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Le ossa sono rivestite esternamente dal periostio Esistono due forme di tessuto osseo: quello reti-
(uno strato fibroso sottile), tranne a livello artico- colare e quello lamellare.
lare e nei punti di inserzione di tendini e legamen- L’osso reticolare è formato da grossi fasci di fibre
ti. Le superfici interne del canale midollare invece collagene, da abbondante sostanza fondamentale e
sono rivestite dall’endostio (uno strato connettivale da osteociti di grandi dimensioni, e si ritrova nelle
assai sottile). fasi di sviluppo fetale e nell’infanzia; l’osso retico-
L’osso è un particolare tessuto mineralizzato, lare viene poi sostituito dall’osso lamellare con la
ed è costituito da cellule e da una matrice organi- comparsa dei nuclei di ossificazione.
ca proteica di fibre collagene disperse in una massa L’osso lamellare è caratterizzato da fasci di colla-
inorganica di fosfato di calcio che prende il nome gene molto sottili, regolarmente disposti in lamelle
di idrossiapatite (sostanza fondamentale). e con una sostanza fondamentale meno abbondan-
Nonostante la sua durezza, e quindi l’apparente te. Nell’osso compatto le lamelle formano gli osteo-
staticità, l’osso è estremamente dinamico ed in con- ni o sistemi di Havers, lunghi tronchi di lamelle
tinua evoluzione; in esso avvengono infatti costante- concentriche che hanno un canale centrale vascola-
mente due processi, uno di apposizione e l’altro di re parallelo all’asse diafisario (Fig. 1.2).
riassorbimento. Si raggiunge così un equilibrio dina- Le ossa sono vascolarizzate dai vasi periostali in
mico tra le esigenze corporee di calcio e le necessità superficie e da vasi profondi che si approfondano
di sostegno del carico; queste caratteristiche, fine- nella spongiosa fino a livello del midollo osseo.
mente regolate da diversi fattori, dipendono essen-
zialmente dall’attività delle cellule ossee, che sono:
–– gli osteoblasti, che sintetizzano la matrice orga-
FISIOLOGIA DEL METABOLISMO OSSEO
nica e favoriscono la deposizione minerale, e si Il tessuto osseo, costituito dai minerali calcio e
trovano direttamente appoggiati all’interno del- fosforo e da una componente organica e cellulare, è
le superfici ossee in accrescimento come singolo una struttura dinamica che va incontro a un conti-
strato di cellule cubiche; nuo rimodellamento, attraverso i processi di forma-
–– gli osteociti, che derivano dagli osteoblasti e sono zione e di riassorbimento di tessuto osseo, per tutto
inclusi nel tessuto mineralizzato dentro le lacune il corso della vita, anche dopo la fine della fase di
ossee, collegati tra loro da un’estesa maglia di ra- accrescimento corporeo.
mificazioni e sono apparentemente inattivi; La regolazione dei processi di rimodellamento è
–– gli osteoclasti, che sono grosse cellule macrofagi- affidata a un meccanismo endocrino, che coinvolge
che multinucleate e hanno il compito di riassor- prevalentemente l’ormone paratiroideo, la vitamina
bire osso. D e la calcitonina. Altri regolatori ormonali del ri-
modellamento osseo comprendono gli ormoni ses-
suali (estrogeni, testosterone), gli ormoni tiroidei,
Breccia Osteoni
dell’osso i corticosteroidi (tra cui il cortisolo), l’insulina e i
fattori di crescita (tra cui l’ormone della crescita).
Tessuto
Ogni anno può essere depositato e rimosso fino a
lamellare circa un quinto del calcio scheletrico totale. Una
delle funzioni dell’osso è quella di offrire una riser-
va di calcio all’organismo per mantenere costante la
calcemia (Fig. 1.3).
Canale di
Havers
Il calcio ha una funzione essenziale nella rego-
lazione di importanti processi vitali: attivazione
cellulare, trasporto di membrana, funzione enzi-
matica, risposta agli ormoni, conduzione nervosa,
periosteo
secrezione ghiandolare, contrazione muscolare,
endostio coagulazione e soprattutto determina la resistenza
ossea. Il metabolismo del calcio è strettamente lega-
Fig. 1.2 Immagine microscopica di osso corticale: l’esterno è rivestito da periostio. to a quello del fosforo, infatti entrambi sono rego-
Gli osteoni sono formati da lamelle concentriche con al centro i canali di Havers. Le cel- lati dagli ormoni paratormone e calcitonina e dalla
lule sono incarcerate nella componente mineralizzata e ne mantengono l’omeostasi. Tra i vitamina D.
vari osteoni è presente tessuto lamellare riorganizzato. L’interno è rivestito da endostio. Il paratormone è prodotto dalle cellule principali
1. Anatomia e fisiologia 5
Domande di autovalutazione
1. Come si suddividono le ossa in base alla conformazione?
2. Come viene distinto il tessuto osseo maturo?
3. Quali sono i fattori che regolano il metabolismo osseo?
4. Quali sono le fasi del cammino?
5. Come si comportano le articolazioni del piede durante le fasi del cammino?
visita del paziente ortopedico
2
L’esame clinico del malato avviene mediante il lute e sulle eventuali malattie di cui hanno sofferto
rilievo dei segni e l’interpretazione dei sintomi. Il i familiari del paziente. Questa indagine è molto
medico in genere ricava questi elementi, indispen- importante perché molte patologie ortopediche
sabili per costruire un ragionamento clinico ed arri- sono familiari come la displasia dell’anca, il piede
vare ad una diagnosi, in base all’anamnesi, all’esame torto, il piede piatto e l’alluce valgo. Sapere questo
obiettivo, alle ricerche di laboratorio e agli esami è molto importante perché può indirizzare l’esame
strumentali. obiettivo e strumentale nella ricerca di queste pa-
tologie.
L’anamnesi fisiologica consiste nella raccolta dei
ANAMNESI dati riferiti alle principali fasi dello sviluppo, alle
L’anamnesi costituisce il primo e indispensabile abitudini (alimentazione, fumo, alcolici, caffè) e
passo per l’esame clinico del malato e consiste nella alle funzioni fisiologiche (appetito, digestione, re-
raccolta di notizie e di dati riferiti dal paziente stes- golarità dell’alvo e della diuresi). In campo ortope-
so o dai congiunti circa le malattie di cui ha soffer- dico è indispensabile conoscere se il paziente soffre
to, iniziando da quelle remote per arrivare a quelle di allergie a farmaci e soprattutto a metalli dato che
più recenti e indagando anche su eventuali malattie spesso negli interventi si devono usare dei mezzi di
familiari. L’indagine la si esegue ponendo al pazien- sintesi che sono in metallo.
te delle precise domande. L’anamnesi patologica remota consiste nel racco-
L’anamnesi è condotta secondo il seguente ordi- gliere tutte le notizie sulle precedenti patologie di
ne: generalità; anamnesi familiare; anamnesi fisio- cui ha sofferto il paziente e su eventuali pregressi
logica; anamnesi patologica remota; anamnesi pa- interventi chirurgici soprattutto se ortopedici.
tologica recente. L’anamnesi patologica recente consiste nel racco-
Le generalità consistono nel raccogliere i dati gliere tutte le informazioni riguardanti il disturbo
anagrafici del paziente, lo stato civile, la professio- che il paziente accusa al momento della visita. Se
ne. Queste prime domande sono utili per capire il sintomo principale è il dolore si deve cercare di
lo stato psicologico del paziente. Inoltre sapere il capire come è: continuo, pulsante, intermittente,
lavoro è importante perché molte patologie han- sordo o acuto e quando compare: a riposo, al movi-
no una natura occupazionale soprattutto nel cam- mento, dopo uno sforzo, al mattino o di notte. In
po ortopedico. Ad esempio fare lavori pesanti che questo modo si riesce a intuire più o meno la natu-
comportino sollevamento di pesi, guidare veicoli a ra del dolore: se compare al movimento è di natura
lungo, stare in posizioni scorrette per molto tempo meccanica, se compare al mattino probabilmente è
ed eseguire attività sportiva agonistica a livello pro- di natura infiammatoria, mentre se compare di not-
fessionale, può aumentare il rischio di sviluppare te ed è sordo è probabilmente un dolore da proces-
patologie ortopediche. so espansivo o di natura neoplastica.
L’anamnesi familiare informa sullo stato di sa- Questa è la parte dell’anamnesi in cui bisogna es-
8 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
sere il più possibile precisi e pertinenti nelle doman- zioni) e tumefazione articolari (distorsioni, infiam-
de, cercando di fare riferimento ai dati di maggiore mazioni, infezioni).
rilievo e iniziando così a farsi una ipotesi diagnosti- La palpazione ha lo scopo di valutare ciò che si è
ca che andrà verificata e avvalorata nelle successive osservato con l’ispezione: rilevando il calore a livel-
fasi dell’esame clinico, con l’esame obiettivo e con lo articolare (indice di flogosi), ricercando partico-
gli esami strumentali. lari punti dolorosi (inserzioni tendinee, legamenti,
punti ossei come le apofisi spinose nel rachide o i
malleoli nella caviglia), seguendo i profili ossei (per
ESAME OBIETTIVO trovare eventuali fratture).
L’esame obiettivo si basa sulla ricerca diretta dei Valutando la motilità attiva o passiva delle arti-
segni fisici di malattia. Per quanto riguarda l’appa- colazioni si cerca di determinare se il grado di mo-
rato osteo-articolare lo si esegue con l’ispezione, la vimento del paziente è limitato. Nell’esame della
palpazione e la ricerca della mobilità attiva e passiva motilità attiva il paziente usa i suoi muscoli per
delle articolazioni. eseguire il movimento mentre nella motilità passiva
L’ispezione consiste nell’osservazione attenta e è l’esaminatore che muove l’articolazione. L’esame
accurata del paziente, il quale deve essere valuta- della motilità passiva va eseguito quando il paziente
to spogliato e sempre nel suo insieme (Fig. 2.1). ha limitazioni nei movimenti attivi mentre se que-
L’anamnesi, comunque, indirizzerà su un determi- ste limitazioni non esistono non è necessario ese-
nato segmento corporeo dove il paziente sente do- guire i movimenti passivi.
lore o ha una limitazione funzionale. L’area da ispe- I movimenti, naturalmente, variano in base al
zionare deve essere nuda e, se riguarda il rachide, il l’articolazione che viene osservata.
paziente deve spogliarsi completamente. Nella spalla si valuta l’abduzione e l’extrarota-
Con l’ispezione si ricercano: malformazioni del zione dell’articolazione gleno-omerale (portando la
rachide (scoliosi, cifosi, torcicollo), dismetrie e mal- mano dietro il capo e toccando l’angolo supero-me-
formazioni degli arti (ginocchio valgo o varo, piede diale della scapola del lato opposto) e l’adduzione e
torto), alterazioni cutanee (arrossamenti, eruzioni, l’intrarotazione (portando la mano dietro la schiena
noduli, pregresse cicatrici), variazioni dei profili os- e toccando l’angolo inferiore della scapola opposta)
sei o articolari (fratture ossee, lussazioni e sublussa- (Fig. 2.2).
Fig. 2.1 All’esame obiettivo il paziente deve essere valutato in ortostatismo, osservato anteriormente, posteriormente e lateralmente.
2. visita del paziente ortopedico 9
Supinazione Pronazione
Rotazione
dell'avambraccio
A B C
Fig. 2.3 I movimenti dell’articolazione del gomito devono essere investigati chiedendo al paziente di portare il braccio in massima estensione (A) ed in massima flessione
(B). L’avambraccio, grazie all’articolazione omero-radiale e radio-ulnare prossimale e distale, è in grado di compiere la prono-supinazione, che deve essere valutata chiedendo al
paziente di ruotare il polso verso l’interno e verso l’esterno (C).
10 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
Radiografia
Flessione La radiografia è una lastra di pellicola foto-sen-
sibile esposta ad un fascio di radiazioni X che ha
135° 90° attraversato la regione anatomica da analizzare.
Le differenti parti del corpo assorbono i raggi X
in diversa misura, in ragione della loro densità, de-
terminata dal contenuto in calcio. Il tessuto osseo
Fig. 2.6 Il ginocchio è un’articolazione che compie movimenti molto ampi, che van- infatti a causa dell’elevata densità, per il cospicuo
no dall’estensione completa (normalmente 0°) alla completa flessione (circa 135°). contenuto di calcio trattiene maggiormente le radia-
2. visita del paziente ortopedico 11
Tomografia assiale
computerizzata
La tomografia assiale compute-
rizzata, o TAC, è un esame dia-
gnostico che combina i tradizio-
nali raggi X, la tecnica tomogra-
fica e la ricostruzione a matrici.
Ciò consente di ottenere l’imma-
gine radiologica di una sezione
trasversale del corpo. Attual-
mente si stanno imponendo due
nuove tecniche, evoluzione della
TAC tradizionale: la tomografia
Fig. 2.7 L’estensione del piede è detta anche dorsiflessione ed è in genere di circa 20° e la plantarflessione può assiale computerizzata spirale e la
raggiungere i 50° (A). Dorsiflessione, eversione e abduzione del piede danno origine alla pronazione,; plantarflessione, tomografia assiale computerizzata
inversione e adduzione danno origine alla supinazione (B). multistrato, che “affetta” l’organo
da esaminare in sezioni sottilissi-
me, fornendo fino a 8 immagini
al secondo. Queste immagini
presentano tutta la gamma delle
tonalità dei grigi, dal bianco al
nero, in base alla densità del tes-
suto, infatti l’osso è la struttura
più chiara mentre i tessuti mol-
li sono più scuri. Ciò permette
di riconoscere i tessuti normali
da quelli patologici. Il vantaggio
della tomografia assiale compu-
terizzata rispetto alla radiografia
tradizionale è che essa crea imma-
gini assai dettagliate ed evidenzia
anche minime differenze di den-
sità tra i differenti tessuti di un
organo, permettendo di visualiz-
zare strutture altrimenti non ap-
prezzabili, specialmente se loca-
lizzate in profondità (Fig. 2.10).
Fig. 2.8 Le articolazioni intervertebrali sono poco mobili, ma sommate le une alle altre danno un movimento molto Attualmente la tomografia assiale
ampio all’intero rachide, in estensione ed in particolare in flessione. computerizzata consente diagno-
si accurate su lesioni importanti
zioni rispetto ai tessuti molli come i muscoli, l’adipe come quelle del sistema nervoso, degli organi ad-
e i parenchimi che si lasciano facilmente attraversa- dominali, dell’apparato muscoloscheletrico; il suo
re. Così l’osso appare radiopaco (bianco), mentre i principale campo d’azione è la patologia vertebra-
tessuti molli e l’aria appaiono più radiotrasparenti le, neoplastica e la traumatologia.
(rispettivamente di colore grigio e nero). La radio-
grafia scheletrica, essendo la proiezione su un piano
di un corpo tridimensionale, necessita di due proie- Risonanza magnetica nucleare
zioni ortogonali: antero-posteriore e latero-laterale La risonanza magnetica nucleare (RMN) è, dal
(Fig. 2.9). Le formazioni ossee più complesse, pic- punto di vista tecnologico, molto più recente ri-
cole o sovrapposte a strutture molto dense possono spetto alla tomografia assiale computerizzata ed of-
richiedere proiezioni particolari oblique. fre notevoli vantaggi rispetto alle altre tecniche dia-
12 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
Arteriografia
L’arteriografia permette lo stu-
dio dei vasi sanguigni e degli or-
gani che da essi vengono irrorati e
viene utilizzata quando si sospetta
un anomalo afflusso di sangue a
una specifica parte del corpo da
una o più arterie. Con l’iniezione
del mezzo di contrasto nel sistema
circolatorio e la ripresa radiogra-
fica delle immagini, il radiologo
evidenzia la rete arteriosa, nella
quale possono risultare evidenti
una riduzione del flusso ematico,
Fig. 2.10 TAC del ginocchio. Sezione assiale nella quale si può apprezzare il profilo e l’architettura del tessuto osseo e circoli collaterali o neovascolariz-
il rapporto articolare tra il femore e la rotula. zazioni.
2. visita del paziente ortopedico 13
A B
Fig. 2.11 RMN del ginocchio. Sezione sagittale a livello della gola intercondiloidea. Sono visibili il legamento crociato anteriore e il legamento crociato posteriore (A). Sezione sagittale
a livello del condilo femorale laterale. Si può notare la qualità della cartilagine articolare del condilo femorale, del piatto tibiale e della rotula. Sono inoltre riconoscibili il corno anteriore e
il corno posteriore del menisco esterno che appaiono come 2 triangoli scuri tra il condilo femorale ed il condilo tibiale (B).
Questo esame è molto utile nelle gravi lesioni insufficienze vascolari periferiche, come ad esempio
traumatiche degli arti per valutare quali tronchi il diabete, per comprendere l’entità della riduzione
arteriosi siano pervi, nella patologia tumorale per dell’afflusso ematico agli arti.
valutare la neoangiogenesi delle neoplasie e nelle
Domande di autovalutazione
1. Perché è importante eseguire una corretta anamnesi familiare?
2. Quali sono i movimenti normali della spalla?
3. Quali sono i movimenti normali dell’anca?
4. Cosa è la prono-supinazione dell’avambraccio?
5. Come vengono definiti i movimenti di pronazione e supinazione del piede?
6. Descrivere brevemente i principali esami strumentali per la valutazione dell’apparato muscolo-scheletrico?
7. Quali sono i vantaggi della TAC rispetto alla radiografia convenzionale?
Patologie ossee metaboliche
3
Tra le malattie metaboliche alcune hanno effetti cemia, aumento del riassorbimento osseo e diminu-
sull’apparato scheletrico. zione del riassorbimento renale di calcio e fosforo.
Si possono distinguere 2 gruppi: In questa situazione si ha un’alterata mineralizza-
–– patologie metaboliche con insufficiente mineraliz- zione dell’osso con un eccesso di produzione ossea
zazione ossea: rachitismo e osteomalacia; non mineralizzata (osteoide).
–– patologie metaboliche con inadeguata osteogenesi e
aumentata osteolisi: osteoporosi.
Clinica
Nel rachitismo i principali sintomi riguarda-
RACHITISMO-OSTEOMALACIA no lo scheletro e sono rappresentati da: rammol-
limento delle ossa, deformità, rallentamento della
Definizione crescita staturale, ritardo nell’eruzione dei denti e
Il rachitismo e l’ostomalacia sono patologie me- nell’inizio della deambulazione. Le deformità ossee
taboliche caratterizzate da una insufficiente mine- più comuni sono a carico del cranio, della colon-
ralizzazione ossea in seguito a carenze di calcio e na (cifosi e scoliosi), del bacino, del torace e degli
vitamina D. arti inferiori (ginocchio valgo o varo). Vi è anche
Il rachitismo interessa lo scheletro durante l’ac- una tipica deformità a livello condro-costale, detta
crescimento (soprattutto nei primi due anni) men- “rosario rachitico”, dovuta ad un eccesso di tessuto
tre l’osteomalacia è tipica dell’età adulta. cartilagineo.
