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CUORE E VASI

SOMMARIO

• Introduzione alla patologia cardiaca


• Patologia del pericardio: pericarditi
• Patologie infiammatorie: miocarditi ed
endocarditi
• Cardiopatia ischemica
• Ipertrofia e scompenso
• Tumori cardiaci
• Cardiomiopatie

• Arteriosclerosi
• Aneurismi e dissezione
• Vasculiti
INTRODUZIONE ALLA PATOLOGIA CARDIACA

CARATTERISTICHE FISIOPATOLOGICHE

Macroscopiche
Le caratteristiche macroscopiche comprendono l'insieme delle informazioni che è possibile
estrapolare tramite la semplice osservazione dell'organo una volta asportato, quindi durante
un trapianto o un’autopsia.

Gli aspetti che andremo a valutare sono quindi:


• Il peso normale del cuore si aggira attorno ai 250-300 gr (F) e 300-350 gr (M).
varia un po’ in funzione della statura e corporatura del paziente che abbiamo di
fronte; chiaramente se il cuore pesa 800g o più è affetto da una patologia.

Una volta aperto il cuore (con tutte e 4 le camere) e i vasi sanguigni, si valutano:
• Dimensione, e quindi:
o Spessore della parete del V dx: variabile tra 0,3-0,5 cm.
o Spessore della parete del V sx: variabile tra 1,3-1,5 cm. (ovviamente con
la solita variabilità fra un soggetto e l’altro per i fattori già menzionati).
• La consistenza, valutabile andando a palpare direttamente l'organo:
o Duro-lignea: processi fibrotici
o Flaccida: cuore scompensato
• Aspetto esterno:
o Morfologico
o Colorito
• Aspetto interno, previa sezione anatomica in fette di variabile spessore.

I quadri patologici macroscopici che possiamo rilevare comprendono:


• Ipertrofia: aumento di peso (fino a 600-800g) e spessore delle pareti
ventricolari (fino al doppio o al triplo del normale, in base alla gravità
dell’ipertrofia)
• Dilatazione: aumento di dimensioni delle camere cardiache, che appaiono più
ampie. Una manovra che si fa nel riscontro autoptico è quella di mettere le dita
nei ventricoli; grazie a questa semplice mossa si capisce se il ventricolo è
dilatato o meno. È come se il cuore si sfiancasse, aumenta molto la cavità
cardiaca, ma lo spessore di parete non raggiunge i livelli dell’ipertrofia
cardiaca.
• Cardiomegalia: aumento globale del peso e delle dimensioni del cuore. Si
parlava una volta di “cor bovinum”: è molto grosso; la diagnosi va fatta in
vita!

Il cuore va osservato attentamente:


• già da fuori si possono vedere aree biancastre o giallastre (che con tutta probabilità sono
necrotiche, anche se questo si vede solo all’esame istologico);
• si devono poi cercare eventuali neoformazioni;
• il pericardio deve essere traslucido.

Con la forbice gottonuta si aprono poi i ventricoli, gli atri e i grossi vasi, per studiare attentamente
valvole, parete e tutte le strutture cardiache (muscoli papillari, ecc).

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Con la stessa forbice si entra negli orifizi coronarici per aprire completamente i vasi e verificare che
al loro interno non vi siano placche ateromasiche.

Alla fine si mette tutto a verbale e si cerca di tirare le fila stabilendo quale è stata la causa del
decesso del paziente.

Microscopiche
Non sempre le caratteristiche macroscopiche sono sufficienti per un corretto
inquadramento diagnostico; basti pensare ad esempio ad un paziente deceduto per un IMA:
in questa situazione, non vi sarà stato tempo sufficiente affinché il cuore patologico abbia
sviluppato fenomeni macroscopicamente osservabili; viceversa l'indagine istologica sarà in
grado di svelare la natura della patologia.
Considerando l'istologia del miocardio è opportuno riconoscere vari elementi cellulari (per
questo motivo si parla di architettura tissutale)::
• Tessuto muscolare striato, formato da miocardiociti, cellule singole che si
"anastomizzano" fra loro a formare fibre associate in fasci muscolari.
• Cellule specializzate del tessuto di conduzione: NSA, NAV, Fascio di His e cellule
del Purkinje.
• Cellule endoteliali.
• Cellule connettivali.

Anatomia del circolo coronarico


È importante da conoscere per poter inquadrare correttamente la patologia infartuale.

La precisa anatomia del circolo coronarico varia notevolmente da persona a persona. In


generale si individuano 2 vasi arteriosi principali:
• Arteria coronaria destra
• Arteria coronaria sinistra
Entrambe hanno origine nel primo tratto dell'aorta, appena sopra la valvola aortica.
Più precisamente l'arteria coronaria sinistra si origina dal seno aortico sinistro, mentre l'arteria
coronaria destra dal seno aortico destro.

Arteria coronaria sinistra


L'arteria coronarica sinistra, nasce in genere con il tronco comune di sinistra, il quale
normalmente non visibile, decorre al di dietro del tronco dell'arteria polmonare.
Raggiunto il solco interventricolare anteriore, si divide in:
• arteria interventricolare anteriore o arteria discendente anteriore (la quale irrora i
2/3 anteriori del setto IV e la parete anteriore del VS). Se si occlude la discendente
anteriore sono queste strutture ad andare incontro a ischemia. In caso di infarto dei 2/3
anteriori del setto IV molto spesso si trova una lesione ostruente nella discendente
anteriore. Vi sono tuttavia dei casi (soprattutto fra i giovani morti di IMA) in cui
all’autopsia non si trovano lesioni ostruenti: sono casi di IMA dovuti a uno spasmo
coronarico protratto (la causa dell’IMA non è anatomica, non è un restringimento
strutturale dell’arteria, e quindi all’autopsia non si vede)
• arteria circonflessa, che decorre a livello del solco AV, portandosi prima
lateralmente, dove dà origine ai rami per il margine ottuso, e poi posteriormente dove
irrora la quasi totalità della porzione mancante del ventricolo sinistro (parete laterale e
posteriore).

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La coronarica sinistra va ad irrorare:
• Atrio sinistro
• Ventricolo sinistro (la parete anteriore, laterale e la maggior parte della posteriore,
oltre al margine ottuso)
• Parte del ventricolo destro
• 2/3 anteriori del setto interventricolare;
Se si ha un’ostruzione subito dopo l’orifizio di entrata della coronaria sinistra l’IMA sarà molto
esteso perché tutti queste territori vanno incontro a ischemia; il paziente non può sopravvivere.

Arteria coronaria destra


L'arteria coronaria destra origina dal seno aortico destro, decorre nel solco AV e stacca subito
dopo la sua origine rami per l'atrio destro e un ramo per il NSA; circonda poi il margine acuto e
termina alla crux cordis.
I suoi rami collaterali sono:
• Arteria infundibolare
• Rami atriali
• Rami ventricolari
• Rami atrioventricolari
• Arteria del nodo atrioventricolare
• Arteria interventricolare o
discendente posteriore

La coronarica destra va ad irrorare:


• Atrio destro
• Ventricolo destro
(maggior parte e margine acuto)
• Parte più posteriore del ventricolo
sinistro
• Parte posteriore (1/3 posteriore)
del setto interventricolare
Dominanza coronarica
• 30% soggetti: Coronaria Ds-Sn flusso bilanciato
• 20% soggetti: dominio Sn
• 50% soggetti: dominio Ds

La dominanza coronarica è un fatto anatomico, con implicazioni fisiopatologiche relativamente


poco importanti, dato che l'uomo, è in grado di attivare dei circoli collaterali, in grado di
vicariare l'eventuale ostruzione progressiva e lenta di una delle due arterie coronariche.

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PATOLOGIA DEL PERICARDIO

Cenni di anatomia
Il pericardio è un sacco fibroso che avvolge il cuore ed è costituito da una duplice parete:
• Esterna (pericardio parietale o fibroso): riveste la parete toracica, va osservato da
integro per valutarne colore e translucenza.
• Interna (pericardio viscerale): è strettamente adeso al cuore.

Questi due foglietti delimitano uno spazio virtuale intrapericardico contenete un’esigua
quantità di un liquido sieroso (circa 15-20 cc), il liquido pericardico, che permette lo scorrimento
dei due foglietti durante le fasi sistolica e diastolica del ciclo cardiaco.
L’aspetto normale è chiaro e trasparente, per nulla viscoso, e va misurato e valutato al momento
dell’apertura del foglietto parietale; inoltre la pressione che vige in tale spazio è leggermente
negativa, e questo aspetto è importante al fine di non interferire con le normali fasi del ciclo
cardiaco.

Se il volume di liquido all'interno del pericardio aumenta ci troviamo di fronte ad una situazione
patologica nota come versamento pericardico; in base alla natura dello stesso possiamo definire
tre tipi di versamento:
1. Emorragico
2. Trasudatizio
3. Flogistico.

. A prescindere dalla sua natura, il versamento è responsabile di importanti effetti


deleteri sulla meccanica di contrazione cardiaca, in modo proporzionale alla rapidità
con la quale l'accumulo di liquido, e quindi l'aumento pressorio, vengono a
realizzarsi; nei casi più gravi il paziente va incontro a shock cardiogeno per
tamponamento cardiaco, causandone la morte.
• Se il processo avviene lentamente, l’organismo tende ad attuare meccanismi di
compenso
• Un improvviso versamento all’interno del sacco pericardico trova invece l’organismo
impreparato e questi non riesce a attivare dei meccanismi di compenso: si ha un
tamponamento cardiaco che può anche portare a morte improvvisa, perché il cuore resta
bloccato e non riesce a muoversi. La rottura di cuore o di un vaso ascendente con
versamento pericardico, tamponamento e morte improvvisa è una delle complicanze più
temibili dell’infarto (specie se esteso).

VERSAMENTO EMORRAGICO
I quadri che possono dar luogo a un versamento emorragico pericardico sono due:

1. Emorragie epicardiche
Quando facciamo un riscontro autoptico in anatomia patologica si fa anche un esame
degli organi interni (cosa che non viene fatta in medicina legale). Quando è presente
un’emorragia epicardica, sulla superficie del pericardio si vedono piccole soffusioni
emorragiche che possono essere di varia natura.
Possono essere dovute a:
• Asfissia: un paziente che è morto di asfissia presenta delle petecchie emorragiche.
Anche una massa tumorale può dare asfissia comprimendo la trachea, causando dei
micro- sanguinamenti a livello epicardico
• Diatesi emorragica: patologia che può dare petecchie emorragiche

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• Pazienti che da lungo tempo sono sottoposti a terapie anti coagulanti possono mostrare
delle petecchie emorragiche sul foglietto pericardico.
È importante correlare i dati clinici con quelli anatomo patologici.

2. Emopericardio
Versamento di sangue nella cavità pericardica; tale versamento può essere la conseguenza di:
• Emorragia massiva: 200-300 mL à tamponamento cardiaco. Una quantità di sangue
molto elevata (almeno 200-300ml) è presente nella cavità pericardica e causa il
tamponamento. Il cuore è completamente oscurato da questa presenza di sangue a livello
del sacco pericardico e non può espletare la sua funzione. Durante l’esecuzione
dell’esame autoptico, si tira fuori il coagulo dal sacco pericardico prima di vedere il
cuore.
• Emorragia a stillicidio à adattamento distensivo del pericardio. Questa è una
condizione patologica completamente diversa; il versamento è minimo e continuo,
permette quindi all’organismo di rispondere ed adattarsi alla nuova situazione. Il
pericardio si distende fino ad un certo punto. Alla fine, tuttavia, il cuore non riesce
più a lavorare e si scompensa.

Le cause di emopericardio comprendono:


• Rottura del cuore in corso di un grosso infarto massivo (in genere della parete anteriore
del Vsx in cui l’area di necrosi cede sotto la spinta pressoria del sangue).
• Rottura di un vaso intrapericardico: si intende il primo tratto dei vasi ascendenti (ad es.
il primo tratto dell’aorta ascendente), ancora racchiuso all’interno del pericardio.
• Rottura di aneurisma dell'aorta ascendente (richiede dx e tp tempestive).
• Rottura di un ramo di arterie coronarie, evenienza più rara, che si può verificare per
innumerevoli motivi (patologie autoimmuni, infiammatorie, ischemia, ecc.).
• Traumatismi: incidenti o penetrazioni da armi
• Eventi iatrogeni: cateterismo cardiaco, angioplastica o sanguinamento da suture. Negli
interventi di cardiochirurgia e by pass coronarico, una sutura deiescente può dare
emorragia e versamento ematico nel sacco pericardico.
• Emorragie dal pericardio:
o neoplasie cardiache (angiosarcomi della parete cardiaca ad esempio; si tratta di
un tumore che origina dalle cellule dei vasi sanguigni, cresce e si infiltra verso
l’esterno, aggettando nel sacco pericardico, determinando un versamento ematico
al suo interno. Comunque i tumori del cuore sono rari)
o sanguinamento da tessuto di granulazione (post infarto); la neoangiogenesi è un
fenomeno che dà luogo alla formazione di nuovi vasi più deboli, fragili e
suscettibili di rottura: perciò si ha versamento ematico.

La forma più frequente di tamponamento


è dovuta alla rottura della parete anteriore
del cuore conseguente ad un infarto
esteso.

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VERSAMENTO TRASUDATIZIO
Si definisce come patologico un versamento che supera i 100 ml: in tal caso si parlerà di
idropericardio. Quando si apre il sacco pericardico per l’esame autoptico, si preleva tutto il
liquido presente al suo interno, si pesa e si valuta se è classificabile come idropericardio o meno.

Fisiopatologia
Il versamento di tipo trasudatizio è il risultato di uno squilibrio delle forze di Starling,
contrariamente al versamento di tipo essudativo, che è il risultato di un aumento della
permeabilità dei vasi.
Si realizza quindi essenzialmente in due contesti:
• Aumento della pressione idrostatica capillare: la causa più frequente è
rappresentata da un ostacolo locale alla circolazione venosa mediastinica (grossi
tumori). Tale ostacolo può essere costituito da:
o Timoma
o Grossi linfomi: il mediastino è colpito da linfomi con una certa preferenza
per le giovani donne (sono linfomi di Hodgkin che possono anche dare
grosse lesioni; sono asintomatici fino a quando non divengono molto estesi e
arrivano a dare compressione dei vasi venosi con difficoltà al ritorno venoso)
o Tumori polmonari
• Diminuzione della pressione oncotica: sindrome nefrosica, proteino-dispersione,
malassorbimento (in generale l’anasarca, ovvero l’edema diffuso a tutti gli organi)

Morfologia
L'aumento di liquido determina distensione dei foglietti pericardici, che distendendosi si
assottigliano e appaiono lucidi, trasparenti, lisci e regolari (maggiore la distensione,
maggiore la trasparenza del sacco pericardico).
La superficie interna della sierosa è sottile, lucente, liscia.

Correlazioni anatomo-cliniche
La clinica dipende essenzialmente dalla rapidità con cui si sviluppa il versamento:
• Rapido: tamponamento cardiaco
• Lento (si parla di mesi): ben tollerato, con compenso offerto dalla distensione
del sacco pericardico.

VERSAMENTO FLOGISTICO à PERICARDITE

Fisiopatologia
La pericardite è un processo infiammatorio a carico di entrambi i foglietti pericardici,
correlata con processi infettivi, auto-immuni o tossici. È epidemiologicamente molto
frequente.
In questa condizione il passaggio di liquidi al di fuori dei vasi è il risultato di un aumento
della permeabilità degli stessi, e può per questo accompagnarsi a passaggio di
macromolecole (fibrinogeno) e cellule.

Le pericarditi possono essere classificate in base a due criteri:


• Quadro anatomo-patologico, morfologico: è il criterio più semplice.
• Ezio- patogenetico: si dividono cioè le pericarditi in base alla causa scatenante.

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Classificazione anatomo-patologica
Le pericarditi possono essere distinte in una serie di quadri anatomo-patologici:
I. Pericardite sierosa
Liquido abbondante (100 - 200 ml), inizialmente limpido, a causa dell'assenza di fibrina
e cellule infiammatorie.
Con l’andare del tempo tende a diventare torbido, venendo invaso da cellule
infiammatorie (granulociti, linfociti, istiociti). Talora tuttavia anche con il passare del
tempo non si ha infiltrato infiammatorio e il liquido resta limpido.
Importante per la diagnosi è strisciare il liquido pericardico prelevato su un vetrino in
modo da poter valutare il contenuto cellulare ottenuto dopo centrifugazione.

II. Pericardite fibrinosa (o secca) e sierofibrinosa


Processo caratterizzato dalla presenza di fibrina; in base alla
presenza o meno di liquido si distingue:
• In assenza di liquido (o meglio, in caso di scarsità
di siero), si parla di pericardite fibrosa (o secca)
(abbastanza rara)
• In presenza di liquido (essudato o trasudato) si parla
di pericardite siero-fibrinosa

Il processo infiammatorio è suddivisibile in due fasi:

• Fase precoce: macroscopicamente si osserva un


pericardio opacato, sieroso, che perde la sua normale
lucidità; tale aspetto è legato alla deposizione di un velo
di fibrina sopra il foglietto e alla desquamazione del
mesotelio.

Dal punto di vista istologico avremo infiltrati flogistici


di PMN a livello del sottile strato di connettivo sotto-
sieroso (durante l’acuzie).
Si fa un prelievo di tessuto pericardico, si manda al
laboratorio e si osserva al microscopio: l’esame
anatomo-patologico deve essere completo, e quindi
comprendere sia un esame macroscopico, sia quello
istologico.
Se necessario, in alcuni casi si prosegue con
un’indagine immuno-istochimica, in modo da poter mettere insieme tutte le
informazioni ottenute e giungere in questo modo alla diagnosi definitiva.

• Fase-tardiva: più facile porre diagnosi in questa fase dato l'abbondante deposito di
fibrina a livello della sierosa (il pericardio è completamente rivestito da fibrina), che
assume così un aspetto grigio-giallastro, con anomalie nella meccanica di scorrimento.
Vengono a crearsi delle formazioni a livello dello spazio pericardico che possono
assumere diversi aspetti:
o Rilievi irregolari: aspetto a "pane e burro": quando si separano i foglietti
pericardici, si osservano dei tralci di fibrina tesi fra i due foglietti viscerale e
paretale, con una modalità irregolare di inserzione sui due foglietti.
o Rilievi regolari: aspetto pettinato. Pare che la fibrina sia pettinata, perché i depositi di
fibrina sono paralleli fra loro.
o Depositi di forma papillare: aspetto “cor villosum”: si osserva la formazione di

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pseudo-papille rilevate dovute all'accumulo di fibrina, che somigliano ai villi
intestinali (di qui il nome di “cor villosum”).

Evoluzione
a. Guarigione: dissoluzione dell'essudato con restitutio ad integrum.
b. Aderenze o placche fibrose per organizzazione della fibrina: pericardite costrittiva.

In caso di versamenti pericardici modesti, specie se di tipo trasudatizio, si ha restitutio ad


integrum. Se invece i depositi di fibrina sono consistenti, si ha la formazione di placche con
limitazione della meccanica di contrazione cardiaca

III. Pericardite purulenta


Si tratta di un’infiammazione conseguente a infezione sostenuta da germi piogeni.
L'evoluzione prevede la formazione di un inziale essudato sieroso, che si fa dapprima torbido, quindi
francamente purulento (si parla di pio pericardio quando la presenza di granulociti neutrofili nella
cavità pericardica è massiva e marcata, è una forma estrema di empiema).
Spesso la presenza di granulociti neutrofili si associa al deposito di fibrina, configurando il quadro di
pericardite fibrino-purulenta.

È possibile fare innanzitutto un esame citologico: si preleva con un ago qualche goccia di liquido, si
striscia sul vetrino (si può poi colorare immediatamente) e si guarda al microscopio quali cellule sono
presenti al suo interno: si osserverà, in caso di pio pericardio, un tappeto di PMN neutrofili.
Se poi c’è anche fibrina, si parlerà di pericardite fibrino-purulenta.
L'esame istologico del foglietto pericardico vedrà l'infiltrazione di questo da parte di granulociti
neutrofili; questi possono, nei casi più gravi, estendersi al connettivo sotto-mesoteliale, al miocardio e
talvolta riversarsi in mediastino (in quest’ultimo caso la situazione è particolarmente grave e può
anche esitare in morte). Miocardio e connettivo sotto mesoteliale si vedono al vetrino se il prelievo è
stato eseguito correttamente.
L'evoluzione prevede più spesso lo sviluppo di fibrosi con conseguente pericardite cronica costrittiva
e scompenso cardiaco (praticamente mai restitutio ad integrum).

In generale, è importante ricordare la differenza fra esame citologico e istologico; in caso di tumore della mammella,
si fa all’inizio un agoaspirato (con ago sottile): si guardano le cellule, e non il tessuto, quindi si valuta l’aspetto
citologico (non quello istologico e non l’architettura del tessuto).
Solo dopo questo passaggio si procede eventualmente all’esame istologico, con prelievo di un pezzetto di tessuto e
valutazione dell’architettura del tessuto, dei rapporti fra stroma ed epitelio.
• La citologia dice se le cellule sono tipiche o atipiche
• L’istologia dice se è un tumore in situ o invasivo, se è esteso o no, e così via.
L’agoaspirato è un esame meno invasivo di quello istologico (quest’ultimo, soprattutto se si tratta di organi profondi,
è più invasivo e può richiedere anche un intervento a cielo aperto).

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IV. Pericardite emorragica
Condizione caratterizzata dalla presenza di uno screzio
emorragico nell' ambito di un essudato (sieroso, fibrinoso o
purulento); non va quindi confusa con un emopericardio, in
cui non è presente essudato.

L'aspetto del liquido alla pericardiocentesi sarà quindi


rossastro-roseo. Una pericardite emorragica si può presentare
in caso di:
• Tubercolosi, causa più frequente nella quale si
presentano granulomi tubercolari a livello
pericardico che possono dar luogo ad un gemizio
emorragico.
• Infezioni batteriche, più rare
• Reazione a neoplasie cardiache che affiorano a
livello pericardico: in caso di pericardite emorragica
entrano in diagnosi differenziale, è importante
escluderle.

L’esame istologico permette la diagnosi differenziale:


• TBC: si vedono i classici granulomi tubercolari con
necrosi caseosa centrale e cellule giganti intorni
(tipo Langhans)

V. Pericardite colesterinica:
E’ una condizione rara caratterizzata dal prelievo di un essudato color ocra (oro) legato alla
presenza di cristalli di colesterolo in abbondanza (visibili al microscopio ottico), in associazione ad
istiociti lipofagici (sono istiociti con inclusioni lipidiche e goccioline di grasso all’interno del loro
citoplasma) e linfociti.

VI. Pericardite granulomatosa:


I granulomi possono essere di vario tipo: tubercolare, luetico, reumatico.
Si ha oggi una recrudescenza di alcune malattie infettive, come ad esempio la sifilide e la TBC.
Tali patologie non c’erano più nelle nostre zone, ma a causa dell’immigrazione sono tornate a
presentarsi.

Classificazione eziologica

a. Pericarditi virali
Forma di gran lunga più frequente; i principali agenti eziologici comprendono: coxsackie,
echovirus, adenovirus, virus influenzali.
Questi ultimi sono agenti eziologici di pericardite virale in casi rari, ma molto gravi (riporta il
caso di un bimbo di 6 anni morto di pericardite virale da virus dell’influenza).
Solitamente la pericardite virale è preceduta da sintomi e segni relativi all'impegno sistemico
(astenia, febbricola, mialgie ed artralgie), , anche se talvolta il pericardio può essere la sede primaria
di infezione.
Da un punto di vista anatomo-patologico si tratta in genere di pericarditi sierose con essudato
limpido, sieroso (non ci sono batteri) e presenza di linfociti e monociti (non granulociti!!).

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b. Pericardite reumatica
È una condizione inquadrabile nel contesto di una pan-cardite reumatica. In caso di AR, infatti, il
pericardio è colpito dalle medesime lesioni che si riscontrano anche nell’endocardio e nel
miocardio (difficilmente le lesioni interessano una sola delle componenti cardiache).

Da un punto di vista macroscopico l'essudato è di tipo fibrinoso, talvolta con tendenza alla
torbidità per la presenza di cellule, sia aspecifiche (linfociti o plasmacellule), sia specifiche della
malattia reumatica (cellule di Aschoff che possono organizzarsi nei patognomonici noduli di
Aschoff: granulomi microscopici con necrosi fibrinoide centrale circondata da particolari
macrofagi detti appunti cellule di Aschoff
Talora i noduli di Ashoff si trasformano in noduli fibrinosi determinando così delle aderenze fra i
due foglietti pleurici.
Istologicamente sono presenti i granulomi reumatici che interessano tutte e tre le componenti
cardiache (per questo si parla di pan-cardite).

L'essudato fibroso, anche se modesto, alcune volte può organizzarsi e portare alla formazione di
aderenze e quindi a una difficoltà di scorrimento dei foglietti con ripercussione sulla fisiologia
cardiaca che può tradursi in uno scompenso.

c. Pericarditi batteriche
Si tratta in genere di infezioni sostenute da germi piogeni (quali streptococchi, stafilococchi,
pneumococchi).
La penetrazione dell'infezione in sede pericardica può essere legata a:
• Estensione diretta da infezioni primitive di organi limitrofi che in seguito si estendono al
pericardio: endocarditi, polmoniti, miocarditi, pleuriti, ascessi sotto-diaframmatici.
• Via ematogena; è la più frequente. Da focolai settici a distanza si ha immissione in
circolo di batteri che poi vanno a determinare una infezione del pericardio.
• Inquinamento diretto per traumi o procedure iatrogene. Errori medici in corso di
interventi chirurgici possono determinare un’infezione pericardica.

Da un punto di vista anatomo-patologico l'essudato è inizialmente siero-fibrinoso (con possibili


screzi ematici); poi, come visto, evolve in un essudato purulento.
Istologicamente la caratteristica è quella di una infiammazione purulenta con iperemia e
infiltrazione importante da parte di granulociti neutrofili.

d. Pericardite tubercolare
Da un punto di vista anatomo-patologico si ha inizialmente un essudato fibrinoso (o siero
fibrinoso) marcato da screzi ematici (pericardite emorragica).

Macroscopicamente si osserva una spessa cotenna fibrino- caseosa biancastra venata da variegati
giallastri, che rappresentano la necrosi caseosa (si parla di pericardite caseosa), con perdita della
normale lucentezza del pericardio.
È soprattutto nelle fasi successive si ha il deposito di strutture giallastre dovute alla necrosi
caseosa.
All'istologia potranno essere evidenziarti i classici e patognomonici granulomi tubercolari,
costituiti da un vallo esterno di cellule linfo-monocitarie con associate cellule di Langhans e con
la tipica necrosi caseosa centrale.
L'evoluzione consiste nel riassorbimento dell'essudato con organizzazione sclerotica del
granuloma con retrazione del tessuto fibroso ed evoluzione verso la pericardite costrittiva e
scompenso cardiaco. Si ha dunque una cronicizzazione del processo.
La pericardite costrittiva può anche rivelarsi incompatibile con la vita.

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e. Pericardite consensuale in corso di IMA
E una pericardite che può essere presente durante un infarto del miocardio (a differenza della
pericardite di Dressler che invece compare 15 gg dopo l'evento ischemico, essendo su base
autoimmune: la necrosi determina la liberazione di Ag verso i quali il soggetto si sensibilizza).
Nella forma consensuale si osserva la pericardite proprio in corrispondenza della zona
dell'infarto: questa è dovuta all'effetto irritante che possono avere alcuni prodotti della necrosi
come gli enzimi liberati dalle cellule necrotiche sul pericardio stesso.

Da un punto di vista anatomo patologico si presenta come un pericardite fibrinosa o siero-


fibrinosa circoscritta all'area infartuata, e descrive esattamente il focolaio di necrosi ischemica
(non è detto sia sempre presente).
L'evoluzione procede verso l'organizzazione dell'essudato e si può andare incontro a restitutio ad
integrum mentre nell'area infartuata rimane una cicatrice connettivale (ovviamente solo se il pz
sopravvive!).

f. Pericardite in corso di malattie auto-immuni


Una delle complicanze delle seguenti malattie autoimmuni è la pericardite, che da un punto di
vista anatomo-patologico è inquadrabile come pericardite fibrinosa/siero-fibrinosa:
• Lupus e1itematoso sistemico (LES)
• Artrite reumatoide
• Sclerodermia
• Sindrome di Sjogren.

Esiti di pericardite
In generale, gli esiti delle pericarditi dipendo da diversi fattori, in primo luogo dal grado ed
estensione della patologia stessa:

• Estensione piuttosto limitata: esiti cicatriziali confinati al pericardio: dovuti al


deposito di fibrina in conseguenza di una pericardite fibrinosa o siero-fibrinosa. La
fibrina rappresenta uno stimolo alla formazione del tessuto di granulazione che viene
progressivamente ad essere interessato da fenomeni di neo-angiogenesi; in questo modo
il tessuto di granulazione matura, evolvendo verso un tessuto di tipo connettivo. Si
possono avere esiti aderenziali, i quali si dividono, a seconda dell’estensione, in:
o Incompleti, parziali: sono meno gravi
o Completi: si parla di sinfisi completa; determina un marcato impedimento ai
movimenti del cuore (ostacolo in fase di sistole e di diastole).

• Estensione massiva: esiti aderenziali importanti che possono estendersi a livello


mediastinico.

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o Il processo infiammatorio dal pericardio si estende al mediastino; accade
soprattutto nelle forme gravi tubercolari e in quelle suppurative.
o Dal punto di vista anatomo-patologico, si ha una sinfisi pericardica con presenza
di propaggini fibrose che vanno ad intersecarsi con il connettivo mediastinico.
o Se si realizza questa estensione della fibrosi a livello mediastinico, il cuore fa
molta più fatica a muoversi perché il tessuto mediastinico offre resistenza:
aumenta quindi il lavoro che l’organo deve svolgere, si instaura un’ipertrofia
ventricolare e l’esito ultimo può essere la comparsa di scompenso cardiaco.

• Esiti costrittivi, derivano da pericarditi tubercolari e di tipo suppurativo; possono


compromettere la vita del paziente in quanto la cotenna fibrosa in cui si trasforma
il pericardio, talvolta interessata da processi calcifici, ostacola il movimento
sistolico e diastolico del cuore. Tale cotenna infatti è del tutto inestensibile; è
inoltre opaca (il pericardio perde la propria lucentezza e trasparenza). Si può
arrivare alla completa obliterazione della cavità pericardica, con impedimento al
riempimento diastolico e alla gittata sistolica, fino ad arrivare ad uno scompenso
cardiaco congestizio.

APPENDICE: CONCETTI RIASSUNTIVI


Classificazione delle pericarditi
Anatomo - patologica Eziologica Clinica
Sierosa Virale (sierosa) Acuta (< 6 settimane)
Fibrinosa Reumatica - Effusiva
- A pane e burro (siero-fibrinosa +/- - Fibrinosa
(irregolare) emorragica)
- Pettinata (regolare)
- cor villosum
(papillare)
Emorragica Tubercolare (granulomatosa
+/- sierofibrinosa +/- Subacuta (6 settimane - 6 mesi)
emorragica)
Purulenta Batterica (purulenta +/- - Effusiva - costrittiva
emorragica) - Costrittiva
Granulomatosa In corso di malattie
Cronica (> 6 mesi)
autoimmuni (siero-fibrinosa)
Colesterinica In corso di IMA (siero- - Effusiva
fibrinosa) - Adesiva
- Costrittiva

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PATOLOGIE INFIAMMATORIE DEL CUORE
In questo capitolo rientrano:
• Miocarditi
• Endocarditi

1) MIOCARDITI
Definizione
Si tratta di un processo infiammatorio a carico del tessuto miocardico, caratterizzato dalla
presenza di un infiltrato infiammatorio del miocardio associato a necrosi e/o degenerazione
delle miocellule attigue che non sia proprio della cardiopatia ischemica.
La ddx fra miocardite ed infarto del miocardio è spesso difficile.

La biopsia, affiancandosi ad un quadro clinico suggestivo, permette una diagnosi definitiva


di miocardite: questo è importante se si considera che solo il 16% delle diagnosi cliniche di
miocardite viene confermata all'istologia.

Forme cliniche
• Forme silenti
• Forme a rapida evoluzione clinica
• Più raramente evoluzione clinica verso la cardiomiopatia dilatativa

Classificazione eziologica
• PRIMITIVE: eziologia sconosciuta. Si manifestano con sintomatologia aspecifica
(astenia, febbricola, ecc.) in assenza di quadri patologici che possano giustificare
tale sintomatologia; in sostanza si tratta di una diagnosi di esclusione.

• SECONDARIE:
o Infettiva: dimostrazione diretta o indiretta di agenti infettivi a livello
miocardico (ibridazione in situ, PCR). L'agente infettivo è variabile:
a) Batteriche: il raggiungimento del miocardio avviene per via ematogena,
in corso di sepsi o a partenza da focolai a distanza. Gli agenti più
frequentemente coinvolti in questo sono meningococco, stafilococco,
pneumococco, streptococco.
b) Da rickettsia: nel tifo esantematico
c) Micetini (Aspergillus, Candida): nel paziente immunodepresso.
d) Virus; la localizzazione primaria è rara (se si parla di miocardite
primaria probabilmente è solo perché non si è trovata la
localizzazione primaria), di solito si ha in seguito a diffusione dalle
vie aeree. Il virus prevalente è il coxsackie; altri possono essere polio
virus, echovirus, CMV, adenovirus *.
Nella miocardite virale si riconoscono aspetti morfologici peculiari:
• Infiltrazione interstiziale di linfociti
• Focolai di necrosi delle miocellule. La necrosi può essere causata
da:
o effetto litico del virus;
o aggressione immunitaria contro cellule che ospitano il
virus (necrosi citotossica).
• La necrosi è molto localizzata, focalizzata, colpisce la cellula
singola. La cellula ha perso striatura, si è omogeneizzata, è

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diventata un bastoncello eosinofilo.
e) Protozoi; tipico è il morbo di Chagas, infezione da Trypanosoma
Cruzii (forma tipica del centro America).
f) Elminti
g) Spirochete

o Da agenti fisici: radiazioni ionizzanti. Queste forme si caratterizzano per un


aspetto istologico caratteristico, con infiltrazione prevalentemente
plasmacellulare (elemento molto suggestivo).
Si hanno inoltre necrosi focali, emorragia.
Fra le cause, si ricorda la radioterapia effettuata per linfomi mediastinici,
timomi o altro.

o Da agenti chimici: sostanze chimiche (CO, fosforo, arsenico). In particolare,


nell'intossicazione da CO, si riscontrano infiltrati granulocitari neutrofili, cosa
che può fuorviare facendo sospettare una eziologia batterica.
Anche qui vi saranno necrosi focali ed emorragie.
La pertinenza è più spesso legale che non anatomo-patologica.

o Miocardite reumatica: nel quadro della pancardite reumatica. Si localizza


non solo a livello miocardico, ma anche endocardico ed epicardico.
Ci deve essere una predisposizione genetica, altrimenti è raro che si tratti di una
miocardite reumatica. Solo il 3% dei pazienti con angina streptococcica
(faringite) sviluppa la miocardite reumatica, perciò si sospetta l’esistenza di una
substrato genetico favorevole.
2 – 3 settimane dopo l’infezione faringea da streptococco β emolitico di gruppo
A, il paziente sviluppa i segni della miocardite. Il fenomeno è dovuto ad un
processo di immunità crociata fra Ag streptococcici ed Ag del tessuto connettivo
cardiaco, glicoproteine dell’endocardio, sarcolemma del tessuto miocardico e
miosina cardiaca.

Il tipo di infiltrato dà indicazioni sulla patogenesi:

Tipo di infiltrato Sospetta eziologia


Eziologia batterica, sostanze
Granulociti neutrofili
tossiche (raro)
Infiltrato linfo- Patogenesi immunitaria
monocitario Eziologia virale
Reazione da ipersensibilità
Granulociti eosinofili
Eziologia parassitaria
Malattia reumatica
Miocardite Sarcoidosi (cellule giganti)
granulomatosa Tubercolosi (granuloma
specifico)

Le miocarditi possono avere


• Entità: • Distribuzione:
o lieve, o focale,
o moderata, o confluente,
o grave. o diffusa.

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Quando facciamo l'esame istologico il nostro schema mentale è quello di andare a vedere:
A. quale tipo di infiltrato
B. se presente necrosi o meno
C. entità di questo infiltrato: lieve, moderato o grave.
D. se l'infiltrato è focale, se le cellule confluiscono in un'area più grande o è completamente
diffuso nel tessuto.

Meccanismi patogenetici di danno


• Danno diretto: ad esempio effetto litico del virus.
• Produzione di citochine
• Danno immunomediato: con aggressione immunitaria nei confronti delle cellule che
ospitano il virus.

Vediamo quindi la miocardite virale e quella reumatica, più alcune meno frequenti alla fine.

1) Miocardite virale

Evoluzione
> Fase acuta
Appannaggio delle infezioni virali: il virus penetra all'interno della miocellula, per la quale
ha tropismo, e la conduce a necrosi (danno diretto). Per la patogenesi si ha assenza di
infiltrato infiammatorio.
Affinché possa realizzarsi la necrosi della miocellula sono necessari due fattori:
• L'evento deve essere rapido
• Il paziente deve essere immunodepresso

> Fase subacuta


La cellula non va incontro a necrosi a seguito dell'infezione. Vengono rilasciate particelle
virali in circolo, e questo determina richiamo e attivazione di cellule infiammatorie
(macrofagi e linfociti)

> Cronicizzazione
Nella maggior parte dei casi, con la fase subacuta e l'intervento delle cellule immunitarie si
giunge alla risoluzione del quadro.
In talune situazioni, per la persistenza virale e il procrastinarsi dell'aggressione infiammatoria
l'infezione non si estingue e cronicizza.

Morfologia
Le caratteristiche morfologiche che definiscono l'infezione virale sono:
• Microfocolai di necrosi delle cellule miocardiche; questa può esser dovuta sia
all'effetto citolitico del virus, sia alla reazione immunologica nei confronti delle
cellule infette.
• Infiltrazione linfo-monocitaria

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2) Miocardite reumatica
L'interessamento del miocardio in corso di malattia reumatica è da contestualizzare nel
quadro della pancardite.

Patogenesi
L'eziopatogenesi è di tipo autoimmune: si
verifica, a seguito di un'infezione da
Streptococco β-emolitico di gruppo A, una
reazione autoimmunitaria con formazione di
anticorpi verso componenti della parete
batterica che cross-reagiscono con elementi
strutturali del cuore, delle articolazioni, del
SNC e del rene.
In particolare:
• Miosina/tropomiosina (miocardio)
• Glicoproteine dell’endocardio
• Sarcolemma dei cardiomiociti
• Laminina (lembi valvolari)
• Vimentina (sinovia)
• Cheratina (cute)
• Nuclei sotto talamici e caudati

Gli immuno-complessi, depositandosi in vari organi, contribuiscono alla lesione.


Inoltre, interviene una disregolazione dell'immunità cellulare, geneticamente determinata,
che porta ad un deficit dei linfociti T-suppressor con conseguente iperfunzione di linfociti B,
produttori di auto-anticorpi.

La diversa frequenza e la gravità che caratterizzano la malattia sono essenzialmente dovute


a:
• Gravità dell'infezione streptococcica faringea;
• Variabile patogenicità dei vari ceppi di streptococco;
• Entità della risposta immunitaria;
• Predisposizione dell'ospite, con una maggiore frequenza di nuove infezioni dopo un
primo episodio: possiamo notare infatti che solo il 3% dei soggetti colpiti da
faringite streptococcica sviluppa la malattia reumatica dopo il primo episodio, ma
la frequenza di insorgenza di malattia aumenta con l'aumentare del numero di
episodi di faringite da Streptococco β emolitico di gruppo A.
• Il livello d'igiene, la bassa urbanizzazione e la densità della popolazione in una
determinata area.

Quadri morfologici
> Macroscopico
Non è mai caratteristico. Gli aspetti presenti sono aspecifici: possiamo vedere un miocardio
flaccido, con dilatazione delle cavità ventricolari.

> Microscopico
Gli aspetti istologici sono invece specifici e molto caratteristici. I principali sono:
• Fenomeni regressivi (atrofia e necrosi delle miocellule, degenerazione stromale)
• Infiltrato linfo-monocitario, con assenza di granulociti neutrofili. Questo infiltrato
può assumere aspetto granulomatoso (focale) o diffuso. È con il tempo che
l’infiltrato si organizza in granulomi.

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È possibile stratificare le lesioni istologiche in base alla tempistica:
• Fase acuta: visibile dissociazione del connettivo interstiziale: le fibre sono
"scompattate" a causa di micro edemi (dovuti all'esordio dell'infiammazione)
presenti tra una fibra e l'altra. Cominciano a comparire focolai di necrosi fibrinoide,
dai quali origineranno i granulomi reumatici.
• Fase successiva: compare l'elemento patognomonico della MR, ovvero il
granuloma reumatico di Aschoff.

Granuloma di Aschoff
Le caratteristiche peculiari di questa lesione sono:
• Forma sferica, ovalare
• Disposizione quasi sempre perivasale
• Core centrale di necrosi fibrinoide (non caseosa né colliquativa) attorno al quale si
sviluppa una reazione di cellule immunologiche. Vi si ritroveranno cellule
aspecifiche (monociti, macrofagi, linfociti) e cellule specifiche, in particolare:

o Cellule di Anitschokow (fig.): cellule grosse,


di origine istiocitaria, con grosso nucleo
vescicoloso che mostra una disposizione
caratteristica (nastriforme) del nucleo. La
cromatina:
§ In sezione longitudinale si dispone
con propaggini che ricordano dei
"millepiedi".
§ In sezione trasversale si dispone a
"occhio di gufo", poiché all'interno
del nucleo si vede un pallino,
circondato da un’area otticamente
vuota (detta “alone pericromatinico”).
Altre cellule sono state descritte con questo aspetto, es. nei linfomi si
parla di “nuclei a occhio di civetta”.

o Cellule di Aschoff: stesse caratteristiche nucleari delle cellule di Anitschkow,


ma sono più voluminose, con un ampio citoplasma basofilo. Spesso sono
multinucleate.

Con il passare dei mesi, il granuloma evolve verso la


cicatrizzazione: si ritroveranno quindi piccole aree in cui
il tessuto miocardico è sostituito da tessuto fibroso (si ha
perdita di parenchima).
Questo aspetto anatomo-patologico ha delle ripercussioni
cliniche.

Nell'immagine a fianco possiamo vedere il parenchima muscolare con al


centro il granuloma di Aschoff, circondato da un infiltrato linfo-
monocitario. Al centro si evidenzia un'area più chiara di necrosi
fibrinoide, con aspetto omogeneo e piuttosto compatto.

Evoluzione
Le possibili evoluzioni anatomo-cliniche comprendono:
• Guarigione con restituito ad integrum (pochissime cicatrici).
• Il granuloma evolve verso la cicatrizzazione: si ritroveranno quindi piccole aree in cui il
tessuto miocardico è sostituito da tessuto fibroso (miocardiosclerosi parcellare).

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In questa situazione sono visibili lesioni anche macroscopiche, con piccoli punti a
"capocchia di spillo" che rappresentano le cicatrici fibrotiche. Sul piano clinico
avremo disfunzione miocardica.

Caratteristiche cliniche
La febbre reumatica è caratterizzata da:
• Poliartrite migrante delle grandi articolazioni
• Pancardite
• Noduli sottocutanei
• Eritema marginato della cute
• Corea di Sydenham, disturbo neurologico caratterizzato da movimenti involontari
rapidi e non finalizzati.

La diagnosi si basa sui criteri di Jones


• Maggiori: sono le manifestazioni elencate sopra
• Minori: segni e sintomi non specifici
o Artralgie
o Febbre
o Innalzamento dei livelli plasmatici delle proteine di fase acuta.

La febbre reumatica acuta si manifesta nel 3% dei pazienti con faringite acuta da streptococco β
emolitico di gruppo A, tipicamente da 10 giorni a 6 settimane dopo l’infezione.
Colpisce più spesso i bambini, fra i 5 e i 15 anni di età. Anche gli adulti, però, possono essere
colpiti.
Si trovano nel siero dei pz con febbre reumatica elevati titoli di Ab anti streptolisina O e DNAsi
B.

Quadro clinico
• Cardite reumatica
o Toni parafonici
o Tachicardia e altre aritmie
o Dilatazione cardiaca (che può anche evolvere in scompenso) dovuta alla
miocardite
o Rumori da sfregamento pericardico
• Artrite: è una poliartrite migrante, accompagnata da febbre, nella quale una dopo l’altra
le grandi articolazioni divengono dolenti e gonfie, per poi guarire spontaneamente nel
giro di qualche giorno senza limitazioni funzionali residue.

In caso di ricorrenti infezioni faringee, la vulnerabilità dell’organismo alla riattivazione della


malattia aumenta dopo il primo attacco, mentre la sintomatologia resta sostanzialmente la stessa.

Danno valvolare
Il danno alle valvole è cumulativo: la turbolenza indotta dalle deformità valvolari genera
ulteriore fibrosi.
Le manifestazioni cliniche appaiono anni o decenni dopo l’iniziale episodio di FR e dipendono
da quante e quali valvole cardiache sono coinvolte. Si possono avere:
• Aritmie
• Soffi cardiaci
• Ipertrofia
• Dilatazione e scompenso cardiaco
• Complicanze trombo- emboliche ed endocarditi infettive.

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La prognosi a lungo termine è variabile.
La correzione chirurgica o la sostituzione protesica delle valvole malate ha migliorato
enormemente la prognosi dei pazienti con cardite reumatica.

Altre forme di miocarditi granulomatose

a) Miocardite giganto-cellulare idiopatica


Patologia a eziologia ignota e patogenesi verosimilmente infiammatoria, come
testimoniato dalla risposta alla terapia immunosoppressiva.

> Macroscopica
Elementi aspecifici e condivisi dalle forme precedenti: il cuore è dilatato e flaccido. Le
aree di necrosi hanno aspetto serpiginoso e hanno colorito giallo-grigiastro, ben visibili
sullo sfondo rosso cupo del parenchima miocardico normale.

>Istologia
Mancano le cellule di Anitschkow e Aschoff, elemento patognomonico della forma
reumatica.
Sono presenti aree di necrosi miocitaria, attorno a cui si sviluppa un tessuto di
granulazione reattivo costituito da infiltrato linfo-monocitario, in cui si ritrovano anche
cellule giganti multinucleate.

b) Sarcoidosi
Patologia multi organo sistemica che può coinvolgere il miocardio. La localizzazione
cardiaca può essere primitiva o secondaria.

> Aspetto macroscopico


A questo livello si possono avere due quadri:
• Forma massiva: estese aree biancastre circoscritte di fibrosi; in queste aree si
possono formare aneurismi ventricolari con conseguenti disturbi del ritmo.
• Forma diffusa: fibrosi diffusa a tutto il parenchima. Si ha compromissione
molto importante della funzionalità cardiaca.

> Istologia
La sarcoidosi ha come elemento patognomico il granuloma non caseificante ad
evoluzione sclerotica (granuloma gigantocellulare non necrotizzante o granuloma
sarcoidosico), che non mostra necrosi centrale.
A livello polmonare questa è una caratteristica importante che ci permette di differenziarlo
da un granuloma tubercolare, che ha invece al suo interno un focolaio di necrosi caseosa.

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APPENDICE: CONCETTI RIASSUNTIVI
Miocarditi: dai Criteri di Dallas (1986) alle linee guida dell’European Society of Cardiology
(2013)
I criteri di Dallas nel 1986 sono stati fondamentali nella diagnosi istologica delle miocarditi.
Nell’occasione fu stabilita la definizione, ancora oggi valida, di miocardite come infiammazione del
tessuto miocardico nella quale siano presenti necrosi e infiammazione. Con i criteri di Dallas furono
poi stabilite tre diverse categorie riscontrabili alla biopsia endomiocardica (BEM), in assenza di
reperti evidenti di malattia ischemica.
• Miocardite attiva: presenza di miocitolisi e infiltrato di linfociti
• Miocardite borderline: presenza di linfociti senza miocitolisi
• Miocardite negativa: assenza di linfociti e miocitolisi
Per circa 20 anni questi criteri sono stati applicati soprattutto dalla scuola statunitense, nonostante i
limiti dati dalla variabilità inter-individuale del campionamento e dell’interpretazione. Già nel 1989
uno studio dimostrò che BEM a singolo campione post-mortem su soggetti morti per miocardite
potevano diagnosticare solo il 25% delle miocarditi effettive, mentre se i campioni prelevati erano
più di 5 si raggiungeva al massimo una percentuale del 66%. Questi risultati mettevano in forte
dubbio la sensibilità della BEM, fortemente limitata soprattutto per questi casi di miocardite
idiopatica (50%) manifesta con una cardiomiopatia dilatativa senza causa apparente.
Questa situazione ha portato nel 2006 alla pubblicazione di un famoso articolo di Baumhan su
Circulation intitolato Diagnosis of myocarditis: death of the Dallas criteria. Successivamente, un
comitato di esperti, tenendo anche conto delle conquiste della RM, a riscrivere il protocollo
diagnostico per la miocardite, proponendo la BEM a un corpus molto selezionato di pazienti, alla
fine di percorso indaginoso che includesse una serie completa di esami biochimici e strumentali. Da
qui sono nate le linee guida del 2013 dell’European Society of Cardiology (ESC).

L’ESC ha innanzitutto elaborato una classificazione eziologica delle miocarditi

Infettiva Immuno-mediata
Batteri: stafilococco, streptococco, Mycobacterium, Allergeni: penicillina, colchicina, furosemide,
corynebacterium, meningococco… isoniazide, tiazidici, metildopa…
Spirochete: borrellia, leptospira Alloantigeni: post-trapianto
Virus: adenovirus, coxsackievirus, echovirus, Autoantigeni: tutti i casi a cellule giganti o a
poliovirus, CMV, EBV… linfociti senza infezione (reumatica, LES, AR,
sarcoidosi…)
Protozoi: toxoplasma, trypanosoma Tossica
Parassiti: trichinella, tenia, echinococco Droghe, ormoni, metalli pesanti, agenti fisici,
Rickettsia veleni…

Successivamente, l’ESC ha stilato una serie di criteri per indicare i pazienti con sospetta miocardite

Presentazione clinica Criteri diagnostici


Dolore toracico acuto Marcatori di miocardiocitolisi: troponine
Insorgenza acuta di fatica, dispnea a riposo o ECG/Holter/Stress test: BAV, QRS allargato, ST
durante l’esercizio (fino a 3 mesi) elevato, T invertita, onde Q, bassi voltassi, TSV…
Insorgenza subacuta/cronica di fatica, dispnea a Anormalità all’ecocardio/angiografia/RM* di tipo
riposo o durante l’esercizio (oltre 3 mesi) strutturale e funzionale
Palpitazioni, aritmia, sincope fino al rischio di Caratterizzazione del tessuto alla RM*, con
morte improvvisa presenza di edema
Shock cardiogeno non spiegato

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* RM considerata diagnostica se soddisfa i criteri di Lake Louis
Il paziente ha una sospetta miocardite se:
• E’ positivo un criterio clinico e uno diagnostico, purché l’angiografia non dimostri un
coronaropatia (stenosi > 50%) e non siano presenti cardiopatie note che possano spiegare la
sindrome.
• Sono positivi due criteri diagnostici e il paziente è asintomatico
Soddisfatti i detti criteri si può procedere secondo questo schema: R
Pz stabile M
Miocardite Ospedalizzazion Coronaropati BEM
sospetta ee a esclusa
coronarografia Pz instabile
Per la BEM si raccomanda istologia, immunoistochimica (CD68 per macrofagi; CD3 per linfociti;
PCR per virus). Se il paziente è stabile si può fare prima la RM, che se positività migliora la
sensibilità della RM.

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2) ENDOCARDITI
Processo infiammatorio a carico dell'endocardio; poiché questo riveste sia le pareti che le
valvole è possibile riconoscere endocarditi:
• Valvolari
• Parietali

Vediamo nel dettaglio le principali forme di endocarditi, in particolare:


• Endocardite reumatica
• Endocardite di Libmann-Sacks
• Endocardite infettiva
• Endocardite trombotica non batterica (ETNB)

1) Endocardite reumatica
La febbre reumatica acuta o malattia reumatica è una patologia multi sistemica infiammatoria,
a carattere autoimmune, sequela di un infezione faringea da Streptococco β-emolitico del
gruppo A, caratterizzata da interessamento flogistico del cuore, delle articolazioni, della cute e
del sistema nervoso. I meccanismi immunologici alla base della patologia sono già stati presi in
considerazione nell'ambito della miocardite reumatica (vedi su).

La cardite è estesa ai tre tessuti del cuore (endocardio, miocardio, pericardio); in particolare
nelle fasi più precoci della malattia, la cardite reumatica si manifesta prevalentemente come
endocardite: il danno valvolare che ne consegue rappresenta il segno principale della
patologia!!

Si trovano gli stessi aspetti, le stesse lesioni elementari presenti e già viste a livello miocardico.

Localizzazione
L'endocardite in corso di febbre reumatica si manifesta con un interessamento valvolare,
mentre è più difficile il coinvolgimento dell’endocardio parietale; le valvole più colpite, in
ordine decrescente sono:
• Mitralica isolata
• Mitralica + aortica: queste prime due forme assieme rappresentano il 90% delle
endocarditi reumatiche
• Aortica isolata
• Mitro-aortica-tricuspidale
• Mitro-tricuspidale
• Tetra valvolare (la forma più rara)

Morfologia
Aspetto peculiare. Seguendo l'andamento cronologico, i reperti sono:
• Fase iniziale: segni aspecifici e non attribuibili alla patologia reumatica. La valvola
mostra tumefazione edematosa dei lembi ed appare inspessita
• 2-3 settimane: compaiono le lesioni patognomoniche dell'endocardite reumatiche,
ovvero le verruche reumatiche. Si hanno inoltre:
o Necrosi fibrinoide
o Diffuso infiltrato infiammatorio: comincia a costruirsi il granuloma (si sentirebbe
alla palpazione, la valvola è molto sottile)
§ Linfociti
§ Rari fibroblasti

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§ Cellule simil- Anitschkow
o Focali erosioni sui margini di chiusura

Verruche reumatiche
Aspetto macroscopico
Le verruche reumatiche sono piccole (1-3 mm) e numerose, al contrario delle verruche da
endocardite batterica, che sono poche, ma grosse. Nell'endocardite di Libmann-Sacks
(endocardite sub acuta o verrucosa atipica) l'aspetto è intermedio e possono creare dubbi di ddx
(vedi dopo).
Le lesioni si dispongono a corona di rosario, lungo il margine di chiusura dei lembi della
valvola interessata; più raramente lungo le corde tendinee.
Sulla superficie convessa si stratificano fibrina e piastrine.

Istologia
Istologicamente sarà possibile però vedere aspetti tipici:
• Necrosi fibrinoide centrale all'interno delle cuspidi; le verruche si formano al di sopra
di questi focolai di necrosi.
• Attorno ad esse sono presenti varie cellule (linfociti, fibroblasti, macrofagi, cellule
tipiche simil-Anitschkow. Queste ultime sono poche).
• Focali erosioni sui margini di chiusura
• Protrusioni del connettivo

Relazioni morfologia-clinica
• No embolia -> queste lesioni sono ben ancorate lungo il margine e si distaccano con
difficoltà, quindi difficilmente danno luogo ad embolia (anche qualora ciò accadesse le
dimensioni solo tali da non determinare fenomeni embolici clinicamente rilevanti).
• Stenosi valvolare -> dopo circa 1 anno le verruche sono sostituite da tessuto
connettivo, dapprima collagenoso, quindi fibroso: in questo modo il margine si retrae
ed irrigidisce, e i lembi valvolari tendono a saldarsi a livello delle commessure. L'esito
clinico sarà la stenosi (detta "a bocca di pesce"). Si può però anche avere insufficienza.

L’esito finale dell’endocardite reumatica è l’evoluzione verso l’endocardite fibroplastica (fibrosi


retraente).

L'immagine a sinistra ritrae una fase florida; non sono ancora visibili gli esisti cicatriziali. A destra vediamo una semilunare aortica, con piccole vegetazioni
che aggettano nel vaso. La valvola atrioventricolare è diventata biancastra; i lembi sono collabiti

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2) Endocardite verrucosa atipica (di Libmann-Sacks)
Forma di endocardite che colpisce i pazienti con LES, nei quali rappresenta la principale causa di
morte.

Morfologia
Le lesioni verrucoidi hanno dimensioni intermedie
fra quelle dell'endocardite reumatica e quella
batterica (1-4 mm), sono sterili, singole o multiple,
di aspetto roseo.
Si localizzano sulla linea di chiusura delle valvole,
sul versante parietale e sulle corde tendinee.

Le sedi più colpite sono:


• Tricuspide
• Tricuspide + mitrale
• Tricuspide + polmonare.

Istologia
Gli aspetti istopatologici delle verruche sono:
• Edema, visibile come materiale eosinofilo
• Infiltrato linfo-monocitario (linfociti, plasmacellule e istiociti)
• Corpi ematossilinofili: lesioni morfologiche caratteristiche, ovvero accumulo di detriti
del nucleo, danneggiato dagli anticorpi anti-nucleo
• Micro aree di necrosi
• Ulcerazioni endocardiche con vegetazioni verrucoidi
• No cellule di Aschoff o Anitschkow

Le strutture verrucoidi si trasformano in lesioni fibrotiche con conseguenze anatomo-cliniche


analoghe a quelle dell'endocardite reumatica (senza la clinica, non sapremmo distinguerle).
Si determina più spesso insufficienza valvolare.

3) Endocardite infettiva
Quadro patologico la cui evoluzione, sia clinica sia anatomo-patologica, è drasticamente
cambiata con le migliorie delle terapie antibiotiche.

Negli anni ’80 e ’90, a causa all’emergenza di HIV, si era vista una recrudescenza per i quadri di
immunodeficienza severa.

Epidemiologia
• Età media di insorgenza: circa 60 anni.
• Rapporto M:F=l:5
• Mortalità: in calo costante dagli anni ‘70
• Le sedi più interessate sono le stesse dell'endocardite reumatica; discorso diverso
per i soggetti tossicodipendenti che piantandosi l'ero in vena indirizzano il
patogeno alle sezioni cardiache di destra.

Fattori di rischio
1. Cardiaci
I fattori di rischio locali alterano il flusso ematico a livello intra-cardiaco. Questo
rappresenta un fattore predisponente per la deposizione di germi e piastrine.

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Sono coinvolti anche la formazione di vortici, traumi endocardici ed interventi chirurgici/
inserimento di cateteri.

I fattori di rischio sono stratificati:


• Elevato
o Protesi valvolari (anche valvole biologiche)
o Pz che hanno storia pregressa di endocardite batterica o Insufficienza
valvolare
o Cardiopatie congenite
• Intermedio
o Valvulopatie acquisite su valvole native come la malattia reumatica o il
prolasso mitrale
o Cardiomiopatie ipertrofiche
o Cardiomiopatie congenite non cianogene
• Basso
o Difetti setto interatriale
o Stenosi polmonare isolata
o Difetti setto corretti chirurgicamente
o Coronaropatie

2. Extra cardiaci
• Età avanzata
• Droga assunta per via endovenosa; di solito sono più interessate le sezioni dx e i
germi in causa sono lo St.Aureus e i miceti.
• Emodialisi: dove infatti è necessario costruire uno shunt arterovenoso a livello del
quale può verificarsi un'infezione che più frequentemente è dovuta a S. Aureus.
• Immunosoppressione

Eziologia
Gli agenti eziologici sono vari
• Streptococchi, per lo più presenti come flora a livello orale, come gli Str. viridans
responsabili del 18% dei casi. Sono associati a endocarditi subacuta.
• Stafilococchi, Aureus (che è il più frequente essendo responsabile del 31% dei casi).
L'aumento della sua diffusione inoltre favorisce l'aumento di endocarditi nosocomiali,
infatti l'infezione si concentra negli anziani ed è favorita da degenerazioni delle
valvole inevitabili con l'invecchiamento. Anche i CNS sono spesso agenti di
endocardite (11%), sono associati per lo più a endocarditi acute
• Gram- : gruppo HACEK (haemophilus, actinobacillus, cardiobacterium, eikinella,
kingella)
• Miceti: candida e aspergillus

Talvolta nonostante la ripetizione di emocolture non si riesce ad isolare alcun germe. Infatti
alcuni batteri a vita intracellulare possono essere associati ad emocolture costantemente
negative, come ad es. coxiella, bartonella, clamidia.

Patogenesi
Inizialmente il germe deve raggiungere l'endocardio. I germi possono raggiungere l'endocardio
in due modi:
• Impianto diretto: ad oggi molto raro. Si ha per inoculo del batterio a livello della valvola,
il che può accadere per manovre diagnostiche o terapeutiche (infezioni iatrogene)

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• Via ematogena: questo si realizza in diversi contesti:
o Iniezioni EV
o Estrazioni dentarie senza aver fatto terapia preventive idonea
o Interventi chirurgici addominali o urologici
o Disseminazione ematogena da focolai respiratori, cutanei ecc.
o Broncoscopie, gastroscopie, colonscopie, ecc.

Una volta in circolo deve aderire all'endocardio


L'adesione del germe è mediata dall'interazione di varie molecole (ad es. glucano per gli
streptococchi) con recettori di superficie esposti a livello dell'endocardio.
Qualunque che sia il componente l'adesività è imprescindibile al fine della moltiplicazione del
germe.
Nei pazienti con pregressa endocardite si vedono sull'endocardio micro vegetazioni sterili
costituite da piastrine e fibrina sulle quali il batterio può aderire proliferare.

Una volta aderito può proliferare


Ciò è consentito grazie a vari meccanismi protettivi. Ad es. gli streptococchi hanno una
componete parietale che li protegge dall'azione dei macrofagi.
Quindi il batterio prolifera e nell'arco di ore o giorni produce sostanze che favoriscono la
adesione di altri germi a formare un biofilm; la superficie endoteliale lesa diventa sede di
aggregazione delle piastrine e successivamente viene deposto un polimero di fibrina (la cascata
emostatica è stimolata, oltre che dalle lesioni endoteliali anche dalla crescita batterica), che
stabilizza la vegetazione all'interno della quale i batteri continuano a proliferare.

Anatomia patologica
La lesione dell'endocardite batterica è definita lesione ulcero-poliposa, o ulcero-papillosa:
grande, vegetante, si può staccare.
Gli aspetti morfologici che la caratterizzano sono:
• Vegetazioni trombotiche: le vegetazioni sono grossolane e poliposiche: al contrario
delle lesioni endocardiche della FR, quelle dell'endocardite infettiva sono poche, ma
grosse.
Hanno un aspetto "cerebroide". Sono costituite, istologicamente, da fibrina, piastrine e
granulociti.
La consistenza è:
o All'inizio friabile: sotto la spinta ematica possono distaccarsi, dando luogo ad
emboli.
o Nelle fasi protratte diventano dure e ancorate, fibrotiche, come conseguenza
dell'organizzazione. In questa fase è difficile che si stacchino dando emboli.
La localizzazione è:
o Prevalentemente valvolare (faccia assiale)
o Anche parietale in corso di batteriemia importante).
• Ulcerazioni che interessano sia la superficie di endocardio adiacente la base di
impianto sulla valvola colpita sia la verruca stessa. Possono penetrare in profondità
fino a determinare perforazioni della cuspide valvolare.
• Infiltrazione flogistica: diversa natura a secondo della fase:
a. Acuta: granulociti neutrofili e necrosi del tessuto vascolare
b. Tardiva:
• tessuto di granulazione, in cui si identificano fibroblasti che producono
fibre collagene che permettono l'organizzazione della lesione stessa,
preludio al suo passaggio verso la "durezza".
• vasi neoformati

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• Infiltrato macrofagico e linfo- plasmocitario.
• Colonie di microorganismi: importanti per la DD con l'endocardite trombotica non
batterica. In fase florida, con colorazioni particolari si possono mettere in evidenza
colonie batteriche.

Complicanze
• Scompenso cardiaco: alla base di questa possibile complicanza risiedono le alterazioni
valvolari (insufficienza valvolare).
• Embolie settiche, con disseminazione dell'infezione.
• Ascessi del miocardio
• Aneurismi cardiaci (la parete è più debole): soprattutto quando la localizzazione è
parietale, con ulcerazione di parete
• Noduli di Osler: papule cianotiche molto dolenti sulle estremità delle dita delle mani e
dei piedi. Si tratta di emboli settici che hanno occluso un circolo terminale.
• Lesioni renali: dovute agli emboli settici, i quali possono indurre infarto renale o
ascessi

Esiti
Se la malattia viene identificata precocemente e trattata con una terapia efficace la
sopravvivenza è alta, e la guarigione avviene con restitutio e minimi residui.
Se la terapia non è impostata correttamente si assisterà all'evoluzione verso la trasformazione
fibrotica delle lesioni con saldatura delle stesse e alterazioni funzionali permanenti (steno-
insufficienza valvolare). A distanza di tempo si potranno vedere masse calcifiche trombotiche
moriformi nei due versanti della valvola.

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4) Endocardite trombotica non batterica
Si tratta anche in questo caso di un'endocardite non infettiva (non è stata fatta a lezione però è presente sul
Robbins e il Prof. la nomina sulle slide nella ddx con le endocarditi infettive; per questo la accenno velocemente)

L 'ETNB è caratterizzata dal deposito di piccoli trombi sterili sui lembi delle valvole cardiache; in
particolare queste lesioni, delle dimensioni variabili tra 1-5 mm si localizzano a livello del
margine di chiusura di lembi o cuspidi.

Istologicamente, sono composte da


materiale trombotico lassamente (!!)
adeso alla valvola. L'effetto locale delle
lesioni è in genere di scarsa importanza
dato che non inducono reazione
infiammatoria con insufficienza valvolare;
tuttavia queste vegetazioni possono essere
la sorgente di emboli sistemici capaci di
indurre infarti cerebrali, cardiaci o in
altre sedi.
L'ETNB si riscontra in pazienti debilitati, specie con:
• Cancro (adenocarcinomi mucinosi): effetto pro coagulante della mucina?
• Sepsi (ma le vegetazioni non sono infette!!)
• Altri stati di ipercoagulabilità (spesso insorge in concomitanza con TVP o EP).
• Traumi dell' endocardio (cateteri)

Riepilogo delle diverse lesioni in corso di endocardite valvolare

FR Infettiva Libmann- ETNB


Dimensione Piccole Grosse Sacks
Medie Piccole/medie
Quantità Tante Poche/singole Medie
Sede Rima di chiusura Cuspidi; possono Variabile; di Rima di
dei lembi estendersi alle solito su chiusura dei
corde entrambe le lembi
superfici dei
lembi e sulle
corde tendinee
Effetti Si (stenosi) Si (insufficienza) Si (stenosi) No (sono
emodinamici piccole e non si
associano a
infiammazione)
Embolia No Si (friabili, si No Si (scarsamente
disgregano) adese)

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APPENDICE: CONCETTI RIASSUNTIVI

Classificazione delle endocarditi


Le endocarditi sono classificabili in infettive; reumatiche (nel contesto di una cardite reumatica);
non infettive (endocardite di Libmann-Sacks ed endocordate trombotica non batterica).

Vediamo i criteri di Duke per le endocarditi infettive.

Criteri maggiori Diagnosi di endocardite infettiva certa


Emocolture positive per microrganismi tipici
compatibili da 2 emocolture separate; positive - 2 criteri maggiori
per microrganismi compatibili presi da 2 - 1 criterio maggiore e 3 minori
emocolture a distanza di 12 ore o 3 e 4 - 5 criteri minori
emocolture di cui la prima e l’ultima distanti
più di un’ora; 1 emocoltura positiva per Diagnosi di endocardite infettiva possibile
Coxiella Brunetii o titolo IgG antifase > 1/800
Ecocardiogramma tipico: massa oscillante, - 1 criterio maggiore e < 3 minori
ascesso perianulare, nuova deiscenza su - 3 criteri minori
valvola protesica
Insufficienza cardiaca di nuova insorgenza Diagnosi di endocardite infettiva respinta
Criteri minori
Cardiopatia preesistente o uso di droghe - Quadro risolto con antibiotici per < 4 giorni
Febbre > 38°C - Diagnosi alternativa compatibile
Fenomeni vascolari: es. lesioni di Janeway - No evidenza di IE alla chirurgia o autopsia
Fenomeni immunologici: es. macchie di Roth e dopo antibiotici per < 4 giorni
noduli di Osler, FR(+) - Non compatibilità con criteri diagnostici
Microbiologia positiva che non soddisfa
criterio maggiore o sierologia (+) per infezione
attiva.
Ecografia suggestiva ma non abbastanza per
criterio maggiore

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CARDIOPATIA ISCHEMICA
Definizione
La cardiopatia ischemica è una sindrome anatomo-clinica dovuta a uno squilibrio tra l’apporto
di sangue ossigenato al miocardio e le sue necessità di ossigenazione.

Eziologia
La principale causa è determinata da un restringimento delle coronarie:
• Statico: riconosce un substrato anatomico ben identificabile:
o Placca ateromasica: condizione più frequente associata alle manifestazioni
ischemiche croniche dell'angina pectoris.
o Evento trombotico che si sovrappone ad una placca complicata, spesso come
prima manifestazione della patologia aterosclerotica, in assenza di un quadro
anamnestico indicativo di angina.
• Dinamico: conseguenza di patologia funzionale:
o Vasospasmo coronarico

Quadri anatomo-clinici
L' ischemia miocardica si manifesta solitamente con una o più delle seguenti sindromi cliniche:
• Angina Pectoris: dal punto di vista anatomo patologico non si vede nulla (non si muore
di angina, ma di infarto, che può effettivamente insorgere in pz affetti da angina)
• IMA
• Cardiopatia ischemica cronica
• Morte improvvisa coronarica

Storia ed epidemiologia
Negli ultimi decenni si è notato un certo decremento dei casi di cardiopatia ischemica; cruciale in
questo senso è stata l’introduzione delle statine. Altra cosa importante ai fini della prevenzione
dell’infarto è il cambiamento dello stile di vita.

L’IMA è molto raro fra i giovani (anche se sono noti rarissimi casi di IMA a 20-30 anni); il picco di
prevalenza è dai 35 ai 65 anni (90% dei casi).

I maschi sono maggiormente colpiti rispetto alle femmine fino ai 70-75 anni (azione protettiva degli
estrogeni), poi il rapporto tende ad essere quasi lo stesso per entrambi i sessi

Aspetti fisiopatologici comuni


Tre sono i fattori che concorrono al determinismo dello squilibrio apporto-richiesta:
• Riduzione del flusso nelle arterie coronariche
• Insufficiente disponibilità di ossigeno nel sangue
• Aumento delle richieste metaboliche da parte del cuore

1) Riduzione del flusso nelle arterie coronariche


Evento più comune, è legato a:
• Riduzione del lume vasale
• Riduzione della pressione di perfusione coronarica.

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a. Riduzione del lume vasale
Questo evento può realizzarsi a causa di fattori organici (placca) o funzionali (vasospasmo). La
riduzione del lume può realizzarsi lentamente o rapidamente; questo è determinante da un
punto di vista fisiopatologico.
• Lentamente: consentono lo sviluppo di circoli collaterali che vicariano la funzione del
ramo occluso; si formano anastomosi importanti per la vita del paziente stesso: queste
possono dilatarsi in modo da portare un flusso ematico sempre maggiore e capace di
soddisfare le richieste dell’organismo.
Alla base di questo pattern fisiopatologico risiede l'aterosclerosi. L'equivalente clinico
di tale condizione è l'angina stabile.
Le zone a valle dell’anastomosi sono ovviamente già in condizioni precarie e, in caso
di aumento della richiesta di ossigeno da parte del tessuto, esse sono le prime ad
andare incontro a sofferenza.

• Rapidamente: il tessuto a valle va incontro a sofferenza ischemica acuta. Il quadro


clinico è quello delle sindromi coronariche acute (angina instabile e IMA). Nel paziente
che ha un infarto sono arrivate altre concause che determinano una marcata riduzione del
flusso a valle (per esempio un trombo in un vaso già parzialmente occluso da una placca
ateromasica).

Placche aterosclerotiche
La placca ateromasica è la causa più frequente di riduzione del lume vasale e, più in generale,
di cardiopatia ischemica.
Le sedi in cui più frequentemente si sviluppa l'aterosclerosi sono, in ordine decrescente:
• Tratto iniziale del ramo discendente anteriore della Coronaria Sinistra
• Tratto iniziale del ramo circonflesso della coronaria sinistra
• Tronco principale della Coronaria Destra.

La cardiopatia ischemica può essere dovuta a cause organiche (formazione della placca) oppure
funzionali; le prime sono le più frequentemente coinvolte nella riduzione del lume vasale.
La sede della placca è importante per localizzare l'area ischemica. Le placche possono essere di
due tipi:
• Stabili: lesioni che caratteristicamente hanno una disposizione concentrica, e
interessano tutta la circonferenza del vaso (occlusione concentrica). Prediligono i punti
di biforcazione o i punti di flessione dei vasi, a causa della diversa pressione del
sangue e della formazione di vortici particolari in questi stessi punti. Le caratteristiche
morfologiche della placca ne riflettono la stabilità.
Essa è rivestita da un solido cappuccio fibroso, in cui sono rinvenibili depositi di
calcio. Tale cappuccio aggetta nel lume del vaso e previene il complicarsi della placca
stessa.
Al di sotto del cappuccio si ritrovano una scarsa quantità di pappa ateromasica e rare
cellule infiammatorie (scarso infiltrato linfo-monocitario).

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Questa placca tende ad accrescersi con una certa lentezza e quindi permette
all’organismo di adattarsi alla nuova situazione, costruendo circoli collaterali
essenziali per la sopravvivenza del paziente.

L'arteria, per compensare la riduzione del lume, va incontro ad una dilatazione, con
aumento del lume: in questa fase di compenso non si hanno manifestazioni cliniche.
Questo compenso è però possibile fino ad un certo punto, oltre al quale la stenosi
diventa critica: tale punto corrisponde al 70% di occupazione del lume del vaso
stesso: oltre questo livello si ha la manifestazione clinica dell'angina stabile o da
sforzo.
In caso si abbia una maggiore richiesta di ossigeno da parte del parenchima cardiaco,
la presenza di una placca stenosante che occupa il 70% almeno del lume vasale
determina l’impossibilità di soddisfare la richiesta metabolica ed energetica del
miocardio, con conseguente ischemia del tessuto a valle dell’ostruzione.

Se l'aterosclerosi critica coinvolge diffusamente tutto il letto coronarico, si configura


una situazione di ischemia cronica che clinicamente si traduce in un processo che alla
fine conduce alla comparsa di scompenso cardiaco. In questa condizione si parla di
cardiopatia ischemica cronica.

• Instabili: a differenza delle placche stabili, le placche fibro ateromasiche instabili


sono eccentriche: non coinvolgono tutta la circonferenza del vaso, ma solo una sua
porzione. Pertanto la riduzione del lume vasale è minore (50-70%), tuttavia esse danno
delle complicanze acute.
Le caratteristiche morfologiche di questo tipo di placca ne riflettono (e spiegano)
l'instabilità. Il cappuccio fibroso, tipicamente spesso nelle placche stabili, è fragile e
sottile.
Al di sotto di esso, si ritrova una ampia quantità di pappa ateromasica, con abbondante
infiltrato infiammatorio linfo-monocitario.

Queste placche tendono a fessurarsi, a causa di un vasospasmo improvviso o di una


crisi ipertensiva. La fissurazione è la complicanza più frequente delle placche
instabili. La reazione alla lacerazione del cappuccio è una repentina vasocostrizione.
Cominciano quindi ad accumularsi piastrine, e il sangue può penetrare all'interno della
placca (sotto la spinta della pressione sistemica stessa), con un brusco rigonfiamento
della stessa. Si assiste quindi ad una improvvisa riduzione del lume del vaso stesso e

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dunque del flusso, che clinicamente si
manifesta con angina instabile (dolore
precordiale a riposo; è una angina de
novo). Se il quadro si ferma a questo
punto, la situazione è reversibile.

Altra possibile complicanza è la


deposizione di un coagulo sopra
l’ateroma presente al di sotto del
cappuccio fibroso.

Se la placca ateromasica viene esposta al lume, si attiva la cascata coagulativa, con formazione
di un tappo di fibrina che occlude completamente il lume. L'esito di questa serie di eventi è
l'IMA trans murale.

Inoltre la placca ateromasica fuoriuscita può dar luogo a emboli che imboccano un ramo
coronarico: questa embolizzazione provoca instabilità elettrica, la quale a sua volta può esitare in
morte improvvisa. Il paziente in tal caso muore per aritmia in corso di angina (non è ancora
arrivato in una situazione infartuale vera e propria).

Ricapitolando:

Placca stabile Placca instabile


Disposizione Concentrica Eccentrica
Cappuccio Solido Fragile
Placca ateromasica e Poca Tanta
infiltrato
Evoluzione Crescita lenta Fessurazione con:
- infarcimento della placca
- sovrapposizione trombotica
- embolizzazione della pappa

Corrispettivo clinico - Angina stabile - Angina instabile


- Cardiopatia ischemica cronica - IMA transmurale
- Morte improvvisa

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Altre forme di riduzione del lume vasale
• Aortite luetica
• Poliarterite nodosa ed altre arteriti
• Anomalie delle coronarie (all’imbocco delle coronarie, oppure lungo il loro decorso):
queste forme, se scoperte in tempo, possono essere trattate chirurgicamente.

b. Riduzione della pressione di perfusione


Si può avere indipendente dalla presenza o meno di ostruzione coronarica; ovviamente se si
associa ad essa il quadro è più grave. Questa situazione si realizza in due condizioni:
• Diminuzione della pressione arteriosa sistemica
• Diminuzione della pressione locale per
a. Insufficienza aortica: il sangue rigurgita in ventricolo e ne va meno negli osti
b. Stenosi aortica: meno sangue è spinto in aorta.

Le prime porzioni di miocardio ad andare incontro a sofferenza ischemica sono le porzioni


subendocardiche, poiché più lontane dalle coronarie (le regioni subendocardiche sono quelle che
ricevono il sangue dalle ultime diramazioni dei vasi coronarici). Il risultato sarà quindi un infarto
subendocardico.

