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3 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Indice dei Capitoli e degli Atlanti

Sezione I. Approccio al paziente con Malattia Cardiovascolare


Capitolo 1. I Sintomi delle Malattie Cardiovascolari, Mario Mariani
Capitolo 2. I Segni delle Malattie Cardiovascolari, Mario Mariani

Sezione II. Le indagini strumentali


Sbob. .L’Elettrocardiogramma
Capitolo 4. L’Ecocardiogramma, Maria Penco, Eleonora De Luca, Simona Fratini, Sergio Severino, Pio Caso, Raffaele Calabrò

Sezione III. Malattie delle Valvole Cardiache


Capitolo 13. Malattia Reumatica, Luigi Meloni, Massimo Ruscazio
Capitolo 14. Stenosi Mitralica, Giuseppe Oreto, Francesco Saporito
Capitolo 15. Insufficienza Mitralica, Paolo Marino
Capitolo 16. Stenosi Aortica, Francesco Pizzuto, Francesco Romeo
Capitolo 17. Insufficienza Aortica, Corrado Vassanelli
Capitolo 18. Malattie della Tricuspide e della Polmonare, Ketty Savino, Sandra D'Addario, Elisabetta Bordoni, Giuseppe Ambrosio

Sezione IV. Scompenso Cardiaco


Capitolo 19. Fisiopatologia dello Scompenso Cardiaco, Livio Dei Cas, Marco Metra, Savina Nodari, Tania Bordonali
Capitolo 20. Quadri Clinici dello Scompenso Cardiaco Acuto, Francesco Fedele
Capitolo 21. Quadri Clinici dello Scompenso Cardiaco Cronico, Batman, Mazzinga, Godzilla

Sezione V. Shock cardiogeno


Capitolo 22. Lo Shock Cardiogeno, Gian Paolo Trevi, Serena Bergerone, Claudio Chirio, Davide Castagno

Sezione VI. Cardiopatia Ischemica


Capitolo 23. Fisiopatologia dell’Ischemia Miocardica, Filippo Crea, Gaetano A. Lanza
Capitolo 24. Sindromi Coronariche Croniche, Mario Marzilli
Capitolo 25. Sindromi Coronariche Acute, Raffaele Bugiardini, Carmine Pizzi, Marco Ciccone
Capitolo 26. Diagnostica Strumentale, Carmen Spaccarotella, Ciro Indolfi

Sezione VII. Cardiomiopatie


Capitolo 27. Definizione e Classificazione, Gianfranco Sinagra, Gastone Sabbadini, Fulvio Camerini
Capitolo 28. Cardiomiopatia Ipertrofica, Sandro Betocchi, Maria Angela Losi, Massimo Chiariello
Capitolo 29. Cardiomiopatia Dilatativa, Gianfranco Sinagra, Gastone Sabbadini, Andrea Di Lenarda
Capitolo 30. Cardiomiopatia Restrittiva, Gianfranco Sinagra, Gastone Sabbadini, Rossana Bussani, Andrea Perkan
Capitolo 31. Cardiomiopatia/Displasia Aritmogena del Ventricolo Destro, Luciano Daliento, Barbara Bauce, Cristina Basso, Alessandra

Sezione VIII. Pericarditi, Miocarditi, Endocarditi


Capitolo 32. Pericarditi, Antonio Barsotti, Gian Marco Rosa
Capitolo 33. Miocarditi, Antonello Ganau, Pier Sergio Saba
Capitolo 34. Endocardite Infettiva, Sergio Dalla Volta

Sezione IX. Tumori del Cuore


Capitolo 35. I Tumori del Cuore, Gaetano Thiene, Cristina Basso, Marialuisa Valente
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Sezione XII. Ipertensione arteriosa


Capitolo 45. L’ipertensione Arteriosa, Massimo Volpe, Sebastiano Sciarretta

Sezione XIII. Arteriosclerosi


Capitolo 46. L’Aterosclerosi, Paolo Golino
Capitolo 47. La Valutazione del Rischio Coronarico, Salvatore Novo, Gisella Rita Amoroso, Giuseppina Novo

Sezione XIV. Cuore Polmonare ed Embolia Polmonare


Capitolo 49. Il Cuore Polmonare Cronico, Cesare Fiorentini, Piergiuseppe Agostoni, Elisabetta Doria
Capitolo 50. L’Embolia Polmonare, Giuseppe Mercuro, Francesco Peliccia
Capitolo 51. L’Ipertensione Polmonare Primitiva, Carmine Dario Vizza, Roberto Badagliacca, Roberto Poscia, Francesco Fedele
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Capitolo 1
I SINTOMI DELLE MALATTIE CARDIOVASCOLARI
Mario Mariani

DEFINIZIONE

Le Malattie dell’Apparato Cardiovascolare rappresentano ormai da molti anni la prima causa di morbilità e
mortalità nel mondo industrializzato. Nei Paesi dell’Est europeo tale patologia è in continuo aumento con il
miglioramento del tenore di vita, mentre in altri Paesi, come nel Centro Africa, a causa del dilagare delle
patologie infettive e di una elevatissima mortalità in età giovanile, le malattie cardiovascolari non rivestono,
per incidenza, l’importanza raggiunta in Europa, negli USA e nei Paesi più industrializzati dell’Est Asiatico,
come il Giappone.
Più elevata è la vita media di un Paese, maggiore è il rischio di sviluppo delle malattie cardiovascolari.
Prima di trattare i Sintomi delle malattie cardiovascolari è necessario sottolineare l’importanza
determinante dell’anamnesi, che già di per sé può indirizzare verso un approfondimento “mirato”
dell’esame clinico, al fine di giungere ad una precisa diagnosi.

I sintomi più significativi imputabili ad una patologia dell’Apparato Cardiovascolare sono:

1) La Dispnea
2) L’Astenia
3) Il Dolore toracico
4) Il Cardiopalmo
5) La Nicturia

LA DISPNEA

Dalla lingua greca (dus= cattivo e pneuma=respiro) è l’espressione di una difficoltà respiratoria che può
insorgere durante uno sforzo fisico (dispnea da sforzo) o addirittura comparire a riposo. Le sue
manifestazioni più gravi sono l’ortopnea, la dispnea parossistica notturna e l’edema polmonare acuto
(vedi più avanti).
Quando non imputabile a cause respiratorie, la dispnea indica il coinvolgimento del circolo polmonare da
parte di una patologia del cuore sinistro: l’aumento della pressione in atrio sinistro o della pressione
diastolica del ventricolo sinistro provoca inevitabilmente un aumento della pressione nei capillari
polmonari e nel circolo polmonare a monte degli stessi. Una pressione idrostatica eccessiva nei capillari
provoca trasudazione di liquido, dapprima nell’interstizio polmonare (edema interstiziale) e quindi negli
alveoli (edema alveolare).

La Dispnea può insorgere e manifestarsi sia in forma acuta che cronica; la dispnea cardiaca è uno dei
sintomi più significativi insieme all’astenia, al dolore anginoso e alle palpitazioni, utilizzati per la
valutazione clinica di gravità di uno scompenso.
Questi sintomi sono alla base della classificazione proposta dalla New York Heart Association (N.Y.H.A.),
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Essa è così strutturata:


Classe I: il paziente con patologia cardiaca non ha alcuna limitazione della propria attività fisica. La dispnea
insorge solo per sforzi eccessivi (fisiologica)
Classe II: il paziente con patologia cardiaca accusa dispnea per sforzi di intensità moderata.
Classe III: il paziente con patologia cardiaca accusa dispnea per sforzi di intensità lieve.
Classe IV: il paziente con patologia cardiaca è incapace di effettuare qualsiasi attività fisica, la dispnea
insorge a riposo, anche nello svestirsi.

La forma più grave di dispnea che possa presentarsi nel cardiopatico è l’edema polmonare acuto, che si
realizza quando la pressione all’interno dei capillari polmonari supera il valore della pressione colloido-
osmotica. Nel capillare, infatti, agiscono due forze contrapposte: la pressione idrostatica, che tende a far
fuoriuscire il liquido dal vaso, e quella oncotica, esercitata dalla proteine non diffusibili, che tende a
trattenere il liquido all’interno; il valore di quest’ultima è 25-30 mm Hg. Se la pressione idrostatica nei
capillari polmonari supera tale valore, si verifica una ultrafiltrazione di plasma, associata, per rotture
microvascolari, ad alcuni globuli rossi. Fuoriuscendo dai vasi, il liquido si riversa dapprima nell’interstizio
(edema interstiziale), da dove il sistema linfatico cerca di rimuoverlo; successivamente, quando la capacità
di drenaggio del sistema linfatico viene superata, il fluido invade gli alveoli polmonari (edema alveolare) e
mescolandosi all’aria forma una schiuma, talora rosata, che invade le vie aeree ed interferisce gravemente
con l’efficienza degli scambi gassosi, tanto da poter portare a morte. All’ascoltazione del torace, in questa
situazione drammatica, quando dalla fase interstiziale si passa a quella alveolare, si assiste alla comparsa di
rantoli prima a piccole poi a grosse bolle, che iniziano dalle basi polmonari e giungono rapidamente a
coprire l’intero distretto respiratorio. Il soggetto è in posizione eretta e mette in funzione tutti i muscoli
respiratori accessori nella disperata ricerca di riuscire ad effettuare atti respiratori utili.

L’ASTENIA

E’ l’espressione di una ridotta portata cardiaca e si manifesta con la difficoltà a compiere le usuali attività
motorie (adinamia) o addirittura con un grave senso di spossatezza ancor prima di iniziare una qualunque
attività fisica.

IL DOLORE TORACICO

Il dolore ischemico presenta caratteristiche peculiari che vanno


dalla modalità di insorgenza, al tipo di dolore, alla sede dello stesso, alla sua irradiazione. E’ questo il
sintomo più importante nell’angina ed in genere delle sindromi coronariche acute, compreso l’infarto
miocardico.
Nei quadri clinici riferibili ad angina pectoris, la presenza di dolore è “condicio sine qua non” per definire il
quadro clinico. Nell’angina da sforzo stabile il dolore insorge durante uno sforzo fisico, è di tipo costrittivo
od oppressivo e nel 75% dei casi è localizzato alla regione retrosternale bassa, con varie possibili
irradiazioni, delle quali abbastanza comune è quella al lato ulnare del braccio sinistro, e in misura minore, al
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giugulo. Più raramente vengono interessati l’emitorace di destra e il braccio destro o l’epigastrio. Il dolore
cessa di solito poco dopo la cessazione dello sforzo e recede rapidamente con l’assunzione di nitroderivati.
Nell’infarto miocardico acuto, il dolore con le caratteristiche sopra descritte persiste in genere ben oltre i
pochi minuti e può durare addirittura diverse ore.
Il dolore toracico non è soltanto indicativo di ischemia miocardica (angina pectoris, sindromi coronariche
acute) ma può essere indicativo di numerose altre patologie cardiovascolari quali la pericardite, la
dissezione aortica, l’ipertensione polmonare, l’embolia polmonare, e può anche dipendere da patologie di
altri organi e sistemi, come lesioni esofagee o pleuriche oppure interessamento (compressivo, infiltrativo o
flogistico) di nervi intercostali.

LE PALPITAZIONI O CARDIOPALMO

La percezione del proprio battito cardiaco è già un sintomo. La normale azione del cuore, infatti, decorre in
maniera del tutto asintomatica, sia di giorno che di notte, per tutta la vita. Esistono due tipi fondamentali di
cardiopalmo: quello tachicardico, in cui il soggetto riferisce un’azione cardiaca rapida e continua, e quello
extrasistolico, caratterizzato dall’avvertire improvvisamente un “tonfo” o “tuffo” oppure la “sensazione del
cuore che si ferma” (vedi Capitolo 33). Anche se in condizioni di impegno fisico od emozionale è frequente
sentire il proprio battito cardiaco, non vi è dubbio che la perdita di ritmicità è un fenomeno che
difficilmente sfugge. Talora tale sintomo viene vissuto in maniera allarmante più del dovuto, come nel caso
di extrasistolia isolata o sporadica.
L’aritmia percepita, responsabile del cardiopalmo, può essere di scarso rilievo clinico, o al contrario
estremamente importante. E’ pur vero che le aritmie più gravi, quali la fibrillazione ventricolare o l’asistolia,
possono portare a morte senza alcun sintomo premonitore, ma è innegabile che talora “salve di
extrasistoli” o brevi episodi di tachicardia, e dall’altra parte episodi parossistici di blocco A-V con transitoria
asistolia, possono risultare sintomatici e quindi diagnosticabili in tempo per essere trattati con pacemaker o
defibrillatore, evitando eventi gravi o fatali.

LA SINCOPE

Può essere definita


come: “Perdita improvvisa e transitoria della coscienza e del tono posturale, dovuta ad una grave ipossia o
ad una anossia cerebrale acuta”. Talora può essere accompagnata da perdita di urine e/o di feci. Un tempo
si distingueva la lipotimia come perdita momentanea del tono posturale e talora anche dello stato di
coscienza, preceduta in genere da prodromi descritti come “senso di mancamento, nausea, appannamento
della vista, sudorazione, pallore”. Oggi si preferisce parlare di sincope e di presincope. La sincope può
riscontrarsi in varie situazioni di patologia cardiaca (vedi Capitolo 41).

LA NICTURIA

E’ uno dei sintomi che accompagna l’insufficienza cardiaca, e consiste in una riduzione della diuresi durante
il giorno con aumento della diuresi stessa durante la notte. Il fenomeno può essere dovuto al
riassorbimento notturno degli edemi soprattutto declivi, che possono realizzarsi durante la stazione eretta
nel paziente con scompenso cardiaco congestizio, o anche perché durante il riposo notturno il fabbisogno di
sangue da parte dei muscoli è minimo, per cui una parte relativamente elevata della portata cardiaca può
giungere al rene, il quale aumenta la produzione di urina.
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Capitolo 2
I SEGNI DELLE MALATTIE CARDIOVASCOLARI
Mario Mariani

CONCETTI GENERALI

I principali segni presenti nei pazienti affetti da patologie cardiovascolari sono rilevabili con un accurato
esame obiettivo: Ispezione, Palpazione, Percussione, Ascoltazione.
Tra queste, la Percussione ha perso del tutto la sua utilità, nel campo della Semeiotica Cardiovascolare,
grazie ai progressi tecnologici che hanno reso molto più precisa la determinazione delle dimensioni
cardiache. Gli altri tre capisaldi semeiologici (Ispezione, Palpazione ed Ascoltazione, soprattutto
quest’ultima) conservano la loro validità e servono ad indirizzare, verso l’uso corretto delle tecniche
diagnostiche strumentali.
I segni di una cardiopatia si possono riscontrare all’esame obiettivo dell’apparato cardiovascolare
mediante le seguenti manovre:

1) L’osservazione del volto e delle estremità per rilevare la presenza di cianosi.


2) L’osservazione del polso venoso giugulare.
3) L’ispezione delle arterie e la palpazione del polso arterioso.
4) L’ispezione e la palpazione della zona precordiale.
5) La palpazione dell’addome per ricercare l’eventuale presenza di epatomegalia o di pulsazioni abnormi.
6) La ricerca di eventuali edemi declivi.
7) L’ascoltazione del cuore, volta ad evidenziare anomalie dei toni e/o la comparsa di soffi o sfregamenti.

CIANOSI

Si definisce cianosi il colorito bluastro assunto dalla pelle e dalle mucose visibili quando il contenuto di
emoglobina ridotta nel sangue capillare supera i 5 gr/dl.
La cianosi può essere centrale o periferica. La cianosi centrale è per lo più dovuta alla presenza di uno
shunt destro-sinistro o a gravi difetti dell'ossigenazione del sangue.
La cianosi periferica si realizza o a seguito di vasocostrizione locale con con conseguente maggiorata
desaturazione locale, ma può anche essere diffusa in caso di stasi circolatoria. La cianosi periferica può
evidenziarsi, fra l’altro, in presenza di una ridotta portata cardiaca con aumento delle resistenze
periferiche.

OSSERVAZIONE DEL POLSO VENOSO

Il polso venoso meglio valutabile è quello giugulare con il paziente in posizione seduta, reclinato a 45°
Il polso venoso normale presenta tre onde positive e due depressioni. Le onde positive sono denominate
onde a, c e v, mentre le depressioni sono denominate x e y. Un’attenta osservazione del polso venoso
giugulare, può fornire precise indicazioni circa la funzione delle camere destre del cuore.
Un’evidente accentuazione dell’onda a è espressione di un aumento della pressione in atrio destro
(Stenosi tricuspidale, Anomalia di Ebstein ecc..) o della pressione diastolica ventricolare destra,
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come si verifica nella Miocardiopatia restrittiva (vedi Capitolo 30), o nella Pericardite costrittiva, (vedi
Capitolo 32). Un’accentuazione dell’onda v è talora espressione di una insufficienza tricuspidale.

ISPEZIONE DELLE ARTERIE E PALPAZIONE DEL POLSO ARTERIOSO

Con l’ispezione si possono evidenziare pulsatilità arteriose anormali (come per esempio l’eccessiva
pulsazione delle carotidi, osservabile al collo in presenza di insufficienza aortica o di altre situazioni di
circolo ipercinetico). Con l’ascoltazione possono evidenziarsi soffi vascolari. Con la palpazione del polso
arterioso si valuta:
a) la frequenza: numero delle sistoli in un minuto
b) il ritmo: regolarità o irregolarità delle pulsazioni
c) l’ampiezza: entità del sollevarsi della parete arteriosa sotto il dito che palpa, carattere che è
direttamente correlato alla gittata sistolica
d) la tensione: entità della forza che devono esercitare le dita che palpano per sopprimere la pulsazione,
espressione anche del livello pressorio
e) la simmetria: uguale ampiezza dei polsi corrispondenti, palpati simultaneamente dai due lati
dell’organismo (per esempio, i due polsi radiali, i due polsi femorali, etc).
Le variazioni dei caratteri sopradescritti del polso arterioso, possono risultare indicativi di particolari
situazioni morbose. Ecco alcuni esempi.
A – Un polso di ridotta ampiezza (piccolo) e con picco ritardato (tardo) si riscontra nella stenosi aortica
(vedi Capitolo 16).
B – Un polso ampio e celere (con picco precoce) detto anche polso scoccante di Corrigan è presente
nell’insufficienza aortica (vedi Capitolo 17) o negli stati circolatori ipercinetici.
C- Un polso filiforme (frequenza notevolmente aumentata, tensione e ampiezza nettamente ridotte) è
tipico dello shock (vedi Capitolo 22).
D – Il polso paradosso è l’esagerazione patologica di una riduzione della pressione durante una inspirazione
profonda. Tale riduzione è presente anche in condizioni fisiologiche, ma non supera di solito i 10 mm di
mercurio, mentre in presenza di pericardite costrittiva o in situazioni nelle quali esiste una grave riduzione
del riempimento ventricolare, si può avere una caduta di oltre 20-30 mm di mercurio. Un'aumentata
pressione negativa intratoracica, che in fase inspiratoria si accentua ulteriormente causa un aumento del
ritorno venoso alle sezioni destre del cuore: ne consegue una maggiore pressione di riempimento
telediastolica del ventricolo destro, con conseguente spostamento del setto interventricolare verso sinistra;
tale spostamento determina un ostacolo all'efflusso di sangue dal ventricolo sinistro in aorta, determinando
così una "decapitazione" della pressione sistolica.

ISPEZIONE E PALPAZIONE DELLA ZONA PRECORDIALE

L’ispezione e la palpazione possono consentire di localizzare l’itto della punta del cuore, cioè la sede della
massima pulsazione visibile o palpabile, che normalmente si trova al IV spazio intercostale sinistro circa 1
centimetro all’interno della linea emiclaveare. In condizioni patologiche, l’itto della punta può essere
dislocato anche in sedi molto diverse dal normale: nell’insufficienza aortica grave, per esempio, può essere
spostato in basso e a sinistra fino al VI spazio intercostale sulla linea ascellare anteriore o anche media.
Possono essere apprezzabili alla palpazione della zona precordiale fremiti, i quali costituiscono il
corrispettivo palpatorio dei soffi particolarmente intensi (4/6 o più della scala Levine, vedi più avanti) o (più
di rado) degli sfregamenti pericardici in corso di pericardite.

PALPAZIONE DELL’ADDOME PER RICERCARE L’EVENTUALE PRESENZA DI EPATOMEGALIA O DI PULSAZIONI


ABNORMI
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Epatomegalia è presente nelle forme di scompenso che coinvolgono il cuore destro primitivamente o
secondariamente a difetti del cuore sinistro (per esempio valvulopatie mitraliche e/o aortiche). In genere
l’organo palpato risulta dolente e può sporgere di oltre tre dita dall’arcata costale. Alla palpazione
dell'addome si possono apprezzare pulsazioni abnormi riferibili alla presenza di aneurismi dell'Aorta
addominale.

EDEMI DECLIVI

Si sviluppano inizialmente nelle parti molli degli arti inferiori (piedi, zone pretibiali, etc.) nei soggetti che
rimangono per ore in stazione eretta o seduta. Nei pazienti costretti a letto gli edemi sono più evidenti
nella regione pre-sacrale. Quando si ha un imponente stato anasarcatico, gli edemi sono diffusi e si
accompagnano anche a versamenti nelle grandi sierose (versamento pleurico, ascite, etc.).

ASCOLTAZIONE DEL CUORE

L’ascoltazione rappresenta la manovra più importante dell’esame obiettivo del cuore, ed è basata
sull’analisi dei toni e sul riconoscimento di eventuali soffi.

I Toni
I toni cardiaci normali sono il I e il II; il III tono può essere ascoltato in assenza di patologia nei bambini o in
giovani adulti con parete toracica particolarmente sottile.

Il I tono è provocato essenzialmente della chiusura delle valvole atrio-ventricolari, mentre il II si deve alla
chiusura delle semilunari aortiche e polmonari (Figura 1).
Il I tono può risultare rinforzato e ligneo in caso di stenosi mitralica (vedi Capitolo 14) o di stenosi della
valvola tricuspide, mentre è spesso indebolito nell’insufficienza mitralica.

Il II tono è costituito dalle 2 componenti, aortica e polmonare (A2 e P2), che nella maggior parte dei casi
sono così ravvicinate da generare un tono unico, anche se la chiusura della valvola aortica precede di poco
quella della polmonare (Figura 1).

Figura 1 I e II tono cardiaco. A2 = componente aortica del II tono. P2 = componente polmonare del II tono.
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A volte, però, anche in condizioni fisiologiche, le due componenti del II tono possono essere ascoltate
distinte l’una dall’altra, per cui il II tono si presenta sdoppiato (Tum-Tla). Tale sdoppiamento è
fisiologicamente presente in ispirazione, mentre A2 e P2 appaiono unite in espirazione(Figura 2A).

Figura 2 A: sdoppiamento variabile del II tono legato alle fasi del respiro.
B: Sdoppiamento paradosso del II tono in presenza di blocco di branca sinistra. A2 = componente aortica
del II tono. P2 = componente polmonare del II tono

Ciò dipende dal fatto che con l’inspirazione aumenta il ritorno venoso per l’incremento della vis a fronte:
il ventricolo destro, perciò, riceve più sangue e la sua sistole è leggermente prolungata, dunque la
chiusura della semilunare polmonare è ritardata; con l’espirazione, invece, questo fenomeno non è più
presente, e la chiusura delle due valvole semilunari è simultanea.
Lo sdoppiamento del II tono può essere fisso (Figura 3) in presenza di un difetto del setto interatriale,
che comporta uno shunt sinistro-destro (vedi Capitolo 51).

Figura 3 Sdoppiamento fisso del II tono nel difetto del setto interatriale.
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In questa situazione la gittata del ventricolo destro è sempre aumentata: in inspirazione per l’aumentato
ritorno venoso dalle vene cave, in espirazione per lo shunt attraverso il setto interatriale.
Infine, lo sdoppiamento del II tono può essere “paradosso”: in questo caso si avverte uno sdoppiamento
in espirazione mentre il tono appare unico durante l’inspirazione (Figura 2B). Questo fenomeno è
causato da un eccessivo ritardo di A2, come accade nel blocco di branca sinistra (vedi Capitolo 3) o
stenosi aortica grave. In queste situazioni, il II tono è sdoppiato poiché la chiusura della valvola aortica è
ritardata per motivi elettrici (blocco di branca) o meccanici, ed è la polmonare a chiudersi prima. Quando,
durante l’inspirazione, si verifica un fisiologico ritardo della chiusura della polmonare, legato
all’aumentato ritorno venoso, A2 e P2 diventano simultanee (perché anche A2 sarà rallentata), mentre in
espirazione non vi è il ritardo di P2, per cui il II tono appare sdoppiato (perchè A2 ritarda).
Il II tono può risultare rinforzato in presenza di un aumento dei valori pressori sistemici nella sua
componente aortica (A2) o in presenza di un’ipertensione polmonare, nella sua componente polmonare
(P2). In queste condizioni, il livello della pressione che fa chiudere la valvola semilunare è maggior del
normale, per cui le vibrazioni che la valvola genera nel chiudersi sono particolarmente ampie.

Il III tono (Figura 4) corrisponde alla fase diastolica di riempimento rapido (protodiastole), e può risultare
ben evidente in caso di aumentato riempimento ventricolare o in presenza di disfunzione ventricolare,
come nello scompenso cardiaco.

Figura 4 Oltre al I e al II tono, vengono rappresentati il III tono (protodiastolico) e il IV tono (presistolico o
telediastolico).

Normalmente il III tono si ascolta soltanto nei bambini o nei soggetti con parete toracica particolarmente
sottile.

Il IV tono (Figura 4) corrisponde alla sistole atriale (telediastole o presistole), e dipende dalle vibrazioni
provocate dal sangue che, spinto dalla contrazione dell’atrio, penetra nel ventricolo. Normalmente questo
fenomeno non dà luogo a un tono ascoltabile sia perché le vibrazioni indotte dalla sistole atriale, sono
quasi in continuità con quelle del I tono, sia perché la loro ampiezza è molto bassa. Vi sono
essenzialmente due condizioni che favoriscono l’ascoltazione del IV tono: il blocco A-V di I grado e la
ridotta distensibilità ventricolare. Nel primo caso si allunga l’intervallo P-R (vedi Capitolo 40), per cui la
sistole atriale non è seguita da quella ventricolare immediatamente, ma dopo un
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tempo più lungo del normale, per cui in IV tono è ben separato dal I. Nella seconda circostanza la ridotta
distensibilità delle pareti ventricolari, come avviene nella stenosi aortica o nella cardiopatia ipertensiva, fa
sì che aumenti l’ampiezza delle vibrazioni generate dal sangue che l’atrio spinge nel ventricolo.
Quando il III o il IV tono si ascoltano in presenza di un aumento della frequenza cardiaca, si può generare un
ritmo a tre tempi (ritmo di galoppo). A volte sono contemporaneamente presenti in III e il IV tono; se la
frequenza cardiaca è aumentata, si ha il cosiddetto galoppo di sommazione.

I Toni aggiunti
A parte i toni descritti, è possibile ascoltare, in particolari condizioni, patologiche, i seguenti toni aggiunti. 1)
I click sistolici, che comprendono il click del prolasso mitralico (Figura 5) (vedi Capitolo 15) e i click eiettivi
aortico e polmonare, apprezzabili a volte in presenza di stenosi aortica o polmonare.

Figura 5 A: click mesosistolico del prolasso mitralico.


B: il clock è seguito da un soffio mesotelesistolico.

2) Gli schiocchi d’apertura della mitrale o della tricuspide, che si determinano al momento dell’apertura
di una valvola stenotica. Normalmente non si generano vibrazioni udibili all’aprirsi delle valvole A-V, ma
quando queste divengono stenotiche la loro apertura provoca un tono aggiunto a tonalità alta, detto
appunto schiocco d’apertura (Figura 6).
14 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Figura 6 Quadro ascoltatorio nella stenosi mitralica. Il I tono è di intensità aumentata, e dopo il secondo
tono compare lo schiocco d’apertura della mitrale (SAM) seguito dal soffio diastolico (SD)

I Soffi
Un soffio è il rumore che si genera quando il flusso del sangue diventa turbolento, e può essere ascoltato
col fonendoscopio non solo in corrispondenza del cuore, ma anche sui vasi. In condizioni ideali, il flusso del
sangue dovrebbe essere laminare (in base al numero di Reynolds), ma in realtà non lo è quasi mai; la
turbolenza marcata del flusso, tale da generare vortici che poi si ascoltano come “soffi” si deve a vari
motivi, inclusa la stessa viscosità del sangue. I soffi cardiaci dipendono essenzialmente da: a) un ostacolo
al flusso, come per esempio per stenosi valvolare b) un flusso non fisiologico, come per esempio quello
che si genera nel difetto del setto interventricolare, nel quale vi è un flusso “innaturale” del sangue da un
ventricolo all’altro; c) un’aumentata velocità e/o un’aumentata quantità del flusso, come si verifica per
esempio nell’insufficienza aortica “pura” dove, in assenza di stenosi valvolare, si può ascoltare sul focolaio
aortico un soffio sistolico quando la gittata sistolica ventricolare sinistra è notevolmente aumentata (vedi
Capitolo 17).

I soffi cardiaci si distinguono in base alla loro cronologia (cioè alla fase del ciclo cardiaco in cui si ascoltano),
al timbro, alla intensità, alla sede di ascoltazione e alla irradiazione.
Una prima importante distinzione è fra soffi sistolici, diastolici e continui; questi ultimi occupano tutto il
ciclo cardiaco, mentre i primi sono limitati a una sola delle due fasi. All’interno delle categorie dei soffi
sistolici e diastolici, poi, se ne trovano alcuni che occupano tutta la sistole (soffio olosistolico) o tutta la
diastole (soffio olodiastolico) e altri la cui durata è minore, che vengono definiti con i prefissi proto, meso o
tele (protosistolici, protodiastolici, etc) secondo che occupino solo la parte iniziale della fase (sistole o
diastole) in cui si ascoltano, oppure la parte intermedia o quella finale.

Per quanto riguarda il timbro, i soffi vengono tradizionalmente definiti impiegando termini
come dolce, rude, aspro,aspirativo, raspante, e altri fra cui è molto diffuso quello di “rullio” per indicare il
soffio diastolico della stenosi mitralica, che viene assimilato a un rullio di tamburi.

La sede di ascoltazione di un soffio cardiaco è il punto del precordio dove il soffio ha la massima intensità. I
quattro “classici” focolai dell’ascoltazione sono quello mitralico (alla punta del cuore- V spazio intercostale
Sx)
15 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

tricuspidalico (all’incirca alla base dell’apofisi ensiforme- IV spazio intercostale Dx), aortico (sulla margino-
sternale destro- II spazio intercostale Dx) e polmonare (sulla margino-sternale sinistra- II spazio
intercostale Sx).

L’irradiazione del soffio è la direzione in cui, partendo dalla sede, è ancora possibile ascoltarlo bene. E’
caratteristica l’irradiazione all’ascella del soffio dell’insufficienza mitralica e l’irradiazione al giugulo del
soffio della stenosi aortica.

L’intensità dei soffi viene in genere valutata solo per quelli sistolici, secondo la scala a 6 gradini proposta
da Levine, la quale tiene anche conto del fatto che quando un soffio è molto intenso, le vibrazioni
generate dalla turbolenza del flusso si possono non solo ascoltare, ma anche palpare come fremiti,
appoggiando la mano sul precordio.