Altri sintomi del rachitismo possono essere la
tetania (crampi muscolari causati da carenza di cal-
Epidemiologia cio o vitamina D), crampi alle gambe, dolori alle
Nei paesi occidentali l’osteomalacia e soprattutto ossa (soprattutto gambe, collo, coste e fianchi), pa-
il rachitismo sono ormai quasi scomparsi, fatta ec- restesie e disestesie, debolezza generale, convulsio-
cezione di rari casi di rachitismo congenito nei nati ni e depressione immunitaria.
prematuri. L’osteomalacia interessa gli adulti e il quadro cli-
Più frequentemente il rachitismo si presenta nei nico è dominato da dolori ossei diffusi e da un’aste-
paesi in via di sviluppo dove spesso vi sono impor- nia muscolare che può far pensare inizialmente ad
tanti carenze alimentari. una patologia muscolare, mentre le deformità sche-
letriche possono passare inosservate. Si possono
sviluppare deformità a carico degli arti inferiori e
Eziopatogenesi del bacino ma soprattutto si verificano delle frattu-
Dal punto di vista eziopatogenetico il rachitismo re patologiche dovute alla scarsa resistenza dell’osso
e l’osteomalacia sono provocati da una carenza di osteomalacico. Tipiche sono le fratture vertebrali da
calcio e di vitamina D con una conseguente ipocal- schiacciamento. La presenza di pseudofratture sono
18 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
Trattamento
La terapia medica è preventiva e consiste nei nati
pretermine, nella somministrazione di vitamina D
e calcio durante il primo anno di vita.
Se vi sono deformità scheletriche è utile correg-
gerle prima possibile per evitare l’artrosi secondaria.
Nei casi di osteomalacia, in conseguenza di un
problema intestinale o renale, la terapia deve essere
volta a risolvere il problema di base di pertinenza
internistica.
OSTEOPOROSI
Definizione
L’osteoporosi è una malattia a carattere evolutivo
che determina una riduzione progressiva della massa
ossea, aumentando gli spazi midollari e diminuen-
do la componente minerale (calcio e fosforo) senza
Fig. 3.1 Radiografia in proiezione laterale di femore rachitico gravemente deformato alterazioni del rapporto tra la componente organica
in procurvazione a causa della scarsa mineralizzazione dell’osso. Si possono evidenziare e la componente inorganica (Fig. 3.2). L’osso così
alcune interruzioni della corticale ossea sul versante anteriore (fratture da stress). La risulta più debole ed esposto a fratture.
cartilagine di coniugazione appare allargata rispetto al normale.
Epidemiologia
probabilmente il segno di difetti localizzati della
mineralizzazione. L’osteoporosi colpisce prevalentemente le donne,
anche se gli uomini non ne sono immuni (soprat-
tutto quelli con carenza di testosterone, gli anziani
Diagnosi e gli alcolisti cronici). Si stima che questa malattia
Nel rachitismo la diagnosi è prevalentemente cli- interessi il 25-40% delle donne sopra i 50 anni e il
nica. Ma in alcuni casi il quadro clinico può essere
sfumato e la diagnosi è possibile solo con gli esami
di laboratorio e gli esami radiografici.
Gli esami di laboratorio evidenziano una calce-
mia poco ridotta o ai limiti inferiori della normali-
tà, una ipofosforemia, una diminuzione della vita-
mina D e un aumento della fosfatasi alcalina.
Radiologicamente nel rachitismo le zone di co-
niugazione delle cartilagini di accrescimento ap-
paiono ingrossate, tipiche sono le metafisi a coppa A B
di champagne di ulna e radio. Inoltre sono chiara-
mente visibili la deformità ossee, come il ginocchio Fig. 3.2 Il rimaneggiamento osseo di una diafisi provoca l’aumento del canale
valgo o varo (Fig. 3.1). L’opacità ossea è diminuita midollare, la diminuzione dello spessore dell’osso corticale, parzialmente sostituito da
in modo omogeneo e in alcune aree può essere più osso di natura spongiosa (B), rispetto all’osso normale (A).
3. Patologie ossee metaboliche 19
Fig. 3.3 Preparato anatomico di una colonna ver- Fig. 3.4 Rappresentazione schematica del progressivo incremento con l’avanzare dell’età della fisiologica cifosi dovuto
tebrale osteoporotica: le trabecole ossee che formano la alla deformazione cuneiforme dei corpi vertebrali, conseguente ai ripetuti fenomeni di indebolimento osseo per osteopo-
spongiosa sono gravemente diradate. rosi.
70% delle donne dopo i 70 anni. In particolare, il ulteriore deterioramento della sua architettura (Fig.
25% delle donne di 70 anni e il 50% di quelle di 3.3) che ne determina un aumento della fragilità e,
80 anni hanno almeno una frattura vertebrale. di conseguenza, un aumento del rischio di fratture
in seguito a traumi anche di minima entità.
Le cause più frequenti di osteoporosi possono es-
Eziopatogenesi sere distinte in primarie e secondarie.
L’osteoporosi può essere dovuta a numerose cause, Le cause primarie sono: la familiarità; in meno-
alcune delle quali ancora sconosciute. Essenzialmen- pausa la carenza di estrogeni che regolano il rias-
sorbimento del calcio e determinano a livello osseo
te è dovuta al riassorbimento del tessuto osseo, un
una eccessiva produzione di citochine, provoca un
fenomeno in parte fisiologico, in quanto è una con-
aumento del riassorbimento osseo; la carente as-
seguenza dei cambiamenti metabolici ed ormonali ai
sunzione di calcio e vitamina D soprattutto in età
quali va incontro l’organismo con l’avanzare dell’età.
adulta; non aver avuto gravidanze; la sedentarietà,
Nei soggetti giovani adulti le quantità di tessuto
il fumo, l’alcol, ecc.
osseo riassorbito e formato si equivalgono, mentre Le cause secondarie sono: l’uso di corticosteroidi;
negli individui anziani, e in particolare nei pazienti altre patologie (iperparatiroidismo, ipogonadismo,
con osteoporosi, la quantità di nuovo tessuto osseo ipertiroidismo, malassorbimento di natura intesti-
è inferiore a quella riassorbita, per cui la massa ossea nale e renale, immobilizzazione).
va incontro a una progressiva diminuzione. Infatti,
con l’avanzare dell’età sia gli uomini sia le donne
perdono dall’1-3% di massa ossea all’anno. Clinica
Inoltre nell’osteoporosi la riduzione di massa os- L’osteoporosi è una malattia ad insorgenza molto
sea si accompagna a un’anomala mineralizzazione lenta, soprattutto nella forma senile, e quindi i sin-
del tessuto osseo superstite. Questo comporta un tomi sono spesso subdoli (Fig. 3.4).
20 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
Epidemiologia
L’1% della popolazione adulta ha un iperparati-
roidismo ma solo alcuni sviluppano una sintoma-
tologia. L’iperparatiroidismo con manifestazioni
scheletriche prevale soprattutto nelle donne tra 20
3. Patologie ossee metaboliche 21
e 60 anni. Nella maggior parte dei casi è provoca- sorbimento osseo. Nei casi più gravi l’osso può esse-
to da adenomi singoli e benigni, talvolta da una re completamente riassorbito e sostituito da tessuto
iperplasia, e raramente da neoplasie maligne delle collagene (tumore bruno) (Fig. 3.6).
ghiandole paratiroidi. La certezza diagnostica è data dal ritrovamento
dell’adenoma o dell’iperplasia a livello paratiroideo.
Eziopatogenesi
Trattamento
Dal punto di vista eziopatogenetico l’iperpara-
tiroidismo deriva da un mal funzionamento delle Una caratteristica molto particolare di questa
ghiandole paratiroidee e può essere primario o se- patologia è che le alterazioni ossee si sviluppano
condario. molto lentamente e sono reversibili. Infatti se vie-
L’iperparatiroidismo primario nella maggior par- ne eliminata la causa dell’iperparatiroidismo le le-
te dei casi è idiopatico mentre in una piccola per- sioni ossee tendono a riparare in 9-15 settimane.
centuale dei casi è ereditario e si manifesta nelle Naturalmente se si sono sviluppate delle deformità
neoplasie endocrine multiple (MEN1 e MEN2a). ossee importanti, queste permangono.
L’iperparatiroidismo secondario è una conse- La terapia consiste essenzialmente nella asporta-
guenza di altre patologie che provocano una ipocal- zione dell’adenoma o della ghiandola paratiroidea
cemia (insufficienza renale cronica, malassorbimen- iperplastica.
to intestinale del calcio, rachitismo, osteomalacia, Per evitare le deformità a scopo preventivo si
possono usare dei tutori e nel caso siano presenti
allattamento, gravidanza).
delle deformità ossee permanenti si possono esegui-
L’aumento del paratormone determina una im-
re delle osteotomie. Se è presente un tumore bruno
portante attivazione osteoclastica a livello osseo con
questo deve essere asportato.
una intensa osteolisi ossea sia a livello della cortica-
le e sia a livello della spongiosa.
Le aree osteolitiche sono sostituite da tessuto
collagene lasso perché la mineralizzazione di queste
aree è inibita dall’eccesso di paratormone. Si svi-
luppa così una fibrosi midollare che può sostitui-
re completamente in alcune zone il tessuto osseo,
dando origine al cosidetto tumore bruno, costituito
da tessuto connettivo patologico ricco di cellule gi-
ganti e vasi sanguigni.
Clinica
La sintomatologia nell’iperparatiroidismo pri-
mario idiopatico compare molto lentamente quan-
do è avvenuto un importante riassorbimento osseo.
I segni e i sintomi più evidenti sono, a livello osseo:
dolori, deformità, tumefazioni (tumori bruni) e
fratture patologiche. L’ipercalcemia determina ne-
frolitiasi, dispepsia, stipsi e pancreatite.
Diagnosi
La diagnosi è essenzialmente clinica con gli esami
di laboratorio che evidenziano ipercalcemia, ipofo-
sforemia, aumento del paratormone, ipercalciuria e
iperfosfaturia.
Tipici sono i quadri radiologici che evidenzia-
no una corticale molto assottigliata che assume un Fig. 3.6 Radiografia di un tumore bruno del 5° metacarpale. La corticale è forte-
aspetto trabecolare e a “merletto” per l’intenso rias- mente assottigliata e deformata.
22 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
A B C
Fig. 3.8 Nella gotta cronica, i tofi possono essere ben palpati a livello del padiglione auricolare (A) e talvolta possono ulcerarsi (B, C).
Pseudogotta Eziopatogenesi
La pseudogotta è una forma di artrosi provocata L’eziologia è sconosciuta. Si pensa vi sia una pre-
dalla deposizione di cristalli di pirofosfato di calcio disposizione genetica associata ad infezioni virali
nelle cartilagini articolari, nelle membrane sinovia- che rendono gli osteoclasti incontrollabili e patolo-
li e nelle guaine tendinee. Si manifesta soprattutto gicamente attivi. L’aumento della vascolarizzazione
nelle donne al di sopra dei 60 anni di età. Il ginoc- dell’osso non si sa se sia una causa primitiva o se-
chio è l’articolazione più colpita. condaria della malattia stessa.
Clinicamente gli attacchi acuti assomigliano a Dal punto di vista patogenetico la malattia di
quelli gottosi ma l’acido urico sierico è normale. Paget è costituita da due fasi: una fase precoce e una
Radiograficamente si evidenziano calcificazioni a tardiva.
livello delle cartilagini articolari, dei menischi e dei Nella fase precoce o distruttiva, prevale il rias-
dischi intervertebrali. sorbimento osseo patologico da parte degli oste-
oclasti. A questo si associa una insufficiente neo-
L’attacco acuto è trattato con l’indometacina men-
formazione ossea e l’osso risulta particolarmente
tre le forme croniche sono trattate con antinfiamma-
vascolarizzato. Microscopicamente si evidenzia
tori non steroidei e glucocorticoidi intrarticolari.
un marcato incremento delle superfici di riassor-
bimento, caratterizzate da lacune profondamente
MALATTIA DI PAGET erose contenenti osteoclasti ingranditi, si osserva
inoltre un tessuto fibroso lasso ricco di vasi sangui-
Definizione gni che circonda le trabecole ossee neoformate che
hanno una disposizione disorganizzata.
La malattia ossea di Paget è caratterizzata da un Nella fase tardiva o sclerotica, prevale la neofor-
alterato turnover osseo con prevalenza dell’attività mazione ossea in seguito alla diminuzione dell’at-
osteoclastica e apposizione disordinata di nuovo tività della malattia. Microscopicamente si nota il
osso da parte degli osteoblasti che determinano caratteristico “aspetto a mosaico” dovuto alla depo-
nel complesso l’osteite deformante, che può ave- sizione irregolare e rapida del nuovo tessuto osseo,
re una localizzazione singola, multipla o diffusa. per lo più lamellare, determinando così un aumen-
Questi fenomeni determinano una progressiva de- to delle linee cementanti che divengono più evi-
formazione delle ossa colpite soprattutto se si trat- denti ed irregolari.
ta della colonna vertebrale e degli arti inferiori.
Clinica
Epidemiologia La malattia di Paget, clinicamente, può avere
L’incidenza della malattia di Paget è intorno al una presentazione variabile in funzione delle sua
2%, colpisce soggetti di età superiore ai 40 anni ed estensione e delle ossa interessate. Molti pazien-
è frequente in Europa e in America mentre in India ti possono essere asintomatici e la diagnosi viene
è molto rara. fatta casualmente in seguito ad esami radiologici.
24 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
Domande di autovalutazione
1. Descrivere le principali differenze tra rachitismo e ostemalacia?
2. Quali sono le cause più frequenti e le conseguenze più temibili dell’ osteoporosi?
3. Quale esame valuta accuratamente l’evoluzione dell’osteoporosi?
4. Quale comportamento deve essere intrapreso per prevenire l’insorgere dell’osteoporosi?
5. Quali sono le conseguenze cliniche dell’osteoporosi?
6. Quali sono le articolazioni più colpite nella fase cronica della gotta?
7. Quali sono le complicanze più importanti nella malattia di Paget?
4
Patologie infiammatorie
delle ossa
e delle articolazioni
Le patologie infiammatorie delle articolazioni contro di essi. Infatti, nel siero dei pazienti affetti
sono delle poliartropatie, che vengono suddivise in da artrite reumatoide, è presente (in una percentua-
due grandi gruppi: le tra il 70%-90%) il fattore reumatoide che rappre-
–– le sieropositive, dove il fattore reumatoide è quasi senta un autoanticorpo contro le immunoglobuline
sempre presente nel sangue, mentre l’antigene di IgG. L’unione tra il fattore reumatoide e le IgG crea
istocompatibilità HLA-B27 è di raro riscontro. A degli immunocomplessi, che si accumulano sulla
questo gruppo appartengono l’artrite reumatoide membrana sinoviale e provocano l’infiammazio-
e l’artrite reumatoide giovanile (morbo di Still); ne. Sembra che fattori traumatici, psico-somatici,
–– le sieronegative, dove l’antigene di istocompatibi- endocrino-metabolici e infettivi abbiano un ruolo
lità HLA-B27 è quasi sempre presente nel sangue, nell’insorgenza della patologia.
mentre il fattore reumatoide si riscontra raramen- L’alterazione iniziale è rappresentata dall’infiam-
te. A questo gruppo appartengono la spondilite mazione della membrana sinoviale, che diventa
anchilosante, la sindrome di Reiter, l’artrite pso- edematosa ed ispessita. L’infiammazione si estende
riasica, la sindrome di Behcet. alla cartilagine articolare, alla capsula e alle strut-
ture tendineo-legamentose. L’infiammazione della
membrana sinoviale provoca l’iperproduzione di li-
ARTRITE REUMATOIDE quido sinoviale, che distende l’articolazione e causa
Definizione il danno iniziale della cartilagine articolare. Lo sta-
dio successivo all’infiammazione è la formazione di
L’artrite reumatoide è una poliartrite infiamma-
toria cronica che colpisce in genere in modo sim-
metrico le piccole articolazioni delle mani e dei
piedi (Figg. 4.1, 4.2), e in misura minore qualsiasi
altra articolazione. Inoltre, può colpire altri distret-
ti, come l’apparato cardiocircolatorio, la cute, l’oc-
chio.
Le donne sono più frequentemente colpite, con
un rapporto di 3:1.
Eziopatogenesi
L’eziologia dell’artrite reumatoide è sconosciuta.
È una patologia autoimmunitaria. Il paziente si è Fig. 4.1 Caratteristica deformità delle mani in una paziente affetta da artrite reu-
sensibilizzato verso componenti tissutali autologhi matoide in stato avanzato, con sublussazione delle metacarpo-falangee e ulnarizzazione
e conseguentemente ha sviluppato degli anticorpi delle dita (mano “a colpo di vento”).
26 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
un tessuto proliferativo, chiamato panno sinoviale, 4.2). Successivamente, vengono colpite le articola-
che penetra nella cartilagine e nell’osso subcondra- zioni più prossimali, cioè i polsi, le ginocchia e le
le, e li distrugge. spalle. Raramente sono colpite le anche (Fig. 4.3) e
Le alterazioni istologiche della membrana si- la colonna vertebrale. L’evoluzione della malattia è
noviale non sono specifiche; sono le alterazioni di cronica con remissioni e riacutizzazioni.
un’infiammazione cronica, caratterizzata dall’infil- I sintomi iniziali dell’artrite reumatoide sono
trazione di linfociti, monociti e plasmacellule. rappresentati dal dolore, dalla tumefazione e dalla
rigidità di una o più articolazioni, con coinvolgi-
mento di solito simmetrico. La rigidità articolare è
Clinica più intensa al mattino, e il dolore articolare si ma-
L’esordio dell’artrite reumatoide avviene più nifesta all’inizio dei movimenti e tende a migliorare
spesso verso la terza-quarta decade. La patologia nell’arco della giornata. La facile affaticabilità, la
colpisce inizialmente in maniera simmetrica le ar- debolezza e l’anoressia sono dei sintomi generici
ticolazioni periferiche, più frequentemente le me- che spesso fanno parte del quadro clinico dell’artri-
tacarpo-falangee e le interfalangee prossimali delle te reumatoide. In un quarto dei pazienti l’esordio è
mani (Fig. 4.1) e le articolazioni dei piedi (Fig. più acuto con dolore intenso e febbre. Nell’esame
obiettivo, l’articolazione colpita si presenta tume-
fatta, con limitazione dei movimenti.
