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Anche per il trattamento delle vie accessorie l'ablazione è sicuramente una terapia di prima scelta

perché la percentuale di successo è molto alta, fra le 80-100%. Questa variabilità della percentuale
di successo è dovuta alla sede di localizzazione delle vie accessorie, alcune vie possono essere
molto vicine al fascio di his quindi bisogna andare un po’ più cauti con l’ablazione perché se per
caso il calore sviluppato dalla radiofrequenza si estende al fascio di his si può creare un blocco AV
completo. Nei bambini e in tutte le vie molto vicine al fascio di his si preferisce utilizzare la crio
ablazione, il vantaggio è che con la crioablazione è possibile stare più tranquilli perché
l'applicazione del freddo, in un primo momento intontisce la struttura che noi stiamo andando ad
ablare, dopo di che mantenendo più a lungo il freddo la bassa temperatura, si ha l'interruzione
completa. È utile perché quando siamo vicini al fascio di his, perché se dovesse comparire un
blocco AV, possiamo interrompere immediatamente la procedura e sappiamo che la condizione
riprenderà mentre con la radiofrequenza questo non succede. Le recidive dopo azione di accessori
sono variabili intorno al 3-9%, le complicanze gravi inferiori all’1% e di solito l'incidenza di
complicanze gravi è legata alla presenza di cardiopatie strutturali oltre alla via accessorio oppure
di vie multiple di difficile localizzazione.

Le aritmie ventricolari come quelle sopra ventricolari vanno dal semplice extrasistole fino alla
tachicardia ventricolare, flutter ventricolare, fibrillazione ventricolare e così via..
Le aritmie ventricolari sono molto più gravi di quelle sopraventricolari perché un’aritmia
ventricolare a frequenza elevata non ha contrazione efficace.
La tachicardia ventricolare è caratterizzata da complessi regolare con frequenza superiore ai 100
battiti al minuto, è possibile distinguerla in non sostenuta e sostenuta, la non sostenuta è quella
che dura più di tre battiti e meno di 30 secondi; invece quella sostenuta è quella che dura più di 30
secondi oppure quella che non è assolutamente tollerata dal paziente dal punto di vista
emodinamico e dobbiamo interrompere immediatamente.
Il flutter ventricolare è caratterizzato da complessi larghi e regolare frequenza superiore a 250
battiti al minuto.
Nella fibrillazione ventricolare è possibile scontrare dei complessi estremamente variabili con una
frequenza cardiaca maggiore a 250 battiti per minuto.
La torsione di punta è una particolare aritmia in cui c'è alternanza dei complessi QRS positivi e QRS
negativi per cui sembra che l’aritmia ruoti intorno all’asse.

Le extrasistole ventricolari sono battuti anticipati e ordinati da un focolaio ectopico rispetto a