 1/6 è quel soffio che non si avverte immediatamente, ma solo quando si ascolta il cuore con grande
attenzione
 2/6 è un soffio che si ascolta immediatamente, ma è relativamente debole
 3/6 è un soffio forte ma non accompagnato da fremito
 4/6 è un soffio forte accompagnato da fremito
 5/6 è un soffio fortissimo, accompagnato da fremito, ma che non si ascolta più se si solleva il
fonendoscopio a 1 cm dalla cute
 6/6 è un soffio fortissimo, accompagnato da fremito, che si continua ad ascoltare anche se si
solleva il fonendoscopio a 1 cm dalla cute

I soffi sistolici, inoltre, possono essere distinti in eiettivi e da rigurgito. Mentre i soffi eiettivi possono
essere sia organici, determinati cioè da una lesione anatomica (per esempio, una stenosi valvolare
aortica), che funzionali, legati a motivi differenti da un’alterazione strutturale (per esempio,
un’aumentata velocità del flusso), i soffi da rigurgito (insufficienza A-V) sono sempre organici,
espressione di un’alterazione anatomica.
I soffi sistolici eiettivi (Figura 7) iniziano a breve distanza dal I tono. Prendiamo come esempio il soffio
eiettivo della stenosi aortica: all’inizio della sistole il ventricolo sinistro si contrae e fa chiudere la valvola
mitrale, dando origine al I tono; in questa fase, che prende il nome di contrazione isometrica (o
isovolumetrica) l’eiezione del sangue dal ventricolo non è ancora iniziata.
16 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Figura 7 Soffio sistolico eiettivo (SS).

Solo quando la pressione endoventricolare cresce e supera quella vigente in aorta (circa 80 mm Hg in
condizioni normali) la valvola aortica si apre e ha inizio il flusso attraverso la valvola e con esso il soffio,
assumendo che la valvola sia stenotica. Questo soffio, perciò, inizierà a una certa distanza dal I tono,
non simultaneamente ad esso.
Osserviamo ora il soffio da rigurgito della insufficienza mitralica (Figura 8).

Figura 8 Soffio sistolico da rigurgito nell’insufficienza mitralica. In B è anche presente il III tono
17 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia
Questo inizia contemporaneamente al l I tono, infatti appena la valvola mitrale si chiude e si genera il I
tono inizia il rigurgito di sangue in atrio sinistro, ben prima che la pressione intraventricolare aumenti al
di sopra di quella aortica e la valvola aortica si apra. I soffi sistolici da eiezione (stenosi Aortica) hanno in
generale la caratteristica di essere in crescendo-decrescendo, assumendo una morfologia “a
diamante” (Figura 7), mentre i soffi da rigurgito (insufficienza mitralica) hanno un aspetto “a nastro”
conservando la stessa intensità per tutta la loro durata.
I soffi sistolici da rigurgito sono quelli dell’insufficienza mitralica, dell’insufficienza tricuspidale, del
difetto del setto interventricolare; quelli eiettivi possono essere organici, legati alla stenosi aortica
(Capitolo 16) o alla stenosi polmonare (Capitolo 18), ma possono anche essere soltanto di natura
funzionale, espressione di una stenosi relativa, dovuti non a riduzione dell’ostio valvolare, ma
semplicemente ad aumento del flusso con un’area valvolare normale.

I soffi diastolici sono quasi sempre organici, e comprendono il soffio (rullio) diastolico della stenosi
mitralica (Figura 6) (Capitolo 14), quello della stenosi tricuspidalica (Capitolo 18), il soffio dell’insufficienza
aortica (Figura 9) (Capitolo 17) e quello dell’insufficienza polmonare (Capitolo 18).

Figura 9 A: soffio diastolico in decrescendo dell’insufficienza aortica.


B: al soffio diastolico si associa un soffio sistolico eiettivo.

I soffi continui sono sempre legati ad una anormale connessione fra il circolo arterioso e quello venoso,
con shunt artero-venoso che dura per tutto il ciclo cardiaco. Il prototipo del soffio continuo è quello
generato dalla pervietà del dotto arterioso di Botallo (Figura 10) (Capitolo 51), che si ascolta in sede
sottoclaveare sinistra.
18 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Figura 10 Soffio continuo nella pervietà del dotto arterioso. Il soffio copre tutto il ciclo cardiaco (sistole e
diastole) ed ha il suo acme il corrispondenza del II tono.

Gli Sfregamenti
Relativamente simili ai soffi sono gli sfregamenti pericardici, che si ascoltano in alcuni soggetti affetti da
pericardite (Capitolo 32). Normalmente i foglietti pericardici viscerale e parietale sono lisci e scorrono l’uno
sull’altro senza alcuna frizione, ma in seguito all’infiammazione il movimento dei foglietti, divenuti rugosi,
genera gli sfregamenti, che spesso si ascoltano sia in sistole che in diastole.
42 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Capitolo 4
L’ECOCARDIOGRAMMA
Maria Penco, Eleonora De Luca, Simona Fratini, Sergio Severino, Pio Caso, Raffaele Calabrò

INTRODUZIONE

L’ecocardiografia è la metodica che permette di eseguire uno studio anatomico e funzionale del cuore
mediante gli ultrasuoni. L’ecocardiografia è una metodica di semplice esecuzione, sicura ed economica, i
risultati e l'interpretazione dei dati ottenuti, necessitano di una tecnica adeguata e solide basi culturali,
essendo dunque operatore-dipendente. In ogni caso, il risultato dell’esame ecocardiografico va
interpretato alla luce dei dati anamnestici e del contesto clinico.
Le principali informazioni che si possono ottenere dall’esame ecocardiografico sono:

 Informazioni sull’anatomia cardiaca inerenti dimensioni, spessori, cavità, valvole, pericardio,


aorta, arteria polmonare e suoi rami principali
 Studio della funzione degli apparati valvolari e della funzione sistolica e diastolica dei ventricoli
 Studio della funzione contrattile globale e segmentaria delle pareti ventricolari

PRINCÍPI DELL’ECOCARDIOGRAFIA

Il suono è una forma di energia che attraversa la materia comprimendo e rarefacendo alternativamente le
molecole. Il suono viene rappresentanto graficamente come una sinusoide la cui dimensione orizzontale è
il tempo, quella verticale l’intensità o ampiezza. Il suono si caratterizza per la lunghezza d’onda (che
rappresenta la distanza tra due fasi consecutive del ciclo) e per la frequenza (che esprime il numero di
compressioni ed espansioni che subiscono le particelle nell’unità di tempo). La frequenza del suono è
espressa in cicli al secondo o Hertz (Hz) (Figura 1). L’orecchio umano percepisce suoni tra i 16 e 20.000 Hz;
oltre quel limite si parla di ultrasuoni. Le frequenze attualmente utilizzate in cardiologia variano da 1
milione ad oltre 10 milioni di Hertz (MHz), tali da permettere l’attraversamento dei tessuti con una
velocità costante di 1540 m/sec. La velocità del suono è il prodotto della frequenza per la lunghezza
d’onda. Esiste dunque tra queste due componenti un rapporto inverso: all’aumentare di una diminuisce
l’altra.

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43 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

CARATTERISTICHE FISICHE DEGLI ULTRASUONI

Gli ultrasuoni possono essere utilizzati nell’imaging diagnostico poiché, sono orientabili e,
attraversando i tessuti, subiscono alcune modificazioni: attenuazione, riflessione e rifrazione

 Attenuazione: è un fenomeno di riduzione di intensità del raggio ultrasonoro e dipende


dall’assorbimento, dalla riflessione e dalla dispersione da parte del tessuto esaminato. Aumenta
all’aumentare della frequenza.
 Riflessione: una parte del raggio ultrasonoro viene riflesso a livello dell’interfaccia tissutale.
L’onda sonora che torna indietro, avvicinandosi alla sorgente, costituisce un’eco e viene utilizzata
per visualizzare l’immagine ultrasonora.
 Rifrazione: è la deviazione subita dall’onda quando passa da un mezzo ad un altro, cambiando
velocità di propagazione.

L’impedenza acustica (Z) è il prodotto della densità del mezzo che gli ultrasuoni attraversano (P) per la
velocità (C) dell’ultrasuono. A parità di velocità i tessuti molli essendo più densi hanno maggiore
impedenza acustica. La superficie di separazione tra due mezzi ad impedenza acustica diversa viene
chiamata interfaccia acustica. Ad ogni interfaccia acustica, una parte degli ultrasuoni viene riflessa e una
parte viene rifratta (Figura 2); l’intensità della componente riflessa dipende dalla differenza di impedenza
acustica dei mezzi e dall’angolo di incidenza: essa è, cioè, tanto maggiore quanto più la direzione del fascio
ultrasonoro è perpendicolare alla superficie. Se la superficie di contatto non è piana ma irregolare, una
parte dell’energia non sarà riflessa ma diffratta, cioè dispersa in tutte le direzioni.

Figura 2 Riflessione e rifrazione degli ultrasuoni.

Il potere di risoluzione è la capacità di distinguere fra loro due strutture distinte poste una dopo l’altra o
una accanto all’altra lungo la direzione del fascio ultrasonoro. E’ direttamente proporzionale alla frequenza
dell’ultrasuono.
44 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Il potere di penetrazione del raggio ultrasonoro è, invece, inversamente proporzionale alla frequenza.
Perciò sonde che lavorano con ultrasuoni ad alte frequenze hanno un elevato potere di risoluzione ma una
bassa capacità di penetrazione nei tessuti.
La diagnostica ecocardiografica utilizza trasduttori che lavorano con frequenze di almeno 2MHz.
La qualità delle immagini ottenute migliora con la modalità “harmonic imaging” (seconda armonica),
caratterizzata dal fatto che la sonda invia ultrasuoni ad una certa frequenza e li riceve ad una frequenza
doppia. Ciò consente una migliore qualità delle immagini.

IL TRASDUTTORE
Gli ultrasuoni vengono prodotti da un trasduttore. Esso è costituito da elettrodi e da un cristallo
piezoelettrico la cui struttura ionica, sfruttando le capacità di alcuni materiali (come il quarzo o la
ceramica), si deforma se esposta al passaggio di corrente elettrica generando onde sonore. Lo stesso
cristallo piezoelettrico poi, per effetto dell’energia meccanica generata da onde sonore riflesse, subisce una
deformazione che genera un segnale elettrico rilevato da elettrodi. Ciò significa che il trasduttore riceve e
invia contemporaneamente segnali ultrasonori (Figura 3).

Figura 3 Schema di un trasduttore.

SISTEMI DI RAPPRESENTAZIONE ECOCARDIOGRAFICA

La ricostruzione dell’immagine ecocardiografica si basa sul calcolo della distanza tra una data struttura
anatomica ed il trasduttore. Il trasduttore emette un fascio ultrasonoro che si dirige verso il cuore e
procede in linea retta fino a quando non raggiunge un’interfaccia tra strutture con diversa impedenza
acustica. A questo punto parte dell’energia viene riflessa, parte viene dispersa, e la parte restante continua
il proprio percorso rifratta. Il sangue non genera echi riflessi.
Poiché la velocità di propagazione degli ultrasuoni nei tessuti molli è costante nel tempo (circa 1540 m/s),
il traduttore è in grado di calcolare la distanza tra esso e la struttura esaminata valutando l’intervallo

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45 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

temporale tra l’invio degli ultrasuoni e la ricezione dell’eco riflesso.

Figura 5 Sonde per ecocardiografia: A sinistra, sonda transesofagea. A destra, sonde transtoraciche.

I sistemi di rappresentazione dell’immagine con l’ecocardiografia transtoracica attualmente in uso sono:

 Sistema Mono-dimensionale (M-Mode)


 Sistema Bidimensionale

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46 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

 ECOCARDIOGRAFIA MONODIMENSIONALE

Il sistema monodimensionale permette di visualizzare le modificazioni dell’impulso ultrasonoro nel tempo


(asse orizzontale) e la profondità della struttura che riflette gli ultrasuoni (asse verticale). Ad ogni
interfaccia strutturale, gli ultrasuoni vengono riflessi e visualizzati sotto forma di punti la cui intensità varia
al variare della composizione del tessuto esaminato. Poiché queste strutture sono in movimento, il
trasduttore ricostruisce il movimento della struttura nel tempo. Il sistema M-Mode è dotato di un elevato
potere di risoluzione temporale, e risulta molto utile per studiare il movimento delle valvole e per ottenere
misure di cavità e spessori.

In corrispondenza della valvola mitrale, la struttura cardiaca più vicina alla sonda è la parete libera del
ventricolo destro; seguono poi la cavità ventricolare destra (VD), il setto interventricolare (SIV), la cavità
ventricolare sinistra e la parete posteriore del ventricolo sinistro (Figura 6).

Figura 6 Ecocardiogramma M-mode che mostra il ventricolo destro, il setto interventricolare, il ventricolo
sinistro e la parete posteriore del ventricolo sinistro.

In questa proiezione è possibile valutare le dimensioni del ventricolo sinistro ed anche lo spessore del setto
(ECO 34) e della parete posteriore

Orientando il fascio ultrasonoro verso la valvola mitrale si valuta l’escursione dei lembi valvolari, l’anteriore
in corrispondenza del setto interventricolare, e il posteriore in corrispondenza della parete posteriore del
47 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

ventricolo sinistro (Figura 7) .

Figura 7 Immagine ecocardiografica monodimensionale della valvola mitrale.

Il movimento del lembo anteriore mitralico presenta una forma a M con un massimo nel punto E
(l’apertura protodiastolica della valvola). La distanza dal punto E al setto interventricolare non deve
superare, nel soggetto normale, i 3 mm. La mobilità della valvola è rispecchiata dalla rapidità del
movimento di chiusura nella proto-mesodiastole fino al punto F (pendenza EF). In fase telediastolica i lembi
si riaprono, in corrispondenza della contrazione atriale (punto A). La valvola, quindi, si chiude e i lembi
coaptano (punto C).
Il movimento del lembo posteriore mitralico ha una forma a W, speculare rispetto al lembo anteriore.
Tra le principali anomalie ecocardiografiche descritte sono l’aumento dello spessore, della densità e del
numero di echi riflessi in conseguenza dell’ispessimento fibroso e/o calcifico dell’apparato valvolare; e
inoltre la scomparsa del caratteristico movimento di apertura a M e W dei lembi, sostituito da un plateau
più o meno rettilineo e parallelo ai due lembi (ECO 01).

Orientando il fascio ultrasonoro in senso supero-mediale si visualizza l’atrio sinistro, la valvola aortica, con
la cuspide coronarica destra e la non coronarica (posteriore), la radice ed il tratto prossimale dell’aorta
ascendente

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48 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

(Figura 8).

Figura 8 Immagine ecocardiografica monodimensionale che raffigura la radice aortica, la valvola aortica e
l’atrio sinistro.

Le dimensioni dell’atrio sinistro si misurano in telesistole, quelle della radice aortica in telediastole. Il
movimento sistolico di apertura delle cuspidi aortiche si visualizza come un parallelogramma i cui lati
superiore e inferiore corrispondono rispettivamente al movimento della cuspide coronarica destra e di
quella non coronarica (posteriore).
Stenosi aortica: si nota un ispessimento dei lembi con aumento dell’intensità e del numero degli echi e
una riduzione dell’apertura sistolica delle cuspidi (ECO 15).

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49 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

La Tabella I riporta i valori normali dei parametri ecocardiografici M-mode in soggetti adulti.

ECOCARDIOGRAFIA BIDIMENSIONALE

Il sistema bidimensionale permette di visualizzare l’immagine corrispondente ad una sezione delle cavità
cardiache sfruttando la capacità dei trasduttori di ricevere e trasmettere più linee di scansione in modo
indipendente.
Gran parte delle sonde attualmente in uso è costituita da una serie di cristalli (da 32 a 128), ciascuno dei
quali è in grado di ricevere e di trasmettere, allineati in una singola fila, sono attivati secondo una precisa
sequenza temporale in modo da provocare la fusione delle onde generate dai singoli elementi e ottenere
un unico fascio la cui direzione dipende dalla sequenza di attivazione dei singoli cristalli. L’immagine
ottenuta viene convertita in formato digitale: ad ogni punto, in base alla sua intensità, viene assegnato un
valore numerico che corrisponde a livelli di grigio per altrettanti elementi di visualizzazione (pixel) allineati
lungo assi cartesiani x ed y.
L’esame ecocardiografico si realizza con 4 posizioni standard del trasduttore: parasternale, apicale,
subxifoidea e soprasternale. Le prime due si realizzano con il paziente in decubito laterale sinistro, le altre
con il paziente supino.

SEZIONE ASSE LUNGO


In genere l’esame inizia dalla proiezione parasternale asse lungo: si posiziona il trasduttore a livello del
III-IV spazio intercostale sulla linea margino-sternale di sinistra con la scanalatura di repere rivolta verso
la spalla destra del paziente in modo tale che il piano di scansione sia parallelo ad una linea di
congiunzione tra la spalla destra con il fianco sinistro. L’immagine è orientata in modo tale che l’aorta sia
disposta a destra e l’apice cardiaco a sinistra, ed è ottimale quando si visualizza contemporaneamente

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50 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

l’apertura della valvola mitrale e della valvola aortica (Figura 9,Figura 10, Figura 11, Figura 12).

Figura 9 Schema raffigurante il piano che taglia il cuore nella proiezione asse lungo.

Figura 10 Ecocardiogramma bidimensionale in proiezione asse lungo e schema anatomico corrispondente.

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51 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Questa proiezione consente uno studio accurato dell’anatomia e del movimento delle valvole del cuore
sinistro, di cui è facile rilevare l’ispessimento e la calcificazione in caso di stenosi mitralica o aortica (ECO
13).
Mantenendo il trasduttore nello stesso spazio ed imprimendogli una inclinazione inferomediale e una
leggera rotazione in senso orario si ottiene una sezione asse lungo del ventricolo e dell’atrio destro (Figura

13, Figura 14)

Figura 13 Schema raffigurante il piano che taglia il cuore nella proiezione asse lungo dell’atrio e del
ventricolo destro.

Figura 14 Ecocardiogramma bidimensionale in proiezione asse lungo dell’atrio e del ventricolo destro.

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52 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

SEZIONE ASSE CORTO


Ruotando la testa del trasduttore in senso orario per 90 gradi, in modo tale che il piano di scansione sia
ortogonale a quello dell’asse lungo parasternale, si ottiene la proiezione parasternale asse corto a livello
dei grossi vasi. In questa posizione la scanalatura di repere è orientata verso la fossa sopraclaveare destra e
il piano di scansione è parallelo ad una linea che congiunge la spalla sinistra con il fianco destro del
paziente

(Figura 15, Figura 16)

Figura 15 Schema raffigurante il piano che taglia il cuore nella proiezione asse corto.

Da questa posizione si visualizza al centro la valvola aortica con le sue tre cuspidi, l’atrio sinistro e
quello destro separati dal setto interatriale, la valvola tricuspide, il tratto di efflusso del ventricolo
destro, la

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valvola polmonare, il tronco dell’arteria polmonare con i suoi due rami, destro e sinistro (Figura 17, Figura

18).

Figura 17 Ecocardiogramma bidimensionale in proiezione asse corto e schema anatomico corrispondente

Questa proiezione è utile per studiare la valvola aortica, in particolare per determinare se questa ha, come
di norma, 3 cuspidi, oppure è bicuspide (ECO 20) o quadricuspide (ECO 21).
Alzando la coda del trasduttore, è possibile visualizzare la sezione asse corto a livello della valvola mitrale.
Sono ben evidenti i lembi valvolari con il classico aspetto “a bocca di pesce” in diastole e le rispettive
commissure. Da questa posizione è possibile calcolare l’area planimetrica della mitrale in caso di stenosi

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54 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

(Figura 19, Figura 20, Figura 21,Figura 22, ECO 05).

Figura 19 Ecocardiogramma bidimensionale in asse corto a livello della valvola mitrale.

Un ulteriore movimento verso l’alto della coda della sonda, e si visualizzano i due muscoli papillari del
ventricolo sinistro (Figura 20, Figura 22), e quindi l’apice del ventricolo.

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55 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Figura 20 Ecocardiogramma bidimensionale in proiezione asse corto a livello dei muscoli papillari e
schema anatomico corrispondente.

SEZIONE APICALE
Il trasduttore viene posto in corrispondenza dell’itto della punta, con la scanalatura di repere orientata
verso il fianco sinistro del paziente. Il fascio ultrasonoro è diretto superiormente e medialmente verso la
scapola destra del paziente.
Da questa posizione si visualizzano le quattro camere cardiache (proiezione apicale quattro camere). Alla
destra dello schermo si visualizzano le sezioni sinistre, e alla sinistra quelle destre. Il ventricolo destro, di
forma triangolare, si riconosce per l’impianto più alto della tricuspide, per la presenza della banda
moderatrice all’apice e per il muscolo papillare.
Gli atri, separati dal setto interatriale, sono visualizzati in basso; i ventricoli, separati dal setto
interventricolare, in alto (Figura 23, Figura 24, Figura 25).

Figura 23 Schema raffigurante il piano che taglia il cuore nella proiezione 4 camere apicale.

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56 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Figura 24 Schema anatomico della proiezione 4 camere apicale.

Da questa posizione riusciamo a visualizzare il SIV posteriore.


Inclinando la coda del trasduttore verso il basso visualizziamo la valvola aortica, il tratto di efflusso del
ventricolo sinistro e il setto interventricolare anteriore (proiezione apicale cinque camere (Figura 26).

Ruotando la testa del trasduttore di 90 gradi circa si ottiene la sezione due camere apicale da cui è possibile

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57 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

studiare la parete inferiore e quella anteriore del ventricolo sinistro e a volte visualizzare l’auricola sinistra

(Figura 27, Figura 28, Figura 29).

Figura 27 Schema raffigurante il piano che taglia il cuore nella proiezione 2 camere apicale.

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58 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Figura 28 Ecocardiogramma bidimensionale in proiezione 2 camere apicale e schema anatomico


corrispondente.

Con un’ulteriore minima rotazione del trasduttore si ottiene la sezione tre camere apicale in cui si visualizza
la parete postero-laterale del ventricolo sinistro, il setto interventricolare anteriore, la valvola aortica
(Figura30).
L’ecocardiografia bidimensionale dalle sezioni apicali permette di valutare la funzione sistolica globale del
ventricolo sinistro attraverso la misurazione della Frazione di Eiezione (FE) espressa dalla formula:

FE(%) = Volume telediastolico –Volume Telesistolico/Volume telediastolico x 100

Sono diverse le metodiche correntemente utilizzate per la stima della FE; il più utilizzato è il metodo di
Simpson in base al quale, dopo che l’operatore ha accuratamente delineato il bordo endocardico del
ventricolo sinistro , la macchina suddivide automaticamente il ventricolo stesso in un numero noto di
cilindri di uguale altezza. Il volume di ogni cilindro è calcolato automaticamente e poi sommato a quello
degli altri per ottenere il volume totale che corrisponde al volume totale del ventricolo. Tale stima viene
effettuata in sistole ed in diastole in sezione apicale 4 e 2 camere, permettendo di ottenere il valore della

FE (Figura31).

Figura 31 Schema del metodo di Simpson per il calcolo della frazione d’eiezione.

Dalle sezioni apicali è possibile, inoltre, valutare la cinetica segmentaria del ventricolo sinistro e, in caso di
cardiopatia ischemica, ricercare e documentare alterazioni morfofunzionali causate dall’ischemia, definire
la sede e l’estensione del danno ischemico, valutare la funzione cardiaca regionale e globale.
L’analisi segmentaria della cinetica ha lo scopo di quantificare l’estensione del danno ischemico e di
identificare la coronaria interessata in base al territorio in cui si verifica l’anomalo movimento della parete.
L’American Society of Echocardiography ha proposto un modello a sedici segmenti, nel quale il ventricolo
sinistro è diviso in 3 regioni in senso longitudinale (basale: dall’anello mitralico all’estremità dei papillari;
media: dall’estremità alla base dei papillari; apicale: distalmente all’inserzione dei muscoli papillari). Le
regioni basali e medie sono ulteriormente suddivise in 6 segmenti: anteriore, laterale, posteriore,
inferiore,

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59 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

setto inferiore e setto anteriore. L’apice è diviso in 4 segmenti (anteriore, laterale, inferiore e settale). Per
una valutazione semiquantitativa l’analisi della cinetica segmentaria può essere integrata attribuendo un
punteggio da 1 a 4: 1 = normale o ipercinesia, 2 = ipocinesia, 3 = acinesia, 4 = discinesia. Sommando i singoli
punteggi e dividendo per il numero di segmenti analizzati, si ottiene un indice di cinesi globale definito
“Wall Motion Score Index” (WMSI) o un punteggio indicizzato della cinetica parietale che combina la stima
della gravità del danno con quella della sua estensione spaziale (Figura32, Figura33).

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60 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Figura 33 Rappresentazione schematica della relazione fra arterie coronarie e segmenti del ventricolo
sinistro.

SEZIONE SOTTOCOSTALE O SUBXIFOIDEA


E’ particolarmente utile nei pazienti con elevata impedenza acustica del torace, come obesi e
broncopneumopatici. Si ottiene con il paziente in decubito supino posizionando il trasduttore
immediatamente al di sotto della linea sottocostale con la scanalatura di repere orientata verso il
fianco sinistro del paziente e la testa del trasduttore inclinata lievemente in basso (Figura34).

Figura 34 Schema raffigurante il piano che taglia il cuore nella


proiezione 4

A volte, per ottenere un’immagine ottimale del cuore, è


necessario invitare il paziente a fare un respiro profondo e a
trattenere l’aria.
Da questa posizione si ottiene un’immagine simile a quella
apicale, con le sezioni destre al di sotto del fegato, gli atri in
basso e i ventricoli in alto ma, poiché il fascio ultrasonoro è
maggiormente perpendicolare al setto interventricolare ed
interatriale, tale approccio è particolarmente utile per lo
studio di queste strutture
62 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

(Figura35).

Figura 35 Ecocardiogramma bidimensionale in proiezione 4 camere sottocostale e schema anatomico


corrispondente.

Ruotando il trasduttore in senso orario e inclinandolo verso l’alto si visualizza l’aorta e i rapporti di essa con
la mitrale ed il ventricolo sinistro. Un’ulteriore rotazione in senso orario ed inclinazione verso l’alto, e si
ottiene una sezione in asse corto simile a quella ottenibile in parasternale asse corto; angolando
opportunamente la sonda si visualizzano il tratto di efflusso del ventricolo destro, l’arteria polmonare, la
vena cava inferiore e le vene sovraepatiche. Da questo approccio può essere, inoltre, studiata l’aorta
addominale.

SEZIONE SOPRASTERNALE
Si ottiene ponendo il trasduttore nella fossetta soprasternale con la scanalatura di repere rivolta verso la

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63 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

testa del paziente o verso la regione sovraclaveare destra (Figura36).

Figura 36 Schema raffigurante il piano che taglia il cuore nella proiezione soprasternale.

Si possono studiare : l’aorta ascendente, l’arco, l’origine dei tronchi brachiocefalici, l’aorta toracica
discendente (Figura37) ed il ramo destro dell’arteria polmonare visualizzato in asse corto al di sotto
dell’arco; ancora più in basso c’è l’atrio sinistro.

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64 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Figura 37 Ecocardiogramma bidimensionale in proiezione soprasternale.

Ruotando il trasduttore in senso orario si visualizza l’aorta in asse corto, il ramo destro della polmonare
immediatamente sotto, nel suo asse lungo, e ancora più in basso l’atrio sinistro con le vene polmonari

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65 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

(Figura38,Figura39).

Figura 38 Schema delle strutture visualizzabili dalla proiezione soprasternale.

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66 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Figura 39 Proiezione soprasternale. E’ visualizzabile l’aorta in asse corto (A), il ramo destro dell’arteria
polmonare (APD) nel suo asse lungo e l’atrio sinistro. Le frecce indicano le vene polmonari.

Con una ulteriore rotazione in senso orario può essere visualizzata la vene cava superiore a destra dell’
aorta.

In sintesi, l’Ecocardiografia bidimensionale consente un approccio approfondito all’anatomia e alla funzione


del cuore, permettendo non solo di valutare lo spessore delle pareti cardiache e la loro cinetica, le
dimensioni delle cavità, la struttura e il movimento delle valvole, ma anche di riconoscere masse
intracardiache (trombi, vegetazioni, tumori), che non di rado sarebbero decorse sconosciute senza
l’indagine ultrasonica (ECO 39, ECO 41, ECO 42, ECO 43, ECO 45), come pure di rilevare un versamento
pericardico (ECO 46, ECO 47). Nel campo delle Cardiopatie congenite, infine, l’Ecocardiografia
bidimensionale, insieme all’Ecocardiografia Doppler, ha segnato un tale progresso nella diagnostica da
mettere spesso in secondo piano il Cateterismo cardiaco e l’Angiocardiografia, che avevano rappresentato
per decenni il “gold standard” nello studio di queste malattie.

ECOCARDIOGRAFIA DOPPLER

Le misurazioni Doppler della velocità dei flussi ematici nel cuore e nei grossi vasi si basano sull’effetto
Doppler. Il principio Doppler afferma che quando un segnale sonoro (o luminoso) colpisce un oggetto in
movimento, la frequenza del segnale si modifica in modo proporzionale alla velocità e alla direzione
dell’oggetto in movimento.
Quindi, quando un fascio ultrasonoro a frequenza nota viene inviato verso il cuore o i grossi vasi, è riflesso
dai globuli rossi. La frequenza degli ultrasuoni riflessi aumenta all’avvicinarsi dei globuli rossi alla sorgente
sonora e viceversa si riduce quando le emazie si allontanano. Il cambiamento di frequenza tra suono
emesso e suono riflesso dipende dalla frequenza degli ultrasuoni emessi, dalla velocità del bersaglio e
dall’angolo tra direzione del fascio e direzione del movimento delle emazie.
Se il fascio ultrasonoro è parallelo alla direzione del flusso ematico si ottiene la massima velocità; se il fascio
ultrasonoro è perpendicolare alla direzione del flusso, non si misura alcuna velocità. La visualizzazione dello
spettro Doppler è ottenuta attraverso un analizzatore di velocità (Fast Fourier Trasform) con
rappresentazione delle velocità dei flussi ematici sull’asse delle Y e del tempo sull’asse delle X. Tutti i flussi

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67 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

in avvicinamento al trasduttore vengono visualizzati in alto, quelli in allontanamento in basso

(Figura40).

Figura 40

Lo studio dei flussi può essere effettuato mediante tre sistemi:


-Doppler ad onda pulsata
-Doppler ad onda continua
-Color Doppler

DOPPLER AD ONDA PULSATA


Lo stesso cristallo piezoelettrico invia e riceve impulsi (Figura41).

Figura 41

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68 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

L’invio di un nuovo impulso è possibile solo dopo l’analisi di quello precedentemente inviato. La frequenza
di emissione degli ultrasuoni è definita PRF (pulse repetition frequency). La massima variazione di
frequenza e dunque la massima velocità determinabile con il Doppler ad onda pulsata è la metà del PRF
ed è chiamata limite di Nyquist. L’esaminatore ha la possibilità di definire il punto esatto dell’analisi
Doppler. Tale punto viene chiamato volume campione. La PRF varia inversamente al volume campione: più
il volume campione è vicino al trasduttore, più elevate saranno la PRF ed il limite di Nyquist; in altri termini
sarà possibile registrare velocità più alte.
Quando la velocità dell’onda riflessa è maggiore di quella inviata (quando, cioè, si supera il limite di
Nyquist) si ottiene un fenomeno noto come aliasing: lo spettro Doppler si interrompe, e una parte di esso
compare sul lato opposto della linea di base, cosicché sembra che il flusso sia contemporaneamente in
avvicinamento ed in allontanamento (Figura42). L’impossibilità di analizzare alte velocità rappresenta
dunque il principale limite del Doppler pulsato.