2) Aumento delle richieste metaboliche del miocardio


Se si ha un brusco ed improvviso aumento delle richieste metaboliche del miocardio, il cuore,
pur non affetto da patologia di tipo aterosclerotico, può andare incontro a sofferenza ischemica;
le situazioni che hanno un effetto sfavorevole sulla vascolarizzazione cardiaca sono le seguenti:
• Ipertrofia: rapporto sfavorevole tra l'aumentata massa e il calibro coronarico rimasto
invariato. Un cuore che pesa 800g va nutrito abbondantemente per tutto il suo
spessore, ma se vi è squilibrio fra la domanda e l’offerta di ossigeno, appena la
richiesta metabolica aumenta si rompe il delicato equilibrio instauratosi e quindi
insorge l’ischemia.
• Tachicardia: durante la tachicardia si riduce il tempo diastolico, fase del ciclo cardiaco
in cui il sangue si trova a fluire nelle coronarie ed in particolare nel tessuto
subendocardico.
o Cause di tachicardia come la tireotossicosi e l’ipertiroidismo accorciano la diastole e
quindi il tempo a disposizione per l’irrorazione sanguigna diminuisce, con danni al
tessuto miocardico.

3) Insufficiente disponibilità di ossigeno nel sangue


Si realizza in alcune condizioni:
• Inadeguata ematosi
o Insufficienza respiratoria
o Soggiorno in alta quota

• Scarsità di ossi-Hb
o Anemia
o Intossicazione da CO

Vediamo quindi le 4 sindromi anatomo-cliniche che rientrano nel quadro di cardiopatia


ischemica.

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1) INFARTO DEL MIOCARDIO
Definizione
L’infarto è la necrosi ischemica di un'area di miocardio. Non si può avere, dopo una necrosi, una
restitutio ad integrum, ma solo una riparazione tissutale con formazione di tessuto di
granulazione prima e di una cicatrice poi.

Si riconoscono due tipologie di infarto del miocardio:


• Forma transmurale: la più importante dal punto di vista clinico è questa, in quanto più
grave e capace di portare a morte i pazienti, specie quelli non trattati nell’arco di pochi
minuti in un entro qualificato

• Forma sub-endocardica: è compatibile con la vita, ma nel tempo dà luogo a


complicanze in quanto multipli infarti sub endocardici danno luogo alla formazione di
multiple cicatrici fibrose in corrispondenza delle zone necrotiche. Per molto tempo
tuttavia questa situazione è compatibile con la vita.

Gli aspetti morfologici e l'evoluzione sono gli stessi, a cambiare sono l'estensione dell'area infartuale
e le complicanze cliniche, più eclatanti, nell'infarto trans-murale.

INFARTO TRANS-MURALE
La necrosi interessa a tutto spessore la parete cardiaca, dalla zona subepicardica a quella
subendocardica, con una corrispondenza esatta tra l'arteria che viene occlusa e l'area che
normalmente viene irrorata da questa arteria e che quindi va incontro a necrosi. In altre parole,
questo significa che se l’occlusione è in un determinato punto dell’arteria, la necrosi si avrà
nell’area irrorata dal tratto di vaso situato a valle di questo punto stenotico.

La causa è sempre un'occlusione, organica o funzionale, dell'arteria coronaria. La causa più


frequente è quella organica (formazione di placche stenosanti); come detto prima le cause
funzionali di infarto sono molto più rare.

Prevalentemente è coinvolto il ventricolo sinistro, eventualmente in associazione con il


ventricolo destro; solo nell' 1% dei casi è colpito soltanto il ventricolo destro.

Sede dell'occlusione e localizzazione dell'area infartuale


• Nel 50% dei casi l’occlusione è del ramo discendente della coronaria di sinistra
o Se l'occlusione è a monte della prima biforcazione (ovvero della diramazione
antero laterale della coronaria sx) allora l'estensione dell'infarto sarà molto ampia
perché coinvolgerà tutto il territorio irrorato dalla discendente anteriore e
dall’obliqua; avremo di conseguenza un infarto antero-laterale, per cui saranno
interessati i 2/3 anteriore del SIV, la punta del cuore e la parete antero-laterale del
ventricolo sinistro. Molto spesso ne derivano complicanze che comportano la morte
del paziente. A volte si ha rottura della parete del cuore con tamponamento cardiaco
(se si rompe la parete anteriore del VS, molto sangue improvvisamente si riversa
all’interno del sacco pericardico attraversando appunto la breccia formatasi nella
parete del VS).
o Se l'occlusione avviene a valle della prima biforcazione avremo un infarto
antero- settale che colpisce: 2/3 anteriori del SIV, punta del cuore, e una piccola
parte della parete anteriore del ventricolo sinistro. L’infarto in questo caso è
meno esteso del precedente (la parete laterale è salvata perché l’arteria che la
irrora non è occlusa e riceve sangue).

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• Nel 30% dei casi: l’occlusione è del
tronco coronarico di destra; si
parla di infarto infero-settale e
sono interessati: 1/3 posteriore del
setto, parte inferiore del ventricolo
sinistro, e parete posteriore del
ventricolo destro.

• Nel 20% dei casi l’occlusione è del


ramo circonflesso sinistro: si ha
un infarto postero-laterale che
coinvolge i segmenti laterali e
posteriore del ventricolo sinistro, ma
in minima parte anche il VD nella
sua parte posteriore.

Patogenesi dell'infarto trans-murale


Deriva in genere da un'occlusione anatomica, più raramente funzionale, di un ramo sub-
epicardico della coronaria.
Nel 90% dei casi e più, quello che determina l'infarto è una trombosi occlusiva su placca
fibro-ateromasica fissurata (placca instabile).
In casi sporadici (<10% dei casi totali) l'occlusione deriva da altri fattori:
• Spasmo di un segmento di arteria esente da lesioni.
• Estensione prossimale di un aneurisma dissecante dell'aorta toracica prossimale
(vengono ad essere interessati gli osti coronarici con conseguente ostruzione).
L’aneurisma per determinare una compressione (e quindi un’occlusione della coronaria)
deve andare in senso retrogrado. Tuttavia in genere l’aneurisma è così grave che prima
di arrivare a questa condizione si è già rotto determinando la morte del paziente.

L'inizio della cascata patogenetica prevede quasi sempre la fissurazione della placca instabile che
di solito avviene in profondità, oppure, più raramente, deriva da una erosione superficiale di una
placca stabile. Quest’ultima, con l’andare del tempo si può piano piano, sotto la spinta pressoria,
erodere, divenendo così più vulnerabile; in seguito si può lacerare anch’essa.

In entrambi i casi, una volta avuta la fissurazione o l'erosione, si ha l'esposizione dell'ateroma; si


vengono così a concatenare una serie di eventi che porteranno all'occlusione:
• Adesione, aggregazione delle piastrine
• Rilascio di fattori tissutali da parte del tessuto sottoendoteliale, e di vasocostrittori da parte
delle piastrine stesse (questi ultimi fattori portano a uno spasmo dell’arteria)
• Attivazione della coagulazione
• Formazione di un trombo di tipo
occlusivo
• Si ha anche produzione di endotelina
che inibisce la vasodilatazione
impedendo la possibilità di aumento del
flusso coronarico.

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Fisiopatologia del danno ischemico
Si tratta di un meccanismo a tappe che inizia con l’occlusione del vaso e lentamente esita nella
necrosi del miocardiocita. Inizialmente abbiamo delle fasi cosiddette reversibili, in cui il
miocardio è ancora vitale e suscettibile di ripresa in seguito a riperfusione (angioplastica,
STENT):
• Fase del danno metabolico: si instaura rapidamente dopo pochi secondi
dall'occlusione completa dell'arteria stessa; si passa da una glicolisi aerobia ad una
glicolisi anaerobia con deficit della produzione di ATP ed accumulo di acido lattico.
Improbabile, se non in modelli sperimentali, che il paziente venga disostruito nell'arco
di questo tempo; tuttavia, se ciò accadesse, non si andrebbe incontro a un danno
anatomico: non si avrebbero né necrosi né morte cellulare, ma si otterrebbe una
risoluzione completa del problema. Tale fase si può evidenziare solo sperimentalmente
prelevando il cuore degli animali da esperimento a seguito dell’occlusione del vaso ed
esaminandone le alterazioni biochimiche.
• Fase del danno funzionale: in questa fase il rilasciamento e poi la contrazione
dell’apparato contrattile della cellula miocardica, prima conservati, vanno incontro a
deterioramento, in quanto le cellule per risparmiare energia riducono la loro capacità di
rilasciamento e di contrazione.
Anche intervenendo in questa fase si potrebbe ottenere una restitutio ad integrum. Solo
intervenendo in maniera precoce il cuore può essere salvato e non andare incontro ad un
danno irreversibile.
Le alterazioni funzionali sono importanti, le cellule sono integre e vive ma incapaci di
contrarsi perché manca l’ATP. Il muscolo si ferma, si irrigidisce e “bloccando” le
proprie funzioni abbassa le domande energetiche e la richiesta di ossigeno: è un sistema
di compenso della riduzione della perfusione che si sta verificando.
• Fase del danno morfologico reversibile: dopo pochi minuti dal momento zero si
vengono a riscontrare una serie di alterazioni intracellulari specifiche:
o Rigonfiamento dei mitocondri
o Deplezione dei depositi di glicogeno

Trattandosi di alterazioni sub-cellulari per poterle osservare si necessita della


microscopia elettronica (nulla si vedrebbe con il microscopio ottico). Istologicamente e
macroscopicamente, al microscopio ottico il tessuto miocardico appare normale.
Questo si è visto grazie a studi sperimentali su topi e maiali, in cui si induceva una
ischemia miocardica tramite legatura del vaso coronarico, e immediatamente dopo si
andava a prelevare un pezzetto del tessuto ischemico, per osservarlo subito al
microscopio.
Se si intervenisse in questa fase, visto che non vi sono danni delle strutture essenziali
della cellula (nucleo ecc), sarebbe ancora possibile ottenere una restitutio ad integrum.
• Fase di potenzialità di riperfusione: rappresenta l'ultima tappa in cui la cellula
miocardica è ancora suscettibile di riperfusione. Non abbiamo infatti ancora necrosi ma
si riscontrano alterazioni metaboliche e contrattili: siamo nella fase di stunned
myocardium (miocardio stordito, immobile, fermo): se il tessuto viene a essere
riperfuso (spontaneamente o grazie a procedure iatrogene) questo in qualche giorno
riprenderà a funzionare. Tanto più precoce è la riperfusione, tanto è più probabile avere
restitutio ad integrum; in caso contrario si avranno prima apoptosi e poi necrosi
(coagulativa).
• Fase del danno morfologico irreversibile: le cellule miocardiche vanno incontro a
necrosi. La sede che prima andrà incontro a necrosi è rappresentata dalle porzioni più
distali di muscolo, ovvero dagli strati sub-endocardici. Dopo 5-6 gg vengono interessati
anche gli strati subepicardici.

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Quadro morfologico dell'infarto trans-murale
L’infarto transmurale colpisce la parete cardiaca a tutto spessore.
Anche le alterazioni morfologiche (sia micro- che macro-) dell'area infartuale evolveranno
seguendo una progressione cronologica a tappe.
In linea di massima l'evoluzione prevede:
• Necrosi ischemica dei miociti, che sul piano istologico configura il tipico quadro della
necrosi coagulativa.
• Infiltrazione da parte di cellule infiammatorie, prima neutrofili, poi linfociti e macrofagi
• Formazione di tessuto di granulazione e riparazione per cicatrizzazione.

1) Fase della necrosi ischemica


a) Se il paziente muore entro le 2 ore dall'episodio occlusivo, il riscontro autoptico non rileverà
alterazioni morfologiche visibili al MO (microscopio ottico). L'unica cosa che possiamo fare è
quella di procedere con una serie di prelievi, la cui sede sarà dipendente dalla sede di
occlusione; andando ad analizzare i campioni al microscopio elettronico vedremo una serie di
alterazioni ultrastrutturali:
• Rigonfiamento idropico del sarcoplasma
• Scomparsa dei granuli di glicogeno
• Trasformazione vacuolare del RE
• Rigonfiamento dei mitocondri

NOTA: di solito il paziente muore per un tamponamento cardiaco o per complicanze aritmiche. Si
può morire sempre in qualsiasi momento compreso anche fra le 2 e le 6 ore dall’infarto.

Identificare l’area sede di necrosi è difficile se macroscopicamente non si vede la necrosi.


Quando il danno è irreversibile, non si riesce più ad avere restitutio ad integrum perché ormai la
membrana cellulare si è rotta e la cellula è morta.

b) Se il paziente muore dopo 3-6 ore dall'evento


ischemico, potremmo cominciare a vedere delle alterazioni
morfologiche, molto evidenti se utilizziamo un tipo di
colorazione isto-chimica che ci consente di visualizzare la
presenza delle componenti enzimatiche (nella porzione
necrotica verranno a mancare gli enzimi deputati alla
respirazione cellulare, in particolare la succinato
deidrogenasi).
Nello specifico, si incubano sezioni di miocardio in una
soluzione di cloruro di trifenil-tetrazolio:
• Il miocardio non infartuato, con attività
enzimatica conservata, acquista colorazione rosso
mattone,
• Il miocardio infartuato appare invece come zona
pallida non colorata.

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c) Se il paziente muore dopo 6 ore dall'evento ischemico, potremo osservare le prime alterazioni
istologiche. Possiamo quindi procedere con un prelievo istologico della zona necrotica; andando ad
analizzarlo con il microscopio ottico osserveremo delle alterazioni a livello delle porzioni
periferiche, ovvero a livello della zona di confine tra area
infartuale e tessuto irrorato.
A questo livello le fibrocellule risultano assottigliate e ondulate,
ma parallele fra loro (è il cosiddetto “fenomeno dello
streaming”): questo aspetto è la conseguenza dell'effetto che
i miociti vitali hanno sulle fibrocellule adiacenti morte e
incapaci di contrarsi (vengono in pratica "stirate").
Nell'immagine vediamo le fibrocellule stirate sulla sinistra; questo loro aspetto si
vede bene confrontandole con quelle sane, sulla destra. Altro aspetto interessante
è la presenza di edema, visibile come spazi bianchi interposti fra le mio cellule
necrotiche (notare che questi spazi bianchi sono assenti fra le fibre vitali alla
destra dell'immagine).

c) Passate le 18-24 ore dall'episodio acuto l'osservazione


macroscopica del cuore consentirà di visualizzare un aspetto pallido dell'area ischemica che
contrasta ampiamente con il circostante tessuto sano (color rosso mattone) [in pratica quello che
prima si vedeva alla colorazione con il cloruro di trifeniltetrazolio si vede a occhio nudo].

Facciamo quindi un prelievo istologico mirato che evidenzierà con il solo ausilio della microscopia
ottica delle aree di necrosi coagulativa.
Gli aspetti citologici caratteristici sono:
• Il nucleo comincia a mostrare delle alterazioni morfologiche tipiche (marginalizzazione
della cromatina, che si sposta in periferia verso la membrana nucleare) fino alla picnosi
dello stesso (addensamento della cromatina). Il nucleo si fa quindi piccolo ed appare scuro,
ipercromico.
• Ipereosinofilia miocitaria
• Assenza del tipico aspetto striato che caratterizza il miocita sano (questo fenomeno prende
il nome di omogeneizzazione del miocardiocita): i miociti appaiono come delle strutture
bastoncellari, lisce, prive di striature e con nucleo piccolissimo
• Miocitolisi colliquativa: si osserva facendo un prelievo dalla periferia dell’area infartuale;
nelle cellule di questa zona il nucleo assume un alone chiaro, “vuoto”.

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d) In II o III giornata gli aspetti macroscopici ed istologici sono
molto ben evidenti, in quanto il focolaio viene ad essere demarcato in
modo molto evidente da un alone di colorito rosso, come
conseguenza dell'iperemia e delle piccole aree emorragiche che si
sviluppano.
Il miocardio necrotico mostra un aspetto tipico:
• Colorito grigio-giallastro omogeneo (giallo ocra) per la
presenza di un infiltrato granulocitario (neutrofili), liberazione
di enzimi litici da parte dei granulociti e conseguente
colliquazione dell’area necrotica;
• Consistenza aumentata (come l’argilla) con aspetto opaco

Queste due modificazioni conferiscono al tessuto un aspetto simil argilloso, per colorazione e
consistenza.
La necrosi colliquativa è completa: le miocellule sono senza nucleo e striatura, paiono delle “masserelle
ialine”. Sono dette cellule fantasma, perché rimane solo un’ombreggiatura di quelle che erano le cellule
prima della necrosi.
È una fase molto delicata per il pz anche da un punto di vista clinico, la pressione che viene esercitata a
livello cardiaco rischia di danneggiare ulteriormente l’area infartuale friabile ed indebolita, facendo sì
che il paziente vada incontro ad una temibile complicanza dell’infarto che è il tamponamento cardiaco.

A questo punto si affacciano i primi leucociti (granulociti neutrofili), che si fanno carico di
rimuovere il materiale necrotico e di riparare la parete cardiaca. È questa la prima fase
dell’infiammazione.

2) Fase dell'infiltrazione linfocitaria


In III-IV giornata cominciamo a visualizzare microscopicamente l'infiltrazione da parte dei
neutrofili, e dei primi linfociti e macrofagi. I neutrofili invadono completamente il tessuto necrotico,
vanno incontro ad autolisi e rilasciano enzimi proteolitici deputati alla colliquazione e digestione del
materiale necrotico; la loro attività è molto intensa.
Preludio alla fase successiva è l’autolisi dei neutrofili, con progressiva infiltrazione dell'area da
parte dei macrofagi, il cui scopo è quello di digerire il materiale colliquato e di avviare il processo di
cicatrizzazione. Fin quando non si va a costituire la cicatrice vera e propria il pz è un soggetto a
rischio. Oltre i 10 giorni, la lesione assume aspetto di questo tipo:
• Completa colliquazione del tessuto necrotico, sempre più giallastro
• Comparsa del tessuto di granulazione, costituito da macrofagi, linfociti, vasi neoformati e
fibroblasti, che permetterà la successiva fase di cicatrizzazione.

I fibroblasti producono fibre collagene fino a sostituire completamente l’area necrotica: più piccolo è il
focolaio necrotico, minore sarà il tempo richiesto per la sua sostituzione.

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B. Infarto di 3-4 giorni → si vede un denso infiltrato di granulociti
neutrofili, che si infiltrano nel tessuto necrotico. Le miocellule morte
sono ben visibili come dei tocchi uniformemente eosinofili, in cui non
sono più presenti le strutture subcellulari (nucleo, sarcomeri ecc).

C. Infarto di 7-10 giorni → si vedono i macrofagi che si sono


mangiati tutto il tessuto precedentemente colliquato dagli enzimi
proteolitici rilasciati dai neutrofili.

D. Infarto di oltre 10 giorni → il tessuto necrotico è completamente


sostituito da tessuto di granulazione giovane, caratterizzato da
collagene lasso (in quest’immagine blu, perché colorata con la
colorazione tricromia di Masson che colora blu il collagene) e vasi
originati dalla neoangiogenesi.

3) Fase della riparazione cicatriziale


Tra la III - VI settimana e il III mese dall'evento ischemico, il tessuto di granulazione compie il suo
lavoro, portando allo sviluppo di un'area cicatriziale stabile (il collagene da lasso è diventato denso)
di aspetto biancastro (i vasi non sono più presenti!). il tessuto di granulazione matura fino a portare
alla formazione di una cicatrice vera e propria.
Il colorito è biancastro: se il paziente muore per una complicanza da pregresso IMA, tale zona si
vede molto bene perché biancastra (risalta bene in contrasto con il parenchima sano circostante, che
è rosso mattone).

Il tessuto di granulazione è un tentativo di riparazione


tissutale costituito da pochi granulociti, macrofagi,
linfociti e soprattutto fibroblasti (servono per la
formazione della cicatrice), con anche una componente di
neoangiogenesi. La presenza di fibroblasti e
neoangiogenesi è fondamentale per l’inizio della fase di
cicatrizzazione.

Dopo 2-3 mesi la cicatrice si dice stabilizzata. Si tratterà


comunque di un'area deficitaria dal punto di vista della
pompa cardiaca, sia per quanto riguarda la funzione
diastolica sia per quanto riguarda la funzione sistolica.

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NB. Una volta avvenuta la riparazione, la lesione non è più databile: un infarto di 8 settimane e
uno di 10 anni presentano entrambi una cicatrice fibrosa densa, sostanzialmente identica.
Infarto di vecchia data → il tessuto di granulazione è
sostituito da tessuto fibroso (collagene denso). Guardando
l’immagine a colori si vede come le righine blu sono molto
più fitte rispetto a quelle dell’immagine D (anche questo
preparato è colorato con la tricromia di Masson). Tra le
fibre collagene sono visibili alcune celllìule muscolari
residue, tagliate trasversalmente.

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Complicanze ed esiti dell'infarto trans-murale
Molte sono le complicanze che possono seguire 1'IMA; queste sono diverse a seconda delle
tempistiche rispetto all'episodio ischemico:

Complicanze entro le 2 ore


Circa il 20% dei soggetti muore entro 2 ore dall'insorgenza dell'infarto. Sono stime di qualche anno
fa, ora la politica di prevenzione e miglioramento delle procedure interventistiche ha portato a una
notevole riduzione di tale percentuale. La precoce ospedalizzazione e le procedure interventistiche
disponibili in UTIC stanno infatti riducendo il numero di decessi legato a tali complicanze precoci.
In alcuni casi si usano le cellule staminali (iniettate nel punto colpito) per ricostruire le cellule scomparse
e andate incontro a necrosi.

Gli eventi che possono determinare una morte così precoce sono:
• Insufficienza di pompa in caso di infarti molto estesi (infarti antero-laterali) con riduzione
importante della gittata sistolica. La morte sopraggiunge quindi per:
o EPA (edema polmonare acuto) ed IR
o Rammollimento cerebrale: la riduzione della perfusione cerebrale può portare a un
deficit cerebrale permanente o a morte.
• Aritmia maligna: TV, FV, bradicardia. Si possono avere tachicardie sopraventricolari,
fibrillazioni, che portano a morte il paziente.

Se si vede un paziente deceduto entro le 2 ore dall’infarto al microscopio ottico non si vede nulla.

L’edema polmonare acuto si vede anche all’autopsia di un paziente morto di infarto: si nota dell’edema
schiumoso che esce dalla bocca, è questo un segno evidente della causa della morte del paziente.

Complicanze dopo le 2 ore


Ø Rimodellamento post-infartuale precoce: a causa dell'indebolimento di parete può crearsi un
assottigliamento della parete stessa, con dilatazione acuta dell'area infartuata (si parla anche di
"espansione” dell'infarto). Non è un aneurisma vero e proprio, si tratta di un’espansione del profilo
endocardico, il quale va incontro ad un infossamento a causa dell’assottigliamento del miocardio.
Invece di essere 1,5 cm come di norma, può anche arrivare a 0,5 cm (si parla ovviamente del VS).

Macroscopicamente possiamo vedere due aspetti in alternativa:


a. Espansione del profilo endocardico
b. Non modificato il profilo epicardico

Microscopicamente avremo stiramento e slittamento dei fasci di miocellule necrotiche.

L’espressione maggiore e più grave del rimodellamento post infartuale precoce è l’aneurisma acuto, che
può anche rompersi e dare emopericardio, quindi morte del paziente.

Ø Rottura di cuore, complicanza estremamente grave e drammatica;


può interessare:
a) Parete esterna:
- Breccia lineare sull'epicardio: l'esito è drammatico ed il paziente
muore per tamponamento cardiaco acuto (foto). Si vedrà un coagulo
nel pericardio, che poi ne limita i movimenti e lo scorrimento.
- Rottura degli strati interni della muscolatura: il sangue penetra tra
strati interni ed esterni con formazione di un ematoma dissecante.
Si ha la formazione di una breccia; man mano che passa il tempo,
il sangue si infiltra ed espande sempre più nel miocardio stesso.

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b) Parete interna:

- Rottura del setto IV con shunt sinistro- destro (c’è una


comunicazione fra i due ventricoli, e siccome la pressione
sanguigna è maggiore nel sinistro, il sangue passerà da sinistra a
destra, con conseguente morte del paziente)

- Rottura di un muscolo papillare con insufficienza mitralica


acuta (foto).

La rottura di cuore è una complicanza precoce che può avvenire:


• Nei primi 2-3 giorni per la presenza delle aree di miocitolisi (espressione del danno subletale
che si può realizzare nelle cellule adiacenti all'infarto; si caratterizza per degenerazione
vacuolare con spazi vuoti intracellulari) e per la colliquazione della necrosi
• All' inizio della 2° settimana per la presenza di un tessuto connettivo giovane a livello
della sede di cicatrizzazione
Ø Trombosi parietale: evento frequente e precoce (si riscontra fra II e IV settimana). L'area necrotica è
frequente sede di trombosi in quanto a questo livello si verificano:
• Alterazioni della dinamica cardiaca
• Alterazioni della circolazione ematica con stagnazione del sangue
• Rilascio di sostanze ad attività tromboplastinica, con attrazione di piastrine e fibrina che
formano trombi molto ben adesi alla parete necrotica, delle volte difficili da rimuovere
durante l’esame autoptico a causa della fibrina (da non confondere con i coaguli, di colorito
grigio giallastro, che si rompono nel tentativo di rimuoverli con le pinze, poiché formati
prevalentemente da piastrine, ma anche da fibrina e granulociti).

Possono derivarne embolie sistemiche che:


• Se a partenza dal V. Sx à arrivano a cervello, milza, reni, intestino, arto inferiore, ecc.
• Se a partenza dal V. Dx (più raro) à embolia polmonare.

Ø Pericardite
• Fase acuta (entro i primi 4 giorni): pericardite fibrinosa consensuale all’infarto che si forma
a stampo a livello dell'area pericardica corrispondente alla zona infartuale. È una
pericardite di tipo fibrinoso.
• Forma tardiva (latenza di 15-20 giorni): pericardite auto-immune di Dressler. Ha patogenesi
autoimmune: dalla rottura di cellule muscolari si sono liberati autoAg che hanno scatenato
la formazione di Ab, i quali sono poi responsabili dell’insorgenza della pericardite.

Ø Insufficienza secondaria della valvola mitralica


• Acuta: per la rottura dei muscoli papillari o distacco di corde tendinee.
• Cronica: esiti cicatriziali di un muscolo papillare e dilatazione del ventricolo.
o La cicatrice può anche interessare la valvola, ispessendone il lembo o determinandone
una retrazione: si avranno quindi insufficienza da sola o steno-insufficienza valvolare.
o Se anche la valvola non è colpita da cicatrici, ma c’è dilatazione del ventricolo, l’anulus
valvolare diventa più ampio e si avrà insufficienza per mancato collabimento dei lembi
valvolari.
Ø Aneurisma ventricolare, in genere del ventricolo sx; può essere:
• Acuto, nella fase infartuale: può andare incontro a rottura.
• Tardivo, durante la fase di riparazione. Può rompersi oppure perdurare dando luogo ad un
quadro di aneurisma cronico con aumento del residuo telediastolico e aumentato rischio

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trombo-embolico.
o Alla fine, l’aumento del volume telediastolico porta a scompenso cardiaco.
o I trombi presenti nella sacca aneurismatica possono dare luogo a embolizzazione
periferica

Ø Insufficienza di pompa e conseguente miocardiopatia dilatativa post-infartuale


È una complicanza importante che deve essere valutata perché:
• Se l'area non contrattile di una parete ventricolare anteriore (l'area anelastica indotta da un
infarto esteso) è < del 40%, il parenchima cardiaco circostante riesce a compensare
diventando ipertrofico. Fino a quando non si supera questo 40% (è un valore un po'
empirico) si ha un'ipertrofia compensatoria efficace: il cuore riesce a compensare la
mancanza di elasticità in quella parte della parete
• Se l'area non contrattile è > del 40% ovviamente il cuore non riesce più a compensare
nonostante diventi ipertrofico nella parte sana. Non si ha un'ipertrofia compensatoria ed il
ventricolo si dilata sempre di più fino a sviluppare una miocardiopatia dilatativa post
infartuale e quindi si va incontro ad uno scompenso cardiaco perché il cuore diventa
flaccido e deficitario

Ø Recidiva di infarto. Tutte le coronarie sono coinvolte nel processo aterosclerotico e quindi possono
occludersi di nuovo. Un successivo infarto è spesso causa di morte in questi pazienti.

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INFARTO SUB ENDOCARDICO
Necrosi ischemica limitata al terzo interno della parete miocardica. È un infarto spesso a
focolai multipli, la cui condizione predisponente è la stenosi coronarica diffusa.
I meccanismi patogenetici sono gli stessi visti per l’infarto trans murale.

Aspetti anatomo-patologici
Un aspetto importante di questo tipo di infarto è che i focolai ischemici sono piccoli, spesso
multipli e difficilmente evidenziabili macroscopicamente per:
• Scarsa demarcazione dei margini
• Tra un focolaio e l'altro si interpone spesso tessuto miocardico sano.

Nelle fasi successive l'aspetto è più simile all'infarto trans-murale con un'evoluzione più
rapida verso la fibrosi (i focolai sono più piccoli!! *), che si distribuisce a bande sub-
endocardiche.

* Più è grosso un focolaio di necrosi, più è il tempo necessario per la riparazione cicatriziale.
Questo è dovuto al fatto che la riparazione è operata da cellule infiammatorie, le quali arrivano nell'area infartuata
tramite i vasi, i quali sono alla periferia dell'infarto stesso. In pratica l'infarto è riparato in senso centripeto, e più è
grosso, più tempo ci vuole.

Fisiopatologia
L'infarto non trans-murale si può realizzare schematicamente in tre condizioni:
• Ipoperfusione generalizzata in pazienti
con stenosi coronarica diffusa
(meccanismo fisiopatologico più
frequente). In questo caso il danno
miocardico è in genere circonferenziale,
piuttosto che circoscritto al territorio di
irrorazione di una specifica arteria (come
visto per l'IMA trans-murale). Tachicardia,
shock, sforzi eccessivi possono
determinare un infarto sub endocardico in
presenza di ipoperfusione generaluzzata.

• Rottura di placca, a cui si sovrappone


una trombosi che va incontro a lisi (in
virtù di un intervento medico precoce, che
consente la riperfusione delle aree
ischemiche) prima che la necrosi possa
coinvolgere la parete a tutto spessore
(interessa quindi solo la zona
subendocardica, più suscettibile all'ischemia).

• Occlusione di piccoli vasi intramurali (una specie di ictus lacunare!). In questo


caso abbiamo microinfarti diffusi nello spessore di parete (raro, l'ho messo giusto
per completezza del disegno).

Complicanze
La complicanza più frequente è la trombosi
endocardica con possibili embolizzazioni
distali.

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2) ANGINA PECTORIS
Sindrome clinica caratterizzata da crisi parossistiche di dolore precordiale. La persona è
costretta a fermarsi; il dolore funziona da campanello d’allarme e costringe il soggetto al riposo,
per ridurre le richieste metaboliche del cuore.
È dovuta ad una discrepanza fra le richieste metaboliche del miocardio e l'apporto fornito dal
circolo coronarico.

Classificazione
• Angina da sforzo (stabile): la più frequente
• Angina variante di Prinzmetal
• Angina instabile (in crescendo)

La gravità aumenta andando da quella stabile a quella in crescendo.

Angina stabile
Condizione caratterizzata da stenosi di rami coronarici maggiori, per la presenza di una placca
stabile. Essendo la riduzione del lume del vaso stabile, lo squilibrio apporto/richiesta viene
scatenato da un aumento delle richieste nel contesto di uno sforzo fisico o di un'altra condizione
che richieda aumentate prestazioni cardiache.
L'entità dello sforzo richiesto per scatenare la sintomatologia correla inversamente con le
dimensioni della placca e quindi con la gravità della patologia.
La sintomatologia viene attenuata dal riposo e dalla somministrazione di nitro vasodilatatori.
Essa insorge all’improvviso.

Angina variante
Patologia i cui sintomi insorgono a riposo. Questi sono indotti da una ischemia dell'intero
spessore miocardico, dovuta ad un vasospasmo dei vasi, si tratta di una ischemia che però è
reversibile e non conduce ad un infarto trans murale.
La patologia peggiora con il tempo: la sintomatologia si fa sempre più prolungata e
ravvicinata.
È uno dei prodromi dell’infarto trans murale. I pazienti vanno trattati con vasodilatatori per
evitare l’insorgenza dell’infarto.

Angina instabile
Crisi dolorose sempre più prolungate e frequenti, scatenate da sforzi fisici progressivamente
minori o addirittura a riposo; spesso sono il preludio di un IMA.
L'elemento alla base della patologia è una placca instabile (rivestita da un sottilissimo
cappuccio fibroso ed è un'importante pappa ateromatosa). Questa può lacerarsi sotto la spinta
pressoria e molto spesso si forma quello che viene definito il "flap". Tale limbo a partenza dalla
placca si alza e si abbassa, riducendo temporaneamente ed in modo variabile il flusso
sanguigno.

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3) CARDIOPATIA ISCHEMICA CRONICA
Patologia caratterizzata da mancanza cronica di apporto ematico al miocardio.
È appannaggio dei pazienti anziani, e porta ad uno scompenso cardiaco progressivo.

Anatomia patologica
Il quadro è varabile a seconda del momento in cui si va a osservare il muscolo cardiaco. Le
lesioni elementari sono placche occlusive e diffuse delle arterie coronarie che portano a delle
stenosi.
All'esame istologico si osserva una necrosi parcellare parziale delle fibrocellule muscolari nella
zona distale e quella sub-endocardica (le zone più vulnerabili sono quelle dei rami più piccoli, più
distali)
Tali zone devono essere sostituite da fibrosi, al microscopio ottico vedremo delle aree focoli di
fibrosi che assomigliano a cicatrici. Quindi ho la sostituzione di un tessuto funzionale con un
tessuto non funzionale, fibroso, parcellare.

Gli aspetti istologici si susseguono con il seguente ordine:


• Miocitolisi colliquativa sub-endocardica; espressione morfologica del danno
subletale ischemico del miocita, che appare "infarcito" di vacuoli visibili come spazi
otticamente vuoti (probabilmente contengono acqua).
La miocitolisi è classicamente ritenuta un "segno" distintivo di cardiopatia ischemica
cronica, ma è stata dimostrata anche in corso di IMA (nei margini dell'infarto)
• Aree focali di fibrosi più o meno diffuse ed estese
• Cicatrici post-infartuali
• Ipertrofia ventricolare sinistra, come tentativo di compenso alla riduzione della
contrattilità.

4) MORTE IMPROVVISA CORONARICA


Evento clinico più che anatomo-patologico, definito come morte inattesa, attribuibile a
cause cardiache in soggetti senza cardiopatie note, che insorge entro un'ora dall'inizio dei
sintomi.
La MIC si realizza, nella maggior parte dei casi, per l'insorgenza di gravi aritmie (FV);
queste sono conseguenza di una "irritabilità" miocardica che può a sua volta riconoscere
varie cause:
• IMA / Ischemia cronica
• Miocarditi
• Cardiomiopatia ipertrofica
• Patologie "aritmogene" (WPW, sindrome di Brugada, sindrome del QT lungo)
• Bamba
Le alterazioni morfologiche non fanno in tempo a svilupparsi e all'autopsia vedremo un
cuore pressoché normale.
I reperti "accessori" che possiamo trovare sono:
• Stenosi critica dovuta ad aterosclerosi di almeno uno dei tre vasi principali
• In metà dei casi è rinvenibile una placca complicatasi con trombosi.

Si è vista una certa familiarità, ci sono degli studi che cercano di capire se ci sono delle basi
genetiche tali che possano dare un'idea, un'indicazione per questo tipo di alterazione.

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IPERTROFIA CARDIACA
Aumento della massa cardiaca riconducibile a due possibili aspetti, che il più delle volte
coesistono:
• Aumento di volume e dimensione delle miocellule
• Aumento del numero delle miocellule

Metodi di valutazione
L'ipertrofia viene valutata in sede autoptica facendo riferimento ai seguenti parametri
• Peso dell'organo
• Spessore della parete
o VS > 15 mm (un cuore ipertrofico è sicuramente maggiore di 18 mm)
o VD > 4 mm (arriva anche a 8-9 mm)
• Istologia: si esegue una valutazione morfometrica del
muscolo cardiaco mediante un microscopio che
consente elaborazioni digitali. Si lavora su campioni
sezionati in fette molto sottili (3 µm). Gli aspetti che
si valutano sono:
o Diametro trasverso delle miocellule
o Area sarcoplasma
o Area dei nuclei

Nell'immagine a fianco una sezione trasversale di cellule


miocardiche provenienti da una biopsia cardiaca. I nuclei appaiono
lateralizzati e anch'essi sono ingranditi.

Fisiopatologica
I moventi fisiopatologici dell'ipertrofia sono:
• Aumento del carico pressorio con aumento del carico isometrico → ipertrofia
concentrica! (aumenta in maniera costante)
• Aumento del carico volumetrico con aumento del carico isotonico → ipertrofia eccentrica,
non sempre evidenziabile macroscopicamente! (non è costante come prima, è disomogenea,
difficile da valutare)
L’ aumento di flusso in diastole peuò verificarsi per vari motivi, es. reflusso per una valvola
semilunare insufficiente, quindi afflusso di sangue in maniera retrograda.

IPERTROFIA DEL VENTRICOLO DESTRO


Dovuta ad un aumento delle pressioni nel circolo polmonare (ipertensione polmonare). Questo
evento si realizza in varie condizioni:
• Aumento primitivo della pressione polmonare → cuore polmonare cronico
• Aumento della pressione nel circolo polmonare riconducibile a scompenso sinistro e
stenosi mitralica e si ripercuoterà a livello del cuore destro.

Cuore polmonare cronico


Con questo termine si indica una condizione di ipertrofia del VD secondaria a patologie del
polmone o del circolo polmonare. Riconducibile a:
> ipertensione circolo polmonare
• Ipertensione polmonare primitiva
• Ipertensione secondaria a patologie polmonari che riducono l'estensione del letto
capillare:
o Enfisema, interstiziopatie

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• Vasocostrizione prolungata dovuta a ipossia
• Ostruzione della parete arteriosa per neoplasie
• Ostmzione endoluminale per embolie ripetute

> Sovraccarico di volume per il VD


• Difetti del setto interatriale
• Pervietà del dotto di Botallo
• Reflusso da valvola semilunare insufficiente

IPERTROFIA DEL VENTRICOLO SINISTRO


L'ipertrofia è un meccanismo di adattamento messo in atto dal cuore per compensare ad un aumento
di lavoro. Le condizioni in cui ciò si realizza sono varie:
• Sovraccarico di pressione → determina ↑ R periferiche → questo impone un aumento del
lavoro cardiaco. Questo si realizza in:
o Ostacolo al deflusso → stenosi aortica (sotto-, valvo-, sopra-)
o Ipertensione arteriosa

Morfologia: ipertrofia concentrica delle pareti del ventricolo sinistro.


Macroscopicamente è possibile vedere un ingrandimento delle trabecole carnee e un
aspetto tozzo dei muscoli papillari; alle condizioni estreme il cuore assume dimensioni
e peso enormi, fino a 1Kg (aspetto a cor bovinum)

• Sovraccarico di volume → maggiore afflusso di sangue in ventricolo durante la diastole


→ necessità di un lavoro maggior per espellere l'intero volume tele diastolico. Questo si
reaiizza per cause:
o Congenite → Iperafflusso da patologia malformativa
o Reflusso dalla valvola semilunare aortica insufficiente

Morfologia: ipertrofia eccentrica; non tutte le pareti del ventricolo sono


ispessite.

Questa immagine demoniaca riassume tutto. Vediamo:


• Nel mezzo un cuore normale
• A sinistra un cuore con ipertrofia concentrica, da sovraccarico pressorio. Vediamo la massa aumentata con lo spessore
di parete aumentato.
• A destra un cuore con ipertrofia eccentrica, da sovraccarico di volume. Vediamo la massa aumentata, ma lo
spessore di parete normale.

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SCOMPENSO CARDIACO
L'esito dell'evoluzione ipertrofica è lo scompenso: il cuore cerca di compensare
all'aumentato carico di lavoro fino a sfiancarsi.

Anatomia patologica
L'aspetto fondamentale è la dilatazione della cavità soggetta al sovraccarico, la quale non è
più in grado di compensare.
Ingrandendosi la cavità, la parete comincia ad assottigliarsi: la differenza morfologica fra
un cuore in fase di compenso e un cuore scompensato è la riduzione dello spessore della
parete.

Istologia
Nel contesto della parete assottigliata è possibile vedere che le cellule sono stirate, allungate.
A più alto ingrandimento sono visibili i segni della sofferenza:
• ↑ volume del nucleo delle cellule, che si fa ipercromico
• Spessore ridotto delle cellule
• Fenomeni regressivi: presenti aree di micro-emorragie e aree di necrosi
parcellari delle cellule stirate, che sono riparate da fenomeni di fibrosi
interstiziali.

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CARDIOMIOPATIE
La definizione è stata corretta più volte; oggi le cardiomiopatie sono definite come malattie
primitive o secondarie caratterizzate dalla disfunzione del muscolo cardiaco (American Hearth
Association 2006). All’inizio si consideravano come cardiomiopatie solo le forme primitive di
patologia: questa definizione però escludeva alcune malattie secondarie in cui il primum
movens della disfunzione cardiaca era proprio il muscolo miocardico stesso.

Classificazione
• Primitive
o Genetiche
§ Ipertrofica
§ Aritmogena
§ Da canali
o Miste
§ CMP dilatativa
o Acquisite
§ Miocardite
• Secondarie: una noxa ha causato la disfunzione del muscolo cardiaco e dei miociti. si
distinguono in:
o Infiltrative: infiltrano per lo più l’interstizio, meno l’endocardio (amiloidosi,
Gaucher)
o Da accumulo: emocromatosi, Fabry
§ Nell’emocromatosi si ha un deficit dell’estrusione del ferro, e questo
comporta un accumulo di emosiderina nei miociti
o Da tossicità: farmaci, metalli, agenti chimici
§ Il classico farmaco che causa danno cardiaco è rappresentato dalle
antracicline
o Infiammatorie/ granulomatose: sarcoidosi. La sarcoidosi è molto subdola a livello
cardiaco, può simulare delle aritmie (si accompagna a linfadenopatia mediastinica
in genere)
o Endocrine: diabete, acromegalia, iper-/ipo- tiroidismo. Sono per fortuna patologie
rare perché vengono trattate
o Neuromuscolari: distrofie di Duchenne e Becker; ci sono alcune distrofie muscolari
in cui la prima alterazione si trova a livello cardiaco, mentre di solito il danno
esordisce a livello del muscolo scheletrico e solo in un secondo momento si
manifesta nel cuore
o Autoimmuni: LES, AR, PN (miocarditi gigantocellulari), connettiviti miste
o Terapie antineoplastiche (antracicline)
§ La radioterapia oggi è sempre più mirata all’organo da colpire, ma un
tempo non era così e la radioterapia poteva comportare un danno a carico
delle coronarie e della valvola (aortica, ma non solo) di tipo fibrotico.

Le miocardiopatie costituiscono un gruppo di malattie la cui caratteristica predominante è


l'interessamento diretto del muscolo cardiaco. Alcune sono dette primitive poiché non derivano
da una patologia pericardica, ischemica, ipertensiva, congenita o valvolare.

Tali malattie si rendono responsabili di causare anomalie nello spessore della parete e nelle
dimensioni delle camere cardiache, disfunzioni meccaniche e/o elettriche e sono associate a
significative morbilità e mortalità.
È stato stimato che le cardiomiopatie siano responsabili del 5-10% dei 5-6 milioni di pazienti
affetti da insufficienza cardiaca negli Statu Uniti, oltre a rappresentare una delle principali

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indicazioni al trapianto.
Ricordiamo, che nella maggioranza dei casi, tali condizioni riconoscono cause genetiche (forme
familiari).

Nell'ambito delle cardiomiopatie primitive si riconoscono 4 principali quadri anatomo-clinici:


• Cardiomiopatia dilatativa
• Cardiomiopatia ipertrofica
• Cardiomiopatia restrittiva
• Cardiomiopatia aritmogena

CARDIOMIOPATIA DILATATIVA (CMD)


Forma di cardiomiopatia caratterizzata da una progressiva dilatazione cardiaca con disfunzione
sistolica e associata a sintomi di insufficienza cardiaca congestizia. Si ha dilatazione della
cavità ventricolare con o senza assottigliamento della parete ventricolare; possono coesistere
alterazioni miocitarie (ipertrofia dei miociti con nuclei irregolari) ed interstiziali (fibrosi
interstiziale).
La morte sopraggiunge più spesso per l'instaurarsi di aritmie ventricolari maligne.

I chirurghi che espiantavano i cuori nel trapianto parlavano di “cardiopatia dilatativa su base
ischemica”, in realtà era la dilatazione da scompenso. I chirurghi non avevano torto: parlavano di
cardiopatia, non di cardiomiopatia, e si riferivano al fenotipo dilatativo, che in effetti è a comune
con questa cardiomiopatia.
La cardiopatia ischemica ha visto un enorme miglioramento della prognosi grazie all’emodinamica
interventistica (angioplastica).

Eziologia
• Alcool e altre tossine: l’alcol o i suoi metaboliti (in particolare l’acetaldeide) hanno un
effetto tossico diretto sul miocardio.
L’alcolismo cronico inoltre si associa a deficit di tiamina, che può condurre a cardiopatia
da beri- beri.
• Agenti chemioterapici: es. la doxorubicina
• Parto: la cardiomiopatia peripartum si può verificare nelle fasi tardive della gravidanza
oppure in un periodo variabile da diverse settimane ad alcuni mesi dopo il parto. La causa
di questa patologia è probabilmente multifattoriale.
o Ipertensione gravidica
o Sovraccarico di volume
o Carenze nutrizionali
o Squilibri metabolici
o Reazione autoimmune
o di recente è stata suggerita una relazione fra cardiomiopatia peripartum e elevati
livelli di un fattore anti angiogenetico prodotto dal clivaggio della PRL (che infatti
aumenta nelle fasi tardive della gravidanza).

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Morfologia
Nella CMD il cuore è in genere ingrandito (forma
globosa), pesante (spesso pesa da 2 o 3 volte il
normale) e flaccido, a causa della dilatazione di
tutte le camere.
Coesiste con questi reperti un assottigliamento
della parete ventricolare (molto spesso).
Frequenti i trombi murali adesi all'endocardio, che
possono dar luogo a fenomeni embolici sistemici.
Le arterie coronarie sono prive di stenosi
significative oppure le ostruzioni presenti sono
comunque insufficienti a spiegare il grado di
disfunzione cardiaca.

Istologia
Le alterazioni istologiche sono aspecifiche e
consistono in una serie di elementi:
• Miocellule ipertrofiche con nuclei
voluminosi e “bizzarri”
• Miocellule striate / allungate
• Fibrosi interstiziale ed endocardica
• Fenomeni regressivi
• Presenza di infiltrati infiammatori

Questi reperti non sono specifici (si trovano


anche nella forma ipertrofica), ma è ovvio che la diagnosi istologica prevede l’esclusione della
presenza di altre malattie come l’emocromatosi e l’amiloidosi.
Oggi abbiamo colorazioni immunoistochimiche che ci consentono di vedere la lamina C (che
codifica per proteine della membrana nucleare).

Genetica
È una forma relativamente frequente (1:2500), a trasmissione più spesso AD, quindi RA e X linked.
I geni implicati sono i seguenti:
• Distrofina
• Actina
• Lamina A/C
• Aplotipo HLA DR4
• In generale, proteine citoscheletriche, sarcolemmatiche, nucleari.

Si tratta di una patologia mista: oltre alla base genetica ci sono fattori ambientali che ne influenzano
la comparsa.

Clinica
Di solito colpisce fra i 20 e i 50 anni, ma può comparire a qualsiasi età. Si manifesta con segni di insufficienza cardiaca
congestizia:
• Respiro corto
• Facile affaticabilità
• Ridotta capacità di sostenere sforzi fisici

In fase terminale si può arrivare a FE = 25%. Spesso si riscontrano insufficienza mitralica e aritmie; queste ultime,
insieme allo scompenso, si rendono responsabili della morte dei pazienti.
Possono inoltre verificarsi embolie a causa del distacco di trombi intra cardiaci. L’assistenza meccanica cardiaca può
indurre durature regressioni della disfunzione cardiaca in alcuni pazienti.

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CARDIOMIOPATIA IPERTROFICA CMI
Non è rara, colpisce 1 individuo su 500 nella popolazione generale (in base a dati ecocardiografici).
Ne esistono forme diverse; nella stessa famiglia possono coesistere fenotipi e manifestazioni
cliniche diverse, da forme molto blande a forme molto gravi.

La CMI primitiva è caratterizzata da una ipertrofia miocardica inappropriata per il soggetto in


questione, che si verifica, cioè, in assenza di una causa evidente di ipertrofia.
Rappresenta la principale causa di morte cardiaca improvvisa nei giovani.
L'ipertrofia e la fibrosi sembrerebbero costituire i maggiori determinanti di morbidità e di
morte cardiaca improvvisa.

Genetica
È una malattia ereditaria a trasmissione AD a penetranza incompleta (il fatto che sia a
penetranza variabile spiega perché all’interno della stessa famiglia se ne trovino forme differenti)
legata a più di 100 mutazioni in nove geni, che codificano per proteine contrattili del
sarcomero.
• α e β MHC (catena pesante della miosina)
• Actina
• Troponina TnT, TnI, TnC
• Tropomiosina
• Miosina legante la proteina C
• Catena leggera della miosina (catena regolatoria ed essenziale)
• Titina e connectina

Mutazioni nelle stesse proteine sono rilevabili anche nella cardiomiopatia dilatativa, che ha un
fenotipo opposto”: ci sono altre alterazioni oggi non note che partecipano alla regolazione genica,
oppure stiamo vedendo una CMP ipertrofica ormai scompensata e arrivata alla dilatazione? È una
domanda ancora oggi aperta.
• Le mutazioni della CMP ipertrofica danno aumento della sensibilità dei miofilamenti al
calcio
• Le mutazioni della CMP dilatativa danno invece una diminuzione della sensibilità dei
miofilamenti al calcio.

Ma il 40% dei casi sono sporadici: ci sono nuove mutazioni ma non solo! Probabilmente si tratta di
malattie a diversa eziologia con fenotipo ipertrofico (potrebbe avere una eziologia ipertensiva).

Forme di CMI
L'ipertrofia miocardia può distribuirsi secondo due tipi di pattern:
• Ipertrofia settale asimmetrica (più spesso):
in questi casi l'ipertrofia è distrettuale, tanto
che si distinguono tre forme di
presentazione:
o Ipertrofia settale: più frequente
o Ipertrofia medio-ventricolare
o Ipertrofia apicale
o (Ipertrofia globale)

• Ipertrofia globale e diffusa a tutto l'ambito cardiaco (10 % dei casi): forma più grave.

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Nei casi classici lo spessore è >2cm.
Anche le forme segmentali possono causare morte improvvisa. In età giovanile (<35 anni) è una
delle cause principali di morte improvvisa (entro 6 h dall’esordio dei sintomi, secondo una assai
rigorosa definizione dell’OMS).

Quadri anatomo-funzionali
Dal punto di vista fisiopatologico si riconoscono tre forme di malattia:
• Forma ostruttiva: in questo tipo di CMI l'ipertrofia asimmetrica settale è determinante
nell' ostruzione dinamica del tratto di efflusso ventricolare sinistro con disfunzione
sistolicaà le manifestazioni cliniche sono analoghe alla stenosi aortica.
• Forma restrittiva: quello che prevale dal punto di vista fisiopatologico è il deficit
diastolico legato alla ridotta compliance del ventricolo, il quale viene ad essere
costituito da pareti rigide ed inestensibili
• Forma dilatativa: si caratterizza per il progressivo assottigliamento delle pareti
ventricolari con dilatazione delle camere ed evoluzione verso lo scompenso cardiaco
congestizio

Morfologia
La caratteristica principale è l'ipertrofia miocardica massiva, solitamente non associata a
dilatazione ventricolare.
Come abbiamo visto spesso si tratta di un’ipertrofia asimmetrica del setto interventricolare, il
cui spessore è sproporzionato rispetto a quello della parete libera del Vsx (con un rapporto
superiore a 1/3); in un 10% dei casi l'ipertrofia è invece distribuita in modo simmetrico.

Caratteristiche istologiche
Le alterazioni istologiche più importanti comprendono:
• Estesa ipertrofia miocitaria, di un'entità raramente riscontrabile in altre condizioni
patologiche.
• Myocardial disarray: importante disorganizzazione strutturale dei fasci miocitari, di
singoli miociti e degli elementi contrattili nei sarcomeri all'interno delle cellule. Si ha
un “aspetto a lisca di pesce”.
• Fibrosi interstiziale, che sostituisce il normale tessuto; è un importante determinante
delle complicanze aritmiche.
• Ispessimento delle arteriole intra murali

Importa anche l’estensione di questo danno.

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Caratteristiche cliniche
La fondamentale alterazione fisiologica è la riduzione del volume di eiezione cardiaca, dovuta
all’alterazione del riempimento diastolico derivante dalle ridotte dimensioni e dalla ridotta
compliance del VS marcatamente ipertrofico.
Si ha un’ostruzione funzionale nel tratto di efflusso del VS.

Si ha dispnea da sforzo a causa della congestione polmonare e della riduzione della GC.
Si può avere ischemia miocardica, a causa dello squilibrio fra domanda e apporto di ossigeno, oltre
che delle anomalie delle arterie intramurali.
I maggiori problemi di questi pazienti sono:
• Aritmie (FA, aritmie ventricolari)
• Formazione di trombi murali che portano a embolia e ictus
• Scompenso cardiaco refrattario al trattamento
• Morte improvvisa.

L’auscultazione rileva un soffio sistolico da eiezione, causato dall’ostruzione all’efflusso


ventricolare quando il lembo anteriore della mitrale si avvicina al setto IV durante la sistole.

Diagnosi
Per la diagnosi è importante valutare l’ispessimento del miocardio (>1,5cm di spessore del
ventricolo sinistro, “normalizzato” però considerando sesso, età ...), ma bisogna anche considerare
che nelle fasi di scompenso si può perdere l’ispessimento.
È uno dei rari casi in cui non c’è indicazione alla biopsia endomiocardica (per escludere malattia da
accumulo), perché alla diagnosi si dovrebbe arrivare per altra strada.
La biopsia endomiocardica è molto invasiva: a parte che per la diagnosi di rigetto acuto di trapianto,
si arriva a biopsia solo quando gli altri mezzi diagnostici non sono stati dirimenti.

Terapia
• Β bloccanti
• Riduzione della massa del setto IV (con conseguente riduzione dell’ostruzione nel tratto di
efflusso) ottenuta con:
o Escissione chirurgica del muscolo
o Ischemia alcool indotta (mediante catetere e selettivamente controllata).

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Schema di confronto
Geni implicati Conseguenze
Cardiomiopatia ipertrofica Codificanti per proteine Anomalie nella distensione cardiaca
del sarcomero (deficit diastolico).
Studi recenti suggeriscono che alla
base vi possa essere un difetto nel
trasferimento di energia dalla sua
fonte (mitocondri) alla sede di utilizzo
(i sarcomeri), con conseguente deficit
energetico a livello sub cellulare.
Cardiomiopatia dilatativa Codificanti per proteine Anomalie nella generazione della
del citoscheletro forza contrattile (deficit della funzione
sistolica), nella trasmissione della
forza o nel signalling dei miociti

CARDIOMIOPATIA RESTRITTIVA
È una patologia caratterizzata da una riduzione primitiva della compliance ventricolare che produce
un alterato riempimento durante la diastole.
La funzione sistolica in genere è inalterata.

Eziologia
Può essere
• idiopatica
• associata a diverse malattie o processi patologici che colpiscono il miocardio
o fibrosi da radiazioni
o amiloidosi
o sarcoidosi
o tumori metastatici
o deposizione di sostanze accumulatesi a causa di errori congeniti del metabolismo.

Morfologia macroscopica
• I ventricoli sono di dimensione più o meno normale o leggermente ingranditi
• Le cavità non sono dilatate (in genere, talora gli atri sono dilatati)
• Il miocardio è compatto e non deformabile

Istologia
• Fibrosi interstiziale,
o diffusa o irregolarmente distribuita,
o minima o molto estesa
• amiloidosi: è una causa importante.

Altre condizioni
Richiedono una breve trattazione, danno quadri funzionali di tipo restrittivo:
• fibrosi endomiocardica: malattia di bambini e giovani adulti dell’Africa e della zone
tropicale.
Si caratterizza per la comparsa di fibrosi dell’endocardio e del sub endocardio ventricolari,
che si estende dall’apice alla base del cuore, fino a interessare anche tricuspide e mitrale.
Il tessuto fibroso determina una riduzione notevole del volume e della compliance delle
camere colpite, dando appunto un quadro di tipo restrittivo.

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Si possono sviluppare trombi murali e secondo alcuni la fibrosi è il risultato di un processo
di organizzazione dei trombi stessi.

• Endomiocardite di Loeffler: produce una fibrosi endomiocardica con grandi trombi


murali. Si associa a eosinofilia periferica e infiltrati eosinofili in vari organi. Il rilascio di
sostanze tossiche da parte degli eosinofili (fra cui la proteina basica maggiore) porta a
necrosi endocardica, con conseguente cicatrizzazione, rivestimento dell’endocardio da
parte di un trombo e sua organizzazione.

Alcuni di questi pazienti hanno una malattia mieloproliferativa associata a riarrangiamento


dei geni PDGFR α o β, il quale produce geni di fusione codificanti per tirosin chinasi
PDGFR costitutivamente attive.
Questi vengono trattati con imatinib: si hanno regressione della endomiocardite e
remissione della patologia ematologica.

• Fibrosi endocardica: rara malattia cardiaca, a eziologia ignota, caratterizzata dallo


sviluppo di un ispessimento fibro- elastico (focale o diffuso) dell’endocardio parietale del
VS.
Più comune nei primi 2 anni di vita, è accompagnata in 1/3 dei casi da ostruzione valvolare
aortica o altre anomalie congenite.

Un diffuso coinvolgimento del cuore può portare a scompenso cardiaco e morte.

CARDIOPATIA ARITMOGENA DEL VD


È molto rara (prevalenza di 1:5000, vs 1:500 dell’ipertrofica).
È caratterizzata da una sostituzione fibroadiposa della parete del VD: infundibolo polmonare, apice,
regione postero laterale (queste 3 regioni formano una “V”). Il VD è sfiancato e dilatato.
Possono anche esservi alterazioni dei miociti, che appaiono ipo- o ipertrofici; talora si vedono foci
di infiltrati infiammatori e fibrosi.
Alla biopsia, i frustoli miocardici sono fortemente colpiti da sostituzione fibro-adiposa.

Non va confusa con l’adipositas cordis (normale infiltrazione adiposa all’apice del cuore). Si deve
trovare infiltrato infiammatorio accompagnato da fibrosi.

È causa di morte cardiaca improvvisa giovanile.


In rari casi (fino al 50-75% di alcune serie) colpisce anche il VS. Usando la RM, che è fra i mezzi
più sensibili per la diagnosi di alcune miocardiopatie, si vede che fino al 75% dei pazienti ha anche
alterazioni nel VS.

Genetica
Ci sono mutazioni nei geni che codificano per proteine del desmosoma (desmoplachina,
placoglobina, placofillina 2, desmocollina 2, desmogleina 2) identificate in circa il 40% dei pazienti
affetti.

Terapia
Morto importante la diagnosi precoce; alcuni arrivano al trapianto. L’impianto di un defibrillatore
può salvare la vita. Purtroppo talora esordisce dando morte improvvisa.

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Anatomia patologica
• Sostituzione fibro-adiposa dei miociti
• Alterazioni cardiomiopatiche dei miociti
o Ipertrofia
o Ipotrofia: miociti molto assottigliate
• Foci infiammatori (miocardite)
o Infiltrato infiammatorio

MALATTIE DEI CANALI IONICI

• Sindrome QT lungo
• Sindrome QT breve
• Sindrome di Brugada
• CPVT

Sono cardiomiopatie sine materia, in cui non si vedono alterazioni macroscopiche o microscopiche
a carico del cuore, che appare del tutto normale. Ci sono mutazioni diverse, in genere nel gene che
codifica per il canale del sodio (specie nella S. del QT lungo); la diagnosi è clinica, si fa in base ai
reperti ECG e all’individuazione dei geni mutati.
È causa di sincope e di morte improvvisa.
Importante è la storia familiare; serve individuare i soggetti affetti e fare prevenzione. Cruciale è
raccogliere una accurata anamnesi.

Alcune cardiomiopatie “saltano una generazione” pur essendo autosomiche dominanti: magari è il
nonno che è andato incontro a morte improvvisa prima dei 50 anni.
“Hic mors gaudet succurrere vitae” (spesso è scritto nelle sale di autopsia): l’autopsia diagnostica
può aiutare nella medicina preventiva. Non si applica ovviamente alle canalopatie, che sono sine
materia.

CARDIOMIOPATIE ACQUISITE
Miocardite e CMP infiammatoria
Miocardite: secondo i “vecchi” criteri di Dallas si fa diagnosi di miocardite in presenza di danno
dei miociti e di infiltrati infiammatori.
CMP infiammatoria/dilatativa: sono presenti alterazioni cardiomiopatiche e flogosi di entità
variabile (può anche essere assente).

La maggior parte delle miocarditi va incontro a guarigione; ci sono casi in cui invece (forse per
predisposizione genetica o altri fattori) si va incontro a cardiomiopatia dilatativa.
Spesso il paziente arriva già scompensato, con cardiomiopatia dilatativa, e non si trova né la
genetica né evidenza di infiltrato infiammatorio: non sappiamo se si tratta di forme genetiche
sconosciute (indagare familiarità) o altro…

Forme di miocardite
• Miocardite fulminante
Ø Insorgenza rapida in cuore prima sano
Ø Decorso spesso benigno
Ø Foci multipli di necrosi e flogosi (BEM)

• Miocardite eosinofila
Ø Rara

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Ø Spesso conseguenza di un farmaco (anche banalissimo, come un calcio-antagonista)
• Miocardite a cellule giganti
• Miocardite cronica attiva

Eziopatogenesi della miocardite


• Virale
• Altri agenti infettività
• Ipersensibilità ai farmaci
• Autoimmune
• Vaccinali? (Oggi non si ha neanche la certezza di un nesso causale)

Istotipi della miocardite


• Miocardite linfocitaria: importante infiltrato linfocitario (blu scuro in Ematossilina ed Eosina)
Ø Perlopiù di natura virale
Ø I miociti sono scompaginati
Ø C’è edema
Ø Non basta un linfocita: è stato stabilito un cut-off arbitrario di 7 linfociti/mm2 su biopsia
endomiocardica (BEM)
• Miocardite gigantocellulare
Ø Infiltrato infiammatorio misto
Ø Presenza di cellule giganti multinucleate
• Miocardite eosinofile
Ø L’infiltrato è essenzialmente eosinofilico
• Miocardite Li-Gran
• Sarcoidosi
Ø Granuloma
Ø Cellule giganti con i nuclei disposti alla periferia
Oggi sono molto rare le miocarditi da Toxoplasma gondii.

Mismatch: se si impianta un paziente CMV- con un organo CMV+, ci sono alte probabilità che il
paziente sviluppi l’infezione (anche perché dopo il trapianto il paziente andrà immuno-soppresso),
quindi miocardite. Oggi si individua il mismatch e si fa chemioprofilassi in caso, per cui le
miocarditi sono diminuite.

Diagnosi
L’immunoistochimica consente di individuare linfociti (CLA, CD3) e macrofagi (CD68); si usa
meno per gli HLA miocardici (l’espressione viene alterata in corso di miocardite).
Per la diagnostica dei virus, più che dell’immunoistochimica o dell’ibridazione in situ, ci si serve
della biologia molecolare (PCR).
La presenza di virus, nell’immunocompetente, non significa sempre miocardite.

Virus più frequentemente implicati


• Enterovirus
• Adenovirus
• Altri
Anche il CMV, in pazienti immunocompromessi, può sostenere una miocardite (es. miocardite da
citomegalovirus in paziente trapiantato di fegato per epatopatia HCV-correlata). Dopo trapianto, i
pazienti con HCV quasi sempre sviluppano reinfezione da CMV, e a volte questo sostiene anche
una miocardite.
Si vede un’enorme cellula endoteliale con pseudonucleolo: l’ibridazione in situ mostra infezione da
CMV umano.

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Miocardite neonatale: rara ma può capitare; si deve a infezione prenatale.

Biopsia endomiocardica (BEM)


Le indicazioni sono sempre più ristrette: l’80% delle BEM è oggi post-trapianto per la diagnostica
precoce del rigetto acuto cellulare (solo la BEM è utile alla diagnosi precoce del rigetto), si fa a 10-
15 giorni dal trapianto. Dopo i primi 3 e soprattutto 6 mesi, non si fa più la BEM (il rigetto ormai è
improbabile).
Indicazioni alla BEM
• Dopo trapianto cardiaco
• Sospetta miocardite/CMP infiammatoria
• Forme restrittive o ipertrofico-restrittive di incerta natura
• CMP refrattaria a terapia e non spiegata
• Severe patologie aritmiche di natura da determinare (dndd)
• Pazienti con diagnosi di CMP dndd in valutazione trapianto cardiaco: l’amiloidosi cardiaca non
si tratta più col trapianto (perché è una malattia secondaria, si ripresenterebbe sul nuovo cuore
allo stesso modo; es. forma AL da mieloma multiplo)
• Masse cardiache dndd: per dirimere il sospetto di tumore. Se la massa è endocavitaria, si può
biopsiare.

CARDIOMIOPATIE SECONDARIE
Cardiomiopatia ischemica?
Si è proposto di parlare di cardiomiopatia ischemica quando l’occlusione coronarica non è
abbastanza grave da giustificare i danni miocardici. Lasciamola da parte, non includiamola nella
classificazione.

Amiloidosi
È una malattia importante, spesso sottostimata. È sempre più importante, a causa
dell’invecchiamento della popolazione, la forma secondaria e la forma AL.

Classificazione
• Primaria: familiare autosomica dominante
• Senile
• Forme secondarie
Ø Amiloidosi AA
§ Infiammatoria
§ Reattiva
§ Secondaria a infiammazione cronica
Ø Amiloidosi AL
§ Deposizione di catene κ o λ delle Ig
§ Associata a malattie linfoproliferative (anche MGUS)
Ø Amiloidosi ATTR (da accumulo di transtiretina)
• Può essere
Ø Sistemica
Ø Cardiaca
Si osserva accumulo di materiale fibrillare di aspetto β-sheet. Con la colorazione con Rosso Congo,
in rifrangenza, si colora in verde. Ha distribuzione peri-vascolare o interstiziale.

L’ATTR (amiloidosi da accumulo di trans-tiretina) è su base genetica; se si diagnostica presto, si


può anche curare; l’anatomia patologica può fare diagnosi con immunoistochimica, ma serve poi
l’analisi genetica.

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Emocromatosi/emosiderosi
• Emocromatosi idiopatica
• Emosiderosi secondarie (talassemia major): si vedevano prima, oggi le terapie chelanti
prevengono queste forme secondarie.

Si osservano depositi miocitari


• Epicardici (prima)
• Miocardici
• Subendocardici

La deposizione avviene prima nei miociti del versante epicardico: la BEM (è prevalentemente
endocardica) è poco sensibile, rileva solo i casi avanzati. Importante la diagnosi, perché esistono
terapie chelanti.
La terapia chelante si fa con desferal, L2, nuove molecole.

Malattia di Fabry
Va sospettata, indagata, esclusa, in pazienti maschi con disfunzione renale e compromissione
cardiaca.
È dovuta al deficit dell’α-galattosidasi, che dà accumulo in alcuni organi (per primo il rene), fra cui
il cuore.

Alla BEM, si vedono i miociti “tarlati”. Il PAS-D (colorazione acido periodico e reagente di Schiff
dopo digestione con diastasi [digerisce il glicogeno]) mostra accumulo di sfingolipidi a forma
lamellare concentrica.

È una malattia X-linked: le manifestazioni grosse si hanno negli uomini. Un deficit parziale (come
nelle donne portatrici) può far sviluppare una cardiomiopatia in età più tardiva.

È importante diagnosticarla perché oggi esiste la terapia sostitutiva con α-galattosidasi ricombinante
(trasfettato il gene della a-Gal A umana nelle cellule di ovaio di criceto cinese).

Distrofinopatie
Non è difficile fare diagnosi di questo tipo di problema: insorge in pazienti in cui è nota la distrofia
muscolare del paziente.
Ci sono però forme, soprattutto di distrofia muscolare di Becker, in cui l’esordio può essere
cardiaco. È importante anche la diagnostica sul muscolo scheletrico periferico. La diagnosi, meno
invasivamente, si può fare non su BEM ma su biopsia muscolare periferica.

Disponiamo di mezzi isto-enzimatici (da applicare su materiale congelato in sezioni criostatiche,


mentre di solito il materiale si fissa in formalina e si include in paraffina, in quanto la fissazione
estrae o inattiva gli enzimi e noi vogliamo andare a valutare proprio l’attività di questi ultimi):
• valutazione della citocromo-ossidasi
• valutazione istoenzimatica per la distrofina
• anticorpi per la porzione -COOH ed -NH2-terminale e per la porzione intermedia della
distrofina.

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Cardiotossicità da adriamicina
La diagnosi si fa su base anamnestica (assunzione di adriamicina o altre antracicline).
Si manifesta come cardiomiopatia dilatativa, che ha una base genetica: attenzione a fare la giusta
diagnosi, altrimenti si avviano tutte le indagini inutili nei famigliari.
È dose-dipendente, e si conoscono le alterazioni precoci elettrocardiografiche: di solito oggi non si
arriva alla cardiotossicità.
In microscopia elettronica si vedono alterazioni del reticolo sarcoplasmatico (bubble cells), anche
se non sempre si vedono. A volte si vede solo miofibrillolisi.

La classificazione che abbiamo visto finora e su cui questa lezione si è basata è dell’AHA 2006.
Non tutti sono d’accordo: nel 2014, un gruppo di europei (fra cui molti italiani) ha proposto una
classificazione geno-fenotipica: MOGE(S) classification.
Questa classificazione vorrebbe incrociare il dato genotipico con quello fenotipico, formare registri
intercomunicabili, produrre una flow-chart diagnostico-terapeutica.

Tale approccio presente tuttavia dei limiti: la genetica non è semplice da individuare e da
interpretare (in una stessa famiglia, la stessa alterazione genetica può dare MCP ipertrofica o
dilatativa*).
*Forse è un problema di timing, perché il paziente si rivolge al medico quando percepisce rilevanti i
sintomi, ma a volte i sintomi non sono così evidenti all’esordio (a volte il primo segno è la morte
improvvisa!): la CMP, ipertrofica all’esordio, può diventare poi dilatativa.

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APPENDICE: CONCETTI RIASSUNTIVI

Classificazione delle cardiomiopatie -American Heart Association 2006- (in rosso quelle fatte
a lezione)
Cardiomiopatie primitive
Genetiche Miste
Cardiomiopatia ipertrofica Cardiomiopatia dilatativa
Cardiomiopatia aritmogena del ventricolo dx Cardiomiopatia restrittiva (non ipertr, non
dilat)
Cardiomiopatia del ventricolo sx non compatto Acquisite
Malattie da deposito di glicogeno Infiammatorie (miocarditi)
Difetti di conduzione Stress-correlate (Takotsubo)
Miopatie mitocondriali Periparto
Disordini dei canali Tachicardia-indotta
- Sindrome QT lungo, QT corto, di Brugada Bambini di madri diabetiche insulino-
dipendenti
Cardiomiopatie secondarie
Infiltrative Primaria (idiopatica): AL (MGUS) Cardiofaciali
Secondaria (reattiva): AA (infiammazione)
- Amiloidosi Ereditaria: ATTR (polineruopatia ereditaria); AA - Sindrome di Noonan, Lentiginosi
sistemica (febbre familiare ereditaria); forme rare

- Amiloidosi Cardiaca senile: ATTR (benigna)


In rosso quelle che interessano il cuore
locale
Da accumulo Neuromuscolari
- Emocromatosi - Atassia di Friedreich
- Malattia di Fabry - Distrofia muscolare (Becker, Duchenne…)
- Malattia di Pompe - Distrofia miotonica
- Niemann-Pick - Neurofibromatosi
- Sclerosi Tuberosa
Tossicità Deficit nutrizionali
- Droghe, metalli pesanti, agenti chimici
Endomiocardica Autoimmuni (granulomatosa)
-Fibrosi endomiocardica (tropicale) - LES, Dermatomiosite, AR, Sclerodermia,
-Endomiocardite di Loeffler (acq. o da Poliarterite nodosa
PDGFR mut.)
Infiammatoria (granulomatosa) Sbilancio elettrolitico
- Sarcoidosi e miocardite gigantocell.
idiopatica
Endocrina Conseguenze di chemioterapia (o
- DM, Iper/ipotiroidismo, iperparatiroidismo, radioterapia)
feocromocitoma, acromegalia - Antracicline
- Ciclofosfamide

Classificazione MOGE(S) 2014


Questo sistema incrocia il fenotipo della cardiomiopatia con la presenza di un’eventuale malattia
sistemica, tenendo conto della sua origine genetica o acquisita nota o sconosciuta e della sua
stadiazione secondo l’AHA e la NYHA.

(M)orfologia (O)rgani (G)eni coinvolti (E)ziologia (S)tadio


coinvolti

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TUMORI CARDIACI
I tumori primitivi del cuore sono rari; al contrario le metastasi cardiache si verificano in circa il
5% dei pazienti che muoiono di cancro.

In particolare le masse rinvenibili a livello cardiaco comprendono:


• Metastasi
• Tumori cardiaci primitivi benigni
• Tumori cardiaci primitivi maligni
• Masse non neoplastici (trombi)

È importante però tenere in considerazione che le cinque più comuni forme neoplastiche sono
benigne e si rendono responsabili del 80-90% dei tumori cardiaci primitivi.

L'elemento diagnostico fondamentale è rappresentato dall'ecocardiografia: con essa si ricava la


presenza di massa; a seguito sarà la RMN a consentire di identificare il pattern di crescita e di
vascolarizzazione della lesione.
Tuttavia non esistono metodiche non invasive per discriminare lesioni benigne da lesioni
maligne, e si rende necessario il prelievo bioptico e la successiva analisi istologica.
La definizione istologica è ovviamente fondamentale per la terapia e la prognosi.

METASTASI
Il tumore che più frequentemente può dare metastasi cardiache è il carcinoma polmonare.
Altri tumori primitivi in grado di dare metastasi a questo livello sono il melanoma, tumori
mediastinici, cancro mammario e il tumore del colon, anche se teoricamente tutti i tumori
possono metastatizzare al cuore.
Da un punto di vista epidemiologico, le metastasi sono la condizione di pertinenza oncologica
più frequente a livelio cardiaco, con rapporto di 100:l rispetto ai tumori primitivi.

TUMORI CARDIACI PRIMITIVI


I tumori cardiaci primitivi sono condizioni come abbiamo detto rare e tra essi le patologie
benigne sono estremamente più frequenti.
L'epidemiologia ci dice che l'istotipo più frequente in età pediatrica è il rabdomioma, mentre
in età adulta è molto più frequente il mixoma.
Tra i tumori maligni, invece, il più frequente è il sarcoma.

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Classificazione WHO
• Tumori benigni e lesioni simil-tumorali
o Mixoma → questo istotipo non ha controparte negli altri tessuti
o Rabdomioma
o Fibroma cardiaco o lipoma
• Tumori maligni
o Angiosarcoma o Fibrosarcoma
o Leiomiosarcoma
o Tumori del pericardio

1) TUMORI BENIGNI

Come tutti i tumori benigni sono caratterizzati da:


• Assenza di anaplasie
• Assenza di mitosi o mitosi rare
• Assenza di metastasi

Correlazioni cliniche
Nonostante le caratteristiche biologiche siano benigne, l'andamento clinico della lesione, per la
peculiare posizione, può essere assolutamente maligno.
Quindi il paziente potrà giungere ad osservazione per la presenza di sintomi di vario tipo; non
si riconoscono segni e sintomi specifici per un dato istotipo:
• Sindromi su base embolica
• Scompenso cardiaco, con prevalente dispnea
• Sintomi sistemici riconducibili ad una sindrome paraneoplastica
• Valvulopatie, per lesioni che si localizzano sulle valvole
• Aritmie, anche maligne

a) Mixoma
Sono i più comuni tumori primitivi del cuore degli adulti con un età media di incidenza attorno
ai 50 anni e con una prevalenza maggiore nel sesso femminile (2:1).
Macroscopicamente sono in genere singoli, ma raramente
possono presentarsi simultaneamente in forma multipla.
Appaiono come una massa gelatinosa giallastra di tessuto
mixoide, rossastra per la presenza di molti vasi, con una
base di impianto biancastra che classicamente si localizza a
livello dell' atrio sinistro sul setto IA (sebbene possa
interessare qualsiasi delle 4 camere).
La massa è peduncolata, villosa, con possibile
sovrapposizione trombotica. Possono raggiungere
dimensioni anche importanti fino a 10 cm → per questo il
loro significato clinico è spesso conseguenza dell'
ostruzione a palla che provocano a livello delle valvole.

Altro aspetto clinico importante è legato al fatto che possono dar luogo a frammenti
emboligeni, specie i mixami con aspetto villoso.

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Istologicamente è composto da cellule mixomatose poligonali che si organizzano attorno ai
vasi in cordoni solidi; non sono presenti mitosi.
Sono presenti numerose aree emorragiche per l'abbondante vascolarizzazione.

All' immunoistochimica il tumore appare positivo alla colorazione per:


• Calretinina
• Sl00
• CD3 l ---> marcatore endoteliale

Circa il 10% dei pazienti affetti da mixoma ha una sindrome familiare nota come
complesso di Carney: patologia a trasmissione AD caratterizzata da mixomi multipli a
localizzazione cardiaca e spesso extra-cardiaca (ad es. cutanea) con lesioni cutanee
pigmentate-e iperattività endocrina.

Il gene PRKARI, codificante una subunità regolatoria della chinasi c-AMP dipendente, è
mutato nella maggior parte dei pazienti con tale complesso.
L'asportazione chirurgica è in genere curativa; rara la recidiva.

b) Fibroelastoma papillifero
Sono strane lesioni, in genere incidentali, più spesso identificate in sede autoptica, sebbene
possano embolizzare e diventare clinicamente rilevanti.