quelli normali, i battiti ectopici originano dal mio miocardio ventricolare, quindi non sono
preceduti da un'onda P, il complesso QRS ha una morfologia differente perché se originano dal
ventricolo sinistro il complesso QRS avrà un aspetto blocco di branca, viceversa se originano dal
ventricolo destro il QRS avrà un complesso di blocco di branca sinistra perché si attiverà prima il
ventricolo destro. Un complesso QRS largo, non preceduto da un’onda P e la pausa post-
extrasistolica è una pausa compensatoria ovvero che l'intervallo tra due tra i due battiti sinusali
che comprende l’extrasistole è uguale al doppio di un intervallo R-R normale.
La tachicardia ventricolare in genere è dovuta ad un meccanismo di rientro determinato dalla
presenza per esempio di cicatrici infartuali, caratterizzata da complessi QRS larghi e di uguale
morfologia che si susseguono uno dopo l'altro, non ci sarà nessun rapporto con le onde P.
La fibrillazione ventricolare è una depolarizzazione ventricolare caotica dovuto ad una serie di
microcircuiti all'interno dei ventricoli, situazione non compatibile con la vita perché le pareti
ventricolari non si contraggono.
Le aritmie ventricolari possono essere trattate attraverso il defibrillatore impiantabile, esso negli
anni si è dimostrato la misura più efficace della morte improvvisa aritmica, è un apparecchio che si
impianta sottocute ed è collegato a uno o più elettrocateteri che vanno nelle cavità cardiache, ha
possibilità di monitoraggio dell'attività elettrica e possibilità di stimolazione in caso di bradiaritmia
ma possibilità anche di intervento in caso di tachiaritmie, è in grado di distinguere
un’accelerazione fisiologica dei battiti; in caso bradiaritmia interviene stimolando il cuore ad una
frequenza minima programmata come un normale pacemaker, in caso di tachiaritmia cerca di
interromperla e la può interrompere o con una stimolazione a frequenza superiore a quella
dell’aritmia chiamata anti tachi pacing e funziona nelle tachiaritmie da rientro.
Nel caso di fibrillazione ventricolare in cui questo non si può fare perché non è un’aritmia da
rientro o in tachicardia ventricolare in cui l'anti tachi pacing cioè la stimolazione a frequenza più
elevate non abbia avuto effetto si crea uno shock elettrico, ciò interrompe l’aritmia e ripristina il
ritmo sinusale, nel momento in cui il defibrillatore effettua lo shock, il paziente se non è svenuto
per un’aritmia emodinamicamente mal tollerata si sente una sensazione simile a un forte pugno al
torace, il dispositivo interviene dopo alcuni secondi dall'inizio dell’aritmia e quindi il pz potrebbe
anche perdere conoscenza prima.
I sintomi delle bradiaritmie sono: vertigini, vuoto alla testa, mancanza di respiro, facile
affaticabilità, confusione mentale, svenimenti, sensazione di freddo, crisi di disorientamento
spazio-temporale (soprattutto notture con risveglio improvviso).
Quando abbiamo una frequenza cardiaca troppo bassa incompatibile con la vita dobbiamo
intervenire con l'impianto del pacemaker ovvero con la cardio-stimolazione (le indicazioni sono: la
disfunzione del nodo del seno, si manifesta con bradicardia sinusale con una frequenza troppo
bassa, arresto sinusale o incompetenza cronotropa quando la FC non aumenta in maniera
adeguata durante la notte).
N.B. una pausa per essere significativa e per indurre all’impianto del pacemaker deve essere
superiore a 6 secondi.

Le funzioni principali di un pacemaker sono: quello di stimolare in modo efficace e costante la


depolarizzazione cardiaca in armonia con il ritmo cardiaco naturale, possono essere in grado di
rispondere ad un aumento delle richieste metaboliche quindi aumentare la frequenza di
stimolazione quando il cuore non è in grado di farlo da solo e possono anche fornire informazioni
diagnostiche sul funzionamento sia del cuore del paziente che del pacemaker stesso.
Il circuito di stimolazione è costituito dal pacemaker con la sua batteria, dall'elettrocatetere che
collega il pacemaker al cuore e dal tessuto miocardico ventricolare.
Il pacemaker è fatto per la per una buona metà delle sue dimensioni della batteria (ha una durata
circa di almeno 9-10 anni), da un sistema di circuiti che serve a svolgere tutte le funzioni
precdetemente elencate e dal connettore che è il sistema che sta sopra di silicone che è quella a
cui poi si agganciano gli elettrocateteri.
L’elettrocatetere è un filo elettrico in grado di trasmettere in punti elettrici e di leggerlo rivestito
da materiale isolante che può essere silicone, poliuretano o una mescola di entrambi i materiali;
nella parte prossimale presenta il connettore che è quello che si collega al pacemaker e nella parte
finale ha un sistema di fissaggio che serve a tenerlo fermo nel punto in cui noi l'abbiamo
posizionato per il tempo necessario fino a quando si formino le aderenze che poi lo tengono
definitivamente saldo.
Il pacemaker si alloggia in una tasca sottocutanea e si collega agli elettrocateteri che attraverso il
sistema venoso vanno al cuore.
Il fissaggio dell’elettrocatetere può essere attivo (a vite) o passivo (a barbe).
Il circuito di pacing e di sensing può essere unipolare o bipolare: oggi non vengono più utilizzati gli
elettrocateteri unipolari; in quelli unipolari viene attivato un solo elettrodo, invece in quelli
bipolari entrambi gli elettrodi.

