli, impotenza, atrofia testicolare,
eventuale ginecomastia. Nella donna disturbi mestruali, eventuale amenorrea secondaria.
• Sintomi specifici dell’eziologia: Wilson, emocromatosi, segni di epatite, etc.
• Segni di cirrosi scompensata (complicanze): ittero, diatesi emorragica, malnutrizione,
ipertensione portale (e conseguenze), encefalopatia e coma, epatocarcinoma (tardivo).
Diagnosi: oltre alla clinica si può rilevare: fegato ingrossato e bozzoluto, splenomegalia, ascite.
• Laboratorio: Indici di diminuita sintesi epatica: fattori di coagulazione dipendenti dalla
vitamina K (II, VII, IX, X) diminuiti, antitrombina diminuita, albumina diminuita, bilirubina
aumentata. Ipergammaglobulinemia. Trombocitopenia in caso di ipersplenismo.
Encefalopatia epatica: ammoniemia aumentata. Possono essere aumentati: transaminasi,
LDH, ALP e gamma-GT.
• Ecografia: superficie epatica irregolare, parenchima disomogeneo, margine epatico
arrotondato, riduzione del flusso nella vena porta in caso di ipertensione portale, fibrosi.
• Fibroscan: misura la velocità di propagazione nel fegato di un’onda a bassa frequenza.
Terapia:
• Trattamento sintomatico: evitare alcol e farmaci epatotossici. Trattare fattori scatenanti come
le infezioni. Sospendere diuretici e sedativi. Ridurre i metaboliti tossici (ammoniaca,
mercaptano, GABA): diminuire il catabolismo proteico somministrando glucosio. Ridurre
l’apporto proteico a 1g/die. Sopprimere la flora batterica intestinale attraverso disaccaridi
come il Lattulosio (effetti collaterali: diarrea e nause) o il lacticolo.
• Trattamento malattia di base e trattamento delle complicanze.
• Follow-up epatocarcinoma: ecografia e dosaggio alpha-fetoproteina ogni 6 mesi.
• Trapianto di fegato: il trapianto di parte di fegato si utilizza prevalentemente nei bambini. Il
tasso di sopravvivenza è dell’80% a 5 anni. Complicanze: rigetto del trapianto (si utilizzano
corticosteroidi, anticorpi monoclonali, ciclosporina A). Gli effetti collaterali saranno infezioni,
nefrotossicità e ipertensione (ciclosporina), osteoporosi (corticoidi).
Prognosi: dipende dall’eziologia e dalla presenza di complicanze. Per valutare la gravità si utilizza
l’indice di Child-Pugh che valuta: Albumina sierica: (se <2,8 g/dl 3 punti); Bilirubina sierica (se >3
mg/dl 3 punti); Tempo di Quick (se <40% 3 punti); Ascite all’ecografia (se è di grado medio, 3 punti);
Encefalopatia (se di III-IV grado, 3 punti). Si assegna ad ognuno dei parametri un punteggio da 1 a 3.
• Child A: 5-6, sopravvivenza a 1 anno quasi del 100%. A 5 anni 75%.
• Child B: 7-9, sopravvivenza a 1 anno circa dell’85%. A 5 anni 40%.
• Child C: 10-15: sopravvivenza a 1 anno circa del 35%. A 5 anni 20%.
La morte sopraggiunge per insufficienza epatica ed encefalopatia, emorragie, sindrome epato-renale,
peritonite batterica spontanea ed epatocarcinoma (2-3 casi/100 cirrotici all’anno).

Complicanze della cirrosi epatica: caratterizzano la cirrosi scompensata. Il 10% di cirrosi compensate
ogni anno diventa scompensata. Le più importanti sono ipertensione portale ed encefalopatia.

Ipertensione portale
Si definisce come un aumento pressoio nella vena porta >12 mmHg. Nel soggetto sano la pressione
nella vena porta è di 3-6 mmHg. Nella cirrosi sia le alterazioni funzionali, sia le anomalie
dell’architettura (come fibrosi, trombosi vascolare) portano all’aumento delle resistenze epatiche e
quindi all’ipertensione portale  vasodilatazione splancnica  ipovolemia con aumento del flusso
portale  attivazione del sistema renina angiotensina. Quest’ultimo aumenta la volemia e pertanto
la gittata e quindi aumenta ancora l’ipertensione portale in un circolo vizioso.

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Eziologia: le cause di ipertensione possono essere:
• Blocco preepatico: trombosi della vena porta (da poliglobulia, contraccettivi, compressione per
tumori o cisti, ferite).
• Blocco intraepatico: Presinusoidale (cisti, metastasi), Sinusoidale (cirrosi), Post-sinusoidale.
• Blocco post-epatico: sindrome di Budd-Chiari, altre cause di occlusione vene epatiche,
pericardite costrittiva, insufficienza cardiaca destra o completa.
Conseguenze dell’ipertensione portale: queste sono principalmente:
1. Formazione di circoli collaterali ed emorragie: In caso di ipertensione portale, le numerose
connessioni tra vasi tributari della vena porta e della cava vanno incontro a ipertrofia e
sviluppo di un circolo collaterale. Abbiamo: varici esofagee (vena gastrica sinistra-plessi
venosi esofagei), emorroidi (vene emorroidarie superiori-vene emorroidarie medie e inferiori),
caput medusae (vene paraombelicali e ombelicali-vene superficiali dell’addome) e altri.
Una delle più temute complicanze dell’ipertensione portale sono però le varici esofagee, che si
accompagno ad un elevato tasso di mortalità. Il 70-80% dei cirrotici va incontro a formazioni di varici
esofagee entro 5 anni. Si tratta di varici (vaso venoso che per cedimento si dilata e diventa tortuoso) a
carico del plesso sotto-mucoso dell’esofago.
Clinica: la principale complicanza delle varici è la rottura, associata a forte sanguinamento. Pare che
la causa della rottura siano “colpi” ipertensivi legati a tosse, sforzi fisici, etc. Il rischio di morte al
primo episodio emorragico è 30-50% e rimane all’incirca tale anche in caso di recidiva. Il rischio di
morte e risanguinamento è molto elevato durante le prime 3-5 settimane dall’episodio emorragico e
per questo è importante intervenire precocemente.
Diagnosi: si usa l’endoscopia digestiva con video endoscopio che permette una buona visione delle
varici che si presentano come cordoni longitudinali serpiginosi occupanti da 1/3 a tutto l’esofago.
Classificazione del rischio emorragico: dipende dalla presenza di strie rosse e dal grado Child-Pugh.
Altre tecniche di diagnosi sono: Tc-spirale, angio-RMN, angiografia, portografia, esame manometrico
(utile perché una pressione differenziale di 12mmHg tra porta e arterie epatiche è a rischio emorragia).
1) Profilassi del primo sanguinamento: visto l’elevato rischio di mortalità si fa:
• Terapia medica farmacologica: beta-bloccanti adrenergici non selettivi (propanololo, le
controindicazioni sono diabete, bronco pneumopatia). Si deve cercare di ridurre il gradiente
porto epatico a meno di 12. Si possono usare anche nitrati (isosorbide-5monoitrato).
• Se la terapia medica non si può fare o non ha effetto si fa legatura endoscopica delle varici
2) Terapia dell’emergenza emorragica:
• Rianimazione: accessi venosi per infusione di sangue e liquidi, sondino naso-gastrico ampio
per valutare la presenza di sangue, trattamento di eventuali deficienze coagulative e infusione
di sangue o plasma expanders. Prevenzione degli ab ingestis, possibile intubazione,
trattamento antibiotico, bilanciamento idro-elettrico, lattulosio per prevenire l’encefalopatia.
• Endoscopia d’urgenza e terapia endoscopica: è la diagnosi di certezza, si fa quando il paziente
è stabile. Si può eseguire contestualmente terapia con scleroterapia o legatura endoscopica.
• Farmaci: Sono farmaci vasoattivi che riducono la portata ematica delle varici come:
gliopressina (spesso associata a nitroglicerina), somatostatina, octreotide.
• Sonda di Sengstaken-Blakemore: garantisce emostasi per compressione Non più di 6-8 ore.
• TIPS o derivazione porto-cavale chirurgica: chirurgia d’urgenza con derivazioni portocavali
oppure TIPS (shunt porto-sistemico trans giugulare intraepatico).
3) Profilassi della recidiva emorragica: rischio quasi del 70% entro l’anno.
• Farmaci: beta-bloccanti associati o no ai nitrati long acting.
• Terapia endoscopica: gli interventi possibili sono essenzialmente due:
o Scleroterapia: si iniettano nel lume vasale e a livello perivascolare sostanze che
inducono tromboflebite e quindi sclerosi delle varici.
o Legatura endoscopica: dispositivo più semplice che ha sostituito la scleroterapia.
• Interventi chirurgici derivativi: ormai si fanno solo shunt selettivi. Tra questi ultimi:
Intervento di Inokuchi: si anastomizza alla cava la sola gastrica di sinistra (funziona poco);
Shunt splenorenale distale di Warren: si isola la vena splenica (e si anastomizza con la renale
di sinistra. In questo modo si abbassa la pressione detendendo le varici esofagee.
• TIPS e trapianto di fegato: la TIPS non è indicata in caso di encefalopatia e Child C.

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2. Ipersplenismo: o splenomegalia congestizia. Di frequente riscontro nei pazienti con
ipertensione portale. È una condizione di trombocitopenia, leucopenia e raramente
eritrocitopenia che si associa a splenomegalia. Più grave in caso di blocchi preepatici.
È fondamentalmente dovuto ad un aumento del sequestro, piuttosto che alla distruzione di elementi
figurati. Bisogna tuttavia sempre essere cauti a porre indicazione a splenectomia.

3. Ascite: accumulo di liquidi sierosi nella cavità peritoneale. L’ascite può essere da causa portale,
ma anche cardiaca (pericardite costrittiva o insufficienza), neoplastica, infiammatoria, etc.
In corso di cirrosi epatica l’ascite è dovuta a vari fattori: ipertensione portale con ipervolemia dei vasi
splancnici, aumentata produzione linfatica, ipoalbuminemia, aumentato riassorbimento di sodio.
Clinica: aumento della circonferenza addominale, aumento di peso, addome globoso in piedi e
deborda in posizione supina, ombelico estroflesso, eventuale dispnea.
Dimostrazione dell’ascite: ballottamento, ottusità addominale, ecografia o anche TC o RMN.
Esame del liquido ascitico: puntura con controllo ecografico. Si valuta: albumina, LDH, esame
batteriologico e citologico (leucociti, cellule tumorali).
Complicanze dell’ascite: esofagite da reflusso, dispnea, ernie, idrotorace, aumentato rischio di
emorragia delle varici esofagee. La complicanza più importante è però la peritonite batterica
spontanea (PBS). Gli agenti sono soprattutto cocchi E. Coli e cocchi Gram +. Raramente si presenta
con febbre e dolore addominale. All’esame del liquido ascitico avremo granulociti elevati e sarà
possibile trovare il germe nel liquido ascitico. La comparsa di PBS in un paziente con cirrosi epatica è
segno di prognosi infausta (letalità fino al 50%).
Terapia: Casi lievi: può bastare la restrizione del sodio (2g/die). Si possono utilizzare anche
antagonisti dell’aldosterone (spironolattone) che causa aumento della sodiuria e colo ponderale.
Casi di media gravità: aggiungere un diuretico d’ansa (furosemide o torasemide). Il riassorbimento
dell’ascite deve essere graduale (non superare un calo ponderale di 500 g al giorno). La terapia
diuretica può causare sindrome epatorenale, peggiorare l’encefalopatia, causare iposodiemia o
ipopotassiemia. L’ascite refrattaria alla terapia non risponde a questi trattamenti e ha prognosi
sfavorevoli. Si possono effettuare: paracentesi (+ infusione di albumina), TIPS, trapianto.
Terapia PBS: cefalosporine di 3° generazione (cefotaxime, ceftriaxone) e inibitori della girasi.

4. Sindrome epato-renale: progressiva e irreversibile riduzione della filtrazione glomerulare in


pazienti con cirrosi epatica probabilmente a causa di grave vasocostrizione renale.
Si verifica in circa il 10% dei pazienti con cirrosi epatica e ascite. Si può presentare con rapido
peggioramento della funzione renale (tipo 1) con raddoppio della creatinina sierica entro 2 settimane
oppure con lento e progressivo peggioramento della funzione renale, pochi mesi (tipo 2)
Fattori scatenanti: emorragia gastrointestinale, paracentesi, terapia diuretica forzata, PBS,
sovradosaggio di lattulosio, farmaci nefrotossici (FANS).
Diagnosi: creatinina sierica >1,5 mg/dl o clearance <40 ml/min. Esclusione di altre cause.
Terapia: eliminazione dei fattori scatenanti, trapianto di fegato. In alternativa si usa la TIPS. In
pazienti con controindicazione si usano ocreotide o noradrenalina in associazione con albumina.
Prognosi: è infausta, nella forma rapida la sopravvivenza può essere inferiore ad un mese.

5. Sindrome epato-polmonare: disfunzione polmonare con ipossiemia in ambito di cirrosi.

Encefalopatia epatica: complicanza comune della cirrosi dovuta alla presenza di sostanze
neurotossiche nel sangue (soprattutto ammoniaca, ma anche mercaptano, fenoli, acidi grassi, etc.). Il
danno al SNC è dovuto all’insufficienza epatica (mancata detossificazione) e alla formazione di circoli
collaterali (quindi “salto” della circolazione epatica) anche iatrogeni (la TIPS la peggiora).
Clinica: alterazione coscienza e funzione neuromuscolare. 20% dei cirrotici, 50% in quelli con
interventi di shunt porto-sistemico. Se non c’è manifestazione evidente si usano test psicometrici
come il number connection test (stadio 0). Di vario grado: da leggero disorientamento, rallentamento,
flapping tremor (I), a sintomi più netti (II), profonda alterazione coscienza e confusione (III), a coma
(IV). Può essere episodica, cronica o ricorrente. A volte avviene a seguito di fattori precipitanti quali
stipsi, emorragie, infezioni, diete iperproteiche, eccesso diuretici. Ammoniemia >100mg/dl.

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PANCREAS

Pancreatite acuta
È una malattia infiammatoria acuta, con distruzione del parenchima ghiandolare per fuoriuscita dal
sistema duttale degli enzimi pancreatici attivati. Può essere distinta in lieve (miniima alterazione
dell’organo e no complicanze) e severa (associata a insufficienza d’organo o complicanze e alterazioni
sistemiche e dello stato generale). Vi è la possibilità di completa restitutio ad integrum.
Eziologia: vi sono diversi fattori in grado di scatenare una pancreatite acuta, anche idiopatica:
• Calcolosi biliare: associata al 60% dei casi di pancreatite acuta, forse dovuta ad ostruzione del
dotto di Wirsung e/o reflusso di bile e soprattutto di enzimi pancreatici.
• Alcolismo: forse responsabile di quasi il 30% dei casi. Pare sia dovuta a stimolazione vagale,
maggiore sensibilità dei recettori pancreatici alla secretina, aumento di gastrina. Si ha
aumentata contrattura dello sfintere di Oddi e maggiore concentrazione di proteine nel secreto
pancreatico che potrebbero creare aggregati (plug) e ostruire i dotti.
• Ipercalcemia: da iperparatiroidismo, mieloma, sarcoidosi, etc. L’eccessiva concentrazione di
calcio nel succo pancreatico ne favorirebbe la precipitazione e quindi ostruzione.
• Iperlipoprotineimie familiari: danno vascolare da acidi grassi scissi dalle lipasi.
• Interventi chirurgici recenti: che interessino il pancreas o le strutture circostanti. Anche ERCP,
interventi di gastroresezione e splenectomia, circolazione extracorporea.
• Malattie vascolari: aterosclerosi e vasculite possono causare pancreatite su base ischemica.
• Cause iatrogene: da estrogeni, corticosteroidi, tetracicline, mezzi di contrasto, CPRE.
Patogenesi: la pancreatite è dovuta all’azione degli enzimi pancreatici stessi sul parenchima. La
tripsina attiva i proenzimi in lipasi, proteasi, fosfolipasi ed elastasi. Inoltre attiva il complemento e
quindi l’infiammazione. Normalmente vi sono dei sistemi di inattivazione, cioè antiproteasi come
l’alpha1-antitripsina . La pancreatite si genera quando non vi è più equilibrio tra questi due sistemi.
Anatomia patologica: le lesioni sono: edema, emorragie endoparenchimali e necrosi.
Manifestazioni sistemiche: l’azione enzimatica tossica può diffondersi ed indurre effetti sistemici,
oltre che locali. Vi è spesso formazione di trasudato ed essudato nel retro peritoneo, ma anche in
regioni distanti dal pancreas (sottocutaneo, interstizio polmonare, cavità peritoneale). Vi può essere
ipotensione (per diminuzione delle resistenze periferiferiche, forse associata a liberazione di sostanze
vasoattive o a ipoalbuminemia che causerebbe anche i trasudati), ipocalcemia (perdita di calcio per
precipitazione o forse riduzione della sensiblità al paratormone nell’osso). Vi è in sostanze un quadro
talvolta settico e ipotensivo. Questo si associa nei casi gravi a insufficienza renale e insufficienza
respiratoria (quadro polmonare simile all’ARDS, dovuto forse alle fosfolipasi circolanti che
causerebbero lesioni delle membrane basali).
Clinica: una pancreatite lieve si associa in genere a dolore addominale lieve che recede in 2-3 giorni.
La pancreatite severa è associata a dolore epigastrico intenso, costante e spesso con distribuzione a
barra (anche ipocondri) o a cintura (anche fianchi e dorso). Il quadro può essere quello di un addome
acuto. Vi è frequente distensione addominale, nausea e vomito, febbre, ileo, contrattura di difesa
(incostante), ipotensione. Il dolore è trafittivo e non risponde bene agli analgesici (gli oppioidi
aumentano il tono dello sfintere di Oddi e lo peggiorano, meglio salicilati). Il paziente appare spesso
con le cosce flesse sull’addome e piegato. Il dolore è comunque improvviso e di grado molto alto.
Esame obiettivo: possibili ecchimosi sui fianchi (segno di Gray-Turner) o periombelicali (di Cullen)
indicativi di stravaso ematico. A volte vi è ileo paralitico, distensione meterorica e contrattura
muscolare. È frequente l’ittero, franco o sclerale. Vi può essere quadro shock con tachicardia,
ipotensione, disidratazione, insufficienza respiratoria, oliguria e insufficienza renale, iperglicemia,
respiro di Kussmaul, tetania da ipocalcemia, etc. Possibile comparsa di versamento pleurico, febbre.
Complicanze: le più frequenti sono: formazione di ascessi o pseudo cisti, raccolta acuta di liquidi,
necrosi pancreatica. Altre complicanze sono: tetania (da ipocalcemia), diabete mellito (per estensione
alla componente endocrina), emorragie gastrointestinali, insufficienza renale acuta, quadro di
distress respiratorio (ARDS), encefalopatia pancratica (per azione degli enzimi sulla mielina e la
possibile insufficienza epatica), tromboflebiti, fistole e perforazioni intestinali.

Diagnosi: oltre ad anamnesi, clinica ed esame obiettivo, sono fondamentali: Esami di laboratorio:

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• Amilasemia: nei primi 2-3 giorni di sintomi vi è aumento dell’amilasi nel sangue che però può
regredire, soprattutto se vi è ampia distruzione della ghiandola. All’inizio aumenta di 3-5
volte. È poco specifica, si riscontra anche in occlusioni intestinali o ad esempio nell’ulcera
gastroduodenale, carcinomi del pancreas, patologie delle ghiandole salivari, insufficienza
renale, malattie polmonari, ustioni. L’entità dell’elevazione non è un indice di gravità.
• Amilasuria: si raccolgono urine nelle 2 o meglio 24 ore. Può restare elevata per più giorni.
• Altri valori alterati: transaminasi, LDH, lipasemia (più accurata e duratura dell’amilasemia),
bilirubina, gamma-GT, fosfatasi alcalina. Inoltre si ha leucocitosi neutrofila, aumento VES,
acidosi respiratoria. Anche ipocalcemia, ematocrito elevato, aumento della glicemia, riduzione
dei livelli di C3 e C4.
Poiché durante una pancreatite acuta la clearance renale dell’amilasi è superiore a quella della
creatinina si suole usare il rapporto: amilasuria/amilasemia x creatininemia/creatininuria x100. Se
questo è < 3 è improbabile la pancreatite. Possibile tra 3 e 5, probabile se è > 5.
Diagnosi strumentali: Rx addome: può evidenziare livelli idroaerei e dilatazione intestinale. L’ansa
sentinella è quando il livello idroaereo (segno di ileo paralitico) è in corrispondenza della prima ansa
digiunale (quadrante superiore sinistro). Anche possibile il segno del colon escluso (distensione
gassosa del colon ascendente, ma il discendente è vuoto). Rx torace: sempre utile, può evidenziare un
versamento pleurico. Ecografia addominale: è complessa per il pancreas, può evidenziare edema,
calcoli, dilatazione delle vie biliari, pseudo cisti.
Un indagine di secondo livello è la TC con mdc: indagine che fornisce più informazioni e consente di
valutare anche la gravità della pancreatite: grado A (pancreas normale), B (edema del pancreas), C
(edema anche del grasso peripancreatico), D(presenza di un flemmone), E (presenza di due o più
raccolte liquide o di aria nel tessuto pancreatico o peripancreatico). ERCP: è sconsigliata.
Diagnosi differenziale: distinguere da colica biliare, colecistite acuta, ulcera peptica perforata,
occlusione intestinale, infarto mesenterico, rottura di aneurisma aortico.
Valutazione della gravità: segni correlati a mortalità più elevata sono i criteri di Renson:
• Criteri iniziali: età>55 anni, leucociti>16000, glicemia>200, LDH>350, SGOT>250.
• Dopo 48 ore: riduzione dell’ematocrito, azotemia >50, calcemia <8, PO2 <60, deficit di basi e
sequestro di liquidi (>600 ml).
Segno prognostico sfavorevole è pure rilevazione di liquido peritoneale bruno alla paracentesi.
Per definire una pancreatite severa (e iniziare quindi i procedimenti terapeutici adatti) si usa però il
sistema prognostico di Glasgow: Comparsa di 3 o più alterazioni tra: glicemia >180, leucociti>15000,
LDH>600, azotemia >96, GOT>200, calcemia<8, albumina<3,2, PO2<60.
Il sistema APACHE II valuta invece lo stato generale del paziente.

Terapia medica: gli obiettivi della terapia sono ridurre la secrezione pancreatica, correggere lo
squilibrio elettrolitico e ripristinare l’equilibrio acido-base. Assistenza generale:
• Dolore: si utilizzano analgesici non oppiodi come Meperidina o FANS.
• Funzione respiratoria: si esegue un EGA ed eventuale ossigenoterapia se PaO2<60.
• Protezione pancreatica: si posiziona un sondino naso-gastrico (per aspirare le secrezione
acide gastriche) e il paziente deve stare a digiuno per 1-2 settimane. Si attua perciò nutrizione
parenterale totale (riduzione della stimolazione pancreatica). Si può fare inibizione
secrezione gastrica (PPI o anti-H2) e pancreatica (Somatostatina, Octreotide).
• Mantenimento della volemia e dell’equilibrio elettrolitico: frequenti alterazioni.
• Eventualemente associare: terapia antibiorica, farmaci antiproteasici (Aprotinina).
• Si può eseguire il lavaggio peritoneale allo scopo di rimuovere dal peritoneo i succhi
enzimatici pancreatici e le sostanze tossiche presenti.
Terapia chirurgico-interventistica: estrema discordanza sui tempi e le modalità di intervento:
• Intervento chirurgico precoce: può essere indicate la rimozione di un’ostruzione biliare
attraverso papillosfinterotomia con ERCP (si dovrà poi fare colicistectomia per le
complicanze). Se c’è pancreatite acuta severa può essere indicato un intervento rapido di
pancreasectomia parziale o torale (alta mortalità).
• Trattamento complicanze: le infezioni pancreatiche (ascessi, pseudo cisti) si risolvono con
drenaggio chirurgico e antibioticoterapia.

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Pancreatite cronica
Patologia infiammatoria multifattoriale, con presenza di fibrosi e istoflogosi sia acinare che endocrina.
Danno irreversibile. A volte episodi ricorrenti tipo pancreatite acuta, meno spesso dolore continuo. Si
ha sempre meno dolore, ma più malassorbimento e diabete. L’alcol è una delle principali cause.
Etiopatogenesi: Più uomini. 10-15/100000 all’anno. Esiste ereditaria. Alcol e fumo sono fattori di
rischio. L’abuso etilico è associato nel 40%, dipende da dose e durata (più se >80g/die). È dovuta ad
un’ostruzione del sistema duttale pancreatico. Probabilmente le cause di ostruzione sono molteplici e
associate a processi flogistici, neoplastici, cicatriziali dopo necrosi e soprattutto la litiasi biliare. Si ha
man mano atrofia acinare e poi anche endocrina. L’alcol e il fumo, oltre che avere effetto citotossico e
favorire la flogosi hanno anche l’effetto di causare stenosi. Può essere anche autoimmune tramite
immunità immuno-mediata. Vi sono anche cause ereditarie (anche pancreas divisum).
Clinica: il principale sintomo è il dolore, continuo o intervallato da benessere, epigastrico ma diffuso
anche a ipocondri (a barra) e posteriormente (a cintura), esacerbato da alcol e cibo. Con il tempo il
dolore si riduce ed aumentano sintomi endocrini e di malassorbimento. La mal digestione si
caratterizza per perdita di peso, crampi, flatulenza e gonfiore, alvo alterato con possibile steatorrea (e
a volte anche deficit di vitamine liposolubili). L’insufficienza endocrina insulina, ma anche glucagone.
Complicanze: Lesioni cavitarie: pseudo cisti dopo necrosi e cisti da ritenzione (a seguito di
ostruzione). Ostruzione duodenale: nei casi di distrofia cistica della parete. Ittero: compressione
coledoco da cisti o edema/flogosi (spesso forte nell’autoimmune). Calo ponderale (dolore→ meno
cibo), diabete, malassorbimento. Si può avere ascite pancreatica per rottura del sistema duttale.
Adenocarcinoma pancreatico: più rischio come in molte patologie infiammatorie croniche.

Diagnosi: Laboratorio: amilasemia e lipasemia caratterizzano (se aumentate di 3-5 volte, per non
confonderle con altre patologie) le riacutizzazioni. Per lo stato esocrino: valutazione grassi fecali (o
semplicemente peso fecale), elastasi 1 fecale (se minore di 200microg/g).
Endocrino: valutazione glicemia e diabete, detto pancreatogenico o tipo IIIc (il diabete da PC può
essere da deficit di insulina o da insulino-resistenza).
Diagnosi strumentale: la CPRE è sempre meno importante in quanto si usa TC,RM,EUS (per valutare
il danno) ed ECRM. La radiografia dell’addome solo se ci sono calcificazioni. L’ecografia
(eventualmente dopo stimolo con secretina per meglio vedere il Wirsung) è per la sua semplicità un
esame di primo livello. La metodica ottimale è forse CPRM, che si preferisce nei bimbi (no radiazioni)
ed è sensibili come l’EUS e TC, non invasiva come la TC, precisa morfologicamente come la CPRE.
Inoltre se associata a somministrazione di secretina permette di vedere meglio il dotto principale, con
stenosi e disfunzioni papilla e di valutare la riserva esocrina di parenchima pancreatico.

Terapia:
1) Controllo fasi acute come nella pancreatite acuta.
2) Trattamento del dolore: nella fase acuta è come nella pancreatite acuta, anche con gabesato
mesilato. Il dolore da PC è nocicettivo, neuropatico e psicogenico, da ipertensione duttale, stenosi
biliare e flogosi. Prima di tutto no alcol e fumo. Poi FANS e oppioidi minori (tramadolo). Poi oppioidi
maggiori (morfina, buprenorfina). Anche antidepressivi come triciclici e inibitori del reuptake della
serotonina. Anche enzimi pancreatici (si ha così meno CCK che ha effetto algogeno) e antiossidanti.
Per evitare il calo di peso si danno enzimi pancreatici (almeno 30000U di lipasi per pasto) dieta con
pochi grassi ma ipercalorica e con polivitaminici. Metilprednisolone per la autoimmune. Il diabete di
tipo III è instabile (con spesso ipoglicemia per mancata contro regolazione da glucagone) e si
preferisce trattarlo con insulina più che antidiabetici orali.
Terapia endoscopica: CPRE con sfinterotomia per risolvere ostruzione Oddi o Wirsung. Se c’è
calcolosi difficile si consiglia prima litotrissia extracorporea con onde d’urto (ESWL). Con CPRE si
possono anche posizionare protesi plastiche (stent) attraverso la papilla per bypassare il sistema
duttale. Anche drenaggio cisti.
Terapia chirurgica: nei casi molto gravi con interventi: derivativi (anastomosi tra Wirsung e un’ansa
digiunale), demolitivi (asportazione parte di parenchima con più flogosi, misti. Derivativo è meglio
perché risparmia il pancreas, ma talvolta soprattutto in caso di autoimmune o da distrofia cistica è
meglio il demolitivo (ci può essere sospetto di cancro).

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INTESTINO

Malattie infiammatorie croniche intestinali, MICI


Malattia di Crohn e rettocolite ulcerosa, entrambe a eziologia ignota, probabilmente multifattoriale.
Hanno molte caratteristiche comuni e c’è sovrapposizione delle diagnosi (colite indeterminata) nel
10% dei casi. Sono più comuni nei paesi sviluppati, influenza fattori ambientali (dieta, flora batterica,
fumo). L’incidenza è in aumento (nel Crohn x4 negli ultimi 25 anni).
Crohn: 50/100000 (prevalenza). Nei 2/3 diagnosi prima dei 36 anni (2° picco prima dei 60).
Rettocolite ulcerosa: 60-70/100000. No aumento negli ultimi 25 anni.
Entrambe alla pari tra uomini e donne. In genere prima dei 40, 2° picco prima dei 60.
Fattori di rischio: Familiarità: 4% ha un consanguineo, un figlio di un Crohn ha rischio x10. Fumo:
aumenta il Crohn (e lo aggrava) e diminuisce la retto colite (più frequente soprattutto negli ex
fumatori). Appendicectomia: Crohn è più frequente (spesso sintomi iniziali come appendicite), meno
frequente la colite. Anche fattori dietetici.
Patogenesi: possibile patogenesi autoimmune da alterata immunoregolazione.

Morbo di Crohn: infiammazione granulomatosa cronica, su base immunitaria, che può coinvolgere
tutto il tratto intestinale. Le sedi più frequenti sono ileo terminale, valvola ileocecale e cieco.
Anatomia patologica: la parete intestinale è rigida e ispessita, il mesentere edematoso, i linfonodi
aumentati di volume. Le lesioni interessano la parete in tutto lo spessore e sono discontinue (a salto).
Il lume intestinale è ridotto di calibro. All’inizio ci sono ulcere aftoidi superficiali serpiginose e
discontinue, intervallate ad aree sane (ma con edema). Le lesioni però possono estendersi e raramente
causare anche perforazione della parete. Si possono formare anche adesioni e fistole (in genere
entero-enteriche). Si possono avere ascessi e flebiti. L’ileite può dare luogo anche a fistole che
conducono all’esterno, l’infiammazione del retto a vagina o uretra. Si ha dunque una flogosi cronica
granulomatosa e ispessimento della parete intestinale con edema, ipertrofia e aumento di collagene.
Non è stata dimostrata una completa restitutio a integrum.
Clinica: molto varia, anche in rapporto a tipo e sede delle lesioni. Ha remissioni e riacutizzazioni.
• Sintomi generali: dolori addominali e diarrea (di solito non sanguinolenta), flatulenza.
• Sintomi acuti: simili all’appendicite con dolori colici in fossa iliaca destra, febbricola.
• Sintomi extraintestinali: più frequenti nel Crohn che nella RCU:
o Cute: dermatite, afte, eritema nodoso, pioderma gangrenoso.
o Occhi: uveite, perisclerite, irite, cheratite.
o Articolazioni: artrite, spondilite anchilosante.
o Fegato: colangite sclerosante primitiva (molto più comune nella RCU).
Complicanze:
• Fistole ed ascessi anorettali: le fistole anali sono comunemente il primo sintomo.
• Disturbi di crescita: in caso di presentazione in età infantile.
• Sindrome da malassorbimento e calo ponderale: nel 70% dei casi il Crohn coinvolge l’ileo
(con o senza colon). Può dare malassorbimento (come ridotto assorbimento di B12 con anemia
megaloblastica, ridotto acido folico o ferro) o anche malnutrizione proteico-calorica (per
anoressia e dolore, perdite intestinali, aumentato catabolismo per flogosi e febbre).
• Stenosi intestinali: eventuali sub-occlusioni. Rare le perforazioni.
• Altro: effetti collaterali farmaci, rischio di carcinomi colo rettali (meno della RCU).
Decorso: è caratterizzata da remissioni e riacutizzazioni. Durante i periodi di remissione le lesioni
intestinali non recedono mai completamente.

Diagnosi: il quadro clinico è complesso e aspecifico ed in genere la diagnosi è difficoltosa. Si basa su


anamnesi e clinica. Successivamente colonscopia + biopsia: bisognerà effettuare biopsie anche sulle
fistole e ascessi perianali. Controllare poi tutto il tratto gastrointestinale. Diagnostica per immagini:
TC e RMN possono essere utili per valutare ispessimento della parete e fistole, oltre che stenosi (anche
studio attraverso enteroclisma, ma con mezzo di contrasto idrosolubile). Ecografia: può dimostrare
ispessimenti, ascessi o fistole. Laboratorio: indica infiammazione (leucocitosi, VES, PCR, etc.),
possibile anemia (da sideropenia o deficit di B12). Per la DD anche una batteriologia su feci.

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Terapia: non eziologica. In fase attiva si può fare ricovero, altrimenti controllo ogni 3-6 mesi. Dipende
dalle lesioni, dal paziente, dai farmaci efficaci e la responsività e refrattarietà. Gli obiettivi sono la
remissione, prevenzione complicanze e riacutizzazione o recidiva, chiusura fistole,risparmio steroidi,
blocco manifestazioni extraintestinali e ripristino crescita.
Terapia conservativa:
• Dietetica e di supporto: se c'è malassorbimento provvedi all'apporto delle sostanze di cui c'è
carenza, profilassi osteoporosi (vit. D e calcio), smettere di fumare riduce le recidive.
• Farmacologica: Induzione della remissione: si utilizzano:
o Corticosteroidi: Terapia topica: ha minori effetti collaterali ma è utile solo in caso di
interessamento ileocecale, senza manifestazioni extraintestinali (Budesonide 3mg/die).
Terapia sistemica: Prednisone ad alte dosi (30-60 mg/die da diminuire di 5mg alla
settimana dopo la prima settimana in cui si cala di venti mg, fino al dosaggio di
mantenimento di 10 mg a giorni alterni per almeno 3 mesi). In caso di interessamento
di retto o sigma si devono aggiungere clismi di corticoidi. Nel caso di terapia con
corticosteroidi: 1/3 dei pazienti ha una remissione stabile, 1/3 diventa steroido-
dipendente, 1/3 è refrattario e necessita di immunosoppressori.
o Una valida alternativa è la Sulfasalazina.
o Immunosoppressori: Azatioprina o 6-Mercaptopurina sono indicate quando c'è
dipendenza o refrattarietà agli steroidi, frequenti recidive (più di 2/anno), ripetuti
interventi chirurgici. AZP può avere come effetti collaterali pancreatite, epatite
colestasica, depressione midollare.
o Farmaci biologici: anti-TNF come Infliximab, Adalimumab sottocutaneo per pazienti
refrattari ai CCS e non rispondenti agli immunosoprressori. 80% di successo (effetti
collaterali: infezioni opportunistiche, reazioni allergiche, neurite ottica).
o Antibiotici: il Metronidazolo (ampio spettro) o Ciprofloxacina. Rappresentano terapia
conservativa in caso di fistole, grazie al loro effetto battericida sugli anaerobi. Possono
causare intolleranza all’alcol, disturbi GI, allergia, cefalea, leucopenia.
• Farmacologica: Mantenimento remissione: il 70% dei pazienti presenta recidiva entro i due
anni. Trattare con CCS, 5-ASA, AZP ( 2/3 raggiunge una remissione permanente).
• Endoscopia interventistica: si usa in caso di segmenti stenosati per dilatarli con un palloncino
o per chiudere le fistole.
• Terapia chirurgica: recidiva nel 60-80% a 10 anni, ha solo un significato palliativo. Si usa solo
per pazienti refrattari a terapia o steroido-dipendenti. Anche stenosi, perforazione, ascessi,
fistole con altri organi (vescica). In genere si tratta di una chirurgia mininvasiva laparoscopica.
C'è resezione del tratto interessato. Ileostomia definitiva se le lesioni interessano retto e colon.
Prognosi: alto tasso di recidiva. Le complicanze costringono spesso a intervenire con la chirurgia. Per
l’aumentato rischio di carcinoma colon rettale è necessario eseguire controlli colonscopici. Il morbo di
Crohn è possibile che recidivi anche dopo chirurgia in altre parti del tubo digerente.

Rettocolite ulcerosa: malattia infiammatoria ulcerativa della mucosa che insorge nel retto e può
estendersi a colon e cieco in maniera continua.
Anatomia patologica: nel 50% dei casi è una colite distale, localizzata solo al retto (proctite) o a retto e
sigma (proctosigmoidite). Può però estendersi al colon sinistro (colite sinistra) o fino al cieco
(pancolite). Le lesioni infiammatorie si estendono solo a mucosa e sotto mucosa. Nello stadio iniziale
vi è solo mucosa arrossata ed edematosa che sanguina al contatto. Possibili piccole ulcerazioni.
Ascessi criptici (granulociti nelle cripte). Stadio cronico-avanzato: ulcerazioni recidivanti con
distruzione della mucosa, spesso formazione di pseudopolipi. Può causare atrofia della mucosa, ma
non si formano ispessimenti e stenosi. Vi è rischio di sviluppo di displasia e quindi di carcinoma colo
rettale specie in pazienti con anche colangite sclerosante e che non usano mesalazina.

Clinica: la manifestazione tipica è diarrea mucosa e sanguinolenta. Dolori addominali prima della
defecazione e febbre. Può esserci tenesmo, alterazioni varie dell’alvo. Le manifestazioni
extraintestinali sono le stesse del Crohn, con maggiore frequenza di colangite sclerosante primaria.
Complicanze: può causare anemia, astenia, calo ponderale, ma anche emorragia massiva e

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perforazione e fistole. Il megacolon tossico è una complicanza acuta grave con abnorme dilatazione
gassosa del colon. Pare che la causa sia l’estensione dell’infiammazione ai plessi nervosi mioenterici.
Manovre diagnostiche invasive, oppioidi e anticolinergici possono scatenare un megacolon tossico
(MCT). La sintomatologia è caratterizzata da diarrea ematica, intensi dolori addominali, distensione
addominale e pallore, tachicardia, febbre anche elevata e confusione. All’esame obiettivo appare ileo
paralitico. Può causare perforazione. Si hanno alterazioni elettrolitiche (calcio, fosforo e potassio, per
alterato assorbimento) e alcalosi man mano più grave.
Vi è aumentato rischio di carcinomi colo-rettali per insorgenza di displasie dell’epitelio.
Decorso: è cronico recidivante con esacerbazioni che si alternano a remissioni. Più raramente (10%) il
decorso è continuato senza che vi sia mai remissione completa. Possibile anche un decorso acuto
fulminante con diarrea colerica, febbre, disidratazione e shock.
Diagnosi: anamnesi e clinica. Ispezione anale ed esplorazione digitale del retto. Ileo-colonscopia
completa con biopsie. Bisogna eseguire colonscopie di controllo per la diagnosi precoce di carcinoma
colo-rettale con esecuzione di biopsie. Soprattutto in caso di intervento con pouch ileo-anale.
Ecografie: può dimostrare un ispessimento diffuso della parete del colon.
Laboratorio: anemia, leucocitosi, VES e PCR aumentate. Escludere una colangite sclerosante primaria
in caso si trovino alterata gamma-GT e ALP. Possono essere dimostrabili autoanticorpi: p-ANCA.
Può essere confusa con una malattia intestinale infettiva o parassitaria (Shigella e Salmonella).
Possono esserci coliti severe da sovra infezioni di patogeni come CMV (non dare immunosoppresori).
La classificazione di Truelove e Witts tiene conto di numero di evacuazioni, febbre, frequenza
cardiaca, emoglobina e VES per valutare la gravità della patologia.

Terapia: non eziologica, mira a contenere le lesioni e i sintomi.


Terapia conservativa:
• Dietetica: valutare lo stato nutrizionale. Alimentazione liquida in caso di anoressia, anche
eventualmente con sondino naso-gastrico o parenterale. Deficit vitamine e ferro.
• Farmacologica: Induzione della remissione: si utilizzano:
1. Forme con poussée lieve: [diarrea ematica <4/die, <37°C, malessere generale modesto]:
soprattutto Mesalazina e corticosteroidi topici come Budesonide.
2. Forme di media gravità: [diarrea ematica 4-6/die, fino a 38°C, malessere accentuato]:
soprattutto corticosteroidi sistemici come il Prednisone.
3. Forme gravi: [diarrea ematica >6/die, febbre >38°C, malessere accentuato, polso >100]: si
trattano in ricovero con steroidi ev. per 5 giorni, sospensione alimentazione per os.
Altrimenti si utilizzano Ciclosporina A ev. o Infliximab (anticorpo anti-TNF alpha).
a. Mesalazina: preparato retard dell’acido 5-aminosalicilico (5-ASA). Ha meno effetti
collaterali della sulfasalazina. Esistono anche preparati topici. A differenza del Crohn la
mesalazina può servire anche a limitare le recidive. Effetti collaterali: cefalea, esantemi
allerfici, alopecia, alveoliti, aumento transaminasi, diarrea, pancreatite. Non si usa in
gravidanza e allattameno, in caso di allergia ai salicilati, insufficienza epatica o renale.
b. Corticosteroidi sistemici: per attacchi gravi o di media entità. (Prednisone 40-
60mg/die fino a remissione con successivo scalo in 4 settimane).
c. Corticosteroidi per via locale: Budesonide in caso di colite distale isolata o proctite.
d. Immunosoppressori: Ciclosporina A (colite refrattaria agli steroidi e molto attiva),
Azatioprina (decorsi clinici resistenti). Anche 6-mercapropurina, methotrexate.
• Farmacologica: Mantenimento della remissione: a lungo termina 5-Asa, ma anche
azatioprina. In alternativa mesalazina e sulfasalazina hanno comunque effetto.
• Chirurgia: riservata alle forme severe non responsive, così come nel megacolon tossico da 24
h e nei casi di displasia severa. Le resezioni parziali non forniscono buoni risultati (recidiva) si
fa proctocolectomia totale per ottenere guarigione. L'intervento di pouch ileo anale permette
di conservare la continenza mantenendo il meccanismo dello sfintere. Consiste nel collegare,
dopo aver rimosso la mucosa rettale, un'ansa intestinale al bordo anocutaneo. La pouchite è
una complicanza che risponde a metronidazolo e ciprofloxacina.
Prognosi: la proctosigmoidite isolata ha buona prognosi, nella pancolite la sopravvivenza è diminuita.
Bisogna eseguire regolari controlli per carcinomi. La 5-ASA a lungo termine riduce il rischio.

20
Colite microscopica: malattia intestinale cronica che causa diarrea cronica acquosa, con genesi
multifattoriale (forse i FANS sono scatenanti). Può essere collagenica (ispessimento dello strato di
colagene sub epiteliale per ridotta eliminazione) o linfocitaria (linfocitosi intraepiteliale).
Clinica: diarrea acquosa >4 settimane con attacchi intermittenti. Anche calo ponderale, dolori
addominali, diarrea notturna, nausea, meteorismo.
Diagnosi: il reperto endoscopico risulta macroscopicamente normale. Sono indicate biopsie multiple
in quanto l’interessamento è spesso discontinuo.
Terapia: sospendere i FANS. Corticosteroidi: Budesonide 6-8 settimane.