Macroscopicamente essi formano una massa che può misurare diversi cm di diametro e che è
costituita da proiezioni piliformi lunghe fino a 1 cm: sono generalmente localizzati a livello
delle valvole ed in particolare a livello della superficie ventricolare delle valvole semilunari e
sulle superfici atriali delle valvole AV.

Istologicamente le lesioni sono ricoperte da endotelio, al di sotto del aule vi è un tessuto


connettivo mixoide ricco di abbondante matrice mucopolisaccaridica e fibre elastiche.

e) Altri tumori primitivi benigni


Tra essi alcuni possibili reperti occasionali in corso di chirurgia o autopsia quali:
• Cisti broncogena: a livello della parete libera del ventricolo destro si presenta come
una lesione cistica con epitelio cilindrico ciliato (quindi di tipo respiratorio).
• Noduli duri calcifici (a bersaglio) o valvular calcified amorphous tumors (VCAT)

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• MICE -, Tumori benigni di origine mesoteliale che possono simulare i mesoteliomi:
noduli piccoli di 1-2 cm in varie aree cardiache formate da istiociti e mesoteli.

d) Tumori in età pediatrica

Rabdomioma
Sono i più frequenti tumori cardiaci dell 'infanzia e vengono spesso scoperti durante il 1° anno
di vita come conseguenza dei suoi esiti ostruttivi.
Sono spesso associati alla sclerosi tuberosa causata da difetti in alcuni geni oncosoppressori:
possono associarsi sindromi epilettiche generalizzate sintomatiche, come la S. di West.

Cresce in età fetale e progredisce fino alla 32esima settimana di vita fetale, per poi regredire
spontaneamente (si tratta in pratica di un amartoma); per questo, a meno che non crei alla
nascita gravi turbe emodinamiche, non rappresenta una indicazione alla chirurgia.

Macroscopicamente si presentano come masse miocardiche grigio-biancastre di piccole


dimensioni che possono arrivare ad alcuni cm di diametro. Sono in genere multipli e
coinvolgono preferenzialmente i ventricoli, spesso protrudendo nelle camere cardiache.

Istologicamente sono composti da bizzarri miociti molto ingranditi; l'abbondante citoplasma


miocitario assume spesso la forma di trame o trecce sottili che collegano la membrana
citoplasmatica ai nucleo, spiegando così il nome di "spider cells" dato a questi miociti.

Fibroma
Tumore benigno molto infiltrativo tanto da determinare bassa sopravvivenza in età neonatale
per problemi cardiaci fino allo scompenso cardiaco.
Istologicamente si tratta di tessuto fibroso poco cellulato.

Teratoma
Amartoma caratterizzato dalla presenza di tutti e tre i foglietti embrionali. Interessa soprattutto
la base del cuore.

Emangioma
Tumore benigno che può associarsi ad aritmie. All'immunoistochimica abbiamo CD34, CD31,
AML (actina muscolo liscio), D2-40 (marcatore dei vasi linfatici perché gli emangiomi
possono essere costituiti anche da vasi linfatici, oltre che sanguigni).

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Lipomi e ipertrofia lipomatosa
Tumori benigni localizzati, ben circoscritti composti da cellule adipose mature che possono
presentarsi nel sub-endocardio, sub-epicardio o miocardio.
Possono essere asintomatici, produrre ostruzioni valvolari a palla o aritmie.
Tali accumuli sono spesso localizzati nel ventricolo sinistro, nell'atrio destro o nel setto inter-
atriale e non sono necessariamente di natura neoplastica.
Nel setto IA, sono talvolta presenti depositi adiposi non neoplastici che prendono il nome di
"ipertrofia lipomatosa".

2) TUMORI MALIGNI
In RMN si riconoscono alcune caratteristiche di malignità quali l'emorragia e la tendenza
all'infiltrazione.

a) Sarcoma
Responsabili del 10% dei tumori cardiaci primitivi.
Questi tumori sono molto disomogenei, anche nel contesto della stessa massa, da un punto di
vista sia istologico sia molecolare.

Angiosarcoma
Più frequente tra i sarcomi.
La sede più frequente è l'atrio destro, così come la sua controparte benigna (emangioma).
Il più delle volte sono diagnosticati in fase metastatica, in particolare al polmone (per via ematogena
tramite l'arteria polmonare), per cui la prognosi è sfavorevole.
All'istologia è caratterizzato da vasi con lacune molto irregolari con molte atipie cellulari.

Rabdomiosarcoma
Tumore di differenziazione muscolare scheletrica. I marcatori muscolari scheletrici del tumore
sono la desmina, la miogenina (che è un marcatore nucleare dei miociti del muscolo
scheletrico), AMSp. Gli istotipi sono gli stessi di tutti gli angiomiosarcomi periferici.

Leiomiosarcoma
Uno dei due marcatori specifici è l'actina muscolo liscio (AML). Nasce dalla parete dell'arteria
polmonare perché il cuore è tutto muscolo scheletrico, mentre i vasi come l'arteria polmonare
sono ricchi di cellule muscolari lisce

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Nei sarcomi è importante il grading (3 gradi: ben differenziato, moderatamente
differenziato, scarsamente differenziato), che si basa sulla differenziazione della cellula, la
necrosi, la presenza di mitosi e il numero di mitosi.
Il sarcoma sinoviale è ritenuto di grado 2, mentre il sarcoma pleomorfo (anaplastico, poco
differenziato) è di grado 3.
I tumori progressivi sono quelli con grading più elevato. Talvolta è necessaria la FISH o la
PCR per la diagnosi differenziale dei sarcomi.

SCHEMA RIASSUNTIVO : Classificazione dei tumori cardiaci

Benigni Maligni
Mixoma Angiosarcoma
Rabdomioma Fibrosarcoma e fibrosarcoma mixoide
Rabdomioma dell’adulto Rabdomiosarcoma
Fibroma Leiomiosarcoma
Fibroelastoma papillare Sarcoma sinoviale
Lipoma Liposarcoma
Tumore miofibroblastico infiammatorio Sarcoma pleomorfo indifferenziato
Tumore cistico del NAV Linfoma cardiaco
Emangioma Emangioendotelioma epitelioide
Cardiomiopatia istiocitoide
Amartoma a cardiomiociti maturi

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ARTERIOSCLEROSI
Arteriosclerosi significa letteralmente indurimento delle arterie; è un termine generico che descrive
l’inspessimento e la perdita di elasticità delle pareti arteriose.
Esistono tre quadri fondamentali:
• Arteriolosclerosi ialina e iperplastica che coinvolge le aa di piccolo calibro e le arteriole
• Sclerosi della media di Monckeberg (presenza di depositi calcifici in soggetti con età
>50aa che possono andare incontro a trasformazioni metaplastiche in tessuto osseo, in
genere non si aggettano verso il lume vasale e non sono clinicamente significative).
Coinvolge le arterie di medio e piccolo calibro che coinvolgono gli arti
• Aterosclerosi: coinvolge le aa muscolari ed elastiche con la formazione di placche intimali.

ARTERIOLOSCLEROSI
L’ipertensione è associata a due forme di alterazione dei vasi di piccolo calibro

1) Arteriolosclerosi ialina: provoca stenosi concentrica del lume vasale. Si ha aumento dello
spessore della parete su tutta la circonferenza del vaso
E’ caratterizzata da un inspessimento omogeneo, roseo-eosinofilo, ialino delle arteriole con
restringimento del lume.
Queste alterazioni sono determinate dalla fuoriuscita di proteine plasmatiche (sostanza amorfa,
omogenea PAS+ che si deposita a partire dalla regione sotto endoteliale per poi estendersi a tutti gli
strati) attraverso le cellule endoteliali e da una aumentata sintesi di matrice delle cellule muscolari
lisce in risposta a stress emodinamico cronico.
Frequentemente osservata in soggetti anziani normotesi o ipertesi, l’aterosclerosi ialina è più grave
nei pz ipertesi.
Le stesse lesioni sono anche una caratteristica comune della microangiopatia diabetica nella quale
l’eziologia è una disfunzione delle cellule endoteliali indotta dalla iperglicemia.
Nella nefrosclerosi dovuta a ipertensione cronica il restringimento arteriolare associato
all’arteriolosclerosi ialina provoca una riduzione globale dell’apporto ematico renale e
cicatrizzazione glomerulare.

2) Arteriolosclerosi iperplastica: colpisce le arterie di piccolo calibro e si riscontra in casi di


ipertensione severa maligna.
Si ha un inspessimento concentrico e laminare delle pareti delle arteriole, con restringimento del
lume. Più il lume si restringe, più il processo è diffuso e rapido, e più si ha formazione di ischemia a
valle (che sarà anche più estesa, a seconda del numero di vasi coinvolti).

Fondamentale è, dal punto di vista morfologico, il fatto che i vari strati della parete divengano
irriconoscibili alla sezione trasversale istologica. Si ha sostituzione degli strati da parte di una
proliferazione disorganizzata di cellule muscolari lisce, con disposizione classica a bulbo di
cipolla. Più si ha sovrapposizione di strati, più si avrà ispessimento, e più la stenosi sarà marcata.
Le lamelle sono costituite da cellule muscolari lisce con una membrana basale inspessita e
duplicata.
Si associa ad aumento del collagene extracellulare, deposito di GAG, aumento del collagene
intracellulare. Tutto ciò contribuisce all’aumento dello spessore parietale.

Nell’ipertensione maligna queste modificazioni sono accompagnate da depositi di tessuto fibrinoide


e da necrosi nelle pareti dei vasi (arteriolite necrotizzante). In particolare nel rene tale processo è
alla base della nefropatia ipertensiva maligna, che si può osservare alla biopsia, estraendo una
porzione di tessuto e all’esame istologico si osservano gli elementi suddetti.

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3) Arteriolite necrotizzante: associata ad ipertensione maligna.
Coinvolge prevalentemente il surrene, la colecisti, il pancreas, l’intestino e il rene, in cui provoca la
nefropatia ipertensiva maligna.
È tipica delle arteriole con inspessimento della parete per deposito di proteine plasmatiche come
fibrinogeno che si trasforma in fibrina fino ad arrivare al quadro di necrosi fibrinoide. Si ha un lume
ridotto e la parete inspessita.
Il tutto è aggravato dall’insorgere del processo infiammatorio: al MO e sfruttando delle tecniche di
immunistochimica nella parete si evidenziano fibrina, cellule linfomonocitarie e granulociti
neutrofili
Alla biopsia il lume arteriolare non è osservabile, ma solo la parete, essendo totalmente occluso,
impedendo il passaggio del sangue.

Patologia ipertensiva
Nella patogenesi della ipertensione concorrono vari fattori
tra cui:
• Regolazione dei normali valori pressori: la
pressione cardiaca è proporzionale alla gittata
cardiaca e alle resistenze vascolari periferiche,
variabili influenzate da fattori genetici, ambientali e
demografici
o Sistema RAAS
o Sostanze prodotte dal rene con effetto
vasodilatatorio e anti-ipertensivo
o Volume ematico ridotto e abbassata
frazione di filtrazione con aumento del
riassorbimento del sodio
o Fattori natriuretici come il peptide
natriuretico secreto dal cuore (miocardio
atriale e ventricolare) in risposta
all’espansione del volume circolante
• Meccanismi dell’ipertensione essenziale
o Fattori genetici specie riguardanti il bilancio
del sodio es geni che codificano per il bilancio dell’aldosterone
o Mutazione delle proteine del riassorbimento sodico es sindrome di Liddle con
mutazioni del canale per il Na con maggiore riassorbimento distale indotto da
Aldosterone.
o Geni che riguardano il sistema RAAS
o Stimoli vasocostrittori
o Fattori ambientali come stress, fumo, obesità, inattività fisica e consumo eccessivo
di sale.
ATEROSCLEROSI
L’aterosclerosi è legata a lesioni intimali dette ateromi chiamate placche ateromatose o fibroadipose
che protrudono all’interno del lume vasale.
Le placche ateromatose consistono in una lesione dotata di un nucleo molliccio e giallastro, ricco di
lipidi (principalmente esteri del colesterolo e colesterolo) ricoperta da un solido cappuccio fibroso
bianco.
Oltre ad ostruire il flusso ematico le placche aterosclerotiche possono rompersi causando trombosi
dei vasi. Possono inoltre indebolire la media sottostante e portare alla formazione di aneurismi.
L’aterosclerosi è tra tutte le malattie al primo posto tra le cause di morbidità e morbilità.

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Epidemiologia
È ubiquitaria tra le popolazioni più sviluppate e ha una prevalenza molto elevata negli Stati Uniti
dove ha una incidenza 5 volte maggiore che nel Giappone. Giapponesi emigrati negli USA che
adottano lo stile di vita e le abitudini alimentari locali acquistano una maggiore predisposizione a
sviluppare la malattia aterosclerotica.
La prevalenza e la gravità dell’aterosclerosi sono collegate a diversi fattori di rischio: alcuni sono
costituzionali, altri sono acquisiti o collegati al comportamento e possono essere modificati. I fattori
di rischio sono stati individuati nel corso di numerosi studi prospettici. Quando tre fattori sono
presenti contemporaneamente (iperplipidemia, ipertensione e fumo) la frequenza di infarto aumenta
di 7 volte.

Fattori di rischio
• Fattori di rischio costituzionali
o Età avanzata
o Sesso: a parità di fattori le donne in età pre-menopausale sono meno soggette a
aterosclerosi, dopo la menopausa l’incidenza dell’aterosclerosi aumenta e supera
quella degli uomini (studi clinici non hanno dimostrato l’utilità della tp ormonale
sostitutiva al fine della prevenzione della pg vascolare)
o Fattori genetici (eredità poilgenica)
o Anomalie congenite

• Fattori di rischio modificabili


o Iperlipidemia; in particolare aumento delle LDL e diminuzione delle HDL.
Importante quindi attività fisica regolare, diminuzione del consumo di grassi saturi
e alcol per la prevenzione. Se il colesterolo è > di 256mg/ml il rischio aumenta. I
valori consigliati sono < 200mg/ml
o Ipertensione con 160/95 il rischio aumenta di 5vv
o Fumo di sigaretta
o Diabete mellito
o Alcool
o Microrganismi patogeni

Circa il 20% si verifica in assenza di iperlipidemie, ipertensione, fumo o diabete.


- Infiammazione: tra i numerosi marker circolanti un ruolo importante è svolto dalla CRP
(proteina di fase acuta prodotta dal fegato); svolge un ruolo verso l’opsonizzazione batterica
e l’attivazione della cascata del complemento.
Quando viene secreta dalle cellule all’interno dell’intima può attivare delle cellule
endoteliali locali, indurre uno stato pro-trombotico e aumentare il livello di adesività dei
leucociti all’endotelio. Se secreta dalle cellule nella lamina aterosclerotica attiva le cellule
endoteliali locali con induzione di stato pro-trombotico e aumento del livello di adesività per
i leucociti. È marker predittivo di infarto del miocardio, ictus, malattia arteriosa periferica e
morte cardiaca improvvisa.
- Iperomocisteinemia, può essere dovuta a scarso apporto di folati e vit B12
- Sindrome metabolica: insulino-resistenza associata a ipertensione, obesità centrale.
Un’anomala segnalazione a livello dei tessuti adiposi è stata proposta come causa.
- Lipoproteina a : alterata forma di LDL che contiene APO B-100 legata all’apolipoproteina
A. aumenta il rischio di pg coronarica e cerebrovascolare
- Fattori che influiscono sull’omeostasi: numerosi marker dei processi di emostasi e/o
fibrinolisi
- Altri: associati con rischio minore e mancanza di esercizio con stile di vita competitivo e
stressante associato obesità.

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- Infezioni da Chlamydia e CMV
- Obesità
- Omocistinuria
- Carenza estrogenica post-menopausale
- Stile di vita stressante

Patogenesi
1) Ipotesi della reazione al danno
L’aterosclerosi è una risposta infiammatoria cronica e riparativa della parete arteriosa a un danno a
carico dell’endotelio. Inoltre la progressione della lesione avviene per via delle continue interazioni
tra le lipoproteine modificate, macrofagi derivati dai monociti, linfociti T e i normali costituenti
cellulari della parete arteriosa.

- Danno endoteliale: perdita endoteliale secondaria a qualsiasi tipo di lesione, da ricordare


che è fondamentale per la regolazione dell’omeostasi. Determina inspessimento intimale e,
in presenza di diete ad alto contenuto lipidico, sviluppo tipico di ateroma.
Le lesioni precoci originano, nell’uomo, in sedi dotate di un endotelio morfologicamente
indenne. Le cellule endoteliali con disfunzione presentano un aumento della permeabilità
dell’adesione leucocitaria e alterazioni nell’espressione genica.
Alla base delle disfunzioni ci sono ipertensione, iperlipidemia, tossine del fumo di sigaretta,
omocisteinemia, agenti infettivi e citochine infiammatorie che come il TNF stimolano
l’espressione di geni in grado di promuovere l’aterosclerosi. Le principali cause delle
disfunzioni sono comunque le alterazioni emodinamiche e l’ipercolesterolemia

- Accumulo di lipoproteine
Le principali cause che portano a dislipoproteinemia sono
o Aumento dei livelli di colesterolo LDL
o Riduzione livelli di colesterolo HDL
o Aumento di LPa
Nella placca i lipidi principali sono colesterolo e esteri del colesterolo. Le patologie che
alterano il metabolismo delle lipoproteine portano all’aterosclerosi in tempi accelerati.
Abbassare i livelli di colesterolo rallenta l’aterosclerosi.
L’iperlipidemia cronica compromette direttamente la funzione endoteliale attraverso la
produzione di radicali liberi dell’ossigeno i quali danneggiano i tessuti e accelerano
l’inattivazione dell’ossido di azoto riducendone l’attività vasodilatatoria.

- modificazione delle lipoproteine I lipidi vengono ossidati nell’intima per l’effetto dei ROS
e le LDL ossidate sono captate dai recettori scavenger e si accumulano nei fagociti a
formare delle cellule schiumose. I ROS sono inoltre citotossiche per cellule endoteliali e
muscolari lisce.

- Adesione dei monociti all’endotelio seguito da loro migrazione nell’intima con


trasformazione dei macrofagi in cellule schiumose. Le LDL ossidate delle cellule schiumose
aumentano l’attivazione dei macrofagi e la produzione di citochine provocando un ulteriore
incremento di adesione dei leucociti e produzione di chemochine che contribuiscono come
la proteina chemiotattica per i linfociti ad un ulteriore incremento dell’adesione dei leucociti
dando luogo a uno stimolo per il reclutamento delle cellule infiammatorie mononucleate. I
linfociti T reagiscono con i macrofagi determinando uno stato infiammatorio cronico.
Producono delle citochine come il INF-gamma che possono stimolare macrofagi, cellule
endoteliali e muscolari lisce

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- Adesione piastrinica
- Liberazione dei fattori delle piastrine attivati dai macrofagi e dalle cellule vascolari che
causano un reclutamento delle cellule muscolari lisce da parte della tonaca media o di
precursori circolanti.
I leucociti attivati e le cellule della parete vascolare rilasciano i fattori di crescita che
promuovono la proliferazione delle cellule muscolari lisce.

- Ruolo dei linfociti si ha liberazione di IL-8 e IL-6 principalmente che autoalimentano


l’infiammazione
- Proliferazione delle cellule muscolari lisce e produzione di ECM. La stria lipidica si
trasforma così in ateroma maturo. Tra i fattori di crescita responsabili della proliferazione
delle cellule muscolari ricordiamo PDGF (rilasciato dalle piastrine localmente aderenti,
macrofagi, cellule endoteliali e muscolari lisce), FGF, TGFalfa. Le cellule muscolari lisce
reclutate sintetizzano quindi ECM (soprattutto collagene che stabilizza le placche
aterosclerotiche). Le cellule infiammatorie attivate possono anche provocare apoptosi delle
cellule muscolari lisce dell’intima accelerando il catabolismo della ECM.
- Accumulo di lipidi sia all’interno delle cellule sia nello spazio extracellulare.

Nelle placche aterosclerotiche sono state anche ritrovati HSV, Chlamydia pneumoniae non presenti
nelle arterie normali. In aterosclerosi gravi sono stati ritrovati anche elevati titoli anticorpali contro
C. pneumoniae.
Poiché la bronchite dovuta a questo agente è spesso associata anche al fumo queste osservazioni
sono rese dubbie.
Tuttavia gli antigeni estranei di questi microrganismi potrebbero potenziare la crescita dell’ateroma
attraverso l’innesco di una risposta immunitaria o stato protrombotico a livello locale.

Con la progressione della patologia, il connettivo prominente sull’intima forma un cappuccio


fibroso, molte placche tuttavia conservano un nucleo centrale ricco di lipidi e residui grassi che
possono calcificare. È possibile quindi che la placca vada ad aggettarsi progressivamente verso il
lume vasale. La rottura del cappuccio fibroso può portare alla trombosi e alla occlusione vascolare
acuta.

Morfologia
- Macchia lipidica: lesione di tipo I: solo macrofagi e cellule schiumose, sono lesioni piccole
e microscopiche
- Strie lipidiche: lesione di tipo II
- Lesioni di tipo III: si tratta di lesioni che hanno la morfologia della stria lipidica alla quale si
associa la presenza di lipidi extracellulari. Si sviluppano a partire dai 30aa
- Lesioni di tipo IV: ateroma: caratterizzato dalla presenza di lipidi extracellulari, macrofagi e
cellule schiumose
- Lesione di tipo V: placca fibroateromasica: presenta un deposito centrale lipidico sempre più
grande demarcato da un cappuccio fibroso, ai bordi si ha la componente cellulare
rappresentata dai macrofagi schiumosi
- Lesione di tipo VI: placca fibroateromasica complicata, si tratta di una lesione di tipo V con
lesioni come fissurazione, frattura, rottura, ulcerazione e presenza di cappuccio fibroso

• Macchia lipidica: se noi la vedessimo ad occhio nudo (ma è difficilmente visibile) o con il
microscopio, facendo dei piccoli prelievi su questa arteria, osserveremmo una piccola
macchiettina, proprio a livello sub-microscopico, una piccola chiazzetta giallognola dovuta
al deposito nel connettivo di piccole quantità di lipidi che però sono situati, soprattutto
nelle fasi iniziali, dentro ai macrofagi schiumosi.

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Le superfici di queste macchioline giallastre, che si possono vedere sulla superficie interna
dell’arteria, sono di solito lisce, hanno dei limiti ben netti e un diametro molto limitato; se
rimanesse così…à l’ideale sarebbe, anche da un punto di vista di approccio terapeutico,
iniziare una terapia già in queste fasi affinchè le cose rimangano così per altri 60 anni, ma
purtroppo non è così. Quando queste macchiette si accumulano, si associano, si
raggruppano una sull’altra formano la stria lipidica.
• Stria lipidica: è la lesione di tipo 2 che abbiamo visto prima. Oltre ai lipidi, se la studiamo
istologicamente, possiamo riscontrare dei linfociti (piccoli agglomerati di linfociti che se
noi andiamo a caratterizzare dal punto di vista immunoistochimico sono linfociti di tipo
T), una sostanza fondamentale ricca di glicosaminoglicani, fibre collagene e fibre
elastiche; questo è quello che possiamo osservare se utilizziamo indagini istologiche e
immunocitochimiche.

2) Teoria dell’iperplasia intimale


L’altra teoria è quella dell’iperplasia intimale: un ispessimento intimale che provoca stenosi
concentrica lungo il tratto del vaso.
È una stenosi di tipo concentrico, quindi che coinvolge tutto il vaso, che inizia con la perdita di
piccole quantità di endotelio, con piccole lesioni endoteliali in corrispondenza delle quali si ha la
migrazione, dalla media all’intima, di fibrocellule muscolari lisce, quasi come un tentativo di
riparare le piccole lesioni che avvengono sull’endotelio stesso; conseguentemente, si ha una
proliferazione delle fibrocellule muscolari lisce migrate verso la superficie, le quali producono
anche alcune sostanze: GAG, proteine della matrice, collagene.
Si ha quindi la trasformazione delle fibrocellule muscolari lisce in macrofagi lipofagici e, in base
alla fase che noi osserviamo, possiamo avere la trasformazione in placca fibrosa o in placca fibro-
ateromasica.

Queste sono un po’ le due teorie che vengono portate avanti riguardo alla formazione delle placche
fibroateromasiche: quest’ultima ha come primum movens la perdita di piccole quantità di endotelio
con conseguente proliferazione delle fibrocellule muscolari con tutta la conseguenza degli anni fino
ad arrivare alla formazione delle placche, l’altra parte invece dalle macchie lipidiche à strie
lipidiche e così via.

Aspetto morfologico e tipi di placche


1) Placca fibrosa
E’ la lesione elementare tipica e fondamentale nell’aterosclerosi. Si possono ritrovare lungo tutto il
tratto dell’albero arterioso, con particolare importanza nel tratto aortico o coronarico.

È un ispessimento intimale rilevato, quindi se noi apriamo l’arteria vediamo che è presente un
rilevamento.
Ha alcune caratteristiche:
- è una lesione focale (sono placche disperse focalmente su tutta la superficie dell’arteria),
- ha limiti netti,
- ha un colorito variabile in base alla fase in cui andiamo a valutarla (dal bianco perlaceo al
bianco-grigiastro)
- consistenza dura alla palpazione (come in tutte le aree fibrotiche si ha un aumento di
consistenza)

Le placche fibrose coinvolgono prevalentemente le arterie muscolari e danno stenosi concentrica


del lume, quindi danno un restringimento esteso su tutta la circonferenza del vaso.

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Microscopica
Si può studiare andando a operare un prelievo a livello della lezione, con una sezione trasversale,
allestendo un vetrino istologico. Si osserva:
• un accumulo di fibrocellule muscolari lisce le quali, una volta che si possono trasformare,
diventano elementi che possono sintetizzare alcune sostanze.
• accumulo eterogeneo di cellule mononucleate (monociti, linfociti, istiociti etc)
• deposito di fibre collagene
• possibile slaminamento della membrana elastica interna.

Aspetti istologici e morfologici secondari: meno importanti rispetto a quello che abbiamo appena
detto, possono essere
o depositi lipidici extracellulari (al di fuori dei macrofagi) con formazione di cristalli di
colesterolo.
o è presente una variante della placca fibrosa, la placca fibrogelatinosa: si chiama così perché
contiene abbondanti depositi di GAG (che sono quelli che possono produrre, come abbiamo
visto prima, le fibrocellule muscolari lisce) e sali di calcio, importanti perché possono dare
complicanze e calcificare la placca stessa.

Distribuzione per età e sede


a) infanzia, in le placche fibrose si riscontrano raramente, ma mettono il paziente a rischio di
morte improvvisa durante tutto il corso della sua vita a causa della stenosi coronarica.
b) Giovani adulti, dove queste lesioni si riscontrano in aorta. Tali pazienti spesso muoiono per
altre cause e le placche sono rinvenute durante l’esame autoptico.

2) Placca fibro gelatinosa


A livello di questo tipo di lesione si hanno:
- abbondanti depositi di glicosamminoglicani
- frequente deposito di sali di calico: di conseguenza questo tipo di placca va incontro
frequentemente a una complicanza, cioè la calcificazione, apprezzabile all’esame istologico
ma anche, soprattutto se ingenti, alla palpazione della parete arteriosa.

3) Placca fibroateromasica
Sono un ispessimento, anch’esso piuttosto circoscritto (una lesione focale), dell’intima che va da
pochi mm ad alcuni cm. Interessano non tutta la circonferenza come la placca fibrosa che abbiamo
visto prima, ma solo una sua parte.
Ovviamente lo spessore dipende dalla quantità di tempo intercorsa tra l’inizio del processo
patogenetico di formazione della placca alla scoperta della lesione/exitus e riscontro autoptico nel
paziente: quanto precocemente vengono a essere scoperte rispetto al tempo di insorgenza, quanto
più saranno piccole, viceversa se vengono tardivamente scoperte, tenderanno gradualmente a
assumere nel tempo dimensioni sempre maggiori
E’ sicuramente la più importante, anche per le complicanze che ne possono derivare.

Sedi
• a livello dell’aorta addominale
• a. coronarie
• a. femorali e poplitee
• arterie carotidi interne
• poligono del Willis

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Il restringimento del lume vasale, con conseguente diminuzione del flusso a valle della lesione,
provoca ischemia e necrosi ischemica del territorio perfuso da quel vaso, con conseguenze cliniche
diverse a seconda del vaso e territorio irrorato.

Caratteristiche
- la consistenza appare aumentata e compatta
- ha un colorito bianco-giallastro ma soprattutto nella parte centrale (e questo è importante)
sono giallastre e molli perché è presente un importante core lipidico Al taglio con il bisturi,
trasversale, alla metà della lesione, si distinguono:
1) una parte centrale, molle e giallastra, che costituisce il core lipidico della lesione, che ha
la consistenza poltacea tipica dell’ateroma. Vi è una componente necrotica. L’aspetto
macroscopico e la consistenza sono dunque diverse a seconda degli strati.
2) Il core lipidico è circondato da un cappuccio fibroso. Più tale cappuccio è sottile, più si
ha rischio di rottura e complicanze. Più è spesso, più presenta resistenza alla spinta
pressoria e al flusso ematico.

Microscopica
Istologicamente, immaginiamo di fare una sezione trasversale dell’ateroma, si opera un prelievo e
si allestisce il preparato istologico:
• Per quanto riguarda l’ateroma, ossia il core della placca, vi si ritrovano detriti cellulari,
quindi si avrà una consistenza minore, costituito da lipidi, colesterolo e esteri del
colesterolo, proteine plasmatiche.

• Ai bordi dell’ateroma (NB area più frequentemente soggetta a particolari tipi di lacerazione)
si ritrovano cellule:
- Macrofagi schiumosi e lipofagici (lì il colesterolo è dentro al macrofago)
- linfociti T ( tipizzabili e riconoscibili come tali tramite immunoistochimica)
- fibrocellule muscolari lisce
- macrofagi pigmentati (il pigmento è costituito dall’emosiderina, dal momento in cui essi
fagocitano lo stravaso di sangue microemorragico intraplacca, frequente se si pensa che i
neovasi che si formano a tale livello sono molto fragili)
- cellule giganti multinucleate
- vasi neoformati, deboli e fragili a livello parietale: questo può portare a rottura degli stessi
con formazione di un’emorragia intraplacca, complicanza importante, perché fa sì che
aumenti sempre più il volume della placca, con possibile rottura o restringimento ulteriore
del lume vasale.

Concetto di placca stabile o vulnerabile/ instabile

1) La placca stabile è una placca prevalentemente fibrosa (più lo è e più stabile e resistente è)
- provoca stenosi concentrica del lume del vaso
- presenta uno spesso cappuccio fibroso, che la protegge e trattiene il materiale contenuto
all’interno.
Le conseguenze sono meno drammatiche (anche se le conseguenze alla fine sono tutte
drammatiche) di quelle relative alla placca instabile o vulnerabile.

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2) La placca instabile o vulnerabile è più importante clinicamente, può provocare l’insorgenza di
improvvise e gravi lesioni complicate e la presenza di lacerazioni che possono portare alla rottura e
a tutta una concatenazione di eventi che può portare alle complicanze che vedremo.
- Sono placche fibroateromasiche, che si presentano soprattutto in corso di aterosclerosi
- Provocano una stenosi eccentrica, non si ha interessamento di tutta la circonferenza del
vaso
- Sottile cappuccio fibroso, costituito da una piccola membrana sottile, che rende la placca
più vulnerabile, poiché è più facile che sotto la spinta della pressione ematica si abbia rottura
(anche perché spesso queste lesioni si riscontrano in pazienti ipertesi).
- Al di sotto del sottile cappuccio, si ha un ampio ateroma, in cui si ritrovano macrofagi
schiumosi, un ricco infiltrato di linfociti T e cellule linfo-monocito macrofagiche (istiociti e
macrofagi). Le cellule sono riconoscibili e tipizzabili all’esame istologico previa
immunoistochimica.

Complicanze delle placche stabili e instabili

Le placche stabili sono gravate da una minor probabilità di sviluppo di complicanze.


La più importante complicanza delle placche stabili è la stenosi progressiva del lume, che si attua
in anni o decenni, visto il progressivo accrescimento della placca, che provoca un restringimento
concentrico, quindi lungo tutta la circonferenza del lume vasale. Più la stenosi si instaura in maniera
progressiva e lenta, più è possibile per l’organismo attuare dei meccanismi di compenso.
Clinicamente possiamo avere:
- Angina da sforzo, dovuta al fatto che, vista la stenosi e la riduzione di flusso a valle della
placca, in caso di aumento delle richieste metaboliche da parte del tessuto miocardico,
l’apporto ematico si dimostrerà insufficiente. Questo darà luogo all’episodio precordiale
doloroso, che cessa a riposo, in quanto la richiesta metabolica ritorna normale e il flusso a
valle del segmento stenotico ritorna a essere sufficiente.
- Cardiomiopatia/ encefalopatia ischemica cronica. In questi casi abbiamo numerosi vasi
colpiti dalla patologia, che già di per sé è diffusa. Si hanno restringimenti in numerosi
distretti, che provocheranno conseguenze cliniche diverse a seconda del distretto interessato
( ad es. le possiamo trovare anche a livello degli arti inferiori).

La placca instabile, invece, dà delle sindromi cliniche acute (l’altra dà delle sindromi più
croniche), dall’angina instabile (il paziente avverte dolore precordiale anche in fase di riposo) fino a
vari tipi di infarti, ed es. miocardico, gangrena a livello degli arti inferiori, ictus, infarto intestinale
ecc..
La patogenesi di queste complicanze è da imputare alla rottura del sottile cappuccio fibroso che
ricopre la placca, che fa sì che la placca sia più vulnerabile, con tutta una serie di complicanze di cui
la più grave è l’infarto.

Altre complicanze, più importanti

1) Calcificazione della placca, ossia la deposizione di sali di calcio nel corso del tempo sotto
forma di squame o lamine dure o friabili (di consistenza simile al guscio d’uovo) a livello della
placca.
Sono ben evidenziabili dal momento in cui si siano formate nel corso di un lasso di tempo ampio,
altrimenti sono evidenziabili microscopicamente. Al taglio, la lama del bisturi o del microtomo si va

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a rompere, vista la durezza del materiale calcifico, e alla palpazione si possono sentire le lamelle di
Sali di calcio.
Aspetto importante, anche dal punto di vista patogenetico, vi è una stretta relazione tra
calcificazione e infiammazione: laddove vi sia calcio, vi è la presenza di cellule infiammatorie,
soprattutto nell’interfaccia tra le due zone (ossia quella di calcificazione e infiammazione).
Questo è un sito ideale di rottura del cappuccio fibroso, in quanto le lamelle calcifiche possono
estroflettersi sulla superficie esterna, soprattutto nei punti di debolezza della placca.
Quindi una placca fibroateromasica si può sempre rompere, ma è più facile che si rompa quando vi
è questa successiva complicanza, cioè il deposito di queste lamine di calcio sulla placca stessa;
questo (al di sotto della lamina calcifica) diventa un punto dove il sangue, sotto la pressione
arteriosa, può entrare ed aprire la placca.

2) Fissurazione e rottura, ulcerazione e formazione di flap.


I flap sono strutture lamellari che si formano a livello del punto di rottura della placca: una parte il
cappuccio, da un lato, si stacca dall’intima, mentre dall’altro capo rimane in continuità con essa ( il
lembo aderente rimane ben adeso alla placca).
Dal momento in cui si ha il sollevamento del lembo, ad esempio per l’entrata del sangue a livello
del punto di rottura, il flap va a ostruire il flusso, provocando ischemia a valle.
Quindi i flap sono strutture lamellari, che si alzano e si abbassano in maniera imprevedibile, ecco
perché la loro conseguenza clinica è l’angina instabile: infatti, dal momento in cui il flap si alza, si
ha una riduzione del flusso a valle e insorgenza dell’episodio di dolore precordiale.
Successivamente, se il flap va ad abbassarsi improvvisamente, il dolore precordiale cessa,
ripristinandosi il flusso. Nell’angina instabile non è necessario lo sforzo per l’innesco dell’episodio
anginoso, ma esso può verificarsi anche a riposo.
La fessurazione e rottura della placca (a causa della soluzione di continuo formatasi, a causa
della spinta del sangue, a livello del cappuccio fibroso) provoca l’insorgenza di una serie di eventi
acuti, come la fuoriuscita del contenuto e/o entrata di sangue a livello della placca. Queste
evenienze possono portare a una serie di complicanze:
• Penetrazione nella placca da parte del sangue, eventuale rottura o liberazione di sostanze
che sono dentro la placca che hanno effetto vasocostrittore, quindi il vaso invece di
adattarsi e allargarsi si restringe (effetto di vasocostrizione).
• Liberazione di sostanze vasocostrittrici e protrombotiche a livello della placca che causano
la formazione di piccolo trombosi
• Trombosi intraplacca con rigonfiamento della stessa: più è grande il trombo, più il volume
della placca aumenta, maggiore sarà l’impedimento del flusso a valle.
Tutto ciò porta a una serie di eventi precipitanti, che si complicano sempre più. Se la
fissurazione è ampia, un maggior quantitativo di sangue può penetrare a livello
dell’ateroma, con possibilità di embolizzazione della poltiglia ateromasica e
tromboembolie, con conseguenti necrosi ischemiche distali (con manifestazioni diverse a
seconda del sito di stazionamento degli emboli, ad es, parenchima renale o altri distretti).

3) Ulcerazione del cappuccio con conseguente trombosi


4) Penetrazione dell’ulcera a livello della tonaca media, con sfiancamento della parete e formazione
di un aneurisma (è una lesione che invece di procedere verso l’interno, verso il lume del vaso, si
estende verso la parete, verso l‘avventizia)
5) Emorragia intraplacca, possibile vista la debolezza dei neovasi formati al suo interno, con
rigonfiamento della placca e eventuale rottura.
6) Trombosi parietale luminale a livello della placca: si può venire a formare un trombo, che va a
sovrapporsi al punto di rottura della placca. Qualora il trombo sia molto voluminoso, può andare a

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ostruire in maniera importante il flusso a valle.
7) Presenza di dilatazioni aneurismatiche a livello della parete dell’arteria

[Da Robbins]
Strie lipidiche
Sono la lesione più precoce dell’aterosclerosi, sono composte di macrofagi schiumosi infarciti di
lipidi e si presentano inizialmente come piccole macule giallastre e piatte che tendono a convergere
in strie allungate 1cm e più.
Non sono significativamente rialzate e non causano pertanto alcuna alterazione al flusso.

Sono già presenti nell’aorta di alcuni bambini di età inferiore ad 1 aa e in tutti i bambini di età
superiore ai 10 aa indipendentemente dalla localizzazione geografica, razza, sesso e condizioni
ambientali.
La relazione tra strie lipidiche e placche aterosclerotiche è incerta. Sebbene le prime possano essere
i precursori delle seconde non tutte le strie lipidiche sono destinate ad evolvere in lesioni più
avanzate.

Le strie lipidiche coronariche si formano durante l’adolescenza nei punti più suscettibili allo
sviluppo delle placche.

Placche aterosclerotiche
La placca ateromatosa tende a protrudere nel lume dell’arteria e appare di colore giallo-biancastro.
Il trombo sovrapposto a una placca ulcerata è di colore rosso-bruno.
Le sue dimensioni variano da 0,3 a 1,5 cm di diametro, ma le placche possono fondersi fino a
formare delle lesioni più estese.

Le lesioni aterosclerotiche interessano solo una parte della parete arteriosa e solo raramente l’intera
circonferenza. In una sezione trasversa appariranno quindi eccentriche.
Le alterazioni di flusso a livello locale fanno sì che alcune porzioni della parete vascolare siano più
predisposte di altre alla formazione di placche.

Le lesioni aterosclerotiche inizialmente focali e sparse diventano più numerose e diffuse con il
passare del tempo.
Nell’uomo l’aorta è interessata in maniera più cospicua che non la aorta toracica. In ordine
decrescente i vasi più interessati sono:
- Porzione distale dell’aorta addominale
- Arterie coronarie
- Arterie poplitee
- Arterie carotidi interne
- Vasi del poligono di Willis

I vasi degli arti superiori vengono generalmente risparmiati come anche le arterie mesenteriche e
renali ad eccezione dei loro osti. Tuttavia, nel singolo individuo, la gravità della malattia non
predice lo stesso grado di severità di un altro segmento.

Le placche sono costituite da tre componenti principali


• Elementi cellulari tra cui cellule muscolari lisce, macrofagi, cellule T
• Matrice extracellulare ECM formata da collagene, fibre elastiche e proteoglicani
• Depositi intracellulari di lipidi
Le porzioni relative delle tre componenti sono variabili nelle differenti lesioni.

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Tipicamente è presente un cappuccio fibroso composto da cellule muscolari lisce e collagene
relativamente denso.
L’area localizzata di sotto e di lato al cappuccio (spalla della lesione) è costituita da macrofagi,
cellule T e cellule muscolari lisce.
Al di sotto del cappuccio vi è un nucleo necrotico profondo che contiene lipidi (esteri del
colesterolo e colesterolo), detriti cellulari, cellule schiumose (macrofagi carichi di lipidi e cellule
muscolari lisce), fibrina, trombi variamente organizzati e altre proteine plasmatiche. Il colesterolo è
spesso sparso sottoforma di aggregati cristallini che vengono spazzati via durante la normale
elaborazione dei tessuti e che lasciano dietro di sé solamente spaccature vuote.
Alla periferia della lesione vi è evidenza di neovascolarizzazione.

I tipici ateromi contengono quantità relativamente abbondanti di lipidi, ma alcune placche (quelle
fibrose) sono composte quasi esclusivamente da t. muscolare liscio e t. fibroso.

Generalmente le placche vanno in contro ad un processo di evoluzione aumentando


progressivamente le loro dimensioni attraverso fenomeni di morte e degenerazione cellulare, di
sintesi e degradazione (rimodellamento) della ECM e organizzazione dei trombi.
Gli ateromi vanno spesso in contro a calcificazione.

Conseguenze
Le placche aterosclerotiche sono suscettibili ai seguenti e importanti cambiamenti clinici
• Rottura, ulcerazione, lesione della superficie intimale delle placche ateromatose che
determinano l’esposizione del sangue a sostanze trombogeniche e provocano la
formazione di trombi che possono occludere in modo parziale o completo il lume e
provocare ischemia. Se il pz sopravvive all’occlusione trombotica iniziale il trombo può
essere inglobato nella placca in crescita.
La rottura della placca è dovuta al fatto che questa stessa non è stata in grado di sopportare
le forze meccaniche delle forze di taglio vascolari; i fattori che spingono alla rottura sono
sia intrinseci, sia estrinseci.

Fattori intrinseci
o La composizione delle placche è dinamica (contengono grandi aree di cellule
schiumose e lipidi extracellulari). Quelle con cappuccio fibroso sottile, con poche
cellule muscolari lisce o con ammassi di cellule infiammatorie sono dette “placche
vulnerabili” perché hanno una maggiore predisposizione alla rottura.
o Il cappuccio fibroso va in contro a rimodellamento che può predisporre le placche a
modificazioni acute. La sua stabilità dipende da un bilancio della sua produzione
da parte di cellule muscolari lisce e della sua rottura da parte delle MMP.
L’infiammazione ad esempio porta ad un aumento della degradazione e ad una
diminuzione della sintesi.

Fattori estrinseci
o Stimolazione adrenergica: aumenta la pressione sistemica, associata al risveglio
provoca picchi di pressione molto pericolosi
o Intenso stress emotivo

Non tutte le rotture esitano in maniera infausta nel pz. La rottura della placca con
conseguente aggregazione piastrinica e trombosi endoluminale sono complicanze
dell’ateroma frequenti, recidivanti e spesso clinicamente silenti. La risoluzione della
rottura subclinica è un importante meccanismo di crescita delle lesioni aterosclerotiche.

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• Emorragie all’interno della placca. La rottura della cappa fibrosa sovrastante, di uno o
più capillari nelle aree di neovascolarizzazione può provocare una emorragia all’interno
della placca. Ne risulta un ematoma che può determinare espansione della placca o
addirittura indurne la rottura.
• Ateroembolismo, dovuto a microemboli della placca che si staccano
• Formazione di aneurismi: la pressione o l’atrofia della sottostante tonaca media con
perdita di tessuto elastico dovute all’aterosclerosi provocano indebolimento della parete
vascolare che determina a sua volta una dilatazione aneurismatica e possibile rottura.
• Trombosi

Stenosi aterosclerotica
Nelle piccole arterie le placche aterosclerotiche possono portare all’occlusione graduale del lume
dei vasi creando problemi al flusso ematico e provocando un danno ischemico.

Nelle prime fasi della stenosi il rimodellamento esterno tende a preservare il diametro del lume,
mentre la circonferenza totale aumenta.
Vi sono tuttavia dei limiti a questo rimodellamento esterno e, pertanto, l’ateroma in espansione
finirà per alterare il flusso ematico.
Si parla di stenosi critica quando l’occlusione cronica limita il flusso in modo significativo e la
domanda supera l’apporto.
• Nella circolazione coronarica una stenosi del 70% corrisponde ad angina da sforzo (angina
stabile).
• L’occlusione mesenterica e l’ischemia intestinale, la IHD cronica, l’encefalopatia
ischemica e la claudicatio intermittens sono tutte conseguenze di stenosi che limitano il
flusso. Gli effetti dell’occlusione vascolare dipendono in ultima analisi dall’apporto
arterioso e dalle richieste metaboliche dei tessuti interessati.

Trombosi
La trombosi parziale o totale riveste un ruolo importante nella patogenesi delle sindromi
coronariche acute, nella forma più grave un trombo sovrapposto a una placca parzialmente stenotica
la può trasformare in una placca stenotica completa.
In altre sindromi l’ostruzione del lume a seguito della trombosi è solitamente incompleta e può
aumentare e ridursi con il tempo. Il trombo può embolizzare ed è attivatore di molti segnali correlati
alla crescita delle cellule muscolari lisce.

Vasocostrizione
Riduce le dimensioni del vaso e aumentando le forze meccaniche predispone alla rottura della
placca.
• Agonisti adrenergici
• Fattori di rilascio locale delle piastrine
• Alterato rapporto della secrezione da parte delle cellule endoteliali di fattori vasodilatanti
rispetto a quelli vasocostrittori
• Mediatori rilasciati da cellule perivascolari

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ANEURISMI
L’aneurisma è una dilatazione permanente patologica circoscritta di una parete di un vaso
sanguigno o del cuore e può essere acquisito o congenito.

Una volta che il processo patogenetico si instaura, non c’è possibilità terapeutica di ottenere una
restitutio ad integrum, a meno che il paziente non venga trattato chirurgicamente o con altre
tecniche oggi a disposizione.

Sede:
• arterie, soprattutto di grande calibro
• cuore, ad esempio l’aneurisma ventricolare è una complicanza dell’infarto miocardico
• vene, in questo distretto è la patologia più frequente. La forma più frequente è costituita
dalle varici, soprattutto a livello degli arti inferiori: sono dilatazioni aneurismatiche delle
vene con andamento tortuoso. Ma sono piuttosto rare (si contraddice, come potrete notare
à secondo me sono più rari)

a) Classificazione morfogenetica:
• Aneurisma vero: osservando una sezione trasversale del vaso, osserviamo che la parete
della cavità aneurismatica è composta da tutti gli strati della parete arteriosa ( intima,
media e avventizia). Interessa una parete arteriosa assottigliata, ma intatta, o una parete
ventricolare assottigliata.
Gli aneurismi vascolari aterosclerotici, sifilitici, congeniti e l’aneurisma ventricolare che
può svilupparsi a seguito di IMA transmurale sono di questo tipo
• Aneurisma falso o pseudoaneurisma: dilatazione del profilo esterno dell’arteria per
raccolte di sangue nello spessore della parete a seguito di rottura o dell’intima o della
media.
Alla sezione trasversale del vaso, osserveremo che la dilatazione è composta solo
dall’avventizia
Si crea così un difetto nella parete vascolare che comunica liberamente con la cavità
luminale. Tra gli esempi si hanno:
o la rottura ventricolare dopo IMA con intrappolamento dell’ematoma nella tasca
data dalla reazione aderenziale del pericardio
o la deiscenza della struttura di un innesto vascolare (protesi) su arteria nativa
o traumi a livello arterioso
• Aneurismi dissecanti: la dissezione arteriosa si ha quando il flusso ematico penetra la
parete dell’arteria insinuandosi tra i suoi strati con formazione di ematoma intramurale. La
sezione trasversale è a doppia canna di fucile: si formano due canali, due lumi distinti tra gli
strati della parete, che decorrono tra di loro paralleli (la parete in entrambi i canali è formata
da tutti gli strati della parete, come appare dallo schema).

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b) Classificazione anatomica
Si basa sull’analisi di diversi parametri, ossia l’estensione longitudinale ( tratto di arteria coinvolta)
e circonferenziale:
Ø Se interessa un breve tratto dell’arteria
• fusiformi: dilatazioni diffuse lungo il
segmento vascolare, variano in diametro e
lunghezza (fino a 20cm) e possono
coinvolgere porzioni di arco aortico, aorta
addominale o arterie iliache. È interessata
tutta la circonferenza ma presentano una
breve lunghezza
• sacciformi: estroflessioni sferiche che
interessano solo una parete del vaso. Le
dimensioni variano dai 5 ai 20 cm di
diametro e presentano al loro interno
materiale trombotico.
Interessa un solo segmento della
circonferenza e presenta una breve
lunghezza.

Ø Lunghi tratti di arteria


• navicolare, come l’aneurisma sacciforme, ma più lungo (segmento di circonferenza)
• cilindrico: interessa tutta la circonferenza ed è più lungo

c) Classificazione eziologica si ha un effetto duplice, due concause che concorrono alla


formazione dell’aneurisma: l’indebolimento della parete e l’aumento di pressione laterale.
- Aterosclerotici, ovviamente i più frequenti; L’aterosclerosi presenta un ruolo fondamentale
negli aneurismi aortici addominali, l’ipertensione a quelli dell’aorta ascendente.
- Arteriti (a cellule giganti, arteriti luetiche o micotiche), ad oggi più rare, anche se
nell’ultimo decennio vi è stato un aumento considerevole delle forme luetiche rispetto ai
decenni precedent. Gli aneurismi micotici possono originare da un embolo settico, come
estensione di un processo suppurativo, attraverso l’infezione diretta della parete da parte di
microrganismi circolanti. La sifilide terziaria è una causa rara di aneurisma aortico.
- Traumatici/iatrogeni
- Degenerativi, come nella medionecrosi cistica o aortopatia degenerativa, la quale
frequentemente dà aneurismi
- Difetti congeniti
d) Classificazione topografica, ad esempio aorta o poligono di willis.

Patogenesi
Si verificano quando struttura e funzione del connettivo nella parete vascolare sono compromessi.
Anche l’indebolimento dei vasi (e non solo gli esempi ereditari di difetti del connettivo) è importate
nelle forme comuni e sporadiche di aneurisma.
Le possibili cause dello sviluppo di un aneurisma sono:
• La qualità del tessuto connettivo della parete vascolare è scarsa.
o Nella sindrome di Marfan, alterazioni della fibrillina determinano delle anomalie nel TGFβ e
un progressivo indebolimento dei tessuti elastici. Nell’aorta questo provoca una progressiva
dilatazione dovuta al rimodellamento della tonaca media anelastica.
o Nella sindrome di Loeys-Dietz le mutazioni del TGF-beta determinano anomalie

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dell’elastina e del collagene di tipo I e III.
o Anomalie delle pareti dovute ad alterazioni del collagene di tipo III sono tipiche della
malattia di Ehlers Danlos
o legami crociati alterati nel collagene sono dovuti ad alterazioni per carenza di vit C.
• L’equilibrio tra sintesi e degradazione del collagene è alterato da un infiltrato locale di
cellule infiammatorie e dagli enzimi proteolitici da questi prodotti.
In particolare un aumento della produzione delle MMP, degradando le componenti della
ECM, determina riduzione dell’espressione dell’inibitore tissutale delle metallo-proteinasi

• La parete vascolare è indebolita dalla perdita delle cellule muscolari lisce o da una sintesi
inadeguata di ECM non collagena o non elastica.
L’ischemia della media interna si verifica in caso di
o ispessimento aterosclerotico dell’intima.
o ipertensione.
L’ischemia è dimostrata da alterazioni degenerative dell’aorta per mezzo delle quali la
perdita di cellule lisce porta a cicatrizzazione. Queste modificazioni da un punto di vista
istologico sono chiamate complessivamente necrosi cistica della media. Sono aspecifiche
e possono essere ritrovate in qualsiasi condizione tra cui la sindrome di Marfan e lo
scorbuto.

Medionecrosi cistica (aortopatia degenerativa)


È una patologia degenerativa che colpisce la tunica media dell’aorta con degenerazione variabile. È
caratterizzata da una distruzione a carattere degenerativo di entità variabile dell’elastica. Mediante
colorazioni immunoistochimiche si osservano accumuli di GAG con indebolimento della parete
associate ad aree cistiche.

Le cause possono essere di natura:


• ereditaria: sono forme giovanili, ad insorgenza più precoce. Si ritrova nell’ambito di malattie
ereditarie del metabolismo, in concomitanza di mutazioni di geni che codificano per componenti
fibrillari del connettivo:
o sindrome di Marfan: mutazione del gene FBN1, che codifica per la fibrillina 1
o sindrome di Ehlers Danlos
o osteogenesi imperfecta
o pseudoxantoma elasticum
Forme più rare
o omocistinuria

• ipertensive: forme più senili per riduzione del calibro dei vasa vasorum

Caratteristiche
Si ha riduzione del calibro dei vasa vasorum, necrosi della media e indebolimento della parete, che
predispone alla formazione di dilatazioni aneurismatiche.

Le sedi in cui si sviluppa sono a livello aortico e del poligono di Willis.

Microscopicamente
Si ha la presenza di
- Lamelle elastiche: osservabili all’istologia o al microscopio elettronico, manifestano i
diversi gradi di distruzione del tessuto. Dapprima si ha la frammentazione delle lamelle, poi
la scomparsa focale e infine la scomparsa diffusa delle stesse ( in tal caso si ha la forma più
importante, che è la medionecrosi laminare). Minore è il numero di lamelle, più la parete è
debole, più il paziente è soggetto alla formazione di aneurismi.

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- Fibrocellule muscolari lisce tra una lamella e l’altra che possono essere rarefatte o
scomparire
- Matrice extracellulare: al MO sono visibili depositi di GAG, sostanza mixoide e rarefazione
della componente fibrillare con medionecrosi cistica (al posto della componente fibrillare
appaiono le cisti).

Macroscopicamente
Non si hanno evidenze di patologia fino alla dilatazione o alla dissezione del vaso

Quadri anatomo-clinici
• Anulectasia aortica: caratteristica di aortiti e aortopatia degenerativa, macroscopicamente
appare come una dilatazione tubulare dell’aorta ascendente con aspetto a pera;
dal punto di vista funzionale abbiamo un aumento del carico sulla valvola aortica e
insufficienza secondaria dell’ostio valvolare che risulta incontinente per la dilatazione
dell’aorta ascendente
• Aneurismi dei seni di valsalva
• Aneurisma cilindrico dell’aorta toracica: a livello dell’aorta ascendente e dell’arco,
importante soprattutto dal punto di vista chirurgico perché la loro rimozione avviene con
intervento complicato e con esito spesso drammatico.
• Ematoma dissecante

Aneurisma atero-sclerotico
Si tratta di un aneurisma vero, che insorge su placca fibroateromasica, a causa del cedimento della
parete per assottigliamento della media.
E la forma più frequente che predilige il sesso maschile ed è raro sotto i 60aa

Sede
• aorta addominale: sede più frequente, nel suo tratto compreso tra le arterie renali e le
biforcazioni iliache.
• a. iliache
• a. arti inferiori
• poligono di Willis
• a. coronarie (raramente)
Patogenesi
La presenza della placca intimale, alla lunga, provoca atrofia della media. La parete, indebolita,
cede sotto la spinta pressoria (soprattutto in soggetti ipertesi, come sono di solito questi pazienti)
con formazione dell’aneurisma. Una volta che il processo patogenetico si è instaurato, si
autoalimenta, con conseguente rottura o cronicizzazione (che può durare per anni) e aumento
progressivo di dimensioni dell’aneurisma.
L’arteria si presenta come dura, biancastra ed anelastica e questo predispone all’insorgenza degli
aneurismi.

Morfologia: in base al calibro, essi possono raggiungere anche i 15 cm, come lunghezza 25 cm
- Fusiforme,
- Sacciforme
- Navicolare (più frequente)
- Cilindrico

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Macroscopica
L’aneurisma appare come un sacco, una dilatazione sacciforme a parete sottile, con un’intima
presentante placche fibroateromasiche ulcerate, spesso coperte da materiale tromboembolico.

Microscopica
Presenza delle placche:
- Atrofia fino a scomparsa della media
- Avventizia con infiltrato linfo- monocitario, sempre presente in caso di aterosclerosi

Evoluzione e complicanze
Si ha un progressivo aumento di dimensioni dell’aneurisma, con conseguente aumento del rischio di
rottura. Quando l’aneurisma supera i 5 cm, il rischio annuo di rottura aumenta del 5-10%.
La dimensione di 5 cm prima veniva considerata limite chirurgico, oggi anche aneurismi di
dimensioni minori vengono escissi. Ovviamente, quanto più saranno grandi le dimensioni, quanto
più vi sarà rischio di rottura.
La rottura avviene generalmente in regione retroperitoneale, ma in generale può essere anche
peritoneale con emoperitoneo, shock ipovolemico e morte.

Un aneurisma di 5 cm è a rischio di rottura con una probabilità di 5-10 volte superiore di un


aneurisma di piccole dimensioni. In realtà è stato visto che anche aneurismi di più piccole
dimensioni possono rompersi.

Tra le conseguenze dell’aneurisma ci sono


• Compressione: se l’aneurisma si localizza a livello delle a. collaterali, come le aa. renali, le
a. mesenteriche, comprime e dà danni ischemici a valle della compressione
• Trombosi: il flusso ematico è alterato, insorgono dei trombi piccoli e sottili anche se
dentro la sacca possono avere anche delle dimensioni maggiori che possono embolizzare a
distanza
• Embolia: in partenza dai piccoli trombi
• Rottura (complicanza più temibile)
• Infezioni: presenti per il flusso ematico rallentato

Aneurisma dell’aorta addominale AAA


Si riscontrano frequentemente negli uomini e nei fumatori, e, raramente, si sviluppano al di sotto dei
50 aa di età.
La causa principale è l’aterosclerosi ma vi sono anche altri fattori dato che la loro incidenza in
uomini > 60aa è inferiore al 5% nonostante l’aterosclerosi sia diffusa universalmente in questa
fascia di popolazione.

Morfologia
In genere sono disposti distalmente rispetto alle arterie renali e al di sopra della biforcazione
dell’aorta.
Gli AAA possono essere sacciformi o fusiformi arrivando a misurare fino a 15 cm di diametro e 25
cm di lunghezza; la superficie intimale mostra tipicamente delle grandi aree di aterosclerosi
complicata con distruzione e assottigliamento della sottostante tonaca media.
Al suo interno l’aneurisma contiene spesso un piccolo trombo murale, laminato e scarsamente
organizzato, che può riempire in parte o in tutto il segmento dilatato.

Occasionalmente può interessare le a. renali o le a. mesenteriche superiori o inferiori sia generando

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una pressione diretta su questi vasi sia restringendo o addirittura occludendo i loro osti con la
formazione di trombi murali.
Non frequentemente sono accompagnati da piccole dilatazioni fusiformi o sacciformi delle arterie
iliache.

Due varianti meritano particolare attenzione:


• AAA infiammatori: caratterizzati dalla presenza di una densa fibrosi periaortica con ricca
reazione infiammatoria linfo-plasmacitaria con abbondanza di macrofagi e spesso presenza
di cellule giganti. Presentano eziologia sconosciuta
• AAA micotici: vengono infettati dalla deposizione di microrganismi circolanti nella parete
vasale specie durante le batteriemie che si sviluppano nel corso di gastroenteriti primarie
da Salmonella. In questi casi la suppurazione provoca una ulteriore distruzione della
tonaca media, accelerando il processo di dilatazione e rottura.

Conseguenze
• Rottura nella cavità peritoneale o nei tessuti retroperitoneali con emorragia massica e
potenzialmente fatale
• Ostruzione di una diramazione vascolare che provoca un danno ischemico a valle, ad
esempio delle a. iliache o vertebrali
• Distacco di emboli dell’ateroma o dai trombi murali
• Compressione di strutture adiacenti come nel caso di una compressone di un uretere o
erosione di una vertebra
• Presentazione clinica sotto forma di tumefazione addominale (sesso pulsante) che simula
un tumore.

Il rischio di rottura è correlato alle dimensioni. È


• 0 se il diametro è inferiore ai 4 cm
• 1% per anno per gli aneurismi che hanno diametro compreso tra 5 e 6 cm
• 25% se hanno un diametro superiore a 6 cm

La maggior parte degli aneurismi si espande a ritmo di 0,2-0,3 cm/aa; il 20% si espande
rapidamente. In linea generale gli aneurismi di diametro pari o superiore a 5cm sono trattati
aggressivamente mediante bypass con innesti protesici.
Il trattamento è in continua evoluzione con approccio endoluminale che prevede in pz selezionati
l’impianto di uno stent. L’intervento tempestivo è fondamentale.
La mortalità operatoria è del 5%, quella da rottura > del 50%.

Aneurismi dell’aorta toracica


Sono più comunemente associati a ipertensione, anche se si sta riconoscendo il ruolo di patologie
come Marfan e Loyes-Dietz. Possono dare origine a segni e sintomi tra cui
• compromissione delle strutture mediastiniche
• difficoltà alla respirazione
• difficoltà alla deglutizione
• tosse per irritazione dovuta a compressione nervosa (nn. Laringei ricorrenti)
• dolore per erosione delle ossa
• disturbi cardiaci per dilatazione aortica (la maggior parte dei pz con aneurismi sifilitici
muore per l’insufficienza cardiaca causata dall’insufficienza valvolare aortica)
• rottura

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Ematoma disseccante
È una raccolta di sangue nella media di un’arteria elastica che causa una dissociazione delle lamelle
muscolo-elastiche, si distende lungo il vaso perché non trova più resistenza, determina eventuale
stenosi restringendo progressivamente il lume soprattutto a livello dell’imbocco delle arterie
collaterali e infine tende a rompersi all’esterno del vaso stesso

Coinvolge e colpisce l’aorta e le carotidi.

Si hanno 3 lesioni elementari, cosa importante soprattutto da un punto di vista chirurgico:


• la breccia di entrata
• dissecazione della media
• la breccia di uscita

a) La breccia di entrata
Quando noi apriamo un vaso, andiamo a vedere se è presente il così detto “foro di entrata”, cioè
l’imbocco attraverso cui il sangue entra nella parete vascolare.
La breccia può essere
- lineare, cioè un foro di entrata “a taglio di lametta”
- più raramente, “a scoppio”, con un foro stellato, come se in quel punto fosse avvenuta una
piccola esplosione

Quindi, attraverso questi fori di entrata il sangue entra nella parete dell’arteria e la disseca.
La lacerazione dell’intima (il punto di entrata) può essere:
• prossimale, tra l’aorta ascendente e l’arco aortico
• distale, tra arco aortico e aorta discendente

b) Dissecazione della media


E’ la condizione che si realizza dopo la formazione della breccia prossimale. Ciò causa la
slaminazione tra i due strati della media, distinti per irrorazione:
- Zona interna della media, irrorata attraverso l’intima,
- Zona esterna della media, irrorata attraverso i vasa vasorum aortici.
Qualora la quantità di sangue che penetra nella breccia sia elevata, si ha creazione di un falso lume,
ossia di un lume parallelo a quello fisiologico del vaso, che si estende anche per lunghi tratti e di
diverse dimensioni, con possibile formazione anche di un aneurisma dissecante, per indebolimento
della parete. Alla sezione trasversale noteremo il classico aspetto a doppia canna di fucile.
S
e il falso lume è voluminoso, si ha l’aneurisma dissecante dell’aorta. Quindi, si parte da un
ematoma, da uno stravaso di sangue che entra nella parete arteriosa e la disseca, e, quando questo è
molto voluminoso e il falso lume che ne consegue è ampio, si forma quello che viene definito
aneurisma dissecante.

c) La breccia di uscita:
• Attraverso l’avventizia: si ha rottura del vaso con conseguenze diverse a seconda della sede
e dell’entità dell’emorragia (se massiva può causare exitus). Anche questo è un intervento
drammatico dal punto di vista chirurgico perché, quando si opera un aneurisma in questa
fase, se arriviamo che il vaso è già rotto non c’è più nulla da fare; l’importante è, quindi,
intervenire prima della rottura del vaso, sugli aneurismi in fase di rottura (questi sono gli
interventi di maggior urgenza a livello vascolare).

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• Attraverso l’intima: è cioè una breccia di rientro del sangue a livello del vero lume. Si ha
così una cronicizzazione del processo, con falso lume che va a rivestirsi esso stesso di
neointima, con mantenimento della struttura del lume aortico a doppia canna di fucile,
formato da due arterie simili tra di loro accostate (questi 2 lumi decorrono parallelamente e
sono entrambi rivestiti da cellule endoteliali; è uno pseudo-circolo collaterale).
Eziologia
• Arteropatia degenerativa/ medionecrosi cistica
• Ipertensione (insieme alla prima, le cause più frequenti)
• Gravidanza
• Lacerazione iatrogena
• Arteriti che provoca un indebolimento della parete con conseguente innesco della
dissecazione
• Aterosclerosi, ad esempio per ulcerazione della placca fibroateromasica
• Gravi traumi toracici, come ad esempio in caso di grave incidente stradale

Classificazione topografica
• dissezione dell’aorta toracica (più grave proprio per il tipo di localizzazione) e dell’aorta
addominale
• sede della breccia intimale:
o prossimale: se fra l’aorta ascendente e l’arco aortico
o distale: se fra arco e aorta discendente

Classificazione della dissezione aortica secondo De Bakey


De Bakey è stato il chirurgo pioniere della chirurgia vascolare, soprattutto negli interventi sugli
aneurismi.
Con la sua classificazione, egli suddivide gli aneurismi in base alla dissezione di tipo 1, tipo 2, di
tipo 3a e 3b:
o dissezione di tipo 1: aneurismi che coinvolgono l’aorta ascendente, l’arco aortico e l’aorta
discendente.
o dissezione di tipo 2: viene coinvolta solo l’aorta ascendente, quindi il primo tratto
dell’aorta. (questa suddivisione è importante soprattutto per i risvolti chirurgici più che per quelli
anatomo-patologici)
o dissezione di tipo 3: si suddivide in 3a e 3b:
o 3a: confinato nell’aorta discendente, con estensione anterograda e retrograda
o 3b: nasce nell’aorta discendente e poi si diffonde con estensione anterograda fino
all’aorta addominale, quindi un aneurisma molto esteso

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Classificazione di Stanford
o dissezioni di tipo A: prossimali, interessano l’aorta ascendente con o senza estensione
nell’aorta discendente. Corrisponde al tipo I, II di DeBackey (comuni e pericolose sono
quelle che interessano aorta ascendente e discendente o solo la ascendente
o dissezioni di tipo B: interessano solo il tratto discendente e non l’aorta ascendente in
generale all’inizio dell’ostio della a. succlavia; corrisponde al tipo III di DeBackey.

Clinica
o Insorgenza improvvisa di un dolore lancinante che inizia generalmente nella parte
anteriore del torace, si irradia alla schiena, alle scapole, e progredisce verso il basso mano
a mano che la dissezione avanza. Può essere confuso con il dolore dato dall’infarto.
o La causa più comune di morte è la rottura all’esterno della cavità pericardica, pleurica o
peritoneale.
o La dissezione retrograda può provocare gravi alterazioni architetturali dell’apparato
valvolare aortico. Quindi tra le principali manifestazioni cliniche si hanno il
tamponamento cardiaco, l’insufficienza valvolare aortica, l’infarto del miocardio e
l’estensione della dissezione alle grandi arterie del collo, coronarie, renali, mesenteriche o
iliache con ostruzione vascolare e le conseguenze ischemiche associate.
o Una compressione delle aa. Spinali è responsabile di mielite trasversa.

Oggi la rapida diagnosi e la tp antipertensiva con la chirurgia prevedono la plicazione dell’aorta


salvando dal 65 al 75% i pz colpiti.

Evoluzioni e complicanze
a) Aorta ascendente:
o la rottura del tratto intrapericardico dell’aorta: se l’aneurisma aortico si rompe nel
tratto intrapericardico, come conseguenza avremo un emopericardio fino al tamponamento
cardiaco, quindi chiaramente alla morte del paziente (in questi casi, nulla si può fare).
o la rottura del setto interatriale: quando l’aneurisma va in senso retrogrado arriva sul
setto interatriale, che si può rompere creando una fistola fra atrio dx e atrio sx; in tal caso,
si mescola il sangue venoso con il sangue arterioso
o la dissezione delle coronarie: se l’aneurisma entra e segue la via delle coronarie, questo
ne riduce il lume in maniera più o meno significativa, con conseguenze ischemiche dei
segmenti a valle della stenosi
o il disancoraggio delle cuspidi aortiche dalla parete aortica: si avrà un’insufficienza
aortica acuta perché, con le cuspidi disancorate, la valvola non funziona più

b) Arco aortico:
o La principale è l’ostruzione delle arterie carotidi, che partono dall’arco aortico: non
arriva più sangue a livello cerebrale, quindi si ha ischemia cerebrale transitoria o definitiva
in base alla gravità e alla durata dell’ostruzione stessa

c) Aorta addominale:
o la rottura del vaso verso l’esterno (verso l‘avventizia): il sangue fuoriesce e, a seconda
della sede di rottura, si può avere un emoperitoneo o un ematoma retro-peritoneale
o l’estensione della dissezione alle arterie renali: questa complicanza è visibile in alcuni
riscontri autoptici. Avremo un’ischemia renale di grado variabile in base alla gravità
dell’ostruzione.

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DISSEZIONE AORTICA
[Dal Robbins]
La dissezione aortica è una condizione caratterizzata dallo slaminamento, da parte del sangue, delle
strutture lamellari della tonaca media dell’aorta con la formazione di un canale pieno di sangue nel
contesto della parete aortica.
Se la dissezione si fa strada nell’avventizia provocando emorragie nei tessuti adiacenti può avere
delle conseguenze catastrofiche.

La dissezione non si associa necessariamente a una dilatazione dell’aorta. Si verifica


prevalentemente in due gruppi
o uomini con età compresa tra i 40 e i 60 aa che hanno storia di ipertensione oltre il 90% dei
casi
o pz giovani con anomalia sistema del connettivo che colpisce l’aorta come la sindrome di
Marfan

La dissezione può anche essere


o iatrogena, ad es. una complicanza di una cannulazione in procedura diagnostica.
o raramente si verifica a seguito di una gravidanza
o rara in aterosclerosi o cause di cicatrizzazione mediale come la sifilide in quanto la fibrosi
della media inibisce la propagazione dell’ematoma

L’ipertensione rappresenta il fattore patogenetico alla base. L’aorta dei pz con ipertensione presenta
ipertrofia dei vasa vasorum con alterazioni degenerative della media e una perdita variabile di
cellule muscolari lisce nella media il che suggerisce un possibile ruolo del danno meccanico.
Un numero inferiore di dissezoni è legato a disturbi ereditari del connettivo. Un danno alla media
non sembra essere né pre-requisito né garanzia dell’imminenza.
Nella maggior parte dei casi la causa scatenante della rottura intimale e dell’emorragia intramurale
non è nota.
Una volta che la breccia si è formata, il flusso ematico entra all’interno della media facilitando la
progressione dell’ematoma mediale. Una terapia che mira alla riduzione della pressione può
limitare in modo efficace l’evoluzione della dissezione.
In alcuni casi la rottura dei vasi penetranti dei vasa vasorum può dare origine ad ematoma
intramurale senza lacerazione intimale.

Morfologia
Nella maggior parte dei casi nella parete aortica non si riscontra alcuna patologia sottostante
specifica. La più frequente è la necrosi cistica della media. L’infiammazione è caratteristicamente
assente. Le degenerazioni si possono verificare nel contesto di una media modesta.
Inizia in genere con una lacerazione intimale, se spontanea nella maggior parte dei casi si colloca
nell’aorta ascendente (nei 10 cm sopra la valvola aortica). Le fissurazioni sono trasverse e oblique,
misurano da 1 a 5 cm e hanno margini ben marcati e dentellati.
La dissezione si può estendere in maniera retrograda verso il cuore o distalmente per tutta la sua
lunghezza arrivando alle iliache e femorali. Generalmente si estende tra gli stati laminari (tra il terzo
mediale e quello esterno).

Spesso si rompe nell’avventizia determinando una emorragia massiva (in addome o nel torace) o un
tamponamento cardiaco (nel sacco pericardico). In casi fortunati l’ematoma dissecante rientra nel
lume dell’aorta con una seconda fissurazione intimale distale, crea un nuovo canale vascolare e
forma un doppio condotto aortico con falso lume (si evita una emorragia extra-aortica fatale).
Nel tempo il falso lume si può endotelizzare dando origine a dissezioni croniche.

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VASCULITI
Vasculite è un termine generico che indica una infiammazione dei vasi.
Da un punto di vista clinico i sintomi generali sono febbre, mialgie, artralgie e malessere.
I meccanismi principali delle vasculiti sono:
• Infiammazione immuno-mediata
• Invasione diretta della parete da parte degli agenti infettivi

Vasculite non infettiva


Essa è caratterizzata da:
• Deposizione di immunocomplessi: anticorpi e fattori del complemento presenti nelle
lesioni anche se non si sa la natura degli antigeni responsabili della loro deposizione che
può essere associata a:
o Ipersensibilità ai farmaci
o Infezioni virali
• Anticorpi anti-citoplasma dei neutrofili
Sono indotti generalmente da farmaci o antigeni microbici cross-reattivi; la loro
formazione è favorita dall’espressione e dal rilascio della PR3 e MPO da parte dei
neutrofili in corso di infezione, con esposizione di endotossine o stimoli al rilascio di
citochine.
Possono indurre un danno diretto o una ulteriore degranulazione.
o Anti-MPO, costituente dei granuli lisosomiali à pANCA perinucleari tipici della
Churg-Strauss
o PR3-ANCA, costituente dei granuli azzurrofili à cANCA citoplasmatici tipici
della Wegner
• Anticorpi anti cellule endoteliali: tipici della malattia di Kawasaki

Arterite temporale a cellule giganti


Forma più comune di vasculite nei soggetti anziani, consiste in una infiammazione cronica e
granulomatosa delle arterie. Quelle più colpite sono le a. temporali, ma sono interessate anche la
vertebrale e la oftalmica. La patogenesi si pensa sia legata a cellule T dirette contro un antigene
sconosciuto della parete vascolare. Probabile coinvolgimento delle citochine infiammatorie es TNF
e risposte umorali anti cellule endoteliali.

Morfologia
I segmenti coinvolti sviluppano un inspessimento intimale nodulare con occasionali trombosi che
riduce i diametro del lume.
Le lesioni classiche sono date da infiammazione granulomatosa della media che porta alla
frammentazione della lamina elastica. Presente infiltrato di cellule T, macrofagi. Nel 75% dei
campioni si hanno cellule giganti multinucleate. A volte granulomi e cellule giganti sono rari e
assenti. Le lesioni mostrano una panarterite specifica con infiltrato dato solo da linfociti e
macrofagi. Le lesioni non sono distribuite in modo continuo lungo il vaso e possono essere
intervallati da segmenti normali. Per questo è necessario campionamento bioptico della a. temporale
di almeno 2-3 cm. La guarigione è data da cicatrizzazione nella media e inspessimento intimale in
genere con frammentazione di tessuto elastico residuo.

Clinica
Sintomi generali + dolore e arrossamento in corrispondenza della a. temporale, dolore facciale e
cefalea. Sintomi oculari nel 50% dei soggetti improvvisi che vanno dalla diplopia alla perdita della
vista.

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Arterite di Takayasu o “malattia senza polso”
Si tratta di una vasculite granulomatosa delle medie e delle grandi arterie caratterizzata da disturbi
oculari e marcato indebolimento dei polsi e delle estremità superiori.

Morfologia
È caratterizzata da un inspessimento transmurale fibroso dell’aorta e in particolare dell’arco aortico
e dei grandi vasi. Classica sede è quella dell’arco aortico ma possono essere colpiti anche a.
polmonare, a. coronarie e a. renali. Si ha ispessimento irregolare della parete dei vasi con iperplasia
intimale.

All’istologia si ha infiltrato mononucleato avventiziale soprattutto intorno ai vasa vasorum, intenso


infiltrato infiammatorio della media e infiammazione granulomatosa ricca di cellule giganti e
necrosi a chiazze della media. Con il progredire della malattia si ha cicatrizzazione, collagene con
infiltrati infiammatori cronici.

Clinica
Clinica generale associata a disturbi visivi come diminuzione dell’acuità visiva, emorragie retiniche
e cecità totale. Un interessamento degli arti inferiori può essere responsabile di una claudicatio,
quello dell’arteria polmonare di ipertensione polmonare, quello degli osti coronarici un IMA, il
coinvolgimento delle a. renali causa ipertensione sistemica.

Poliarterite nodosa
Vasculite sistemica delle arterie muscolari di piccolo e medio calibro, ma non delle arteriole,
capillari o venule.
Colpisce in modo caratteristico i vasi renali e viscerali risparmiando i polmonari. Non vi è
associazione con ANCA, ma nel 30% dei soggetti affetti si ha epatite B con complessi HBsAg-
HBsAb nei vasi colpiti à suggerisce eziologia mediata da immunocomplessi.

Morfologia
La PAN classica è caratterizzata da infiammazione segmentale, necrotizzante e transmurale delle a.
di piccolo e medio calibro e interessa in ordine di frequenza decrescente vasi del rene, cuore, fegato
e tratto GI.
Le lesioni possono coinvolgere solo una parte del vaso e hanno un particolare tropismo per i punti
di ramificazione. L’infiammazione indebolisce le pareti arteriose provocando aneurismi e rotture.
La perfusione insufficiente porta a ulcerazioni, infarti e atrofia ischemica o emorragie che possono
essere il primo segno della patologia.
Nella fase acuta si ha infiammazione transmurale con infiltrato di neutrofili, eosinofili, cellule
mononucleate associato a necrosi fibrinoide. Può verificarsi anche una trombosi luminale.
Successivamente l’infiltrato infiammatorio acuto viene sostituito da un ispessimento fibroso nella
parete del vaso che può estendersi all’avventizia.