L'impianto del device deve prima presentare un’accurata disinfezione della cute, della zona
sottoclaveare, dell'avambraccio e dell'ascella (generalmente nei pazienti destrimani si impinata a
sx perché tutta la parte sinistra fa meno movimenti, ma nei pazienti mancini e nei cacciatori si
impianta a dx); si cerca un accesso venoso per posizionare gli elettrocateteri, si introduce una
guida metallica che ci serve a mantenere l'accesso mentre nel frattempo si fa una tasca nella fascia
del muscolo pettorale, per posizionare l’elettrocatetere ci vuole l’introduttore (particolari chiamati
peel-away, che una volta posizionato l’elettrocatetere, l'interruttore si apre in due e poco a poco si
tira indietro), prima di proseguire bisogna controllare i parametri elettrici, gli elettrocateteri
vengono fissati con un filo non riassorbibile, vengono collegati al device, il pacemaker viene
posizionato nella tasca sottocutanea e si chiude la breccia cutanea con filo riassorbibile.
Dopo l'impianto è necessaria la mobilizzazione per 24 ore per quelli con la vite e 48 ore per quelli a
barbe.
I pacemaker possono essere a singola camera quando sono colllegati a un singolo elettrocatetere,
doppia camera quando sono collegati a due elettrocateteri e tripla camera quando sono collegati a
tre elettrocateteri (in questo caso parliamo di resincronizzazione perché il terzo è posizionato
attraverso l’accesso destro dal seno coronarico in una vena del ventricolo sinistro).
Esiste un codice di identificazione dei pacemaker composto da cinque lettere:
i pacemaker possono essere monocamerali (collegati ad un solo elettrocatetere quindi possono
stimolare e sentire una sola camera, possono programmarsi in AAI e VVI) bicamerali (collegati a
due elettrocateteri quindi si possono programmare in DDD che possono stimolare atrio e
ventricolo e VDD, esiste un tipo di pacemaker bicamerale BDD che può stimolare solo il ventricolo
ma può sentire anche l’attività atriale) o tricamerali.
La funzione rate-responsive è la funzione per cui il pacemaker può rispondere in maniera
fisiologica alla necessità del momento di frequenza, perché è in grado di rilevare un segnale che
può essere un segnale meccanico o un segnale fisiologico che sono fondamentalmente gli atti
respiratori, questo segnale viene rilevato da un sensore, il sensore lo trasmette a un
microprocessore nel pacemaker e questo microprocessore attiva la funzione per cui varia la
frequenza. È molto fisiologica, perché replica la normale funzione cardiaca,regolando la frequenza
secondo l'attività.
Si impianta il pacemaker monocamerale in quei pz che hanno una fibrillazione atriale oppure in
quei pz che mettiamo il pacemaker a protezione per le rarissime pause e pz con tachiaritmia
sopraventricolare.
Il pacemaker è indicato nei pz con blocco atrioventricolare nel nodo del seno e nei pz con
disfunzione sinusale.
Il circuito di phasing e sensing è costituito dall'insieme di elettrocateteri, cuore e tessuto
miocardico. La corrente passa solo quando questo circuito è chiuso quindi quando tutti i contatti
sono perfetti. Le misure elettriche sono l'unico modo che noi abbiamo per verificare se la
posizione degli elettrocateteri va bene e se il circuito funziona regolarmente. Sono l’ampiezza, la
durata e l’impedenza cioè la somma delle resistenze al flusso di corrente nel circuito di
stimolazione. Le misure elettrica che noi prendiamo quando vengono posizionati gli elettrocateteri
ma non sono ancora collegati al pacemaker, sono la soglia di stimolazione, il sensing e
l’impedenza.
Il sensing deve essere almeno superiore a 1mV per quanto riguarda l’ampiezza dell’onda P e
superiore a 5mV per l’ampiezza dell’onda R, la soglia di stimolazione deve essere minore di 1V sia
quella atriale che quella ventricolare (quando si impiatta il pacemaker si deve programmare
l'uscita dell'uso ad un valore almeno due volte la soglia per essere sicuri che la stimolazione sia
efficace), infine l'impedenza dipende dagli elettrocateteri, ai controlli deve essere mantenuta
sempre costante.
La programmazione del pacemaker ha due obiettivi: uno garantire la sicurezza del paziente, due
garantire la massima durata della batteria, il primo controllo viene fatto il giorno dopo l'impianto il
secondo ad un mese dall’impianto e poi i controlli si fanno ogni sei mesi. Al controllo si deve
valutare la frequenza spontanea del paziente, l'impedenza (se troviamo una bassa impedenza
dobbiamo pensare che non c'è un buon contatto tra l’elettrocatetere e il tessuto, se c’è una
tendenza alta dobbiamo pensare un contatto non ottimale o a rottura dell’elettrocatetere), la
soglia (se dovesse aumentare di più noi dovremo aumentare l'uscita dell’impulso) e la sensibilità
che è la capacità del circuito di percepire i segnali.
I parametri che noi programmiamo, sono: l'uscita quindi ampiezza, la frequenza di stimolazione,
l’isteresi (cerca di favorire il più possibile l'attività spontanea del pz, è un valore lievemente
inferiore rispetto alla frequenza minima che noi abbiamo programmato che permette alla
frequenta spontanea di scendere a valori più bassi prima che il pacemaker inizi a stimolare), il
periodo refrattario (è un intervallo di tempo che inizia dopo ogni attività durante il quale il canale
del pacemaker corrispondente è insensibile ad ogni segnale proveniente dall'esterno) l'intervallo
A-V (è il tempo che intercorre tra il battito atriale simulato dal pacemaker o spontaneo e il
successivo battito ventricolare che sarà sentito o stimolato), il tempo di reazione e il tempo di
recupero che sono degli intervalli che riguardano la possibilità di programmare quanto tempo ci
deve mettere il pacemaker prima che aumenti la frequenza dopo aver percepito un’attività e il
tempo che ci deve mettere per rallentare la frequenza.
Ci possono essere dei problemi di malfunzionamento dei pacemaker, come il difetto di cattura, il
difetto di sensing, l'incapacità di generare uno stimolo e pseudomalfunzionamenti.