Negli stadi successivi, la cute diventa sottile e lu-
cida, i muscoli si atrofizzano e inizia la progressio-
ne della deformità. Le deformità più caratteristiche
sono la flessione e deviazione ulnare delle articolazio-
ni metacarpo-falangee (chiamata deformità a colpo
di vento) e l’estensione delle articolazioni interfalan-
gee prossimali e flessione di quelle distali delle mani
(nota come deformità a collo di cigno). Le articola-
zioni del gomito, del ginocchio e dell’anca presen-
tano una diminuzione dell’arco di movimento con
flessione permanente. L’anchilosi fibrosa delle artico-
lazioni è lo stadio finale dell’artrite reumatoide.
A
Esami di laboratorio
Alterazioni aspecifiche nell’artrite reumatoide sono
l’aumento degli indici di flogosi (velocità di eritrose-
dimentazione (VES) e proteina C reattiva), il lieve
aumento dei leucociti, la lieve anemia ipocromica.
A circa 3 mesi dall’esordio della malattia il fattore
reumatoide è riscontrabile nel sangue del 70% dei
pazienti. La presenza del fattore reumatoide non è
comunque un criterio diagnostico di certezza, per-
ché si riscontra anche in altre patologie, come il
lupus eritematoso sistemico, la sarcoidosi, l’epatite
cronica attiva, ecc. La ricerca del fattore reumatoi-
de si esegue più frequentemente con la reazione di
Waaler-Rose. Dopo un’accurata anamnesi e l’esame
B clinico, l’aspirazione del liquido sinoviale (artrocen-
tesi) ed il suo esame rappresenta la tecnica più utile
Fig. 4.2 Piedi reumatoidi. Entrambi i piedi presentano un grave valgismo dell’alluce per la valutazione di un’artropatia con sospetto di
con associata deformità ad artiglio delle dita esterne e sublussazione delle teste meta- artrite reumatoide. Tale procedura deve essere ese-
tarsali (A). Entrambi i piedi presentano inoltre grave piattismo con evidente deviazione guita in articolazioni che presentino un versamento
in valgo del calcagno (B). e siano sintomatiche. Il prelievo deve essere eseguito
4. Patologie infiammatorie delle ossa e delle articolazioni 27
Trattamento
Dato che l’eziologia dell’ar-
trite reumatoide è sconosciuta,
il trattamento è sintomatico con
i seguenti obiettivi: diminuire il
dolore soprattutto nelle fasi di ri-
acutizzazione della malattia, man-
tenere il più possibile l’articolarità
delle articolazioni colpite e limi-
tare l’insorgenza di deformità. Le
possibilità terapeutiche consisto-
Fig. 4.3 Artrite reumatoide dell’anca: la rima articolare è del tutto scomparsa ed è presente una estesa degenerazione no nel trattamento conservativo
sia a livello acetabolare che a livello femorale. farmacologico e riabilitativo e nel
trattamento chirurgico.
in modo rigorosamente sterile, in qualsiasi articola- Il trattamento farmacologico deve essere gradua-
zione e l’ago deve essere introdotto lontano da punti le. Nelle prime fasi della malattia, i farmaci usati
di passaggio di formazioni vascolari o nervose. Per sono gli antinfiammatori non steroidei (FANS).
un esame completo è sufficiente 1 ml di liquido, ma A seconda dell’evoluzione si possono usare i sali
l’aspirazione completa del versamento determina un d’oro, gli antimalarici e gli immunosoppressori. I
sollievo per il paziente. cortisonici vengono utilizzati sia nelle fasi acute sia
nella fase cronica, anche se hanno degli effetti colla-
terali, come l’osteoporosi e la necrosi asettica della
Diagnostica per immagini testa femorale.
Nello stadio iniziale dell’artrite reumatoide non La riabilitazione inizia nella fase di remissione
è presente nessun segno radiografico specifico. Suc- con lo scopo di ristabilire l’articolarità e rinforzare
cessivamente si evidenziano segni indiretti di di- la muscolatura dell’articolazione colpita. La pratica
struzione della cartilagine articolare, come restrin- riabilitativa va comunque sospesa in caso di riacutiz-
A B
Fig. 4.4 Quadro radiografico di artrite reumatoide a livello delle mani (A) e dei piedi (B). Risulta evidente la degenerazione delle articolazioni del carpo e del tarso con scomparsa
degli spazi articolari e sclerosi dell’osso subcondrale. Le articolazioni metacarpo-falangee appaiono sublussate con lussazione completa della V metacarpo-falangea della mano sinistra. Le
articolazioni metatarso-falangee di entrambi i piedi appaiono lussate con grave deviazione in valgismo dell’alluce e deformità ad artiglio delle dita esterne.
28 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
A B
Fig. 4.6 Artrite reumatoide dell’anca: l’interessamento è sempre simmetrico, con una estesa distruzione della cartilagine articolare del femore e dell’acetabolo che provoca una gravis-
sima limitazione funzionale (A). La sostituzione protesica dell’articolazione dell’anca permette di recuperare la capacità di carico e di movimento da parte dell’articolazione (B).
4. Patologie infiammatorie delle ossa e delle articolazioni 29
A B C
Fig. 4.9 Proiezione dorso-plantare di avampiede affetto da artrite reumatoide di grado severo: l’alluce è valgo e la cartilagine articolare dell’articolazione è scomparsa, mentre le arti-
colazioni metatarso-falangee delle dita esterne sono lussate e deviate lateralmente (A). L’intervento chirurgico consiste nella resezione delle teste metatarsali (artroplastica). Per mantenere
l’allineamento tra ogni metatarsale e la falange durante l’intervento vengono inseriti fili metallici di Kirshner e mantenuti per 4 settimane (B). Il tessuto fibroso, interposto tra i metatarsali
resecati e le falangi mantiene allineate le articolazioni a distanza di un anno dall’intervento, permettendo la deambulazione senza dolore (C).
Clinica Trattamento
L’esordio della spondilite anchilosante è progressi- Gli obiettivi del trattamento della spondilite an-
vo. I sintomi iniziali sono la lombalgia di lieve enti- chilosante sono: il rallentamento della progressione
tà con irradiazione alla natica e nell’area del bacino, della malattia e la limitazione delle deformità.
che in genere migliora con il movimento, e la rigidi- Il trattamento farmacologico rappresenta il pri-
tà mattutina. Nelle prime fasi della malattia, la dia- mo approccio al paziente e consiste nell’utilizzo di
gnosi è difficile perché l’intensità del dolore è scarsa antinfiammatori non steroidei, e raramente di cor-
e i sintomi aspecifici. Nelle fasi successive, il dolore tisonici.
si estende al torace, allo sterno e alle coste, e paral- La riabilitazione consiste in rinforzo muscolare
lelamente ai fenomeni di ossificazione della colonna dei muscoli del dorso, mobilizzazione delle artico-
vertebrale, si nota la limitazione dei movimenti del lazioni di tutto il corpo, ed esercizi respiratori.
32 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
A B
Fig. 4.13 Aspetto radiografico di una colonna vertebrale affetta da spondilite
anchilosante (A). Le vertebre sono fuse insieme e la colonna assume il caratteristico
aspetto a “canna di bambu” (B).
1-7
6-7
2
2-3 50°
3
A B
A B Fig. 4.15 Aspetto clinico di un paziente affetto da spondilite anchilosante prima (A)
e dopo (B) l’intervento di osteotomia vertebrale correttiva.
Fig. 4.14 Il trattamento chirurgico della spondilite anchilosante prevede l’ese-
cuzione di una osteotomia vertebrale a livello lombare: rimuovendo un cuneo a base dosi lombare (Fig. 4.14, 4.15). Successivamente
posteriore a livello della 3° vertebra lombare (A), si può correggere l’assetto patologico all’ostetomia, si esegue un’artrodesi vertebrale per il
della colonna (B). mantenimento della correzione ottenuta.
Fig. 4.16 Aspetto clinico di paziente affetto da psoriasi, con caratteristica desquamazione cutanea a livello delle superifici estensorie (in questo caso gomiti, sacro e ginocchia).
Domande di autovalutazione
1. Quali sono le articolazioni più colpite e quali sono le deformità più caratteristiche nell’artrite reuma-
toide?
2. Quando viene intrapreso il trattamento chirurgico e quali sono gli approcci chirurgici nella varie arti-
colazioni nell’artrite reumatoide?
3. Qual è il segno più importante nella forma pauci-articolare dell’artrite reumatoide giovanile?
4. Qual è il trattamento di scelta nel morbo di Still?
5. Come esordisce e come si evolve clinicamente la spondilite anchilosante?
5
Patologie infettive
delle ossa
e delle articolazioni
Cartilagine di
accrescimento
Epifisi
Anse
capillari
Sinusoidi
venosi
Periostio
Ascesso
Arterie metafisarie
Arteria nutritizia
A B
A B C
Fig. 5.7 Osteomielite da infezione diretta in una protesi di ginocchio: 6 mesi dopo l’impianto, compare dolore e progressiva impo-
tenza funzionale. Nella radiografia è visibile un’area di riassorbimento osseo a livello della corticale mediale della tibia (A). Il trattamen-
to consiste nell’espianto della protesi e nella interposizione temporanea di cemento acrilico con antibiotico per facilitare la guarigione
dell’osteomielite (B). Quando l’infezione è guarita, si procede al reimpianto della protesi di ginocchio (C).
Fig. 5.6 Osteomielite in seguito a frattura esposta dell’avambraccio: la placca e le viti si sono completamente mobilizzate dall’ulna
prossimale e la frattura non è guarita (pseudoartrosi infetta).
ratorio possono mostrare innalzamento degli indici sario procedere immediatamente alla loro aspor-
di flogosi (VES e PCR), e leucocitosi. tazione accompagnata dalla pulizia di sequestri
o ascessi. Se si rimuove una protesi di solito, si
Diagnostica per immagini inserisce uno spaziatore di cemento acrilico con
antibiotico per circa sei mesi. Alla normalizza-
L’esame radiografico evidenzia sequestri ossei zione di tutti gli indici di flogosi, in genere non
circondate da zone di osteolisi ed ingrossamento prima di 6 mesi dall’espianto, è possibile eseguire
dell’osso interessato per la reazione periostale. Inol- l’impianto di una nuova protesi (Fig. 5.7).
tre nell’osteomielite postraumatica è presente fre-
quentemente una pseudoartrosi ovvero una manca-
ta consolidazione della frattura che non può guarire Osteomieliti croniche primitive
spontaneamente (Fig. 5.6). Sono osteomieliti rare che si distinguono dal-
È importante in caso di presenza di una fistola le osteomieliti ematogene e postraumatiche per il
eseguire una fistolografia prima di intervenire chi- fatto che non seguono a una fase acuta ma si ma-
rurgicamente poiché a volte la fistolizzazione cuta- nifestano fin dall’inizio con caratteristiche croniche
nea può essere molto lontana dal focolaio primitivo (croniche ab inizio) (Fig. 5.8).
di infezione.
Ascesso di Brodie
Trattamento L’ascesso di Brodie è sostenuto da Stafilococco
In presenza di una osteomielite secondaria a frat- aureo nel 50% dei casi e colpisce le metafisi delle
tura, il trattamento prevede una immediata terapia ossa lunghe dell’arto inferiore (in particolare femo-
antibiotica, una pulizia chirurgica del focolaio di re e tibia) di bambini-adolescenti, ma la diagnosi
frattura ed una immobilizzazione con gesso o con può tardare fino all’età adulta.
fissatore esterno se la frattura è esposta. I sintomi sono il forte dolore, non continuo,
In presenza di una osteomielite in un paziente l’aumento del calore a livello della cute sovrastante
portatore di protesi o di mezzi metallici di osteo- l’infezione e la tumefazione. Agli esami di laborato-
sintesi (osteomielite cronica secondaria) è neces- rio ci può essere un lieve aumento della VES.
40 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
Fig. 5.8 Immagine radiografica dell’arto Fig. 5.9 Immagine radiografica in proiezione antero-posteriore e latero-laterale di ginocchio; si noti, a livello dell’epifisi pros-
superiore affetto da osteomielite cronica pri- simale della tibia, in sede anteriore, un ascesso di Brodie, che si presenta come una cavità a margini non regolari, circondata da zone
mitiva; si noti, a livello della diafisi omerale, sfumate di addensamento osseo.
la presenza di osteolisi e di reazione periostale
con ispessimento della corticale.
La radiografia evidenzia la presenza di una cavità Il trattamento consiste in una terapia antibiotica
osteolitica a margini non regolari circondata da una associata ad una rimozione chirurgica della cortica-
zona di addensamento osseo sfumato. Il quadro ra- le ispessita.
diografico è utile per la diagnosi differenziale con il
tumore benigno osteoide (Fig. 5.9). Osteite corticale circoscritta
Il trattamento consiste in terapia antibiotica, dre- Può essere considerata una variante di osteomie-
naggio e toilette chirurgica, immobilizzazione del lite sclerosante con la differenza che l’osteite corti-
l’arto interessato. cale circoscritta interessa solo la parte più superfi-
ciale della corticale.
Osteomielite sclerosante di Garrè
TUBERCOLOSI
Questa osteomielite, determinata probabilmente
da un microrganismo anaerobio a bassa virulenza, in- Definizione
teressa adolescenti-adulti; le ossa più frequentemente La tubercolosi è una malattia infettiva cronica
colpite sono il femore e la tibia a livello della diafisi. causata dal batterio Mycobacterium tubercolosis (o
Il sintomo principale è un dolore intermittente. bacillo di Koch), che può interessare qualsiasi tes-
Da un punto di vista radiografico si denota un suto dell’organismo, quindi anche le ossa e le ar-
ispessimento della corticale a livello della diafisi ticolazioni. Negli ultimi decenni, la sua incidenza
dell’osso colpito fino a giungere alla sua eburneizza- è diminuita molto, grazie al miglioramento delle
zione (caratteristica che può essere utilizzata anche condizioni di vita, alla pastorizzazione del latte, alla
per definire il tipo di osteomielite). La radiografia è vaccinazione antitubercolare e all’uso di farmaci an-
dirimente nella diagnosi differenziale con l’osteoma titubercolari, ma si sta di nuovo presentando in con-
osteoide e la malattia di Paget (Fig. 5.10). seguenza dell’immunodepressione (ad es. AIDS).
5. Patologie infettive delle ossa e delle articolazioni 41
Clinica
La tubercolosi osteo-articolare è quasi sempre
monostototica o monoarticolare. I primi sintomi
sono lievi e il decorso della malattia è lento. I sinto-
mi locali sono rappresentati dal dolore, dalla tume-
fazione dell’articolazione, dovuta all’ispessimento
della membrana sinoviale, e dalla limitazione fun-
zionale, cioè diminuzione dell’arco di movimento
articolare.
Negli stadi più avanzati della malattia, l’articola-
zione colpita si deforma, diventa rigida e anchilo-
tica, e i muscoli limitrofi presentauna ipotrofia da
disuso. Nei bambini, si riscontrano anche dei sinto-
mi generali, come debolezza, diminuzione dell’ap-
petito, febbricola.
A B
Fig. 5.11 Tubercolosi della colonna vertebrale: il disco L2-L3 è completamente scomparso a causa del processo infettivo, e i corpi vertebrali sono a contatto. Vi è un esteso rimaneg-
giamento osseo a livello dei corpi vertebrali e deformità a cuneo della vertebra L2, responsabile del caratteristico aspetto in cifosi (A). Nella proiezione anteroposteriore si apprezza la
scomparsa dello spazio discale e la deformità in scoliosi (B).
A B C
Fig. 5.12 Immagine radiografica di coxite tubercolare in un bambino (A) ; l’infezione ha determinato la distruzione dell’articolazione; si noti, nelle radiografie di controllo, la necrosi
polare della testa del femore (B) e l’anchilosi dell’articolazione a distanza (C).
5. Patologie infettive delle ossa e delle articolazioni 43
Trattamento
Se la diagnosi è precoce e il trattamento inizia
nei primi stadi, la prognosi della tubercolosi osteo-
articolare è buona. Il trattamento della tubercolosi
osteo-articolare è soprattutto conservativo, ma in
casi selezionati si interviene chirurgicamente.
Il trattamento conservativo consiste nell’uso di
farmaci e di presidi ortopedici. I farmaci usati sono
dei batteriostatici e dei battericidi, come la strepto-
micina, l’isoniazide, e anche farmaci di nuova gene-
razione come la rifampicina e l’etambutolo.
Scopo del trattamento ortopedico è la prote-
zione del segmento malato evitando il movimento
sotto carico e la prevenzione dell’insorgenza di de-
formità. A questo scopo si usano dei tutori o degli Fig. 5.13 Aspetto RMN del morbo di Pott a livello del rachide toracico: il corpo ver-
apparecchi gessati, cercando di non immobilizzare tebrale inferiore alla lesione ha assunto una forma a cuneo, aumentando notevolmente
per lunghi periodi un’articolazione, per prevenire la cifosi toracica. Il disco intervertebrale è distrutto.
l’evoluzione verso l’anchilosi.
un ascesso freddo. Tale ascesso può rimanere accan-
Morbo di Pott to alla colonna oppure migrare sotto l’azione della
gravità, lungo le fibre muscolari. Così, gli ascessi
(o spondilite tubercolare) freddi della colonna cervicale migrano alla faringe
Il morbo di Pott è la forma più frequente di tu- o allo spazio sovraclaveare, mentre quelli della co-
bercolosi osteo-articolare. Può colpire qualsiasi seg- lonna lombare seguono nella maggior parte dei casi
mento del rachide, ma è più comune nel segmento il decorso del muscolo psoas e arrivano alla regione
toracico inferiore e lombare. prossimale anteriore della coscia in prossimità del
I bacilli tubercolari si localizzano nella parte an- triangolo di Scarpa (Fig. 5.14, 5.15).
teriore del corpo vertebrale, vicino al disco inter- La presentazione clinica è quella di una lombalgia
vertebrale. o cervicalgia lieve e aspecifica, anoressia, calo delle
Successivamente, il focolaio si espande alle ver- resistenze, febbricola; tali sintomi si aggravano pro-
tebre adiacenti attraverso il disco intervertebrale e gressivamente. Raramente vi possono essere sintomi
il legamento longitudinale anteriore. Sotto l’azio- neurologici da compressione del midollo spinale o
ne del peso corporeo, si ha il crollo di una vertebra della cauda equina con deficit di sensibilità e forza,
sull’altra; essendo l’arco posteriore integro, il crollo fino alla paralisi completa. Durante l’esame obiettivo,
anteriore provoca la formazione di una cifosi loca- il rachide si presenta rigido e/o ipomobile su tutti i
lizzata (Fig. 5.13). La cifosi è più pronunciata nel piani.
segmento toracico, mentre nel segmento lombare Radiograficamente, il morbo di Pott si presenta
non è evidente per la presenza della fisiologica lor- con osteoporosi localizzata, diminuzione dello spa-
dosi. zio intervertebrale e, negli stadi più avanzati, crollo
Come risultato del crollo vertebrale, l’osso ne- dei corpi vertebrali.
crotico insieme al focolaio tubercolare vengono Dato che il quadro clinico e radiografico del
spinti fuori dallo spazio intervertebrale, formando morbo di Pott è aspecifico, va effettuata la diagnosi
44 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
Fig. 5.14 Schema rappresentante le possibili vie che l’ascesso freddo del rachide Fig. 5.15 Aspetto clinico di un paziente affetto da morbo di Pott, in stadio ascessua-
lombare può seguire nel momento della sua migrazione: l’infezione può seguire il muscolo le, che ha dato origine ad una tumefazione in sede paravertebrale, dovuta alla migrazione
ileo-psoas, fino ad uscire dal bacino ed andarsi a localizzare in regione inguinale. dell’ascesso tubercolare dal rachide lungo il decorso delle fibre muscolari.
differenziale con le seguenti patologie: spondilodi- decompressione delle strutture nervose e pulizia del
scite, tumori del rachide, fratture vertebrali osteo- focolaio tubercolare, e successiva artrodesi vertebrale
porotiche, spondilite anchilosante. per ristabilire l’altezza dei corpi vertebrali e dello spa-
Il trattamento del morbo di Pott consiste nella zio intervertebale. L’indicazione all’intervento chirur-
immobilizzazione del rachide in busto ortopedico o gico è comunque riservata a casi selezionati, in quan-
gessato, contemporaneamente alla terapia antituber- to vi possono essere complicanze intra o post-opera-
colare. In casi gravi o in caso di interessamento neu- torie, come la formazione di fistole, l’estensione del
rologico si può eseguire un intervento chirurgico di focolaio alle meningi o complicanze neurologiche.
