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MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE

Cardiopatia ischemica
“Cardiopatia ischemica” è un termine generico che comprende varie patologie a diversa eziologia che
hanno un unico fattore fisiopatologico comune rappresentato da uno squilibrio tra la richiesta metabolica e
l’apporto di ossigeno al miocardio. In generale, la cardiopatia ischemia è una situazione in cui il
muscolosoffre perché gli arriva meno ossigeno. Ciò causa alterazioni dell’attività elettrica e della capacità
contrattile delle zone colpite. È una delle patologie cardiovascolari più diffuse. Dal punto di vista
epidemiologico, le malattie cardiovascolari in Italia sono causa del 40-50% della mortalità globale. La
cardiopatia ischemica da sola è responsabile del 35% di queste morti. Si stima che la mortalità annuale per
le forme tipiche di cardiopatia ischemica (angina, infarto e morte improvvisa) sia tra 70.000 e 80.000 casi.

Ripasso anatomia: l’ossigeno arriva attraverso il sangue, l’irrorazione del cuore arriva attraverso i vasi
coronarici (la coronaria destra origina dal bulbo aortico e la coronaria sinistra, dopo il tronco comune, si
divide nel ramo discendente anteriore che irrora la parete anteriore e laterale alta del ventricolo sinistro
tramite rami settali e diagonali e nel ramo circonflesso che decorre lungo il solco atrioventricolare e ha i
rami marginali che vanno ad irrorare tutto il resto della parete latero-inferiore del cuore. La coronaria
destra ha come ramo fondamentale quello interventricolare posteriore che irrora la parte inferiore del
ventricolo sinistro e destro. Un altro ramo importante è quello per il nodo atrioventricolare (infatti, in caso
di occlusione della coronaria destra si può avere una turba dell’attività elettrica. la circolazione coronarica è
controllata da fattori:

● Anatomici: origine dei seni di Valsalva, spessore parietale del ventricolo sinistro (un suo aumento
causa una difficoltà nell’irrorazione poiché le coronarie vengono maggiormente compresse durante
la sistole), presenza di circoli collaterali.
● Meccanici: portata sistemica (la quantità di sangue che arriva ai vasi coronarici), le resistenze
vascolare. La compressione sistolica, il riflesso miogeno e la viscosità ematica.
● Neurogeni: rappresentati dalla presenza di ipertono simpatico o ipertono vagale o equilibrio tra i
due sistemi neurovegetativi e la presenza di alfa e beta recettori.
● Metabolici: pO2, pH, K+, adenosina e prostaglandine

Perché i fattori anatomici sono importanti nella regolazione dell’irrorazione?

I vasi coronarici sono di due tipi: vasi di conduttanza (grossi rami epicardici e le loro diramazioni) e vasi di
resistenza (rami intramiocardici e arteriole) che sono anastomizzati tra loro facendo in modo che la
coronaria destra e la coronaria sinistra siano in comunicazione tra loro. Le resistenze coronariche sono
regolate da fattori estrinseci (azione compressiva del miocardio ventricolare) e da fattori estrinseci (di
natura neurormonale, miogena e metabolica). Il flusso coronarico avviene soprattutto in fase di diastole
perché durante la sistole le diramazioni intramiocardiche vengono occluse dalla contrazione. Ne consegue
che la tachicardia predispone allo sviluppo di ischemia, poiché accorcia il tempo di diastole. Gli strati
subendocardici sono generalmente i più esposti all’ischemia sia perché sono maggiormente esposti alla
pressione diastolica endocavitaria sia perché sono più distanti dai vasi di conduttanza, che decorrono in
superficie.

Qual è l’influenza metabolica?

In condizioni basali, il cuore consuma circa 6,5/10 ml/min/100gr di tessuto. Il 3-5% di questo dispendio
serve per l’attività elettrica, il 20% per il mantenimento dell’integrità cellulare e il 72/75% per l’attività
contrattile.
Riserva coronarica: a livello miocardico, per l’elevata estrazione di O2 (circa il 70%), l’unico meccanismo di
compenso in caso di aumentato fabbisogno di O2 è rappresentato da un proporzionale aumento del flusso
coronarico, determinato da una vasodilatazione del distratto coronarico arteriolare (vasi di resistenza). La
capacità massima di vasodilatazione secondaria ad uno stimolo metabolico è definita riserva coronarica.

Quali sono i fattori neurogeni che intervengono sul circolo coronarico?

Le arterie coronarie sono innervate dal SNA. La stimolazione del ganglio stellato (ortosimpatico) determina
vasodilatazione (mediata da recettore beta) ma al contempo aumento della contrattilità e della frequenza
cardiaca. Il blocco recettoriale Beta induce la comparsa di effetti Alfe-mediati (vasocostrizione).

Quali sono i fattori metabolici?

L’aumento della richiesta metabolica del miocardio determina idrolisi di ATP e conseguente liberazione di
adenosina nell’interstizio. L’adenosina induce una vasodilatazione soprattutto a livello dei vasi di resistenza
antagonizzando l’ingresso dello ione Ca+ all’interno delle cellule muscolari lisce, con un conseguente
aumento del flusso coronarico proporzionale all’aumento delle richieste metaboliche. L’adenosina non è la
sola sostanza implicata nel processo (il sistema degli eicosanoidi, l’attività nitrossido sintetasica) ma
verosimilmente la principale.

Struttura dei vasi arteriosi


● Tonaca intima: cellule endoteliali e sottoendoteliali. L’endotelio è riconosciuto come organo poiché
produce sostanze sia vasodilatanti sia vasocostrittrici e sostanze pro aggreganti ed antiaggreganti.
Quando è integro, c’è un equilibrio tra la produzione di queste sostanze, ma basta una piccola
alterazione dell’endotelio per dare inizio al processo di aterosclerosi coronarica.
● Tonaca media: ha una costituzione diversa in base ai vasi di cui parliamo. Nel grossi vasi, la tonaca
media è costituita da molte fibre elastiche e poche muscolari, nelle diramazioni è costituita
prevalentemente da fibre muscolari
● Tonaca avventizia: strato di tessuto connettivo che si trova all’esterno dei vasi arteriosi in cui
decorrono vasi linfatici e terminazioni nervose.

ATEROSCLEROSI
L’aterosclerosi inizia con un’alterazione focale dell’endotelio e può essere intesa come una malattia
infiammatorio/fibrotica della parete interna arteriosa. La lesione tipica è l’ateroma o placca
aterosclerotica, costituita da un core lipidico (prevalentemente colesterolo) circondato da un cappuccio
fibroso (cellule muscolari lisce, collageno, matrice extracellulare).

Come si forma la placca aterosclerotica?

È un processo graduale attraverso il quale alcune sostanze come i grassi ed il calcio si accumulano
all’interno della parete delle arterie (tra la tonata intima e la tonaca media) formando delle placche che
tendono a restringere il volume del vaso e generano una stenosi che riduce il flusso del sangue. Le piastrine
possono aderire alla superficie della placca, formando un trombo. Il circolo arterioso di piccoli vasi che si
sviluppa attorno ad un’ostruzione viene chiamato circolo collaterale (il sangue che non può arrivare in un
determinato punto del cuore perché il vaso principale ha un restringimento, passa a ponte attraverso i
piccoli vasi che si sono dilatati per arrivare a quella zona del cuore). L’aterosclerosi può riguardare tutti i
vasi arteriosi, non solo le coronarie. Le placche ateromasiche tendono a formarsi nei punti di ramificazione
del sistema vascolare arterioso, dove il flusso del sangue è più probabile che si verifichi un danno
all’endotelio. La prima causa dello sviluppo nel tempo dell’aterosclerosi è una lesione della tonaca intima e
attraverso questa può cominciare ad entrare il colesterolo che si accumula, nel frattempo c’è un
accrescimento delle cellule muscolari lisce che formano un cappuccio. Il core si accresce e il lume del vaso si
restringe.

La disfunzione endoteliale è determinata fondamentalmente dallo stress ossidativo. Si manifesta con un


disequilibrio tra le sostanze prodotte dall’endotelio, quindi con un’alterata capacità di vasodilatazione in
risposta a stimoli fisiologici come quello dell’acetilcolina. Nell’aterosclerosi, il funzionamento dell’endotelio
è anormale a causa di uno sbilanciamento tra sostanza vasocostrittrici (endotelina) e vasodilatanti (NO –
ossido nitrico) a favore delle prime.

Eziologia: l’aterosclerosi coronarica è di gran lunga la causa più frequente di cardiopatica ischemica.
Numerosi studi epidemiologici, condotti negli ultimi 25 anni, hanno consentito di individuare alcune
variabili individuali che si associano ad un maggiore rischio di malattia; queste variabili sono state definite
fattori di rischio coronarico. Si dividono in modificabili (correggendoli, il rischio di ammalarsi di cardiopatia
ischemica diminuiscono o, se la cardiopatia è già insorta, diminuiscono le sue complicanze) e non
modificabili. Tra i primi abbiamo: dislipidemia (alterazione del metabolismo lipidico con aumento di
colesterolo LDL), iperglicemia (diabete), fumo, ipertensione arteriosa, eccesso ponderale (obesità) e
sedentarietà. Tra i fattori di rischio non modificabili vi sono la familiarità (presenza di ereditarietà), l’età e il
sesso. Quest’ultimo fattore di rischio era molto più evidente negli anni passati quando la vita media era più
bassa, infatti, il genere femminile è più protetto dalla cardiopatia ischemica dalla presenza degli estrogeni,
la cui produzione cessa dopo la menopausa. Adesso che gli anni di vita medi sono saliti, si nota un
incremento della percentuale di donne affette da cardiopatia ischemica.

Quali sono le funzioni dell’endotelio integro?

● Produzione di sostanze antiaggreganti che bloccano l’adesione delle piastrine


● Inibizione dell’adesione cellule muscolari lisce
● Barriera che si oppone alla deposizione dell’LDL
● Equilibrio tra sostante vasocostrittrici e vasodilatanti

Perché questi fattori di rischio determinano la disfunzione endoteliale?

Presenza di fattori di rischio 🡪 stress ossidativo

Lo stress ossidativo causa:

● Aumento dell’adesività piastrinica


● Migrazione delle cellule muscolari lisce
● Deposizione dei lipidi tra la tonaca intima e la tonaca media

Stenosi coronariche

La formazione di questa placca aterosclerotica che avviene nel tempo determina una stenosi coronarica che
viene denominata “stenosi fissa”. Possono esserci anche delle stenosi coronariche dinamiche; molto
raramente sono causa di cardiopatia ischemica. In questo caso, il restringimento del vaso e, quindi, la
diminuzione dell’apporto di O2 al cuore si verifica quando c’è un vasospasmo coronarico, un’embolia o una
vasculite (processo infiammatorio dei piccoli vasi che si traduce in un vasospasmo).

ISCHEMIA MIOCARDICA
È una condizione di sofferenza miocardica che si verifica quando il flusso ematico coronarico diventa
inadeguato a soddisfare le richieste di ossigeno e di sostanze nutritizie necessarie al lavoro. È un deficit
reversibile (non dura nel tempo, è determinata da un aumento della richiesta di ossigeno) e relativo del
flusso regionale coronarico, che comporta alterazioni metaboliche con conseguenze biochimiche, funzionali
ed elettrocardiografiche. Due fattori intervengono nella genesi dell’ischemia miocardica: la riduzione del
flusso coronarico o l’aumento del consumo miocardico di ossigeno (MVO2). L’ischemia può essere dovuta
ad una stenosi fissa attraverso la quale non passa sangue in maniera adeguata alla richiesta di quel
momento. In questo caso, i vasi di resistenza di dilatano per compensare la riduzione del calibro del vaso
principale (questo spiega per quel motivo un soggetto, pur presentando stenosi critiche, può rimanere
asintomatico). Se la stenosi progredisce, il flusso si può ridurre anche a riposo per esaurimento della riserva
coronarica. Se aumenta la richiesta metabolica (es. sforzo fisico) compare l’ischemia.

Riduzione del flusso coronarico

Una lesione aterosclerotica di un ramo epicardico determina a valle della stenosi una caduta di pressione
proporzionale alla riduzione del calibro vasale. Il gradiente pressorio che crea stiamola la dilatazione dei
vasi di resistenza, allo scopo di mantenere un flusso adeguato in condizioni basali e il paziente a riposo è
asintomatico. Se la stenosi riduce la sezione del ramo epicardico di oltre l’80%, il flusso di può ridurre anche
a riposo (esaurimento riserva coronarica). Più grande sarà la stenosi, maggiore sarà la caduta di pressione a
valle della stenosi. Questo è ciò che stimola la dilatazione dei vasi di resistenza: tra la zona a monte e la
zona a valle di crea un gradiente pressorio che stimola la dilatazione in modo che il flusso si possa
mantenere adeguato e il pz a riposo è asintomatico. Un’occlusione inferiore al 50% non causa un’occlusione
ischemica, poiché la quantità di sangue che passa è sufficiente. In caso di aumento delle richieste
metaboliche, il flusso coronarico non è più in grado di far fronte alle richieste e compare l’ischemia, la quale
interessa inizialmente gli strati subendocardici.