Il defibrillatore è un device più grande del pacemaker, è costituito dalla batteria, dai circuiti
elettrici e da due condensatori, se necessario deve essere in grado di emettere uno shock
elettrico. L’elettrocatetere è diverso da quello del pacemaker è un po' più grosso perché ha le
spirali di defibrillazione endocardica che devono erogare lo shock endocardico. L'impianto è
esattamente uguale a quella del pacemaker.
È un device programmabile, che permette di programmare una serie di parametri, come il
riconoscimento e il trattamento delle tachiaritmie, la funzione di pacing antibradicardico e la
funzione di prevenzione, riconoscimento e trattamento delle tachiaritmie atriali.
Le funzioni programmabili sono il sensing, gli algoritmi di rilevamento delle tachiaritmie in
monocamerale e bicamerale, il rilevamento e terapia per le tachiaritmie atriali, terapie ventricolari
a bassa energia e terapie ventricolari ad alta energia.

Possiamo programmare 3 zone con diversa frequenza, a cui attribuiamo quel tipo di aritmia e
predisponiamo quel trattamento
Ci sono altri criteri con cui il device riconosce le aritmie e sono la stability (intervallo RR) e la
modalità di insorgenza dell’aritmia cioè se l’aumento di frequenza è improvviso o graduale.
Il defibrillatore ha un circuito di guardagno che serve per assicurare un adeguamento rapido ed
accurato alle variazioni in ampiezza del segnale e un sensing corretto durante le irregolari
variazioni di ampiezza tipiche della fibrillazione ventricolare.

Il defibrillatore funziona con una finestra di scorrimento in cui avviene il riconoscimento


dell’aritmia (dobbiamo fare in modo che il device intervenga il meno possibile e che l’aritmia si
risolva sola, quindi dobbiamo conoscere la clinica e conoscere il pz) e passano circa 8 battiti,
appena la riconosce c’è un ritardo che noi possiamo programmare in base se il pz tollera bene
l’aritmia (più lungo, se il pz tollera bene); se dopo il ritardo c’è ancora l’aritmia, il defibr carica i
condensatori, alla fine della carica, rivaluta se c’è l’aritmia cioè rivaluta, se c’è EROGA LO SHOCK.
I defibrillatori più moderni che prima provano ad interrompere l’aritmia con l’ATP, sono in grado di
erogare antitachipesing, anche mentre caricano i condensatori, se l’aritmia si è interrotto con
l’antitachipesing , non erogano la scarica.
I tempi d’intervento sono molto brevi: per identificare l’aritmia sono necessari 8 battiti nonché 3
sec, il ritardo è programmabile in un sec, la carica dei condensatori richiede 10 sec, la riconferma 1
sec, l’erogazione della scarica alla massima energia avviene dopo 15-20 sec.