Clinica
Sintomi generali + ipertensione per coinvolgimento renale, dolore addominale e melena per
coinvolgimento del tratto GI, dolenzia e dolore muscolare, neurite periferica.

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Malattia di Kawasaki
Malattia febbrile a autolimitantesi tipica di bambini e lattanti. È associata ad arterite dei vasi grandi
medi e di piccole dimensioni. Si ha predilezione per le a. coronarie. Può causare aneurismi che si
rompono o trombizzano con risultato di IMA. Sembra associata a una reazione ritardata da
ipersensibilità a cellule T per Ag non caratterizzato che provoca produzione di citochine e
attivazione dei macrofagi.

Morfologia
Necrosi e infiammazione massiva che interessa la parete vasale a tutto spessore. Necrosi fibrinoide
meno evidente. La vasculite acuta si risolve da sola o con trattamento ma si può complicare con
aneurisma e trombosi. Con la guarigione può esitare in ispessimento intimale ostruente.

Clinica
Sindrome linfonodale muco-cutanea si manifesta con eritema orale o congiuntivale, edema delle
mani e dei piedi, eritema palmo-plantare, rash cutaneo con desquamazione e ingrossamento dei
linfonodi cervicali.

Poliangioite microscopica
Colpisce in genere arteriole, capillari e venule. Raramente sono colpite le arterie più grosse. È
denominata vasculite leucocitoclasica o da ipersensibilità.
A differenza della poliarterite nodosa tutte le lesioni tendono ad essere allo stesso stadio evolutivo.

Possono essere coinvolte cute, mucose, polmone, encefalo, cuore, tratto GI, rene e muscoli.
La glomerulonefrite necrotizzante e la capillarite polmonare sono molto comuni. Possono comparire
anche lesioni da ipersensibilità come porpora di Schonlein-Henoch, crioglobulinemia mista
essenziale e vasculiti associati a malattie del connettivo.

Può essere dovuta a risposta anticorpale contro farmaci, microrganismi (es streptococchi), proteine
eterologhe o tumorali. Può determinare deposizione di immunocomplessi (scatena sviluppo di
risposte secondarie come produzione di pANCA). La maggior parte delle lesioni sono pauci-
immunitarie e MPO-ANCA possono essere causalmente implicati.

Morfologia
Necrosi fibrinoide segmentale della media con lesioni necrotizzanti transmurali. Non è presente
infiammazione granulomatosa. Risparmiate le arterie di grande e medio calibro. In alcune aree si
hanno solo neutrofili che tendono a infiltrarsi e frammentarsi à vasculite leucocitoclasica. Le
lesioni sono pauci-immunitarie.

Clinica
Emottisi, ematuria, proteinuria, dolore e sanguinamento intestinale, dolore e debolezza muscolare,
porpora palpabile della pelle. L’immunosoppressione consente un significativo miglioramento della
sopravvivenza a lungo termine.

Sindrome di Churg-Strauss
Detta anche granulomatosi e angioite allergica è una vasculite necrotizzante dei vasi di piccole
dimensioni relativamente rara (1 su 1mln) e associata a rinite allergica, asma, infiltrati polmonari,
ipereosinofilia periferica e granulomi necrotizzanti extravascolari.
Gli ANCA sono presenti in meno della metà dei casi e aumentano la possibilità che vi siano
sottogruppi di pz con la sindrome. Se presenti sono responsabili delle manifestazioni vascolari. Il
sanguinamento del tratto GI, l’interessamento cutaneo (porpora palpabile) e la nefropatia

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rappresentano le principali associazioni.
Gli infiltrati miocardici e eosinofili e la citotossicità da essi provocata sono implicati nella
cardiomiopatia di Churg-Strauss. L’eziologia è ignota, ma può derivare da una iper-reattività ad uno
stimolo allergico per asmatici.

Granulomatosi di Wegner
Vasculite necrotizzante data da
• Granulomi acuti necrotizzanti delle vie respiratorie alte
• Vasculite necrotizzante granulomatosa che colpisce i vasi di medie e piccole dimensioni
• Glomerulonefriti necrotizzanti, focali e spesso a semilune.
Rappresenta probabilmente una forma di reazione da ipersensibilità mediata da cellule T forse
conseguenti all’inalazione di agenti infettivi o altri fattori ambientali. Tale ipotesi è associata alla
presenza di granulomi e drastica risposta alla tp immunosoppressiva. I PR3-ANCA sono presenti
nel 95% dei casi e sono buoni indicatori del grado di attività della malattia.

Morfologia
Le lesioni del tratto respiratorio superiore vanno dalla sinusite infiammatoria con granulomi della
mucosa a lesioni ulcerative del naso, palato e faringe circondate da granulomi con necrosi centrale a
carta geografica accompagnati da vasculite.
I granulomi necrotizzanti sono circondati da una zona di proliferazione fibroblastica con cellule
giganti e infiltrato leucocitario che ricorda infezione da batteri e miceti. Granulomi multipli possono
fondersi dando luogo ad un aspetto radiografico di noduli che possono andare in contro a
cavitazione.
Le fasi tardive della malattia sono caratterizzate da un coinvolgimento massivo del parenchima da
parte di granulomi necrotizzanti.
Possibili lesioni renali. Nelle fasi precoci della malattia si osserva necrosi focale dei glomeruli con
trombosi di anse capillari glomerulari isolate. Minima proliferazione di cellule parietali nella
capsula di Bowman. Le lesioni glomerulari avanzate sono caratterizzate da una necrosi diffusa e da
proliferazione di cellule papillari con successiva formazione di semilune (glomerulonefrite a
semilune).

Clinica
M>F, Polmonite persistente con infiltrati nodulari bilaterali che vanno incontro a cavitazione,
sinusite cronica, ulcerazioni mucose della rinofaringe.
Eruzioni cutanee, dolore muscolare, coinvolgimento articolare, mono- polineuriti e febbre. Senza tp
la malattia è fatale.
Trattamento con steroidi, ciclofosfamide e anti-TNF.

Tromboangioite obliterante (morbo di Buerger)


Responsabile di insufficienza vascolare. Caratterizzata da processo infiammatorio acuto o cronico a
distribuzione segmentale ed evoluzione trombosante a carico delle arterie di piccolo e medio calibro
(tibiali e radiali), si estende talora alle vene e ai nervi delle estremità.

Patogenesi fortemente correlata con il fumo di sigaretta: si pensa sia dovuta a danno tossico diretto
delle cellule endoteliali da parte di alcune componenti del tabacco o risposta immune idiosincrasica
agli stessi agenti. Maggior parte dei pz ha ipersensibilità cutanea all’iniezione intradermica di
tabacco e compromissione della vasodilatazione endotelio-dipendente in risposta alla stimolazione
di Ach.

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Morfologia
Vasculite acuta e cronica, nettamente segmentale delle arterie di medio e piccolo calibro in
particolare degli arti. Si hanno infiammazione acuta e cronica con trombosi del lume. Il trombo
contiene microascessi composti da neutrofili circondati da processo infiammatorio granulomatoso,
può organizzarsi e andare incontro a canalizzazione. Il processo infiammatorio si estende alle vene
e nervi che decorrono contigui così che le strutture vengono incapsulate nel processo fibroso.

Clinica
Flebite nodulare superficiale con sensibilità al freddo, fenomeno di Raynaud, dolore al dorso del
piede a seguito di esercizio fisico (claudicatio intermittens).
Dolore intenso anche a riposo associato al coinvolgimento neurale. Possono comparire ulcere a
carico delle dita dei piedi e delle mani a cui segue gangrena franca.

Vasculite associata ad altre malattie


LES, tumori o malattie sistemiche come la crioglobulinemia mista, la sindrome da anticorpi anti-
fosfolipidi, la porposa di Schonlein-Henoch, la AR possono essere associate vasculiti.
La vasculite reumatoide colpisce spesso persone anziane con AR di lunga data e interessa le arterie
di piccolo e medio calibro; può provocare infarti viscerali e aortiti clinicamente significative.
Importante a livello di trattamento capire quale è la malattia responsabile. Malattie diverse
richiedono trattamenti diversi.

Vasculite infettiva
Diretta invasione da parte di agenti infettivi solitamente batteri e miceti in particolare specie di
Aspergillus e Mucor. L’invasione vascolare può essere parte di un’infezione tissutale localizzata e
raramente può essere causa di disseminazione ematogena di batteri in corso di setticemia o
embolizzazione settica a partenza da endocarditi infettive.
Le infezioni vasali possono indebolire la parete e portare alla formazione di aneurismi micotici
favorendo la comparsa di trombosi e infarti.

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Gastro-
enterico
1. Esofago
2. Stomaco
3. Intestino
4. NET
5. Pancreas Esocrino
6. Fegato
ESOFAGO
Anatomia normale
L'esofago è una struttura tubulare compresa fra la faringe e lo stomaco. E' separato da quest'ultimo
dalla giunzione esofago-gastrica, o linea Z.
Si localizza anteriormente alla colonna vertebrale (da C6 a Tl1) e contrae rapporti strettissimi con
la trachea, il bronco sinistro, l'arco aortico e l'aorta toracica. Questi rapporti anatomici sono da
tenere in considerazione perché importanti per tutte le patologie che colpiscono l'esofago. Il
diametro si aggira intorno a 1,5-2 cm.
Struttura
La mucosa esofagea in condizioni normali presenta delle pliche, in numero di 4-5, soprattutto nel
terzo superiore e medio, che si assottigliano via via e a livello della giunzione esofago gastrica
assumono un aspetto a rosetta.
Nel pezzo che arriva dall escissione chirurgica per il campionamento bisogna individuare bene la
giunzione gastro-esofagea, e questo si fa individuando le pliche.
Dal punto di vista microscopico si descrivono più strati concentrici:
Tonaca mucosa, comprende:
o Epitelio rivestimento pluristratificato non cheratinizzato (di colorito grigio-
roseo chiaro) fino al di sotto dello iato diaframmatico (1/3 superiore, 1/3
medio e parte del 1/3 inferiore); sotto lo iato esofageo, l epitelio squamoso si
continua con l'epitelio cilindrico monostratificato della mucosa gastrica
formando la linea Z (detta anche giunzione squamo cellulare o ora serrata,
è importante perché in caso di biopsia si deve sempre indicare la distanza dalla
linea Z). La GGE è individuabile attraverso linea z, variazione di colore o
scomparsa pliche
o Lamina propria (connettivo denso)
o Muscularis mucosae (fascetti muscolari longitudinali)
Sottomucosa, costituita da connettivo contenente strutture vascolari, nervose (plesso
di Meissner, che viene perso in alcune patologie), linfatiche e ghiandolari.
Le ghiandole secernono prevalentemente mucine acide e, insieme alle ghiandole di
Brunner del duodeno, rappresentano le uniche ghiandole presenti nel tratto gastro-
enterico (marcatore anatomico dell esofago, in quanto assenti nella mucosa gastrica)
Tonaca muscolare, formata da due strati, uno circolare (più interno), uno
longitudinale (più esterno). Il terzo superiore è formato da fibre striate, il terzo medio
ha sia fibre striate che lisce, il terzo inferiore contiene solo fibre muscolari lisce
Avventizia, una sorta di guaina che nel caso dell'esofago cervicale e toracico non ha
un rivestimento di tipo sieroso; il peritoneo riveste invece la porzione addominale
dell'esofago. L'avventizia a livello del mediastino posteriore crea rapporti con le
strutture adiacenti, quindi l'albero tracheobronchiale e i vasi; questo è responsabile
della disseminazione di infezioni e tumori esofagei in ambito mediastinico.
Irrorazione
La parte superiore dell'esofago è irrorata dalle arterie esofagee superiori e da rami
dell'arteria tiroidea inferiore,
La parte distale dalle arterie esofagee inferiori e da rami dell'arteria gastrica sinistra.
Il sangue venoso:
del terzo superiore è drenato dalla vena cava
del tratto medio dalla vena azygos
nel terzo inferiore il sangue venoso è drenato dalla vena porta (attraverso la vena
gastrica di sinistra).
Le varici esofagee, dilatazioni delle vene esofagee presenti in corso di cirrosi e shunt porto-
sistemici, di solito si manifestano a livello del terzo distale.

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PATOLOGIE ESOFAGEE
Anomalie congenite
Tessuto ectopico: presenza di tessuto ectopico, solitamente gastrico (cardiale o
fundico), pancreatico o ghiandole sebacee, all'interno della mucosa esofagea.
Solitamente queste isole di tessuto ectopico si trovano al livello del terzo superiore e
sono di estensione limitata (2-3 mm). Questa condizione è in genere asintomatica,
anche se talora la presenza di tessuto gastrico (++ cardiale-fundico) o pancreatico o
sebaceo secernente può causare infiammazione della parete esofagea o disfagia.
Quando viene trapiantato un organo, in questo caso l'esofago, l'organo viene
sottoposto a controlli strettissimi. Nel corso di queste indagini spesso vengono
ritrovate queste isole di tessuto un po' alterato, quindi il chirurgo dell'espianto fa una
biopsia lì dove ritiene ci siano delle alterazioni e le manda alla AP per valutarle.
Atresia: sviluppo incompleto di una porzione dell'esofago, che si presenta quindi con
una tasca cieca connessa alla faringe o allo stomaco. Può essere presente una fistola
che collega la tasca cieca con la trachea, cosa che crea ovviamente notevoli problemi
all'apparato respiratorio (aspirazione, polmonite ...).
Stenosi congenita: riduzione del calibro del lume con resistenza alla dilatazione
meccanica. E' interessato soprattutto il terzo medio. E' causata da un ispessimento
fibroso della sottomucosa, a cui si associa atrofia della tonaca muscolare.
L'epitelio che riveste questa stenosi diventa sottile e talvolta ulcerato.
Cisti congenite: masse cistiche sacciformi o allungate contenenti strati ridondanti di
muscolo liscio.

Alterazioni della motilità


L'alterazione della motilità esofagea più importante è l'acalasia. Questa è caratterizzata
dall'alterazione della normale motilità dello SEI: esso infatti ha un tono permanentemente
aumentato e mancato rilasciamento all'arrivo dell'onda peristaltica. A ciò si associa, col tempo, l'
aperistalsi, configurando così la triade completa dell'acalasia. Non si conosce bene la patogenesi,
ma sappiamo poter essere una malattia primitiva, su base autoimmunitaria (con antigene
responsabile sconosciuto), o secondaria (infiltrazione neoplastica del plesso mienterico, malattia di
Chagas, lesione dei nuclei motori dorsali del vago, neuropt diabetica o amiloidosi).
Anatomia patologica
Dal punto di vista macroscopico l'aperistalsi porta ad accumulo di materiale al livello esofageo e
quindi a dilatazione. La parete nel tentativo di creare l'onda peristaltica diventa ipertrofica
(soprattutto la componente muscolare). Lo stazionamento del cibo lede la mucosa, che si presenta
edematosa, iperemica, ulcerata e molto spesso con chiazze di leucoplachia (per ristagno cibo).
Dal punto di vista microscopico si hanno lesioni infiammatorie della mucosa e della sottomucosa,
acute o croniche, anche con ulcerazioni.
La sintomatologia è quella di una disfagia progressiva. Le complicanze derivano dall'accumulo di
materiale all'interno dell'esofago, che provoca reflusso e rischio di polmonite ab ingestis.

Diverticoli
I diverticoli sono estroflessioni sacciformi
della mucosa; si dovrebbe in realtà parlare
di pseudodiverticoli, per l'assenza di una
vera e propria parete muscolare di
rivestimento. Sono abbastanza rari poiché
la muscolatura esofagea è continua.
I diverticoli si distinguono in base
alla patogenesi in diverticoli da
pressione e diverticoli da trazione.

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a) I diverticoli da pressione/pulsione (o diverticoli di Zenker) sono situati al di sopra
del SES (e quindi detti anche faringoesofagei) in corrispondenza del trigono di killian e sono
erniazioni della mucosa attraverso una discontinuità della parete dell'organo. Si presentano
come estroflessioni sacculari la cui parete è costituita da mucosa, sottomucosa e fasci di
fibrocellule muscolari. Sono causati dall'aumento della pressione endoluminale.
Dal punto di vista macroscopico si presentano spesso con una mucosa edematosa ed
iperemica con aree ulcerate a causa dell'infiammazione generata dal ristagno di cibo che
invece di prendere la via dell'esofago si deposita nel diverticolo. Si può avere sanguinamento
(per lesione capillare) ed ematemesi (per ulcerazione della parete diverticolare).
Le dimensioni sono molto variabili, potendo raggiungere dimensioni tali da comprimere la
trachea e provocare dispnea!
Piccoli diverticoli sono asintomatici
Il diverticolo può crescere, anche per accumulo di materiale, andando a comprimere
trachea, bronchi, nervo laringeo ricorrente, e causando dispnea o disfagia.
Dal punto di vista microscopico sono costituiti da mucosa, sottomucosa e fasci di
fibrocellule muscolari

b) I diverticoli da trazione sono situati a livello del terzo medio dell'esofago nella zona in
corrispondenza della biforcazione tracheale (carena). La prima causa è di solito una linfadenite
dei linfonodi della carena polmonare, secondaria ad es. all'infezione tubercolare. In questo
caso i granulomi caseosi creano delle aderenze con la parete esofagea, determinando così la
trazione e trascinando quindi una porzione della parete. Quando il linfonodo diventa caseoso
la parete dell'esofago viene trascinata e la mucosa si estroflette. Talora in seguito al contatto
con l avventizia i linfonodi ingrossati, espandendosi ulteriormente, possono arrivare a
perforare l esofago.
A differenza dei diverticoli da pressione, che possono raggiungere anche dimensioni notevoli
creando problemi di disfagia, in questo caso si tratta di diverticoli di piccole dimensioni (0,1-1
cm di diametro), ma la loro posizione può essere critica.

Ernia iatale
Consiste nella risalita di una porzione dello stomaco attraverso lo iato esofageo.
E' presente in circa il 10-20% degli individui sottoposti ad endoscopia; l'incidenza aumenta
con l'età e non esiste un rapporto differenziale tra maschi e femmine. La causa è sconosciuta.
Si divide in ernia da scivolamento ed ernia paraesofagea:
L'ernia iatale da scivolamento si realizza quando si ha una dilatazione dello iato
esofageo inferiore a causa di una lassità del suo tessuto connettivo. Quindi si ha una
risalita verso l'alto dello stomaco prossimale al di sopra del diaframma.
Lo stomaco che risale al di sopra del diaframma ha la forma di una campana con la
base rivolta verso il diaframma stesso.
Si tratta di un'ernia che è sempre asintomatica (può al massimo dare un pochino di
dispnea). È la più frequente (95%)
L'ernia paraesofagea è una risalita di una parte
del fondo gastrico lungo la grande curvatura,
lateralmente all'esofago. Questo è dovuto ad un
difetto della membrana connettivale che
definisce lo iato esofageo e l'ernia in questo
caso è tale da essere una vera e propria risalita
dello stomaco nella cavità toracica. L ernia può
in questo caso ingrandirsi fino al passaggio di
gran parte dello stomaco nel torace. In
questo caso ne derivano lesioni esofagee di tipo
infiammatorio, le esofagiti.

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Esofagiti
Processo infiammatorio a carico della mucosa esofagea che può essere acuto o cronico. L'eziologia
più comune è quella infiammatoria da reflusso gastro-esofageo, ma sono possibili anche altre cause
(infettive, da radioterapia, ingestione di acidi, caustici, liquidi bollenti).

1) Esofagiti infettive
L'infezione esofagea può insorgere anche in individui sani, ma è molto più frequente nei casi di
immunodepressione. Spesso si riscontrano lesioni pre-esistenti della mucosa (da intubazione,
radioterapia, reflusso con ulcere della mucosa). La mucosa sede di infiammazione diventa friabile,
si disfa con placche; nel tentativo di ripararsi produce pseudomembrane oppure può ulcerarsi.
Batteriche
Le esofagiti batteriche possono complicare un'ulcera preesistente. Solitamente i batteri patogeni
(diversamente dai comuni commensali) invadono la lamina propria potendo causare la necrosi della
mucosa sovrastante.
Micotiche
Le esofagiti micotiche sono quasi sempre causate da Candida. Questa può sovra-infettare un'ulcera
preesistente (come sopra) generando, nelle forme più avanzate, pseudomembrane biancastre (o
forse rossastre) adese alla parete esofagea, costituite da ife e cellule infiammatorie.
Spesso l'esofagite da Candida complica le condizioni di immunodepressione, ma può insorgere
anche in individui completamente sani (esempio delle giovani donne con candidiasi esofagea da
fellatio). Di solito la condizione è asintomatica.
All endoscopia si vedono multiple lesioni focali costituite da placche biancastre longitudinali
sparse sulla mucosa esofagea; quest ultima risponde all infezione con iperemia, fragilità, friabilità.
A volte si vedono membrane rossastre friabili (pseudomembrane) su mucosa ulcerata.
La flogosi è sostenuta da eosinofili e neutrofili.
Virali
Le esofagiti virali riconoscono come agenti eziologici HSV o CMV.
L'endoscopia fornisce già un sospetto eziologico, in quanto
HSV genera tipiche ulcere "a stampo" (circoscritte e ben evidenti)
CMV causa ulcere superficiali
Inoltre l'analisi istologica evidenzia poi
inclusioni esclusivamente nucleari nel caso di HSV
inclusioni sia nucleari che citoplasmatiche nel caso di CMV, con cellule ingrandite ed
aventi un nucleo enorme (l'analisi IIC degli antigeni virali è comunque la procedura
ottimale per l'identificazione eziologica).
L herpes, quando dà il massimo delle sue manifestazioni, può arrivare a raggiungere il 90%
dell esofago (terzo medio e distale); solitamente parliamo di pazienti immunodepressi (chemio-
radioterapia, immunodeficienza).
Si osservano zone biancastre, disepitelizzate
Le vescicole che si rompono espongono il fondo biancastro (rimangono zone
biancastre dopo che la vescicola si è rotta), non più rivestito da epitelio, con margini
eritematosi o giallastri
Aspetto istologico: l epitelio è sfrangiato, distrutto dalla presenza delle vescicole
erpetiche rotte, che disepitelizzano la parete esofagea
Aspetto endoscopico: bolle molto dolorose, che si rompono esponendo il fondo
biancastro (più chiaro della mucosa, rosa delicato e liscia), con margini eritematosi
Aspetto citologico: a forte ingrandimento, si osservano inclusioni erpetiche
nell epitelio di rivestimento rimasto. L herpes dà forti alterazioni citopatiche
nell epitelio residuo.

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2) Esofagite da reflusso
Il reflusso del contenuto gastrico attraverso lo SEI è la causa più frequente di esofagite, e si
manifesta clinicamente con la malattia da reflusso gastro-esofageo (MRGE).
In condizioni normali, una piccola quantità di reflusso gastrico può fisiologicamente risalire
nell esofago.
Normalmente ci sono alcuni fattori che proteggono l'esofago dal contenuto acido dello stomaco:
Il tono dello SEI
Secrezione di mucina e HCO3 da parte delle ghiandole sottomucose esofagee
Il reflusso può essere caratterizzato, oltre che dai succhi gastrici, anche da bile. L'eziologia del
reflusso può essere:
• Da diminuzione del tono dello SEI: alcol, fumo, farmaci
• Da aumento della pressione addominale: obesità, gravidanza
• Da "bypass" del meccanismo di chiusura del SEI: ernia iatale
I sintomi della MRGE sono vari: pirosi, dolore irradiato al dorso, rigurgiti. Altri sono tosse
cronica ++ notturna, aritmie, asma bronchiale, polmoniti e singhiozzo cronico.
Forme tipiche
Pirosi retrosternale
Dolore irradiato al dorso
Rigurgito entro poche ore dal pasto
Sintomi aggravati dal clinostatismo
Se la patologia permane per tanto tempo, a questo si possono aggiungere severe lesioni
esofagee, che causano disfagia ed emorragia (il succo gastrico ulcera la mucosa, fissurando
qualche vaso)
Forme atipiche
Aritmia cardiaca
Tosse cronica, soprattutto notturna
Asma bronchiale
Laringite
Polmoniti
Singhiozzo cronico

Anatomia patologica
Dal punto di vista macroscopico la malattia da reflusso viene valutata mediante la
classificazione di Los Angeles. Le lesioni macroscopiche sono classificate in base alla
estensione.
Grado A: una o più erosioni con dimensione < 5 mm che non si estendono oltre
l'apice di due pliche contigue

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Grado B: una o più erosioni con
dimensione > 5 mm ma che
non si estendono oltre l'apice di
due pliche contigue
Grado C: una o più erosioni che
si estendono agli apici di due
pliche contigue e che interessano
meno del 75% della circonferenza
della parete esofagea
Grado D: una o più erosioni che
si estendono agli apici di due
pliche contigue che interessano >
del 75% della circonferenza della
parete esofagea.
L'esame macroscopico pertanto è
eseguito dall'endoscopista, in vivo!

All' esame microscopico l'anatomopatologo potrà evidenziare alcune lesioni elementari:


1. Iperplasia basale, che supera il 15-20% dello spessore globale dell'epitelio
2. Allungamento delle papille della lamina propria > del 50% dello spessore globale
dell epitelio
3. Venule interpapillari dilatate
4. Presenza di materiale flogistico nella lamina propria (neutrofili ed eosinofili)
5. Granulociti neutrofili ed eosinofili e linfociti intraepiteliali (exocitosi)
6. Erosioni/ulcerazioni del tessuto epiteliale
7. Tessuto di granulazione (se già siamo nella fase di riepitelizzazione)
8. Atipie epiteliali cito-nucleari: possono essere normali in caso di infiammazione
massiccia (si parla di atipie reattive, o secondarie alla flogosi). E' importante
distinguerle da atipie di tipo displastico o addirittura carcinoma in situ della parete
esofagea.
In base ai parametri appena descritti l'esofagite da reflusso può essere distinta in:
• Esofagite inattiva: coesistono i parametri 1) 2) 3)
• Esofagite a bassa attività: quando ai primi tre parametri si aggiungono il 4) 5) e il 6)
• Esofagite ad alto grado di attività: ai precedenti parametri si aggiungono il 7) e 8)
Spesso la biopsia non correla bene con la sintomatologia del paziente (il paziente lamenta molti
sintomi ma la biopsia è pressoché normale NERD; il paziente è asintomatico ma ha lesioni
evidenti), forse per via delle lesioni nervose negli stadi avanzati.
All esame istologico, l epitelio comincia a formare delle fronde, si allunga, contrariamente a come
si presenta di solito l epitelio squamoso (che è piatto, lineare). Si vedono puntini rossi nella sotto-
mucosa (dilatazioni vascolari, mentre nella sottomucosa normale i vasi sono invisibili).
Si vedono anche puntini blu: sono linfociti.
Indicazioni alla biopsia
La biopsia può trovare indicazioni differenti :
Per fare diagnosi differenziale tra Esofago di Barret o reflusso gastro-esofageo.
Diagnosi di compatibilità con una patologia sistemica come la sclerodermia o
l anemia perniciosa.
Per poter determinare gravità ed estensione della lesione
Monitorare il decorso clinico-patologico della malattia
Monitorare gli effetti della terapia
Individuare le complicanze: l endoscopista non vede fistole e fissurazioni, la biopsia
invece le può vedere.

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Procedura bioptica
Quando viene inviata una bx dell'esofago, come già detto, è importante sapere la distanza
dalla linea Z (in cm). Sono bx che generalmente non superano i 2 mm di diametro.
La biopsia deve comprendere almeno la lamina propria e l'epitelio (1,5-2mm di spessore),
per poter valutare il tipo di infiltrato (flogosi acuta, cronica, eosinofila ecc.) e il rapporto fra la
lesione epiteliale e la lesione della lamina propria
Le biopsie devono avere un inizio (epitelio) e una fine (sottomucosa)
Il tutto deve essere posto su un supporto adeguato contente formalina per il mantenimento.
Occorrono
almeno 2 biopsie al di sopra della linea Z (in assenza di lesioni endoscopicamente
visbili),
se invece la lesione è già stata evidenziata chiaramente con l'endoscopia allora basta
una sola biopsia.
Si passa quindi alla fissazione ed allestimento del campione: vengono fatte almeno cinque sezioni
micrometriche di ciascuna biopsia.
Si passa a colorazioni particolari:
ematossilina-eosina, fatta di routine
Giemsa, per evidenziare H. pylori;
se invece ritroviamo delle metaplasie intestinali allora si può utilizzare la colorazione
con alcian blu (pH 2,5) che mette in evidenza le mucine neutro-acide prodotte
dall'epitelio di rivestimento intestinale;
infine si possono valutare il brushing, lo spazzolamento della lesione, che viene
strisciato sul vetrino e fissato con citofix.
Notizie cliniche minime
Ovvero: il minimo che il clinico/chirurgo deve scrivere quando invia il campione all anatomia
patologica (vanno scritte nella polizza dell esame).
Essenziale: sede del prelievo, espressa in cm dalla linea Z
Altre informazioni utili
Quadro endoscopico
Iperemia
Erosione
Ulcerazione
Stenosi
Mucosa di Barrett
Ernia iatale
Precedenti istologici
Terapia in atto
Motivo dell esame bioptico
Sintomatologia esofagea: pirosi, dolore retrosternale, rigurgito
Sintomatologia extrasesofagea: asma non stagionale, senso di soffocamento, notturno,
raucedine cronica
Informazioni facoltative
Test pH-metrico compatibile con reflusso patologico
Test manometrico compatibile con acalasia.

Esofago di Barrett
L'esofago di Barrett rappresenta la metaplasia (intestinale) dell' epitelio di rivestimento esofageo.
Si può parlare di esofago di Barrett (long Barrett) quando è presente un'area di epitelio colonnare
di tipo intestinale che si estende almeno 3cm sopra la giunzione esofago-gastrica. Quando invece
l'estensione della metaplasia è inferiore a 3cm al di sopra della linea Z si parla di "short Barrett".

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All endoscopia l aspetto è caratteristico, ma l anatomopatologo deve dimostrare la presenza di
epitelio di tipo intestinale specializzato. La distinzione fra short e long viene fatta grazie
all indicazione, che l endoscopista deve fornire, della sede del prelievo in cm dalla linea Z.
Anatomia patologica
L'esofago di Barrett può essere distinto in tre tipi istologici, a seconda del tipo di epitelio che
sostituisce l'epitelio pluristratificato esofageo:
Esofago di Barrett con epitelio colonnare gastrico (tipo cardias): la mucosa del
cardias presenta strutture tubulari composte, con poche cellule acido-secernenti. Le
foveole e le creste sono profonde.
Nel contesto dell'epitelio metaplastico di solito è presente architettura simil-foveolare
gastrica con epitelio superficiale colonnare e ghiandole mucose di tipo cardiale, talora
dilatate. Vi possono essere sparse rare cellule caliciformi.
Rispetto alla mucosa cardiale, si rilevano distorsione ghiandolare, edema e infiltrato
infiammatorio cronico. Se mancano questi elementi, la biopsia è stata fatta su mucosa
gastrica e non esofagea metaplasica.
Esofago di Barrett con epitelio di tipo colonnare fundico: la mucosa del fondo
gastrico (detta "ossintica") è caratterizzata da ghiandole tubulari semplici con
abbondanti cellule parietali e principali; sono presenti rare cellule neuro-endocrine.
Le ghiandole sono separate da abbondante tessuto connettivo della lamina propria,
che conferisce un aspetto atrofico alla mucosa. La mucosa forma foveole e creste
poco profonde. Non vi è differenziazione intestinale.
Esofago di Barrett con epitelio di tipo intestinale specializzato: caratterizzato da
epitelio intestinale (cilindrico monostratificato villiforme) con cellule caliciformi, le
"globet cells, e in profondità strutture ghiandolari simili a quelle intestinali rivestite
da cellule cuboidali siero mucose, con cellule enterocromaffini.
Di solito la metaplasia è incompleta; ovvero l'epitelio intestinale metaplastico non ha
tutte le caratteristiche tipiche dell'epitelio intestinale vero. Solo questo tipo di
metaplasia è stato associato con sicurezza con lo sviluppo di neoplasie esofagee
maligne. In questo contesto è possibile ritrovare anche patologie tipiche della mucosa
intestinale!
C'è in realtà un po' di confusione nelle definizioni. Infatti alcuni autori si riferiscono all'esofago di
Barrett riferendosi alla sola metaplasia di tipo intestinale, poiché questa è quella che nel tempo è
stata chiaramente associata con lo sviluppo di tumori. Nella classificazione appena fatta invece,
con la dicitura "esofago di Barrett", s'intende qualsiasi metaplasia dell'epitelio di rivestimento
esofageo.
Dal punto di vista istologico l'elemento chiave per fare la diagnosi di esofago di Barrett è la
presenza di metaplasia intestinale con cellule caliciformi . Queste sono cellule con vacuoli mucosi
che assumono una colorazione blu pallido con l'E-E, e che conferiscono al restante citoplasma una
conformazione a calice (di vino). [In questo caso si fa riferimento quindi alla sola metaplasia intestinale]
Oltre a questo dobbiamo andare a ricercare la presenza di displasia1:
Displasia di basso grado (LGD)
Displasia di grado moderato
Displasia di alto grado (HGD): la differenza fra questa e il carcinoma in situ praticamente non
esiste (il Ca in situ è proprio compreso in questa categoria, dove le ghiandole affondano tutto
lo spessore della lamina propria + effetto back to back delle ghiandole, atipie cellulari come
nucleo non solamente basale e aumento N/C)

1
La displasia di basso o alto grado viene individuata grazie alla valutazione quantitativa di:
• Proliferazione epiteliale
• Mitosi atipiche
• Ipercromasia nucleare e stratificazione
• Aumento del rapporto nucleo/citoplasma
• Mancata maturazione delle cellule epiteliali durante la migrazione verso le zone più superficiali dell'epitelio.

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Indefinito per displasia: atipia citologica in presenza di infiammazione attiva o aspetti di
crescita epiteliale di significato sconosciuto (come nella diagnosi di RCU)
Prima di scrivere carcinoma esofageo (il paziente va dritto in sala operatoria), siamo cauti,
facciamo terapia e controlliamo a 3 mesi.
Altre lesioni suggestive ma non patognomoniche di esofago di Barrett possono essere :
• La fibrosi della lamina propria
• La presenza di componente ghiandolare contigua alla muscularis mucosae
• L'edema e la congestione
• Infiltrato infiammatorio acuto e cronico (deve essere sempre presente).

Diagnosi di certezza di esofago di Barrett


Si può fare solo in presenza di indicazione endoscopica della sede del prelievo in cm dalla
giunzione GE
In assenza del dato di sede, la diagnosi sarà solo di compatibilità (es. lembi di mucosa di tipo
gastrico, cardiale, fundico, specializzato, suggestivo per esofago di Barrett)
A volte l infiltrato infiammatorio può essere così rappresentato da non essere più contenuto nella
lamina propria e da ritrovarsi quindi fra le ghiandole.
Talvolta si possono avere condizioni con tale infiltrazione linfocitaria da non permettere la
caratterizzazione (non si può dire se sia un quadro infiammatorio o una displasia vera e
propria, ma nel primo caso non ci sono mai mitosi). In questo caso si invita l'endoscopista a
ristudiare attentamente il paziente in breve tempo. Questi pazienti vengono trattati
farmacologicamente con i PPI (80mg/die) per almeno sei mesi, dopodiché vengono monitorati
e se dopo la terapia presentano ancora il quadro iniziale si può asserire che non si trattasse di
un quadro reattivo, ma di una displasia vera dell epitelio.
Se siamo di fronte ad un quadro displastico il trattamento sarà diverso a seconda del grado
della displasia:
• In caso di displasia di basso grado l'indicazione è quella di effettuare prelievi bioptici
multipli dopo 3 mesi di terapia antireflusso e dopo l'eradicazione di H. Pylori.
a) In assenza di lesioni displastiche post-terapia occorre effettuare comunque un
esame bioptico ogni 24 mesi, a seconda dell'epitelio trovato all'interno della
mucosa esofagea.
b) Qualora invece venissero confermate lesioni displastiche post terapia, occorre fare
l'intervento chirurgico con rimozione del terzo inferiore dell'esofago.

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• In caso di displasia di alto grado bisogna porre l'attenzione sulle strutture ghiandolari
sottoepiteliali e valutare fino a che punto si addentrano nella parete dell'esofago.
Questo perché per parlare di displasia occorre che si fermino alla muscularis mucosae.

La diagnosi differenziale con esofago di Barrett va fatta con:


Mucosa gastrica eterotopica
Residui embrionali, quindi epitelio colonnare che riveste normalmente l'esofago fino
al settimo mese di vita.
Residui tracheobronchiali, come le cisti dermoidi (amartromi). Sono abbozzi
embrionali rimasti all'interno dell'organo che mantengono tutte le caratteristiche di
crescita.
Queste sono condizioni assolutamente benigne.

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TUMORI ESOFAGEI

1. Tumori benigni
I tumori benigni dell'esofago sono quasi sempre dati da strutture di origine mesenchimale e si
sviluppano all'interno della parete dell'organo (intramurali). I più comuni sono i leiomiomi, ad
origine dalla muscolatura liscia; altri sono i fibromi, i lipomi, gli emangiomi ...
Vengono classificati come segue:
Papillomi
o Associati ad HPV
o Non associati ad HPV
Della tonaca mucosa
o Lipomi
o Fibrolipomi
o Fibromixomi
Intramurali (crescono nella parete esofagea)
o Leiomiomi (più frequenti nel 1/3 inferiore)

Papillomi
Il papilloma vescicale e quello esofageo sono costituiti da una proliferazione dell epitelio
squamoso; nella maggior parte dei casi, sono legati a infezioni da HPV; se escissi chirurgicamente,
guariscono completamente; la terapia è da mirare contro la causa. Nel 60-75% dei casi, la causa è
HPV e la terapia va mirata contro questo virus.
Il papilloma si presenta come una estroflessione della mucosa nel lume. Estroflessioni papillari di
grandi dimensioni (fino a 1-1,5cm), pur se benigne, possono causare disfagia, dispnea, tosse: sono
questi i sintomi che portano il paziente a rivolgersi all endoscopista per esame EGDS ed escissione.
Sulla zona più esterna di queste ramificazione bisogna trovare segno di HPV (coilociti).
Nel PAP-test, per le neoplasie intraepiteliali di basso grado determinate da HPV, quello che si cerca
è proprio questo.
L endoscopista sa che il papilloma non evolve, ma lo fa analizzare dal patologo per sapere se è
HPV-correlato oppure no (se nel referto c è scritto solo papilloma , non è HPV-relato).

Leiomioma
Aspetto Macroscopico
Formazione dura, quasi duro-lignea nella parete dell esofago. A livello della mucosa, non c è
traccia di lesione salvo protuberanza per effetto massa. La crescita è intramurale, la mucosa è
intatta.
L evoluzione di queste neoplasie non è maligna, ma come tutte le neoplasie dei tessuti molli hanno
una controparte maligna: di fronte ad una lesione biancastra a fasci intrecciati bisogna fare
attenzione all eventuale presenza di una capsula (se la lesione è interamente capsulata,
verosimilmente è benigna; se si osservano margini stellati che infiltrano il parenchima circostante
invece la lesione è probabilmente maligna).
Attenzione anche a fenomeni reversivi: se nella palla bianca bianco-grigiastra si vedono emorragie
e necrosi, dobbiamo metterci in allarme (guado fra benignità e malignità).
Aspetto Microscopico
Mucosa perfettamente normale
Sottomucosa normale
Muscolaris mucosae
Strato muscolare: neoformazione bianco-grigiastra a fasci intrecciati (come fasci di tessuto
biancastro che si intrecciano l un l altro), molto bianchi, duri, fibrosi.

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È un leiomioma o un leiomiosarcoma?
Quello che dobbiamo vedere per discriminare fra benignità e malignità è il numero delle
mitosi.
Altro parametro da considerare è l indice proliferativo della lesione, che si misura con
tecniche immunoistochimiche; un indice basso indica benignità, un indice >30-40% è
suggestivo di malignità.

Altre lesioni benigne


Possono poi esserci lesioni vegetanti, tra cui:
Papillomi squamosi: lesioni sessili con un core centrale di tessuto connettivo e una
mucosa iperplastica papillare con rivestimento squamoso. Se sono causati da
un'infezione da HPV si parla di condilomi.
Polipi della mucosa: costituiti da un peduncolo vascolare e da tessuto adiposo o
fibroso (polipi fibrovascolari e lipomi peduncolati)
Polipi infiammatori: può somigliare ad un tumore perché ha un aspetto irregolare e
infiammato, e può infiltrare la parete (per cui si parla di pseudotumori infiammatori).

2. Tumori maligni
Le neoplasie maligne dell'esofago sono rappresentate da due principali varianti istologiche, che
differiscono anche sul piano clinico, l'adenocarcinoma e il carcinoma squamocellulare. Ha
prevalenza maschile, ma c è stato nelle donne un aumento dell incidenza negli ultimi anni,
associato ad un più elevato consumo di sigarette. Tumore raro nei soggetti con un età inferiore ai 25
anni, l incidenza aumenta progressivamente nella fascia d età compresa fra 45-55 anni; l età media
di insorgenza, nell uomo e nella donna, è di 66 anni.
La variante squamocellulare è 6 volte più frequente nei maschi neri (per insulto continuo della
mucosa da parte del bolo alimentare) rispetto ai bianchi; l adenocarcinoma è 3 volte più frequente
nei maschi bianchi rispetto ai neri.
Il 15% dei carcinomi esofagei origina dal terzo superiore dell esofago, il 50% dal terzo medio e il
rimanente 35% dal terzo inferiore; in quest ultima sede è prevalente l adenocarcinoma, in
particolare associato all esofago di Barret, insorgendo quindi su una metaplasia, gastrica o
intestinale (condizione più frequente tra gli europei e nella razza bianca).

Adenocarcinoma
Si ritiene che prenda origine dalle ghiandole esofagee sottomucose o da isole ectopiche di epitelio
gastrico isolate. Solo se l adenocarcinoma è circondato da mucosa epidermoide si può considerare
di origine esofagea, ed è raro.
L'adenocarcinoma esofageo del terzo inferiore rappresenta la prosecuzione fisiopatologica e
clinica dell'esofago di Barrett e dell'esofagite da reflusso di lunga durata, e va considerato come
adenocarcinoma gastrico (in questo caso sarà circondato da isole di tessuto ectopico
intestinale).
Altri fattori di rischio sono il fumo e l'obesità. L'adenocarcinoma colpisce prevalentemente i
maschi (M/F=7:l), in particolar modo nei paesi occidentali. L'incidenza di questo tumore è
aumentata esponenzialmente a partire dagli anni '70, tanto che al tempo rappresentava solo il 5% dei
tumori esofagei, mentre oggi ne rappresenta la metà!
Anatomia patologica
Per quanto detto, è ovvio che l'adenocarcinoma si localizzi prevalentemente al terzo distale
dell'esofago; può formare masse di aspetto vegetante oppure placche ulcerate.
Dal punto di vista microscopico è costituito da cellule che producono mucina e formano strutture
ghiandolari. A sottolineare la patogenesi di questo tumore, nelle aree adiacenti si trova spesso
epitelio metaplastico di tipo intestinale (esofago di Barrett).

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Clinica
Questo tumore può essere scoperto in soggetti con storia di MRGE o esofago di Barrett durante i
controlli endoscopici. Altrimenti può rendersi
manifesto con disfagia, calo ponderale (per
l'impossibilità quasi totale di mangiare cibi solidi),
ematemesi, vomito, dolore toracico. Quando si
presentano questi sintomi di solito il tumore è già
diffuso per via linfatica.
Notare come la normale mucosa esofagea s'interrompa al
livello dell'esofago distale per lasciare spazio all'esofago di
Barrett (rossastro). Alla giunzione esofago-gastrica si vede
una grossa lesione ulcerata, un adenoCa
La sopravvivenza differisce di molto tra i soggetti
che alla diagnosi hanno un carcinoma in situ (80%)
e quelli che hanno un carcinoma in fase avanzata (25%).
Biopsia
Sul pezzo operatorio la diagnosi è più semplice, ma sulla biopsia non è così immediato (dici di aver
fatto il prelievo a 4cm dalla linea Z, ma se invece fosse un K gastrico?).
Anche per l adenoK valgono le stesse regole: bisogna indicare infiltrazione vascolare, infiltrazione
di parete, mitosi, differenziazione.
Diffusione
Per via linfatica
Per via ematica (tardivamente, nel 20% dei casi è interessato il fegato)
Per contiguità: molto pericolosa; superata l avventizia, la neoplasia può invadere trachea,
bronco sinistro, vena polmonare, rachide.

Carcinoma squamocellulare
Epidemiologia
E' più frequente nel maschio (M/F=3/1) e nei soggetti afroamericani; le aree a maggiore incidenza
sono quelle asiatiche.
È la settima causa di morte per cancro in tutto il mondo. Raro in Europa e negli USA (dove
rappresenta 1% dei tumori maligni), è più frequente nell ex-URSS dove c è abitudine a consumare
cibo troppo caldo (irritazione cronica). Raro a <25 anni, ha un picco di incidenza intorno ai 45 anni.
Eziologia
Il carcinoma squamocellulare non riconosce una patogenesi ben definita come il precedente;
sono però stati identificati fattori di rischio come l'alcool e il fumo, ed il frequente consumo di
bevande molto calde.
Alcune patologie esofagee come l'acalasia e la tilosi (vedi dopo) possono predisporre allo
sviluppo di questo tumore.
I fattori di rischio quindi sono i seguenti:
Fumo (rischio aumentato di 6-7 vv)
Diete carenti di oligoelementi
Nitrosamine e loro precursori (nitriti ed amine secondarie)
Alcool
Calore
Pregressa patologia esofagea
o Acalsia
o Stenosi cicatriziali (peptica, da caustici)
o Esofagiti infettive (batteriche, micotiche)
o Megaesofago da reflusso
o Malattia diverticolare

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Tutte le patologie esofagee sopra elencate fra i fattori di rischio hanno in comune la quasi totale
distruzione della mucosa esofagea: il primum movens dell acalasia (perdita di motilità, ciò che viene
ingerito staziona), delle stenosi cicatriziali (il lume esofageo si restringe, forma un imbuto sopra a
cui ristagna il bolo alimentare a contatto con la mucosa esofagea), delle esofagiti e dei diverticoli è
l irritazione con infiammazione continua, che porta a friabilità della mucosa esofagea, con
disfacimento totale della stessa. Quando la mucosa si viene a perdere a fronte di questi insulti
infiammatori continui, tenta di riepitelizzare; durante la riepitelizzazione, qualche cellula può subire
dei danni mutazionali (attivazione di oncogeni, inattivazione di oncosoppressori, duplicazione di
tratti di DNA…).
Attraverso i vari gradi di displasia, si potrebbe così arrivare all insorgenza di un K invasivo.
Patogenesi
Sono implicati fattori genetici; la tilosi è una patologia a trasmissione AD caratterizzata dalla
presenza di:
Ipercheratosi plantare e palmare congenita
Papillomi esofagei
Si associa inoltre ad aumento di rischio di K esofageo (>90% oltre 65 anni).

Displasia
La displasia dell epitelio esofageo è l unica lesione preneoplastica conosciuta. Come tutte le
displasie, viene classificata in tre gradi: lieve, moderata, grave. La displasia grave è un carcinoma
in situ.
Displasia di basso grado
Aumento, nello strato basale dell epitelio, della proliferazione cellulare:
nuclei ipercromatici,
ispessimento dello strato basale (dovrebbero essere un unica fila di cellule)
deformazioni nucleari (nuclei allungati, aumento del rapporto nucleo/citoplasma)
Tutto è confinato allo strato basale dell epitelio (alterazioni citomorfologiche nello strato
basale)
Displasia di alto grado
Le alterazioni raggiungono lo strato più esterno (cellule nucleate anche in superficie)
Rapporto nucleo/citoplasma invertito, fortemente aumentato
Ad alto ingrandimento, si vede che le mitosi sono molto presenti
È un carcinoma in situ
Anatomia patologica
La localizzazione più frequente di questo carcinoma è il terzo medio dell esofago, a differenza
dell'adenocarcinoma che si localizza nel terzo inferiore.
Questi carcinomi dell esofago sono localizzati nel 15% dei casi nell esofago cervicale, 20% esofago
toracico superiore, 30% medio, 35% nel terzo inferiore dell esofago.
Aspetto macroscopico
Vegetante (60%)
Proliferazione di masse neoplastiche a grande sviluppo endoluminale
Larga base di impianto
Cospicuo volume
Superficie irregolare
Ampie zone di necrosi
Possibili piccole zone di ulcerazione ed emorragia alla periferia, per il transito del cibo
Ulcerato (25%)
Placca ulcerata al centro (escavazione, avvallamento della neoplasia) a bordi rilevati e duri,
con asse di ulcerazione sempre orientato lungo l asse longitudinale dell esofago

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Questi tumori tendono a infiltrare strutture mediastiniche: infiltrano a tutto spessore la
parete, raggiungono l avventizia, determinano aderenze neoplastiche o metastasi.
Infiltrante (15%)
Non c è una zona di malattia chiaramente limitata. L esofago è ispessito, duro-ligneo
Aspetto microscopico
Dal punto di vista istologico è possibile riconoscere la progressione della
cancerogenesi.
Inizialmente si hanno lesioni piccole, grigio-biancastre e circoscritte, che rappresentano foci di
displasia squamosa (con cui s'intende in questo caso il carcinoma in situ). Queste lesioni si
sviluppano fino a diventare masse polipoidi o esofitiche che protrudono verso il lume,
ostruendolo.
La presenza di perle cornee è patognomonica del carcinoma a cellule squamose e la loro
identificazione è indispensabile per dare un grading. Infatti, tante più ne sono presenti, tanto
maggiore è la differenziazione del tumore, che mantiene la capacità di produrre cheratina.
Solitamente i carcinomi squamocellulari sono moderatamente o ben differenziati. Si deve però
sempre valutare il grado di differenziazione.
E' opportuno inoltre valutare l'invasione dei diversi strati di parete dell'esofago.
Come sempre, si parla di carcinoma in situ se le cellule tumorali non hanno superato
la membrana basale.
Nel caso in cui questa venga superata si parla invece di carcinoma invasivo, e si dovrà
valutare l'infiltrazione dei diversi strati (sottomucosa, strato muscolare, strato
avventizio), dei vasi e dei nervi (infiltrazione perineurale).
La ricca rete linfatica intramurale consente spesso la diffusione del tumore a sedi limitrofe
dell'esofago, che risulta così diffusamente infiltrato. Si valuteranno anche l angioinvasione (se
presente, è sinonimo di metastasi) e l infiltrazione perineurale. Importante considerare che gran
parte dell esofago non è rivestito da avventizia a contenere la diffusione.
Clinica
L'esordio dei sintomi è spesso insidioso, con disfagia, odinofagia, perdita di peso (per la
progressiva occlusione del lume).
Prognosi
Non avendo condizioni precancerosi sottoposte a screening, come l'adenocarcinoma, il suo
ritrovamento è accidentale (esame endoscopico per altri motivi) o per l'esordio dei sintomi. In
quest'ultimo caso lo stadio è spesso avanzato (60% inoperabile alla diagnosi) e la prognosi
infausta (sopravvivenza a 5 anni del 9%).
Fattori prognostici sono la sede del tumore, il grado di infiltrazione, il numero di linfonodi
positivi, l interessamento degli organi adiacenti, le metastasi a distanza, il calo ponderale ed il
performance status del paziente al momento della diagnosi

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Early esophageal cancer
Carcinoma dell'esofago per aventi ernie: è un tumore che si chiama così solo se limitato allo strato mucoso.
Rappresenta l'1% di tutte le forme tumorali esofagee (purtroppo, perché è quello a prognosi migliore).
Può essere di 4 tipi:
Protrudente (9%): lesione saliente con aspetto papillare e peduncolato o vegetante (protrude
come le masse vegetanti, ma è piccolo)
Superficiale (44%): non si vede, è una lesione a placca pari alla parete dell'esofago con una
piccola erosione; può diventare superficiale se non trattata (forma superficiale diffusa)
Depresso (36%): lieve depressione della mucosa esofagea, con aspetto erosivo od ulcerativo
(disepitelizzazione) a margini irregolari (stellati)
Occulto (11%): area di mucosa scura traslucida difficile da identificare. È l'unica condizione
in cui, se il carcinoma non supera la mucosa, si può non preoccuparsi.
Spesso ha però prognosi infausta, perché spesso è diagnosticato tardivamente e in questo caso
le metastasi a distanza sono una regola. Purtroppo le lesioni sospette sono tante, andrebbero
biopsiate tutte.

APPENDICE – CONCETTI RIASSUNTIVI


Esofagiti, classificazione di Los Angeles

A Una o pi le ioni mm non ol e l apice di d e pliche con ig e


B Una o pi le ioni mm non ol e l apice di d e pliche con ig e
C Una o più lesioni oltre due pliche contigue (< 75% di circonferenza)
D Una o più lesioni oltre due pliche contigue (> 75% di circonferenza)

Ge ione dell e ofago di Ba e Ame ican College of Ga oen e ologi

BE non displastico: EGD a 3-5 anni


BE con displasia dubbia: antibiotici + PPI per 6 mesi
o Displasia di basso o alto grado: vedi sotto
o Displasia ancora dubbia: EGD a un anno
BE con displasia di basso grado: resezione (o sorveglianza a un anno)
o Oppure fai terapia. Se risolve lo tratti come un non displastico; se lo confermi a basso grado
operi.
BE con displasia di alto grado: resezione
Adenocarcinoma
o T1a con istologia favorevole: resezione
o T1a con istologia sfavorevole: consulenza oncologica
o T1b: consulenza oncologica (infatti qui ha infiltrato la sottomucosa)

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T mori dell esofago -classificazione WHO-
I mo i dell e ofago ono, da qualche anno, principalmente adenocarcinomi.
Tumori epiteliali benigni Tumori non epiteliali benigni (principali)
Papilloma squamoso Leiomioma
Neoplasia intraepiteliale Lipoma
- Ghiandolare (adenoma)
- Displasia squamosa (è il carcinoma in situ)
Tumori epiteliali maligni Tumori non epiteliali maligni
Adenocarcinoma
Carcinoma adenosquamoso Leiomiosarcoma
Carcinoma squamoso - verrucoso - mucoepiderm. Rabdomiosarcoma
Carcinoma basalioide - cell fusate - adenoidocistico Sarcoma di Kaposi
Carcinoma a piccole cellule - carcinoide - indiffer Melanoma maligno

Stadiazione TNM
T1: tumore confinato a lamina propria o sottomucosa
T2: tumore arriva allo strato muscolare
T3: tumore infiltra la sierosa
T4: tumore invade organi adiacenti
Fra la VI e VII edizione della stadiazione TNM del cancro esofageo secondo la AJCC sono stati rivisti i
criteri di assegnazione del parametro N, che non differenzia più i linfonodi infiltrati come locoregionali
(N) da quelli infiltrati come metastasi a distanza (M1a). Semplicemente stimo la N sulla base del numero
dei linfonodi infiltrati (N1-N2-N3, come il tumore dello stomaco)
Sesta edizione
N1: infiltrazione dei linfonodi locoregionali
M1a: linfonodi cervicali nel cancro esofageo del terzo superiore
M1a: linfonodi celiaci nel cancro esofageo nel terzo inferiori
M1b: tutte le altre metastasi
LM a è a licabile ai m i del III medi e i ali ale l a N e i li f di l c egi ali
altrimenti direttamente M1b.
Settima edizione
N1: linfonodi locoregionali fino a 2
N2: linfonodi locoregionali 3-6
N3: linfonodi locoregionali da 7 in su
M: qualsiasi metastasi a distanza
Quindi, secondo la settima edizione, un linfonodo
locoregionale è ogni linfonodo paraesofageo, dai linfonodi T N M
cervicali a quelli celiaci (in mezzo ci sono i carenali, gli Stadio I 1 0 0
a lm a i i media i ici gli ila i elli dell a g l Stadio II 2-3 0 0
tracheobronchiale, i mediastinici anteriori e posteriori, 1-2 1 0
diaf amma ici celiaci dell e a ica c m e le ici
3 1 0
paracardiali. Per la sesta edizione, invece, erano di diritto Stadio III
4 Qualunque 0
M1a quei li f di i di a i di a ic la e di e Stadio IV Qualunque Qualunque 1
(vedi i celiaci per il III inferiore), mentre M1b tutti quelli di un
altro distretto.
Classifica ione clinica dei mori all esofago
III superiore: f a ca ilagine c idoide e a co dell a go
III medio: f a a co dell a go e ena polmona e infe io e
III inferiore: fra vena polmonare inferiore e giunzione gastroesofagea.

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STOMACO
I disturbi dello stomaco sono spesso causa di patologia clinica, ed in particolare le lesioni
infiammatorie (gastriti e ulcere) e neoplastiche sono particolarmente comuni.
Cenni di anatomia

Morfologia
Lo stomaco è suddivisibile in quattro
regioni anatomiche principali ovvero
il cardias, il fondo dello stomaco, il
corpo e l antro pilorico, tramite il
quale il contenuto gastrico si porta
nel duodeno.
La mucosa che riveste lo stomaco si
presenta in condizioni normali di
colorito grigio-rossastro, con un
distacco netto al confine con la
mucosa esofagea a livello della linea
Z e con la mucosa duodenale a
livello dello sfintere pilorico.
La superficie interna è ampiamente
solcata dalle cosiddette plicature
gastriche che convergendo
radialmente verso il cardias e assumendo un decorso longitudinale a livello distale sono espressione dei
continui movimenti peristaltici che derivano dalla contrazione dell ampia componente muscolare della parete
gastrica.

Microscopica
Dal punto di vista istologico la parete è costituita da:
- Tonaca mucosa: presenta un aspetto abbastanza cribroso, per la presenza delle plicature di numerose
fossette, nel fondo delle quali si
insinua un epitelio di tipo
ghiandolare. L epitelio di
rivestimento dello stomaco
propriamente detto è di tipo
cilindrico semplice. Le
ghiandole che sboccano nel
fondo di queste fossette hanno
una morfologia diversa a
seconda della zona e della
funzione cui sono deputate:
o Ghiandole cardiali: prossime al cardias, con prevalente secrezione mucosa.
o Ghiandole fundiche: prevalentemente localizzate nel fondo e nel corpo gastrico. Hanno una
diversa specialità:
Mucipare Muco
Principali o Zimogene Pepsinogeno
Parietali o ossintiche HCl e fattore intrinseco o Ghiandole piloriche:
localizzate a livello dell antro pilorico e deputate alla produzione di muco e gastrina;
quest ultima, tramite il sangue portale e da qui al circolo generale, si dirige a stimolare il
proprio bersaglio, ovvero le cellule parietali del corpo-fondo gastrico. Le cellule gastrina-
secernenti o cellule G fanno parte del sistema APUD, al quale appartengono altre cellule

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gastriche secernenti a funzione endocrina quali le cellule secernenti somatostatina, motilina.
Da tali cellule possono originare tumori neuroendocrini come il gastrinoma (vedi lezione
dedicata).
- Tonaca sotto-mucosa: molto più sottile della mucosa è costituita da tessuto connettivo lasso con fibre
elastiche e collagene, molto ben vascolarizzato.
- Tonaca muscolare: ben rappresentato per le ovvie funzioni peristaltiche; è costituito dalla
sovrapposizione di tre strati muscolari sovrapposti: o Fascio superficiale, costituito da fibre a
decorso longitudinale o Fascio intermedio o Fascio profondo, costituito da fibre ad andamento
obliquo.
- Tonaca sierosa: ricopre lo stomaco lasciando scoperte alcune aree lungo le quali si intersecano i
piccolo ed il grande omento, occupate da arcate vasali e legamenti nervosi.

Dopo questo breve cenno anatomico andiamo ad analizzare le principali patologie gastriche; per prime
analizzeremo le comuni forme infiammatorie.

GASTRITI

La gastrite è un danno della mucosa gastrica associato alla presenza di infiltrato infiammatorio
(linfo/monociti e/o granulociti neutrofili), accompagnato o meno da alterazioni della struttura ghiandolare
(forme atrofiche o non), la cui estensione e distribuzione dipendono dall’eziologia del processo flogistico e
dalla risposta immunitaria dell’ospite.

La diagnosi è istologica e non esiste correlazione tra il quadro endoscopico e quello istologico
(sovrapposizione solo nel 30% dei casi). Per fare diagnosi è quindi necessario un adeguato campionamento
bioptico della mucosa gastrica.

Trattandosi di patologie a carattere infiammatorio si distinguono forme acute e croniche, le quali si


differenziano per durata della patologia, caratteristiche cliniche e natura dell infiltrato infiammatorio
mucoso.

Fisiopatologia In condizioni normali, l epitelio della mucosa gastrica è protetto dall acidità gastrica per
l azione combinata di una serie di fattori che nel loro complesso costituiscono la barriera mucosa gastrica.
Gli elementi che contribuiscono a garantire tale protezione sono:
- Barriera mucosa pre-epiteliale, garantita dalla costante secrezione di muco e bicarbonati in grado di
tamponare gli ioni H+ nei pressi della mucosa.
- Barriera epiteliale, costituita da un epitelio cilindrico mono-stratificato molto alto, le cui cellule sono
reciprocamente in stretta connessione tra loro per la presenza di serrate gap-Junction. L epitelio è in
continuo rinnovamento completando un ciclo nell arco di 3-5 giorni.
- Barriera post-epiteliale,
garantita da una fitta rete
capillare che permette la
rapida rimozione degli
idrogenioni che attraversano
la mucosa.

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NB Le prostaglandine e le prostacicline hanno un ruolo importantissimo nel garantire e nel sostenere tale
sistema di barriera agendo a tutti e tre i livello sopra-visti!! Per questo la patologia infiammatoria gastrica è
strettamente correlata all uso/abuso di FANS.

Eziologia
Le gastriti derivano da un squilibrio tra i fattori protettivi e i fattori aggressivi; in particolare i principali
fattori eziologici sono rappresentati da:
- Helycobacter Pylori
- Uso di FANS
- Fumo di cicchino
- Alcol
- Farmaci chemioterapici
- Radioterapie
- Processi autoimmunitari
- Ischemia nei pazienti in shock (ad esempio i grandi ustionati)
- Stress
- Agenti chimici

Eziopatogenesi
Ruolo dei FANS
I Fans inibiscono la sintesi delle prostaglandine per inibizione della ciclossigenasi
Le PG sono importanti non solo nella genesi dei processi infiammatori, ma hanno un ruolo
fondamentale nella difesa della mucosa gastrica
La carenza di PG nell ambiente acido dello stomaco pu favorire l insorgenza di gastrite acuta
erosiva.
Ruolo dell alcool, caffè e fumo di sigaretta
L alcool ha un azione direttamente lesiva sulla mucosa gastrica
Il fumo agirebbe aumentando la secrezione cloridropeptica, riducendo la produzione di
prostaglandine, riducendo la motilità gastrica e determinando vasocostrizione, con conseguente
diminuzione delle resistenze della mucosa e ridotta capacità di rigenerazione cellulare

GASTRITE ACUTA
La gastrite acuta è un processo infiammatorio transitorio della mucosa che può essere asintomatico o
causare gradi variabili di dolore epigastrico, nausea e/o vomito.
Nei casi più gravi vi possono essere erosioni della mucosa, ulcerazione, emorragia, ematemesi, melena,
raramente con perdite ematiche importanti. Dal punto di vista eziologico riconosciamo gastriti:
- Da farmaci (FANS) pi frequente
- Ischemiche per traumi, ustioni estese, eventi trombo-embolici le ulcerazioni si distribuiscono
prevalentemente a livello di corpo e fondo gastrico.
- Infettive H. Pylori
- Da irradiazione o chemioterapia
- Da alcol
- Da assunzione di agenti chimici corrosivi
Eliminata la causa che ha determinato la gastrite acuta (es. sospendendo i FANS), ci può essere restitutio ad
integrum.
Si possono riconoscere diverse forme di gastrite acuta:
- Purulenta
- Catarrale
- Emorragica-erosiva

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Aspetto macroscopico
La mucosa appare edematosa ed iperemica, e presenta delle micro-emorragie e ulcerazioni a colpo di
unghia che possono interessare la mucosa nella sua totalità. C è ipersecrezione mucosa.
Le plicature possono rendersi meno evidenti (appiattite) a causa dell edema a carico della mucosa parietale.
Si può apprezzare all esame autoptico.

Istologia
Dal punto di vista istologico, la gastrite acuta lieve può non essere facilmente identificata, per il lieve edema
che interessa la tonaca mucosa. Le biopsie vengono fatte sulle lesioni visibile in endoscopia.
L epitelio superficiale è intatto ma si possono osservare neutrofili sparsi tra le cellule epiteliali superficiali o
entro le ghiandole mucose circondano le strutture tubulari e divengono elemento cellulare predominante (al
contrario la presenza di linfociti e plasmacellule depongono per una forma cronica).
Si parla di gastrite erosiva nel momento in cui si ha la perdita di epitelio di superficie, con una risultante
soluzione di continuo della mucosa limitata alla lamina propria (non oltre la muscolaris mucosae ulcera).
Si accompagna ad infiltrato neutrofilo e all estrusione nel lume di materiale essudato fibrino-purulento!
Nel caso siano presenti anche emorragie si parla di gastrite acuta erosiva emorragica. Ovviamente le
lesioni possono estendersi e superare la lamina propria configurando il quadro dell ulcera che dopo vedremo.

La GASTRITE ACUTA EROSIVA EMORRAGICA è quella che più frequentemente viene vista,
rappresentando la prima causa di sanguinamento delle vie digestive (25-30 % dei casi) e rendendosi
responsabile del 60 % delle emorragie digestive nei pazienti con cirrosi epatica.
Generalmente, il sanguinamento comincia da 3 a 7 giorni dopo l ingestione di sostanze gastrolesive,
oppure in seguito ad un trauma importante, oppure, ancora, per ustioni estese. Da un punto di vista
sintomatologico avremo dolore addominale ed ematemesi.
All endoscopio quello che si vede sono queste lesioni minute, erosive e sanguinanti distribuite diffusamente
sulla parete gastrica che vanno biopsiate.

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Altre forme più rare:
- GASTRITE ISCHEMICA: Causata da ipo olemia shock gra i ustioni emboli Detta anche ulcera da
stress L ischemia si erifica per spasmo di piccole arteriole Si locali a pre alentemente nel corpo-
fondo, e si verifica entro 10 giorni dall e ento acuto stress emboli traumi Se la causa è
l ipo olemia il pa iente manifesterà tutti i segni e sintomi dello shock ipo olemico
- GASTRITE CORROSIVA: Interessa la porzione pre-pilorica dello stomaco. Causata dall ingestione
(volontaria o no) di vari agenti corrosivi.
- GASTRITE DA FARMACI: Principalmente da abuso di FANS, che alterano la permeabilità della
mucosa e il turnover cellulare, diminuendo le difese della parete.
- GASTRITE INFETTIVA: Molto tempo fa, si riteneva che lo stomaco fosse sterile (visto il basso pH).
Oggi sappiamo bene che non è così: Helicobacter pylori vive molto bene nello stomaco.

GASTRITE CRONICA
Quadro anatomo-clinico di maggiore interesse e frequenza delle forme acute rispetto alle quali si associa in
genere ad un corteo sintomatologico meno grave ma più persistente.
Def: La gastrite cronica è un processo flogistico a carattere evolutivo caratterizzato dalla presenza di
alterazioni croniche della mucosa dello stomaco che portano ad atrofia della mucosa stessa ed alla metaplasia
di tipo intestinale (cfr. esofago di Barrett).
Non sono presenti, di solito, erosioni, e le alterazioni croniche presenti possono progredire nella displasia,
costituendo la base per lo sviluppo del carcinoma gastrico.

Forme macroscopiche
Gastrite cronica del fondo e del corpo gastrico
Meno frequente
Patogenesi autoimmune, associata ad altre malattie autoimmuni (SLE, tiroiditi croniche ecc.)
Rischio di trasformazione neoplastica: 3-4x rispetto alla popolazione generale
Gastrite cronica antrale
Si localizza preferenzialmente a livello dell antro gastrico
È la forma più diffusa
Comunemente associata all infezione da Helicobacter pylori

Istologia
Gastrite superficiale: limitata all epitelio di rivestimento, senza sconfinare oltre la lamina basale.
Le strutture epiteliali sono tozze, appiattite. Sopra all epitelio si trova infiltrato infiammatorio. Si evidenzia
dilatazione vascolare. La flogosi è confinata all area dei colletti ghiandolari. L infiltrato è linfocitario e
plasmacellulare. La mucosa risente dell infiltrato infiammatorio
I nuclei delle cellule ghiandolari sono tutti singoli, poggiano sulla lamina basale, non ci sono atipie cellulari.
A parte l infiltrato infiammatorio, è tutto normale: non sorge nemmeno il dubbio di neoplasia. L infiltrazione
è talmente imponente che si pu osservare anche un organizzazione in centri germinativi nella sottomucosa.
La presenza di queste strutture ci deve allarmare: lo stomaco è sede frequente di linfomi non-Hodgkin B
( MALTomi ) di tipo follicolare (si ritrovano tanti linfociti organizzati in follicoli). Se si ritrova un centro
germinativo nella sottomucosa, il dubbio che si tratti di linfoma ci deve venire, e abbiamo frustoli minuti, per
cui trovare 1-2 centri germinativi già è tanto. C è modo di fare diagnosi differenziale: fondamentale è
conoscere la situazione generale del paziente (chiamare i gastroenterologi che hanno eseguito la
gastroscopia; vedere emocromo e formula leucocitaria); indagini immunoistochimiche per MALToma
(CD20, CD79a, BCL-2, Ki67 marker dei centri germinativi patologici; se la biopsia è negativa per tutti
questi cluster di differenziazione linfocitaria siamo di fronte a gastrite cronica, altrimenti è una neoplasia di
derivazione dai linfociti B).

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Eziologia
La gastrite è sostenuta prevalentemente da batteri, fra cui domina H. pylori, decisamente la causa più comune
di gastrite cronica.
La gastrite auto-immune, è invece la causa più comune di gastrite cronica atrofica nei pazienti che non
presentano infezione dal HP.
Altri fattori irritanti cronici chiamati in causa sono lo stress, il fumo, l alcol e la caffeina. Tra le
eziologie meno comuni ricordiamo danni da radiazioni, reflusso biliare cronico, traumi,
interessamento gastrico in corso di Morbo di Crohn, GVHD, ecc.

Gastrite da Helycobacter Pylori


Bacilli spiraliformi gram – dotati di un tropismo obbligato per la mucosa gastrica e duodenale (o diverticolo
di Meckel) ed in grado di resistere fino a 1-2 mesi in ambiente ostile.
La resistenza nei confronti del pH acido gastrico è garantita dall espressione dell enzima ureasi che il
batterio utilizza per scindere l urea e produrre ammonio che isola il microrganismo dall ambiente acido
conferendogli resistenza.
I flagelli di cui è dotato invece, assieme alla forma a cavaturacciolo, fosfolipasi e proteasi, consentono al
batterio di perforare la barriera pre-epiteliale e raggiungere l epitelio mucoso dove si fissano grazie alle
adesine e causando infiammazione (tramite le due proteine dette Vac-A e Cag-A).

L infezione ha una trasmissione oro-fecale e oro-orale (saliva e placca dentaria) e per questo è pandemica
nei Paesi in via di sviluppo, dove le norme igienico-sanitarie non sono in grado spesso di garantire la sterilità
delle acque e dei cibi.

Manifestazioni cliniche
In genere si presenta come una gastrite prevalentemente antrale (meno acido a questo livello) con elevata
produzione di acidi, nonostante l’ipogastrinemia.
Il disturbo più comunemente riferito è la dispepsia, quasi mai un dolore franco.
Notizie cliniche indispensabili da raccogliere:
- Dati anagrafici completi (nascita, residenza, professione)
- Eventuale assunzione di farmaci
Inibitori di pompa protonica
Bloccanti dei recettori H2
Antibiotici
FANS
- Terapie chirurgiche e/o radianti effettuate
- Sintomatologia di esordio moti a ione dell esame endoscopico
- La concomitanza di altre patologie (immunodeficienze, malattia di Crohn, malattia celiaca, colite
eosinofila che possano coin olgere anche la mucosa gastrica
- La presenza di anemia sideropenica o megaloblastica e di anticorpi anti-cellule parietali e anti-
fattore intrinseco nei pazienti con gastrite atrofica fundica.

Storia naturale
L evoluzione del processo infiammatorio prevede una serie di step che possono completamente realizzarsi in
un certo numero di pazienti nell arco di numerosi anni.
La fase iniziale dell infezione si associa ad un quadro di gastrite acuta con reperti macroscopici e istologici
simili a quelli visti per le forme acute (quindi un infiltrato prevalentemente neutrofilo); l infiammazione
persiste, e dato che le difese dell ospite non sono idonee a debellare il microbaccio, il quadro anatomo-
clinico evolve verso quello della gastrite cronica.
Nel corso degli anni quindi il processo infiammatorio, originariamente antrale, può diffondere a corpo e
fondo configurando un quadro di pangastrite atrofica con perdita del tessuto ghiandolare quando l atrofia
diviene molto spiccata può dar luogo a fenomeni di metaplasia intestinale con un sensibile aumento del
rischio di sviluppare un adenocarcinoma gastrico.

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Anatomia patologica
In genere i campioni di biopsia gastrica dimostrano la presenza di H. Pylori negli individui infetti; l organismo
si concentra nel muco superficiale sovrastante le cellule epiteliali nelle regioni superficiali e del colletto.
Il batterio tende a distribuirsi in modo più o meno regolare a livello della mucosa antrale ma talvolta anche a
livello dei focolai di metaplasia pilorica nel duodeno e nella mucosa di tipo gastrico dell esofago di Barrett.
Endoscopicamente la mucosa antrale infetta appare eritematosa con aspetto grossolano e talvolta nodulare;
nelle fasi più avanzate la mucosa può essere diffusamente interessata e con aspetto atrofico.
Dal punto di vista istologico i neutrofili intra-epiteliali e le plasmacellule sotto-epiteliali sono caratteristici
della gastrite da H. Pylori assieme alla degenerazione a carico dell epitelio mucoso legato alla citotossicità
diretta indotta dal batterio (cito-tossina vacuolizzante).
Talvolta l infiltrato infiammatorio pu essere così intenso da causare un inspessimento delle pliche simulando
lesioni infiltranti con necessità di differenziazione con lesioni maligne.
Sono spesso presenti aggregati di tessuto linfoide, alcuni con centro germinativo, che rappresentano una forma
indotta di MALT che può potenzialmente trasformare in linfoma NH (maltoma).
In questi casi sarà necessario porci un problema di ddx con la lesione linfomatosa per cui si ricorre a metodiche
immunoistochimiche (ricerca di marcatori B come CD20, CD79a, ecc.) e a valutazioni genetiche di geni
coinvolti nella regolazione del ciclo cellulare come ad esempio il gene bcl-2.

Diagnosi di infezione
Le metodiche diagnostiche possono essere di tipo:
Non invasivo:
o Ricerca di Ab (IgG) indice di infezione in atto o pregressa!! o Ureal
Breath test valuta la potenziale attività dell ureasi batterica o Ricerca di
antigeni batterici nelle feci
Invasivo: gastroscopia e biopsia

Biopsia
Indicazioni che motivano la biopsia gastrica
Definizione del tipo e della distribuzione della gastrite
Identificazione dell agente eziologico (H. pylori, FANS, )
Definizione dell eradicazione batterica dopo terapia
Ricerca di lesioni atrofiche, metaplastiche o displastiche che giustifichino un follow-up
Lesioni atrofiche: si ritrovano in forme autoimmunitarie, in infezione cronica da H. pylori ecc.;
riduzione della componente ghiandolare
Lesioni metaplastiche o displastiche: metaplasia intestinale o addirittura displasia (precancerosi!),
verso l insorgenza di un carcinoma gastrico di tipo intestinale
Definizione o esclusione della natura neoplastica di lesioni macroscopicamente evidenti biopsiate in
endoscopia

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Al fine di ottenere una diagnosi di certezza è opportuno che il materiale sia prelevato con cura; in particolare
la biopsia deve essere effettuata secondo le seguenti indicazioni:
- 2 biopsie dell antro, entro 1-3 cm dal piloro, sia sulla piccola che sulla grande curvatura.
- 2 biopsie della mucosa ossintica, parete anteriore e posteriore
- 2 biopsie della mucosa della giunzione antro-corpo

Il tessuto inoltre dovrà essere ben rappresentato comprendendo almeno 20 foveole e un buon spessore di
parete (almeno mucosa, sotto-mucosa e muscolaris mucosae).

Il numero di biopsie è poi deciso in parte anche dall endoscopista che potrebbe trovarsi di fronte a lesioni
vegetanti/atrofiche/erose/ulcerate di dubbia natura (c è un numero minimo di bx fissato dalle linee guida ma
non un numero massimo!).
Nel follow up del paziente con lesione precancerosa, invece, è necessario anche il campionamento della
porzione mediale dello stomaco perché è in questa sede che maggiormente si verificano le lesioni di tipo
neoplastico e displastico.

Il campione sarà sottoposto ad una serie di valutazioni:


- Test molecolari
- Valutazione istologica: in genere la colorazione con
ematossilina-eosina non ci permette di identificare il
batterio se non in condizioni molto grossolane di infezione.
Per questo si ricorre spesso a colorazioni più specifiche
coma le colorazione Giemsa o in casi molto particolari
all impregnazione argentica Warthin Starry. Un altra
colorazione usata (raccomandata ma non obbligatoria) oggi
è l’alcian blue-PAS perché mette in evidenza la presenza di
muco se è presente una metaplasia intestinale (colora
cellule mucipare). Quindi se noi troviamo una zona di
metaplasia intestinale, con cellule caliciformi e la presenza
di cellule che producono mucina, l alcian blue ce le fa
vedere veramente bene.
- In ogni caso queste metodiche sono oggi in parte superate
grazie all avvento dei metodi immunoistochimici con Ab
specifici verso determinati antigeni dell HP.
- L esame colturale non si fa mai praticamente, in quanto
estremamente complesso, se non nel caso sia necessario
l antibiogramma!!