Effetti dell’ischemia:
▪ Alterazioni elettriche
- Lesione
- Ischemia
- Necrosi
▪ Alterazioni meccaniche
- Effetti sulla contrazione ventricolare
- Effetti sul rilasciamento diastolico
La prima cosa che compare quando c’è una sofferenza ischemica miocardica è un’alterazione della
contrazione ventricolare, poi il dolore e poi le alterazioni dell’ECG.

La soglia ischemica (momento in cui compaiono i sintomi) è variabile da un individuo all’altro, perché il
tono neurovegetativo può mutare la riserva coronarica.

MANIFESTAZIONE DELLA CARDIOPATIA ISCHEMICA


CRONICA
Angina stabile, cardiopatia
ischemica silente

ACUTA
Angina instabile, infarto
miocardico acuto (NSTEMI e
STEMI)
Angina stabile: è determinata da un’ischemia miocardica transitoria che non determina necrosi. Il sintomo
caratteristico è un dolore retrosternale con durata limitata nel tempo. “Stabile” perché la sintomatologia ha
un’insorgenza e delle caratteristiche prevedibili, così come la regressione. Può essere associata ad uno
sforzo fisico, alla digestione, alle basse temperature. Un’altra caratteristica dell’angina stabile è la bassa
incidenza di complicanze gravi (morte improvvisa o IMA). La stabilità si intende anche in termini
istopatologici:

▪ Fisiopatologia: l’angina è determinata dalla presenza di una stenosi coronarica fissa che causa una
riduzione del lume del 75% ed un flusso inadeguato all’aumento della richiesta miocardica
▪ ECG: normale tra le crisi, alterazione ST-T durante angor (alterazioni solo durante il dolore)
▪ Diagnostica incruenta: test provocativi, Holter
▪ Sintomatologia: dolore precordiale, retrosternale, talora irradiato, insorgente dopo sforzo o altre
cause a regressione con la cessazione della causa e sensibile ai nitrati (farmaci. vasodilatatori che
vengono immediatamente assorbiti per via sublinguale). Le sedi più frequenti di irradiazione del
dolore sono: braccio sinistro, lato destro, mascella, epigastrio, dorso. Il dolore dell’angina può
essere descritto come ottuso e profondo, come una sensazione di pesantezza, oppressione o
costrizione. La durata media è di circa 15 minuti.

Classificazione della severità dell’angina stabile

Fattori scatenanti: aumento del consumo miocardico d’ossigeno (sforzo, pasto) ed eventuale
vasocostrizione associata, esposizione al freddo e stress emotivo.

Classe Limitazione Fattori scatenanti

I Nessuna Attività fisica molto intensa e/o prolungata

II Lieve Attività fisica intensa (camminata in salita a passo svelto)

III Severa Attività quotidiane (vestirsi)

IV Molto severa A riposo con impossibilità di svolgere le attività quotidiane

Quali sono le indagini strumentali utili per confermare la diagnosi di Angina?

▪ ECG (a riposo, da sforzo e dinamico secondo Holter).

L’ECG basale generalmente non è diagnostico, ma ha valore prognostico il riscontro di: pregresso
infarto, ipertrofia ventricolare sinistra ed anomalie della ripolarizzazione ventricolare. L’ECG
durante angor, vedremo un sottoslivellamento del tratto ST, che è espressione di sofferenza
subendocardica. L’ECG continuo (Holter) è la registrazione continua dell’ECG mediante un
apparecchio che si monta al paziente (può durare 24 ore o più) e ci mostra il carico ischemico totale
quotidiano, cioè quanti episodi di angina avvengono, l’ischemia silente (maggiormente nei soggetti
diabetici che hanno un’alterazione delle terminazioni nervose) e l’angina di Prinzmetal, in cui il
dolore è determinato da spasmo coronarico. Quest’ultima non si può riprodurre con un test
provocativo perché non c’è sempre un restringimento del vaso.

▪ Ecocardiogramma (a riposo e da sforzo).


L’ecocardiogramma da sforzo è molto più sensibile del test ergometrico perché, quando al cuore
arriva meno ossigeno, la prima alterazione che compare è quella della contrattilità della zona
sofferente.

▪ La scintigrafia miocardica (a riposo o da sforzo) durante la quale si somministrano delle


sostanze che vengono captate in maniera diversa dal miocardio normale e dal miocardio che
soffre.
▪ PET cardiaca: esame metabolico con lo stesso principio della scintigrafia
▪ La RMN nucleare (a riposo o da sforzo) con cui vediamo bene la motilità delle pareti cardiache e
permette di valutare la riserva coronarica.
▪ La coronaro TC si effettua tramite l’iniezione di del mezzo di contrasto nelle coronarie per poi
osservarle anatomicamente con l’approccio incruento della tomografia computerizzata.
▪ La coronarografia che ci permette di controllare le coronarie.

Test provocativi nell’angina stabile

Durante sforzo, possiamo effettuare un test ergometrico (elettrocardiogramma, scintigrafia miocardica o


ecocardiogramma). Lo sforzo viene fatto fare con una cyclette o con un tapis roulant aumentando
progressivamente il dolore, alterazione elettriche o della contrattilità o della captazione della sostanza
marcante in caso di scintigrafia miocardica. Se il paziente non riesce fisiologicamente a raggiungere uno
sforzo adeguato perché il test diventi significativo, si può somministrare la dobutamina che stimola
recettori beta1, beta2 e alfa1 con conseguente aumento della frequenza cardiaca e della contrattilità e
quindi la richiesta miocardica di ossigeno o il dipiridamolo, che non aumenta il consumo miocardico di
ossigeno ma determina una dilatazione dei piccoli vasi coronarici e toglie il sangue dalla zona che ne ha più
bisogno.

La risposta fisiologica ad uno sforzo è un aumento della frequenza e della pressione e, se le coronarie non
sono malate o hanno restringimenti non significatici, riesce ad arrivare una quantità di sangue adeguata,
ma, se c’è una coronaria malata con un restringimento maggiore o uguale al 70%, ad un determinato
aumento di pressione e frequenza, il sangue che passa attraversa il vaso ristretto non sarà più sufficiente
alle richieste e compariranno le alterazioni elettrocardiografiche o dolore.

Metodica: cicloergometro o tappeto rotante con carichi progressivi (es. 30 watt ogni 3’)

Criteri di interruzione: comparsa di sintomi limitanti la possibilità di prosecuzione dello sforzo, alterazione
ECGrafiche, raggiungimento della massima frequenza cardiaca (220-età).

Parametri: sintomi (angina, dispnea, cardiopalmo), pressione arteriosa e frequenza cardiaca (doppio
prodotto FC x PAS come indice del consumo miocardico di ossigeno), ECG (segni di ischemia, aritmie, FC).

Prognosi dell’angina stabile

Il rischio di andare incontro ad eventi cardiovascolari gravi è molto basso, ma aumenta quando l’angina
appartiene alle III o IV classe, quando si manifesta con insufficienza di pompa o con sincopi o quando l’ECG
basale è patologico (cioè vi sono malattie coronariche pregresse).

Terapia della cardiopatia ischemica cronica

Obiettivi: migliorare l’aspettativa di vira e la qualità di vita

1. Correzione dei fattori di rischio e norma comportamentali


2. Terapia farmacologica (prevenire l’infarto del miocardio e ridurre la sintomatologia
3. Rivascolarizzazione (con angioplastica coronarica ed impianto di stent o bypass aortocoronarico)

Iter diagnostico

Soggetti con dolore toracico atipico, sensibile alla digitopressione, in assenza di fattori di rischio, obiettività
ed elettrocardiogramma normali: la presenza di angina può essere ragionevolmente esclusa (ma è meglio
prescrivere un test provocativo per sicurezza).

Pazienti con storia tipica di angina: fare un test da sforzo (se il pz è negativo ad alto carico, valutare il
ricorso a scintigrafia o stop; se il test è dubbio si ricorre alla scintigrafia; se positivo ad alto carico, terapia e
rivalutazione; se positivo a basso carico, coronarografia).

Indicazioni alla rivascolarizzazione miocardica

▪ Presenza di sintomi che non sono tollerati dal paziente perché ne limitano l’attività fisica e lo stile di
vita, come risultato della malattia e degli effetti collaterali legati ai farmaci
▪ Presenza di dati che indicano chiaramente che il paziente avrebbe una prognosi migliore con la
rivascolarizzazione piuttosto che con la sola terapia medica
▪ La scelta della rivascolarizzazione si basa su
- Grado e classe di angina
- Presenza e gravità dell’ischemia ai test provocativi non invasivi
- Grado di funzionalità del ventricolo sinistro
- Distribuzione e gravità delle stenosi coronariche alla CVG

La rivascolarizzazione si può fare con l’angioplastica o con il bypass aortocoronarico (creazione di un


ponte con un altro vaso che si mette tra l’aorta e il vaso malato, a valle del restringimento per portare il
sangue alla zona in cui non arriva. L’angioplastica è una metodica consolidata (prima intorno al 1980) e
consiste nella dilatazione del vaso ristretto.

Queste procedure vengono effettuate nel laboratorio di emodinamica, non sono chirurgiche (l’accesso
alle zone trattate non avviene attraverso tagli, ma attraverso i vasi in scopia) e fanno parte di quella che
si chiama cardiologia interventistica.

La tecnica di accesso ai vasi si chiama tecnica di Seldinger:

1. Puntura dell’arteria (sempre in aspirazione)


2. Introduzione guida atraumatica in arteria attraverso il lume dell’ago
3. Estrazione dell’ago
4. Inserimento dell’introduttore per cateteri sulla guida in arteria

Si utilizza per accedere a tutti i vasi (arterie e vene). Le guide sono morbide e si adattano al decorso del
vaso. Gli accessi possono essere brachiali, femorali, arteriosi o venosi. Il paziente che subisce la
procedura tramite accesso radiale non deve stare allettato. Dopo l’arteria deve stare compressa dopo
la procedura.

Coronarografia
Per effettuare una coronarografia è necessario iniettare il mezzo di contrasto nel lume di ogni singola
coronaria e andare a vedere con i raggi l’anatomia delle coronarie. Il catetere è un tubo sottile con lume
cavo che serve per iniettare il mezzo di contrasto. I cateteri per coronarografia hanno diverse curvature
perché l’origine delle coronarie dal bulbo aortico può essere variabile. Il mezzo di contrasto è
radioopaco quindi vediamo nel monitor l’anatomia delle coronarie.

Classificazione del grado di restringimento di un vaso coronarico


Nessuno: 0% Stenosi assente

Minimo: 0-25% Stenosi non significativa

Medio: 25-50% Stenosi non significativa

Moderato: 50-75% Stenosi subcritica

Grave: 75-90% Stenosi critica

Molto grave: 90-99% Stenosi subocclusiva

Completo: 100% Stenosi occlusiva

Angioplastica coronarica
Attraverso l’introduttore, quello che ci serve per accedere il vaso, posizioniamo un catetere guida
all’interno del quale passa il catetere per angioplastica. Quest’ultimo è un catetere che ha nella punta
un palloncino che ha dei marcatori radioopachi e dei pori attraverso i quali può uscire il mezzo di
contrasto. Una volta posizionato, il palloncino viene gonfiato con il mezzo di contrasto e frattura la
placca schiacciandola contro la parete, eliminando la stenosi. Se l’intervento venisse effettuato
solamente l’uso del palloncino, la stenosi potrebbe formarsi nuovamente in breve tempo; per questo
motivo, si utilizzano gli stent coronarici (mollettine già montate sul palloncino) che, quando il palloncino
viene gonfiato, si dilatano. Quando il palloncino viene sgonfiato e torna indietro, lo stent rimane
dilatato sulla parete del vaso per far sì che la stenosi non compaia nuovamente. Adesso, ancora più
recentemente, vi sono gli stent medicati, a rilascio di sostanze che inibiscono la proliferazione delle
cellule muscolari lisce.

Angina variante o vasospastica (di Prinzmetal)

Sintomatologia: dolore anginosi tipico, insorge in maniera imprevedibile, con alterazioni ECGrafiche
caratteristiche (sopraslivellamento del tratto ST). A differenza del sottoslivellamento del tratto ST che è
sinonimo di sofferenza degli strati subendocardici, il sopraslivellamento è espressione della sofferenza
degli strati subepicardici.

Anatomia patologica: spasmo coronarico che si sovrappone ad una lesione più o meno critica. In
genere causato da microlesioni dell’endotelio.

Diagnostica incruenta: Holter (registra gli episodi anginosi durante la giornata) e test provocativi (per
rilevare una sottostante stenosi critica).

Da cosa può essere causato uno spasmo coronarico?

● Disfunzione del rilascio parietale del nitrossido (NO)


● Bassi livelli sistemici di Mg intracellulare o di Vitamina E
● Disturbi del tono vagale
● Iperinsulinemia
● Iperventilazione
● Fumo
● Uso di cocaina (potente farmaco vasocostrittore)
● Astinenza da alcool

Diagnosi di angina variante


Anamnesi: angina non provocata, insorgente di solito a riposo, improbabile durante l’attività fisica

ECG: sopraslivellamento reversibile del tratto ST insorgente durante il dolore

Coronarografia: assenza di lesioni o presenza di lesione emodinamicamente non significativa o spasmo


focale di un’arteria coronaria che può essere provocato dal mezzo di contrasto durante l’angiografia. Per
essere sicuri che si tratti di un’angina vasospastica, si può somministrare un farmaco che favorisce lo
spasmo (acetilcolina).

