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ANATOMIA PATOLOGICA

Lezione 1
L’anatomia patologica è uno studio istologico e citologico delle malattie. Tutto ciò che viene asportato in
sala operatoria o a livello ambulatoriale, viene oggi studiato al microscopio. Lo scopo dell’anatomia
patologica è quello di fare una diagnosi che viene definita “di certezza”, infatti ci consente di analizzare il
tessuto e le sue caratteristiche e, quindi, di stabilire con certezza la patologia a carico di quell’organo. È una
diagnosi di certezza, ma c’è sempre una soggettività legata all’operatore e alla frequenza e variabilità della
patologia.

Domanda stupida: l’anatomo-patologo è medico? Sì, perché per riconoscere una patologia è necessario
avere anche un inquadramento clinico del paziente.

Qualsiasi biopsia o qualsiasi esame citologico va inviato ad un laboratorio di anatomia patologica.

Come deve essere inviato? Devono essere inseriti il nome e il cognome del paziente sia sulla provetta (non
sul tappo, che è facilmente scambiabile) sia sul foglio di accompagnamento (richiesta dell’esame). Devono
essere inseriti la data di nascita e il sesso del paziente, per non lasciarsi ingannare dalle omonimie. Inoltre,
devono essere specificate le caratteristiche relative al tipo di materiale, il reparto da cui è stato prelevato, il
tipo di biopsia (incisionale o escissionale) e i dati clinici. Dare le giuste informazione è fondamentale per un
corretto inquadramento clinico, diagnostico e terapeutico.

Qual è il procedimento?

Se il pezzo arriva dalla sala operatoria o dall’ambulatorio, viene inserito in un contenitore e fissato in un
liquido chiamato formalina. Il pezzo può anche arrivare a fresco quando viene portato subito dopo
l’asportazione. Per evitare il processo di deterioramento e, quindi, di digestione enzimatica del pezzo
stesso, si inserisce il pezzo in un contenitore contenente formalina, che blocca tutti i processi autolitici e di
degradazione cosicché il tessuto rimanga nello stato in cui viene prelevato. Se abbiamo un frammento
molto piccolo, basterà poca formalina. Se viene asportato, ad esempio, un rene, il barattolo deve essere di
dimensioni idonee per contenere sia l’organo sia i volumi di formalina necessari per la fissazione. Una volta
giunto in laboratorio, in ogni caso, il pezzo viene sezionato per permettere alla formalina di permeare
anche nelle parti più interne. *Critiche contro la curiosità dei chirurghi che sezionano gli organi per sport*.

Nella diagnostica si hanno delle tecniche complementari oltre all’esame istologico di base. Una fra queste è
l’immunoistochimica, che attraverso la reazione antigene-anticorpo consente di vedere che antigeni
esprimono le cellule di quel tessuto. Se il pezzo è iperfissato a causa di una immersione in formalina
eccessivamente prolungata, la reazione antigene-anticorpo potrebbe avvenire in maniera anomala o non
avvenire affatto. Per cui, è necessario che il pezzo abbia raggiunto una fissazione adeguata, ma non
eccessiva. Inoltre, il pezzo viene campionato e le parti che vengono scelte per l’esame istologico
solitamente non vengono iperfissate, altrimenti andrebbero incontro ad una processazione finale; al
contrario, quello che non viene scelto per fare la diagnosi rimane in formalina per molto tempo. Appena la
diagnosi è pronta, il pezzo viene smaltito.

Quali sono le tappe del processo che avviene all’interno del laboratorio di anatomia patologica?

Quando il pezzo arriva, viene controllato se ciò che è scritto nel barattolo è anche presente nella richiesta.
Si codifica il campione e gli viene assegnato un numero di accettazione che identificherà quel determinato
caso. Solo a questo punto, il pezzo viene consegnato al patologo.

1. Il patologo effettua il campionamento e sceglie le parti di quell’organo o di quel tessuto al fine di


eseguire una diagnosi;
2. Le parti scelte vengono processate;
3. Vengono incluse in paraffina;
4. Vengono tagliate e colorate;
5. Infine, vengono montate su in vetrino ed osservate al microscopio.

Fase di campionamento

Se arrivano delle biopsie (prelievi di piccole dimensioni) non verranno esclusi campioni, poiché non si ha la
capacità macroscopica di capire su frammento cosa va campionato e cosa no. Nel caso di un organo, invece,
si utilizza il metodo del campionamento, che varierà a seconda dell’organo e dalla patologia da cui è
affetto. Per esempio, se campioniamo un rene per infiammazione, si faranno prelievi random per
comprendere la patologia infiammatoria. Se, invece, viene campionato un rene per neoplasia, verranno
effettuati dei prelievi della neoplasia per comprendere il tipo di neoplasia e verrà effettuato un prelievo di
tessuto sano per comprendere il rapporto tra quest’ultimo e la neoplasia. Inoltre, vengono effettuati
prelievi di parti diverse del rene per rintracciare le zone colpite dalla neoplasia (per esempio, un prelievo
dell’ilo renale per controllare che non sia stata coinvolta la vena renale). Sono tutti dei parametri che
servono per stadiare il tumore. I parametri cambiano in base all’organo da studiare. Quindi, la fase di
campionamento è la fase in cui vengono prelevate le parti rappresentative della neoformazione.