Co a al iamo all i ologia? Sydney system lesioni elementari dello stomaco


1. Infiammazione cronica
Aumento del numero di linfociti, plasmacellule e macrofagi presenti nella lamina propria
La densità dell infiltrato va valutata a distanza dalle aree occupate dai follicoli linfatici
La presenza dell infiltrato linfocitario e plasmacellulare pone la diagnosi di gastrite cronica
2. Attività
Infiltrato di granulociti neutrofili nella lamina propria, nelle foveole o nell epitelio di superficie
Il suo riconoscimento costituisce la spia più attendibile della colonizzazione da H. pylori cercare
Hp con colorazioni specifiche o con la colorazione di Giemsa
3. Atrofia
Riduzione del numero delle ghiandole proprie dell antro o del corpo
Può essere multifocale o diffusa (attenzione: la certezza si può avere solo campionando tutta la parete
gastrica, mentre nell ambito della gastrite atrofica abbiamo 2-6 biopsie; possiamo al limite parlare di
multifocalità)

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4. Metaplasia intestinale
Sostituzione dell epitelio superficiale e ghiandolare della mucosa gastrica con un epitelio simile a
quello del piccolo o grosso intestino
La metaplasia intestinale può coinvolgere singole foveole (focale, <1/3) o multifocale (>2/3)
5. Displasia
Alterazioni architetturali: ramificazioni e gemmazioni delle strutture tubulari
Alterazioni citologiche: aumento della dimensione, allungamento, affolamento, ipercromasia dei
nuclei (il blu dei nuclei non è diffuso e chiaro ma concentrato e scuro)
Alterazioni di tipo neoplastico senza aspetti invasivi: del tutto simile al tessuto adenomatoso dei polipi
del colon; le neoplasie insorgono soprattutto sull epitelio metaplastico. Dato lo spessore della biopsia,
l anatomopatologo usa una sola parola, adenocarcinoma : non è possibile valutare l estensione nella
parete.
La displasia va graduata in forme a basso e ad alto grado, ovvero in forme di grado lieve, moderato e
grave (o basso/alto grado). Displasia grave è sinonimo di carcinoma in situ, il paziente intraprende
l iter oncologico se nel referto compare questa dicitura.
6. Lesioni degenerati e dell epitelio s perficiale
Risultato dell azione citotossica diretta di H. pylori (citotossina vacuolizzante; ammoniaca)
Spia molto fedele, insieme alla presenza di neutrofili, della presenza di Hp
Sono più comuni (per fortuna) rispetto alla displasia vera della mucosa gastrica)
7. Follicoli linfatici
Centri germinativi veri e propri che possono essere marker di linfoma/maltoma della mucosa serve
ddx che non è facile perché le bx sono piccole
Bisogna verificare tutte queste situazioni di fronte ad una infiammazione cronica dello stomaco.

Terapia
- First Line Therapy (Triplice classica): Claritromicina + Amoxicillina 1g/die + Omeprazolo 20mg per
10-14 giorni.
- Second Line Therapy (Quadruplice): Inibitore di pompa + Tetraciclina + Metronidazolo + Tripotassio
bismuto sub-salicilato

Gastrite auto-immune
Costituisce meno del 10% dei casi di gastrite cronica.
Differisce dalla gastrite da H. Pylori per la localizzazione, stavolta è colpito il fondo e il corpo, per la
diminuita produzione di acidi e l ipergastrinemia, oltre che per una serie di altri aspetti riassunti rapidamente
nella tabella sottostante.

La patogenesi prevede la presenza di Ab anti-cellule parietali, responsabili della ridotta produzione di acido,
fattore intrinseco e in ultimo dell atrofia che si sviluppa.
Ne derivano inoltre un iperplasia compensatoria delle cellule G e deficit nell assorbimento di Vitamina B12
(con conseguenti neuropatie).

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Anatomia patologica
La GA è caratterizzata da diffuso danno alla mucosa ossintica di corpo e fondo, che mostra in genere quadri
di atrofia risultando marcatamente assottigliata.
L infiltrato infiammatorio è prevalentemente costituito da linfociti, macrofagi e plasmacellule. Anche in
questo caso sono possibili esiti neoplastici:
- Aggregati linfoidi linfomi
- Iperplasia cellule endocrine tumori neuroendocrini
- Metaplasia intestinale adenocarcinoma gastrico

Forme rare di gastrite


Gastropatia reattiva
Gruppo di disturbi caratterizzato da iperplasia foveolare, alterazioni rigenerative ghiandolari e edema mucosale
L esame endoscopico mostra strie longitudinali di mucosa eritematosa ed edematosa alternate a zone meno
danneggiate spesso definite stomaco a cocomero.
Gastrite eosinofila
Danno associato a densi infiltrati eosinofili nella mucosa e nella tonaca muscolare, in genere nella regione
antrale o pilorica, talvolta in presenza di altre lesioni eosinofile del tratto GI.
Le reazioni allergiche sono una delle cause di gastrite eosinofila; gli antigeni chiamati in causa sono latte di
mucca e proteina della soia (nei bambini) e i farmaci (adulti).
Altre cause comprendono le infezioni parassitarie e da HP, la sclerosi sistemica ed altre.
Gastrite linfocitaria
Idiopatica o associata a celiachia, colpisce più spesso il sesso femminile, il tutto suggerendo una patogenesi
auto-immunitaria.
È detta anche gastrite vaioliforme a causa del caratteristico aspetto endoscopico spesse pliche coperte da
piccoli noduli con ulcera aftoide centrale.
Colpisce spesso lo stomaco nella sua interezza.
Istologicamente vi è un notevole aumento dei linfociti T intra-epiteliali.
Gastrite granulomatosa
Non si tratta di un quadro anatomo-clinico specifico ma si riferisce a tutte quelle gastriti il cui quadro anatomo-
patologico presenta lesioni granulomatose e ammassi di istiociti epitelioidi. Nelle popolazioni occidentali il
coinvolgimento gastrico nel Morbo di Crohn è la causa più specifica e più comune di gastrite granulomatosa,
seguita dalla sarcoidosi, micobatteri, funghi ed altre. La granulomatosi può portare ad un inspessimento con
irrigidimento delle pareti gastriche con riduzione del lume dell antro gastrico.

Approfondimento: Sydney Score System -


Il Sydney Score System ha rappresentato una rivoluzione nel campo gastroenterologico nel 1990, quando fu
per la prima olta proposto Per molti patologi la era no ità è stata l indica ione precisa e rigorosa su come
eseguire le biopsie gastriche (2 dalla parete posteriore e anteriore dell antro dalla parete posteriore e
anteriore del corpo), più che per la stadiazione della gastrite cronica.
Il sistema è stato poi aggiornato nel 1996, vedendo modificato il protocollo di campionamento delle biopsie
(2 dall antro dal corpo ma dalle cur ature dall incisura angolare e in parte ri isto il sistema di punteggio
che però mantenne la sua struttura originale. Si riporta qua sotto il sistema Sydney aggiornato.
1. Localizzazione della gastrite
Antro
Corpo
2. Valutazione della gastrite (ogni voce è valutata in lieve, moderata, severa)
Infezione: presenza di HP
Infiltrato infiammatorio: presenza di macrofagi
Attività: presenza di polimorfonucleati
Metaplasia: presenza di villi intestinali
Atrofia: degenerazione della mucosa gastrica

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Su questa base le gastriti sono state divise in gastriti atrofiche e non atrofiche, differenziando quelle di origine
infettiva (HP) e quelle di origine autoimmunitaria (gastrite autoimmune)

Approfondimento: Gastrite cronica e rischio di cancro allo stomaco -OLGA system-


Il S dne S stem non stima il rischio di progressione a carcinoma gastrico per questo è stato introdotto l OLGA
system, che facendo sempre riferimento al sistema di campionamento del Sydney Score stadia i pazienti sulla
base del rischio di cancerizzazione.

Notare che il grado di atrofia viene stimato sulla base del seguente punteggio assegnato ai campioni:
Punteggio 0: assenza di atrofia
Punteggio 1: atrofia in < 30% di ghiandole
Punteggio 2: atrofia in 30-60% di ghiandole
Punteggio 3: atrofia in > 30% di ghiandole

ULCERE

Con il termine “ulcera” ci riferiamo ad una soluzione di continuo della mucosa che si estende oltre la
muscolaris mucosae.
Analogamente alle gastriti il processo ulcerativo viene a svilupparsi nel momento in cui il normale equilibrio
tra fattori protettivi ed aggressivi viene ad essere sovvertito; questo può avvenire acutamente oppure
cronicamente.

ULCERA GASTRICA ACUTA


Sviluppo acuto di soluzione di continuo della mucosa gastrica che supera la muscolaris mucosae. Le cause
sono molto simili a quelle della gastrite acute; ad alcune di queste sono stati dati dei nomi specifici per
identificarle:
- Terapia con FANS legate all inibizione della ciclo-ossigenasi.
- Ulcere da stress, molto comuni negli individui colpiti da shock, sepsi o trauma importante.
- Ulcere di Curling: si sviluppano nel duodeno prossimale e sono associate a gravi ustioni e traumi.
Queste ultime legate all ipossia e alla riduzione del flusso ematico conseguente alla vasocostrizione
splancnica.

- Ulcere di Cushing: ulcere gastriche, esofagee e duodenali dei pazienti con patologie endocraniche; si
associano ad un alto rischio di perforazione. Tali lesioni sembrano essere causate dalla stimolazione
diretta dei nuclei del vago, che provoca un ipersecrezione di succhi gastrici.

Anatomia patologica
Macroscopicamente le ulcere gastriche acute sono arrotondate, hanno un diametro < 1 cm e un aspetto
biancastro.

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La base dell ulcera ha spesso un colore marrone-nero dovuto alla digestione di sangue stravasato da parte
degli acidi.
A differenze delle ulcere peptiche, che insorgono in un contesto di lesione cronica, le ulcere acute da stress
possono essere presenti in qualunque punto dello stomaco.
Le pliche gastriche sono normali (non vengono stirate) e i margini e la base dell ulcera non presentano un
aumento della consistenza (la mucosa non è edematosa).
Le ulcere da stress, talvolta singole, più spesso sono multiple e disseminate lungo lo stomaco e il duodeno.

Microscopicamente sono lesioni molto nette, circondate da mucosa essenzialmente normale e non è presente
infiltrato infiammatorio; possono essere presenti soffusioni emorragiche per interessamento vasale. Non si
osservano ai la cicatrizzazione e l inspessimento dei vasi ematici comuni nelle ulcere peptiche croniche.
La guarigione con completa riepitelizzazione segue la rimozione dell agente causale.

MALATTIA ULCERATIVA PEPTICA


La malattia ulcerativa peptica è generalmente associata a gastrite cronica ipercloridrica indotta da H. Pylori,
presente nell 85-100 % degli individui affetti da ulcere duodenali e nel 65% di quelli affetti da ulcere
gastriche.
È una malattia cronica con tendenza alla cicatrizzazione spontanea e alla recidiva.

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La presenza della gastrite cronica può essere utile per distinguere un’ulcera peptica da una gastrite
acuta erosiva o da un’ulcera da stress, poiché in
queste ultime due condizioni la mucosa circostante è
generalmente normale come abbiamo visto!!
La malattia peptica ulcerativa può svilupparsi in
qualunque porzione del tratto GI esposta a succhi
gastrici acidi, ma è pi comune a livello dell antro
gastrico e della prima porzione del duodeno.

Eziologia
Squilibrio cronico tra fattori protettivi ed aggressivi; le
principali cause sono sotto riassunte:

Anatomia patologica
Le ulcere peptiche sono 4 volte più comuni nel duodeno
prossimale che nello stomaco.
Di solito le ulcere duodenali si sviluppano a livello del
bulbo a pochi cm dalla valvola pilorica. Le ulcere
peptiche gastriche sono visibili endoscopicamente come
lesioni che sviluppano preferenzialmente lungo la piccola
curvatura, in prossimità dell interfaccia tra corpo e antro.
Le ulcere peptiche sono solitarie in oltre l 80% dei
pazienti, con dimensioni variabili spesso di oltre 0,6 cm.
La classi ulcera peptica è una soluzione di continuo
netta, a stampo rotonda od ovalare.
Il margine mucoso sul bordo dell ulcera pu sporgere
leggermente verso la base ma i margini non sono
francamente rilevati come invece è tipico del carcinoma
gastrico a ruota di carro (vedi dopo). La profondità delle
ulcere può essere limitata dalla spessa tonaca muscolare
propria dello stomaco o da aderenze con pancreas, grasso
omentale o fegato.
Spesso sulla sierosa gastrica sono presenti emorragie e
deposizione di fibrina.
La lesione può complicarsi con una perforazione in cavità
peritoneale; questa costituisce un emergenza chirurgica
identificabile dalla presenza di aria libera sotto il diaframma
nelle Rx dirette addome in ortostatismo.

A differenza delle ulcere che si sviluppano acutamente il


fondo dell lce a li cio e de e o, poiché qualsiasi essudato o stravaso ematico si venga a formare è subito
digerito, e possono essere visibili dei vasi ematici.

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Le pliche gastriche si fanno convergenti verso la soluzione di continuo con aspetto a ruota di carro .

Nelle ulcere attive il fondo può presentare un sottile strato di detriti di fibrina in presenza di neutrofili; al di
sotto, il fondo dell ulcera costituito da tessuto di granulazione attivo infiltrato da leucociti mononucleati e
tessuto cicatriziale fibroso o collageno; l infiltrato linfo-plasmacellulare si estende ad interessare la tonaca
muscolare.
I vasi all interno della zona cicatriziale hanno pareti inspessite e talora trombizzate.

Complican e dell lcera gas rica

EMORRAGIA:
o Si verifica nel 15-20 % dei pazienti
o Rappresenta la complicanza più frequente
o Può essere fatale o dare anemia
o È causa del 25% dei decessi da ulcera (soprattutto in passato)
o Può essere il primo segno di un ulcera

PERFORAZIONE:
o Si verifica nel 5% dei pazienti o Responsabile
dei 2/3 dei decessi per ulcera o Raramente il
primo segno di un ulcera
OCCLUSIONE:
o Principalmente nelle ulcere croniche
o Occlusione (stenosi) cicatriziale con edema
o Si verifica nel 2% circa dei pazienti
TRASFORMAZIONE:
o Molto rara
o Nei casi di trasformazione è probabile che la lesione ritenuta benigna fosse in realtà fin dall inizio un
carcinoma ulcerato

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POLIPI E TUMORI GASTRICI
Neoplasie gastriche benigne (10%) Neoplasie gastriche maligne (90%)
Polipo adenomatoso (20%) Sessile (più frequente) Carcinoma gastrico
Peduncolato (meno frequente)
Polipo infiammatorio o iperplastico (80%) Linfoma gastrico

Classificazione WHO

Tumori epiteliali benigni Tumori non epiteliali benigni (principali)


Leiomioma
Neoplasia intraepiteliale (adenoma)
Schwannoma
Tumori epiteliali maligni Tumori non epiteliali maligni
Adenocarcinoma papillare GIST
Adenocarcinoma tubulare Leiomiosarcoma
Adenocarcinoma mucinoso Rabdomiosarcoma
Adenocarcinoma con cellule ad anello con castone Sarcoma di Kaposi
Carcinoma adenosquamoso Linfomi maligni
Carcinoma squamocellulare Linfoma marginale a cellule B extranodale
Carcinoma a piccole cellule Linfoma mantellare
Carcinoide Linfoma a grandi cellule B

NEOPLASIE GASTRICHE BENIGNE

Polipi infiammatori o iperplastici


Rappresentano circa l 80% di tutti i polipi gastrici; sono comuni in soggetti di 50-60 anni.
In genere si sviluppano in associazione a gastrite cronica, che stimola la lesione e l iperplasia reattiva che porta
alla crescita dei polipi.
Negli individui affetti da H. Pylori, i polipi possono regredire dopo l eliminazione dei battere.

Dal momento che il rischio di displasia è correlato alla grandezza, i polipi di dimensioni > 1,5 cm devono essere
asportati e sottoposti ad esame istologico. Il rischio di evoluzione neoplastica è comunque basso.

Morfologia
- Solitari o multipli soprattutto negli individui affetti da gastrite cronica
- Dimensioni < 1 cm diametro difficile identificarlo macroscopicamente
- Forma ovoidale e superficie liscia
- Possibili erosioni superficiali
Microscopia
- I polipi hanno ghiandole foveolari irregolari: allungate e dilatate a formare cisti
- Lamina propria edematosa con diversi gradi di infiammazione (acuta e cronica)

Adenomi gastrici
Gli adenomi gastrici rappresentano fino al 10% di tutti i polipi gastrici.
Il sesso maschile è colpito 3 volte di più con un età di incidenza attorno ai 50-60 anni.
L incidenza degli adenomi è maggiore negli individui affetti da FAP.
Si verificano quasi sempre in un contesto di gastrite cronica non atrofica e metaplasia intestinale.
La probabilità di progressione ad adenocarcinoma correla con le dimensioni dell adenoma ed il rischio è
particolarmente alto in caso di lesioni di diametro > 2 cm.
Nel complesso il rischio di progressione neoplastica (AdenoCa. Tipo intestinale!) è elevato ed interessa il 30-
40% degli adenomi.

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Morfologia
- Solitari
- Dimensioni < 2 cm diametro
- Prevalente localizzazione antrale
Microscopia
- La maggior parte è costituita da un epitelio cilindrico di tipo intestinale
- Per definizione tutti gli adenomi presentano un certo grado di displasia epiteliale

ADENOCARCINOMI GASTRICI
Epidemiologia
L adenocarcinoma gastrico è la neoplasia dello stomaco più comune, e rappresenta oltre il 90% di tutti i tumori
dello stomaco.
La sua incidenza varia molto a livello geografico, ed in particolare la sua incidenza è alta in Paesi quali
Giappone, Cile, Costa Rica ed Europa orientale.
Negli ultimi anni in Italia, e più in generale in Europa, il trend è il seguente:
forma differenziata di tipo intestinale
forma diffusa e scarsamente differenziata a cellule ad anello con castone

Fattori eziopatogenetici
1. Fattori ambientali e dietetici:
Importanti fattori eziologici sono i fattori ambientali, soprattutto dietetici: fondamentali sono i cancerogeni
presenti nei cibi, in particolar modo quelli derivanti dalla cottura dei cibi.
3,4-benzopirene, prodotto nella cottura della carne e nella raffinazione del riso.
Dieta ricca di pane e sale.
Dieta povera di frutta e verdure, carente di vitamina C.
Sembra che l'apporto di vitamina C sia fortemente correlato all'insorgenza dei carcinomi dell'apparato
gastroenterico; alcuni credono che effettuare cicli annuali di vitamina C (circa 1mg/die) possa trattarsi
di una vera e propria forma di salvaguardia nei confronti di queste neoplasie (la professoressa non sa
quanto questo possa essere veritiero, in quanto non vi sono ancora studi scientifici attendibili).
Nitrosamine, derivanti dai nitriti utilizzati per la conservazione del cibo (mantenimento del colore e
dell'aroma delle carni e prevenzione dello sviluppo di botulino ed altri batteri nelle conserve).
I nitrati, invece, sono innocui, ma se presenti in dosi eccessive possono essere convertiti in nitriti e
quindi nitrosamine.
Altri fattori ambientali, comuni all'eziopatogenesi di gran parte delle neoplasie, sono fumo di cicchino
e alcol (bè di vino)
Tali molecole inducono danno grazie ad una serie di metaboliti ad attività cancerogena i quali sono in grado
di indurre mutazioni genomiche, danneggiando il DNA delle cellule mucosali in continua replicazione;
inoltre, se al fisiologico ciclo replicativo si aggiunge uno stimolo ulteriore all attività mitotica, come accade
in corso di infezione da HP, RCU o MC, la mucosa risulterà ancor pi suscettibile all attività cancerogena di
tali molecole.

2. Fattori genetici
Instabilità dei microsatelliti è stata dimostrata sia in lesioni metaplastiche (++ tipo III) sia in lesioni
adenomatose. vedi
Sono stati individuati numerosi geni le cui mutazioni sono coinvolte nella genesi del carcinoma:
APC (5q21; importante gene coinvolto nella FAP
p53 (17p13.1);
CDH1 gene che codifica per la E-Caderina*
bcl-2 (18q21);
c-MYC (8q24);

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cMet
K-sam
Erb2: non ancora evidenza in lesioni pre neoplastiche
Regolatori ciclo cellulare p15,16,21,27 e ciclina E: dimostrate anche in lesione precancerosa
Le mutazioni più frequenti sono quelle a carico di APC e p53.
* La E-Caderina è una proteina che contribuisce all adesione intercellulare epiteliale.
Le mutazioni in CDH1 sono presenti nei carcinomi gastrici familiari e nel 50% dei carcinomi gastrici
sporadici di tipo diffuso.

3. Lesioni pre-cancerose lesioni accomunate dalla presenza di gradi variabili di displasia:


Infezione da HP*
Gastrite cronica atrofica: forma di gastrite caratterizzata da alterazioni infiammatorie croniche della
mucosa gastrica su base autoimmune che conducono ad atrofia e metaplasia intestinale in assenza di
erosioni.
Ulcera peptica: ulcera singola, a margini netti, con bordi rilevati ed in cui le piegature gastriche
convergono verso il centro della stessa (aspetto a ruota di carro ). Consiste in una soluzione di
continuo che si estende oltre la muscolaris mucosae.
Polipo adenomatoso: circa il 30-40% progrediscono a carcinoma, con un rischio proporzionale alle
dimensioni della lesione.
Processi di cicatrizzazione della mucosa gastrica ad esempio in seguito ad interventi chirurgici di
resezione (moncone gastrico: un tempo le ulcere venivano trattate con gastrectomie parziale e Billroth
2).
Metaplasia intestinale

*Infe ione HP Carcinoma gas rico


Il ruolo dell HP è riferito allo sviluppo dell adenocarcinoma gastrico di tipo intestinale, per il quale è stato
ipotizzato un meccanismo patogenetico denominato Correa s cascade.
Questo modello prevede un parallelismo tra eventi morfologici e molecolari che sono brevemente riassunti
nell immagine sottostante.

4. Displasia come accennato le lesioni di cui sopra sono accomunate dalla presenza di displasia:
Aumentata proliferazione cellulare,
Anomalie morfologiche tissutali ramificazioni e pseudo-stratificazioni anomale dell epitelio
Pleomorfismo cellulare
N/C
Alterazioni architetturali: sia ghiandolare che stromale (si infiltra di linfociti)
Perdita dell organizzazione ghiandolare
Ramificazioni ghiandolari
Pseudo-stratificazioni anomale

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La displasia è classificabile in 3 gradi:
1) Displasia di basso grado: strutture ghiandolari della mucosa gastrica preservate, lievemente
affollate, con cellule mucipare caliciformi di dimensioni e forma variabili.
2) Displasia di grado intermedio: ramificazione delle strutture ghiandolari che si fanno tortuose con
riduzione delle cellule caliciformi mucipare. Si osserva, inoltre, una pluristratificazione delle cellule
dello strato basale della mucosa gastrica.
3) Displasia di alto grado: strutture ghiandolari poco riconoscibili, in quanto prevalentemente sostituite
da filiere cellulari che si addentrano nella mucosa gastrica.
Si nota, inoltre, iperproliferazione dello strato basale, con aumento generalizzato dell'attività mitotica ed
ipercromasia.

Classifica ione dell adenocarcinoma gas rico


I tumori maligni dello stomaco possono essere classificati
secondo due diversi punti di vista:

1. Classificazione macroscopica di Borrmann:


- Tipo 1 polipoide: rappresenta la forma più
frequente. Si riscontra una massa polipoide a
cavolfiore , con larga base di impianto, a crescita
esofitica che aggetta nel lume dello stomaco. Si tratta
in genere di forme differenziate a prognosi migliore
dato che la lesione polipoide pu crescere all esterno
senza infiltrare la parete in modo cospicuo crescita
espansiva.

- Tipo 2 ulcerato: placca ulcerata con margini duri e


rilevati, nettamente demarcati, senza infiltrazione.

Queste due forme in genere corrispondono all Adeno.Ca


gastrico di tipo intestinale.

- Tipo 3 ulcero-infiltrante: ulcera senza margini


nettamente demarcati e con infiltrazione.
- Tipo 4 diffusamente infiltrante (scarsa
differenziazione)

Le forme infiltranti e ulcero-infiltranti corrispondono invece a


forme meno differenziate (carcinomi gastrici diffusi) e si
associano ad un atteggiamento biologico più aggressivo con
prognosi peggiore crescita infiltrante.

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2. Classificazione microscopica secondo Lauren:

Adenocarcinoma gastrico di tipo intestinale:


- Organizzazione in strutture
di tipo ghiandolare
(tubulare o papillare):
sebbene possano penetrare
nella parete gastrica, in
genere crescono lungo
fronti ampi e coesivi a
formare una massa
esofitica o un tumore
ulcerato (tipo I e II di
Borrmann).
- Le cellule neoplastiche
mostrano vacuoli apicali di mucina, sostanza che può abbondare anche nei lumi delle ghiandole
tumorali.
- Età avanzata
- Preceduto da pre-cancerosi: gastrite cronica da HP
- Forme ben differenziate prognosi migliore

Carcinoma gastrico di tipo diffuso:


- Crescita infiltrativa diffusa: è costituito in genere da cellule scarsamente coesive che non formano
strutture ghiandolari, ma hanno invece grossi vacuoli mucinosi che espandono il citoplasma e spingono
il nucleo verso la periferia, creando così una cellula ad anello con castone.
- Può essere difficile identificare una massa nelle forme diffuse, in quanto spesso questi tumori infiltranti
evocano una reazione desmoplastica che irrigidisce la parete gastrica quando sono presenti grosse
aree di infiltrazione, l appiattimento diffuso delle pliche e una parete rigida e inspessita possono dare
un aspetto a otre di caucciù detto linite plastica.
- Età giovanile
- Spesso assenza di pre-cancerosi
- Forme poco differenziate prognosi peggiore

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Bormann Lauren
Polipoide Adenocarcinoma gastrico intestinale. Organizzazione ghiandolare.
Ulcerato Ben differenziato. Precancerosi = gastrite cronica da HP.
Ulcerato - infiltrante Adenocarcinoma gastrico diffuso. Cellule ad anello con castone
Infiltrante Poco differenziato. Spesso linite plastica. No precancerosi
TIPO INTESTINALE TIPO DIFFUSO
Regioni a < prevalenza Regioni a > prevalenza
Pazienti più anziani: Pazienti più giovani:
> frequente in regione antrale Di solito non antrale
Formazioni simil-ghiandolari Cellule neoplastiche non coese
Ampio spettro di differenziazione Marcata reazione desmoplastica
Crescita di tipo ESPANSIVO: Crescita di tipo INFILTRATIVO:
Gastrite cronica atrofica come lesione < Correlazione con influenze ambientali
predisponente Minore componente flogistica
Componente flogistica NO METAPLASIA intestinale
METAPLASIA intestinale Prognosi peggiore
Prognosi migliore
Forme non classificabili (14%): sono carcinomi scarsamente differenziati di cui è difficile dare una
definizione oncologica specifica. Importante innanzitutto stabilire se si tratta di una forma primitiva o
secondaria; in questo senso di ausilio l immunoistochimica:
- Neo la ie di i o e i eliale positive alle citocheratine specifiche (citocheratina 7 a
livello gastrico)
- Linfomi ana la ici CD20, CD22, CD19, CD79a

3. Classifica ione is ologica WHO 2000


Per completezza inserisco anche questo tipo di classificazione anche se non molto utilizzata per la semplicità
offerta dalla precedente classificazione di Lauren.
Adenocarcinoma:
o Papillare: è costituito da strutture arborizzate caratterizzate da un core fibrovascolare rivestito da
cellule epiteliali coesive, che presentano caratteristiche citologiche analoghe a quelle dei carcinomi
tubulari. Il grado di atipia citologica è variabile e può raggiungere gradi elevati. Sono possibili
commistioni tra strutture papillari e tubulari.
o Tubulare: è caratterizzato dalla presenza di formazioni ghiandolari di dimensioni variabili,
distorte, con dilatazioni e ramificazioni, a configurazione tubulare od acinare; le cellule che le
rivestono sono tra loro "coesive", più frequentemente colonnari o cubiche, possono contenere
mucine intra-citoplasmatiche più o meno abbondanti, fino ad assumere un aspetto caliciforme.
Anche i lumi ghiandolari possono contenere muco e risultarne dilatati.
o Mucinoso: è caratterizzato dalla presenza di mucine extracellulari in > 50% della neoplasia. Tali
accumuli producono la formazione di laghi di muco nell interstizio e questo li distingue ad
esempio dai carcinomi tubulari o papillari con produzione di muco all interno delle strutture
ghiandolari. Da un punto di vista strutturale, si possono distinguere neoplasie con un pattern di
crescita di tipo "espansivo", a basso grado di malignità (carcinoma muco nodulare), da neoplasie
che presentano un pattern di crescita di tipo "infiltrativo", ad alto grado di malignità.
o A cellule ad anello con castone/a sigillo: spesso è misconosciuto, caratterizzato dalla presenza di
cellule non-coesive, il cui citoplasma è disteso dalla presenza di muco ed il nucleo compresso e
dislocato eccentricamente dai granuli di mucina (possono essere confusi con macrofagi, ma per la
ddx si guarda il nucleo che qui è spinto in periferia). Possono coesistere strutture micro ghiandolari,
ma la formazioni di ghiandole differenziate non è una caratteristica di tali tumori. Le cellule
possono formare cordoni (ma sono ++ cellule singole che invadono tutto lo spessore della mucosa)
od aggregati e presentano un pattern di crescita tipicamente "infiltrativo". Nella loro componente
infiltrante, queste neoplasie spesso evocano una reazione desmoplastica di entità variabile, la cui
espressione più tipica è costituita dalla cosiddetta "linite plastica". Le cellule della componente
invasiva possono perdere la capacità di produrre mucine e presentarsi come elementi di piccole
dimensioni, a volte simili alle cellule non-epiteliali della reazione desmoplastica ed infiammatoria.
Questo fenomeno può rendere difficile la valutazione del reale grado di invasione e dello stato dei
margini chir; è consigliabile in tali casi utilizzare anticorpi anti-CK nella valutazione microscopica.

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Forme rare:
o Ca. Adenosquamoso: Rarissima forma neoplastica a struttura mista ghiandolare e squamosa.
o Ca. Squamocellulare
o Carcinoma a piccole cellule
o Carcinoma indifferenziato
o Altri
Altra classificazione in base a grading: alto medio basso grado di differenziazione (in base a distanza
dalle strutture ghiandolare).

Ci possono essere emboli neoplastici nei vasi, isole nei linfonodi metastatizzati
Altre neoplasie gastriche
- Linfoma gastrico
- Carcinoidi
- Leiomioma
- Leiomiosarcoma
- GIST

Caratteristiche cliniche
In fase precoce asintomatico
In fase avanzata:
Dolore addominale
Perdita di peso
Sazietà precoce
Disfagia/vomito
Dolore per infiltrazione
perineurale
Sanguinamento con ematemesi/melena
Sintomi secondari a metastasi:
o Estensione diretta a strutture vicine: pancreas, fegato, colon, milza.
o Diffusione attraverso il sistema linfatico: prima ai linfonodi dello stomaco, poi a quelli di fegato,
pancreas ed aorta addominale. Caratteristico è anche l'aumento di volume dei linfonodi sopra-
clavicolari, specie quelli di sinistra (segno di Troisier).
o Diffusione attraverso il sangue: inizialmente al fegato, poi a polmone, ossa, cervello;
o Diffusione attraverso il peritoneo: attraverso questa via, nella donna, può aversi la localizzazione
ad entrambe le ovaie, e questo viene chiamato tumore di Krukenberg.

Carcinoma di Krukenberg
Il tumore di Krukenberg è una neoplasia primitiva dello stomaco, o più in generale del tratto GI, che si
associa a metastasi dell ovaio transcelomatiche.
Si tratta in pratica di una forma tumorale delle ovaie causata da una di emina ione e gocciolamen o nel
peritoneo a partire dalla massa neoplastica gastrica; questa tipologia di metastatizzazione interessa
ovviamente le forme di cancro gastrico diffuso.
L esame AP delle strutture pelviche rivela la normalità dell utero, ma la presenza di cellule ad anello con
castone che sovvertono completamente la struttura delle ovaie. l organo senza rivestimento peritoneale:
viene colonizzato superficialmente preservando architettura interna almeno nelle prime fasi (ddx ca ovarico I
che parte dall interno e coinvolge superficie esterna solo tardivamente).
La sopravvivenza è bassa.

Early gastric cancer


L EGC è un adenocarcinoma con invasione limitata alla mucosa o alla sotto-mucosa, indipendentemente
dall invasione linfonodale.
La sopravvivenza a 5 anni dopo resezione chirurgica oscilla tra il 70-95% a seconda del coinvolgimento
linfonodale.
È classificato dalla Japanese Society for Gastroenterological Endoscopy in 3 tipi:

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Stadiazione TNM

T1: tumore confinato a lamina propria o sottomucosa


T2: tumore arriva allo strato muscolare
T3: tumore infiltra la sierosa
T4: tumore invade organi adiacenti
N1 = fino a 6 linfonodi; N2 = fino a 15 linfonodi; N3 = oltre 15 linfonodi
T N M
Stadio I 1 0 0
1 1 0
2 0 0
Stadio II 1 2 0
2 1 0
3 0 0
Stadio III 2 2 0
3 1-2 0
4 0 0
4 1-2 0
Stadio IV Qualunque 3 0
Qualunque Qualunque 1

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PATOLOGIA DELL INTESTINO
Cenni di istologia
La parete dell intestino formata da 4 strati concentrici, come il resto del tratto digerente.
Mucosa; formata a sua volta da tre strati:
o Epitelio, in cui si riconoscono due elementi cellulari:
Enterociti: cellule deputate all assorbimento di molecole dal lume; presentano il
nucleo alla base e sulla superficie apicale numerosi microvilli che in microscopia
ottica formano un orletto PAS-positivo
Cellule caliciformi mucipare: ghiandole esocrine unicellulari, intercalate agli
enterociti, che producono mucina; questa assume forte colorazione rossa in PAS
mentre è blu pallida in EE
o Lamina propria: formata da connettivo in cui si ritrovano:
Cellule immunitarie, che si organizzano a formare follicoli linfatici. Prevalgono
linfociti e plasmacellule; assenti i neutrofili
Cripte o ghiandole intestinali di Galeazzi, che sboccano alla base dei villi. Sono
costituite da cellule che matureranno in enterociti (per questo è normale riscontrare
circa 1 mitosi per cripta), da cellule che elaborano muco, da cellule sierose che
elaborano proteine enzimatiche, dalle cellule del Paneth che producono lisozima e
peptidasi, e, infine, dalle cellule argentaffini del sistema endocrino gastro-intestinale
o Muscolaris mucosae; separa la mucosa dalla sottomucosa; a livello dei villi emana dei sottili
tralci che conferiscono motilità ai villi stessi
Ricordiamo che a livello intestinale, la mucosa si organizza in villi, al fine di ampliare la superficie
assorbente. I villi sono estroflessioni della lamina propria, che costituisce lo stroma del villo,
ricoperte da epitelio.
Importante sottolineare che il villo è sempre più alto rispetto a quanto sia profonda la cripta
(rapporto normale 3:1); come vedremo questo aspetto sarà alterato nella celiachia.

Sottomucosa: non presenta differenze di rilievo rispetto a quella della parete dello stomaco. In
corrispondenza del duodeno, soprattutto della porzione superiore, la tonaca sottomucosa accoglie le
ghiandole duodenali di Brunner. Queste sono ghiandole tubulari composte i cui dotti attraversano la
muscularis mucosae per aprirsi nei fondi delle ghiandole intestinali di Galeazzi. La loro secrezione è
costituita da proteoglicani neutri, che antagonizzano gli acidi in arrivo dallo stomaco.
Tonaca muscolare, analoga a quella del resto del tratto digerente
Tonaca sierosa (peritoneo)

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Villi intestinali a maggior
ingrandimento colorati in PAS;
Cm, cellule caliciformi;
ne, nuclei degli enterociti;
A, asse del villo;
L, lume;
Os, orletto a spazzola

SINDROMI DA MALASSORBIMENTO
Sindrome caratterizzata da insufficiente assorbimento di grassi, vitamine, proteine, carboidrati, elettroliti e
acqua.

Cenni clinici
Il sintomo più comune di tale condizione è la diarrea cronica con lipidi (steatorrea), dovuto alla permanenza
di sostanze non assorbite all interno del lume. A questo si accompagnano altri sintomi riconducibili al deficit
delle stesse:
Calo ponderale, astenia
Anemia da malassorbimento di vitamina B12 o folati
Deficit coagulativi, dovuti a malassorbimento di vitamina K
Ipocalcemia e osteopenia, per riduzione di vitamina D
Neuropatia periferica, per deficit di vitamina B12

Fisiopatologia
La causa del malassorbimento riconducibile all alterazione di uno o pi delle seguenti funzioni:
Digestione endoluminale: processo in cui le macromolecole sono scisse in molecole più piccole ad
opera di enzimi presenti nel lume
Digestione terminale: idrolisi finale dei carboidrati e dei peptidi ad opera di enzimi presenti
sull orletto a spazzola degli enterociti (disaccaridasi e peptidasi)
Trasporto trans-epiteliale
Trasporto linfatico dei lipidi assorbiti correttamente
In linea di massima più difetti coesistono in un quadro di malassorbimento, anche se uno può essere quello
fisiopatologicamente prevalente.
In molte delle pi comuni condizioni cliniche che causano malassorbimento il difetto infatti globale (è
ridotta la superficie di intestino disponibile all assorbimento).

Entità nosologiche responsabili di malassorbimento


Le seguenti entità clinico-patologiche determinano una sindrome da malassorbimento. Per ognuna è indicato
il meccanismo prevalente con cui lo determinano:

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Patologia Meccanismo prevalente
Celiachia Deficit digestione terminale e riduzione della
superficie assorbente
IBD Riduzione superficie assorbente
Pancreatite cronica Deficit digestione luminale
Deficit disaccaridasi Deficit digestione terminale
Sovraccrescita batterica (small intestinal bacterial Deficit digestione terminale
overgrowth)
Morbo di Whipple Ostruzione linfatica
Cause iatrogene Riduzione superficie assorbente
Gastrectomia
Bypass ileale
Resezione ileale

Vediamo adesso più nello specifico i due quadri principali che concorrono a determinare una sindrome da
malassorbimento, cioè la celiachia e le IBD.

ENTEROPATIA DA GLUTINE
Enteropatia cronica immuno-mediata scatenata dall ingestione di cereali contenenti glutine in soggetti
geneticamente predisposti, che si caratterizza per specifiche lesioni della mucosa del tenue e conduce a
deficit dell assorbimento.

Epidemiologia
Interessa prevalentemente i soggetti di razza caucasica; la prevalenza è molto alta (circa 1/100 persone).

Eziologia
Come per tutte le malattie immunomediate, sono coinvolti fattori ambientali e fattori genetici:
Fattori ambientali l agente scatenante il glutine, ed in particolare la gliadina, proteina presente
nei cereali come grano, segale e orzo.
Fattori genetici un ruolo determinante giocato dagli aplotipi HLA, come confermato dal fatto
che in tutti i pazienti celiaci è presente uno fra gli aplotipi HLA-DQ2 e HLA-DQ8.
Oltre ai geni HLA, che sembrano essere responsabili di meno della metà della componente genetica
della malattia, sono stati chiamati in causa anche altri geni immuno-regolatori (IL2, IL21, CCR3).

Patogenesi
Il glutine viene digerito da enzimi luminali, dando luogo a varie sottomolecole , fra cui la gliadina, che
contiene la maggior parte delle componenti patogene (le quali si liberano a seguito della digestione
terminale, operata dagli enzimi dell orletto a spazzola).
I detriti che derivano dalla gliadina conducono a danno mediante 3 vie:
1. La gliadina stimola gli enterociti a produrre IL15; questa a sua volta attiva i linfociti T CD8
intraepiteliali, i quali proliferano ad esprimono il recettore NKG2D. Questo è in grado di legare una
proteina simile al MHC-I espressa dagli enterociti (MIC-A): il legame induce i CD8 ad uccidere gli
enterociti, creando discontinuit nell epitelio che saranno necessarie per il realizzarsi del secondo
pattern di danno.
2. La gliadina, grazie alle discontinuità epiteliali, accede alla lamina propria, dove è deaminata
dall en ima trans-glutaminasi (tTG).
Il peptide derivante da questa reazione presenta alta affinit per l aplotipo HLA-DQ2 (e DQ8),
codificante per l MHC di classe 2, espresso dalle APC. Il risultato che il peptide si impianta
direttamente sull MHC-2 e stimola cloni TH1 specifici. Questi guidano vari processi:
- Stimolano produzione di anticorpi specifici per la gliadina (marker della patologia)
- Producono IFN , che attiva i macrofagi, i quali contribuiscono a danneggiare la mucosa
(esacerbando così il circolo vizioso).

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Anatomia patologica
All analisi macroscopica (in corso di EGDS) la mucosa intestinale appare piatta, mammellonata o, in taluni
casi, anche normale. Non si tratta comunque di alterazioni suggestive.
All esame istologico, eseguito sul materiale bioptico prelevato durante l EGDS a, vedremo una enterite
diffusa. Gli aspetti caratteristici della malattia celiaca sono:
Aumento dei linfociti CD8 intraepiteliali: nel soggetto sano la conta è < 25/ 100 enterociti, in questo
caso è > 40 /100 enterociti.
La lamina propria mostra un aumento di plasmacellule, linfociti CD4, macrofagi, eosinofili e
mastociti (visibili come infiltrato nell asse dei villi e sotto ad essi).
Iperplasia delle cripte, che si approfondano ; in esse saranno visibili mitosi pi numerose del
normale.
Atrofia dei villi, caratteristica delle fasi avanzate della malattia. L atrofia dei illi, determinando
perdita di superficie intestinale, è alla base del malassorbimento b.
In ogni caso, un elemento tipico della celiachia è che le alterazioni sono reversibili alla sospensione
dell assun ione di gliadina.

A. Ben visibile l atrofia dei villi (che non ci sono proprio pi ) e l approfondarsi delle cripte nel contesto della
lamina propria densamente infiltrata da linfociti.
B. Immagine ad alto ingrandimento dell epitelio, dove si vedono i nuclei dei linfociti (T) piccoli e ipercromici,
accanto a quelli degli enterociti (E), più grossi, allungati e pallidi.
Accanto. Colorazione immunoistochimica per CD8 che mostra chiaramente l aumento dei linfociti CD8
intraepiteliali. Si può inoltre vedere che questo pool linfocitario prevale pressoché
esclusivamente nel contesto dell epitelio, essendo assente nella lamina propria.

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a. I campioni diagnostici devono provenire dalla mucosa del duodeno (seconda porzione) o del primissimo tratto del digiuno, che
sono le porzioni pi sottoposte al glutine. L endoscopista dovrebbe indicare la sede del prelievo; quando ci non accadesse utile
ricordare che la mucosa duodenale può essere comunque riconosciuta per la presenza delle ghiandole di Brunner.
b. Oltre a questo, probabilmente, nella fisiopatologia del malassorbimento entra in gioco un altro meccanismo: il danno continuo
impone un aumentato turnover epiteliale, che si realizza troppo rapidamente cosicch le cellule, quando arrivano in cima e devono
lavorare , non sono ancora maturate a sufficienza e vanno in botta.

Classificazione clinico-patologica (Marsh score)


Considera 3 parametri:
1. Numero di linfociti T CD8 / 100 enterociti (in quest ottica importante utilizzare colorazioni
immunoistochimiche specifiche per i linfociti CD8, che fa apparire tali cellule di una colore diverso
sia dai normali enterociti, sia dagli altri linfociti ).
2. Stato delle cripte (normali o iperplastiche)
3. Stato dei villi (normali o atrofici)

Grado di Marsh CD8+/enterociti Cripte Villi Fase


1 > 40/100 Normali Normali Infiltrativa
2 > 40/100 Iperplastiche Normali Iperplastica
3a > 40/100 Iperplastiche Atrofia lieve
Atrofica
3b > 40/100 Iperplastiche Atrofia moderata
3c > 40/100 Iperplastiche Atrofia grave

I 3 gradi riflettono l evoluzione patologica della malattia. Importante che questi tre quadri sono dinamici e
progressi i fra loro, sia in un aumento che in diminu ione , e fun ione dell esposi ione al glutine.
- Grado 1 fase infiltrativa: i linfociti stanno invadendo l epitelio, richiamati dagli stimoli discussi
prima, ma il danno non è ancora evidenziabile.
- Grado 2 fase iperplastica: le cripte ipertrofizzano nel tentativo di rifornire l epitelio
danneggiato di nuove cellule; si vedrà quindi un aumento delle mitosi accanto a una riduzione
dell attivit mucipara.
- Grado 3 fase atrofica: il danno alla mucosa si rende evidente istologicamente.

Quadro clinico
Il quadro clinico varia da forme pauci-sintomatiche, caratterizzate da sintomi lievi ma positività istopatologia, a forme gravi che si
manifestano già attorno al 6° mese (quando si attiva il sistema cellulo-mediato), con malassorbimento generalizzato e diarrea.
Altri sintomi che possono associarsi al quadro GI sono:
- Sintomi da malassorbimento di vitamine (vedi prima)
- Comorbilità di tipo autoimmune, in particolare tiroidite di Hashimoto e T1D.
- Suscettibilità allo sviluppo di linfoma a cellule T (trasformazione maligna dei linfociti intraepiteliali).

Diagnosi
Documentazione clinica del malassorbimento
Dimostrazione bioptica delle lesioni
Inequivocabile miglioramento clinico e istologico con la dieta gluten-free

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IBD
Le malattie infiammatorie intestinali sono patologie croniche do ute all inappropriata atti a ione
immunitaria della mucosa.
In questo gruppo rientrano la malattia di Crohn e la retto colite ulcerosa: vediamo prima gli aspetti
epidemiologici e patogenetici comuni alle due forme, per poi analizzare nello specifico gli aspetti
morfologici di ognuna.

Cenni clinici
Pur riconoscendo patogenesi e morfologia diverse, le manifestazioni cliniche sono simili: infatti la risposta
infiammatoria intestinale tende a dare manifestazione di sé con un repertorio relativamente ristretto di
sintomi:
- Dolore addominale
- Diarrea, con eventuale malassorbimento edimagrimento
- Sanguinamento, che può essere più o meno evidente
- Sintomi generali dell'infiammazione
Questi sintomi saranno ritrovati con diversa espressione dipendentemente dalla sede, dall'entità dello stato
infiammatorio e dall'estensione.

Epidemiologia
- L incidenza di circa 5/100.000, con un trend in crescita; questo stato spiegato con il cambiamento
delle abitudini alimentari
- Si manifestano con uguale frequenza nella femmina e nel maschio.
- Si riconosce familiarità e maggior prevalenza in determinate etnie (ebrei ashkenaziti).
- Sono malattie dei giovani, con picco tra i 20 e i 30 anni. Esiste comunque una discreta casistica
pediatrica e geriatrica.

Eziopatogenesi
L inquadramento eziopatogenetico delle IBD complesso e controverso. Non sono, infatti, considerabili
malattie autoimmuni in senso stretto (non si ha una reazione contro una componente self); piuttosto sono
inquadrabili come disregolazione immunitaria, che porta alla esasperazione del normale stato sub-
infiammatorio presente nella mucosa intestinale.
Vari elementi sono stati chiamati in causa per spiegarle.
a) Fattori genetici
Il loro ruolo confermato dall alto tasso di concordanza fra gemelli OZ (oltre il 50% per il MC; valori
inferiori per la RCU). Il gene imputato come principale responsabile è NOD2.
NOD2 è un sensore intracellulare citoplasmatico espresso delle APC, delle cellule epiteliali e delle cellule di Paneth. Queste cellule,
normalmente, riconoscono i patogeni mediante il legame PAMP TLR; a seguito di questo, si innesca la via NF-kB, che esita nella
produzione di citochine pro-infiammatorie. NOD2 inibisce tale cascata: una sua disfunzione farebbe si che la cascata infiammatoria,
stimolata dai batteri luminali, rimanga sempre accesa.
b) Fattori immunologici
Un ruolo rilevante della patogenesi delle IBD sembra essere svolto dai linfociti TH17. Questo è confermato
dall associazione della malattia con difetti del gene che codifica per IL-23.
IL23 è coinvolta nell inibizione dell IL17 prodotta dai TH17. In questo modo svolge varie azioni:
Induce up-regolazione di IL-10, con ruolo immuno-regolatorio
Induce proliferazione cellulare, importante per la riparazione della barriera epiteliale e quindi il mantenimento della sua
integrità.
Modula negativamente la crescita batterica
Una sua riduzione riconducibile ad una mutazione comporta quindi:
Eccessiva risposta infiammatoria
Ridotta capacità rigenerativa della barriera epiteliale
Eccessiva crescita batterica
c) Difetti dell epitelio
Una alterazione della permeabilità epiteliale permetterebbe il passaggio nella sottomucosa di componenti
batteriche che potrebbero stimolare e/o mantenere la risposta infiammatoria. Sono state ipotizzate numerose
alterazioni che non mi sembra il caso di approfondire.

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d) Flora microbica
Uno degli elementi imputati è una risposta abnorme verso la flora microbica intestinale. In quest ottica sono
ipotizzate due situazioni:
Risposta abnorme verso una flora normale
Risposta innescata da alterazioni
qualitative della flora
e) Fattori dietetici
Queste due patologie sono da includersi nelle
malattie tipiche della società del benessere. Nelle
diete tipiche di questi paesi ci sono infatti alcuni
elementi imputati:
Zuccheri raffinati
Margarina
Maggior apporto di grassi animali

In sintesi, si potrebbe ipotizzare un modello


complessivo secondo cui un difetto epiteliale
consente un flusso di componenti di batteri
luminali (e entualmente anomali ) nella lamina
propria. Qui, in un ospite geneticamente
predisposto si innescherebbe una infiammazione
che per moti i ari non si spenge .
L infiamma ione stessa contribuirebbe al danno
epiteliale, innescando un circolo vizioso
autolimitantesi.

MORBO DI CROHN
I punti chiave da mettere subito in chiaro e tener bene a mente, che
rappresentano la differenza più rilevante con la RCU sono i seguenti:
1. Il MC può interessare ogni tratto del tubo digerente, benché sia più
frequente a livello delle ultime anse ileali. Più segmenti distanti fra
loro possono essere interessati contemporaneamente (disposizione
segmentale).
2. La parete è interessata dall infiltrato infiammatorio e dalle ulcerazioni
a tutto spessore, dall epitelio alla sierosa.

Anatomia patologica macroscopica


Aspetto generale del campione. Ad una prima osservazione macroscopica
dell organo, anche se non ancora aperto, gi possibile ipotizzare un MC. Gli
aspetti macroscopici generali sono:
Gi dall esterno vediamo come il tessuto adiposo che circonda l ansa
è ispessito, duro alla palpazione, perde il colore tipico giallo
paglierino.
La sierosa che riveste l organo ha perso la propria lucentezza e
trasparenza e si è fatta opaca, grigiastra, granulare.
Aprendo le anse coinvolte vediamo che le aree di mucosa interessate dalla malattia sono ben
delimitate rispetto alle aree sane (lesioni a salto ): il contrasto fra aree sane e aree malate (depresse)
crea un aspetto a ciottolato (cobblestone).
La parete ha spessore aumentato (fino a 2-3 cm), a causa dell edema trans-murale e della fibrosi che
interessa la sottomucosa e la muscolare (vedi dopo). L ispessirsi della parete ovviamente restringe il
lume, che diventa filiforme.
La consistenza della parete alla palpazione è aumentata e nel complesso gommosa.

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Aspetto delle ulcerazioni. Le ulcerazioni della mucosa sono le lesioni elementari macroscopiche della MC.
Nella storia naturale di queste lesioni possibile riconoscere una sequenza evolutiva:
Inizialmente sono piccole, superficiali e difficili da visualizzare (ulcere aftose).
Successivamente tendono a confluire, si fanno più grosse, serpiginose, disponendosi lungo l asse
maggiore dell intestino; inoltre si approfondano nella parete.
Approfondendosi, arrivano ad interessare la parete a tutto spessore, mantenendo una base stretta
(simili a coltellate ), al contrario di quanto non avvenga nella CU, dove rimangono superficiali,
ma ampie.
L approfondarsi inarrestabile delle ulcere causa addirittura fistole, che possono mettere in
comunicazione il lume dell intestino con un altra ansa, con la vescica o addirittura con la cute.

Si vede l aspetto a ciottolato


della mucosa. La freccia
indica una ulcerazione: la sua
estensione superficiale è
scarsa: sembra appunto una
pugnalata

Si vede, cerchiata, la stenosi,


risultato di un marcato
ispessimento della parete. Le
aree di mucosa adiacenti sono
sane.

Aspetto microscopico
Per schematicità suddividiamo i numerosi aspetti microscopici della malattia di Crohn in quelli relativi alle
caratteristiche dell infiltrato infiammatorio e quelli relativi ai cambiamenti morfologici a cui vanno incontro i
vari strati della parete.
A eggia e de i fi a
Abbondante popolazione linfo-plasmacellulare nel corion (strato tra mucosa e sottomucosa).
Infiltrato granulocitario (eosinofili e neutrofili) nella lamina propria e nel contesto dell epitelio,
dove, raccogliendosi nelle cripte, determinano la formazione di pseudo ascessi criptici.
Possibile presenza di granulomi giganto-cellulari non caseificanti di tipo sarcoidosico; questi sono
presenti nel 35% dei casi (scarsa sensibilità), ma quando presenti sono patognomonici. I granulomi
possono essere presenti anche al di fuori del tenue (ad es. nel grasso mesenterico o addirittura a
livello cutaneo!).
Possibile organizzazione di aggregati linfoidi nella lamina propria, che non devono confondere con il
linfoma.

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Morfologia dei vari strati della parete
Nel complesso l infiamma ione trans-murale, e coin olge la parete dell organo dalla mucosa alla
sierosa; questo rende ragione dell ispessimento complessi o della parete.
Appiattimento totale dei villi e rarefazione delle cripte; le ulcerazioni viste macroscopicamente
possono essere riscontrate al microscopio.
Aree di metaplasia pilorica a cellule di Paneth; ricordiamo che la metaplasia è un fenomeno
comune nelle condizioni infiammatorie/irritative croniche.
Ispessimento della muscolaris mucosae, della sottomucosa e della tonaca muscolare, a causa della
fibrosi stimolata dall infiammazione cronica.
Iperplasia delle cellule nervose gangliari
L atteggiamento a salto descritto nella macroscopica visibile anche al microscopio: infatti anche nel contesto di un area che alla
vista sembra uniformemente danneggiata possiamo ritrovare microaree sane e microaree danneggiate.

Alto a sinistra: si vede che l infiltrato interessa la


parete a tutto spessore; la freccia nera indica
l infiltrato nella lamina propria, quella bianca
indica l infiltrato (organizzato in granulomi non
caseificanti) a livello della sierosa.

Alto destra: cellula gigante con molti nuclei,


immersa in un mare di linfociti; queste cellule
stanno formando un granuloma.

Accanto: la morfologia delle ulcerazioni a


coltellata , che si approfondano dalla mucosa alla
sierosa è ben spiegata da questa immagine.

Diagnosi differenziale
L aspetto della MC, bench fortemente suggestivo, pu essere confuso con un linfoma intestinale.
Infatti la biopsia prende soltanto la mucosa, in cui avremo essenzialmente linfociti.
La differenziazione, in questo caso, è basata sull analisi immunoistochimica (in questo caso si tratta di una
popolazione infiammatoria, mentre nel linfoma è una popolazione neoplastica).
Complicanze cliniche
Perforazione con peritonite o fistolizzazione (vedi su)
Stenosi, che richiede chirurgia
Patologie correlate al malassorbimento: questo è relativo per lo più a due sostanze assorbite
nell ileo terminale:
o Vitamina B12 anemia megaloblastica, deficit neurologici.
o Sali biliari non venendo riassorbiti giungono in quantit maggiore al colon, dove sono
trasformati ad acido desossicolico dalla flora microbica. Questo è un agente genotossico, e
ciò spiega la maggior suscettibilità di CCR nei pazienti con MC.
Manifestazioni extra-intestinali (uveite, poliartrite, spondilite anchilosante).

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RETTO-COLITE ULCEROSA

Così come fatto per il MC, chiariamo subito i due punti morfologici
fondamentali della RCU:
1. Le lesioni esordiscono sempre dal retto e progrediscono in modo
retrogrado e continuo (senza salti!) interessando il colon; non
sconfinano mai oltre la valvola ileo-cecale. A secondo
dell estensione quindi riconosciamo:
a. Proctite
b. Procto-sigmoidite
c. Colite sinistra
d. Pancolite
2. Le lesioni sono confinate a mucosa e sottomucosa, senza mai
interessare a tutto spessore la parete. Per questo non avremo
alcuni degli aspetti tipici del MC che sono risultato
dell interessamento trans-murale, ovvero:
a. Fistole, perforazioni e aderenze
b. Aspetto tipico del grasso e della sierosa

Aspetto macroscopico
La mucosa interessata da patologia è
iperemica, rossa, con aspetto granulare,
sottominata (infossata) rispetto alla mucosa
sana. Il passaggio fra le aree coinvolte da
patologia e le aree sane è brusco (vedi foto
sotto).
Restando nell ambito delle aree coinvolte da
malattia, non avremo una mucosa
uniformemente ulcerate: avremo aree di
ulcerazione e aree in cui brandelli di mucosa
sono conservati (vedi schemino).
Queste aree sono detti pseudo polipi: pseudo
perché non si tratta di pezzi di mucosa che
aggettano, ma di infossata menti della
mucosa limitrofa, in cui epitelio e lamina
porpria sono mangiati (guardando dal
dentro si vede la muscolaris).
La parete, nel suo complesso, non è aumentata di spessore, bensì ridotta; per questo non avremo mai
stenosi.
Il calibro del
colon è cmq
ridotto, per
contrazione della
tonaca muscolare
(senza mai
raggiungere i
livelli di stenosi
filiforme che si
realizza nel MC).
In queste due immagini si vede
bene come lo stacco fra aree
sane e malate è netto.
In quella a destra vediamo un
caso in cui la malattia termina
alla flessura colica di destra,
lasciando libero il colon
discendente.

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Aspetto microscopico
L aspetto microscopico fondamentale che differen ia la RCU dal MC l interessamento limitato alla
mucosa e alla sottomucosa. La RCU riconosce una fase attiva e una fase di remissione
> Fase attiva
Ulcerazione superficiale, con disepitelizzazione dei pezzi di mucosa che non sono pseudo-polipi .
Congestione dei capillari
Infiltrazione linfocitaria nella lamina propria.
Infiltrazione neutrofila nell epitelio; questo pu di nuovo dar luogo alla formazione di ascessi
criptici.
Non sono presenti mai granulomi.
Nel complesso, quindi, la popolazione cellulare è analoga: la differenza è che è limitata alla mucosa
e alla sottomucosa.
> Fase di remissione
Assenza di cellule infiammatorie
Accorciamento, rarefazione e ramificazione delle cripte: nelle fasi di remissione si ha un tentativo di
rigenerare la mucosa. in quest ottica che si pu inquadrare il rischio neoplastico conferito dalla
RCU.
Permanenza degli pseudo-polipi infiammatori: infatti anche a seguito della riepitelizzazione la
mucosa malata non raggiunge lo spessore delle aree che sono sempre state sane.
Aumento cellule di Paneth nelle cripte.
Nonostante le formazioni aggettanti della RCU siano come detto pseudo polipi, che quindi non hanno per
definizione rischio neoplastico, niente vieta che fra questi pseudo polipi ve ne sia uno vero , quindi
potenzialmente neoplastico. Non potendo analizzare istologicamente tutti gli pseudo polipi alla ricerca di
polipo vero sar fondamentale l esame macroscopico: questo fornir un sospetto di malignit e indirizzer il
patologo verso il campionamento.
L aspetto istologico degli pseudo-polipi non crea dubbi con i polipi veri: infatti le aree di mucosa basse non
sono rivestite da epitelio (perché scoppiato dalla malattia), mentre nella poliposi vera le aree di mucosa non
poliposica sono normali!

A sinistra: si vede la differenza fra le aree disepitelizzate, in cui la mucosa è scoppiata (cerchiata di nero) e le
aree in cui la mucosa è rimasta normale (gli pseudo polipi) indicata dalla freccia bianca.
A destra: pseudo ascessi criptici. Nella foto le cripte tagliate di traverso; dentro ci sono i neutrofili (si vede
male).

Complicanze
La complicanza più comune della RCU è il megacolon tossico.
La tonaca muscolare e i plessi nervosi vengono danneggiati dall infiammazione; questo provoca blocco della
peristalsi con dilatazione del tratto di colon a monte. Questo ovviamente predispone a rottura con peritonite.
Macroscopicamente il colon è disteso e può raggiungere diametri demoniaci; la parete è complessivamente sottile e la sierosa, stirata,
è translucida.
Microscopicamente vediamo un estesa ulcerazione di mucosa e sottomucosa, con assottigliamento della muscolare.

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Tabella di riepilogo

Caratteristiche Morbo di Crohn Retto colite ulcerosa


MACROSCOPICHE
Schema

Regione Possibile lungo tutto il tratto GI; prevalente Retto e colon; mai oltre la valvola
nell ileo terminale ileocecale.
Distribuzione Segmentale Continua
Spessore della parete Aumentato Ridotto
Aspetto esterno Grasso ispessito e sierosa opacata Normale
MICROSCOPICHE
Infiltrazione infiammatoria Trans-murale Solo mucosa e sottomucosa
Ulcerazioni Profonde, a base stretta (pugnalate) Superficiali, a base ampia
Pseudo-ascessi Si Si
Granulomi non caseificanti Si (nel 35% dei casi) No
ASPETTI CLINICI
Fistole e perforazioni Si No
Malassorbimento Si No (non coinvolto intestino tenue!)
Stenosi Si No
Sangue nelle feci Occulto (è digerito lungo il transito; può Ben visibile
esserci se coinvolto il colon distale)
Megacolon No Si
Evoluzione neoplastica Più rara Frequente

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MALATTIA INTESTINALE ISCHEMICA
Alla base della patologia vascolare del tratto gastro-enterico, in particolare dell intestino, c una mancanza
di ossigeno per insufficiente apporto ematico.
La malattia ischemica intestinale si compone di quadri con gravità di vario grado (secondo come si instaura
l ischemia).

L intestino vascolarizzato da tre sistemi tra loro anastomizzati:


a. celiaca: irrora ciò che deriva dal foregut (stomaco e metà prossimale del duodeno)
a. mesenterica superiore: irrora le strutture derivanti dal midgut (dalla metà del duodeno fino ai 2/3
del colon trasverso)
a. mesenterica inferiore: irrora le strutture derivanti dall hindgut (dal 1/3 distale del colon trasverso
alla parte superiore dell ano).
Le aa. mesenteriche superiore ed inferiore formano le arcate mesenteriche, anastomotiche: a queste
interconnessioni si aggiungono circoli collaterali (a. celiaca, prossimale, a. pudenda, a. iliaca distale), in
questo modo tenue e colon sopportano una perdita di apporto ematico da un arteria, se lenta e progressiva.

Epidemiologia
Colpisce prevalentemente il tenue. Rappresenta l 1-2% delle urgenze chirurgiche intestinali. Ha una prognosi
infausta, soprattutto se la diagnosi è tardiva (mortalità 60-90%).
Sono colpiti soprattutto gli anziani (fattore di rischio importante l aterosclerosi), ma anche i bambini
(anomalie anatomiche: volvoli delle anse, intussuscezioni) e i neonati prematuri.
Enterocolite necrotizzante
Colpisce i neonati prematuri (peso alla nascita <1.5kg). si sono fatte varie ipotesi per spiegarne la
comparsa:
Ipossia durante il parto
Incompleto sviluppo dell intestino
Allattamento con il latte artificiale (per tossicità)? (teoria di alcuni)
Molto grave, può uccidere il neonato

Eziologia
Cause di occlusione arteriosa acuta:
aterosclerosi grave (spesso all origine delle aa. mesenteriche): su una lesione aterosclerotica si
può avere trombosi. In caso di grave aterosclerosi si avranno segni premonitori (ischemia
cronica)
aneurisma aortico
stati di ipercoagulabilità
contraccettivi orali
embolizzazione di vegetazioni cardiache o ateromi aortici in corso di fibrillazione atriale o
infarto improvviso
Condizioni associate all ipoperfusione intestinale sono:
shock con bassa portata
o sepsi
o insufficienza cardiaca
o farmaci vasocostrittori
disidratazione.
Altre cause di patologia ischemica intestinale che colpiscono i piccoli vasi:
vasculiti sistemiche (poliarterite nodosa, porpora di Schönlein-Henoch, granulomatosi con
poliangite ex Wegener)
amiloidosi
radioterapia: le radiazioni determinano un ispessimento della parete (oggi accade meno spesso
perché abbiamo sistemi più accurati per il centraggio e la RT è più selettiva).

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Si possono anche avere occlusioni venose, riconducibili a:
traumi
trombosi portale: può causare a monte un ingorgo di sangue, e la congestione causa ipossia (le
arterie non riescono più a portare sangue visto che il sangue non se ne va)
stati di ipercoagulabilità ereditari o acquisiti
volvoli, sono torsioni di anse intestinali sul loro asse che determinano interruzione dello stesso
apporto ematico
invaginazione (o intussuscezione): un ansa di intestino si insinua in un tratto posto pi a valle
(sospinta magari da movimenti peristaltici anomali). Si verifica a volte specie nei bimbi
(intussuscezione del tenue in corrispondenza della valvola ileocecale nel colon ascendente)
ernie incarcerate e strozzate (es: ernie inguinali)
neoplasie invasive
cirrosi
masse addominali che comprimono il sistema portale
aderenze createsi in seguito a pregressi interventi chirurgici fra due anse intestinali, o fra
un ansa e la parete: i movimenti peristaltici in tali casi possono indurre un attorcigliamento
delle anse e quindi l ischemia
Le più frequenti sono le occlusioni arteriose; occlusione venosa o bassa portata sono condizioni di meno
comune riscontro.
Infarti arteriosi e venosi si distinguono grazie al loro diverso aspetto macroscopico.

Patologie vascolari
Infarto intestinale
Indipendentemente dalla causa, la compromissione in acuto di un vaso principale può portare ad infarto
consistenti porzioni di intestino (= necrosi ischemica della parete intestinale):

Nelle prime ore dall ostruzione, l infarto sar intramurale; se per non si interviene e l occlusione
persiste, il danno progredisce interessando tutta la parete fino alla gangrena e perforazione dell ansa
intestinale peritonite.
Altri quadri
Ischemia cronica: la sintomatologia si presenta dopo i pasti (quando la richiesta di ossigeno è
maggiore); questi pazienti vanno individuati perché sono a rischio di acuzie
Colite post-radioterapia
Enterocolite necrotizzante del neonato
Nell ischemia cronica, l occlusione vascolare si instaura gradualmente, per cui si ha il tempo necessario
affinché si sviluppino i circoli collaterali (tra tripode celiaco ed aa. mesenteriche) per sopperire
all insufficienza circolatoria; il paziente asintomatico lontano dai pasti e presenta angina abdominis 15-
30 dopo il pasto, quando aumentano le richieste di apporto ematico da parte delle anse intestinali (cfr.
claudicatio intermittens dell aorta e delle iliache).

Patogenesi
La risposta intestinale all ischemia bifasica:
1. danno ipossico le cellule epiteliali intestinali sono relativamente resistenti all ipossia transitoria
2. danno da riperfusione il ripristino dell apporto ematico crea i danni maggiori, fino alla MOF. In
questa fase si hanno infiltrazione dei prodotti batterici (LPS) nel circolo sistemico, produzione di
ROS, infiltrazione neutrofila, rilascio di mediatori dell infiammazione.

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La manifestazione anatomo-clinica dipende dalla gravità della compromissione vascolare, dalla velocità di
insorgenza e dai vasi coinvolti.
I segmenti intestinali terminali nel letto vascolare di riferimento sono particolarmente suscettibili
all ischemia:
flessura splenica (confine tra circolo mesenterico superiore ed inferiore) il principale
colon sigmoideo e retto (confine tra circolo mesenterico inferiore, a. pudenda, a. iliaca)
Ipossiemia ed ipotensione possono causare danni localizzati da porre in diagnosi differenziale con una colite
focale della flessura splenica o del retto sigma.
Il decorso dei capillari intestinali (lungo le ghiandole, dalla cripta alla superficie) rende l epitelio superficiale
particolarmente vulnerabile al danno ischemico rispetto alle cripte: ciò protegge le cellule staminali epiteliali
site nelle cripte. L atrofia epiteliale superficiale fino alla necrosi con sfaldamento, in associazione a cripte
normali o iperproliferative, è dunque un segno morfologico caratteristico della malattia intestinale ischemica.

Morfologia
Macroscopica
L infarto mucoso e quello intramurale possono coinvolgere qualsiasi livello dell intestino, ma la sede pi
comune di ischemia gastrointestinale è il colon; le lesioni sono spesso segmentali e a chiazza, solo talora
continue.
La mucosa è emorragica, può essere ulcerata e rosso porpora (emorragia luminale); la parete è ispessita per
l edema che pu estendersi alla sottomucosa ed alla tonaca muscolare.

L infarto transmurale è dovuto ad occlusione arteriosa acuta e in genere colpisce ampie porzioni di
intestino, con una netta demarcazione tra tessuto sano ed infartuato. Si ha necrosi transmurale, che coinvolge
cioè tutte le tonache costituenti la parete intestinale.
L aspetto macroscopico dipende dalla fase:
inizialmente vi è intensa congestione, con appiattimento delle pliche; il colorito è brunastro-
purpureo
in seguito nel lume si accumula muco sanguinolento o sangue, e la parete diviene edematosa,
ispessita e gommosa
Entro 1-4 giorni la tonaca muscolare va incontro a necrosi coagulativa con possibile
perforazione; pu esservi un intensa sierosite con essudato purulento e deposizione di fibrina
(peritonite fibrinosa).
Nella trombosi venosa mesenterica (rara, vd. sopra) la transizione tra tessuto infartuato e sano è meno netta,
perché il sangue arterioso continua a scorrere per un certo tempo: la propagazione del trombo può comunque
coinvolgere il circolo splancnico con esiti simili all occlusione acuta.
Microscopica
Gli aspetti principali sono, come gi detto, l atrofia o sfaldamento dell epitelio superficiale in associazione
alla presenza di cripte normali od iperproliferative.
Sono inoltre presenti edema, emorragie e necrosi o della mucosa (infarto intramurale) o delle tonache
parietali (infarto transmurale).
Alcuni aspetti dipendono dal quadro acuto o cronico:
nell ischemia acuta l infiltrato infiammatorio inizialmente assente, i neutrofili compaiono
entro poche ore dalla riperfusione
nell ischemia cronica si ha cicatrizzazione fibrosa della lamina propria (raramente con stenosi)
In entrambi i contesti, la sovrainfezione batterica ed il rilascio di enterotossine può portare alla formazione di
pseudomembrane, quadro simile alla colite pseudomembranosa associata a infezione da C. difficile.

Correlazioni anatomo-cliniche
La malattia ischemica acuta è più comune nei soggetti di età superiore ai 70 anni, con lieve prevalenza del
sesso femminile; in genere insorge in pazienti con problematiche cardiovascolari, ma
può essere scatenata da vasocostrittori somministrati a scopo terapeutico, cocaina, danni endoteliali,
occlusione dei piccoli vasi (infezione da CMV o E. coli O157:H7), ernia strozzata, compromissione
vascolare post-chirurgica.

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Sintomi d esordio da ostruzione arteriosa acuta:
o crampi improvvisi (angina abdominis)
o dolore improvviso e violento in sede epi- mesogastrica, con irradiazione lombare
o tenesmo
o nausea e vomito
o fuoriuscita di sangue dall ano o diarrea ematica (in genere non tali da richiedere trasfusione)
o sintomi da addome acuto (arresto della peristalsi, reazione di difesa addominale, dolorabilità
da rimbalzo) cfr. ileo paralitico.
Sintomi d esordio da ostruzione venosa acuta:
o Dolore progressivo epigastrico ( pi l ingorgo che l ischemia a dare dolore)
o Diarrea ematica, vomito
o Stipsi
o Febbre
o Ipotermia per collasso
o Anemia
o Infarcimento emorragico delle anse
L intervento chirurgico si rende necessario nel 10% dei pazienti. L aspecificit del quadro clinico un
motivo di frequente ritardo diagnostico (ddx dell addome acuto: appendicite acuta, ulcera peptica perforata,
colecistite acuta), con conseguenze gravi. Un trattamento adeguato riduce la mortalità al primo mese al 10%.
I pazienti con malattia ischemica del colon destro hanno un quadro più grave (mortalità 20%), poiché tale
tratto di intestino irrorato dall a. mesenterica superiore che ha in carico anche buona parte del tenue: in
questo caso pi probabile l occlusione acuta dell a. mesenterica superiore. Altri fattori prognostici negativi:
BPCO, sintomi >2 settimane. Nella maggior parte dei casi il paziente si riprende del tutto e non si ha
recidiva.
Gli infarti mucosi e intramurali possono non essere fatali, ma se l apporto vascolare non viene ripristinato
(correzione del danno o sviluppo di apporti collaterali adeguati) progrediscono verso un infarto più esteso.
L aspecificit della sintomatologia addominale (inclusi diarrea ematica intermittente ed occlusione
intestinale) rende difficoltosa la diagnosi di colite ed enterite ischemica non occlusiva.
L ischemia cronica può presentarsi come una IBD, con episodi di diarrea ematica alternati a fasi di
remissione completa. Si hanno anche dolori addominali ricorrenti.
Determina
ispessimento della parete (da non confondere con tumori o diverticoli)
stenosi del lume
erosioni della mucosa.
L infezione da CMV provoca una malattia ischemica gastrointestinale dovuta al tropismo del virus per
l endotelio, e rappresenta una complicanza della terapia immunosoppressiva (colite ulcerativa).
L enterocolite attinica insorge dopo esposizione del tratto gastroenterico a radiazioni, con danno epiteliale e
vascolare: la storia clinica e la presenza di fibroblasti da radiazioni indirizzano la diagnosi.
L enterite attinica acuta si manifesta con anoressia, crampi addominali, malassorbimento e
diarrea
l enterocolite attinica cronica è spesso indolente e si manifesta come forma infiammatoria.
L enterocolite necrotizzante (NEC) è una forma acuta che può portare a necrosi transmurale: si tratta della
più frequente emergenza gastrointestinale acquisita del neonato (specie prematuri o sottopeso alla nascita),
ed in genere insorge quando si inizia l alimentazione per via orale. La patogenesi probabilmente ischemica.

ANGIODISPLASIA
Si tratta di una lesione caratterizzata da malformazione dei vasi ematici sottomucosi e mucosi, che assumono
aspetto dilatato e tortuoso.
Colpisce prevalentemente il cieco o il colon destro ed insorge in genere dopo la sesta decade.
La prevalenza nella popolazione adulta bassa (1%), ma l angiodisplasia causa del 20% dei sanguinamenti
significativi del basso intestino: le emorragie possono essere croniche ed intermittenti o acute ed importanti.
Rappresenta un emergenza chirurgica.

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La patogenesi è poco definita, probabilmente legata a fattori meccanici e congeniti: la distensione e la
contrazione del tubo digerente possono occludere in maniera intermittente le vene sottomucose, con
dilatazione focale e tortuosità dei vasi sottomucosi e mucosi sovrastanti.
Vasi dilatati nella sottomucosa tentano di perforare la muscolaris mucosae e di penetrare nella mucosa.
Il cieco è il tratto più colpito in quanto ha il diametro più ampio di tutto il colon e sviluppa la maggior
tensione di parete; segue il colon destro.
Morfologicamente l angiodisplasia si manifesta come un nidus ectasico di vene, venule e capillari tortuosi:
poiché la parete di questi vasi può essere separata dal lume intestinale solo da un sottile strato di cellule
epiteliali, una lesione circoscritta è in grado di causare un sanguinamento significativo.
Questi vasi dilatati e tortuosi comunicano con la mucosa, che non è abituata ad avere vasi grossi e per
qualche motivo ignoto si ha il sanguinamento.
Unico modo per fare la diagnosi è fare scintigrafia con emazie marcate o esame radiologico con MdC EV.
La parte interessata va asportata e la sua resezione porta il pezzo incriminato all AP:
campione emorragico (il sangue infarcisce tutta la mucosa)
difficile se non imposssibile trovare il punto che ha sanguinato.

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Altre pato intestinali non neoplastiche
SPRUE TROPICALE
Definizione
Identica alla celiachia, ma causata da una infezione (batterica o parassitaria) che colpisce nei Paesi tropicali
(residenti o viaggiatori). Non è correlata al glutine.
Determina malassorbimento anche di vitamina B12 e folati.
Le lesioni coin olgono sia il digi no sia l ileo
Eziologia
Non del tutto definita, ma correlata a infezioni tropicali batteriche o parassitarie.
Risponde a terapia antibiotica a largo spettro (es. tetracicline).

MALATTIA DI WHIPPLE
È una malattia sistemica (linfonodi, sistema nervoso, cuore, articolazioni) a manifestazioni prevalentemente
intestinali.
M8:1F
Eziologia
Actinomiceti Gram+ (Tropheryma whipplei).
Colpisce soggetti con deficit della risposta cellulo-mediata CD CD alterato L acc m lo di batteri negli
istiociti ingorga il circolo linfatico.
Risponde ad antibiotici.
Diagnosi
All endoscopia, si vedono pliche rilevate e rigonfie.
Alla biopsia, si vedono (in rosso) istiociti carichi di batteri.

DEFICIT DI DISACCARIDASI
Eziologia
Incapacità della mucosa di scindere il lattosio (in glucosio e galattosio) il lattosio rimane all interno del
lume intestinale, dove batteri lo fermentano producendo gas
Il lattosio è osmoticamente attivo: richiama liquidi dalla mucosa, causando diarrea.
Diagnosi
Bisogna fare la biopsia e cercare l en ima nella m cosa Se manca l en ima la rea ione IIC è negati a e si
diagnostica il deficit.

ABETALIPOPROTEINEMIA
Questa proteina permette di trasportare i trigliceridi; la sua mancata sintesi produce difettosa sintesi di
lipoproteine nell epitelio intestinale accumulo di trigliceridi nel citoplasma degli enterociti; nel plasma
mancano alcune lipoproteine.
Gli enterociti appaiono chiari e vacuolizzati.