Figura 42 Aliasing. Il flusso appare sia sopra (in avvicinamento) che sotto allontanamento la linea di base.

IL DOPPLER PIULSATO NELLO STUDIO DELLA FUNZIONE DIASTOLICA VENTRICOLARE SINISTRA


La valutazione dei diversi quadri velocimetrici del flusso transmitralico con il Doppler pulsato ha permesso
di comprendere che in diverse forme di cardiopatia si realizza, accanto alla disfunzione sistolica o anche in
assenza di questa, una disfunzione diastolica ventricolare sinistra. Il pattern flussimetrico normale
(Figura43) è caratterizzato da un’onda E, espressione del riempimento rapido protodiastolico, e da un’onda
A che corrisponde al flusso transmitralico telediastolico legato alla sistole atriale. La velocità del flusso

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69 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

protodiastolico è maggiore di quella telediastolica, per cui il rapporto E/A è maggiore di 1.

Figura 43 Pattern flussimetrico transmitralico normale

Negli stadi precoci di disfunzione, l’alterato rilasciamento del ventricolo sinistro causa, in condizioni di
riposo, una riduzione del riempimento diastolico precoce a parità di pressioni di riempimento. Questo
effetto si traduce in un iniziale riduzione della velocità dell’onda E, in un prolungamento del tempo di
decelerazione dell’onda E ed in un incremento della percentuale di riempimento ventricolare dovuto alla
contrazione atriale; il rapporto E/A diviene, perciò, minore di 1 (Figura44).

Figura 44 Pattern flussimetrico transmitralico da anomalo rilasciamento (Disfunzione diastolica di 1°


grado). E’ evidente un rapporto E-A inferiore a 1, ed un tempo di decelerazione dell’onda E (DT) = 240
mm/sec

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70 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Con il progredire della disfunzione diastolica, la pressione atriale sinistra aumenta, aumentando a sua volta
il gradiente pressorio attraverso la valvola mitrale. A questa mutata situazione emodinamica si accompagna
un graduale incremento della velocità dell’onda E ed una ridotta durata dell’effettivo rilasciamento
ventricolare attivo: ne conseguono un accorciamento del tempo di decelerazione dell’onda E ed un
aumento del rapporto E/A. Negli stadi più avanzati della disfunzione, gli ulteriori incrementi delle pressioni
di riempimento, determinano più alti rapporti E/A e ad ancor più ridotti tempi di decelerazione dell’onda E

(Figura45).

Figura 45 Pattern flussimetrico transmitralico di tipo restrittivo (disfunzione diastolica di 3° grado) E’


evidente un rapporto E/A maggiore di 2 ed un tempo di decelerazione dell’onda E mitralica (DT) inferiore a
140 mm/sec.

DOPPLER A ONDA CONTINUA


Il trasduttore ha due cristalli: uno invia continuamente impulsi e l’altro li riceve sempre (Figura46).

Figura 46

Non esiste quindi il limite di Nyquist, e può essere misurata qualsiasi velocità. L’analisi viene effettuata
sull’intera linea del fascio ultrasonoro esplorante e non in un punto preciso come nel caso del Doppler
pulsato

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71 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

COLOR DOPPLER
Si basa sui principi del Doppler ad onda pulsata e misura le velocità in diversi punti per molteplici linee di
scansione su tutto il settore dell’immagine, al fine di creare una rappresentazione dinamica e spazialmente
corretta del sangue in movimento nel cuore e nei vasi. Usando speciali filtri, viene analizzata solo la velocità
del flusso ematico, che poi viene trasformata, mediante il confronto con linee adiacenti, (autocorrelazione)
in segnali colorati (Figura47).

Figura 47

I flussi in avvicinamento al trasduttore vengono codificati in rosso, quelli in allontanamento in blu


(Figura48, Figura49) e l’aliasing ha in genere un aspetto a mosaico di colore, caratterizzato dalla
commistione di pixel con colore e tonalità diverse in rapporto alla velocità e alla turbolenza del flusso (ECO
02, ECO 08). L’Ecocardiogramma Color Doppler è estremamente utile nell’identificare i rigurgiti valvolari
(ECO 06, ECO 08, ECO 18, ECO 24, ECO 35) o gli shunt intracardiaci (ECO 30, ECO 50), così come per
evidenziare il flusso turbolento attraverso valvole stenotiche (ECO 02,ECO 14)

IL CALCOLO DEI GRADIENTI


Una delle applicazioni più importanti dell’ecografia Doppler è rappresentata dal calcolo dei gradienti
pressori attraverso l’equazione di Bernoulli. Quest’ultima afferma che il gradiente di pressione attraverso
una stenosi è dovuto alla perdita di energia causata da tre fenomeni: accelerazione del flusso che
attraversa l’orifizio (accelerazione convettiva), intervento delle forze inerziali (accelerazione di flusso), e
resistenza al flusso all’interfaccia tra sangue ed orifizio (attrito viscoso). Pertanto il gradiente pressorio a

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72 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

livello di qualunque orifizio può essere calcolato come somma di queste tre variabili (Figura50).

Figura 50 Calcolo di un gradiente di pressione con l’Equazione di Bernoulli.

Nella maggior parte dei casi è possibile trascurare l’accelerazione di flusso e l’attrito viscoso, per cui il
gradiente pressorio può essere calcolato conoscendo la velocità del sangue prossimalmente all’orifizio
attraverso la formula:

gradiente = 4 x (velocità prossimale )2- (velocità di picco)2.

Se la velocità del sangue prossimalmente alla stenosi è ridotta (<1m/s) anche questa componente può
essere ignorata, per cui a formula diventa:

gradiente: 4 x velocità di picco2.

Tale metodo viene utilizzato per il calcolo dei gradienti in caso di stenosi mitralica, aortica (ECO 16, ECO 17)
o polmonare. Può essere applicato, se c’è insufficienza tricuspidale, per il calcolo della pressione sistolica in
arteria polmonare. La velocità del flusso di rigurgito tricuspidalico permette di calcolare il gradiente fra
ventricolo e atrio destro (Figura51); se a questo si aggiunge la pressione telediastolica in ventricolo destro,
che corrisponde alla pressione atriale destra, si ottiene la pressione arteriosa polmonare. La pressione in
atrio destro viene stimata indirettamente in base alle dimensioni della vena cava e al suo grado di

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73 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

collassabilità con l’inspirazione.

Figura 51 Calcolo del gradiente pressorio fra ventricolo e atrio destro attraverso la velocità del flusso di
rigurgito tricuspidale.

La formula per il calcolo della pressione in arteria polmonare è:

PAPS: 4 x (velocità del rigurgito attraverso la tricuspide)2+ pressione in atrio destro

Tale calcolo, tuttavia, non è possibile se è presente un ostacolo all’efflusso ventricolare destro, come in
presenza di stenosi valvolare polmonare.

ECOCARDIOGRAFIA TRANSESOFAGEA

L’ecocardiografia transesofagea studia il cuore attraverso l’esofago.


Il trasduttore è posto alla punta di una sonda flessibile che, introdotta attraverso l’orofaringe raggiunge la
parte medio-distale dell’esofago dove entra in diretto contratto con le strutture cardiache, permettendone
uno studio più completo ed accurato (Figura52, ECO 09, ECO 22, ECO 23, ECO 40, ECO 44, ECO 49). Non
necessita di anestesia ma solo di una blanda sedazione. Questa tecnica è particolarmente utile in caso di:

 Studio delle valvole native e delle valvole protesiche


 Sospetta endocardite
 Cardiopatie congenite
 Difetti interatriali
 Ricerca di fonti emboligene di natura cardica

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74 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

 NUOVE TECNOLOGIE

Negli ultimi anni l’ecocardiografia si è arricchita di tecniche in grado di effettuare una valutazione
quantitativa della funzione miocardia e di studiare fenomeni che si sviluppano anche all’interno del
miocardio. Una delle nuove tecniche è il Doppler Tissutale (Figura53), che studia le velocità
intramiocardiche.

Figura 53 Doppler tissutale (tissue Doppler inaging), con a destra schema.

Tuttavia, esso è influenzato dal movimento cardiaco globale, dalla rotazione cardiaca e dal trascinamento di
segmenti adiacenti. Da qui lo sviluppo di metodiche (Figura54) in grado di studiare la deformazione
miocardica regionale: lo Strain (quantità totale di deformazione,Figura55), lo Strain rate (la velocità con cui
la deformazione avviene) e lo Strain 2D (che non è una metodica Doppler dipendente e dunque è angolo-

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75 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

indipendente)

Figura 54

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76 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Figura 55

Altre metodiche sono il Backscatter Integrato (che analizza le variazioni della reflettività miocardica in
decibel ) e l’ Ecocontrastografia Miocardica (Figura56), che studia la cinetica delle microbolle del contrasto
ultrasonico a livello intramiocardico.
La più recente metodica ecocardiografica introdotta in Clinica è l’ecocardiografia tridimensionale (Eco 3D)
(Figura57,ECO 10, ECO 11)
L’eco 3D supera gli attuali limiti dell’ecocardiografia bidimensionale, permettendo un’analisi accurata e
riproducibile della morfologia e della funzione delle strutture cardiache.
I pricipali campi applicativi dell’Eco 3D sono: patologie valvolari, cardiopatie congenite, endocardite
infettiva, masse cardiache, cardiomiopatie

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107 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Capitolo 13
MALATTIA REUMATICA
Luigi Meloni, Massimo Ruscazio

DEFINIZIONE

La malattia reumatica è un processo morboso infiammatorio multifocale, a patogenesi autoimmune, che si


manifesta in seguito ad un’infezione faringea da streptococco emolitico del gruppo A. La malattia interessa
principalmente le articolazioni, il cuore, il sistema nervoso centrale, la cute e il sottocutaneo. Il 50 % circa
dei pazienti colpiti dalla malattia reumatica sviluppa negli anni un danno cardiaco permanente,
responsabile delle varie forme di valvulopatia reumatica cronica.

EPIDEMIOLOGIA

L’incidenza della malattia reumatica è diminuita drasticamente nei paesi industrializzati grazie soprattutto
alle migliorate condizioni socio-economiche e alla disponibilità della penicillina per il trattamento della
faringite streptococcica. La malattia è ancora presente in forma endemica nei paesi in via di sviluppo e tra
le popolazioni in cui sussistono condizioni ambientali e socio-sanitarie precarie.
Sebbene possa interessare tutte le fasce di età, la malattia reumatica colpisce principalmente i bambini e
gli adolescenti. La prevalenza della valvulopatia reumatica, al contrario, aumenta con l’età e raggiunge un
picco tra i 25 e i 34 anni.

PATOGENESI

La faringo-tonsillite da streptococco emolitico del gruppo A, non adeguatamente trattata con antibiotici, è
l’evento che precipita la malattia reumatica.
La malattia reumatica è considerata il risultato di una esagerata risposta immunitaria alle componenti
antigeniche dello streptococco. Le similitudini molecolari e immunologiche tra gli antigeni batterici e i
tessuti dell’organismo (mimetismo antigenico) sarebbero poi responsabili della successiva risposta crociata
di tipo autoimmune che scatena l’attacco acuto di malattia reumatica (Figura 13.1). L’interesse nei
confronti della patogenesi autoimmune è riemerso recentemente con la dimostrazione che diversi antigeni
della superficie batterica condividono affinità strutturali con le componenti tessutali degli organi e dei
sistemi coinvolti nella malattia reumatica. L’acido ialuronico contenuto nella capsula dello streptococco
possiede una struttura chimica identica a quella dell’acido ialuronico presente nel tessuto articolare
dell’uomo. Un’altra componente della parete cellulare dello streptococco, la N-acetilglucosamina, si
ritrova in alte concentrazioni nelle valvole cardiache; gli anticorpi diretti contro la proteina-M della
membrana cellulare batterica interagiscono anche con la miosina cardiaca; altre proteine umane, la
vimentina (tessuto sinoviale) e la cheratina (tessuto cutaneo), mostrano una reattività crociata con la
proteina-M streptococcica. Infine, esistono evidenze a sostegno dell’affinità strutturale tra gli elementi
somatici dello streptococco e alcune componenti del tessuto nervoso dell’uomo (gangliosidi). Pertanto, i
principali quadri clinici associati alla malattia reumatica sarebbero espressione di un danno infiammatorio
locale, indotto da una abnorme risposta immunologica di tipo crociato.

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108 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Figura 13.1

ANATOMIA PATOLOGICA

Sul versante istopatologico, la fase acuta della malattia si caratterizza per una reazione essudativa e
proliferativa del tessuto connettivo. La cardite reumatica è una vera e propria pancardite perché interessa
l’endocardio, il miocardio e il pericardio. Nel miocardio si osserva edema ed infiltrazione cellulare del
tessuto interstiziale con frammentazione delle fibre collagene (miocardite). Successivamente, nella fase
proliferativa compaiono i noduli di Aschoff (Patologia 07), lesioni granulomatose patognomoniche della
malattia, riscontrabili anche nelle valvole cardiache e nel pericardio. Si riscontra una pericarditedi tipo
sierofibrinoso che si risolve solitamente senza complicazioni. La componente più significativa del danno
cardiaco è l’infiammazione delle valvole cardiache (valvulite), responsabile della manifestazione clinica più
importante dell’attacco acuto di malattia reumatica, l’insufficienza valvolare. La valvulite reumatica
colpisce prevalentemente la valvola mitrale e la valvola aortica, raramente la valvola tricuspide e quasi mai
la valvola polmonare. Il tessuto valvolare è interessato da edema ed infiltrazione cellulare. Si possono
osservare piccole formazioni verrucose sulla superficie valvolare, in prossimità delle aree di coaptazione
dei lembi valvolari (Patologia 40). Il processo cicatriziale della valvulite porta lentamente, negli anni, a
fibrosi dei lembi e a fusione delle commissure e delle corde tendinee, a cui corrispondono sul piano
funzionale stenosi o insufficienza valvolare
(valvulopatia reumatica).
Pertanto, il coinvolgimento del cuore durante la fase attiva della malattia reumatica (cardite reumatica),
deve essere distinto dal danno valvolare residuo che fa seguito alla risoluzione dell’episodio acuto
(valvulopatia reumatica).

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109 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Patologia 07. Granuloma di Aschoff nel miocardio in soggetto con miocardite reumatica.

Patologia 40. Endocardite reumatica:

-valvulite verrucosa tipica;

-istologia delle vegetazione trombotica antibatterica.

MANIFESTAZIONI CLINICHE

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110 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Dal quadro clinico della malattia emergono 5 elementi fondamentali per la diagnosi: la cardite,
la poliartrite, la corea, l’eritema marginato e i noduli sottocutanei. Questi elementi possono
presentarsi singolarmente o in combinazione tra loro e costituiscono nel loro insieme i
cosiddetti criteri maggiori di Jones. Altri reperti, come la febbre, le artralgie, la positività dei test
ematochimici di flogosi acuta, l’allungamento dell’intervallo PQ all’ECG, sono considerati invece
manifestazioni minori della malattia (Tabella I).

Secondo lo schema proposto da Jones, la presenza di 2 manifestazioni maggiori oppure di una


manifestazione maggiore e 2 minori in un paziente con evidenza di infezione streptococcica recente
(positività del tampone faringeo, titolo antistreptolisinico elevato) indica un’alta probabilità di malattia
reumatica acuta.
Il periodo di latenza tra la faringite streptococcica e l’inizio dei sintomi varia da 1 a 5 settimane. Nel 75 %
dei casi, la febbre e la poliartrite rappresentano i segni clinici iniziali dell’attacco di malattia reumatica.
L’artrite interessa prevalentemente le grandi articolazioni degli arti (ginocchia, gomiti, polsi e anche) in
modo asimmetrico e migrante, risponde prontamente all’aspirina e si risolve senza reliquati. A differenza
dell’artrite reumatoide, sono risparmiate le piccole articolazioni delle mani e dei piedi. Al quadro clinico
della poliartrite si sovrappone spesso quello della cardite, e in generale la gravità dei sintomi articolari è
inversamente proporzionale all’interessamento cardiaco: nei pazienti con forme gravi di artrite, le
manifestazioni cliniche della cardite tendono ad essere attenuate e viceversa.
La cardite, presente nel 50% circa dei pazienti con malattia reumatica acuta, è associata quasi sempre ad
un soffio cardiaco secondario alla valvulite. Il reperto ascoltatorio più frequente è un soffio olosistolico
apicale di insufficienza mitralica, ad alta frequenza, irradiato all’ascella. Il soffio dell’insufficienza valvolare
aortica, se presente, si associa quasi sempre a quello dell’insufficienza mitralica.
Le ripercussioni emodinamiche della valvulite sono di entità variabile. Nelle forme più gravi di insufficienza
mitralica, compaiono i segni e i sintomi dello scompenso cardiaco. Tuttavia più spesso, gli effetti acuti della
valvulite sono poco rilevanti sul piano clinico, e talora può essere difficile, all’ascoltazione cardiaca, cogliere
i segni delle lesioni valvolari. In questi casi, l’indagine ecocardiografica, coadiuvata dall’esame color
Doppler, può essere utile per confermare il sospetto di malattia reumatica.
La pericardite è confermata daglili sfregamenti pericardici e dal rilievo ecocardiografico di versamento
pericardico. L’interessamento flogistico del tessuto miocardico (miocardite) e del pericardio
(pericardite) non compare mai isolatamente, ma è sempre associato alle manifestazioni della valvulite.

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111 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Pertanto, un quadro clinico di pericardite o di miocardite con disfunzione sistolica del ventricolo sinistro
difficilmente potrà avere una patogenesi reumatica se l’ascoltazione cardiaca e l’ecocardiogramma
escludono la presenza di un’insufficienza della valvola mitrale o aortica.
La corea, secondaria all’interessamento flogistico del sistema nervoso centrale, è la terza manifestazione
clinica della malattia reumatica (15-30 % dei casi). Chiamata anche corea di Sydenham o ballo di San Vito,
esordisce più tardivamente, quando le altre manifestazioni della malattia sono scomparse o in via di
risoluzione, e si caratterizza per la presenza di movimenti irregolari e involontari, senza finalità, che
scompaiono con il sonno e con la sedazione. I sintomi neurologici hanno una durata variabile e, in genere, si
risolvono spontaneamente.
Le manifestazioni cutanee della malattia reumatica sono decisamente più rare (meno del 10% dei casi).
I noduli sottocutanei compaiono a distanza di diverse settimane dalla cardite, si localizzano in
corrispondenza delle articolazioni principali e delle prominenze ossee, sono indolori, mobili e si risolvono
spontaneamente. L’eritema marginato è un rash cutaneo caratterizzato da margini rosati e serpiginosi che
circoscrivono aree centrali di aspetto normale. Si osserva prevalentemente sul tronco e sulle porzioni
prossimali degli arti, migra da una sede all’altra e non risponde alla terapia antinfiammatoria.

ESAMI DI LABORATORIO

La diagnosi di malattia reumatica è spesso difficile per la variabilità del quadro clinico e per la mancanza di
un test diagnostico sicuro e definitivo.
Gli indici di flogosi appaiono costantemente alterati nella fase acuta della malattia. La velocità di
eritrosedimentazione (VES) e la proteina-C reattiva (PCR) sono marcatori affidabili, ma aspecifici, della
risposta autoimmune e dell’infiammazione associata alla cardite o alla poliartrite.
In tutti i casi di sospetta malattia reumatica è indispensabile documentare, ai fini diagnostici, una recente
infezione streptococcica (vedi criteri di Jones). I test più utilizzati sono la ricerca di anticorpi diretti contro
alcune componenti dello streptococco (streptolisina O, desossoribonucleasi B) e l’esame colturale faringeo
(tampone faringeo).
La positività del tampone faringeo deve essere interpretata con cautela perché molti individui normali
possono ospitare streptococchi del gruppo A nelle vie aeree superiori. D’altra parte, la negatività
dell’esame colturale non permette di escludere in modo assoluto un episodio antecedente di infezione
streptococcica. L’aumento del titolo anticorpale antistreptococcico, specie se progressivo, è invece un
reperto provvisto di maggiore affidabilità nell’evidenziare una recente infezione streptococcica. A tal
proposito, giova ricordare che il titolo antistreptolisina O (ASLO) e antidesossiribonucleasi aumenta entro 1
mese dall’inizio dell’infezione streptococcica, raggiunge un plateau per 3-6 mesi, quindi si riduce
progressivamente.
Oltre alla tachicardia sinusale, l’ECG può mostrare un BAV di I grado(PQ allungamento fisso), secondario
all’infiammazione dei tessuti perinodali. Il BAV non è da solo diagnostico di cardite reumatica (Tabella I),
non influisce sulla prognosi né predice lo sviluppo di sequele valvolari (valvulopatia reumatica).

DECORSO E PROGNOSI

La malattia si risolve spontaneamente entro 3 mesi dall’esordio acuto. Sebbene siano stati descritti casi
isolati di edema polmonare acuto fulminante, la mortalità della fase acuta è bassa e la prognosi dipende
fondamentalmente dalla gravità delle lesioni valvolari che fanno seguito al primo episodio della malattia
reumatica e/o alle recidive.
La malattia reumatica tende a recidivare. I pazienti che hanno sofferto di un precedente attacco di malattia
reumatica e che sviluppano successivamente nuovi episodi di faringite streptococcica sono ad alto rischio
di una recidiva della malattia. L’infezione streptococcica ricorrente, specie se sostenuta da ceppi virulenti,

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112 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

riattiva la risposta autoimmune dell’organismo, favorendo così l’instaurarsi o il peggioramento del danno
anatomico valvolare (Figura 13.1).

CENNI DI TERAPIA E PREVENZIONE

Non esiste un trattamento specifico della malattia reumatica. Gli agenti anti-infiammatori sopprimono
rapidamente il dolore articolare e altri segni e sintomi della flogosi acuta, ma non curano la malattia né
prevengono la sua successiva evoluzione. Anche la terapia antibiotica con penicillina, obbligatoria nella fase
acuta per sradicare l’infezione streptococcica, non modifica il decorso dell’attacco acuto della malattia
reumatica né impedisce lo svilupparsi della cardite.
L’aspirina ad alte dosi è indicata nella poliartrite acuta, mentre l’impiego dei corticosteroidi è riservato ai
casi con cardite grave complicata da insufficienza cardiaca.

PREVENZIONE
La prevenzione primaria della malattia reumatica acuta si identifica nella diagnosi precoce e nel
trattamento antibiotico della faringo-tonsillite streptococcica. Il trattamento antibiotico se tempestivo e
mirato (penicillina) elimina quasi completamente il rischio di malattia reumatica.
La prevenzione secondaria è rivolta agli individui che hanno già avuto un attacco documentato di malattia
reumatica acuta o che soffrono di recidive dopo un’infezione streptococcica. Il caposaldo è rappresentato
dalla profilassi antibiotica continua delle recidive di infezione streptococcica, potenzialmente capaci di
innescare nuovi attacchi di malattia reumatica. La profilassi antimicrobica continua è necessaria perché il
trattamento antibiotico di una nuova infezione streptococcica, anche se ottimale, non protegge il paziente
con precedenti anamnestici di malattia reumatica dal rischio di una recidiva reumatica.
Lo schema terapeutico più efficace è costituito dalla benzilpenicillina somministrata in dose singola per via
intramuscolare ogni 4 settimane. La durata della profilassi antibiotica deve essere adattata nel singolo
paziente a seconda del rischio di recidiva. Il rischio di ricorrenze reumatiche diminuisce con l’aumentare
dell’età e con l’aumentare del tempo trascorso dall’ultimo attacco. I pazienti che non sviluppano la cardite
durante il loro primo attacco sono meno esposti al rischio di recidive reumatiche, e quando queste si
verificano hanno minori probabilità di manifestare una cardite. I pazienti che hanno sviluppato una cardite
nel corso dell’attacco acuto sono invece ad alto rischio di recidiva di cardite, con possibilità di ulteriore
danno valvolare in occasione di ogni ricorrenza (Figura 13.1).

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113 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Capitolo 14
STENOSI MITRALICA
Giuseppe Oreto, Francesco Saporito

DEFINIZIONE

La stenosi mitralica è una malattia caratterizzata da alterazioni della valvola mitrale (fusione e retrazione
delle corde, ispessimento e adesione dei lembi) che determinano una riduzione dell'area valvolare. La
valvola stenotica rappresenta un ostacolo al passaggio del sangue dall'atrio al ventricolo sinistro, per cui la
pressione atriale sinistra aumenta, e tale aumento si riflette a monte sul circolo polmonare, ed infine sul
ventricolo destro.

EZIOLOGIA

La malattia reumatica rappresenta la più importante e pressoché l'unica causa di stenosi mitralica. Per
quanto, infatti, esistano forme congenite di stenosi mitralica, i casi ad eziologia non reumatica sono
talmente rari da risultare trascurabili. La malattia reumatica consegue ad infezione da streptococco ß-
emolitico del gruppo A, agente responsabile di infezioni spesso localizzate nelle tonsille; qualche settimana
dopo l’inizio del processo infettivo compaiono, nelle forme tipiche, manifestazioni infiammatorie a carico di
numerosi organi, comprendenti le grandi articolazioni, il cuore e il rene. Tali alterazioni non dipendono da
localizzazione dello streptococco negli organi bersaglio, ma conseguono ad un processo autoimmunitario. Il
cuore viene solitamente interessato in toto, e si manifesta un’endocardite associata spesso a miocardite e
pericardite.

ANATOMIA PATOLOGICA

Il reperto anatomico prevalente durante la fase acuta dell'endocardite reumatica è rappresentato da piccoli
noduli verrucosi osservabili lungo la linea di chiusura dei foglietti, sul versante atriale di essi. Queste
formazioni infiammatorie scompaiono con la risoluzione del processo carditico, ed occorrono diversi anni
prima che si determinino le alterazioni caratteristiche della stenosi mitralica. Al danno valvolare iniziale
segue un'alterazione del flusso transvalvolare, che determina nel tempo ispessimento, fibrosi, saldatura e
calcificazione dei lembi e dell'apparato sottovalvolare. In altri termini, la lesione reumatica iniziale avvia un
processo automatico di lenta e graduale alterazione della valvola; il trauma provocato dal flusso turbolento
rappresenta verosimilmente il principale responsabile delle lesioni evolutive.
La valvola mitrale stenotica presenta corde fuse e retratte, mentre i foglietti sono ispessiti e parzialmente
aderenti fra loro, nella maggior parte dei casi coesistono calcificazioni sia dei lembi che delle corde
(Figura 14.1, Patologia 08, Patologia 09). L'area valvolare, che nel normale misura da 4 a 6 cm2, è più o
meno significativamente ridotta sia per l'adesione dei foglietti che per l'obliterazione dei cosiddetti «orifici
secondari» (gli spazi compresi fra le corde tendinee), conseguente alla fusione delle corde. Nel complesso,
la valvola stenotica ha un aspetto a imbuto con la base rivolta verso l'atrio, che si presenta dilatato e
spesso sede di trombi, particolarmente a livello dell'auricola. Le vene polmonari sono dilatate e possono
coesistere alterazioni ostruttive delle arteriole polmonari, caratterizzate da iperplasia della media e
dell'intima. In diversi casi si rileva dilatazione del ventricolo e dell'atrio destro, e segni di stasi venosa
sistemica cronica, particolarmente a carico del fegato. Queste modificazioni portano all'ipertensione
polmonare, che induce sovraccarico e dilatazione del ventricolo destro, insufficienza tricuspidale, ed infine
scompenso congestizio.
114 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Figura 14.1 Valvola mitrale con stenosi reumatica: si osservi la grave riduzione dell’orifizio per fusione delle commissure nonché
l’ispessimento e la calcificazione dei lembi. (Immagine gentilmente concessa dal Prof. Gaetano Tiene)

Patologia 08. Stenosi mitralica da valvulopatia reumatica cronica. Si noti l’ispessimento dei lembi e la fusione delle commessure con
focale trombosi dell’endocardio valvolare e apparato sottovalvolare pressoché indenne.

Patologia 09. Stenosi mitralica da valvulopatia reumatica cronica valvolare e sottovalvolare:

-rappresentazione schematica della fusione dell’apparato sottovalvolare mitralico;

-corrispondente immagine anatomica.

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115 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

FISIOPATOLOGIA

Quando l'area valvolare mitralica si riduce, la progressione del sangue dall'atrio al ventricolo sinistro è in
qualche modo ostacolata. Per consentire un normale riempimento ventricolare durante la diastole diventa
allora necessario un aumento della pressione atriale, così che il sangue riesca a passare dall'atrio al
ventricolo nonostante l'impedimento rappresentato dalla valvola stenotica. Nel normale non esiste alcuna
differenza significativa fra la pressione diastolica del ventricolo sinistro e quella vigente in atrio sinistro
(Figura 14.2 A ). Il flusso diastolico atrioventricolare, infatti, avviene senza un'apprezzabile differenza di
pressione fra le due camere perché la valvola mitrale normale non offre alcuna resistenza alla progressione
del sangue. Nella stenosi mitralica, invece, si realizza per tutta la fase diastolica un gradiente di pressione
fra atrio e ventricolo sinistro, ed è in virtù di questo gradiente che il flusso può essere mantenuto (Figura
14.2 B ).

Figura14. 2 Curve pressorie simultanee nell’atrio (in azzurro) e nel ventricolo sinistro (in rosso). In A (condizione normale) non è
presente alcun gradiente pressorio, durante la diastole, fra l’atrio e il ventricolo, mentre in B” (Stenosi mitralica) la pressione atriale
è aumentata, ed è presente un gradiente atrio-ventricolare (area grigia) per tutta la durata della diastole.