Malassorbimento e malattia celiaca

Malassorbimento: difetto nell'assorbimento di prodotti alimentari scissi nel lume intestinale e/o del
trasporto attraverso il torrente ematico e linfatico. Si associa ad affezioni dell'intestino tenue
(celiachia,infezioni intestinali, parassitosi croniche (esame parassitologico delle feci), amiloidosi
(depositi di amiloide), malattia di Whipple (infiltrazione della lamina propria da parte dei macrofagi
PAS+), deficit di lattasi (test respiratorio dell H2 ), Crohn (granulomi), amiloidosi), resezione
dell'intestino tenue, angina abdominis, linfomi maligni (infiltrazioni nella almina propria di cellule
linfomatose),drenaggio linfatico enterico, da tumori (gastrinoma, vipoma ecc).
Maldigestione: deficit dei meccanismi digestivi. Nella cattiva digestione pura si verifica solo
un'alterazione nell'assorbimento dei lipidi e delle proteine, raramente dei carboidrati. In generale c'è
un'alterazione della predigestione gastrica, della scissione delle componenti alimentari ad opera di
enzimi pancreatici o dell'emulsione di grassi da parte della bile. Si associa a uno stato post-
gastroresezione, a insufficienza pancreatica esocrina (da pancreatite cronica: chimotripsina+ elastasi
nelle feci sono diminuite), carenza di acidi biliari coniugati (colestasi con aumento di bilirubina
diretta, gamma GT, LAP; insufficiente riassorbimento nell'ileo), resezione ileale, Crohn ecc.

Sindrome da malassorbimento: sindrome multieziologica caratterizzata da diarrea cronica o


steatorrea, calo ponderale e sintomi carenziali. Enteropatia: patologia che causa malassorbimento.
Clinica: la sindrome da malassorbimento, una volta superata la compensazione da parte dell’intestino
non colpito dipende dall’estensione e dalla sede del tratto colpito. In linea di principio la maggioranza
di sostanze alimentari viene assorbita, dopo la scissione enzimatica, già nell'intestino tenue
prossimale, mentre la vitamina B12 e gli acidi biliari vengono assorbiti solo nell'ileo. Nel colon vengono
assorbiti solo acqua e elettroliti. Il malassorbimento può perciò essere selettivo (per esempio duodeno
anemia sideropenica; primo digiuno folati e calcio; ileo B12). La forma globale porta a sintomi da
mancanza di nutrienti e da persistenza nel lume. Astenia (deficit potassio), tetania e
iperparatiroidismo (Calcio),calo ponderale, edemi ( albumina sierica < 2,5 g/dL) da ipoproteinemia,
deficit vitamina K (coagulopatia) deficit di vitamina D (osteomalacia), deficit vitamina A (ulcere
aftose, glossiti, distrofia cutanea, alterazione vista emeralopia ovvero cecità notturna). Abbiamo
diarrea cronica con feci voluminose >300g /die.I sintomi da persistenza di nutrienti sono
meteorismo, dolore addominale, steatorrea. Non devono esserci tutti questi sintomi e neanche solo
questi. Persino l’obesità non esclude un malassorbimento.

Diagnosi: la sindrome da malassorbimento è frequentemente modesta e ingannevole. Bisogna


valutare la clinica (diarrea cronica/ steatorrea), lipidi nelle feci > 7g/24h; ridotti livelli sierici di vitA.
Grassi fecali e test allo xilosio e se sono positivi cercare la causa, anche se oggi nel sospetto si cerca
direttamente la causa. In senso generale biopsia per linfangectasia e enteropatie diffuse, clisma tenue
e pillcam per enteropatie focali, coltura delle feci per parassitosi, e in generale attenta anamnesi
(contaminazione batterica, intestino corto, etc.).
Differenza tra malassorbimento e alterata digestione: test di tolleranza allo xilulosio: a digiuno,
vengono somministrati al paziente 25g di D-xilulosio per os e si raccolgono le urine delle successive 5
ore. in caso di malassorbimento nel digiuno si riscontrano nelle urine valori di xilulosio <5g/5h.
Test di assorbimento della vitamina B12 ( test di Schilling): dopo somministrazione orale di vit B12
marcata, si misura l'eliminazione renale. In caso di malassorbimento resta diminuita anche in
associazioni a dose di fattore intrinseco. In caso di alterata digestione, entrambi i test sono normali.

21
Terapia: Causale: somministrazione di enzimi, ioni e vitamine carenti, trattamento infiammazioni,
neoplasie, diete prive di glutine o di lattosio. Sintomatica: regolazione del bilancio idroelettrolitico.

Malattia celiaca:
MC, enteropatia con atrofia villi intestinali, iperplasia, cripte, infiltrato infiammatorio nella mucosa,
causata dall’ingestione di glutine (farine di frumento, orzo e segale) che regredisce con l’eliminazione
di quest’ultimo dalla dieta. Può presentarsi nei neonati come negli adulti sia ex novo sia con sintomi
latenti sin dall’infanzia e poi precipitati per gastroenteriti o gravidanza. È pleomorfa, con sintomi lievi
o grave malassorbimento. Diagnosi precoce e dieta prevengono da sintomi, danni e complicanze.
1/200, più donne, 10% nei gruppi a rischio (familiari, anemia sideropenica, altre autoimmuni).
Eziopatogenesi: Fattori genetici: (familiarità), HLA DQ2 (90% dei celiaci vs 20% sani) e se non c’è
DQ2 c’è DQ8 (se mancano in pratica si esclude MC). Fattori ambientali: gliadina, componente del
glutine (nel grano), scissa in vari peptidi con varia tossicità e anche ordeina (orzo) e segalina (segale)
sono analoghe. La gliadina in genere degradata, raggiunge la lamina propria (insomma penetra nella
mucosa, forse tramite difetti delle tight-junctions) e la transglutaminasi le toglie un gruppo aminico (è
poliaminata) rendendola ancora più immunogena, le cellule APC la presentano (se hanno DQ2 o DQ8)
ai T con reazione infiammatoria e lesioni nella mucosa. Si sviluppano anche anticorpi anti-gliadina
(AGA), anti-endomisio (EMA), anti-transglutaminasi (anti-tg) e anche anti-gliadina deaminata.

Clinica: ampia variabilità di presentazioni. Forma maggiore, tipica: malassorbimento globale con
steatorrea, calo ponderale, diarrea, calo ponderale. Forma minore, atipica: sintomi extraintestinali
come anemia, ipostaturismo (età pediatrica), dolori ossei e fratture, dispepsia, amenorrea e infertilità,
sintomi neurologici, cute secca e alopecia, ipoplasia smalto dentario, ipertransminasemia. Silente:
sierologia positiva e atrofia villi senza sintomi. Latente: sierologia positiva, no danno istologico. Sprue
refrattario: resiste alla dieta.
Patologie associate soprattutto autoimmuni: dermatite erpetiforme di Duhring (eritemi, placche,
vescichette erpetiformi particolarmente all'estremità), diabete mellito I (3%), Down (7%), Sindrome di
Turner(8%), deficit di IgA (5%)CBP, CSP.

Complicanze: è raddoppiata la mortalità dei celiaci adulti, comunque circa 2,5% se seguono dieta e
6% se non la seguono. Se c’è diagnosi tardiva e poca dieta insorgono le complicanze che sono il
linfoma intestinale a cellule T, digiuno-ileite ulcerativa, cancro del tenue, sprue refrattaria. In
genere diagnosi precoce e dieta e rigorosa proteggono dalle complicanze. Abitualmente c'è deficit
secondario di lattasi (test del respiro all' H2 patologico dopo somministrazione di lattosio).

Laboratorio: test allo xilosio patologicamente ridotto (malassorbimento); test positivo agli anticorpi:
IgA antigliadina (specificità limitata), IgA anti-endomisio (più specifici dei precedenti), IgA anti
Transglutamminasi ( specificità> 95%).

Diagnosi: si può fare con istologia su biopsia duodenale (consigliata in soggetti a rischio e familiari)
+ sierologia con anticorpi. Gli anticorpi più specifici sono anti-Tg e EMA, gli AGA solo per bambini
sotto i 2 anni, la gliadina deaminata è in fase di sviluppo. IgA e IgG. Alto valore predittivo negativo ha
la ricerca di DQ2 e DQ8 (soggetti a rischio).
Il danno istologico segue la classificazione Di Marsh: 1): infiltrato linfocitario intraepiteliale 2)
Iperplasia cripte 3)(a,b,c) atrofia dei villi lieve, moderata, severa 4)atrofia totale dei villi.
Il miglioramento clinico con dieta priva di glutine viene affiancato a biopsia di controllo, in caso di
diagnosi incerta, come anche il test con glutine e la ripetizione della biopsia.

Terapia: dieta priva di glutine (patate, mais, riso, semi di soia), evitare prodotti contenenti frumento,
orzo, segale, ecc. Terapia di supporto solo per grave malassorbimento (vitamine e minerali). Si segue
tutta la vita anche nelle forme asintomatiche e silenti, non si sa se è utile nelle latenti. È una dieta
impegnativa e abbastanza costosa, ma serve perché le complicanze possono manifestarsi anche senza
malassorbimento.

22
I Gazzellini

- Interna -
- Endo -

A. Fusco
INDICE

Ipoglicemie e dislipidemie ..................................... 1

Diabete mellito ......................................................... 7

Tiroide ..................................................................... 66

Surrene .................................................................... 70
IPOGLICEMIE E DISLIPIDEMIE

Ipoglicemia
L'ipoglicemia è definita con la triade di Whipple: riduzione della glicemia, sintomatologia correlata,
regressione sintomatica all'innalzamento glicemico. Il limite di riferimento inferiore della glicemia è di
70 mg/dL; si ha ipoglicemia sotto i 55 mg/dL. La causa principale è la terapia per il diabete mellito;
secondariamente può essere dovuta a insufficienza d'organo, sepsi, deficit ormonali, insulinoma e
altre condizioni. L'ipoglicemia, se grave e prolungata, può portare a morte. La sua diagnosi deve
essere presa in considerazione in tutti i pazienti con confusione, stato alterato di coscienza o
convulsioni.

Omeostasi del glucosio


Il glucosio è la principale fonte di energia per l'encefalo, che non è in grado di sintetizzarlo né di
accumularne grandi quantità sotto forma di glicogeno. Se la glicemia si riduce troppo il metabolismo e
la funzionalità del sistema nervoso ne risentono. Esistono però una serie di meccanismi omeostatici di
difesa per prevenire o correggere rapidamente l'ipoglicemia: 80 mg/dL: riduzione della secrezione di
insulina; 70 mg/dL: aumento della secrezione di glucagone; 65 mg/dL: aumento della secrezione di
adrenalina; 60 mg/dL: aumento della secrezione di GH e cortisolo. <55 mg/dL: comparsa progressiva
di sintomi che stimolano meccanismi comportamentali di difesa (principalmente ingestione di cibo).

Clinica: i sintomi si dividono in neuroglicopenici e neurogenici. I sintomi sono piuttosto aspecifici e


che la loro attribuzione all'ipoglicemia va effettuata tramite l'individuazione della triade di Whipple.
1) Sintomi neuroglicopenici: sono la conseguenza della deprivazione di glucosio del SNC: alterazioni
comportamentali (in DD con malattie psichiatriche, intossicazioni da droghe o alcool), cefalea,
perdita di coordinazione motoria, riduzione dell’acuità visiva, confusione, astenia, convulsioni,
alterazione dello stato di coscienza.
2) Sintomi neurogenici (o autonomici): sono causati dall’attivazione del simpatico: Adrenergici:
cardiopalmo, tremori, ansia. Colinergici: sudorazione, fame, parestesie.
In base al quadro clinico è possibile individuare tre forme di iperglicemia:
1) Iperglicemia lieve: presenza di sintomi in un soggetto vigile e in grado di assumere carboidrati
(glicemia pari a 3 mmol/L: lievi sintomi neuroglicopenici, come alterazioni della sfera cognitiva).
2) Iperglicemia moderata: presenza di sintomi neurologici in un soggetto in grado di assumere
Carboidrati (sintomi più manifesti, attivazione del sistema noradrenergico a partire da 2 mmol/L)
3) Iperglicemia grave: perdita della coscienza (progressivamente i sintomi neuroglicopenici
peggiorano fino a convulsioni e coma quando raggiungiamo 1mmol/l).

Ipoglicemia nel diabete


L'ipoglicemia è una condizione molto frequente nei pazienti con diabete mellito tipo 1: questi soffrono
di circa due episodi di ipoglicemia lieve ogni settimana e almeno un episodio moderato o grave ogni
anno. Meno frequentemente è presente anche nei pazienti con diabete mellito tipo 2.
I fattori di rischio includono principalmente tutte quelle situazioni in cui l'insulina presente in circolo
è in eccesso rispetto al fabbisogno: dose eccessiva o somministrata con tempistica inopportuna, ridotto
apporto di glucosio (es. omissione di un pasto, pasto non carboidratico); aumentato uso di glucosio
(es. esercizio fisico vigoroso o lontano dai pasti); ridotta produzione endogena di glucosio (es. alcool a
digiuno), ridotta clearance dell'insulina (es. insufficienza renale).
È da notare, tuttavia, che l'eccesso relativo di insulina in condizioni normali dovrebbe innescare difese
fisiologiche e comportamentali, che invece sono ridotte nei pazienti diabetici perché: l'insulina non
può diminuire (perché non ce n'è, DMT1) o diminuisce di meno (perché ce n'è di meno, DMT2), il
glucagone non aumenta sufficientemente (probabilmente perché viene meno la stimolazione paracrina
da parte dell'insulina). Inoltre c'è un'attenuazione della risposta simpatico-surrenalica: il simpatico e il
surrene non rilasciano catecolamine sufficienti (riduzione della soglia glicemica di secrezione).
Questo provoca una minore sintomatologia neurogenica, che normalmente allerterebbe il paziente; ciò
causa un'inconsapevolezza dell'ipoglicemia che a sua volta provoca crisi ipoglicemiche ricorrenti.
Date queste premesse si devono considerare fattori di rischio aggiuntivi: deficit assoluto di secrezione

1
insulinica; precedenti episodi di ipoglicemia grave (e quindi inconsapevolezza dell'ipoglicemia).
La metformina e altri farmaci utilizzabili nella terapia per il diabete non dovrebbero causare
ipoglicemia; usata in associazione con l'insulina o con i secretagoghi dell'insulina aumenta il rischio.

Ricorda: Importante è la valutazione della diagnosi differenziale dell'ipoglicemia rispetto ad una


possibile autosomministrazione di insulina da parte di pazienti non diabetici affetti dda turbe
psichiche, in tal caso risulterò quindi elevato il livello di insulina, ma non del peptide C che è
indicativo della sintesi endogena dell'ormone stesso. Avremo pertanto:

I livelli insulinemici sono fortemente dipendenti dal BMI, in soggetti obesi i valori possono quindi
essere elevati.

Ipoglicemie senza diabete:

1) Ipoglicemia a digiuno:
Deficit ormonali: ipopituitarismo, insufficienza surrenalica, deficit di catecolammine, di glucagone.
Deficit enzimatici: di glucosio6fosfatasi, fosforilasi epatica, piruvato carbossilasi, fruttosio1-
6difosfatasi, PEP carbossichinasi, glicogeno sintasi.
Mancanza di substrati: ipoglicemia chetoacidosica dell'infanzia, malnutrizione grave, distruzione
muscolare, fase tardiva della gravidanza.
Patologie critiche: insufficienza epatica, renale, cardiaca, sepsi.
Farmaci: beta-bloccanti, chinoloni, Ace-inibitori, Sartani, Salicilati (alte dosi, come nel salicilismo).
Alcol: assunto per diversi giorni senza cibo. Inibisce la gluconeogenesi.

2) Ipoglicemia post prandiale o reattiva:


Può essere dovuta: -iperinsulinismo alimentare che si manifesta in seguito ad alimentazione, nel corso
di test quali l'OGTT, o una forma iniziale di alterazione del metabolismo glicidico che porterebbe a
diabete. -intolleranza ereditaria al fruttosio: -galattosemia -ipersensibilità alla leucina –idiopatica

3) Ipoglicemia da iperconsumo di glucosio:


• Con iperinsulinismo: insulinoma, insulina esogena, sulfaniluree, anticorpi anti insulina o
antirecettore insulinico, farmaci(chinino, disopiramide, pentamidina) shock da endotossine.
• Con normali livelli insulinemici: tumori extrapancreatici (grosse dimensioni, utilizzano molto
glucosio), deficit del sistema carnitina, deficit enzimi ossidazione degli acidi grassi, deficit del 3
idrossi3metilglutarilcoA-liasi, cachessia con deplezione di acidi grassi.

Approccio al paziente e terapia


L’ipoglicemia si deve sospettare in presenza di confusione, alterazioni della coscienza, crisi epilettica.
Idealmente occorre effettuare un prelievo ematico prima della somministrazione di glucosio, per
documentare l’ipoglicemia. Si pone diagnosi di ipoglicemia in presenza della triade di Whipple.
Se la causa dell’episodio ipoglicemico non è chiara è necessario effettuare altri esami sul prelievo:
insulina, peptide C, proinsulina, β-idrossibutirrato, ipoglicemizzanti orali.
La somministrazione orale di glucosio è appropriata se il paziente può assumerlo; si possono usare
glucosio, soluzioni glucosate, caramelle o cibo; una dose iniziale adeguata è 20 g di glucosio.
Se il paziente non può assumere sostanze per via orale è necessaria la terapia parenterale: 25 g di

2
glucosio intravenoso, seguito da infusione di soluzione glucosata guidata da valutazioni seriali della
glicemia.Se la terapia intravenosa non è praticabile: glucagone sottocutaneo o intramuscolare, che
stimola la glicogenolisi, seguito da assunzione di cibo. La prevenzione di nuovi episodi di ipoglicemia
dipende dalla causa sottostante.
Terapia Ipoglicemia reattiva: dieta frazionata con carboidrati a lento assorbimento
Nel caso di ipoglicemia reattiva post-prandiale, viene effettuato l'OGTT protratto per 5 ore:
-se è positiva la triade di whipple-----> ipoglicemia alimentare, ipoglicemia funzionale
-se è negativa la triade di whipple---->somministrare pasto misto----> se Whipple + :ipersensiibilità a
leucina, galattosemia, intolleranza al fruttosio...*Triade di Whipple: crisi ipoglicemica a digiuno,
glicemia <50mg/dL e risoluzione della crisi con somministrazione di glucosio.

Insulinoma: è il più frequente tumore del pancreas endocrino. In genere è benigno e unico, multiplo
soprattutto nel caso di MEN1. Nel 50% dei casi produce soltanto insulina, il resto anche altri ormoni.
Clinica: ipoglicemia, triade di Whipple.
Diagnosi: Test del digiuno: provocazione dell’ipoglicemia tramite digiuno e ripetute valutazione di
insuline mia e peptide C.
Diagnosi localizzazione: spesso intraoperatoria, la preoperatoria è difficile con piccoli tumori.
Possibile TC, scintigrafia con octreotide
Terapia: intervento chirurgico anche in laparoscopia. Se le crisi ipoglicemiche sono ripetute si può
ricorrere a somministrazione di diazossido + diuretico per evitare l'ipertensione dovuta al farmaco.
Prima dell’intervento o se inoperabile: Octreotide. In caso di metastasi epatiche: chemio, radionuclidi.

Iperlipidemia: concentrazione plasmatica di colesterolo o di trigliceridi che supera i valori di


riferimento a causa di alterazioni del metabolismo e del trasporto delle lipoproteine.

Fisiologia dei lipidi


Le lipoproteine sono particelle sferiche con un nucleo di trigliceridi ed esteri del colesterolo ed un
rivestimento di fosfolipidi, colesterolo libero e proteine. In base alla densità si distinguono cinque
classi di Lipoproteine:
• HDL: lipoproteine ad alta densità, secrete nel sangue da fegato e intestino. Deputate al trasporto
dai tessuti periferici al fegato.
• LDL a bassa densità. Derivano dalle IDL per impoverimento progressivo in tg. Ricche in
colesterolo, che distribuiscono ai tessuti periferici.
• IDL ( si formano dalle VLDL dopo aver ceduto parte dei tg ai tex. Sono più piccole delle VLDL e
ricche di colesterolo e esteri del colesterolo).
• VLDL (densità bassissima, sintetizzate negli epatociti. Trasportano Tg dal fegato ad altri tessuti
come l’adiposo e il muscolare).
• Chilomicroni ( presentano un core di Tg, fosfolipidi, colesterolo, vitamine liposolubili. Prodotti
negli enterociti, distribuiscono il loro contenuto a muscolo e tessuto adiposo).
HDL e LDL sono ricche in colesterolo, mentre VLDL e chilomicroni sono ricche in trigliceridi.

Metabolismo delle lipoproteine:


Circa 100g/dia di trigliceridi vengono ingeriti con i lipidi alimentari. Subiscono una parziale
digestione da parte della lipasi salivare e gastrica. Successivamente sono emulsionati dai Sali biliari,
trasformati in acidi grassi e glicerolo dalla lipasi intestinale, poi vengono assorbiti. Dopo
l’assorbimento degli acidi grassi vengono reincorporati nei trigliceridi nell’enterocita e come
chilomicroni passano nei linfatici.
Nell’intestino tenue sono assemblati trigliceridi ed esteri del colesterolo per essere inclusi nei
chilomicroni Insieme ad apob48. I chilomicroni raggiungono il plasma tramite il dotto toracico;
acquisiscono apoc2 dalle HDL, quindi possono interagire con la lipoproteinlipasi, che idrolizza i
trigliceridi, i cui acidi grassi vanno ai Tessuti periferici. I residui di chilomicroni sono assorbiti dagli
epatociti tramite interazione con apoe. Il fegato unisce ai trigliceridi endogeni apob100 per formare

3
VLDL. Queste entrano in circolo e, come i Chilomicroni, acquisiscono apoc2 ed esteri del colesterolo
dalle HDL; cedono quindi acidi grassi ai tessuti periferici (muscolo, tessuto adiposo). I residui di
VLDL sono detti IDL e vengono rapidamente metabolizzati dal fegato, in parte catabolizzati e in parte
convertiti in LDL. Le LDL sono le principali fonti di colesterolo per i tessuti periferici (e per lo stesso
fegato). Le cellule captano le LDL legandosi alla loro apob100, quindi le endocitano e le indirizzano al
lisosoma, ricavando colesterolo libero. I livelli di colesterolo citoplasmatici vengono regolati da due
enzimi. Il primo è l’acil-colesterolo Aciltrasferasi (ACAT), che esterifica il colesterolo. Il secondo è
l’idrossimetilglutaril-coenzima A reduttasi (HMG-coA reduttasi), tappa di regolazione della sintesi de
novo del colesterolo. La formula di Friedewald ( Colesterolo LDL = colesterolo tot - (col HDL+
(Tg/5)). Si divide per 5 il valore dei Tg, perché il rapporto nelle VLDL tra Tg e colesterolo è di 5:1.
Permette di calcolare il colesterolo nelle LDL a condizione che i trigliceridi siano <400 mg/dl:
Le HDL trasportano il colesterolo dalle cellule extraepatiche al fegato (trasporto inverso); in più è
responsabile del trasporto a tessuti steroidogenici come le ghiandole del corticosurrene, che
necessitano colesterolo per la produzione di ormoni steroidei. Sono sintetizzate nel Fegato e
nell’intestino come HDL nascenti (discoidi), nel sangue si arricchiscono di Apo a1, quindi nei tessuti
ricevono esteri del colesterolo, diventando sferiche. Il fegato acquisisce il colesterolo per endocitosi o
tramite una lipasi. L’importanza del trasporto inverso giace nel ruolo del fegato di escretore del
colesterolo, attraverso la bile.

Dislipidemie: distinguiamo diversi tipi di dislipidemie:


• Dislipidemie secondarie: a DM2, Ipotiroidismo, Obesità, Gravidanza, Alcolismo, Nefropatia,
LES, Paraproteinemia, Sindrome di Cushing, Colestasi, Anoressia nervosa ,Farmaci
(cortisonici, estrogeni, ciclosporina, diuretici, betabloccanti, retinoidi, antagonisti H2,
antiepilettici, tamoxifene).
• Dislipidemie primitive: tra di esse distinguiamo:
1) Dislipidemie prevalentemente ipercolesterolemiche:
• Ipercolesterolemia familiare: se neconoscono tre forme:
a. difetto del recettore per le LDL. b. difetto familiare di ApoB 100 ( mutazione nel gene legante
del recettore LDL, sono note solo forme eterozigoti, presenza di valori di colesterolo LDL e
rischio di cardiopatie coronariche comparabile con una leggera forma di ipercolesterolemia
familiare). c. ipercolesterolemia omozigote recessiva.
• Ipercolesterolemia poligenica comune.
2)Dislipidemie miste: 1)Iperlipidemia combinata familiare; 2)Iperlipidemia di tipo III
(disbetalipoproteinemia, dislipidemia a larga banda o da remnants)
3) Forme prevalentemente ipertrigliceridemiche: 1)Ipertrigliceridemia familiare poligenica;
2)Ipertrigliceridemia familiare da deficit di LPL o apo C-II(attivatore della lipasi); 3)Ipertrigliceridemia
grave (sindrome chilomicronemica).
Bassi livelli isolati di colesterolo HDL (ipoalfalipoproteinemia)

Ipercolesterolemia familiare: Malattia ereditaria AD, causata da deficit dei recettori delle LDL
(parziale, negli eterozigoti, totale negli omozigoti). Frequenza:Eterozigoti 1:500 (valori di
colesterolo: 300-500 mg/dl); Omozigoti 1:1.000.000 (valori di colesterolo 600-1000 mg/dl). Le
caratteristiche cliniche principali: Storia familiare, xantomatosi tendinea ( principalmente tendine di
Achille, tendine estensore delle dita), cardiopatia ischemica. Si fa Diagnosi: in presenza di Col. > 300
mg/dl nell’ adulto > 250 < 16 a oppure Col. LDL > 200 mg/dl nell’ adulto; diagnosi certa se + xantomi
tendinei nel proposito o nei parenti di I grado; diagnosi possibile se nell’ anamnesi familiare : Infarto
del miocardio < 55 a. oppure colesterolemia elevata nei parenti di I grado.

Ipercolesterolemia poligenica comune: Si manifesta con l’interazione di fattori endogeni (ereditari)


ed endogeni (alimentazione, sovrappeso, alcool, stile di vita).Presenta valori di colesterolo totale
compresi tra 250-350 mg/dl e con un rischio aumentato di cardiopatia ischemica

Iperlipemia familiare combinata: Si presenta con elevati livelli di trigliceridi e colesterolo e presenza
negli altri membri della famigli dello stesso fenotipo. Ha una frequenza 1:100. A.D. E’ un disordine

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eterogeneo, con evidente difficoltà diagnostica. C’è un aumentato rischio cardiovascolare.
E’aumentata la sintesi di Apo B100 e VLDL.

Iperlipoproteinemia di tipo III: Caratterizzata da elevati livelli di Colesterolo (>280 mg/dl) e


Trigliceridi (200-800 mg/dl) plasmatici, accumulo di remnants delle VLDL (ampia banda beta all’
elettroforesi),VLDL colesterolo/Trigliceridi plasmatici >0.25-0.30, presenza di isoforme specifiche di
ApoE (es. E2/E2) o di altre mutazioni ( la presenza di queste forme specifiche di APOE fa si che non
vengano ben riconosciute dal fegato e non vengono captate, queste VLDL sono più piccole e
più ricche di colesterolo), presenza di xantomi tuberosi e palmari, riduzione colesterolo LDL,
aterosclerosi precoce, si associa con ipotiroidismo, diabete mellito tipo 2, obesità. N.B. la principale
diagnosi differenziale tra queste due ultime forme di dislipidemie è che in quest’ultima forma non
riscontriamo alterazioni del metabolismo lipidico a carico dei familiari.

Ipertrigliceridemia familiare: c’è una storia familiare di ipertrigliceridemia, c’è fenotipo IV con
incremento delle VLDL circolanti( incremento della banda pre-b nel lipidogramma), trigliceridi
circolanti compresi tra 250-1000 mg/dl, livelli aumentati di colesterolo legato alle VLDL, livelli
aumentati di colesterolo LDL-c e APOb 100, colesterolo HDL ridotto, frequente associazione con
insulino resistenza, possibile presenza di patologia cardiovascolare, valori della trigliceridemia>1.000
mg/dl espongono a rischio di pancreatite acuta.

Sindrome chilomicronemica familiare:Caratterizzata da Tg compresi tra 1000 e 10000 mg/dl a partire


dall’età infantile, di chilomicroni in circolo a digiuno, difetto li LPL( lipoproteinlipasi) o di APOCII,
aumentato rischio di pancreatite acuta, non segnalato un aumento del rischio cardiovascolare,
xantomi eruttivi associati a sindrome chilomicronemica.
Ipoalfalipoproteinemia: Caratterizzata da HDL generalmente inferiore a 25 mg/dl, incremento del
rischio di CAD di 3 volte, spesso non risponde al trattamento, 50% della prole può essere affetto. N.B.
ricordare che HDL normale = 40 mg/dl negli uomini; 55 mg/dl nelle donne, è Ipoalfa = < 25 mg/dl
Tra i fattori che possono determinare una riduzione delle HDL(<40mg/dl): trigliceridi
elevati,sovrappeso e Obesità, sedentarietà, diabete di tipo 2, fumo, dieta ricca in carboidrati(> 60%
delle calorie), farmaci (beta-bloccanti, steroidi anabolizzanti, progestinici),malattie renali.

Iperalfalipoproteinemia (HALP): Moderata (80 mg/dl<HDL-C<100 mg/dl); Definita (HDL-C >100).

Conseguenze: la conseguenza principale delle dislipidemie è l’aterosclerosi, con tutte le sue sequele:
cardiopatia ischemica, arteriopatia obliterante periferica, ictus.
In caso di ipertrigliceridemia marcata si può avere pancreatite e steatosi epatica.
Si possono avere xantomi, in corrispondenza di tendini, palpebre, ginocchia e gomiti, pieghe
interdigitali, glutei, avambracci e palme delle mani.

Diagnosi: Profilo lipidico: trigliceridi, colesterolo totale e HDL, formula di Friedewald per il calcolo
del colesterolo LDL39, rapporto LDL/HDL, Lp(a). Anamnesi per dieta e stile di vita. Ricerca cause
secondarie: diabete mellito, sindrome metabolica, malattie epatobiliari, pancreatite, tireopatie,
nefropatie.Anamnesi familiare ed eventualmente valutazione genetica.

Terapia:al di là del trattamento delle malattie causali, si basa su dieta, esercizio, farmaci
ipolipemizzanti. La scelta dipende dal livello di colesterolo LDL e dalla presenza di fattori di rischio:

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1) Dieta: apporto calorico appropriato (per raggiungere o mantenere il peso ideale); carboidrati
(meglio se complessi, 55% calorie totali), grassi (meglio gli insaturi, 30%), colesterolo (<200 mg/die,
evitare roba tipo tuorlo d’uovo), proteine (<15%), fibre, omega 3, no alcol se c’è ipertrigliceridemia.
Nel caso di ipertrigliceridemia severa con chilomicronemia riduzione dei grassi (<20%) eventualmente
utilizzando acidi grassi a media catena. N.B. Bisogna sempre per prima cosa ridurre le LDL, poi si
riducono i trigliceridi.
2) Esercizio fisico: fino a 5 giorni alla settimana, 45’ di attività.
3) Farmaci ipolipemizzanti:
• Statine: LDL ! 18-55% , HDL" 5-15%, Tg ! 7-30%. Inibiscono la HMG-CoA e quindi la sintesi
endogena di colesterolo. Le più potenti sono Atorvastatina e Rosvastatina. Altre sono
simvastatina, lava statina, etc. Controindicazioni relative: farmaci (ciclosporina, antibiotici
macrolidi, vari antifungini e inibitori del citocromo P-450 (fibrati e niacina con cautela). Effetti
collaterali: miopatie e mialgie, aumento della CK, raramente grave rabdomiolisi.
• Resine a scambio anionico: LDL ! 15-30%; HDL"3-5%; TG nessuna variazione. Formano
complessi insolubili con gli acidi biliari. Colestiramina. Controindicazioni assolute:
disbetalipoproteinemia; TG >400 mg/dl, Relative: TG >200 mg/dl
• Fibrati: LDL ! 5-20% (" se TG elevati), HDL" 10-20%,TG! 20-50%. Aumentano il catabolismo di
lipoproteine con triglicerdii. Controindicazioni assolute: nefropatia grave; epatopatia grave.
• Acido nicotinico: LDL ! 5-25%, HDL" 15-35%, TG ! 20-50%. Controindicazioni Assoluta:
epatopatia cronica; gotta grave. Relative: diabete, iperuricemia; malattia ulcerosa peptica.
• Acidi grassi #-3 LDL " 8-10%, HDL" 1-5%,TG! 15-35%. Controindicazioni Relative: diabete.
• Ezitimib: nuovo, da associrare alla statina per ridurre il livello di LDL.
Le statine sono i farmaci di prima scelta. Se abbiamo un paziente con presenza di trigliceridi elevati è
possibile utilizzare in associazione alle statine i fibrati. Un soggetto che inizia un trattamento con
statine deve sempre essere informato sui possibili effetti collaterali.Il monitoraggio degli enzimi
muscolari può essere eseguito col fine di controllare una eventuale tossicità muscolare. Se i sintomi
muscolari sono tollerabili e la CK<5 si continua la terapia con statine. Se CK>5-10 o i sintomi
muscolari sono intollerabili, bisogna considerare la sospensione della terapia. Eventualmente può
essere ripresa dopo un mese per valutare la riproducibilità della sintomatologia alla stessa dose. Se
questa persiste, si cambia statina, si da alla dose minima e si aggiunge 10 mg di ezetimib e con
rosvastatina a giorni alterni. Se perdura: ezetimib in ionoterapia, fibrati o acido nicotinico.

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Diabete mellito

Gruppo di disordini metabolici che condividono il fenotipo di iperglicemia. I vari tipi di diabete
sono causati da un’interazione complessa di fattori genetici e ambientali; l’iperglicemia è causata
da ridotta secrezione insulinica, ridotto utilizzo e aumentata sintesi di glucosio (causati da minore
sensibilità all’insulina). La disregolazione metabolica del diabete mellito provoca alterazioni
secondarie in diversi distretti corporei, in particolare è la principale causa di nefropatia terminale,
amputazione degli arti inferiori, cecità nell’adulto e predispone a malattie cardiovascolari.
Epidemiologia: La prevalenza del diabete mellito è aumentata negli ultimi vent’anni: nel mondo
ci sono circa 285 milioni di diabetici. In Italia il 5-6% della popolazione è affetto da DM. La
prevalenza è maggiore con l’avanzare dell’età e della sovra alimentazione ed è simile negli uomini
e nelle donne.
Classificazione eziologica:
Tipo 1: Distruzione delle cellule beta del pancreas. C’è deficit assoluto di insulina. Abbiamo:
Forma 1A immunomediata: LADA (latent autoimmune diabetes in adults). Si manifesta fra 25-40 a
di vita. La carenza di insulina si forma lentamente. Vanno dimostrati gli anticorpi anti GAD; Forma
1B idiopatica: Rara. Senza causa riconosciuta. I soggetti con questa forma di diabete hanno
insulinopenia permanente e sono tendenti alla chetoacidosi, ma non hanno alcuna evidenza di
autoimmunità;
Tipo 2: Gruppo eterogeneo di malattie caratterizzate da ridotta sensibilità all’insulina, alterata
secrezione di insulina, aumentata sintesi di glucosio.
Altri tipi specifici di diabete
• difetti genetici della funzione delle cellule beta con ereditarietà A.D. (MODY: maturity onset
diabetes of the young senza dimostrazione di autoanticorpi e senza obesità)
• difetti genetici del meccanismo di azione dell’insulina
• malattie del pancreas esocrino (es. pancreatite, fibrosi cistica)
• endocrinopatie (es. acromegalia, Cushing, feocromocitoma)
• farmaci (es. glucocorticoidi, diuretici, ormoni tiroidei)
• altro: infezioni (rosolia congenita, CMV), forme immuno- mediate rare (anticorpi anti recettori
dell’insulina), altre sindromi genetiche associate (down, Turner, Klineferter), Diabete gestazionale.
Classificazione dell’OMS secondo la gravità clinica: Alterata tolleranza al glucosio, non
insulinodipendente (DM 2), diabetici di tipo 2 che necessitano di antidiabetici orali+ insulina,
diabetici di tipo 1 e 2 senza produzione propria di insulina.

Diagnosi e screening: La tolleranza al glucosio si classifica in tre categorie: omeostasi normale del
glucosio, alterata omeostasi del glucosio, diabete mellito. Si può valutare tramite la glicemia a
digiuno (FPG), la risposta al carico orale di glucosio dopo due ore, l’emoglobina glicata (A1C).
Diabete mellito: Glicemia a digiuno: ≥126 mg/d; Risposta al carico orale dopo 2 h: ≥200 mg/dL;
Emoglobina glicata: ≥6,5%; Glicemia casuale: ≥200 mg/dL con sintomi.
Alterata omeostasi: FPG: 100-125 mg/dL; OGTT: 140-199 mg/dL; Emoglobina glicata: 5,7-6,4%.
Omeostasi normale: FPG: <100 mg/dL; OGTT: <140 mg/dL; Emoglobina glicata: <5,6%.
L’alterata omeostasi del glucosio racchiude un insieme di persone che hanno un maggior rischio di
sviluppare diabete: dopo 10 anni una persona su tre sviluppa diabete mellito.
I test più affidabili ed economici per identificare il diabete mellito sono la glicemia a digiuno e
l’emoglobina glicata; il test di risposta al carico orale non è usato di routine (è più indaginoso).
Poiché la diagnosi di diabete mellito ha delle importanti conseguenze per il paziente è necessario
confermare il primo risultato con un secondo test prima di porre diagnosi definitiva. È consigliato
usare la glicemia a digiuno e l’emoglobina glicata come test di screening per il DMT2 in tutte le
persone oltre i 45 anni di età ogni 3 anni, in particolar modo se sono sovrappeso (IMC >25 kg/m2)
e hanno altri fattori di rischio.
La determinazione a digiuno è un test sensibile, che deve essere fatto dopo 8 ore dall’assunzione di
cibo. Un’iperglicemia transitoria può aversi in caso di: infarto miocardico, ischemia cerebrale,
ipertensione endocranica, avvelenamento da CO, somministrazione di diuretici tiazidici.
OGTT: non è un’indagine di routine, si preferisce praticarla in casi dubbi, dopo la valutazione
della glicemia a digiuno. Il paziente deve digiunare 10 ore prima del test. Fattori fisici e farmaci
come estrogeni, diuretici e corticosteroidi possono alterare il risultato.
Determinazione della glicosuria: la normale soglia renale di glucosio è di 150-180 mg/dl.
Determinazione di corpi chetonici: si potrà riscontrare beta-idrossibutirrato.

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Fisiologia dell’insulina :L’insulina è prodotta nelle cellule beta delle isole pancreatiche come pre-
pro-insulina; è trasformata in un ormone peptidico formato da una catena A e una catena B legate
da un ponte disolfuro, con il rilascio di un peptide C31. La secrezione dell'insulina è regolata
principalmente dal glucosio: all'aumentare della glicemia il glucosio entra liberamente nelle cellule
beta attraverso il trasportatore GLUT2 ! glicolisi e fosforilazione ossidativa ! ATP ! chiusura
canale KATP ! non esce piú K+ !
depolarizzazione ! esocitosi. In seguito all’ingestione di cibo le cellule neuroendocrine del tratto
gastrointestinale rilasciano le incretine (es. GLP-1), che amplificano la secrezione insulinica.
L’insulina passa nel sistema venoso portale e per il 50% viene rimossa emetabolizzata dal fegato; la
restante quota agisce a livello sistemico sui recettori insulinici, di tipo tirosina-chinasico, composti
da due subunità e due subunità . L'azione dell'insulina è sul fegato, sull'adipe e sul muscolo con
effetti anabolici (glicogeno, acidi grassi, proteine) e anticatabolici (riduzione lipolisi, glicogenolisi,
catabolismo proteico).

Patogenesi del tipo 1 (<10%): Il diabete mellito tipo 1 è il risultato dell’interazione tra fattori
genetici (concordanza del 60% in omozigoti), ambientali (proteine di latte bovino)e immunologici
(coxackie virus, rubeola, parotite, CMV)che portano alla distruzione delle cellule beta pancreatiche
e al deficit insulinico. Le massa di cellule beta è normale alla nascita ma si riduce successivamente
per un processo autoimmunitario innescato da fattori ambientali. Quando l’80% delle cellule
viene distrutto abbiamo la comparsa dei sintomi (iperglicemia). Il passaggio a diabete mellito
franco è innescato da un aumento della richiesta di insulina (infezioni o la pubertà). Importante è
l’influenza genetica. Particolarmente correlato è l’aplotipo HLA-DR3 o HLA-DR4 (presente nel
90% della popolazione affetta), poi i polimorfismi nel promotore dell’insulina, CTLA4, PTPN22Le
cellule beta sono le uniche coinvolte nel processo autoimmunitario. Sono presenti anticorpi anti
insulina (IAA, l’antigene è la proinsulina), anti glutammato decarbossilasi (GAD), anti ICA512
(anticorpi anticellule insulari. Antigene: ganglioside), anti IA-2( tirosinfosfatasi),il trasportatore
di zinco ZnT- 8. Dimostrazione in caso di diabete di tipo 1:ICA 80%, GADAIA e 2° insieme >90%,
transitoria remissione sotto terapia immunosoppressiva. IAA non sono importanti per la diagnosi.

Patogenesi del tipo 2 (>90%)Sono centrali per lo sviluppo del DMT2 la ridotta sensibilità
all’insulina e la sua secrezione anomala. Il primo fenomeno precede il secondo, ma il diabete
diventa manifesto solo quando la secrezione insulinica diventa inadeguata. La dicitura “ridotta
sensibilità all’insulina” indica l’incapacità dell’insulina di agire efficacemente sui tessuti bersaglio;
è preferibile al termine “insulinoresistenza” perché un livello più alto di insulina è comunque in
grado di normalizzare la glicemia. Il diabete mellito tipo 2 ha una forte componente genetica
(concordanza in omozigoti 70-90%) e le persone con un genitore con DMT2 hanno un rischio
aumentato. Fra i geni coinvolti importante è il TF7L2 (transcription factor 7-like 2), in misura
minore il recettore PPAR , IRS, il recettore IR del potassio, un trasportatore dello zinco32. Non si
conosce esattamente il meccanismo patogenetico, ma generalmente alterano lo sviluppo o la
funzione delle cellule insulari o la secrezione insulinica. All’inizio della malattia la sensibilità
all’insulina diminuisce ma la tolleranza al glucosio rimane costante perché le cellule beta
compensano ipersecernendo insulina. Il sistema si scompensa quando le cellule beta non riescono
a sostenere il ritmo di secrezione e iniziano a iposecernere insulina con conseguente ridotta
tolleranza al glucosio; poi si ha diabete mellito franco. Alla fine si ha insufficienza delle cellule
beta. La ridotta sensibilità all’insulina provoca un minore utilizzo di glucosio da parte dei tessuti
insulino- sensibili e un maggior rilascio epatico di glucosio. Il meccanismo molecolare di ridotta
sensibilità insulinica non è ancora chiarito; è possibile che siano coinvolti meccanismi di
fosforilazione inibitoria postrecettoriale (es. PI-3K riduce l’esposizione di GLUT4 sulla
membrana). L’obesità centrale, condizione molto frequente (80%) nei pazienti con diabete mellito
tipo 2, ha un ruolo patogenetico: l’aumentata massa adipocitaria provoca un incremento di acidi
grassi liberi e adipochine iperglicemizzanti nonché una riduzione di adiponectina (che ha effetto
ipoglicemizzante). Una conseguenza secondaria è l’afflusso epatocitario di grassi, che provoca
aumentata sintesi di grassi nel fegato (e possibilmente steatoepatite). La secrezione insulinica
inizialmente è normale (addirittura aumentata per compensare, v. sopra); in un secondo momento
diminuisce, in maniera limitata alla sua quota stimolata dal glucosio. Progressivamente
l’alterazione secretoria diventa più grave; al deficit vero e proprio si accompagna un
disaccoppiamento iperglicemia-secrezione. La causa della ridotta secrezione non è chiara; è
possibile che sia conseguenza della tossicità da glucosio o da acidi grassi o che sia dovuta a

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depositi fibrillari di amilina.
Il diabete di tipo 2 è una malattia a larga prevalenza, in cui sono molto importanti i fattori
ambientali e che si può quindi prevenire, screenando la popolazione per identificare forme di
diabete o di altre alterazioni metaboliche (alterata glicemia a digiuno o ridotta tolleranza al
glucosio). Le misure di screening: glicemia a digiuno in tutti i soggetti con età > 45 anni. Se il test
risulta negativo dovrà essere ripetuto ogni 3 anni. Il test di glicemia a digiuno si fa nei soggetti di
età < 45 anni se: obesi (> 120% del peso ideale o con BMI > 27kg/m2); con un parente di 1° grado
affetto da diabete; gruppo etnico ad alto rischio di diabete; donne che hanno partorito un bambino
di peso > 4kg (microsomia) o con pregressa diagnosi di diabete gestazionale (GDM); ipertesi (P.A.
> 140/90 mmHg); colesterolo HDL < 35 mg/dl e/o trigliceridi > 250 mg/dl; positivi per alterata
glicemia a digiuno (IGF) o alterata tolleranza al glucosio (IGT). In questi casi il controllo glicemico,
se negativo, deve essere più frequente (annuale?). Secondo alcuni, nei soggetti ad alto rischio (con
due o più fattori di rischio), sarebbe necessario effettuale anche un test da carico orale di glucosio,
in quanto è la metodica più idonea nell’identificare la ridotta tolleranza al glucosio. Situazioni di
stress (infezioni, traumi,interventi chirurgici, infarto), endocrinopatie o farmaci possono far
palesare un DM 2.
DM tipo 1 DM tipo 2
patogenesi Carenza insulinica Resistenza insulinica
costituzione fisica astenica Obesa
esordio Spesso acuto lento
età 12-24 a >40 a
Cell B Ridotte a < 10% Lievemente ridotte
Insulina plasma/pept C Ridotti/assenti Inizialm. aumentati
autoanticorpi + -
Eq. metabolico Labile stabile
Tend. Alla chetosi Marcata lieve
Ris. Alle sulfonamidi Assente buona
Terapia insulinica Necessaria Solo all’esaurimento delle
riserve insulina

Sindrome metabolica: Chiamata sindrome del benessere. Sono presenti obesità


addominale,dislipoproteinemia,HTA e alterata tolleranza al glucosio. Alla base della sindrome
metabolica vi è resistenza all’insulina. L’iperinsulinismo conseguente è alla base del senso di fame,
dell’obesità e dell’aterosclerosi conseguente. Parametri diagnostici: Obesità addominale con una
circonferenza vita > o uguale a 94 cm (M) o > uguale di 80 cm (FM). Presenza di almeno due dei
seguenti fattori: trigliceridi>150mg/dl; HDL<40 mg/dl (M) o <50mg/dl (F) ; PA >130/85;
glucosio plasmatico a digiuno >100mg/dl o DM tipo 2. Vale anche la pregressa terapia per uno di
questi disturbi.