MALATTIA DIVERTICOLARE
È molto comune sopra i 60 anni, rare le forme giovanili (<40 anni) e quando questo accade le complicanze
sono più gravi.
Particolarmente frequente nei Paesi occidentali.
Patogenesi
Localizzazione
I diverticoli si trovano soprattutto nel colon (sigma e colon discendente)
Più rare localizzazioni: duodeno, colon trasverso
Nelle popolazioni asiatiche (Giappone soprattutto) è frequente la sede cecale

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I diverticoli si formano in genere
Per transito difficoltoso delle feci (stipsi)
Dieta po era di fibre rende difficile e ritarda l e ac a ione
Costituzione
I diverticoli sono costituiti da mucosa e sottomucosa del colon, che erniano attraverso la tonaca muscolare
del viscere in corrispondenza dei punti di minor resistenza, ovvero dei punti in cui le arteriole e le venule
attraversano lo strato circolare della muscolatura.
Immagine macroscopica
Dall esterno isione laparoscopica o laparotomica i di erticoli appaiono come piccole estroflessioni
(da 0,5cm fino anche a 3cm; il persistere delle condizioni determinanti induce aumento di dimensioni
del diverticolo), eventualmente mascherate dalle radici epiploiche e da tessuto adiposo. Le
estroflessioni della mucosa possono raggiungere il tessuto adiposo stesso; lo strato muscolare, nel
tratto colpito dai diverticoli (sono spesso multipli, talora molto numerosi), aumenta di spessore (è
ipertrofico) per a mento della pressione endol minale e per le difficoltà nell esp lsione del materiale
fecale di aumentata consistenza
Immagine istologica
Erniazione della mucosa, della sottomucosa e della muscolaris mucosae attraverso lo strato circolare
della tonaca muscolare
È isibile n area emorragica dato che i di erticoli si formano in corrisponden a dell ingresso di asi
nella parete, questi vasi possono essere traumatizzati dalla formazione del diverticolo emorragia
(diagnosi differenziale con carcinomi del colon: in entrambi i casi si può avere sangue nelle feci e/o
anemi a ione peraltro l ipertrofia della m scolare p ò apparire come n t more stenosante del
colon sinistro si parla di tumore infiammatorio perché simula una neoplasia ma è di natura
reattiva)
Diagnosi
L ideale sarebbe la colonscopia (si vedono gli osti di accesso dei diverticoli). Se il paziente non la può fare, si
può vedere con il clisma opaco il MdC che riempie la cavità neoformata.
Il materiale fecale che riempie i diverticoli può circolare normalmente (condizione asintomatica di
diverticolosi), ma può capitare che nel colletto si incarceri materiale ristagno infiammazione
(diverticolite), sintomi.
Diverticolite
Acuta
Catarrale
Purulenta
Flemmonosa
Perforativa, con le relative complicanze
Peritonite
Diffusa (il materiale fecale si estende a tutto il peritoneo)
Circoscritta n appendice epiploica o il mesentere o l omento chi dono il di erticolo perforato
Fistolizzazione (con anse del tenue vicine per esempio)
Diverticolite cronica
Può essere una forma cronica ab initio oppure rappresentare un esito della forma acuta
T more infiammatorio stenosi infiammatoria mima il carcinoma
Reazioni peritoneali: aderenze e briglie, responsabili di fenomeni occlusivi intestinali
Complicanze della malattia diverticolare
Emorragia
Perforazione: conseguenza della diverticolite
Occlusione: prevalentemente dovuta alle forme croniche inveterate (ipertrofia della muscolare,
episodi flogistici ripetuti con relativa fibrosi)
Fistolizzazione

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Clinica
Asintomatica
Dolori addominali sopratt tto alla riac ti a ione dell infiamma ione
Costipazione: è la condizione che causa la malattia
Diarrea conseg en a di n infe ione batterica
Terapia antibiotica (a cicli)
Chirurgia
Prevenzione
Cibi ricchi di fibre: frutta, verdura

MEGACOLON CONGENITO
Sinonimi: megacolon di Hirschspung, megacolon congenito agangliare.
Epidemiologia
1:5000 nati vivi
Difetto congenito innervazione colon
Più comune nei maschi, più grave nelle femmine
Clinica
Se si manifesta alla nascita
Neonati che non eliminano il meconio
Enterocolite
Squilibri idro-elettrolitici
Perforazione

Se si manifesta più tardi


Stipsi severa
Episodi di sub-occlusione intestinale
Diagnosi
Clisma opaco (molto meno utile)
Colonscopia con biopsia a tutto spessore
Terapia
Resezione chirurgia del tratto agangliare.
Eziopatogenesi
Mancano in alcuni tratti colici i plessi nervosi (sottomucoso di Meissner e mioenterico di Auerbach):
durante l embriogenesi i ne roblasti delle creste gangliari non raggi ngono t tti i tratti
Mancando la peristalsi, si ha dilatazione del tratto a monte del segmento patologico (che prova a
compensare aumentando la sua attività peristaltica, ma senza grande successo e rischiando anzi la
perforazione).
Sedi più colpite
Retto e sigma prevalentemente (le parti più lontane nella migrazione delle cellule).
Aspetto macroscopico
La regione agangliare appare macroscopicamente normale o n po contratta ridotta di diametro), mentre
il tratto a monte si dilata progressivamente.
Il chirurgo vede solo un tratto ristretto e inattivo a valle di un tratto dilatato ipertrofico, che manchino i
gangli si vede solo alla biopsia.
Diagnosi istopatologica
La diagnosi si fa con una biopsia profonda (che raggiunga anche la parete muscolare per evidenziare i plessi
mioenterici A olte mancano le cell le altre olte mancano le fibre ner ose l effetto è sempre q ello di
na inatti a ione del plesso se ci sono complican e importanti l unica soluzione è la chirurgia.

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POLIPI E POLIPOSI DEL COLON
Si intende per polipo intestinale qualsiasi neoformazione che aggetta e cresce nel lume di un organo cavo.
I polipi possono essere:
Mucosi: possono essere epiteliali o mesenchimali;
Sottomucosi: generalmente mesenchimali.
I polipi mucosi, i più frequenti, possono essere suddivisi in:
Polipi infiammatori, la cui caratteristica precipua è la marcata flogosi; la presenza di infiltrato
infiammatorio solleva la mucosa. Si associano in genere a IBD e diverticolite, e non hanno rischio di
progressione
Polipi iperplastici, con alterata maturazione ghiandolare; sono piccoli e sessili
Polipi amartomatosi, patologia malformativa (escrescenza vascolare all'interno dell'organo cavo);
Polipi adenomatosi, i quali hanno generalmente patogenesi neoplastica.

Polipi infiammatori
Si caratterizzano per la presenza di infiltrato infiammatorio con linfociti, plasmacellule, granulociti
neutrofili e eosinofili. Tale infiltrato solleva la mucosa.
Hanno dimensioni variabili, in genere < 1cm.
Sono spesso associati a colite ulcerosa, morbo di Crohn, coliti infettive, diverticolosi etc.
Non presentano rischio di evoluzione neoplastica.

Polipi iperplastici
Aumentata proliferazione di cellule epiteliali.
Di piccole dimensioni (< 0,5cm).
Sessile, parte dalla mucosa; solo raramente peduncolato. Va distinto dagli adenomi serrati sessili che
sono istologicamente simili ma hanno potenzialità maligna.
In genere diagnosticato in 6-7 decade di vita
Sembra che derivino da uno squilibrio fra la produzione e la desquamazione cellulare; in genere è un
ridotto sfaldamento che porta a un accumulo di cellule ben differenziate che molto raramente vanno incontro
a fenomeni displastici.
Le cellule, in numero aumentato, non si distribuiscono in modo lineare ma su piani diversi con una
disposizione definita a denti di sega.

Polipi amartomatosi
Sono lesioni non neoplastiche, dovute ad alterazioni dell'organizzazione della mucosa in cui si ha
ristrutturazione di tessuti autoctoni epiteliali e/o mesenchimali a determinare la formazione di una struttura
che aggetta nel lume intestinale.
Si ritrovano sporadicamente o nell ambito di varie sindromi acquisite o geneticamente determinate.
La maggior parte appartiene a poliposi eredo-familiari come la sindrome di Peutz-Jeghers, rara sindrome a
trasmissione AD caratterizzata da poliposi amartomatosa multipla e iperpigmentazione mucocutanea.
I soggetti portatori di questa sindrome hanno un elevato rischio (>40%) di sviluppare una neoplasia a
testicoli, stomaco, intestino, colon, pancreas, mammella, polmone, ovaio e utero. In oltre la metà degli
individui si ritrovata mutazione dell oncosoppressore STK11.
Macroscopicamente i polipi tendono ad essere grandi, peduncolati e lobulati.
Istologicamente si caratterizzano per una trama arborescente di tessuto connettivo, muscolatura liscia, lamina
propria e ghiandole rivestite da epitelio intestinale normale. L'arborizzazione e la presenza della muscolatura
liscia mescolata con la lamina propria li distingue dai polipi giovanili.
I polipi giovanili sono malformazioni focali dell'epitelio e della lamina propria; si localizzano
solitamente nel retto e si manifestano con emorragie rettali. Macroscopicamente hanno un diametro
inferiore a 3cm, sono peduncolati con colore rossastro, superficie liscia e spazi cistici visibili in
sezione. Microscopicamente le cisti sono costituite da ghiandole dilatate ripiene di mucina e detriti
infiammatori; la restante porzione del polipo è costituita dalla lamina propria mentre la muscolaris
mucosae può essere presente o no.

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Polipi neoplastici (adenomi)
Sono neoplasie intraepiteliali che variano da piccoli polipi, spesso peduncolati, a grandi lesioni sessili. É
importante ricordare che qualsiasi massa neoplastica presente nel tratto GI può manifestarsi come un polipo
(protrusione della mucosa), tuttavia la maggioranza di questi sono rappresentati dagli adenomi del colon,
precursori della maggior parte degli adenoK del colon.
Nella mucosa intestinale normale si ha attività proliferativa solo nei 2/3 inferiori delle cripte ghiandolari; nel
1/3 inferiore si ha elevata sintesi del DNA.
Nel polipo adenomatoso si ha uno shift della zona periferica dalla base verso l'apice della ghiandola con
conseguente accumulo di cellule proliferanti sulla superficie mucosa e formazione di cripte aberranti.
Gli adenomi colon rettali sono caratterizzati dalla presenza di displasia epiteliale con importanti segni di
atipia citologica e strutturale. Questi inoltre presentano alterazioni molecolari proprie dei carcinomi e spesso
l adenoma coesiste con focolai di invasione.

Epidemiologia: I polipi adenomatosi rappresentano la neoplasia colonrettale più frequente nei paesi
occidentali, con una prevalenza pari al 5-10% della popolazione generale e del 33% della popolazione >50
anni, anche se possono comparire anche prima. (+ frequente nel sesso M e nella fascia di età V-VI decade).
Questo giustifica la ricerca del sangue occulto nelle feci come metodo di screening in tutti i soggetti con età
superiore ai 50 anni.
In caso di positività sarà necessario eseguire colonscopia.
Fattori di rischio:
dieta (carni rosse, grassi saturi, basso consumo di fibre e pesce)
obesità e scarsa attività fisica
fumo
storia familiare, con un solo familiare il rischio aumenta di 2-4 volte, con 2 o più sale a 4-
6 volte
In ordine di frequenza abbiamo:
Adenoma tubulare (64%);
Adenoma tubulo-villoso (27%)
Adenoma villoso (7%) maggior probabilità di trasformazione maligna ma più raro.
Sintomatologia
1. Asintomaticità in particolare se nel colon destro;
2. Sanguinamento (anemizzazione cronica): anche qui soprattutto per quanto riguarda i carcinomi del
colon destro; l'organismo si adatta all'anemia, per cui l'individuo non se ne accorge, ma si scopre il

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sanguinamento alla ricerca del sangue occulto nelle feci oppure si scopre anemizzazione agli esami
del sangue;
3. Diarrea mucosa (adenomi villosi del retto),
4. Prolasso del polipo;
5. Coliche addominali (sub-occlusione intestinale, intussuscezione......);
6. Tenesmo per localizzazione rettale;
7. Disionia (rara).
Mutazioni genetiche associate:
Perdita di geni oncosoppressori (AR)/ attivazione di proto-oncogeni, fra cui k-RAS (AD)
APC (cr.5q): iniziatore della proliferazione, è il primo gradino del processo neoplastico, nel 60% degli
adenomi.
TP53 (gene della proteina p53): sul cromosoma 17p, ruolo determinante nella trasformazione maligna,
nel 75% degli adenocarcinomi.
SMAD2 e SMAD4: normalmente consentono l espressione de TGF per indurre apoptosi cellulare
Una delle mutazioni più studiate è quella di k-ras che si ritrova in più del 50% degli adenomi > 1cm e
nel 50% dei carcinomi. Questa mutazione provoca un continuo stimolo delle vie che controllano la
proliferazione e differenziazione cellulare, d libero arbitrio alle cellule .
Classificazione dei polipi adenomatosi:
In base alla superficie:
◦ Liscia;
◦ Villosa (simil-spugnosa con tanti buchini).
In relazione alla base d'impianto:
◦ Sessili: originano direttamente dalla mucosa intestinale;
◦ Peduncolati: sono uniti alla parete da un peduncolo.
In base al numero:
◦ Unici (raramente);
◦ Multipli (1-100);
◦ Poliposi (> 100 polipi).
I polipi unici sono molto rari, se presenti, spesso vanno incontro a cancerizzazione.
Classificazione istologica:
Adenomi polipoidi
o Adenoma tubulare: ghiandole neoplastiche con architettura tubulare ( albero con rami );
64%, è il più frequente
o Adenoma villoso: struttura vascolo-stromale ricoperta da epitelio adenomatoso (villi); le
ghiandole hanno struttura tozza, non pi allungata, ma quasi circolare; ( albero con tutte le
foglioline attaccate ), nasce direttamente dalla mucosa; 7%
o Adenoma tubulo-villoso: misti, zone piatte si alternano a zone con fronde; 27%
Adenoma piatto
Adenoma serrato: architettura sovrapponibile al polipo iperplastico con un epitelio che presenta le
stesse caratteristiche citologiche dell'adenoma; il polipo iperplastico è una rigenerazione abnorme della
mucosa, ma non presenta alcuna atipia citologica: questo è importante per fare DDX tra queste due tipologie
di polipi.

Adenoma polipoide tipico


Macroscopicamente possono essere sessili o peduncolati entrambi con superficie simile al velluto a
causa dell'anomala crescita epiteliale.
Le forme peduncolate sono collegate alla parete del colon tramite un peduncolo che presenta un
asse centrale fibrovascolare e deriva dallo stiramento della sottomucosa dovuto alla trazione
esercitata dalla peristalsi. Il peduncolo è ricoperto da mucosa normale. Sono più frequenti nel colon
destro e trasverso, dove la peristalsi è maggiore. Tendono ad assumere dimensioni inferiori rispetto
ai polipi sessili.
Le forme sessili invece hanno una ampia base d'impianto, sono più grandi e solitamente dal pdv
istologico sono villosi.

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Istologicamente si caratterizzano per affollamento cellulare, cellule di dimensioni maggiori con
citoplasma eosinofilo, nuclei ipercromatici e affollati, nucleoli evidenti, diminuzione delle cellule
caliciformi e disordine architetturale. Le cellule non riescono a maturare dagli starti più profondi
delle cripte verso la superficie. In base alle alterazioni citoarchitetturali gli adenomi vengono
classificati a lieve, moderata e severa displasia.
Displasia lieve: architettura generale relativamente conservata, con tubuli ghiandolari solo
lievemente allungati o tortuosi ed iniziali accenni alla gemmazione; perdita del gradiente di
differenziazione cellulare dalla base della cripta alla superficie. Nuclei allungati, ingranditi,
polarizzati e stratificati.
Displasia moderata: le caratteristiche morfologiche sono intermedie tra quella lieve e quella
grave.
Displasia grave: cripte con ramificazioni e gemmazioni irregolari, variamente coalescenti.
Nuclei francamente ipercromici, tondeggianti od ovali, marcatamente ingranditi, nucleolati,
per lo più privi di orientamento polare. Le cellule, stratificate, hanno citoplasma
omogeneamente denso, senza differenziazione mucipara.
Gli adenomi tubulari tendono ad essere peduncolati e costituiti da piccole ghiandole tonde o
tubulari. Sono caratterizzati dalla presenza di strutture ghiandolari, tubuli semplici, rivestite da un
singolo strato di cellule con vari gradi di displasia.
Gli adenomi villosi sono spesso grossi, sessili e coperti da villi sottili, costituiti da papille, cioè
formazioni caratterizzate da un asse fibrovascolare centrale rivestito da epitelio, anch esso
displastico. Macroscopicamente sono spesso caratterizzate da una superficie vellutata. L'adenoma
villoso appare come una massa unica nel retto-sigma di soggetti anziani, di consistenza friabile e
solitamente sessile con larga base di impianto (solo nel 10% è peduncolato). Microscopicamente
caratterizzato da proiezioni papillari rivestite da epitelio displastico con una probabilità di
trasformazione maligna che oscilla tra il 30 e il 70%.
Gli adenomi tubulo-villosi sono costituiti da un misto numero di elementi tubulari e villosi.
Tutte queste forme hanno un aumentato rischio di trasformazione maligna direttamente
proporzionale alle dimensioni del polipo.

Adeonoma piatto
Lesione neoplastica non polipoide, piatta o lievemente depressa. Secondo alcuni studi l adenoma
piatto mostra con maggior frequenza displasia alto grado e maggiore % di progressione in
adenocarcinoma.

Adenoma serrato
Rappresenta il 5% delle lesioni adenomatose; è una lesione peduncolata a sede prevalente colon sn o
sessile a sede prevalente nel colon destro. E la controparte neoplastica dei polipi iperplastici con cui
condividono l architettura serrata. Le forme sessili sono precursori dei carcinomi colorettali
sporadici associati a instabilità dei microsatelliti (MSI). Istologicamente le forme sessili presentano una
architettura serrata in tutta la lunghezza delle ghiandole, compresa la base della cripta, associata a
dilatazione della cripta e crescita laterale.

Polipo cancerizzato
Invasione della sottomucosa con superamento della muscolaris mucosae (altrimenti si dovrebbe parlare
di displasia di alto grado)
Si vedono penetrare nella sottomucosa gettoni di ghiandole che infiltrano la parete
Le lesioni di partenza possono avere aree di alto o basso grado.

Carcinoma intramucoso
Questa lesione si presenta quando le cellule epiteliali displastiche superano la MB per invadere la
muscolaris mucosae e la lamina propria. Dato che nella mucosa del colon le strutture linfatiche non
sono funzionali questo carcinoma in fase iniziale ha una bassissima probabilità di dare metastasi
linfatiche, tuttavia se raggiungono la sottomucosa possono diffondere a distanza

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Alterazioni anatomo-patologiche tipiche dell'adenoma:
Aumentata proliferazione cellulare; si ha un caratteristico aumento della nuclearità, che migra verso
l alto.
Alterazione della differenziazione epiteliale (valutazione del grado di displasia); questa si riflette in
una perdita della muciparit (l epitelio viene sostituito da cellule adenomatose non muco- secernenti
a differenza di quelle normali -).
Morfologia cellulare atipica;
Disordine architetturale con sovvertimento dell organizzazione strutturale.
Le alterazioni AP dell'adenoma variano in base al grado di displasia (lieve, moderata e grave).
La valutazione della gravità della displasia si basa sul numero e la localizzazione delle mitosi rilevabili: nelle
forme gravi devono essere presenti sulla superficie ghiandolare, quindi in cima.
L infiltrazione dell asse fibrovascolare che sorregge il polipo l elemento istopatologico che definisce lo
shift a carcinoma in situ.

Immagine: Mucosa colica normale a confronto con un polipo con displasia di basso grado.
Nella mucosa normale
(destra) i nuclei non sono atipici,
non c'è alterazione della
sottomucosa.
Nel polipo con displasia di
basso grado (sinistra) si ha
un aumentata proliferazione
cellulare (grande aumento del
numero di nuclei), le cellule si
muovono, i nuclei dalla base
vanno verso l'alto, vi è perdita
della capacità mucipara. È una
displasia di basso grado perchè
non ci sono cellule proliferanti in
superficie, la proliferazione non
è ubiquitaria, non ci sono mitosi
a livello medio e superficiale che
corrisponderebbero rispettivamente a una displasia di grado moderato e grave.
Lo step successivo nell'evoluzione neoplastica è l'infiltrazione dell'asse fibrovascolare (l'endoscopista non lo
può vedere): nel momento in cui si fa accertamento diagnostico di polipo adenomatoso ad elevato grado di
displasia si manda il paziente a effettuare asportazione chirurgica; nel caso in cui si individui infiltrazione
dell'asse fibrovascolare all'analisi del campione asportato, si può definire carcinoma in situ.
Nel caso in cui si tratti di carcinoma in situ c'è necessità di ampliamento dell'area di resezione chirurgica, in
modo da evitare il rischio di recidiva (intervento in due tempi).
Dati a favore della sequenza adenoma-carcinoma:
Stessa distribuzione anatomica per adenoma e carcinoma;
Età media di insorgenza: l'adenoma precede di 10 anni quella del carcinoma;
Polipi > 1cm hanno rischio aumentato di sviluppare carcinoma;
Molti carcinomi insorgono su polipi adenomatosi di cospicue dimensioni;
Pazienti con FAP hanno un rischio enormemente aumentato di sviluppare carcinoma;
L'eliminazione dei polipi adenomatosi riduce l'incidenza del carcinoma;
La prevalenza di adenomi e carcinomi aumenta con l'età.
Percentuali di trasformazione maligna in atto per i diversi tipi di polipi in funzione del tipo e delle
dimensioni al momento del loro riscontro:
villoso se minore di 1 cm: 9.5%; se maggiore di 2 cm 52.9%
tubulo-villoso se minore di 1 cm: 3.5%; se maggiore di 2 cm 45.8%
tubulare se minore di 1 cm: 1%; se maggiore di 2 cm 34.7%
Il polipo villoso è quello che accumula più displasie, presenta maggior rischio di trasformazione maligna, ma
per fortuna è anche il meno frequente.

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Diagnosi
La prima scelta è la colonscopia che consente anche:
Asportazione del polipo;
Esecuzione di biopsie;
Magnificazione delle immagini (cromoscopia).
Le complicanze della colonscopia possono essere:
Emorragia;
Perforazione intestinale;
Rottura del colon.

Poliposi adenomatosa familiare


Questi soggetti si presentano con >100 polipi adenomatosi colorettali, conseguenza di una mutazione
germinale nel gene APC che si trasmette con modalità AD.
Ha una incidenza di 1/ 20.000 nati, con polipi colonrettali che insorgono a 10-20 anni. Col tempo si ha un
aumento progressivo del numero e delle dimensioni dei polipi.
A 40 anni praticamente tutti presentano lesioni cancerose, mentre solo il 5% le presenta tra 20 e 25 anni. Alla
diagnosi nel 30% dei casi il tumore è già metastatico.
Screening:
Colonscopia dall et di 10-20 anni e poi ogni 1-2 anni
Test genetici mutazione APC.
Questi pazienti necessitano di un follow-up molto stretto, con colonscopia annuale ( dicono che anche ogni 2
anni va bene, ma farla ogni anno mica un male, in questi casi ). possibile effettuare uno screening
genetico dei parenti di 1° grado.
Terapia: l unica la colectomia profilattica, ossia la resezione della porzione di colon dove sono presenti i
polipi adenomatosi (potenzialmente pancolectomia).
Forme
Si presenta in varie forme:
1. Poliposi Adenomatosa Familiare FAP: malattia ereditaria autosomica dominante caratterizzata da
centinaia di polipi adenomatosi colorettali tendenti alla progressione ad adenocarcinoma, causata nel
95% da una mutazione germinale del gene APC
2. Poliposi Adenomatosa Familiare Attenuata AAPC: forma attenuata con meno di 100 polipi che
prediligono il colon destro
3. Sindrome di Gardner: variante della FAP che, oltre ai polipi adenomatosi colorettali, include
◦ carcinoma della tiroide
◦ cisti epidermoidi
◦ osteomi
◦ anomalie dentali
◦ tumori desmoidi
4. Sindrome di Turcot: variante della FAP associata a tumori cerebrali (medulloblastoma).
Anatomia patologica
Macroscopica
Polipi localizzati in tutto il colon-retto, prevalentemente nel retto-sigma. Possono essere:
polipi di tipo sessile
meno frequentemente di tipo peduncolato
Insorgono, cioè, direttamente dalla mucosa, con dimensioni che possono variare da pochi mm a qualche cm.

Microscopica
Originano da una singola cripta displastica, e possono essere adenomi di tipo:
tubulare (++)
tubulo-villoso (meno frequenti)
villoso
piatto
Istologicamente adenomi e carcinomi nella FAP sono identici alle corrispondenti lesioni sporadiche.
Si può avere displasia di vario grado, fino alle lesioni pre cancerose e cancerose.

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Carcinoma colo-rettale ereditario non associato a poliposi (HNPCC)
Noto anche come sindrome di Lynch.
È una condizione di aumentata suscettibilità genetica che si trasmette come carattere autosomico dominante.
È geneticamente eterogenea, in quanto può essere causata da mutazioni germinali in uno dei geni del
Mismatch Repair (MMR):
MSH2 (40%)
MLH1 (30%)
MSH6 (15%)
PMS2 (15%)
I geni MMR rappresentano un importantissimo sistema di riparazione degli appaiamenti errati del DNA.
Quando questi geni non funzionano a causa di una mutazione inattivante, gli errori generati spontaneamente
durante la replicazione del DNA non vengono corretti e questo espone le cellule all accumulo di mutazioni
somatiche che facilitano lo sviluppo di tumori in vari organi.
Gli errori, in particolare, riguardano i tratti di brevi sequenze ripetute (microsatelliti), con piccole inserzioni
o delezioni, che si creano a causa dello scivolamento delle polimerasi in corrispondenza di queste sequenze
ripetute.
L instabilit MSI quindi una caratteristica peculiare dei tumori della S. di Lynch, mentre la maggior parte
dei CRC sporadici non ereditari sono stabili e vengono definiti MSS.
L instabilit dei microsatelliti si associa a miglior risposta alla terapia immune.
Clinica e classificazione
Dal punto di vista clinico la sindrome è definita dai cosiddetti criteri di Amsterdam:
Criterio numerico: almeno 3 membri della famiglia devono essere affetti da CRC, e questi devono
essere legati da parentela di 1° grado;
Criterio di familiarità: nell albero genealogico devono essere presenti CRC in pazienti con legami di
parentela di 1° grado in almeno 2 generazioni successive;
Criterio d et : in almeno un caso, all interno della famiglia, il CRC deve essere stato diagnosticato
prima dei 50 anni. Originariamente si considerava solo il CRC, dal 1999 sono stati inclusi anche gli
altri tipi di tumore, come i tumori del tenue, uroteliali ed endometriali.
Esistono 2 varianti cliniche di HNPCC:
a) Sindrome di Lynch I caratterizzata da sviluppo di Ca colon-retto (CRC)
b) Sindrome di Lynch II caratterizzata da sviluppo di:
Ca colon-retto
Ca dell'endometrio
Ca dell'ovaio
Ca del tenue
Ca del tratto urinario (urotelioma)
Ca delle vie biliari
Caratteristiche generali
Gli individui affetti hanno un rischio di sviluppare CRC del 80-90%.
I carcinomi insorgono in età giovane/adulta (età media 45-50 anni) e:
si localizzano più frequentemente nel colon destro
possono essere multipli (sincroni o metacroni)
l insorgenza e evoluzione delle lesioni sono talmente veloci che non sono riscontrabili stati precancerosi
(es polipi).

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Concetti riassuntivi: Polipi neoplastici e non neoplastici

I polipi neoplastici sono gli adenomi. I polipi non neoplastici sono sottoclassificati in infiammatori,
iperplastici e amartomatosi.

Polipi non neoplastici sporadici Polipi neoplastici (adenomi)


Tipo Diametro Sede e Istologia Tipo Istologia Rischio
malattia <1cm
>2cm
Infiammatori < 1 cm Ulcera sol Infiltrato Tubulare Ghiandole a tubi.
del retto; di L + P + (peduncolato) Uno strato di
1% 35%
IBD. EOS + NTF cellule. Varia
displasia
Iperplastici < 5 mm Retto e Serrato in Villoso Ricorda i villi.
(sessili) sigma sezione (sessile) Vellutato. 9.5% 53%
Varia displasia
Tubulo-villoso Misto 3.5% 46%
E’ fondamentale differenziare il polipo iperplastico
Piatto No polipo, si può
dall’adenoma serrato, perché il primo non cancerizza
infossare. Molto
ma il secondo sì. Bisogna vedere se le cripte solo
displastico
dilatate e allargate: se ciò avviene è un adenoma
Serrato Sembra polipo
serrato, perché l’iperplastico dà struttura serrata
(sessile) iperplastico ma può
solo sul polipo e non più in basso.
cancerizzare.
Polipi non neoplastici sporadici e sindromici Sindromi ereditarie con adenomi
Tipo Sindrome Sede + fr. Mutazione Malattia Mutazione Istologia
Tutto FAP APC o MUTYH Tub, Vill, T-V,
Cowden STK11 (>100 adenomi)
l intestino piatto.
Amartomatosi FAP APC o MUTYH Tub, Vill, T-V,
Peutz-
(peduncolati, Tenue PTEN attenuata piatto.
Jeghers
grandi) (<100 adenomi)
Cronkhite- Non Sindrome di APC o MUTYH Tub, Vill, T-V,
Colon
(ci sono Canada ereditario Gardner piatto.
anche gli Poliposi Sindrome di APC o MUTYH Tub, Vill, T-V,
Retto SMAD4
sporadici) giovanile Turcot piatto.
Sclerosi
Retto TSC1
tuberosa

In rosso quelli ad alto rischio di adenocarcinoma del colon-retto

Dell istologia degli amartomatosi ricordare la ristr tt ra ione epitelio-mesenchimale e la conservazione


della lamina basale e della muscularis mucosae, nonché la conservazione delle normali strutture
ghiandolari. Importante anche il connettivo arborescente. La poliposi giovanile può presentare una
muscularis mucosae incostante e appaiono lisci e cistici in sezione perché le cripte diventano ghiandole
piene di muco.

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CARCINOMA COLON-RETTALE

Epidemiologia:
Rappresenta la II causa di morte nei paesi occidentali.
Incidenza: 15-50 casi/100.000 abitanti ogni anno in Europa ed USA. È la più comune neoplasia maligna
del tratto GI, benchè l'intestino tenue costituisca il 75% della lunghezza totale del tratto GI (ma è sede poco
comune per i tumori, sia benigni che maligni).
In Italia si osservano annualmente circa 40/100.000 l'anno.
Età più colpita: 50-70 anni. Si ritrovano anche prima (età giovanile, intorno ai 35anni).
Lieve prevalenza nel sesso maschile.

Fattori di rischio
Da un punto di vista patologico, dobbiamo ricordare, oltre ai polipi adenomatosi (in base alla teoria della
sequenza adenoma-carcinoma), fattori genetici/ereditari, malattie infiammatorie croniche come Crohn e
colite ulcerosa (raro) e fattori di rischio ambientali.
Fattori di rischio ambientali
I principali fattori di rischio ambientali sono:
Eccessivo consumo di grassi animali e carboidrati raffinati; l aumento degli acidi grassi nel lume
intestinale (comune in USA e Europa a causa di una dieta eccessivamente ricca in grassi) indurrebbe,
tramite l'aumento della secrezione di acidi biliari, sia una intensa proliferazione della mucosa colica,
sia la sintesi di prodotti ossidativi potenzialmente tossici da parte dei batteri intestinali, che restano a
contatto con la mucosa intestinale più a lungo a causa della ridotta massa fecale; è chiaro che su un
epitelio iperproliferante pi facile che qualche cellula accumuli mutazioni e impazzisca , andando
verso lo sviluppo del CRC.
Ingestione eccessiva di carne, specie rossa (manzo);
Ridotta assunzione di fibre vegetali non assorbibili che promuovono un veloce svuotamento
intestinale, rimuovendo rapidamente sostanze potenzialmente cancerogene dall intestino. Inoltre si
ipotizza che il ridotto contenuto di fibre porti a una riduzione della massa fecale e a un alterata
composizione dell'ambiente microbico intestinale.
Dieta ipercalorica; nelle popolazioni che soffrono la fame l incidenza di questo tumore
significativamente minore
Vita sedentaria;
Abuso di alcol e fumo; eccessivo consumo di birra (per il ca. del retto).
Fattori di rischio genetici, familiari ed ereditari
1. FAP (poliposi adenomatosa familiare): difetto della via APC/WNT; forma AD. È presente in circa
l 1% dei casi di CRC
2. HNPCC (carcinoma colon-rettale ereditario non associato a poliposi). Si hanno mutazioni dei geni
del mismatch repair (MSH2, MLH1 e MSH6). È presente in circa il 6% dei casi di CRC: oggi
all intervento di colectomia segue quindi, oltre all esame istologico, l analisi immuno-istochimica/
molecolare, per verificare la stabilità dei microsatelliti (nei casi sporadici pi rara l instabilità dei
microsatelliti, ma comunque possibile tramite mutazioni somatiche/epigenetiche -metilazione- degli
stessi geni suddetti) e la presenza di alterazione di questi geni. Distinguiamo
1. una sindrome di Lynch I, in cui è presente solo CRC,
2. una Lynch II, caratterizzata dall insorgenza di pi tumori, sincroni o metacroni, a livello di
colon, stomaco, tratto epato-biliare, endometrio, ovaio.
Altri fattori di rischio
Polipi adenomatosi: la maggior parte dei CRC origina da un polipo adenomatoso sequenza adenoma
carcinoma
Familiarità neoplastica
Malattie infiammatorie croniche (RCU M di Chron)

Le lesioni precancerose possono essere di diversi tipi, dalle malattie infiammatorie croniche fino ad arrivare
agli adenomi: tubulari, tubulo-villosi e, prevalentemente, di tipo villoso.

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Patogenesi
Gli studi sulla cancerogenesi colon-rettale hanno fornito informazioni fondamentali sui meccanismi generali
di oncogenesi. Sono molti gli eventi molecolari che portano alla insorgenza dell'adenoCa, e si verificano in
maniera graduale, comprendono sia anomalie genetiche che epigenetiche.
Le vie genetiche più importanti che risultano alterate in questa patologia sono due, e sono:
via APC/ -catenina
via dell'instabilità dei microsatelliti.

Via APC/ -catenina


Generalmente all'inizio del processo neoplastico si assiste alla mutazione del gene APC (80% dei Ca
sporadici).
Entrambe le copie del gene devono essere disattivate dal punto di vista funzionale (o tramite mutazione o
tramite eventi epigenetici); quel che succede è che normalmente APC si comporta da regolatore negativo per
la -catenina (componente della via Wnt), dunque la lega e la fa degradare.
Se però APC muta, si assiste ad un accumulo di -catenina, la quale riesce così a traslocare nel nucleo e ad
attivare (legando il fattore TCF) la trascrizione dei geni che promuovono la proliferazione cellulare:
Myc
Ciclina D1
Col progredire della situazione, finiscono per accumularsi mutazioni anche a livello di altri geni, quali:
1. KRAS ( con stimolo alla crescita e inibizione dell'apoptosi)
2. SMAD 2 e 4 (coinvolti nel processo di segnalazione del TGF , inibitore del ciclo cellulare)
3. TP53 (oncosoppressore)

Via dell'instabilità dei microsatelliti


Alcune sequenze dei microsatelliti si trovano nelle regioni codificanti o promotrici di geni della regolazione
della crescita cellulare, regioni che comprendono per esempio:
recettore di TGF (non risponde al suo ligando, determinando una crescita cellulare incontrollata)
BAX (proteina pro-apoptotica)
Un sottoinsieme di tumori instabili per i microsatelliti si presenta con assenza di mutazioni degli enzimi di
riparazione, ma presenta invece un fenotipo di ipermetilazione delle isole CpG.
In questi tumori è ipermetilata la regione promotrice MLH1 (alla base della HNPCC), e spesso sono
compresenti mutazioni dell'oncogene BRAF (mentre KRAS e TP53 non sono mutati).
Dunque l'instabilità dei microsatelliti + mutazione BRAF+ metilazione MLH1 sono la firma di questa via di
cancerogenesi.
La morfologia del tumore non consente di stabilire in maniera affidabile gli eventi molecolari che portano
alla cancerogenesi, però è stato visto che i tumori con instabilità dei microsatelliti sono riconoscibili per
l'assenza di colorazione all'immunoistochimica per le proteine di riparazione del mismatch, o dall'analisi
genetica molecolare delle sequenze dei microsatelliti.

Anatomia patologica
Macroscopica
In linea generale gli adenocarcinomi sono equamente distribuiti lungo tutta la lunghezza del colon.
Da un punto di vista macroscopico forme sporadiche e familiari si presentano tutte allo stesso modo.
Si distinguono:
Forme vegetanti;
Forme ulceranti, con formazione di una pseudoulcera a bordi rilevati e fondo escavato di solito
riconoscibile macroscopicamente;
Forme infiltranti;
Forme anulari-stenosanti, che infiltrano la parete circonferenzialmente e a tutto spessore (specie nel
sigma).

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Le dimensioni possono variare da pochi mm a qualche cm (questo dipende dalla precocità della diagnosi!).
In ciascuna sede ci sono delle peculiarità:
Tumori del colon prossimale (destra):
o lume ampio e contenuto liquido
o tendono a svilupparsi come masse polipoidi esofitiche (tumore vegetante)
o raramente causano occlusione
Tumori del colon distale (sinistra):
o lume ristretto e contenuto solido
o tendono a svilupparsi come lesioni a crescita circonferenziale anulare (tumore anulare-
infiltrante)
o producono stenosi e restringimento del lume, fino a quadri di occlusione
Tumori del retto:
o lume ampio e apparato sfinteriale
o si sviluppa un tumore vegetante-ulcerato
Generalmente hanno una consistenza dura per la presenza di una forte reazione desmoplastica stromale,
indotta dalla forte invasività delle cellule tumorali.

Microscopica
Da un punto di vista microscopico, dobbiamo considerare che quasi tutti i tumori del colon-retto sono tumori
epiteliali. La stragrande maggioranza è costituita da adenocarcinomi: questo è naturale, pensando alla
derivazione dall epitelio colico ricco di ghiandole.
Distinguiamo vari sottotipi:
Adenocarcinoma propriamente detto;
Adenocarcinoma MUCINOSO, molto aggressivo, caratterizzato da laghi di mucina che
occupano pi del 50% della superficie tissutale; a tale proposito si parla di scarsamente
differenziato perch ha un intrinseca maggiore aggressivit (molto spesso dà embolizzazione
neoplastica, infiltrazione perineurale e alla diagnosi risulta già metastatico), anche se posso ancora
vagamente riconoscere la struttura ghiandolare. Sono molto spesso PET negativi poich l FDG non
riesce a raggiungere le cellule tumorali ricoperte da mucina.
Se comunque i laghi mucinosi prodotti dalle ghiandole occupano meno del 50% della superficie
neoplastica, si parla di adenoCa con aspetti mucinosi, il che costituisce un segnale per l oncologo,
di modo che la patologia venga trattata in modo specifico.
Adenocarcinoma a tipo “anello con castone (anche se si ritrova più facilmente a livello gastrico);
Carcinoma squamoso, che insorge tipicamente dall epitelio squamoso del canale anale;
Carcinoma adeno-squamoso, con aspetti misti squamosi e ghiandolari;
Carcinoma indifferenziato, in cui non si capisce cosa sia e da dove prenda origine .

Le caratteristiche macroscopiche generali sono uguali tra tumori del colon destro e sinistro, e la maggior
parte di questi tumori è costituito da:
cellule cilindriche alte (simili all'epitelio displastico degli adenomi)
nuclei ipercromatici allungati
tipica presenza di materiale necrotico nel lume ghiandolare
In alcune varianti poco differenziate si forma qualche ghiandola (è comunque prevalente la presenza di nidi
infiltranti cellulari).
Altre forme a prognosi infausta acquisicono la capacità di produrre tanta mucina (e si accumula nella parete
intestinale). Questi tumori possono anche essere costituiti da cellule ad anello con castone (simili a quelle
dello stomaco) o presentare caratteristiche della differenziazione neuroendocrina.

Ming ha distinto gli adenocarcinomi gastrici in due sottotipi, differenti per modalità di avanzamento
intraparietale del fronte neoplastico:
infiltrativo (fronte di avanzamento irregolare; associato a prognosi più sfavorevole);
espansivo (avanzamento su fronte unico; associato a prognosi più favorevole).
Adottata anche nella patologia neoplastica del colon-retto, la categorizzazione di Ming ha dimostrato valenza
prognostica (è lo stesso dello stomaco).

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Grading
I grado: ben differenziato (circa 20% dei casi). Quanto pi il tessuto neoplastico vicino all epitelio da
cui origina, tanto più il grading sarà basso: se ricorda moltissimo, o si discosta pochissimo, dalla struttura
base del colon, lo chiamiamo ben differenziato (ma è differente, se no non parleremmo di neoplasia).
II grado: moderatamente differenziato, che costituisce la maggioranza dei casi di CRC (60%), in cui le
cellule neoplastiche conservano ancora parzialmente una struttura di tipo ghiandolare.
III grado: scarsamente differenziato/anaplastico (20%). Non è più possibile riconoscere le strutture
ghiandolari. Per il sottotipo adc mucinoso, tuttavia, si parla di grado III anche se si può ancora intravedere la
struttura ghiandolare, data la prognosi molto sgradevole.

Clinica
Il paziente si può presentare con:
Dolori addominali;
Calo ponderale significativo e inspiegabile;
Sanguinamento (specie in caso di tumore del colon sinistro);
Alterazioni dell alvo;
Occlusione o sublocclusione intestinale (specie in caso di tumore del colon sinistro; può essere il
primo sintomo);
Massa addominale palpabile (se il fisico è longilineo);
Esplorazione rettale positiva se si tratta di un carcinoma del retto, al di sopra della linea pettinata.
Il CRC si può presentare come urgenza/emergenza chirurgica per occlusione (15%) e/o perforazione (2-3%).

La sintomatologia varia a seconda della sede.


Il colon destro ha calibro ampio e contenuto fluido (e un eventuale sanguinamento potrebbe non
essere facilmente riconoscibile). Le forme tipiche sono vegetanti o ulcerate.
La neoplasia può quindi crescere a lungo senza dare segni di sé ed essere scoperta solo in fase
avanzata, a meno di screening di ricerca del sangue occulto nelle feci o ritrovamento casuale di
anemia sideropenica, a cui segue approfondimento diagnostico con colonscopia.
Ci possono essere
o astenia e debolezza
o anemia sideropenica (che causa l'astenia e la debolezza e porta a fare la colonscopia)
o sangue occulto nelle feci
o alterazioni dell'alvo, dolore addominale e presenza di massa palpabile ma si tratta di un
tumore che ha raggiunto un diametro che si spera non raggiungano mai! Il dolore dipende
dal grado di infiltrazione della parete
Il colon sinistro ha calibro minore e contenuto solido. La forma tipica qui ritrovata è quella anulare-
stenosante o ulcerata, piuttosto che masse vegetanti.
Segni classici saranno quindi
o sangue occulto nelle feci fino a quadri di enterorragia ed ematochezia
o alterazioni dell'alvo con stipsi e diarrea (alvo alternante)
o crampi/dolore a livello della fossa iliaca sinistra
o occlusione e distensione addominale e massa palpabile
Il retto ha, di nuovo, un lume ampio. Le forme qui presenti sono spesso di tipo vegetante e ulcerato.
La presentazione, qui, è più immediata: tenesmo rettale (uno dei primi sintomi! È una contrazione
dolorosa dello sfintere anale), dolore perianale da infiltrazione dello sfintere, ematochezia,
rettorragia, mucorrea, esplorazione rettale positiva.

Modalità di diffusione
Localmente,
o per continuità: all interno del viscere inizialmente interessato, eventualmente
interessando più tratti del colon stesso.
o per contiguità: infiltra il grasso pericolico o perirettale e le strutture vicine, come gli
organi pelvici, la fascia del Waldeyer, il sacro o il coccige, la vescica, la prostata... Per
es. un carcinoma del sigma può infiltrare la parete vescicale o vaginale.

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Disseminazione esfoliativa: carcinomatosi peritoneale (rara). Si associa ad ascite, insorge in
fase molto avanzata.
Alla colectomia seguono biopsie di noduli peritoneali e esame istologico estemporaneo, perchè
questi noduli possono essere tumorali o semplicemente infiammatori.
Il peritoneo pu essere sede metastatica. In caso di carcinomatosi estesa, l intervento chirurgico
di colectomia non può portare a ripulire totalmente il campo operatorio dalla neoplasia, perché
questi noduli sono troppi per poter essere tolti uno per uno.
Metastasi per via linfatica ai linfonodi locoregionali, ossia paracolici e dei vasi colici, nonché
paraortici. Nel carcinoma del retto può essere seguita una via prossimale, con metastasi tramite
la mesenterica inferiore, una via laterale con metastatizzazione al mesoretto e alle catene
linfonodali delle iliache interne e una via distale, che interessa i linfonodi circumanali e delle
fosse ischiorettali.
Metastasi per via ematica, prevalentemente al fegato (12-48% a seconda delle casistiche), al
polmone (10%), ma anche a surrene (14%), rene (6,6%), ossa (7%), ovaio (18,2%) e cervello
(8,3%).
Metastasi per via transcelomatica. In questo casa è rara (il caso tipico è il tumore di
Krukenberg dell ovaio, anche se meno frequente rispetto ai primitivi gastrici).

Nel carcinoma del retto la diffusione interessa il mesoretto, i linfonodi iliaci interni, i linfonodi perianali e le
strutture della fossa ischio-rettale.

Diagnosi
Esame obiettivo: esplorazione rettale positiva (se è un carcinoma del retto, che corrisponde a circa il
40% dei casi); si fa in caso di comparsa di rettorragia o sintomi caratteristici
Radiologia: veniva usato il clisma opaco a doppio contrasto;
o sensibilità = 85%
o Definizione morfologica, maggiore compliance del paziente, facile esplorazione colon destro ed a
monte di stenosi
Ora il gold standard per la diagnosi è la colonscopia, che ha una sensibilità del 95%: in pratica, è sempre
diagnostica a eccezione di un ostruzione intestinale. Permette inoltre di effettuare biopsie e polipectomie.
Unico problema il fatto che invasiva e un po operatore- dipendente.
Colonscopia virtuale (colon TC)

Quando facciamo diagnosi, cosa vuole sapere l oncologo?


Tipo istologico: se è un ADC/squamoso e che sottotipo di ADC è (se è mucinoso cambia la terapia);
Grading;
Livello di infiltrazione (la T del TNM);
Il buddiing tumorale, ossia se singole cellule prendono la via dell infiltrazione tumorale
Importantissimo dire se c invasione VASCOLARE (e perineurale) o no. La presenza di un embolo
neoplastico suggestiva di un inizio di un processo metastatico a distanza; l unica speranza riuscire a
ripulirlo con la chemioterapia.

Stadiazione
Ci si avvale di sistemi quali:
TC addome per valutare estensione locale e eventuale diffusione agli organi addominali;
Rx torace per valutare se sono presenti masse polmonari;
Eventualmente RMN;
Ecografia dell addome;
Eco endoscopia;
Laparoscopia di stadiazione: il chirurgo la pratica per testare l operabilit del tumore, se le immagini
TC non sono chiare.

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Terapia
Chirurgia: solo i casi operabili (M0)
Chemio- o radioterapia: può trattarsi di terapia
o adiuvante, postoperatoria, per ripulire il corpo da eventuali cellule tumorali disseminate in
casa di metastasi non evidenti o in prima linea nel caso di tumore metastatico;
o neoadiuvante, pre-operatoria, in caso di tumore localmente avanzato serve per ridurre la
massa tumorale prima dell intervento; pu essere anche importante per ridurre le recidive
locali o conservare gli sfinteri (nel caso del ca. del retto si deve operare fino allo sfintere).
La radioterapia neoadiuvante nel caso del carcinoma del retto può avere risultati eccezionali,
con scomparsa della massa tumorale e, in seguito alla resezione, reperto di sola fibrosi senza
più cellule tumorali. Si fa in caso di tumore localmente avanzato, ovvero in presenza di
carcinosi peritoneale, aderenze con visceri vicini,
Si può anche portare il chemioterapico mediante cateterismo arterioso selettivo.

Stadiazione TNM
T: estensione locale
Tx: tumore primitivo non definito;
T0: non segni di tumore primitivo;
Tis: carcinoma in situ, che non ha superato la membrana basale;
T1: invasione della sottomucosa;
T2: invasione della muscolare propria;
T3: il tumore attraversa la muscolare e arriva fino alla sottosierosa o ai tessuti pericolici/ perirettali;
T4: perforazione del peritoneo viscerale o invasione di altri organi contigui (anse intestinali,
vescica).
N: interessamento linfonodale
Nx: quando i linfonodi regionali non possono essere definiti, ossia quando il chirurgo ha resecato
poco grasso pericolico e non possiamo isolare i linfonodi;
N0: assenza di linfonodi regionali positivi (di solito vengono prelevati almeno 13 linfonodi);
N1: da 1 a 3 linfonodi regionali metastatici;
o N1a: 1 linfonodo regionale;
o N1b: 2-3 linfonodi regionali;
o N1c: depositi tumorali nella sottosierosa senza metastasi ai linfonodi regionali (ovvero non è
riconoscibile la struttura linfonodale, ma nel grasso pericolico ritroviamo tanti satelliti della
malattia che sono verosimilmente LFN colonizzati e che sono stati completamente sostituiti)
N2: almeno 4 linfonodi regionali (che sono quelli pericolici e perirettali, dell arteria ileocolica,
colica dx, colica media o colica sx, mesenterica inferiore e della emorroidaria superiore) positivi;
o N2a: 4-6;
o N2b: almeno 7.
M: metastasi
Mx: metastasi non accertabili;
M0: metastasi assenti;
M1: metastasi presenti.
difficile che l anatomopatologo possa repertarlo da solo, a meno di una notizia clinica, o della resezione,
contemporaneamente alla colectomia, dei segmenti epatici interessati dalle metastasi. Riguarda quindi di più
i clinici.

Prognosi
Sopravvivenza a 5 anni
STADIO I = 88%
STADIO II = 73%
STADIO III = 45%
STADIO IV = 4%

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Concetti riassuntivi: Tumori del colon-retto
-classificazione WHO-
Tumori epiteliali maligni Tumori non epiteliali maligni
Adenocarcinoma GIST
Adenocarcinoma mucinoso Leiomiosarcoma (e leiomioma)
Adenocarcinoma con cellule ad anello con castone Lipoma
Carcinoma midollare Sarcoma di Kaposi
Carcinoma adenosquamoso Angiosarcoma
Carcinoma squamoso Melanoma maligno
Carcinoma a piccole cellule Linfoma maligni
Carcinoma indifferenziato Linfoma marginale
Carcinoide Linfoma mantellare
Carcinoide misto a carcinoma Linfoma a grandi cellule B
Linfoma di Burkitt
Linfoma Burkitt-like o atypical Burkitt-like
Classificazione genotipica dei tumori del colon secondo il Consensus Molecular Subtypes (CMS)
Questa classificazione, proposta nel 2015 su Nature Medicine non trova ancora applicazione nella clinica, ma nasce
dall e idenza che tumori del colon destro e colon sinistro presentano prognosi molto diverse, così come diverse
risposte alla terapia, sulla base, presumibilmente, di peculiarità del loro genotipo. Queste caratteristiche hanno
portato alla proposta di quattro diversi sottogruppi.
CMS-1 (MSI immune) CMS-2 (canonico) CMS-3 (metabolico) CMS-4 (mesenchimale)
Quasi tutti nel colon Quasi tutti nel colon Distribuzione uniforme Distribuzione uniforme
destro; rari nel retto. sinistro; 20% nel retto colon dx e sx; 20% retto colon dx e sx; 20% retto
MSI-high, ipermutato SCNA high MSI-high o low, SCNA high
CIMP high SCNA low, CIMP low
BRAF mutato KRAS mutato
Infiltrato immunitario WNT e MYC attivati Metabolismo alterato Attivazione TGF-beta,
reazione stromale e tanta
angiogenesi
OS poco sotto CMS-2, ma Migliore OS e PFS. OS poco sotto CMS-2 Peggiore OS, scarsa PFS.
scarsa PFS RFS simile a peggiore PFS. RFS peggiore
RFS simile a CMS-2 CMS-1 e CMS-3 RFS simile a CMS-2
I tumori del colon sx in generale hanno prognosi migliore perché è massima la presenza di CMS-2, che ha la
prognosi migliore: migliore OS e migliore RFS, mentre PFS è come CMS-1 e CMS-2.
I tumori del colon dx in generale hanno prognosi peggiore perché è massima la presenza di CMS-1, che hanno
una OS lievemente più bassa di CMS-2 (massimo a sinistra), ma soprattutto RFS scarsa, mentre la PFS è simile
a CMS-2.
Alcuni tumori che presentano prognosi molto povera sono probabilmente i CMS-4, che hanno bassa OS,
bassa PFS e bassa RFS.
Alcuni tumori ci mettono n po a progredire come CMS-1 e CMS-2), ma dopo la progressione hanno una
bassa sopravvivenza. Sono i CMS-3, che hanno una PFS in linea con CMS-1 e CMS-2, ma hanno una bassa RFS.
Perché CMS-1 e CMS-3 decadono così rapidamente dopo la progressione? Forse perché hanno uno stato mutazionale
sfavorevole (vedi BRAF e KRAS mutato che impedisce l’impiego, nemmeno in seconda linea, di un anti-EGFR (magari in
prima linea hanno potuto prendere un anti-VEGF), che limita le opzioni terapeutiche. Notare anche la presenza di MSI-
H che incrementa la possibilità di aumentare le mutazioni.
Stadiazione TNM
T N M
Stadio I 1: lam propria o sottomucosa 0 0
2: muscolare 0 0
Stadio II 3: sottosierosa o pericolon/retto 0 0
4: organi o peritoneo 0 0
Stadio III Qualunque 1: 1-3 lfn 0
Qualunque 2: 5-7 lfn 0
Stadio IV Qualunque Qualunque 1

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TUMORI NON EPITELIALI DEL COLON
1) Benigni:
Angiomi: proliferazioni di vasi sostenute da tessuto fibroso
Leiomiomi: origina dalle cell. Muscolari lisce
Lipomi: origina dagli adipociti
Schwannoma-neurofibroma: origina dalle cellule che rivestono le guaine nervose.
2) Maligni
Leiomiosarcoma
Sarcomi neurogenici
Melanoma
Linfoma (MALT)
3) GIST (Gastro Intestinal Stromal Tumor): tumore localizzato nel tratto GI di tipo mesenchimale
4) Tumori endocrini.

G.I.S.T.

Il termine G.I.S.T. è stato introdotto nel 1983 da Mazur e Clark ed è acronimo di Gastro Intestinal
Stromal Tumor. La maggior parte dei tumori del tratto gastro-enterico sono epiteliali. Solo il 5% circa
sono mesenchimali, come appunto i GIST, localizzati prevalentemente a livello gastrico.
I GIST esprimono uno specifico antigene di superficie, il CD117 (recettore c-Kit). Esso è necessario
per poter fare la diagnosi (immunoistochimica); non è presente nelle neoplasie neuronali e muscolari pur
avendo in comune elementi cellulari neuronali e muscolari.

Epidemiologia
I GIST sono tumori dell'anziano (solitamente oltre i 60 anni di età). La presenza di GIST nei bambini e
nei giovani è associata ad alcune condizioni quali:
Triade di Carney: sindrome NON ereditaria caratterizzata da GIST gastrico, paraganglioma e
condroma polmonare
Neurofibromatosi 1

Patogenesi
a) Un'alta percentuale di GIST (95%) presenta
mutazioni con acquisizione di funzione del gene
del recettore tirosin-kinasico c-Kit, recettore
dello stem cell factor (SCF)
KIT una proteina transmembrana: localizzata a cavallo
della membrana cellulare con un dominio extracellulare e
uno intracellulare o citoplasmatico. Il fattore di crescita
SCF (ligando di KIT) lega due recettori
contemporaneamente e provoca l'attivazione dei recettori
KIT appaiati mediante "fosforilazione delle porzioni
intracellulari.

b) Una piccola percentuale (5-10%) invece presenta mutazioni di un recettore tirosin-kinasico simile, il
PDGFRA (recettore per il fattore di crescita piastrinico ).

Questi recettori producono segnali intracellulari in grado di attivare le vie RAS e PI3K/AKT,
promuovendo così la proliferazione e la sopravvivenza cellulare. E' interessante notare come, mentre
nei GIST sporadici queste mutazioni sono sempre mutuamente esclusive, nei GIST familiari si trovano
insieme.

c) GIST Wild-Type: non hanno mutazioni attivanti nei geni KIT o PDGFRA. Il meccanismo che fa
scattare la loro crescita non stato ancora identificato. Sono circa il 10% - 15; man mano che la ricerca
va avanti, questo gruppo sar probabilmente suddiviso in pi sottogruppi con anomalie genetiche che

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non sono state ancora identificate. Un piccolo numero di questi casi sono gi identificati per avere
mutazioni nell oncogene BRAF.

La cellula di origine di questi tumori è la cellula interstiziale del Cajal. Questo tipo di cellule si trova
nella tonaca muscolare e svolge funzione di pacemaker per la peristalsi intestinale.
L espressione di CD117 indispensabile per la formazione di questa neoplasia.
Poiché sono simili, seppur differenti, ai leiomiomi e agli Schwannomi, si definiscono "tumori intermedi". Ci
sono infatti alcune differenze che ci permettono di distinguere i GIST da questi altri due tumori:
Leiomiomi: non presentano mitosi, se non raramente; i GIST, anche di basso grado, invece
presentano un sempre un certo numero di mitosi.
Schwannomi: esprimono una serie di marcatori "neuronali", laddove i GIST invece ne hanno solo
alcuni.

Anatomia patologica
La localizzazione di questi tumori è particolare:
il 60-70% sono localizzati nello stomaco
il 20-30% nel tenue
e in < del 10% dei casi nel colon-retto e nell'esofago.
Ci sono poi dei GIST a localizzazione extra-intestinale (detti "extra-GIST"). Rappresentano solo il 7%
di tutti i GIST, e di questi 1'80% si trova al livello dell'omento o del mesentere, mentre il restante 20%
al livello retroperitoneale. Le neoplasie retroperitoneali mesenchimali più frequenti sono però altre,
come quelle liposarcoma-like.

Dal punto di vista macroscopico hanno la peculiarità di crescere (solitamente) nella sottomucosa degli
organi in cui si sviluppano come una sostanza biancastra a fasci intrecciati. La mucosa risulta spesso
ulcerata dalla presenza della neoplasia sottostante che cresce.
Già dall'aspetto macroscopico s'intuisce che è una neoplasia mesenchimale per alcune caratteristiche:
di solito è delimitato da una capsula
ha consistenza duro-lignea
si presenta a fasci intrecciati
Al contrario i tumori gastrici epiteliali hanno aspetto duro e compatto, margini irregolari e si approfondano
nei tessuti e negli organi
circostanti.
L'espansione del tumore
può essere:
sottomucosa
intramuscolare
sottosierosa
a tutto spessore

Dal punto di vista


microscopico i GIST si
caratterizzano per la
presenza di cellule:
Fusate: nel 70% dei casi
Epitelioidi: nel 20% dei casi
Mista: nel 10% dei casi
Le cellule fusiformi sono più caratteristiche
dei sarcomi, per cui quando questa
popolazione cellulare è molto abbondante si
propende per la diagnosi di sarcoma.
Si possono ritrovare all interno delle
formazioni cistiche. L'aspetto istologico è
importante per definire la malignità della
neoplasia e quindi la prognosi.

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Gli indici di malignità tenuti in considerazione per i GIST sono:
1) Indice Mitotico: si contano le mitosi in 50 campi a 40x e poi si fa la somma
2) Dimensioni
3) Profondità di Invasione
4) Presenza o Assenza di Metastasi (veramente rara al 1° riscontro della neoplasia; molto
probabile nel corso del tempo nei GIST ad Alto Grado di Malignità).
5) l'eventuale presenza di p53 e p16 mutate, che forniscono un ulteriore indice di malignità.
P53 è un marker predittivo di malignità nei GIST. La sua espressione è inoltre correlata alla differenziazione
epitelioide. L espressione di p53 correla con altri indicatori prognostici quali:
Indice mitotico
Dimensione del tumore
Atipie nucleari
Attività proliferativa.

In base a questi fattori si definiscono tre categorie di rischio.


Rischio basso: si può considerare pressoché benigna
o Dimensioni (Ø) <2cm
o Conta mitotica < 5 mitosi su 50 HPF (campi ad alto ingrandimento o High Power Field)
Rischio intermedio
o Dimensioni (Ø) = 2-5 cm
o Conta mitotica < 5 mitosi su 50 HPF
Rischio alto:
o Dimensioni (Ø) > 5 cm
o Conta mitotica > 5 mitosi su 50 HPF
o Tra l'altro hanno anche atipie marcate e un'attività proliferativa abbondante (Ki67 =
20-30%). Queste sono quelle che metastatizzano con più facilità (più sono grosse e
più è facile trovarvi un'invasione vascolare, con rischio di metastasi nel tempo).

Criterio di Mitettinen per la stratificazione del rischio di progressione

Indice mitotico Dimensioni Stomaco Piccolo intestino


< 5 mitosi per campo ad < 2 cm (T1) Nessuno Nessuno
alto ingrandimento (G1) 2-5 cm (T2) Basso (2%) Basso (4%)
5-10 cm (T3) Basso (4%) Moderato (25%)
> 10 cm (T4) Moderato (10%) Alto (50%)
> 5 mitosi per campo ad < 2 cm (T1) Pochi casi in letteratura Pochi casi in letteratura
alto ingrandimento (G2) 2-5 cm (T2) Moderato (16%) Alto (75%)
5-10 cm (T3) Alto (50%) Alto (85%)
> 10 cm (T4) Alto (85%) Alto (90%)

Stomaco T N M G Piccolo T N M G
intestino
Stadio I 1-2-3 0 0 1 Stadio I 1-2 0 0 1
Stadio II 1-2 0 0 2 Stadio II 3 0 0 1
4 0 0 1
Stadio III 3-4 0 0 2 Stadio III 4 0 0 1
1-2-3 0 0 2
- 1 0 - - 1 0 -
Stadio IV Stadio IV
- - 1 - - - 1 -

Si nota che i GIST del piccolo intestino tendo a essere più maligni: non è un caso che i T1-T2 G2 e i T4 G2 per
lo stomaco sono uno stadio II, mentre i T1-T2 G2 e i T4 G2 sono per il piccolo intestino un stadio III

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Questo è utile per decidere la
terapia:
Nei tumori a basso o
bassissimo rischio, non si fa
terapia aggiuntiva dopo la
chirurgia
In quelli a rischio intermedio
si valuta caso per caso
In quelli ad alto rischio invece
si deve sempre fare la terapia
aggiuntiva.
Oggi con la chirurgia e le attuali
terapie oncologiche la maggior
parte dei GIST sono comunque
ben trattabili.

NOTA: la presenza di CD 117 è


indispensabile per fare la diagnosi.

Diagnosi differenziale anatomopatologica


La morfologia microscopica dei GIST somiglia ad altre neoplasie (come abbiamo detto prima sono
intermedie tra le cellule muscolari lisce e le cellule di Schwann).
In particolare è la morfologia epitelioide che ci pone diversi quesiti differenziali:
Con le neoplasie neuroendocrine: che però presentano marker di positività neuroendocrini quali la
cromogranina, la sinaptofisina e il CD56 (entra in ddx perché a volte nel GIST si vedono cellule con
citoplasma ampio e granuleggiante)
Con l'adenocarcinoma gastrico: che però esprime la citocheratina 7
Con il leiomioma ad aspetto epitelioide: che tuttavia ha rare mitosi e CD 117 sempre negativo;
inoltre il leiomioma ha positivi marker muscolari quali l'actina e la desmina (a volte nel GIST si trovano
cellule epitelioidi)
Con il leiomiosarcoma: che però ha dimensioni in genere più grandi (30-40cm), un indice mitotico
molto elevato (50-60 per HPF), marker muscolari positivi (actina, desmina e vimentina)
Infine, esiste un pattern microscopico, detto "a palizzata" poiché le cellule fusiformi si dispongono
appunto una sopra l'altra a formare palizzate, che somiglia molto allo Schwannoma da cui può non
essere facile distinguerlo [nel preparato estemporaneo non è possibile distinguerli, pertanto la diagnosi
a.p. può essere fatta solo successivamente con le colorazioni immunoistochimiche specifiche].

Clinica
Il 30% di essi si comporta in maniera maligna. L'esordio clinico è multiforme, solitamente legato a:
disturbi di ingombro/ compressione
sanguinamento per rottura dei capillari e ulcerazione della mucosa degli organi colpiti (se la crescita nella
sotto-mucosa di questi organi raggiunge una certa entità)

Terapia
La presenza di terapie farmacologiche mirate anti-tyr-k (imatinib, sunitinib) è stata una grossa applicazione
terapeutica per i casi in cui la resezione chirurgica non sia sufficiente. Tuttavia la neoplasia sviluppa spesso
resistenza.

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TUMORI NEURO-ENDOCRINI

Sistema neuroendocrino: fanno parte di questo sistema le cellule di origine neuroectodermica


(creste neurali) o endodermica (recen i ipo esi s ggeriscono n origine dal seno endodermico) capaci
di sintetizzare, immagazzinare e secernere mediatori biologici e/o i loro precursori con modalità
endocrina, paracrina e autocrina, nonché neurotrasmettitori ed enzimi di tipo neuronale .
In maniera schematica il sistema neuroendocrino (NE) può essere diviso in:
Sistema neuroendocrino confinato ("organoide"): formato da "organi" propriamente endocrini
(ipofisi, paratiroidi, midollare del surrene, gangli del SNA, tiroide, ipotalamo, paragangli, glomo
carotideo, epifisi)
Sistema neuroendocrino diffuso (SED): costituito da cellule distribuite all'interno di vari organi
(sistema gastro-entero-pancreatico, apparato respiratorio, rene, cute...)
U e e c e e a ce a e e a def APUD (a e ec a ea d
decarboxilation), per la riconosciuta proprietà di queste cellule a captare e decarbossilare i
precursori delle amine biogene (ad es. la serotonina).
Questa definizione è stata sostituita da quella di SED espressa sopra.

In linea generale le cellule neuroendocrine sono:


Ce e c e d c e a e , e d a , e e dc
Ce e c g a ec e c e e
Ce e e a a a si
Queste cellule hanno quindi caratteristiche particolari, che le pongono a metà strada tra le cellule
neuronali e quelle endocrine.
Avendo un'origine comune, queste cellule hanno caratteristiche comuni tra loro:
Nuclei monomorfi, regolari, con cromatina finemente dispersa
Citoplasma ampio, chiaro e granuloso
Si aggregano in piccoli clusters solidi o a sistemi trabecolari
A ea e a a e e e a (serve il ME, non basta il MO!):
Nuclei ben definiti
Struttura uniforme
Citoplasma chiaro ricco di neurofilamenti e di granuli citoplasmatici
[S d ce e e fe e, e ega , e be e da ede e .]
Dal punto di vista immunoistochimico esprimono molti marcatori peculiari, tra cui:
Enolasi neurospecifica (NSE) ⇒ citoplasmatica
Sinaptofisina
CD56 (NCAM) ⇒ glicoproteina transmembrana
Cromogranina A ⇒ proteina associata ai granuli secretori. Nei tumori NE poco differenziati i granuli
secretori vengono persi, pertanto la sua espressione può essere ridotta o assente; è quello che accade
ad esempio nel tumore polmonare a piccole cellule (emblema di scarsa differenziazione). Quindi
ricorda: nei tum NE cromogranina A = differenziazione.

Generalità sui tumori neuroendocrini


I tumori del SED possono essere classificati in base alla sede:
Foregut (tratto respiratorio, timo, stomaco, duodeno, pancreas)
Midgut (intestino, appendice, colon destro)
Hindgut (colon trasverso, sigma, retto)
Macroscopicamente, hanno solitamente piccole dimensioni (<4cm di diametro) e, a differenza dei GIST,
non sono ricoperti da mucosa dato che da questa originano.
Secondo la classificazione WHO questi tumori devono essere definiti in base a diversi punti:
Sede
Dimensioni
Popolazione cellulare di origine
Numero di mitosi (definiscono il grado del tumore, v. lezione NET)
Grado di differenziazione cellulare

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Indice proliferativo (Ki-67: colora le cellule in proliferazione, e differisce dal numero di mitosi,
poiché esso identifica le cellule che stanno proliferando, e non quelle che stavano facendo le mitosi
nel momento in cui è stato fissato il pezzo)
Invasione locale (angio- e neuro-invasione)
Presenza di metastasi
Dal punto di vista architetturale si può avere crescita:
Solida
Trabecolare
G a d a e: e a c e c ea be d d ag d ffe e a e c ade ca c a be
d ffe e a . T a a ee a e e e d c a IIC (c g a a, CD56,
sinaptofisina, enolasi neuro-specifica)
Il grading dei tumori neuroendocrini differisce a seconda del distretto preso in esame; come schema generale si
può prendere in considerazione quello che si applica a tumori neuroendocrini del tratto gastro-entero-
pancreatico, descritti in seguito.

TUMORI ENDOCRINI GASTROENTEROPANCREATICI


I tumori endocrini gastro-entero-pancreatici (GEP) sono tumori delle cellule del sistema endocrino diffuso.
Noi ci occuperemo delle cellule del sistema neuroendocrino diffuso, e in particolare di quelle del sistema
gastro-entero-pancreatico (GEP). Come esempio esplicativo di questo grande sistema prenderemo in
considerazione le cellule neuroendocrine del pancreas.
Al livello del pancreas le cellule neuroendocrine sono localizzate al livello delle isole di Langherans.
Nell'isola pancreatica troviamo:
Le cellule beta secernenti insulina,
maggiormente rappresentate
Le cellule alfa secernenti glucagone, meno
rappresentate e disposte perifericamente. Le cellule alfa
d g a c a a a e
aa e de a.
Le cellule delta, secernenti somatostatina
Le cellule PP secernenti il polipeptide
pancreatico
Le cellule beta e alfa
costituiscono la maggior parte
delle cellule delle isole, ma ci
sono diversi altri citotipi minori.
Le popolazioni si possono
evidenziare con colorazioni
immunoistochimiche.
Le caratteristiche delle neoplasie
del pancreas endocrino sono
applicabili alle neoplasie di tutto
il digerente (neoplasie
neuroendocrine del tratto gastro-entero-pancreatico): sono classificate allo stesso modo e riconoscono indici
prognostici comuni.

Caratteristiche generali dei tumori neuroendocrini


L'insorgenza può essere a livello di qualsiasi organo che contiene cellule neuroendocrine; ma il
60% si trova al livello GEP (++ pancreas e tenue) ed il 25% nel polmone
Possono essere multipli, sincroni o metacroni (ovvero si sviluppa un secondo tumore
primitivo a distanza di tempo dal primo)
Hanno un comportamento biologico assai variabile, ma come vedremo sono da considerare a
tutti gli effetti neoplasie potenzialmente maligne. Anche lesioni sub centimetriche, pur
indolenti e a lenta crescita, possono dare metastasi e comportarsi come degli adenocarcinomi
(prognosi piuttosto sfavorevole)

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II 20% dei tumori neuroendocrini rientra all'interno di un quadro sindromico (MEN, sclerosi
tuberosa, VHL; v. dopo). In genere la prognosi è migliore perché la diagnosi è precoce.
Spesso sono le metastasi a dare le prime manifestazioni cliniche: il tumore si sviluppa in maniera
silente, ha una lenta crescita; la diagnosi si fa indagando la manifestazione della metastasi (es.
nodulo epatico biopsia tumore neuroendocrino ricerca del tumore primitivo).

Tumori NE del pancreas


Rari: 5 casi/1 milione di individui/anno
Prevalgono nel sesso femminile, intorno ai 30-40 anni
Possono essere funzionanti oppure no (sindrome clinica)
Crescita lenta: mesi, anni

Caratteristiche biologiche
Fattori di rischio sconosciuti , ma diversi dall'adenocarcinoma duttale
o Geni e sindromi familiari associate con tumori NE del tratto GEP:
gene della menina (cr.11): associato alla MEN-1 (tumori GEP, iperplasia delle
paratiroidi e adenomi ipofisari)
gene VHL (cr.3): associato alla sindrome di Von Hippel-Lindau; si associa a
carcinoma renale a cellule chiare, feocromocitoma, emangioblastoma cerebrale
geni TSC1 e TSC2: associato al complesso della sclerosi tuberosa; si associa ad
altri tumori e ritardo di sviluppo psicosomatico
Crescita lenta
Possono essere funzionanti o non funzionanti.

I non funzionanti (15%) talvolta possono produrre ormoni, ma non vengono immessi in circolo
e non causano sintomatologia. Diventano evidenti più tardi, quando danno sintomi compressivi;
quando si scoprono hanno spesso dato metastasi. Oltre a ciò, il fatto che siano non funzionanti è
dovuto alla sdifferenziazione, per cui anche biologicamente sono più maligni. La crescita è
comunque indolente (sopravvivenza 50% a 5 anni).
Si presentano con dolori addominali, perdita di peso, ittero (se comprime la via biliare); Spesso
vengono scoperti come incidentalomi alla TC.
I funzionanti (85%) possono essere: insulinomi, gastrinomi, VIPomi, glucagonomi; questi di
solito si scoprono presto e sono più differenziati, quindi la prognosi è migliore. II quadro
clinico dipende dall'ormone secreto:
o Insulinoma (70%): sindrome ipoglicemica (solo 10% maligno), multipli se associati alla
MEN1
o Gastrinoma (20%): sindrome di Zollinger-Ellison, con ulcere peptiche e duodenali
o VIPoma (2-8%): agendo sulla motilità e sul riassorbimento dell'acqua dà diarrea
acquosa fino a 5 L/die e ipokaliemia (sindrome di Verner- Morrison o WDHA)
o Glucagonoma (5%): lieve diabete, stomatite, rash cutanei migranti caratteristici, anemia,
perdita di peso (sindrome aspecifica)
o Somatostatinoma: dà una sindrome aspecifica con steatorrea, diabete, ipocloridia e
colelitiasi
Possono dare metastasi linfonodali ed epatiche => quando troviamo uno di questi tumori va
sempre considerato potenzialmente maligno. Spesso la diagnosi avviene con tumore già
metastatizzato, e se il fegato diviene funzionalmente compromesso (perde la sua funzione
catabolica) possono diventare molto evidenti le manifestazioni da sindrome da carcinoide.

Caratteristiche anatomo-patologiche
Crescita nodulare a margini ben definiti
Man mano che crescono possono comprimere o infiltrare i vasi e gli organi adiacenti
Esprimono marker di differenziazione neuroendocrina:
o Cromogranina
o Sinaptofisina

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o CD56
o Enolasi neurono-specifica
oltre all'ormone eventualmente prodotto, anche se non secreto (insulina, glucagone, ecc.)

Al ME si vedono i granuli
di secrezione caratteristici.
Al MO mostrano
cromatina finemente
dispersa, citoplasma chiaro
e scarse mitosi (nelle
forme più benigne). La
diagnosi si fa quindi con
ME o IIC.

Classificazione WHO dei tumori neuroendocrini (del tratto GEP)


WHO 1980
P a a a a c a f ca e WHO 1980 c e de f ca a c e carcinoidi

WHO 2000
Questa divideva i tumori in base alla loro prognosi:
Tumore endocrino ben differenziato: come una grande isola di Langerhans.
Carcinoma endocrino ben differenziato: acquisizione di atipie maligne.
Carcinoma endocrino poco differenziato: solo i marker immunoistochimici fanno riconoscere la
natura neuroendocrina. Può essere a piccole o grandi cellule.

WHO 2010
• NET G1: tumore endocrino di grado 1
o < 2 mitosi/10HPF e Ki-67 <2%
• NET G2: carcinoma endocrino di grado 2
o Mitosi 2-20/10HPF e Ki-67 3-20%
• NEC (G3): carcinoma endocrino di grado 3
o >20 mitosi/10HPF e Ki-67 >20%
Per contare le mitosi si devono vedere 10 campi ad alto ingrandimento.
I nuovi criteri classificativi considerano:
Differenziazione: somiglianza alla controparte NE normale (vale solo per i GEP)
Grado: aggressività biologica, stabilita da conta mitotica e Ki-67 index (il Ki-67 marca le cellule che
si trovano in tutti gli stadi del ciclo cellulare, eccetto il G0; c c da Ab M b-1)
Stadio: estensione locale e a distanza della malattia (TNM)
La diagnosi secondo questi criteri guida la scelta della terapia e aiuta a definire la prognosi. I tumori di alto
grado vanno trattati come se fossero ade ca c de a c ea , de ac
Si identificano anche forme miste NE e ADC: MANEC (se entrambe componenti >30%) o ADC con
differenziazione NE (se componente NE<30%).

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NET ben differenziati
Architettura organoide (nidi di cellule ravvicinate) o atteggiamento pseudo-papillare, aspetto
tubulare (confusi con adenocarcinoma classico), aspetto oncocitico, rabdoide ecc.
Monomorfismo cellulare
Scarse atipie citologiche
Basso indice mitotico
Colorazioni immunoistochimiche positive: cromogranina A, sinaptofisina, Ki-67 (marcati i nuclei
delle cellule che non sono in G0), insulina (o altri ormoni). Questi tumori possono esprimere diversi
tipi di ormone, ma se la sindrome clinica è iperinsulinemica si ce ca a (a e a,
forse perché il tumore produce e secerne immediatamente; la diagnosi è clinica, non
anatomopatologica).

I tumori G1 e G2 sono ben differenziati, ricordano molto le cellule di origine.


G1: prevalentemente indolenti
G2: moderatamente aggressivi, danno metastasi dopo tempo.