Domande di autovalutazione
1. Quali sono le caratteristiche cliniche e radiografiche dell’osteomielite del lattante?
2. Qual è la localizzazione tipica dei germi nell’osteomielite ematogena acuta?
3. Quali indagini strumentali permettono una diagnosi precoce dell’osteomielite?
4. Quali sono i fattori di rischio nelle osteomieliti da infezione diretta?
5. Quali sono le localizzazioni tipiche degli ascessi freddi nella spondilite tubercolare?
Patologie su base
circolatorio-ischemica
6
OSTEOCONDROSI –– osteocondrosi vertebrale, o morbo di Scheuer-
mann (Fig. 6.1);
Le osteocondrosi, od osteocondriti, sono patolo- –– osteocondrosi dello scafoide tarsale, o morbo
gie dell’accrescimento, caratterizzate da alterazioni di Kohler;
degenerativo-necrotiche dei nuclei di ossificazione –– osteocondrosi della testa del 2° metatarsale, o
epifisari o apofisari, seguite da processi riparativi che morbo di Freiberg;
possono esitare o meno in una deformità anatomica. 2) Osteocondrosi da trazione. Si presentano a livello
Queste patologie possono talvolta risultare asin- delle apofisi dei soggetti in accrescimento, sotto
tomatiche, ma spesso si manifestano con la com- l’azione di forte trazione di tendini che vi si inse-
parsa di dolore e limitazione funzionale in corri- riscono:
spondenza del nucleo di accrescimento interessato. –– osteocondrosi dell’apofisi tibiale anteriore, o
Le osteocondrosi si possono classificare in 3 ca- morbo di Osgood-Schlatter;
tegorie: –– osteocondrosi dell’apofisi calcaneare, o morbo
1) Osteocondrosi primitive: di Sever (Fig. 6.2);
–– osteocondrosi della testa del femore, o morbo –– osteocondrosi del polo inferiore della rotula, o
di Legg-Calvè-Perthes; morbo di Johansson-Larsen (Fig. 6.3).
A B C
Fig. 6.1 Nel morbo di Scheuermann si ha la necrosi ischemica dei nuclei di ossificazione dei corpi vertebrali, in particolare quelli che formano l’apice della cifosi toracica (A). A causa del
diminuito accrescimento, le vertebre interessate acquisicono una forma a cuneo ad apice anteriore (B). Le limitanti superiore ed inferiore del corpo vertebrale appaiono frastagliate (C).
46 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
A B
Fig. 6.2 L’osteocondrosi dell’apofisi calcaneare o morbo di Sever (A), è favorita dalla trazione del tendine d’achille sul Fig. 6.3 L’osteocondrosi del polo inferiore della
calcagno; l’esordio clinico è intorno a 10 anni con dolore e limitazione funzionale. Radiograficamente il nucleo di ossifi- rotula (morbo di Johansson-Larsen) si presenta con
cazione posteriore del calcagno appare dapprima frastagliato, e poi, radio-opaco (B). In genere la sintomatologia recede dolore e tumefazione nella regione rotulea distale, e può
spontaneamente, ma può rimanere una ossificazione prominente dell’inserzione del tendine di achille che espone in età evolversi nella ossificazione della parte prossimale del
adulta a episodi di tendiniti ricorrenti dovuti al conflitto con la calzatura. tendine rotuleo.
3) Osteocondriti dissecanti. Si presentano a livel- può guarire con la restitutio ad integrum o esitare in
lo della superficie convessa di un’articolazione deformità più o meno gravi (Fig. 6.5).
e sono caratterizzate dal distacco di un piccolo
frammento osteo-cartilagineo, causato di solito Epidemiologia
da un evento traumatico. Tale frammento perde
la sua vascolarizzazione e precipita in articolazio- La malattia di Perthes è relativamente frequente
ne formando un corpo libero. in quanto ha una incidenza di 1/ 1000 bambini tra i
Le osteocondriti dissecanti più frequenti sono: 4 e gli 8 anni. Colpisce più frequentemente i maschi
–– osteocondrite dissecante del ginocchio, che con un rapporto maschio-femmina di 5:1. Si presen-
interessa solitamente il condilo femorale me- ta generalmente in un età compresa tra i 2 e i 13 anni
diale (Fig. 6.4); e nel 90% dei casi si manifesta unilateralmente.
–– osteocondrite della tibiotarsica;
–– osteocondrite del gomito. Eziologia
L’eziologia della malattia di Perthes è ancora
poco chiara. Sono state proposte molte teorie per
MALATTIA DI LEGG-CALVÉ-PERTHES spiegare l’insorgenza di questa patologia nel bam-
bino. Le ipotesi patogenetiche più accreditate fan-
Definizione no risalire l’insorgenza della malattia di Perthes ai
La malattia di Legg-Calvè-Perthes è l’osteocon- microtraumi ripetuti o all’interruzione dell’apporto
drosi dell’epifisi prossimale del femore ovvero la ne- ematico all’epifisi prossimale del femore. La pato-
crosi ischemica del suo nucleo epifisario in accresci- genesi microtraumatica è confermata dal fatto che
mento. Questa patologia, ad eziologia sconosciuta, la malattia di Legg-Calvè-Perthes è più frequente in
6. Patologie su base circolatorio-ischemica 47
caso di deformità dell’epifisi prossimale
Fig. 6.5 Osteocondrosi
del femore, come la coxa valga antiversa
della testa del femore (malattia
o gli esiti anche lievi di displasia conge-
di Legg-Calvè-Perthes) (A). Il
nita dell’anca. In questi casi la parziale
nucleo di accrescimento risulta
incongruenza articolare provoca un’ec-
diminuito di volume rispetto al
cessiva concentrazione di carico a livel-
controlaterale e radio-opaco (B).
lo della testa, favorendo così la necrosi
ischemica del nucleo di ossificazione.
Inoltre, la necrosi del nucleo di ossifica-
A zione della testa del femore, può presen-
tarsi come complicanza dopo la riduzio-
ne della lussazione congenita dell’anca a
causa dell’eccessiva trazione muscolare
dovuta alla discesa della testa nel paleo-
cotile (osteocondrosi post-riduttiva).
Diversi fattori come traumi a carico dei
vasi retinacolari, anomalie (congenite o
acquisite) di vascolarizzazione della testa
femorale, stati di ipercoagulabilità del
sangue, sinoviti acute che aumentando
la pressione intracapsulare determinano
l’occlusione dei vasi e possono causare
l’interruzione dell’apporto ematico a li-
vello dell’epifisi prossimale del femore
(Fig. 6.6). Tuttavia molto spesso non si
riesce a risalire alla causa che determina
l’ischemia della testa femorale; in questi
B casi si parla di osteocondrosi idiopatica.
Patogenesi
La malattia di Perthes è una patologia che evolve
lentamente attraverso varie fasi (Fig. 6.7). La prima
fase dell’osteocondrosi è caratterizzata dall’arresto
del processo di ossificazione encondrale e dalla ne-
crosi del nucleo di ossificazione femorale seconda-
ria all’interruzione dell’apporto ematico o da mi-
crotraumi ripetuti a questo livello, e la cartilagine
articolare, che si nutre dal liquido sinoviale, conti-
nua la sua crescita (fase iniziale della osteocondrosi).
Dopo questa prima fase il nucleo di ossifica-
zione in necrosi va incontro a metallizzazione per
riassorbimento della sostanza fondamentale della
cartilagine articolare (fase della necrosi con nucleo
metallizzato).
La fase di riassorbimento dell’osso necrotico di
solito avviene più velocemente rispetto alla fase di
deposizione per cui in questa fase l’osso subcondra-
le risulta biomeccanicamente insufficiente a sop-
Fig. 6.6 Preparato anatomico in cui si evidenzia la particolare vascolarizzazione portare il carico, e si frattura sotto l’azione di forze
dell’epifisi prossimale del femore in accrescimento. I vasi sanguigni attraversano lo di taglio anche di modesta entità (fase della frattura
strato cartilagineo per raggiungere il nucleo di ossificazione epifisario. subcondrale o frammentazione).
48 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
A B C D
E F G H
Fig. 6.8 Evoluzione radiografica della malattia di Legg-Calvè-Perthes: Fase della necrosi con nucleo metallizzato (A). Fase della frattura subcondrale (B). Fase della riossificazione
(D-E-F-G). Fase terminale (H) .
crotico con conseguente aumento della massa ossea Nella fase terminale la testa del femore è com-
per unità di superficie. pletamente ossificata e può avere mantenuto la
Nella fase della frattura subcondrale è visibile, sua normale sfericità o presentare delle deformi-
soprattutto nelle proiezioni assiali, una frattura sub- tà residue (coxa plana e coxa vara o coxa magna)
condrale che può interessare esclusivamente la por- (Fig. 6.9). Il carico, l’estensione del coinvolgimen-
zione anteriore della testa del femore o può esten- to dell’epifisi e la congruenza articolare durante il
dersi all’intero perimetro della testa il nucleo epi- periodo di guarigione sono i fattori che maggior-
fisario appare frammentato irregolarmente a causa mente influenzano l’evoluzione dell’epifisi femorale
del disomogeneo riassorbimento dell’osso necrotico colpita dalla malattia di Perthes.
posto al di sotto della frattura subcondrale. La fase
di riassorbimento dura circa 1 anno e si potrae mag-
giormente se l’epifisi risulta estesamente coinvolta. Trattamento
La fase della riossificazione inizia in modo non Il trattamento nel morbo di Perthes ha lo sco-
uniforme nella zona subcondrale e procede in di- po di mantenere centrata la testa nell’acetabolo in
rezione centrale portando ad una completa rios- scarico, in modo da prevenire la comparsa delle de-
sificazione di tutta l’epifisi. Il differente ritmo di formità della testa femorale e quindi l’artrosi secon-
accrescimento delle varie zone della testa femorale daria precoce, controllare il dolore e mantenere una
può portare ad una crescita asimmetrica dell’epifisi buona articolarità.
e ad una sublussazione laterale della testa femora- L’articolazione viene mantenuta in scarico e
le. In questi casi a livello radiografico si apprezza centrata grazie all’utilizzo di ortesi come la staffa
un collo femorale corto e tozzo, la testa femorale di Thomas, l’ortesi di Scottish Rite, o in passato
appare più o meno sublussata e può manifestare soprattutto, l’apparecchio gessato di Petrie (Fig.
anche i segni di schiacciamento dovuti all’aumen- 6.10 A). Queste ortesi abducono l’anca centran-
tato carico. do l’epifisi femorale nell’acetabolo, e riducono le
50 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
A B
Fig. 6.9 Evoluzione della malattia di Legg-Calvè-Perthes non trattata. L’epifisi femorale durante la malattia è meccanicamente debole (A), e si deforma sotto l’azione del peso, dando
luogo ad una “coxa plana” (B), che è una grave deformità che provoca limitazione funzionale e precoce artrosi secondaria.
B C
D E
A
Fig. 6.10 Evoluzione della malattia di Legg-Calvè-Perthes trattata con
tutore di scarico (A). Il nucleo di ossificazione in necrosi (B) protetto dal carico
evolve gradualmente verso la riparazione (C-D-E) e guarisce senza deformità
(F-G).
F G
forze di carico che agiscono su di essa in modo quando inizia la riossificazione dell’epifisi. Nel
da prevenire l’evoluzione verso deformità come la caso in cui vi siano deformità dell’anca come la
coxa plana o la coxa vara (Fig. 6.10 B). Il trat- coxa valga antiversa a causa delle quali la testa del
tamento ortesico può di solito essere interrotto femore è solo parzialmente coperta dall’acetabolo
6. Patologie su base circolatorio-ischemica 51
A B
Fig. 6.11 Giovane di 18 anni affetto da esito di malattia di Legg-Calvè-Perthes a sinistra. L’epifisi è esitata in coxa plana con accorciamento di 3 cm, e grave limitazione funzionale
dovuta alla forma del collo del femore, corto e tozzo, alla mancanza di sfericità della testa del femore, e alla precoce usura della cartilagine articolare (A). Il trattamento è consistito nella
sostituzione protesica dell’articolazione (B).
MORBO DI KOHLER
Il morbo di Kohler è l’osteocondrosi del
nucleo di accrescimento dello scafoide tarsa-
le. Colpisce i bambini di sesso maschile in età
compresa tra i 2 e i 9 anni. L’eziologia della
malattia di Kohler è sconosciuta ma sembra
sia dovuta a forze di compressione che cau-
sano una necrosi avascolare a livello del nu-
cleo di accrescimento dello scafoide tarsale.
Questa malattia si manifesta clinicamente
con dolore elettivo a livello del mediopiede
irradiato lungo il decorso del tendine tibiale B
posteriore.
L’indagine radiografica evidenzia uno sca-
foide assottigliato e sclerotico con aree alternate di
osteolisi (Fig. 6.12). MORBO DI FREIBERG
La prognosi è favorevole, infatti la malattia tende Per morbo di Freiberg s’intende l’osteocondrosi
a guarire senza danni anatomici o funzionali per- della testa del 2° metatarsale. Essa colpisce soprat-
manenti. tutto gli adolescenti di sesso femminile nella fase
Il morbo di Kohler si tratta conservativamente dello sviluppo puberale. È causata dalla necrosi
consigliando il riposo, l’astensione dalle attività fisi- avascolare della testa del 2° metatarso, dovuta pro-
che pesanti e l’utilizzo di plantari con sostegno alla babilmente a ripetuti traumi a cui di solito il se-
volta plantare per diminuire le forze agenti sullo condo metatarso è sottoposto durante il ciclo del
scafoide e diminuire il dolore. cammino.
52 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
MORBO DI
OSGOOD SCHLATTER
Per morbo di Osgood Schlatter
si intende l’osteocondrosi del nu-
cleo di accrescimento apofisario
della tuberosità tibiale anteriore.
La malattia di solito ha inizio in
tarda infanzia o in corrisponden-
za del periodo di massimo accre-
scimento durante l’adolescenza.
Il sesso maschile è maggiormente
colpito. A B
L’eziologia del morbo di Os-���
good Schlatter non è del tutto Fig. 6.14 Morbo di Osgood Schlatter (A). Proiezione laterale del ginocchio, nel quale si nota a livello dell’inserzione
chiarita ma sembra che la ma- del tendine rotuleo una voluminosa ossificazione, conseguenza del morbo di Osgood Schlatter contratto in età di accre-
lattia sia dovuta all’incapacità scimento (B).
6. Patologie su base circolatorio-ischemica 53
OSTEONECROSI
L’osteonecrosi è caratterizzata
da una necrosi avascolare che in- A
teressa una epifisi o un osso breve
e causa alterazioni regressive a ca-
rico dell’articolazione, associate
a minifestazioni artrosiche. Le
osteonecrosi si osservano più fre-
quentemente a livello dell’epifisi
prossimale del femore, l’epifisi
prossimale dell’omero (Fig. 6.15), B
il semilunare (Fig. 6.16), l’astraga-
lo e lo scafoide carpale.
Fig. 6.15 Fasi di osteonecrosi a livello dell’articolazione gleno-omerale (A) e dell’articolazione coxo-femorale (B).
Si nota, inizialmente, la radiopacità interessante il polo apicale, con il successivo crollo delle lamelle che determina ri-
Osteonecrosi della maneggiamento osseo; più tardivamente, si evidenzia artrosi secondaria, con formazione di osteofiti e sovvertimento
dell’anatomia dell’articolazione.
testa del femore
Definizione
L’apporto ematico della testa
del femore è garantito da una cir-
colazione terminale rappresentata
dalle arterie circonflesse mediale
e laterale del collo del femore, e
dall’arteria del legamento roton-
do. L’interruzione di questi rami
può provocare un ridotto apporto
ematico e, di conseguenza, l’insor-
genza della necrosi.
A B
Epidemiologia ed eziologia
Fig. 6.16 Osteonecrosi del semilunare o malattia di Kienboeck (A): è favorita da microtraumi ripetuti associati a di-
Le cause di interruzione della sturbi circolatori a livello del polso. Un fattore favorente è l’accorciamento dell’ulna. L’esordio clinico, in genere tra 20 e 40
normale vascolarizzazione posso- anni è subdolo con dolore progressivamente ingravescente al polso con notevole limitazione funzionale. Radiograficamente
no essere distinte in idiopatiche il semilunare appare di dimensioni ridotte e fortemente radio-opaco (B).
o primarie, e secondarie. L’osteo-
necrosi idiopatica è la forma più frequente, ed è
spesso bilaterale (Fig. 6.17) e colpisce prevalente- matoso sistemico, dislipidemia, malattia di Gau-
mente i maschi tra i 40 e i 60 anni. Le forme se- cher), a radiazioni, a decompressione atmosferica
condarie di osteonecrosi possono essere dovute a (malattia dei cassoni), all’alcolismo cronico.
eventi traumatici (Fig. 6.18) (fratture mediali del
collo del femore e le fratture-lussazioni del coti-
le), a microtraumi ripetuti in caso di deformità Clinica
congenite come la displasia congenita dell’anca e L’esordio dell’osteonecrosi è in genere subdolo.
l’epifisiolisi, a terapie farmacologiche (cortisone), Il dolore è ingravescente e in genere compare dopo
a malattie sistemiche e metaboliche (lupus erite- uno sforzo. In alcuni casi la sintomatologia doloro-
54 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
A B
Fig. 6.20 Immagini radiografiche del bacino; si noti l’osteonecrosi della testa del femore bilateralmente dovuta all’assunzione cronica di cortisone, con artrosi secondaria più grave a
destra (A), ed il controllo postoperatorio dopo sostituzione articolare con protesi di rivestimento (B).