SINDROMI CORONARICHE ACUTE


Le manifestazioni cliniche sono: angina instabile e l’infarto miocardico acuto (stemi e nstemi)

La cardiopatia ischemica cronica è dovuta al restringimento di un vaso coronarico che determina l’apporto
insufficiente di ossigeno in caso di richiesta maggiore e questo restringimento è determinato da una placca
aterosclerotica con cappuccio fibroso integro. Il substrato fisiopatologico delle manifestazioni acute è, al
contrario, determinato da una rottura del cappuccio fibroso al quale consegue un accumulo di piastrine che
può formare un trombo che occlude il vaso.

In corrispondenza di placca ulcerata c’è una stenosi coronarica dinamica, perché una parte dell’ostruzione
è determinata dal trombo e, se in un certo prevale la produzione di sostanze trombolitiche, il trombo si può
sciogliere, però il fattore scatenante rimane e permette che questo si riformi.

Angina instabile: ormai si identifica con quello che si chiama infarto miocardico nstemi. Da un po’ di anni a
questa parte, si dosa la troponina, sostanza che viene trovata nel sangue in seguito a morte di cellule
muscolari miocardiche. È molto più sensibile degli altri enzimi ed aumenta anche se ci sono piccole zone di
necrosi miocardica che non sono visibili.

La sindrome è caratterizzata da:

● Imprevedibilità dell’insorgenza e variabilità della gravità dei sintomi


● Instabilità clinica: processo trombotici che si sovrappongono alla placca aterosclerotica ulcerata,
che si alternano ai fenomeni trombolitici spontanei, per cui la sintomatologia si aggrava quando
prevalgono i fenomeni trombotici e si attutisce quando prevalgono i processi trombolitici
spontanei.
● Alta incidenza fi eventi maggiore a breve e medio termine (morte improvvisa, IMA)

Dal punto di vista epidemiologico, è responsabile del 50% dei ricoveri in UTIC, presenta una mortalità a
breve termine del 2%, evolve in IMA nel 10&% e la mortalità ad un anno è tra il 15-20%.

Presentazione clinica

▪ Dolore toracico prolungato a riposo (>20 minuti) = 80%


▪ Angina di nuova insorgenza (classe II o III) = 10%
▪ Destabilizzazione recenti di angina precedentemente stabile con caratteristiche in crescendo
(almeno classe III) =10%
▪ Angina post-infartuale

Sintomi
▪ Il dolore (ha delle caratteristiche simili a quello dell’angina stabile ma è più intenso e di durata
maggiore. Non regredisce col riposo perché non è causato sdallo sforzo. A volte è atipico (anziani,
donne, diabetici)).
▪ Astenia intensa
▪ Agitazione
▪ Sudorazione algida
▪ Nausea e vomito
▪ Sincope

ECG nell’ AI/NSTEMI

È normale tra una crisi ed un’altra ed è presente un sottoslivellamento del tratto ST durante angor. Ci può
essere appiattimento dell’onda T, aspetto difasico, inversione totale o un aumento dell’ampiezza.

Trattamento dell’AI/NSTEMI
▪ Stabilizzazione del quadro clinico con farmaci antianginosi (nitroderivati, calcioantagonisti,
betabloccanti)
▪ Risoluzione dei fenomeni trombotici
▪ Coronarografia urgente per stabilire se procedere a rivascolarizzazione, con angioplastica
coronarica ed impianto di stent o bypass aortocoronarico.
INFARTO MIOCARDICO ACUTO (IMA)
Presenza di occlusione coronarica, con mancato apporti di sangue alla zona colpita.
Sindrome clinica che consegue ad un’ischemia acuta, grave e prolungata, a carico del tessuto
miocardico, tale da determinare un danno irreversibile (necrosi), dovuta all’occlusione di un vaso
coronarico, causata nella maggior parte dei casi da una trombosi che si sovrappone ad una
preesistente lesione aterosclerotica
Diagnosi: dolore anginoso prolungato, alterazioni ECGrafiche, segni enzimatici di necrosi.
Epidemiologia: sotto i 65 anni, l’80% delle morti per patologia coronarica avviene al primo IMA.
IMA come causa singola di morte è più frequente nel mondo occidentale. L’angina instabile è una
delle più frequenti cause di IMA (se la placca non si stabilizza, può arrivare ad occludere il vaso
coronarico.
Mortalità intraospedaliera: STEMI 7%, AI/NSTEMI 3-5%
Mortalità a 6 mesi: STEMI 12%. AI/NSTEMI 13% (la causa istopatologica è uguale)

Gli infarti non sono tutti uguali.


L’estensione dipende dal tratto di coronaria interessato dal fenomeno trombotico. Se l’occlusione
avviene nella parte distale di un vaso la zona che riceverà meno ossigeno avrà un’espansione
minore. Al contrario, se l’occlusione si presenta in una porzione prossimale più vicina all’origine
del vaso, la zona che rimarrà priva di ossigeno sarà maggiore. Per esempio, se si dovesse occludere
il tronco comune della coronaria sinistra, si chiuderebbero discendente anteriore e circonflesso e
la parete anterolaterale del cuore non riceverà sangue. Se si dovesse chiudere il ramo discendente
anteriore nella sua porzione prossimale, i rami settali e i rami diagonali non riceveranno sangue. Se
si chiudesse il ramo discendente anteriore nella sua porzione terminale o solo un ramo settale,
l’infarto sarà molto più piccolo.
Perché nella necrosi c’è il sopraslivellamento del tratto ST?
Quando il vaso si occlude completamente non arriva più sangue, la sofferenza si espanderà non
solo alla zona subendocardica ma anche alla zona subepicardica. La sofferenza subepicardica è
rappresentata dal sopraslivellamento del tratto ST. la differenza con l’angina vasospastica è che
quando passa lo spasmo, l’ECG torna normale e passa il dolore. Nell’infarto STEMI il processo va
avanti, l’ischemia si mantiene nel tempo e le cellule cominciano ad andare in necrosi (compare
l’onda Q e il tratto ST torna normale). L’alterazione che rimane nei pazienti che hanno avuto un
infarto miocardico STEMI transmurale è l’onda Q. la zona di miocardio che è andata incontro a
necrosi può diventare fibrotica e non partecipa più alla contrazione, ma si può addirittura
estroflettere quando il resto del ventricolo si contrae formando un aneurisma (onda Q di necrosi +
sopraslivellamento del tratto ST ad indicare l’evoluzione aneurismatica).
Nell’infarto NSTEMI succede che c’è il sopraslivellamento del tratto ST. ma la necrosi rimane
localizzata ad una piccola zona del miocardio, quindi non compare l’onda Q e dopo un po’ di
tempo, l’ECG ritorna normale.
L’analisi dell’ECG durante l’infarto ci può dire quale vaso si è chiuso. Le derivazioni, infatti,
esplorano diverse zone del cuore.
o Parete anteriore (precordiali V1, V2 e V3);
o Parete laterale (D1, aVL, V4, V5 e V6);
o Parete inferiore (D2, D3 e aVR);

L’infarto della parete posteriore, invece, non è visibile nel tracciato elettrocardiografico perché
non ci sono derivazioni che riflettono le forze elettriche ed esplorano direttamente la parete
posteriore. L’unica alterazione che noi possiamo vedere in caso di infarto strettamente posteriore
è un’onda R positiva in V1.
Sede delle modificazioni ECG nell’IMA
● Infarto anteriore:
- Antero settale: V1, V2, V3
- Anteriore esteso: V1-V6, D1, aVL
- Laterale alto: aVL
● Infarto inferiore
- Infero-laterale (=apicale): D2, D3, aVF, V5, V6 e a volte anche D1 e aVL
- Infero settale: D2, D3, aVF, V1-V3
● Infarto subendocardico: qualsiasi derivazione (di solito diverse derivazioni)
Enzimi miocadiospecifici o “marcatori di danno miocardico”
Sono macromolecole proteiche intracellulare liberate in seguito alla perdita dell’integrità della
membrana cellulare del miocita e sono: la troponina I e la troponina T, la mioglobina, il CK e il CK-
MB. Servono all’identificazione di un eventuale danno miocardico e si utilizzano per diagnosi,
indirizzo terapeutico, stratificazione del rischio e prognosi.
Quali sono le caratteristiche di un marcatore enzimatico ideale?
o Elevata specificità: non essere presenti in altri tessuti
o Elevata sensibilità: essere presente in alta concentrazione nel miocardio
o Rilascio rapido (entro 1-2 ore) dopo l’inizio dell’IMA.
o Correlazione con l’estensione del danno stesso
o Persistenza nel sangue per un tempo sufficiente a fornire un’adeguata finestra diagnostica
o Quantificazione facile, economica e rapida.

Al momento nessun indicatore soddisfa queste caratteristiche per cui nella pratica clinica si
utilizzano più marcatori contemporaneamente.

Mioglobina: è una proteina a basso peso molecolare che si trova nel citoplasma delle cellule
muscolare e delle cellule miocardiche. La sua piccola dimensione e la localizzazione citoplasmatica
permettono alla mioglobina di essere rilasciata in circolo molto rapidamente dopo un danno
muscolare scheletrico o miocardico, già dopo 1-2 ore. Indistinguibile da analogo del muscolo
scheletrico. È un marcatore precoce da dosare entro le sei ore dall’insorgenza del dolore toracico.
Ha un valore predittivo negativo: esclude, se negativa, la presenza di IMA o sofferenze del
miocardio. Una sua positività, oltre che non essere indice del danno del miocardio, non ha utilità
per seguire l’andamento della malattia (bassa specificità).
Troponina: è un marcatore sensibile e specifico, che si innalza se il muscolo cardiaco va incontro a
sofferenza, senza tuttavia chiarire se il meccanismo della sofferenza sia dovuto ad ischemia. Dalle
ultime revisioni scientifiche, viene attribuito alla troponina il ruolo di marcatore di “instabilità”
della placca della classificazione delle SCA senza sopraslivellamento del tratto ST (AL/NSTEMI).
Facciamo diagnosi di IM NSTEMI quando c’è il dolore toracico, non c’è sopraslivellamento del
tratto ST e c’è innalzamento della troponina. Infatti, questa ha un altro valore predittivo positivo
con una specificità > 90%. Ci serve nella stratificazione prognostica dell’angina instabile perché se
nell’ECG non ci sono segni di necrosi, ma la troponina è positiva, la prognosi a breve termine è
sfavorevole. Insorge dopo 2-6 ore dall’evento acuto, raggiunge la massima concentrazione tre 10-
24 ore e la sua durata può persistere fino 14 giorni. Inoltre, ha un importante valore prognostico
perché se ci sono livelli elevati di troponina, sappiamo che la prognosi non è buona
indipendentemente dalle caratteristiche dell’ECG; infatti, i pazienti con valori di troponina elevati,
pur senza sopraslivellamento del tratto ST e con CPK normale, sono identificabili come ad elevato
rischio di morte.
Quali possono essere le complicanze dell’IMA?
Complicanze acute emodinamiche
Rottura di cuore: la parte di miocardio che è andata incontro a necrosi può rompersi. La rottura
può essere a carico del SIV, che determina un difetto interventricolare acuto che necessita di un
intervento rapido perché ci sarà un’improvvisa insufficienza ventricolare sinistra. La rottura può
anche essere a carico della parete libera e ci sarà un emopericardio con comparsa di
tamponamento cardiaco ed exitus nella maggior parte dei casi.
Shock: dovuto a grave insufficienza del VS, se l’infarto è molto esteso, rottura di cuore,
insufficienza mitralica severa. Clinicamente si manifesta con ipoperfusione (attivazione
adrenergica), congestione polmonare, acidosi metabolica ed insufficienza renale.
Edema polmonare acuto: stravaso di liquido negli alveoli polmonari. Si manifesta con dispnea,
sudorazione algida, tachicardia, ipossiemia. Si accompagna in genere ad infarti estesi che creano
un crollo della frazione di eiezione ventricolare, con conseguente aumento del cost carico del
cuore destro o a rottura del muscolo papillare.
Trombosi: trombosi murale in genere in caso di aneurisma del VS, con grave rischio di
embolizzazione. Se localizzata nel VD avremo grave rischio di embolia polmonare.