Diabete monogenico: Esistono sei forme di diabete mellito che dipendono dalla mutazione di un
singolo gene e si ereditano in modo autosomico dominante; sono dette MODY (maturity- onset
diabetes of the young). I MODY 1, 3 e 5 sono causati da mutazioni nei fattori epatocitari nucleari
(HNF), che sono fattori di trascrizione coinvolti nello sviluppo delle cellule insulari e
nell’espressione di geni correlati alla secrezione dell’insulina. Il MODY 2 è causato da mutazioni
nel gene per la glucochinasi che alterano la valutazione della glicemia da parte delle cellule beta;
insieme al MODY 3 è la forma più frequente. Il MODY 4 è raro ed è causato da mutazioni nel
fattore promotore dell’insulina 1. I MODY si manifestano con diabete neonatale transitorio o
permanente; esiste un fenotipo moderato (es. MODY 2), con media iperglicemia e rare
complicanze, e un fenotipo grave (es. MODY 3) con grave iperglicemia e frequenti complicanze.
Mutazioni: MODY 1: HNF-4 MODY 2: GK; MODY 3: HNF-1 ; MODY 4: IPF-; MODY 5: HNF- 1 ;
MODY 6: NeuroD1. Il MODY,pone problemi di diagnosi differenziale con le forme di diabete di
tipo 2 puro. I criteri diagnostici sono: età di insorgenza < 25 anni; controllo metabolico senza
insulina per oltre 2 anni; ereditarietà autosomica dominante (tre generazioni). Quando sono
presenti questi criteri si può pensare alla ricerca dell’alterazione genetica, in quanto il MODY è
l’unica forma di diabete monogenica.

Diabete LADA : Il latent autoimmune diabetes of the adult è un sottotipo del diabete mellito tipo
1; è detto anche non insulin- requiring autoimmune diabetes, NIRAD. È catatterizzato da

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un'insulite poco aggressiva che progredisce lentamente verso il deficit secretorio di insulina e
l’insulino- dipendenza ( riduzione di C- peptide a digiuno e dopo stimolo). Ha una presentazione
iniziale simile a quella del tipo 2, ma senza obesità. Elementi utili per la diagnosi e per la terapia
sono: età di esordio del diabete generalmente > 25 anni; presentazione clinica all’esordio simile a
quella del diabete tipo 2 senza obesità, inizialmente trattabile con dieta e/o OHA; necessità di
intraprendere insulinoterapia nell’arco di mesi (>6) o di anni (≤ 10); stessi alleli di suscettibilità
HLA del diabete tipo 1 (l’associazione con tali marker genetici si indebolisce con l’aumentare
dell’età alla diagnosi) e positività per alcuni autoanticorpi organo- specifici " insulari. In generale,
si può effettuare la valutazione di marcatori autoimmunitari ( Ab anti insula; Ab anti insulina;
anticorpi anti GAD ovvero anti acido glutammico decarbossilasi). Se uno o più di questi anticorpi
risultano positivi è molto probabile che ci troviamo di fronte ad una forma di
Diabete latente autoimmune dell’ adulto (LADA) o Diabete autoimmune non richiedente insulina
(NIRAD). Anche se c’è da dire che,la ricerca di questi anticorpi, da un punto di vista chimico, non
è agevole e sono pochissimi i laboratori che sono in grado di ricercarli.

Clinica del DM conclamato: mentre il DM di tipo 1 si sviluppa velocemente, quello di tipo 2 ha


uno sviluppo insidioso che passa spesso inosservato. Abbiamo sintomi generali: astenia
affaticabilità; da iperinsulinismo e ipoglicemia transitoria (stadio iniziale del DM2): bulimia
sudorazioni, cefalea; sintomi da iperglicemia e glicosuria con diuresi osmotica: poliuria,
polidipsia,sete, calo ponderale;sintomi da alterazione dell’equilibrio idroelettrico: crampi ai
polpacci di notte, disturbi alla vista; manifestazioni cutanee: prurito (spesso ano-genitale)
infezioni cutanee batteriche/micotiche, rubeosi diabetica (eritema al volto), necrobiosi lipoidea
(ulcere); impotenza amenorrea.

Complicanze acute del diabete mellito: Il diabete mellito può condurre a due complicanze acute,
la chetoacidosi diabetica e lo stato iperglicemico iperosmolare. Entrambe le condizioni sono
associate a deficit insulinico, ipovolemia e anomalie acido-base e possono portare a gravi
complicanze se non sono prontamente diagnosticate e trattate.

Chetoacidosi diabetica : La chetoacidosi diabetica è una complicanza acuta del diabete


caratterizzata da iperglicemia, chetosi e acidosi. Ogni anno si presentano sei episodi di
chetoacidosi diabetica ogni mille pazienti; in un caso su cinque si tratta di pazienti con diabete non
diagnosticato. Le manifestazioni includono nausea e vomito, dolore addominale, polidipsia e
poliuria, tachicardia, ipotensione, respiro di Kussmaul, alito fruttato (acetonico), sopore. La
patogenesi prevede la combinazione di deficit insulinico con eccesso di glucagone e adrenalina.
Questo provoca un aumento della gluconeogenesi e della glicogenolisi (che spiegano
l’iperglicemia) e della lipolisi: quest’ultima libera acil-CoA che sono trasformati in acetil-CoA che,
in assenza di insulina, viene metabolizzato in corpi chetonici. A un pH fisiologico i corpi chetonici
sono chetoacidi neutralizzati dal bicarbonato; quando le riserve di questo ione si riducono si
instaura l’acidosi metabolica.
La sintomatologia può essere quindi classificata in base alla patogenesi:
iperglicemia ! diuresi osmotica ! poliuria ! polidipsia ! disidratazione ! tachicardia,
ipotensione, astenia
chetoacidosi ! respiro di Kussmaul ! alito fruttato ! vomito ! sopore ! disturbi
elettrolitici ! dolore addominale e muscolare
La diagnosi tempestiva di chetoacidosi diabetica è cruciale ed essenziale per la terapia. Le tre
caratteristiche della condizione (iperglicemia, chetosi, acidosi) sono essenziali. La glicemia varia da
250 a 600 mg/dL. Il pH arterioso varia tra 6,8 e 7,3. Si può misurare la chetonemia o la chetonuria
(sarebbe preferibile misurare il drossibutirrato perché più presente; la chetonemia è > 3 mM). In
conseguenza della disidratazione si possono avere aumenti dell’azotemia e della creatininemia.
Sono solitamente presenti delle alterazioni sistemiche elettrolitiche, ma possono non manifestarsi
alle analisi del sangue.
Diagnosi differenziale: l’iperglicemia può essere da DMT2, coma iperosmolare, stress; la chetosi
da alcool o da digiuno; l’acidosi da eccesso di lattato o urea.
Una volta che si pone diagnosi si avvia la terapia, che si basa sulla reidratazione e sull’insulina.
Con la terapia appropriata la mortalità da chetoacidosi è inferiore all’1%.
1. 1 L/h di soluzione fisiologica 0,9% nelle prime 2 ore. Quando i parametri emodinamici
(pressione arteriosa, turgore delle giugulari) e il volume urinario si normalizzano si passa a 0,5

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L/h di soluzione 0,45%; quando la glicemia raggiunge i 200 mg/dL si usa una soluzione con
glucosio al 5%.
2. Bolo di insulina endovena (0,1 unità/kg), poi infusione endovena continua di 5-10 unità/h.
Quando la glicemia raggiunge i 200 mg/dL si riduce l’infusione continua e si aggiunge la
soluzione con 50 glucosio (v. sopra): questo consente di evitare di far tornare immediatamente la
glicemia nei valori di riferimento (con conseguenti complicanze: si può avere edema cerebrale per
ipotonicità).
3. Monitorare lo stato del paziente: glicemia ogni 2 ore, elettroliti ogni 4 ore, stato
emodinamico,respiratorio, mentale, di idratazione. 4.Reintegrare il potassio. 5.Continuare il
trattamento fino alla stabilizzazione (glicemia 150-250 mg/dL, risoluzione dell’acidosi). 6.Stabilire
la causa scatenante: sospensione trattamento insulinico, infezione, trauma, infarto, cocaina.

Stato iperglicemico-iperosmolare Lo stato (o sindrome) iperglicemico-iperosmolare è una


complicanza caratterizzata da grave iperglicemia (>600 mg/dL), marcata disidratazione,
iperosmolarità e assenza di corpi chetonici; può essere presente una lieve acidosi (pH > 7,3). È
dieci volte meno frequente della chetoacidosi diabetica; colpisce principalmente gli anziani con
DMT2. La patogenesi è simile a quella della chetoacidosi; non c’è iperchetonemia perché il deficit
insulinico è relativo. Accanto al deficit di insulina è presente il fattore di uno stato protratto di
ridotta idratazione, che aggrava l’ipovolemia da diuresi osmotica.
Lo stato iperglicemico-iperosmolare si manifesta con un esordio insidioso di poliuria, perdita di
peso, confusione e letargia; si può avere coma. La terapia è simile a quella per la chetoacidosi;
poiché in questo caso la disidratazione è più marcata c’è bisogno di un trattamento reidratante più
intenso, e comunque la mortalità è notevolmente più alta (15%). Chetoacidosi diabetica: Glicemia:
250-600 mg/dL; Osmolalità: <320 mOsm/mL (poco aumentata); Chetonemia: > 3 mM; HCO3; # ;
pH: 6,8-7,3; Gap anionico [Na – (Cl + HCO3-)]: $ Stato iperglicemico-iperosmolare: Glicemia: 600-
1200 mg/d; Osmolalità: > 330 mOsm/mL; Chetonemia: < 0,5 mM (normale) HCO3: normale; pH:
> 7,3; Gap anionico [Na – (Cl + HCO3-)]: normale o leggermente $

Complicanze croniche del diabete mellito: Le complicanze croniche del diabete mellito
coinvolgono molti organi e sono responsabili della maggioranza della morbidità e morbilità
associate alla malattia. Si dividono in vascolari e non vascolari.
1. vascolari: microvascolari: retinopatia, neuropatia, nefropatia (specifiche del diabete) o
macrovascolari: coronaropatia, arteriopatia periferica, ischemia cerebrale, soglia dell’angina
disturbata (eventuali infarti silenti), arterpatia periferica obliterante o occlusiva. Prognosi meno
favorevole ( il rischio di infarto è aumentato del 20-30% se c’è HTA, o >30% se concomitante
nefropatia).
2. non vascolari: gastroparesi, infezioni, manifestazioni genitourinarie e dermatologiche, deficit
uditivo. Il rischio di complicanze croniche aumenta in funzione della durata e della gravità
dell’iperglicemia; solitamente non si manifestano prima di vent’anni di iperglicemia (nel DMT2
possono essere il problema che porta alla diagnosi). Il meccanismo esatto con cui l’iperglicemia
conduce alle complicanze non è chiaro; sono state proposte diverse teorie:
1.AGE: l’eccesso intracellulare di glucosio provoca la formazione di prodotti terminali di
glicosilazione avanzata, che provocano reticolazione proteica e alterazioni endoteliali.
2.via del sorbitolo: l’eccesso di glucosio è convertito sorbitolo, che favorisce la
produzione di ROS.
3.PKC: l’iperglicemia determina aumento della via della PKC che altera la sintesi di proteine
endoteliali e neuronali.
4.ipotesi emergente: l’iperglicemia provocherebbe cambiamenti epigenetici.

Micro vascolari: 1)Retinopatia diabetica :Il diabete mellito è la causa principale di cecità acquisita
tra i 20 e i 74 anni (DM1 svluppa RD nel 90% a 15 a; DM2 25% a 15 a). Laneovascolarizzazione è
indotta da un fattore di crescita angiogenetico. Il cattivo controllo metabolico, HTA e fumo
peggiorano la RD. La retinopatia diabetica si sviluppa attraversando un primo stadio non
proliferativo e un secondo stadio proliferativo. Il primo stadio: lieve: solamente microaneurismi.
moderato: singole emorragie intra retiniche con veno di calibro variabile con aspetto a filo di perle.
grave: microaneurismi e emorragie intra retiniche in tutti e quattro i quadranti o vene a filo di
perla in almeno due quadranti o anomalie intraretiniche micro vascolari in almeno un quadrante
(regola del 4-2-1). Il passaggio allo stadio proliferativo è segnato dalla comparsa di vasculo

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neogenesi in risposta all’ipossia retinica; i nuovi vasi si formano vicino al nervo ottico e alla
macula, si danneggiano facilmente, con conseguenti emorragia del corpo vitreo, fibrosi e distacco
della retina ( anche glaucoma). La maculopatia diabetica (focale,diffusa, ischemica) è una
complicanza della retinopatia in cui la macula è interessata da alterazioni edematose,le quali
provocano perdita della vista. La prevenzione è il modo migliore per contrastare la retinopatia
diabetica, e si basa sul controllo glicemico e pressorio. È inoltre necessario effettuare
un’oftalmoscopia con pupille dilatate regolarmente: inizialmente ogni due anni, poi ogni anno. La
retinopatia diabetica, se individuata precocemente, può essere trattata efficacemente con
fotocoagulazione al laser. Screening retinopatia diabetica (esame del fondo oculare,
fluoroangiografia):
Diabete di tipo 1: Alla diagnosi, per fini educativi/dimostrativi; dopo 5 anni o alla pubertà: In
assenza di RD, almeno ogni 2 anni, In presenza di RD non proliferante lieve/moderata, ogni 6
mesi, In presenza di RD più avanzata, a giudizio dell’oculista. Diabete di tipo 2: Alla diagnosi: In
assenza di RD, ogni 2 anni; in presenza di RD non proliferante lieve/moderata, ogni 6 mesi; in
presenza di RD più avanzata, a giudizio dell’oculista.

2)Neuropatia diabetica: Un paziente diabetico su due sviluppa neuropatia diabetica, che si può
manifestare come polineuropatia periferica sensoriale e motoria ( 80%),la polineuropatia
prossimale (rara) e neuropatia autonomica( 2° per frequenza). La forma più comune è la
polineuropatia distale simmetrica, che si manifesta con parestesie a calzino, ariflessia
(dell’achilleo), e progressivamente perdita della sensibilità somatica e dolorifica (il che pone a
rischio di ulcerazioni ai piedi). Un sintomo precoce è la riduzione della sensibilità vibratoria
(testata mediante diapason). Valutabile anche perdita della sensibilità pressoria, termica e
dolorifica. C’è riduzione della velocità di conduzione delle fibre nervose. La polineuropatia
prossimale si presenta con: 1)una forma rara di neuropatia asimmetrica con dolori all’anca e alla
porzione anteriore della coscia, riduzione del riflesso patellare e eventuale paresi del quatricipite;
2)Paresi dei nervi facciali periferici (es paresi dei muscoli oculari con diplopia) 3)radiculopatia
diabetica con dolori ‘a cintura’ e alterazione della sensibilità ( a livello del tronco). La neuropatia
autonomica ( colpisce il simpatico e il parasimpatico)può interessare diversi sistemi con
manifestazioni specifiche. Cardiovascolare: 15 % dei casi. Aritmie ventricolari sino alla
fibrillazione, ischemia miocardica silente, ridotta o assente variabilità della frequenza cardiaca (ad
es. durante il test di Valsalva o o durante test ortostatico),ipotensione ortostatica (assenza di
tachicardia riflessa nel passaggio alla posizione eretta) sincope. Gastrointestinali: disfagia,
gastroparesi,
diarrea, costipazione, incontinenza. Genitourinari perdita di sensibilità vescicale, incontinenza
urinaria, disfunzione erettile, disfunzione sessuale femminile. Neuroendocrino: assenza della
contro regolazione ormonale all’ipoglicemia (scarsezza di sintomi), ridotta increzione
catecolamminergica allo stimolo ortostatico e allo sforzo. Termoregolazione: ridotta secrezione
sudoripara (piede diabetico caldo e asciutto), ridotta vasodilatazione. È necessario effettuare
annualmente l’esame obiettivo neurologico, ricercando perdita di sensibilità e perdita dei riflessi.
La terapia non è molto efficace: la normalizzazione della glicemia spesso non causa la remissione
dei sintomi.

Sindrome del piede diabetico: 25% di tutti i diabetici anziani. Lesioni traumatiche al piede, di
varia eziologia, possono portare a ulcera infetta e necessità di amputazione del piede. Il piede
diabetico si presenta come caldo e cute molto secca ( non c’ odore di piedi), ridotto stimolo tattile e
vibratorio, della sensibilità termo dolorifica. Alla podografia si rileva (valutazione dinamica della
distribuzione della pressione nel piede) c’è aumento pressorio sull’avampiede e sull’alluce.
Frequenti complicanze: ulcere neuropatiche non dolenti nelle zone sottoposte a carico e
sovrinfezione. Nel 50% dei casi (fumatori, ipercolesterolemici, HTA), possiamo avere un piede
ischemico da occlusione arteriosa con una clinica caratterizzata da: piede freddo, pallido,
eventualmente sub cianotico. Il polso pedideo spesso non è apprezzabile e al doppler PAcaviglia/
PA braccio è < 0,9, sensibilità propriocettiva profonda conservata, necrosi o gangrena. Il 35% ha
una forma mista neuropatico-ischemica.
Secondo la classificazione del piede diabetico di Wagner abbiamo cinque gradi: 0. Piede a rischio
senza lesione; 1. Ferita superficiale; 2. Ferita fino al tendine; 3. Ferita fino all’osso; 4. Limitata
necrosi del tallone o dell’avampiede; 5. Necrosi di tutto il piede. La classificazione è completata:
A. nessuna infezione/ischemia B. con infezione C. con ischemia D. con infezione e ischemia.

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Nefropatia diabetica : Patologia caratterizzata da (micro)albuminuria persistente (>20mg/l),
HTA, diminuita velocità di filtrazione glomerulare, aumentato rischio cardiovascolare (20%per
pazienti con creatinina sierica aumentata). I fattori di rischio per una nefropatia accelerata sono:
HTA, rid dell’albumina, accuratezza della regolazione del diabete, ipercolesterolemia,fumo,
elevata assunzione di proteine. Anatomia patologica: DM1: glomerulo sclerosi; DM2: aspecifiche
alterazioni renali, vascolari e tubulo interstiziali.
La nefropatia diabetica è caratterizzata da una sequenza predicibile di eventi distinguibile in
cinque stadi; le lesioni, un tempo credute irreversibili, fino a un certo stadio possono regredire in
seguito a normoglicemia prolungata.
1.Fase di iperfunzione. Nei primi anni di malattia si sviluppa iper perfusione glomerulare e
ipertrofia renale (iperglicemia dà attivazione dei fattori di crescita) con aumento della velocità di
filtrazione glomerulare; l’albuminuria è normale e non ci sono lesioni istologiche. 2.Fase silente.
Compaiono lesioni istologiche glomerulari in assenza di manifestazioni cliniche. 3.Fase della
nefropatia incipiente. Dopo 10 anni dall’inizio della malattia nel 40% dei pazienti si ha aumento
della permeabilità glomerulare con Microalbuminuria. 4. Fase della nefropatia conclamata. Nei
successivi 10 anni in un paziente su due si ha evoluzione a macroalbuminuria (proteinuria): in
seguito all’accumulo di glicoproteine si verifica espansione mesangiale che determina riduzione
del lume dei capillari glomerulari, con riduzione progressiva della velocità di filtrazione
glomerulare. Glomerulo sclerosi e fibrosi interstiziale .5.Fase della nefropatia cronica.
Progressivamente si ha perdita di funzione renale fino all’insufficienza renale entro 7-10 anni in un
caso su due. In questo caso il paziente necessita di dialisi o di trapianto d’organo. È necessario
effettuare annualmente la valutazione dell’albuminuria, della creatininemia e della velocità di
filtrazione glomerulare. In caso di microalbuminuria, una volta escluse le altre possibili cause, si
ripete l’analisi nell’arco di sei mesi: se due test dell’albuminuria su tre sono positivi si avvia il
trattamento, che si basa su ACE-inibitori o su antagonisti del recettore dell'angiotensina II. La
frequenza e la gravità della nefropatia sono correlate alla durata del diabete e al controllo
metabolico. Si è visto che una terapia ipertensiva precoce con ACEi (anche in presenza di
ipertensione border line) rallenta la progressione della nefropatia e riduce la mortalità
cardiovascolare.

Eliminazione di Clearance della Osservazioni sulla clearance della


Stadio albumina creatinina creatinina e sull’eliminazione di
(mg/l) (ml/min) albumina
Danno renale con Creatinina sierica nomale. PA
funzione normale >90 normale e aumentata ,
dislipidemia.Progressione più
rapida di coronaropatie,
arteropatia ostruttiva, Cronica,
retinopatia e neuropatia.
a)microalbuminuria 20-200
b)macroalbuminuria >200
Danno renale con Creatinina sierica aumentata,
insufficienza renale >200 HTA, dilipidemia, tendenza a
ipoglicemia, rapida progressione
a coronaropatia,
retinopatia, neuropatia. Sviluppo
anemia e alterato metabolismo
osseo
a)lieve 60-89
b) moderato 30-59
c)elevato 20-200
d) terminale In diminuzione <15

Complicanze diabetiche macrovascolari: Nei pazienti diabetici è aumentato il rischio di malattie


cardiovascolari, tra cui coronaropatia, arteropatia periferica, infarto del miocardio (a tal punto che
l’American Heart Association considera il diabete mellito analogo all’infarto del miocardio come
fattore di rischio per ulteriori infarti). Queste manifestazioni sono le stesse che si hanno nei
pazienti non diabetici ma si differenziano per alcune caratteristiche: precocità, rapido decorso,

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peggiore prognosi, interessamento di vasi multipli, rischio
aumentato per le donne. Fattori di rischio per le complicanze macrovascolari sono la dislipidemia
($tg, #HDL, $LDLpd), l’ipertensione, l’obesità, la ridotta attività fisica, il fumo di sigaretta,
l’alterata coagulazione. L’iperglicemia agisce probabilmente provocando anomalie delle
apolipoproteine, glicosilazione di proteine plasmatiche e endoteliali, glicossidazone e
infiammazione subclinica. È possibile effettuare lo screening dei pazienti diabetici asintomatici:
annualmente si effettua l’esame obiettivo cardiovascolare di base e, solo nei pazienti ad alto
rischio, esami strumentali più specifici. Il trattamento delle malattie cardiovascolari non differisce
da quello utilizzato per i pazienti non diabetici.

Altre complicanze croniche del diabete: La cataratta è più frequente, rispetto alla popolazione
sana, sotto i 30 anni nei pazienti con DMT1 e sopra nei pazienti con DMT2. È causata da
glicosilazione delle proteine del cristallino e iperattivazione della via del sorbitolo. La terapia
consiste nella sostituzione del cristallino con una lente. Le infezioni sono più frequenti e più gravi
nei pazienti diabetici a causa di un insieme di fattori: la ridotta perfusione provoca ristagno,
l’iperglicemia facilita la colonizzazione e altera l’immunità. La dermatopatia diabetica è la
manifestazione cutanea più frequente del diabete mellito; è caratterizzata dalla presenza di
macchie marroni atrofico-cicatriziali, più frequentemente in sede pretibiale.
Diminuzione della resistena alle infezioni; alterazione del metabolismo dei lipidi (aumento dei
trigliceridi e diminuzione delle HDL), ipertrigliceridemia e steatosi epatica, ipoaldosteronismo.

Approccio al paziente diabetico: un’anamnesi accurata deve focalizzarsi su aspetti quali il peso, la
storia familiare di diabete mellito, il rischio cardiovascolare, l’esercizio fisico, il fumo e il consumo
di etanolo. I sintomi di iperglicemia includono poliuria, polidipsia, perdita di peso, astenia, visione
sfocata, infezioni superficiali ricorrenti, riduzione della guarigione cutanea. L’esame obiettivo deve
essere particolarmente centrato su aspetti come il peso e l’indice di massa corporeo, lo stato della
retina, la pressione arteriosa ortostatica, lo stato dei piedi (cute, sensibilità) e i polsi periferici. La
valutazione di laboratorio deve innanzitutto determinare se il paziente rientra nei criteri
diagnostici per il diabete mellito, quindi permette di seguire l’efficacia del controllo glicemico. È
possibile anche valutare condizioni associati al diabete mellito, come la microalbuminuria, la
dislipidemia, la disfunzione tiroidea, il rischio cardiovascolare.

Terapia: gli scopi della terapia sono: 1. eliminare i sintomi correlati all’iperglicemia; 2. eliminare le
complicanze croniche; 3. permettere al paziente uno stile di vita il più normale possibile.
Obiettivi della terapia: gli obiettivi terapeutici sono:
Emoglobina glicata (HbA1c): <7%; Glicemia capillare pre-prandiale: 70-130 mg/dl;
Glicemia capillare post-prandiale: <180 mg/dl; Pressione arteriosa: <130/80;
LDL: <100 mg/dl; HDL: >40-50 (donne) mg/dl; Trigliceridi: <150 mg/dl.
Nei pazienti giovani affetti da diabete di tipo 1 sarebbe auspicabile arrivare anche a valori di
HbA1c di 6.5 %. In persone più anziane ci si “accontenta” anche di valori tra il 7 e l’8 %.
Poiché è relativamente semplice conseguire il primo obiettivo (i sintomi regrediscono quando la
glicemia si riduce sotto i 200 mg/dL) la terapia è solitamente mirata a conseguire gli altri due;
d’altra parte la concordanza dei pazienti tende a diminuire non appena essi perdono la
motivazione del trattamento sintomatico. È importante che i pazienti diabetici siano educati in
modo continuativo circa la malattia e che la terapia sia affiancata dal controllo della nutrizione e
da un adeguato esercizio fisico. Il monitoraggio glicemico si compone di un quadro a breve
termine,fornito dall’automonitoraggio, e da uno a lungo termine fornito dal controllo
dell’emoglobina glicata. L’automonitoraggio prevede l’uso di un glucometro, che calcola la
glicemia del sangue capillare; la frequenza di misurazione deve essere personalizzata: i pazienti
trattati con insulina misurano la glicemia almeno tre volte al giorno (per stabilire la dose
farmaceutica e per valutarne l’efficacia), mentre la maggior parte dei pazienti con DMT2 hanno
bisogno di una frequenza di misurazione minore.

Terapia dietetica: nel diabete di tipo 1 il paziente è in genere normopeso, mentre nel diabete di
tipo II un obiettivo importante è portare il BMI <25. In generale bisogna evitare pasti pesanti e
preferire piccoli pasti frequenti. Composizione della dieta: proteine 10-15% (delle calorie), grassi
(30%, meglio insaturi), carboidrati (50-60%, preferibile evitare monosaccaridi e disaccaridi perché
rapidamente assorbiti). In più fibre (rallentano l’assorbimento di carboidrati).

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Terapia nel Diabete di tipo 1: i cardini della terapia del DMT1 sono la somministrazione di
insulina, la dieta e l’esercizio fisico. L’insulina è indispensabile per supplire alla carenza
dell’ormone endogeno e idealmente mima il pattern fisiologico di secrezione. In media il
fabbisogno giornaliero di insulina è di 0,5-1 U per kg di peso corporeo. Lo schema di
somministrazione più adottato è quello intensivo, che consiste nella somministrazione di iniezioni
multiple o nell’utilizzo di microinfusori: un’insulina basale al giorno e un’insulina rapida ad ogni
pasto principale. Un altro schema è l’iniezione continua subcutanea di insulina (CSII), in cui un
dispositivo rilascia nel sottocute quantità predeterminate di insulina nell’arco delle 24 ore in base
ad un input regolato a sua volta dall’automonitoraggio glicemico.
Nei diabetici di tipo 1 possono esserci metodiche di somministrazione insulinica diverse, ad
esempio mediante microinfusori preprogrammati sulla base delle glicemie dei giorni precedenti.

Terapia nel tipo 2: Le classi di farmaci usati nella terapia del DMT2 sono:
• Farmaci non insulino-secretagoghi (non insulinotropi):
1) Biguanidi: Metformina: Insulino-sensibilizzante: riduce la produzione epatica di glucosio,
aumenta il suo utilizzo periferico; ritarda l’assorbimento intestinal.. Lieve riduzione di LDL e TG.
Assunzione: si parte da dosi basse. Ha un effetto ipoglicemizzante ritardato di alcune settimane.
Controindicazioni: può dare acidosi lattica pertanto da evitare in caso di insufficienza renale,
insufficienza cardiaca (forse), insufficienza epatica, interventi chirurgici. No gravidanza.
Effetti collaterali: disturbi gastrointestinali (30 % dei casi), per cui si consiglia di assumere prima
le dosi minime per poi aumentarla; causa anche dimagrimento. Acidosi lattica.
Quando il filtrato è al di sotto dei 45-50 ml/min, in genere nei nefropatici si usa l’insulina.

2) Glitazoni: Pioglitazone e Rosglitazone: Insulino sensibilizzanti: legano i recettori nucleari


PPAR- gamma del tessuto adiposo. Promuovono la ridistribuzione dell’adipe dal centro verso la
periferia; Causa lipolisi dei trigliceridi e aumentano la captazione di glucosio. Permettono una
diminuzione di 0,5-1 di HBA1c. Anche questi hanno azione ritardata; Il pioglitazone, molto usato,
può determinare ritenzione di liquidi, per cui non va usato nel soggetto con scompenso cardiaco.
Controindicazioni: insufficienza cardiaca, epatica, allergia al farmaco.
Effetti collaterali: aumento di peso, scompenso ed edemi periferici, disturbi visivi, anemia.

3) Inibitori dell’alpha glicosidasi: Miglitolo e Acarbosio: Sono farmaci che riducono


l’assorbimento intestinale degli oligosaccaridi. Meccanismo: inibizione disaccaridasi ! riduzione
assorbimento glucosio nel crasso. Controindicazioni: MICI, antecedenti occlusione,
malassorbimento, cirrosi, allergia al farmaco. Effetti collaterali (lievi): flatulenza che migliora
assumendolo insieme ai pasti, meteorismo, dolori addominali.

• Farmaci insulino-secretagoghi (insulinotropi):


1) Sulfaniluree: Glibenclamide, Glimepiride, Glipizide: agiscono interagendo con il canale per il
potassio sensibile all’ATP (KATP), stimolano la secrezione insulinica. Hanno efficacia notevol,
ma esauribile nel tempo.
Assunzione: 30 minuti prima del pasto (sono farmaci poco maneggevoli).
Controindicazioni: insufficienza renale o epatica grave, diabete tipo I, gravidanza e allattamento,
interazione con miconazolo. Meglio non darlo con anticoagulanti orali, salicilati, diuretici, etc.
Effetti collaterali: può causare ipoglicemia, specie negli anziani e soprattutto con sforzo fisico,
digiuno, sovradosaggio, insufficienza renale, alcolici. Anche aumento peso, disturbi GI.

2) Glinidi: Repaglinide: diminuisce il picco glicemico postprandiale. Si assume al momento del


pasto. Controindicazioni: insufficienza epatica, gravidanza. Effetti collaterali: epatici, ipoglicemia.

3) Incretine: Inibitori DDP4 (Gliptine) e Analoghi GLP-1 (Exenatide, Liraglutide): sono costosi.
Stimolano l’azione pro-insulinica del GLP1 o tramite inibizione del DDP4 (enzima che degrada
GLP1) o analoghi resistenti a DDP4. Gli inibitori di DDP4 aumentano anche HDL e riducono i
trigliceridi, non cambiano il peso corporeo, ma sono meno efficaci. Gli analoghi del GLP-1
aumentano la sazietà rallentando lo svuotamento gastrico (azione a livello centrale). Vengono dati
per via sottocutanea ed hanno il vantaggio di dipendere dalla gliceima, ossia il loro effetto si
riduce al ridursi della glicemia, riducendo i rischi di ipoglicemia. Inoltre, aumentano i livelli di
insulina solo dopo l’introduzione per os di pasti ricchi in carboidrati (glucosio dato per ev non

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Schema terapeutico:
Dieta ipocalorica + attività fisica.
-se controllo insufficiente: aggiungere Metformina (in genere si usa come primo farmaco (no nei
soggetti con IR) anche perché è stato dimostrato che riduce gli eventi cardiovascolari)
-se controllo insufficiente: aggiungere Glitazoni o Sulfanilurea o Secretagogo o Incretine
-se controllo insufficiente: aggiungere insulina bed-time (insulina intermedia serale).
-se controllo insufficiente: terapia insulinica

In generale comunque la scelta dell’agente ipoglicemizzante iniziale si basa sul livello di


iperglicemia:
1. Moderata (<250 mg/dL): Metformina in associazione con dieta e attività fisica
2. Grave (>250 mg/dL):
• Trattamento iniziale con insulina per portare rapidamente ad un controllo glicemico,
migliorare la secrezione endogena di insulina e l’efficacia degli altri farmaci
• Combinazione di metformina con un altro farmaco.
Secondo l’Herold nei pazienti non in sovrappeso sarebbe meglio cominciare con Sulfaniluree.
A causa della natura progressiva della malattia, un considerevole numero di pazienti deve passare
a terapia di combinazione di metformina con altri due farmaci e, alla fine, alla terapia insulinica.

Insulina:
Indicazioni alla terapia insulinica: Diabete di tipo I, Diabete di tipo II (in caso di fallimento o
insufficienza di dieta e ADO, in gravidanza, in caso di complicanze, prima di interventi chirurgici).

Modalità di somministrazione: il fabbisogno giornaliero di insulina è di 0,5-1 U/kg (per soggetti


normopeso 40 U). 1 U di insulina abbassa la glicemia di circa 30-40 mg/dL, neutralizzando quindi
circa 1 U di carboidrati (10 g); questo valore è comunque variabile da paziente a paziente e anche
nelle varie fasi della giornata. Dosaggio iniziale: 0.30-0.50 UI/Kg/die regolabile in base al profilo
glicemico. Ripartizione del dosaggio secondo la modalità Basal Bolus: 20% a colazione; 40% a
pranzo; 40% a cena (30 rapida/70 basale).
Nella terapia insulinica si cerca di imitare ciò che avviene fisiologicamente, ossia l’insulina basale
è garantita dall’insulina a lungo termine (glargina, detemir) che in genere si dà prima di andare a
dormire, mentre i picchi post-prandiali sono garantiti dalla somministrazione dell’insulina rapida
al momento dei pasti.

Terapia insulinica convenzionale: si usa insulina intermedia o mista; è piú semplice ma è uno
schema rigido, non regolabile in base alla quantità di cibo né all’attività fisica:
• Modello a 2 somministrazioni: Colazione: 2/3-3/4 dose. Cena: il resto.
• Modello a 3 somministrazioni: Mattina: mista. Mezzogiorno: normale. Sera: mista.

Terapia insulinica intensificata: cerca di mimare maggiormente il profilo fisiologico di


insulinemia e consente una maggiore flessibilità, ma è piú complessa. Prevede la somministrazione
del 40-50% del fabbisogno totale in due dosi di insulina intermedia o in una ad azione protratta
(per coprire le richieste basali) e del restante 50-60% con insulina normale o analoghi prima dei
pasti. È richiesto un autocontrollo glicemico frequente (almeno 4/die):
• Schema 1 (complesso ma flessibile): Colazione-Pranzo-Cena: rapida. Notte: azione protratta.
• Schema 2 (semplice ma poco flessibile): Colazione: 2/3 (di cui 2/3 rapida e 1/3 intermedia).
Cena: 1/3 (di cui ½ rapida e ½ intermedia).

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Il dosaggio preprandiale di insulina è calcolato dal paziente attraverso una formula, es. 1 unità per
ogni 10 g di carboidrati piú 1 unità per ogni 50 mg/dL di scarto della glicemia dalla glicemia
preprandiale desiderata. Peculiarità nel diabete di tipo 2: Visto che la secrezione di insulina non è
completamente assente la terapia insulinica si inizia con una singola dose giornaliera di insulina
lenta (0,4 U/kg/die), per esempio prima di andare a dormire. Quando la malattia progredisce
spesso diventa necessario aggiungere delle iniezioni preprandiali, come per il DM tipo 1.

Terapia insulinica intensificata con pompe (microinfusore): una pompa esterna infonde insulina
rapida sottocute. L’infusione avviene continuamente per l’apporto basale (alcuni apparecchi
consentono di aumentarlo alle prime ore del mattino, per evitare il fenomeno dell’alba); l’apporto
pre-pasto è invece indicato di volta in volta dal paziente stesso in base all’entità del pasto e
dell’attività fisica.

Complicanze:
Ipoglicemia: per sovradosaggio, inadeguato apporto di carboidrati, maggiore attività fisica,
riduzione del peso corporeo, interazione con farmaci e alcool.
Iperglicemia mattutina (“fenomeno dell’alba”): per aumentata secrezione notturna di GH.
Lipodistrofia nei punti di iniezione ! importante variare. Resistenza all’insulina. Infezioni
locali (pompa). Coma iperglicemico per ostruzione della pompa.

Diabete mellito gestazionale: Il diabete mellito gestazionale (3-7% di tutte le gravidanze) è


causato dalla ridotta sensibilità all’insulina che si instaura durante la gravidanza a causa di
alterazioni ormonali; la maggior parte delle pazienti torna a valori normali dopo il parto ma ha un
alto rischio di sviluppare diabete mellito. La ricerca del diabete gestazionale è effettuata alla 16a
settimana se c’è un sospetto preciso (diabete in una precedente gravidanza, età>35 a, pregressa
macrosomia,pregressa pre eclampsia, obesità, incremento ponderale importante, crescita
dismorfica del feto, parto prematuro precedente, IMC > 30, alterata omeostasi del glucosio). Se
negativo va eseguito di nuovo tra la 24 e la 28a settimana, come anche se non ci sono dei fattori di
rischio: età superiore ai 35 anni, IMC > 25, precedente macrosomia fetale, familiari con DM. Lo
screening si esegue con curva da carico orale di glucosio. Diagnosi di diabete manifesto in
gravidanza: Glicemia a digiuno (FPG): > o uguale 126 mg/dL (7,0 mmol/L) , due riscontri.
Glicemia random (RPG): > o uguale a 200mg/dL (11,1 mmol) da riconfermare con glicemia
plasmatica a digiuno (> o uguale 126 mg/dL).
Diagnosi di diabete insorto durante la gravidanza: Tutte le gestanti con glicemia a digiuno alla
prima visita inferiore a 92 mg/dL e /o senza precedenti diagnosi di diabete manifesto,
indipendentemente da fattori di rischio per D. gestazionale, devono eseguire un carico di glucosio
orale tra la 24 e 48 settimana di gestazione ( Si raccomanda somministrazione di glucosio anidro
sciolti in 300 ml di acqua. FPG= 92 mg/dL o 5,1 mmol/L; 1ore. PG= 180 mg/dL o 10 mmol/L; 2
ore PG= 153 mg/dL o 8,5 mmol/L). Nelle donne ad alto rischio si suggerisce di anticipare lo
screening (14-18 settimane). Fattori di rischio sono: obesità, eccessivo aumento di peso in
gravidanza, macrosomia fetale o idramnios, glicosuria ripetuta a digiuno, precedente parto di
neonato con peso > 4 Kg, precedente diabete gestazionale, parente di 1° grado con D.M.
- l’ OGTT dovrà essere eseguito con 75g di glucosio e prelievi venosi a tempi 0, 60, 120 per la
determinazione di glicemia su plasma. Si pone diagnosi di GDM quando uno o più valori risultano
uguali o superiori alla soglia.
-Le donne affette da diabete gestazionale dovranno rivalutare la tolleranza glucidica mediante
OGTT (2 h 75 grammi) a distanza di 8-12 settimane dal parto (ovvero quando gli squilibri
ormonali saranno ridotti), essendo il diabete gestazionale un FR per il diabete di tipo 1 e 2.
Complicanze: Per la madre: aumento del rischio di poliidroamnios (glucosio nell’amnios aumenta
la pressione osmotica),pre eclampsia, complica diabete. Per il neonato: malformazioni
(cardiovascolari, scheletriche),macrosomia fetale, ritardo di crescita intrauterino (per le
complicanze intravascolari), maturazione polmonare ritardata e morte fetale improvvisa. Terapia:
consta essenzialmente nella dieta. Si usa insulina, dal momento che non passa la placenta(sebbene
la metformina si pensa non sia teratogena, per quest’ultima non ci sono ancora indicazioni).
Importanti i controlli pre e post prandiali. Se c’è buon controllo glicemico e non c’è sofferenza
fetale, il parto si induce alla 38a settimana (dopo aumenta il rischio di macrosomia).

17
66  
 

xvii‹”‘‹†‡  

La  tiroide  è  una  ghiandola  endocrina  che  produce  due  ormoni  correlati,  la  tiroxina  (T 4)  e  la  triiodiotironina  (T3);  questi  
ŽƌŵŽŶŝŚĂŶŶŽƵŶƌƵŽůŽĨŽŶĚĂŵĞŶƚĂůĞŶĞůůĂĚŝĨĨĞƌĞŶnjŝĂnjŝŽŶĞĐĞůůƵůĂƌĞĚƵƌĂŶƚĞůŽƐǀŝůƵƉƉŽĞŶĞůů͛ŽŵĞŽƐƚĂƐŝƚĞƌŵŝĐĂĞ
metabolŝĐĂ ŶĞůů͛Ğƚă ĂĚƵůƚĂ͘ >Ă ƚŝƌŽŝĚĞ ğ ĨŽƌŵĂƚĂ ĚĂ ƵŶ ŝŶƐŝĞŵĞ Ěŝ ĨŽůůŝĐŽůŝ ƐĨĞƌŝĐŝ ĐŽŶƚĞŶĞŶƚŝ ĐĞůůƵůĞ ĨŽůůŝĐŽůĂƌŝ ĐŚĞ
circondano   la   colloide,   un   fluido   che   contiene   la   tireoglobulina;   si   sviluppa   dal   pavimento  linguale   e  migra   fino   alla  
regione   anteriore   del   collo;   cellule   della   cresta   neurale   dal   corpo   ultimobranchiale   portano   invece   alla   formazione  
delle  cellule  C  midollari  che  producono  calcitonina.  Lo  sviluppo  tiroideo  è  mediato  da  una  serie  di  fattori:  TTF1,  TTF2,  
PAX8.  
Le   malattie   tiroidee   possono   essere   da   aumentato   volume   (gozzo),   infiammatorie,   disfunzioni   (ipertiroidismo,  
ipotiroidismo)  e  noduli/tumori  (benigni  o  maligni)43.  