Se l’aritmia è presente dopo la terapia, si ha l’erogazione di una seconda terapia (con un numero
variabile tra 4 e 7 interventi).

La terapia può essere: stimolazione anti-tachicardica (con erogazione di impulsi elettrici a bassa
energia), la cardioversione (erogazione di scarica elettrica sincrona con la tachicardia) e la
defibrillazione (erogazione di una scarica elettrica ad alta energia).

i follow up si fanno dopo 3,4, o 6 mesi da quanto è stato impiantato il defibrillatore. Quando il
device raggiunge ERI (ovvero il momento in cui con serenità possiamo sostituire il device) prima
che si scarica però passeranno altri 3 mesi; quando ci rendiamo conto che ci stiamo avvicinando
all’ERI faremo controlli più ravvicinati.
Ai controlli vediamo: storia aritmica del pz, gli elettrocardiogrammi diagnostici in tempo reale, i
test elettrofisiologici non invasivi e la completa valutazione del sistema (che comprende i contatori
degli episodi, l’analisi dello storico della memoria, lo stato della batteria, l’impedenza di
stimolazione, la soglia di stimolazione, l’impedenza sistema di shock e la valutazione del
rilevamento del ritmo spontaneo).

I device moderni causano meno inteferenze elettromagnetiche rispetto quelli vecchi, in seguito ad
interferenza può succedere: inibizione di un singolo battito, inibizione totale, stimolazione in
modalità asincrona, aumento della frequenza di stimolazione e stimolazione ad una frequenza
errata. Le possibili risposte potranno essere una stimolazione temporanea asincrona che
scompare quando si allontana la causa del campo magnetico oppure indurre un azzeramento
elettrico della memoria del pacemaker.
Il defibrillatore può risponde ad interferenza con erogazione inappropriata di shock, con
erogazione di terapie antitachicardiche, con inibizione delle terapie antitachicardiche, inibizione
delle terapie di cardioversione e inibizione delle terapie di defibrillazione.
Le fonti di interferenza possono essere comuni (telefono, saldatrici, linee elettriche ad alta
tensione) o in ambienti ospedalieri.

Il monitoraggio remoto dei devide impiantabili:


Ci sono pz anziani, che non riescono a viaggiare per cui risulta difficile anche per loro venire a
controllo, il monitoraggio remoto è utile. I device sono collegati ad una linea telefonica e lo
strumento per il monitoraggio viene consigliato tenerlo nel comodino durante la notte così il
tecnico monitora nel centro di controllo. In base ai dati, bisogna capire se è tutto normale, se
bisogna intraprende qualche azione, chiamare il pz o se ci sono allarmi per cui bisogna informare il
medico, per poi fare un follolw up.
Con la tecnologia remota si può controllare l’integrità del sistema, i parametri vitali, la
programmazione del dispositivo e il controllo della terapia farmacologica.
I parametri clinici monitorizzabili sono: monitoraggio fluidi e rilevatore di pressione atriale per
informazioni sull’evoluzione dello scompenso; % stimolazione di Biv e EV, soglie di cattura e
impedenza per informazioni sulla frequenza cardiaca e sulla stimolazione; trend e slivellamento
del tratto ST per informazioni sulla diagnostica.

Il monitoraggio da remoto è più utile perché è continuo sempre. Nei casi di monitoraggio remoto
giornaliero viene effettuata una diagnosi precoce di episodi di fibrillazione atriale parossistica, che
possiamo intervenire immediatamente con trattamento farmacologico.
Grazie al monitoraggio da remoto sono diminuiti i costi ospedalieri (ricoveri).