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116 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

L’entità del gradiente transvalvolare dipende da due fattori: l'area mitralica e la velocità del flusso
attraverso la valvola. Quanto minore è la superficie valvolare e quanto maggiore è la velocità del flusso,
tanto più elevato sarà il gradiente. L'area valvolare misura nel normale da 4 a 6 cm2; la riduzione di essa
fino a 2,5 cm2 non comporta alterazioni emodinamiche di rilievo. In rapporto all'entità della riduzione
dell'area valvolare, si definisce la stenosi lieve quando l’area è compresa tra 2,5 e 1,5 cm2, moderata se
l’area è tra 1,5 e 1 cm2, e severa (serrata) se l'area è minore di 1 cm2.
La velocità del flusso attraverso la valvola è in relazione diretta con la portata cardiaca e la frequenza.
Aumentando la portata, infatti, una maggior quantità di sangue deve attraversare l'orificio valvolare
nell'unità di tempo, per cui è richiesta una maggiore velocità di flusso. Invece la tachicardia incrementa la
velocità di flusso, poiché aumentando la frequenza cardiaca si riduce la durata della diastole, cioè il tempo
disponibile per il passaggio del sangue dall'atrio al ventricolo.*
Più è breve il periodo diastolico, maggiore deve essere la velocità del flusso per permettere ad una
determinata quantità di sangue di attraversare l'ostio valvolare stenotico.
L’aumento della pressione atriale sinistra genera un incremento pressorio a monte, cioè in tutte le
sezioni del circolo polmonare: vene, venule, capillari, arteriole, arterie. L’anello più debole di questa
catena è il capillare; quando la pressione s’incrementa oltre 25 mm Hg, viene superata la capacità che le
proteine plasmatiche hanno di trattenere i fluidi all’interno del vaso (pressione oncotica), e inizia la
trasudazione: il liquido invade dapprima l’interstizio polmonare e successivamente l’alveolo, generando
disturbi respiratori che vanno dalla dispnea da sforzo fino all’edema polmonare acuto.
In molti soggetti con stenosi mitralica lieve o moderata, la pressione nell’arteria polmonare non è di solito
molto elevata a riposo, e l'incremento di essa è direttamente correlato all'aumento della pressione
capillare. In alcuni pazienti, invece, la pressione in arteria polmonare è molto più alta di quanto ci si
aspetterebbe in base alla pressione vigente in atrio sinistro, per via di un incremento delle resistenze
precapillari (arteriolari) polmonari: in casi del genere è possibile riscontrare in arteria polmonare pressioni
elevate fino a 100 mm Hg o più. In una fase precoce della malattia, questa ipertensione polmonare
dipende da vasocostrizione delle arteriole polmonari, ed è perciò un fenomeno funzionale, ma
successivamente consegue ad alterazioni anatomiche obliterative del letto vascolare polmonare
(vasculopatia polmonare).
Lo sviluppo dell'ipertensione polmonare modifica il quadro della stenosi mitralica: un eccessivo carico di
pressione grava sul ventricolo destro, che non è assuefatto a lavorare contro elevate resistenze, e per
sopperire al maggior lavoro si ipertrofizza e quindi si dilata. Alla dilatazione ventricolare consegue
insufficienza tricuspidalica, dilatazione dell'atrio destro e congestione venosa sistemica. In questa
situazione, la presenza di un significativo ostacolo al deflusso ventricolare destro (aumento delle
resistenze precapillari) riduce la portata cardiaca, ed impedisce il raggiungimento di una pressione
capillare troppo elevata. Di conseguenza il paziente andrà incontro meno facilmente a dispnea da sforzo
ed edema polmonare acuto (fenomeni dipendenti dall'ipertensione capillare), mentre prevarranno i segni
della ridotta gittata (astenia) e le manifestazioni della stasi venosa sistemica (turgore giugulare,
epatomegalia, edemi declivi, ascite).

(* La durata della fase sistolica è fissa (intorno a 0,3 secondi) e indipendente dalla frequenza cardiaca.
Perciò per una frequenza cardiaca di 60 al minuto ciascun ciclo cardiaco dura 1 secondo (0,3 secondi di
sistole e 0,7 secondi di diastole): la durata complessiva della diastole sarà, perciò, 0,42 secondi. Se la
frequenza si raddoppia (120/m’) ciascun ciclo durerà 0,5 secondi (0,3 secondi di sistole e 0,2 di diastole),
per cui la durata della diastole sarà 0,24 secondi.)

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117 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Figura 14.3 Regime pressorio nelle varie sezioni dell’apparato cardiocircolatorio in condizioni normali (A), nella stenosi mitralica (B)
e nella stenosi mitralica con vasculopatia polmonare (C). Nello schema B la valvola mitrale è fortemente ispessita e aumenta la
pressione in atrio sinistro e nel circolo polmonare. Nello schema C coesistono alterazioni obliterative del letto vascolare polmonare
(ispessimento della parete delle arteriole) che induce aumento della pressione arteriosa polmonare.

SINTOMI

I sintomi più precoci e più evidenti di stenosi mitralica sono quelli determinati dalla congestione
polmonare: dispnea da sforzo, ortopnea, dispnea parossistica notturna, edema polmonare acuto. Tutte
queste manifestazioni dipendono da ipertensione capillare polmonare, con trasudazione di liquido
nell’interstizio e negli alveoli. Quando la capacità del sistema linfatico di drenare il trasudato diventa
insufficiente, si determina la congestione polmonare. La compliance polmonare è allora ridotta, ed il lavoro
respiratorio aumenta, cosicché il soggetto va incontro a dispnea, particolarmente quando si trova in
posizione supina. La trasudazione massiva di liquido negli alveoli provocata da un improvviso aumento
della pressione capillare è responsabile dell'edema polmonare; questa manifestazione viene spesso
scatenata da incremento della portata e/o della frequenza cardiaca (fibrillazione atriale parossistica,
malattie febbrili acute, interventi chirurgici, gravidanza, etc.).
Un altro sintomo con cui può presentarsi la stenosi mitralica è l'emoftoe, la quale dipende da ipertensione
nelle vene bronchiali: le comunicazioni fra sistema venoso polmonare e sistema venoso bronchiale fanno sì
che l'aumento pressorio nelle vene polmonari si rifletta anche sulle vene bronchiali, nelle quali possono
determinarsi piccole dilatazioni, la cui rottura produce emissione attraverso la bocca di sangue proveniente
dalle vie respiratorie. La congestione delle vene bronchiali, con la conseguente iperemia della mucosa
bronchiale è anche responsabile dell'iperproduzione di muco, da cui deriva la suscettibilità alla bronchite
dei pazienti con stenosi mitralica.
Il decorso della malattia è pressoché inevitabilmente caratterizzato dall'insorgenza della fibrillazione
atriale. L'aritmia consegue alla dilatazione dell'atrio sinistro ed alle alterazioni strutturali della parete
atriale, consistenti in un aumento del connettivo fino alla fibrosi. La disorganizzazione della muscolatura
118 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

atriale che ne deriva si traduce in disomogeneità dei periodi refrattari: un impulso prematuro in fase
vulnerabile può, perciò, scatenare la fibrillazione atriale. L'aritmia può avere inizialmente andamento
parossistico, e in questo caso è responsabile di palpitazioni, ma poi diviene cronica. L'insorgenza della
fibrillazione atriale è legata alle dimensioni dell'atrio sinistro, e dipende anche dall’età: l'aritmia è più
frequente quando l'atrio è dilatato e nei pazienti in cui la malattia dura da maggior tempo.
Alla fibrillazione atriale è legata anche l'embolia sistemica, la quale consegue a formazione di trombi
parietali in atrio sinistro, specialmente nell’auricola, con successiva immissione di materiale trombotico nel
circolo sistemico. L'embolia non è correlata con la gravità della stenosi, potendosi osservare anche nelle
forme lievi, e rappresenta a volte la prima manifestazione della malattia. Nel 50-75% dei casi la
localizzazione dell'embolo è nelle arterie cerebrali.

SEGNI CLINICI

I pazienti con stenosi mitralica rilevante e bassa portata cardiaca possono presentare la cosiddetta «facies
mitralica», caratterizzata da cianosi alle labbra con rossore ai pomelli.

Il quadro ascoltatorio comprende un soffio a rullo di tamburo con schiocco d'apertura mitralico
protodiastolico, (Figura 14.4 A); in presenza di ipertensione polmonare importante, il II tono può essere
aumentato d’intensità. Si tratta di un soffio a bassa frequenza, che viene denominato “rullio” perché
ricorda il rullare di un tamburo. Il rinforzo presistolico del soffio è dovuto all’aumento del flusso
transvalvolare causato dalla contrazione dell’atrio; poiché nella fibrillazione atriale l’attività meccanica
dell’atrio è praticamente assente, con l’insorgenza dell’aritmia scompare il rinforzo presistolico del soffio
della stenosi mitralica. Alcuni o anche tutti i segni ascoltatori caratteristici della stenosi mitralica possono
non essere apprezzabili: il segno ascoltatorio più importante per la diagnosi clinica di stenosi mitralica è lo
schiocco d'apertura protodiastolico, il timbro a tonalità elevata, la sede di ascoltazione alla punta ed al
mesocardio.
Nei pazienti con scompenso del ventricolo destro, infine, si manifestano i caratteristici segni della
congestione venosa sistemica, rappresentati da edemi declivi, epatomegalia, ascite, idrotorace, ecc.

Figura 14.4 Quadro ascoltatorio nella stenosi mitralica. A: Ritmo sinusale. B: Fibrillazione atriale. I: primo tono. II: secondo tono.
A2: componente aortica del secondo tono. P2: componente polmonare del secondo tono. SAM: schiocco d’apertura della mitrale.
Rullio: soffio diastolico.
119 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

DIAGNOSTICA STRUMENTALE

Nei pazienti con stenosi mitralica l'Elettrocardiogramma mostra i segni dell'ingrandimento atriale
sinistro, fra i quali spicca l’onda P mitralica bifida, con durata aumentata ( 0.11 sec) (Figura 14.5);nei
soggetti con ipertensione polmonare si può anche riscontrare il quadro elettrocardiografico dell'ipertrofia
ventricolare destra.

Figura 14.5 Elettrocardiogramma caratteristico di stenosi mitralica. Le onde P sono bifide in DII e in V2, mentre in V1 la P è
difasica positivo/negativa con componente negativa ampia e rallentata. Il quadro è indicativo di ingrandimento atriale sinistro (Vedi
Capitolo).

L'esame radiologico fornisce una serie di elementi caratteristici, fra i quali particolarmente importanti
sono i segni di ingrandimento dell'atrio e dell'auricola sinistra, e quelli che testimoniano le modificazioni
del circolo polmonare. L'Ecocardiografia ha rivoluzionato la diagnostica della stenosi mitralica:
l'ecocardiogramma bidimensionale permette non solo un'accurata valutazione dell’anatomia e del
movimento valvolare (Figura 6, Figura 7), ma anche lo studio dell'apparato sottovalvolare ed il calcolo
dell'area mitralica; l'ecocardiogramma Doppler (Figura 8) fornisce dati emodinamici riguardanti sia il
gradiente pressorio attraverso la valvola che l'area valvolare, ed anche informazioni indirette sulla
pressione polmonare; l’ecocardiogramma tridimensionale, di recente introduzione, consente una visione
quasi «anatomica» della mitrale; l’ecocardiogramma transesofageo, eseguito collocando il transduttore
nell’esofago, in immediata prossimità del cuore, senza l’interposizione del tessuto polmonare, che rende
difficile il passaggio degli ultrasuoni, consente di studiare la morfologia valvolare nei dettagli e di analizzare
anche parti del cuore di difficile approccio con la tecnica transtoracica. Nei pazienti con stenosi mitralica,
l’esplorazione transesofagea può svelare la presenza di trombi in atrio, particolarmente nell’auricola,
elemento che riveste grande rilevanza clinica perché è associato ad elevato rischio di embolia
sistemica. Il cateterismo cardiaco fornisce numerosi dati fisiopatologici, in particolare l’area valvolare, il
gradiente transvalvolare (Figura 14.2), e la pressione polmonare; questi parametri, tuttavia, possono essere
ottenuti anche attraverso metodiche non invasive, per cui in molti pazienti, soprattutto giovani, il
cateterismo cardiaco non è indispensabile per stabilire l'indicazione all'intervento, e neppure per
determinare il tipo di intervento da preferire. Il cateterismo conserva, tuttavia, ancora un ruolo molto
importante nei pazienti con stenosi mitralica, per la possibilità di eseguire una valvuloplastica
tranacatetere.

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120 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

CENNI DI TERAPIA

Il trattamento dei pazienti con stenosi mitralica può essere farmacologico, cardiologico interventistico o
chirurgico.
La terapia farmacologica della stenosi mitralica si basa sui seguenti principi: 1) profilassi delle recidive di
reumatismo; 2) prevenzione delle embolie sistemiche; 3) terapia della fibrillazione atriale; 4)
mantenimento di una frequenza ventricolare accettabile in presenza di fibrillazione atriale cronica; 5)
terapia dei disturbi legati alla congestione venosa polmonare.
La profilassi delle recidive di reumatismo prevede la somministrazione prolungata di antibiotici e
antinfiammatori. La prevenzione delle tromboembolie sistemiche va effettuata nei pazienti con atrio
sinistro dilatato e in tutti quelli con fibrillazione atriale. I farmaci di scelta sono gli anticoagulanti orali
dicumarolici.
Se insorge la fibrillazione atriale, è opportuno tentare di ripristinare il ritmo sinusale somministrando
farmaci antiaritmici, o, in alternativa, con la cardioversione elettrica. Restaurato il ritmo sinusale, si può
eventualmente proseguire un trattamento profilattico a lungo termine con farmaci antiaritmici, per evitare
possibili recidive. Se l’insorgenza della fibrillazione non è recentissima, la cardioversione deve essere
preceduta da una valutazione dell'atrio sinistro, e in particolare dell’auricola, mediante ecocardiografia
transesofagea, perché la presenza di trombosi atriale controindica qualunque manovra volta a convertire la
fibrillazione, per il rischio che, al ripristino del ritmo, si verifichi un’embolia. Se la fibrillazione dura da
diversi giorni o mesi, è necessario un lungo periodo di anticoagulazione (almeno 1 mese) prima di
procedere alla cardioversione.
Nei pazienti con fibrillazione atriale cronica è spesso necessaria una terapia volta a mantenere una
frequenza cardiaca non troppo elevata; per questo scopo viene spesso utilizzata la digitale, oppure i ß-
bloccanti o i calcioantagonisti. Questi farmaci aumentano il periodo refrattario del nodo A-V, diminuendo
la risposta ventricolare alla fibrillazione atriale, cioè il numero di impulsi atriali che raggiungono i ventricoli.
In casi particolari, nei quali risulti impossibile ottenere con i farmaci un accettabile controllo della
frequenza ventricolare, si può eseguire l’ablazione del nodo A-V associata all’impianto di un pacemaker
ventricolare. L’ablazione si ottiene erogando, attraverso un apposito elettrocatetere, energia a
radiofrequenza in corrispondenza del nodo: l’energia aumenta la temperatura del tessuto, provocando una
lesione irreversibile cui consegue il blocco A-V; l’attivazione dei ventricoli diviene così indipendente da
quella degli atri, governata solo dal pacemaker artificiale o da un segnapassi di scappamento posto a valle
del blocco.
I sintomi legati a congestione polmonare (dispnea, ortopnea, edema polmonare acuto) vanno trattati con i
diuretici e la limitazione dell’apporto dietetico di sodio. I pazienti che presentano questi disturbi, tuttavia,
sono quasi sempre in III classe NYHA, per cui vanno quasi sempre avviati alla terapia chirurgica o alla
valvuloplastica percutanea. Questo intervento si esegue inserendo nell’atrio destro attraverso la vena
femorale un catetere con palloncino: dopo puntura del setto interatriale, eseguita con apposito ago, il
catetere viene spinto per via transettale in atrio sinistro ed attraversa la valvola mitrale, in maniera tale che
il palloncino si trovi a cavallo della valvola. Gonfiando quindi ripetutamente il palloncino per brevi periodi si
esercita sui lembi della valvola stenotica una pressione sufficiente a separarne i foglietti, fusi in
corrispondenza delle commissure, così da ridurre significativamente l’ostacolo al flusso ematico.
La stenosi mitralica può essere corretta chirurgicamente sia mediante un intervento conservativo
(commissurotomia) che sostituendo la valvola con una protesi. La commissurotomia viene ormai eseguita
in circolazione extracorporea, mentre l’intervento “a cielo coperto”, che si esegue senza arrestare il cuore,
è una procedura ormai non più impiegata.

(*Il trattamento interventistico prevede un intervento, cioè un’azione volta a modificare l’anatomia o
lastruttura del cuore; l’intervento viene, però, eseguito senza ricorrere alla chirurgia tradizionale, ma
agendosull’organo attraverso cateteri introdotti nel sistema vascolare e guidati fino al cuore sotto controllo
radioscopico o ecografico
122 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Capitolo 15
INSUFFICIENZA MITRALICA
Paolo Marino

DEFINIZIONE

L’insufficienza mitralica è una malattia caratterizzata da perdita della coordinazione di una o più delle
componenti (anulus, lembi valvolari, corde tendinee, muscoli papillari) dell’apparto valvolare, con esito in
imperfetto collabimento dei lembi in sistole. La valvola insufficiente comporta un reflusso di sangue, in
sistole, dal ventricolo all’atrio sinistro, capace di causare aumento della pressione atriale dipendente dalla
quantità di sangue rigurgitato e dalle caratteristiche fisiche della parete atriale. Se l’aumento della
pressione atriale non viene compensato da un corrispondente aumento di volume dell’atrio, l’ipertensione
si riflette a monte sul circolo polmonare ed infine sul ventricolo destro.

EZIOLOGIA

La degenerazione mixomatosa della valvola (nota anche con il termine di prolasso valvolare mitralico,
vedi più avanti) rappresenta la causa più frequente di insufficienza mitralica. Essa provoca incontinenza
poiché i lembi valvolari allungati e ridondanti protrudono eccessivamente all’interno dell’atrio sinistro
durante la sistole ventricolare, piuttosto che opporsi reciprocamente come fanno normalmente. La
malattia coronarica rappresenta un’altra causa importante di insufficienza mitralica, poiché può generare
disfunzione temporanea o permanente di un muscolo papillare, interferendo con la chiusura valvolare.
L’endocardite infettiva può causare insufficienza mitralica poiché l’infezione può indurre perforazione
valvolare o rottura delle corde infette. Anche la malattia reumatica rientra nell’eziopatogenesi
dell’insufficienza mitralica, se si accompagna ad eccessivo accorciamento e retrazione delle corde. Infine la
cardiomiopatia ipertrofica, malattia caratterizzata da un’abnorme ed asimmetrica ipertrofia ventricolare
(vedi Capitolo…), provoca una ostruzione dinamica endoventricolare cui corrisponde imperfetta chiusura
valvolare e significativa insufficienza mitralica.
Anche la significativa dilatazione ventricolare, comunque generata, può causare insufficienza mitralica
funzionale attraverso 2 meccanismi che interferiscono con la chiusura dei lembi valvolari: 1) la separazione
spaziale tra i due muscoli papillari è aumentata e 2) l’anulus mitralico è sovradisteso. Altra causa di
insufficienza mitralica è la calcificazione dell’anulus, che immobilizza la porzione basale dei lembi valvolari,
interferendo con la loro normale escursione e la coaptazione sistolica.

ANATOMIA PATOLOGICA

Nel prolasso valvolare mitralico le cuspidi sono iperdistese e le corde allungate. Nelle forme più gravi c’è
espansione dei lembi che assumono conformazione cupoliforme (Patologia 10). Vista dal lato atriale, la
valvola con degenerazione mixomatosa dimostra un variabile interessamento delle cuspidi: nella maggior
parte dei casi sono coinvolti uno o più segmenti del lembo posteriore o, meno frequentemente, entrambi i
foglietti. L’esame istologico rivela la sostituzione della struttura fibrosa con tessuto mixomatoso, ricco di
mucopolisaccaridi acidi e mastociti. La rottura delle corde (Patologia 11), nei pazienti affetti da
insufficienza mitralica, può essere il risultato dell’eccessivo stress meccanico a cui le stesse sono sottoposte
(come nel caso della degenerazione mixomatosa dei lembi) o la conseguenza di un insulto infettivo, come
nell’endocardite (Vedi Capitolo 34, Patologia 12). In questo caso, si possono anche notare lembi perforati e
frastagliati, con frequenti formazioni vegetanti. La calcificazione anulare rappresenta un’altra condizione
causa di insufficienza mitralica, con un’incidenza che tende ad aumentare con il crescere dell’età del
soggetto, ma che raramente si manifesta, macroscopicamente, prima dei 70 anni. La dilatazione anulare è
un’altra delle cause di insufficienza mitralica. Tale fenomeno può essere primario o secondario a condizioni
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123 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

di sovraccarico volumetrico. Infine, nei pazienti con un grave deficit ventricolare sinistro, il rigurgito
mitralico può essere presente indipendentemente dallo sfiancamento valvolare o da alterazioni dell’anulus.
In questi casi, la conformazione globosa del ventricolo sposta l’asse di trazione dei muscoli papillari rispetto
alle cuspidi (Figura 15.1); la correzione del deficit ventricolare comporta il recupero della conformazione
fisiologica che, a sua volta, ripristinando il normale asse di trazione, risolve il rigurgito.

Patologia 10. Insufficienza mitralica da degenerazione mixoide con prolasso dei lembi. Si noti la ridondanza del tessuto valvolare
(visione dall’altrio sinistro).

Patologia 11. Insufficienza mitralica da degenerazione mixoide con rottura spontanea di corde tendinee. Si notino il flail della
scallop centrale del lembo murale e le corde rotte (visione dall’atrio sinistro)

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124 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Patologia 12. Insufficienza mitralica acuta da endocardite infettiva ulcero-vegetante:

-rappresentazione schematica che evidenzia la perforazione e la rottura delle corde tendinee;

-reperto anatomico con ampia perforazione del lembo posteriore mitralico;

-evidenza di germi Gram positivi nella vegetazione settica.

Figura 15.1 Dilatazione del ventricolo sinistro, che assume una configurazione globosa, a causa della quale l’asse di trazione dei
muscoli papillari si sposta rispetto alle cuspidi, inducendo insufficienza mitralica.
125 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia
FISIOPATOLOGIA
Nell’insufficienza mitralica una frazione della gittata sistolica è eiettata, in via retrograda, nella cavità
atriale, la quale è una camera a bassa pressione (Figura 15.2). La gittata anterograda in aorta, perciò, risulta
minore della gittata ventricolare, costituita dalla somma della gittata anterograda normale più quella,
patologica, retrograda. All’insufficienza mitralica consegue un incremento della pressione e del volume
atriale sinistro, una riduzione della gittata anterograda in aorta ed un sovraccarico di volume ventricolare
poiché in diastole il volume rigurgitato ritorna in ventricolo assieme al sangue refluo proveniente dalle
vene polmonari. Per far fronte alla normale domanda ed espellere il volume addizionale, la gittata sistolica
ventricolare aumenta grazie al meccanismo di Frank-Starling dove l’aumentato stiramento miofibrillare,
causato dall’aumentato volume ventricolare in diastole, determina un aumento del volume eiettato.
Ovviamente, la conseguenza emodinamica dell’insufficienza mitralica varia a seconda della severità del
rigurgito e dalla sua durata nel tempo. L'entità del rigurgito dipende dalla dimensione dell’orifizio
rigurgitante in sistole, dal gradiente di pressione sistolico tra atrio e ventricolo sinistro e dalle Resistenze
periferiche che si oppongono alla gittata anterograda ventricolare. L’ipertensione o la presenza di una
coartazione aortica (stenosi dell'istmo aortico) aumenteranno le Resistenze periferiche e dunque la
frazione di rigurgito aumenterà. L’entità dell’incremento della pressione atriale sinistra in risposta al
volume rigurgitante dipende dalla compliance atriale sinistra (definibile come variazione di volume per
una data variazione in pressione). Nell’insufficienza mitralica acuta (dovuta, ad esempio, all’improvvisa
rottura di una corda) la compliance (distensibilità) atriale sinistra subisce un’improvvisa riduzione perché
l’atrio sinistro è una camera relativamente rigida, e l'improvviso rigurgito, e dunque l’aumento del volume
atriale si estrinseca con un importante aumento della pressione endocavitaria atriale (Figura 15.3).
Questo aumento in pressione contribuisce a prevenire l’ulteriore incremento del rigurgito, ma l’elevata
pressione atriale sinistra si trasmette alla circolazione polmonare, provocando rapida congestione fino
all’edema. Nell’insufficienza mitralica cronica il ventricolo accomoda gradualmente il sovraccarico
volumetrico grazie al meccanismo di Starling e dunque al rigurgito segue una progressiva dilatazione delle
pareti atriali, che possono dunque accogliere l'aumentato volume senza aumento della pressione
endocavitaria. In questo modo lo svuotamento sistolico del cuore sinistro è favorito dal fatto che il cuore
stesso può “sfiatare” in una cavità a bassa impedenza, e cioè l’atrio, rispetto alla grande resistenza offerta
dall’aorta. Inoltre la compliance atriale aumentata, grazie alla proliferazione parietale, consente all’atrio di
accogliere un volume aumentato di sangue senza un corrispettivo aumento di pressione. In questo modo
l’effetto sulla pressione polmonare viene ad essere in parte neutralizzato, e l’atrio diventa una sorta di
serbatoio a bassa pressione dove gran parte del volume eiettato si accumula. In tale processo di
cronicizzazione, con l’aumentare del grado di rigurgito, i sintomi lamentati dal paziente passano da quelli
dettati dalla congestione polmonare a quelli legati alla bassa portata. La progressiva, cronica dilatazione
dell’atrio predispone, inoltre, allo sviluppo della fibrillazione atriale. Nell’insufficienza mitralica cronica
anche il ventricolo, come l’atrio, va incontro ad una graduale dilatazione compensatoria in risposta al
sovraccarico di volume. Rispetto all’insufficienza mitralica acuta l’aumentata compliance ventricolare
accomoda il sovraccarico volumetrico pur mantenendo delle pressioni relativamente normali. Nel corso
degli anni, però il sovraccarico cronico induce un progressivo deterioramento della funzione sistolica, con la
comparsa, in fase terminale, di un quadro di insufficienza ventricolare sinistra.

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126 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Figura 15.2 Nel soggetto normale, la valvola mitrale è continente e tutta la gittata ventricolare sinistra si
dirige in aorta. Nell’insufficienza mitralica moderata la gittata anterograda (in aorta) e quella
retrograda (in atrio) sono pressoché equivalenti, mentre nell’insufficienza mitralica severa il volume
rigurgitante eccede la gittata anterograda.

Figura 15.3 Curve pressorie simultanee nell’atrio (in azzurro) e nel ventricolo sinistro (in rosso). In A (condizione normale) l’onda v è
modesta, mentre in B, in presenza di insufficienza mitralica acuta, si osserva un’onda c+v molto ampia, che corrisponde ad una
pressione atriale di circa 70 mmHg.

SINTOMI

I sintomi dell'insufficienza mitralica acuta sono i sintomi di congestione polmonare. (dispnea, ortopnea
tosse, emoftoe)
I sintomi dell’insufficienza mitralica cronica, invece, sono prevalentemente i sintomi della bassa portata,
particolarmente durante lo sforzo. I soggetti nei quali la funzione contrattile tende a scadere lamentano
dispnea fino all’ortopnea ed alla dispnea parossistica notturna, miastenia, ipoafflusso cutaneo (cute
pallida e fredda) congestione venosa sistemica, ipoafflusso renale. Nell’insufficienza mitralica cronica
grave possono comparire anche i sintomi legati all’insufficienza ventricolare destra.
127 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

SEGNI CLINICI
Nell’insufficienza mitralica, l’ascoltazione del cuore rivela un soffio olosistolico apicale da rigurgito,
Figura 15.4) che si irradia all’ascella sinistra. Oltre al soffio sistolico, la presenza di un III tono è
frequente nell’insufficienza mitralica rilevante, così come il poter palpare un itto lateralizzato a causa
dell’ingrandimento cardiaco.

Figura 15.4 Soffio sistolico da rigurgito nell’insufficienza mitralica. In B è anche presente il III tono.
DIAGNOSTICA STRUMENTALE

L’ECG dimostra segni di ingrandimento atriale sinistro con P mitralica (bifida e allungata) e segni di
ipertrofia ventricolare sinistra con voltaggi elevati del QRS nelle precordiali sinistre, tratto ST
sottoslivellato e onda T negativa asimmetrica nelle derivazioni in cui il QRS è positivo; anche la
radiografia del torace può mostrare l’ingrandimento delle camere cardiache sinistre, e a volte rivela
calcificazioni anulari. L’ecocardiogramma può rivelare la causa strutturale dell’insufficienza mitralica e
graduarne la severità mediante l’impiego del Color-Doppler (ECO 06), ed anche mettere in luce sia la
dilatazione atriale e ventricolare che l’ipercinesia delle pareti ventricolari. (->video)
Il cateterismo cardiaco è utile per identificare una causa ischemica di insufficienza mitralica e per
graduarne la severità. La caratteristica alterazione emodinamica è rappresentata dalla presenza, nella
curva di pressione atriale, di una onda v, la cui ampiezza dipende dall’entità del rigurgito e dalla compliance
dell’atrio (Figura 15.3).

PROLASSO VALVOLARE MITRALICO


Il prolasso valvolare mitralico rappresenta una condizione ereditaria o può verificarsi come manifestazione
cardiaca nel contesto di malattie connettivali, più frequentemente riscontrabile nelle donne giovani, specie
quelle con habitus longilineo. Esso rappresenta una condizione frequentemente asintomatica, ma che
talora può accompagnarsi a precordialgie e cardiopalmo. Viene identificato anche con il termine della
sindrome del click e del soffio mesotelesistolico. L’apparato valvolare ridondante, messo in tensione dalla
sistole ventricolare, è responsabile del click (Figura 15.5), mentre l’incontinenza della valvola è causa del
soffio che caratteristicamente occupa la mesotelesistole.
128 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Figura 15.5 A: click mesosistolico del prolasso mitralico. B: il click è seguito da un soffio mesotelesistolico.

Tra le indagini strumentali l’ecocardiografia è la diagnostica più importante, e può evidenziare la


ridondanza di uno od entrambi i lembi valvolari, che prolassano in atrio sinistro durante la mesotelesistole.
A poco serve invece l’elettrocardiogramma, che risulta, così come la radiografia del torace,
sostanzialmente normale, a parte l’eventuale presenza di battiti ectopici e/o, se l’insufficienza mitralica è
importante, dei segni di ingrandimento atriale e ventricolare sinistro.
Il decorso clinico è sostanzialmente benigno, giacché la condizione non richiede trattamento specifico, a
parte la necessità della profilassi dell’endocardite batterica in caso di prolasso con rigurgito significativo od
in presenza di strutture valvolari e cordali particolarmente ridondanti ed ispessite. Tra le complicanze, oltre
alla già citata infezione della valvola, va segnalata la possibile rottura di una o più corde, con il generarsi di
una insufficienza mitralica acuta, ed il rischio tromboembolico, legato alla deposizione di piastrine sulla
superficie valvolare. Da ultimo va ricordata la possibile presenza di manifestazioni aritmiche, che
raramente mostrano carattere di malignità.

CENNI DI TERAPIA
La storia naturale dell’insufficienza mitralica è legata alla sua eziopatogenesi, con un decorso molto lento
come nel caso dell’eziologia reumatica o molto rapido come nel caso di un improvviso aggravamento di
una forma cronica a causa della rottura di una o più corde tendinee.
Lo scopo della terapia è quello di ridurre l’entità del rigurgito e di accrescere la portata anterograda,
attenuando i sintomi ed i segni di congestione polmonare e quelli legati alla bassa portata. I diuretici ed i
vasodilatatori trovano spazio nel trattamento dell’insufficienza mitralica acuta. L’uso dei vasodilatatori,
come gli inibitori del sistema renina-angiotensina è limitato, nell’insufficienza mitralica cronica, ai casi
caratterizzati da un concomitante incremento dei livelli tensivi in aorta.
L’insufficienza mitralica può subdolamente sconfinare in un quadro di scompenso cardiaco legato al
cronico, inarrestabile deterioramento della funzione contrattile associato alla persistenza del sovraccarico
di volume. La chirurgia cardiaca appare indicata prima che un tale evento possa verificarsi. A più di 30 anni
dai primi impianti valvolari, l’esatto timing dell’intervento sostitutivo valvolare mitralico nell’insufficienza
mitralica rimane una tra le decisioni cliniche più difficili per il cardiologo clinico. Una strategia interessante
è l’atteggiamento chirurgico conservativo, capace cioè di riparare (e non sostituire) la valvola eliminando
molti dei problemi propri delle protesi valvolari. Nei pazienti così trattati la sopravvivenza postoperatoria
appare nettamente migliore rispetto al paziente non operato. In generale l’intervento riparativo appare
particolarmente indicato per i pazienti giovani, con malattia degenerativa della valvola, mentre l’intervento
sostitutivo trova indicazione principalmente negli anziani, con malattia valvolare estesa e non suscettibile
di riparazione.
130 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Capitolo 16
STENOSI AORTICA
Francesco Pizzuto, Francesco Romeo

DEFINIZIONE

La stenosi della valvola aortica è il restringimento dell'orifizio valvolare conseguente a processi patologici
che colpiscono i lembi, le commissure o l'anello valvolare. La valvola ristretta ostacola lo svuotamento del
ventricolo sinistro in sistole, e rende necessario che aumenti la pressione intraventricolare perché si
instauri fra il ventricolo sinistro e l’aorta un gradiente pressorio sufficiente a garantire un normale flusso
anterogrado. Come conseguenza del sovraccarico di pressione, il ventricolo sinistro va incontro ad
ipertrofia.