Fisiologia  dello  iodio  e  degli  ormoni  tiroidei  


>ŽŝŽĚŝŽƐŝƚƌŽǀĂŝŶĐŽŶĐĞŶƚƌĂnjŝŽŶŝŵŽůƚŽĂůƚĞŶĞůů͛ĂĐƋƵĂŵĂƌŝŶĂ͕ĂůƚĞŶĞŝƉĞƐĐŝ͕ďĂƐƐĞŶĞůů͛ĂĐƋƵĂĚŽůĐĞ͕ŶĞŝǀĞŐĞƚĂůŝĞ
ŶĞŐůŝĂŶŝŵĂůŝƚĞƌƌĞƐƚƌŝ͘>ŽŝŽĚŝŽŝŶƚƌŽĚŽƚƚŽĐŽŶů͛ĂůŝŵĞŶƚĂnjŝŽŶĞǀŝĞŶĞĂƐƐŽƌďŝƚŽŶĞůů͛ŝŶƚĞƐƚŝŶŽĞǀĂĂĐŽƐƚŝƚƵŝƌĞůĂƌŝƐĞƌǀĂ
plasmatica  di  ioduro;  da  questa  entra  nella  tiroide  tramite  trasporto  attivo  mediato  da  NIS,  un  trasportatore  presente  
ŝŶ ƋƵĂŶƚŝƚă ŝŶǀĞƌƐĂŵĞŶƚĞ ƉƌŽƉŽƌnjŝŽŶĂůĞ Ăůů͛ĂƉƉŽƌƚŽ ĚŝĞƚĞƚŝĐŽ Ěŝ ŝŽĚŝŽ44.   Lo   iodio   legato   agli   ormoni   tiroidei,   tramite  
desiodazione,   ritorna   nella   riserva   plasmatica;   complessivamente   lo  iodio  introdotto   con  la   dieta   è  in   equilibrio   con  
ƋƵĞůůŽĞůŝŵŝŶĂƚŽ;ƉƌŝŶĐŝƉĂůŵĞŶƚĞĂůŝǀĞůůŽƌĞŶĂůĞͿ͕ƋƵŝŶĚŝůĂŝŽĚƵƌŝĂğƵŶǀĂůŝĚŽŝŶĚŝĐĞŝŶĚŝƌĞƚƚŽĚĞůů͛ĂƉƉŽƌƚŽĚŝŝŽĚŝŽ͘/ů
ĨĂďďŝƐŽŐŶŽŐŝŽƌŶĂůŝĞƌŽĚŝƋƵĞƐƚŽŝŽŶĞğĚŝϭϱϬʅŐƉĞƌŐůŝĂĚƵůƚŝ͖ğŵŝŶŽƌĞŝŶĞƚăƉĞĚŝĂƚƌŝĐĂĞŵĂŐŐŝŽƌĞŝŶŐƌĂǀŝĚĂŶnjĂ͘  
Lo   ioduro   introdotto   nella   cellula   follicolare   passa   quindi   nel   follicolo   grazie   alla   pendrina.   La   tireoperossidasi,   in  
presenza  di  H2O2  ƉƌŽĚŽƚƚŽĚĂůů͛ĞŶnjŝŵĂd,KyϮ͕ŽƐƐŝĚĂůŽŝŽĚƵƌŽĂŝŽĚŝŽ͕ŝŶĐŽƌƉŽƌĂƋƵĞƐƚŽŶĞůůĂƚŝƌĞŽŐůŽďƵůŝŶĂƐƵƌĞƐŝĚƵŝ
di   Tyr   con   la  formazione   di   monoiodiotirosina  (MIT)   e   diiodiotirosina  (DIT),   accoppia   MIT   e  DIT   per  formare   T 3  e   T4.  
Sotto  stimolazione  del  TSH  la  cellula  endocita  la  tireoglobulina  legata  a  queste  molecole  e  la  proteolizza,  rilasciando  
quindi  gli  ormoni  in  circolo.  Il  TSH  stimola,  oltre  alla  sintesi  la  secrezione  ormonale,  anche  la  crescita  e  la  proliferazione  
cellulare;  esso  è  stimolato  dal  TRH,  inibito  dalla  somatostatina  e  retroinibito  dagli  ormoni  stessi.  
La   tiroxina   è   secreta   in   quantità   venti   volte   maggiore   rispetto   alla   triiodiotironina.   T3   e   T4   viaggiano   nel   sangue  
trasportate   per   il   70%   dalla   TBG,   per   il   20%   dalla   transtiretina   e   per   il   10%   dall'albumina;   solo   una   piccola   quota   è  
libera   e   può   quindi   lasciare   il   sangue   e   avere   effetto   sui   tessuti   bersaglio.   Perifericamente   la   tiroxina   è   convertita,  
tramite  desiodazione  attivatoria,  in  T3  (esiste  una  desiodazione  inibitoria  ĺ  rT3).  

Il  NIS  è  inibito  dai  perclorati  e  dai  tiocianati  (utile  per  diagnosi);  la  TPO  è  inibita  dal  metimazolo  e  dal  propiltiouracile  
(usati   in   terapia);   può   diventare   bersaglio   di   autoanticorpi   e   una   sua   mutazione   può   provocare   gozzo   da  
disormonogenesi..  La  tireoglobulina  può  diventare  bersaglio  di  autoanticorpi  e,  visto  che  è  prodotta  solo  nella  tiroide,  
può  essere  usata  come  marcatore  tumorale.  Il  TSH-­‐R  può  essere  bersagliato  da  autoanticorpi  stimolanti,  può  subire  
mutazioni  attivanti  o  inattivanti  ed  è  prodotto  anche  dai  preadipociti  retro-­‐orbitali  e  in  altri  tessuti.  
Gli  ormoni  tiroidei  entrano  nelle  cellule  per  diffusione  passiva  e  attraverso  il  trasportatore  MCT8;  interagiscono  quindi  
ĐŽŶŝƌĞĐĞƚƚŽƌŝŶƵĐůĞĂƌŝdZɲ;ƉƌŝŶĐŝƉĂůŵĞŶƚĞĞƐƉƌĞƐƐŽŝŶ^E͕ƌĞŶŝ͕ŐŽŶĂĚŝ͕ŵƵƐĐŽůŽ͕ĐƵŽƌĞͿĞdZɴ;ŝƉŽƚĂůĂŵŽ͕ŝƉŽĨŝƐŝ͕
ĨĞŐĂƚŽͿ͕ƐƵŝƋƵĂůŝůĂƚƌŝŝŽĚŝŽƚŝƌŽŶŝŶĂŚĂƵŶ͛ĂĨĨŝŶŝƚăϭϬǀŽůƚĞŵĂŐŐŝŽƌĞĚĞůůĂƚŝƌŽdžŝŶĂ͖ĞƐŝƐƚŽŶŽĂŶĐŚe  effetti  non  genomici.  
I  recettori  interagiscono  con  le  sequenze  TRE  del  DNA  determinando  una  serie  di  effetti  biologici:  

x aumento  della  velocità  del  ricambio  metabolico;  


x termogenesi  (metabolismo,  sovraespressione  termogenina);  
x maturazione  tessutale,  in  particolare  SNC,  muscoli,  ossa;  
x ĂƵŵĞŶƚŽĨŽƌnjĂĚŝĐŽŶƚƌĂnjŝŽŶĞĐĂƌĚŝĂĐĂ;ƐŽǀƌĂĞƐƉƌĞƐƐŝŽŶĞƌĞĐĞƚƚŽƌŝɴ-­‐adrenergici);  
x attivazione  sistema  nervoso  centrale  e  autonomo  (formazione  di  nuove  sinapsi).  
                                                                                                                         
43
 Queste  categorie  si  sovrappongono  di  continuo.  
44
 Nelle  aree  a  carenza  di  iodio  la  tiroide  assume  molto  facilmente  lo  iodio  radioattivo  rilasciato  nei  disastri  nucleari  (-­‐.-­‐;)  
67  
 

Ipotiroidismo  
>͛ŝƉŽƚŝƌŽŝĚŝƐŵŽğƵŶĂƉĂƚŽůŽŐŝĂĚĂƌŝĚŽƚƚĂŽŝŶƐƵĨĨŝĐŝĞŶƚĞĂnjŝŽŶĞĚĞŐůŝŽƌŵŽŶŝƚŝƌŽŝĚĞŝĐŚĞŝŶƚĞƌĞƐƐĂů͛ŝŶƚĞƌŽŽƌŐĂŶŝƐŵŽ͘
Può  essere  primitivo,  centrale  e  periferico;  esistono  forme  acquisite  e  forme  congenite.  È  una  malattia  piuttosto  
frequente  che  colpisce  piú  spesso  le  donne  (1,5%Ƃ;  1%  ƃ)  .  

Eziologia  †‡ŽŽǯ‹’‘–‹”‘‹†‹•‘…‘‰‡‹–‘  
>͛ŝƉŽƚŝƌŽŝĚŝƐŵŽĐŽŶŐĞŶŝƚŽğƵŶĂŵĂůĂƚƚŝĂĨƌĞƋƵĞŶƚĞ͕ĐŽŶƵŶ͛ŝŶĐŝĚĞŶnjĂĂŶŶƵĂĚŝϭ͗ϯϬϬϬ͖ğĐĂƌĂƚƚĞƌŝnjnjĂƚĂĚĂďĂƐƐŝůŝǀĞůůŝ
di  ormoni  tiroidei  e  alto  TSH  alla  nascita.  È  causato  principalmente  da  discinesia  tiroidea  (agenesia,  ectopia,  ipoplasia),  
piú  raramente  da  difetti  di  ormonogenesi  o  da  resistenza  al  TSH.  Se  non  trattato  esita  in  cretinismo:  oggi  per  questo  
ŵŽƚŝǀŽ Ɛŝ ĞĨĨĞƚƚƵĂ ůŽ ƐĐƌĞĞŶŝŶŐ ƉĞƌ ů͛ŝƉŽƚŝƌŽŝĚŝƐŵŽ ĐŽŶŐĞŶŝƚŽ ƐƵ ƚƵƚƚŝ ŝ ŶĞŽŶĂƚŝ͕ ƚƌĂŵŝƚĞ ƚĞƐƚ Ěŝ 'ƵƚŚƌŝĞ ƐƵů ƐĂŶŐƵĞ
prelevato  dal  tallone.  

œ‹‘Ž‘‰‹ƒ†‡ŽŽǯ‹’‘–‹”‘‹†‹•‘’”‹‹–‹˜‘  
>͛ŝƉŽƚŝƌŽŝĚŝƐŵŽ ƉƌŝŵŝƚŝǀŽ ğ ĐĂƵƐĂƚŽ ĚĂ ŝŶƐƵĨĨŝĐŝĞŶƚĞ ƉƌŽĚƵnjŝŽŶĞ Ěŝ ŽƌŵŽŶŝ ƚŝƌŽŝĚĞŝ ƉĞƌ ƵŶ ĚĞĨŝĐŝƚ ĨƵŶnjŝŽŶĂůĞ ĚĞůůĂ
tiroide;  questo  a  sua  volta  può  avere  varie  cause:  

x assenza  o  riduzione  del  tessuto  tiroideo  


o i.  da  tiroidite  
ƒ tiroidite  cronica  linfocitaria  autoimmune  (t.  di  Hashimoto):  può  esserci  gozzo  
ƒ altre:   tiroidite   acuta   suppurativa   (molto   rara);   tiroidite   subacuta   virale   di   De   Quervain;  
tiroidite  silente;  tiroidite  post-­‐parto  
o i.  iatrogeno  
ƒ post-­‐tiroidectomia:  si  osserva  sempre  entro  2  mesi  dalla  tiroidectomia  totale  e  nel  25%  dei  
casi  entro  1  anno  dalla  tiroidectomia  parziale.  
ƒ post-­‐terapia  radiometabolica:  è  abbastanza  frequente  e  può  manifestarsi  a  distanza  di  anni.  
ƒ post-­‐irradiazione  del  collo  
ƒ da  farmaci  (senza  gozzo):  iodio,  citochine,  amiodarone  
o i.  da  malattie  infiltrative  
o i.  da  disgenesia  (congenito)  
x i.  con  gozzo  
o carenza  iodica  
o difetti  di  disormonogenesi  (congenito)  
o farmaci:  antitiroidei,  litio  

Eziologia  delle  forme  centrali  e  periferiche  


>͛ŝƉŽƚŝƌŽŝĚŝƐŵŽĐĞŶƚƌĂůĞğŵŽůƚŽŵĞŶŽĨƌĞƋƵĞŶƚĞĚŝƋƵĞůůŽƉƌŝŵĂƌŝŽĞĚğĐĂƵƐĂƚŽĚĂĚŝĨĞƚƚŝŝƉŽĨŝƐĂƌŝ;ŝ͘ƐĞĐŽŶĚĂƌŝŽͿŽ
ipotalamici   (i.   terziario)   nella   secrezione   del   TSH   o   del   TRH.   La   causa   principale   di   ipotiroidismo   centrale   è  
ů͛ŝƉŽƉŝƚƵŝƚĂƌŝƐŵŽĐŽŵďŝŶĂƚo.  
>͛ŝƉŽƚŝƌŽŝĚŝƐŵŽƉĞƌŝĨĞƌŝĐŽƉƵžĞƐƐĞƌĞ  
1. ĚĂƌĞƐŝƐƚĞŶnjĂĂůů͛ĂnjŝŽŶĞĚĞŐůŝŽƌŵŽŶŝƚŝƌŽŝĚĞŝ;Ɛ͘ĚŝZĞĨĞƚŽĨĨͿ͗ŵƵƚĂnjŝŽŶĞĚĞŝƌĞĐĞƚƚŽƌŝdZ͖  
2. i.  da  consumo:  produzione  ectopica  di  desiodasi  3  (inattivante)  da  parte  di  tumori  vascolari.  

Manifestazioni  
In   seguito   ad   una   fase   compensata   in   cui   i   livelli   ormonali   tiroidei   sono   normali   e   quelli   di   TSH   aumentati   si   ha  
ů͛ŝƉŽƚŝƌŽŝĚŝƐŵŽĐŽŶĐůĂŵĂƚŽ͕ĐŚĞŝŶƚĞƌĞƐƐĂĚŝǀĞƌƐŝŽƌŐĂŶŝ͗  

x ŵĞƚĂďŽůŝƐŵŽŐĞŶĞƌĂůĞ͗ƌŝĚƵnjŝŽŶĞĚĞůů͛ĂƉƉĞƚŝƚŽ͕ƌŝĚƵnjŝŽŶĞĚĞůůĂƚĞƌŵŽŐĞŶĞƐŝ  
x pelle:  le  manifestazioŶŝĐƵƚĂŶĞĞƐŽŶŽƐƉĞƐƐŽůĞƉƌŝŵĞ͕ŐĞŶĞƌĂůŵĞŶƚĞŶŽŶƐŽŶŽŐƌĂǀŝ͘>͛ĞƉŝĚĞƌŵŝĚĞğƐĞĐĐŽ͕
ĐŽŶŝƉĞƌĐŚĞƌĂƚŽƐŝĚĞůůŽƐƚƌĂƚŽĐŽƌŶĞŽ͘WĞƌů͛ĂĐĐƵŵƵůŽĚŝŐůŝĐŽƐĂŵŝŶŽŐůŝĐĂŶŝŶĞůĚĞƌŵĂƐŝƉƵžĂǀĞƌĞŵŝdžĞĚĞŵĂ͕
localizzato  principalmente  agli  occhi  (m.  palpebrale)  e  alle  mani.  Altre  manifestazioni  sono  la  riduzione  della  
sudorazione,  la  caduta  dei  capelli  e  la  deformazione  delle  unghie.  
68  
 

o
il   mixedema   può   localizzarsi   anche   alla   lingua,   provocando   macroglossia,   e   alle   corde   vocali,  
provocando  raucedine.  
x cuore  e  vasi:  aumento  della  resistenza  periferica,  riduzione  della  frequenza  e  della  contrattilità  cardiaca.  Tra  
ůĞ ĐŽŶƐĞŐƵĞŶnjĞĐ͛ğ ƵŶĂƌŝĚŽƚƚĂƉĞƌĨƵƐŝŽŶĞ ƚĞƐƐƵƚĂůĞĐŚĞ Ěă ůƵŽŐŽ Ă ĨƌĞĚĚĞnjnjĂĚĞůůĂ ĐƵƚĞ Ğ ĂŝŶƚŽůůĞƌĂŶnjĂ Ăů
freddo.  In  alcuni  casi  si  può  avere  ipertensione  diastolica  Ğ͕ŶĞůů͛ŝƉŽƚŝƌŽŝĚŝƐŵŽŐƌĂǀĞ͕ǀĞƌƐĂŵĞŶƚŽƉĞƌŝĐĂƌĚŝĐŽ͘  
o ƌĞŶĞ͗ ů͛ĂƵŵĞŶƚŽ ĚĞůůĞ ƌĞƐŝƐƚĞŶnjĞ ƉĞƌŝĨĞƌŝĐŚĞ ƉƌŽǀŽĐĂ ĂŶĐŚĞ ĐŽŶƚƌĂnjŝŽŶĞ ĚĞůůĂ ĚŝƵƌĞƐŝ Ğ ƌŝƚĞŶnjŝŽŶĞ
ŝĚƌŝĐĂ;ĐŚĞƉƌŽǀŽĐĂŵŽĚĞƌĂƚŽĂƵŵĞŶƚŽĚŝƉĞƐŽͿ͕ŶŽŶĐŚĠƌĂůůĞŶƚĂŵĞŶƚŽĚĞůů͛ĞůŝŵŝŶĂnjŝŽŶĞĚĞŝĨĂƌŵĂĐŝ  
x polmonŝ͗ ůĞ ŵĂŶŝĨĞƐƚĂnjŝŽŶŝ ƌĞƐƉŝƌĂƚŽƌŝĞ ƐŽŶŽ ƐƉĞƐƐŽ ŐƌĂǀŝ͕ ĚĂůůĂ ĚŝƐƉŶĞĂ Ăůů͛ĂĐŝĚŽƐŝ ƌĞƐƉŝƌĂƚŽƌŝĂ Ğ Ăů
versamento  pleurico.    
x sistema  gastrointestinale:  si  passa  da  una  lieve  riduzione  della  mobilità  intestinale  (con  stipsi)  a  ileo  paralitico  
con  pseudo-­‐ostruzione  intestinale.  
x SNC  e  muscolo:  difficoltà  di  concentrazione,  bradilalia,  letargia,  depressione,  rallentamento  dei  riflessi  e  dei  
movimenti  volontari;  
x ĂůƚƌŽ͗ŝƉŽĂĐƵƐŝĂ ĞǀĞƌƚŝŐŝŶŝ͕ŵŝĂůŐŝĞ͕ ƉĂƌĞƐƚĞƐŝĞ͕ ĚŝƐďĞƚĂůŝƉŽƉƌŽƚĞŝŶĞŵŝĞ͕ ŐĂůĂƚƚŽƌƌĞĂ ;ƉĞƌů͛ĂƵŵĞŶƚŽ ĚĞů dRH,  
che  stimola  la  PRL)  

Diagnosi  
In   presenza   delle   manifestazioni   tipiche   si   valutano   i   livelli   plasmatici   di   FT 4   e   TSH,   in   base   ai   quali   si   possono  
ĚŝĨĨĞƌĞŶnjŝĂƌĞ ů͛ŝƉŽƚŝƌŽŝĚŝƐŵŽ ƉƌŝŵŝƚŝǀŽ ĚĂ ƋƵĞůůŽ ĐĞŶƚƌĂůĞ͖ ƋƵĞƐƚ͛ƵůƚŝŵŽ ƉƵž ĞƐƐĞƌĞ ƐƵĐĐĞƐƐŝǀĂŵĞŶƚĞ ĚŝĨĨĞƌĞnziato   in  
ipofisario  o  ipotalamico  grazie  alla  valutazione  del  TRH.  
Nei  pazienti  con  ipotiroidismo  primitivo  andrebbe  valutata  la  funzione  cardiaca  tramite  ECG  e  ecocardiografia.  

Terapia  
È   necessario  effettuare   una   terapia   sostitutiva  con  L-­‐tiroxina,   mirando   alla   normalizzazione   dei   valori   di   TSH   e  degli  
ormoni  tiroidei;  solitamente  è  necessario  effettuare  il  trattamento  per  2-­‐ϰŵĞƐŝƉĞƌƉŽŝǀĂůƵƚĂƌŶĞů͛ĞĨĨŝĐĂĐŝĂ͖ůĂƚĞƌĂƉŝĂ
va  generalmente  proseguita  per  tutta  la  vita.    

Tireotossicosi  e  ipertiroidismo  
Con   tireotossicosi   si   riferisce   a   un   aumento   degli   ormoni   tiroidei   circolanti;   con   ipertiroidismo   ad   una   condizione   di  
ƚŝƌĞŽƚŽƐƐŝĐŽƐŝĚŽǀƵƚĂĂĚƵŶ͛ĂƵŵĞŶƚĂƚĂƐĞĐƌĞnjŝŽŶĞĚĂƉĂƌƚĞĚĞůůĂƚŝƌŽŝĚĞ͘  
La  tireotossicosi  si  può  distinguere  in  base  alla  captazione  di  iodio  radioattivo  in  

x forme  ad  alta  captazione,  associate  a  ipertiroidismo  


o primario  
45
ƒ morbo   di   Basedow -­‐Graves:   è   una   malattia   autoimmune   in   cui   la   presenza   di   autoanticorpi  
stimolanti  il  recettore  per  il  TSH  provoca  ipertiroidismo  e  proliferazione  tiroidea  (spesƐŽĐ͛ğŐŽnjnjŽͿ͘
È  la  causa  piú  frequente  di  tireotossicosi;  il  rapporto  maschi-­‐femmine  è  1:6;  può  insorgere  in  tutte  
le   età  ma   è   piú   frequente   tra  i   25  e  i   45   anni.   La   patogenesi   è   mediata   da   vari  meccanismi:  le   Ig  
anti-­‐TSH-­‐R  agiscono  a  livello  tiroideo,  retro-­‐orbitale,  sottocutaneo  e  osseo;  esistono  anche  squilibri  
delle  citochine  che  contribuiscono  a  determinare  danno  oculare.  Si  possono  anche  associare  altri  
autoanticorpi,   non   patogenetici:  anti-­‐tg,   anti-­‐TPO.   Il  morbo   di   Basedow   può   insorgere   nel  feto   di  
madre   basedowiana   per   passaggio   transplacentare   delle   Ig   anti-­‐TSH-­‐R;   si   manifesta   con   ridotta  
velocità   di   crescita   e   aumento   della   frequenza   cardiaca;   è   transitorio,   ma   è   necessario  
somministrare  MMI  alla  madre  (v.  dopo)  
ƒ adenoma  tossico,  gozzo  multinodulare  tossico:  sono  neoplasie  benigne  tiroidee  caratterizzate  da  
crescita   e   secrezione   ormonale   TSH-­‐indipendente   (autonomia   funzionale);   sono   dovute   spesso   a  
mutazioni  somatiche  attivanti  il  TSH-­‐R.  
ƒ eccesso  di  iodio  
                                                                                                                         
45
 ͬ͛ďĂ‫ޝ‬s࠯do‫ޝ‬/  
69  
 

o secondario:  adenoma  ipofisario  secernente  TSH,  tumore  secernente  hCG  


x forme  a  bassa  captazione,  senza  ipertiroidismo:  
o tiroiditi  distruttive  (t.  subacuta  di  De  Quervain,  t.  silente,  t.  post-­‐partum,  t.  indotta  da  amiodarone)  
o altre:   tireotossicosi   fattizia   (assunzione   surrettizia   di   ormoni   tiroidei   esogeni   a   scopo   dimagrante),  
tireotossicosi   iatrogena   (trattamento   per   ipotiroidismo),   rare   metastasi   funzionanti   di   carcinoma  
tiroideo  o  di  teratomi  ovarici.  

Manifestazioni  
Il   quadro   clinico   include   manifestazioni   comuni   a   tutte   le   tireotossicosi   e   manifestazioni   specifiche   del   morbo   di  
Basedow-­‐Graves.  

x metabolismo   generale:   aumento   della   velocità   del   metabolismo,   dimagrimento   paradosso   con   polifagia,  
intolleranza  al  caldo  
x SNC:  ansia,  insonnia  
x muscolo:  aumentata  faticabilità,  fini  tremori  alle  estremità  
x pelle:  cute  calda,  aumento  della  sudorazione,  fragilità  ungueale,  tendenza  alla  caduta  dei  capelli  
x cuore  e  vasi:  tachicardia,  aumento  della  pressione  arteriosa  differenziale  
x ƐŝƐƚĞŵĂŐĂƐƚƌŽŝŶƚĞƐƚŝŶĂůĞ͗ĚĂůů͛ĂƵŵĞŶƚĂƚĂĨƌĞƋƵĞŶnjĂĚĞůů͛ĂůǀŽĂůůĂĚŝĂƌƌĞĂ  
x ossa:  osteoporosi  
x Basedow  
o tiroide:  gozzo  (generalmente  diffuso);  
o occhio:   oftalmopatia   (esoftalmo,   iniezione   congiuntivale,   edema   periorbitale,   retrazione   della  
palpebra,  secchezza,  sensazione  di  sabbia,  diplopia);  
o cute:  dermopatia  tiroidea  (mixedema  pretibiale)  5%.  
o acropachia  (dita  a  bacchetta  di  tamburo),  rara.  

Diagnosi  
Occorre  innanzitutto  valutare  i  livelli  plasmatici  di  TSH  e  di  T4.  Se  il  TSH  è  basso  e  la  tiroxina  alta  si  ha  una  tireotossicosi  
primaria;   se   il   TSH   è   normale   o   aumentato   e   la   tiroxina   è   alta   si   deve   sospettare   una   forma   secondaria.   Tra   le  
tireotossicosi   primarie   va   inizialmente   ricercato   il   Basedow,   tramite   la   valutazione   delle   manifestazioni   specifiche   e  
degli   autoanticorpi;   quindi   le   forme   nodulari   attraverso   ecografia;   la   scintigrafia  consente   di   evidenziare  le   forme   a  
bassa  captazione  (la  tiroide  non  è  visualizzabile).  

Terapia  
La  terapia  può  essere  farmacologica,  radiometabolica  o  chirurgica.  
La  terapia  farmacologica  consiste  nella  somministrazione  di  tionamidi,  farmaci  che  inibiscono  la  secrezione  ormonale  
tiroidea.  Vantaggi:  facile,  reversibile,  remissione  permanente  nel  50%  dei  Basedow.  Svantaggi:  lunga  (fino  a  due  anni),  
possibili   recidive,   non   porta   a   remissione   le   forme   nodulari,   ha   effetti   collaterali.   I   due   tionamidi   principali   sono   il  
metimazolo   (MMI)   e   il   propiltiouracile   (PTU);   il   primo   è   piú   facilmente   disponibile,   costa   meno,   ha   minori   effetti  
collaterali  e  riesce  ad  attraversare  la  placenta.  
La  terapia  radiometabolica  sfrutta  la  captazione  tiroidea  dello  iodio  e  agisce  provocando  citolisi  sulle  cellule  follicolari  
tutte  (Basedow)  o  sulle  aree  iperfunzionanti  (forme  nodulari);  può  determinare  ipotiroidismo.  

La  terapia  chirurgica  consiste  nella  tiroidectomia  (Basedow,  gozzo  multinodulare  tossico)  o  nella  lobectomia  (adenoma  
tossico);  il  vantaggio  è  che  induce  remissione  permanente;  lo  svantaggio  è  che  determina  ipotiroidismo  da  trattare  a  
vita.  
   
70  
 

xviii—””‡‡  

Le  ghiandole  surrenali  sono  organi  addominali  retroperitoneali;  sono  dotate  di  un  sistema  arterioso   simil-­‐portale  che  
ǀĂĚĂůů͛ĞƐƚĞƌŶŽĂůů͛ŝŶƚĞƌŶŽ͘/ůƐƵƌƌĞŶĞğĨŽƌŵĂƚŽĚĂĚƵĞĐŽŵƉŽŶĞŶƚŝĞŵďƌŝŽůŽŐŝĐĂŵĞŶƚĞĞĨƵŶnjŝŽŶĂůŵĞŶƚĞĚŝƐƚŝŶƚĞ͗ůĂ
corticale  e  la  midollare.  

Secrezione  ormonale  
x La  corticale  è  formata  a  sua  volta  da  due  unità  funzionali:  
o la   glomerulare,   che   produce   mineralcorticoidi   ed   è   regolata   dal   sistema   renina-­‐angiotensina.  
La   renina   è   secreta   dal   rene   in   seguito   a  Ļpressione   arteriosa,  ĻNa+   ‡ŽŽǯ—Ž–”ƒˆ‹Ž–”ƒ–‘ǡĹrilascio   di  
‘”ƒ†”‡ƒŽ‹ƒ‡…‘˜‡”–‡Žǯƒ‰‹‘–‡•‹‘‰‡‘’Žƒ•ƒ–‹…‘‹ͳǡ…Š‡˜‹‡‡…‘˜‡”–‹–ƒ†ƒŽŽǯ‹
AT2;  questa  stimola  la  secrezione  di  aldosterone  (con  retroinibizione).  
o la  fascicolata-­‐reticolata  che  produce  glucocorticoidi  e  precursori  degli  androgeni;  è  regolata  da  tre  
sistemi:   stress-­‐CRH-­‐ACTH   ipofisario,   che   stimola   soprattutto   la   secrezione   di   cortisolo;   ritmo  
circadiano;  retroinibizione.  
x La   midollare   produce   catecolamine   ;ŶŽƌĂĚƌĞŶĂůŝŶĂ Ğ ĂĚƌĞŶĂůŝŶĂͿ ŝŶ ƌŝƐƉŽƐƚĂ Ăů ƌŝůĂƐĐŝŽ ĚĞůů͛ĂĐĞƚŝůĐŽůŝŶĂ ĚĂ
ƉĂƌƚĞĚĞůůĞĨŝďƌĞƐŝŵƉĂƚŝĐŚĞƉƌĞŐĂŶŐůŝĂƌŝŝŶĐŽŶĚŝnjŝŽŶŝĚŝƐƚƌĞƐƐĐŽŵĞů͛ŝƉŽŐůŝĐĞŵŝĂŽů͛ŝƉŽƚĞŶƐŝŽŶĞŽƌƚŽƐƚĂƚŝĐĂ͘  

Azioni  ormonali  
/ů ĐŽƌƚŝƐŽůŽ ğ ůĞŐĂƚŽ ƉĞƌ ŝů ϳϬй ĂůůĂ '͕ ƉĞƌ ŝů ϮϬй Ăůů͛ĂůďƵŵŝŶĂ Ğ ƉĞƌ ŝů ϭϬй ğ ŝŶ ĨŽƌŵĂ ůŝďĞƌĂ͖ ů͛ĂůĚŽƐƚĞƌŽŶĞ ğ
ĚĞďŽůŵĞŶƚĞůĞŐĂƚŽĂůů͛ĂůďƵŵŝŶĂ͘>͛ĂnjŝŽŶĞďŝŽůŽŐŝĐĂĚĞŐůŝŽƌŵŽŶŝĂǀǀŝĞŶĞĂƚƚƌĂǀĞƌƐŽŝůůĞŐĂŵĞĐŽŶƌĞĐĞƚƚŽƌŝŶƵĐůĞĂƌŝ͘  
Il  ĐŽƌƚŝƐŽůŽŚĂƵŶ͛ĂnjŝŽŶĞŝƉĞƌŐůŝĐĞŵŝnjnjĂŶƚĞ͕ƉƌŽƚĞŽůŝƚŝĐĂĞůŝƉŽůŝƚŝĐĂ͘,ĂĂĨĨŝŶŝƚăƉĞƌŝůƌĞĐĞƚƚŽƌĞƉĞƌŝŵŝŶĞƌĂůĐŽƌƚŝĐŽŝĚŝ͕
ŵĂ ů͛ĂƐƉĞƚƚŽ ƐŽĚŝŽƌŝƚĞŶƚŝǀŽ ƐŽůŝƚĂŵĞŶƚĞ ŶŽŶ Ɛŝ ŵĂŶŝĨĞƐƚĂ ƉĞƌĐŚĠ ƋƵĞƐƚŽ ƌĞĐĞƚƚŽƌĞ ğ ĂĐĐŽƉƉŝĂƚŽ ĂůůĂ ϭϭɴ-­‐
idrossisteroido-­‐deidrogenasi,   che   lo   converte   in   cortisone.   Aumenta   la   contrattilità   cardiaca,   sensibilizza   i   vasi  
Ăůů͛ĂĚƌĞŶĂůŝŶĂ͕ğŝƉŽĐĂůĐĞŵŝnjnjĂŶƚĞ͕ĂŶƚŝŶĨŝĂŵŵĂƚŽƌŝŽĞŝŵŵƵŶŽƐŽƉƉƌĞƐƐŝǀŽ͘  
>͛ĂůĚŽƐƚĞƌŽŶĞ ƌĞŐŽůĂŝů ďŝůĂŶĐŝŽ ĞůĞƚƚƌŽůŝƚŝĐŽ ĂƵŵĞŶƚĂŶĚŽ ŝůƌŝĂƐƐŽƌďŝŵĞŶƚŽ Ěŝ ƐŽĚŝŽĞ ĂĐƋƵĂ;ĞĨĨetto   sodioritentivo  e  
idroritentivo)   e  riducendo  di  conseguenza  il  potassio   e  i   protoni   ematici.   Questi   effetti   sono   mediati   dalla  maggiore  
esposizione  dei  canali  ENaC,  che  riassorbono  sodio.  
Gli  androgeni  surrenalici  sono  principalmente  dei  precursori,  che  acquisiscono  la  vera  azione  biologica  in  seguito  alla  
trasformazione  nelle  gonadi.  
Le  catecolamine  agiscono  tramite  i  recettori  adrenergici  in  molti  distretti  corporei:  

x cuore   e   vasi:   Ĺfrequenza,   gittata   e   pressione   sistolica,   Ĺresistenza   vascolare   ֜   effetto   ipertensivo;  
Žǯƒ†”‡ƒŽ‹ƒ‹‘Ž–”‡”‹†‹”‡œ‹‘ƒ‹Ž•ƒ‰—‡˜‡”•‘‹†‹•–”‡––‹—•…‘Žƒ”‹Ǣ  
x rene:  ritenzione  di  sodio  e  acqua  
x vie  respiratorie:  broncodilatazione  
x metabolismo:  effetto  iperglicemizzante  e  lipolitico.  

Insufficienza  surrenalica  
>͛ŝŶƐƵĨĨŝĐŝĞŶnjĂƐƵrrenalica,  o  iposurrenalismo,  consiste  nella  ridotta  produzione  di  glucocorticoidi  e  mineralcorticoidi.  
Può  essere:  

x primitiva  (morbo  di  Addison):  


o autoimmune   (o   idiopatica):   è   attualmente   la   causa   piú   comune   di   insufficienza   surrenalica;   gli  
autoanticorpi  piú  frequentemente  presenti  bersagliano  la  21-­‐idrossilasi;  può  essere  isolata  o  parte  di  
una  poliendocrinopatia  autoimmune:  
ƒ PGA1:  insufficienza  surrenalica,  ipoparatiroidismo,  candidiasi,  alopecia,  vitiligine;  esordisce  
ŶĞůů͛ŝŶĨĂŶnjŝĂ͖ğĐĂƵƐĂƚĂĚĂůůĂŵƵƚĂnjŝŽŶĞĚŝ/Z͕ĂƵƚŽƐŽŵŝĐĂƌĞĐĞƐƐŝǀĂ͖  
71  
 

ƒ
PGA2:   piú   frequente,   insufficienza   surrenalica,   tiroidite   di   Hashimoto,   ipo/iper-­‐tiroidismo,  
gastrite   atrofica,   alopecia,   vitiligine,   celiachia,   miastenia   grave;   esordio   in   età   adulta;  
poligenica,  autosomica  dominante.  
o infezioni:  
ƒ tubercolosi  (un  tempo  la  causa  principale);  
ƒ AIDS;  
ƒ sepsi  meningococcica;  
o malattie  da  accumulo;  
o metastasi  da  linfomi,  tumori  polmonari,  gastrointestinali,  renali,  mammari;  
o interventi  chirurgici  e  traumi;  
o alcuni  farmaci;  
o forme   congenite:   adrenoleucodistrofia,   ipoplasia   surrenalica   congenita,   deficit   familiare   di  
glucocorticoidi;  
x secondaria:  
o a  soppressione  iatrogena  (glucocorticoidi)  degli  ormoni  ipotalamo-­‐ipofisari  (piú  frequente);  
o a  patologie  e  a  chirurgia  ipotalamo-­‐ipofisarie.  
>Ğ ŵĂŶŝĨĞƐƚĂnjŝŽŶŝ ĐůŝŶŝĐŚĞ ĚĞůů͛ŝŶƐƵĨĨŝĐŝĞŶnjĂ ƐƵƌƌĞŶĂůŝĐĂ ƉƌŝŵŝƚŝǀĂ ƐŽŶŽ ĐĂƵƐĂƚĞ ĚĂůůĂ ƉĞƌĚŝƚĂ ĚĞůůĞ ƐĞĐƌĞnjŝŽŶĞ Ěŝ
ŐůƵĐŽĐŽƌƚŝĐŽŝĚŝ͕ ĂŶĚƌŽŐĞŶŝ Ğ ŵŝŶĞƌĂůĐŽƌƚŝĐŽŝĚŝ͕ ŵĞŶƚƌĞ ŶĞůů͛ŝŶƐƵĨĨŝĐŝĞŶnjĂ ƐƵƌƌĞŶĂůŝĐĂ ƐĞĐŽŶĚĂƌŝĂ ůĂ ƐĞĐƌezione   di  
mineralcorticoidi  è  mantenuta  grazie  alla  normale  funzionalità  del  sistema  renina-­‐angiotensina-­‐aldosterone;  in  questo  
caso  possono  però  manifestarsi  altri  sintomi  causati  dal  coinvolgimento  di  altri  assi  endocrini  o  dalla  compressione  di  
strutturĞĂĚŝĂĐĞŶƚŝĂůů͛ŝƉŽĨŝƐŝ͘  

>͛ŝŶƐƵĨĨŝĐŝĞŶnjĂƐƵƌƌĞŶĂůŝĐĂcronica  si  manifesta  con  segni  e  sintomi  piuttosto  aspecifici:  astenia,  anoressia,  perdita  di  
peso,   dolori   osteomuscolari.  Una  caratteristica  che   distingue   la   forma   primitiva   dalla   secondaria  è  la   pigmentazione  
cutanea,  rispettivamente  eccessiva  e  scarsa.  Nella  forma  primitiva,  a  causa  del  deficit  di  aldosterone,  si  osserva  anche  
iposodiemia  e  iperpotassiemia.  

>͛ŝŶƐƵĨĨŝĐŝĞŶnjĂ ƐƵƌƌĞŶĂůŝĐĂ acuta   si   verifica   solitamente   nelle   forme   primitive   in   seguito   ad   un   evento   scatenante  
stressogeno;  inizialmente  si  ha  ipotensione  posturale,  che  può  sfociare  in  shock  ipovolemico  e  coma.  Può  mimare  un  
quadro  di  addome  acuto:  dolore  addominale,  nausea,  vomito,  febbre.    
Il  sospetto  clinico  di  insufficienza  surrenalica  si  deve  confermare  evidenziando  una  riduzione  del  cortisolo  urinario  o  
una   riduzione   del   cortisolo   al   mattino   (la   valutazione   casuale   della   cortisolemia   non   è   valida   perché   il   cortisolo   è  
secreto  con  un  ritmo  circadiano  e  inoltre  il  deficit  può  essere  proprio  nĞůůĂƌŝƐƉŽƐƚĂĂůů͛d,͘Ϳ͘YƵŝŶĚŝƐŽŶŽŝŶĚŝĐĂƚŝǀŝ
per  le  forme  primitive  (Addison)  una  riduzione  del  cortisolo  dopo  test  di  stimolo  con  ACTH  o   un  aumento  ĚĞůů͛d,͘
^ƵŐŐĞƐƚŝǀĂƉĞƌŝƉŽƐƵƌƌĞŶĂůŝƐŵŽƐĞĐŽŶĚĂƌŝŽğůĂƌŝĚƵnjŝŽŶĞĚĞůů͛d,͘ĚĂƌŝĐŽƌĚĂƌĞĐŽŵƵŶƋƵĞche,  in  caso  di  sospetta  
crisi  acuta,  è  preferibile  avviare  la  terapia  in  seguito  alla  valutazione  del  solo  cortisolo,  per  poi  confermare  la  diagnosi.  

>Ă ƚĞƌĂƉŝĂ ƉĞƌ ůĞ ĐƌŝƐŝ ĂĐƵƚĞ ƉƌĞǀĞĚĞ ů͛ŝŵŵĞĚŝĂƚĂ ƌĞŝĚƌĂƚĂnjŝŽŶĞ ĐŽŶ ŝŶĨƵƐŝŽŶĞ Ěŝ ƐŽůƵnjŝŽŶĞ ƐĂůŝŶĂ͕ ůĂ ƐŽƐtituzione  
ŽƌŵŽŶĂůĞ Ěŝ ŐůƵĐŽĐŽƌƚŝĐŽŝĚŝ ;ŝĚƌŽĐŽƌƚŝƐŽŶĞͿ Ğ ŵŝŶĞƌĂůĐŽƌƚŝĐŽŝĚŝ ;ƵŶĂ ǀŽůƚĂ ĐŚĞ Ɛŝ ƌŝĚƵĐĞ ů͛ŝĚƌŽĐŽƌƚŝƐŽŶĞ͕ ĐŚĞ Ă ĚŽƐŝ
elevate  ha  azione  mineraloattiva).  
WĞƌ ů͛ŝŶƐƵĨĨŝĐŝĞŶnjĂ ƐƵƌƌĞŶĂůŝĐĂ ĐƌŽŶŝĐĂ ğ ŶĞĐĞƐƐĂƌŝĂ ůĂ ƐŽƐƚŝƚƵnjŝŽŶĞ ŽƌŵŽŶĂůĞ͗ Ěŝ ŐůƵĐŽĐŽƌƚŝĐŽidi   mimando   il   motivo  
fisiologico   di   secrezione   ed   incrementando   il   dosaggio   in   condizioni   di   stress   (es.   febbre,   interventi   chirurgici)   e  
ŶĞůů͛ƵůƚŝŵŽ ƚƌŝŵĞƐƚƌĞ Ěŝ ŐƌĂǀŝĚĂŶnjĂ͖ Ěŝ ŵŝŶĞƌĂůĐŽƌƚŝĐŽŝĚŝ ŶĞůůĞ ĨŽƌŵĞ ƉƌŝŵŝƚŝǀĞ ĐŽŶ ĨůƵŽƌŽŝĚƌŽĐŽƌƚŝƐŽŶĞ͖ Ěŝ ĂŶĚƌŽŐĞŶŝ  
(DHEA)  se  necessario.  