Fase di processazione

Dopo aver scelto le porzioni da campionare, le inseriamo nelle “biocassette”, che hanno dimensione di 3x2
centimetri. Le biocassette, che contengono il numero identificativo del caso, vengono inserite nel
processatore. I tessuti sono molli quando vengono asportati, in formalina si induriscono ma non sono
ancora tanto duri da poter essere tagliati in porzioni sottili. Bisogna cercare di ottenere tessuti duri così da
poterli tagliare facilmente in porzioni molto piccole (3-5 micron). Questo indurimento si ottiene attraverso
l’inclusione in paraffina, che non è una sostanza idrosolubile; i tessuti, invece, sono fatti di acqua. La fase di
processazione serve ad eliminare l’acqua tramite una scala di alcol e, successivamente, l’alcol viene
eliminato grazie a benzene o xilene e il tessuto diventa quasi trasparente (fase di diafanizzazione del
tessuto). La fase di processazione dura circa 15h.

Immersione in paraffina

Una volta che viene privato dell’acqua, il tessuto viene immerso in paraffina liquida, che viene messa a
freddo e fatta solidificare, così che la fase del taglio diventi più semplice.

Fase del taglio

Il blocco viene inserito in uno strumento chiamato microtomo, che taglia delle sezioni molto piccole. Le
sezioni vengono poggiate sui vetrini (che conterranno anch’essi il numero identificativo del caso) e vengono
colorate con l’ematossilina che colora i nuclei di blu e l’eosina che colora il citoplasma di rosa. Infine, sul
vetrino viene posto un copri oggetto che serve a non far staccare la sezione.

Quello appena descritto è l’esame istologico definitivo. Questo esame viene svolto interamente dal tecnico
di laboratorio, tranne per la fase di processamento.

Esame intraoperatorio

Esiste un altro tipo di esame che si chiama “esame intraoperatorio” o “estemporaneo”. Per effettuare
l’esame istologico definitivo ci sono dei tempi tecnici che non possono in alcun modo essere ridotti, mentre
l’esame estemporaneo si fa in maniera rapida (20-30 minuti) durante l’intervento chirurgico con il paziente
addormentato sul letto operatorio. Le figure principali durante questo tipo di intervento sono tre: il
chirurgo che identifica ciò che deve essere analizzato, il tecnico del laboratorio di anatomia patologica che
si occupa di allestire la sezione e l’anatomo-patologo che effettua la diagnosi intraoperatoria.
Durante questo esame, dato che non si ha a disposizione il tempo per utilizzare la paraffina, per far indurire
il pezzo si utilizza il congelamento. Il processo avviene grazie ad un macchinario che prende il nome di
criostato ad una temperatura di -20°C; sul pezzo viene applicato anche un gel che favorisce il
congelamento. All’interno del criostato, c’è un macchinario che permette di tagliare il pezzo direttamente lì
dentro, senza rischiare di farlo rovinare dalle alte temperature esterne. Successivamente, il pezzo verrà
colorato a mano.

La strada del congelamento è moto più rapida, ma viene adottata solo in casi particolari perché la qualità di
quello che vediamo è molto più bassa rispetto a quella di un esame istologico definitivo, i particolari
nucleari e cellulari appaiono un po’ alterati (alterazione della citoarchitettura del tessuto). Quando le
diagnosi si fanno più complesse, con una sezione ottenuta con un esame intraoperatorio sarebbe molto
complicato ottenere una diagnosi corretta; per cui in questi casi, è consigliabile utilizzare la metodica
standard.

In quali casi il chirurgo richiede un esame intraoperatorio? È lecito richiedere un esame intraoperatorio un
giorno prima dell’intervento e solo nel caso in cui la diagnosi dell’anatomo-patologo possa modificare
l’andamento dell’intervento. Serve a stabilire la natura della neoformazione (se neoplastica o
infiammatoria), a valutare il margine di resezione e stabilire se il tessuto resecato è indenne e, più
raramente, può servire per stabilire se il prelievo che è stato mandato è adeguato per ottenere la diagnosi.