Complicazione acute aritmiche


● Ipocinetiche
- Disfunzione del nodo del seno (bradicardia sinusale, blocco seno-atriale, arresto
sinusale)
- Blocco atrio-ventricolare (I, II e III grado)
● Ipercinetiche ventricolari
- BEV
- Tachicardia ventricolare (non avviene un’elevata diastole e la gittata cardiaca non sarà
adeguata)
- Fibrillazione ventricolare (non c’è una contrazione adeguata)
● Ipercinetiche sopraventricolari
- Battiti ectopici sopraventricolari
- Fibrillazione atriale parossistica
- Flutter
- Tachicardia sopraventricolare
Complicanze meccaniche dell’IMA
Tardive
aneurisma ventricolare,
cardiomiopatia
dilatativa e scompenso
cardiaco
La presenza di tessuto necrotico fibrotico è responsabile delle complicanze meccaniche
Precoci
Rottura del SIV, della parete
libera del ventricolo sinistro
o di un muscolo papillare,
scompenso cardiaco acuto
Obiettivi terapeutici nell’IMA
● Riduzione del dolore (morfina)
● Limitazione dell’area di necrosi (trombolisi ed eparina): si deve cercare nel più breve tempo
possibile di riaprire il vaso che si è chiuso.
● Protezione del miocardio ischemico (mitrati, betabloccanti, calcioantagonisti, ace-inibitori)
● Prevenzione di altri fenomeni trombotici (antiaggreganti)
Stemi: trattamento iniziale
Terapia antischemica: per diminuire il consumo miocardico di ossigeno e attenuare il dolore (si
somministrano ossigeno, morfina, nitrati per dilatare i vasi e betabloccanti)
Terapia antitrombotica: per ridurre il rischio di progressione del danno. Ci sono diversi farmaci
antiaggreganti piastrinici potenti che si somministrano nella fase acuta (ASA, inibitori GP IIb/IIIa,
inibitori P2Y12) e agenti anticoagulanti (eparina).
Perché bisogna intervenire nel più breve tempo possibile?
La necrosi miocardica è conseguente all’occlusione trombotica di una coronaria. Questo è un
evento dinamico e prima che il danno ischemico irreversibile raggiunga le sue dimensioni
definitive passano alcune ore. La prognosi del paziente che non muore acutamente per aritmie
(complicanza elettrica) o per insufficienza di pompa (complicanza meccanica) dipende
dall’estensione della necrosi. Per questo motivo l’intervento terapeutico deve essere più precoce
possibile, deve ottenere la ricanalizzazione limitando l’aria di necrosi, proteggere il miocardio
ischemico, ridurre il dolore, prevenire e risolvere gli eventi aritmici e correggere le complicanze.
La riperfusione può avvenire mediante
● Terapia trombolitica: somministrazione in acuto di farmaci che sciolgono il trombo
● Angioplastica primaria: quando si decide di trattare il paziente direttamente con
angioplastica
● Angioplastica “rescue”: quando si è tentato di ricanalizzare il vaso con la terapia
trombolitica senza successo.
Rivascolarizzare con la terapia trombolitica è molto più facile perché il farmaco trombolitico può
essere somministrato in qualsiasi pronto soccorso e anche in ambulanza, mentre l’angioplastica
deve essere eseguita in una sala di emodinamica. Il farmaco trombolitico, però, non scioglie
selettivamente il trombo che ha occluso il vaso, ma scioglie tutti i trombi e può causare emorragie.
Controindicazioni alla terapia trombolitica
Generali: biopsie d’organo eseguite da poco, gravidanza, retinopatia avanzata
Gastrointestinali: ulcera sanguinante, carenza di vitamina K pro-coagulante
Cardiovascolari: aneurisma dissecato dell’aorta, ipertensione arteriosa grave
Renali: insufficienza renali
Neurologiche: episodi cerebrovascolare ricorrenti non da causa embolica, intervento chirurgica
recente o trauma del SNC, anestesia spinale, puntura lombare
Ematologiche: difetti coagulativi congeniti o acquisiti
Finché all’ECG rimane il sopraslivellamento, c’è ancora sofferenza ischemica.

Raccomandazioni delle linee guida per la scelta della terapia riperfusiva nell’IMA

Trombolisi
Angioplastica primaria va iniziata il più precocemente possibile in
assenza di controindicazioni e se una
è il trattamento di scelta se la procedura
angioplastica primaria non può essere
può essere effettuata da una squadra
effettuata, ma non risolve il problema perché,
esperta entro 90 minuti dal prima
anche se scioglie il trombo, la placca
contatto medico
aterosclerotica instabile rimane.

Trombolisi

Vantaggi Svantaggi

● Più facilmente disponibile ● Percentuali relativamente


● Effettuabile anche in sede modeste di ricanalizzazione
preospedaliera ● Rischio di complicanze
● Efficacia non dipendente emorragiche
dall’esperienza dell’operatore ● La placca rimane
● Maggiore rapidità d’impiego
● Non necessità di dati anatomici

Angioplastica

Vantaggi Svantaggi

● Riperfusione precoce più ● Effettuabile solo in pochi ospedali


completa ● Efficacia fortemente dipendente
● Minore incidenza di reinfarti dall’esperienza dell’operatore
● Minore incidenza di emorragie ● Disponibilità limitata
● Migliore prognosi in presenza di ● Tempi più lunghi di trattamento
shock cardiogeno ● Maggiore incidenza di restenosi
● Necessità di dati anatomici

DISSEZIONE AORTICA
La dissezione aortica è una patologia che può essere mortale ed è causata da una lacerazione della tonaca
intima della parete aortica e determina l’ingresso di una colonna di sangue che causa una scissione
longitudinale tra la tonaca intima e la tonaca media. Nella dissezione classica, il “falso lume” creato
dall’ematoma della media comunica con il vero lume attraverso la lacerazione. Finché non avviene la
riparazione, il falso lume continua ad essere alimentato.

Classificazione delle dissezioni aortica secondo DeBakey

Tipo I: la dissezione parte dall’aorta ascendente e procede distalmente, spesso fino all’aorta addominale
(colpisce tutta l’aorta)

Tipo II: la dissezione è limitata all’aorta ascendente ed è caratterizzata da una lacerazione dell’intima subito
al di sopra delle valvole aortiche

Tipo III: la dissezione parte dall’aorta discendente subito al di sotto della succlavia sinistra e si estende verso
il basso.

Dissezione della Stanford University

Tipo A: coinvolge l’aorta ascendente e l’arco aortico (tipo I + tipo II di DeBakey)

Tipo B: coinvolge l’aorta discendente (tipo III di DeBakey)

Patogenesi: questa patologia è più frequente tra i 50 e i 70 anni, ma può presentarsi anche nei bambini e
nei soggetti molto anziani. Si può verificare in presenza di ipertensione (che non curata può indebolire la
tonaca intima), anomalie congenite dell’aorta (che determinano dilatazione dell’aorta ascendente,
indeboliscono la tonaca intima), stenosi aortica (indebolisce la tonaca intima), trauma vascolare (es.
incidenti d’auto), sindrome di Marfan o di Turner.

Sintomatologia: rientra tra le patologie che si manifestano con dolore toracico, in questo caso dovuto alla
scissione delle tonache, insorge nella regione toracica interiore. Può anche manifestarsi con un episodio
ischemico acuto in qualsiasi parte del corpo, dovuto ad estensione dei rami aortici (può mascherare la
diagnosi). Il dolore è sin dall’inizio intenso e spesso si localizza simultaneamente in diverse sedi. Il sospetto
dovrebbe nascere quando il dolore è localizzato contemporaneamente al di sopra e al di sotto del
diaframma. L’esordio nei casi senza dolore è accompagnato quasi sempre da un evento neurologico
improvviso (la sincope è l’evento più frequente e può essere un segno infausto, determinato da rottura
esterna, quasi sempre dell’aorta ascendente in pericardio o dall’occlusione dei trochi sopraortici).

Prognosi: oltre il 25% dei pazienti non trattati muore entro 24 ore dall’inizio del processo ed il 90% entro un
anno. L’ipotensione indica di solito la rottura ed una prognosi immediata molto severa.
Complicanze: nel tipo I si verifica nel 50% dei casi ostruzione di un ramo dell’aorta che può determinare
complicanze cerebrali o coronariche (in caso di IMA, la trombolisi sarebbe deleteria), ostruzione delle
arterie renali o splancniche e delle arterie iliache con ischemia arti inferiori.

Trattamento: dipende dal tipo di dissezione:

Tipo A: emergenza.

Tutte le dissezioni che coinvolgono l’aorta ascendente devono essere considerate emergenze o urgenze
chirurgiche, con una mortalità del 50% nelle prime 48 ore senza trattamento chirurgico (la mortalità è
spesso il risultato della rottura o intrapericardica con tamponamento cardiaco o intrapleurica o di
insufficienza aortica acuta). Anche in caso di ischemia degli organi distali, la riparazione del punto principale
di dissezione porta alla risoluzione dell’ischemia.

Tipo B

La mortalità operatoria è elevata, la prognosi è meno grave ma le complicanze sono comuni. L’operazione
va scelta in presenza di:

● ipertensione non controllata farmacologicamente


● ripetuti episodi di dolore
● aumento del diametro aortico (>5cm)
● segni di stillicidio extra aortico
● occlusione critica di un vaso collaterale.

Giovane età e rischio operatorio basso sono indicazioni alla chirurgia, che protegge dall’eventuale rottura di
un aneurisma sacculare residuo. Una valida alternativa per la prevenzione è l’impianto di endoprotesi. I
pazienti con sindrome di Marfan hanno sempre indicazione all’intervento chirurgico, anche in presenza di
aorta non dissecata, per l’elevato rischio di rottura della formazione aneurismatica, anche con diametro
<5cm. Inoltre, l’espansione può realizzarsi in maniera silente, a vari livelli ed in tempi differenti.

Trattamento in base al quadro clinico


Ipotensione 🡪 emergenza chirurgica

Severa patologie concomitanti 🡪 terapia antiipertensiva

Coinvolgimento dell’aorta ascendente 🡪 urgenza chirurgica

Aorta discendente non complicata 🡪 terapia antiipertensiva

Aorta ascendente complicata 🡪 urgenza chirurgica

EMBOLIA POLMONARE
È un’ostruzione acuta, completa o parziale, di uno o più rami dell’aorta polmonare. Nel 95% di casi è
determinata da un frammento di trombo proveniente da una trombosi venosa profonda che interessa
prevalentemente gli arti inferiori. La maggior parte dei trombi (65%) si localizza nelle arterie di grosso e
medio calibro di entrambi i polmoni. Entrambe le condizioni sono manifestazioni cliniche di una singola
malattia, identificabile nel tromboembolismo venoso.
Che giro fa il trombo per occludere l’arteria polmonare?

Vena degli arti inferiori 🡪 risale dalla vena cava 🡪 atrio destro 🡪 ventricolo destro 🡪 circolo polmonare

Epidemiologia: la reale incidenza dell’embolia polmonare è difficilmente calcolabile a causa di una


presentazione clinica raramente tipica e della conseguente difficile diagnosi. Spesso la diagnosi diviene
evidente post mortem.

Sopravvivenza: con la TVP isolata non si muore, con l’embolia polmonare il rischio di morte è maggiore.
L’embolia è un predittore indipendente di ridotta sopravvivenza fino a tre mesi dopo la sua insorgenza. In
circa un quarto dei pazienti con embolia polmonare, si presenza una morte improvvisa.

Prognosi: l’EP generalmente si verifica 3-7 giorni dopo l’instaurarsi di un TVP e può essere fatale dopo
un’ora dall’insorgenza dei sintomi. La mortalità precoce varia in base alla severità, che dipende dal calibro
del vaso occluso (più grande, più grave).

Senza anticoagulanti 🡪 50%


. trombosi entro tre mesi

Il rischio di EP dopo episodio di TVP (isolata o associata a EP)

Dopo 3-12 mesi con anticoagulanti

. 🡪 0.19-0.49 per cento pz/anno

Fattori favorenti la trombosi venosa

Triade di Virchow

● Stasi (ristagno di sangue nelle vene)


● Alterazioni delle componenti del sangue, che favoriscono la coagulazione
● Lesioni delle pareti

Questi tre fattori sono quasi sempre presenti durante e subito dopo un intervento chirurgico o un parto o in
pazienti immobilizzati a letto per malattie.

Rischio di embolia polmonare post-chirurgica

Rischio molto basso: età < 40 o > 40 sottoposti a piccoli interventi

Rischio basso: età > 40 dopo chirurgia generale senza altri fattori di rischio

Rischio moderato: dopo chirurgia maggiore con altri fattori di rischio (obesità, varici, tumori, infezioni)

Rischio elevato: età > 40 dopo interventi di chirurgia maggiore ad anca o gambe perché questi sono
interventi che immobilizzano a letto per molto tempo, soprattutto se associati ad altri fattori di rischio quali
età avanzata, neoplasie della pelvi, precedenti episodi di trombosi venosa, malattie della coagulazione.

È necessario per i pazienti ad alto rischio fare una terapia anticoagulante preventiva con eparina a basso
peso molecolare.

Fisiopatologia: le modificazioni fisiopatologiche comprendono alterazioni dell’emodinamica e della


respirazione. Tali modificazioni sono determinate da due meccanismi: ostruzione vascolare e risposte
neuroumorali e metaboliche riflesse all’embolizzazione

Alterazioni respiratorie:
- Contrazione riflessa della muscolatura liscia delle vie aeree contigue all’embolizzazione
(broncocostrizione)
- Aumento dello spazio morto alveolare
- Iperventilazione (si instaura per compensare l’ipossia e consegue alla stimolazione dei recettori
meccanici del letto vascolare polmonare, si manifesta con tachipnea e determina ipocapnia
arteriosa e alcalosi respiratoria)
- Riduzione dei volumi polmonari da ridotta espansibilità della gabbia toracica e ridotta sintesi di
surfattante
- Ipossiemia determinata dall’alterazione del rapporto ventilazione/perfusione e dalla diminuzione
della pressione venosa mista conseguente alla diminuzione della portata cardiaca e alla ridotta
affinità dell’Hb per l’O2.