Sindrome  di  Cushing  (ipersurrenalismo  da  glucocorticoidi,  ipercortisolismo)  


La   sindrome   di   Cushing46   è   il   quadro   clinico   causato   da   un   eccesso   di   glucocorticoidi.   Può   essere   iatrogeno   o  
endogeno.  

x s.  di  Cushing  iatrogena:  è  causata  dalla  somministrazione  di  glucocorticoidi  esogeni;  è  la  forma  piú  frequente;  

                                                                                                                         
46  /‫ޖ‬k‫ܼݕݜ‬ăȀ  
72  
 

x Ɛ͘ĚŝƵƐŚŝŶŐĞŶĚŽŐĞŶĂ͗ğĐĂƵƐĂƚĂĚĂůů͛ŝƉĞƌƐĞĐƌĞnjŝŽŶĞƐƵƌƌĞŶĂůŝĐĂĚŝŐůƵĐŽĐŽƌƚŝĐŽŝĚŝ  
o ACTH-­‐dipendente  ;ϴϬйͿƐĞĂůůĂďĂƐĞĐ͛ğƵŶĞĐĐĞƐƐŽĚŝĐŽƌƚŝĐŽƚƌŽƉŝŶĂ  
ƒ malattia  di  Cushing  (da  adenoma  ipofisario):  prev.  tra  i  20  e  i  40  anni,  colpisce  piú  spesso  le  
donne;  solitamente  si  tratta  di  un  microadenoma  
ƒ sindrome   da   ACTH   ectopico   (C.   paraneoplastico):   prev.   tra   i   40   e   i   60   anni,   piú   spesso   gli  
uomini;  ha  origine  solitamente  da  un  tumore  neuroendocrino  ben  differenziato  
ƒ sindrome  da  CRH  ectopico  
o ACTH-­‐indipendente  (20%)  se  è  causata  da  una  patologia  primitiva  surrenalica  
ƒ adenoma  surrenalico:  causa  piú  frequente;  solitamente  unilaterale  
ƒ carcinoma  surrenalico:  piú  ĨƌĞƋƵĞŶƚĞŶĞůů͛ŝŶĨĂŶnjŝĂ  
ƒ iperplasia  surrenalica  
ƒ displasia  surrenalica  nodulare  pigmentata:  associata  al  complesso  di  Carney  
>͛ŝƉĞƌĐŽƌƚŝƐŽůŝƐŵŽ Ɛŝ ŵĂŶŝĨĞƐƚĂ ƐŝƐƚĞŵŝĐĂŵĞŶƚĞ͖ ƐƉŝĐĐĂŶŽ Őůŝ ĞĨĨĞƚƚŝ ƉƌŽƚĞŽůŝƚŝĐŝ͕ ůŝƉŽƐŝŶƚĞƚŝĐŝ͕ ƐŽĚŝŽƌŝƚĞŶƚŝǀŝ Ğ
immunosoppressivi.  

x metabolismo  glicidico  e  lipidico:  obesità  centrale,  facies  lunare,  riduzione  della  sensibilità  insulinica  
x metabolismo   proteico:   ipotrofia   della   muscolatura   prossimale,   osteoporosi,   assottigliamento   cutaneo   con  
larghe  strie  purpuree,  difficoltà  nella  cicatrizzazione,  fragilità  vascolare  con  ecchimosi  
x sistema  immunitario:  suscettibilità  alle  infezioni  
x sistema  cardiovascolare:  scompenso  cardiaco  
x sistema  nervoso:  depressione  
x azione  sui  recettori  per  mineralcorticoidi:  ipopotassiemia,  alcalosi,  ipertensione  arteriosa  
x iperandrogenismo:  amenorrea  e  irsutismo,  infertilità  maschile,  alopecia,  acne  
x melanodermia  nelle  forme  da  ĹACTH  
La   maggior   parte   di   questi   sintomi  non   è   specifica;  inoltre   il   quadro  clinico,   eccetto   le  forme   a   eziologia  maligna,   si  
sviluppa   lentamente   e   può   essere   quindi   confuso   con   forme   di   obesità   idiopatica.   Riscontrare   miopatia   prossimale  
(braccia  sottili  e  cosce  sottili,  difficoltà  ad  alzarsi)  e  strie  purpuree  indirizza  verso  la  sindrome  di  Cushing  in  modo  piú  
specifico.  
In  presenza  di  sospetto  diagnostico  è  necessario  confermare  la  diagnosi:  

x Ĺ3x  cortisolo  libero  nelle  urine  delle  24  ore;  


x mancata  soppressione  del  cortisolo  dopo  somministrazione  di  desametasone;  
x ĞůĞǀĂƚĂ ĐŽƌƚŝƐŽůĞŵŝĂ Ă ŵĞnjnjĂŶŽƚƚĞ ;ŝŶĚŝĐĂ ƉĞƌĚŝƚĂ ĚĞů ƌŝƚŵŽ ĐŝƌĐĂĚŝĂŶŽ͕ ŝŶ ƋƵĞƐƚŽ ŵŽŵĞŶƚŽ Đ͛ğ ŝů ŶĂĚŝƌ
secretorio)  
Se  è  stata  confermata  la  diagnosi  si  può  procedere  alla  differenziazione  tra  eziologia  ACTH-­‐dipendente  e  ACTH-­‐
‹†‹’‡†‡–‡ǡ…Š‡•‹‡ˆˆ‡––—ƒ–”ƒ‹–‡†‘•ƒ‰‰‹‘†‡ŽŽǯ ’Žƒ•ƒ–‹…‘ȋĹdipendente,  Ļindipendente).  
È   possibile   differenziare   le   forme   ACTH-­‐dipendenti   tramite   la   risonanza   magnetica   ipofisaria   e   il   test   di  
soppressione  al  desametasone  (positivo  negli  adenomi,  negativo  nelle  forme  ectopiche);  nelle  forme   ectopiche  si  
effettua   una   scintigrafia   (octreoscan)   per   localizzare   la   lesione.   Le   forme   primitive   si   valutano   invece   tramite   TC  
del  surrene.    
Il   Cushing   non   trattato   è  associato  a   prognosi   negativa.   Le   forme   ipofisarie   vengono   trattate  con   chirurgia  trans-­‐
sfenoidale;   se   si   ha   una   recidiva   ci   sono   varie   opzioni   tra   cui   la   radioterapia.   Le   forme   primitive   si   trattano  
tramite   rimozione   in   laparoscopia   del   tumore   surrenalico;   se   non   si   ha   guarigione   è   necessaria   la  
somministrazione  del  mitotane  (antineoplastico)  ed  eventualmente  di  inibitori  della  steroidogenesi.  

Iperaldosteronismo  (ipersurrenalismo  da  mineralcorticoidi)  


>͛ĞĐĐĞƐƐŽ Ěŝ ŵŝŶĞƌĂůĐŽƌƚŝĐŽŝĚŝ ğ ƵŶĂ ĐĂƵƐĂ ĂďďĂƐƚĂŶnjĂ ĨƌĞƋƵĞŶƚĞ ;ϱ-­‐12%)   di   ipertensione.   Può   essere   primitivo   o  
secondario.  

x Iperaldosteronismo  primitivo:  la  zona  glomerulare  del  surrene  produce  in  eccesso  mineralcorticoidi  
73  
 

o
iperplasia  surrenalica  bŝůĂƚĞƌĂůĞ͕ŝŶƐŝĞŵĞĂůů͛ĂĚĞŶŽŵĂğůĂĐĂƵƐĂƉŝú  frequente;  
o
adenoma  surrenalico  (sindrome  di  Conn):  prev.  unilaterale;  
o
carcinoma  surrenalico:  prev.  in  pazienti  giovani;  
o
iperaldosteronismo  sopprimibile  con  glucocorticoidi:  in  seguito  a  crossing-­‐over  ineguale  si  forma  un  
ŐĞŶĞĐŚŝŵĞƌŝĐŽĚĞůů͛ĂůĚŽƐƚĞƌŽŶĞĐŽŶŝůƉƌŽŵŽƚŽƌĞĚĞůĐŽƌƚŝƐŽůŽ͗ů͛ĂůĚŽƐƚĞƌŽŶĞǀŝĞŶĞƋƵŝŶĚŝƐƚŝŵŽůĂƚŽ
ĚĂůů͛d,͖  
x Iperaldosteronismo  secondario:  il  surrene  è  iperstimolato  dal  sistema  renina-­‐angiotensina:  
o ƐƚĞŶŽƐŝĚĞůů͛ĂƌƚĞƌŝĂƌĞŶĂůĞ͗ƌŝĚƵnjŝŽŶĞƉƌessoria  
o ƐĐŽŵƉĞŶƐŽĐĂƌĚŝĂĐŽ͗ŝƉŽƉĞƌĨƵƐŝŽŶĞĚĞůů͛ĂƌƚĞƌŝŽůĂĂĨĨĞƌĞŶƚĞ  
o cirrosi:  ipotensione  da  vasodilatazione  splancnica  
o sindrome  nefrosica  
o tumori  secernenti  renina  
x Forme  periferiche  
o iperstimolazione  del  recettore  per  mineralcorticoidi  da  altri  steroidi:  
ƒ mutanjŝŽŶŝ ŝŶĂƚƚŝǀĂŶƚŝ ůĂ ϭϭɴ-­‐idrossisteroidodeidrogenasi   determinano   un   eccesso   di  
cortisolo  libero;  
ƒ ŝŶŝďŝnjŝŽŶĞĚĞůůĂϭϭɴ-­‐,^ĚĂƉĂƌƚĞĚĞůů͛ĂĐŝĚŽŐůŝĐŝƌƌŝnjŝĐŽ  
ƒ sindrome  di  Cushing  
o sindrome  di  Liddle:  mutazione  di  ENaC  che  ne  riduce  la  degradazione  
>͛ĞĐĐĞƐƐŝǀĂ ĂƚƚŝǀĂnjŝŽŶĞ ĚĞůDZ ĚĞƚĞƌŵŝŶĂ ĂƵŵĞŶƚŽ ĚĞůů͛ĞƐƉŽƐŝnjŝŽŶĞ Ğ ĚĞůů͛Ăƚƚŝǀŝƚă ĚĞŝ ĐĂŶĂůŝEĂ͕ ĐŽŶ ĐŽŶƐĞŐƵĞŶƚĞ
ritenzione  idrosalina  e  deplezione  di  potassio  e  protoni:  si  ha  ipertensione  arteriosa,  ipopotassiemia,  alcalosi,  nonché  
ĂƌŝƚŵŝĞĞĐĞĨĂůĞĂ;ů͛ŝƉĞƌƐŽĚŝĞŵŝĂ  è  mascherata  dalla  ritenzione  idrica).  >͛ĂůĚŽƐƚĞƌŽŶĞŚĂĂŶĐŚĞĞĨĨĞƚƚŝĚŝƌĞƚƚŝĂůŝǀĞůůŽ
ĐĂƌĚŝĂĐŽĞƌĞŶĂůĞ͘>ĂĐĂƌĂƚƚĞƌŝƐƚŝĐĂĚĞůůĂŵĂůĂƚƚŝĂğů͛ŝƉŽƉŽƚĂƐƐŝĞŵŝĂ͕ĂŶĐŚĞƐĞƋƵĞƐƚĂƉƵžŶŽŶƉƌĞƐĞŶƚĂƌƐŝĂůů͛ĞƐŽƌĚŝŽ
nella  metà  dei  pazienti;  se  marcata  può  provocare  crampi  e  debolezza  muscolare.  
Si   deve   sospettare   iperaldosteronismo   in   pazienti  con  ipertensione  grave  (>180/110)   o  con  ipertensione   (>160/100)  
associata   a   ipopotassiemia,   massa   surrenalica   o   esordio   sotto   i   40   anni.   La   prima   fase   di   valutazione   prevede   la  
ŵŝƐƵƌĂnjŝŽŶĞŝŶĐŽŶƚĞŵƉŽƌĂŶĞĂĚĞůůĂƌĞŶŝŶĂĞĚĞůů͛ĂůĚŽƐƚĞƌŽŶĞ47  per  calcolare  il  rapporto  A/R  se  questo  è  elevato  il  test  
ğƐƵŐŐĞƐƚŝǀŽƉĞƌĨŽƌŵĞƉƌŝŵŝƚŝǀĞĞƐŝƉĂƐƐĂĂŝƚĞƐƚĚŝĐŽŶĨĞƌŵĂ͕ĐŚĞŵŝƌĂŶŽĂĐŽŶĨĞƌŵĂƌĞů͛ĂƵƚŽŶŽŵŝĂĚĞůůĂƐĞĐƌĞnjŝŽŶĞ
di   aldosterone   Ğ ĂŐŝƐĐŽŶŽ ŝŶŝďĞŶĚŽ ů͛ĂƐƐĞ ƌĞŶŝŶĂ-­‐angiotensina-­‐aldosterone:   carico   salino,   fludrocortisone   o   ACE-­‐
ŝŶŝďŝƚŽƌĞ͖ƐĞů͛ĂůĚŽƐƚĞƌŽŶĞŶŽŶğƐŽƉƉƌĞƐƐŽƐŝƉĂƐƐĂĂůůĂĚŝĂŐŶŽƐƚŝĐĂƉĞƌŝŵŵĂŐŝŶŝƉĞƌŝĚĞŶƚŝĨŝĐĂƌĞůĂĐĂƵƐĂ͘>Ădğŝů
metodo   di   elezione,   anche   se   può   non   evidenziare   lesioni   piú   piccole   di   5   mm.   Può   essere   utile   la   scintigrafia  
surrenalica  con  iodocolesterolo  marcato  previa  soppressione  funzionale  della  fascicolata  tramite  desametasone.  Per  i  
pazienti  candidati  alla  chirurgia  è  possibile  differenziare  le  forme  unilaterali  (adenomi,  carcinomi)  da  quelle  bilaterali  
(iperplasia  surrenalica  b.)  tramite  il  cateterismo  delle  vene  surrenaliche,  che  valuta  il  rapporto  aldosterone/cortisolo  
nelle  due  vene.  

I  pazienti  <40  anni  con  lesione  unilaterale  possono  essere  trattati  con  surrenalectomia  laparoscopica;  gli  altri  possono  
essere  trattati  farmacologicamente  con  spironolattone  (antagonista  di  MR).  

   

                                                                                                                         
47   la   misurazione   va   fatta   prima   in   clinostatismo   e   una   seconda   volta   dopo   tre   ore   di   ortostatismo   (se   i   valori   non   sono  

modificati  è  indice  di  indipendenza  dal  sistema  omeostatico  e   quindi  di  adenoma);  idealmente  si  dovrebbe   interrompere  la  
terapia  antiipertensiva  
I Gazzellini

- Interna -
- Emato -

A. Fusco
INDICE

Neoplasie ematopoietiche ..................................................... 1

Leucemia mieloide acuta (LMA) .......................................... 4

Leucemia mieloide cronica (LMC) ....................................... 6

Anemie .................................................................................. 115

Sindromi linfoproliferative ................................................ 123

Gammapatie monoclonali ................................................. 126


Neoplasie ematopoietiche LEUCEMIA
Presentazione asintomatica = malattia indolente
Definizione Sintomi costituzionali
Le neoplasie ematopoietiche derivano da una prolifera- 1. Astenia
zione incontrollata di cellule ematopoietiche immature, in
2. Debolezza muscolare
maturazione o mature. Esse sono classificate in:
1. Neoplasie mieloidi: le cellule neoplastiche mo- 3. Anoressia
strano caratteristiche di precursori mieloidi e/o 4. Calo ponderale
dei loro prodotti di differenziazione (eritrociti, 5. Febbre
megacariociti, granulociti, monociti); Da espansione midollare
2. Neoplasie linfoidi: le cellule neoplastiche deri- 1. Dolori ossei (sterno)
vano da precursori o cellule mature di tipo T o B;
Da infiltrazione dei tessuti
3. Neoplasie istiocitiche/dendritiche: derivano da
cellule che normalmente si differenziano in APC 1. Linfadenopatia (rara)
professionali, ossia le cellule dendritiche e i ma- 2. Splenomegalia (rara)
crofagi tissutali (istiociti). 3. Sarcoma mieloide (<1%)
• Ipertrofia gengivale
Presentazione clinica • Lesioni cutanee
Dal punto di vista clinico, le neoplasie mieloidi e linfoidi 4. Sintomi da infiltrazione del SNC
possono presentarsi in due modi diversi:
Da pancitopenia
1. Leucemia: indica interessamento primario del
midollo osseo e del sangue, con scarsa tendenza Trombocitopenia
della neoplasia a formare masse tumorali 1. Petecchie, ecchimosi
2. Linfoma: indica che la neoplasia tende a forma- 2. Sanguinamento gengivale
re masse nei tessuti linfoidi (= masse linfonodali Eritrocitopenia
e splenomegalia) con scarso interessamento del 1. Astenia
sangue periferico e del midollo osseo. 2. Pallore cutaneo
Le neoplasie mieloidi si manifestano praticamente sempre
Leucopenia (neutropenia)
sotto forma di leucemia. Al contrario, le neoplasie linfoidi
si possono manifestare come leucemia o linfoma. 1. Infezoni ! febbre
LINFOMA
È importante precisare che spesso, sul piano clinico, tale
distinzione non è netta, e ciascuna forma di presentazione
Presentazione indolente (= presentazione A)
può avere caratteristiche dell’altra.
1. Linfadenopatia asintomatica
Le manifestazioni cliniche di ciascuna delle due forme
2. Epatomegalia o splenomegalia asintomatiche
sono elencate nelle tabelle a lato. 3. Eventuali citopenie non gravi
Qualora, sulla base del quadro clinico o dell’emocromo, si Sintomi costituzionali (= presentazione B)
sospetti una leucemia o un linfoma, la valutazione deve 1. Febbre
coprendere: 1) emocromo completo; 2) striscio di sangue 2. Sudorazione notturna
periferico; 3) biopsia o aspirato midollare; 4) eventuale 3. Perdita di peso
biopsia linfonodale nel sospetto di linfoma. 4. (prurito)
L’emocromo e lo striscio periferico permettono immedia- Sintomi da formazione di massa
tamente di distinguere neoplasie mieloidi o linfoidi. Se le 1. Sindrome della VCS
cellule circolanti sono blasti (=altamente immature) allora 2. Ostruzione acuta delle vie aeree superiori
tale distinzione è più difficile, e allo striscio periferico si 3. Ostruzione delle vie urinarie
effettua la ricerca dei corpi di Auer e la reazione della 4. Intussuscezione e ostruzione intestinale
MPO. Entrambe sono sempre positive nelle neoplasie 5. Sintomi da massa nel SNC
mieloidi, mentre sono sempre negative in quelle linfoidi. 6. Compressione del midollo spinale
SINTOMI COMUNI AD ENTRAMBE LE FORME
Se le cellule sono linfoidi, allora occorre classificare il
Sintomi da ipercellularità e intenso turnover cellu-
quadro come leucemia o linfoma. Ciò viene fatto grazie
lare
alla biopsia del midollo osseo: se nel midollo i blasti sono
1. Iperviscosità ematica
>25% si parla di leucemia (che sia presente o meno una 2. Malattia tromboembolica venosa
massa nei tessuti linfoidi), altrimenti si parla di linfoma. 3. Ipercalcemia (da distruzione dell’osso?)
Se il midollo non è disponibile, va bene anche il sangue 4. Iperuricemia
periferico. • Nefropatia da acido urico
Arrivati a questo punto, abbiamo quindi 3 possibilità: leu- • Artrite gottosa
cemia mieloide, leucemia linfoide, linfoma.

1
Nel caso della leucemia mieloide, essa viene classificata quali il midollo osseo mostra iperplasia eritroide (reversi-
come acuta (LMA) o cronica (LMC) sulla base della per- bile se tali vitamine vengono reintegrate).
centuale di blasti presenti nel midollo osseo (sempre Nel caso della leucemia linfoide e del linfoma, essi ven-
>20% nella forma acuta; variabile in quella cronica), e gono definitivamente classificati in base ad indagini cito-
sulla base delle indagini citogenetiche, che dirimono ogni genetiche ed immunofenotipiche, che permettono di indi-
dubbio. viduare la cellula di origine della neoplasia. Tale identifi-
La LMA va distinta inoltre dalla mielodisplasia, che può cazione non ha valore prognostico, ma permette di diffe-
presentarsi con una percentuale di blasti nel midollo at- renziare tra loro le varie forme, orientando il trattamento.
torno al 20%, e dal deficit di vitamina B12 o di folati, nei

2
NOTA: vista l’importanza del linfoma di Hodgkin (LH)
tutti gli altri linfomi vengono definiti convenzionalmente
“linfomi non-Hodgkin” (LNH).
Va infine segnalato che, nei pazienti con neoplasia di ori-
gine linfoide, vi sono alcuni sistemi di stadiazione ed in-
dici prognostici comuni.

Il sistema di stadiazione di Ann Arbor


E’ il sistema di stadiazione comunemente impiegato sia
nel linfoma di Hodgkin che nei linfomi non-Hodgkin per
definire l’estensione della malattia (stadio). La definizio- Caratteristiche comuni della terapia e del follow-up
ne dello stadio è essenziale per decidere il trattamento ot- La chemioterapia di leucemia e linfomi si suddivide in 3
timale. fasi: induzione della remissione, consolidamento della
Il sistema di stadiazione di Ann Arbor prevede 4 stadi: remissione, mantenimento della remissione. La durata
• Stadio I: coinvolgimento di una sola stazione della terapia è variabile, così come i farmaci utilizzati.
linfonodale (stadio IE se unica localizzazione e- Al termine del trattamento, si valuta la presenza di Malat-
xtranodale). tia residua minima (Minimal residual disease, MRD), os-
• Stadio II: coinvolgimento di due o più stazioni sia la quota di cellule neoplastiche che non sono state di-
linfonodali dallo stesso lato del diaframma (sta- strutte. Essa viene valutata tramite l’esecuzione di RT-
dio IIE se coesiste una limitata localizzazione e- PCR, che ricerca il materiale genetico associato alle cellu-
xtranodale per contiguità). le neoplastiche.
• Stadio III: coinvolgimento di linfonodi da am- La remissione è in genere caratterizzata dall’assenza di
bedue i lati del diaframma MRD, scomparsa dei sintomi legati alla malattia e dalla
• Stadio IV: localizzazione extranodale estesa normalizzazione del quadro ematologico e bioptico.
(midollo osseo, fegato) In seguito alla remissione il paziente va seguito periodi-
Ogni stadio viene inoltre definito A oppure B in base camente, in quanto la malattia può recidivare. In genere il
all’assenza o presenza di sintomi sistemici, detti anche follow-up prevede l’esecuzione di anamnesi, esame obiet-
sintomi B (febbre superiore a 38°C, sudorazioni notturne tivo, emocromo completo, biochimica, LDH, ricerca della
profuse, calo di peso superiore al 10% del normale peso MRD. La PET/CT non viene effettuata in tutti i pazienti.
corporeo negli ultimi 6 mesi). A completamento della sta- Qualora vi sia sospetto di recidiva, questa deve essere
diazione, vengono definite “bulky” le adenopatie massive confermata su campioni bioptici.
(mediastiniche, addominali, superficiali). A livello media-
stinico viene convenzionalmente definita bulky una ade-
nopatia con diametro trasversale superiore ad 1/3 del dia-
metro toracico, oppure superiore ai 10 cm.

L’Indice Prognostico Internazionale (IPI) per il linfo-


ma non-Hodgkin.
L’IPI considera 5 fattori di rischio clinico:
1. Età >60 anni
2. Aumentati livelli di LDH
3. Performance status >=2 ECOG o <70 Karnofsky
4. Stadio di Ann Arbor III o IV
5. Coinvolgimento di più di una sede extralinfono-
dale
Ciascuno di questi fattori di rischio vale 1 punto. Sulla
base del punteggio possiamo ottenere informazioni ri-
guardo al paziente.

3
Leucemia mieloide acuta (LMA)

Definizione Clinica
Rientrano sotto la definizione di LMA un gruppo di no- I pazienti con LMA sono per lo più sintomatici al momen-
plasie ematopoietiche, che coinvolgono i precursori mie- to della presentazione clinica. Possiamo classificare i sin-
loidi. tomi come:
Costituzionali
La LMA si caratterizza per l’accumulo, nel midollo osseo, 1. Astenia
nel sangue periferico, e occasionalmente nei tessuti, di 2. Debolezza muscolare
precursori mieloidi (forme immature, blasti). 3. Anoressia
4. Calo ponderale
Epidemiologia 5. Febbre
La LMA è la leucemia acuta più comune negli adulti, co- Da espansione midollare
stituendo circa l’80% dei casi. È invece rara nei bambini, 1. Dolori ossei (sterno)
e infatti l’età media alla diagnosi è di 65 anni. Da infiltrazione dei tessuti
1. Linfadenopatia (rara)
Eziopatogenesi 2. Splenomegalia (rara)
A differenza della LMC, la LMA è stata associata con un 3. Sarcoma mieloide (<1%)
certo numero di fattori di rischio, ossia: • Ipertrofia gengivale
1. Ereditarietà: alcune sindromi con aneuploidia • Lesioni cutanee
cromosomica (Down, Klinefelter, Patau) o carat- 4. Sintomi da infiltrazione del SNC
terizzate da fragilità cromosomica (anemia di Da pancitopenia
Fanconi, atassia-teleangectasia). Trombocitopenia
2. Radiazioni 1. Petecchie, ecchimosi
3. Agenti chimici: benzene, fumo, ossido di etilene, 2. Sanguinamento gengivale
erbicidi e pesticidi Eritrocitopenia
4. Farmaci: i chemioterapici antineoplastici sono la 1. Astenia
principale causa iatrogena di LMA. In questi casi 2. Pallore cutaneo
la patologia insorge da 1 a 6 anni dopo il tratta- Leucopenia (neutropenia)
mento con tali farmaci. 1. Infezoni ! febbre
Inoltre, va ricordato come alcune alterazioni ematologiche
quali le sindromi mielodisplastiche possano evolvere poi Esami di laboratorio
in LMA. Emocromo. L’emocromo dei pazienti con LMA mostrerà
Tali fattori agiscono, secondo le attuali ipotesi patogeneti- nella maggioranza dei casi:
che, determinando danno al DNA. Secondo la “two hit 1. Anemia normocromica normocitica con basso IR
hypothesis” vi sarebbe una prima mutazione che conferi- 2. Piastrinopenia da moderata a grave
sce a determinati cloni di precursori un vantaggio seletti- 3. Leucocitosi (>15.000)
vo e, successivamente, una seconda mutazione ne com- Striscio periferico. Tale esame rivelerà un grande quantità
prometterebbe il differenziamento (dando quindi come di blasti in circolo in circa il 95% dei pazienti. Poiché i
risultato l’accumulo di precursori). blasti mieloidi sono morfologicamente indistinguibili da
quelli linfoidi (= diagnosi differenziale con leucemia lin-
Fisiopatologia foide acuta) è necessario distinguerli tramite alcuni ele-
La proliferazione midollare dei suddetti precursori ostaco-
menti:
la la normale mielopoiesi, determinando riduzione di tutte
1. Corpi di Auer: sono dei granuli citoplasmatici
le linee cellulari normali, e le cellule leucemiche liberate
in circolo possono accumularsi, a volte, a livello dei tes- eosinofili, presenti solo nei blasti mieloidi
suti. 2. Reazione della MPO: è positiva solo nei blasti
L’intenso metabolismo e turnover cellulare determinano mieloidi
inoltre accumulo di acido urico nel sangue, con tutte le 3. Immunofenotipizzazione: si ricercano i marker di
possibili conseguenze (artrite gottosa, nefrolitiasi da acido membrana della serie mieloide o linfoide. NO-
urico).

4
TA: in entrambi i casi i blasti possono pure e- 7. M5 = LMA monocitica
sprimere entrambi i markers. 8. M6 = Eritroleucemia
Biopsia o aspirato del midollo osseo. In genere si pratica 9. M7 = LMA megacarioblastica
prima l’aspirato e, se non si può aspirare nulla (per Riguardo invece alla prognosi, essa è correlata, oltre che
l’eccessiva cellularità del midollo o per fibrosi midollare) allo stato della malattia (% di blasti in circolo), anche e
allora si pratica la biopsia. L’aspetto di quest’esame sarà soprattutto ad altri fattori, quali: 1) età, che è il più impor-
simile a quello dello striscio periferico, con una grandis- tante; 2) Malattie croniche o acute intercorrenti; 3) per-
sima abbondanza di blasti in proliferazione. formance status; 4) Reperti cromosomici specifici.

Diagnosi, diagnosi differenziale e inquadramento Terapia


La diagnosi definitiva si ottiene se: Le opzioni terapeutiche per la LMA sono:
1. Sono presenti >20% di blasti nel midollo 1. Chemioterapia (controllo della malattia);
2. Sono presenti >20% di blasti nel sangue periferi- 2. Trapianto allogenico di midollo osseo (risoluti-
co va)
3. I blasti sono mieloidi La chemioterapia prevede di solito citarabina + antraci-
Tali blasti potranno apparire come appartenenti a una in clina. Essa viene divisa in una fase di induzione della re-
particolare delle classi di differenziamento mieloide. missione e una di consolidamento.
La diagnosi differenziale deve prendere in considerazio- Il grande problema della chemioterapia è rappresentato
ne le seguenti situazioni: dalle complicanze (pancitopenia) che richiedono terapia
1. Mielodisplasia: se i blasti sono attorno al valore di supporto con emoderivati e stretto controllo delle infe-
soglia (20%). Occorre comunque ricordare che la zioni (in caso di febbre iniziare subito una terapia antibio-
mielodisplasia può evolvere in LMA tica empirica ad ampio spettro, prima di ottenere i risultati
2. Leucemia linfoide: può esservi dubbio nel caso di eventuali esami colturali).
in cui venga effettuata immunofenotipizzazione Al termine della chemioterapia il paziente deve essere va-
e la neoplasia esprima i marker di entrambe le li- lutato periodicamente alla ricerca di possibili segni di re-
nee cellulari. cidiva e, qualora fossero presenti, dovrebbe effettuare (se
3. LMC in fase blastica: questa è la diagnosi diffe- giovane) il trapianto di midollo osseo al più presto. Ta-
renziale più importante, in quanto cambia radi- le opzione rappresenta tra l’altro la scelta migliore nei pa-
calmente il trattamento (nella LMC possiamo in- zienti giovani.
fatti usare gli inibitori della tirosina kinasi). La
distinzione può probabilmente essere fatta sulla NOTA: La leucemia promielocitica (M3) viene trattata
base delle anomalie citogenetiche caratteristiche con tretionina o triossido di arsenico, che inducono una
della LMC. remissione prolungata, ma possono determinare, nelle
Una volta escluse anche le altre possibili condizioni, prime 3 settimane di trattamento, una sindrome toracica
l’inquadramento del paziente si ottiene classficando la acuta dovuta ad adesione di cellule neoplastiche
malattia e valutando i fattori prognostici. Per quanto ri- all’endotelio dei vasi polmonari, in genere responsiva ai
guarda la classificazione, ve ne sono 2: la FAB (French corticosteroidi.
American British) e la classificazione WHO. In generale,
possiamo considerare comunque 4 tipi principali di LMA:
1) LMA correlata a specifiche anomalie genetiche; 2)
LMA che insorge su mielodisplasia; 3) LMA iatrogena; 4)
LMA non altrimenti specificata. Quest’ultimo gruppo cor-
risponde sostanzialmente alla classificazione FAB:
Classificazione FAB
1. M0 = LMA scarsamente differenziata
2. M1 = LMA senza maturazione
3. M2 = LMA con maturazione
4. M3 = LMA promielocitica ipergranulare
5. M4 = LMA mielomonocitica
6. M4Eo = come sopra ma eosinofilica

5
Leucemia mieloide cronica (LMC)
Clinica
Definizione Al momento della presentazione clinica, i pazienti
La LMC è una neoplasia mieloproliferativa della possono essere:
serie granulocitica. • Asintomatici (50%): In questi pazienti la
malattia viene sospettata sulla base delle
È caratterizzata da accumulo in circolo di granu- modifiche agli esami di laboratorio di rou-
lociti in vari stadi di maturazione, e ha un decorso tine (vedi oltre).
bifasico o trifasico (fase cronica, fase accelerata e • Sintomatici: in questi pazienti predomi-
fase blastica). nano i sintomi costituzionali, legati
all’ipermetabolismo della malattia (aste-
Epidemiologia nia, perdita di peso, sudorazione notturna,
La LMC causa il 15-20% delle leucemie negli a- malessere generale). Possono essere pre-
dulti. L’erà media alla diagnosi è di 50-60 anni. senti anche sintomi più specifici, ossia do-
Fatta eccezione per le radiazioni, non sono stati lore all’ipocondrio sx (occasionalmente
identificati altri fattori di rischio per la malattia. irradiato alla spalla sx) o senso di sazietà
Non è chiaro se vi sia o meno una predisposizione precoce, dovuti alla splenomegalia da in-
genetica allo sviluppo di tale neoplasia: esistono filtrazione splenica di cellule neoplasti-
alcune famiglie che presentano diversi casi di ma- che. Può anche essere presenta dolorabili-
lattia, per lo più associati a mutazioni somatiche tà alla parte inferiore dello sterno, dovuta
di BCR/ABL (vedi oltre) o JAK, ma nella popola- all’espansione del midollo osseo, oppure
zione generale non sono stati identificati fattori di artrite e nefrolitiasi, dovute
predisposizione genetica. all’iperuricemia.
L’esame obiettivo rivelerà per lo più splenome-
Patogenesi e genetica galia e, nei pazienti in fase accelerata (vedi oltre)
La LMC è nel 90-95% dei casi dovuta a una tra- anche un interessamento dei linfonodi.
slocazione cromosomica (9;22) che determina la
formazione di un cromosoma ibrido (Cromosoma Esami di laboratorio
Philadelphia) e la sintesi di una proteina aberran- Emocromo. L’emocromo dei pazienti con LMC
te, la proteina BCR/ABL. Tale proteina ha attività mostrerà per lo più:
costitutiva di tirosina kinasi, e determina prolife- 1. Anemia normocitica normocromica
razione incontrollata e resistenza all’apoptosi dei 2. Leucocitosi neutrofila
precursori granulocitari. 3. Piastrine normali o alte
Nei restanti casi sono presenti per lo più altre NOTA: un numero di piastrine basso deve indurre
complesse traslocazioni che comprendono i cro- a riconsiderare la diagnosi di LMC per altri disor-
mosomi 9 e 22, ma che non determinano forma- dini mieloproliferativi!
zione del cromosoma Philadelphia. Striscio periferico. Lo striscio periferico della
LMC è piuttosto caratteristico: è evidente la leu-
Fisiopatologia cocitosi, con abbondanza soprattutto di neutrofili,
Le traslocazioni appena descritte determinano ac- ma anche di eosinofili e basofili. Caratteristica-
cumulo in circolo di granulociti e di loro precurso- mente, le forme circolanti sono sia in maturazione
ri. Caratteristicamente, nella LMC, si accumulano che mature, e i blasti sono in genere <2%.
in circolo prevalentemente neutrofili, ma anche Allo striscio periferico è importante effettuare an-
basofili ed eosinofili. che la reazione per la fosfatasi alcalina neutrofila.
La proliferazione midollare dei precursori granu- Tale reazione è necessaria per differenziare la
locitari ostacola la normale eritropoiesi, e i granu- LMC dalla reazione leucemoide (ossia leucocitosi
lociti liberati in circolo tendono ad accumularsi a e trombocitosi che si osservano quando c’è in-
livello dei tessuti, soprattutto la milza. fiammazione acuta). Nella LMC infatti, essendo i
L’intenso metabolismo e turnover cellulare de- neutrofili in circolo anormali, la reazione della fo-
terminano inoltre accumulo di acido urico nel sfatasi alcalina sarà negativa, o comunque non sa-
sangue, con tutte le possibili conseguenze (artrite rà ai livelli normali, osservabili nella reazione leu-
gottosa, nefrolitiasi da acido urico). cemoide.

6
Biopsia del midollo osseo. Le caratteristiche della splenico; 3) percentuale di blasti circolanti; 4)
biopsia sono simili a quelle dello striscio periferi- conta piastrinica; 5) conta di basofili ed eosinofili.
co. Anomalie caratteristiche sono rappresentate Terapia
da: 1) una riduzione delle aree di proliferazione Le possibilità di trattamento per i pazienti con
eritroide; 2) “Megacariociti nani”, ossia megaca- LMC sono essenzialmente tre:
riociti con caratteristiche anomale e dimensioni 1. Trapianto di midollo osseo (potenzial-
ridotte. mente curativo)
2. Inibitori delle tirosina-kinasi (controllano
Diagnosi e inquadramento la malattia)
La conferma diagnostica di LMC viene ottenuta 3. Agenti citotossici (palliativi)
grazie alle indagini citogenetiche, effettuate sul Trapianto di midollo osseo. Rappresenta
campione bioptico. Allo stesso tempo, tali indagi- l’opzione curativa per i pazienti giovani, e an-
ni ci forniscono informazioni che ci permettono di drebbe considerata in tutti i pazienti in crisi blasti-
inquadrare il paziente dal punto di vista progno- ca, qualora ci fosse un donatore disponibile.
stico e terapeutico. Inibitori delle tirosina kinasi. Sono imatinib, da-
Citogenetica. Come accennato prima, le alterazio- satinib e nilotinib. Sebbene non possano curare la
ni genetiche più comuni coinvolgono i cromosomi malattia, sono efficaci nel controllarla a lungo
9 e 22, ma possono essere presenti numerose altre termine.
alterazioni. In particolare, possiamo dire che le Agenti citotossici. Questo gruppo di farmaci in-
alterazioni descritte in precedenza sono necessarie clude: 1) idrossiurea, che viene utilizzata nei pa-
per la genesi della malattia, mentre le ulteriori zienti con leucocitosi spiccatissima in attesa della
mutazioni acquisite (es. trisomie ed aneuploidie) diagnosi; 2) IFN; 3) Citarabina.
sono responsabili della transizione della malattia
verso la fase accelerata o la fase blastica, e inoltre In generale, nei pazienti in cui non è disponibile
sono predittori di scarsa risposta alla terapia. un donatore, il trattamento iniziale è con inibitori
Quota di blasti. Sulla base della conta di blasti nel della tirosina kinasi.
sangue periferico o nel midollo osseo, e di altre La prognosi è peggiore nei pazienti in fase accele-
caratteristiche, possiamo stadiare la malattia in: rata e in crisi blastica, soprattutto se sono già stati
Fase cronica trattati con tali farmaci.
1. Malattia indolente
2. Facilmente controllata con la chemiote-
rapia
3. Blasti <10%
Fase accelerata
1. Blasti 10-20%
2. Basofili periferici >20%
3. Piastrine <100mila
4. Piastrine >1mln non responsive alla te-
rapia
5. Evoluzione citogenetica
6. Splenomegalia o leucocitosi progressi-
ve, non responsive alla terapia
Fase blastica
1. Blasti >20% nel sangue periferico
2. Blasti >30% nel midollo osseo
3. Grandi aggregati di blasti nel midollo
4. Infiltrati di blasti periferici

Prognosi
Sono stati ideati vari indici prognostici per la
LMC (Sokal, Hasford). In generale, i fattori de-
terminanti per la prognosi sono: 1) età; 2) volume

7
115  
 

xxix‡‹‡  

Con  anemia  si  intente  la  riduzione  della  quantità  totale  di  emoglobina  nel  sangue.  
In  realtà   per  conoscere  la   quantità   occorre  moltiplicare   la  concentrazione   per  il  volume   ematico,   e  poiché  calcolare  
ƋƵĞƐƚ͛ƵůƚŝŵŽğĐŽŵƉůĞƐƐŽƐŝƉƌĞĨĞƌŝƐĐĞƵƐĂƌĞůĂĐŽŶĐĞŶƚƌĂnjŝŽŶĞĚŝĞmoglobina  come  indice  per  valutare  la  presenza  di  
anemia.  

Si  pone  diagnosi  generica  di  anemia  quando  la  concentrazione  di  emoglobina  è  
<12  g/dL  nella  donna        <  13  g/dL  ŶĞůů͛ƵŽŵŽ74.  

&ŝŶŽĂϭϬŐͬĚ>ů͛ĂŶĞŵŝĂğůŝĞǀĞ͕ĨŝŶŽĂϴŐͬĚ>ŵŽĚĞƌĂƚĂĞƐŽƚƚŽƋƵĞƐƚŽlivello  grave.  

Classificazione  patogenetica  
Le   anemie   possono   essere   distinte   in   base   al   meccanismo   patogenetico   responsabile   della   riduzione   dei   livelli   di  
emoglobina.  La  classificazione   non   è  comunque  precisa   perché   più   meccanismi  insieme   possono   causare   un   singolo  
sottotipo.  

I. Ridotta  produzione  di  eritroblasti  (ipoproliferative)  


a. aplasia  midollare  
b. eritroblastopenia  (congenita  di  Diamond-­‐Blackfan  o  acquisita)  
c. anemia  da  insufficienza  renale  
II. Ridotta  produzione  di  eritrociti  (maturative)  
a. anemia  megaloblastica  
III. Ridotta  produzione  di  emoglobina  
i. anemia  sideropenica  
ii. anemia  da  flogosi  cronica  
b. emoglobinopatie  
i. talassemie  
ii. persistenza  di  HbF  
iii. malattia  a  cellule  falciformi  
IV. Emolisi  
a. ĂůƚĞƌĂnjŝŽŶŝĚĞůů͛ĞŵŽŐůŽďŝŶĂ  
b. alterazioni  di  membrana  
i. sferocitosi  ereditaria  
ii. emoglobinuria  parossistica  notturna  
c. alterazioni  degli  enzimi  
i. deficit  della  piruvato  chinasi  
ii. deficit  della  glucosio-­‐6-­‐fosfato  deidrogenasi  
d. anticorpi  
i. Ig  anti-­‐eritrociti  
ii. malattia  emolitica  del  neonato  
iii. malattia  emolitica  autoimmune  da  Ig  calde  /  da  Ig  fredde  
e. cause  meccaniche  
f. farmaci  
V. Perdita  

Manifestazioni  cliniche  
ůĐƵŶĞŵĂŶŝĨĞƐƚĂnjŝŽŶŝĐůŝŶŝĐŚĞƐŽŶŽĐŽŵƵŶŝĂƚƵƚƚĞůĞĂŶĞŵŝĞĞĚŝƉĞŶĚŽŶŽŐĞŶĞƌĂůŵĞŶƚĞĚĂůů͛ĞŶƚŝƚăĚĞůůĂƌŝĚƵnjŝŽŶĞĚŝ
emoglobina;  altre  dipendono  dal  tipo  specifico  di  anemia.  
                                                                                                                         
74
 OMS  2008,  sul  Tura  dice  <11,5  e  <12,5.  
116  
 

Le   manifestazioni   generali   originano   dalla   riduzione   della   capacità   di   trasporto   di   ossigeno   al   sangue   e   quindi  
ŶĞůů͛ŝƉŽƐƐŝĂƚĞƐƐƵƚĂůĞ͘>ĂůŽƌŽƉƌĞƐĞŶnjĂĞĚĞŶƚŝƚăğĐŽŵƵŶƋƵĞĚŝƉĞŶĚĞŶƚĞĚĂůůĂǀĞůŽĐŝƚăĚŝŝŶƐƚĂƵƌĂnjŝŽŶĞĚĞůů͛ĂŶĞŵŝĂ
perché  nelle  forme  croniche  si  instaurano  meccanismi  di  compenso.  
EĞůůĞĨŽƌŵĞĐƌŽŶŝĐŚĞƐŝŚĂƉĂůůŽƌĞĚĞůůĂĐƵƚĞĞĚĞůůĞŵƵĐŽƐĞ͖ŝŶĨŽƌŵĞŐƌĂǀŝƐŝƉƵžƌŝůĞǀĂƌĞĂůů͛ĂƵƐĐƵůƚĂnjŝŽŶĞĐĂƌĚŝĂĐĂƵŶ
soffio  sistolico  da  eiezione.  
Nelle  forme  acute  il  paziente  descrive  una  transizione  rapida  dal  benessere  ad  astenia  intensa,  dispnea,  cardiopalmo,  
ĐĞĨĂůĞĂƉƵůƐĂŶƚĞ͕ǀĞƌƚŝŐŝŶŝĞůŝƉŽƚŝŵŝĞ͘/ƐĞŐŶŝŽďŝĞƚƚŝǀŝƐŽŶŽƋƵĞůůŝĚĞůů͛ŝƉĞƌĐŝŶĞƐŝĐĂƌĚŝŽĐŝƌĐŽůĂƚŽƌŝĂ͕ĐŽŵĞůĂƚĂĐŚŝĐĂƌĚŝa.  