In quali casi non si effettua un esame intraoperatorio? Questo esame non deve essere richiesto se non
strettamente necessario, poiché può causare una perdita significativa di tessuto utile per l’esame istologico
definitivo. Non è consigliabile quando la diagnosi del patologo non cambierebbe in ogni caso il tipo di
intervento o quando i frammenti della biopsia sono troppo piccoli (in questo caso fanno eccezione gli
interventi di neurochirurgia, durante i quali devono essere analizzati tutti i frammenti che, secondo il
parere del neurochirurgo, hanno bisogno di essere attenzionati, indipendentemente dalle loro dimensioni).

L’esame intraoperatorio ha dei limiti: il tessuto è difficile da maneggiare e le sezioni sono più spesse di
quanto dovrebbero essere. Inoltre, causa un’alterazione della citoarchitettura del tessuto, rendendolo
difficilmente utilizzabile durante un esame istologico definitivo, che deve essere effettuato in ogni caso.

Un campo di applicazione molto frequente dell’esame intraoperatorio è quello del linfonodo sentinella nel
carcinoma della mammella. Un carcinoma della mammella può metastatizzare a livello dei linfonodi del
cavo ascellare. Definiamo “linfonodo sentinella” il primo linfonodo funzionale, cioè quello che più
probabilmente può avere le metastasi del carcinoma della mammella. Viene individuato grazie ad un
colorante e, successivamente, viene prelevato. Dopo averlo prelevato, viene esaminato attraverso l’esame
intraoperatorio e si stabilisce se quel linfonodo ha metastasi o meno. È importante perché, se viene
individuata la metastasi, è elevata la probabilità che anche gli altri linfonodi del cavo ascellare presentino
delle metastasi e, di conseguenza, la paziente potrebbe essere sottoposta a rimozione dei linfonodi.

Biopsia

La biopsia consiste nel prelievo di tessuto al fine di formulare una diagnosi istologica.

La biopsia può essere incisionale o escissionale. La biopsia incisionale è caratterizzata dal prelievo di una
parte del tessuto a scopo diagnostico. La biopsia escissionale è caratterizzata, invece, dal prelievo
dell’intera lesione con finalità sia diagnostica sia terapeutica (escissioni di nevi). Anche la biopsia
endoscopica può essere una biopsia di tipo incisionale; questo avviene quando si fa la biopsia su una
neoformazione. Quando invece la neoformazione si asporta completamente, si parlerà di escissione
endoscopica.

Prelievo = biopsia incisionale; asportazione = biopsia escissionale.


Quali sono i campi di applicazione di una biopsia incisionale?

N.B: per “pre-trattamento di neoplasia” si intende la terapia adiuvante. Se si ha una neoformazione anche
poco aggredibile dal punto di vista chirurgico, si effettuano delle biopsie incisionali per effettuare la
diagnosi e da quella diagnosi partirà il trattamento terapeutico.

Al contrario, in presenza di neoplasia, non si può effettuare una biopsia incisionale nel rene (perché
pungendo si rischia di disseminare la neoplasia, creando uno stato avanzato di neoplasia), nel testicolo e
nella tiroide (perché facendo un esame agobioptico o citologico si otterranno le stesse informazioni, quindi
si preferisce la metodica meno invasiva).

L’adeguatezza della biopsia incisionale dipende dalla numerosità (quantità dei frammenti), dalle dimensioni
(grandezza dei frammenti da analizzare) e dall’orientamento (per effettuare la diagnosi di alcune patologie
infiammatorie come la celiachia, è necessario che le cellule siano scansionate con un orientamento adatto
del frammento).
Il vantaggio della biopsia incisionale è la dimensione dell’incisione, che, essendo molto piccola, permette al
paziente di tornare a casa dopo aver fatto il prelievo. Lo svantaggio/limite è che il campione potrebbe non
essere rappresentativo della lesione. Un esempio di biopsia incisionale è il procedimento che si effettua in
presenza di una neoformazione della mammella: pungiamo con l’ago la neoformazione sospetta e
successivamente si analizza il frammento. La biopsia incisionale può essere utile non solo per capire se si
tratta di una neoplasia o meno, ma anche a comprendere lo stadio, la prognosi e la terapia dell’eventuale
neoplasia. Come già detto precedentemente, gli organi in cui non può essere effettuata una biopsia
incisionale, ma solo escissionale, sono i testicoli, i reni, la tiroide. La biopsia incisionale si effettua solo per
patologia infiammatoria, trapianti o in tutti i casi in cui si esclude una patologia tumorale maligna.

La biopsia escissionale ha uno scopo sia diagnostico sia terapeutico a livello chirurgico. Con questa
procedura possiamo ottenere una rilevante mole di informazioni: possiamo distinguere un nevo
melanocitario da un melanoma e avere ulteriori informazioni sull’eventuale melanoma.

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