Alterazioni emodinamiche:

- Aumento brusco delle resistenze vascolari polmonari causate in parte da ostruzione meccanica
determinata dall’embolo e in parte da vasocostrizione reattiva di arteriole polmonari non
interessate dall’embolo, determinata a sua volta dal rilascio di serotonina e sostanza simili da parte
delle piastrine presenti dell’embolo e dall’ipossia.
- Ipertensione polmonare: la pressione polmonare normale è circa 25/10 mmHg, media 15 e le
resistenze polmonari 1-2 mmHg. In assenza di patologia cardiorespiratoria, i valori della PAP
correlano linearmente con l’entità dell’ostruzione; la pressione arteriosa polmonare (PAP) comincia
ad aumentare quando l’ostruzione supera il 30% del letto vascolare, ma è necessaria un’ostruzione
>50% per avere un suo aumento significativo. Cosa succede in condizione di ipertensione e di
vasocostrizione delle arteriole? Un aumento del post carico del circolo polmonare e quindi della
portata cardiaca e drastico aumento della pressione del ventricolo destro per vincere il post-carico.
Un aumento improvviso della PAP causa dilatazione acuta del ventricolo destro, scompenso,
diminuzione gittata sistolica destra, diminuzione del riempimento del ventricolo sinistro e
ipotensione sistemica 🡪 insufficienza cardiaca e shock.

Sintomatologia: non esiste un sintomo specifico per EP o TVP, ma l’individuazione di una presentazione
clinica compatibile con queste patologie è di estrema utilità della selezione di un appropriato iter
diagnostico. I sintomi che possono essere presenti sono: dispnea (causata da tachipnea), dolore pleurico,
dolore retrosternale, tosse, emottisi, sincope.

Diagnosi: la diagnosi clinica è molto meno frequente di quella autoptica. L’EP si presenta spesso con un
quadro clinico aspecifico che simula altre malattie cardiorespiratorie. Il riconoscimento richiede un
procedimento diagnostico che inizia con il sospetto clinico e si conclude, dopo una serie di indagini non
invasive, con l’angiografia polmonare. Il sospetto dovrebbe essere posto in tutti i pazienti a rischio di
sviluppare trombosi venosa profonda.

Valutazione della probabilità clinica: nonostante le basse sensibilità e specificità di esami di base, la
combinazione di alcune variabili permette di dividere i pazienti con sospetta EP in categorie con diversa
probabilità di presentare la malattia. Lo score più frequente utilizzato nella diagnosi di EP è lo score di
Wells. Vengono presi in considerazione i fattori predisponenti (precedente TVP o EP, 1.5 pt; recenti
interventi chirurgici o immobilizzazione, 1.5 pt; cancro, 1 pt), i sintomi (emottisi, 1 pt), i segni clinici
(FC>100bpm, 1.5 pt; segni di TVP, 3 pt;) e il giudizio clinico (3 pt). Serve assegnare un valore ai vari fattori
perché dalla somma dei parametri si calcola la probabilità: tra 0-1 è bassa (10%), tra 2-6 è intermedia (30%)
e tra 7 e <7 è alta (65%).
Diagnostica di primo livello: al paziente clinicamente non grave si fanno prima gli esami di primo livello
(ECG, RX al torace ed emogas analisi).

Elettrocardiogramma: ci permette di escludere altre patologie come l’infarto STEMI o gravi turbe del ritmo.
In caso di EP può essere un po’ alterato a causa dei segni di ipertensione polmonare acuta associata a
sovraccarico del ventricolo destro: asse elettrico deviato a destra o BBDx completo, inversione onde T,
complesso QR in V1 (molto vaghe). Non ci permette di confermare la diagnosi, a di rinforzare il nostro
sospetto.

Radiografia del torace: non serve per fare la diagnosi ma per escludere altre cause di dispnea e di dolore
toracico e può mostrare aree polmonari ipoperfuse. È spesso normale; i segni di presunzione sono una
disparità di diametro tra l’arteria polmonare destra e sinistra, aree iperdiafane legate all’assenza di flusso,
l’improvviso troncamento di un vaso, aree di opacità triangolari secondarie ed infarto, strie disventilative.

Emogasanalisi: può essere di aiuto perché ci mette in evidenza l’ipossia ma anche l’ipocapnia con alcalosi
respiratoria, conseguenza dell’iperventilazione compensatoria. Inoltre, vi è una correlazione tra gravità
dell’embolia e diminuzione della pressione parziale di ossigeno.

Fibrinolisi spontanea e D-dimero: il D-dimero è un prodotto di degradazione della rete di fibrina stabilizzata
ad opera della plasmina. Aumenta quando si instaura un fenomeno di trombosi con conseguente aumento
della trombolisi endogena. I valori del D-dimero sono superiori a 500ng/ml in più del 90% dei pazienti con
EP. Ha una sensibilità variabile dall’83 al 96%, ma una specificità del 47% poiché aumenta anche in
patologie quali IMA; scompenso miocardico, neoplasie, polmoniti), per cui va utilizzato per escludere la
diagnosi di EP e non per confermarla. Il D-dimero non dovrebbe essere eseguito nei pazienti con alta
probabilità clinica di EP. U D-Dimero negativo esclude la diagnosi di EP solo nei pazienti che hanno una
bassa probabilità clinica.

Ecocardiogramma: indagine di secondo livello rapidamente eseguibile. È possibile una diretta


visualizzazione dell’embolo in arteria polmonare. Mostra segni diretti di cuore destro acuto (dilatazione e
ipocinesi del ventricolo destro: sbandamento del setto e movimento paradosso del setto, alterazione
diastoliche del ventricolo sinistro, ipertensione arteriosa polmonare e rigurgito tricuspidale), ci permette
anche di fare diagnosi differenziali (tamponamento cardiaco, dissezione aortica, cardiopatie congenite o
acquisite).

Vantaggi: ampia diffusione metodica, disponibilità al letto del malato, ripetibilità, basso costo ed
esplorazione dell’apparato cardiovascolare in modo completo, simultaneo e non invasivo.

Limiti: soggettività interpretativa (soprattutto in mani poco esperte), bassa impedenza acustica toracica,
perdita di accuratezza in presenza di una cardiopatia preesistente o di una broncopneumopatia.

Eco transesofagea: permette il riconoscimento di tromboemboli in arteria polmonare prossimale:


sensibilità 82-96%, specificità 86-100%., ricerca di pervietà del setto interatriale, possibile fonte di
embolismo “paradosso” (i coaguli del sinistro possono passare dal destro e finire in circolo polmonare in un
paziente con fibrillazione atriale) e identificazione di patologie congenite determinanti sovraccarico destro.

Scintigrafia polmonare: fa arte della diagnostica di III livello. Per fare diagnosi di EP deve essere una
scintigrafia di ventilazione-perfusione. La scintigrafia perfusionale si effettua tramite l’iniezione endovena
Tecnezio 99 caricato su aggregati di albumina, una sostanza marcante che si ferma nei capillari polmonari
permettendo una valutazione della perfusione polmonare. La scintigrafia ventilatoria avviene tramite
inalazione del paziente di traccianti gassosi che si vanno a disporre nel polmone in base alla ventilazione.
Perché per effettuare la diagnosi di embolia polmonare la scintigrafia deve essere di ventilazione-
perfusione?

Perché la ventilazione è normale nelle zone ipoperfuse. Se fosse presente una patologia polmonare, i
polmoni apparirebbero sia ipoperfusi, sia ipoventilati. Nell’EP si ha una ventilazione normale con
un’ipoperfusione. Nel 90% dei pazienti con un alterato rapporto ventilazione-perfusione ha embolia
polmonare, la valutazione dell’esame viene espressa come probabilità alta, media o bassa. L’accuratezza
diagnostica è alta per la scintigrafia.

Angio-TC: esame di elezione perché ci fa vedere direttamente dove di trova l’embolo ma è una tecnica
costosa, necessita di mezzo di contrasto ed espone il paziente a molte radiazioni senza offrire la possibilità
di vedere le arteriole più piccole.

Angio-TC polmonare multistrato: è l’indagine di scelta nel sospetto di embolia polmonare poiché permette
la visualizzazione anche degli ultimi rami segmentari. Ha un altro valore predittivo negativo per i pazienti a
rischio basso o intermedio e un alto valore predittivo positivo per i pazienti a rischio intermedio o alto.

Angiografia polmonare: prevede l’introduzione nell’albero arterioso polmonare di mezzo di contrasto


dimostrando segni diretti (ostruzione di un vaso, difetti di riempimento) e segni indiretti (flusso rallentato,
ipoperfusione regionale). Permette la visualizzazione diretta di un trombo, anche di dimensioni
approssimabili a 1-2 mm. Permette la misurazione della pressione in arteria polmonare. Per anni è stata il
gold standard, ma adesso, con l’avvento dell’Angio-TC si fa raramente. Si usa quando il paziente è critico e
bisogna eliminare il trombo il più velocemente possibile.

Strategia diagnostica: è diversa a seconda della gravità del paziente. Il quadro clinico aiuta.

Diagnosi differenziale: infarto miocardico, pneumotorace, dissezione aortica o polmonite.

Classificazione clinica

Nei pazienti critici, l’EP si manifesta con arresto cardiaco, dissociazione elettromeccanica (momento in cui
l’ECG è regolare ma ad ogni infuso elettrocardiografico non corrisponde alla contrazione del cuore) shock o
sincope. I pazienti non critici possono essere più o meno clinicamente compromessi ma non sono ad
immediato rischio.

In presenza di collasso cardiocircolatorio quali sono le misure da adottare? La prima cosa che bisogna fare è
tentare di sciogliere il trombo con una terapia anticoagulante con eparina. Bisogna successivamente
procedere con la ventilazione polmonare assistita, con il monitoraggio emodinamico con catetere di Swan-
Ganz (possiede nella sua parte distale un palloncino e viene guidato anche senza scopia dal flusso di

sangue) nell’arteria polmonare, beta antagonisti (dopamina, dobutamina), correzione dell’acidosi e


scoagulazione.

Obiettivi del trattamento: riduzione della mortalità attraverso stabilizzazione emodinamica e prevenzione
degli eventi embolici (prevenzione delle recidive a breve e lungo termine e prevenzione delle complicanze
tardive)

Embolia polmonare nel posto operatorio

Nella maggior parte dei pazienti, il trattamento trombolitico è controindicato perché i farmaci trombolitici
sciolgono trombi e coaguli ovunque essi si trovino, quindi si potrebbero riaprire le ferite dell’intervento
chirurgico, soprattutto negli interventi neurochirurgiche in cui le complicanze emorragiche sono
particolarmente temute. Se vi sono controindicazioni al trattamento anticoagulante, è necessario il
posizionamento del filtro cavale. L’inserzione del filtro cavale avviene:

● In presenza di controindicazioni legate alla terapia anticoagulante


● In presenza di complicanze legate alla terapia anticoagulante
● In presenza di recidive di EP o progressione di TVP nonostante terapia anticoagulante
● Dopo embolectomia polmonare o tromboectomia venosa
● In pazienti con cuore polmonare cronico post-embolico (microembolia polmonare che si ripete nel
tempo, per cui ad un certo punto si instaurerà una ipertensione polmonare che avrà come
conseguenza il cuore polmonare, ovvero una progressiva dilatazione con insufficienza contrattile
del ventricolo destro.

Cos’è il filtro cavale?

È una specie di mollettina che può avere diverse forme e per via percutanea si va a posizionare nella
vena cava inferiore in sede sotto-renale. Evita che i trombi di dimensioni maggiori degli arti inferiori
raggiungano il cuore destro. Le complicanze possono verificarsi nel 10-20% dei casi e sono:

- TVP in sede di inserzione


- Malposizione da migrazione
- Incompleta apertura
- Perforazione della parete cavale
- Trombosi della cava inferiore e ostruzione

Embolectomia percutanea
L’embolectomia percutanea è la rimozione o la frammentazione dei trombi nell’arteria polmonare
prossimale per vi a percutanea possono essere di estrema utilità in alcune situazioni critiche di embolia
polmonare ad alto rischio. È indicata per i pazienti con necessità di rianimazione cardiopolmonare, per i
pazienti con controindicazione assoluta o che non rispondono alla trombolisi e come alternativa alla
chirurgia se non si ha la possibilità di accesso per by-pass cardiopolmonare ad alto rischio.

Embolectomia chirurgica
Percutanea

▪ non richiede il ricorso al chirurgo e la sala


operatoria con CEC.
▪ Ha tempi di esecuzione molto brevi e può
essere attuata in sala emodinamica subito
dopo l’angiografia.
▪ Può essere eseguita anche in pazienti con
elevato rischio chirurgico.