EZIOLOGIA

La stenosi valvolare aortica può essere congenita ed evidenziarsi già alla nascita (vedi Capitolo 51) o
acquisita; anche in quest’ultimo caso la malattia, pur manifestandosi nell’adulto o nell’anziano, dipende a
volte da un’anomalia congenita, la valvola aortica bicuspide (Figura 16.1). La bicuspidia aortica è presente
nel 2% della popolazione, e di per sé non comporta un significativo ostacolo all'efflusso ventricolare
sinistro. I lembi valvolari anomali, tuttavia, determinano una turbolenza del flusso, che nel tempo può
provocare una fibrosi valvolare, con esito in progressivo restringimento dell’ostio. Anche la normale valvola
a tre cuspidi può andare incontro a processi degenerativi, legati soprattutto all’invecchiamento ma anche a
processi degenerativi: la stenosi aortica degenerativa (o senile) è caratterizzata dalla presenza di cuspidi
rese ipomobili dal deposito di calcio lungo le commissure (Figura 16.2).
L’eziologia reumatica della stenosi aortica è relativamente rara, ed è più frequente nei casi di un vizio
combinato mitro-aortico. La stenosi aortica reumatica risulta dall’adesione e fusione delle commissure e
delle cuspidi, con retrazione e irrigidimento dei bordi liberi e presenza su entrambe le superfici delle cuspidi
di noduli calcifici che riducono l’orificio (Figura 16.3).

Figura 16.1 Cause di stenosi aortica in rapporto all’età. L’incidenza di stenosi aortica secondaria a valvola aortica bicuspide è
maggiore al di sotto dei settanta anni, mentre la stenosi aortica su base degenerativa è maggiormente presente al di sopra dei
settanta anni (modificata da Braunwald E: A text Book of Cardiovascular Disease, 1997).

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131 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Figura 16.2 Valvola aortica stenotica, diffusamente calcifica, asportata ad un paziente ultrasettantenne. Si noti l’estrema
calcificazione dei lembi valvolari (per gentile concessione del Prof Pietro Gallo)

Figura 16.3 Stenosi valvolare aortica post-infiammatoria. Si nota l’ispessimento delle cuspidi valvolari, associato alla presenza di
noduli di Ashoff, caratteristici della malattia reumatica (per gentile concessione del Prof Pietro Gallo).

FISIOPATOLOGIA

Il progressivo restringimento valvolare rappresenta un ostacolo all’eiezione del sangue dal ventricolo
sinistro. Per vincere questa resistenza e mantenere un flusso anterogrado normale, la pressione sistolica
nel ventricolo sinistro deve sempre superare quella presente in aorta; la differenza pressoria tra ventricolo
sinistro ed aorta, definita gradiente pressorio, è proporzionale all’entità dell'ostruzione (Figura 16.4). L’area
valvolare aortica normale nell'adulto è compresa tra 1.6 e 2.6 cm2. Quando l’ostio della valvola si riduce a
meno di un quarto del normale, il gradiente supera 50 mmHg. Il sovraccarico pressorio che grava sul
ventricolo sinistro stimola, come meccanismo compensatorio, l’ipertrofia ventricolare, e induce un
aumento più o meno marcato dello spessore delle pareti e del setto interventricolare, mentre la cavità
ventricolare non si dilata. L’ipertrofia ventricolare che si realizza in seguito al sovraccarico di pressione,

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132 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

come nella stenosi aortica, è concentrica, caratterizzata dalla replicazione dei sarcomeri “in parallelo”
all’interno della fibra, per cui questa aumenta il suo spessore ma non diviene più lunga. Al contrario, il
sovraccarico di volume quale si realizza, per esempio, nell’insufficienza aortica, induce
un’ipertrofia eccentrica, poiché i nuovi sarcomeri si dispongono “in serie” e la fibrocellula si allunga anziché
ispessirsi. Nella stenosi aortica, l’ipertrofia concentrica consente al ventricolo sinistro di compiere un
maggior lavoro, e anche di mantenere a valori quasi normali lo stress di parete.
Secondo la legge di Laplace, lo stress di parete o postcarico (omega) è uguale al prodotto della pressione
endocavitaria (P) per il raggio della cavità (r), diviso per il doppio dello spessore della parete (h), secondo la
formula:

omega=Pr/2h.
Nella stenosi aortica, il ventricolo sinistro va incontro ad un aumento dello stress di parete per aumento
della pressione, mentre l’incremento dello spessore parietale riduce lo stress e quindi il postcarico. Il
meccanismo di compenso rappresentato dall’ipertrofia, però, comporta degli svantaggi perchè:

 l’aumento della massa muscolare determina un aumento del consumo miocardico di O2;
 l’incremento della pressione endocavitaria ostacola la perfusione miocardica, esercitando un’aumentata
compressione sui vasi coronarici;
 la distensibilità (compliance) del ventricolo sinistro diminuisce, alterando il rilasciamento del ventricolo
sinistro ed ostacolandone il riempimento diastolico, che diventa pertanto sempre più dipendente dal
contributo della sistole atriale.

Lo sforzo può mettere in crisi questi precari meccanismi di compenso in quanto produce:

 un aumento del consumo di O2 da parte del miocardio, non controbilanciato da una corrispondente
aumento della perfusione miocardica, con possibile comparsa di angina;
 un notevole aumento della pressione ventricolare sinistra necessaria per mantenere il flusso richiesto
dall’esercizio muscolare, con una accentuata stimolazione dei meccanocettori ventricolari (recettori
sensibili alle variazioni dello stiramento) che possono innescare a loro volta una vasodilatazione
periferica riflessa, provocando una sincope. Un aumento del postcarico, con conseguente aumento della
pressione ventricolare sinistra sotto sforzo cosicché il ventricolo sinistro, che già in condizioni di riposo
lavora a pressioni superiori alla norma, riduce la sua funzione contrattile e non riesce ad espellere il
sangue ricevuto in diastole. Si produce così un aumento della pressione in atrio sinistro, che a sua volta
determina un aumento della pressione a monte, nel circolo polmonare, con conseguente congestione
polmonare fino all’edema polmonare.

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133 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Figura 4 Misurazione contemporanea della pressione in ventricolo sinistro ed in aorta ascendente, ottenuta mediante
cateterismo cardiaco. La pressione massima in ventricolo sinistro è di 220 mm Hg, la pressione massima in aorta ascendente è di
138 mm Hg. Il gradiente di picco VS-AO e di 82 mm Hg, il gradiente istantaneo massimo è di 110 mm Hg.

QUADRO CLINICO

Sintomi. Il paziente con stenosi aortica è asintomatico per molti anni, nonostante la malattia si aggravi
progressivamente. Quando la valvulopatia diviene critica compaiono i sintomi: dispnea (scompenso
cardiaco),angina e sincope. Se, da quando insorgono i sintomi, la malattia decorre non trattata, il
peggioramento è progressivo e la sopravvivenza media è 2 anni nei pazienti con scompenso, 3 nei soggetti
con sincope e 5 anni in quelli con angina.
Nella maggior parte dei casi il primo sintomo è la dispnea da sforzo, seguita eventualmente da ulteriori
manifestazioni di insufficienza ventricolare sinistra (ortopnea, dispnea parossistica notturna, edema
polmonare). L’angina è presente in circa 2/3 dei casi, ed è simile a quella dei pazienti con coronaropatia,
venendo scatenata dallo sforzo e scomparendo con il riposo. La sincope insorge tipicamente
durante sforzo (per la risposta inappropriata dei barocettori del ventricolo sinistro), ma può anche essere la
conseguenza di aritmie.
Segni Fisici. La palpazione della zona precordiale può evidenziare un fremito sistolico, espressione di un
flusso aortico particolarmente turbolento, dovuto a un notevole gradiente tra ventricolo sinistro ed
aorta. L’ascoltazionerivela un soffio sistolico eiettivo con epicentro al 2° spazio intercostale destro sulla
linea marginosternale (focolaio d’ascoltazione aortico) ed irradiazione verso i vasi del collo, cioè nel senso
del flusso.

DIAGNOSTICA STRUMENTALE

Nei pazienti con stenosi aortica, la radiografia del torace può mostrare un allargamento del margine
sinistro dell’ombra cardiaca, dovuto all'ipertrofia del ventricolo sinistro, ma anche un ingrandimento del
primo arco di destra (dilatazione dell’aorta ascendente) e una congestione degli ili polmonari (soprattutto
nelle fasi avanzate della malattia, in presenza di scompenso cardiaco). L'elettrocardiogramma rappresenta
il test diagnostico non invasivo maggiormente utilizzato per confermare la diagnosi clinica. Il segno

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134 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

elettrocardiografico principale è l’ipertrofia ventricolare sinistra, presente nell'80% circa dei pazienti con
stenosi aortica severa (Figura 16.5). L'ecocardiogrammaintegrato (M-mode, bidimensionale e Doppler)
rappresenta il test diagnostico non invasivo più utile e completo per la valutazione dei pazienti con stenosi
aortica (Figura 16.6). Permette, infatti, di quantificare l'entità del vizio aortico, determinando sia il grado di
ipertrofia del ventricolo sinistro e la sua funzione (ecocardiografia M-mode e bidimensionale) che l'entità
del gradiente transvalvolare aortico e l'area valvolare (ecocardiografia Doppler).
Il Cateterismo Cardiaco ha rappresentato per molti decenni l’accertamento diagnostico più importante per
valutare la stenosi aortica, consentendo la misurazione di tutti i parametri utili per diagnosticare e
quantizzare la valvulopatia, come il gradiente aortico, l'area valvolare e le pressioni polmonari. Tuttavia,
l'introduzione dell'ecocardiografia Doppler ha notevolmente ridotto la necessità di ricorrere allo studio
invasivo per la valutazione della stenosi aortica, limitando il cateterismo cardiaco ai casi dubbi, oppure
quando è possibile effettuare una terapia non chirurgica della valvulopatia (valvuloplastica aortica o
impianto percutaneo di una protesi valvolare).

Figura 16.5 Elettrocardiogramma di un paziente con stenosi aortica severa: ipertrofia ventricolare sinistra (onde R alte nelle
precordiali sinistre, sottolivellamento del tratto S-T in I, II, aVL, V5, V6).

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135 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Figura 16.6 Registrazione contemporanea del velocitogramma Doppler transaortico (ottenuto con ecocardiografia transtoracica) e
delle pressioni invasive in ventricolo sinistro (225 mm Hg) ed in aorta ascendente (160 mm Hg), registrate durante cateterismo
cardiaco. Il gradiente massimo Doppler-derivato (88 mmHg) coincide con il gradiente istantaneo massimo emodinamico (90 mm
Hg), che rappresenta il momento in cui il gradiente sistolico fra il ventricolo sinistro e l'aorta è il più elevato. Il gradiente
emodinamico picco ventricolo sinistro-picco aorta è più basso perchè il picco di pressione in aorta è più tardivo rispetto al picco di
pressione in ventricolo sinistro.

CENNI DI TERAPIA

 I pazienti con stenosi aortica asintomatica non necessitano di trattamento; nei sintomatici la
terapia è chirurgica e consiste nella sostituzione della valvola aortica con protesi meccanica o
biologica (vedi Capitolo 62). La sostituzione valvolare aortica con trattamento percutaneo (tramite
cateterismo cardiaco) è ancora in fase iniziale, e benché i risultati ottenuti finora siano
incoraggianti, necessita di ulteriori conferme ed al momento attuale viene riservata soltanto a quei
pazienti che, pur necessitando della sostituzione valvolare, non possono essere sottoposti
all’intervento chirurgico.

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136 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Capitolo 17
INSUFFICIENZA AORTICA
Corrado Vassanelli
DEFINIZIONE
L'insufficienza aortica è una malattia della valvola aortica, la quale diviene incontinente per anomalie dei
lembi valvolari, delle strutture di supporto (radice aortica ed annulus) o di entrambi. Si verifica, di
conseguenza, un flusso retrogrado (rigurgito) di sangue dall'aorta al ventricolo sinistro durante la diastole.

EZIOLOGIA E ANATOMIA PATOLOGICA


L'insufficienza aortica può essere provocata da anomalie congenite dei lembi (valvola aortica bicuspide,
stenosi subaortica con difetto del setto interventricolare e prolasso di una cuspide), oppure da alterazioni di
origine infiammatoria o degenerativa, fra cui quelle determinate dalla malattia reumatica (Figura 1),
dall'endocardite infettiva (Figura 2) o dalle malattie del connettivo. I lembi valvolari, inoltre, possono essere
danneggiati da traumi chiusi della parete del torace o da lesioni da getto conseguenti a stenosi subaortica
dinamica o fissa. Le patologie dell'annulus o della radice aortica comprendono la dilatazione idiopatica della
radice aortica, l'ectasia annuloaortica, la sindrome di Marfan, la sindrome di Ehlers-Danlos, l'osteogenesi
imperfetta, la dissezione aortica, l'aortite luetica, e varie malattie del connettivo, fra cui la spondilite
anchilosante. Una valvola aortica bicuspide si accompagna spesso a dilatazione della radice aortica e a
conseguente insufficienza (Tabella I). Una causa non infrequente della malattia è la degenerazione
strutturale di una bioprotesi valvolare.
L'insufficienza aortica cronica grave, di qualsiasi eziologia, può provocare dilatazione della radice aortica,
che esita in progressivo peggioramento del rigurgito valvolare. Le cause più frequenti di insufficienza
aortica acuta (più rara, ma a prognosi peggiore) sono l'endocardite infettiva, la dissezione aortica o un
trauma chiuso del torace.

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137 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

FISIOPATOLOGIA
Le conseguenza fisiopatologiche della valvulopatia variano a seconda che il rigurgito si stabilisca
improvvisamente e sia massivo (insufficienza aortica acuta) o sia inizialmente lieve e progredisca
lentamente nel tempo. Nell'insufficienza aortica acuta grave, un notevole volume ematico di rigurgito
diastolico va a sovraccaricare improvvisamente un ventricolo sinistro di normali dimensioni, che non ha
avuto il tempo per adattarsi. L' aumento del volume telediastolico fa incrementare drammaticamente la
pressione telediastolica ventricolare sinistra e la pressione atriale sinistra: poiché la camera ventricolare
non è in grado di dilatarsi in modo compensatorio, ne consegue una riduzione della gittata sistolica
anterograda. La tachicardia riflessa, che si instaura nel tentativo di mantenere una portata cardiaca
adeguata, è spesso insufficiente, ed i pazienti possono andare incontro a edema polmonare o shock
cardiogeno. L'insufficienza aortica acuta è particolarmente mal tollerata nei pazienti con ventricolo sinistro
ipertrofico piccolo e poco distensibile, come accade quando il rigurgito consegue a dissezione aortica in
pazienti ipertesi, o ad endocardite infettiva in soggetti con stenosi aortica preesistente. Questi pazienti
possono anche manifestare segni e sintomi di ischemia miocardica, poiché si riduce la pressione di
perfusione nel letto coronarico a causa del progressivo incremento della pressione telediastolica
ventricolare sinistra, che tende a eguagliare la pressione diastolica aortica e quella coronarica.
Nell'insufficienza aortica cronica grave, il sovraccarico al ventricolo sinistro è sia di volume che di pressione.
Il ventricolo sinistro aumenta di volume perché deve accogliere non solo il sangue che proviene dalle vene
polmonari, ma anche quello che refluisce dall’aorta durante la diastole. Il sovraccarico di volume è
conseguenza della quota rigurgitante, ed è direttamente correlato alla gravità del rigurgito. Nelle fasi
precoci, il ventricolo sinistro si adatta al sovraccarico di volume con una ipertrofia eccentrica, in cui i
sarcomeri si allineano in serie ed i miofilamenti si allungano: ne consegue un incremento della forza di
contrazione, in accordo alla legge di Starling. La gittata sistolica è aumentata, e con essa la pressione
sistolica. L'ipertensione sistolica può contribuire alla progressiva dilatazione della radice aortica che a sua

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138 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

volta peggiora l'insufficienza aortica. Nelle fasi più avanzate, la progressiva dilatazione del ventricolo
sinistro può produrre una grave disfunzione ventricolare, peggiorata dalla progressiva riduzione della
distensibilità del ventricolo, causata dall’ipertrofia e dalla fibrosi.

SINTOMI
I sintomi dell'insufficienza aortica dipendono dalla velocità con cui si realizza il danno valvolare, e sono tipici
dello scompenso cardiaco sinistro. Se il rigurgito aortico si instaura acutamente, non vi è tempo perché il
ventricolo sinistro possa mettere in atto i meccanismi compensatori dell'ipertrofia e della dilatazione, per
cui l’insufficienza ventricolare sinistra si manifesta rapidamente, anche con l’edema polmonare acuto.
I pazienti con insufficienza aortica cronica, invece, sono solitamente asintomatici ed hanno una buona
tolleranza allo sforzo per anni, fino a che, con il deficit del ventricolo sinistro, compaiono dispnea da sforzo,
astenia e talora ortopnea e dispnea parossistica notturna. Il paziente può anche avvertire palpitazioni a
causa della percezione dell'attività cardiaca dovuta all'ingrandimento del ventricolo. Anche in assenza di
malattia coronarica, le aumentate richieste di ossigeno da parte del ventricolo sinistro possono causare
angina pectoris, soprattutto nelle ore notturne.

SEGNI CLINICI
L'esame obiettivo nell' insufficienza aortica cronica è caratterizzato dallo stato iperdinamico della malattia.
La pressione arteriosa sistolica è aumentata, per l’incremento della gittata sistolica ventricolare sinistra,
mentre la pressione diastolica è ridotta sia per la vasodilatazione periferica, ma soprattutto per il flusso
retrogrado verso il ventricolo sinistro; la pressione differenziale, perciò, risulta notevolmente più ampia del
normale. Queste variazioni dipendono grossolanamente dall’entità della insufficienza: si ritiene che, in
assenza di scompenso cardiaco, questo vizio valvolare sia poco significativo quando la pressione diastolica
non è <70 mm Hg.
Alla palpazione, il polso è scoccante (ampio e celere), poiché da un lato la gittata sistolica è aumentata, e
dall’altro la valvola aortica insufficiente non trattiene il sangue nel letto arterioso: l'effetto è una pulsazione
che sembra schioccare bruscamente contro le dita e scomparire altrettanto rapidamente (polso a martello
pneumatico). L'impulso apicale è ipercinetico, di ampia superficie, spesso dislocato in basso ed a sinistra
rispetto al normale.
Il rigurgito diastolico del sangue attraverso la valvola aortica provoca un soffio: poiché il flusso retrogrado è
elevato quando la pressione nella radice aortica è al suo massimo, e declina quando la pressione aortica
cade, il soffio dell’insufficienza aortica è massimo in protodiastole e quindi decresce (Figura 3). Il soffio ha
timbro dolce, aspirativo, e si ascolta meglio con il paziente seduto, durante espirazione forzata; la sua
intensità è massima lungo la parte inferiore della linea margino-sternale sinistra. La durata del soffio indica
grossolanamente la gravità della malattia: nei casi lievi esso si ascolta solo quando il gradiente tra aorta e
ventricolo sinistro è elevato, cioè in protodiastole; con l’aumentare della gravità, il soffio diventa
olodiastolico. Con la comparsa dello scompenso, poi, l'incremento della pressione telediastolica
ventricolare sinistra e il rapido calo della pressione diastolica aortica riducono il gradiente di rigurgito, e il
soffio torna ad accorciarsi. Nell'insufficienza aortica acuta, il soffio diastolico può essere addirittura assente
a causa del rapido equilibrio tra le pressioni aortica e ventricolare sinistra.
Sul focolaio aortico è rilevabile quasi sempre un soffio sistolico eiettivo, dovuto all'eccessivo flusso
anterogrado, che può mimare una stenosi aortica (Figura 3B).
Il secondo tono è di solito singolo. Un tono aggiunto eiettivo aortico (click da eiezione) può essere ascoltato
soprattutto in presenza di valvola aortica bicuspide

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139 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Figura 13 A: soffio diastolico in decrescendo dell'innsufficienza aortica. B: al soffio diastolico si associa un soffio sistolico eiettivo, che
non è necesariamente indicativo di concomitante stenosi della valvola

DIAGNOSTICA STRUMENTALE
L'ECG mostra spesso ipertrofia ventricolare sinistra, caratterizzata da onde R alte nelle derivazioni
precordiali sinistre ed S profonde nelle destre, sottoslivellamento di ST e T invertite in I , aVL e V5-V6. (vedi
Capitolo 3). La radiografia del torace mostra cardiomegalia che, associata alla dilatazione dell'aorta
ascendente e dell'arco aortico, conferisce al cuore la caratteristica configurazione “a scarpa”.
L'esame diagnostico più importante nella valutazione dell' insufficienza aortica è l'ecocardiogramma che
permette di: 1) valutare l'anatomia dei lembi valvolari e della radice aortica, 2) rilevare la presenza e
stimare la gravità del rigurgito (con il color-Doppler) (ECO 18), 3) caratterizzare la dimensione, la massa e la
funzione del ventricolo sinistro. Il cateterismo cardiaco, l'aortografia e l'angiografia coronarica sono
raramente necessari, soprattutto nei casi acuti, e dovrebbero essere eseguiti solo quando la diagnosi non
può essere fatta altrimenti o nei pazienti con coronaropatia nota o elevata probabilità di malattia
coronarica.

ECO18

CENNI DI TERAPIA
In caso di insufficienza aortica acuta, l'intervento cardiochirurgico immediato è necessario poiché il
sovraccarico improvviso di volume è potenzialmente fatale. In questi casi la correzione chirurgica è urgente
poiché la terapia medica usuale fallisce: i vasodilatatori utilizzati per incrementare il flusso anterogrado
peggiorano l'ipotensione, l'ischemia e la disfunzione ventricolare sinistra, ed i farmaci che incrementano la
pressione aumentano le resistenze periferiche e peggiorano il rigurgito.
La terapia medica non è in grado di ridurre significativamente il volume di rigurgito nell' insufficienza

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140 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

aortica cronica grave poiché l'area di rigurgito è relativamente fissa e la pressione diastolica già bassa: una
ulteriore riduzione di questa peggiorerebbe la perfusione coronarica. L'obiettivo principale della terapia
medica è quindi quello di ridurre l’ipertensione sistolica, al fine di diminuire lo stress parietale e migliorare
la funzione del ventricolo sinistro. Per questo possono essere usati farmaci vasodilatatori quali ACE-inibitori
o calcio-antagonisti diidropiridinici (vedi Capitolo 57).
Nei pazienti con insufficienza aortica isolata cronica, la sostituzione valvolare (o a volte la plastica valvolare
) è indicata solo nei casi gravi, mentre nei soggetti sintomatici ma con insufficienza aortica lieve devono
essere escluse altre cause di disfunzione ventricolare come coronaropatia, ipertensione o cardiomiopatia. I
migliori risultati chirurgici si ottengono prima che il diametro telediastolico del ventricolo sinistro superi i 55
mm e che la frazione di eiezione scenda al di sotto del 55%.
In presenza di concomitante malattia della radice aortica, alla sostituzione valvolare dovrebbe essere
associata la ricostruzione della radice e dell'aorta prossimale se il diametro dell'aorta supera i 5.0 cm.

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141 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Capitolo 18
MALATTIE DELLA TRICUSPIDE E DELLA POLMONARE
Ketty Savino, Sandra D'Addario, Elisabetta Bordoni, Giuseppe Ambrosio

STENOSI TRICUSPIDALE
Definizione. La stenosi tricuspidale consiste nel restringimento dell’orifizio valvolare, cui consegue un
ostacolo al passaggio del sangue dall’atrio al ventricolo destro. Si viene, perciò, a creare un gradiente di
pressione tra atrio e ventricolo, e l’aumento della pressione atriale determina una dilatazione dell’atrio
destro.
Eziologia ed anatomia patologica. La stenosi tricuspidale riconosce varie cause ma la più frequente è
la malattiareumatica (vedi Capitolo 13), una sindrome infiammatoria acuta sistemica che coinvolge
l’endocardio valvolare. In genere la malattia tricuspidale non è isolata ma si associa ad una valvulopatia
mitralica ed aortica. Gli esiti sono la fibrosi e la retrazione delle strutture coinvolte. Il quadro anatomo-
patologico ricorda quello della stenosi mitralica con fibrosi e retrazione delle cuspidi valvolari, fusione delle
commissure e delle corde tendinee.
I tumori dell’atrio destro, se di cospicue dimensioni, possono provocare un’ostruzione al flusso trans-
valvolare e simulare una stenosi tricuspidale. In questi casi la stenosi è “funzionale”, cioè non sono presenti
alterazioni dell’anatomia valvolare. La sindrome da carcinoide (vedi oltre) può determinare una stenosi
tricuspidale anche se, in genere, è causa di insufficienza valvolare.
Fisiopatologia. La riduzione dell’area valvolare tricuspidale ostacola il riempimento ventricolare destro, che
tende ad essere mantenuto normale da un aumento della pressione atriale destra. Data l’assenza di valvole
tra vene cave e atrio, l’incremento della pressione atriale si ripercuote immediatamente sul circolo cavale,
determinando un’ipertensione venosa sistemica.
Sintomi e segni clinici. La stenosi tricuspidale è in genere ben tollerata: frequentemente i pazienti adulti
sono asintomatici e la patologia viene identificata esclusivamente in base ai reperti ascoltatori. L’esame
obiettivo evidenzia i segni dell’ipertensione venosa sistemica: edemi declivi, turgore giugulare,
epatomegalia ed ascite. L’ascoltazione cardiaca è simile a quella della stenosi mitralica, caratterizzata da
schiocco d’apertura e da rullio diastolico tricuspidale (vedi Capitolo 2). A differenza di quanto si verifica
nella stenosi mitralica, i reperti acustici si ascoltano in corrispondenza del focolaio tricuspidale (IV spazio
intercostale lungo la margino-sternale destra) e si accentuano durante l’inspirazione profonda (segno di
Rivero-Carvallo). Quest’ultima caratteristica consegue all’aumento del ritorno venoso indotto
dall’inspirazione: durante tale fase, l’incrementato passaggio di sangue attraverso la valvola induce un
aumento del gradiente trensvalvolare e quindi del rullio. Altro reperto obiettivo importante è la pulsazione
della vena giugulare, soprattutto a destra, per la presenza di un’ampia onda “a” che corrisponde alla sistole
atriale (vedi Capitolo2).
Diagnostica strumentale
ECG: All’esame elettrocardiografico l’ingrandimento atriale destro si evidenzia per la presenza di onde P
ampie e appuntite nelle derivazioni II, III, aVF e V1 (vedi Capitolo 3); quando l’atriomegalia diventa severa,
insorge la fibrillazione atriale.
Rx torace: L’esame radiologico del torace evidenzia una marcata atriomegalia con prominenza del profilo
cardiaco destro (secondo arco). Diversamente da quanto si osserva nella stenosi mitralica, il tronco
polmonare è di normali dimensioni e non vi sono segni di congestione polmonare.
Ecocardiografia: L’esame bidimensionale transtoracico consente un accurato studio anatomo-funzionale
dell’apparato valvolare tricuspidale. Valuta lo spessore dei lembi, la ridotta motilità valvolare,
l’ispessimento e la retrazione delle corde tendinee e la dilatazione dell’atrio destro. L’esame color-Doppler
consente di definire la presenza e l’entità della stenosi valvolare attraverso la valutazione del gradiente
pressorio tra atrio e ventricolo destro e le variazioni del gradiente durante l’inspirazione profonda. Un
gradiente medio superiore a 5 mmHg identifica una stenosi valvolare di severa entità.

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142 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Cateterismo cardiaco: Poiché lo studio dell’emodinamica valvolare tricuspidale è fattibile con elevata
sensibilità e specificità mediante ecocardiografia, il ricorso al cateterismo cardiaco è limitato solo a pochi
casi.
Cenni di Terapia. Il trattamento del vizio valvolare è influenzato sia dall’eziologia che dalla gravità della
valvulopatia: se questa è secondaria (per esempio ad endocardite infettiva o sindrome da carcinoide) deve
essere trattata la patologia di base. Se la stenosi tricuspidale ha eziologia reumatica generalmente si associa
ad una valvulopatia mitralica, per cui l’intervento chirurgico è volto principalmente alla sostituzione
valvolare mitralica ed alla riparazione tricuspidale (vedi Capitolo 63). Nei casi in cui la valvola tricuspide sia
particolarmente compromessa e le corde tendinee retratte è possibile dover ricorrere alla sostituzione
tricuspidale.