A B
Fig. 6.21 Immagini radiografiche del bacino; si evidenzia l’osteonecrosi della testa del femore destro, con sovvertimento dell’articolazione ed accorciamento del collo (A); controllo
postoperatorio dopo sostituzione della testa del femore con artoprotesi totale (B).
56 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
Fig. 6.23 Immagine radiografica in proiezione laterale del piede in fase distrofica
avanzata. Si nota l’osteoporosi “a macchie di leopardo” e una marcata ipertrasparenza
dell’osso spongioso.
Fig. 6.25 La RMN evidenzia le alterazioni del tessuto osseo e il versamento artico-
Fig. 6.24 Quadro radiografico di algodistrofia dell’anca destra: si noti la marcata lare coxo-femorale a destra.
osteoporosi a carico della testa femorale mentre il collo femorale e l’acetabolo sono
meno colpiti.
tamente meno accentuata (Fig. 6.24). Attraverso la Innanzitutto, quando l’algodistrofia coinvolge
risonanza magnetica nucleare si possono apprezzare l’arto inferiore, il soggetto deve ridurre il carico
i fenomeni infiammatori a carico dell’osso e la pre- utilizzando le stampelle durante la stazione eretta
senza di versamento articolare, mentre le alterazioni e la deambulazione, mentre le articolazioni coin-
a carico dei tessuti molli periarticolari sono di nor- volte devono comunque essere mantenute attive
ma meno rilevanti (Fig. 6.25). con appropriati esercizi attivi e passivi in modo
Di norma l’intero processo può protrarsi dai 2 ai da prevenire la rigidità e salvaguardare il trofismo
6 mesi ed evolve generalmente verso la guarigione muscolare. La sintomatologia dolorosa e il quadro
spontanea, senza lasciare esiti. infiammatorio possono essere trattati efficacemen-
te con farmaci antinfiammatori non steroidei, fa-
cendo ricorso ai corticosteroidi nei casi più gravi.
Trattamento Per quanto riguarda l’osteoporosi, essa viene trat-
Le algodistrofie tendono spontaneamente ad evol- tata con farmaci che inibiscono il riassorbimento e
vere verso la guarigione, pertanto il trattamento è favoriscono la ricalcificazione dell’osso, come i bi-
rivolto soprattutto a risolvere la sintomatologia dolo- fosfonati. In associazione al trattamento farmaco-
rosa, ad accelerare il decorso e a prevenire l’instaurarsi logico, l’algodistrofia può essere curata mediante la
di alterazioni permanenti, come le rigidità articolari. magnetoterapia.
Domande di autovalutazione
1. Quali sono i soggetti più frequentemente colpiti dalla malattia di Legg-Calvè-Perthes?
2. Quali sono gli aspetti radiografici evolutivi della malattia di Legg-Calvè-Perthes?
3. Quali trattamenti vengono utilizzati nella malattia di Legg-Calvè-Perthes per prevenire l’evoluzione
della malattia?
4. Quali patologie possono essere responsabili di una coxalgia in un bambino di 7 anni?
5. Quali sono le cause più frequenti di osteonecrosi secondaria della testa del femore?
6. Quali sono gli aspetti clinici dell’osteonecreosi della testa femorale?
7. Quali indagini strumentali permettono una diagnosi precoce dell’osteonecrosi della testa del femore?
8. Quali sono gli aspetti clinici delle varie fasi della sindrome di Sudeck?
Patologie congenite
7
SINDROME DI MARFAN nuto nel pugno chiuso protrude fino a toccare il
bordo ulnare della mano), torace carenato, pectus
excavatum, dorso piatto, lordoscoliosi, aumentata
Definizione estensione dei gomiti, protrusione dell’acetabolo e
La sindrome di Marfan è una malattia del tes- piede piatto-valgo, anomalie della dentizione.
suto connettivo trasmessa con modalità autosomica Alle deformità ossee si associano iperlassità li-
dominante, caratterizzata da alterazioni muscolo- gamentosa (Figg. 7.2, 7.3) (soprattutto di mani e
scheletriche, oculari e cardiovascolari. piedi), ridotto sviluppo muscolare, scarsità di pan-
nicolo adiposo sottocutaneo, facies adenoidea.
Questi pazienti appaiono dunque più alti dei
Eziopatogenesi loro coetanei, longilinei ed
Il difetto genetico responsabile della malattia è emaciati.
rappresentato dall’alterazione di un gene (FBN1) La modificazione oculare
localizzato sul cromosoma 15, che codifica per una più frequente è rappresen-
glicoproteina, la fibrillina, componente elastica del- tata dalla dislocazione late-
le microfibrille nella matrice extracellulare. rale del cristallino (ectopia
In oltre il 75% dei casi la sindrome di Marfan è lentis), sostenuta dall’iper-
trasmessa geneticamente con modalità autosomica lassità dell’apparato sospen-
dominante, mentre nei restanti casi la distribuzio- sore. A questa si associa
ne della malattia è sporadica e deriva da mutazioni spesso una marcata miopia
spontanee. e a volte il distacco della
L’incidenza è stimabile in 1 nuovo caso su ogni retina, a causa dell’anoma-
10 mila nati vivi nella popolazione generale. lo allungamento del globo
oculare. A peggiorare i di-
sturbi visivi contribuisce
Clinica a volte anche un’eccessiva
Il paziente presenta anomalie scheletriche che piattezza della cornea.
gli conferiscono un aspetto caratteristico: le ossa Le lesioni cardiovascola-
lunghe, soprattutto quelle delle mani e dei piedi ri più tipiche in questi pa-
sono allungate e sottili, così come appare spropor- zienti sono il prolasso del-
zionatamente allungata la parte superiore del corpo la valvola mitrale e la di-
rispetto a quella inferiore (Fig. 7.1). Altre manife- latazione dell’aorta ascen-
stazioni scheletriche sono rappresentate da: doli- Fig. 7.1 Caratteristico aspetto dente cui si associa spesso
costenomelia (rapporto tra l’apertura delle braccia di una paziente affetta da sindrome insufficienza dell’apparato
e l’altezza >1,05), segno di Steinberg (il pollice te- di Marfan. valvolare e la comparsa di
60 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
Trattamento
I recenti progressi della terapia chirurgica e l’uti-
lizzo dei farmaci beta-bloccanti (che ritardano la
dilatazione aortica) hanno contribuito ad aumenta-
re l’aspettativa di vita dei pazienti con Sindrome di
Marfan, che oggi può essere considerata pressoché
normale.
La terapia sintomatica prevede, oltre ai farma-
Fig. 7.2 Il segno del polso (il pollice può essere iperesteso fino a toccare il polso) è ci beta-bloccanti (o calcio-antagonisti in presenza
presente nei paszienti con lassità legamentosa. di controindicazioni particolari), la correzione dei
disturbi visivi con opportune lenti, l’astensione da
pratiche che sollecitino eccessivamente l’apparato
Fig. 7.3 L’iperestensione muscolo-scheletrico.
del gomito è un segno di La terapia chirurgica può interessare sia l’ambi-
iperlassità legamentosa. to cardiologico (sostituzione chirurgica della val-
vola aortica o correzione del tratto aneurismatico),
che quello ortopedico: le deformità ortopediche
devono essere attentamente valutate, soprattutto
perché durante l’accrescimento possono peggiora-
re; questi pazienti vanno osservati e seguiti accu-
ratamente.
In caso di aggravamento delle deformità, soprat-
tutto se a carico della colonna vertebrale, il tratta-
mento deve essere iniziato precocemente.
Nell’arto inferiore, il ginocchio è spesso valgo e
recurvato, ed il piede piatto: il trattamento di que-
ste deformità può essere ortopedico se effettuato tra
i 5 e gli 8 anni, mediante scarpe corrette con planta-
re a elica e speronature mediali. In età più avanzata,
i difetti assiali del ginocchio possono essere trattati
chirurgicamente, attraverso osteotomie, e quelli del
piede attraverso artrodesi.
Il trattamento del piede piatto nella sindrome di
aneurismi dissecanti dell’aorta, la rottura dei quali Marfan necessita di una artrodesi della sotto-astraga-
rappresenta la causa più comune di morte. lica in quanto la grave lassità ligamentosa non per-
mette di mantenere il piede corretto con altri inter-
venti che conservano il movimento di articolarità.
Diagnosi
La diagnosi clinica della Sindrome di Marfan
può essere problematica data l’eterogeneità dei OSTEOGENESI IMPERFETTA
sintomi. Si basa sull’evidenza delle caratteristiche
cliniche (scheletriche, cardiovascolari, oculari) e Definizione
sulla storia familiare. Questo richiede un approc- Anche conosciuta come malattia delle ossa fragili
cio multidisciplinare che coinvolge vari specialisti o malattia delle “ossa di vetro”, l’osteogenesi imper-
7. Patologie congenite 61
fetta comprende un gruppo di difetti ereditari della
sintesi del collageno tipo I che causano alterazioni
scheletriche, dei legamenti, degli occhi, dei denti e
della cute.
Eziopatogenesi
Il difetto responsabile della malattia risiede
in un’alterazione della sintesi del collageno tipo I
(che costituisce gran parte della matrice ossea), che
porta alla formazione di molecole biologicamente
instabili. In base al tipo di anomalia biochimica è
possibile identificare (secondo la classificazione di
Sillence) quattro sottogruppi principali di osteoge-
nesi imperfetta, ognuno con ereditarietà e caratteri-
stiche fenotipiche ben definite.
L’incidenza della malattia è approssimativamente
1 su 20.000 nati senza distinzione di sesso.
Clinica
La fragilità ossea è l’elemento più caratteristico
di questa malattia: si spazia da forme incompa-
tibili con la vita caratterizzate da un’eccezionale
fragilità ossea già in utero o in epoca neonatale
(tipo II) (Fig. 7.4), a forme in cui si osserva solo
un’aumentata suscettibilità alle fratture (tipo I,
tipo IV). Più comunemente la malattia si manife-
sta nell’infanzia e tende ad attenuarsi con il passa- Fig. 7.4 Quadro radiografico di un neonato affetto da osteogenesi imperfecta che
re degli anni: questi bambini sono spesso sottopo- evidenzia fratture multiple degli arti superiori e inferiori.
sti a fratture o microfratture secondarie a traumi
banali, cui si associano deformità
ed incurvamento delle ossa (Fig.
7.5) dovute alla guarigione delle
fratture in posizioni viziate, non
di rado responsabili di quadri
fortemente invalidanti.
Altre manifestazioni cliniche
della malattia sono rappresentate
dalla colorazione blu a carico del-
le sclere (Fig. 7.6), che per la loro
sottigliezza lasciano trasparire la
sottostante coroide, l’ipoacusia,
legata alle alterazione dei piccoli
ossicini dell’orecchio medio e di
quello interno e le anomalie della
dentizione.
Nel 25% dei pazienti (in parti- A B
colare con fenotipo IVB secondo
Sillence) si osserva la cosiddetta Fig. 7.5 Proiezione antero-posteriore (A) e laterale (B) della gamba di un paziente affetto da osteogenesi imperfetta.
impronta basilare, che si mani- Si nota una gravissima deformità della diafisi sia della tibia che del perone dovuta a una serie di fratture occorse fin dalla
festa con segni neurologici quali tenera età e consolidate in posizione viziosa.
62 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
Fig. 7.6 Colorazione blu delle sclere, in una bambina con osteogenesi imperfetta.
Diagnosi
La diagnosi è prevalentemente basata sull’esame
obiettivo, il grado di accrescimento, la frequenza di
fratture e l’aspetto radiografico delle ossa. La con-
ferma è data dall’analisi del collageno ottenuto tra-
mite biopsia cutanea.
Radiograficamente le ossa appaiono diffusa- Fig. 7.7 Quadro radiografico di frattura diafisaria del femore in un paziente affetto
mente assottigliate, deformate (soprattutto le ossa da osteogenesi imperfetta, che è stata sintetizzata con chiodo endomidollare, che ha
lunghe che tendono ad incurvarsi), spesso osteopo- anche lo scopo di prevenire altre fratture durante l’accrescimento; il chiodo deve essere
rotiche (in particolare i corpi vertebrali che appaio- periodicamente sostituito.
no assottigliati a lente biconcava), frequentemente
alterate dalla presenza di numerose microfratture.
Caratteristica è l’evidenza di calli di frattura iper- OSTEOPETROSI
plastici o di ossificazioni pseudotumorali a carico
dei tessuti molli. Definizione
L’osteopetrosi (o malattia di Albers-Schönberg o
Trattamento malattia delle ossa di marmo), è una rara malattia
Non ci sono terapie farmacologiche in grado di metabolica a carattere eredo-familiare, caratteriz-
arrestare o controllare efficacemente la malattia. zata dall’aumento della densità ossea e dall’oblite-
L’unica terapia possibile è rappresentata dalla chi- razione degli spazi midollari. Nonostante l’aspetto
rurgia ortopedica, allo scopo di prevenire e trattare iperdenso alle radiografie, lo scheletro è fragile e va
le fratture e le deformità ossee. Per le ossa lunghe si spesso incontro a fratture.
possono effettuare osteotomie correttive ed il posi-
zionamento di chiodi endomidollari come stabiliz- Eziopatogenesi
zatori (Fig. 7.7), o chiodi telescopici che seguono
l’accrescimento di lunghezza dell’osso. L’osteopetrosi è secondaria ad un difetto del ri-
Per le scoliosi gravi e progressive può rendersi assorbimento osteo-cartilagineo e all’assenza del ri-
necessaria la stabilizzazione precoce con fissazione maneggiamento osseo lungo le linee di carico, con
segmentale e artrodesi vertebrale. conseguente aumento della densità ossea.
7. Patologie congenite 63
La malattia colpisce indifferentemente maschi e idrocefalo, interessamento dei nervi cranici con
femmine, trasmettendosi caratteristicamente con atrofia ottica, paralisi del nervo faciale e sordità.
due modalità: quella autosomica recessiva (forma La forma adulta (o tardiva, a prognosi più beni-
congenita giovanile), e quella autosomica domi- gna), trasmessa con modalità autosomica dominan-
nante (forma dell’adulto). te, si caratterizza per l’aumentata fragilità delle ossa
L’incidenza dell’osteopetrosi recessiva è stimata che spesso si fratturano anche a seguito di traumi
in 1 caso su 200.000 nati vivi, colpendo indiffe- modesti (Fig. 7.8).
rentemente qualsiasi gruppo etnico ed ambedue i
sessi. Diagnosi
L’osteopetrosi dominante ha una prevalenza di
1 caso su 100.000 abitanti, indifferentemente dal Le radiografie mostrano un osso iperdenso, com-
sesso o dalla razza di appartenenza. patto, amorfo, sprovvisto di una qualsiasi struttura
trabecolare, di una corticale o di un canale midollare.
Reperti caratteristici sono rappresentati dalla di-
Clinica latazione “a bottiglia” delle metafisi (Fig. 7.9) e dal-
La forma giovanile (o maligna dell’infanzia), la presenza, sempre a livello metafisario, di striature
trasmessa con modalità autosomica recessiva, si longitudinali o trasversali a “vello di zebra”. Spesso
caratterizza per la presenza di alterazioni scheletri- è possibile osservare fratture patologiche, soprattut-
che che coinvolgono prevalentemente le metafisi to a carico delle ossa lunghe, che consolidano con
fertili (ginocchio, polso), che appaiono ingrossate la formazione di un callo osseo esuberante.
e deformate. La cattiva prognosi della forma infan-
tile si lega ad alterazioni dell’emopoiesi (anemia e Trattamento
trombocitopenia, sostenute dall’occupazione degli Nella forma infantile il trattamento d’elezione è
spazi midollari) e alla compromissione del siste- rappresentato dal trapianto di midollo osseo, allo
ma immunitario (neutropenia), che aumentano la scopo di risolvere le anomalie ematologiche. Segue
suscettibilità alle infezioni, spesso fatali per questi la correzione chirurgica delle deformità ossee.
pazienti. Fra le alterazioni si osservano anche epa- Nelle forme tardive si impone il trattamento chi-
tosplenomegalia (da ematopoiesi extramidollare), rurgico delle fratture, tenendo conto della difficoltà
nel praticare interventi di osteosintesi, in conse- dell’asse degli arti inferiori, in particolare ginocchio
guenza dell’eccessiva compattezza e della scarsa va- varo o recurvato, in parte giustificati dall’eccessiva las-
scolarizzazione dell’osso. sità ligamentosa tipica del paziente acondroplasico.
Mani e piedi appaiono grandi rispetto agli arti,
ma le dita sono corte e tozze (brachidattilia) tanto
ACONDROPLASIA che gli apici delle dita della mano raggiungono al
massimo il livello dei trocanteri.
Definizione Spesso coesistono retrazioni in flessione del go-
È la più comune displasia scheletrica, caratteriz- mito o sublussazioni del capitello radiale, peraltro
zata da un’alterazione di crescita della cartilagine asintomatiche.
epifisaria, fino alla comparsa di un nanismo disar- Nonostante il cranio sia voluminoso ed i ventri-
monico. Il termine acondroplasia deriva dal greco coli cerebrali possano essere allargati, l’idrocefalo è
“senza cartilagine”; in realtà la cartilagine di accresci- un’evenienza poco comune, mentre non è raro un
mento esiste ma cresce ad un ritmo molto più lento lieve restringimento del forame occipitale con com-
del normale. Le modificazioni scheletriche riflettono pressione del bulbo e/o del midollo cervicale e con-
dunque il ritardo nella formazione di osso encondra- seguenti alterazioni respiratorie.
le a causa della precoce saldatura epifisi-metafisaria. Nei primi anni di vita sono frequenti le defor-
mità del rachide ed in particolare la cifosi toraco-
lombare, molto evidente a paziente seduto. Questa
Eziopatogenesi alterazione è principalmente sostenuta dall’ipoto-
L’acondroplasia è trasmessa con modalità auto- nia dei muscoli del tronco, tendendo a scompari-
somica dominante, sebbene due terzi dei casi insor- re infatti quando il bambino inizia a deambulare.
gano attraverso nuove mutazioni verosimilmente Successivamente la deformità rachidea più eviden-
legate all’avanzata età paterna. te diventa un’iperlordosi lombare, che associata al
L’incidenza della malattia è di 1 caso ogni 20.000 varismo del collo femorale determina una tipica
nati vivi, senza distinzione di razza o sesso. andatura “anserina” o dondolante.