L’embolectomia chirurgica consiste nell’incisione dell’arteria polmonare e nella rimozione dei trombi dai
due rami di biforcazione. È indicata per i pazienti con necessità di rianimazione cardiopolmonare, per
pazienti con controindicazione assoluta o che non rispondono a trombolisi o per i pazienti con pervietà del
forame ovale e trombi intracardiaci. La mortalità precoce è del 6-8%.
Chirurgica

▪ Alta mortalità.
▪ Necessita di operare in tempi molto
brevi.
▪ Molti pazienti che potrebbero
averne bisogno muoiono entro la
prima ora, prima ancora che sia
possibile eseguire la diagnosi.

Prevenzione della TVP e dell’EP

Metodiche meccaniche
- compressione graduata con calze
elastiche;
- compressione pneumatica
intermittente;

Farmaci
- anticoagulanti orali;
- eparina endovena;
- eparina a basso peso molecolare;
- antiaggreganti;

PERICARDITE ACUTA
Processo infiammatorio del sacco pericardico ed in sua presenza si può accumulare del liquido al suo
interno. Raramente è fibrinosa (senza liquido). Nella maggior parte dei casi la sua eziologia è virale (spesso
virus influenzali). Dal punto di vista clinico, la classifichiamo in:

● Acuta (< 6 settimane): può essere fibrinosa o sierosa;


● Subacuta (6 settimane - 6 mesi): può essere siero-costrittiva o costrittiva
● Cronica (> 6 settimane): può essere costrittiva, sierosa o adesiva.

Sintomatologia

Il dolore è segno il più frequente, ha sede retrosternale e toracica alta, irradiato posteriormente nella metà
dei casi e occasionalmente si irradia alle braccia o solo ad uno dei due emitoraci). Altri due sintomi sono la
dispnea presente nel 30% dei casi e la febbre presente nel 60% dei casi.

Segni clinici: dipendono dall’entità del versamento, se è abbondante si avrà tamponamento cardiaco. I
segni del tamponamento cardiaco sono segni di congestione venosa perché il liquido si raccoglie nella zona
pericardica del ventricolo destro, che è molto meno compliante del ventricolo sinistro alla impossibilità di
distendersi, questo causa una compromissione della diastole e non riuscirà a raccogliere abbastanza
sangue. La conseguenza sarà il turgore venoso, ben visibile all’esame delle vene giugulari poiché sono le più
superficiali.

Elettrocardiogramma: in caso di pericardite di verifica sopraslivellamento del tratto ST che interessa due o
tre derivazioni periferiche e le precordiali da V2 a V6, con depressioni in aVR e talvolta in V2, senza
modificazioni di QRS. Distinguiamo le alterazioni ECGrafiche dell’infarto STEMI e della pericardite basandoci
sulle derivazioni che esse riguardano. Se il paziente avesse un infarto STEMI visibile nelle precordiali V2 e
V6, l’infarto sarebbe molto esteso e il paziente sarebbe clinicamente compromesso. Invece, il paziente
affetto da pericardite, sarebbe solo soggetto a dolore toracico. Inoltre, nel caso della pericardite, dopo
qualche giorno, il tratto ST ritorna al livello basale e compaiono le onde T negative; nell’infarto STEMI,
invece, le modificazioie scompaiono nell’arco di poche ore.

Diagnosi: l’ecocardiogramma rappresenta la metodica diagnostica di scelta in questo semplice, specifica e


non invasiva, sensibile ed eseguibile al letto del malato. Consente una precisa localizzazione ed una
valutazione quantitativa del versamento. Permette, inoltre, di identificare un tamponamento cardiaco.

MIOCARDITE
La miocardite è un processo infiammatorio a carico del miocardio. Anche la miocardite ha un’eziologia
infettiva (virus influenzale). La miocardite è un’infiammazione diffusa con infiltrazione linfomonocitaria nel
connettivo interposto tra le cellule miocardiche, una parte delle quali va incontro a necrosi nelle settimane
successive per reazione immunitaria cellulo-mediata. Ogni volta che c’è necrosi delle cellule, il tessuto
necrotico diventa tessuto fibrotico. Quindi, la guarigione è associata a fibrosi, di entità proporzionale alla
estensione della necrosi. Se la quantità di tessuto fibrotico è eccessiva, il paziente potrà andare incontro ad
una cardiomiopatia dilatativa. Infiltrati, edema e necrosi riducono la compliance cardiaca e la sofferenza
metabolica dei miociti esita in una riduzione della contrattilità. Per questo si ha insufficienza cardiaca nei
casi gravi, comparsa di disturbi della conduzione se viene interessato il tessuto specifico e comparsa di
aritmie ipercinetiche in seguito all’irritabilità dovuta all’infiammazione.

Sintomatologia: febbre, malessere generale, dolore toracico, vomito, diarrea, spesso nausea, astenia,
pallore, mialgie, artralgie. Il quadro clinico può essere quello di un’infezione delle prime vie respiratorie o di
un’infezione digestiva che precede, in genere, di circa 15-20 giorni il quadro della miocardite.

Elettrocardiogramma: non ci saranno alterazioni specifiche, ma aspecifiche (aritmie atriali o ventricolari,


disturbi della conduzione, alterazioni del tratto ST o dell’onda T o comparsa di onde Q patologiche).

Ecocardiogramma: Noteremo dilatazione delle cavità ventricolare, alterazioni della cinetica distrettuale,
versamento pericardico, alterazioni globali della funzione di pompa nei casi più gravi. L’ECG non ci fa fare
diagnosi ma ci aiuta nel seguire la sua evoluzione.
Diagnostica

● La biopsia miocardica è una procedura cruente che si fa per via percutanea venosa, prelevando
piccoli pezzetti di miocardio. Può essere utile se effettuata precocemente entro 15-30 giorni
dall’insorgenza dei sintomi. Può non essere diagnostica, se le lesioni hanno carattere focale e il
campione prelevato non è rappresentativo. Dati di laboratorio: anemia, aumento del CPK durante
la fase acuta
● La risonanza magnetica nucleare cardiaca è Il gold standard che ci permette una più accurata
tipizzazione tissutale e quindi ci fa vedere meglio se ci sono alterazioni infiammatorie.

Terapia: non esiste una terapia mirata; nelle forme di origine virale può essere utile l’utilizzo di
immunostimolanti e antivirali. Nei casi in cui si è instaurata una insufficienza cardiaca si intraprende terapia
con vasodilatatori, oltre che diuretici. È consigliabile il riposo assoluto per evitare un’estensione della
patologia e l’evoluzione nel tempo in cardiomiopatia dilatativa ed insufficienza cardiaca.

VALVULOPATIE
Le patologie che coinvolgono le valvole cardiache conducono ad:

● Alterazioni restrittive (stenosi valvolare)


● Incontinenza (insufficienza valvolare)

I vizi possono essere isolati (stenosi o insufficienza), combinati (steno-insufficienza) o composti (mitro-
aortici-tricuspidalici).

Stenosi mitralica
Anatomia dalla valvola mitrale: complesso anatomofunzionale composto da atrio sinistro, anello mitralico,
lembi valvolari, corde tendinee, muscoli papillari e ventricolo sinistro.

La stenosi mitralica è un vizio valvolare che era molto più frequente, perché è una conseguenza della
malattia reumatica post streptococcica, che adesso viene curata non appena si presenta. Questa, quando
era epidemica, interessava più frequentemente il sesso femminile. Inoltre, può essere determinata anche
da endocardite infettiva, neoplasie, calcificazione massiva dell’anulus, mixoma atriale o grosso trombo a
palla. La malattia reumatica è una patologia infiammatoria multiorganica che interessa principalmente il
cuore, le articolazioni, il SNC, cute e sottocute e le manifestazioni cliniche sono: cardite, artrite, corea,
noduli sottocutanei ed eritemi marginati. La malattia reumatica infettiva determina:

1. Ispessimento dei lembi valvolari da parte di tessuto fibroso


2. Fusione delle commissure valvolari (gli spazi tra i lembi valvolari)
3. Accorciamento delle corde tendinee
4. Irrigidimento dei lembi valvolari con conseguente restringimento della valvola che assume una
forma ad imbuto

La stenosi mitralica è un restringimento della valvola mitralica che determina un ostacolo di grado variabile
all’efflusso di sangue dall’atrio al ventricolo sinistro durante il riempimento diastolico. Si manifesta isolata
nel 45% dei casi e associata a valvulopatie nel restante 55%. Normalmente, l’area valvolare mitralico è di 4-
6 cm2 (scarto di due cm perché bisogna adattarla alla superficie corporea del paziente che si prende in
considerazione).

Classificazione della stenosi mitralica


La classificazione avviene in base alla riduzione dell’area valvolare e si distinguono quattro gradi di stenosi
mitralica:

● SM lieve: area 2 – 1,5 cm2


● SM moderata: area 1,5 – 1 cm2
● SM severa: area 1 – 0,6 cm2
● SM serrata: area <0,5 cm2

Fisiopatologia: una riduzione dell’orifizio valvolare a valori di 2.5 cmq determina un aumento della
pressione atriale sinistra. Poiché la pressione ventricolare sinistra rimane normale, si instaura un “gradiente
transvalvolare” che dipende dalle dimensioni dell’orifizio valvolare e dal flusso attraverso la valvola che, a
sua volta, dipende dalla portata cardiaca e dalla durata della diastole. L’ostacolo all’efflusso determina un
aumento della pressione in atrio sinistro, che causa dilatazione atriale e che si ripercuote a monte, a livello
del circolo polmonare, con aumento di pressione e distensione delle vene e dei capillari polmonari. Ciò
causa incremento del contenuto idrico del polmone, dapprima intravascolare e poi extravascolare. Il liquido
trasudato diminuisce la compliance del polmone, accrescendo il lavoro respiratorio. Con il tempo, il
polmone diventa rigido per fibrosi: il sintomo è la dispnea, che aumenta con lo sforzo ma è presente anche
a riposo. L’attività fisica, determinando aumento del flusso transvalvolare e riduzione del riempimento
diastolico, causa un marcato aumento della pressione atriale sinistra e capillare polmonare (dispnea), fino
all’edema polmonare, quando la pressione del capillare polmonare supera quella oncotica (25-30 mmHg).
Anche la tachicardia, riducendo il tempo di riempimento diastolico, aumenta il gradiente di pressione
transvalvolare. L’eccessivo e prolungato aumento della PAP (>70 mmHg) rappresenta un impedimento allo
svuotamento del ventricolo destro, la cui ridotta contrattilità determina insufficienza cardiaca destra, con
congestione sistemica.

La stenosi mitralica può diventare un vizio combinato perché nel tempo ci sarà un eccessivo aumento della
PAP, che causerà un ostacolo allo svuotamento del ventricolo destro con conseguente insufficienza
cardiaca destra e congestione sistemica; si potrà sviluppare una insufficienza tricuspidalica.

1. L’affezione comincia con un restringimento dell’orifizio mitralico: ciò induce una elevazione della
pressione a monte.
2. Le alterazioni della valvola e la riduzione del flusso attraverso l’orifizio mitralico sono all’origine dei
segni essenziali dell’auscultazione.
3. La pressione atriale sinistra deve salire per mantenere il flusso attraverso l’orifizio mitralico
ristretto. L’atrio sinistro si dilata.
4. Un aumento del volume sanguigno ed una elevazione di pressione nelle vene polmonari e nei
capillari polmonari sono necessari per mantenere la pressione nell’atrio sinistro.
5. Elevazione della pressione nell’arteria polmonare.
6. Insufficienza polmonare secondaria all’ipertensione e alla dilatazione dell’arteria polmonare.
7. Elevazione della pressione ventricolare destra e ipertrofia ventricolare destra.
8. La valvola tricuspide diventa insufficiente.
9. A seguito dello scompenso vascolare destro, si alza la pressione nell’atrio destro e nella rete venosa
sistemica.

Sintomatologia

I sintomi in genere non compaiono prima che l’aera valvolare sia scesa al di sotto di 1.2 cmq. Sono
determinati dalle due variazioni emodinamiche tipiche della valvulopatia.

● Gradiente A-V con un’aumentata pressione atriale sinistra e polmonare


- Dispnea (dapprima con sforzo, successivamente anche a riposo)
- Ortopnea (necessità di dormire seduti)
- Dispnea parossistica notturna (quando ci si sdraia)
- Edema polmonare
- Emottisi
● Diminuzione della portata cardiaca
- Astenia ed affaticamento
● Palpitazioni ed embolie sistemiche possono essere manifestazioni di fibrillazione atriale, frequente
complicanza della stenosi mitralica.

Test diagnostici

Elettrocardiogramma:

o Ritmo sinusale o fibrillazione atriale


o Ingrandimento atriale sinistro
o Sovraccarico ventricolare destro

RX torace

o Stasi polmonare
o Ingrandimento atriale sinistro
o Sporgenza dell’arteria polmonare
o Dilatazione delle sezioni cardiache destre

Ecocardiogramma: test diagnostico di elezione

o Valutazione della valvulopatia e dei parametri di funzione ventricolare


o Gradiente pressorio transvalvolare
o Area valvolare mitralica
o Pressioni e resistenze polmonari

Le ultime tre informazioni, prima dell’avvento dell’ecocardiografia, erano ricavare dal cateterismo cardiaco.