Manifestazioni  specifiche  (vedi)  consentono  di  orientare  la  diagnosi  verso  i  vari  tipi  di  anemia)  

Valori  di  laboratorio  


  Donna   Uomo  
Emoglobina  (Hb)   12-­‐15  g/dL   14-­‐17  g/dL  
3
Eritrociti  (RBC)   4-­‐5  milioni/mm   5-­‐6  milioni/mm3  
Ematocrito   (Hct):   è   la   percentuale   di   volume   ematico   occupato   da   35-­‐40%   40-­‐45%  
cellule.  
Volume  corpuscolare  medio  (MCV):  rapporto  tra  ematocrito  e  numero   80-­‐ϭϬϬĨ>;ʅŵ3)  
di  globuli  rossi.  
<80  fL:  anemie  microcitiche  ʹ  per  talassemie  o  sideropenia.  
80-­‐100  fL:  anemie  normocitiche  ʹ  molte  cause  
>100  fL:  anemia  macrocitiche  ʹ  megaloblastiche,  emolisi,  displasia  
Concentrazione   emoglobinica   corpuscolare   media   (MCHC):   30-­‐36  g/dL  
concentrazione  media  di  Hb  in  un  volume  di  eritrociti  segmentati;  è  il  
rapporto  tra  Hb  e  Hct.  
Emoglobina   corpuscolare   media   (MCH):   quantità   media   di   Hb   in   un   27-­‐31  pg  
ŐůŽďƵůŽƌŽƐƐŽ͖ğŝůƌĂƉƉŽƌƚŽƚƌĂů͛ĞŵĂƚŽĐƌŝƚŽe  il  numero  di  eritrociti  
<27  pg:  anemie  ipocromiche  
27-­‐31  pg:  anemie  normocromiche  
Ampiezza   di   distribuzione   eritrocitaria   (RDW):   coefficiente   di   11-­‐14%  
variazione  volumetrica  dei  vari  eritrociti.  Se  è  alto  si  parla  di  anisocitosi.  
Reticolociti   1%  

Anemie  ipoproliferative  (I  gruppo)  


Le   anemie   ipoproliferative   sono   accomunate   da   una   ridotta   formazione   di   eritroblasti.   Sono   normocitiche,  
normocromiche  e  con  una  riduzione  dei  reticolociti.  Possono  essere  associate  a  deficit  di  tutte  le  linee  midollari  o  dei  
soli  eritroblasti  (aplasie  eritroidi  pure)  

Anemia  sideropenica  e  flogistica  


v.  sotto  

Anemia  da  insufficienza  renale  


EĞů ĐŽƌƐŽ ĚŝŝŶƐƵĨĨŝĐŝĞŶnjĂ ƌĞŶĂůĞ ĐƌŽŶŝĐĂ Ɛŝ ƐǀŝůƵƉƉĂ ƵŶ͛ĂŶĞŵŝĂĐĂƵƐĂƚĂ ƉƌŝŶĐŝƉĂůŵĞŶƚĞ ĚĂ ƵŶĂ ƌŝĚŽƚƚĂ ƉƌŽĚƵnjŝŽŶĞĚŝ
eritropoietina   che   causa   ipoproliferazione   dei   precursori   eritroidi.   Meccanismi   secondari   sono   la   perdita   renale   di  
117  
 
75
ĞƌŝƚƌŽĐŝƚŝ Ğ ů͛ƵƌĞŵŝĂ ͕ ĐŚĞ ĚĂ ƵŶ ůĂƚŽ ƉƌŽǀŽĐĂ ƉŝĂƐƚƌŝŶŽƉĞŶŝĂ Ğ ƋƵŝŶĚŝ ĞŵŽƌƌĂŐŝĂ ĐƌŽŶŝĐĂ Ğ ĚĂůů͛ĂůƚƌŽ ƉƌŽĚƵnjŝŽŶĞ Ěŝ
tossine  che  inibiscono  ulteriormĞŶƚĞů͛ĞƌŝƚƌŽƉŽŝĞƐŝ͘  
/ůĚĂƚŽĚŝůĂďŽƌĂƚŽƌŝŽƉŝƶŝŵƉŽƌƚĂŶƚĞğůĂĐŽŶĐĞŶƚƌĂnjŝŽŶĞĚŝĞƌŝƚƌŽƉŽŝĞƚŝŶĂƐŝĞƌŝĐĂďĂƐƐĂŶŽŶŽƐƚĂŶƚĞů͛ĂŶĞŵŝĂ͘  

La  terapia  sostitutiva  con  eritropoietina  umana  ricombinante  (rHuEPO)  è  indicata  in  presenza  di  anemia  moderata;  si  
effettuĂ ƉĞƌ ǀŝĂ ĞŶĚŽǀĞŶŽƐĂ Ž ƐŽƚƚŽĐƵƚĂŶĞĂ͘ >͛ŽďŝĞƚƚŝǀŽ ƚĞƌĂƉĞƵƚŝĐŽ ğ Ěŝ ƌĂŐŐŝƵŶŐĞƌĞ ƵŶĂ ĐŽŶĐĞŶƚƌĂnjŝŽŶĞ
emoglobinica   da   anemia   lieve;   non   si   cerca   di   aumentarla   ulteriormente   per   il   rischio   di   ipertensione   e   trombosi.  
YƵĂŶĚŽğƐƚĂƚŽƌĂŐŐŝƵŶƚŽů͛ŽďŝĞƚƚŝǀŽƐŝƌŝĚƵĐe  la  dose  fino  alla  dose  minima  efficace  di  mantenimento.  La  refrattarietà  
alla   terapia   si   può   avere   per   carenza   di   ferro,   intossicazione   da   alluminio,   flogosi,   fibrosi   midollare   e   formazione   di  
anticorpi  anti-­‐EPO.  

Anemie  megaloblastiche  (II  gruppo)  


Le   aneŵŝĞ ŵĞŐĂůŽďůĂƐƚŝĐŚĞ ƐŽŶŽ ĐĂƵƐĂƚĞ ĚĂ ƵŶ͛ĞƌŝƚƌŽƉŽŝĞƐŝ ŝŶĞĨĨŝĐĂĐĞ͕ ĐŽŶ ƵŶ ĚĞĨŝĐŝƚ ĚĞůůĂ ŵĂƚƵƌĂnjŝŽŶĞ ĚĞŐůŝ
eritroblasti   a   eritrociti.   Sono  caratteristicamente   macrocitiche   e   normocromiche.   Alla   biopsia   midollare   si  rileva  una  
grande  quantità  di  eritroblasti.  Sono  causate  quasi  sempre  da  un  deficit  di  cobalamina  o  di  acido  folico;  raramente  da  
farmaci.  
>͛ĂƵŵĞŶƚŽ ĚĞůůĞ ĚŝŵĞŶƐŝŽŶŝ ĐĞůůƵůĂƌŝ ĚŝƉĞŶĚĞƌĞďďĞ ŝŶ ƵůƚŝŵĂ ŝƐƚĂŶnjĂ ĚĂů ĚŝĨĞƚƚŽ ĚĞůůĂ ƐŝŶƚĞƐŝ ĚĞů E ĐŽŶŐŝƵŶƚŽ Ăů
ŵĂŶƚĞŶŝŵĞŶƚŽĚĞůůĂƐŝŶƚĞƐŝĚĞůů͛ĞŵŽŐůŽďŝŶĂ76.  

Fisiologia  della  cobalamina  


La   cobalamina   (vitamina   B12)   è   una   molecola   complessa   che   agisce   da   cofattore   essenziale  per  la  metionina   sintasi,  
processo  in  cui  si  rigenerano  i  folati,  e  per  la  metilmalonilCoA  mutasi.  

EŽŶĞƐƐĞŶĚŽƐŝŶƚĞƚŝnjnjĂƚĂĚĂůů͛ŽƌŐĂŶŝƐŵŽ͕Ěeve  essere  introdotta  con  la  dieta;  si  trova  essenzialmente  nelle  proteine  di  
origine  animale.  Il  processo  di  assorbimento  è  complesso:  
1. nello  stomaco  la  cobalamina  viene  rilasciata  dai  complessi  proteici  a  cui  è  legata  
2. ƐŝĐŽŵďŝŶĂĐŽŶů͛ĂƉƚŽĐŽƌƌŝŶĂ͕ƵŶĂŐůŝcoproteina  salivare  (detta  anche  proteina  R)  
3. ů͛ĂƉƚŽĐŽƌƌŝŶĂǀŝĞŶĞĚŝŐĞƌŝƚĂĚĂůůĂƚƌŝƉƐŝŶĂƉĂŶĐƌĞĂƚŝĐĂ  
4. la  cobalamina  si  lega  al  fattore  intrinseco  prodotto  dalle  cellule  parietali  del  corpo  e  del  fondo  dello  stomaco  
5. ŶĞůů͛ŝůĞŽĚŝƐƚĂůĞŝůĐŽŵƉůĞƐƐŽ&/-­‐cobalamina  si  lega  al  recettore  cubilina  e  viene  internalizzato  
6. il  fattore  intrinseco  è  distrutto  
7. la  cobalamina  circola  nel  sangue  legata  alla  transcobalamina  II  (captabile)  e  alla  transcobalamina  I  (stabile)  
8. le  cellule  captano  rapidamente  il  complesso  TCII-­‐cobalamina.  

‹•‹‘Ž‘‰‹ƒ†‡ŽŽǯƒ…‹†‘ˆ‘Ž‹…‘‡†‡‹ˆ‘Žƒ–‹  
>͛ĂĐŝĚŽĨŽůŝĐŽğů͛ĂĐŝĚŽƉƚĞƌŽŝĐŽŵŽŶŽŐůƵƚĂŵŵĂƚŽ͖ƐƵŽŝĚĞƌŝǀĂƚŝƐŽŶŽŝĨŽůĂƚŝ͕ĐŚĞŚĂŶŶŽƉŝƶƵŶŝƚăŐůƵƚĂŵŵŝĐŚĞ͘/ĨŽůĂƚŝ
sono  cofattori  essenziali  per  la  sintesi  di  purine  e  pirimidine,  e  quindi  degli  acidi  nucleici,  e  della  metionina  sintasi.    
Anche  i  folati  devono  essere  introdotti  con  la  dieta.  Si  trovano  in  molti  tipi  di  alimenti,  in  particolare  negli  ortaggi,  ma  
vengono  degradati  con  la  cottura.  
1. ů͛ĂĐŝĚŽĨŽůŝĐŽƉƵžĞƐƐĞƌĞĂƐƐŽƌďŝƚŽĚŝƌĞƚƚĂŵĞŶƚĞŶĞŐůŝenterociti  del  digiuno  
2. i  folati  sono  meno  facilmente  assorbibili  e  quindi  vengono  prima  idrolizzati  ad  acido  folico  
3. ŶĞŐůŝĞŶƚĞƌŽĐŝƚŝů͛ĂĐŝĚŽĨŽůŝĐŽğĐŽŶǀĞƌƚŝƚŽŝŶϱ-­‐metiltetraidrofolato  
4. il  5-­‐metilTHF  entra  in  circolo  per  due  terzi  libero  e  per  un  terzo  leŐĂƚŽĂůů͛ĂůďƵŵŝŶĂ  
5. il  folato  è  captato  perifericamente  grazie  al  recettore  PCFT.  

                                                                                                                         
75
 WƌĞƐĞŶnjĂ͕ƉĂƚŽůŽŐŝĐĂ͕ĚŝƵƌĞĂŶĞůƐĂŶŐƵĞ͘^ŝĚŝƐƚŝŶŐƵĞĚĂůů͛ƵƌŝĐĞŵŝĂ͕ĐŚĞğĨŝƐŝŽůŽŐŝĐĂ͘  
76
 ĞǀŝĚĞŶƚĞŵĞŶƚĞŝůĚĂŶŶŽĂŐŝƐĐĞƐƵůEŵĂŶŽŶƐƵůů͛ZE͘  
118  
 

Fisiopatologia  dei  deficit  di  cobalamina  e  folati  


Un   deficit   di   acido   folico   causa   una   ridotta   sintesi   di   metionina,   purine   e   dTMP   (deossitimidina   monofosfato)   e  
conseguente  un͛ĂůƚĞƌĂnjŝŽŶĞĚĞůůĂƐŝŶƚĞƐŝĚĞůE͘  
Un   deficit   di   cobalamina   da   un   lato   impedisce   la   rigenerazione   del   tetraidrofolato   in   forma   poliglutammata,  
ĐĂƵƐĂŶĚŽŶĞ ůĂ ĨƵŽƌŝƵƐĐŝƚĂ ĚĂůůĂ ĐĞůůƵůĂ Ğ ƋƵŝŶĚŝ ƵŶĂ ƌŝĚƵnjŝŽŶĞ ĚĞůůĂ ƐŝŶƚĞƐŝ ĚĞů E͖ ĚĂůů͛ĂůƚƌŽ ĂůƚĞƌĂ ŝů ŵĞƚĂďolismo  
degli  acidi  grassi  provocando  una  sintesi  anomala  della  mielina.  

Anemia  megaloblastica  da  carenza  di  cobalamina  


Una  carenza  di  cobalamina  si  può  verificare  per:  

x insufficiente  apporto  alimentare  nella  dieta  vegana  


x malassorbimento  
o anemia  perniciosa:  è  ƵŶĂƉĂƚŽůŽŐŝĂĂƵƚŽŝŵŵƵŶĞĚĞůů͛ĂĚƵůƚŽĞĚĞůů͛ĂŶnjŝĂŶŽŝŶĐƵŝǀĞŶŐŽŶŽĚŝƐƚƌƵƚƚĞ
le  cellule  parietali  delle  ghiandole  gastriche  e  quindi  si  ha  deficit  di  fattore  intrinseco;  
o gastrectomia  
o patologia  ileale  
o aumentato  consumo  da  parte  di  microrganismi  intestinali,  es.  botriocefalo  
x farmaci,  es.  protossido  di  azoto  

Il  deficit  di  cobalamina  è  caratterizzato  clinicamente  da  


1. anemia  megaloblastica  per  alterazioni  delle  cellule  eritroidi  
2. patologia  gastrointestinale  per  alterazioni  delle  cellule  epiteliali:  glossite  di  Hunter,  diarrea,  
malassorbimento.    
3. lesioni  neurologiche  per  demielinizzazione:  andatura  spastica,  iperreflessia,  cloni,  alterazioni  cognitive  

ůů͛ŽƐƐĞƌǀĂnjŝŽŶĞĚĞůůŽƐƚƌŝƐĐŝŽĞŵĂƚŝĐŽƐŝŽƐƐĞƌǀĂŶŽŵĂĐƌŽŽǀĂůŽĐŝƚŽƐŝ eritrocitaria  e  ipersegmentazione  dei  neutrofili,  


due  segni  patognomonici.  Alla  biopsia  midollare  ipercellularità  e  megaloblastosi.  

>Ă ĐŽďĂůĂŵŝŶĂ ƐŝĞƌŝĐĂ ğ ŝŶĨĞƌŝŽƌĞ Ă ϭϬϬ ƉŐͬŵ>͖ Ɛŝ ŚĂ ŝƉĞƌďŝůŝƌƵďŝŶĞŵŝĂ ŶŽŶ ĐŽŶŝƵŐĂƚĂ Ğ ĂƵŵĞŶƚŽ ĚĞůů͛>, ƉĞƌ
eritroblastolisi  intramidollare  ed  emolisi.  

La  diagnosi  di  carenza  di  cobalamina  si  pone  sulla  base  del  quadro  clinico  ed  ematologico  ed  è  confermata  dai  livelli  
sierici  di  cobalamina  (ridotti),  omocisteina  e  metilmalonato  (aumentati).  
È  quindi  necessario  individuare  la  causa  della  carenza  vitaminica.  Il  test  di  Schilling  consiste  nella  somministrazione  di  
ĐŽďĂůĂŵŝŶĂ ŵĂƌĐĂƚĂ Ğ ĐŽŶƐĞŶƚĞ Ěŝ ǀĂůƵƚĂƌĞ ƐĞ Đ͛ğ ĚŝĨĞƚƚŽƐŽ ĂƐƐŽƌďŝŵĞŶƚŽ Ğ ƐĞ ƋƵĞƐƚŽ ǀŝĞŶĞ ĐŽƌƌĞƚƚŽ ĐŽŶ ůĂ
somministrazione   di   fattore   intrinseco.   Per   confermare   la   diagnosi   di   anemia   perniciosa   si   possono   dosare   gli  
autoanticorpi  (anti-­‐cellule  parietali  e  anti-­‐fattore  intrinseco)  ed  effettuare  una  gastroscopia  con  biopsia.  

>ĂƚĞƌĂƉŝĂğƐŽƐƚŝƚƵƚŝǀĂĐŽŶĐŽďĂůĂŵŝŶĂƐŽŵŵŝŶŝƐƚƌĂƚĂƉĞƌǀŝĂƉĂƌĞŶƚĞƌĂůĞ͘>͛ĞŵŽŐůŽďŝŶĂƐŝŶŽƌŵĂůŝnjnjĂĞŶƚƌŽĚƵĞŵĞƐŝ
e  anche  la  sintomatologia  neurologica  regredisce  a  meno  che  non  si  siano  instaurati  danni  irreversibili.  

Anemia  megaloblastica  da  carenza  di  folati  


Si  può  avere  carenza  di  folati  per  diversi  motivi:  

x insufficiente  apporto  alimentare  


x malassorbimento  
x maggiore  uso  
o gravidanza  
o neonati  prematuri  
o emolisi  
o malattie  infiammatorie  
x farmaci  anti-­‐folato,  es.  metotressato  
119  
 

>Ă ĐůŝŶŝĐĂ ğ ƐŽǀƌĂƉƉŽŶŝďŝůĞ ĂůůĂ ĨŽƌŵĂ ĚĂ ĐĂƌĞŶnjĂ Ěŝ ĐŽďĂůĂŵŝŶĂ͕ ĂĚ ĞĐĐĞnjŝŽŶĞ ĚĞůů͛ĂƐƐĞŶnjĂ Ěŝ ŵĂŶŝĨĞƐƚĂnjŝŽŶŝ
neurologiche.  
La  diagnosi  si  effettua  con  il  dosaggio  dĞůů͛ĂĐŝĚŽĨŽůŝĐŽŶĞůƐŝĞƌŽ͕ĐŚĞğфϰŶŐͬŵ>͕ŽŝŶĐĂƐŽĚŝĚƵďďŝŽŶĞůĚŽƐĂŐŐŝŽĚĞůůĂ
sua  quota  intraeritrocitaria.  
La  terapia  è  sostitutiva,  con  la  somministrazione  di  folati  per  via  orale.  

Anemie  da  ridotta  produzione  di  emoglobina  (III  gruppo)  


Il   terzo   gruƉƉŽ ĐŽŶƚŝĞŶĞ ů͛ĂŶĞŵŝĂ sideropenica͕ ů͛ĂŶĞŵŝĂ da   infiammazione   cronica   e   le   emoglobinopatie;   sono  
ĂĐĐŽŵƵŶĂƚĞĚĂůůĂƌŝĚƵnjŝŽŶĞĚĞůůĂƐŝŶƚĞƐŝĚĞůů͛ĞŵŽŐůŽďŝŶĂ͘>͛ĂŶĞŵŝĂğƐĞŵƉƌĞmicrocitica  e  ipocromica.  

Anemia  sideropenica  

Metabolismo  del  ferro  


Il  ferro  è  un  elemento  essenziale  per  il  trasporto  di  ossigeno  (emoglobina,  mioglobina)  e  per  il  metabolismo  energetico  
(citocromo   C)   ma   al   tempo   stesso   è   tossico   in   forma   libera;   di   conseguenza   si   sono   evoluti   complessi   meccanismi  
fisiologici  per  il  suo  metabolismo.  

Nelů͛ŽƌŐĂŶŝƐŵŽĂĚƵůƚŽƐŽŶŽƉƌĞƐĞŶƚŝŵĞĚŝĂŵĞŶƚĞϯŐĚŝĨĞƌƌŽ͕ĐŽŶĂŵƉŝĞǀĂƌŝĂnjŝŽŶŝƚƌĂŝĚƵĞƐĞƐƐŝ͘  
Con   una   dieta   adeguata   si   introducono   nel   corpo   25   mg   di   ferro   al   giorno.   Il   ferro   è   assorbito   principalmente   nel  
duodeno   e   nel   digiuno   prossimale;   per   lo   più   si   trova   legato   al   gruppo   eme   (ferro   emico)   e   può   essere   assorbito  
ĚŝƌĞƚƚĂŵĞŶƚĞ Ž ƉƌĞǀŝĂ ƌŝĚƵnjŝŽŶĞ ĂůůŽ ƐƚĂƚŽ ĨĞƌƌŽƐŽ͕ ŐƌĂnjŝĞ Ăů ƚƌĂƐƉŽƌƚĂƚŽƌĞ Dd͘ EĞůů͛ĞŶƚĞƌŽĐŝƚĂ ;ĐŽŵĞ ĂŶĐŚĞ ŶĞŝ
macrofagi)   il   ferro   può   essere   immagazzinato   nella   ferritina   o   rilasciato   attraverso   la   ferroportina,   passando   alla  
transferrina  circolante.  
>ĂĨĞƌƌŽƉŽƌƚŝŶĂğŝŶŝďŝƚĂ͕ƚƌĂŵŝƚĞŝŶĚŝƌŝnjnjĂŵĞŶƚŽĂůůĂĚĞŐƌĂĚĂnjŝŽŶĞ͕ĚĂůů͛ĞƉĐŝĚŝŶĂ͕ĐŚĞƋƵŝŶĚŝƌŝĚƵĐĞůĂĐŽŶĐĞŶƚƌĂnjŝŽŶĞ
ĞŵĂƚŝĐĂĚŝĨĞƌƌŽ͘>ĂƐŝŶƚĞƐŝĚĞůů͛ĞƉĐŝĚŝŶĂğƐƚŝŵŽůĂƚĂĚĂůů͛ĂĐĐƵŵƵůŽ anomalo  di  ferro  e  dalle  citochine  infiammatorie,  
ŵĞŶƚƌĞğŝŶŝďŝƚĂĚĂůůĂĐĂƌĞŶnjĂĚŝĨĞƌƌŽ͕ĚĂůů͛ŝƉŽƐƐŝĂĞĚĂůů͛ĂŶĞŵŝĂ͘  
Il  trasporto  del  ferro  ai  tessuti  avviene  grazie  alla  transferrina.  La  sua  sintesi,  epatocitaria,  è  retroinibita  in  base  alle  
riserve  cellulari  di  ferro.  La  molecola  è  costituita  da  due  lobi,  ciascuno  dei  quali  con  un  sito  di  legame  per  uno  ione  di  
ferro  trivalente;  a  seconda  della  saturazione  si  parla  di  apotransferrina,  di  transferrina  mono-­‐  e  bi-­‐valente.  Quando  la  
transferrina  si  lega  al  suo  recettore  di  membrana  viene  internalizzata,  cede  il  ferro  e  quindi  viene  esocitata.  
Tutti   gli   organi   necessitano   di   ferro,   ma   esso   è   immagazzinato   principalmente   nel   fegato   (epatociti)   e   nel   midollo  
ŽƐƐĞŽ Ăůů͛ŝŶƚĞƌŶŽ Ěŝ ŵŽůĞĐŽůĞ Ěŝ ƐƚŽĐĐĂŐŐŝŽ͗ ůĂ ĨĞƌƌŝƚŝŶĂ ;ƉƌŽŶƚŽ ƵƚŝůŝnjnjŽͿ Ğ ů͛ĞŵŽƐŝĚĞƌŝŶĂ ;ƐƚĂďŝůĞͿ͘ >Ă ĨĞƌƌŝƚŝŶĂ ƉƵž
contenere  4500  ioni  di  ferro;  è  sintetizzata  in  misura  proporzionale  al  ferro  intracellulare  e  la  sua  quota  sierica,  per  
quanto  nettamente  minoritaria  a  quella  cellulare,  è  comunque  indicativa  dei  depositi  corporei  di  ferro.  
Le   perdite   fisiologiche   di   ferro   sono   molto   ridotte   e   avvengono   principalmente   per   esfoliazione   degli   enterociti;  
ƐĞĐŽŶĚĂƌŝĂŵĞŶƚĞ ƉĞƌ ĚĞƐƋƵĂŵĂnjŝŽŶĞ ĐƵƚĂŶĞĂ͕ ĐŽŶ ŝů ƐƵĚŽƌĞ Ğ ů͛ĞŵĂƚƵƌŝĂ ĨŝƐŝŽůŽŐŝĐĂ͖ ŶĞůůĂ ĚŽŶŶĂ Ɛŝ ĂŐŐŝƵŶŐono   il  
ĨůƵƐƐŽ ŵĞƐƚƌƵĂůĞ͕ ůĂ ŐƌĂǀŝĚĂŶnjĂ Ğ ů͛ĂůůĂƚƚĂŵĞŶƚŽ͘ EŽŶ ĞƐŝƐƚŽŶŽ ŵĞĐĐĂŶŝƐŵŝ ŽŵĞŽƐƚĂƚŝĐŝ ƉĞƌ ĞůŝŵŝŶĂƌĞ ƵŶ ĞĐĐĞƐƐŽ Ěŝ
ferro.  

Fisiopatologia  
>ĂĐĂƌĞŶnjĂĚŝĨĞƌƌŽƐŝƉƵžƐǀŝůƵƉƉĂƌĞƉĞƌŵŽƚŝǀŝĚŝǀĞƌƐŝĂƐĞĐŽŶĚĂĚĞůů͛ĞƚăĞĚĞůƐĞƐƐŽ͘EĞůů͛ŝŶĨĂŶnjŝĂƐŝƉƵžĂǀĞre  carenza  
ĚŝĨĞƌƌŽƌĞůĂƚŝǀĂĐĂƵƐĂƚĂĚĂƵŶĂƵŵĞŶƚĂƚŽĨĂďďŝƐŽŐŶŽ͖ŶĞůůĂƉƵďĞƌƚăŶĞůƐĞƐƐŽĨĞŵŵŝŶŝůĞů͛ŝŶŝnjŝŽĚĞůů͛ĂƚƚŝǀŝƚăŵĞƐƚƌƵĂůĞ
ğ ĂƐƐŽĐŝĂƚŽ ĂĚ ĂƵŵĞŶƚĂƚĂ ƉĞƌĚŝƚĂ͘ EĞůů͛Ğƚă ĂĚƵůƚĂ ůĞ ĐĂƵƐĞ Ěŝ ĐĂƌĞŶnjĂ Ěŝ ĨĞƌƌŽ ƐŽŶŽ ŶĞůůĞ ĚŽŶŶĞ ĐŽƌƌĞůĂƚĞ ĂůůĂ ǀŝƚĂ
riprodutƚŝǀĂ ;ŝƉĞƌŵĞŶŽƌƌĞĂ͕ ŐƌĂǀŝĚĂŶnjĞ ƉůƵƌŝŵĞ͕ ĂďŽƌƚŝ͕ ŵĞƚƌŽƌƌĂŐŝĞͿ Ğ ŶĞůů͛ƵŽŵŽ ƉĞƌ ĞŵŽƌƌĂŐŝĞ ŐĂƐƚƌŽŝŶƚĞƐƚŝŶĂůŝ͕
manifeste  o  occulte.  
La   carenza   di   ferro   determina   anemia   perché   riduce   la   sintesi   di   emoglobina   (e   secondariamente   determina   anche  
ipoproliferazione  midollare).  
120  
 

Clinica  
>͛ĞƐŽƌĚŝŽĚĞůů͛ĂŶĞŵŝĂƐŝĚĞƌŽƉĞŶŝĐĂğŝŶƐŝĚŝŽƐŽƉĞƌĐŚĠů͛ŽƌŐĂŶŝƐŵŽƚĞŶĚĞĂĚĂĚĂƚƚĂƌƐŝ͘  
͛ğƐƉĞƐƐŽƐŝŶƚŽŵĂƚŽůŽŐŝĂĐŽůůĞŐĂƚĂĂůůĞŵƵĐŽƐĞĞĂŐůŝĂŶŶĞƐƐŝĐƵƚĂŶĞŝ͗ĨƌĂŐŝůŝƚăƵŶŐƵĞĂůĞ;ĂǀǀĂůůĂŵĞŶƚŽĂƐĐŽĚĞůůŝŶĂ
patognomonico);  lingua  liscia,  arrossata  e  dolorante;  stomatite  angolare;  gastrite  con  ipocloridria.  
Nei  bambini  la  carenza  di  ferro  può  provocare  disturbi  cognitivi,  come  il  deficit  di  attenzione.  

Laboratorio  
>Ă ĐĂƌĞŶnjĂ Ěŝ ĨĞƌƌŽ ŶŽŶ Ɛŝ ƚƌĂĚƵĐĞ ŝŵŵĞĚŝĂƚĂŵĞŶƚĞ ŝŶ ĂŶĞŵŝĂ ƉĞƌĐŚĠ ů͛ŽƌŐĂŶŝƐŵŽ   attinge   ai   depositi   tessutali   (in  
ƐĞƋƵĞŶnjĂĨĞƌƌŝƚŝŶĂ͕ƚƌĂŶƐĨĞƌƌŝŶĂ͕ĞŶnjŝŵŝĐŽŶƚĞŶĞŶƚŝĨĞƌƌŽͿĞƐŽůŽĂůůĂĨŝŶĞŵĂŶĐĂŝůĨĞƌƌŽƉĞƌůĂƐŝŶƚĞƐŝĚĞůů͛ĞŵŽŐůŽďŝŶĂ͘  

Fase  precoce   Anemia  sideropenica   La   saturazione   della   transferrina   si   esprime   in   percentuale   e   si  


calcola  rapportando  la  sideremia  alla  capacità  totale  legante  il  ferro  
(iposiderosi  tessutale)  
(TIBC).  
=  emoglobina   Ļ  emoglobina  
Come   tutte   le   aŶĞŵŝĞ ĚĞů ƚĞƌnjŽ ŐƌƵƉƉŽ ů͛ĂŶĞŵŝĂ ƐŝĚĞƌŽƉĞŶŝĐĂ ğ
Ļ  ferritina  
microcitica  e  ipocromica.  
Ļ  sideremia)  
La   diagnosi   differenziale   deve   essere   fatta   con   le   altre   anemie  
Ĺ  transferrina   ipocromiche.   Le   talassemie   si   evidenziano   per   le   catene   globiniche  
Ļ  saturazione  della  transferrina   anomale;  le  forme  da  infiammazione  cronica  per  la  ferritina  che  può  
essere  normale  o  aumentata  e  per  il  recettore  della  transferrina  che  
Ĺ  recettore  della  transferrina  
è  diminuito.  

Terapia  
>ĂƚĞƌĂƉŝĂƉƌĞǀĞĚĞůĂĐŽƌƌĞnjŝŽŶĞĚĞůůĂĐĂƵƐĂĞů͛ŝŶƚĞŐƌĂnjŝŽŶĞĚĞůĨĞƌƌŽŵĂŶĐĂŶƚĞ͘  
>͛ĂůŝŵĞŶƚĂnjŝŽŶĞ͕ ĚĂ ƐŽůĂ͕ ğ ŝŶƐƵĨĨŝĐŝĞŶƚĞ ĂŝŶƚĞŐƌĂƌĞ ůĂ ĐĂƌĞŶnjĂ Ěŝ ferro.  Il   ferro   viene   somministrato   per   via   orale   al  
mattino  a  digiuno,  in  dose  da  100-­‐ϭϱϬŵŐĞƉĞƌƵŶĂĚƵƌĂƚĂĚŝƉĞŶĚĞŶƚĞĚĂůů͛ĞŶƚŝƚăĚĞůůĂĐĂƌĞŶnjĂ͖ŵĞŶƐŝůŵĞŶƚĞƐŝǀĂůƵƚĂ
il  livello  di  emoglobina.  Se  questo  non  si  normalizza  si  passa  alla  somministrazione  endovenosa.  

Anemia  da  infiammazione  cronica  


&ƌĞƋƵĞŶƚĞŵĞŶƚĞĐŽŶĚŝnjŝŽŶŝĐŽŵĞ ů͛ŝŶĨŝĂŵŵĂnjŝŽŶĞĐƌŽŶŝĐĂĞ ůĞ ŶĞŽƉůĂƐŝĞ ƉŽƐƐŽŶŽ ƉƌŽǀŽĐĂƌĞ ĂŶĞŵŝĂ;ğůĂ ƉƌŝŶĐŝƉĂůĞ
causa  di  anemia  negli  anziani).  

Anemia  da  infiammazione  cronica   La   patogenesi   è   dettata   dagli   effetti   delle   citochine   infiammatorie,   alcuni   dei  
ƋƵĂůŝ ŵĞĚŝĂƚŝ ĚĂůů͛ĞƉĐŝĚŝŶĂ͘ >͛ĂƵŵĞŶƚŽ ĚĞůů͛ĞƉĐŝĚŝŶĂ ƉƌŽǀŽĐĂ ƵŶŽ ƐƚĂƚŽ Ěŝ
Hb  9-­‐11  g/dL  
carenza   di   ferro   funzionale:   il   ferro   rimane   bloccato   negli   enterociti   e   nei  
Ĺ  ferritina   ŵĂĐƌŽĨĂŐŝ͘ ĨĨĞƚƚŝ ĚŝƌĞƚƚŝ ĚĞůůĞ ĐŝƚŽĐŚŝŶĞ ŝŶĨŝĂŵŵĂƚŽƌŝĞ ƐŽŶŽ ŝŶǀĞĐĞ ů͛ŝŶŝďŝnjŝŽŶĞ
Ļ  sideremia)   ĚĞůů͛ĞƌŝƚƌŽƉŽŝĞƐŝ͕ ů͛ŝŶŝďŝnjŝŽŶĞ ĚĞůůĂ ƐŝŶƚĞƐŝ Ěŝ ĞƌŝƚƌŽƉŽŝĞƚŝŶĂ Ğ ů͛ĂƚƚŝǀĂnjŝŽŶĞ
Ļ  transferrina   ĚĞůů͛ĞŵŽĐĂƚĞƌĞƐŝŵĂĐƌŽĨĂŐŝĐĂ͘  

Ļ  saturazione  della  transferrina   >Ă ĐůŝŶŝĐĂ ĚŝƉĞŶĚĞ ƉƌŝŶĐŝƉĂůŵĞŶƚĞ ĚĂůůĂ ŵĂůĂƚƚŝĂ Ěŝ ďĂƐĞ͕ ǀŝƐƚŽ ĐŚĞ ů͛ĂŶĞŵŝĂ
generalmente  non  è  grave.  
Ļ  recettore  della  transferrina  
>Ă ƚĞƌĂƉŝĂ ĐŽŶ ŝŶƚĞŐƌĂnjŝŽŶĞ Ěŝ ĨĞƌƌŽ ğ ŝŶĞĨĨŝĐĂĐĞ͘ ^Ğ ů͛ĂŶĞŵŝĂ ğ ŐƌĂǀĞ Ɛŝ ƉƵž
anemia  microcitica  e  ipocromica  
instaurare  una  terapia  trasfusionale  oppure  si  può  somministrare  eritropoietina  
јŝŶĚŝĐŝĚŝĨůŽŐŽƐŝ   ricombinante.  
   
121  
 

xxx‡—…‡‹‡‡Ž‹ˆ‘‹  

Le  leucemie  sono  neoplasie  monoclonali  del  sistema  emopoietico.  


  cellule  immature   cellule  mature  
fenotipo  mieloide  (granulociti,  piastrine,  eritrociti)   leucemia  mieloide  acuta   leucemia  mieloide  cronica  e  altre  
fenotipo  linfoide   leucemia  linfoide  acuta   leucemia  linfoide  cronica  e  altre  
>Ă ƚƌĂƐĨŽƌŵĂnjŝŽŶĞ ŶĞŽƉůĂƐƚŝĐĂ Ěŝ ƵŶĂ ĐĞůůƵůĂ ƐƚĂŵŝŶĂůĞ ƉƵž ĞƐƐĞƌĞ ĐĂƵƐĂƚĂ ĚĂůů͛ĂƚƚŝǀĂnjŝŽŶĞ Ěŝ ƵŶ ŽŶĐŽŐĞŶĞ Ž ĚĂůůĂ
soppressione   di   un   oncosoppressore.   Esistono   diversi   fattori   eziologici   in   grado   di   indurre   mutazioni:   radiazioni  
ionizzanti,  fumo,  agenti  chimici,  farmaci  chemioterapici,  virus.  

Leucemie  mieloidi  (sindromi  mieloproliferative)  


La  più  recente  classificazione  OMS  individua  quattro  categorie  principali:  

x leucemia   mieloide   acuta,   che   in   base   alla   morfologia   dei   blasti   e   alla   presenza   di   alterazioni   citogenetiche   e  
molecolari  si  suddivide  in  sette  sottotipi  (M1-­‐M7)  
x sindromi  mielodisplastiche  
x sindromi  mielodisplastiche-­‐mieloproliferative  
x neoplasie  mieloproliferative  croniche,  che  in  base  alla  cellula  proliferante  si  sottoclassificano:  leucemia  mieloide  
cronica   e   mielofibrosi   idiopatica,   policitemia   vera,   trombocitemia   essenziale,   leucemia   eosinofilica   cronica,  
mastocitosi  sistemica  

Leucemia  mieloide  acuta  (AML)  


>ĂĐĞůůƵůĂĚŝŽƌŝŐŝŶĞĚĞůů͛D>ğŐĞŶĞƌĂůŵĞŶƚĞƵŶĂĐĞůůƵůĂƐƚĂŵŝŶĂůĞŐŝăŝŶĚŝƌŝnjnjĂƚĂƉĞƌůĂŵŝĞůŽƉŽŝĞƐŝ͖ůĂƐƵĂŵƵƚĂnjŝŽŶĞ
determina  un  accumulo  di  blasti  proliferanti  prima  nel  midollo  osseo  e  poi  nel  sangue  e  in  altri  tessuti.    Questi  blasti  
sono  incapaci  di  dare  origine  a  cellule  mature.  
Esistono  manifestazioni  cliniche  comuni  a  tutte  le  leucemie  mieloidi  acute  e  alcune  specifiche  per  i  vari  sottotipi.  Le  
manifestazioni  comuni  sono  si  possono  dividere  in  base  alla  patogenesi:  

x liberazione  di  citochine  їsintomi  costituzionali:  astenia,  anoressia,  perdita  di  peso,  febbre  
x deficit  di  cellule  ematiche  mature  їĂŶĞŵŝĂ͕ŝŶĨĞnjŝŽŶŝĞĚĞŵŽƌƌĂŐŝĞ  
x infiltrazione  di  tessuti  non  emopoietici  (rara)  
La  diagnosi  di  AML  si  pone  in  baƐĞĂůů͛ĞƐĂŵĞĚĞůƐĂŶŐƵĞƉĞƌŝĨĞƌŝĐŽĞĚĞůŵŝĚŽůůŽŽƐƐĞŽ͘  

  Leucemia  mieloide  acuta  


  Esame  del  sangue  periferico  
  leucociti  variabili  (leucocitopenia,  normale,  leucocitosi)  

  formula  leucocitaria:  Ĺblasti  


anemia  variabile  (normocitica  normocromica)  
 
piastrinopenia  variabile  
 
Biopsia  midollare  e  ossea  
 
Ĺcellularità  midollare  
 
blasti  a  fenotipo  mieloide  
 
(granuli,  immunofenotipo,  biologia  molecolare)  
 
122  
 

 
La   prognosi   non   è   molto   buona;   dipende   da   numerosi   fattori,   in   base   ai   quali   si   stabilisce   un   rischio   alto,   medio   o  
basso   che   influenza   il   programma   terapeutico   seguente   alla   remissione   completa.   Sono   fattori   sfavorevoli   età  
avanzata,   forte   leucocitosi   alla   diagnosi,   localizzazioni   extramidollari,   tipi   M0   e   M5-­‐M7,   alcune   caratteristiche   di  
cariotipo,  immunofenotipo  e  biologia  molecolare.  
La   terapia   prevede   una   fase   di   induzione-­‐consolidamento   e   una   successiva   alla   remissione;   parallelamente   è  
importante  la  terapia  di  supporto.  

x induzione:   2-­‐3   cicli   di   citarabina   (7   giorni)   e   antraciclina   (3   giorni),   seguito   quindi   da   1-­‐2   cicli   di  
consolidamento.  Ai  due  farmaci  si  può  aggiungere  ů͛ĞƚŽƉŽƐƐŝĚĞ.  
o per  la  leucemia  M3  la  terapia  è  distinta:  si  usano  antraciclina  e  acido  retinoico.  
x ĚŽƉŽ ů͛ŝŶĚƵnjŝŽŶĞ Đ͛ğ ĂůƚĂ ƉƌŽďĂďŝůŝƚă Ěŝ ƌŝĐĂĚƵƚĂ͕ ƋƵŝŶĚŝ Ɛŝ ĚĞǀĞ ƐĐĞŐůŝĞƌĞ ĐŽme   procedere;   il   trapianto   di  
ĐĞůůƵůĞƐƚĂŵŝŶĂůŝğů͛ŽƉnjŝŽŶĞŵŝŐůŝŽƌĞ;ϰϬйƐŽƉƌĂǀǀŝǀĞŶnjĂĂϱĂŶŶŝͿŵĂŶŽŶğƉƌĂƚŝĐĂďŝůĞŶĞŐůŝĂŶnjŝĂŶŝ͘  
x terapia  di  supporto:  trasfusione  di  eritrociti  e  piastrine,  isolamento  del  paziente,  la  profilassi  antibiotica.  