La mutazione responsabile del-
la malattia interessa il gene che
codifica la proteina recettrice per
il fattore di crescita dei fibroblasti.
Gli eterozigoti presentano una
normale aspettativa di vita, men-
tre gli omozigoti non sopravvivo-
no in genere più di qualche setti-
mana dalla nascita.
Clinica
Già alla nascita i bambini acon-
droplasici sono riconoscibili per la
presenza di bozze frontali promi-
nenti, ipoplasia della parte media
del viso, cranio voluminoso, naso
a sella e prognatismo, brevità delle
porzioni prossimali degli arti (in
particolare di femore ed omero:
accorciamento rizomelico) (Fig.
7.10). Le ossa iliache sono squa-
drate con acetabolo orizzontale ed
incisure ischiatiche sottili.
Spesso, dopo l’inizio della deam-
bulazione, compaiono deviazioni Fig. 7.10 Caratteristico aspetto di un paziente acondroplasico.
7. Patologie congenite 65
Non di rado è possibile osservare la stenosi del sti interventi chirurgici si riesce a ristabilire armo-
canale vertebrale lombare, dovuta allo scarso accre- nia e proporzionalità alla figura.
scimento dei peduncoli e responsabile di manifesta- Per il resto la terapia chirurgica mira a correggere
zioni neurologiche da compressione mieloradicolare le deformità o a controllare la sintomatologia do-
(parestesie, astenia, algie e paraplegia). Inizialmente lorosa: laminectomia e decompressione del canale
il paziente può spontaneamente alleviare i sintomi vertebrale, osteotomie correttive degli arti inferiori,
rannicchiandosi con le mani sulle cosce e riducendo artroprotesi dell’anca o del ginocchio in presenza di
così la lordosi lombare con apertura del canale. quadri artrosici gravi.
Lo sviluppo psichico e sessuale di questi pazienti
è normale e la loro aspettativa di vita è sovrapponi-
bile a quella della popolazione sana.
ARTROGRIPOSI
Definizione
Diagnosi L’artrogriposi è una sindrome complessa caratte-
Gli elementi radiografici più caratteristici del rizzata da contratture articolari multiple, soprattut-
l’acondroplasia sono rappresentati dalla brevità del- to a carico degli arti superiori e del collo, in assenza
le ossa lunghe e dalla deformazione delle epifisi cui di altre gravi anomalie congenite. Questa fissazione
spesso si accompagnano deviazioni in varismo a li- prenatale delle articolazioni (in flessione) può esse-
vello dell’anca e del ginocchio (Fig. 7.11). Le radio- re generalizzata (artrogriposi multipla congenita) o
grafie del rachide mostrano la riduzione della distan- presentarsi come un difetto isolato.
za interpeduncolare in direzione caudale ed in parti-
colare a livello lombare, la cifosi dorso-lombare e, nel
bambino più grande la marcata iperlordosi lombare. Eziopatogenesi
L’artrogriposi multipla congenita può essere se-
condaria a disordini neurogenici, miopatici o del
Trattamento tessuto connettivo; miopatie congenite, malattia
La chirurgia di allungamento degli arti dà ri- del motoneurone, miastenia gravis ne sono la causa
sultati notevoli, ma raramente il paziente recupera più comune. Pur non essendo una vera e propria
un’altezza normale per l’età. D’altro canto con que- malattia genetica, l’artrogriposi si associa spesso a
disordini genetici come la triso-
mia 21 o la spina bifida.
L’incidenza della malattia è di
1-3 casi ogni 10.000 nati vivi.
Clinica
Il neonato presenta rigidità
multiple, spalle addotte ed in-
traruotate, gomiti estesi, polsi e
dita flessi. Le anche sono spesso
lussate e, solitamente lievemen-
te flesse, abdotte ed extraruotate
(Fig. 7.12). Gli arti inferiori sono
irrigiditi con estensione delle gi-
nocchia ed i piedi sono spesso
deformati in equino-varismo. In
genere le alterazioni sono bilate-
rali ma non sempre simmetriche,
A B potendosi limitare solo agli arti
inferiori o solo a quelli superiori.
Fig. 7.11 Il quadro radiografico di un paziente acondroplasico evidenzia la brevità delle ossa lunghe (A) e la cifosi L’escursione articolare è molto
toraco-lombare (B). limitata e gli arti appaiono poco
66 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
Trattamento
Lo scopo del trattamento è quello di migliora-
re la funzionalità muscolo-scheletrica, sia agendo
sulle deformità ossee che sull’astenia muscolare.
La fisioterapia (con esercizi che migliorino l’escur-
sione articolare) e l’utilizzo di tutori (allo scopo
di mantenere il risultato ottenuto), vanno sempre
tentati prima di qualsiasi approccio chirurgico.
L’eventuale terapia chirurgica può prevedere la
Fig. 7.12 Caratteristico atteggiamento di un bambino affetto da artogriposi. mobilizzazione in narcosi dell’articolazione rigida,
la liberazione delle strutture retratte o l’allunga-
conformati, anche a causa di una generalizzata ipo- mento tendineo (es. del tendine d’Achille nel pie-
plasia muscolare. de equino-varo).
Le ossa sono sottili e affusolate, spesso soggette a
fratture in conseguenza di traumi modesti.
Potenziali malformazioni associate all’artrogri- MUCOPOLISACCARIDOSI
posi sono la palatoschisi, la ptosi palpebrale, la sco-
Definizione ed eziopatogenesi
liosi, il collo corto.
Lo sviluppo cognitivo di questi bambini non è Sono malattie rare riconducibili a difetti congeni-
compromesso o lo è solo moderatamente. ti nel metabolismo dei mucopolisaccaridi o glicosa-
minoglicani. L’alterazione principale è rappresentata
dal deficit di specifici enzimi lisosomiali che assicu-
Diagnosi rano la corretta degradazione dei mucopolisaccaridi,
La diagnosi dell’artrogriposi è prevalentemente fino a che questi ultimi tendono ad accumularsi nel-
clinica e radiografica (Fig. 7.13). L’elettromiografia le cellule, nei tessuti e negli organi con conseguenti
e la biopsia muscolare sono utili nell’individuazio- gravi alterazioni somatiche e neurologiche.
ne di eventuali disordini neuropatici o miopatici. Sono state descritte diverse varianti cliniche di
La biopsia muscolare mostra infatti amioplasia, con mucopolisaccaridosi:
–– MPS I o sindrome di Hurler-Scheie;
–– MPS II o sindrome di Hunter;
–– MPS III o sindrome di Sanfilippo;
–– MPS IV o sindrome di Morquio;
–– MPS V riclassificata come MPS I;
–– MPS VI o sindrome di Maroteaux-Lamy;
–– MPS VII o sindrome di Sly;
–– MPS VIII riclassificata come MPS I;
–– MPS IX o deficit di ialuronidasi.
Le mucopolisaccaridosi sono malattie eredita-
rie trasmesse, a loro insaputa, da genitori portatori
sani. Tranne che per la MPS II, in cui è portatrice
esclusiva la madre, nelle altre forme sono indiffe-
rentemente portatori sia i maschi che le femmine.
La modalità di trasmissione, ad eccezione che per la
MPS II (che si trasmette con modalità di trasmis-
sione legata al cromosoma X), è quella autosomica
Fig. 7.13 Proiezione antero posteriore di bacino in un piccolo di 6 mesi affetto da recessiva per cui, un individuo presenta i sintomi
artrogriposi. Le anche sono fortemente displasiche. solo se entrambe le copie del gene sono alterate.
7. Patologie congenite 67
gressivo e decesso prima dei 15 anni, e la forma lie- parire annebbiamento corneale, di gravità inferiore
ve (MPS IIB), compatibile con il raggiungimento a quello osservato nella sindrome di Hurler.
dell’età adulta. Radiograficamente si osserva l’appiattimento
Radiograficamente i reperti più caratteristici vertebrale con protrusioni anteriori centrali a livello
sono: allargamento della sella turcica, coste a spa- del rachide lombare, allargamento delle coste, de-
tola, vertebre appiattite, cifosi, brevità ed ingrossa- viazioni degli assi articolari in valgismo o varismo.
mento delle ossa lunghe. L’intelligenza dei pazienti con malattia di Mor-
quio non è compromessa.
Malattia di Morquio L’aspettativa di vita è circa di 30 anni.
Eziopatogenesi
La malattia è causata da una mutazione del gene
della distrofina, localizzato sul cromosoma X (p21).
La distrofina è una proteina presente nei muscoli
e nel cervello che ha il compito di mantenere la sta-
bilità delle membrane cellulari.
Nei pazienti con distrofia muscolare di Duchen-
Fig. 7.14 Aspetto clinico di un paziente affetto da sindrome di Morquio. ne la distrofina manca completamente mentre nella
7. Patologie congenite 69
forma di Becker è presente in quantità ridotte o in ziente con distrofia di Duchenne lo si nota quando
forma biologicamente alterata. questi si solleva dalla posizione sdraiata o chinata: a
La variante di Duchenne colpisce circa 1 su 3500 causa della debolezza dei muscoli del tronco e del
maschi nati vivi; la variante di Becker presenta una cingolo pelvico, il malato tende ad “arrampicarsi su
frequenza circa dieci volte inferiore. sé stesso”, dapprima appoggiando le mani a terra
per sollevarsi, poi sulle ginocchia ed infine sulle co-
sce (manovra di Gowers) (Fig. 7.16).
Clinica Il decorso della malattia è lentamente progressi-
L’esordio della distrofia muscolare di Duchenne vo, fino a che, dopo circa 10 anni dall’inizio della
avviene in genere tra i 3 ed i 5 anni, prevalentemen- malattia, il paziente perde la capacità di deambulare
te colpendo gli arti inferiori (cingolo pelvico e radi- (Fig. 7.17). Da questo momento in poi si svilup-
ce degli arti) con disturbi iniziali che riguardano la pano rapidamente retrazioni muscolari che deter-
marcia: cadute, difficoltà a correre o a salire le scale. minano deformità osteoarticolari (cifoscoliosi, piede
Alla debolezza ed atrofia dei muscoli della coscia e equino) (Fig. 7.18). In genere i pazienti affetti da di-
del cingolo pelvico si contrappone l’aumento di vo- strofia muscolare di Duchenne vivono fino alla terza
lume del muscolo tricipite surale, inizialmente so- decade, e più raramente fino alla quarta.
stenuto da una vera e propria ipertrofia (il muscolo La morte sopraggiunge per complicanze respira-
ha una consistenza dura), successivamente sostitui- torie (es. broncopolmoniti), favorite dall’atrofia dei
ta da un quadro di pseudoipertrofia (Fig. 7.15) (il muscoli del tronco e dell’addome.
muscolo è sostituito da tessuto adiposo ed assume La distrofia muscolare di Becker presenta un
una consistenza molle). esordio più tardivo rispetto alla Duchenne, in gene-
Osservando il paziente di profilo nella stazione re compreso fra 5 e 15 anni. Clinicamente si osser-
eretta si nota l’accentuazione della lordosi lombare va atrofia dei cingoli e pseudoipertrofia del tricipite
con un’ipercifosi compensatoria; ciò indica il coin- surale in assenza di retrazioni muscolari o deformità
volgimento dei muscoli paravertebrali. scheletriche. L’aspettativa di vita di un paziente af-
Durante la deambulazione il paziente divarica gli fetto da distrofia muscolare di Becker non è diversa
arti ed ondeggia ad ogni passo con caduta laterale da quella della popolazione generale, ma la capa-
del tronco e del bacino verso l’arto di appoggio (an- cità di deambulare viene persa circa 20 anni dopo
datura anserina). Un atteggiamento tipico del pa- l’esordio della malattia.
Fig. 7.16 Manovra di Gowers. Il piccolo paziente affetto da distrofia muscolare, per alzarsi si arrampica su
se stesso.
70 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
Fig. 7.17 Nelle fasi tardive di distrofia muscolare i pazienti presentano un’atrofia Fig. 7.18 Ragazzo di 13 anni, affetto da distrofia muscolare di Duchenne. All’età di
muscolare generalizzata, associata a deformità della colonna vertebrale e a contratture 10 anni ha perso la capacità di deambulare e di conseguenza ha sviluppato piede equino
delle articolazioni. bilaterale e una grave scoliosi.
Fig. 7.22 Radiografie in proiezione antero-posteriore del rachide cervicale di 2 pazienti, che mostrano lo sviluppo marcato del processo trasverso della settima vertebra cervicale, che
prende il nome di costa cervicale.
7. Patologie congenite 73
A B C
Fig. 7.23 Torcicollo congenito osseo dovuto a un emispondilo (A). Per correggere questa grave deformità ed evitare il suo peggioramento, è stato eseguito un intervento chirurgico
di stabilizzazione vertebrale posteriore. A distanza di 20 anni dall’intervento, si può notare che l’artrodesi interspinosa del rachide cervicale è risultata efficace, mantenendo il rachide in
asse (B, C).
Il trattamento della costa cervicale va dalla tera- a cui è associata un’anomala brevità del collo (il
pia fisica, alla scalenotomia, all’exeresi della parte capo sembra appoggiato direttamente sulle spal-
prominente. le) (Fig. 7.24). Talvolta si presentano alterazioni
congenite a carico di altre strutture come i padi-
TORCICOLLO glioni auricolari, scapola e muscoli trapezi e sca-
leni.
Si definisce torcicollo una deviazione laterale e La diagnosi differenziale con il torcicollo mio-
permanente del capo e del collo rispetto al tronco. geno è basata principalmente sulla mancanza dei
In base alla eziologia della deformità il torcicollo segni di retrazione del muscolo sternocleidoma-
può essere suddiviso in congenito e acquisito. stoideo. Inoltre le manovre passive evidenziano una
Il torcicollo congenito può essere di natura os- notevole limitazione dei movimenti del capo e del
sea o miogena. Il torcicollo acquisito può essere collo in tutti i piani.
secondario a patologie reumatiche, osteoarticolari, La valutazione radiografica è fondamentale nel-
isteriche, vascolari, oculari, otogene e miopatiche. la diagnosi di torcicollo congenito osseo in quanto
evidenzia le alterazione strutturali (emispondili e
Torcicollo congenito osseo sinostosi) della colonna cervicale.
Il trattamento del torcicollo congenito osseo è
Si definisce torcicollo congenito osseo una devia- spesso chirurgico e consiste nella stabilizzazione
zione laterale del capo, senza componenti di rota- della deformità mediante artrodesi con lo scopo di
zione, con caratteri di irriducibilità. evitare il peggioramento (Fig. 7.23).
Il torcicollo congenito osseo è una causa molto
rara di torcicollo ed è dovuto, come per le scoliosi
congenite ossee, ad anomalie congenite del rachide
cervicale come i difetti di formazione delle vertebre
(emispondili) (Fig. 7.23) o a difetti di segmentazio-
ne vertebrale (sinostosi).
L’esame fisico deve valutare integralmente il
neonato al fine di ricercare patologie congenite
che spesso possono associarsi al torcicollo conge-
nito osseo come le scoliosi congenite ossee, piede
torto congenito, lussazione congenita dell’anca.
Il quadro clinico del torcicollo congenito osseo
appare evidente con la deviazione laterale del
capo che, a differenza del torcicollo miogeno, Fig. 7.24 Quadro clinico di una bambina di 8 anni affetta da torcicollo congenito
non presenta la rotazione verso il lato opposto, osseo.
74 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
Fig. 7.26 Alla nascita è possibile palpare Fig. 7.27 Il segno della corda, si evidenzia nel torcicollo Fig. 7.28 La plagiocefalia è una conseguenza nell’adul-
una massa in regione laterale del collo, defini- miogeno ruotando il capo del paziente dal lato opposto della to del torcicollo miogeno non trattato. Il crano si sviluppa
ta “pseudotumore”. deformità, mettendo così in tensione lo sternocleidomastoideo asimmetricamente e la linea mediana della faccia risulta
retratto. deviata.
76 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
Fig. 7.29 Il trattamento chirurgico del torcicollo miogeno consiste nella sezione di Fig. 7.30 Il torcicollo oculare si corregge spontaneamente, bendando un occhio.
tutti e tre i capi del muscolo sternocleidomastoideo (tenotomia tripolare).
tripolare del muscolo sternocleidomastoideo, ossia lesione organica asimmetrica. Una forma traumati-
la sezione e l’asportazione di circa 1 cm di tessuto ca comune è la sub-lussazione o lussazione rotatoria
muscolare a livello delle 3 inserzioni (Fig. 7.29). della I e II vertebra cervicale come conseguenza di
Al termine dell’intervento viene applicata una una violenta e improvvisa rotazione del capo a se-
fasciatura morbida di cotone e garze (collare di guito di un brusco movimento, di una capriola o
Schanz) che viene mantenuta per circa 10 giorni nell’evitare un trauma (ad es. uno schiaffo). Il bam-
fino alla desutura. In seguito si confeziona una mi- bino caratteristicamente mantiene la testa tra le due
nerva gessata che mantiene il capo in ipercorrezio- mani.
ne, ossia ruotato e inclinato in senso opposto, per Altre forme di torcicollo secondario possono es-
circa 2 mesi. sere di origine neurologica a seguito di fenomeni
spastici (soprattutto in torsione), di paralisi (emipa-
Torcicollo secondario resi) e di nevralgie.
Le forme più frequenti di torcicollo secondario
Esistono diverse forme di torcicollo secondario che non colpiscono il rachide sono rappresentate
che entrano in diagnosi differenziale con il torcicol- dalle forme oculari e otogene.
lo miogeno. Alterazioni della vista come astigmatismo o stra-
Le forme secondarie possono derivare da affezio- bismo lieve possono provocare una diplopia che il
ni che colpiscono direttamente il rachide cervicale. bambino compensa con una ambliopia funzionale,
Tra le forme secondarie che originano dal ra- ovvero inclinando la testa per escludere dal cam-
chide, la forma di torcicollo più frequente sia nei po visivo lo sguardo di uno dei 2 occhi. Questa
bambini che negli adulti è quella antalgica, causata forma di torcicollo secondario detto “oculare”, in
dall’esposizione al freddo che determina contrattura realtà non rappresenta una deformità ma un atteg-
dei gruppi muscolari paravertebrali. Questa forma giamento vizioso che caratteristicamente scompare
si risolve dopo alcuni giorni di riposo e una terapia correggendo il difetto visivo o bendando un occhio.
farmacologica antinfiammatoria. Il difetto visivo deve essere quindi valutato attraver-
La forma reumatica è caratterizzata da processi so una esame specialistico oculistico (Fig. 7.30).
flogistici come le miositi che colpiscono la fascia Le forme di torcicollo definite otogene sono con-
muscolare dello sternocleidomastoideo di un lato a tratture antalgiche dovute alla sintomatologia dolo-
seguito di fenomeni “a frigore”. rosa di processi flogistici che colpiscono prevalen-
Il torcicollo osteoarticolare è dovuto ad altera- temente i soggetti in tenera età come la mastoidite
zioni che possono colpire sia le strutture ossee (ra- purulenta o l’otite purulenta. Queste forme quindi
chitismo, lesioni infiammatorie, processi infettivi, potranno essere risolte attraverso una terapia anti-
neoplasie, traumatismi) sia le strutture articolari biotica mirata.