INSUFFICIENZA TRICUSPIDALE
Definizione. L’insufficienza tricuspidale è caratterizzata dalla incapacità dei lembi valvolari a collabire fra
loro, per occludere completamente l’ostio valvolare quando il ventricolo si contrae. Si verifica, di
conseguenza, un flusso retrogrado (rigurgito) di sangue dal ventricolo all’atrio destro durante la sistole.
Eziologia e anatomia patologica. L’insufficienza tricuspidale è, al contrario della stenosi, una patologia
frequente, determinata da numerose cause: la più frequente è
la dilatazione del ventricolo destro e dell’anello tricuspidale. Questo tipo di valvulopatia è “funzionale”,
poiché i lembi valvolari sono morfologicamente integri, e si instaura anche per lievi dilatazioni, dal
momento che l’area di coaptazione dei lembi tricuspidali è molto più limitata di quella che si osserva per la
valvola mitrale. Queste forme sono più spesso la conseguenza di ipertensione polmonare primitiva o
valvulopatie mitro-aortiche, cuore polmonare ed infarto ventricolare destro.
La causa più frequente di insufficienza tricuspidale organica è l’endocardite, che può essere infettiva o non
infettiva.L’endocardite infettiva del cuore destro si riscontra principalmente nei tossico-dipendenti, nei
portatori di shunt sinistro-destro (es. fistole, dialisi) e, molto più raramente, nei pazienti sottoposti a
cateterismo cardiaco (vedi Capitolo34). Gli agenti microbici principali sono gli stafilococchi, i gonococchi, i
funghi. È patognomonica la presenza di vegetazioni di consistenza friabile, composte da microorganismi e
detriti trombotici. Le lesioni possono complicarsi con perforazioni ed erosioni dei lembi valvolari o ascessi
anulari.
L’endocardite non infettiva si può riscontrare in corso di Lupus Eritematoso Sistemico (endocardite di
Libman-Sachs) ed è di tipo trombotico-abatterico. Essa è caratterizzata dalla deposizione di piccole
masserelle sterili, costituite da fibrina e da altri elementi del sangue, su lembi valvolari in genere indenni.
Altra causa di insufficienza tricuspidale è rappresentata dalla sindrome da carcinoide: questa condizione è
secondaria alla produzione di sostanze serotoninergiche da parte di tumori carcinoidi che favoriscono la
comparsa di ispessimenti localizzati di endocardio murale e valvolare (placche carcinoidi), con conseguente
alterazione della morfologia valvolare.
Quadri anatomo-patologici simili alla sindrome da carcinoide associati ad insufficienza tricuspidale possono
essere indotti da assunzione di una grande varietà di farmaci e tossici che fungono da agonisti
serotoninergici, condividendo quindi con la sindrome da carcinoide non solo il quadro anatomo-patologico
ma anche il meccanismo eziopatogenetico. Tra queste sostanze annoveriamo derivati dall’amfetamina quali
farmaci anoressizzanti (fenfluoramina e fentermina), ormai ritenuti pericolosi e quindi non più in uso,
agenti tossici (ecstasy e metilendiossimetamfetamina o MDMA), ma anche farmaci dopaminergici
comunemente utilizzati per il trattamento del morbo di Parkinson (pergolide e cabergolina) e dell’emicrania
(metisergide ed ergotamina). Fungendo da agonisti della serotonina e stimolando in particolare i recettori
5HT 2b, queste sostanze, attraverso l’attivazione di protein-chinasi, indurrebbero un’inappropriata
stimolazione mitogenica a livello valvolare (“overgrowth valvulopathy”) che esiterebbe nella formazione di
placche morfologicamente indistinguibili da quelle che caratterizzano la sindrome da carcinoide.
Cause più rare di insufficienza tricuspidale con alterazioni anatomiche valvolari sono i traumi toracici e

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i tumoricardiaci; vi sono anche forme iatrogene secondarie ad impianto di pacemaker o defibrillatore


cardiaco.
Infine, il prolasso valvolare tricuspidale e la disfunzione dei muscoli papillari del ventricolo destro possono
indurre insufficienza tricuspidale con le stesse modificazioni anatomiche e meccanismi eziopatogenetici
riconosciuti per la valvola mitrale ed il ventricolo sinistro.
Fisiopatologia. Il rigurgito di sangue in atrio destro durante la sistole ventricolare provoca aumento della
pressione atriale e dilatazione dell’atrio. Come nella stenosi tricuspidale, l’ipertensione atriale destra si
ripercuote immediatamente a monte, nel circolo cavale, instaurando una congestione venosa sistemica fino
a determinare, nelle forme severe, un’inversione del flusso venoso.
Sintomi e segni clinici. Le insufficienze valvolari del cuore destro sono in genere ben tollerate fino ad una
fase avanzata, e diventano clinicamente manifeste solo in presenza di ridotta portata cardiaca o di
ipertensione polmonare. Il quadro clinico è caratterizzato dai segni di congestione sistemica quali astenia,
facile affaticabilità, calo ponderale; si associano inoltre i sintomi e i segni di stasi venosa del sistema portale
quali senso di peso addominale, nausea, vomito, ascite ed epatomegalia dolente e, in caso di scompenso
ventricolare destro, da tutti i segni e sintomi ad esso correlati. Nell’insufficienza tricuspidale si apprezza alla
palpazione il margine debordante del fegato, con pulsazione epatica. Il polso venoso giugulare presenta
un’ampia onda “a” sistolica. La pulsazione (analogo dell’onda v al flebogramma) dipende dal rigurgito
sistolico in atrio destro che inverte il flusso nella vene cave. All’ascoltazione, sulla margino-sternale destra
lungo il IV spazio intercostale, si rileva un soffio olosistolico dolce, ad alta frequenza, che si accentua con
l’inspirazione per aumento del ritorno venoso (segno di Rivero-Carvallo). Spesso sono udibili un terzo tono
destro e, se è presente ipertensione polmonare, un’accentuazione della componente polmonare del
secondo tono.
Diagnosi strumentale
ECG: Non sono presenti peculiarità del tracciato elettrocardiografico, ma è possibile a volte rilevare segni di
ingrandimento atriale destro, ipertrofia ventricolare destra o blocco di branca destra. Spesso è presente
fibrillazione atriale.
Rx torace: L’esame radiologico del torace mostra una cardiomegalia con accentuazione del secondo arco
destro del cuore (da dilatazione atriale destra).
Ecocardiografia: L’indagine bidimensionale consente uno studio accurato della morfologia della tricuspide,
evidenzia la dilatazione dell’atrio e del ventricolo di destra, valuta la contrattilità del ventricolo destro e
l’eventuale movimento paradosso del setto interventricolare, espressione del sovraccarico di volume del
ventricolo destro. Segni di ridotta funzione ventricolare sono rappresentati da una riduzione dell’escursione
dell’anello tricuspidale (TAPSE), della frazione di eiezione ventricolare destra, e dalla riduzione
dell’ampiezza dell’onda sistolica (S’) dell’anello tricuspidale al Tissue Doppler Imaging (Vedi Capitolo 4). Il
color-Doppler permette di effettuare la stima dell’entità del rigurgito tricuspidale (ECO 24) e di valutare la
pressione in arteria polmonare, (Figura 1).
Cateterismo cardiaco: Attualmente lo studio dell’emodinamica valvolare tricuspidale è fattibile con elevate
sensibilità e specificità mediante ecocardiografia, per cui il ricorso al cateterismo cardiaco è limitato solo a
quei pochi casi in cui l’indagine ultrasonografica non risulta di qualità tecnica sufficiente.
Cenni di Terapia. Per l’insufficienza tricuspidale non è frequente il ricorso al trattamento chirurgico.
Tuttavia, se il vizio valvolare è importante è possibile ricorrere alla valvuloplastica tricuspidale nei casi di
insufficienza tricuspidale funzionale, mentre gravi alterazioni dell’anatomia tricuspidale necessitano di
sostituzione della valvola.

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144 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Figura 2 Esame ecocardiografico color CW della tricuspide. In alto esame 2D color, in basso analisi spettrale dell'insufficienza
tricuspidale.

STENOSI POLMONARE

Definizione. La stenosi polmonare consiste nel restringimento dell’orifizio valvolare, cui consegue un
ostacolo al passaggio del sangue dal ventricolo destro all’arteria polmonare.
Eziologia e anatomia patologica. La stenosi polmonare è quasi esclusivamente una malattia congenita
(Patologia57) e solo eccezionalmente può riconoscere come causa la malattia reumatica o la sindrome da
carcinoide. A volte può essere un reperto isolato ma, più spesso, fa parte di cardiopatie congenite
complesse quali la tetralogia di Fallot (vedi Capitolo 52). I lembi valvolari sono fibrotici, ispessiti ed a
superficie liscia e regolare.
Fisiopatologia. Il restringimento dell’orifizio valvolare polmonare determina un gradiente ventricolo-
arterioso; l’incremento dei valori pressori in ventricolo destro induce ipertrofia ventricolare. Con l’andar del
tempo, l’aumento della pressione ventricolare si ripercuote per via retrograda a livello atriale ed al circolo
cavale, determinando infine un ostacolo al ritorno venoso sistemico.
Sintomi e segni clinici. La stenosi isolata della polmonare è una valvulopatia ben tollerata e asintomatica o
paucisintomatica. La diagnosi viene sospettata dalla presenza di un soffio sistolico da eiezione in area
polmonare.
Diagnosi strumentale.
ECG: Il tracciato elettrocardiografico presenta di solito un quadro di ipertrofia del ventricolo destro, e
spesso anche di ingrandimento dell’atrio destro (ECG 04).
Ecocardiografia: L’ecocardiografia è la tecnica diagnostica più utilizzata per la diagnosi di stenosi
polmonare. All’esame bidimensionale è possibile rilevare la presenza di un anello polmonare di dimensioni
minori di quello aortico, i lembi valvolari sono ispessiti ed ipomobili con movimento di apertura a “cupola”
(doming). Se la stenosi è severa si riscontra dilatazione post-stenotica dell’arteria polmonare ed ipertrofia
del tratto di efflusso ventricolare destro. Al color-Doppler è possibile determinare il gradiente ventricolo-
arterioso e graduare la severità della valvulopatia.
Cenni di Terapia. La valvuloplastica polmonare con palloncino (vedi Capitolo 52) è la tecnica più utilizzata
per la correzione di questa valvulopatia (Figura 13/52). Il ricorso all’intervento chirurgico è giustificato solo

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145 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

se la stenosi polmonare è severa o quando fa parte di una cardiopatia congenita complessa (es. tetralogia
di Fallot).

4 - Ingrandimento atriale destro. Ipertrofia ventricolare destra.


La diagnosi d’ingrandimento dell’atrio destro è suggerita dalle onde P alte (0,35 mV in II) e appuntite nelle derivazioni inferiori.
L’ipertrofia ventricolare destra viene dimostrata dalla deviazione assiale destra, e dall’nda R alta in V1.

INSUFFICIENZA POLMONARE

Definizione
L’insufficienza polmonare è caratterizzata dalla incapacità delle cuspidi valvolari a collabire
sufficientemente durante la diastole, per cui si verifica un rigurgito di sangue dall’arteria polmonare al
ventricolo destro.
Eziologia e anatomia patologica
L’insufficienza polmonare è, di solito, secondaria a dilatazione dell’anello polmonare provocata
dall’ipertensione polmonare; solo eccezionalmente viene indotta da endocardite infettiva o malattia da
carcinoide. Nella forma secondaria a dilatazione dell’anello la morfologia della valvola è normale.
Fisiopatologia
Nell’insufficienza polmonare il rigurgito di sangue provoca sovraccarico di volume e dilatazione del
ventricolo destro, che va incontro ad ipertrofia eccentrica. Il vizio valvolare può essere ben tollerato anche
per molti anni.
Segni clinici
Il rigurgito provoca un soffio diastolico che inizia subito dopo la componente polmonare del II tono e
termina, abitualmente, in mesodiastole. Il soffio è ad alta tonalità, di timbro alitante e in decrescendo, si
percepisce meglio nella regione parasternale, tra il II ed il IV spazio intercostale, e aumenta di intensità
durante l’inspirazione. In caso di coesistenza di ipertensione polmonare, associata ad insufficienza
tricuspidale e/o polmonare, è possibile apprezzare altri segni quali un rinforzo della componente
polmonare del II tono, un tono di eiezione polmonare e un soffio sistolico di accompagnamento. Quando il
ventricolo destro si dilata è possibile palpare un itto iperdinamico.
Diagnosi strumentale
ECG: In genere l’ECG risulta normale ma, se l’insufficienza è significativa, sono presenti i segni del
sovraccarico di volume del ventricolo destro fino al blocco di branca destro.
Ecocardiogramma: La tecnica bidimensionale consente di visualizzare la dilatazione del ventricolo destro e
la vivacità della cinesi ventricolare destra. Il color-Doppler consente di visualizzare il rigurgito polmonare e
graduare l’entità dell’insufficienza.
Terapia
In genere l’insufficienza polmonare è una valvulopatia ben tollerata e non è necessario ricorrere a
correzione chirurgica.

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146 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Capitolo 19
FISIOPATOLOGIA DELLO SCOMPENSO CARDIACO
Livio Dei Cas, Marco Metra, Savina Nodari, Tania Bordonali

DEFINIZIONE
Lo scompenso cardiaco è una condizione avanzata lenta e progressiva che rappresenta l'end point di gran
parte delle malattie cardiovascolari non curate. La definizione fisiopatologica di scompenso cardiaco è
"sindrome in cui il cuore non è in grado di mantenere una portata cardiaca adeguata alle richieste dei
tessuti" oppure, nel caso vi riesca, questo è ottenuto attraverso un aumento delle pressioni di riempimento
ventricolari.

EPIDEMIOLOGIA
A causa del progressivo invecchiamento della popolazione e del migliorato trattamento della maggior parte
delle malattie cardiovascolari, la prevalenza dello scompenso cardiaco è in continua crescita. La prevalenza
di scompenso sintomatico è del 0.5-2% della popolazione generale: nei paesi europei sono quindi affette da
scompenso cardiaco sintomatico più di 12 milioni di persone. Un numero simile di pazienti, inoltre, sarebbe
portatore di disfunzione sistolica ventricolare sinistra asintomatica, ed altrettanti sarebbero affetti da
scompenso cardiaco con conservata funzione sistolica ventricolare. La prognosi dello scompenso cardiaco è
spesso sfavorevole: la forma acuta di scompenso è la più importante causa di ospedalizzazione per i
soggetti di età superiore ai 65 anni. Circa la metà dei pazienti affetti da scompenso cardiaco è destinata a
morire in un tempo medio di 4 anni dal momento della diagnosi, e la durata della vita può accorciarsi ad un
solo anno per il 50% dei pazienti con scompenso severo.

CAUSE
Lo scompenso cardiaco è la via finale comune di tutte le patologie in grado di compromettere la funzione
cardiaca. Può essere causato da una disfunzione miocardica (condizione più frequente) ma anche da
valvulopatie, malattie del pericardio o disturbi del ritmo. L’ischemia miocardica acuta, o più raramente
l’anemia, la disfunzione tiroidea, l’insufficienza renale o la somministrazione di farmaci inotropi negativi
possono peggiorare o qualche volta causare lo scompenso cardiaco.
Nei paesi occidentali, nei pazienti di età inferiore ai 75 anni, lo scompenso cardiaco è spesso caratterizzato
da una compromissione della funzione sistolica: la cardiopatia ischemica, spesso con concomitante
ipertensione arteriosa, ne è la causa più frequente. Nei pazienti di età superiore ai 75 anni, invece, è più
frequente l’insufficienza cardiaca con conservata funzione sistolica. Non di rado questi soggetti hanno una
storia d’ipertensione arteriosa, spesso sistolica isolata, ed un’ipertrofia ventricolare sinistra concentrica.
Oltre alla cardiopatia ischemica ed all’ipertensione arteriosa, le cardiomiopatie, in particolare la
cardiomiopatia dilatativa, e le valvulopatie sono altre importanti cause di scompenso cardiaco.

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147 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

MECCANISMI FISIOPATOLOGICI ALLA BASE DELL’ALTERATA FUNZIONE MIOCARDICA


Determinanti della funzione cardiaca. I principali determinanti della funzione cardiaca sono la frequenza
cardiaca, il precarico, il postcarico e la contrattilità.
Il precarico è il carico a cui è sottoposto il cuore prima dell’iniizio della contrazione (telediastole). Viene
misurato dal volume o, meglio, dallo stress telediastolico. L’aumento del precarico causa un aumento della
forza di contrazione miocardica (legge di Starling) per migliore sovrapposizione tra actina e miosina
(Quando il ventricolo lavora in condizioni di riposo, cioè riceve un ritorno venoso intorno ai 5 L/minuto, la
lunghezza dei sarcomeri è di 1,6 micron. Se aumenta il ritorno venoso aumenta anche l’allungamento delle
cellule e di conseguenza i sarcomeri si avvicinano alla lunghezza ottimale: alla quale si ha la massima
capacità contrattile, e pari a 2.3 micron). Il cuore insufficiente è generalmente dilatato a tal punto da avere
un esaurimento della riserva di precarico così che le variazioni di quest’ultimo non comportano più
variazioni della gittata cardiaca.
Il postcarico è il carico a cui è sottoposto il cuore durante la contrazione. Viene misurato dallo stress
sistolico, ed è correlato all’impedenza aortica ed alle resistenze periferiche. Lo stress sistolico è
direttamente proporzionale al raggio ed alla Pressione ed inversamente proporzionale allo spessore
parietale (legge di Laplace). L’aumento della pressione arteriosa comporta quindi un aumento del
postcarico. Il cuore insufficiente è criticamente dipendente dal postcarico.
La contrattilità è la capacità del miocardio di contrarsi indipendentemente dalle condizioni di carico. Il
deficit di contrattilità miocardica è l’alterazione fondamentale dello scompenso. Spesso questa non
comporta alterazioni della portata cardiaca e delle pressioni di riempimento ventricolari a riposo, grazie ai
meccanismi di compenso di cui sopra. Sotto sforzo, tuttavia, il cuore insufficiente presenterà sempre una
ridotta capacità di far fronte alle aumentate richieste dei tessuti periferici con insufficiente incremento
della contrattilità e della portata cardiaca ed aumento delle pressioni di riempimento intraventricolari.
Vengono qui di seguito riassunti i principali meccanismi responsabili del deficit di contrattilità.
Ipertrofia Miocardica
L’ipertrofia miocardica si verifica in risposta ad un aumento dello stress parietale. Questo può essere
dovuto sia a sovraccarico pressorio (per esempio, ipertensione, stenosi aortica) che di volume (per
esempio, rigurgito mitralico oppure aortico).
L’ipertrofia comporta modificazioni di tutte le componenti del miocardio che ne favoriscono, a loro volta, la
degenerazione con dilatazione ed ipocinesia ventricolare. A livello dei miociti, si verifica un aumento del
numero dei sarcomeri, che avviene in parallelo, con ispessimento delle fibre miocardiche, nel caso di un
sovraccarico pressorio (ipertrofia concentrica) o in serie, con loro allungamento (ipertrofia eccentrica), nel
sovraccarico volumetrico. In ogni caso, il volume delle fibre miocardiche aumenta in misura maggiore
rispetto al numero dei capillari, e all’interno di ciascuna cellula il numero dei sarcomeri aumenta in misura
maggiore rispetto ai mitocondri, così che il miocita viene a trovarsi in una condizione di relativa carenza di
ossigeno e di energia.
L’ipertrofia comporta, inoltre, un’accelerazione dei processi di morte cellulare (apoptosi) ed alterazioni
qualitative, con aumento della sintesi di proteine di tipo fetale che contribuiscono alla genesi della
disfunzione cardiaca. La fibrosi miocardica viene a compromettere ulteriormente l’apporto di ossigeno e
substrati alle cellule miocardiche e la capacità delle arteriole coronariche a dilatarsi.
Accelerata morte cellulare
Può verificarsi con i meccanismi sia della necrosi che dell’apoptosi. La necrosi si realizza nei pazienti affetti
da cardiopatia ischemica sia sotto forma di infarto clinicamente evidente che di microinfarti. E’ infatti
possibile rilevare un aumento della troponina plasmatica in pazienti con scompenso cardiaco ma senza
sindrome coronarica acuta. Questa evenienza può verificarsi anche in pazienti senza coronaropatia, a causa
del relativo deficit di apporto di ossigeno ai miociti favorito dall’ipertrofia, aumento dello stress miocardico
e della pressione telediastolica ventricolare.

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148 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Differentemente dalla necrosi, l’apoptosi è un processo attivo, energia dipendente, in cui l’attivazione di
uno specifico programma genetico porta ad una cascata di eventi con esito in degradazione del DNA
cellulare. Questo processo, normalmente presente solo in un piccolissimo numero di cellule miocardiche, è
attivato in corso di scompenso cardiaco, contribuendo al deficit di contrattilità.
Alterato rapporto fra le isoforme della miosina
Esistono due principali isoforme della catena pesante della miosina (MHC, myosin heavy chain). Una
rapida, ad elevata attività ATPasica, ed una lenta, a bassa attività ATPasica, prevalente nella vita fetale. Nel
cuore insufficiente si verifica la riespressione di geni normalmente attivi durante la vita fetale. Queste
alterazioni si correlano con la riduzione della contrattilità miocardica e sono antagonizzate, nella
maggioranza dei pazienti, dalla terapia beta-bloccante.
Ridotto contenuto miocardico di substrati ad alto contenuto energetico
Lo scompenso cardiaco si associa a riduzione dell’apporto di ossigeno e di substrati alla cellula miocardica
ed a compromissione dei meccanismi di produzione dei substrati ad alto contenuto energetico. Vi è anche
un’importante compromissione dell’immagazzinamento di energia sotto forma di creatin-fosfato (CP). Il
rapporto CP/ATP è un indice della disponbilità di energia a livello miocardico e la sua riduzione in corso di
scompenso, valutabile mediante risonanza magnetica nucleare e spettroscopia, predice un’elevata
mortalità nei pazienti.
Alterato metabolismo del calcio
Nei pazienti con scompenso cardiaco è ridotta l’attività dell’ATPasi calcio-dipendente del reticolo
sarcoplasmatico (SERCA), responsabile della ricaptazione del calcio durante la diastole. Viene quindi
compromesso il rilasciamento miocardico in diastole e si riscontra un ridotto accumulo di calcio all’interno
del reticolo sarcoplasmatico. Ciò determina la liberazione di una minore quantità di calcio nella sistole
successiva, con conseguente riduzione della contrattilità.
Fibrosi interstiziale
A carico del tessuto connettivo del cuore insufficiente si verificano modificazioni a livello sia della
componente cellulare (fibroblasti) che intercellulare. I fibroblasti vanno incontro ad iperplasia, con un
aumento di sintesi di collagene sproporzionato rispetto alla componente miocitaria (fibrosi interstiziale). Si
verificano anche modificazioni qualitative del collagene, consistenti in aumentata sintesi di collagene tipo I,
più rigido, con maggiore suscettibilità alle fratture del collagene, scivolamento delle fibre miocardiche le
une sulle altre, disorganizzazione della normale architettura del ventricolo sinistro, che assume una
conformazione sferica. Questa comporta un aumento dello stress parietale e minore efficienza contrattile.

ATTIVAZIONE NEURO-ORMONALE
Nello scompenso cardiaco entrano in gioco da protagonisti i sistemi simpato-adrenergico e renina-
angiotensina-aldosterone determinando vasocostrizione periferica, ritenzione idro-salina ed ipertrofia e/o
iperplasia cellulare. Questi meccanismi favoriscono la progressione dello scompenso cardiaco.

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149 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Attivazione simpato-adrenergica--> Beta-bloccanti


L'incremento dell'attività simpatica non interessa in modo uniforme tutti gli organi, ma si verifica
soprattutto a livello renale e cardiaco. L'attivazione simpatoadrenergica è un fenomeno precoce
nell'evoluzione dello scompenso, ed è già presente nei pazienti con disfunzione ventricolare sinistra
asintomatica. Lo squilibrio neuroendocrino interessa globalmente tutto il sistema neurovegetativo, poiché
all'aumento dell'attività simpatica è associata la riduzione di quella parasimpatica.
Numerosi sono i meccanismi con cui la stimolazione simpatoadrenergica può avere effetti dannosi sulla
cellula miocardica. Essa porta ad una progressiva riduzione del numero dei beta1 recettori miocardici, ciò
causa una ridotta risposta cardiaca alla stimolazione simpatica che può, ad esempio, contribuire al ridotto
incremento della portata cardiaca ed alla ridotta tolleranza allo sforzo dei pazienti.
La norepinefrina ha anche effetti dannosi diretti sulle fibre miocardiche, stimolando apoptosi ed alterazioni
dell’espressione genica nei cardiomiociti. Essa può favorire l’ischemia e la necrosi miocardica attraverso
l’aumento della frequenza e della contrattilità, condizioni entrambe in grado di incrementare il consumo di
ossigeno.
Altri effetti sfavorevoli della stimolazione simpatica sono: 1) la vasocostrizione periferica, sia diretta che
indiretta, per stimolazione del sistema renina-angiotensina, con conseguente aumento del postcarico e
riduzione della gittata sistolica; 2) l’induzione di aritmie ventricolari, potenzialmente fatali; e 3)
l’attivazione del sistema renina-angiotensina.

Sistema renina angiotensina aldosterone Ace-inibitori e anti-aldoteronici


L'angiotensina II causa vasocostrizione periferica, con aumento del postcarico e calo della gittata sistolica.
In secondo luogo, stimola la secrezione di aldosterone causando ritenzione idro-salina e quindi aumento
del precarico, edemi declivi e congestione venosa sistemica. Similmente alla norepinefrina, anche
l’angiotensina II ha un effetto tossico diretto sul miocardio (apoptosi).
L’aldosterone, la cui secrezione è stimolata dall’angiotensina II, oltre a causare ritenzione idro-salina ed
ipokaliemia, provoca anche ipertrofia e fibrosi miocardica, aumento della stimolazione simpatica cardiaca e
disfunzione endoteliale. Tutti questi effetti contribuiscono alla progressione dello scompenso e rendono
conto degli effetti favorevoli dei farmaci antialdosteronici sulla prognosi.

Vasopressina
La vasopressina agisce su due diversi recettori, V1 e V2. La stimolazione dei recettori V1 determina
vasocostrizione periferica con diminuzione della gittata sistolica, mentre la stimolazione dei recettori V2
provoca ritenzione di acqua libera per permeabilizzazione all’acqua del tubulo collettore renale.

Fattori natriuretici
In corso di scompenso cardiaco l’aumento dello stress parietale miocardico causa l’espressione di geni
attivi nella vita fetale con conseguente produzione di ANP e BNP. L’ANP e il BNP vengono prodotti e secreti
sia a livello atriale che ventricolare: la concentrazione di ANP è maggiore a livello atriale mentre quella di
BNP è maggiore a livello ventricolare. I fattori natriuretici causano vasodilatazione periferica, inibiscono
l’attivazione simpatica e la secrezione di renina e di aldosterone, e favoriscono la natriuresi. La loro
secrezione si verifica precocemente nello scompenso cardiaco. È quindi probabile che i fattori natriuretici
abbiano un ruolo importante nel mantenere un normale equilibrio idro-salino. Nelle fasi inziali dello
scompenso cardiaco, essi riuscirebbero a controbilanciare gli effetti dell’attivazione dei sistemi
simpatoadrenergico e renina-angiotensina-aldosterone.

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150 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Ossido nitrico
L’ossido nitrico (NO) è il più potente vasodilatatore endogeno conosciuto. Una riduzione della
vasodilatazione NO-dipendente è stata dimostrata in numerose condizioni patologiche tra cui lo
scompenso cardiaco.

Endotelina
Le endoteline sono peptidi dotati di una potente e prolungata azione vasocostrittrice. La loro sorgente più
importante sembrano essere le cellule endoteliali. Oltre a presentare una potente e prolungata attività
vasocostrittrice, le endoteline stimolano il rilascio di catecolamine ed aldosterone, favoriscono l’ipertrofia
miocardica e la proliferazione delle cellule muscolari lisce.
Nei pazienti con scompenso cardiaco è stato dimostrato un incremento significativo delle loro
concentrazioni.

Stress ossidativo
Esistono numerose evidenze di un aumento dello stress ossidativo sia a livello miocardico che a livello
vascolare sistemico nei pazienti con scompenso cardiaco. La produzione di radicali liberi riduce la capacità
di dilatazione vascolare periferica e stimola l’ipertrofia dei miociti, la riespressione dei fenotipi fetali e
l’apoptosi.

Citochine
I livelli circolanti di citochine pro-infiammatorie, incluse TNF-a e IL-6, sono aumentati nei pazienti con
scompenso cardiaco, e sono correlati con la severità della sintomatologia e con la prognosi. Gli effetti
negativi dei mediatori infiammatori sulla progressione dello SC sono molteplici e comprendono un’attività
inotropa negativa, l’induzione di un genotipo fetale e di apoptosi a livello dei cardiomiociti, la cachessia e
l’ipotrofia della muscolatura scheletrica.
151 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

RITENZIONE IDRO SALINA E AUMENTO DEL PRE CARICO


La ritenzione idro-salina è dovuta, nello scompenso cardiaco, alle modificazioni dell'emodinamica renale e
all’attivazione neuro-ormonale.

Flusso ematico renale e filtrazione glomerulare


Nello scompenso cardiaco, l’attivazione simpatica determina una redistribuzione della portata cardiaca
con riduzione del flusso ematico renale così da consentire una adeguata perfusione cerebrale. La bassa
perfusione renale viene interpretata dal rene come un abbassamento dei livelli di liquidi circolanti. Viene
dunque attivato il sistema renina-angiotensina-aldosterone, cui segue un maggior riassorbimento di sodio
cui consegue, per osmosi, anche un maggior riassorbimento idrico. Il riassorbimento di acqua può
verificarsi in misura maggiore del riassorbimento di sodio con conseguente iposodiemia da diluizione. Con
la ritenzione idro-salina l’organismo cerca di mantenere un adeguato volume ematico in condizioni in cui la
portata cardiaca e la pressione di perfusione tessutale tendono a calare per effetto della ridotta
contrattilità miocardica. Queste modificazioni sono, tuttavia, dannose per l’evoluzione dello scompenso
cardiaco e rappresentano la principale causa di molti sintomi lamentati dal paziente (edemi, dispnea) oltre
che delle ospedalizzazioni per peggioramento dello scompenso.

Aumento del precarico


La ritenzione idro-salina è alla base della formazione di edema e comporta, a livello cardiaco, un aumento
del precarico. L’aumento di precarico può inizialmente comportare una maggior gittata sistolica attraverso
il meccanismo di Frank-Starling. Tuttavia, il cuore insufficiente esaurisce ben presto la propria riserva di
contrattile. L’aumento del volume ventricolare continua, invece, a determinare un aumento dello stress
parietale miocardico e quindi, per la legge di Laplace, anche del postcarico e del consumo miocardico di
ossigeno.

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152 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

VASOCOSTRIZIONE PERIFERICA E AUMENTO DEL POST CARICO


Nello scompenso cardiaco, l’aumento delle resistenze vascolari periferiche è dovuto all’attivazione dei
meccanismi neuroumorali ad azione vasocostrittrice ed alle alterazioni di sistemi locali (NO, endotelina,
etc). Questi fenomeni determinano vasocostrizione arteriolare e riduzione del diametro e della compliance
delle grosse e medie arterie.
Il cuore insufficiente è criticamente dipendente dal post-carico, così che anche minime variazioni dello
stesso comportano un’importante riduzione della gittata sistolica. Questo motivo ha guidato l’introduzione
della terapia vasodilatatrice nello scompenso cardiaco.

RIDUZIONE DELLA TOLLERANZA ALLO SFORZO


La ridotta tolleranza allo sforzo è uno dei sintomi fondamentali del paziente con scompenso cardiaco.

Flusso ematico muscolare scheletrico


La riduzione della portata cardiaca e della vasodilatazione muscolare fanno sì che il muscolo si venga a
trovare, sotto sforzo, in una condizione di relativa ipoperfusione responsabile, a sua volta, di più precoce
comparsa di metabolismo anaerobio e di riduzione della tolleranza allo sforzo.
A questa ridotta capacità di dilatazione dei vasi della muscolatura scheletrica contribuiscono sia
l'attivazione neuroumorale che alterazioni di sistemi locali (NO, endotelina, citochine).
Caratteristiche biochimiche e funzionali della muscolatura scheletrica
Il 25-40% dei pazienti con scompenso cardiaco può presentare una riduzione della capacità funzionale, con
precoce comparsa di metabolismo muscolare anaerobio nonostante un normale incremento del flusso
ematico durante sforzo.
In corso di scompenso cardiaco, i muscoli scheletrici vanno incontro a modificazioni morfologiche
(ipotrofia, fibrosi interstiziale, depositi lipidici, riduzione della densità dei capillari) e biochimiche (riduzione
degli enzimi responsabili del metabolismo aerobio, con normale o aumentata attività degli enzimi della
glicolisi anaerobia).
Diffusione alveolo-capillare
Nello scompenso cardiaco, una riduzione della capacità di diffusione alveolo-capillare può determinare
incremento dello spazio morto fisiologico e del rapporto tra spazio morto polmonare e capacità vitale (Vd/
Vt).
Risposta ventilatoria allo sforzo
I pazienti con scompenso cardiaco presentano, durante sforzo, un respiro più rapido e più superficiale, con
maggiore incremento della ventilazione (VE), a parità di carico lavorativo, rispetto ai soggetti normali.