Perché il laboratorio di emodinamica può essere utile in caso di stenosi mitralica?

Perché c’è una particolare forma di SM che può essere trattata per via percutanea con la valvuloplastica
mitralica. Si possono trattare quelle SM che sono dovute a fusione delle commissure tra i lembi e in cui non
c’è ancora un’alterazione dell’apparato sottovalvolare. Sono quelle SM che, una volta, il cardiochirurgo
trattava con la commissurotomia (accedeva dall’atrio sinistro e separava le commissure tra le valvole);
adesso questo si fa per via percutanea con il catetere di Inoue, che ha nella sua parte terminale un
palloncino più grande di quello per angioplastica.

1. Si accede dal sistema venoso e si giunge all’atro destro


2. Attraverso la puntura transettale, si passa in atrio sinistro
3. Grazie ad un introduttore, si inserisce il catetere di Inoue, che si fa passare attraverso la valvola
stenotica.
4. Viene gonfiata la porzione distale del catetere e questo si tira indietro in modo da essere sicuri che
sia a cavallo della valvola
5. Si gonfia anche la porzione prossimale
6. Si aprono le commissure.

Perché si può fare solo quando l’apparato sottovalvolare è ancora integro? Se questa procedura venisse
effettuata a ridosso di una valvola rigida e calcificata, questa si romperebbe e creeremmo un’insufficienza
passiva.
Insufficienza mitralica
L’insufficienza mitralica è chiaramente la condizione in cui la valvola mitrale diventa incontinente. Vi sono
due diversi tipi di eziologia:

● Organico-degenerativa: può essere una conseguenza della malattia reumatica, malattie del tessuto
connettivo o da lesioni congenite
● Funzionale (da ischemia miocardica, miocardiopatia dilatativa, aneurisma ventricolare sinistro,
etc.). Valvulopatia più frequente insieme alla stenosi aortica.

- Malattia reumatica: i lembi valvolari vanno incontro a fenomeni di accorciamento, deformità e


retrazione
- Alterazioni degenerative: più frequente la forma mixoide che causa lembi prolassanti e rottura delle
corde tendinee.
- Cardiopatia ischemica: rottura dei muscoli papillari
- Endocardite infettiva acuta: perforazione dei lembi, distruzione delle corde tendinee

Fisiopatologia

Sappiamo che al ciclo cardiaco appartengono una sistole isometrica ed una sistole isotonica. La sistole
isometrica è quella che avviene a valvole chiuse e serve per far sì che la pressione a livello del ventricolo
sinistro aumenti in modo tale che si possa aprire la valvola aortica. Infatti, finché la pressione dopo la
diastole non aumenta nuovamente, la valvola aortica non si apre. La chiusura della valvola mitrale è quasi
completa ancora prima del periodo della contrazione isometrica. Al momento della sistole ventricolare la
circonferenza dell’anello mitralico si riduce e questo consente ai lembi valvolari di collabire. L’anello
valvolare scende un po’ nella cavità ventricolare, le pareti del ventricolo si avvicinano, l’accorciamento dei
muscoli papillari mantiene in tensione le corde e previene il prolasso dei lembi mitralici in atrio sinistro.

L’alterata sovrapposizione dei lembi valvolari mitralici determina, durante la sistole, un rigurgito attraverso
l’orifizio. La malattia è definita dall’entità del rigurgito e dai meccanismi di adattamento del ventricolo
sinistro. L’entità del rigurgito dipende dall’area dell’orifizio, dalla durata della sistole e dalla differenza di
pressione tra ventricolo ed atrio. Essendo la pressione in atrio più bassa che in aorta, il sangue all’inizio
della contrazione ventricolare può rigurgitare in atrio, per cui manca la sistole isovolumetrica ed il rigurgito
è olosistolico (inizia con la sistole e si mantiene per tutta la sua durata). Si crea un sovraccarico di volume
per il ventricolo sinistro, che ad ogni diastole deve accogliere, oltre alla quota di sangue proveniente dal
circolo polmonare attraverso l’atrio sinistro, anche quella rigurgitata in atrio durante la sistole precedente
(“caput mortuum” perché non partecipa alla gittata cardiaca), con conseguente progressiva dilatazione.

L’insufficienza mitralica può essere:

● Acuta (rottura di corde tendinee, disfunzione papillare, perforazione)


● Cronica (malattia reumatica, malattie del collageno, prolasso mitralico, muscolo papillare unico con
mitrale a paracadute.

Nelle forme croniche il ventricolo sinistro si adatta e va incontro a dilatazione. Nelle fasi iniziali della
malattia la funzione contrattile si mantiene normale. La Frazione di Eiezione (FE= VTD-VTS/VTD) è in questa
fase della malattia normale o addirittura aumentata; infatti, il VTD è aumentato, mentre il VTS è diminuito a
causa della quota di sangue che rigurgita in atrio sinistro. Pertanto, una FE lievemente ridotta è indice di
una severa compromissione della funzione ventricolare sinistra. Il VTS rappresenta un indice molto utile per
valutare la funzione ventricolare. Quando il ventricolo sinistro presenta un’insufficienza contrattile non si
svuota completamente e questo causa un aumento del volume telediastolico.
Nella forma cronica l’atrio sinistro di dilata notevolmente. Non si determina ipertensione polmonare,
tuttavia nel tempo, il ventricolo sinistro, sottoposto al carico di volume, può andare incontro ad un deficit
contrattile, inoltre, la dilatazione del ventricolo sinistro causa dilatazione dell’anulus mitralico e quindi un
ulteriore aumento del rigurgito, con evoluzione verso lo scompenso cardiaco.

Nella forma acuta, un rigurgito di sangue massivo ed improvviso non consente al cuore di adattarsi.
Pertanto, l’elevata pressione che si instaura in atrio sinistro, si ripercuote a livello polmonare, con rapida
evoluzione verso l’edema polmonare acuta.

Sintomatologia

Nella forma cronica, i sintomi compaiono gradualmente e possono rimanere molto sfumati per diversi anni;
sono legati alla riduzione della gittata sistolica (facile affaticabilità, ridotta tolleranza dello sforzo). Quando
si rende manifesta la disfunzione ventricolare sinistra, compare dispnea da sforzo. In presenza di
disfunzione ventricolare conclamata, compare dispnea a riposo, dispnea parossistica notturna, edema
polmonare acuto e sintomi di insufficienza congestizia. A causa della dilatazione dell’atrio sinistro può
comparire fibrillazione atriale, che influenza negativamente il decorso della patologia.

Nell’insufficienza mitralica acuta i sintomi esordiscono in modo ingravescente con la massima


manifestazione (edema polmonare acuto).

Diagnosi

● Elettrocardiogramma (informazioni non specifiche);


● RX torace (non dà informazioni specifiche);
● Ecocardiogramma (quantifica dimensioni e funzione ventricolare e atriale sinistra);

Trattamento dell’insufficienza mitralica

Quali sono i pazienti che hanno indicazione all’intervento chirurgico? I pazienti sintomatici che hanno
dispnea che compare per sforzi molto importanti. I pazienti asintomatici vanno prima valutati con un test
ergonomico. Il VTS deve essere minore di 40 ml/mq, altrimenti siamo in una condizione di
controindicazione all’intervento (è il caso di pazienti asintomatici dopo sforzo intenso e i pazienti in classe
NYHA III e IV che hanno dispnea per sforzo minimo o anche a riposo). Una elevata percentuale di pazienti
(49%) non va incontro all’intervento chirurgico; molti perché hanno già una disfunzione avanzata del
ventricolo, altri perché sono troppo anziani, altri per presenza di comorbidità.

Il Professore Alfieri inventò qualche anno fa un intervento chirurgico di correzione per l’insufficienza
mitralica che si chiama Age to Age: dare un paio di punti ai due lembi valvolari al centro in modo che la
valvola insufficiente, invece di essere un orifizio grande, avesse due orifizi più piccoli. Questo non
migliorava l’evoluzione della patologia, ma un miglioramento della sintomatologia. Sulla scorta di questo
intervento, è stata inventata una procedura di cardiologia interventistica che si esegue senza
cardiochirurgia in sala di emodinamica (mitraclip). Viene introdotto un dispositivo su cui è applicata una clip
chiusa che passa dall’atrio al ventricolo sinistro. Questa procedura può avvenire sia in scopia sia durante
ecocardiogramma transesofageo. La clip passa attraverso l’ostio valvolare e una volta trovata la posizione
ideale, si accollano i lembi valvolari e si chiude la clip.

Prolasso mitralico
Alterazione della valvola mitrale che determina ridondanza dei lembi con prolasso (protrusione oltre il
piano atrioventricolare durante la sistole ventricolare) o sbandieramento verso l’atrio sinistro. Possono
essere interessati entrambi i lembi valvolari, più comunemente il lembo posteriore
Incidenza e prevalenza: interessa circa il 6% della popolazione, è più frequente nel sesso femminile, la
maggior parte dei pazienti sono asintomatici e la diagnosi è spesso occasionale.

Vi sono diverse forme:

● Forme primarie (familiari e no, sindrome di Marfan, altre patologie dei tessuti connettivali)
● Forme secondarie (cardiopatia ischemica, lesioni reumatiche, cavità ventricolare sinistra ridotta,
difetti interatriali, ipertensione polmonare)
● In alcuni casi è presente una degenerazione mixomatosa a livello dei lembi valvolari mitralici con
aumento dei polisaccaridi acidi

La maggioranza dei casi non presenta insufficienza mitralica ma in circa il 10% dei casi può insorgere per
esagerata fluttuazione della valvola o per sovrapposta endocardite batterica.

Il prolasso mitralico, soprattutto se dovuto ad una degenerazione del tessuto connettivo, può determinare
una improvvisa rottura di una corda tendinea e può essere causa di una insufficienza mitralica acuta.

Sintomatologia

o Dolore toracico atipico (retrosternale, prolungato, non correlato all’esercizio fisico)

Un eccessivo stiramento delle corde tendinee è stato suggerito quale possibile meccanismo del dolore
toracico, la tensione prolungata delle corde tendinee causa presumibilmente una trazione forzata sui
muscoli papillari e sulla parete adiacente del ventricolo sinistro, che può determinare modificazioni a
livelli dei muscoli papillari e del flusso ematico subendocardico.

o Palpitazioni e sincopi (legati alla comparsa di aritmie sopraventricolari e ventricolari)

Sembra possano essere dovute ad un’aumentata attività adrenergica.

La diagnosi è prettamente ecocardiografica.

Stenosi aortica
L’aorta è caratterizzata da tre cuspidi. La stenosi aortica è una malattia delle semilunari aortiche,
caratterizzata da ostruzione al flusso di sangue dal ventricolo sinistro all’aorta, con sviluppo di gradiente
pressorio transvalvolare ed ipertrofia di tipo concentrico del ventricolo sinistro. Ci sono diverse forme di
ostruzione all’efflusso del ventricolo sinistro (stenosi sopravalvolare che coincide con la coartazione aortica;
stenosi sottovalvolare che o può essere determinata dalla presenza congenita di un membrana che si
risolve eliminando chirurgicamente la membrana stessa o si identifica con quella che si chiama
cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva, patologia in cui il ventricolo sinistro si ipertrofizza e durante da sistole
può creare un’ostruzione all’afflusso.

Può essere congenita o acquisita

● Congenita: su valvola mono-bi o tricuspide 🡪 l’alterazione valvolare determina un flusso turbolento


che deteriora i lembi valvolari e determina una fibrosi con rigidità e calcificazione della valvola.
● Acquisita: calcifica-degenerativa, reumatismo articolare, artrite reumatoide.

Eziologia e patogenesi

La stenosi aortica che si manifesta in pazienti giovani (IV-V decade) è dovuta solitamente alla
degenerazione fibrocalcifica di una valvola aortica congenitamente malformata (spesso bicuspide). Quella
nei pazienti anziani (VII-VIII) è la degenerazione fibro-calcifica senile, caratterizzata da depositi nodulari di
calcio sul versante aortico delle cuspidi valvolari e dall’assenza di fusione delle commissure. La causa puù
frequente nei pazienti nella VI decade di vita è la malattia fibro-calcifica port infiammatoria (malattia
reumatica): l’ispessimento delle cuspidi valvolari, la fusione delle commissure, l’arretrazione e
l’accorciamento dei margini, aggravati nel tempo dall’apposizione di calcificazioni, riducono l’orifizio
valvolare ad una piccola apertura circolare o triangolare. Possono essere interessate anche la valvola
mitrale e, in minor misura, la valvola tricuspide.

In condizioni normali. L’aera valvolare aortica è compresa tra 2 e 3 cmq. Si parla si stenosi significativa
quando l’area è < 1.5 cmq; la stenosi aortica diventa sintomatica allorquando l’ostio valvolare è ristretto ad
un cmq o meno.