(ernia discale, artrite reumatoide, spondilite anchi- Rare sono le forme di torcicollo secondario do-
lopoietica, processi degenerativi artrosici), con il vute a miopatie o a malattie psichiatriche come
doppio meccanismo di contrattura muscolare e di isteria e psicosi.
7. Patologie congenite 77
In tutte le forme di torcicollo secondario, analo- e la diagnosi viene fatta accidentalmente attraverso
gamente agli atteggiamenti scoliotici, la deformità una radiografia del rachide in cui si evidenzia una
viene corretta ricercando e rimuovendo la causa che schisi vertebrale che consiste in una mancata fusio-
le ha determinate. ne dei nuclei di ossificazione delle lamine dei corpi
vertebrali. Talvolta queste forme si manifestano con
forme di lombalgia cronica. In alcuni casi nella spi-
SPINA BIFIDA na bifida c’è una zona di ipertricosi (Fig. 7.32) o un
Definizione nevo o una sporgenza adiposa sottocutanea a livello
dell’anomalia.
La spina bifida è una malformazione congeni- Nel meningocele il neonato presenta una tumefa-
ta dovuta ad una mancata chiusura posteriore del zione a livello lombosacrale che puo essere ricoperta
tubo neurale attraverso il quale il contenuto del ca- da cute normale o sottile, traslucida (Fig. 7.33). Que-
nale può erniare. sta forma di spina bifida è causata da una agenesia
La spina bifida è abbastanza frequente e si osser- delle lamine vertebrali (Fig. 7.34) e della dura madre
va quasi sempre nel tratto lombo-sacrale. a livello lombosacrale che determina una estroflessio-
ne dell’aracnoide e del liquido cefalo rachidiano. Tal-
Eziopatogenesi volta possono essere coinvolte alcune radici spinali
anche se clinicamente non si evidenzia una compro-
Le cause della spina bifida sono per il momento missione delle stesse e del midollo spinale.
ignote anche se è certo che sono coinvolti moltepli- Il mielomeningocele è la forma più grave in
ci fattori di natura genetica e ambientale, come la quanto è molto alto il rischio di meningiti e di
carenza di acido folico nella madre durante la gra-
vidanza.
L’anomalia consiste in una mancata chiusura
Fig. 7.32 La zona di
dell’arco vertebrale posteriore, cui spesso si asso-
ipertricosi rappresenta un
ciano malformazioni del sacco durale, delle radici e
segno di spina bifida occulta.
delle meningi spinali (Fig. 7.31).
Clinica
Da un punto di vista clinico la spina bifida può
essere classificata in occulta, meningocele, mielo-
meningocele e mielomeningocele ulcerato.
La spina bifida occulta è spesso priva di sintomi
A B
Fig. 7.31 L’incompleto sviluppo dell’arco posteriore delle vertebre può determinare
l’erniazione delle meningi (meningocele) (A) o l’erniazione delle radici spinali (mieco-
meningocele) (B). Fig. 7.33 Aspetti clinici di un neonato affetto da mielomeningocele.
78 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
Fig. 7.34 Il quadro radiografico del rachide lombosacrale mostra l’incompleta fu- Fig. 7.35 Posizione normale della scapola (A). Nella deformità di Sprengel la sca-
sione delle lamine della quinta vertebra lombare e parte del sacro. pola appare risalita (B).
Diagnosi
La diagnosi non è difficile perché la deformazio-
ne è chiaramente visibile all’ispezione del paziente.
La certezza la si ha eseguendo un esame radiografico
che evidenzierà la risalita della scapola, le sue ano-
malie e l’eventuale presenza dell’osso omovertebrale.
Trattamento
Il miglior risultato nei casi di grave deformità
viene ottenuto con il riposizionamento chirurgico
della scapola.
Esistono diverse tecniche chirurgiche usate per Fig. 7.36 Radiografia in proiezione antero-posteriore del bacino di una bambina
la correzione della scapola alta congenita. L’aspetto affetta da displasia congenita dell’anca sinistra.
comune a tutti gli interventi è la resezione dell’osso
omovertebrale, quando presente. “lussazione della prima infanzia” con le caratteristi-
Le procedure chirurgiche sono dirette a correg- che di una distorsione dell’anca, con cammino pato-
gere le parti molli, l’osso o entrambi. logico e associata ad una accentuazione della lordosi
Gli interventi sulle parti molli hanno lo scopo di lombare. Tale patologia è stata considerata intrattabi-
liberare la scapola, soprattutto dal margine mediale le fino alla seconda metà del XIX secolo. Le manovre
e superiore, eliminando così le strutture fibro-mu- di riduzione della lussazione congenita dell’anca sono
scolari che la tengono fissa. La scapola è poi posizio- state descritte da Agostino Paci. Nel 1890 Lorenz de-
nata correttamente ed è fissata alle coste mediante scrisse ed eseguì un intervento chirurgico per la ridu-
cerchiaggi metallici. zione della lussazione dell’anca nel bambino, mentre
Gli interventi sulla parte ossea hanno come nel 1895 ne descrisse il trattamento conservativo che
obiettivo una resezione più o meno importante a si basava su 2 concetti fondamentali: la riduzione
carico della parte mediale o dell’angolo superome- ed il mantenimento della riduzione. La riduzione
diale della scapola. Spesso è necessaria anche una dell’anca veniva ottenuta mediante manovre di tra-
osteotomia della clavicola per portare la scapola zione in anestesia generale mentre il mantenimento
ad una posizione più normale, migliorando così della riduzione era ottenuto immobilizzando con un
l’aspetto estetico e aumentando il movimento della gesso l’articolazione in posizione flessa a 90° e abdot-
spalla, in modo particolare l’abduzione. ta a 90° (posizione “a rana” di Paci), a oltre un secolo
di distanza questi principi restano validi ancora oggi.
DISPLASIA CONGENITA DELL’ANCA
Epidemiologia
Definizione La displasia congenita dell’anca presenta una ca-
La displasia congenita dell’anca è un difetto di ratteristica distribuzione geografica: è più frequen-
sviluppo, presente alla nascita, a livello dell’artico- te in Europa, specialmente nelle aree meridionali,
lazione coxo-femorale che di rado guarisce sponta- come il sud della Francia e la penisola iberica e nei
neamente ed in genere evolve in quadri patologici paesi del sud-est europeo, come l’Albania e la Gre-
complessi di sublussazione o lussazione dell’anca cia, è frequente anche nel nord Africa (Marocco ed
(Fig. 7.36). L’elevata frequenza di questa patologia Egitto) e in Nord America, dove colpisce circa 2-4
rende ragione dei numerosi studi sulla sua diagno- bambini su 1000 nati.
stica e sul suo trattamento. In Italia la displasia congenita dell’anca è abba-
La prima descrizione della lussazione congenita stanza frequente e si osserva soprattutto nelle re-
dell’anca è stata eseguita da Ippocrate che descrisse la gioni settentrionali e del centro (Emilia Romagna,
80 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
Lombardia e nelle regioni alpine). L’Asia e le regio- ziato del feto durante il suo sviluppo. Quindi la di-
ni del sud Africa sono meno interessate da questa splasia sarebbe favorita da tutte quelle patologie che
patologia. diminuiscono la libertà del feto durante la sua vita
La displasia congenita dell’anca ha una maggio- intrauterina e in particolare forzano l’anca in ec-
re incidenza nel sesso femminile, in un rapporto di cessiva flessione e adduzione (Fig. 7.37). Tale con-
5:1 rispetto al sesso maschile, inoltre si ritiene che dizione si può verificare ad esempio in presenza di
i maschi abbiano una maggiore probabilità di una una neoformazione della cavità pelvica della madre,
correzione spontanea rispetto alle femmine. o nel caso di oligoidroamnios che riduce la capacità
In circa la metà dei casi si riscontra una displasia uterina di contenere il feto, in caso di gravidanze
congenita bilaterale delle anche mentre se la displa- gemellari, se la presentazione fetale è anomala (so-
sia è monolaterale interessa più frequentemente il prattutto se podalica), nelle gravidanze tubariche e
lato sinistro. utero bicorne.
In alcuni casi la displasia congenita dell’anca può
associarsi ad altre patologie malformative congeni-
te, come il piede torto congenito talo-valgo-prona-
Fattori postnatali
to, il torcicollo miogeno e la scoliosi idiopatica. Anche nel periodo neonatale, l’assunzione di
posizioni forzate da parte del bambino può favo-
rire questa patologia e predisporre alla lussazione
Eziopatogenesi dell’anca. In particolare il mantenimento delle an-
La displasia congenita dell’anca ha una eziopa- che estese ed addotte favorisce la loro lussazione,
togenesi multifattoriale in cui concomitano: fattori mentre il mantenimento delle anche flesse e abdot-
genetici, fattori anatomici, fattori intrauterini e fat- te protegge da tale rischio.
tori postnatali.
Fattori genetici
Clinica
L’anca displasica congenita ha una presentazione
L’influenza di fattori genetici, nella patogenesi
clinica diversa a seconda del momento dell’osserva-
della displasia congenita dell’anca, è dimostrata dal
zione:
fatto che c’è una maggiore incidenza della patologia
–– dalla nascita alla deambulazione: prelussazione o
in alcune famiglie e nel sesso femminile è più fre-
lussazione embrionaria;
quente rispetto a quello maschile.
I fattori genetici possono determinare o una ec-
cessiva lassità dell’articolazione dell’anca o una di-
splasia acetabolare primitiva, predisponendo, così,
allo sviluppo della deformità.
La lassità articolare si ritiene sia legata ad un ca-
rattere ereditario autosomico dominante, ed è più
frequente nelle femmine. Alla nascita, però, può es-
sere difficile da diagnosticare in quanto tutti i neo-
nati presentano le articolazioni molto mobili.
Fattori anatomici
I fattori anatomici che contribuiscono a determi-
nare la displasia congenita dell’anca sono rappresen-
tati essenzialmente da deformità ossee primitive come
il dismorfismo del cotile, del femore o di entrambi.
Fattori intrauterini
Lo sviluppo della displasia congenita dell’anca
può essere conseguenza anche di fattori meccanici Fig.7.37 La presenza di alterazioni intrauterine costringono il feto ad assumere at-
intrauterini che determinano un atteggiamento vi- teggiamenti viziati che possono favorire l’insorgenza della displasia congenita dell’anca.
7. Patologie congenite 81
–– dalla deambulazione (8-10 mesi) a 10 anni di età: manovre: quella di Ortolani (1937) e quella di
sublussazione o lussazione; Barlow (1962). La manovra di Ortolani mette
–– oltre i 10 anni: sublussazione inveterata o lussa- in evidenza il segno dello scatto. Il medico, cer-
zione inveterata. cando di tenere il bambino il più possibile tran-
L’iter diagnostico prevede varie fasi: anamnesi, quillo e in posizione supina, deve appoggiare il
esame obiettivo ed esami strumentali. palmo delle sue mani sulle ginocchia del neona-
to e, mantenendo le ginocchia e le anche flesse a
90° con l’indice e il medio lungo il femore deve
Anamnesi arrivare a palpare il grande trocantere. Da questa
Attraverso l’anamnesi familiare del paziente sarà posizione si abducono le anche, con delicatez-
possibile accertare la presenza in famiglia di casi di za, fino ad ottenere la fisiologica abduzione di
displasia congenita dell’anca. In questo modo si 90°. Nell’ultima parte del movimento, se l’anca
può capire se il bambino da esaminare ha una mag- è displasica si percepisce con le dita appoggiate
giore probabilità di presentare la patologia, dato il sul trocantere un caratteristico scatto, che è de-
suo carattere familiare. In questi casi il bambino
deve essere valutato con particolare attenzione e nel
caso in cui le anche risultino normali ad una prima
indagine è opportuno eseguire una nuova valuta-
zione eventualmente integrandola con un esame
radiologico al 3°-4° mese di vita.
L’anamnesi fisiologica può evidenziare eventua-
li complicanze durante la gravidanza o durante il
parto.
Esame obiettivo
1) Periodo della prelussazione: la presenza di alcuni
reperti semeiologicici possono facilitare la dia-
gnosi di displasia congenita dell’anca. A B
All’ispezione è visibile l’asimmetria delle pieghe
cutanee delle cosce, presenti in un terzo dei bam- Fig. 7.38 Segni clinici della fase di prelussazione dell’anca displasica.
bini. Inoltre l’arto colpito dalla
displasia congenita dell’anca
può apparire extraruotato e leg-
germente accorciato, mentre il 70° 70°
terminato dal rientro della testa del femore su- Non bisogna dimenticare che nel periodo della
blussata nell’acetabolo grazie all’abduzione (Fig. prelussazione, se c’è il sospetto di displasia con-
7.40). genita dell’anca, è prudente ricercare altre pato-
La manovra di Barlow, invece, mette in eviden- logie congenite tipicamente associate alla displa-
za una sublussazione posteriore del femore. La sia, come il piede torto congenito.
manovra viene eseguita ponendo il palmo della 2) Periodo della sublussazione e lussazione (dopo i 10
mano sul ginocchio, ma questa volta, mantenen- mesi): con l’inizio della deambulazione, l’anca si
do l’adduzione dell’anca si esercita una leggera sublussa o si lussa a causa del carico e della tra-
pressione diretta sul grande trocantere apprez- zione esercitata dai muscoli.
zando lo scatto in caso di anca displasica (Fig. All’ispezione, nella lussazione, l’arto risulta ac-
7.41). corciato e atteggiato in rotazione esterna mentre
Con queste semplici manovre è possibile ricono- la natica è ipoplasica. Il segno dello scatto non è
scere se un’anca è stabile, sublussabile, lussabile, più apprezzabile perché l’anca non si riduce con
lussabile e riducibile e lussabile e non riducibile. la semplice manovra di Ortolani.
La negatività delle manovre di Ortolani e di Bar- Durante la deambulazione compare una marca-
low, in un bambino affetto da displasia congeni- ta zoppia che prende il nome di andatura “an-
ta dell’anca, potrebbe essere determinata dal fat- serina” dovuta ad una insufficienza dei muscoli
to che non è possibile ottenere la riduzione della antigravitari dell’anca, soprattutto del muscolo
testa del femore all’interno dell’acetabolo con la mediogluteo. Tale insufficienza è determinata
sola manovra dell’abduzione, come nel caso di dal fatto che nell’anca lussata le inserzioni del
lussazione embrionaria. muscolo mediogluteo sono ravvicinate e la con-
trazione dello stesso non è sufficiente a impedi-
re la caduta del bacino dal lato sano quando il
bambino è in appoggio monopodalico sull’arto
con l’anca displasica (segno di Trendelenburg)
(Fig. 7.42) Questi segni clinici sono presenti
Fig. 7.42 L’insufficienza della muscolatura glutea determina la caduta del bacino
Fig. 7.41 Manovra di Barlow. sul lato sano durante l’appoggio monopodalico (segno di Trendelenburg).
7. Patologie congenite 83
nella lussazione, mentre la sublussazione è per lo L’esame radiografico evidenzia la presenza di tre
più asintomatica. segni: il nucleo epifisario prossimale del femore
3) Periodo della sublussazione e lussazione inveterata è ipoplasico, il tetto dell’acetabolo è sfuggente
(dopo i 10 anni di età): sono presenti gli stessi e l’epifisi è migrata verso l’alto e verso l’esterno
segni clinici osservati nel periodo della sublus- (Fig. 7.43). Queste tre caratteristiche radiogra-
sazione e lussazione, ma compare anche una fiche vengono denominate “triade di Putti”, dal
marcata riduzione dell’arco di movimento, so- nome del chirurgo che per primo le identificò, e
prattutto della abduzione e della extrarotazione, sono patognomoniche per la displasia congenita
dovuto alle deformità articolari e all’artrosi se- dell’anca.
condaria. Nelle forme più avanzate di sublussazione e
lussazione il quadro radiografico aggiunge ai se-
gni radiologici della prelussazione i seguenti re-
Diagnostica per immagini perti:
I sospetti diagnostici dati
dall’anamnesi e da un attento esa-
me obiettivo vengono verificati
eseguendo gli esami strumentali,
quali l’ecografia e la radiografia.
L’ecografia viene eseguita nei
neonati fino ai 3-4 mesi di vita,
quando ancora non è possibi-
le ottenere una immagine dello
scheletro attraverso la radiologia
convenzionale, e non dovrebbe
essere eseguita prima di 60 giorni
dalla nascita in quanto è elevato il
rischio di falsi positivi.
L’ecografia è utilizzata per ese-
guire gli screening neonatali per la
displasia congenita dell’anca, in- A
fatti è l’unico esame strumentale
che permette di fare una diagnosi
precoce in quanto, non invasivo,
di rapida esecuzione e soprattut-
to non ha nessun rischio per il
neonato. L’esame ecografico per-
mette di valutare la centrazione
della testa femorale utilizzando
il metodo di Graf che si sviluppa
essenzialmente attraverso due fasi
principali una qualitativa e una
quantitativa.
Sulla base di questi parametri
l’anca può essere definita normale,
displasica, critica o decentrata.
Le radiografie dell’anca del
bambino sono eseguibili dal 3-4
mese di vita, quando iniziano a
B
comparire i primi nuclei di ossi-
ficazione, e sono di fondamentale Fig. 7.43 Triade di putti: il tetto dell’acetabolo è sfuggente, il nucleo epifisario ipoplasico e il femore risalito (A).
importanza nella diagnosi della Radiografia di un piccolo paziente di 4 mesi affetto da displasia congenita dell’anca bilaterale (B). Si noti che ambedue i
displasia congenita delle anche. nuclei di ossificazione dell’epifisi prossimale del femore sono risaliti rispetto alla cartilagine a “y”, centro del cotile.
84 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
Fig. 7.45 Radiografia di bacino di una bambina 13 anni in cui è presente la notevole
risalita dell’epifisi prossimale del femore sinistro con la formazione del neocotile sul
versante laterale dell’osso iliaco.
A B C
Fig. 7.46 Caratteristiche anatomiche nell’anca normale (A). Nell’anca displasica l’eccessiva lassità dei legamenti ileo-femorale, ischio-femorale e pubo-femorale, associata a ipertrofia
della capsula e del legamento rotondo permette all’anca di lussarsi (B). La capsula articolare si deforma “a clessidra” a causa del tendine dell’ileo-psoas (C) che la impronta per andare a
inserirsi sul piccolo trocantere.