Leucemia  mieloide  cronica  (CML)  


La  CML  è  una  leucemia  cronica  in  cui  si  osserva  leucocitosi  di  cellule  mieloidi  quasi  mature;  è  originata  da  una  cellula  
staminale  pluripotente.  È  caratterizzata  da  una  fase  cronica  iniziale  di  circa  4  anni,  clinicamente  silente,  a  cui  segue,  
con  o  senza  una  fase  accelerata  intermedia,  una  fase  blastica  a  fenotipo  mieloide  o  linfoide.  
In  tutte  le  cellule  proliferanti  si  individua  una  traslocazione  cromosomica  ,  la  t(22:9),  che  provoca  la  formazione  del  
͞ĐƌŽŵŽƐŽŵĂ WŚŝůĂĚĞůƉŚŝĂ͟ Ğ ĚĞůůĂ proteina   chimerica   BCR-­‐ABL.   ABL   è   un   proto-­‐oncogene   perché   codifica   per   una  
ƚŝƌŽƐŝŶĂ ĐŚŝŶĂƐŝ ĐŝƚŽƉůĂƐŵĂƚŝĐĂ Ğ ŶƵĐůĞĂƌĞ ĐŽŶ ĨƵŶnjŝŽŶŝ ƉƌŽůŝĨĞƌĂƚŝǀĞ͖ ůĂ ĨƵƐŝŽŶĞ ĐŽŶ Z& ƉƌŽǀŽĐĂ ů͛ĂƚƚŝǀĂnjŝŽŶĞ
costitutiva   della   chinasi   con   uno   stimolo   proliferativo   continuo.   Il   passaggio   alla   fase   blastica   si   ha   con  
ů͛ŝƉĞƌĞƐƉƌĞƐƐŝŽŶĞ ĚĞůůĂ ƉƌŽƚĞŝŶĂ ĐŚŝŵĞƌŝĐĂ͘ >Ă ƉƌĞƐĞŶnjĂ Ěŝ ĂůƚƌĞ ŵƵƚĂnjŝŽŶŝ ŝŶĚŝƌŝnjnjĂ ůĂ ĨĂƐĞ ďůĂƐƚŝĐĂ ǀĞƌƐŽ ƵŶĂ ĨŽƌŵĂ
mieloide  o  linfoide.  
Inizialmente  la   malattia   è   silente   o   si  manifesta   con   sintomi  generici  (astenia,  malessere,   perdita   di   peso)   e   sintomi  
ĂƐƐŽĐŝĂƚŝ ĂůůĂ ƐƉůĞŶŽŵĞŐĂůŝĂ ;ƚĞŶƐŝŽŶĞ ĂĚĚŽŵŝŶĂůĞ͕ ĚŽůŽƌĞ Ăůů͛ŝƉŽĐŽŶĚƌŝŽ ƐŝŶŝƐƚƌŽͿ͖ ŵĞŶŽ ĨƌĞƋƵĞŶƚĞŵĞŶƚĞ Ɛŝ ŚĂŶŶŽ
sintomi  da  leucostasi  per  la  leucocitosi:  occlusione  vascolare,  ictus,  infarto  del  miocardio,  priapismo,  disturbi  visivi  e  
insufficienza  polmonare.  Obiettivamente  si  evidenzia  nel  50%  dei  casi  splenomegalia.  
La   progressione   alla   fase   accelerata   e   blastica   è   associata   a   un   peggioramento   del   quadro   clinico:   febbre,   grave  
dimagrimento,  dolori  osteoarticolari,  sanguinamento,  trombosi  e  infezioni.  La  fase  accelerata  dura  da  6  a  12  mesi;  la  
fase  blastica  meno  di  6  mesi  e  si  conclude  sempre  con  il  decesso.  
  Leucemia  mieloide  cronica   fase  cronica   fase  blastica  
  Esame  del  sangue  periferico   leucocitosi   Ĺleucocitosi  
    <10%  blasti   >20%  blasti  

  presenza  di  precursori  mieloidi  (es.  mielociti)  


  talvolta  anemia   anemia  
 
  talvolta  piastrinopenia    
 
Biopsia  midollare   Ĺcellularità  midollare   fibrosi,  blasti  
 
Citogenetica  o   Ph+  o  BCR/ABL+  
   biologia  molecolare  
La  terapia  ĂƚƚƵĂůĞƐŝďĂƐĂƐƵůů͛ŝŵĂƚŝŶŝď͕ƵŶĂƉŝĐĐŽůĂŵŽůĞĐŽůĂĐŚĞďůŽĐĐĂů͛ĂƚƚŝǀŝƚăƚŝƌŽƐŝŶŽ-­‐chinasica  di  Abl  (e  altre:  cKit,  
PDGF-­‐R)..  La  sua  somministrazione  determina  remissione  ematologica  completa  in  più  del  95%  dei  pazienti,  con  una  
sopravvivenza  a  8  anni  dell͛ϴϬ-­‐90%.  
123  
 

Altre  leucemie  mieloidi  croniche  


x policitemia  vera͗ϵϬйĚĂŵƵƚĂnjŝŽŶŝ:ĂŬϮ;ǀŝĂWKĞdWKͿїĨĂƐĞŶĞŽƉůĂƐƚŝĐĂĐŽŶŝƉĞƌƐƚŝŵŽůĂnjŝŽŶĞŵŝĞůŽƉŽŝĞƐŝ
ĞƉŽůŝĐŝƚĞŵŝĂїŝƉĞƌǀŝƐĐŽƐŝƚăĞŵĂƚŝĐĂїƚƌŽŵďŽĨŝůŝĂĞŝƉŽƐƐŝĂƚĞƐƐƵƚĂůĞїƉŽŝĨĂƐĞƐƉĞŶƚĂĐŽŶŵŝĞůŽĨŝďƌŽƐŝ  e  
anemia.  Si  hanno  aumento  ĹHb,  mutazione;  iperplasia  midollare,  ĻEPO,  crescita  in  vitro  di  colonie  eritroidi  in  
assenza  di  EPO.  Terapia  in  fase  neoplastica:  salassi  periodici  e  antitrombotici  
x trombocitemia  essenziale͗ϱϬй:ĂŬϮїƉŝĂƐƚƌŝŶŽƐŝ͘^ƉĞƐƐŽĂƐŝŶƚomatica,  altrimenti  trombofilia  ed  emorragie  
(per  piastrinopatia).  Terapia  solo  se  ci  sono  sintomi:  aspirina  e  in  seconda  linea  citotossici.  
x mielofibrosi   idiopatica͗ ƌĂƌĂ͕ ϱϬй :ĂŬϮ͘ ^ŝ ŚĂ ƉƌŽĚƵnjŝŽŶĞ ŶĞŽƉůĂƐƚŝĐĂ ĚĂů ŵŝĚŽůůŽ ї ĨŝďƌŽƐŝ ƌĞĂƚƚŝǀĂ ї
ematopoiesi   extramidollare   e   splenomegalia.     Progressivamente   si   ha   insufficienza   midollare,   anemia  
trasfusione-­‐dipendente   e   organomegalia;   si   può   avere  evoluzione   a   leucemia   acuta.   Non   esiste   una   terapia  
ƐƉĞĐŝĨŝĐĂ͘>͛ĂŶĞŵŝĂŶŽŶƌŝƐƉŽŶĚĞĂůů͛ĞƌŝƚƌŽƉŽŝĞƚŝŶĂ͖ƉƵžĞƐƐĞƌĞ  indicata  quindi  la  splenectomia.  Il  trapianto  di  
ŵŝĚŽůůŽŽƐƐĞŽĂůůŽŐĞŶŝĐŽğů͛ƵŶŝĐĂƚĞƌĂƉŝĂŝŶŐƌĂĚŽĚŝĚĞƚĞƌŵŝŶĂƌĞƵŶĂƌĞŵŝƐƐŝŽŶĞĐŽŵƉůĞƚĂ;ŶĞůϱϬйĚĞŝĐĂƐŝͿ͘  

Sindromi  linfoproliferative  
Patologie  neoplastiche  della  linfocitopoiesi,  classificabili  come:  
x A  espressione  leucemica:    leucemia  linfoide  acuta,  leucemia  linfoide  cronica  e  altre  
x A  espressione  linfomatosa:  linfoma  di  Hodgkin,  linfomi  non  Hodgkin  
x Con  produzione  di  Ig  monoclonali:  gammapatie  monoclonali  

Leucemia  linfoide  acuta  (LLA)  


La  LLA  rappresenta  il  tumore  ƉŝƶĐŽŵƵŶĞŶĞůů͛ĞƚăŝŶĨĂŶƚŝůĞ͘  
È  dovuta  alla  trasformazione  neoplastica  di  un  precursore  della  linfocitopoiesi  (B  o  più  raramente  T)  o  di  una  cellula  
staminale  pluripotente  e  caratterizzata  dalla  presenza  di  linfoblasti  nel  sangue  e  nei  tessuti.  In  base  alla  morfologia  dei  
linfoblasti   la   classificazione   FAB   distingue   3   citotipi:   L1   (piccoli   blasti   omogenei),   L2   (blasti   eterogenei),   L3   (grandi  
blasti).  
In   oltre   il   60%   dei   casi   è   possibile   identificare   alterazioni   genetiche,   in   particolare   traslocazioni   cromosomiche   che  
ĚĞƚĞƌŵŝŶĂŶŽ ůĂ ĨŽƌŵĂnjŝŽŶĞ Ěŝ ŐĞŶŝ ŝďƌŝĚŝ Ž ůĂ ĚĞƌĞŐŽůĂnjŝŽŶĞ Ěŝ ŽŶĐŽŐĞŶŝ ;ƋƵĞƐƚ͛ƵůƚŝŵĂ ƉĞƌĂůƚƌŽ Ɖŝƶ ĨƌĞƋƵĞŶƚĞ ŶĞŝ
linfomi).  

Clinica.  >Ă>>ĐŽůƉŝƐĐĞƉƌŝŶĐŝƉĂůŵĞŶƚĞŝďĂŵďŝŶŝ͘^ŝŵĂŶŝĨĞƐƚĂĐŽŶƐŝŶƚŽŵŝĂƐƉĞĐŝĨŝĐŝ͕ůĞŐĂƚŝĂůů͛ŝŶƐƵĨĨŝĐŝĞnza  midollare  


;ĂƐƚĞŶŝĂ͕ŝŶĨĞnjŝŽŶŝ͕ĞŵŽƌƌĂŐŝĞͿ͕ĂůůĂůŝďĞƌĂnjŝŽŶĞĚŝůŝŶĨŽĐŚŝŶĞ;ĨĞďďƌĞ͕ĚŽůŽƌŝŽƐƐĞŝĞŵƵƐĐŽůĂƌŝͿ͕Ăůů͛ŝŶĨŝůƚrazione  di  organi  
linfoidi  e  no͘ƚĂůƉƌŽƉŽƐŝƚŽŝďůĂƐƚŝƉŽƐƐŽŶŽŝŶĨŝůƚƌĂƌĞĂŶĐŚĞŝĐŽƐŝĚĚĞƚƚŝ͞ŽƌŐĂŶŝƐĂŶƚƵĂƌŝŽ͕͟ĐŽŵĞ^EĞƚĞƐƚŝcolo,  e  di  
conseguenza  essere  responsabili  rispettivamente  di  sintomi  da  ipertensione  endocranica  e  di  tumefazione  testicolare.  
Laboratorio.   >͛ĞƐĂŵĞ ĚĞůůŽ ƐƚƌŝƐĐŝŽ Ěŝ ƐĂŶŐƵĞ ŵŽƐƚƌĂ ůĂ ƉƌĞƐĞŶnjĂ Ěŝ ůŝŶĨŽďůĂƐƚŝ͘ ͛ğ ƐƉĞƐƐŽ ůĞƵĐŽĐŝƚŽƐŝ͕ ĂŶĞŵŝĂ͕
ƉŝĂƐƚƌŝŶŽƉĞŶŝĂ͘>ĞƚĞĐŶŝĐŚĞŝŵŵƵŶŽůŽŐŝĐŚĞŵŽƐƚƌĂŶŽů͛ĞƐƉƌĞƐƐŝŽŶĞĚŝĂŶƚŝŐĞŶŝĂƐƐŽĐŝĂƚŝĂůůĂůŝŶĞĂ͕ƌĂƌĂŵĞŶƚĞd͘  
Terapia.  Si  articola  in  tre  fasi:    
1. induzione,  con  corticosteroidi,  vincristina,  antracicline,  asparaginasi  
2. profilassi  delle  localizzazioni  al  SNC,  con  antiblastici  per  via  intratecale  o  radioterapia  sul  cranio  
3. intensificazione   e  mantenimento   della  remissione,   coi   farmaci   impiegati   in   induzione   e   altri  (methotrexate,  
ciclofosfamide,  citosina  arabinoside,  6-­‐mercaptopurina).  
In  casi  molto  gravi  si  può  considerare  anche  il  trapianto  di  midollo  allogenico.  
Prognosi.  La  prognosi  dipende  da  vari  parametri;  fattori  prognostici  negativi  sono  ů͛ŝƉĞƌůĞƵĐŽĐŝƚŽƐŝ;хϯϬϬϬϬŶĞůůĞĨŽƌŵĞ
B,  >100000  nelle  forme  T),  la  presenza  di  traslocazioni  quali  t(1;19)  e  t(9;22),  la  non  risposta  alla  terapia  di  induzione,  
ů͛ĞƚăĂĚƵůƚĂ;ŐƵĂƌŝŐŝŽŶĞŶĞůϳϬйĚĞŝďĂŵďŝŶŝĞŶĞůϮϬйĚĞŐůŝĂĚƵůƚŝͿ͘  
124  
 

Leucemia  linfoide  cronica  (LLC)  


La   LLC   è   caratterizzata   dalla   proliferazione   neoplastica   di  piccoli   linfociti,   B   nel   95%   dei   casi,   che   si   accumulano   nel  
midollo   osseo,   nel   sangue   e   nei   tessuti   linfoidi.   Costituisce   il   25%   di   tutte   le   leucemie,   è   più   frequente   nella  
popolazione  di  razza  bianca  e  insorge  generalmente  dopo  i  60  anni.  

Clinica.  Nel  25%  dei  casi  la  LLC  è  asintomatica  e  la  diagnosi  è  casuale.  Più  tipica  è  la  presenza  di  diffusa  linfadenopatia,  
con   linfonodi   indolenti,   non   duri,   mobili,   e   di   epato/splenomegalia.   Più   rari   i   sintomi   da   scompenso   mieloide   e   da  
immunodeficienza.  
Laboratorio͘ >͛ĞŵŽĐƌŽŵŽ   mostra   una   linfocitosi   >5000/mm3   (nel   linfoma   la   linfocitosi   è   più   modesta   e   le  
linfoadenopatie   più   evidenti   e  meno   simmetriche).   La   biopsia   midollare  (eventualmente   integrata   da   biopsia   ossea)  
mostra  infiltrazione  linfoide  midollare  >30%.  Altre  possibili  alterazioni  laboratoristiche  sono  anemia  e  piastrinopenia  
;ĚŽǀƵƚĞ Ăůů͛ŝŶĨŝůƚƌĂnjŝŽĞŶ ůŝŶĨŽŝĚĞ ŵŝĚŽůůĂƌĞͿ͕ ŝƉŽŐĂŵŵĂŐůŽďƵůŝŶĞŵŝĂ͕ ŝƉĞƌƵƌŝĐĞŵŝĂ͕ ŝƉĞƌƚƌĂŶƐĂŵŝŶĂƐĞŵŝĂ͕ ĂƵŵĞŶƚŽ Ěŝ
fosfatasi  alcalina.  Sono  state  inoltre  riconosciute  alcune  alterazioni  del  cariotipo.  

Terapia.   Nei   pazienti   con   malattia   indolente,   soprattutto   se   anziani,   ci   si   limita   a   sorvegliare   la   malattia   fino   a  
progressione  evidente.  È  possibile  quindi  somministrare  clorambucile  con  o  senza  cortisone,  e,  nei  casi  non  responsivi,  
schemi  polichemioterapici  (CVP,  CHOP)  o  con  analoghi  delle  purine  (es  fludarabina)  o  anche  anti-­‐CD20  (Rituximab).  In  
pazienti  giovani  la  terapia  di  prima  linea  è  la  fludarabina  più  la  ciclofosfamide.  

In  casi  particolari  si  possono  impiegare  radioterapia,  linfocitoaferesi,  splenectomia,  trapianto  di  midollo.    
Prognosi͘ >Ă ƐŽƉƌĂǀǀŝǀĞŶnjĂ ğ ĐŽƌƌĞůĂƚĂ Ăůů͛ĞŶƚŝƚă ĚĞůůĂ ůŝŶĨŽĐŝƚŽƐŝ͕ ĚĞůů͛ĂŶĞŵŝĂ Ğ ĚĞůůĂ ƉŝĂƐƚƌŝŶŽƉĞŶŝĂ͘ ůƚƌŝ ĨĂƚƚŽƌŝ
prognostici   negativi   sono:   esordio   in   stadio   avanzato,   tempo   di   raddoppiamento   linfocitario<12   mesi,   presenza   di  
sintomi  sistemici,  presenza  di  alcune  alterazioni  cromosomiche  (es  delezione  11  e  17).  Le  complicanze  principali  sono  
ůĞŝŶĨĞnjŝŽŶŝ͕ů͛ĂŶĞŵŝĂĞŵŽůŝƚŝĐĂĂƵƚŽŝŵŵƵŶĞĞů͛ĂƉůĂƐŝĂĞƌŝƚƌŽďůĂƐƚŝĐĂ;ŵĞĚŝĂƚĞƋƵĞƐƚĞƵůƚŝŵĞĚĂŝůŝŶĨŽĐŝƚŝdͿ͘>Ă>>͕Ă
differenza  della  LMC,  non  evolve  in  una  fase  blastica,  ma  può  trasformarsi  in  leucemia  a  prolinfociti  (LPL)  e  linfoma  a  
grandi  cellule  (sd  di  Richter)  

Linfoma  di  Hodgkin  (LH)  


Malattia  neoplastica  a  insorgenza  linfonodale  dovuta  a  trasformazione  di  linfociti  B  del  centro  germinativo  nel  98%  dei  
casi,   di   linfociti   T   nel   restante   2%   dei   casi.   Tipiche   del   linfoma   di   Hodgkin   sono   le   cellule   di   Reed-­‐Sternberg,   cellule  
tumorali  giganti  che  hanno  perso  gran  parte  del  fenotipo  B  linfocitario  e  che  sono  immerse  in  un  abbondante  infiltrato  
non  tumorale.  Fattore  favorente:  infezione  da  EBV.  

/ůůŝŶĨŽŵĂĚŝ,ŽĚŐŬŝŶŚĂƵŶ͛ŝŶĐŝĚĞŶnjĂĚŝϭ͗ϭϬϬ͘ϬϬϬ͕D͗&сϭ͕ϱ͗ϭ͘  
Clinica.  Oltre  il  50%  dei  pazienti  presenta  unicamente  una  tumefazione  linfonodale  superficiale,  spesso  sopraclaveare  
o   laterocervicale   (variante   di   presentazione   A).   Negli   altri   casi   sono   presenti   sintomi   quali   febbricola,   sudorazioni  
notturne,  prurito,  calo  ponderale  (varietà  B).  
>͛ĞƐĂŵĞŽďŝĞƚtivo  può  mostrare  interessamento  di  una  o  più  sedi  linfonodali,  a  distribuzione  spesso  asimmetrica.  Le  
localizzazioni   più   frequenti   sono:   sovraclaveare   (sinistra),   medisastinica,   lomboaortica.   I   linfonodi   sono   indolenti,  
ipomobili,   con   tendenza   a   confluire   in   pacchetti.   Se   è   presente   massa   linfoghiandolare   mediastinica   di   diametro  
ƚƌĂƐǀĞƌƐŽшϳĐŵƋů͛ŝŵƉĞŐŶŽğĚĞĨŝŶŝƚŽ͞ďƵůŬLJ͘͟  
Il  LH  può  essere  classificato  in  4  stadi  in  base  alla  classificazione  di  Ann  Arbor  (1971),  che  tiene  conto  principalmente  
del  numero  e  della  localizzazione  delle  regioni  linfonodali  interessate.  La  maggior  parte  dei  pazienti  esordisce  in  II  e  III  
ƐƚĂĚŝŽ͘WĞƌůĂĚĞƚĞƌŵŝŶĂnjŝŽŶĞĚĞůůŽƐƚĂĚŝŽ͕ŽůƚƌĞĂůů͛ĞƐĂŵĞŽďŝĞƚƚŝǀŽ͕ĐŝƐŝĂǀǀĂůĞĚŝŝŶĚĂŐŝŶŝƌĂĚŝŽůŽŐŝĐŚĞ͕ďŝŽƉƚŝĐŚĞĞ
medico-­‐nucleari.  Inoltre  la  PET,  superiore  alla  TAC  per  la  stadiazione,  è  usata  anche  per  la  valutazione  del  trattamento.  
Laboratorio.  >͛ĞŵŽĐƌŽŵŽ  non  è  caratteristicamente  alterato,  ma  può  mostrare  anemia,  leucocitopenia  (in  particolare  
linfopenia).   Ci   può   essere   un   aumento   della   VES   e,   in   caso   di   interessamento   epatico,   di   transaminasi,   fosfatasi  
alcaline,  ɶGT.  Dal  punto  di  vista  immunologico,  non  ci  sono  alterazioni  quantitative  del  linfociti  T,  ma  spesso  la  loro  
attività  (evidenziabile  col  test  della  tubercolina)  è  ridotta.    
/ŶĨŝŶĞ͕ƉĞƌůĂĚŝĂŐŶŽƐŝğŶĞĐĞƐƐĂƌŝŽů͛ĞƐĂŵĞŝƐƚŽůŽŐŝĐŽ͕ŐĞŶĞƌĂůŵente  praticato  su  un  linfonodo.  
125  
 

Quella   classica   può   essere:   ͞Ă ƐĐůĞƌŽƐŝ ŶŽĚƵůĂƌĞ͟ ;ůĂ ƉŝƷ ĨƌĞƋƵĞŶƚĞͿ͕ ͞a   cellularità   mista͕͟ ͞ricca   in   linfociti͟ Ž ͞Ă
ĚĞƉůĞnjŝŽŶĞůŝŶĨŽĐŝƚĂƌŝĂ͘͟  
Terapia.  Si  avvale  di  

x Radioterapia:   indicata   in   stadio   I   e   II   senza   fattori   di   rischio.   Radiazioni   su   stazioni   linfonodali  


sopradiaframmatiche  e/o  sottodiaframmatiche.  
x Chemioterapia:  indicata  in  stadio  I  e  II  con  fattori  di  rischio  e  in  stadio  III  e  IV.  Polichemioterapia  (schemi  ABVD:  
adriamicina,   bleomicina,   vinblastina,dacarbazina;   MOPP:   mostarda   azotata,   vincristina,   procarbazina,  
prednisone)  
x dĞĂƉŝĂĐŽŵďŝŶĂƚĂĐŚĞŵŝŽнƌĂĚŝŽ͗ŝŶĚŝĐĂƚĂŝŶŵĂůĂƚƚŝĞ͞ďƵůŬLJ͟  
x Terapia  sopramassimale:  tarapia  con  dosi  molto  elevate  seguita  da  trapianto  di  cellule  staminali  autologhe  in  
casi  particolari    
Tali   trattamenti   hanno   rivoluzionato   la   prognosi   del   LH,   ma   sono   anche   responsabili   di   complicanze   a   medio-­‐lungo  
termine:  immunodepressione  transitoria,  fibrosi  mediastinica  ,  sterilità  (irreversibile  nei  M,  spesso  reversibile  nelle  F),  
comparsa  di  seconde  neoplasie  (leucemie  acute  e  tumori  solidi),  soprattutto  nel  caso  di  combinazione  radio+chemio.  
Prognosi.  Oggi  la  sopravvivenza  a  15  anni  è  >80%.  Il  60-­‐70%  dei  pazienti  guarisce.  

Linfomi  non-­‐Hodgkin  (LNH)  


Gruppo  eterogeneo  di  neoplasie  dovute  alla  trasformazione  maligna  di  linfociti  che  mostrano  caratteristiche  differenti  
in  base  al  livello  di  maturazione.    
I  LNH  possono  essere  di  tipo  B  (più  frequenti)  o  T  e  possono  essere  poi  classificati  a  seconda  della  maggiore  o  minore  
differenziazione  dei  linfociti  neoplastici.  Tra  i  LNH  ci  sono  i  linfomi  diffusi  a  grandi  cellule  B  (DLBCL),  i  linfomi  follicolari,  
i   linfomi   delle   cellule   mantellari,   i   linfomi   di   Burkitt,   i   linfomi   a   grandi   cellule   anaplastiche,   i   linfomi   della   zona  
marginale.  I  LNH  possono  inoltre,  in  base  al  decorso  clinico,  distinguersi  in  indolenti  e  aggressivi.  
In  base  al  decorso  clinico,  i  LNH  possono  essere  aggressivi  o  indolenti.  

Linfomi  aggressivi  
Clinica͘/Ŷ ĐŝƌĐĂ ůĂ ŵĞƚă ĚĞŝ ƉĂnjŝĞŶƚŝ Őŝă Ăůů͛ĞƐŽƌĚŝŽ ƐŽŶŽ ƉƌĞƐĞŶƚŝ ƐŝŶƚŽŵŝ ƐŝƐƚĞŵŝĐŝ ;ĨĞďďƌĞ͕ ƐƵĚŽƌĞ͕ ĐĂůŽ ƉŽŶĚĞƌĂůĞͿ͕
adenomegalie   (con   possibile   sindrome  mediastinica),   epatomegalia.   I  LNH   diffondono  rapidamente   per   via   ematica,  
possono  interessare  il  midollo  osseo.  
ƉŽƐƐŝďŝůĞĂƉƉůŝĐĂƌĞůĂĐůĂƐƐŝĨŝĐĂnjŝŽŶĞĚŝŶŶƌďŽƌŵĂğů͛ŝƐƚŽƚŝƉŽŝůƉƌŝŶĐŝƉĂůĞĨĂƚƚŽƌĞƉƌŽŐŶŽƐƚŝĐŽ͘  
Laboratorio.   Spesso   VES   e   LDH   sono   aumentate,   può   esserci   anemia,   interessamento   del   midollo   alla  mielobiopsia.  
>͛ŝƐƚŽůŽŐŝĂƉĞƌŵĞƚƚĞů͛ŝĚĞŶƚŝĨŝĐĂnjŝŽŶĞĚŝƐŽƚƚŽƚŝƉŝ͗ůŝŶĨŽŵĂůŝŶĨŽďůĂƐƚŝĐŽ͕ŝŵŵƵŶŽďůĂƐƚŝĐŽ͕ĐĞŶƚƌŽďůĂƐƚŝĐŽ͕ĂŐƌĂŶĚŝĐĞůůƵůĞ
anaplastiche,  a  cellule  T  periferiche,  linfoma  di  Burkitt.  
Terapia͘ ,Ă ĐŽŵĞ ŽďŝĞƚƚŝǀŽ ů͛ĞƌĂĚŝĐĂnjŝŽŶĞ ĐŽŵpleta,   attraverso   polichemioterapia   aggressiva   (eventualmente   anche  
intratecale),  sovra  massimale  in  caso  di  resistenza.  Recentemente  la  chemio  è  stata  associata  a  anticorpi  monoclonali  
anti-­‐CD20.    
Prognosi.  La  terapia  porta  alla  guarigione  del  50%  dei  casi.  

Linfomi  indolenti  
Clinica.   Solo   il   5%   dei   pazienti   avverte   sintomi   sistemici.   Più   spesso   si   evidenziano   adenopatie   con   o   senza  
splenomegalia.    La  diffusione  sia  ematica  che  linfatica  è  rapida  e  molti  pz  alla  diagnosi  sono  in  IV  stadio.  
Laboratorio.   Emocromo   mostra   sŝŶĚƌŽŵĞ ůĞƵĐĞŵŝĐĂ͖ ů͛osteomielobiopsia   evidenzia   interessamento   midollare.  
>͛ŝƐƚŽůŽŐŝĂŝĚĞŶƚŝĨŝĐĂŝƐŽƚƚŽƚŝƉŝ͗ĐĞŶƚƌŽďůĂƐƚŝĐŽͬĐĞŶƚƌŽĐŝƚŝĐŽ͕ŝŵŵƵŶŽĐŝƚŽŵĂ͕ŵŝĐŽƐŝĨƵŶŐŽŝĚĞ͕ƐŝŶĚƌŽŵĞĚŝ^ĠnjĂƌLJ͘  
Terapia.   Nei   pazienti   giovani   e   negli   anziani   in   staĚŝŽ / Ž // ŵŝƌĂ Ăůů͛ĞƌĂĚŝĐĂnjŝŽŶĞ ĚĞůůĂ ŵĂůĂƚƚŝĂ͕ ĂƚƚƌĂǀĞƌƐŽ
polichemioterapia  associata  a  anti-­‐CD20  nel  primo  caso  e  radioterapia  nel  secondo.    
Nei  pazienti  anziani  in  stadio  III  e  IV  si  ricorre  alla  monochemioterapia  associata  o  meno  a  radioterapia.    
126  
 

Prognosi.  Il   decorso   clinico  è   lento  e   indolente,   la   sopravvivenza  media   tra   8  e   10   anni.  La   terapia   permette  lunghe  
sopravvivenze  con  malattia  persistente  in  circa  il  50%  dei  casi.  Il  20%  evolve  in  linfomi  aggressivi.  

LNH  ad  insorgenza  extranodale  


In  circa  il  ϮϱйĚĞŝĐĂƐŝĂůů͛ĞƐŽƌĚŝŽƐŝƌŝƐĐŽŶƚƌĂŶŽůŽĐĂůŝnjnjĂnjŝŽŶŝĞdžƚƌĂůŝŶĨŽŶŽĚĂůŝ͕ŝŶƉĂƌƚŝĐŽůĂƌĞĂůŝǀĞůůŽĚĞůƐŝƐƚĞŵĂ'/͕
della   cute,   del   SNC   e   del   testicolo.   La   presenza   di   tali   localizzazioni   è   legata   al   ricircolo   fisiologico   delle   cellule  
linfocitarie.  
Linfomi  MALT:  sono  i  LNH  extranodali  più  frequenti.  Tra    linfomi  MALT,  il  70%  interessa  il  tratto  GI.  Il  principale  fattore  
ƐĐĂƚĞŶĂŶƚĞŶĞŝůŝŶĨŽŵŝŐĂƐƚƌŝĐŝğů͛ŝŶĨĞnjŝŽŶĞĚĂ,͘pylori.  La  terapia  può  quindi  essere  soltanto  eziologica  (eradicazione  
HP)  o  associata  a  chemioterapia.  

Linfomi  del  testicolo.   Si  manifestano   con   tumefazione   con   dolore   che   si  irradia   al   fianco.   Sono   quasi   sempre   molto  
aggressivi.  Terapia:  orchiectomia  piú  radioterapia  scrotale  o  chemioradioterapia  allargata  in  stadio  piú  avanzato.  

Linfomi   del   SNC:   molto   aggressivi,   estremamente   rari.   MĂŶŝĨĞƐƚĂnjŝŽŶŝ ĐůŝŶŝĐŚĞ Ě͛ĞƐŽƌĚŝŽ ƐŽŶŽ ŵŽůƚŽ ǀĂƌŝĂďŝůŝ͕ ĐŽŶ
sintomi   di   ipertensione   endocranica   o   sintomi   che   mimano   condizioni   quali   demenza,   SM,   meningo-­‐encefalite.   La  
diagnosi   si   basa   su   indagini   strumentali   ;d͕ ZD͕ ĂŶŐŝŽŐƌĂĨŝĂ͕ ƐĐŝŶƚŝŐƌĂĨŝĂͿ͕ ƐƵůů͛ĞƐĂŵĞ ĚĞů ůŝƋƵŽƌ͕ ƐƵ ďŝŽƉƐŝĂ ĚĞůůĞ
lesioni.  Il  trattamento  prevede  radioterapia  associata  a  chemioterapia.  

Linfomi  della  cute.  Le  forme  principali  sono  di  origine  T  linfocitaria:  micosi  fungoide  e  sindrome  di  Sézary.  La  micosi  
fungoide   esordisce   inizialmente   con   una   lesione   cutanea   scura   e   attraverso   3   fasi   giunge   allo   stadio   tumorale.   La  
ƐŝŶĚƌŽŵĞĚŝ^ĠnjĂƌLJƐŝŵĂŶŝĨĞƐƚĂĐŽŶƵŶ͛ĞƌŝƚƌŽĚĞƌŵŝĂĞƐĨŽůŝĂƚŝǀĂĞƉƌƵƌŝŐŝŶŽƐĂŝŶƉƌĞƐĞŶnjĂĚŝƐŝŶĚƌŽŵĞůĞƵĐĞŵŝĐĂ͘>Ă
terapia  si  basa  sulla  PUVA  terapia  nelle  forme  localizzate,  sulla  polichemioterapia  in  quelle  generalizzate.    

Gammapatie  monoclonali  
Sindromi   linfoproliferative   caratterizzate   dalla   produzione   di   immunoglobuline   da   parte   delle   cellule   neoplastiche.  
Comportano   una   modifŝĐĂnjŝŽŶĞ ĚĞůůĂ ĐŽŵƉŽŶĞŶƚĞ ƉƌŽƚŝĚŝĐĂ ĚĞů ƉůĂƐŵĂ Ɖŝƶ ĐŚĞ ů͛ĂƵŵĞŶƚŽ ǀŽůƵŵĞƚƌŝĐŽ ĚĞŐůŝ ŽƌŐĂŶŝ
linfoidi  secondari.    

Le  immunoglobuline   hanno   carattere  monoclonale:   sono   tutte   costituite   dalla   stessa  classe   di   catena   pesante,   dallo  
stesso  tipo  di  catena  leggera,  dalla  stessa  regione  ipervariabile͘ůů͛ĞůĞƚƚƌŽĨŽƌĞƐŝƉĞƌƚĂŶƚŽğƉƌĞƐĞŶƚĞƵŶĂĐĂƌĂƚƚĞƌŝƐƚŝĐĂ
ĂůƚĞƌĂnjŝŽŶĞĐŽŶĂƐƉĞƚƚŽ͞ĂĚƵƉůŝĐĞŐƵŐůŝĂĚŝĚƵŽŵŽ͟Ž͞ĂĐŽƌŶĂ͘͟  
Le  gammapatie  monoclonali  possono  essere:  

x neoplastiche  (mieloma  multiplo,  plasmocitoma  localizzato,  macroglobulinemia  di  Waldernström,    associate  a  


sd  linfoproliferative)  
x crioglobulinemie  
x amiloidosi  AL  
x malattie  delle  catene  pesanti  
x di  significato  non  determinato  (benigne)  

Mieloma  multiplo  (MM)  


Neoplasia  caratterizzata  dalla  proliferazione  di  linfociti  B  e  plasmacellule  nel  midollo  osseo  o  più  raramente  nei  tessuti  
extramidollari,  con  produzione  di  Ig  monoclonali.  

Clinica.  Nel  15%  dei  casi  non  ci  sono  sintomi  e  la  diagnosi  è  casuale.  Negli  altri  casi,  i  sintomi  si  manifestano  con:  

x ŝŶƚĞƌĞƐƐĂŵĞŶƚŽĚĞůů͛ĂƉƉĂƌĂƚŽƐĐŚĞůĞƚƌŝĐŽ͗ŝĚŽůŽƌŝŽƐƐĞŝƐŽŶŽŝƉŝƶĨƌĞƋƵĞŶƚŝƐŝŶƚŽŵŝĚ͛ĞƐŽƌĚŝŽĞƐŽŶŽĚŽǀƵƚŝ
Ăůů͛ĂƵŵĞŶƚŽĚĞůů͛ĂƚƚŝǀŝƚăŽƐƚĞŽĐůĂƐƚŝĐĂ͘  
x Insufficienza   renale:   è   la   più   frequente   e   grave   complicanza   e   ne   cosƚŝƚƵŝƐĐĞ ů͛ĞƐŽƌĚŝŽ ŶĞů ϮϬй ĚĞŝ ĐĂƐŝ͘ È  
dovuta  principalmente  a  danno  tubulo-­‐interstiziale  dato  dalle  catene  leggere  Ig  (proteinuria  di  Bence  Jones).  
x Morbilità   infettiva:   è   la   principale   causa   di   morte   di   questi   pazienti   ed   è   dovuta   alla   soppressione  
ĚĞůů͛ŝmmunità  umorale.    
127  
 

x Sindrome  ipercalcemica  
x Manifestazioni  neurologiche  (da  compressione  o  da  polineuropatia)  
x Sindrome  da  iperviscosità  
Laboratorio͘>͛ĞŵŽĐƌŽŵŽ  può  mostrare  anemia  e/o  leucopenia  e/o  piastrinopenia.  Ci  può  essere  aumento  della  VES,  
della  calcemia,  alterazione  della  funzionalità  renale.  
>͛ĞůĞƚƚƌŽĨŽƌĞƐŝŽů͛ŝŵŵƵŶŽĨŝƐƐĂnjŝŽŶĞŵŽƐƚƌĂŶŽůĂƉƌĞƐĞŶnjĂĚŝƵŶĂĐŽŵƉŽŶĞŶƚĞDŶĞůƐŝĞƌŽĞͬŽŶĞůůĞƵƌŝŶĞ͕ĐŚĞĐŽŶƐƚĂ
generalmente  di  Ig  complete,  più  raramente  di  sole  catene  leggere.    
>͛ŽƐƚĞŽŵŝĞůŽďŝŽƉƐŝĂĚŽĐƵŵĞŶta  un  eccesso  di  plasmacellule,  spesso  con  atipie  citologiche.  
Diagnosi.  Si  basa  su:  

x presenza  di  componente  M  sierica  e/o  urinaria;  


x ƉůĂƐŵĂĐĞůůƵůĞŵŽŶŽĐůŽŶĂůŝхϭϬйĚĞŝŵŽŶŽŶƵĐůĞĂƚŝĚĞůŵŝĚŽůůŽŽƐƐĞŽĂůů͛ĞƐĂŵĞĐŝƚŽůŽŐŝĐŽĞŝƐƚŽůŽŐŝĐŽ͖  
x presenza  di  lesioni  osƚĞŽůŝƚŝĐŚĞƐĐŚĞůĞƚƌŝĐĂĂůů͛ĞƐĂŵĞƌĂĚŝŽŐƌĂĨŝĐŽŽĂůůĂZD͘  
Terapia.  Deve  essere  intrapresa  solo  in  presenza  di  sintomi,  dato  che  il  trattamento  precoce  non  mostra  aumento  di  
sopravvivenza.  In  passato  i  principali  trattamenti  erano  di  chemioterapia  convenzionale,  coi  protocollo  MP  (melphalan  
e   prednisone)   e   VAD   (vincristina,   adriamicina,   desametasone).   Più   recentemente   sono   state   introdotte   terapia  
mieloablative  con  trapianto  di  cellule  staminali  autologhe,  seguendo  una  fase  di  induzione  (chemio),  una  di  raccolta  di  
cellule   staminali,   una   di   trapianto.   Infine   oggi   sono   disponibili   anche   farmaci   che   agiscono   sul   microambiente  
ŵŝĚŽůůĂƌĞ͕ ĐŽŵĞ ůĂ ƚĂůŝĚŽŵŝĚĞ ;ŵŽĚƵůĂ ů͛ŝŵŵƵŶŝƚă ĐĞůůƵůŽŵĞĚŝĂƚĂͿ Ž ĂŶĂůŽŐŚŝ ;ĞƐ ĂĐƚŝŵŝĚͿ ŵĞŐůŝŽ ƚŽůůĞƌĂƚŝ͘ hŶ ĂůƚƌŽ
farmaco  inteƌĞƐƐĂŶƚĞğŝůďŽƌƚĞnjŽŵŝď͕ĐŚĞŝŶŝďĞŶĚŽŝůƉƌŽƚĞĂƐŽŵĂŝŶŝďŝƐĐĞůĂƉƌŽůŝĨĞƌĂnjŝŽŶĞĞŝŶĚƵĐĞů͛ĂƉŽƉƚŽƐŝ͘DŽůƚŽ
ƌŝůĞǀĂŶƚĞğŝŶĨŝŶĞŝůƌƵŽůŽĚĞŝďŝƐĨŽƐĨŽŶĂƚŝ͕ĐŚĞƌŝĚƵĐŽŶŽů͛ĂƚƚŝǀŝƚăŽƐƚĞŽĐůĂƐƚŝĐĂĞĚĂƵŵĞŶƚĂŶŽƋƵĞůůĂŽƐƚĞŽďůĂƐƚŝĐĂ͘  
Prognosi.  La  sopravvivenza  può  variare  da  mesi  a  anni,  in  base  a  numerosi  fattori  prognostici:  taglia  neoplastica,  stadi  
azione,  interessamento  renale,  valori  di  albumina  e  E2  microglobulina,  alterazioni  genetiche.  
 
 
   
I Gazzellini

- Interna -
- Etc... -

A. Fusco
INDICE

EBM ..................................................... 1

Febbre reumatica acuta .......................................... 99

Febbre di origine sconosciuta ............................... 128

Ictus .......................................................................... 131


EBM effetto". Per convenzione nel lato sinistro cadono le stime
di effetto che favoriscono il trattamento sperimentale,
mentre in quello destro quelle a favore del trattamento
Definizione standard (controllo).
L’ EBM è una metodologia di studio finalizzata a com-
portamenti medici razionali, fondati cioè, fra l’altro, su
prove di efficacia.
Storia
Il termine EBM comparve per la prima volta su JAMA nel
1992 e la definizione che veniva riportata era la seguen-
te:
“…Tutte le azioni cliniche sul piano diagnostico, della
valutazione prognostica delle scelte terapeutiche doveva- L'elemento geometrico sovrapposto alla linea indica la
no essere basate su solide prove quantitative, derivate da stima di effetto, maggiore è il numero di pazienti nello
una ricerca epidemiologica clinica di buona qualità.” studio e maggiore sarà la dimensione dell'elemento geo-
In questo modo si passa da una medicina autoritaria ad metrico, che costituisce la stima puntuale. La lunghezza
una medicina autorevole. Non vale più il concetto “in ba- della linea attorno alla stima puntuale è proporzionale
se alla mia esperienza” ma in base all’ esperienza ottenuta alla sua incertezza nello studio in esame: corrisponde
su 10-100000 pazienti. all'intervallo di confidenza. Uno studio di pochi pazienti
ha una linea più lunga e di conseguenza un risultato mol-
Cosa vuol dire nella pratica, servirsi dell’EBM? to incerto.
Vuol dire che le decisioni che noi prendiamo, che riguar- Quando la linea dello studio tocca o attraversa la linea
dano il paziente, devono essere supportate da prove scien- perpendicolare del "nessun effetto" il risultato, conven-
tifiche che ne attestino la validità. Tuttavia occorre sem- zionalmente, non è statisticamente significativo
pre individualizzare le decisioni, e trattare il singolo pa-
ziente, non applicare pedissequamente l’evidenza.

Da dove si prende l’evidenza scientifica?


I livelli gerarchici nella medicina basata sulle evidenze
sono:
1. Revisioni sistematiche di RCT
2. Studi clinici randomizzati e controllati (RCT)
Se si sceglie di fare una meta-analisi si fa una stima pun-
3. Studi di coorte
tuale globale degli studi. Se combiniamo i risultati dei tre
4. Studi caso-controllo
studi che avevamo sin qui, la stima globale è rappresenta-
5. Studi di tipo osservazionale
ta dal "diamante" ai piedi del grafico: in questo caso, es-
6. Ricerca in vivo, un campo minato soprattutto per
sendo il diamante a sinistra della linea verticale, il risul-
problematiche di tipo etico ma che poco interessano i
tato mostra che i dati ricavati dagli studi portano a con-
medici coinvolti principalmente nella pratica clinica
cludere che il trattamento è più efficace del placebo.
Revisioni sistematiche o review
Per arrivare a questo tipo di grafico devono essere presen-
Le revisioni sistematiche si fanno per avere delle infor-
ti determinati requisiti:
mazioni che non si potrebbero avere da un singolo studio
- Quando la metanalisi è empirica, cioè quando
soprattutto per quanto riguarda la numerosità del campio-
l’analisi del dato è empirica e non teorica. Ragionan-
ne. Una cosa è fare uno studio con 100 pazienti e una cosa
do in termini teorici uno studio sperimentale potrebbe
è mettere insieme più studi e arrivare a oltre 10-20 mila
essere fatto anche su un campione molto piccolo.
soggetti. Ci sono oggi studi che nascono già multicentrici,
- Quando i risultati sono di tipo quantitativo e non
cioè con la collaborazione di diversi centri.
qualitativo, quindi sono necessarie medie e varianze
Le revisioni sistematiche adottano il metodo statistico del-
- Quando i risultati sono confrontabili
la metanalisi, per analizzare gli studi in oggetto. La meta-
- Quando è possibile stimare l’effect size
nalisi permette di astrarre, a partire dagli studi, una gene-
L’effect size è la dimensione dell’effetto che noi voglia-
ralizzazione, a spese di quella che però può essere
mo andare a studiare. Per valutarla si possono usare vari
l’informazione particolare.
metodi:
Il tipico grafico di sintesi di una meta-analisi prende il
- Indice di correlazione o r
nome di "forest plot". Nel forest plot sono evidenziate li-
- Differenza o d che è un parametro di effect size di ti-
nee orizzontali (nella figura che segue ne sono riportate
po continuo, ad esempio io voglio vedere se ottengo
tre), ciascuna delle quali mostra il risultato di un singolo
una riduzione del peso corporeo o della glicemia con
studio. La linea perpendicolare che divide il grafico in
l’esercizio fisico, per cui misuro la glicemia prima e
due zone (trattamento vs controllo) corrisponde a "nessun
dopo il trattamento

1
- Odds ratio (OR), rischio relativo (RR) oppure hazard esempio il sesso, l’età, il quadro clinico o eventuali pato-
ratio (se si valuta la prognosi) logie associate.
OR=adbc=VN∙VPFN∙FP In tal caso posso utilizzare una tecnica statistica di ran-
domizzazione che prende il nome di propensity score: i
RCT
Gli studi clinici controllati randomizzati prevedono che il pazienti vengono scelti prima del trattamento in maniera
campione venga diviso in gruppi per poi misurare uno uniforme e bilanciata per quanto riguarda sesso, età, con-
dizioni socio-economiche, presenza di condizioni croni-
specifico risultato o outcome o endpoint primario per va-
che e via dicendo. Il gruppo non trattato (o trattato con un
lutare l’effetto di un determinato intervento. L’outcome
specifico deve essere necessariamente definito prima metodo alternativo) costituisce il controfattuale
dell’inizio dello studio, senza andare a valutare quello che Studi caso-controllo
Lo studio caso-controllo è quello più semplice da fare. È
poi si ricava dallo studio stesso.
Lo studio deve essere necessariamente prospettico, cioè uno studio retrospettivo. Mentre nello studio di coorte o
il paziente deve essere arruolato per lo studio e non deve nello studio randomizzato bisogna prendere un certo nu-
mero di persone e seguirle per un certo numero di anni,
essere selezionato a posteriori da un database in maniera
retrospettiva. Ad esempio io non posso andare ad indivi- per cui bisogna effettuare l’arruolamento, seguire i pa-
duare tutti i pazienti che sono stati operati di stenosi aorti- zienti, verificare le perdite al follow-up… lo studio caso-
ca e poi li studio. Si può fare ma è un altro tipo di studio. controllo è uno studio più semplice: prendo in una popo-
lazione un certo numero di fumatori e li confronto con
I pazienti devono essere necessariamente randomizzati,
cioè gli deve essere assegnato il trattamento in maniera pazienti che non sono fumatori e vedo quanti, tra fumatori
completamente casuale. La cosa migliore sarebbe fare lo e non fumatori, hanno avuto un infarto. Permette di calco-
lare l’OR (odds ratio), un modo di esprimere la probabili-
studio in doppio cieco: né il paziente né il medico sanno
il paziente che trattamento riceverà. Questo ovviamente tà.
apre una serie di problematiche di tipo etico perché il pa- Studi di tipo osservazionale
Sono gli studi descrittivi e quelli di prevalenza. Valutano
ziente deve dare il proprio consenso a partecipare ad un
il fenomeno sanitario secondo tre variabili:
trial clinico sull’efficacia di un farmaco in cui potrà avere
la possibilità di essere trattato o meno con il farmaco spe- - Tempo: rileva variazioni periodiche e non;
rimentale. Questo crea anche una serie di problematiche - Spazio: permette confronto tra aree diverse;
di tipo metodologico: se un farmaco viene somministrato - Popolazione: permette la descrizione delle carat-
per os e uno per via endovenosa, ciascun paziente riceverà teristiche dei soggetti in studio relativamente ad
necessariamente due trattamenti uno per os e uno per via età, sesso, razza, classe sociale, stato civile, abitu-
endovenosa solo che in un caso si tratta del farmaco e dini, etc.
nell’altro del placebo o viceversa. In alcuni casi lo studio Al fine di elaborare un’ipotesi eziopatogenica da verifica-
può essere compiuto solo in cieco singolo, ad esempio nel re con studi più complessi.
caso delle pratiche di medicina alternativa (ad esempio Negli studi descrittivi ci si serve di dati preesistenti, men-
l’agopuntura o l’omeopatia). Ovviamente nel caso in cui tre in quelli di prevalenza no.
nel corso di un trattamento dovessero comparire degli ef-
fetti collaterali, deve essere a disposizione un monitor 24
ore su 24 che sia al corrente di quale trattamento sta rice-
vendo il paziente.
Quindi lo studio prospettico è quello più utile ai fini della
valutazione dei nessi causa-effetto.
NOTA: una regola generale, che vale per i RCT come per
gli altri tipi di studi, è che più è numeroso ed omogeneo il
campione, più è vicino al vero (=alla popolazione genera-
le) e quindi più i risultati saranno affidabili. È per questo
che si fanno pure gli studi multicentrici.
Studi di coorte
Gli studi di coorte possono essere sia prospettivi che re-
trospettivi e sono studi in cui i gruppi o coorti di pazienti
vengono seguiti nel tempo nel corso del trattamento, ma
non siamo noi a scegliere il paziente che trattamento rice-
verà. La differenza con gli RCT è l’assenza della rando-
mizzazione, il cui scopo è quello di ridurre i fattori di con-
fondimento. Questo nello studio di coorte non è possibile
e può causare i cosiddetti bias (distorsione) di selezione,
per cui la selezione dei pazienti per i vari gruppi di trat-
tamento può essere distorta dalle informazioni note, ad

2
99  
 

xxiii ‡„„”‡”‡—ƒ–‹…ƒƒ…—–ƒ  

La   febbre   reumatica   acuta   è   una   malattia   multisistemica   causata   ĚĂ ƵŶĂ ƌĞĂnjŝŽŶĞ ĂƵƚŽŝŵŵƵŶĞ Ăůů͛ŝŶĨĞnjŝŽŶĞ ĚĂ
Streptococcus   pyogenes   ;ɴ-­‐emolitico,   gruppo   A).  Generalmente   tutte   le   manifestazioni   si   risolvono   completamente,  
eccetto  il  danno  alle  valvole  cardiache  (malattia  cardiaca  reumatica).  