Fisiopatologia

Una riduzione del 50% genera resistenza all’eiezione ventricolare e aumento della pressione
interventricolare sinistra, con sviluppo di un gradiente pressorio tra ventricolo sinistro ed aorta, la cui entità
dipende dal grado di stenosi. il ventricolo sinistro può adeguarsi al sovraccarico pressorio cronico mediante
un’ipertrofia concentrica (che interessa con uguale entità tutte le pareti). Il risultato è un aumento della
massa muscolare miocardica senza dilatazione della cavità ventricolare sinistra. Il meccanismo di compenso
dell’ipertrofia comporta, però, un marcato aumento del fabbisogno di ossigeno delle fibre muscolari
cardiache.

Esiste una correlazione inversa tra lo stress di parete e la frazione di eiezione. La riduzione di quest’ultima si
verifica nei casi in cui l’ispessimento di parete non sia adeguatamente elevato o l’ipertrofia risulti
inadeguata, con risultante eccessivo stress di parete, che in base alla legge di Laplace è dato dalla formula:
P x r/2h. (pressione per raggio diviso 2spessore). Quindi aumentano spessore o pressione per far sì che non
aumenti lo stress di parete.

Se la contrattilità ventricolare si riduce, o si verifica un critico incremento dell’ostruzione valvolare, si


produce una dilatazione ventricolare: disfunzione diastolica del ventricolo sinistro.

L’ipertrofia concentrica spesso comporta una ridotta compliance ventricolare; così l’aumento della
pressione diastolica ventricolare sinistra, senza dilatazione della camera ventricolare, riflette un altro
processo fisiopatologico: disfunzione diastolica del ventricolo sinistro.

Sintomatologia

Triade sintomatica patognomica 🡪 sincope, angina pectoris, dispnea

Queste manifestazioni cliniche sono dovute ad ipertrofia ventricolare: aumento del consumo miocardico di
O2, compressione delle arterie, riduzione compliance del ventricolo sinistro con aumento della pressione
diastolica ventricolare, riduzione di afflusso di sangue nell’aorta e in tutti i suoi rami (coronarie).

● Angina: è secondaria alla discrepanza tra l’aumento delle richieste di ossigeno da parte del
miocardio ipertrofico ed ipoperfusione coronarica
● Sincope: è secondaria alla riduzione della perfusione cerebrale che si verifica durante uno sforzo
(calo della pressione sistemica per vasodilatazione periferica senza adeguato aumento della portata
cardiaca). Può essere determinata anche da aritmie ipercinetiche.
● Dispnea: compare in stadio avanzato, quando vengono meno i meccanismi compensatori e il
ventricolo si dilata e la portata cardiaca e la F.E. si riducono.

Complicanze

o Morte improvvisa
Evenienza temibile, da tenere in considerazione soprattutto dopo la comparsa dei sintomi, ma non
solamente, poiché a volte può rappresentare l’esordio della patologia. Si verifica più
frequentemente durante uno sforzo eccessivo, per ipoafflusso cerebrale o per la comparsa di
tachiaritmie ventricolari gravi, scatenate dall’eccessivo aumento della pressione endoventricolare.
o Endocardite infettiva
o Embolie calcifiche (se l’eziologia della stenosi è calcifica possono andare in circolo coaguli di calcio)
o Fibrillazione atriale (l’atrio è sottoposto ad un sovraccarico di lavoro)
o Dissezione aortica (una valvola aortica alterata può rappresentare l’ingresso della colonna di
sangue che si inserisce tra la tonaca media e l’intima)
o Disturbi di conduzione (la posizione anatomica della valvola aortica è molto vicina al tratto di
conduzione atrioventricolare del sistema elettrico del cuore, quindi, se la degenerazione calcifica si
estende, si possono verificare anche blocchi atrioventricolari.

Test diagnostici

Elettrocardiogramma: segni di ipertrofia ventricolare sinistra, con turbe secondarie della ripolarizzazione
ventricolare. Non ci permette di fare la diagnosi.

RX torace: profilo cardiaco con configurazione aortica: apice cardiaco arrotondato (in casi di mancata
ipertrofia) e maggiore sporgenza verso sinistra. Non ci aiuta a fare diagnosi.

Ecocardiogramma: valutazione della valvulopatia e dei parametri di funzione ventricolare, utile per
differenziare la stenosi aortica valvolare da quella sopravalvolare o sottovalvolare. Diagnostico.

Cateterismo cardiaco: gradiente pressorio transvalvolare, localizzazione della sede della stenosi (non usato)

Sostituzione valvolare aortica percutanea

il 31.8% dei pazienti non vengono sottoposti all’intervento chirurgico nonostante i sintomi avanzati

▪ Cause cardiache: riduzione della funzione ventricolare dopo il trattamento, valvulopatia in fase
avanzata;
▪ Extra-cardiache: età avanzata, comorbidità importanti o rifiuto da parte del paziente;

La cardiologia interventistica si evolve ed è stata messa a punto una valvola aortica che si può impiantare
per via percutanea. Il concetto fondamentale è che queste valvole viene montata su uno stent metallico
che può essere auto-espandibile oppure che viene espanso con un palloncino e schiaccia la valvola calcifica
e si impianta a livello dell’ostio aortico al posto di quella malfunzionante.

Come avviene la procedura?

Approccio anterogrado: si fa attraverso un accesso venoso che arriva in atrio destro, con la puntura
transettale si giunge in atrio sinistro e il delivery system che contiene la valvola deve passare dall’atrio al
ventricolo sinistro ed infine all’aorta. C’è un minor rischio di embolizzazione di placche durante il passaggio
della protesi. Si può creare nel passaggio dall’atrio al ventricolo sinistro un trauma del lembo mitralico da
parte della guida rigida che può causare insufficienza mitralica acuta. La presenza di una lieve ipertrofia del
ventricolo sinistro può rendere difficoltoso manovrare la protesi all’interno della cavità.

Approccio retrogrado: il più utilizzato; attraverso una puntura arteriosa si arriva in aorta, da qui viene
passato il delivery system in ventricolo sinistro e si posiziona la protesi a cavallo della valvola. È la metodica
più semplice e sicura, la puntura transettale non è necessaria, annulla il rischio di danni a livello della
mitrale, ma aumenta i rischi di lesioni vascolari.

Approccio transapicale: viene effettuato quando gli interventi precedenti non sono eseguibili. È una
procedura eseguibile anche in caso di inadeguati accessi vascolari e tortuosità dell’aorta. È un approccio
semi-chirurgica (non richiede una toracotomia completa, ma una mini-toracotomia anterolaterale sinistra
di 5 cm), ma i tempi di procedura sono più estesi e richiede l’anestesia totale. Si posiziona il delivery system
attraverso l’apice cardiaco e andare a rilasciare la valvola.

Potenziali complicanze

Interessano tutte le tecniche e possono essere:

● Embolizzazione della protesi: la protesi va in circolo quando non è ancora stata posizionata;
● Leak paraprotesico: un passaggio di sangue che rimane tra la protesi e la parete del ventricolo;
● Ostruzione degli osti coronarici: se l’impianto non viene effettuato correttamente;

Insufficienza aortica
È caratterizzata da reflusso diastolico dall’aorta in ventricolo sinistro per lesioni dei lembi valvolari
semilunari aortici o dell’aorta ascendente con coinvolgimento dei lembi valvolari. L’insufficienza valvolare si
può instaurare progressivamente, dando tempo al ventricolo di compensare il difetto (insufficienza cronica)
oppure rapidamente con effetti spesso gravi (insufficienza acuta).

Eziopatogenesi

Cronica: lesioni valvolari (endocardite reumatica, malformazioni congenite) e parietali (sifilide, sindrome di
Marfan, ipertensione grave)

Acuta: lesioni valvolari (endocardite infettiva, traumi al torace) e parietali (dissezione aortica).

Fisiopatologia

Cosa succede in presenza di insufficienza aortica ? C’è una quantità di sangue (caput mortuum) che, durante
la sistole, passa dal ventricolo sinistro all’aorta e, durante la diastole, torna indietro (dall’aorta al
ventricolo). Quindi in ventricolo deve contenere durante la diastole sia il sangue che giunge dal circolo
polmonare, sia il rigurgito che proviene dall’aorta. Dal punto di vista emodinamico, si crea un sovraccarico
di volume di ventricolo sinistro, la cui entità dipende dal volume del rigurgito che dipende, a sua volta,
all’area dell’orifizio rigurgitante e dal gradiente pressorio tra aorta e ventricolo (in un paziente iperteso, il
reflusso aumenterà) e dalla durata della diastole. L’insufficienza aortica è molto subdola poiché, fin quando
non si instaura l’insufficienza cardiaca, l’insufficienza aortica non si manifesta. Durante l’esercizio fisico, per
esempio, c’è una vasodilatazione periferica che consente al ventricolo di aumentare la sua portata,
aumenta la frequenza cardiaca e si accorcia la durata della diastole, quindi il rigurgito diminuisce. Con il
tempo, però, la funzione ventricolare si deteriora e, spesso, quando compaiono i sintomi, siamo in una
situazione di peggioramento e catastrofico.

Insufficienza aortica cronica: dilatazione e lieve ipertrofia eccentrica del ventricolo sinistro, marcato
aumento del VTD ventricolare, adeguata funzione sistolica che, nel tempo, progressivamente, si deteriora,
arrivando all’insufficienza ventricolare sinistra.

Insufficienza aortica acuta: manca il tempo per sviluppare la dilatazione e relativa ipertrofia in risposta
all’improvviso sovraccarico di volume 🡪 aumento cospicuo della pressione telediastolica, a volte
ipertensione venosa polmonare ed edema polmonare acuto.

Test Diagnostici

● Elettrocardiogramma: aumento del voltaggio di QRS e sottoslivellamento ST-T;


● RX torace: III arco di sinistra allungato e prominente;
● Ecocardiogramma: entità del rigurgito, dimensioni e funzione del ventricolo sinistro;
● Cateterismo cardiaco: necessario solo nei pazienti con indicazione chirurgica per visualizzare le
coronarie; con l’aggiunta dell’aortografia avviene la quantizzazione del rigurgito

Indicazioni all’ecocardiografia transtoracica

- Confermare la diagnosi e la severità dell’insufficienza aortica acuta


- Diagnosi di insufficienza aortica cronica in pazienti con segni fisici non specifici
- Valutare l’eziologia del rigurgito
- Valutare in grado di dilatazione del ventricolo sinistro
- Valutazione semi-quantitativa della severità dell’insufficienza aortica.
- Rivalutazione dei pazienti con insufficienza aortica media, moderata o severa che presentano nuovi
sintomi o un loro cambiamento.

Trattamento

Si consiglia di intervenire prima che la funzione ventricolare sinistra sia deteriorata. Infatti, dopo la diagnosi,
bisogna attentamente controllare il paziente con ecocardiogrammi seriati, cioè effettuati ogni tot di tempo
in base alla gravità della valvulopatia.

Si considera l’opzione chirurgica quando all’ecocardiogramma si riscontrano

● DTD >75mm;
● DTS > 55mm
● FE > 50%;
● Dilatazione aorta ascendente > 55mm;

Insufficienza tricuspidale
È caratterizzata dal rigurgito di sangue dal ventricolo all’atrio destro, con sovraccarico di volume delle due
cavità, delle vene cave e dilatazione delle sezioni destre. Raramente è un vizio isolato, mentre è spesso
associato a vizio mitralico.

Eziologia

Si distinguono due tipi sostanzialmente diversi sia per eziologia sia per quadro fisiopatologico.

o Funzionale o secondaria

È più comune e trae origine da una dilatazione del ventricolo destro quasi sempre secondaria ad una
ipertensione polmonare

o Organica o primitiva

Può essere di natura congenita o acquisita. In questi casi, le eziologie più comuni sono: reumatica,
ischemica, degenerativa, infettiva, traumatica e sindrome carcinoide.

Fisiopatologia

Nel caso di insufficienza tricuspidale organica o primitiva, il quadro che si instaura progressivamente è
quello del sovraccarico di volume del ventricolo destro. Questa cavità cardiaca, infatti, ad ogni diastole
riceve il sangue refluo venoso, a cui si aggiunge la quantità di sangue rigurgitato in atrio destro durante la
sistole precedente. Abitualmente il vizio è ben tollerato e l’evoluzione verso lo scompenso destro è lenta.

Nel caso di insufficienza tricuspidale funzionale o secondaria, il quadro è diverso poiché essa si instaura già
in presenza di un sovraccarico ventricolare destro con dilatazione secondaria. In questo caso la comparsa
dell’insufficienza fa precipitare i segni di scompenso destro spesso preesistenti.
Test diagnostici

Elettrocardiogramma: frequente fibrillazione atriale, segni di sovraccarico ventricolare destro:

RX torace: cardiomegalia marcata, prominenza del secondo arco di destra, apice cardiaco spostato a sinistra
al V spazio intercostale all’esterno dell’emiclaveare (dilatazione ventricolo destro);

Ecocardiogramma: atrio e ventricolo destro dilatati

Cateterismo cardiaco: necessario solo nei pazienti con indicazione chirurgica, per visualizzare le coronarie.

Domanda da fare alla prof: qual è il trattamento per un’insufficienza tricuspidale? (ops, troppo tardi)

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