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154 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Capitolo 20
QUADRI CLINICI DELLO SCOMPENSO CARDIACO ACUTO
Francesco Fedele

DEFINIZIONE

L’insufficienza cardiaca è la situazione in cui il cuore è incapace di pompare sangue in quantità adeguata
alle esigenze metaboliche dell’organismo, oppure può far questo soltanto mediante un aumento delle
pressioni di riempimento (vedi Capitolo 19).
L’insufficienza cardiaca acuta, definita come la comparsa improvvisa di segni e sintomi secondari a
disfunzione cardiaca sistolica o diastolica, può essere associata ad una malattia cardiaca pre-esistente, ad
anomalie del ritmo o ad un “mismatch” del pre e del post-carico; questa condizione rappresenta una
minaccia per la vita e necessita di un trattamento di emergenza.
L’insufficienza cardiaca acuta può presentarsi come prima manifestazione di malattia in pazienti senza
disfunzione cardiaca conosciuta precedentemente, o come riacutizzazione di un’insufficienza cardiaca
cronica. Perciò, l’insufficienza cardiaca acuta comprende tre differenti gruppi di pazienti: 1) pazienti con
un’insufficienza cardiaca “de novo” secondaria ad un fattore precipitante, come ad esempio un esteso
infarto del miocardio o un improvviso aumento della pressione arteriosa in presenza di un ventricolo
sinistro deficitario; 2) pazienti con peggioramento di un’insufficienza cardiaca cronica sistolica o diastolica;
3) pazienti che presentano un’insufficienza cardiaca avanzata o all’ultimo stadio, e vanno rapidamente
incontro a deterioramento, con disfunzione ventricolare prevalentemente sistolica, scarsa risposta alla
terapia medica e necessità di trattamenti non farmacologici. Lo scompenso cardiaco NON è sinonimo di
scompenso cardiocircolatorio, sindrome in cui pur il cuore funzionando bene (anzi inizialmente lavora di
più), non riesce a soddisfare le esigenze dell'organismo, come ad esempio negli Shunt o nelle anemie.

EPIDEMIOLOGIA

L’insufficienza cardiaca è la principale causa di morbilità e mortalità nel mondo occidentale. La causa più
comune di insufficienza cardiaca acuta è la malattia coronarica (~70%).
I pazienti con insufficienza cardiaca acuta hanno una prognosi severa: la mortalità è particolarmente
elevata (30% a 12 mesi) nell’infarto miocardico acuto associato ad insufficienza cardiaca grave. Circa la
metà dei pazienti ospedalizzati per insufficienza cardiaca acuta vengono nuovamente ricoverati almeno
una volta entro un anno. In questi soggetti ogni evento acuto contribuisce alla progressiva disfunzione
ventricolare sx, per cui gli sforzi terapeutici devono essere rivolti anche ad un’azione di cardioprotezione.
155 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

QUADRI CLINICI

I sintomi e i segni nel paziente con insufficienza cardiaca acuta sono riconducibili: 1) alla diminuzione della
portata cardiaca a riposo, fino a livelli che comportano ipoperfusione tissutale e riduzione del flusso renale;
2) all’aumento delle pressioni di riempimento ventricolari destre e sinistre con conseguente congestione
sistemica e polmonare. Tali sintomi e segni, sommandosi in vario modo, compongono i diversi quadri clinici,
correlati anche alle differenti cause di base, agli eventi scatenanti, alla rapidità di insorgenza e alla gravità
(Figura 2).

LA DISPNEA
Consiste in una sensazione di sforzo o fatica nel respirare e può essere associata a fame d’aria. È la
conseguenza della congestione polmonare, dovuta alle aumentate pressioni intracavitarie nelle sezioni
sinistre del cuore, che provoca aumento del contenuto idrico extravascolare polmonare, riducendo la
distensibilità polmonare e aumentando il lavoro dei muscoli respiratori. Nell’insufficienza cardiaca acuta
la dispnea assume spesso le caratteristiche di ortopnea e dispnea parossistica notturna.
L’ortopnea è la necessità di mantenere il torace in posizione eretta per evitare l’insorgenza della dispnea
o ridurne l’entità. La posizione supina, infatti, aumenta il ritorno venoso al cuore e quindi peggiora la
congestione polmonare. La dispnea parossistica notturna è caratterizzata da manifestazioni accessionali,
durante le quali il paziente avverte una sensazione di mancanza di aria ed è costretto a sedersi sul letto
con i piedi penzoloni o a portarsi alla finestra alla ricerca di aria. In alcuni casi compare tosse stizzosa e
respiro sibilante dovuto a broncostenosi (asma cardiaco).

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156 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

L’EDEMA POLMONARE
L’edema polmonare è il quadro più grave dello scompenso cardiaco acuto, e viene provocato dall’accumulo
di liquido nello spazio extravascolare polmonare. Quando la pressione all’interno dei capillari polmonari
aumenta al di sopra dei 25 mmHg, si realizza dapprima la trasudazione e l’accumulo di liquido
nell’interstizio (edema interstiziale); il sistema linfatico si adopera quindi ad allontanare il trasudato, ma
quando la sua capacità di drenaggio viene superata il liquido invade gli alveoli (edema alveolare),
compromettendo la funzione polmonare, sia da un punto di vista meccanico che degli scambi gassosi.
La compromissione respiratoria genera ipossiemia e acidosi, le quali provocano un ulteriore
peggioramento della funzione cardiaca, riducendo la portata ed aumentando la pressione capillare
polmonare. La riduzione della portata cardiaca, inoltre, attiva il sistema adrenergico che, attraverso la
vasocostrizione cutanea, muscolare e splancnica, tende a mantenere un’adeguata perfusione cerebrale e
cardiaca, ma d’altro canto induce tachicardia, ipertensione, pallore e contrazione della diuresi. L’aumento
delle Resistenze vascolari periferiche determina un incremento del carico di lavoro in un cuore già
insufficiente, e peggiora la performance cardiaca provocando un’ulteriore riduzione della portata; si
innesca quindi un circolo vizioso, sino a quando la portata crolla al di sotto dei valori minimi necessari per
mantenere una normale perfusione cardiaca e cerebrale, e s’instaura il quadro dello shock cardiogeno(vedi
Capitolo 22).
Il paziente affetto da edema polmonare acuto sta seduto sul letto, fortemente agitato, madido di sudore,
dispnoico e tachipnoico, con respiro rumoroso e gorgogliante; la sua cute è fredda e sudata, e può essere
presente cianosi alle labbra e alle estremità. Al torace si ascoltano alle basi polmonari rantoli crepitanti, che
con l’aumentare della quantità di liquido trasudato arrivano ad interessare tutto l’ambito polmonare,
accompagnati da escreato schiumoso ed eventualmente rosato. Se non si interviene con un trattamento
tempestivo, l’edema polmonare tende a peggiorare progressivamente sino all’arresto del respiro, oppure
evolve verso lo shock (shock cardiogeno) e l’arresto di circolo, con esito fatale.
L’esame fisico del paziente con insufficienza cardiaca acuta permette di rilevare segni a carico dell’apparato
cardiovascolare, dell’apparato respiratorio, del fegato e dell’addome, della cute, dei reni.
La pressione arteriosa può essere elevata, soprattutto la diastolica, per effetto della vasocostrizione
arteriolare. Quando però la gittata sistolica è diminuita, anche i valori pressori sistemici si riducono, sino a
raggiungere valori minimi nello shock cardiogeno. La pressione venosa centrale è solitamente elevata: si
può valutare osservando il grado di turgore delle vene giugulari con il paziente in posizione semiseduta (a
45°).
La cute può apparire pallida, umida di sudore e fredda per la costrizione dei vasi cutanei come meccanismo
compensatorio dell’ipoperfusione periferica; nei casi più gravi può comparire cianosi.
I segni di ipoperfusione renale sono rappresentati dall’oliguria (meno di 500-600 ml nelle 24 ore)
unitamente all’aumento dell’azotemia e della creatininemia. Quando la gittata cardiaca è gravemente
ridotta, si può arrivare fino all’anuria (< 100 ml nelle 24 ore).
L’edema periferico è presente soprattutto nei casi di peggioramento di una condizione cronica; esso è
dovuto all’aumento di pressione venosa sistemica, ma anche e soprattutto alla ritenzione idrosalina.
L’esame obiettivo cardiaco può mostrare i segni della cardiopatia che sta alla base dello scompenso. La
frequenza cardiaca è solitamente elevata (per effetto dell’ipertono simpatico) e all’ascoltazione è spesso
presente un ritmo di galoppo, dovuto alla presenza di un III tono cardiaco, meno spesso di un IV tono (vedi
Capitolo 2). Può essere presente un soffio olosistolico alla punta da insufficienza mitralica acuta. All’esame
del torace, quando l’aumento della pressione nelle vene e nei capillari polmonari provoca trasudazione di
liquido nel tessuto interstiziale polmonare, si possono ascoltare rumori umidi (rantoli crepitanti) . Il reperto
obiettivo toracico coinvolge dapprima i campi polmonari basali, diffondendosi progressivamente ai campi
superiori in seguito all’aggravarsi della condizione clinica ed in assenza di adeguato trattamento.
157 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Sfruttando i segni e i sintomi dei quadri clinici dell’insufficienza cardiaca acuta è stata formulata
la classificazione di Killip, che suddivide i pazienti in quattro classi in base alla presenza di segni di
congestione polmonare e periferica, segni di bassa portata, e segni di aumentato volume telediastolico
ventricolare. La classe I è caratterizzata dall’assenza di segni clinici di insufficienza cardiaca. I criteri
diagnostici per la II classe includono il riscontro di rantoli nella metà inferiore dei campi polmonari, terzo
tono e ipertensione venosa polmonare. La classe III include pazienti con insufficienza cardiaca severa
(rantoli estesi a tutti i campi polmonari o edema polmonare franco). La classe IV include i pazienti in
shock cardiogeno, con pressione arteriosa sistolica = 90 mmHg, vasocostrizione periferica, oliguria e
cianosi. Un’altra classificazione, basata sulla temperatura corporea (cute calda o fredda) e sul reperto
ascoltatorio toracico (il paziente viene definito “umido” o “secco” a seconda che presenti rantoli o no),
distingue quattro gruppi di crescente gravità clinica: il gruppo A comprende pazienti “caldi e secchi”, il
gruppo B pazienti “caldi e umidi”, il gruppo L pazienti “freddi e secchi” e il gruppo C pazienti “freddi e
umidi” (Figura 3).

Lo shock cardiogeno può essere il quadro di esordio, soprattutto in caso di infarto miocardico, oppure la
fase terminale di un’insufficienza cardiaca in rapido peggioramento: si manifesta quando la portata
cardiaca scende al di sotto dei valori minimi necessari a mantenere la funzione degli organi vitali (vedi
Capitolo 22)

DIAGNOSTICA STRUMENTALE

Tra le indagini di laboratorio, durante un episodio di insufficienza cardiaca acuta, bisognerà ricercare gli
indici di necrosi miocardica. Può essere, inoltre, dosato il peptide natriuretico di tipo B (Brain Natriuretic
Peptide-BNP, vedi Capitolo 14), che viene rilasciato dai ventricoli in risposta allo stiramento delle pareti e
al sovraccarico di fluidi, ed è stato utilizzato per escludere o identificare la presenza di scompenso
cardiaco congestizio.
Di notevole importanza è l’emogasanalisi, che rivela dati sugli scambi gassosi e sullo stato metabolico del
paziente.
158 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

La radiografia del torace fornisce informazioni sia sulle dimensioni e la morfologia cardiaca, ma soprattutto
sulla distribuzione del flusso polmonare.
L’elettrocardiogramma può essere normale, ma spesso mostra aritmie o alterazioni dipendenti dalla
cardiopatia di base.
L’esame principe nell’inquadramento del paziente con insufficienza cardiaca acuta è l’ecocardiogramma,
che valuta le dimensioni e i volumi delle cavità cardiache, gli spessori parietali, la cinesi globale e
segmentale, la frazione di eiezione e la contrattilità. Si può analizzare la morfologia e la funzione degli
apparati valvolari e di altre strutture quali il pericardio, il tratto prossimale dell’aorta e la vena cava
inferiore. Inoltre si può esaminare la funzione diastolica, impiegando la registrazione con il Doppler pulsato
del flusso transmitralico (Figura 4).

PRINCIPI DI TERAPIA

Gli obiettivi del trattamento a breve termine dei pazienti con insufficienza cardiaca acuta sono migliorare i
sintomi e l’emodinamica, preservando la funzione renale e proteggendo il tessuto miocardico. La terapia
dell’ insufficienza cardiaca acuta si prefigge, quindi, di ridurre la congestione, ridurre il postcarico,
migliorare l’assetto neurormonale, migliorare la funzione cardiaca (Figura 5).

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159 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

I diuretici sono farmaci che aumentano l’eliminazione di sodio e acqua e perciò riducono la massa liquida
circolante e il volume di liquido interstiziale. I diuretici più usati sono quelli dell’ansa ad azione rapida,
(furosemide e torasemide), spesso in associazione con i risparmiatori di potassio.
Tra i farmaci che riducono il precarico vi sono i vasodilatatori venosi, che ridistribuendo il volume ematico
aumentano la capacità del distretto venoso, e sequestrano in questa sede parte della massa circolante,
riducendo il riempimento cardiaco. I vasodilatatori venosi più importanti sono la nitroglicerina e il
nitroprussiato, che ha un effetto anche sul versante arterioso.
Gli ACE-inibitori sono farmaci che oltre a ridurre il precarico, favorendo anche una minor ritenzione di
acqua e sali, migliorano l’assetto neuro-ormonale. Sono poco usati nello scompenso acuto. Al contrario, i
farmaci che stimolano l’inotropismo, soprattutto dopamina, dobutamina e glicosidi digitatici, possono
essere di grande aiuto nella fase acuta.
Le due amine simpaticomimetiche, dopamina e dobutamina, agiscono soprattutto sui recettori beta-
adrenergici, migliorando la contrattilità miocardica. La dopamina, precursore naturale della noradrenalina,
è utile nel trattamento degli stati ipotensivi; a dosaggi molto bassi induce vasodilatazione dei vasi renali e
mesenterici, per stimolazione dei recettori dopaminergici, aumentando così la diuresi e l’escrezione di
sodio. A dosaggi più elevati la dopamina stimola i recettori ß1 miocardici, provocando una modesta
tachicardia riflessa, mentre a dosaggi elevati stimola anche i recettori a-adrenergici, innalzando i valori
tensivi sistemici. La dobutamina agendo sui recettori ß1, ß2 e a, possiede un potente effetto inotropo,
abbassa le resistenze periferiche e determina un aumento di gittata cardiaca.
I glicosidi digitalici agiscono bloccando la pompa sodio/potassio ATP-dipendente delle fibre miocardiche,
con l’effetto ultimo di aumentare la disponibilità di calcio intracellulare per la contrazione. Oltre a ciò,
riducono la frequenza cardiaca e rallentano la conduzione atrioventricolare (soprattutto per aumento del
tono vagale), per cui sono utili in presenza di tachiaritmie sopraventricolari, soprattutto in corso di
fibrillazione atriale.
Recenti prospettive farmacologiche sono rappresentate dai nuovi inotropi come il levosimendan, che agisce
tramite un duplice meccanismo di azione: aumenta la sensibilità delle miofibrille al calcio, tramite il legame
con la troponina C, determinando quindi un effetto inotropo positivo senza aumentare il consumo
miocardio di ossigeno, e attiva i canali vascolari del potassio ATP-dipendenti, provocando una
vasodilatazione periferica.
160 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Capitolo 21
QUADRI CLINICI DELLO SCOMPENSO CARDIACO CRONICO
Batman, Mazzinga, Godzilla

QUADRI CLINICI

Bisogna distinguere lo scompenso cardiaco acuto da quello cronico. Lo scompenso cardiaco cronico, si
sottoclassifica in scompenso anterogrado e retrogrado, sinistro e destro, sistolico e diastolico.
Secondo la teoria anterograda dello scompenso, sintomi e segni nascono da un'inadeguata portata
cardiaca con insufficiente perfusione dei tessuti periferici. Viceversa, secondo la teoria retrograda, la causa
dei sintomi e segni è da ricercarsi nell’incompleto svuotamento dei ventricoli, che causa un aumento della
pressione intraventricolare che si ripercuote a monte sulle pressioni atriale, dei vasi venosi tributari ed,
infine, intracapillari. L’aumento della pressione intracapillare causa trasudazione di liquido ed edema
interstiziale e, nel caso del circolo polmonare, edema alveolare.
La distinzione tra scompenso cardiaco sinistro e destro è un’estensione della precedente teoria
retrograda. Nello scompenso sinistro predominano i sintomi da accumulo di fluidi a monte del ventricolo
sinistro con congestione ed edema polmonare. Nello scompenso destro si ha, invece, congestione venosa
sistemica ed epatica.
La distinzione tra scompenso cardiaco sistolico e diastolico è essenzialmente basata sul riscontro o meno
di bassi valori di frazione d’eiezione (<50%) in pazienti con sintomi di scompenso cardiaco. Tuttavia, anche
nei pazienti con frazione d’eiezione normale sono presenti alterazioni di altri indici di funzione sistolica
ventricolare sinistra e, viceversa, alterazioni della funzione diastolica sono costantemente presenti anche
nei pazienti con bassa frazione d’eiezione. Per queste ragioni, si preferisce usare il termine
di scompenso cardiaco con normale frazione d’eiezione piuttosto che quello di scompenso diastolico. I
pazienti con normale frazione d’eiezione possono corrispondere a più del 50% dei pazienti ricoverati per
scompenso cardiaco e la loro prognosi è sovrapponibile, o solo leggermente migliore, rispetto a quella dei
pazienti con bassa frazione d’eiezione. I pazienti con normale frazione d’eiezione sono più spesso anziani,
di sesso femminile ed affetti da ipertensione arteriosa.

SINTOMI

Dispnea. La dispnea rappresenta, insieme all’astenia, il sintomo più suggestivo di scompenso cardiaco.
Nelle fase iniziali della malattia compare prevalentemente durante sforzi fisici, successivamente si presenta
anche a riposo con le caratteristiche dell’ortopnea, della dispnea parossistica notturna e dell’edema
polmonare acuto.
La dispnea viene descritta come una spiacevole sensazione di difficoltà nel respirare. Viene comunemente
avvertita da qualsiasi persona in occasione di uno sforzo fisico intenso. Nel paziente con scompenso
cardiaco vi è una riduzione del grado di attività associata con questo disturbo. Tanto maggiore è la severità
dello scompenso cardiaco, tanto minore è l’entità dello sforzo che causa la dispnea. Su questo è basata la
classificazione della New York Heart Associaton (Tabella I).

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161 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

La dispnea del paziente con scompenso cardiaco è causata dall’aumento delle pressioni capillari polmonari
con edema interstiziale ed alveolare. Meccanismi che contribuiscono a causare dispnea nei pazienti con
scompenso cardiaco sono l’insufficiente incremento della portata cardiaca sotto sforzo con ipoperfusione
dei muscoli scheletrici, che eseguono lo sforzo, ed ipoperfusione dei muscoli respiratori, ridotta compliance
polmonare, aumento della resistenza delle vie aeree, eccessiva risposta ventilatoria allo sforzo.
Ortopnea. L’ortopnea viene definita come la comparsa di dispnea in posizione supina con sua regressione
sollevando la testa, in posizione seduta. Compare rapidamente, entro pochi minuti dall’assunzione della
posizione supina. E’ dovuta alla ridistribuzione del volume ematico, con aumento del ritorno venoso e del
precarico e congestione polmonare.
Dispnea parossistica notturna. Differentemente dall’ortopnea, essa compare durante il sonno, causando il
risveglio del paziente con una sensazione di soffocamento e fame d’aria. Questi sintomi spesso si riducono
con la posizione seduta, spesso sul bordo del letto. Obiettivamente, sono spesso presenti fischi espiratori
da broncospasmo per edema della mucosa bronchiale e compressione dei bronchioli per edema
interstiziale.
Edema polmonare acuto (vedi Capitolo 20)
Astenia e affaticabilità. Astenia e facile affaticabilità sono secondari alla bassa portata cardiaca sotto
sforzo.
Nicturia ed oliguria. La nicturia (eliminazione di urina prevalentemente nelle ore notturne), è dovuta
all’aumento di perfusione renale durante la notte, col decubito supino. L’oliguria è un sintomo delle fasi
avanzate dello scompenso cardiaco, secondario ad ipoperfusione renale.
Sintomi gastroenterici. L’aumento della pressione venosa sistemica, presente soprattutto quando vi è
disfunzione ventricolare destra, determina epatomegalia con conseguente distensione della capsula
epatica e dolenzia all’ipocondrio destro, talvolta descritta come tensione addominale e senso di pienezza
dopo i pasti. Questi pazienti possono avere anche anoressia, difficoltà digestive e nausea.
Sintomi cerebrali. L’ipoperfusione cerebrale cronica secondaria alla bassa portata cardiaca può causare
vertigini, cefalea, sonnolenza, insonnia o altri sintomi cerebrali. Questi sono più frequenti nei pazienti
anziani con coesistente aterosclerosi cerebrale.
162 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

SEGNI CLINICI

La maggior parte dei segni clinici sono conseguenza della ritenzione idrico-salina. Alcuni di essi (stasi
giugulare, ritmo di galoppo) hanno un importante valore prognostico.
Aspetto generale: normale nella maggior parte dei pazienti con scompenso cardiaco cronico; nelle fasi più
avanzate di scompenso, tuttavia, il paziente potrà essere dispnoico a riposo e presentare ortopnea e segni
di attivazione adrenergica come cute pallida, fredda, sudata e cianotica.
Obiettività cardiaca. Il reperto di un III tono (galoppo proto diastolico) all’auscultazione è indicativo di un
aumento della pressione atriale sinistra con brusca decelerazione del sangue all’interno del ventricolo
sinistro immediatamente dopo la fase di riempimento rapido. Un soffio olosistolico da insufficienza
mitralica e/o da insufficienza tricuspidale è spesso udibile. In caso d’ipertensione polmonare si può anche
evidenziare un’accentuazione della componente polmonare del 2° tono.
Polsi periferici. La pressione arteriosa sistolica e l’ampiezza dei polsi periferici, espressione della pressione
differenziale, tendono ad essere ridotte nei pazienti con scompenso cardiaco severo e bassa portata
cardiaca.
Stasi polmonare. L’edema alveolare causa la comparsa di rantoli a piccole bolle, crepitanti. Questi si
evidenziano generalmente alle basi di entrambe i polmoni oppure, inizialmente, soltanto alla base destra.
Nei casi di maggiore gravità tendono ad estendersi verso gli apici fino ai reperti dell’edema polmonare.
Versamento pleurico. Anche questo si evidenzia ad entrambe le basi o, nei casi meno gravi, solo alla base
destra. Dato che le vene pleuriche drenano sia nelle vene polmonari che in quelle sistemiche, la sua
comparsa è frequente soprattutto nei casi d’ipertensione di entrambi i circoli (piccolo circolo e circolo
sistemico).
Stasi giugulare. L’ispezione va eseguita dal lato destro del collo in quanto qui vena giugulare interna ed
anonima si continuano, in modo pressoché rettilineo, nella vena cava superiore, favorendo la trasmissione
delle onde sfigmiche originate dall’atrio destro. Per esaminare il polso giugulare, la testa del paziente deve
essere adagiata su un cuscino ed il tronco inclinato di 45°.
Il reflusso epato-giugulare (distensione delle vene del collo dopo compressione per almeno un minuto in
ipocondrio destro) è segno di congestione epatica con, nello stesso tempo, incapacità del ventricolo destro
a ricevere ed eiettare l’ aumentato ritorno venoso.
Epatomegalia. E’ dovuta a congestione venosa epatica ed è apprezzabile alla palpazione e percussione
dell’ipocondrio destro.
Ascite È un segno tardivo di grave ipertensione venosa sistemica, dovuto ad un aumento della pressione
nelle vene epatiche ed in quelle drenanti il peritoneo con possibile associato aumento della permeabilità
dei capillari peritoneali.
Edema. Gli edemi compaiono piuttosto tardivamente. Per avere la loro comparsa, si deve verificare
l’accumulo di almeno 4 litri di volume extracellulare in eccesso. Gli edemi dello scompenso cardiaco sono
simmetrici e si manifestano nelle parti declivi del corpo dove maggiore è la pressione idrostatica nei vasi
venosi (piedi, caviglie, zona pre-tibiale). Inizialmente, compaiono soprattutto alla sera, dopo che il paziente
è rimasto in piedi durante il giorno, e regrediscono con il riposo notturno. Nei pazienti costretti a letto
compaiono a livello sacrale. Nelle fasi avanzate l’edema tende a generalizzarsi (anasarca).
Cachessia cardiaca. Compare nelle fasi avanzate di scompenso ed è associata con una prognosi severa. La
genesi di tale fenomeno è multifattoriale: congestione epatica ed intestinale con malassorbimento
intestinale per grassi e proteine; aumentato metabolismo basale per maggiore lavoro respiratorio,
aumento del consumo miocardico di ossigeno; elevate concentrazioni plasmatiche di citochine.

ESAMI STRUMENTALI

Elettrocardiogramma. Un ECG normale non è frequente in un paziente con scompenso cardiaco cronico,
ma non esiste alcun quadro elettrocardiografico che indichi, di per sé, la presenza di scompenso; tuttavia
un QRS con durata >120 ms, specialmente associato a un blocco di branca sinistra, suggerisce la
probabilità di una disfunzione ventricolare .
163 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Radiografia del torace. La radiografia del torace è utile nell’evidenziare cardiomegalia, congestione
polmonare ed eventuali patologie polmonari associate.
Esami di laboratorio. La valutazione di routine include: emocromo, elettroliti sierici, creatininemia,
glicemia, enzimi epatici ed esame delle urine. La funzione tiroidea può essere valutata se indicata in base ai
reperti clinici.
L’anemia è presente in un 20-30% dei pazienti, ed è più frequente nei pazienti con scompenso cardiaco più
grave . La sua patogenesi è multifattoriale: insufficienza renale, terapia con ACE inibitori, attivazione
infiammatoria cronica, etc. L’iposodiemia è dovuta a dililuizione con ritenzione idrica maggiore di quella
salina. E’ almeno parzialmente dovuta ad aumentata secrezione di vasopressina. L’ipokaliemia può
verificarsi come conseguenza della terapia con diuretici dell’ansa o tiazidici, oltre che per aumentata
secrezione di aldosterone. Va corretta in quanto possibile causa di aritmie, anche fatali. L’iperkaliemia può
svilupparsi per insufficienza renale e/o terapia con antagonisti del sistema renina-angiotensina-
aldosterone.
L’insufficienza renale con aumento della creatininemia ed azotemia è secondaria ad ipoperfusione renale.
Può essere favorita dalla terapia medica (diuretici, antiinfiammatori non steroidei, aspirina, antagonisti del
sistema renina-angiotensina-aldosterone).
Le concentrazioni plasmatiche di BNP e di NT-proBNP sono utili nella diagnosi di scompenso cardiaco.
Concentrazioni normali di peptici natriuretici in un paziente non trattato rendono la diagnosi di scompenso
poco probabile. Oltre allo scompenso cardiaco, altre condizioni cliniche, come l’ipertrofia ventricolare
sinistra, l’ischemia miocardica, l’ipertensione e l’embolia polmonare possono causare un rialzo dei livelli
plasmatici di peptici natriuretici.
Ecocardiografia Doppler. E’ la procedura diagnostica di prima scelta per documentare una disfunzione
cardiaca. Il parametro più importante di funzione ventricolare è la frazione d’eiezione ventricolare sinistra,
misurata sottraendo dal volume telediastolico il volume telesistolico, ottenendo così la gittata sistolica, e si
divide questa per il volume telediastolico. La frazione di eiezione viene utilizzata per discriminare i pazienti
con disfunzione ventricolare sinistra sistolica da quelli con conservata funzione sistolica. L’aumento dei
volumi telesistolico e telediastolico ventricolare sinistro è un’altra caratteristica dei pazienti con
scompenso cardiaco dovuto a disfunzione ventricolare sistolica.
La misurazione combinata del flusso trans-mitralico e della velocità di spostamento dell’anulus mitralico
mediante Eco-Doppler tessutale cardiaco permette una valutazione della severità della disfunzione
diastolica ventricolare sinistra. I tre quadri di riempimento mitralico, alterato rilasciamento, pseudo-
normale e restrittivo, corrispondono rispettivamente, ad una disfunzione diastolica di grado lieve,
moderato e grave.
Oltre allo studio della funzione ventricolare, l’eco-Doppler permette anche di evidenziare un’eventuale
insufficienza mitralica e/o tricuspidale, frequentemente presenti in questi pazienti, o anche altre
alterazioni (es. una stenosi aortica) che possono avere causato lo scompenso cardiaco.
Risonanza magnetica (RM) cardiaca. E’ una tecnica estremamente accurata e riproducibile per la
valutazione dei volumi ventricolari destro e sinistro, della funzione ventricolare sinistra globale e regionale,
dello spessore miocardico, della rigidità di parete, della massa miocardica e delle valvole cardiache (vedi
Capitolo 7). E’ limitata dalla sua attuale non applicabilità ai portatori di pacemaker o di defibrillatore
automatico.
Prove di funzionalità respiratoria. La spirometria è utile nell’escludere cause polmonari della dispnea e nel
valutare la gravità di una patologia polmonare concomitante.
Coronarografia. E’ indicata nei pazienti con concomitante angina, o, comunque, segni d’ischemia
miocardica.
Test da sforzo cardiopolmonare. E’ utile per quantificare la severità della malattia e nella valutazione
prognostica. (vedi Capitolo 9)

PRINCIPI DI TERAPIA
164 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Obiettivi. La terapia si propone di migliorare i sintomi e la qualità di vita e/o di migliorare la prognosi
(riduzione della mortalità e delle ospedalizzazioni). Un altro fondamentale obiettivo è la prevenzione della
disfunzione cardiaca nei pazienti a rischio (esiti d’infarto, ipertensione arteriosa, valvulopatie, diabete, etc)
e la prevenzione dello scompenso cardiaco conclamato (comparsa dei sintomi) nei pazienti con disfunzione
cardiaca.
Il trattamento dello scompenso cardiaco cronico si basa su farmaci da somministrarsi per migliorare la
prognosi e farmaci volti al miglioramento dei sintomi. Alla prima categoria appartengono gli inibitori del
sistema renina-angiotensina-aldosterone ed i beta-bloccanti, alla seconda i diuretici e la digitale.
ACE inibitori. Gli ACE inibitori sono raccomandati come terapia di prima scelta nei pazienti con disfunzione
ventricolare sinistra sistolica, con o senza sintomi. Agiscono bloccando l'attivazione dell'angiotensina II con
conseguente caduta del tono dei vasi sanguigni e la diminuzione della pressione arteriosa
Beta-bloccanti riducono l'attività simpatica
Antialdosteronici. riducono il riassorbimento di liquidi
Bloccanti dei recettori dell’Angiotensina II. Possono essere usati in alternativa agli ACE inibitori nei casi di
intolleranza a questi

o Diuretici. I diuretici sono essenziali per il trattamento sintomatico dello scompenso cardiaco in presenza
di ritenzione idrica con congestione polmonare e/o congestione venosa giugulare e/o edemi declivi. Eccetto
che nelle forme di scompenso cardiaco lieve, in cui si possono impiegare anche i tiazidici, vanno preferiti i
diuretici dell’ansa (furosemide, torasemide, bumetanide). Vanno somministrati alle dosi minime necessarie
per mantenere il paziente libero da segni di ritenzione idrico-salina. La loro somministrazione favorisce
l'attivazione dei sistemi renina-angiotensina-aldosterone e simpatoadrenergico, il peggioramento della
funzione renale ed alterazioni elettrolitiche (ipokaliemia), tutti effetti potenzialmente dannosi per il
paziente con scompenso cardiaco.
I diuretici risparmiatori di potassio (amiloride, triamterene, spironolattone) possono essere associati agli
altri diuretici per il trattamento dell’ipokaliemia.
Glucosidi digitalici. Sono indicati nei pazienti con fibrillazione atriale e scompenso cardiaco sintomatico. Nei
pazienti in ritmo sinusale la digossina non ha effetti sulla mortalità ma riduce le ospedalizzazioni, in
particolare quelle per scompenso cardiaco.
Altri farmaci. Altri farmaci frequentemente impiegati nei pazienti con scompenso cardiaco sono i nitrati,
per il trattamento dell’ischemia miocardica e migliorare i sintomi, gli anticoagulanti, specialmente nei
pazienti con concomitante fibrillazione atriale o precedenti episodi embolici, gli antiaggreganti piastrinici,
nei casi con cardiopatia ischemica.
L’impianto del defibrillatore automatico e la terapia di resincronizzazione ventricolare con pacemaker
biventricolare sono indicati in pazienti selezionati.
166 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Capitolo 22
LO SHOCK CARDIOGENO

DEFINIZIONE

Con shock si intende una situazione clinica in cui si ha ipoperfusione tissutale con ipossia, esso può avere
differenti cause: Ipovolemico, (ridotto volume intravascolare,es emorragia), cardiogeno (riduzione
funzionalità cardiaca, es infarto), anafilattico, settico etc. L'insufficienza cardiaca può portare allo shock
cardiogeno: La riduzione della portata cardiaca che seguita allo scompenso cardiaco, attiva il sistema
adrenergico che, attraverso la vasocostrizione cutanea, renale, e muscolare, cerca di mantenere un’adeguata
perfusione cerebrale e cardiaca, ma d’altro canto induce tachicardia, ipertensione, pallore e contrazione della
diuresi. L’aumento delle Resistenze vascolari periferiche determina un incremento del carico di lavoro in un
cuore già insufficiente, e peggiora la performance cardiaca provocando un’ulteriore riduzione della portata; si
innesca quindi un circolo vizioso, sino a quando la portata crolla al di sotto dei valori minimi necessari per
mantenere una adeguata perfusione cardiaca e cerebrale, e s’instaura il quadro dello shock cardiogeno
Lo shock cardiogeno è una condizione di ipotensione arteriosa e inadeguata perfusione tissutale con ipossia
CAUSATA da disfunzione cardiaca, più frequentemente di natura ischemica, in presenza di un adeguato
volume intravascolare. L'ipossia tissutale va distinta in una forma transitoria, cui consegue il rapido ripristino
di normali valori di pressione sistemica, chiamata collasso cardiocircolatorio, e una forma che si protrae a
lungo, con danni ipossici più marcati, che rappresenta lo shock cardiogeno vero e proprio.
I criteri diagnostici per lo shock cardiogeno comprendono:

 pressione sistolica inferiore a 80 mm Hg per almeno 30 minuti, non incrementata dalla somministrazione
di liquidi endovena;
 segni di ipoperfusione (estremità fredde), alterato stato di coscienza, agitazione psico-motoria;
 diuresi oraria inferiore a 20 ml;
 indice cardiaco (Gittata sistolica rapportata alla superficie corporea) inferiore a 1,8 l/min/m2;
 pressioni di riempimento ventricolare sinistro elevate (pressione capillare polmonare > 18 mm Hg).