Nell'ambito dei tumori neuroendocrini i NET (G1 e G2) rappresentano la grande maggioranza (95%) dei
reperti. Solo una piccola minoranza si presenta sotto forma di carcinoma poco differenziato (che è anche molto
aggressivo).
Tuttavia alla diagnosi intraoperatoria, in cui non c'è molto tempo per fare le colorazioni, questi tumori
devono essere differenziati dai tumori del pancreas esocrino, e questo non è sempre facile (soprattutto
quando il NET forma dei nidi pseudoghiandolari, che assomigliano alle strutture esocrine).
Talvolta questi tumori possono infatti avere un aspetto tubulare e quindi mimare dal punto di vista morfologico
un carcinoma duttale. Tuttavia i marker NE stabiliranno in maniera inequivocabile che sono cellule
neuroendocrine.
La prognosi dipende sostanzialmente dall'invasione locale e dalla presenza di metastasi a distanza.
Quando detto finora può essere esteso ai tumori neuroendocrini del tratto GEP.

Caso clinico
Donna di 58 anni.
Riscontro occasionale di nodulo pancreatico, non funzionante.
Resezione della neoformazione di 2 cm.
La morfologia era caratteristica: cellule non atipiche, con cromatina
finemente disperse. Poche mitosi e positive alla cromogranina e al
glucagone (ma non erano in grado di secernerlo perché non c'era
sindrome clinica). Ki-67 basso. Si vedono focolai d'invasione
vascolare, per cui si prevede un comportamento verosimilmente
aggressivo.

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Diagnosi: tumore NE ben
differenziato G1. Stadio pT2, NO.

Concetti riassuntivi: Tumori neuroendocrini del pancreas - WHO 2017 -

Tumori neuroendocrini - più differenziati -


Ki67 Indice mitotico
G1 < 2% < 2 /10 HPF
G2 2-20% 2-20 / 10 HPF
G3a > 20% > 20 / HPF
Carcinomi neuroendocrini (G3b) - meno differenziati -
Grandi cellule > 20% > 20 / HPF
Piccole cellule > 20% > 20 / HPF
Mixed Neuroendocrine Non Neuroendocrin Neoplasm
(MiNEN)
Cosa cambia allora fra il G3a e i G3b? Il profilo immunoistochimico: anche se colorano allo stesso modo per
ki67, i G3b sono positivi per mutazioni di p53, SSTR2 e Rb, che sono presenti solo nei carcinomi
neuroendocrini, ma non nei tumori neuroendocrini.

Nel 2010 invece nel gruppo dei tumori neuroendocrini erano messi indistintamente tutti i G3a + G3b in un solo
G3. Questi tumori avevano però prognosi diversissime, da cui la necessità della riclassificazione, per cui ora
abbiamo i G3a non mutati nel gruppo dei tumori neuroendocrini e i G3b, a loro volta classificati in a piccole
cellule e a grandi cellule nel gruppo dei carcinomi neuroendocrini.

Rispetto al 2010 è cambiata anche la definizione MANEC (Mixed Adenocarcinoma Neuroendocrin Cancer) in
MiNEN (Mixed Neuroendocrine Non Neuroendocrin Neoplasm)

Stadiazione TNM

T1: massa intrapancreatica < 2 cm


T2: massa intrapancreatica > 2 cm
T3: invasione tessuto peripancreatico, senza invadere i grossi vasi o gli organi circostanti
T4: invasione organi circostanti e/o dei grossi vasi
T N M
Stadio I 1 0 0
2 0 0
Stadio II 3 0 0
1-2-3 1 0
Stadio III 4 0 0
Stadio IV Qualunque Qualunque 1

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PATOLOGIA DEL PANCREAS ESOCRINO
Il pancreas è un organo ghiandolare retroperitoneale, della lunghezza di 20 cm e del peso 80-90g. Il
pancreas si divide in:
Processo uncinato: inferiore, a contatto con il duodeno
Testa
Collo
Corpo
Coda
È importante conoscere questa distinzione visto che a seconda della localizzazione della patologia,
infatti, la clinica può essere diversa.
Parete anteriore e posteriore del processo uncinato sono in intimo contatto con vena ed arteria
c :c azione chirurgica complessa, ed è difficile ottenere R0 residuo
in caso di neoplasia.

E' costituito da una componente esocrina, prevalente, e da una endocrina (vedi NET).

La componente esocrina acinosa composta è fatta di acini che convogliano il secreto nei dotti (vedremo
che il 70% dei carcinomi origina proprio da questi). Il sistema duttale culmina nel dotto pancreatico
principale di Wirsung, il quale si anastomizza nella maggior parte dei casi con il coledoco formando
l'ampolla di Vater, e nel dotto pancreatico accessorio (o di Santorini, che sbocca poco più in alto).
Il pancreas esocrino è formato da cellule acinari, che producono gli enzimi necessari alla digestione, e
dai dotti che convogliano le secrezioni al duodeno. Le cellule acinari sono cellule di forma piramidale
che si orientano in maniera radiale rispetto ad un lume centrale; esse contengono i granuli di zimogeno
rivestiti da membrana, contenenti gli enzimi digestivi.

PATOLOGIA NEOPLASTICA

Classificazione delle neoplasie del pancreas esocrino


Dal punto di vista pratico e informale è utile classificare lesioni pancreatiche in due tipi:
Cistiche: possono essere benigne, borderline, o maligne
Solide: praticamente sempre maligne.
I tumori maligni possono andare incontro a fenomeni degenerativi e tossici per cui si cavitano e
colliquano assumendo aspetti cistici.

Classificazione dei tumori del pancreas esocrino (WHO)


1. Benigni
a. Cistoadenoma sieroso c. Neoplasia mucinosa papillare intraduttale
b. Cistoadenoma mucinoso (IPMN)
d. Teratoma maturo
2. Borderline: di incerto potenziale maligno
a. Tumore mucinoso cistico a displasia moderata
b. Neoplasia mucinosa papillare intraduttale (IPMN) a displasia moderata
c. Tumore solido pseudopapillare (caratteristico di femmine giovani, buona prognosi)
Di questi non si conosce con esattezza il potenziale maligno; le caratteristiche istologiche non
consentono di prevederne la benignità o malignità, e si rende pertanto necessario osservare il
paziente nel tempo.
3. Maligni
a. Adenocarcinoma duttale e sue varianti

i. Mucinoso non cistico iii. Adenosquamoso


ii. Con cellule ad anello iv. Anaplastico
castone v. Misto duttale-endocrino

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b. Tumore a cellule giganti simil osteoclastiche
c. Cistoadenocarcinoma sieroso (1 solo caso descritto)
d. Cistoadenocarcinoma mucinoso
e. Carcinoma mucinoso papillare intraduttale (da IPMN)
f. Carcinoma a cellule duttali
g. Pancreatoblastoma
h. Carcinoma solido pseudopapillare

Vediamo adesso le neoplasie cistiche. Successivamente, tra le neoplasie solide, vedremo solo
l'adenocarcinoma.

Neoplasie cistiche
Prima di prendere in considerazione le neoplasie cistiche dobbiamo definire le pseudocisti: queste, al
contrario delle cisti vere e proprie, NON hanno un epitelio di rivestimento. Esse infatti non derivano da
una proliferazione cellulare inappropriata, bensì dal drenaggio di aree di steatonecrosi emorragica
peripancreatica, e sono rivestite da fibrina e tessuto di granulazione che si organizzeranno poi in tessuto
fibroso.
Le neoplasie cistiche costituiscono meno del 5% di tutti i tumori pancreatici.
Alcune sono sempre benigne, come i tumori cistici sierosi (a sinistra),
altre, come i tumori cistici mucinosi, possono essere benigni o maligni (a destra).

Tumore cistico sieroso


1-2% dei tumori esocrini. E' quasi sempre localizzato nel corpo-coda. È benigno, non ne è stata descritta
zione maligna.
Sono più frequenti nel sesso femminile (2X), e colpiscono l'età medio-avanzata (>60anni).
Può raggiungere dimensioni ragguardevoli (1-25 cm) perché nel corpo-coda (regione in cui quasi sempre
si localizza) non si trovano strutture la cui compressione possa dare una sintomatologia rilevante (a
differenza della testa, che contenendo il coledoco può andare a comprimerlo in caso di neoplasia).
E' un tumore formato da tante piccole (1-3mm) cisti a contenuto sieroso, formate da cellule cuboidali
prive di atipie e con tralci fibrosi all'interno. Tali cellule sono ricche in glicogeno, evidenziabile con
colorazioni tipiche. Quando si incide la neoplasia ne esce un liquido sieroso, chiaro, trasparente.
Esistono anche delle varianti oligocistiche, che causano problemi nella ddx radiologica fra tumore cistico
c : a a a c c a a ca, c c
evolvere verso forme maligne.

Si possono manifestare clinicamente con sintomi aspecifici come il dolore addominale.

Tumore cistico mucinoso


Prevalente nel sesso femminile, colpisce in età media (intorno ai 40-50 anni).
Anche questo nella maggioranza (2/3) dei casi si localizza nel corpo-coda, ha dimensioni variabili fra 2 e
35 cm.

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E' una cisti unica rivestita da un epitelio mucoso (cellule alte con citoplasma ampio pieno di muco; lo
stroma sottostante è molto denso e somiglia a quello del cistoadenoma dell'ovaio, con anche ER+ e PGR+:
a a a a a c IPMN) a c c oso.

Poiché può essere benigno, borderline o maligno (cistoadenocarcinoma mucinoso), necessita di escissione
e di esame istologico. Interessante notare che circa un terzo delle neoplasie cistiche mucinose rimosse
tramite chirurgia contiene al suo interno cellule di adenocarcinoma mucinoso (la controparte maligna). Se
si descrive displasia di altro grado è già Ca in situ.

Neoplasia mucinosa papillare intraduttale (IPMN)


Sono tumori intraduttali muco-secernenti. Al contrario dei due precedenti è prevalente nel sesso maschile
(età >60 anni) e si localizza di solito alla testa.

Dal punto di vista anatomopatologico si distingue dal tumore cistico mucinoso in quanto:
Interessa i grandi dotti pancreatici (il Wirsung o i dotti secondari che fanno capo ad esso),
mentre il tumore cistico mucinoso NON interessa i dotti;
o Spremendo la cisti, se esce muco dalla papilla di Vater è una IPMN (il tumore secerne nel
dotto di Wirsung)
o In caso contrario, è un cistoadenoma mucinoso (non comunica con i dotti)
Manca dello stroma denso ("ovarico") sottoepiteliale

Il dotto di Wirsung normalmente ha un diametro di 2-3mm. L'IPMN può dilatare il dotto di Wirsung fino a
1-8 cm perché al suo interno crescono le neoformazioni simil papillari vegetanti (visibili già alla TC con
MdC).
Le cellule papillari tumorali inoltre producono abbondante muco, e in alcuni casi il muco può essere così
abbondante da giungere alla papilla di Vater (reperto che può vedere l'endoscopista).

Può essere benigno, borderline, o maligno.

Classificazione
Del dotto di Wirsung (duct type)
Dei dotti più piccoli (branch type): forma meno aggressiva, si può attendere fino a certi valori di
crescita prima di operare. Sono grosse cisti che rappresentano dilatazioni di dotti secondari.
Di tutti i dotti (branch-duct type): pancreas trasformato in un organo multicistico molto ingrandito e
a (ca a c a a c , a a a ab a
adenocarcinoma infiltrante)
Dato che il Wirsung è dilatato e pieno di muco, a livello della papilla di Vater (dove il Wirsung e il
c b cca ) c c c c
pancreas.
L c
Gastrico: tendenza alla cancerizzazione minore rispetto agli altri tipi; le tecniche di eco-endoscopia
stanno cercando di campionare queste lesioni cistiche in EGDS, in modo da adattare il follow-up alla
natura (se è sierosa, la lesione non si opera; se è mucinosa, si opera; se si potesse anche dire il tipo
c a ca )
Intestinale: maggiore probabilità di progredire verso forma infiltrante
Pancreatico-biliare: c c a a b a a c a c a ;
tendenza a progredire verso a
Oncocitico (molto raro): non si conoscono bene le caratteristiche evolutive e infiltrative, è molto
raro.

Adenocarcinoma infiltrante da IPMN variante tubulare


Epitelio atipico poggiato su stroma fibroso
Al di sotto, si vedono bene le ghiandole infiltranti
Può generare due tipi di carcinoma infiltrante
Classico, variante tubulare: uguale a tutti gli adenocarcinomi del pancreas; ghiandole simili a
tubuli che infiltrano. La prognosi è migliore rispetto agli altri ADC, ma cmq mortale.

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Variante colloide: essendo un tumore mucinoso, può produrre un tumore colloide, ovvero un
tumore che produce così tanto muco da risultare composto di muco al cui interno fluttuano
ghiandole adenocarcinomatose. A volte è anche difficile trovare, in tutto questo tumore, una parte
cellulata.

Classificazione WHO neoplasie maligne


Adenocarcinoma duttale e sue varianti
o Carcinoma mucinoso non cistico
o Ca c ac c a a c ca
o Carcinoma adenosquamoso
o Carcinoma anaplastico
o Carcinoma misto duttale-endocrino
Altri più rari
o Tumore a cellule giganti simil-osteoclastiche
o Cistoadenocarcinoma sieroso (1 solo caso mai descritto)
o Cistoadenocarcinoma mucinoso
o Carcinoma mucinoso papillare intraduttale (da IPMN)

Adenocarcinoma duttale (il comune "carcinoma del pancreas")


Epidemiologia
È la forma più frequente.
90% di tutti i tumori del pancreas
Età 60-80 anni, raro prima dei 40 anni; nelle forme familiari invece esordisce prima
M:F = 1,6
L c a a a a a : 90% 1a a a a ; solo 2-4% arriva a 5
anni (anche se la terapia personalizzata, i nuovi farmaci ecc. stanno migliorando la prognosi).

Fattori di rischio
Fumo
o Aumenta di 2-5 volte il rischio di carcinoma del pancreas
o L c c a c 10-15 anni dopo la cessazione
Dieta
o Elevato apporto calorico e diete ad alto contenuto lipidico
o Proteggono: verdure, vegetali in foglie, frutta secca
Diabete
o A volte il diabete è il primo segno di adenocarcinoma duttale: può essere quindi una
conseguenza della presenza della neoplasia.
o Esiste associazione fra il diabete mellito e il tumore del pancreas nonostante non si
conosca il meccanismo responsabile.
o Lo stato diabetico aumenta la crescita di tutti i tumori, non solo quelli del pancreas
(deficit immunitario, disponibilità di glucosio)
Pancreatite cronica (13-18x)
o Soprattutto quella ereditaria: mutazioni di k-RAS ( a c ),
nella gran parte di queste forme, predispongono ad adenocarcinoma duttale in giovane
età (30-50 anni)
o Anche la pancreatite cronica del bevitore ecc.
Altre malattie genetiche
o BRCA2 (tumori mammari e ovarici familiari BRCA2-dipendenti)
o MLH-1 (Lynch tipo 2)
o Peutz-Jeghers
o Pancreatite cronica
Patogenesi
Le alterazioni geniche sono peculiari nell'adenocarcinoma duttale:
Oncogeni: K-ras e HER2/neu sono spesso mutati (80-90% dei casi)
Oncosoppressori: DPC4/SMAD4, p16, p53

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Quando si riscontra una metastasi da adenocarcinoma di origine sconosciuta si può risalire all'origine
pancreatica quando si trovano mutati 4 di questi geni (K-ras, DPC4, p16 e p53), che sono quindi detti
"fingerprint". (ddx con IPMN: mutazione G-NAS)

Il modello di progressione neoplastica prevede l'origine da cellule cubiche del dotto normale. Man mano
che le cellule acquisiscono mutazioni si ha:
PanIN-lA (mutazione di K-ras): ipertrofia dell'epitelio con aumento di volume delle cellule (le
cellule diventano cilindriche). Si parla di ipertrofia mucinosa (lesione in situ del pancreas stadio
1A)
PanIN-lB (mutazione di Her-2/neu): iperplasia mucinosa dell'epitelio con aumento del numero
di cellule; si hanno proliferazione e formazione di papille. I nuclei sono sempre basali e privi di
atipie
PanIN-2 (perdita di p16): le cellule cominciano a diventare atipiche e a proliferare in modo
incontrollato; i nuclei sono aumentati di volume, più scuri, presenti in tutti gli strati e non solo a
livello basale. Si parla di iperplasia atipica
PanIN-3 (perdita di p53 o DPC4): cellule atipiche e numerose mitosi, a c a a c ,
con formazione di strutture ghiandolari aberranti. P a a lastica, è un
carcinoma in situ

Anatomia patologica
Dal punto di vista macroscopico la neoplasia del pancreas si può schematizzare come segue:
Localizzazione
o Testa (60%): ca a ac tenosi del coledoco (50%), dolore (50%).
o Corpo (15%)
o Coda (5%): sono tumori grandi e spesso già metastatici alla diagnosi
o Diffuso a tutto il pancreas (20%)
N 85% ca , a a a a c a a a a
Consistenza dura: perché è un tumore desmoplastico o scirroso, ovvero stimola la risposta
infiammatoria e la deposizione di tessuto fibroso peritumorale
Colorito bianco giallastro (fibroso + adiposo circostante) a cui si associano spesso:
o Infiltrazione del coledoco e Wirsung, dilatati a monte dell'ostruzione.
o Infiltrazione di a. e v. mesenteriche e organi contigui .
o Metastasi linfonodali: linfonodi peripancreatici, gastrici, mesenterici, periportali
o Metastasi per via ematica: fegato, ossa, polmoni.

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Dal punto di vista microscopico l'aspetto è quello di un adenocarcinoma moderatamente o scarsamente
differenziato che forma strutture tubulari abortive o nidi di cellule, con pattern di crescita aggressivo o
marcatamente infiltrante.
Come detto precedentemente, intorno al tumore si sviluppa una densa fibrosi stromale: ostacola tutte le
procedure molecolari (non si riescono ad estrarre gli acidi nucleici) e va necessariamente dissecato.
È tipica l' infiltrazione perineurale , responsabile del dolore cronico associato a questa neoplasia.

Caratteristiche clinico-fisiopatologiche
I carcinomi del pancreas rimangono silenti fintanto che non infiltrano le strutture adiacenti. Per questo,
alla diagnosi solo il 20% dei tumori risulta operabile.
La sintomatologia è variabile, a seconda della localizzazione primitiva e dell'infiltrazione:
Infiltrazione del coledoco (localizzazione nella testa del pancreas): ittero a ciel sereno
Infiltrazione dei dotti pancreatici: ostruzione cronica e reflusso di succo pancreatico negli acini,
con pancreatite cronica ostruttiva
Infiltrazione neurale peripancreatica: dolore
Produzione di fattori procoagulanti: tromboflebite migrante, trombosi in sede atipica. Infatti essi
generano una risposta infiammatoria sistemica che si caratterizza per: leucocitosi, emolisi, CID,
ARDS.
Mentre nei tumori della testa la sintomatologia può essere precoce per la comparsa di ittero ostruttivo, nei
tumori della coda il paziente può restare completamente asintomatico per molti mesi (al massimo calo
ponderale e dolore a sbarra). Questo tipo di dolore è dovuto al coinvolgimento delle abbondanti fibre
nervose intrapancreatiche, che fanno capo al ganglio celiaco.
Talvolta il primo segno di carcinoma duttale è la comparsa improvvisa di diabete, anche se non è chiaro
perché.
Nell'85% dei casi alla diagnosi la neoplasia è già metastatica, motivo per cui la mortalità equivale
praticamente all'incidenza.

Caratterizzazione anatomopatologica della neoplasia pancreatica


Caratterizzazione iniziale:
Grado di differenziazione (G 1-G3); si basa su
o Atipie nucleari
o Numero di mitosi
o Ca ac c : c a a, ca c
differenziato
Stadio TNM: La maggioranza dei tumori operati è T3N1M0 ( c a a
metastasi linfonodali ma non a distanza, infatti se dà metastasi a distanza non si opera)
Invasione vascolare (ematica e linfatica)
Invasione perineurale

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Infiltrazione dei grossi vasi: vasi mesenterici (configura il pT4)
Infiltrazione della lamina retroportale: sottile strato di tessuto connettivo che si frappone tra il
pancreas e l'arteria mesenterica superiore. Se è infiltrata sicuramente il chirurgo non ha asportato
tutto il tumore (per cui lo stato del paziente sarà definito R1, ovvero a rischio di recidiva locale
=> dolori per infiltrazione del plesso celiaco). Si tratta in pratica di un margine di resezione che il
c acca a c a a AMS. V a ca a a a a c
c c a a c a R0 ( a aziente)
.S a a a a a c < 1 mm, il paziente va considerato
R1. La resezione vascolare si può non fare solo se non ci sono aderenze né da infiltrazione né da
fibrosi.

Pezzi operatori:
In caso di neoplasia della testa: duodeno-cefalo-pancreasectomia
In caso di neoplasia del corpo-coda: spleno-pancreasectomia (se si leva la coda, si leva anche la
milza perché i linfonodi drenanti sono gli stessi)
In caso di neoplasia diffusa: spleno-pancreasectornia completa

Su questi dovremo fare:


Esame macroscopico
o Stato del coledoco
o Dotto del Wirsung
Esame istologico estemporaneo
o Lesione pancreatica: spesso è difficile distinguere la pancreatite cronica dal carcinoma,
perché nel carcinoma le due condizioni coesistono! anche nella pancreatite cronica le
ghiandole sono distorte, alterate. Difficile dire dove finisce il tumore e inizia la
pancreatite secondaria.
o Margini di resezione: coledocico (il coledoco deve essere asportato negli interventi sulla
testa, aperto e osservato) e/o pancreatico
Solo pancreatico se si fa pancreasectomia sinistra
Pancreatico e coledocico se si fa DCP. Se non è un tumore I delle vie biliari la
mucosa dovrebbe essere indenne e solo il lume stenosato.
Esame istologico definitivo: valutazione dell'infiltrazione della lamina retroportale

Oltre alla lamina retroportale, negli ultimi anni sono stati sempre più studiati sistemi in cui si colorano tutti
i margini del pancreas, per vedere se il tumore ha infiltrato la parete anteriore, posteriore, superiore,
mediale, ognuno con un colore diverso.
Resezione vascolare per aderenza della neoplasia alla vena mesenterica: se si vede che il tumore è adeso
a a a, b aa a a a a a a b a c aa a
neoplastica.

Anatomia patologica sperimentale


Bio-banca
Colture cellulari tumorali: per testare terapie personalizzate
Microdissezione laser: metodo particolare di sezione del tessuto che permette di fare sezioni nel
punto esatto in cui si pensa vi sia la neoplasia.

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Concetti Riassuntivi: Tumori del pancreas esocrino -classificazione WHO-

Tumori epiteliali benigni


Cistoadenoma sieroso
Cistoadenoma mucinoso
Neoplasia mucinosa papillare intraduttale
Teratoma maturo
Tumori epiteliali borderline
Cistoadenoma mucinoso con displasia moderata
Neoplastia mucinosa papillare intraduttale con
displasia moderata
Tumore solido pseudopapillare
Tumori epiteliali maligni
Cistoadenocarcinoma sieroso Adenocarcinoma duttale
Cistoadenocarcinoma mucinoso - Mucinoso non cistico
Carcinoma mucinoso papillare intraduttale - Con cellule ad anello con castone
- Classico (tubulare) o colloide - Con cellule giganti simili a osteoclasti
Carcinoma solido pseudopapillare - Adenosquamoso
Carcinoma a cellule acinari - Indifferenziato
Carcinoma squamoso - Misto adenocarcinoma - Tumore neuroendocrino
Carcinoma a cellule chiare

Pe l aden ca cin ma la WHO ha acc manda l ili di na ecifica e min l gia e le le i ni e-


cancerose, che si illustra.

Lesione Mutazione Cellule Mitosi Atipie Istologia


PanIN - 1A KRAS Ipertrofia Assente Assenti Conservata
mucinosa
PanIN - 1B Her2 Iperplasia Presente Assenti Conservata
mucinosa (basale)
PanIN - 2 p16 Iperplasia Presente Presenti Alterata in
mucinosa (tutti gli strati) parte
PanIN - 3 P53/BRCA2/ Iperplasia Presente Presenti Ghiandole
(cis) SMAD4 mucinosa (apice dei dotti) aberranti

Stadiazione TNM

T1: massa intrapancreatica < 2 cm


T2: massa intrapancreatica > 2 cm
T3: invasione tessuto peripancreatico, senza invadere i grossi vasi o gli organi circostanti
T4: invasione organi circostanti e/o dei grossi vasi
T N M
Stadio I 1 0 0
2 0 0
Stadio II 3 0 0
Stadio III 1-2-3 1 0
Stadio IV 4 Qualunque 0
Qualunque Qualunque 1

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PATOLOGIA INFIAMMATORIA
La patologia infiammatoria del pancreas è rappresentata dalla pancreatite, un'infiammazione associata a
lesione delle cellule acinari.
Nella pancreatite acuta la ghiandola può tornare alla normalità dopo rimozione della causa scatenante,
mentre nella pancreatite cronica vi è un danno irreversibile al parenchima pancreatico esocrino.

Pancreatite acuta
La pancreatite acuta è un'infiammazione del pancreas esocrino caratterizzata da edema interstiziale e
infiltrato infiammatorio. Rappresenta un evento drammatico, che può anche portare a morte il paziente.
E' dovuta ad autodigestione enzimatica, che può manifestarsi con una gravità da lieve (edema interstiziale/
focale e steatonecrosi) a grave (estesa necrosi parenchimale emorragica).
La forma lieve rappresenta il 75- 80% delle pancreatiti acute, e prevede una minima disfunzione
d'organo e la restitutio ad integrum,
la forma grave necrotizzante rappresenta un 20-25% delle pancreatiti acute, e si caratterizza per
insufficienza multiorgano e complicanze locali e sistemiche.
Epidemiologia
10-20 100000 ab a a a
T ca a a
M:F a ab ba a a (M: F = 6:1 alcolismo; F: calcolosi biliare).
Eziologia
Calcolosi biliare: un calcolo biliare si incunea nella papilla determinando stasi e reflusso dei
succhi pancreatici
Alcolismo: sia abuso cronico che intossicazione acuta. Causa spasmo della papilla di Vater, stasi
e reflusso + tossicità diretta
Traumi addominali: spontanei o chirurgici
Infezioni del parenchima (parotite, coxsackie)
Lesioni vascolari ischemizzanti
Malattie metaboliche (ipercolesterolemia, iperTG, ipercalcemia)
Iatrogeni
o Farmaci: furosemide, estrogeni, antitumorali
o Post-chirurgia
o ERCP [endoscopic retrograde colangio-pancreatography]
Idiopatiche
Ereditaria*

*Il 10-20% dei soggetti con pancreatite acuta non presenta un'eziologia nota, per cui queste forme erano
definite idiopatiche. E' oggi noto che alcune alterazioni-genetiche causino pancreatite acuta, che assume
quindi una trasmissione ereditaria. Queste forme si caratterizzano per attacchi ricorrenti di pancreatite
grave sin dall'infanzia. I geni identificati sono:
Il gene del tripsinogeno cationico (PRSSl): normalmente la tripsina ha un sito di clivaggio su cui
può agire la tripsina attivata stessa, fornendo così un meccanismo di auto-inattivazione. Quando
questo sito è mutato, un'attivazione inappropriata del tripsinogeno all'interno del pancreas dà il
via ad una reazione a catena inarrestabile, e all'autodigestione pancreatica. Questa forma è AD.
Il gene inibitore della serinaproteasi Kazal 1 (SPINK1): codifica per un inibitore pancreatico
della tripsina, aiutando a prevenire l'autodigestione pancreatica. Questa forma è AR.
Il gene CF1R, responsabile della fibrosi cistica

Patogenesi
La pancreatite acuta è scatenata da un'autodigestione del parenchima pancreatico scatenata da
un'inappropriata attivazione degli enzimi pancreatici.
A seguito uno schema degli eventi che seguono l'attivazione inappropriata della tripsina:

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I cca c a a a a ione inappropriata del tripsinogeno sono principalmente 3:
ostruzione del dotto pancreatico: bb ca a acc c a c a c
. P c a a c a c a a a bb a a a
danno causando una steatonecrosi locale
danno primitivo delle cellule acinari: virus (parotite, coxsackie), insulti ischemici, farmaci,
traumi possono esserne responsabili
trasporto intracellulare difettoso dei pro-enzimi: in modelli animali si è evidenziato che
aa cc c a aa a ac a ( c a
acca a a c ).

Anatomia patologica
Le alterazioni di base sono:
1. Il danno microvascolare: dà edema interstiziale e ingrossamento della ghiandola
2. Steatonecrosi: gli acidi grassi liberati si legano al calcio e formano sali insolubili ("macchie
di calce", come spruzzi di calce sulla ghiandola). Si vede al MO come vacuoli adiposi, senza
nucleo, circondati da cellule infiammatorie.
3. Infiltrato infiammatorio acuto: PMN (++) e macrofagi/ istiociti che tentano di digerire il
materiale necrotico
4. Necrosi proteolitica del parenchima
5. Digestione enzimatica dei vasi: emorragia interstiziale (tipica della forma necrotico
emorragica)
6. Azione locale delle lipasi, che si porta anche a distanza grazia ai vasi linfatici: provoca
steatonecrosi dell'omento, del mesentere, versamento nel peritoneo con aspetto a "brodo di
pollo".

Queste manifestazioni possono associarsi variamente ed essere più o meno gravi, dando luogo a tre
fondamentali forme anatomopatologiche di pancreatite acuta:
Pancreatite acuta interstiziale: la forma più lieve, con edema, steatonecrosi a carico del
parenchima e del tessuto adiposo peripancreatico, e infiammazione lieve.
Pancreatite acuta necrotizzante: più grave, in cui le manifestazioni sopra menzionate si
fanno più intense ed estese, anche ai tessuti peripancreatici
Pancreatite emorragica: è la forma più grave, in cui ad un'estesa necrosi parenchimale si
associa un'emorragia diffusa dell'organo.
Il
riassorbimento
delle sostanze
necrotiche
determina
shock.

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Clinica
Dolore acuto grave a irradiazione posteriore, in sede vertebrale, a ba a
Nausea, vomito
Aumento dei livelli ematici di amilasi e lipasi: la loro liberazione è responsabile del quadro
sistemico della pancreatite acuta (generano una risposta infiammatoria sistemica che si
caratterizza per: leucocitosi, emolisi, CID, ARDS, steatonecrosi diffusa, shock)
Ittero, se la causa del quadro è un'ostruzione al livello della papilla di Vater
Ipocalcemia: da consumo di calcio per precipitazione con acidi grassi
Shock (spesso è la causa del decesso): nel 2-5% dei casi il quadro può esordire con shock e
sintomi neurologici
La diagnosi di pancreatite può non essere facile per l'aspecificità dei sintomi iniziali, e si deve basare
quindi sui reperti clinici, laboratoristici e strumentali.
Storia naturale
La pancreatite acuta può:
Guarire
Portare a morte (5%)
Dare complicanze:
Pseudocisti: si formano quando la necrosi interessa un'area di parenchima > 5cm. La
lesione psudocistica, al contrario della cisti, non è rivestita da epitelio, avendo infatti un
rivestimento fatto dal tessuto di granulazione (che diviene poi tessuto fibroso).
La pseudocisti può andare incontro ad infezione, ascessualizzazione e quadri peritonitici.
Ascessualizzazione ed eventualmente anche peritonite, per infezione delle aree di
steatonecrosi e della pseudocisti da parte di batteri intestinali
Trombosi della vena lienale.

Pancreatite cronica
Malattia infiammatoria persistente ad andamento progressivo, con sclerosi diffusa e atrofia del parenchima
esocrino, che porta a perdita della funzione pancreatica. La differenza fondamentale con la forma acuta è
che in questo caso la perdita di funzione pancreatica è irreversibile.
Classificazione e eziologia
Poiché la causa di gran lunga più frequente è l'alcolismo cronico, dividiamo l'eziologia in:
Alcolica (80%) (cofattori: fumo)
Non alcolica
o Ereditaria (pancreatiti croniche ereditarie, fibrosi cistica)
o Ostruttiva (calcoli biliari, neoplasie maligne o benigne che ostruiscono papilla di Vater)
o Metabolica (ipercalcemia, ipertrigliceridemia)
o Malnutrizione
o Pancreatite cronica autoimmune (IgG4-related disease): questa pancreatite produce lesioni
nodulari nel pancreas, che devono essere poste in ddx con un tumore anche maligno
(carcinoma); l'infiltrato in questo caso è dato da plasmacellule IgG4-secernenti. Tale
condizione è trattabile (e diagnosticabile ex adjuvantibus) con steroidi (cortisone) e
immunosoppressori, non vi è quindi indicazione chirugica; tale forma si associa ad altre
malattie autoimmuni (o perlomeno disimmuni) delle vie biliari e non solo (colangite
c a , c c a )
o Idiopatica (in realtà nelle forme idiopatiche si può spesso dimostrare una mutazione genica
causativa).
Epidemiologia
7-10 per 100mila/anno
Soprattutto adulti M, specie nella forma alcolica
In età giovanile: forma ereditaria, 1-2% dei casi, rischio di adenocarcinoma duttale

Patogenesi
Poiché molti soggetti con episodi ripetuti di pancreatite acuta sviluppano poi una forma cronica, si
suppone che l'infiammazione acuta possa scatenare una sequenza di eventi caratterizzati da fibrosi
perilobulare, distorsione duttale, e alterazione della secrezione pancreatica.

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I fattori implicati nello sviluppo della pancreatite cronica sono:
• Ostruzione duttale da concrezioni (calcaree): è causata da una eccessiva concentrazione
proteica del succo pancreatico. Le proteine all'interno dei dotti possono aggregarsi tra loro e
precipitare, formando dei tappi. Questi a loro volta possono legarsi al Ca2+, formando così precipitati
intraduttali di carbonato di calcio
• Tossicità diretta sulle cellule acinari: l'alcool e i suoi metaboliti inducono produzione di radicali
liberi con conseguente stress ossidativo e attivazione dei fattori di trascrizione che promuovono
l'infiammazione (API, NF-KB).
Lo shift da pancreatite acuta recidivante a pancreatite cronica è determinato dalla produzione dei fattori
fibrogenetici TGF e PDGF, che prevalgono durante l'infiammazione cronica, attivando i miofibroblasti
periacinari ("cellule stellate pancreatiche").

Anatomia patologica
Fibrosi pancreatica distribuita irregolarmente: il tessuto fibroso sostituisce il parenchima e
rgano appare indurito, fibroso
Atrofia del pancreas esocrino: riduzione del numero degli acini. Vi sono tante isole di
Langerhans e tanto tessuto fibroso, ma poche strutture acinari
Infiltrato infiammatorio cronico (linfociti) e steatonecrosi focale
Dilatazione disomogenea del Wirsung e dei dotti secondari (distorti dalla fibrosi): si possono
avere calcoli e precipitazioni proteiche
Precipitazioni proteiche e calcolosi intraduttale
Relativa preservazione delle isole pancreatiche, riscontrabili distorte ma funzionanti; nelle
pancreatiti croniche di vecchia data, però, anche queste scompaiono

Clinica
Dolore: prima intermittente (attacchi ricorrenti) poi continuo, a sede epigastrica con irradiazione
posteriore. È debilitante e invalidante
Steatorrea e malassorbimento: per mancanza degli enzimi digestivi pancreatici
Perdita di peso
Presenza di calcificazioni pancreatiche all'eco e alla TC: in presenza dei precedenti sintomi e
segni assai aspecifici questo può risultare decisivo per la diagnosi di pancreatite cronica.
La pancreatite cronica è una patologia invalidante, gravata di una mortalità del 50% a 5 anni (a causa
c c ) a a c ca c a a c a ( a
ereditarie).
Può portare a diabete, con le relative complicanze (in fase tardiva anche le isole di Langerhans sono
coinvolte)

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PATOLOGIA EPATICA

Anatomia
Il fegato normale ha un peso di circa 1400-1600 grammi. In esso è possibile riconoscere due lobi
(destro e sinistro), separati dal ligamento falciforme.
La vascolarizzazione dell'organo è peculiare: riceve infatti il 70% circa del sangue dal sistema portale,
che vi drena il sangue venoso refluo da stomaco, milza ed intestino; il 30% vi giunge tramite il sistema
arterioso.
Vena porta e arteria epatica entrano nel fegato a livello dell'ilo; a questo stesso livello fuoriesce il dotto
epatico, che veicola al di fuori del fegato la bile.

Istologia
L'unità morfofunzionale del fegato è il lobulo, struttura
esagonale di diametro 1-2 mm. Esso è delimitato da
sottili setti connettivali e ad ogni vertice dell'esagono
troviamo uno spazio portale, dove transita una triade
formata da ramo della vena porta, ramo dell'arteria
epatica e dotto biliare.
Dal ramo della vena porta che decorre nello spazio
biliare si dipartono sinusoidi, che vanno a confluire
nella vena centro lobulare. Ricordiamo che i sinusoidi
sono rivestiti da cellule endoteliali fenestrate e
discontinue, che separano l'ambiente intraluminale
dallo spazio di Disse.
Le vene centrolobulari, confluendo a loro volta in rami
di dimensioni sempre maggiori, daranno luogo alle
vene epatiche, che drenano nella cava inferiore.

Tra i sinusoidi si interpongono filiere di epatociti, anch'esse dirette dagli spazi portali alla vena centrale.
Per schematicità, riconosciamo nell'epatocita
tre versanti:

Vascolare: si affaccia nello spazio di


Disse, nel quale aggetta i suoi
microvilli.
Costituisce quindi il versante
deputato a prendere dal sangue
portale le varie molecole.
Laterale: aderisce all' epatocita
contiguo nella filiera
Canalicolare: presenta una doccia che,
giustapponendosi a quella di un altro
epatocita, delimita i canalicoli biliari.
Questi drenano in dotti di calibro
maggiore, e così via fino ai dotti epatici.

Nello spazio di Disse, oltre ai microvilli degli


epatociti che vi protrudono, troviamo anche fibre
collagene e cellule stellate (vedi dopo).

Citologia
Nel fegato è possibile identificare 4 tipi cellulari.
Vediamo brevemente i loro aspetti citologici
normali, per capire meglio le alterazioni che
vedremo in patologia.

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Epatociti: costituiscono 1'80% del volume dell'organo. Hanno forma poliedrica, con diametro
di circa 20-30 µm. Sono spesso polinucleate e tetraploidi, con un numero di nuclei che può
arrivare anche a quattro; nei nuclei è visibile un grosso nucleolo. Sono numerosi e abbondanti
i REL e RER, le cisterne del Golgi, i ribosomi, i lisosomi, i mitocondri, e i perossisomi.
Per questo, il citoplasma è di fondo eosinofilo (per il grande numero di mitocondri, basici) ma
presenta numerose granulazioni basofile dovute al RER e ai ribosomi (in cui è presente acido
nucleico).
Spesso sono presenti vari inclusi: in un organismo ben nutrito si rilevano discrete quantità
di glicogeno e di vacuoli lipidici; in caso di sovradosaggio di ferro sono visibili vacuoli o
aggregati di emosiderina e ferritina.
A livello dei canalicoli biliari si accumulano numerose vescicole di esocitosi, contenenti
per l'appunto bile da secernere nei canalicoli.
Cellule stellate o di Ito: risiedono nello spazio di Disse.
Il loro citoplasma è ricco di vescicole lipidiche contenenti vitamina A, ed il loro compito è
quello di secernere le principali sostanze costituenti della matrice, tra cui collagene di tipo III
e reticolina.
Normalmente sono quiescenti, ma assumono un ruolo centrale nella patogenesi della
cirrosi: sotto lo stimolo delle citochine sono infatti in grado di assumere fenotipo di
miofibroblasti.
Cellule endoteliali: costituiscono l'endotelio dei
sinusoidi venosi fenestrati del fegato. Hanno forma
appiattita, con un nucleo ovalare in posizione
centrale, scarso citoplasma contenente numerose
vescicole transcitotiche. Le fenestrature presenti tra
le cellule sono molto ampie (diametro medio di 100
µm) così che il sangue può facilmente riversarsi
negli spazi di Disse e venire a contatto con i
microvilli degli epatociti che vi si aggettano.
Cellule di Kupffer: cellule di origine monocito-macrofagica residenti nel fegato; in
particolare si collocano all'interno dei sinusoidi, in contatto con l'endotelio. La loro forma
è variabile ed irregolare, presenta numerose estroflessioni tipiche delle cellule della linea
dei macrofagi che si estendono nel lume del sinusoide.
La loro funzione è quella di rimuovere per
fagocitosi eventuali detriti presenti nel sangue in
afflusso agli epatociti; possono rimuovere gli
eritrociti invecchiati o danneggiati agendo in
modo complementare alla milza. Hanno però
anche loro un ruolo centrale in patologia, specie
nelle patologie infiammatorie croniche, dove
fungono da sorgente di citochine.

Modalità di danno epatico


Il fegato possiede un repertorio limitato di risposte al danno, che ritroveremo, variamente "miscelate" fra
loro, nelle varie forme di malattia.
Le principali sono:
Infiammazione: es. epatiti virali
Degenerazione epatocitaria e accumulo intracellulare: es. epatopatia alcolica, emocromatosi
Necrosi epatocitaria: es. epatiti acute fulminanti
Fibrosi: es. cirrosi

Giusto come promemoria per orientarsi in seguito, i quadri che vedremo saranno:
Epatiti acute e croniche
o Virali
o Autoimmuni
o Alcolica
o Da farmaci

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Cirrosi
Epatopatie su base metabolica
o NASH
o Morbo di Wilson
o Emocromatosi
o Deficit di l-antitripsina
Colestasi
Patologie delle vie biliari intra-epatiche
o Colangite sclerosante primitiva
o Cirrosi biliare primitiva

1) EPATITI
L'epatite è un quadro istologico specifico, caratterizzato da danno epatocitario con infiammazione e,
nelle forme croniche, fibrosi.
Le epatiti possono essere suddivise in:
Acute
Fulminanti: necrosi estesa e diffusa del fegato
Croniche
Questa suddivisione si fonda su aspetti prevalentemente clinici, anche se ognuna di queste forme
riconosce dei corrispettivi anatomo-patologici caratteristici. Vediamo quindi prima gli aspetti
morfologici generali e comuni a tutte le forme acute, croniche e fulminanti, "svincolandoli"
dall'eziologia. Dopo invece vedremo nello specifico le epatiti virali, autoimmuni e alcolica,
focalizzandoci sugli aspetti specifici della singola forma.

EPATITE ACUTA
Definizione
Processo infiammatorio acuto del fegato, che laboratoristicamente si evidenzia con aumento degli indici
di citolisi (AST e ALT), il quale tende a risolversi entro 3-6 mesi.
Cenni clinici
Il processo infiammatorio acuto si estrinseca con manifestazioni variabili:
Asintomatica; tipico delle forme virali da HCV e HBV
Forma itterica classica: tipica dell'infezione da HAV; è invece più raro in HBV ed
estremamente raro per le infezioni da HCV
La fase acuta ha durata variabile, ma è sempre un processo autolimitantesi.
Forme fulminanti; fatali se non si ricorre a trapianto, ma sono per fortuna la minoranza.
Eziologia
> Infettiva
Virale
o Virus epatotropi
o Virus non selettivi (EBV, CMV, febbre gialla)
Altri microorganismi (salmonella, leptospira, toxoplasma)
> Non infettiva
Alcol
Tossici (farmaci, tossine di funghi, CC14,droghe)
Metabolica (emocromatosi, m. di Wilson)
Autoimmune
Anatomia macroscopica
Il fegato con epatite acuta lieve ha un aspetto normale o
lievemente marezzato.
Il fegato con epatite acuta grave massiva è invece ridotto
di volume (fino a 500-700 grammi); il colorito si fa
rossastro eritematoso. La consistenza diventa flaccida,
molliccia, e la capsula si raggrinzisce.

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Istologia
L'istologia mostra due aspetti fondamentali. Va comunque premesso che la biopsia non viene quasi mai
fatta nelle fasi acute, essendo la diagnosi basata sui dati clinici e di laboratorio; i dati morfologici
derivano quindi da studi sperimentali.
Prima di fare la biopsia si aspetta la risoluzione in 3-6 mesi, quindi nel frattempo si fanno altri
accertamenti.
Ricordiamo ancora che questi aspetti sono comuni a tutte le forme di epatite acuta.

1) Morte epatocitaria
Elemento cardinale dell'epatite acuta, si riflette nell'aumento delle transaminasi. La morte degli epatociti
si realizza mediante due meccanismi:
Necrosi: nella fase di danno sub-letale l'epatocita mostra un rigonfiamento diffuso
(degenerazione balloniforme). In questa fase il citoplasma della cellula appare vuoto, con
macchie eosinofile che rappresentano il residuo degli organelli.
L'epatocita va quindi incontro a rottura della membrana plasmatica, evento che ne determina
la necrosi.
Nelle zone di necrosi le fibre collagene strutturali (reticolo di supporto) si contraggono
(collassano) e accorrono i macrofagi spazzini: i "buchi" lasciati dagli epatociti necrotici
saranno occupati dai macrofagi.
In base all'estensione, la necrosi può essere:
o Focale: coinvolge singoli epatociti anche distanti nel contesto dello stesso lobulo.
o Confluente (e a ponte): intere filiere di epatociti vanno incontro a necrosi producendo
dei ponti di necrosi che si portano dalla periferia del lobulo allo spazio portale.
o Panacinare: tutto l'acino incorre in necrosi; è quanto si realizza nelle forme fulminanti
Apoptosi: meccanismo appannaggio delle forme virali. È mediata dall'azione di cellule T
citotossiche.
L'aspetto dell'epatocita apoptotico è caratteristico. Si
fa molto eosinofilo e il nucleo si frammenta: un
elemento di questo tipo viene chiamato corpo di
Councilman (molto caratteristico della febbre gialla,
tanto che un tempo ne era considerato
patognomonico; si è visto che può ritrovarsi anche
nell epatite virale "classica").
Accanto alle zone di necrosi è possibile vedere gli epatociti
ancora sani in fase di attiva replicazione, con tipico aspetto
polinucleato.

2) Infiammazione
Riassumibile in due aspetti:
a) Ipertrofia e iperplasia delle cellule di Kupffer, che
accorrono nelle zone di necrosi, richiamati dal
materiale fuoriuscito dalle cellule, e fagocitano i
residui di epatociti morti; sono per questo ripieni di
pigmento lipofuscinico e ferro
b) Infiltrato infiammatorio di tipo
linfo-monocitario, localizzato
soprattutto a livello degli spazi
portali (questo aspetto è
chiamato "epatite dell'interfaccia
"). Dallo spazio portale l'infiltrato
può spingersi nel parenchima
adiacente, causando danno degli
epatociti periportali.

Epatite acuta da HAV.


Le frecce indicano
degenerazione balloniforme.

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La tabella riassume le alterazioni anatomo-patologiche dell'epatite acuta.

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EPATITE CRONICA

Quadro clinico-patologico caratterizzato da un innalzamento del livello di transaminasi per più di 6


mesi, associato al riscontro bioptico di un processo infiammatorio a livello del parenchima epatico.
Agente causale e sintomatologia persistono per >6mesi.

Eziologia
49% infezione da HCV
20% consumo di alcol
11% HCV + alcol
9% HBV
Epatite autoimmune
Disordini metabolici
o Malattia di Wilson: pu esordire come epatite acuta nell infanzia oppure pi avanti
come epatite cronica
o Emocromatosi
o Deficit di 1 antitripsina
Forme criptogenetiche (NASH, in aumento)

Cenni clinici
Il quadro clinico-patologico di epatite cronica, indipendentemente dalla gravità morfologica, non è di
per sé associato a una sintomatologia eclatante. Alcuni sintomi, assolutamente aspecifici, sono:
Astenia
Turbe digestive
Epato-splenomegalia
Per questo, la diagnosi di una patologia epatica in fase di epatite cronica è spesso occasionale
(ritrovamento di transaminasi elevate).

Transizione epatite_cronica Cirrosi


Nell'epatite cronica si hanno fenomeni di necrosi del parenchima, che verrà sostituito da cicatrici fibrose:
se esse aumentano eccessivamente si ha cirrosi, caratterizzata dalla presenza di una struttura sovvertita
con noduli rigenerativi di epatociti circondati da setti fibrosi. Gli aspetti morfologici della cirrosi si
vedranno dopo.
La frequenza della comparsa di cirrosi aumenta con il perdurare della forma cronica; inoltre vari fattori
predispongono alla sua comparsa:
Età > 50 anni
Sesso maschile
Positività HBeAg (nel caso dell'infezione da HBV)
Positività al virus HCV, HDV e HIV
Assunzione di alcol
BMI elevato
La comparsa di cirrosi è associata a:
Insufficienza epatica e conseguente riduzione della sopravvivenza; lo scompenso si realizza in
media entro 5 anni, e la sopravvivenza, con scompenso, si riduce dall'87% al 20%.
Sviluppo di HCC: infatti si realizzano processi rigenerativi in ambiente infiammatorio ricco di
sostanze ad attività genotossica (ROS).
Vari approcci terapeutici permettono di ridurre la progressione dell'epatite cronica verso la cirrosi: ad
es. nell'infezione da HBV si agisce con IFN- .

Anatomia patologica
Diversamente dai processi infiammatori che si realizzano in altri organi, in cui la distinzione fra acuto e
cronico risiede essenzialmente nel diverso infiltrato infiammatorio, nelle epatiti acute e croniche
l'infiltrato è generalmente sempre di tipo mononucleato (linfo-monocitario), poiché la risposta che si
realizza è sempre di tipo cellulo-mediato.

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La distinzione fra epatite acuta e cronica, dal punto di vista dell'istologia (non si parla di clinica!), si
basa quindi sul tipo di danno cellulare e sul grado di infiammazione:
Acuta: tanta necrosi, meno infiltrato
Cronica: poca necrosi, maggiore infiltrato.

Il quadro istologico delle forme croniche è variabile a seconda della fase di attività, ma l a pe o
co an e l infiamma ione portale. Per schematicità, distinguiamo l'epatite cronica "non attiva" (detta
persistente) dall'epatite cronica attiva.
In fase "non attiva" l'infiltrato infiammatorio, formato da linfociti, macrofagi e
plasmacellule, è limitato agli spazi portali. L'architettura del lobulo è ben conservata e gli
epatociti sono morfologicamente "sani".
In fase attiva il quadro istologico si fa più eclatante, e può essere riassunto nei seguenti punti:
o L'infiltrato, dallo spazio portale, sconfina verso il parenchima, superando la lamina
limitante (schiera periferica di epatociti che delimita lo spazio portale stesso).
o Necrosi degli epatociti periportali, dovuta appunto all'avanzata dell'infiltrato (si parla di
necrosi a morsi=piecemeal necrosis).
o Sofferenza anche degli epatociti più centrali, con degenerazione balloniforme.
o Fibrosi, innescata dalla necrosi. Pertanto è inizialmente una fibrosi periportale, limitata
agli spazi portali. Quindi, col progredire del danno si formano setti fibrosi diretti in
senso porto-portale e porto-centrale. Nel contesto di queste delimitazioni "disegnate"
dai setti-fibrosi rigenerano gli epatociti ancora vitali; il quadro sta sfumando verso la
cirrosi.

A sinistra il fegato normale. La freccia indica la lamina limitante. Nel mezzo la fase cronica non attiva :
l infiltrato disposto nello spazio portale, con epatociti della lamina limitante integri. A destra la fase attiva:
l infiltrato scoppia la lamina e invade il lobulo; compare la fibrosi in ambito periportale. Visibili epatociti con
degenerazione balloniforme.

Nota: HBV tende a manifestarsi con infiltrato portale diffuso, mentre HCV con noduli aventi o meno un
centro germinativo ma tendenza ad invadere i dotti biliari causando colestasi.

Biopsia epatica nel paziente cronico


Mentre nelle forme acute la biopsia non viene mai eseguita, nelle forme croniche la biopsia è uno step
importante dell'iter clinico del paziente. Essa serve infatti a stabilire il grado e lo stadio della malattia.
L'analisi istologica deve comunque sempre essere accompagnata da notizie cliniche imprescindibili per
una corretta valutazione anatomo-patologica. È necessario sapere:
Indici di citolisi (AST, ALT)
Indici di colestasi ( -GT, A L P , b i l i r u b i n a )
Profilo immunologico (presenza di autoanticorpi: ANA, ANCA)
Profilo virologico

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Il ruolo dell'analisi istopatologia è multiplo:
Confermare la malattia: spesso la diagnosi è clinica, e la biopsia serve per confermarla
Verificare la severità e stabilire grado e stadio *
Evidenziare la presenza di co-fattori di danno (es: infezione virale, sovrappeso)
Valutazione della risposta istologica alla terapia.

La definizione di grado e stadio di una patologia infiammatoria epatica è fondamentale per valutarne la
progressione, consentendo di stimare il rischio di progressione a cirrosi. In particolare, devono essere definiti:
Stadio valuta il livello di fibrosi. Si attribuisce un punteggio da 0 (fibrosi assente) a 6 (cirrosi).
Grado valuta l entità della necrosi e della infiltrazione infiammatoria. Si attribuisce un punteggio da
0-18 che si ottiene sommando i valori ottenuti in diversi ambiti .

Questa è la classificazione di Ishak et al. 1995, che si usa solo per le epatiti virali, autoimmuni,
tossiche ed incerte.

Grado Stadio
0 Fibrosi assente
Epatite periportale: 0-4 1 Fibrosi <50%
Infiammazione portale: 0-4 2 Fibrosi >50%
Necrosi litica focale: 0-4 3 Occasionali ponti fibrosi
Necrosi confluente: 0-6 4 Ponti fibrosi P/P (porto-portali) e P/C
(fra spazio portale e vena centrale)
5 Occasionali noduli
Punteggio: 0-18. 6 Cirrosi (parenchima tutto nodulare)

Indicazioni alla biopsia


La biopsia non si chiede certo nell epatite acuta o all inizio della cronicizzazione: si fa se si osservano
rialzi episodici nel follow-up, per interpretarli.
Diagnosi e stadiazione dell epatite
Quanta infiammazione c : correggibile con i farmaci (IFN, vari antivirali)
Quanta fibrosi c : danno irreversibile
Valutazione della risposta alla terapia (dopo 1-2 anni)

Aspetti tecnici
La biopsia viene eseguita con diverse tecniche:
Percutanea: sotto guida ecografica, si inserisce un ago da biopsia attraverso la cute, a livello
del X-XI spazio intercostale. È la più informativa.
Trans giugulare: nei pazienti in fase avanzata (in cui sono presenti alterazioni dell'emostasi
come conseguenza della malattia stessa, o ascite massiva).
A cielo aperto durante un intervento chirurgico
Laparoscopia: è la meno informativa

Agobiopsia epatica
Affinché il campione possa essere considerato diagnostico deve avere dimensioni di almeno 2-4 cm e
deve contenere al suo interno almeno 6 spazi portali; deve inoltre essere integro e avere spessore
abbastanza consistente.
La qualità dell agobiopsia dipende dall operatore e dalla collaborazione del paziente.

Il materiale bioptico subisce:


Fissazione in formalina per l esame istologico
Fissazione in gluteraldeide per microscopia elettronica
È invece mandato a fresco alla microbiologia per esami batteriologici o virologici.
Congelamento in azoto liquido per studio di attività enzimatiche e di RNA/ DNA.

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Una volta giunto in AP, il campione è colorato in EE e con altre colorazioni specifiche, finalizzate a
mettere in evidenza con maggior precisione alcuni dettagli. Si può inoltre ricorrere a colorazioni
immuno-istochimiche per identificare antigeni virali.

Si elencano qui di seguito alcune colorazioni utilizzate:


Ematossilina-eosina
Colorazioni istochimiche
o Tricromica (istochimica): vede la fibrosi, quanto collagene c (stadio)
o Reticolo: la disposizione in filiere (di massimo due epatociti) è sostenuta dalla trama
reticolare; in caso di necrosi epatocitaria, la trama reticolare collassa e aderiscono le
fibre reticolari. Con la fibrosi questo reticolo si può allargare. Questa colorazione aiuta
a stabilire il grado
o PAS
o PAS-D
o Ferro: il deposito di ferro è un co-fattore di danno. I pazienti che hanno accumulo di
ferro negli epatociti sono anche meno responsivi alle terapie antivirali
o Rame
Colorazioni immunoistochimiche
o HBsAg
o HBcAg
o CMV
o CK 19
o CK 7
o Altre.

Vediamone alcune in maggiore dettaglio.

Colorazione per il ferro


All E&E si vedono solo granuli brunastri, confondibili con lipofuscina o bile
Esiste una colorazione specifica per il ferro che evidenzia in blu i granuli di ferro; tali granuli
si possono ritrovare negli epatociti (emocromatosi o forse asintomatiche sub-cliniche in cui il
deposito di ferro è modesto; rispondono meno alla terapia antivirale) o nelle cellule di Kupffer
(secondaria ad esempio a trasfusioni).

Colorazione PAS
Colora le glicoproteine e il materiale glucidico
Il fegato è una riserva di glicogeno: tutti gli epatociti devono essere colorati in rosso
Sono colorate anche le membrane basali dei dotti biliari
Dopo digestione con alfa-amilasi (PAS-D), il glicogeno va via e gli epatociti devono diventare
chiari; in alcune situazioni patologiche rimangono visibili dei granuli PAS+ resistenti alla
digestione: questo indicativo di deficit di 1-anti-tripsina (malattia rara ma da non
sottovalutare, in quanto causa danno epatocellulare, rottura delle cellule, innesco di
infiammazione).

Rame
Tutte le malattie colestatiche hanno un deposito di rame
Il rame si può evidenziare con due colorazioni
o Orceina: colora le proteine che legano il rame
o Rodanina: colora in rosso il metallo (utile soprattutto nella malattia di Wilson).

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EPATITI VIRALI
Eziologia più frequente delle infiammazioni epatiche, sia acute che croniche.

Cenni clinici generali


Molto brevemente, l infezione epatica da virus epatotropo pu manifestarsi clinicamente con diversi quadri:
Infezione acuta asintomatica: le fasi acute dell infezione sono pi spesso asintomatiche; vengono
diagnosticate occasionalmente per il riscontro di alti valori di transaminasi.
Infezione acuta sintomatica: per lo più appannaggio delle infezioni da virus A; come visto è una
situazione autolimitantesi. Sia le infezioni che acutamente sono sintomatiche, sia quelle che sono
silenti possono cronicizzare (HBV, HCV).
Epatite cronica: appannaggio dei virus B, C (e D).
Stato di portatore: si definisce portatore un soggetto che ospita il virus e può trasmetterlo.

Cenni di microbiologia
La tabella riassume le caratteristiche microbiologiche dei vari virus epatotropi.

Infezione da HAV
Epidemiologia
Si calcolano 1,5 milioni di nuovi casi all'anno localizzati per lo più nei paesi in via di sviluppo dove è interessata l'età infantile.
In alcune regioni d'Italia la prevalenza degli Ac anti HAV è dell'85%, senza che i soggetti abbiano avuto una forma clinicamente
evidente: infatti la maggior parte delle infezioni non esita in malattia.
A seguito del miglioramento delle condizioni igieniche e dell'introduzione del vaccino c'e stato un calo dell'incidenza che si è ridotto
1/ 100000/persone/anno.

Microbiologia
L'HAV è un virus della famiglia dei picornavirus.
E' molto resistente all'ambiente esterno: è termostabile e resistente agli acidi.
Le caratteristiche peculiari di questo virus sono essenzialmente 3:
Vi è un solo sierotipo: è un virus antigenicamente stabile, quindi la risposta immunitaria elaborata
alla prima infezione sarà protettiva verso le successive infezioni.
L'infezione nella sua fase acuta può dare, raramente complicanze gravi, ma la maggior parte delle
infezioni sono asintomatiche.
L'infezione NON CRONICIZZA MAI

Trasmissione
La trasmissione avviene per via orofecale: il virus viene eliminato con le feci nella fase acuta dell'infezione e
contamina le acque, nelle quali sopravvive in virtù della sua resistenza all'ambiente.
Il serbatoio è rappresentato dai soggetti con infezione in atto, sintomatici e non, dato che non esiste uno stato
di portatore cronico.

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I fattori di rischio che predispongono all'infezione sono:
ingestione di acque o cibi contaminate da feci: in particolare veicoli caratteristici sono le cozze, che quindi andrebbero
mangiate sempre cotte. Un altro veicolo è il ghiaccio: nei paesi in via di sviluppo viene infatti prodotto con acqua di fonte,
quindi non sterile.
viaggi in aree endemiche
balneazione in acque contaminate
contatti con malati

Patogenesi
Una volta ingerito il virus replica nelle cellule della mucosa GI ed entra in fase viremica.
Giunge al fegato, per il quale ha tropismo specifico, interagendo con una glicoproteina di 451 aa
presente sulla membrana degli epatociti, nota come HAV-r1.
A questo livello induce un danno necrotico dovuto in parte all'effetto citopatico diretto del virus e in
parte alla reazione immunitaria che coinvolge:
o i CD8 che riconoscono le cellule infette presentanti Ag in MHC1
o le NK che riconoscono cellule con ridotti livelli di espressione di MHC1
o Ac neutralizzanti che guidano l'ADCC delle cellule infette
Questo rende ragione del fatto che nei soggetti piccoli, in cui il sistema immunitario non è ancora al
massimo della sua efficienza, i danni epatici sono minori.
Le particelle virali sono eliminate nella bile e quindi con le feci, innescando il circolo orofecale.

Infezione da HBV
Epidemiologia
La prevalenza maggiore si riscontra in Africa, in Groenlandia, nel Canada del nord, nell'estremo oriente. In Europa è bassa.
Nel mondo ci sono 400 milioni di portatori cronici (in Italia sono 1-2 milioni di cui 250.000 immigrati). L'infezione acuta da HBV si
è ridotta drasticamente con l'introduzione del vaccino, reso obbligatorio dal 1991.

Microbiologia
E' un virus della famiglia hepadnaviridae.
E' costituito da un envelope fosfolipidico esterno che contiene l'HBsAg, e un capside a simmetria icosaedrica che contiene il genoma
(DNA circolare parzialmente bicatenario) e alcuni enzimi necessari a completare il ciclo replicativo virale, come la polimerasi.
Il genoma presenta geni che codificano per le proteine di superficie: ci sono 8 genotipi (a-h) sulla base della variabilità dell'HBsAg e
numerosi sierotipi.
In Italia il più frequente è il genotipo D HBeAg negativo, ma sono in aumento i genotipi non D
I diversi genotipi si associano a diverse caratteristiche cliniche e terapeutiche.

Trasmissione
E' molto resistente nell'ambiente e la fonte di infezione è rappresentata dall'infetto o dal portatore.
La trasmissione può avvenire per via:
Parenterale classica, per inoculazione di sangue, uso di aghi siringhe.
Parenterale inapparente, con strumenti contenenti piccole quantità di sangue, come spazzolini, rasoi,
lamette, strumenti di agopuntura utilizzati per tatuaggi, piercing
Sessuale, essendo presente nei fluidi vaginali e nello sperma
Materno fetale: maggiore quando la madre è positiva per l'HBsAg, per l'HBeAg e per il DNA virale.
In queste condizioni avviene nell'80-90% dei
casi.
Tramite il latte, ma ciò è raro perché il neonato
viene vaccinato
La fonte di infezione è variabile a secondo dell'area
geografica. Infatti, nelle zone ad alta incidenza la
modalità prevalente è per via verticale; nei paesi ad
incidenza media per contatto fra microlesioni e sangue
infetto; nei paesi a bassa prevalenza prevale la
trasmissione sessuale.

Istologia
Oltre agli aspetti istologici già discussi, l epatite da HBV
ha anche alcuni aspetti peculiari.
È possibile riscontrare un aspetto tipico degli epatociti

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detto a vetro smerigliato che si evidenzia con la colorazione con orceina (che colora alcune proteine
virali).
Questo è dovuto al fatto che gli epatociti infettati presentano un citoplasma eosinofilo finemente granulare, a
causa della presenza di sferette e tubuli di HBsAg.
È possibile anche sfruttare colorazioni immunoistochimiche specifiche dirette verso l HBsAg, e nel referto
deve essere esplicitata la % di epatociti positivi.

Decorso clinico
a) Periodo di incubazione 60-90 giorni a seguito dell'infezione
b) Fase acuta sintomatica o asintomatica *
50-90% asintomatica (senza fase acuta)
10-50% epatite acuta che va incontro a guarigione nella maggior parte dei casi; in meno del
2% da fulminante.
* La possibilità che si abbiano o meno sintomi di fase acuta è dovuta alla risposta immunitaria.
Infatti HBV non è un virus litico, e l'infezione, di per se non determinerebbe necrosi epatocitaria.
Tuttavia la risposta CD8, se potente, crea sì un danno esteso degli epatociti (poiché elimina tutte le cellule infette), ma d'altro canto scongiura la
possibilità di cronicizzazione, perché eliminando le cellule infette elimina anche la riserva di virus.
Questo è quello che si realizza nell'adulto il cui sistema immunitario è efficace: danno epatico, ma guarigione.
Una fase acuta asintomatica, dovuta a una debole risposta CD8 (che non elimina tutte le cellule infette), correla con alto il rischio di cronicizzazione: è
quello che accade nei bambini dove la risposta cellulo-mediata non è ancora particolarmente potente.
c) C onici a ione si realizza nel 5-10% dei casi. Di questi:
2% risoluzione
80% portatore sano
10-20% cirrosi
d) La cirrosi esita in carcinoma epatocellulare nel 50% dei casi.
Questo è dovuto al fatto che l'infezione cronica induce una risposta infiammatoria cronica. Il danno epatocitario diffuso
innesca i meccanismi di rigenerazione; tuttavia le divisioni cellulari avvengono in un ambiente ricco di agenti mutageni
(ROS infiammatori) e citochine che innescano negli epatociti la via NFkB la quale blocca l'apoptosi.

Da Robbins:
Il genoma codifica per:
La proteina del nucleocapside core (HBcAg, antigene core dell HBV) ed un polipeptide pi lungo trascritto con una
regione core ed una precore , chiamato HBeAg. Sono marker di replicazione virale
o La regione precore determina la secrezione di HBeAg direttamente nel sangue
o HBcAg resta invece negli epatociti per l assemblaggio di virioni completi (in nucleo e citoplasma).
La glicoproteina dell envelope (HBsAg, antigene di superficie di HBV), che consiste di 3 proteine correlate:
o HBsAg grande: contiene S, pre- S2 e pre- S1
o HBsAg media: contiene S e pre- S2
o HBsAg piccola: contiene solo S
Gli epatociti in grado di sintetizzare e secernere una quantità massiccia di proteine di membrana non infettanti (specie HBsAg
piccole)
Una polimerasi che mostra attività di DNA polimerasi e trascrittasi inversa. La replicazione del genoma avviene tramite
uno stampo di RNA intermedio, mediante un unico ciclo di replicazione: DNA RNA DNA
La proteina HBx, necessaria per la replicazione del virus, che agisce come un trans attivatore trascrizionale dei geni virali
e di un ampia varietà dei geni dell ospite. stata implicata nella patogenesi del cancro al fegato collegato all infezione
da HBV.

Il decorso naturale della malattia può essere seguito da marcatori sierici:

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L HBsAg compare prima dell insorgenza dei sintomi, raggiunge il culmine nel corso della malattia conclamata e poi
diminuisce a livelli non evidenziabili in 3-6mesi
Gli Ab anti- HBs non aumentano fino a quando non è terminato l episodio acuto e di solito non sono rilevabili se non
settimane o mesi dopo la scomparsa di HBs. Possono persistere per tutta la vita fornendo protezione dall infezione
(questo è alla base del vaccino, che sfrutta particelle HBs non infettive)
HBeAg, DNA pol e HBV-DNA compaiono nel siero subito dopo HBsAg e indicano tutti uno stato di moltiplicazione
virale attiva. La persistenza di HBeAg un importante indicatore di della continua replicazione virale, dell infettività e
probabile progressione ad epatite cronica. La comparsa di Ab anti HBe indica che la fase acuta dell infezione ha toccato
l acme e che in regressione
Le IgM anti HBc diventano dosabili nel siero poco tempo prima dell insorgenza dei sintomi, in concomitanza con il
marcato rialzo dei livelli sierici di aminotransferasi (indicativi di distruzione epatocitaria). Sono progressivamente
sostituite da IgG anti HBc.

Talvolta compaiono ceppi mutati di HBV che non producono HBeAg, ma sono competenti per la replicazione in quanto esprimono
HBcAg. In questi casi i livelli di HBeAg non sono rilevabili ma il genoma virale sì.
Un secondo possibile sviluppo infausto è determinato dalla comparsa di mutanti in grado di eludere la risposta immunitaria indotta
dal vaccino (escape mutant). L HBsAg in questi casi non è più riconosciuto dagli Ab anti- HBsAg prodotti grazie alla risposta
vaccinale.
La risposta immunitaria dell ospite al virus il principale fattore che determina l esito dell infezione. I meccanismi immunitari
proteggono l ospite durante le fasi iniziali dell infezione e una forte risposta da parte di cellule CD4+ e CD8+ virus- specifiche che
producono IFN associata alla risoluzione dell infezione acuta. Si presume che il danno epatocitario non sia dovuto direttamente
ad HBV, ma ai linfociti T CD8+ citotossici, che attaccano le cellule infette; infatti molti portatori cronici hanno virioni nei propri
epatociti senza alcuna evidenza di danno cellulare.

Infezione da HCV
Epidemiologia
Si calcola che siano infette 170 milioni di persone nel mondo. Il tasso è maggiore in America latina, Africa,
oriente. In Italia si calcolano un milione e mezzo di infetti.
Tra quelli con Ac anti HCV il 60-85% ha in circolo anche l'RNA virale: questo significa, come vedremo
dopo, che l'infezione cronicizza in una altissima percentuale di pazienti.

Il numero delle infezioni si è ridotto drasticamente: un primo scalino si è avuto con l'introduzione di siringhe
monouso, un secondo con l'introduzione dello screening per i donatori di sangue.
Attualmente la maggior parte di nuove infezioni è dovuta ad assunzione di droga in endovena ed emodialisi.

Nonostante ciò gli effetti dell'infezione si protraggono negli anni, e il numero di carcinomi e cirrosi dovute a
HCV toccheranno il massimo nella prossima decade; la mortalità da HCV avrà il picco attorno al 2020.

Microbiologia
HCV è un virus della famiglia dei flaviviridae.
E' un virus sferico, rivestito da un envelope fosfolipidico nel quale sono inserite proteine di origine virale
necessarie all'interazione con i recettori sugli epatociti e alla fusione tra la membrana di questi e l'envelope
virale.
Il capside contiene il genoma, una molecola di RNA a catena singola, in cui si riconoscono geni:
Strutturali (che codificano per le proteine del core e dell'envelope)
Non strutturali (che codificano per polimerasi e altre proteine adibiti al controllo del ciclo replicativo
e alla permanenza del virus negli epatociti)

HCV ha ampia variabilità genica e ampia capacità di mutazione, che consentono al virus di sfuggire alla
risposta del sistema immunitario: non esiste infatti una immunizzazione efficace e l'infezione va molto
spesso incontro a reinfezione (un primo contagio non determina immunizzazione) e cronicizzazione, anche a
fronte della positività ad anticorpi anti-HCV. Per questo stesso motivo non è stato possibile allestire un
vaccino efficace.

Trasmissione
Parenterale classica: sangue, trapianti di organi da donatori infetti, procedure odontoiatriche
Parenterale inapparente: rasoi, spazzolini, tatuaggi
Sessuale

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Materno fetale

Decorso clinico
a) Periodo di incubazione 1-2 mesi
b) Fase acuta clinicamente silente nella maggior parte dei casi, testimoniata solo dall aumento delle
transaminasi. Nel 15% si manifesta con forma itterica.
c) Fase cronica per i motivi discussi sopra, l infezione cronicizza nel 90% dei pazienti. Nel 10%,
tuttavia, la risposta immunitaria in grado di debellare l infezione.
La caratteristica dell epatite cronica da HCV il ripetersi di episodi di danno epatico, che sono il
risultato della riattivazione dell infezione dovuta alla nascita di un ceppo mutato. Questo modello
si presta bene a spiegare quanto detto prima circa l istologia delle epatiti croniche (con fasi attive e
non attive).
d) Evoluzione a cirrosi si
realizza nel 20% dei casi.
I fattori che predispongono a
questa progressione sono
l'infezione concomitante da
HIV e l'abuso di alcol.
e) Evoluzione a insufficienza
epatica o HCC.

Aspetti istologici
Anche per l infezione da HCV,
accanto ai tratti istologici già
descritti, è possibile identificare
alcuni aspetti peculiari.
Degenerazione grassa epatocitaria, che configura un quadro di steatosi macrovescicolare: questo
sembra dovuto all insulino-resistenza che si svilupperebbe negli epatociti infetti da HCV. Questo
aspetto prevalente nelle infezioni da genotipo 3. I vacuoli sono visibili nell immagine in alto a
sinistra.
Presenza di linfociti nei sinusoidi (indicati dalle frecce nell immagine in alto a destra).
Presenza di aggregati linfoidi negli spazi portali, che possono configurare dei veri e propri follicoli
linfatici, visibili nella foto in basso a sinistra.
Danno dei dotti biliari, che potrebbe essere dovuto all infezione dei colangiociti (basso dx).

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Infezione da HDV
Microbiologia
Virus appartenente alla famiglia dei delta viridae.
HDV è virus sferico, con envelope fosfolipidico (in cui è inserito HBsAg) e un capside, costituito dall'Ag
delta, contenente una molecola di RNA circolare a singola elica.

E' un virus difettivo: infatti non possiede, nel suo genoma, un tratto in grado di codificare per l'HBsAg,
molecola che è altresì indispensabile al virus per compiere il suo ciclo replicativo: è infatti il recettore virale
che consente al virus di interagire con le cellule dell'ospite.
Quindi l'infezione da HDV potrà realizzarsi solo ed esclusivamente in presenza di HBV dal quale mutua
l'HBsAg.

Epidemiologia e trasmissione
Il 5-10% dei pazienti HBsAg positivi ha coinfezione; tuttavia la prevalenza di HDV tra i portatori di HBsAg
si sta riducendo.
La trasmissione è analoga all'HBV:
Parenterale classica (sangue)
Parenterale inapparente (strumenti taglienti contaminati anche se apparentemente puliti)
Sessuale
Materno-fetale.

Clinica
a) Coinfezione
Sono contratti simultaneamente HBV e
HDV in un soggetto negativo per HBV.
Le possibilità sono tre:
1) Epatite acuta grave, talvolta
anche fulminante
2) Guarigione: evenienza più
frequente
3) Cronicizzazione; molto raro

b) Superinfezione
Un soggetto già infettato da HBV
(verosimilmente in fase cronica) viene
secondariamente infettato da HDV. Evolve frequentemente verso forme croniche B+D, molto gravi.

Da Robbins:
L infe ione la en e indipenden e dall helpe può essere osservata nel contesto di un trapianto di fegato.
L HDV pu essere rilevato nei nuclei di fegato impiantato entro alcune ore dal trapianto senza evidenza di infezione da HDV
produttiva o re- infezione da HBV.
Questo pu verificarsi a causa dell infezione dell organo trapiantato da parte del solo HDV, mentre l infezione da HBV concomitante
viene prevenuta mediante la somministrazione di immunoglobuline anti HBV per evitare la re- infezione. Durante questa fase latente,
non si riscontra di norma alcuna evidenza di epatopatia. La viremia da HDV e l epatite si hanno solo quando HBV sfugge alla
neutralizzazione e si verifica co- infezione dell organo trapiantato con alti livelli di replicazione dell HBV, con conseguente
attivazione dell HDV da parte del virus helper.

Diagnosi e terapia
Dosaggio dell RNA nel sangue e nel fegato immediatamente prima e nei primi giorni della fase acuta della malattia
sintomatica.
Le IgM anti- HDV sono l indice pi affidabile della recente esposizione al virus, sebbene la loro comparsa sia tardiva e
abbiano spesso breve vita.
La co- infezione acuta da HDV e HBV è ben documentata dal riscontro di IgM anti- HDV e anti- HBcAg
In caso di super- infezione, HBsAg è presente nel siero e gli Ab anti- HDV (IgM e IgG) persistono per mesi o per periodi
più lunghi

A fini terapeutici, funziona solo l IFN . La vaccinazione per HBV pu prevenire anche l infezione da HDV.

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Epatite E
HEV è un virus a RNA positivo senza involucro, appartenente al genere Hepeviridae.
Un Ag specifico (Ag HEV) può essere identificato nel citoplasma degli epatociti infetti in fase attiva di malattia e i virioni vengono
liberati nelle feci durante la fase acuta.

un infezione enterica che si trasmette attraverso l ingestione di acque infette: il periodo medio di incubazione dopo l esposizione è
di 6 sett.; colpisce soprattutto i giovani e gli adulti di mezza età.
Si tratta di una malattia zoonotica; il serbatoio è costituito da animali come le scimmie, i gatti, i maiali e i cani.
Spiega il 30-60% delle epatiti acute in India (più frequente di HAV!). Si riportano casi di epatite E anche in Messico, Africa sub
sahariana e Asia.
Elemento caratteristico di questa infezione è l al o a o di mo ali delle donne in g a idan a, che rasenta il 20%.
Nella maggior parte dei casi, l infezione auto- limitantesi e non si associa ad epatopatia cronica o viremia persistente.

Epatite G
Si chiama HGV il virus clonato nel 1995 e somigliante all HCV (Flavivirus).
Si trasmette
con sangue contaminato o emoderivati
per contatto sessuale.
Il virus non è epatotropo e non causa innalzamento delle transaminasi.
Pare invece replicarsi nel midollo osseo e nella milza, ma non causa alcuna malattia nota.
In genere co- infetta pazienti portatori di HIV e questa doppia infezione è in qualche modo protettiva nei confronti della patologia da
HIV.

ALTRE EPATITI NON VIRALI

Epatite autoimmune
Forma di epatite cronica prevalente nel sesso femminile, che clinicamente si caratterizza elevata attività di
malattia (testimoniata da valori altissimi delle transaminasi) e prognosi grave (evoluzione a cirrosi entro 6
mesi dalla diagnosi in assenza di trattamento.
Il processo infiammatorio è sostenuto da linfociti T, che provocano danno sia mediante la produzione di
citochine (IFN ), sia mediante danno citotossico diretto.
La causa che scatena questo attacco verso il fegato è ignota: sono stati ipotizzati fattori virali e farmaci, ma il
fatto che si realizzi spesso in concomitanza di altri quadri autoimmunitari (SS, AR, LES) lascia ipotizzare
una disregolazione immunitaria primitiva.