MORTE IMPROVVISA
È una morte naturale preceduta da improvvisa perdita della conoscenza, che si verifica entro
un’ora dall’inizio dei sintomi, in soggetti con o senza cardiopatia nota preesistente, ma in cui
l’epoca e la modalità di morte sono imprevedibili.
La causa principale nel 90% dei casi è cardiaca (causata da coronaropatia nell’80% dei casi,
cardiomiopatia dilatativa o ipertrofica nel 10% dei casi, cardiopatia ipertensiva/valvolare, sindromi
aritmogene ereditarie nel 5% dei casi e assenza di cardiopatia organica nel 5% dei casi), nel
restante 10% dei casi può essere di natura neurologica.
Nel 90% dei casi è una tachiaritmia ventricolare, raramente bradiaritmia e ancora in % minore una
dissociazione elettromeccanica.
Negli atleti il rischio di morte improvvisa è veramente basso, le patologie che potrebbero causarla
sono la cardiomiopatia ipertrofica, anomalie congenite delle coronarie, aneurisma aortico di S.di
Marfan e stenosi aortica valvolare.
La cardiomiopatia ipetrofica ha un’incidenza di morte del 2-4% e i fattori predittivi sono la
presenza di aritmie spontanee e la familiarità positiva, i parametri ecocardiografici non sono molto
utili così come lo studio fisiologico. I fattori determinanti sono le aritmie o un eventuale mutazione
genetica. Tra i fattori di rischio ricordiamo la giovane età, familiarità, sincopi ricorrenti, mutazioni
genetiche maligne, storia di un arresto cardiaco, anormale risposta pressoria all’esercizio fisico,
spessore della parete del ventricolo sx > di 30mm a 18 anni, fibrillazione atriale a rapida risposta
ventricolare e ischemia miocardica. Tutti questi fattori hanno un valore predittivo positivo < del
50%. Appartiene alla classe 2 generalmente.
La displasia aritmogena del ventricolo dx è caratterizzata dalla sostituzione del tessuto miocardico
da tessuto lipidico e fibrolipidico, appartiene alla classe 2 (per quanto riguarda il defibrillatore)
tranne se il pz ha avuto arresto cardiaco.
Le anomalie delle coronarie possono essere ad esempio anomalie nella distribuzione delle
coronarie, sviluppo incompleto, assenza di una coronaria; ovviamente se non ci sono sintomi non
viene effettuata una diagnosi.
La stenosi aortica congenita (rappresenta una delle cause più frequenti di morte improvvisa negli
atleti), essa sviluppa sintomi, infatti è facilmente identificabile.
La sindrome di Marfan è una patologia del tessuto connettivo, abbiamo un prolasso del tessuto
connettivo con conseguente dilatazione progressiva dell’aorta fino all’aneurisma.
Il pz che solitamente va incontro a morte improvvisa è in una fascia d’età compresa tra 60-65 anni
e solitamente è più colpito il sesso maschile; la sede dell’evento nel 70-80% dei casi avviene in
abitazione, nel 10-15% dei casi nel posto di lavoro e nel 5% dei casi in altre sedi.

Sindrome del QT lungo e di brugada sono anomalie che possono causare morte improvvisa ma
facendo l’autopsia non si riesce a risalire al motivo. Sono patologie dei canali ionici che regolano i
flussi di Na e K e che possono dare origine a delle aritmie gravi.
La sindrome del QT lungo è osservabile in un ECG di controllo.
La sindrome di brugada è possibile a volte manifestarla in ECG (ma non sempre), quando è visibile
osserviamo il blocco di branca dx (spesso incompleto), sopraslivellamento del tratto ST in V1 e v2.

Entro alcuni secondi dall’arresto cardiaco, la vittima perde coscienza e smette di respirare. Dopo 4-
6 min si manifesta un danno cerebrale significativo. Per ogni minuto trascorso, la sopravvivenza
diminuisce del 10%. È più facile che l’arresto viene risolto se si riesce a defibrillare entro i 2 min.
L’incidenza di questo evento mostra un ritmo circadiano con una prevalenza tra le ore 6 del
mattino e mezzogiorno; nelle prime ore del mattino si osserva un aumento del tono
vasocostrittore coronarico, della FC e della pressione arteriosa.

L’operatore interviene attraverso quattro anelli di catena:


• accesso precoce al sistema di emergenza;
• rianimazione cardiorespiratoria precoce;
• defibrillazione precoce (obbiettivo è quello di defibrillare entro 5 min dalla chiamata);
• trattamento avanzato cardiaco precoce.

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