EPIDEMIOLOGIA
 Lo shock cardiogeno rappresenta la causa più comune di morte per causa cardiovascolare dopo
l’infarto miocardico.
L’incidenza di shock cardiogeno negli anni precedenti la diffusione delle metodiche di
rivascolarizzazione (farmacologica e meccanica) era pari al 20% di tutti gli infarti miocardici acuti
con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI). Dalle più recenti casistiche si stima che lo shock si
verifichi oggi nel 7% dei pazienti con STEMI e nel 3% dei pazienti con infarto miocardico acuto senza
sopraslivellamento del tratto ST (NSTEMI).
Quando lo shock cardiogeno non è secondario ad un fattore modificabile (per esempio aritmie,
bradicardia, alterazioni meccaniche) la mortalità a breve termine è dell’80%.

EZIOLOGIA

Lo shock cardiogeno può essere dovuto alle seguenti condizioni (Tabella

I):

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167 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

 deficit di eiezione ventricolare: può derivare dalla compromissione grave di una grande parte della massa
miocardica. Tra le cause principali di questa situazione va menzionato innanzitutto l’infarto esteso del
miocardio; tuttavia, anche infarti miocardici di piccole dimensioni, soprattutto quando si verificano in
pazienti con preesistente compromissione del ventricolo sinistro, possono evolvere in shock cardiogeno.
Un deficit di eiezione può essere, peraltro, sostenuto anche da aritmie ventricolari o da insufficienze
valvolari ad insorgenza acuta;
difetti di riempimento ventricolare: possono essere dovuti a:
 cause estrinseche, quali tamponamento cardiaco, pericardite costrittiva

 cause intrinseche, quali trombi o mixomi atriali, embolia polmonare massiva, stenosi mitralica serrata.

FISIOPATOLOGIA

La brusca riduzione della pressione sistolica al di sotto di 80 mm Hg induce la stimolazione dei barocettori

aortici e carotidei, determinando:

 vasocostrizione delle arteriole e delle meta-arteriole attraverso stimolazione Simpatica


 aumento della frequenza cardiaca attraverso l’inibizione del sistema nervoso parasimpatico.

La caduta della pressione sistemica induce inoltre la stimolazione dei chemocettori determinando:

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168 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

 iperventilazione, per migliorare l’ossigenazione del sangue. La quale induce tachicardia riflessa
 aumento dei livelli di catecolamine determinando vasocostrizione arteriosa e venosa
 attivazione dell’asse renina-angiotensina-aldosterone, quale risposta renale all’ipoperfusione sistemica,
con conseguente ritenzione di sodio e di liquidi.

Tali risposte hanno come effetto l’aumento della pressione telediastolica e dei volumi del ventricolo
sinistro. Sebbene ciò compensi parzialmente la riduzione della funzione ventricolare sinistra, un’elevata
pressione telediastolica del ventricolo sinistro determina edema polmonare, con alterazione degli
scambi gassosi polmonari. Seguita quindi acidosi respiratoria che peggiora ulteriormente l’ischemia
miocardica, la disfunzione ventricolare sinistra e la trombosi intravascolare (Figura 1).

Se la causa che ha provocato il collasso cardiocircolatorio è reversibile e agisce per breve tempo, la crisi può

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169 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

risolversi con il ripristino di normali valori di pressione sistemica. Quando, invece, questa reazione
compensatoria è insufficiente a far fronte all’ipotensione, si innesca una spirale discendente che conduce,
attraverso il perpetuarsi di una condizione di ischemia miocardica, ad un progressivo peggioramento della
funzione cardiaca, fino alla morte (Figura 2).

In caso di shock cardiogeno secondario a infarto miocardico acuto, le porzioni di miocardio non ischemiche
diventano ipercontrattili ed aumentano il loro consumo di ossigeno. Le conseguenze di questa risposta
dipendono dall’estensione del danno e dal precedente stato del miocardio, dalla gravità della patologia
coronarica sottostante, dalla presenza di altre patologie valvolari.
Si possono verificare tre condizioni:

 compenso: ripristino della normale pressione arteriosa e normale pressione di perfusione miocardica
 compenso parziale: stato di pre-shock con portata cardiaca e pressione arteriosa moderatamente ridotte
e conseguente aumento della frequenza cardiaca ed elevata pressione telediastolica ventricolare sinistra
 shock: si sviluppa rapidamente e determina una marcata ipotensione e peggioramento dell’ischemia
miocardica globale. Senza un’immediata riperfusione, i pazienti in questa condizione presentano una
limitata possibilità di sopravvivenza.

SINTOMI E SEGNI CLINICI

 A fronte di un elevato numero di segni clinici, lo shock cardiogeno può teoricamente manifestarsi in
assenza di sintomi avvertiti dal paziente; quando questi sono presenti, si tratta per lo più dei
sintomi di un infarto miocardico acuto (dolore toracico, dispnea, cardiopalmo, nausea, vomito,
astenia).
Il paziente in shock cardiogeno presenta solitamente alterazioni dello stato di coscienza, come
risultato della ridotta perfusione cerebrale; altri segni di ipoperfusione d’organo conseguenti alla
ridotta gittata cardiaca sono la contrazione della diuresi, l’insufficienza epatica, la cianosi. Queste
alterazioni cliniche di shock conclamato non si manifestano abitualmente sino a che l’indice
cardiaco (cioè la gittata cardiaca rapportata alla superficie corporea) non scende sotto il valore di
2,2 l/min/m2.
L’esame obiettivo mostra cute pallida ipotermica e sudata, distensione giugulare, aumentata
frequenza cardiaca. Il polso arterioso è iposfigmico, irregolare in presenza di aritmie; un polso
paradosso compare se la causa dello shock è il tamponamento cardiaco (ostacolo al riempimento
ventricolare). L’ascoltazione del torace rivela rantoli se è presente edema polmonare alveolare.
Spesso è presente un ritmo di galoppo (terzo e/o quarto tono); se lo shock
170 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

cardiogeno deriva dalle complicanze meccaniche di un infarto miocardico, possono essere udibili
anche i soffi da insufficienza mitralica (vedi Capitolo 15) o da difetto del setto interventricolare.

DIAGNOSTICA STRUMENTALE

Per la diagnosi di shock cardiogeno è necessario confermare la presenza di disfunzione cardiaca o di


eventuali ostacoli meccanici al riempimento ventricolare (per esempio tamponamento cardiaco, pericardite
costrittiva, trombi o mixomi striali, embolia polmonare massiva, stenosi mitralica serrata). E’ altresì
importante escludere altre potenziali cause di grave ipotensione come l’ipovolemia, l’emorragia e la sepsi.
L’iter diagnostico, partendo dall’anamnesi e dall’esame obiettivo del paziente, procede considerando i
seguenti esami diagnostici:

 Elettrocardiogramma:

Può mostrare segni di infarto miocardico acuto o di precedenti cardiopatie, o mettere in luce aritmie. Un
ECG normale, tuttavia, non esclude la diagnosi di shock cardiogeno.

 Radiografia del torace

E’ utile nel valutare le dimensioni cardiache, la presenza di congestione polmonare o di altre eventuali
patologie polmonari. Fornisce inoltre una stima approssimativa delle dimensioni del mediastino e della
radice aortica, utili per escludere una dissezione dell’aorta.

 Esami ematochimici

La determinazione dei marker di necrosi miocardica può essere fondamentale per diagnosticare un infarto
miocardico acuto quale causa di shock cardiogeno nei casi in cui il tracciato elettrocardiografico non sia
interpretabile. E’ anche utile misurare la concentrazione dei gas ematici nel sangue arterioso
(emogasanalisi arteriosa), dal momento che la presenza di acidosi può avere effetti particolarmente
dannosi sul miocardio.
4. Ecocardiogramma
Permette di ottenere informazioni circa la funzione sistolica globale e segmentaria dei ventricoli e consente
di giungere rapidamente al riconoscimento delle cause meccaniche di shock, quali rottura di un muscolo
papillare con insufficienza mitralica acuta, rottura acuta del setto interventricolare o della parete libera
ventricolare con tamponamento cardiaco, malfunzionamento di apparati valvolari protesici.
5. Monitoraggio invasivo e cateterismo cardiaco destro.
L’incannulamento di un’arteria permette il monitoraggio invasivo della pressione arteriosa, mentre quello
di una vena, incuneando un catetere a livello dei capillari polmonari, permette di ottenere parametri
emodinamici fondamentali per la diagnosi, quali la portata cardiaca e le pressioni di riempimento
ventricolare.

GESTIONE INIZIALE DEL PAZIENTE

Il trattamento dello shock cardiogeno ha innanzitutto lo scopo di migliorare la funzione cardiaca.


L’approccio iniziale al paziente con shock cardiogeno dovrebbe includere:
1) Gestione delle vie aeree
Il paziente in stato di shock ha spesso un diminuito livello di coscienza che lo rende incapace di proteggere
adeguatamente le proprie vie aeree e di provvedere spontaneamente alla respirazione. In questi casi
l’intubazione endotracheale e la ventilazione meccanica sono provvedimenti obbligati. Se il paziente è
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171 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

ancora in grado di ventilare in maniera adeguata è comunque indispensabile fornirgli ossigeno ad alti flussi,
utilizzando maschere, per avvicinarsi quanto più possibile al 100% di ossigeno inspirato.
2) Reperimento di un accesso venoso
Può essere un accesso venoso periferico o, meglio, un accesso venoso centrale (vena femorale, giugulare o
succlavia). Attraverso questa via possono essere somministrati liquidi e farmaci. L’introduzione dei fluidi
deve essere effettuata con attenzione, in modo da assicurare un adeguato precarico e ottimizzare la
funzione ventricolare (specialmente in presenza di infarto ventricolare destro), evitando l’eccessiva
somministrazione di liquidi, che potrebbe condurre all’edema polmonare.
3) Monitoraggio elettrocardiografico
Tachicardie e blocchi atrioventricolari possono ridurre in maniera significativa la gittata cardiaca. Il loro
tempestivo riconoscimento e trattamento è un elemento di estrema importanza.
4) Monitoraggio emodinamico
Consente il controllo continuo della pressione di riempimento (pressione diastolica ventricolare sinistra)
attraverso la misurazione della pressione atriale sinistra “indiretta”, ottenibile mediante misurazione della
pressione polmonare con catetere di Swan Ganz (vedi Capitolo 11).
5)Posizionamento di un catetere vescicale
E’ di estrema importanza il monitoraggio della diuresi oraria, essendo la contrazione della diuresi uno dei
primi segni di bassa portata cardiaca.

CENNI DI TERAPIA

Terapia farmacologica

 Morfina: nell’infarto miocardico può alleviare l'intenso dolore toracico, contribuire a ridurre gli elevati
livelli di catecolamine circolanti e diminuire il precarico e il postcarico. La risposta deve essere
attentamente monitorata perché la morfina causa depressione respiratoria, provoca dilatazione venosa e
può ridurre la pressione arteriosa.
 Agenti inotropi: se la pressione arteriosa sistemica è inferiore a 80-90 mm Hg, è necessario infondere un
agente pressorio come la dopamina. A dosi relativamente basse, 2-5 µg/kg per minuto, il farmaco induce
aumento della gittata sistolica e della gittata cardiaca, mediato dalla stimolazione ß-adrenergica, e
incremento del flusso renale mediato da recettori specifici dopaminergici. Gli effetti vasocostrittori a-
adrenergici si manifestano a dosi superiori ai 5 µg/kg per minuto.

Se si rendono necessarie alte dosi di dopamina per mantenere una perfusione adeguata, si deve prendere
in considerazione il passaggio all’infusione di noradrenalina. Questo farmaco è un potente costrittore
arteriolare e venoso, la cui azione è mediata attraverso una stimolazione a-adrenergica, mentre la
stimolazione ß-adrenergica è relativamente modesta.
Quando la pressione arteriosa sistemica è 90 mm Hg o superiore, il farmaco di scelta è la dobutamina, che
può produrre un aumento della pressione sistemica attraverso l’incremento della gittata cardiaca.

 Vasodilatatori: visto che questi farmaci riducono la pressione arteriosa, il loro impiego deve essere
associato a quello di un agente inotropo.
 Diuretici: il loro impiego è riservato ai casi di shock cardiogeno con edema polmonare acuto. I diuretici più
utilizzati sono quelli dell’ansa (per esempio, furosemide), associati ai risparmiatori di potassio (per
esempio, spironolattone).

Supporto meccanico
La stabilizzazione del paziente in shock cardiogeno può essere ottenuta mediante un supporto circolatorio
meccanico, cioè con l’impiego del contropulsatore aortico. Questo consiste in un palloncino montato su un

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172 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

catetere vascolare e collegato tramite un tubo ad una consolle di comando che è in grado di monitorizzare
l'ECG e la curva di pressione arteriosa, sincronizzando l'insufflazione e la desufflazione del palloncino con il
ciclo cardiaco. Il catetere viene inserito per via percutanea attraverso l'arteria femorale, e la sua punta è
posizionata in aorta discendente 1-2 centimetri sotto l'emergenza della arteria succlavia di sinistra e sopra
l'origine delle arterie renali (Figura 3).

Il gonfiaggio del pallone del contropulsatore avviene precocemente in diastole, determinando un notevole
aumento della pressione aortica diastolica fin quasi ai livelli della pressione aortica sistolica, e aumentando
di conseguenza il flusso sanguigno coronarico. Inoltre, lo sgonfiaggio del pallone all’inizio della sistole
riduce la pressione aortica, con conseguente diminuzione del consumo di ossigeno da parte del miocardio e
delle resistenze periferiche (postcarico). La contropulsazione aortica è generalmente riservata ai pazienti in
shock cardiogeno dovuto a una condizione potenzialmente reversibile, o nei quali si prenda in
considerazione il trapianto cardiaco (Tabella II).

Tali condizioni comprendono l’infarto miocardico ancora in evoluzione e l’infarto associato a una grave
complicanza meccanica (insufficienza mitralica o difetto del setto interventricolare).
In caso di shock cardiogeno secondario a infarto miocardico acuto, il ripristino del flusso ematico coronarico
è la terapia più efficace per salvare i pazienti che non rispondono all’infusione di liquidi o al trattamento
farmacologico. Le possibilità comprendono l’angioplastica e il by-pass aorto-coronarico. Nei casi in cui,
invece, lo shock cardiogeno è causato da una complicanza meccanica dell’infarto miocardico, la terapia
chirurgica di riparazione della lesione e/o sostituzione valvolare è la sola strada percorribile.

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174 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Capitolo 23
FISIOPATOLOGIA DELL’ISCHEMIA MIOCARDICA

METABOLISMO DELLE CELLULE MIOCARDICHE

Per svolgere la loro funzione contrattile, le cellule miocardiche necessitano di un apporto continuo di
ossigeno. Il loro metabolismo, infatti, è prettamente aerobico e già di base comporta l’estrazione di circa
il 70% dell'ossigeno dal sangue durante il suo passaggio nel circolo coronarico. Ne deriva che un aumento
significativo della richiesta di ossigeno può essere soddisfatto solo da un adeguato incremento del flusso
coronarico. Poiché la maggior parte dell’energia richiesta dalle cellule miocardiche è impiegata nel
processo di contrazione, la frequenza cardiaca (FC) costituisce il fattore principale del consumo
miocardico di ossigeno. Di fatto, un raddoppio della sola frequenza comporta un raddoppio del consumo
miocardico di ossigeno.
Altri fattori che influenzano in modo significativo il consumo miocardico di ossigeno sono la pressione
arteriosa (postcarico), la pressione e il volume ventricolare in diastole (precarico) e l’inotropismo
cardiaco.
Durante esercizio, l’incremento della FC, della PA, dell’inotropismo cardiaco e del ritorno venoso
(precarico) contribuiscono tutti ad aumentare il consumo miocardico di ossigeno, e quindi la richiesta di
un aumento del flusso coronarico.
Mentre la misurazione precisa del consumo miocardico di ossigeno richiederebbe metodi invasivi, una
valutazione non invasiva approssimata, ma attendibile, è data dal prodotto FC x PA
sistolica.
LA CIRCOLAZIONE ARTERIOSA CORONARICA
Dal punto di vista fisiologico, la circolazione arteriosa coronarica può essere distinta in tre principali
compartimenti, collegati in serie (Figura 3).

Arterie di capacitanza epicardiche: il compartimento prossimale è costituto dalle arterie di capacitanza


epicardiche, che hanno funzione conduttiva e non oppongono resistenza significativa al flusso, per cui la
pressione rimane sostanzialmente costante lungo il loro decorso. Le arterie coronarie di conduttanza
modificano il loro tono in risposta a variazioni di flusso, il cui aumento causa una dilatazione endotelio-
dipendente dei vasi, e per effetto di sostanze vasoattive locali o circolanti e di stimoli neurogeni.
176 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Prearteriole hanno dimensioni di 100-500 µm la loro funzione principale è di mantenere la pressione di


perfusione all'origine delle arteriole a livelli ottimali. A tale scopo vanno incontro a vasocostrizione
miogena in presenza di un aumento, e a vasodilatazione in caso di riduzione, della pressione arteriosa
sistemica.
Arteriole hanno dimensioni <100 µm di diametro sono la sede della regolazione metabolica del flusso
coronarico. Per la loro posizione, infatti, esse risentono dell’attività metabolica delle cellule miocardiche,
modificando il loro tono vasale in modo da adattare il flusso coronarico alle richieste energetiche. Così, le
arteriole si dilatano in caso di un aumento del metabolismo cardiaco, che comporta un’aumentata
richiesta di ossigeno. Nei casi di maggiore richiesta di ossigeno miocardico, la riduzione massimale della
resistenza coronarica consente un aumento anche di 4-5 volte del flusso coronarico, e quindi dell’apporto
di ossigeno, come nel caso di sforzi intensi. La capacità di aumento massimale del flusso coronarico
rispetto al basale costituisce la cosiddetta riserva coronarica. Oltre che dallo stato metabolico delle cellule
miocardiche, comunque, il tono delle arteriole è anch’esso modulato da fattori autacoidi locali, da sostanze
vasoattive circolanti e da stimoli neurogeni.

CONTROLLO DEL FLUSSO CORONARICO

Diversi fattori contribuiscono alla regolazione del flusso coronarico.

Forze meccaniche extravascolari


Durante la sistole i vasi intramiocardici vengono schiacciati dalla contrazione muscolare e il sangue in parte
è addirittura spinto verso i vasi epicardici. Il flusso anterogrado è quindi praticamente abolito durante la
sistole, soprattutto negli strati subendocardici, che ricevono quindi sangue esclusivamente in diastole
(Figura 4).

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177 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

Regolazione del tono vascolare coronarico


I fattori che contribuiscono a regolare il tono vascolare coronarico, e quindi il flusso coronarico, sono
numerosi e possono variare nei diversi compartimenti arteriosi.

a) La regolazione miogenica fa sì che il tono vasale arterioso aumenti quando la pressione arteriosa
aumenta, mentre si riduce quando la pressione decresce, ed ha, quindi, lo scopo di mantenere costante il
flusso in proporzione alle variazioni della pressione di distensione del vaso. Essa sembra esplicarsi
soprattutto nelle prearteriole.
b) La regolazione metabolica del tono vascolare avviene a livello delle arteriole. L’aumento della
domanda di ossigeno causa il rilascio, da parte dei miocardiociti, di sostanze vasodilatatrici che
determinano dilatazione arteriolare, consentendo così l’aumento del flusso. Tra le sostanze implicate
nella regolazione del flusso coronarico, vi sono l'adenosina, che, con l'aumento del metabolismo
energetico, viene prodotta in maggiori quantità dai miocardiociti, in seguito alla maggiore scissione delle
molecole di adenosin trifosfato (ATP). L’adenosina agisce sui recettori adenosinici A2 delle cellule
muscolari lisce vascolari, attivando l'adenilato-ciclasi intracellulare, che determina la produzione di AMP
ciclico. Altri fattori, tuttavia, possono contribuire alla vasodilatazione metabolica (pressione tissutale di
ossigeno, pH, concentrazione di potassio, pressione osmotica, attivazione dei canali ATP-sensibili del
potassio, bradichinina).
c) Regolazione neurogenica del tono vasale è dovuta agli effetti esplicati sui vasi dal sistema nervoso
autonomo simpatico e parasimpatico.
In teoria una stimolazione ortosimpatica dovrebbe determinare una coronaro-costrizione, ma il cuore
sempre sotto lo stimolo noradrenergico verrebbe spinto a lavorare di più, avremmo quindi, in teoria, un
aumento della richiesta di ossigeno, ma una diminuzione della sua fornitura, per via della vasocostrizione!
In realtà l’effetto vasocostrittore viene mascherato ampiamente dall’effetto del NO che induce
vasodilatazione Il ruolo del sistema nervoso parasimpatico nella regolazione del circolo coronarico non è
completamente chiaro: invivo la stimolazione vagale tende a determinare un aumento del tono
vasomotore, soprattutto come effetto secondario alla bradicardia ed alla conseguente riduzione del
consumo miocardico di ossigeno.
d) Regolazione endotelio-mediata del circolo coronarico.
Le principali sostanze prodotte dall’endotelio hanno anzitutto attività vasodilatatrice, e
comprendono l'endothelium-derived relaxing factor (EDRF) identificato come il monossido di azoto, la
prostaciclina (PGI2) e l'endothelium-derived hyperpolarizing factor (EDHF). L'EDRF ha emivita breve (5
secondi) agisce attivando la guanilato-ciclasi delle cellule muscolari lisce, vasodilatando. Molte sostanze
vasoattive (ad esempio, acetilcolina, serotonina, bradichinina) esercitano il loro effetto vasodilatatore
determinando il rilascio di NO da parte delle cellule endoteliali.

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179 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

La PGI2 è una prostaglandina, derivata dall'acido arachidonico. Ha anch’essa emivita breve (10 secondi) ed
è rilasciata in risposta alla pressione pulsatile e a diverse sostanze, sembra contribuire anch'essa al tono
vasale basale e alla vasodilatazione flusso mediata. L'EDHF non è stato ancora ben identificato
chimicamente; probabilmente deriva anch'esso dall'acido arachidonico ed ha emivita breve causa
vasodilatazione mediante apertura dei canali del potassio e conseguente iperpolarizzazione delle cellule
muscolari lisce.
Le cellule endoteliali, tuttavia, sintetizzano anche sostanze vasocostrittrici, in particolare l'endotelina-1
(ET-1), l'angiotensina II, l'endothelium-derived contracting factor (EDCF) e la prostaglandina H2, oltre ai
radicali liberi dell'ossigeno (Figura 5, Figura 6). Viceversa, l’attività vasocostrittrice
dell’endotelio (attivazione dell’endotelio) può aumentare in alcune condizioni patologiche (per esempio,
ipertensione arteriosa, diabete, aterosclerosi, ischemia miocardia, scompenso cardiaco), contribuendo ai
loro effetti negativi.
L’ET-1, in particolare, è il più potente vasocostrittore conosciuto nell'uomo, agisce su due tipi di recettori
principali, ETAed ETB. L’azione vasocostrittrice è svolta mediante stimolazione dei recettori ETA sulle cellule
muscolari lisce. La stimolazione di recettori ETB sulle cellule endoteliali, d’altro canto, induce rilascio di NO
ed inibisce quello di ET-1, tendendo a contrastare così gli effetti vasocostrittori dell’ET-1.

Integrità della parete vasale


L'endotelio ha inoltre un ruolo chiave nel preservare la fluidità del sangue, in quanto il suo rivestimento
interno con proteoglicani forma una barriera elettronegativa che previene l'adesione delle piastrine e delle
altre cellule circolanti. La sintesi di NO e PGI2, inoltre, ostacola l'adesione e l'aggregazione piastrinica.
Infine, le cellule endoteliali secernono diverse sostanze con attività anticoagulante, come l'eparan-solfato,
che catalizza l'inattivazione della trombina da parte dell'antitrombina III, e sostanze in grado di attivare il
plasminogeno, e quindi la fibrinolisi.

FISIOPATOLOGIA DELL’ISCHEMIA MIOCARDICA


Filippo Crea, Gaetano A. Lanza

DEFINIZIONE

L’ischemia miocardica si verifica quando il flusso coronarico risulta inadeguato a soddisfare le richieste di
ossigeno e sostanze metaboliche necessarie alle cellule miocardiche per svolgere le proprie funzioni.
Quando sufficientemente grave e prolungata, l’ischemia determina la necrosi delle cellule stesse. Questa,
in caso di occlusione acuta di un vaso coronarico, interessa progressivamente prima gli strati
subendocardici, più sensibili al danno ischemico (vedi più avanti) e solo più tardivamente quelli
subepicardici. Tutte le Sindromi Coronariche Acute (SCA) sono accomunate dalla stessa patogenesi:
occlusione coronarica acuta su placca trombotica, dalla rottura della placca si forma la trombosi. A seconda
di come avviene l'ostruzione avremo un elevazione dell'intervallo ST e parliamo di STEMI se l'occlusione è
completa e persistente, e di NSTEMI e di Angina Instabile se l'occlusione è parziale o intermittente e non
avremo l'elevazione del ST. Se all'ECG abbiamo una Non elevazione dell'intervallo ST, per distinguere un
NSTEMI da Angina instabile, valutiamo gli enzimi cardiaci (mioglobina, CPK-MB, Troponine T ed I), che si
innalzano nello NSTEMI, e che rimangono normali nell'Angina Instabile.
DOLORE NELLE SCA
Insorge nel 40% dei casi durante uno sforzo fisico o in occasione di forti emozioni. Insorge nel restante 60%
dei casi a riposo, alle 5 del mattino per l'aumentato tono adrenergico, per l'iperaggregazione piastrinica e
per gli elevati livelli di glucocorticoidi. Il dolore è gravativo, oppressivo, dura oltre i 20 minuti, non è
reversibile a riposo o con i nitrati. Può essere atipico in donne, anziani e diabetici.
180 Manuale di Malattie Cardiovascolari – Società Italiana di Cardiologia

STENOSI CORONARICHE EPICARDICHE

Le stenosi coronariche epicardiche, causate da placche aterosclerotiche, sono il substrato più frequente
dell’ischemia miocardica. Quando il diametro del lume viene ridotto del 50%, oltre questa riduzione critica,
ogni ulteriore aumento della stenosi causa una sempre maggiore riduzione della pressione a valle, con una
relazione di tipo esponenziale.
Poiché la pressione di perfusione è il principale determinante del flusso, la sua riduzione a valle di una
stenosi tende a ridurre il flusso, tuttavia, in corrispondenza di una stenosi non si osserva riduzione del
flusso coronarico, in quanto la caduta della pressione è compensata dalla riduzione della resistenza
coronarica a valle, come conseguenza della dilatazione delle arteriole coronariche. Questa vasodilatazione
compensatoria, tuttavia, riduce la riserva coronarica, vale a dire la capacità di aumento massimo del
flusso in risposta all’aumento del fabbisogno metabolico del miocardio. Il livello di lavoro cardiaco oltre il
quale non è più possibile incrementare il flusso per soddisfare le richieste metaboliche, per cui si sviluppa
ischemia, è definito soglia ischemica.
L'ischemia miocardica da discrepanza che si sviluppa in un paziente è tipicamente limitata agli strati
subendocardici, che, per varie ragioni, presentano una minore riserva coronarica, e sono quindi più
suscettibili a