Da un punto di vista laboratoristico gli aspetti caratteristici sono:


AST/ALT
-globuline sieriche
Marker virali assenti
Pannello di autoanticorpi positivi, in particolare sono tipici:
o Anti-nucleo
o Anti-microsomi (diretti contro il CYP2D6)
o Anti-muscolo liscio (ASMA)

Anatomia patologica
Aspetti sovrapponibili con quelli visti nell epatite cronica. La necrosi e la fibrosi sono molto marcate.
Un aspetto caratteristico è la presenza di agglomerati di plasmacellule a livello della lamina limitante
periportale.

Epatite da farmaci
Ricordiamo brevemente che il danno epatico da farmaci può essere di due tipi:
Prevedibile e dose correlato (reazione avversa di tipo A) paracetamolo
Idiosincrasica, dipendente da un difetto metabolico o da una reazione immunitaria isoniazide (il
principale)

Clinicamente si possono avere epatiti acute o croniche. Gli aspetti istologici sono analoghi a quelli già
descritti. Forma tipica è la forma granulomatosa, in cui si evidenziano tipiche formazioni nodulari costituite
da istiociti, cellule epitelioidi e linfociti.

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Da Robbins:
La variabilità genetica è un fattore
fondamentale che influisce sulla
suscettibilità al danno indotto da
farmaci; il danno può risultare da:
tossicità diretta per gli
epatociti o le cellule
biliari (necrosi, apoptosi,
alterazione funzionale)
conversione epatica di
uno xenobiotico a
molecola attiva
meccanismi immuni,
causati da agenti esogeni
che fanno da apteni.

In genere, sono più suscettibili gli


adulti dei bambini, e le F più dei M.
La lesione può essere immediata o
venire dopo settimane/ mesi, dando
segni di sé solo dopo aver causato
gravi danni epatici. L epatite cronica
da farmaci è indistinguibile da
un epatite cronica virale dal punto di
vista macroscopico (utile la
sierologia nella ddx).
La sindrome di Reye, rara e
potenzialmente fatale, si caratterizza
per l insufficienza dei mitocondri del fegato, del cervello e altre sedi; colpisce i bambini e si distingue per l accumulo di goccioline di
lipidi negli epatociti (steatosi microvescicolare). Si associa alla somministrazione di ASA nei bimbi.

Epatite alcolica
Alterazioni morfo-funzionale del fegato causata da abuso di alcol. Rappresenta una delle maggiori causa di
epatopatia in occidente ed è responsabile di una quota rilevante di cirrosi (perché per i virus esistono vaccini,
farmaci e norme igieniche efficaci).

Cenni di patogenesi
Per poter meglio comprendere le alterazioni morfologiche, riepiloghiamo brevemente i meccanismi con cui
l alcol produce danno.
Innanzitutto è necessario ricordare il suo metabolismo:

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Come si vede dal demoniaco schema del Robbins l'etanolo è ossidato ad acetaldeide, mediante tre
meccanismi:
Alcol deidrogenasi
Sistema inducibile P450 dipendente MEOS (CYP2E l)
Catalasi perossisomiale
L'acetaldeide, elemento tossico e volatile, viene quindi convertita in acido acetico dall'enzima aldeide
deidrogenasi.

Durante questi processi enzimatici insorgono però vari "scompensi" metabolici, dannosi per la cellula:
L'ossidazione mediata dalla alcol-deH determina una riduzione di NAD+ ed un aumento di
NADH. Questo porta a una riduzione dei processi di ossidazione (in cui il NAD + è un
cofattore fondamentale) steatosi.
L'acetaldeide, elemento intermedio, è tossica e danneggia le membrane. Nelle persone con una
variante difettiva dell'aldeide-deH l'ingestione di alcol provoca danno acuto necrosi
L'ossidazione operata dal CYP2E l genera ROS, che danneggiano la cellula necrosi
A livello intestinale l'alcol determina la liberazione di LPS da parte della flora; l'LPS stimola il
rilascio di CC tossiche da parte delle cellule di Kupffer infiammazione
I ROS generati dall'ossidazione e le CC prodotte dai macrofagi attivano le cellule di Ito
fibrosi. Se si pensa che i fattori che attivano le Ito si generano laddove viene metabolizzato
l'alcol, ovvero nella zona centrale del lobulo, si capisce anche perché la deposizione dei setti
fibrosi comincia da qui (e non dallo spazio portale, come nelle forme virali).

Eziologia
Effetto epatotossico diretto dell alcool
Quantità epatotossica: >30g/die (cioè 3 bicchieri, 300ml)
Fattori di rischio
o Età giovane
o Razza
o Sesso F più predisposto alla tossicità da alcool.

Evoluzione morfologica
La patologia epatica da alcol evolve in 3 stadi anatomo-patologici, che riconoscono dei paralleli clinici.
I tre stadi sono sequenziali.
Steatosi: degenerazione grassa del fegato. AST e ALT sono inalterate. È reversibile.
Steatoepatite alcolica: oltre un certo limite, le gocce di grasso presenti negli epatociti causano
rottura della membrana cellulare, con conseguente fuoriuscita di grasso e innesco di una
reazione infiammatoria (epatite). Si ha innalzamento di AST e ALT, potenzialmente grave.
Cirrosi alcolica: si arriva a fibrosi e cirrosi, irreversibili e terminali.

1) Steatosi
Il fegato steatosico è ingrandito (aumenta sia in volume sia in peso), di colore giallastro ed untuoso (al
taglio sporca e unge il coltello). La consistenza è ridotta ed è per questo facilmente improntabile.
Le cause di steatosi sono diverse:
Alcol
Diabete
Obesità.

Istologicamente si riconoscono due forme di steatosi, micro- e macro-


vescicolare.
Steatosi microvescicolare: quadro che si realizza in seguito
all'assunzione anche moderata e sporadica di alcol. È ovviamente
del tutto reversibile.
Si caratterizza per la raccolta di micro- vescicole all'interno delle
cellule, che non ne modificano la forma.

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Steatosi macrovescicolare: se l assunzione di alcol diviene
cronica il quadro micro- verte verso quello
macrovescicolare.
Le piccole goccioline viste prima si fondono creando dei
grossi globuli che occupano interamente il citoplasma e
spostano il nucleo in periferia.
La fissazione porta via il grasso (alcol e xilolo sono
liposolventi), per cui in MO convenzionale gli epatociti
hanno al loro interno un immagine negativa, di vuoto (in
corrispondenza della quale prima c era il grasso).

Il fegato di un donatore con steatosi microvescicolare può essere trapiantato fino ad un interessamento
del 30%; se la steatosi di tipo macrovescicolare, invece, quell organo non pu invece essere
trapiantato: il paziente che va incontro a trapianto è cirrotico, per cui ha ipertensione portale (ostacolo al
flusso nel fegato), e se ricevesse un organo con steatosi macrovescicolare a causa di questo alto regime
pressorio la membrana cellulare già sottile e stirata si romperebbe, provocando necrosi.
La steatosi microvescicolare invece non presenta grandi problemi.
[il grasso potrebbe essere colorato con coloranti specifici, ma a fresco]

2) Epatite alcolica
Caratterizzata da alcuni reperti caratteristici e molto suggestivi
della patogenesi alcolica. In particolare:

Rigonfiamento e necrosi degli epatociti: le cellule,


ripiene di grasso e acqua, vanno incontro a
rigonfiamento e quindi a rottura.
Reazione neutrofila: la necrosi degli epatociti richiama
un infiltrato infiammatorio formato prevalentemente
da neutrofili, che invadono diffusamente il lobulo,
accumulandosi intorno agli epatociti necrotici. In
particolare i vacuoli lipidici che si liberano dopo la
rottura della cellula sono circondati da una reazione
istiocitaria che cerca di inglobare il grasso: questo
aspetto è detto lipogranuloma. Permette ddx con forme
virali e AI
Corpi di Mallory: epatociti degeneranti che
accumulano matasse di filamenti intermedi di
citocheratina 8 e 18 (si tratta in pratica di elementi del
citoscheletro danneggiati dai ROS); sono visibili come
inclusioni eosinofile. Sono caratteristici ma non
patognomonici della malattia epatica alcolica (sono
presenti anche in CBP, Wilson, colestasi)
Fibrosi perivenosa e perisinusoidale (visibile alla
colorazione tricromica): il processo si accompagna ad
attivazione delle cellule stellate, con deposizione di
setti fibrosi. Il quadro sta evolvendo verso la cirrosi.
Spesso i pazienti negano l assunzione di alcool, ma queste
caratteristiche istologiche stabiliscono con certezza l eziologia
alcolica.

3) Cirrosi
La cirrosi è l'esito finale dell'epatopatia alcolica.

Istologia. La differenza con la cirrosi che consegue alle infezioni è che i setti fibrosi sono deposti dal
centro del lobulo verso la periferia (centro-portali). Questo genera dei noduli più piccoli e si parla
quindi di cirrosi micro nodulare (<3mm).

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La cirrosi macronodulare è caratteristica di tutte le altre forme,
dalle virali alle tossiche alle metaboliche di altro tipo.

Gli epatociti rimasti vitali proliferano, dando luogo a noduli


rigenerativi (i dettagli della cirrosi si vedranno dopo); alcuni
noduli possono andare incontro a ischemia generando aree di
tessuto cicatriziale duro e pallido (cirrosi di Laennec).

Macroscopica. Il fegato diventa bruno, ingrossato e bitorzoluto.


La diffusa nodularità della superficie crea un aspetto "a testa di
chiodo". Alcuni noduli, per la stasi biliare, appaiono verdastri.

Correlazioni anatomo-cliniche
Steatosi: epatomegalia e sintomi GI aspecifici. Ben visibile in ecografia.
Epatite: epatomegalia e aumentodi AST/ALT.
Cirrosi: evoluzione lenta e progressiva; compaiono i segni di insufficienza epatica e
dell'ipertensione portale indotta dalla cirrosi stessa (ascite, rottura di varici esofagee).
Solo il trapianto può risolvere questo quadro.

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2) CIRROSI

La cirrosi un alterazione cronica, diffusa ed irreversibile del parenchima epatico; rappresenta


l'elemento patologico terminale delle epatopatie croniche. La sua eziologia è quindi variabile, e in
ordine di frequenza abbiamo:
Epatiti virali (B e C)
Epatopatia alcolica (in aumento)
Patologie dei dotti biliari (CBP e colangite sclerosante primitiva).
Epatiti autoimmuni
Patologie metaboliche (emocromatosi, Wilson, deficit di -1 antitripsina)
Cirrosi cripto-genica (10%)
Farmaci/ tossici.

Anatomia patologica
La cirrosi è definita dai seguenti elementi istologici:
I) Fibrosi: la fibrosi è l'elemento cardine del danno epatico cronico. Ricordiamo che, nelle forme
di gran lunga più frequenti di cirrosi (virale e alcolica), i setti fibrosi sono deposti con pattern
diverso:
a. Porto-portale: virale
b. Centro-portale: alcol
2) Noduli di rigenerazione di epatociti: la fibrosi sepimenta il parenchima in noduli, nei quali
sono presenti epatociti rigeneranti. Sulla base della dimensione dei noduli si differenziano la
cirrosi:
a. Micronodulare (< 3 mm): alcol
b. Macronodulare (> 3 mm): virus

3) Sovvertimento dell'intera architettura del fegato: la cirrosi è per definizione un processo


diffuso, non focale
4) Riorganizzazione vascolare: come vedremo, la dinamica vascolare (a causa della deposizione
di collagene negli spazi di Disse) è completamente alterata. Come risposta a ciò si creano
nuovi vasi che decorrono nel contesto delle fibre collagene neo-deposte, e si portano
direttamente dagli spazi portali alla vena centro lobulare: in questo modo il sangue refluo
dall'intestino "salta" il parenchima, creando i presupposti per molti aspetti clinici.

Patogenesi
Il protagonista della cirrosi sono le cellule di Ito, che acquistano fenotipo di mio-fibroblasti. La loro
proliferazione e attivazione è operata dalle citochine prodotte sia dalle cellule infiammatorie infiltranti,
sia dai macrofagi di Kupffer

Una volta attivate, specifiche molecole guidano i due processi di cui sono responsabili:

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TGF β: Secrezione di collagene. Questo
viene depositato nello spazio di Disse,
determinando il fenomeno della
"capillarizzazione dei sinusoidi". Questo
evento è alla base di alcuni pattern
fisiopatologici che saranno determinanti nella
clinica della cirrosi:
a. Ipertensione portale ( apertura
circoli collaterali)
b. Creazione di neo-vasi nel contesto dei
setti ( shunt)
c. Perdita di contatto tra epatociti e
sangue (non secernono più molecole
nel sangue)
Endotelina-1: Contrazione. La contrazione
delle cellule di Ito, assieme alla capillarizzazione dei sinusoidi, è il meccanismo principale
dell'ipertensione portale.
Nel frattempo, il danno (vuoi virale, vuoi infiammatorio, vuoi causato dall'alcol) stimola la
rigenerazione degli epatociti sopravvissuti. Essendo però "intrappolati" fra i setti fibrosi, si crea il
classico nodulo rigenerativo.

Cenni clinici
Ricordiamo brevemente gli aspetti clinici principali, elencandoli in base al meccanismo fisiopatologico
che li determina:
Ipertensione portale: determina apertura dei circoli collaterali porto-sistemici. Questo a sua
volta determina varie complicanze:
o Rischio di rottura (varici esofagee)
o Passaggio in circolo di molecole tossiche, che bypassano il filtro epatico (encefalopatia
porto sistemica).
Attività metabolica epatica: gli epatociti, oltre ad essere numericamente ridotti e
funzionalmente sofferenti, perdono il contatto con i capillari ed hanno difficoltà a immettere in
circolo le varie molecole che producono. Questo si riflette in vari aspetti:
o riduzione dei fattori della coagulazione: rischio emorragico
o riduzione della sintesi di albumina e quindi della pressione oncotica capillare:
trasudazione ed ascite/anasarca
Stasi splenica: splenomegalia ed ipersplenismo (aumento dell'attività della milza) aumento
dell emocateresi, piastrinopenia ed esacerbazione del rischio emorragico
Encefalopatia porto- sistemica
Spider nevi
Ginecomastia
Aumento del rischio di HCC
Ipertensione portale
o Varici esofagee, gastriche, emorroidarie
o Ascite
o Splenomegalia
o Caput medusae periombelicale.
Child-Pugh: Valutazione dei pazienti cirrotici
Punteggio 1 2 3
INR < 1.7 1.7 - 2.3 > 2.3
Albumina > 3.5 3.5 - 2.8 < 2.8
Bilirubina <2 2-3 >3
Ascite Assente Moderata Severa
Encefalopatia Assente Recente Croncia
Score A = fino a 6 B = fino a 9 C = oltre 10

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Classificazione WHO delle cirrosi
Morfologica Istologica Eziologica
Macronodulare (>3 mm) Post-necrotica Genetica
Micronodulare (di Laennec) (<3mm) Post-epatitica Criptogenetica
Mista Biliare Tossica
Congestizia Biliare
Infettiva

L unica terapia il trapianto di fegato.

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3) EPATOPATIE METABOLICHE

Malattie su base metabolica che hanno in comune un'alterazione, acquisita o congenita, del
metabolismo, tale per cui, all'interno dell'epatocita, si accumulano sostanze che determinano danno
(dette perciò epatotossiche).
In questo gruppo rientrano:
NASH
Wilson
Emocromatosi
Deficit di 1 antitripsina

NASH (steatoepatite non alcolica)


Epatopatia in cui sono presenti alterazioni morfologiche tipiche del danno alcolico in soggetti non
bevitori.

Eziologia
Diabete mellito di tipo II
Obesità
Malattie metaboliche (ipertrigliceridemia, A lipoproteinemia, lipodistrofia)
Nutrizione parenterale totale
Bypass gastrico o digiuno-ileale
Farmaci (Amiodarone, Tamoxifene, Cortisone)

I meccanismi con cui si sviluppa la malattia non sono noti. Si pensa che un fattore primitivo sia alla base
dell'accumulo di grasso nel fegato (ad es. diabete). Su questo background agisce il danno ossidativo (la
cui entità sembra essere modulata da fattori genici), che determina il danno epatocitario.
L'entità di questo danno ossidativo discrimina i pazienti con fegato grasso, ma "semplice" steatosi
asintomatica, da quelli con fegato grasso che invece sviluppano NASH.

Anatomia patologica
I tratti della steato-epatite non alcolica sono simili a quelli della steatoepatite alcolica, sebbene spesso
meno prominenti:
Steatosi, di tipo macrovescicolare
Danno epatocitario, con degenerazione balloniforme e necrosi. Sono visibili, in alcuni di essi,
i corpi di Mallory
Infiammazione diffusa, sostenuta da neutrofili
Fibrosi, che si realizza sia nei tratti portali, sia nei pressi della vena centro lobulare. Il quadro
può evolvere in cirrosi, in tempi in verità piuttosto lunghi.

Quando si "entra" in cirrosi


l'aspetto steatosico viene
meno, e la identificazione
della forma diventa più
complicata (sono quelle che
spesso vanno a cascare fra le
"cirrosi criptogeniche").

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Stadio
La patologia viene stadiata con un sistema diverso rispetto a quello utilizzato per le forme tossiche,
virali o autoimmuni (stadiazione secondo Brunt).
0 fibrosi assente
1 fibrosi perivenosa e perisinusoidale
2 fibrosi periportale
3 fibrosi a ponte
4 cirrosi.
Grado
% di steatosi (0-3)
Numero di epatociti balloniformi (0-2): sia nella forma alcolica sia in quella metabolica, gli
epatociti intorno alla vena centrale hanno aspetto balloniforme, di dimensioni più grandi ma non
ipertrofici (tipo degenerazione vacuolare: citoplasma più chiaro, grandi dimensioni)
Numero di focolai infiammatori (0-3): numero di lipogranulomi e di focolai di aggregati di
neutrofili

Aspetti clinici
Il quadro clinico è dominato dalla malattia di base e dalle sue verosimili complicanze (pensa al diabete).
Un aspetto interessante per differenziare già alla visita la NASH dalla steatoepatite alcolica è il rapporto
fra le transaminasi:
Alcol: AST > ALT
NASH (e forme virali): ALT > AST
Questo perché AST è mitocondriale e il danno alcolico è prettamente mitocondriale.
Occorre poi escludere tutti gli altri fattori di rischio per arrivare a diagnosticare la NASH.
Il paziente lamenta faticabilità, malessere generale, ed ha epatomegalia. Può evolvere in cirrosi.

Malattie Genetiche
Il disturbo metabolico non è acquisito ma congenito, dovuto a difetto genetico. Sono emocromatosi,
malattia di Wilson e deficit di 1-anti-tripsina. Tutte possono portare a cirrosi.
Negli epatociti si accumulano metalli (ferro, rame) o proteine (alfa1-antitripsina, prodotta dal fegato che
però è incapace di immetterla in circolo in patologia) che determinano danno epatocellulare,
infiammazione, fibrosi e conseguente cirrosi.

Emocromatosi
Malattia ereditaria a trasmissione AR caratterizzata da eccessivo assorbimento di ferro, il quale si
deposita in organi parenchimatosi, specie in fegato, cuore e pancreas, ma anche ipofisi, surreni,
linfonodi, cute.
Tale patologia viene anche chiamata diabete bronzino, in quanto si accumula nella cute conferendole
appunto un colorito bronzino, e nel pancreas provocando diabete mellito.
Ricordare la differenza con l'emosiderosi, condizione in cui l'accumulo di ferro non è conseguenza di un
difetto genico ma di una causa acquisita (ad es. eccesso di trasfusioni).

Patogenesi
L'aliquota di ferro normalmente presente nell'organismo è 2-6 mg; nell'emocromatosi può raggiungere i
50 mg, di cui 1/3 si accumula nel fegato sotto forma di emosiderina.
Ricordiamo che i livelli di ferro sono modulati mediante la regolazione del suo assorbimento, poiché
non esistono processi di eliminazione.
Brevemente per ripasso:
Il ferro, dal lume intestinale, è internalizzato dalle cellule della mucosa intestinale, dove viene
stoccato in ferritina.
Da qui, viene immesso nel sangue, mediante la ferroportina, espressa sul versante
basolaterale. Nel sangue sarà trasportato dalla transferrina, e quindi captato da chi espone il
recettore per essa specifico (tra cui il fegato).
Per ridurre i livelli di Fe viene prodotta l'epcidina, che media l'internalizzazione della
ferroportina, impedendo il passaggio del ferro dalle cellule mucosali al sangue. Con la
desquamazione della mucosa anche il ferro viene espulso.

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Quindi: l'epcidina fa abbassare i livelli di ferro; poca epcidina = tanto ferro.
L'emocromatosi è causata da una mutazione a livello di:
Gene che codifica per epcidina (HAMP): emocromatosi giovanile. Presente nel 70-100% di
casi di EC: il suo ritrovamento mediante analisi genica è discriminante
Gene che codifica per una proteina coinvolta nella modulazione dei livelli di epcidina (HFE):
forma classica di emocromatosi dell'adulto.
Aumenta l assorbimento intestinale di ferro per mutazione del gene HFE, codificante per una
proteina espressa nelle cellule delle cripte dell intestino tenue la quale ha un importante
funzione di regolazione dell assorbimento intestinale di ferro.
La mutazione omozigote di HFE C282Y è frequente, ma la penetranza clinica è bassa: la
malattia conclamata è rara.
Esiste un altra mutazione, rilevata nel 25% della popolazione italiana (forma eterozigote), che
non dà problemi clinici.

Il ferro si accumula negli organi, specie nel fegato, dove determina danno mediante stress ossidativo
(interferisce con gli enzimi Fe-dipendenti che generano ROS vd reazione di Fenton). Inoltre sembra
che il Fe funga da stimolo diretto per la produzione di collagene.
Si tratta quindi di una epatotossina diretta: non è presente infìammazione.

Anatomia patologica
Macroscopicamente, il fegato è ingrandito, denso, e di colore bruno-
cioccolata.

All'istologia, in E&E si vedono granuli brunastri nel citoplasma;


l'elemento più caratteristico è la positività alle colorazioni con Blu di
Prussia o Pearls (ferro cianato di K + HCl), che colora di blu i
granuli di emosiderina presenti negli epatociti.
Il patologo non fa diagnosi di emocromatosi: segnala importante
accumulo di emosiderina nel fegato; il clinico può prescrivere
indagini genetiche per la diagnosi di certezza.
Nelle prime fasi l'architettura del fegato è normale
Man mano che l'accumulo prosegue (ricorda che la malattia
si manifesta in età adulta, anche se l'accumulo comincia da
subito!) si sviluppano setti fibrosi che, negli stadi finali,
portano a cirrosi micro-nodulare.
L'emocromatosi rappresenta un fattore di rischio per lo
sviluppo di HCC, che si sviluppa su foci di cellule che
hanno perso la capacità di captare ferro (iron-free foci).
Queste cellule, infatti, in un fegato putrefatto dal metallo
acquistano un vantaggio proliferativo e danno origine a foci
di rigenerazione dai quali, per ulteriori mutazioni
aggiuntive, originerebbe l'HCC. La presenza di tali aree
segnalate all'analisi istologica impone uno stretto follow-up da parte del clinico.
Il 30% dei pz con emocromatosi va incontro a HCC; cruciale fare diagnosi precoce.

Aspetti clinici
L'esordio, attorno ai 40 anni, è subdolo, con astenia, malessere perdita di peso, dolori addominali, DM
in paziente senza familiarità o fattori di rischio alimentari.
Successivamente compaiono sintomi più specifici dovuti all'accumulo di ferro in distretti specifici:
Sintomi da insufficienza epatica
Epato e splenomegalia
Aumento della pigmentazione cutanea
Diabete, per atrofia del pancreas
Artropatia (metallo nelle articolazioni)
Aritmie e cardiomiopatie (deposito di ferro nel tessuto di conduzione)
Ipogonadismo per accumulo nell'ipofisi

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Malattia di Wilson (degenerazione epato-lenticolare)
Malattia caratterizzata da alterazioni congenite nel metabolismo del rame, tali per cui si assiste ad
accumulo di rame, specialmente a livello di fegato, SNC (soprattutto a livello dei nuclei della base,
onde il termine lenticolare ) e cornea (alone verdastro, o anello di Keyser Fleisher).

Patogenesi
La malattia di Wilson è una malattia genetica a trasmissione AR, dovuta ad una mutazione nel gene che
codifica per la proteina ATP7B.
Malattia rara in EU e negli USA, ha una frequenza elevata in Sardegna e Costarica

ATP7B è una ATP-asi di membrana espressa dagli epatociti, deputata a "muovere" gli atomi di rame. In
particolare, lo butta:
1) Nella ceruloplasmina, proteina deputata al trasporto plasmatico del rame
2) Nella bile, via per l'escrezione del rame
3) Negli enzimi Cu-dipendenti.

La sua disfunzione determina quindi accumulo di rame negli epatociti. Questo accumulo causa:
Legame con proteine citoplasmatiche (tubulina) a livello di gruppi sulfidrilici
Formazione di ROS

Morfologia
Le alterazioni epatiche variano da quadri moderati a quadri
molto gravi. Abbiamo:
Steatosi macrovescicolare
Infiammazione neutrofila, con formazione di
lipogranulomi. In particolare si tratta di una
infiammazione portale simile a quella dell'epatite
virale (c anche epatite peri- portale) successiva
invasione della lamina limitante.
Necrosi focale degli epatociti, con presenza di corpi
di Mallory
L'aspetto più caratteristico è comunque la
dimostrazione dell' accumulo di rame mediante una colorazione specifica per il rame (con
rodamina).

Dopo il sospetto clinico, si fa una sideremia per escludere l emocromatosi, e poi si studia la cupremia (=
Cu nel sangue)
È necessario comunque dosare i valori di rame nel fegato, dato che il rame può accumularsi anche in
altre condizioni (colestasi) dando positività alla rodamina; nel Wilson la quantità è > 250 µg/gr di
fegato secco (VN <50).
Tuttavia, nessuno a Pisa fa questo esame: l indagine genetica ha superato il dosaggio del rame.

Cenni clinici
Altre all'interessamento epatico, che può manifestarsi come epatite acuta o cronica, possono essere
presenti altri sintomi, dovuti ad interessamento extra-epatico:
Sintomi neurologici, per danno del putamen (parkinsonismo); è per questo detta anche
degenerazione epato-lenticolare (descritta così da Wilson nel 1913).
Anello di Kayser Fleisher, nell occhio, di colore grigio- verde: si ha per deposito di rame nella
membrana di Descemet della cornea.

L esordio clinico vario, si può avere nella prima infanzia ma anche a 60 anni

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Deficit di α l-AT
Patologia autosomica recessiva, caratterizzata da deficit di l-antitripsina, che si manifesta a livello
epatico e, come prevedibile, polmonare.

Patogenesi
Il tratto fondamentale della malattia è la mutazione nel gene che codifica per la l-AT, proteina
sintetizzata dagli epatociti e deputata a neutralizzare le elastasi rilasciate dai neutrofili in corso di una
risposta infiammatoria.
Tale proteina si rende quindi particolarmente importante in corso di infezioni polmonari, in quanto
protegge le fibre elastiche dei setti interalveolari.
In realtà questa mutazione non compromette, come accade di solito, la sintesi della proteina: questa
viene prodotta, ma, a causa della struttura molecolare alterata, polimerizza e non riesce a migrare verso
il Golgi.
Il risultato è che:
La proteina si accumula negli epatociti: innesco di apoptosi mediata dagli accumuli proteici
(innesco di auto fagocitosi). La colorazione immunoistochimica di un pezzo bioptico epatico
sarà quindi positiva perché la proteina viene prodotta e non immessa in circolo
La proteina manca a livello sistemico: si ha enfisema per distruzione dei setti interalveolari

Morfologia
I tratti caratteristici della malattia sono:
Inclusioni globulari all'interno del citoplasma degli epatociti,
o in EE sono acidofile e mal distinguibili dal citoplasma
circostante.
o in PAS sono invece intensamente PAS-positive (anche
dopo digestione con diastasi: PAS- D positività).
Fibrosi irregolare, con shift cirrotico che si realizza in modo
molto variabile a seconda della mutazione.
Necrosi degli epatociti periportali.

Cenni clinici
Il corrispettivo clinico a livello epatico è molto variabile. Può manifestarsi con:
Epatite neonatale con ittero colestatico
Cirrosi infantile
Epatite cronica subdola scarsamente sintomatica
Cirrosi che si manifesta tardivamente in età adulta; possibile shift in HCC.

COLESTASI

Sindrome clinica e biochimica (con corrispettivi morfologici specifici su cui ci focalizzeremo),


caratterizzata da una ridotta formazione o secrezione di bile, che determina accumulo della bile stessa (o
dei suoi componenti) all'interno del parenchima epatico.

Eziologia
La colestasi può essere risultato di due tipi di alterazione:
1. Disfunzione epatocitaria: a causa di specifiche alterazioni molecolari gli epatociti non sono in
grado di riversare la bile nei canalicoli.
2. Ostruzione del flusso biliare, che può realizzarsi a livello:
a. Intraepatico: CBP e CSP
b. Extraepatico: calcolosi del coledoco, tumori della testa del pancreas

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Cenni clinici
Ricordiamo che una condizione di colestasi determina impossibilità di riversare nell'intestino la bile.
Questo determina, ovviamente, due conseguenze: accumulo nel sangue di queste sostanze e loro
carenza nella sede in cui fisiologicamente dovrebbero essere.

La colestasi si manifesta quindi con:


Ittero, per l'accumulo di bilirubina nel sangue (bilirubina coniugata)
Prurito, per l'aumento dei livelli sierici di Sali biliari
Riduzione dell'assorbimento di lipidi; questo determina steatorrea e deficit nell'assorbimento
di vitamine liposolubili (A, K, D).
Xantomi cutanei, per l'aumento dei livelli sierici di colesterolo
Aumento di -GT e fosfatasi alcalina (enzimi del polo biliare dell'epatocita), reperto di
laboratorio fondamentale

Morfologia
Accumulo di pigmento biliare all'interno degli epatociti, a causa della difficoltà nel riversarlo
nei canalicoli. Questo determina la loro "degenerazione balloniforme": si vedranno perciò
gonfi e nel loro citoplasma sono evidenziabili i pigmenti biliari.
A lungo andare gli epatociti vanno incontro a morte, si "dissolvono" sotto l'azione detergente
dei Sali biliari. Questo evento dà luogo alla formazione di laghi di bile e detriti cellulari
putrefatti.
La stasi di bile nei canalicoli fa si che questi appaiano dilatati e di colore verde-marrone.
Possono quindi rompersi, riversando la bile all'esterno: questo richiama le cellule di Kupffer,
che si vedranno cariche di pigmento.
L'ipertensione all'interno del canalicolo induce anche proliferazione dei colangiociti.
Infiltrazione neutrofila attorno ai dotti

L immagine riassume quanto detto:


1. Degenerazione balloniforme degli
epatociti, in cui si vede il pigmento (si
vede anche nell immagine istologica
sotto)
2. Canalicoli dilatati
3. Epatociti morti
4. Cellule di Kupffer accorse attorno al
canalicolo, con pigmento dentro
5. Proliferazione dei dotti biliari
6. Dotto biliare dilatato
7. Epatociti della lamina limitante gonfi e
putrefatti

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Cirrosi biliare (secondaria)
Queste alterazioni appena viste sono reversibili se viene rimossa la causa dell'ostruzione (ovviamente
quando è possibile).
Se la stasi è cronica, l infiammazione che si innesca a causa della stasi stessa determina alla lunga lo
stimolo alla deposizione di fibre e alla rigenerazione degli epatociti vitali.
Ecco quindi che si configura il quadro di cirrosi biliare secondaria, per distinguerla da quella primitiva
(la differenza alla fine è solo formale e eziologica, dato che il quadro morfologico della cirrosi biliare è
analogo).

PATOLOGIE DELLE VIE BILIARI


INTRAEPATICHE
Queste patologie sono caratterizzate da un danno flogistico immuno-mediato dell epitelio dei dotti
biliari con distruzione dei dotti biliari. Le vie biliari sono distrutte, spariscono: i pazienti raggiungono
valori di bilirubina altissimi, anche 30-40. Unica cura è il trapianto.
Probabilmente vi sono fattori scatenanti la reazione autoimmune, agenti su un background genetico:
Agenti infettivi (batterici, virali)
Farmaci

Cirrosi biliare primitiva


Patologia autoimmune a patogenesi infiammatoria che si caratterizza per la distruzione delle vie biliari
intraepatiche di piccola grandezza (siamo infatti dentro al fegato: colpisce i dotti intraepatici).
L eziologia sconosciuta.
Come tutte le malattie autoimmuni è più frequente nelle donne (F:M=10:1); il picco di incidenza è
attorno ai 40- 50 anni.

Patogenesi
La CBP è provocata da autoanticorpi diretti contro l'enzima piruvato deidrogenasi, in particolare verso
la componente E2 dell'enzima (anticorpi AMA, anti-mitocondrio, con sensibilità del 95%). Il
meccanismo che conduce alla formazione di tali anticorpi è ignoto: si pensa che su un background
genetico predisponente (particolari aplotipi HLA)
intervenga un meccanismo di molecular mimicry. Se sono
negativi si definisce colangite AI o CBP AMA-.

Aspetto macroscopico
Nelle fasi iniziali il fegato non mostra alterazioni; è
lievemente aumentato di peso per l'infiammazione.
Con il progredire della malattia, la stasi biliare (vedi
dopo) conferisce al fegato un tipico aspetto verdastro.
Si ha anche riduzione di peso e volume.
Nelle fasi terminali l'aspetto esterno è analogo a quello
di una cirrosi micro- nodulare.

Istologia
La malattia, contrariamente a tutte le forme viste ora,
non "si colloca" nel lobulo, ma, almeno inizialmente,
negli spazi portali.
È possibile riconoscere diverse fasi evolutive:
Invasione degli spazi portali da parte di linfociti
T (Th1 e CD8), plasmacellule e macrofagi. I
dotti biliari presenti nello spazio portale, in
particolare, sono proprio infiltrati dai linfociti, e
vi si sviluppano delle formazioni granulomatose
nella parete (granulomi epitelioidi): questo ne
conduce gradualmente all'ostruzione (colestasi
cronica); tale aspetto si vede nella foto.

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Le colorazioni immunoistochimiche, fra cui CK7 (specifica per i dotti biliari), confermano
che il dotto principale è circondato dal granuloma e molto alterato, quasi distrutto. Per
reazione, si osserva metaplasia cellulare degli epatociti al confine con la lamina limitante: gli
epatociti assumono caratteristiche dei dotti biliari e formano dei dottini per smaltire la bile in
qualche modo (ovviamente insufficiente)
L'ostruzione al flusso biliare intraepatico conduce a danno di tutto l'organo: in particolare
abbiamo necrosi degli epatociti periportali, con necrosi della lamina limitante.
Il danno infiammatorio dei dotti conduce alla loro distruzione: duttopenia
Come tutti i danni cronici, l'esito finale è la deposizione di setti fibrosi, che in questo caso
si dispongono a ponte fra uno spazio portale e l'altro
Infine, alla fibrosi si affianca la rigenerazione epatocitaria completando il quadro di
cirrosi micronodulare, con tratti analoghi a quelli già visti.

Cenni clinici
Schematicamente abbiamo una evoluzione in fasi:
Fase preclinica: malattia non ancora esordita
Fase presintomatica: evidenza di colestasi laboratoristica (aumento di GT e fosfatasi
alcalina)
Fase sintomatica:
o prurito intenso, per la localizzazione dei Sali biliari a livello cutaneo,
o astenia,
o disturbi dovuti al malassorbimento di grassi: steatorrea e malassorbimento di
vitamina D (colestasi, manca la bile!)
o l ittero tardivo, si ha con la scomparsa dei dotti biliari
Insufficienza epatica

Questa patologia si pu associare ad altre malattie autoimmuni (Sjogren, AR, ).


Esistono forme con lesioni tipiche della cirrosi biliare primitiva che sono AMA-negative: queste forme
vengono chiamate colangite autoimmune o CBP AMA-negative .
Vengono curate non con cortisonici ma con acido urso-deossi-colico (aumenta il flusso della bile, toglie
il prurito).

Colangite sclerosante primitiva


Patologia disimmune caratterizzata da infiammazione e fibrosi periduttale (con esito obliterante)
dei dotti biliari sia intra che extraepatici, compresa la colecisti.
Si comincia con un lieve infiltrato infiammatorio e l innesco di una fibrosi concentrica intorno al
dotto che lo va a strozzare e distruggere. Ne consegue dilatazione dei segmenti rimasti sani.
NB: esiste una forma di colangite sclerosante secondaria, ma ora si parla solo di quella primitiva.

Epidemiologia
Età di incidenza: <50 anni, ++ 30 anni
M:F=2:1

Patogenesi
Il punto chiave sembra essere un danno immuno-mediato ai dotti biliari, anche se non si sa bene come
questo si realizzi (non ci sono autoanticorpi specifici, come nella CBP, anche se sono frequenti i p-
ANCA).
La frequente correlazione con la CU ha portato a ipotizzare che cellule T attivate dall'intestino siano
drenate al fegato dove riconoscerebbero un antigene per il quale sono reattive (si tratterebbe in pratica
di una cross-reazione).
La diagnosi è anatomo-clinica: serve riscontro radiologico (colangiografia) di un aspetto a corona di
rosario delle vie biliari.
A questa fa seguito la biopsia.

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Morfologia
Così schematizzabile:
Infiammazione dei dotti biliari (colangite), con
infiltrazione linfocitaria e atrofia dell'epitelio del
dotto stesso. L'infiammazione è focale, non
coinvolge cioè un dotto per intero dall'inizio alla
fine
All'infiammazione segue la fibrosi, che "avvolge"
il dotto (fibrosi a bulbo di cipolla). La fibrosi
gradualmente oblitera il lume (foto) fino a
determinarne la scomparsa. In quel punto, quindi
rimane solo un'area di fibrosi rotondeggiante
(''pietra tombale") CK7 negativa. (nota: a lezione
stato detto pietra miliare , ma le poche fonti
trovate le descrivono come tombali)
I tratti di dotto interposti fra quelli fibrotici si
slargano, configurando il quadro tipico della "corona di rosario" (ben visibile in colangio-
RM).
La colestasi generalizzata determina danno epatocitario: l'esito è una cirrosi simile alla CBP.
Si ha quindi formazione di noduli importanti e bande di fibrosi evidenti che collegano gli
spazi portali.
L infiltrato infiammatorio è linfo-monocitario.

Cenni clinici
Prurito demoniaco
Ittero intermittente o progressivo
Sintomi della colangite (febbricola, dolorabilità, malessere generale)
Aumento degli indici di colestasi
Frequente associazione con CU: occorre fare rettoscopia ai pazienti con CSP e indagini per
diagnosticarla a chi ha la rettocolite
Nel 7% dei pazienti si sviluppa colangiocarcinoma
AMA-, p-ANCA+

Stadiazione della CBP e CSP (Scheuer)


1 lesioni duttali floride: linfociti che entrano nei dotti principali
2 proliferazione duttulare: alla periferia, gli epatociti iniziano a mostrare metaplasia duttulare
3 fibrosi portale vera e propria: non si vedono più i dotti in un certo numero di spazi portali
4 cirrosi

La tabella riassume le differenze principali tra le due patologie.

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Ludwig score: stadiazione Cirrosi Biliare Primitiva e Colangite Sclerosante Primitiva

Cirrosi Biliare Primitiva Colangite Sclerosante Primitiva


I Epatite periportale Infiammazione periduttale
II Epatite parenchimale Infiammazione + fibrosi periduttale
III Distorsione parenchima e duttopenia Distorsione dei dotti e duttopenia
IV Cirrosi Cirrosi

243

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NEOPLASIE EPATICHE E DELLE VIE BILIARI

TUMORI BENIGNI

EPATICI

Iperplasia nodulare focale


Origina da tutte le componenti.
Formazioni nodulari di frequente riscontro nel sesso femminile tra i 20-40 anni; l'uso prolungato di ormoni
anabolici o contraccettivi è stato implicato nello sviluppo. Non degenera a differen a dell adenoma nel
quale invece la pz va ad intervento. Questa viene asportata solo se si ha rischio di rottura elevato.

Macroscopicamente si presenta come un nodulo unico ben circoscritto, ma


scarsamente capsulato che può raggiungere molti centimetri di diametro. La
lesione è in genere chiara rispetto al parenchima circostante, talora
giallastra. Sembra una cirrosi localizzata in fegato sano.

Istologicamente, al taglio, si evidenzia una cicatrice centrale di colore


grigio-biancastro, depressa e stellata, da cui si irradiano setti fibrosi verso la
periferia con noduli simili a quelli cirrotici attorno alla cicatrice.
La cicatrice centrale contiene grandi vasi, spesso arteriosi, che mostrano tipicamente iperplasia fibro-
muscolare con restringimenti del lume.
I noduli sono costituiti da epatociti, privi di atipie, e molto ricchi di glicogeno; al confine tra tessuto fibroso e
parenchima epatico si riscontra proliferazione di dotti biliari, aspetto istologico caratteristico che ci consente
la diagnosi di certezza.

Imaging
Il loro aspetto caratteristico è facilmente riconoscibile con l'esame TC o RM (con
mdc), tanto che, per le lesioni piccole e a sede sotto-glissoniana, una volta fatta la
diagnosi radiologica l'iter si arresta.
Anche l'ECO-color-doppler mostra questo tipico pattern di vascolarizzazione
centrale (vedi img).
Quando invece la cicatrice centrale è piccola ed esigua, la radiologia può non
essere in grado di distinguerla da un adenoma, che invece ha qualche potenzialità
di evolvere verso una neoplasia maligna, e quindi è indicato l'intervento chirurgico.

Adenoma epatico
Ha origine epatocitaria.
Neoplasie benigne che originano degli epatociti; sebbene possano svilupparsi anche nei maschi, gli adenomi
epatici compaiono più frequentemente nelle donne giovani che hanno fatto uso di contraccettivi orali; i
tumori, in genere, regrediscono con la sospensione dell' assunzione del contraccettivo.

Macroscopicamente si presentano come noduli unici o multipli


(adenomatosi epatica in alc ni casi con l intera sostit ione del
parenchima si ha indicazione al trapianto), frequentemente sotto-
capsulari, che possono raggiungere e superare i 20 cm di diametro.
Sebbene siano di solito ben demarcati, la capsula può mancare e i
margini della neoplasia sono quindi indistinguibili dal parenchima
adiacente. Se cresce molto velocemente può avere necrosi centrale.

Il colorito spesso verdastro (img.) deriva dal fatto che lo scarico


biliare è deficitario; in alcuni casi possono assumere colorito rossastro
-> rottura di piccoli vasi all'interno di adenomi di grosse dimensioni.
Possono dare emoperitoneo se vicini alla glissoniana.

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Istologicamente sono composti di travate e filiere di
epatociti che assomigliano a quelli normali (non atipie) o
che mostrano variazioni di dimensioni (più piccoli) o
nucleari; la trama reticolare è rispettata e ben evidente.
Spesso gli epatociti sono steatosici (giustifica l'ipodensità
alla TC). Non sono presenti in questo caso gli spazi
portali.
Nella iperplasia nodulare focale ci sono epatociti e dotti
biliari, se alla biopsia o al pezzo operatorio si presenta
adenoma infiammatorio si ha una possibile presenza dei
dotti biliari, si deve ricorrere quindi a tecniche
molecolari.

Il significato clinico degli adenomi è da ricondursi a tre


aspetti:
Presentandosi come massa epatica possono portare dei problemi di diagnosi differenziale con il
nodulo di HCC
Gli adenomi a sede sotto-glissoniana possono rompersi, soprattutto durante la gravidanza
(estrogeni!), dando luogo ad emorragie intra-peritoneali talvolta fatali.
Raramente trasformano in forme maligne (sono quelli b-catenina mutati, ma è un problema relativo
poiché una volta escissi il rischio è annullato)

Imaging
La presenza di steatosi (ipodensa) e di zone emorragiche (iperdense) conferiscono alla lesione un tipico
aspetto disomogeneo alla TC

Emangioma cavernoso
Origine vascolare.
Neoplasia dei vasi sanguigni, rappresenta la neoplasia epatica benigna più comune, con analoga incidenza
nei due sessi. Frequentissimo

Macroscopicamente si presenta come nodulo ben


demarcato, in genere unico, di dimensione inferiore ai 2
cm, possono anche raggiungere le dimensioni di un intero
lobo e quindi necessaria in tali casi la rimozione, a sede
sotto-capsulare; in seguito a traumi possono andare
incontro a rottura con emoperitoneo, unico pericolo legato
alla presenza di queste formazioni altrimenti benigne.
Possiamo vedere al tagliol nell'immagine a fianco l'aspetto
a nido d'ape, che deriva dalla struttura istologica della
lesione.

Istologicamente, il tumore consiste nella presenza di


canali vascolari dilatati (aspetto appunto cavernoso) nel contesto di tessuto connettivo fibroso, talvolta
associato alla presenza di calcificazioni (in relazione con l'età della lesione) lacune vascolari grandi
circondate da connettivo

Imaging: all'ECO si presenta come lesione iper-ecogena per la presenza di numerose


interfacce legate alla presenza di globuli rossi all'interno dei canali vascolari. In
particolare, se l'iperecogenicità è omogena si parla di angioma tipico (img.); viceversa
di angioma atipico (atipia di imaging e non istologica!!).

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VIE BILIARI
Adenoma delle vie biliari
Neoplasia benigna che origina dalle vie biliari; altra lesione benigna che può originare in questa sede è il
papilloma delle vie biliari.
Macroscopicamente si presentano come noduli di dimensioni ridotte < 1 cm, unici o multipli, sulla
superficie del fegato, duri al tatto in quanto costituiti da tessuto
connettivo: questo può creare dei problemi di diagnosi differenziale cui
può trovarsi di fronte il chirurgo in corso di interventi di asportazione di
neoplasie del tratto GI (+ che il chirurgo è il patologo in estemporanea). Il loro
aspetto è infatti ambiguo per cui il chirurgo può porsi dei problemi di
diagnosi differenziale con un eventuale metastasi originata dal tumore
primitivo (adenoCa) che appunto sta operando: l'istologia intra-
operatoria è in grado di evidenziare la benignità della lesione che mostra
mitosi ma non atipie.
Istologicamente si ha uno stroma di connettivo fibroso in cui si
distribuiscono ghiandole tubulari con epitelio cubico non secernenti bile.
Amartomatosi biliare (Complessi di Von Meyenburg)
Sono lesioni malformative. Si tratta di piccoli gruppi di dotti biliari intra-epatici leggermente dilatati,
immersi in uno stroma fibroso, a volte contenenti secrezioni proteinacee. Contengono bile al loro interno
perché comunicano con gli epatociti a differenza degli adenomi
I complessi di Von Meyenburg sono comuni e senza significato clinico, salvo nel caso di diagnosi
differenziale di metastasi epatiche in corso di interventi chirurgici o indagini strumentali.

COLECISTI
Polipi infiammatori della colecisti
Esito di una colecistite; l'epitelio va incontro a proliferazione con sviluppo di estroflessioni costituite
prevalentemente da cellule infiammatorie. Istologicamente quindi si evidenzia la presenza di cellule
infiammatorie.
Adenomiosi della colecisti
Iperplasie delle ghiandole della mucosa e della muscolaris mucosae prevalentemente nel fondo della
colecisti. Istologicamente è costituita da muscolo e ghiandole assolutamente benigne.
Adenomi tubulari
Neoplasie benigne che nascono dalla mucosa uguali a quelli che nascono dall'intestino.
Caratteristiche delle lesioni benigne e dei noduli rigenerativi e/o displastici
Consistenza e Capsula Microscopia Vasi Trasform
colore
Iperplasia Duro, bianco - Incostante Epatociti e cellule biliari. Presenti dentro la No
nodulare grigio. Cellule ricche in glicogeno. cicatrice
focale Pochi cm. No atipie. Possibili linfociti
Adenoma Rossi e/o Spesso Solo epatociti ammassati. Mancano gli spazi Rara
epatico verdastri. presente Possibile steatosi/glicog. portali.
Anche 30 cm No atipie (al max nucleari)
Adenoma Molto duro e Spesso Cellule biliari stipate, con - Rara
biliare grigiastro presente stroma fibroso. Non forma
Noduli < 1cm. bile. No atipie, sì mitosi
Amartoma Massa nodulare Spesso Piccoli gruppi di dotti grossi - No
biliare presente producenti bile.
Possiede gli spazi Può dare LG -
Nodulo Reticolo ben distinto. Cellule
Massa nodulare - portali. displasia
rigenerativo non atipiche
No capillarizz.
Nodulo Reticolo ben distinto. Possiede gli spazi
displastico Massa nodulare - Cellule lievemente atipiche e portali.
di basso gr. pleomorfe No capillarizz.
Nodulo Massa nodulare - Sembra un HCC, quindi cellule Sì spazi portali. No
displastico pleomorfe / piccole indiff / capillarizz. (ddx da
di alto gr. sarcomat. HCC)

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Ric da che HCC e e a a ia e i i i a i e a e e e di d enaggio, senza spazi portali!

TUMORI MALIGNI
EPATICI
HCC
Epidemiologia
Con quasi 1 milione di nuovi casi l'anno a livello globale l'HCC costituisce la terza causa più frequente di
morte per cancro.
Circa 1'82% dei casi di HCC si verifica in Paesi in via di sviluppo con alti tassi di infezione cronica da HBV,
quali i Paesi del Sud-est asiatico e dell'Africa.
Il 52% di tutti i casi si riscontra in Cina. Vi è inoltre una chiara prevalenza maschile con un rapporto di 2,4: l.

Patogenesi e fattori di rischio


I principali fattori di rischio sono rappresentati da:
Infezione virale cronica (HBV, HCV)
Alcolismo cronico
Steatoepatite non alcolica (NASH)
Contaminanti alimentari, soprattutto le aflatossine, una micotossina prodotta da Aspergillus flavus
che contamina i cibi conservati in ambiente umido e le pipette elettroniche.
Malattie ereditarie: emocromatosi ereditaria, glicogenosi, tirosinemia ereditaria e deficit di 1AT.
Età
Obesità
Diabete
Sesso
Prodotti chimici e farmaci
Alimentazione
Fattori ormonali

Si prevede che con i nuovi farmaci le cirrosi associate alle malattie infettive siano in netto decremento, mentre quelle
che derivano dalle malattie metaboliche saranno in aumento (obesità, diabete, NASH).
Generalmente insorge su un quadro di cirrosi per cui il pz è difficile che si accorga di qualcosa.
Importante quindi il follow up per la monitorizzazione dei noduli con il fine di individuare early HCC:
piccoli tumori inferiori a 2cm. Questi possono essere trattai con chemoembolizzazione in attesa del
trapianto (il soggetto cirrotico non può andare in contro a resezione, rischio lo scompenso della
funzione epatica completa)
Importante indentificare da un punto di vista prognostico
- Dimensioni
- Capsula
- Numero di noduli (possono essere mutlifocali o possono essere noduli di replicazione che dal
tumore primitivo si diffondono ad altre aree del parenchima, difficilmente possono essere
distinti anche se esistono delle indagini di tipo genetico molecolare che permettono di
identificarli anche se non è un dato rilevante per il pz)

Tutti questi fattori sono in grado di scatenare un processo di epatite cronica con ripetuti cicli di morte
cellulare e rigenerazione durante i quali si accumulano mutazioni che possono danneggiare i
meccanismi di riparazione del DNA (p53) e altri geni deputati al controllo del ciclo cellulare (C- MYC,
via WNT) e, infine, trasformare gli epatociti.

Importante però notare come la patogenesi possa essere diversa nelle popolazioni:
Nelle regioni ad alta prevalenza, la patogenesi coinvolge in genere l'infezione da HBV, che inizia in
genere nel periodo infantile con la trasmissione verticale del virus da parte di madri infette, il che
conferisce un rischio di sviluppare l'HCC aumentato di 200 volte. La cirrosi può essere assente nella
metà dei casi e il cancro spesso si presenta tra i 20 e i 40 anni.
Nelle regioni a bassa prevalenza invece l'HCC è più spesso conseguenza di condizioni quali
l'alcolismo, la steatoepatite non alcolica, l'infezione cronica da HCV e l'emocromatosi ereditaria; in

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questi la cirrosi è presente nel 75-90% dei casi e l'HCC si manifesta in età più avanzata.
Anatomia patologica
Macroscopicamente l'HCC può assumere diversi aspetti:
Massa uni-focale massiva, generalmente grande: spesso
quando si hanno masse così grandi si verificano dei
fenomeni rigenerativi necrotico-emorragici (img.). Non ha
fibrosi e la consistenza è scarsa; generalmente capsulata.
Noduli multi-focali, di dimensioni variabili ampiamente
distribuiti.
Cancro diffusamente infiltrante, che invade ampiamente,
fino ad interessare a volte l'intero fegato. Detta
cancrocirrosi
Early HCC <2cm Si parla invece di early quando la
dimensione della neoplasia è < 2 cm; il loro riscontro è sempre più frequente dato lo screening
TC nei pazienti a rischio per HCC. Scoperto nei giapponesi, non potendo portare tutti a
trapianto hanno investito per trovare lesioni in forme precoci trattabili con radiologia
interventistica. Biopsiando e cercando di rimuovere i noduli è stato possibile mettere in
evidenza peculiari caratteristiche. È simile ad un nodulo displastico.

Gli HCC sono di solito più chiari del fegato circostante e talvolta assumono un colore grigio-verde se
composti da epatociti ben differenziati in grado di secernere bile.
In quelli scarsamente differenziati, invece, la consistenza è molle, fragile e soffice, si ha una capsula di
tess to fibrosa periferica e area di necrosi ed emorragia centrale. Dopo il trapianto l aspettati a di ita
identica al quella del pz cirrotico senza noduli se si rispettano i criteri di Milano (vedi sotto).

Tutti gli HCC hanno la forte propensione a invadere le strutture vascolari.


Ne conseguono estese metastasi intra-epatiche con sviluppo di noduli satelliti; talvolta lunghe masse
neoplastiche simili a serpenti, invadono le vene portali (con
occlusione della circolazione portale) o la VCI fino ad estendersi
nelle cavità destre del cuore.

All istologia dopo la chemioemboli a ione si tro a area


necrotica distrutta e a volte alla periferia aree di epatocarcinoma
ancora vitale.

Le metastasi extra-epatiche originano principalmente per


invasione vascolare, in particolare attraverso il sistema delle vene
epatiche; tuttavia, nelle fasi avanzate delle neoplasia sono
frequenti metastasi per via ematogena.

Istologicamente l'HCC varia da lesioni ben differenziate a lesioni anaplastiche altamente indifferenziate,
classificabili secondo la scala di Edmonson and Steiner:
Ben differenziato I
Moderatamente differenziato II
Scarsamente differenziato III
Indifferenziato IV
Questo grado di differenziazione varia con le dimensioni del tumore, tumori molto piccoli al di sotto dei
2cm sono generalmente ben differenziati, man mano che crescono perdono la differenziazione.

Nei tumori moderatamente o ben differenziati, le cellule riconoscibili come di origine epatocitaria possono
essere disposte secondo diversi pattern:
Trabecolare: cerca in qualche modo di ripetere l'andamento delle filiere presenti nel fegato
normale, ma a differenza di queste, si tratta di filiere molto ingrandite.
Pseudo ghiandolare: le cellule si dispongono intorno ad un lume a formare delle "rosette". Tubuli
all interno dei q ali si tro a la bile
Solido: disposizione compatta senza alcun tipo di organizzazione (meno differenziato rispetto ai
precedenti).

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Nelle forme scarsamente differenziate, le cellule tumorali possono assumere aspetti pleomorfi con numerose
cellule giganti anaplastiche o diventare cellule piccole completamente indifferenziate.
Nel carcinoma si hanno aree di fibrosi che simulano lo spazio portale, in queste regioni trovo solo dei vasi che
supportano il tumore ma non i dotti biliari.

Una variante distintiva è il carcinoma fibro-lamellare,


responsabile del 5% degli HCC; compare nei giovani
adulti (20-40 anni). Tra le cellule neoplastiche è presente
fibrosi a differenza del HCC che è molle e soffice.
Poiché i pazienti non presentano in genere epatopatie
croniche sottostanti la prognosi è migliore rispetto a quella
che si ha nei casi convenzionali di HCC.
Si presenta in genere come un tumore isolato, grande,
duro, "scirroso" con bande fibrose che lo attraversano.
All'esame microscopico, è composto di cellule poligonali
ben differenziate che si dispongono in nidi o cordoni
separati da fasci densi e paralleli di collagene fibrillare. Reagiscono con Hepar1 altamente specifico. Le
lamine fibrose si colorano in verde con la tricromica di Masson. È angioinvasivo e la prognosi anche se
meno infausta di HCC è comunque responsabile di morte se non si ricorre al trapianto.

In generale è quindi bene distinguere due tipi di HCC:


HCC su cirrosi HCC su fegato precedentemente sano
Evolutivo: nodulo rigenerativo nodulo displastico Esordio de novo, mutazioni driver più rare
HCC con mutazioni di p53, Rb, IGF2R,
p16INK4, SINK4, catenina (tipico di adenomi che
degenerano), Ras-MAPK e LOH
Multifocale Unifocale
Diametro variabile ma in genere più piccoli Diametro grande (media 12cm)
Alta prevalenza maschile (8:1) Lieve prevalenza maschile (2:1)
Pre alente nell an iano Andamento bimodale: picchi in 3° e 7° decade
Clinica: epatomegalia, dolore addominale, ittero e Clinica: epatomegalia e dolore addominale, ma
ascite (NB: non così diversa dalla sintomatologia anche sintomi generali (malessere, astenia, febbre,
cirrotica di base!). se viene operato ha ovviamente anoressia e calo ponderale)
maggior rischio di insufficienza epatica (vd criteri
Milano)

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Caratteristiche cliniche
Le manifestazioni cliniche dell'HCC sono raramente caratteristiche e sono spesso mascherate da quelle
correlate con la malattia di base, la cirrosi o l'epatite cronica, quindi dolore al quadrante addominale
superiore, malessere, astenia, calo ponderale e talvolta sensazione di massa o di ripienezza addominale.
In molti casi il fegato ingrossato può essere palpabile, con un irregolarità o nodularità di superficie. Elevati
livelli sierici di a-fetoproteina si osservano nel 50% dei pazienti con HCC, con possibilità di falsi positivi in
presenza di altri tipi di tumore quali placentare o condizioni epatiche non neoplastiche (cirrosi, necrosi
epatica, epatite HCV ecc.).
Per questo la diagnosi è in genere radiologica grazie agli attenti programmi di screening dei pazienti a
rischio (ECO semestrale + a-fetoproteina).

Diagnosi
Come appena detto la diagnosi è più spesso di imaging, tramite ECO, TC e/o RM con mdc; il razionale di
una diagnosi di questo tipo è basato su due concetti:
1. La biopsia epatica può dar luogo a falsi negativi
dato che il t more sim la l architett ra normale
2. La vascolarizzazione mostra nette differenze tra
parenchima epatico (prevalente vascolarizzazione
portale) e HCC (prevalente vasco arteriosa) che
possono identificate con lo studio contrastografico:
il riscontro di un importante wash in arterioso e di
un rapido wash out in portale consente di porre
diagnosi con un'affidabilità attorno al 95%.

Ruolo dell'anatomia patologica


Può capitare eccezionalmente che la lesione abbia
caratteristiche non convincenti dal punto di vista
radiologico e quindi si ricorre ad ago biopsie; il
patologo deve basarsi su:
Inspessimento delle trabecole: file di 4 o
+ epatociti tra un capillare e l'altro.
Perdita delle fibre reticolari che vanno
incontro a frammentazione.
Tecniche immunoistochimiche con +
CD34 sull'endotelio dei capillari
sinusoidali, che normalmente non
esprimono tale antigene endoteliale
(Capillarizzazione dei sinusoidi che hanno le caratteristiche immunoistochimiche dei
capillari). Se CD34- è un nodulo displastico, non HCC. Inoltre, la positività IIC alla gln
sintetasi 6 (GS6), glypican 3 e HSP70 è indicativa di HCC e non di lesione benigna.
Aumento del numero di arteriole in assenza di dotti biliari che le accompagnano, in
corrispondenza degli spazi fibrosi che hanno sostituito gli spazi portali. Pleomorfismo ed
eterogeneità cellulare.
Essendo molto angioinvasivi, non sono infrequenti emboli neoplastici in rami venosi.

Le alterazioni citologiche in HCC riguardano riduzione di volume e aumento del rapporto N/C che sono tipiche anche
del nodulo displastico, necessarie quindi le indagini di cui sopra.

Un'altra caratteristica importante propria dell'epatocarcinoma è quella di colorarsi con l'Ab-CEA


policlonale, che è diretto contro lo stesso antigene CEA (utilizzato per le metodiche di screening di
alcuni tumori come il Ca Colon -Retto); si evidenzia così il polo biliare delle cellule trasformate, in
quanto è tipica nell'HCC l'espressione di CEA policlonale a livello dei canalicoli biliari.
Per capire se si tratta di un epatocarcinoma primitivo o di un'altra neoplasia si p fare n lteriore
indagine immunoistochimica: la ricerca della positività all'Hepar-1, che è specifico per gli epatociti e
quindi per l'epatocarcinoma.
La alfafetoproteina è sia poco sensibile che specifica, dunque non viene usata per la diagnosi

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Mano a mano che si hanno delle alterazioni genetiche e molecolari queste determinano il passaggio da
adenoma a HCC. HCC deve essere distinto da nodulo rigenerativo (presenta spazi portali, capillarizzazione
dei sinusoidi assenti, reticolo ben distribuito), nodulo displastico di basso grado (lievi atipie nucleari: epatociti
più piccoli con alterato rapporto N/C, perfetta trama reticolare e assenza di capillarizzazione), e nodulo
displastico di alto grado (morfologicamente indistinguibile da HCC ma con le procedure descritte: reticolo più
o meno conservato, non capillarizzazione=CD34-, riduzione del volume cellulare e aumento del rapporto
N/C). Altra ddx viene fatta con adenoma che tuttavia non insorge in fegato cirrotico, donne giovani ed età
media che hanno fatto uso per molti anni di EP.

Trattamento
Il trattamento del nodulo di HCC giova sempre di più delle tecniche di radiologia interventistica quali l a
TACE e la TARE, spesso in attesa di un intervento definitivo trapiantologico.
Un farmaco che sembra in grado di prolungare la vita dei pazienti con HCC di stadio avanzato è l'inibitore
chinasico sorafenib.
Criteri per sottoporre a trapianto di fegato pazienti con cirrosi ed HCC (Milan Criteria)
Unico nodulo di 5 cm o massimo tre noduli di 3 cm. Questi pz hanno stessa sopravvivenza di pz con cirrosi
ma senza tumore.

Epatoblastoma
L'epatoblastoma è il tumore epatico più comune dell'età infantile (cmq raro: 1% dei tumori pediatrici); viene
in genere diagnosticato con FP+imaging; se non trattato è solitamente fatale entro pochi anni. Se ne
riconoscono due varianti anatomiche, il tipo epiteliale e il tipo mesenchimale.

Colangiocarcinoma intraepatico
Secondo tumore epatico maligno dopo l'HCC, è un adenocarcinoma che origina dell'epitelio delle vie biliari
intra-epatiche (diversamente si parla di adenocarcinoma delle vie biliari extra-epatiche e non di
colangiocarcinoma).
Colpisce in genere la popola ione o er 60 con n inciden a maggiore in alc ne popola ioni del s d-est
asiatico e africane.
Le condizioni di rischio per lo sviluppo del colangiocarcinoma comprendono l'infezione da HCV, infezioni
parassitarie (pesce crudo Opistorchis Sinensis), la calcolosi intra-epatica, nitrosammine, la colangite
sclerosante primitiva, anomalie congenite dell'albero biliare, il fumo, l'alcol e la precedente esposizione al
Thorotrast (usato in passato come mdc per la colangiografia). Il fegato è sano. può associarsi a colangite
sclerosante (colpisce le vie sia extraepatiche che intraepatiche, per la diagnosi si può inviare una porzione
delle vie extraepatiche per vedere se si hanno delle displasie), colite ulcerosa e morbo di Chron.
L'esordio è in genere subdolo con perdita di peso, algia addominale, faticabilità, e quindi in genere la diagnosi
sopraggiunge in fase avanzata, con una sopravvivenza media ad 1 anno dalla diagnosi. Rari ittero e ascite che
si hanno con completa invasione del parenchima.
Più favorevoli i casi di soggetti che sono stati sottoposti a screening per la ricerca sierologica del CEA e del
CA-19.9, nei quali la diagnosi precoce ha permesso dei buoni successi chirurgici (NB: anche se molti FP in
fumatori o soggetti con infez cron). Alla diagnosi spesso sono già presenti invasione linfonodali regionali e
metastasi al polmone, per questo la prognosi è ad un anno.

Macroscopicamente si presenta come una massa nodulare dura, in


quanto costituita da tessuto connettivo, unica o multipla, bianco-
grigiastra/giallastra (NB: mai verde, perché non origina da
epatociti e quindi sono cellule che non producono bile!). Talora
multi nodulare.

Istologicamente si tratta di un adenocarcinoma che nasce


dall'epitelio delle vie biliari intra-epatiche, con ghiandole in stroma
fibroso.
Prima di dire che si tratta di colangiocarcinoma si devono escludere tutte
le altre patologie (PET, Colonscopia ecc..). è possibile quindi fare
indagine immunoistochimica. Il fatto che si eseguano i marcatori e che si
trovino positivi supporta la diagnosi nel caso in cui si sia sicuri della
mancanza di patologie in altre sedi.

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L'aspetto istologico ricorda l'adenocarcinoma che origina in altre sedi e quindi spesso si ricorre
all'immunoistochimica* per la ddx con metastasi adenocarcinomatose, ma soprattutto alle opportune indagini
clinico-strumentali in grado di svelare eventuali neoplasie primitive occulte (perch l IIC può essere
sovrapponibile a quello di altri ca I).

*Il CCA esprime cito-cheratine come la 7 e la 19 che sono tipicamente espresse dai normali dotti biliari.
È inoltre CEA + in sede citoplasmatica, CK20 -. Tuttavia, può cmq essere confuso con metastasi da altre sedi.

Tumore di Klatskin
Tipo particolare di CCA, è un tumore peri-ilare, localizzato in corrispondenza della giunzione del dotto
epatico di destra e di sinistra, quindi sempre al confine tra le vie biliari intra- ed extraepatiche. In questo caso
le vie biliari sono primitivamente colpite, senza interessamento macroscopico del parenchima epatico
circostante. Ha un decorso clinico indolente, e anche una migliore prognosi poiché poco invasivi, né tendenti
alla metastatizzazione. Ha quindi un particolare intesse chirurgico.
classificazione di Bismuth-Corlette 1 Sopra lo sbocco del dotto cistico, ma non alla biforcazione
2 Sopra lo sbocco del dotto cistico e alla biforcazione dei dotti biliari
3a Risale fino al dotto biliare di destra (ma non a sinistra)
3b Risale fino al dotto biliare di sinistra (ma non a destra)
Vie di metastatizzazione 4 Risale su tutti e due i dotti biliari
Analoghe a quelle degli altri tumori, quindi:
Via ematica: i polmoni presentano metastasi nel 20 % dei casi; talvolta emboli neoplastici con EP
massiva.
Via linfatica: linfonodi dell'ilo epatico, testa del pancreas, linfonodi retroperitoneali, periaortici, fino
ai linfonodi tracheobronchiali in fase avanzata.
Difficile l inter ento (a olte se il margine non libero non possibile estendere la rese ione).

C a ifica i e de e a ca cinoma e del colangiocarcinoma intraepatico - WHO -

Per la WHO, epatocarcinoma e colangiocarcinoma intraepatico sono nello stesso gruppo classificativo. In effetti,
non è infrequente repertare tumori misti colangiocarcinoma - epatocarcinoma. Riportiamo le principali categorie
benigne e maligne epiteliali e non-epiteliali.

Benigni epiteliali Maligni epiteliali Benigni non Maligni non epiteliali


epiteliali
Iperplasia Epatocarcinoma Angiomiolipoma Rabdomiosarcoma
nodulare focale
Adenoma epatico Colangiocarcinoma Emangioma Angiosarcoma
Adenoma Cistoadenocarcinoma Linfangioma Sarcoma indifferenziato
intraduttale intraduttale
Cistoadenoma Epatocarcinoma misto Emangioendotelioma Emangioendotelioma
intraduttale a Colangiocarcinoma infantile epitelioide
Papilloma biliare Epatoblastoma
Indifferenziato

TNM

T1: lesione singola < 2 cm, no angioinvasione


T2: lesione singola > 2cm, no angioinvasione; lesione singola < 2 cm con angioinvasione; lesioni multiple in
un solo lobo < 2 cm, no angioinvasione.
T3: lesione singola > 2cm con angioinvasione; lesioni multiple in un solo lobo < 2 cm con angioinvasione;
lesioni multiple in un lobo di cui almeno una > 2 cm con o senza angioinvasione.
T4: lesioni in più di un lobo; infiltrazione di un ramo della vena porta; infiltrazione del peritoneo viscerale;
infiltrazione di uno degli organi vicini che non sia la colecisti.

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T N M
Stadio I 1 0 0
Stadio II 2 0 0
Stadio III 1-3 1 0
Stadio IV 4 Qualunque 0
Qualunque Qualunque 1

Barcellona Clinical Liver Cancer Staging -2014-: stadiazione epatocarcinoma e trattamento

Lesioni Ipertensione Bilirubina Child- PS Trattamento


epatiche portale Pugh score
Very early (0) 1 lesione < 2 cm No Normale A 0 Resezione
Early (A1) Normale A/B 0 Trapianto
1 lesione < 5 cm Si
Early (A2) Alta A/B 0 Trapianto
Early (A3) Fino a 3 lesioni Si/No Alta/Normale A/B 0 Trapianto
(se non malattie)
Intermedio (B) Largo
Si/No Alta/Normale A/B 0 TACE
multinodulare
Avanzato (C) Invasione portale/
diffusione Si/No Alta/Normale A/B 1-2 Sorafenib
extraepatica
Terminale (D) Invasione portale/
diffusione Si/No Alta/Normale C 3-4 Sintomatico
extraepatica

Metastasi epatiche
Il fegato è una frequente sede di metastasi, più spesso a partenza da tumori primitivi del tratto GI, drenati
appunto dal sistema portale. Altri tumori primitivi causa di metastasi epatiche sono: tumore della mammella,
polmone, prostatico, pancreas ma anche linfomi, melanomi, leucemie, ecc.

Macroscopicamente si evidenziano noduli multipli con


ombelicatura centrale necrotica, spesso causa di epatomegalia.
Microscopicamente sono difficilmente distinguibili dal
primiti o, si ricorre q indi all imm noistochimica.

Alla TC basale si evidenziano in genere come lesioni ipodense;


la TC con mdc (a fianco) mostra reperti differenti sulla base del
fatto che alcuni tipi di metastasi sono ipervascolairizzate mentre
altre non lo sono.

L' immunoistochimica può essere di ausilio sia per rivelare la


nat ra metastatica della lesione sia per facilitare l identifica ione
del tumore primitivo:
CK20+ e CK7-: metastasi da K colon rettale
CK20- e CK7+: K pancreas
Debole CK20+ e CK7+: K stomaco.
Impo ddx con colangioca

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COLECISTI
Calcolosi
Concrezioni di colesterolo, sali biliari, miste
Interessa 1/5 della popolazione occidentale
Più frequente nel sesso femminile
Nel 20% dei casi è sintomatica (coliche biliari)
Quando il calcolo è piccolo, si incunea nel colletto dando ostruzione e colica biliare
Talora può addirittura progredire nelle vie biliari
Se ostruisce la papilla di Vater causa pancreatite
Complicanze
Colecistite acuta
Empiema
Perforazione
Fistoli a ione nell intestino (segno radiologico: aria nella colecisti)
Pancreatite
Ittero ostruttivo

Colecistiti acute da ostruzione litiasica del dotto cistico o del colletto della colecisti
Aspetto macroscopico
Colore violaceo con emorragie
Sierosite fibrinosa: fibrina che si stratifica sulla sierosa
Nel lume: calcoli, materiale necrotico, infiammatorio e anche emorragico
Se il contenuto è purulento: empiema della colecisti
Se prevale la necrosi: colecistite gangrenosa
Aspetto microscopico
Edema
Neutrofili infiltrano la parete

Colecistite cronica
Correlata alla calcolosi e a episodi di colecistite acute recidivanti.
Aspetto macroscopico
Volume aumentato o diminuito (varianti sclero-atrofiche)
Parete di spessore e consistenza aumentati (fibrosi)
Nel lume: bile filante per muco e calcoli
Ostruzione di lunga data, parete sottile e contenuto chiaro acquoso idrope della colecisti
Aspetto microscopico
Mucosa atrofica, normale o iperplastica
Seni di Rokitansky-Aschoff caratterizzati da: fibrosi della parete, flogosi. DDx con tumore:
l epitelio normale e il l me com nica con q ello della colecisti
Mucosa infiammata

Polipi
Polipi infiammatori (protrusioni su base iperplastico-reattivo)
Adenomiosi (iperplasia ghiandolare e della muscolaris muccosae)
Adenomi tubulari o villosi

Carcinoma della colecisti


Il carcinoma della colecisti è la più comune neoplasia maligna delle vie biliari extra-epatiche. È
leggermente più frequente nelle donne e insorge in genere nella VII decade di vita.
Il più importante fattore di rischio associato al carcinoma della colecisti è rappresentato dai calcoli
biliari e dalla conseguente colecistite, responsabile dell'instaurarsi di uno stato infiammatorio cronico
(sottolineiamo però che solo lo 0,5 % dei pazienti con colelitiasi sviluppa cancro della colecisti dopo 20

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anni o più) è associata a colangite sclerosante primitiva o a infezioni parassitarie non diffuse da noi.
Macroscopicamente si presentano come lesioni grigio-biancastre, che interessano prevalentemente il
fondo o il collo della colecisti; presentano una consistenza dura, sono adenoK immersi in stroma
fibroso.

Possono presentare due tipi di aspetto in relazione con il pattern di crescita della neoplasia:
Infiltrante, più frequente, di solito assume l'aspetto di un'area scarsamente definita di
inspessimento diffuso e di indurimento della parete della colecisti che può interessare diversi
cm2 oppure l'intera colecisti. Profonde ulcerazioni possono causare penetrazione diretta della
parete della colecisti o formazione di fistole in visceri adiacenti.
Esofitico: si presenta come una massa irregolare a forma di cavolfiore che cresce all'interno
del lume, ma che allo stesso tempo invade anche la sottostante parete.

Istologicamente: la maggior parte dei carcinomi della colecisti è costituita da adenocarcinomi più o
meno differenziati ----> alcuni hanno un architettura papillare e sono moderatamente o ben differenziati;
altri sono infiltrativi e vanno da scarsamente differenziati a indifferenziati. Alcuni possono essere misti
a componenti adenomatose e adeno-squamose
In genere si tratta di una neoplasia subdola (spesso diagnosticati tardivamente) tanto che la
sopravvivenza a 5 anni è dell'1%; l'individuazione precoce del tumore è possibile in pazienti che
sviluppano una colecisti palpabile e una colecistite acuta prima che il tumore si estenda alle
strutture adiacenti o nel caso in cui il carcinoma sia un reperto occasionale al momento della
colecistectomia per litiasi biliare sintomatica.

TNM colecisti

T1: confinato allo strato fibromuscolare


T2: arriva al connettivo perifibromuscolare
T3: perfora la sierosa viscerale e/o arriva a un organo circostante, con al massimo infiltrazione di 2
cm nel fegato.
T4: arriva a più organi circostanti, altrimenti se solo il fegato lo ha infiltrato per più di 2 cm
N1: linfonodi del dotto cistico, pericoledocici, nel legamento epatoduodenale
N2: linfonodi di altre sedi (dei grossi vasi)
T N M
Stadio I 1 0 0
Stadio II 2 0 0
Stadio III 1-3 1 0
4 0 0
Stadio IV Qualunque 2 0
Qualunque Qualunque 1

Carcinoma dei dotti biliari extraepatici


Epidemiologia
È raro
Soprattutto maschi anziani
Fattori di rischio
Calcoli (30%)
Colangite sclerosante primitiva (principale causa in Occidente)
Infestazioni della via biliare da parte di Opistorchis Sinensis (soprattutto in Oriente)
Aspetto macroscopico
Nodulo bianco-grigiastro di consistenza aumentata che cresce nel lume o infiltra la parete e
occlude il lume

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Clinica
Ittero precoce
Difficoltà di approccio chirurgico-terapeutico
Hanno la capacità di infiltrare a salto la via biliare

TNM d i bi ia i e ae a ici cèi T

T1: confinato allo strato fibromuscolare


T2: arriva al connettivo perifibromuscolare
T3: invade gli organi circostanti
N1: linfonodi del dotto cistico, pericoledocici, nel legamento epatoduodenale
N2: linfonodi di altre sedi (dei grossi vasi)
T N M
Stadio I 1 0 0
Stadio II 2 0 0
Stadio III 1-2 1-2 0
3 Qualunque 0
Stadio IV
Qualunque Qualunque 1

Carcinoma della colecisti e carcinoma dotti epatici extraepatici

La WHO inserisce questi due tumori nel medesimo gruppo. Da un punto di vista istologico sono quasi tutti
tumori epiteliali, in particolare adenocarcinomi. Sono presenti anche tumori con aspetti neuroendocrini,
ma sono sempre nel sottogruppo carcinomi e non hanno una sezione dedicata (come nel polmone o nel GI).

I benigni sono sempre adenomi (tubulari, papillari, tubulopapillari) e i cistoadenomi, i papillomi.


Concentriamoci sui maligni epiteliali, dove ci trovo anche quelli neuroendocrini, che sono ancora dissociati
dai carcinoidi come nel tumore del polmone prima dell ultima classifica ione

Maligni epiteliali
Carcinomi Carcinoidi
Adenocarcinoma tipo gastrico Carcinoidi a globet cells
Adenocarcinoma tipo intestinale Carcinoidi tubulari
Adenocarcinoma mucinoso Misto carcinoide-adenocarcinoma
Adenocarcinoma con cellule ad anello con castone Carcinosarcoma
Adenocarcinoma a cellule chiare
Adenocarcinoma papillare
Carcinoma adenosquamoso
Carcinoma squamoso
Carcinoma a piccole cellule
Carcinoma a grandi cellule neuroendocrine
Carcinoma indifferenziato
Cistoadenocarcinoma biliare

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