Epidemiologia  
La   febbre   reumĂƚŝĐĂ ĂĐƵƚĂ ğ ƵŶĂ ŵĂůĂƚƚŝĂ ĚĞůůĂ ƉŽǀĞƌƚă͗ ĐŽŵƵŶĞ ŝŶ ƚƵƚƚŽ ŝů ŵŽŶĚŽ ĨŝŶŽ ĂŐůŝ ŝŶŝnjŝ ĚĞů ͚ϵϬϬ͕ ůĂ ƐƵĂ
incidenza   è   declinata   negli   stati   economicamente   sviluppati   grazie   al   miglioramento   delle   condizioni   di   vita   e  
Ăůů͛ŝŶƚƌŽĚƵnjŝŽŶĞĚĞŐůŝĂŶƚŝďŝŽƚŝĐŝ͖ŶĞŐůŝƐƚĂti  in  via  di  sviluppo  la  prevalenza  è  ancora  alta.  Si  tratta  di  una  patologia  che  
coinvolge  principalmente  i  bambini  dai  5  ai  14  anni.  

Patogenesi  
Tutti   i   ceppi   di   S.   pyogenes   possono   causare   la   malattia   quando   infettano   il   tratto   respiratorio   superiore:   se  
ů͛ŽƌŐĂŶŝƐŵŽğŐĞŶĞƚŝĐĂŵĞŶƚĞƉƌĞĚŝƐƉŽƐƚŽ;ĂůĐƵŶŝĂůůĞůŝ,>//Ğd'&-­‐ɴͿƐŝpuò  innescare  una  reazione  autoimmunitaria  
che   porta   a   danno   tessutale   per   crossreattività   tra   alcuni   epitopi   batterici   (N-­‐acetilglucosamina,   proteina  
streptococcica  M)  e  umani  (proteine  citoscheletriche).  

Clinica  
La  storia  naturale  della  malattia  reumatica  si  può  dividere  in  quattro  fasi.  
1. infezione  streptococcica:  generalmente  è  asintomatica,  ma  si  possono  avere  i  sintomi  di  faringite  (in  questo  
caso   si   può   isolare   il   batterio   tramite   tampone   faringeo   e   coltura   in   agar-­‐sangue   o   test   rapido  
immunoenzimatico.  
2. febbre  reumatica  acuta:  si  ha  dopo  circa  3  settimane.  Le  manifestazioni  piú  frequenti  sono  la  poliartrite  e  la  
febbre;  meno  comuni  la  corea  e  la  cardite,  ƌĂƌŝů͛ĞƌŝƚĞŵĂŵĂƌŐŝŶĂƚŽĞŝŶŽĚƵůŝƐŽƚƚŽĐƵƚĂŶĞŝ͘  
3. attività  cronica  
4. eventuali  riacutizzazioni:  facilitano  la  progressione  a  malattia  reumatica  cardiaca.  

Le  manifestazioni  articolari  sono  costituite  principalmente  da  poliartrite  migrante  delle  grandi  articolazioni:  ginocchio,  
caviglia,  anca,  gomito;  è  monolaterale  o  asimmetrica.  Solitamente  è  molto  dolorosa  ma  dura  pochi  giorni,  e  risponde  
ƌĂƉŝĚĂŵĞŶƚĞĂůů͛ĂƐƉŝƌŝŶĂ͘ƉŽƐƐŝďŝůĞĐŚĞĐŝƐŝĂartralgia,  è  meno  grave.  
Le   manifestazioni   cardiache   possono   riguardare   endocardio,   miocardio   e   pericardio,   ma   la   lesione   caratteristica   è  
ƋƵĞůůĂǀĂůǀŽůĂƌĞ͘ ƋƵĂƐŝ ƐĞŵƉƌĞĐŽŝŶǀŽůƚĂ ůĂ ŵŝƚƌĂůĞ͕ ƚĂůǀŽůƚĂ ĂŶĐŚĞů͛ĂŽƌƚŝĐĂ͘/ŶŝnjŝĂůŵĞŶƚĞ Ɛŝ può   avere   una   leggera  
insufficienza,  ma  con  le  progressive  riacutizzazioni  si   può  avere  cicĂƚƌŝnjnjĂnjŝŽŶĞĞƐƚĞŶŽƐŝǀĂůǀŽůĂƌĞ͘>͛ŝŶƚĞƌĞƐƐĂŵĞŶƚŽ
miocardico  può  provocare  allungamento  del  tratto  PR.  
La  corea  di  Sydenham  è  una  manifestazione  neurologica  caratterizzata  da  movimenti  involontari  della  testa  e  degli  arti  
superiori,  debolezza  muscolare  e  labilità  emozionale.  Può  variare  ampiamente  in  gravità  ma  è  autolimitante.  
>͛ĞƌŝƚĞŵĂ ŵĂƌŐŝŶĂƚŽ ğ ƵŶ ƌĂƐŚ ĞǀĂŶĞƐĐĞŶƚĞ ŶŽŶ ƉƌƵƌŝŐŝŶŽƐŽ ŐĞŶĞƌĂůŵĞŶƚĞ Ăů ƚƌŽŶĐŽ Ğ ĂŐůŝ Ăƌƚŝ͖ ůĂ ůĞƐŝŽŶĞ ƚĞŶĚĞ Ă
risolversi   al  centro   e   a   progredire   alla   periferia.   I   noduli   sottocutanei   sono   indolenti,   piccoli  e   mobili   e   si   trovano  in  
corrispondenza  delle  prominenze  ossee.  

Diagnosi  
Poiché   non   esiste   un   test   decisivo   la   diagnosi   si   basa   sulla   compresenza   di   sintomatologia   tipica   e   infezione   da   S.  
pyogenes.  Se  la  diagnosi  di  infezione  non  è  stata  effettuata  al  momento  (ad  esempio  perché  non  era  sintomatica)  è  
possibile  usare  la  sierologia,  in  particolare  la  ricerca  delle  Ig  anti-­‐streptolisina  O67  e  le  Ig  anti-­‐DNasi  B;  in  alternativa  lo  
Streptoxyme  valuta  contemporaneamente  le  Ig  contro  cinque  diversi  antigeni.  

                                                                                                                         
67
 TAS:  titolo  antistreptolisinico  
100  
 

 /ĐƌŝƚĞƌŝĚŝ:ŽŶĞƐ͕ĚĞĨŝŶŝƚŝŶĞů͛ϰϰĞĂŐŐŝŽƌŶĂƚŝĚĂůů͛KD^ŶĞůϮϬϬϯ͕ƉĞƌŵĞƚƚŽŶŽĚŝŝŶĚŝǀŝĚƵĂƌĞŐůŝĞƉŝƐŽĚŝƉƌŝŵĂƌŝ;ϮĐƌŝƚĞƌŝ  
maggiori  o  1  maggiore  e  2  minori,  in  presenza  di  infezione  confermata)  e  le  riacutizzazioni  (2  minori).  

x criteri  maggiori:  cardite,  poliartrite,  corea  di  Sydenham,  eritema  marginato,  noduli  sottocutanei  
x criteri  minori:  febbre,  poliartralgia,  ĹVES,  leucocitosi,  PR  prolungato.  

Prevenzione  e  terapia  
>ĂƉƌĞǀĞŶnjŝŽŶĞƉƌŝŵĂƌŝĂĐŽŶƐŝƐƚĞŶĞůů͛ŝŶĚŝǀŝĚƵĂnjŝŽŶĞĚŝƚƵƚƚŝŝ  casi  di  faringite  streptococcica  e  la  terapia  antibiotica:  in  
questo   modo   si   riescono   a   prevenire   la   maggior   parte   dei   casi   di   febbre   reumatica   acuta.   Possono   essere   usati:  
penicillina  G  benzatina  intramuscolare  in  unica  dose  o  amoxicillina  orale  per  sei   giorni.  Alla  sospensione  della  terapia  
antibiotica  va  confermata  la  negativizzazione  del  tampone  faringeo.    
Una   volta   che   è   presente   la   febbre   reumatica   acuta   non   sono   disponibili   terapie   che   impediscano   lo   sviluppo   di  
malattia  reumatica  cardiaca;  il   trattĂŵĞŶƚŽ ğƋƵŝŶĚŝ ƐŝŶƚŽŵĂƚŝĐŽ͕ ďĂƐĂƚŽ ƉƌŝŶĐŝƉĂůŵĞŶƚĞ ƐƵůů͛ĂƐƉŝƌŝŶĂƉĞƌ ŝů ĐŽŶƚƌŽůůŽ
dei  sintomi  articolari  e  della  febbre.  Nei  pazienti  con  cardite  grave  è  possibile  usare  il  prednisone.  La  febbre  reumatica  
acuta  dura  3  mesi  se  non  trattata  e  1-­‐2  settimane  se  trattata.  

 
ŽƉŽůĂƌŝƐŽůƵnjŝŽŶĞĚĞůů͛ĞǀĞŶƚŽŝŶŝnjŝĂůĞğŝŵƉŽƌƚĂŶƚĞůĂƉƌŽĨŝůĂƐƐŝƐĞĐŽŶĚĂƌŝĂ͕ĐŽŶƉĞŶŝĐŝůůŝŶĂ'ďĞŶnjĂƚŝŶĂŽŐŶŝϯ
settimane  per  5-­‐ϭϬĂŶŶŝĂƐĞĐŽŶĚĂĚĞůů͛ŝŶƚĞƌĞƐƐĂŵĞŶƚŽĐĂƌĚŝĂĐŽ͘  
128  
 

xxxi ‡„„”‡†‹‘”‹‰‹‡•…‘‘•…‹—–ƒ  

Omeostasi  della  temperatura  e  febbre  


La   temperatura   corporea   media   tra   i   18   e   i   40   anni,   misurata   per   via   orale,   è   di   36,4-­‐37,2°C;   essa   segue   un   ritmo  
circadiano  (minimo  ore  6  del  mattino,  massimo  ore  5  del  pomeriggio).  
La   temperatura   corporea   puó   essere   misurata   in   varie   sedi;   quella   ĂƐĐĞůůĂƌĞ ğ ŝŶĂĨĨŝĚĂďŝůĞ͕ ůĂ ŵŝŐůŝŽƌĞ ğ ů͛ĞƐŽĨĂŐĞĂ
inferiore.  Rispetto  alla  temperatura  rettale  a  temperatura  orale  è  inferiore  di  0,4°C;  quella  timpanica  di  0,8°C.  
/Ŷ ƉƌĞƐĞŶnjĂ Ěŝ ĨĂƚƚŽƌŝ ƉŝƌŽŐĞŶŝ ƵŶ ŝŶŶĂůnjĂŵĞŶƚŽ ĚĞů ƉƵŶƚŽ ƚĞƌŵŽƐƚĂƚŝĐŽ ĚĞůů͛ŝƉŽƚĂůĂŵŽ͕ ĐŽŶ conseguente  
vasocostrizione,   brivido   e   quindi   febbre.   I   fattori   pirogeni   possono   essere   esogeni   (sostanze   batteriche,   alimentari,  
ĨĂƌŵĂĐŝͿŽĞŶĚŽŐĞŶŝ;;/>ϭ͕dE&ɲɴ͕/&Eɲɴɶ͘YƵĂŶĚŽƐŝƐƵƉĞƌĂŝůŶƵŽǀŽƉƵŶƚŽƚĞƌŵŽƐƚĂƚŝĐŽƐŝŝŶŶĞƐĐĂŶŽŵĞĐĐĂŶŝƐŵŝĚŝ
termodispersione  (vasodilatazione,  sudorazione).  
Si  parla  di  febbre  quando  la  temperatura  al  mattino  è  >37,2°C  e  quando  quella  pomeridiana  è  >37,7°C.  

La  febbre  puó  essere  continua,  remittente,  intermittente,  ricorrente,  ondulante.  

Febbre  di  origine  sconosciuta  


Definizione  1961:  temperatura  >38,3°C,  febbre  >3  settimane,  incapacità  di  raggiungere  una  diagnosi  dopo  1  settimana  
di  valutazione  ospedaliera.  
Classificazione  aggiornata:  
1. febbre  di  origine  sconosciuta  classica:  come  prima  ma  piú  ampia  (3  visite,  oppure  3  giorni  in  ospedale,  oppure  
1  settimana  di  valutazione  ambulatoriale).  Il  paziente  non  ha  neutropenia  né  infezione  da  HIV.  
2. febbre  di  origine  sconosciuta  ospedaliera:  in  paziente  ricoverato,  senza  infezioni,  con  3  giorni  di  valutazione  
di  cui  2  di  colture  
3. febbre   di   origine   sconosciuta   neutropenica͗ ĐŽŶ ŶĞƵƚƌŽĨŝůŝ фϱϬϬͬʅ>͕ ĐŽŶ ϯ ŐŝŽƌŶŝ Ěŝ ǀĂůƵƚĂnjŝŽŶĞ Ěŝ ĐƵŝ Ϯ Ěŝ
colture.  
4. febbre  di  origine  sconosciuta  HIV-­‐associata:  in  pazienti  con  infezione  da  HIV,  con  >4  settimane  di  visite  o  >3  
giorni  in  ospedale.  

Eziologia  
™ infezioni  
¾ infezioni  piogene  localizzate:  ascessi  epatici,  splenici,  peri-­‐appendicolari,  renali,  retroperitoneali,  osteomieliti,  
prostatiti,  ascessi  dentari,  sinusiti,  colangiti  
¾ infezioni  da  batteri  intravascolari:  endocarditi  (in  particolare  HACEK),    
¾ infezioni  batteriche  sistemiche:  tifo,  gonococcemia,  listeriosi,  brucellosi,  rickettsiosi,  psittacosi,  borreliosi  (es.  
Lyme)  
¾ micobatteri:  tubercolosi  extrapolmonare    
¾ virali:  mononucleosi  da  EBV,  HIV,  epatiti,  dengue  
¾ micotiche:  istoplasmosi,  criptococcosi  
¾ parassitarie:  malaria,  toxoplasmosi  
™ neoplasie  
¾ ematiche:  linfoma  di  Hodgkin,  linfomi  non  Hodgkin,  leucemie  
¾ solide:  K  rene,  epatoma,  K  colon  
™ malattie  infiammatorie  
¾ sistemiche:  lupus  eritematoso  sistemico,  artite  reumatoide,,  polimialgia  reumatica  
¾ vasculiti:  arterite  temporale  di  Horton,  Wegener,  poliarterite  nodosa,  Takayasu,    
129  
 

¾ ŵĂůĂƚƚŝĂĚŝ^ƚŝůůĚĞůů͛ĂĚƵůƚŽ  (febbre  intermittente  >39°C,  artralgie  fugaci,  eruzione  maculopapulosa,  leucocitosi  


neutrofila).  
¾ malattie  granulomatose:  sarcoidosi,  Crohn,  epatite  granulomatosa  
™ cause  varie  
¾ febbre  da  farmaci  
ƒ antibiotici:  penicillina,  cotrimossazolo,  vancomicina  
ƒ antiinfiammatori:  AAS,  ibuprofene  
ƒ cardiovascolari:  chinidina,  ɲ-­‐metildopa,  calcioantagonisti  
ƒ psicotropi:  cocaina,  anfetamine,  antidepressivi  triciclici,  LSD,  carbamazepina,  clorpromazina,  aloperidolo  
ƒ antineoplastici  
ƒ fenitoina  
ƒ IFN  
¾ febbre  simulata  
¾ sindromi  familiari  da  febbre  periodica  
ƒ febbre  mediterranea  familiare:  AR,  mutazione  MEFV,  si  hanno  episodi  di  febbre  a  remissione  spontanea.  
Si  tratta  con  colchicina.  
ƒ sindrome  da  iper-­‐IgD  
¾ endocrinopatie:  tireotossicosi,  feocromocitoma  
¾ embolia  polmonare  ricorrente  
¾ malattie  da  accumulo  lisosomiale  

>Ă ŵĂůĂƚƚŝĂ Ěŝ >LJŵĞ ğ ĚĂƚĂ ĚĂůů͛ŝŶĨĞnjŝŽŶĞ ĚĂ Borrelia   burgdorferi,   una   spirocheta   trasmessa   da   zecche;   si   manifesta  
inizialmente  con  un  eritema  migrante,  poi  con  febbre.  Terapia  con  doxiciclina.  

>Ă ĨĞďďƌĞ ĚĂ ĨĂƌŵĂĐŝ ƉƵſ ĞƐƐĞƌĞ ĚĞƚĞƌŵŝŶĂƚĂ ĚŝƌĞƚƚĂŵĞŶƚĞ ĚĂů ĨĂƌŵĂĐŽ͕ ƉĞƌ ƵŶ ĞĨĨĞƚƚŽ ƐƵůů͛ŝƉŽƚĂůĂŵŽ Ž ĐŽŶ
meccanismo  allergico.  È  intermittente  o  continua,  sono  presenti  brividi,  mialgia,  leucocitosi,  ipotensione,  cefalea,  rash,  
dispepsia   e   talvolta   eosinofilia.   Ipertermia  maligna  in   pazienti   con   anomalie   congenite   trattati   con   alcuni   anestetici;  
sindrome  neurolettica  maligna  come  effetto  collaterale  degli  inibitori  dopaminergici.    

La   febbre   simulata   è   intermittente,   incoerente   con   la   frequenza   cardiaca,   senza   variazioni   circadiane,   brividi   o  
sudorazione.  

Le   febbri   intermittenti   sono   un   sottogruppo  di   FUO   classica   caratterizzate   da   intervallo  libero   tra   due   accessi   febrili  
(diversamente  definito  dai  vari  Autori,  da  2  a  15  giorni  -­‐.-­‐).  I  pazienti  sono  piú  giovani,  la  durata  è  maggiore,  rimangono  
piú  spesso  senza  eziologia  nota  ma  la  prognosi  è  buona.  
Ipertermia  abituale:  ritmo  circadiano  esagerato.  

Epidemiologia   infezioni  
KǀǀŝĂŵĞŶƚĞů͛ĞƉŝĚĞŵŝŽůŽŐŝĂĚŝ 16%  
questo  tipo  di  febbri  riflette  le  
possibilità  diagnostiche  e   senza  diagnosi   neoplasie  
terapeutiche  (es.  riduzione  febbri   51%   7%  
NDD  causate  da  neoplasie  grazie  
a  TC,  RM,  PET.  

In  una  casistica  del  2007  (Bleeker-­‐


mm.  
Rovers  et  al.)  ů͛ĞnjŝŽůŽŐŝĂĨŝŶĂůĞĚŝ
Infiammatorie  
73  casi  di  FUO  è  stata  quella  in  
22%  
figura.  
varie  
  4%  
130  
 

Gestione  delle  forme  classiche  


^ŝ ƉĂƌƚĞ ĚĂ ƵŶĂ ƌŝƉĞƚŝnjŝŽŶĞ ĚĞůů͛ĂŶĂŵŶĞƐŝ ;ŝŵƉŽƌƚĂŶƚĞ il   paese   di   origine   del   paziente,   viaggi   recenti   e   remoti,  
contatto  con  animali  domestici)  ĞĚĂůů͛ĞƐĂŵĞŽďŝĞƚƚŝǀŽ͕ƋƵŝŶĚŝƐŝĞĨĨĞƚƚƵĂŶŽĂůĐƵŶŝĞƐĂŵŝĚŝůĂďŽƌĂƚŽƌŝŽ͗ĞŵŽĐƌŽŵŽ͕
VES   e   PCR,   esame   delle   urine,   funzionalità   epatica,   enzimi   muscolari,   microbiologia   (sifilide,   HIV,   CMV,   EBV,   TBC),  
immunologia   (FR,   ANA),   elettroforesi   proteica),   creatinina,   elettroliti,   Ca,   Fe   e   transferrina,   vitamina   B12,   esami  
colturali  (sangue,  urina,  espettorato,  altri  fluidi  se  appropriato).  
Se  questa  valutazione  fornisce  degli  indizi  potenzialmente  diagnostici  si  passa  a  esami  piú  diretti.  
In  caso  opposto  si  eseguono  TC  con  contrasto  torace,  addome  e  pelvi  e  colonscopia.  
Se  si  giunge  a  una  diagnosi  ƐŝĂǀǀŝĂƵŶĂƚĞƌĂƉŝĂƐƉĞĐŝĨŝĐĂ͖ĂůƚƌŝŵĞŶƚŝƐŝƉƵſŽƉƚĂƌĞƉĞƌƵŶ͛ĂƚƚĞƐĂǀŝŐŝůĞŽƉƉƵƌĞ͕ŝŶƵůƚŝŵĂ
linea  per  una  terapia  empirica,  o  colchicina  e  FANS  oppure  antimicrobica  e  antitubercolare.    

Altre  forme  
&hK ŶŽƐŽĐŽŵŝĂůĞ͘ >Ă ŵĂŐŐŝŽƌĂŶnjĂ ĚĞŝ ƉĂnjŝĞŶƚŝ ŚĂ ƵŶ͛ŝŶĨĞzione.   Si   parte   indagando   sulle   procedure   diagnostiche   e  
terapeutiche  e  sugli  interventi  chirurgici  subiti  dal  paziente.    
FUO  neutropenica.  Alta  frequenza  di  infezioni  fungine  e  batteriche.    
FUO  con  HIV.  Già  la  sola  infezione  da  HIV  puó  causare  la  febbre;  inoltre  ci  possono  essere  infezioni  (80%),  febbre  da  
farmaci  o  linfoma.  
   
131  
 

xxxii …–—•  

Ictus:  improvvisa  comparsa  di  segni  o  sintomi  riferibili  a  deficit  delle  funzioni  cerebrali,  di  durata  superiore  alle  24  ore  
o  a  esito  infausto,  non  attribuibile  ad  altra  causa  se  non  a  vasculopatia  cerebrale.  87%  ischemico,  13%  emorragico.  

Ictus  ischemico  
Epidemiologia  
/ŶĐŝĚĞŶnjĂĂŶŶƵĂŝƚĂůŝĂŶĂ͗ϭ͕ϴ͗ϭϬϬϬ͕ĂƵŵĞŶƚĂĐŽŶů͛Ğƚă;ϭϭ͗ϭϬϬϬŶĞŐůŝĂŶnjŝĂŶŝͿ͘WƌĞǀĂůĞŶnjĂŵĞĚŝĂϭ͕ϲй͘ Terza  causa  di  
morte  nei  pazienti  industrializzati  dopo  malattie  cardiovascolari  e  neoplasie.  

Fisiopatologia  
/ů ĨůƵƐƐŽ ĞŵĂƚŝĐŽ ĐĞƌĞďƌĂůĞ ŐĂƌĂŶƚŝƐĐĞ ů͛ĂƉƉŽƌƚŽ Ěŝ ŐůƵĐŽƐŝŽ Ğ ŽƐƐŝŐĞŶŽ ŶĞĐĞƐƐĂƌŝŽ Ăůů͛ĞŶĐĞĨĂůŽ͕ ĐŚĞ ŚĂ ƵŶ ĂůƚŽ
fabbisogno   energetico.   Esso   è   dotato   di   meccanismi   di   autoregolazione:   rimane   costante   al   variare   della   pressione  
arteriosa   sistemica,   entro   certi   limiti,   attraverso   la   vasocostrizione   e  la   vasodilatazione.   Quando   il   flusso   ematico   in  
ƵŶ͛ĂƌĞĂ ĐĞƌĞďƌĂůĞ Ɛŝ ƌŝĚƵĐĞ Ă ĐĂƵƐĂ Ěŝ ƵŶ͛ŽĐĐůƵƐŝŽŶĞ ǀĂƐĐŽůĂƌĞ Ɛŝ ĂǀƌĂŶŶŽ ƉƌŝŵĂ ĂůƚĞƌĂnjŝŽŶŝ ĨƵŶnjŝŽŶĂůŝ ŶĞƵƌŽŶĂůŝ,   poi  
alterazioni  elettriche  e  infine  morte  neuronale.  

Eziologia  
Classificazione  eziologica  di  Toast:  
x ateroƐĐůĞƌŽƐŝ;͞ŝ͘ĂƚĞƌŽtrombotico͟Ϳ  (50%)  
x cardioembolia(25%)  
x ostruzione  ĂƌƚĞƌŝĞƉĞŶĞƚƌĂŶƚŝ;͞ŝ͘ůĂĐƵŶĂƌĞ͟Ϳ(20%)  
x altro  (5%):  ipercoagulabilità,  vasculiti,  dissezioni,  droghe,  compressioni,  ipoperfusione  sistemica,  criptogenetici  
50%   25%   20%   5%   aterotrombotico
cardioembolico
0% 20% 40% 60% 80% 100% lacunare

Fattori   di   rischio   modificabili:   ipertensione   arteriosa,   diabete   mellito,   dislipidemia,   dieta   ricca   in   lipidi   e   sodio,  
tabagismo,   obesità,   alcolismo,   fibrillazione   atriale,   infarto   del   miocardio,   endocarditi   infettive,   altre   cardiopatie,  
stenosi   carotidea.   Importante   agire   su   questi   per   la   prevenzione   primaria.   Fattori   di   rischio   non   modificabili:   età  
avanzata,  sesso  maschile,  ereditarietà,  precedente  ictus  o  TIA.  

Clinica  
Le   manifestazioni   degli   ictus   ischemici   sono   molto   variegate   perché   dipendono   da   quale   arteria   è   stata   occlusa   e  
ƋƵŝŶĚŝ ĚĂ ƋƵĂůĞ ĨƵŶnjŝŽŶŝĐĞƌĞďƌĂůŝ ƐŽŶŽ ƐƚĂƚĞ ůĞƐĞ ĚĂůů͛ŝƐĐŚĞŵŝĂ͘ dƵƚƚŝ ŐůŝŝĐƚƵƐ ŚĂŶŶŽ ŝŶĐŽŵƵŶĞů͛ĞƐŽƌĚŝŽ ĂĐƵƚŽĞ ůĂ
progressione  rapida  della  sintomatologia.  
Circolo  arterioso  cerebrale  
Due   circoli   si   uniscono   nel   circolo   di   Willis:  
anteriore   dalle   carotidi   interne,   posteriore  
dalla  basilare  (dalle  vertebrali).  
™ carotide  interna  
¾ oftalmica  
¾ cerebrale  anteriore  
¾ cerebrale  media  
¾ corioidea  anteriore  
™ basilare  
¾ cerebrale  posteriore  
132  
 
77
Sproloquio   del  libro   napoletano   (mentre   nel   resto   del  mondo   sono   piú   pratici ):   le   sindromi   neurovascolari   sono   i  
quadri   clinici   secondari   a   ischemia   di   territori   perfusi   dai   grossi   rami   cerebrali   e   si   associa   alle   eziologia  
aterotrombotica  e  cardioembolica;  le  sindromi  lacunari  sono  i  quadri  secondari  a  ischemia  dei  piccoli  vasi  penetranti.  

x sindrome  della  carotide  interna  


o asintomatica  per  la  redistribuzione  del  flusso  ematico  attraverso  la  carotide  interna  controlaterale  
o sindrome  oculo-­‐piramidale:  amaurosi  fugace  omolaterale  e  emiplegia  controlaterale  
x sindrome  della  cerebrale  anteriore  
o ƉĂƌĞƐŝĞŝƉŽĞƐƚĞƐŝĂĚĞůů͛ĂƌƚŽŝŶĨĞƌŝŽƌĞĐŽŶƚƌŽůĂƚĞƌĂůĞ,  incontinenza  urinaria  (lobulo  paracentrale)  
o disturbi  comportamentali,  riflessi  di  prensione  e  suzione,  aprassia  della  marcia  (lobo  frontale)  
o sindrome  da  disconnessione  anteriore  (agrafia,  anomia  tattile,  aprassia)  alla  mano  sx  (corpo  calloso)  
o afasia  transcorticale  motoria  (se  emisfero  sx)  
o alterazioni  delle  funzioni  neurovegetative  e  dei  ritmi  circadiani  (ipotalamo)  
x sindrome  della  cerebrale  media  
o paresi  e  ipostenia  di  emivolto  e  arto  superiore  controlaterali  
o il  paziente  guarda  il  focolaio  
o afasia  (se  emisfero  sx)  
o eminattenzione   spaziale,   anosognosia,   emisomatoagnosia,   aprassia   costruttiva,   apraƐƐŝĂ ĚĞůů͛ĂďďŝŐůŝĂŵĞŶƚŽ
(se  emisfero  dx)  
o disturbi  della  visione  controlaterali  
x sindrome  della  vertebrale  
o asintomatica  
o sindrome   bulbare   alterna,   soprattutto   Wallenberg:   vertigini,   nausea   e   vomito,   atassia,   Bernard-­‐Horner,  
ipoalgesia  facciale  omolaterale,  disfagia  e  disartria,  ipoalgesia  somatica  controlaterale.  
x sindrome  della  basilare  
o sindrome   pontina   alterna   mediale:   sintomi   cerebellari,   oftalmoplegia,   diplopia,   paresi   e   ipoestesia  
controlaterale  
o sindrome  pontina  alterna  laterale:  sintomi  cerebrellari,  ƉĂƌĞƐŝĞŝƉŽĞƐƚĞƐŝĂĚĞůů͛ĞŵŝǀŽůƚŽŝƉƐŝůĂƚĞƌĂůĞ͕ĚŝƐƚƵƌďŝ
uditivi  e  vestibolari,  Bernard-­‐Horner.  
o sindrome  del  chiavistello  
x sindrome  della  cerebrale  posteriore  
o disturbi  visivi:  emianopsia  omonima  controlaterale  con  risparmio  maculare  
o agnosia  visiva,  allucinazioni,  prosopoagnosia  
o eminattenzione  sx  (se  emisfero  dx)  
o s.  di  Balint  (lesioni  bilaterali):  simultagnosia,  aprassia  dello  sguardo,  atassia  ottica  
o s.   di   Roussy-­‐Dejerine   (lesione   talamica):   controlateralmente   emianestesia   completa,   dolore   talamico,  
emiparesi,  coreo-­‐atetosi  o  ballismo  
o s.  ĚŝtĞďĞƌ;ŵĞƐĞŶĐĞĨĂůŝĐĂͿ͗ƉĂƌĂůŝƐŝŝƉƐŝůĂƚĞƌĂůĞĚĞůů͛ŽĐƵůŽŵŽƚŽƌĞĐŽŵƵŶĞĞĚĞŵŝƉůĞŐŝĂĐŽŶƚƌŽůĂƚĞƌĂůĞ  
o s.   di   Parinaud   (mesencefalica):   paralisi   dello   sguardo   verticale,   possibili   ipoacusia   ed   emianopsia   laterale  
omonima  
x sindromi  lacunari  
o ictus  motorio  puro  
o ictus  sensitivo  puro  
o ictus  sensitivo-­‐motorio  
o emiparesi  atassica  
o sindrome  della  mano  goffa  e  disartria  

                                                                                                                         
77
 Classificazione  di  Bamford:  anteriori  totali  (tutti  e  tre:  deficit  funzioni  superiori,  visivo  omonimo,  motorio/sensoriale  
ipsilaterale),   anteriori   parziali   (due  dei   precedenti,   oppure  deficit   funzioni   superiori,   oppure  monoparesi),   posteriori  
(emianopsia  omonima,  paralisi  nervo  cranico  ipsilaterale  con  deficit  motorio  controlaterale,  disfunzione  cerebellare,  
deficit  dei  movimenti  coniugati  oculari,  deficit  bilaterale),  lacunari  (una  delle  forme  descritte  sopra).  
133  
 

Complicanze  
x neurologiche  
o edema  cerebrale:  dopo  circa  4  giorni,  per  alterato  trasporto  ionico  (citotossico,  piú  precoce)  o  per  danno  alla  
barriera  emato-­‐encefalica  (vasogenico,  piú  tardivo).  Provoca  aumento  della  pressione  endocranica  e  rischio  di  
erniazione.    
o trasformazione  emorragica:  in  un  caso  su  tre,  piú  comunemente  per  eziologia  cardioembolica  o  per  fibrinolisi.  
o epilessia  vascolare:  crisi  epilettiche  precoci  nelle  prime  due  settimane,  buona  prognosi;  crisi  tardive  oltre  le  
due  settimane,  nella  metà  dei  casi  esitano  in  epilessia.  
o delirio  
x non   neurologiche:   ipertensione   arteriosa,   ostruzione   delle   vie   aeree,   ipoventilazione,   cardiologiche,   trombosi  
delle  vene  profonde  ed  embolia  polmonare,  ulcere  da  decubito,  febbre  e  infezioni  

Diagnosi  
Si  sospetta  un  ictus  quando  si  hanno  manifestazioni  neurologiche  focali  a  esordio  improvviso  e  a  progressione  rapida.  
>ĂǀĂůƵƚĂnjŝŽŶĞĚĞǀĞĞƐƐĞƌĞƌĂƉŝĚĂ͕ƉĞƌƐĞůĞnjŝŽŶĂƌĞů͛ĂƉƉƌŽĐĐŝŽƚĞƌĂƉĞƵƚŝĐŽĂĚĞŐƵĂƚŽ͘  

1) Scala   di   Cincinnati:   asimmetria   del   volto,   slivellamento   arti,   disturbo   del  linguaggio;   se   uno   dei   tre   è   positivo   si  
ricovera  il  paziente  (72%  probabilità  ictus).  
2) Scala  NIHSS  a  11  item  per  valutare  rapidamente  la  gravità  del  deficit  neurologico,  0-­‐42  punti:  coscienza,  data  di  
nascita,   comandi   motori,   movimenti   oculari,   campi   visivi,   paralisi   facciale,   movimento   degli   arti   superiori,  
movimento  degli  arti  inferiori,  atassia  degli  arti,  sensorio,  linguaggio,  disartria,  deficit/inattenzione.    
3) Anamnesi   (a   paziente   o   testimone)   ed   esame   neurologico   mirato;   essenziale   per   valutare   la   presenza   di  
controindicazioni  alla  fibrinolisi  (es,  importante  definire  il  momento  di  insorgenza  del  quadro  clinico;  se  è  stato  al  
ƌŝƐǀĞŐůŝŽƐŝĂƐƐƵŵĞĐŚĞů͛ŝŶƐŽƌŐĞŶnjĂƐŝĂƐƚĂƚĂĂůů͛addormentamento).  
4) TC   cranio:   consente   di  escludere   ů͛ŝĐƚƵƐ ĞŵŽƌƌĂŐŝĐŽ   ;ŶŽŶĐ͛ğ ŝƉĞƌĚĞŶƐŝƚăͿ Ğ ƋƵŝŶĚŝĚŝ ĂǀǀŝĂƌĞ ŝů ƉƌŽƚŽĐŽůůŽ ƉĞƌ ůĂ
fibrinolisi.  Nelle  prime  6  ore  appare  generalmente  normale!  Si  manifesterà  ƉŽŝĐŽŶŝƉŽĚĞŶƐŝƚăĚĞůů͛ĂƌĞĂĐŽůƉŝƚĂ͘  
5) Varie  
a) EL:   emocromo,   elettroliti,   glicemia,   funzionalità   epatica   e   renale,   profilo   coagulativo.   Consente   di   fare  
diagnosi   differenziale   (ipopotassiemia,   iperglicemia   e   ipoglicemia),   di   individuare   controindicazioni   alla  
fibrinolisi,  di  identificare  fattori  prognostici  negativi  (insufficienza  epatica  o  renale,  leucocitosi,  anemia)  
b) ECG͗ĐŽŶƐĞŶƚĞĚŝŝĚĞŶƚŝĨŝĐĂƌĞƵŶ͛eziologia  cardioembolica  
c) Rx  torace  
d) due  accessi  venosi  
Cose  che  solo  il  libro  napoletano  considera  delle  priorità,  seppure  in  secondo  livello:  RM  cranio,,  ecocardio  (consente  
Ěŝ ŝĚĞŶƚŝĨŝĐĂƌĞ ƵŶ͛ĞnjŝŽůŽŐŝĂ ĐĂƌĚŝŽĞŵďŽůŝĐĂ),   ecografia   dei   tronchi   sovraortici   (ĐŽŶƐĞŶƚĞ Ěŝ ŝĚĞŶƚŝĨŝĐĂƌĞ ƵŶ͛ĞnjŝŽůŽŐŝĂ
aterotrombotica  o  ipoperfusiva),  ecografia  transcranica,  angiografia  cerebrale.  

Terapia  
x terapia  fibrinolitica  con  rt-­‐PA  0,9  mg/kg  ev  ƐĞŶŽŶĐŝƐŽŶŽĐŽŶƚƌŽŝŶĚŝĐĂnjŝŽŶŝĞƐŝğĞŶƚƌŽϯŽƌĞĚĂůů͛ĞƐŽƌĚŝŽ  (in  
alcuni  casi  entro  4  ore  e  mezza).  
o Controindicazioni   assolute:   ictus   o   trauma   cranico   <3   mesi,   emorragia   cerebrale   pregressa,   K   o  
malformazione  o  aneurisma  cerebrale,  chirurgia  intracranica  o  spinale  recente;  sintomi  di  emorragia  
subaracnoidea,   PAs   >185   o   PAd   >110   persistente,   ipoglicemia,   emorragia   interna   attiva,   diatesi  
emorragica  acuta,  piastrinopenia,  anticoagulanti  con  INR  >1,7,  eparina  <48  h,  inibitore  diretto  della  
ƚƌŽŵďŝŶĂŽĚĞůĨy͖ĂůůĂdĞŵŽƌƌĂŐŝĂŽŝƐĐŚĞŵŝĂĚŝƉŝƷĚŝƵŶƚĞƌnjŽĚĞůů͛ĞŶĐĞĨĂůŽ͘  
o Occorre   sorvegliare   il   paziente:   cefalea,   picco   pressorio,   peggioramento   del   quadro   neurologico,  
ĐŽŵƉĂƌƐĂĚŝŶĂƵƐĞĂĞǀŽŵŝƚŽ͕ƌŝĚƵnjŝŽŶĞĚĞůůŽƐƚĂƚŽĚŝĐŽƐĐŝĞŶnjĂĚĞǀŽŶŽĨĂƌƐŽƐƉĞƚƚĂƌĞů͛ĞŵŽƌƌĂŐŝĂ
ŝŶƚƌĂĐƌĂŶŝĐĂ͕ ƉƌŝŶĐŝƉĂůĞ ĐŽŵƉůŝĐĂŶnjĂ͗ Ɛŝ ĨĞƌŵĂ ů͛ŝŶĨƵƐŝŽŶĞ ĚĞů ĨĂƌŵĂĐŽ Ğ Ɛŝ ĞĨĨĞƚƚƵĂ ƵŶĂ d ĐƌĂŶŝŽ
Ě͛ƵƌŐĞŶnjĂ͘78  

                                                                                                                         
78
 secondo  il  libro  napoletano  per  le  forme  cardioemboliche  non  si  deve  fare  trombolisi:  solo  anticoagulanti.  
134  
 

x se  la  fibrinolisi  è  controindicata  


o AAS  300  mg  
o simvastatina  40  mg  
o eparina  non  frazionata  5000  U  
Provvedimenti  generali:  
x alimentazione  per  via  orale  altrimenti  tramite  sondino  nasogastrico  o  in  casi  selezionati  parenterale  
x neuro-­‐protezione  
o eventualmente  ventilazione  meccanica  e  ossigenoterapia  
o mantenimento  della  glicemia  <180  mg/dL  
o terapia  anti-­‐ŝƉĞƌƚĞŶƐŝǀĂƐŽůŽƐĞWхϮϮϬͬϭϮϬ͕ĐŽŶɴ-­‐bloccanti  o  in  alternativa  nicardipina  o  enalapril  
o paracetamolo  se  febbre  
x prevenzione  delle  piaghe  da  decubito  e  della  trombosi  venosa  profonda  

La   riabilitazione  è   molto   importante   e   va  iniziata   al   termine   della   stabilizzazione   clinica;   consiste   nella   riabilitazione  
motoria  e  neuropsicologica.  

Prognosi  
Secondo  la  classificazione  di  Bamford:   In  base  alla  scala  NIHSS:  
  mortalità   0-­‐7   45%  recupero  in  2  giorni  
  a  1  mese   a  1  anno   8-­‐15   2,5%  recupero  in  2  giorni  
anteriore  totale   40%   60%   16-­‐42   sequele  gravi  o  morte  
anteriore  parziale   4%   16%    
posteriore   7%   19%    
lacunare   2%   11%  
 

Prevenzione  secondaria  
Per  tutti  i  casi  a  eziologia  non  cardioembolica:  

x AAS  75-­‐325  mg/die  


x clopidogrel  ƐĞĐ͛ğŝŶƚŽůůĞƌĂŶnjĂŽŝŶĞĨĨŝĐĂĐŝĂĚĞůů͛^  
Per  i  casi  a  eziologia  cardioembolica:  

x antibiotici  in  caso  di  endocardite  batterica  


x sostituzione  valvolare  
x warfarin  o  eparina  (se  controindicati,  AAS)  

Follow-­‐up  
x valutazione  evoluzione  dei  sintomi  
x rivalutazione  NIHSS  
x valutazione  della  concordanza  alla  terapia  farmacologica  e  riabilitativa  
x controllo  INR  e  regolazione  warfarin  
x valutazione  della  disabilità  con  indice  Rankin  (0  assenza  di  sintomi,  3  non  autosufficiente  ma  cammina  da  solo,   6  
morte)  
   

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