7. Patologie congenite 85
A B C
D
Fig. 7.47 Cuscino divaricatore (A). Divaricatore di Milgram (B). Divaricatore di Pavlik (C). Durante il trattamento con divaricatore la centrazione dell’anca deve essere monitorata con
esami radiografici (D).
A B C
B C
Fig. 7.48 L’angolo di inclinazione del collo femorale è l’angolo formato dall’asse
anatomico del femore e l’asse del collo femorale. Il valore normale è 120-130° (A). Fig. 7.49 L’angolo di antiversione del collo femorale è l’angolo formato dall’asse
Si parla di coxa vara se l’angolo è inferiore (B), mentre se è superiore si ha la coxa dei condili femorali e l’asse del collo femorale. Il valore normale è 15-20° (A). Se l’ango-
valga (C). lo è maggiore, il collo è antiverso (B). Se è minore è retroverso (C).
86 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
Tutte queste anomalie, quando sono strutturate, Quando il bambino presenta un arco di movimen-
impediscono all’anca lussata di rientrare nell’aceta- to asimmetrico in adduzione e in abduzione significa
bolo e di stare in posizione corretta. che l’anca non solo è displasica ma è anche lussata.
Questa condizione impedisce la riduzione dell’anca
con l’applicazione del solo divaricatore e rende perciò
Trattamento necessarie l’utilizzo di manovre più o meno invasive
di “centrazione” della testa del femore nell’acetabolo
Trattamento della displasia congenita
e di tutori o apparecchi gessati per mantenere la posi-
dell’anca nella fase della prelussazione zione corretta delle anche, in flessione e abduzione.
Nella fase di prelussazione, se l’anca viene cen- Questi bambini devono essere seguiti per un mi-
trata con la manovra di Ortolani sarà sufficiente ap- nimo di due anni e comunque fino a che l’anca non
plicare una ortesi che mantenga l’anca centrata per presenti uno sviluppo normale.
qualche mese. In questo modo la presenza dell’epi- È da notare che quanto più precoce è la diagno-
fisi all’interno dell’acetabolo sarà uno stimolo allo si di displasia tanto più efficace sarà questo tratta-
sviluppo della normale profondità del cotile ed i mento.
legamenti lassi avranno la possibilità, crescendo, di
raggiungere la normale tensione, riportando l’anca Trattamento della sublussazione
ad una condizione di normalità. Tali ortesi sono
rappresentate da divaricatori in abduzione che han-
o lussazione dell’anca precoce
no lo scopo di mantenere le anche flesse e abdot- Quando un bambino con l’anca displasica inizia
te e si applicano durante il periodo neonatale (Fig. a camminare (10-14 mesi), l’anca si sublussa e si
7.47). Una volta applicata l’ortesi è obbligatorio il lussa ripetutamente.
monitoraggio, eseguendo alla prima settimana di Se la deformità è riducibile è ancora percepibi-
terapia una radiografia per valutare se l’anca ha una le il segno dello scatto e si può procedere con una
corretta posizione. riduzione atraumatica e con il mantenimento di
A B
Fig. 7.50 Displasia congenita dell’anca di una bambina di 18 mesi (A). L’anca si centra
ancora senza difficoltà, pertanto si procede alla riduzione atraumatica e alla confezione di un
apparecchio gessato (B, C).
C
7. Patologie congenite 87
tale riduzione con tutori o gessi (Fig. 7.50). In al-
cuni casi, può essere necessario associare la tenoto-
mia degli adduttori e del grande gluteo, per ridur-
re le sollecitazioni meccaniche dell’epifisi centrata
nell’acetabolo che potrebbero provocare la necrosi
del nucleo di ossificazione del femore prossimale
(cfr. malattia di Legg Calvè Perthes).
Qualora l’anca non sia riducibile si procede con Fig. 7.51 Acetabulo-plastica. Eseguendo una osteotomia a livello dell’ileo è possi-
una riduzione incruenta che inizia con una fase di bile modificare l’inclinazione del tetto dell’acetabolo.
trazione di tipo continuo e graduale per 2-4 setti-
mane a letto e, una volta raggiunta la centrazione re e completato con l’inserimento nell’osteotomia
della testa nell’acetabolo, si immobilizza l’anca in di un innesto osseo cuneiforme. In questo modo si
gesso in flessione, abduzione e rotazione interna. corregge la forma dell’acetabolo (Fig. 7.51).
In questi casi è necessario eseguire una radiografia, Le osteotomie di Salter e Chiari vengono uti-
dopo avere confezionato il gesso, per controllare lizzate nei casi in cui vi sia una severa deformità
l’effettiva centrazione dell’anca. dell’acetabolo, che risuta poco profondo: si esegue
Il trattamento con gessi successivi dura circa 3-6 una osteotomia a tutto spessore dell’osso iliaco,
mesi, fino a quando l’articolazione non si è stabi- facendo scivolare medialmente la porzione distale
lizzata e si continua con divaricatore fino a quando dell’osso pelvico. In questo modo si ricrea la pro-
non si è completamente rimodellata. fondità dell’acetabolo e la maggiore congruenza
Quando la riduzione non può essere ottenuta a tra la testa femorale e l’acetabolo.
cielo chiuso è necessaria una riduzione chirurgica. Se la deformità è a livello del femore, l’angolo
Lo scopo dell’intervento è quello di esporre la capsu- cervico-diafisario è in genere aumentato (coxa val-
la ed eliminare qualsiasi ostacolo che impedisca alla ga) e parte della testa del femore rimane al di fuori
testa del femore di rientrare nell’acetabolo. Questi dell’acetabolo. Associato a questa deformità vi può
ostacoli possono essere l’ipertrofia e l’introflessione essere un vizio di rotazione con una eccessiva anti-
del limbus, l’ipertrofia e l’allungamento del legamen- versione del collo femorale.
to rotondo, il tendine dell’ileopsoas, l’introflessione L’osteotomia derotativa e varizzante del collo del
e le aderenze pericefaliche della capsula. Una volta femore serve a correggere gli eccessivi antiversione
rimossi questi ostacoli si procede con la riduzione e e valgismo del collo del femore. L’intervento viene
la capsulorrafia. Nel postoperatorio deve essere con- eseguito ponendo l’arto in massima intrarotazione,
fezionato un gesso che mantenga la riduzione in fles- in modo da annullare l’antiversione del collo del fe-
sione, abduzione e intrarotazione. more e fissando la nuova posizione con una vite.
Si esegue, poi, una osteotomia intertrocanterica, si
Trattamento della sublussazione derota il moncone distale del femore in posizione
neutra e lo si fissa a quello prossimale con un’altra
o lussazione dell’anca tardivo vite (Fig. 7.52).
Il trattamento della lussazione o sublussazione
diventa sempre più impegnativo più passa il tempo. Trattamento della sublussazione
Dopo i 3 anni di età, se la sublussazione o la lus-
sazione non sono ancora state trattate, la riduzio- o lussazione dell’anca inveterata
ne cruenta deve essere accompagnata da procedure Dopo i dieci anni di età la deformità dell’an-
chirurgiche sulle ossa, che intervengano a corregge- ca possono ancora essere corrette con osteotomie
re difetti di sviluppo del cotile, dell’epifisi prossima- di bacino o di femore per migliorare la dinamica
le del femore o di entrambe. dell’articolazione. La condizione essenziale, per ese-
Se il cotile è troppo poco profondo, e accoglie guire questi interventi è rappresentata dall’assenza
solo parzialmente la testa del femore possono essere di degenerazione artrosica.
eseguite le osteotomie di bacino. L’artrosi secondaria incorre precocemente nei
Nell’acetabuloplastica di Pemberton si esegue pazienti con sublussazione o lussazione dell’anca: i
una osteotomia dell’osso iliaco parallela al tetto sintomi di dolore e limitazione funzionale possono
acetabolare. Il lembo osseo viene abbassato distale presentarsi intorno ai 40 anni, anche se in alcuni
fino ad eliminare la sfuggenza del tetto acetabola- pazienti con deformità severe possono essere anche
88 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
Fig. 7.53 Quadro radiografico evolutivo di una displasia congenita dell’anca bila-
terale nell’infanzia (A). Si notino le gravi alterazioni radiografiche presenti in età adulta
rappresentati dalla lussazione iliaca: la testa del femore si articola in una tasca fibrosa
C che si forma nell’ala iliaca (B).
A B C
Fig. 7.54 Quadro radiografico di lussazione congenita dell’anca destra inveterata. La testa del femore è nel neo-cotile e c’è un accorciamento di 6 cm (A). Il trattamento chirurgico è
stato eseguito in due tempi: inizialmente è stato applicato un fissatore esterno tra l’ala iliaca e la diafisi femorale. Il fissatore è stato gradualmente distratto fino alla completa discesa
della testa del femore nel paleocotile (B). In seguito è stato eseguito l’intervento di protesizzazione dell’anca attraverso un’artroplastica di rivestimento, che ha permesso di correggere
completamente la dismetria (C).
con l’asse cervicale femorale) e da un progressivo La coxa vara viene classificata in congenita e se-
accorciamento dell’arto. condaria.
La coxa vara congenita è la forma più frequente
Epidemiologia-eziologia e viene a sua volta distinta in neonatale e dell’infan-
zia. Quella neonatale è rara, è presente alla nascita
La coxa vara è una patologia rara del bambino, ed è associata ad altre anomalie congenite (come
colpisce indifferentemente il sesso maschile e quel- agenesia dell’estremità prossimale del femore) o
lo femminile, e si presenta nei 2/3 dei casi in for- malformazioni di altri distretti del corpo (come di-
ma bilaterale; le forme eredofamiliari sono rare. sostosi cleidocranica).
Nel bambino l’angolo di inclinazione del collo fe- La coxa vara dell’infanzia viene diagnosticata
morale (angolo cervico-diafisario) è di circa 130°, se solo quando il bambino inizia la deambulazione,
questo angolo diminuisce si ha la coxa vara. Fino ad e di solito non è associata ad altre malformazioni.
angoli di 110° la coxa vara viene considerata di media Radiograficamente, il collo femorale si presenta ac-
gravità, sotto i 90° viene definita grave (Fig. 7.55). corciato e la linea della cartilagine di coniugazione
assume un decorso verticale (Fig. 7.56).
La coxa vara secondaria è causata da affezio-
ni acquisite locali o sistemiche, come epifisiolisi,
130°
110° 90°
A B C
Fig. 7.55 A) Angolo cervico- diafisario normale (a^ 130°); B) Coxa vara di media Fig. 7.56 Coxa vara del bambino. La cartilagine di coniugazione ha decorso vertica-
gravità (90°< a^ < 110°). C) coxa vara grave (a^ <90°). le, il collo del femore è accorciato.
90 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
Fig. 7.59 Immagine radiografica di correzione di una coxa vara, attraverso osteoto-
mia valgizzante, stabilizzata con placca e viti.
Fig. 7.57 Immagine radiografica di coxa vara bilaterale secondaria a osteocondrosi. Nei casi di coxa vara bilaterale, si manifesta una
tipica andatura anserina, con accentuazione della
lordosi lombare.
Trattamento
Il trattamento della coxa vara nell’infanzia e nel
l’adolescenza è prettamente chirurgico e consiste in
una osteotomia lineare valgizzante sottotrocanteri-
ca o intertrocanterica al fine di posizionare il collo
e la testa femorale in una idonea posizione di val-
gismo con la diafisi femorale. La stabilizzazione è
ottenuta con viti di Scaglietti o con placche (Figg.
7.58, 7.59).
Fig. 7.58 Immagini radiografiche di una coxa vara nel preoperatorio e dopo corre-
zione attraverso osteotomia valgizzante, stabilizzata con placca e viti. LUSSAZIONE DELLA ROTULA
osteocondriti, osteocondrodistrofie, traumatismi o Definizione
rachitismo (Fig. 7.57).
La rotula è un osso sesamoide che alloggia nella
Nella coxa vara rachitica, radiograficamente la li-
doccia trocleare o gola intercondiloidea del femo-
nea di coniugazione è addensata e frequentemente
re, all’interno della quale scivola nei movimenti di
si possono osservare immagini riferibili a fratture
flesso-estensione del ginocchio.
da durata; l’alterazione è spesso bilaterale.
Per sublussazione rotulea si intende la perdita
parziale o temporanea di contatto fra le superfici
Clinica articolari del femore e della rotula.
I primi sintomi della coxa vara si manifestano con Per lussazione rotulea si intende la perdita di
l’inizio della deambulazione. Il sintomo principale è contatto completa tra le superfici articolari del fe-
rappresentato dalla zoppia; l’arto si presenta accorcia- more e della rotula.
to e più si aggrava il varismo del collo femorale con
risalita del grande trocantere più si rende evidente il
fenomeno di Trendelenburg, a causa dell’avvicina- Eziologia
mento del grande trocantere all’ala iliaca e la conse- La corretta posizione della rotula è garantita da
guente perdita di potenza dei muscoli medio e picco- fattori di stabilizzazione di tipo statico e di tipo
lo gluteo, che sono i principali abduttori dell’anca. dinamico.
Altri sintomi che si manifestano più tardivamen- I fattori statici di stabilizzazione sono rappresen-
te sono un atteggiamento dell’arto in adduzione tati dal contorno dell’epifisi distale del femore, dal-
con limitazione dei movimenti di abduzione ed in- la capsula articolare, dal legamento femoro-rotuleo
trarotazione. mediale e dai retinacoli mediale e laterale della ro-
7. Patologie congenite 91
tula. Infatti un condilo femorale esterno, congeni-
Fig. 7.61 L’angolo Q (angolo del
tamente poco pronunciato o appiattito può favorire
quadricipite) è una misura di superfi-
la sublussazione della rotula, non essendo questa più
cie corporea ed è formato tra la linea
giustamente trattenuta all’interno del solco intercon-
passante per la spina iliaca anteriore
diloideo (Fig. 7.60).
superiore e il centro della rotula e la
Analogamente una congenita debolezza o una
linea passante per il centro della rotula
distrazione del legamento femoro-rotuleo mediale
e la tuberosità tibiale anteriore.
può predisporre alla lussazione laterale della rotula.
Altri fattori condizionanti la stabilità femoro-ro-
Q
tulea sono rappresentati dall’allineamento sul piano
frontale di femore e tibia e dalla rotazione della tibia
sul piano assiale; un aumento del valgismo o un’ec-
cessiva torsione esterna della tibia infatti, possono
esercitare una forza tale da sublussare o lussare late-
ralmente la rotula. Nelle deviazioni assiali del ginoc-
chio si assiste ad un suo disallineamento sul piano
frontale, con alterazione dell’angolo Q, i cui valori
normali sono 13-18° nella donna e 10-15° nell’uomo
(Fig. 7.61).
Anche l’anomala posizione troppo alta della rotula
può predisporre alla sua sublussazione o lussazione.
Uno dei principali fattori di contenzione dina-
mica della rotula nel suo giusto alloggiamento è
rappresentato dal muscolo quadricipite femorale, e
in particolare dal vasto mediale che si oppone alla Clinica
lussazione laterale della rotula. L’ipostenia del mu- I soggetti a rischio di instabilità rotulea presen-
scolo vasto mediale infatti, unitamente all’eccessiva tano in genere una lassità legamentosa generalizzata
tensione del vasto laterale, può causare la sublussa- ed uno scarso trofismo del muscolo vasto mediale
zione della rotula dal suo alloggiamento. (evidenziato dalla depressione al versante mediale
Indipendentemente dalla causa che ha favorito della rotula). In posizione ortostatica la rotula ten-
la perdita di contatto tra femore e rotula, si assiste de spontaneamente a rivolgersi lateralmente e supe-
sempre alla comparsa di fenomeni flogistici locali riormente (strabismo rotuleo o rotule ad occhi di
e, a lungo andare, a causa del ripetersi degli episodi cavalletta); alla palpazione manuale la rotula può
di sublussazione o lussazione della rotula, alla de- essere dislocata al di fuori della gola trocleare sem-
generazione cartilaginea dell’articolazione femoro- plicemente esercitando una pressione in direzione
rotulea (condropatia femoro-rotulea). laterale con il pollice (segno di Fairbank).
Il sintomo principale riferito dal paziente è rap-
presentato dal dolore, localizzato al compartimento
anteriore del ginocchio e più evidente in condizio-
ni particolari: salendo o soprattutto scendendo le
scale o nella posizione seduta mantenuta a lungo,
in condizioni che sollecitano l’apparato estensore
del ginocchio. Se, a seguito della lussazione latera-
le della rotula si lacera il legamento femoro-rotuleo
il paziente avverte un intenso dolore sia spontaneo
che provocato lungo il retinacolo mediale; se inve-
ce alla lussazione si accompagna la disinserzione
del setto intermuscolare mediale del muscolo vasto
Fig. 7.60 Immagine TAC del ginocchio destro e sinistro di un bambino di 9 anni con mediale, il dolore compare al versante mediale del
lussazione congenita della rotula a sinistra. Si noti l’assenza della gola intercondiloidea e ginocchio.
il conseguente profilo poco pronunciato del condilo laterale, che rappresenta un fattore di Il paziente lamenta spesso cedimenti del ginocchio
contenzione statica della rotula. o sensazione anomala di scatto o di debolezza nello
92 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
Ipoplasia del femore Fig. 7.64 Grave forma di ipoplasia della tibia destra di un bambino di 2 anni. Si nota il severo accorciamento dell’arto e
il difetto di formazione del piede, nel quale è presente un solo raggio e un solo dito.
L’ipoplasia del femore può an-
dare dalla presenza di un femore accorciato ma ben
formato, a quella di un osso rudimentale. L’ipoplasia del perone è frequentemente associa-
Nella patologia isolata la gamba ed il piede appa- ta ad altre anomalie scheletriche, come l’ipoplasia
iono normali, e l’accorciamento grossolano: la prio- del femore, il ginocchio valgo, la tibia curvata an-
rità assoluta è l’allungamento dell’arto. teriormente e il piede valgo-pronato; in questi casi,
Durante l’accrescimento, i pazienti possono gio- la scelta del trattamento da effettuare sul perone di-
vare di ortesi di allungamento. pende dall’accorciamento del femore e della tibia.
La correzione può essere ottenuta tramite allun- Se l’ipoplasia è diagnosticata prima della fine
gamento del femore attraverso un fissatore esterno, dell’accrescimento, bisogna cercare di predirne
o accorciamento del femore controlaterale. l’evoluzione, al fine della scelta di trattamento più
corretta: se la predizione di accorciamento è mi-
nore di 9 cm o maggiore di 15 cm, è opportuna
Ipoplasia della tibia la conservazione dell’arto; tra i 9 e i 15 cm si può
In caso di ipoplasia, la tibia può presentarsi come considerare l’amputazione, poiché tale dismetria è
un abbozzo osseo o addirittura cartilagineo, o essere solitamente difficile da compensare.
presente ma molto accorciata (Fig. 7.64). L’allungamento attraverso fissatori esterni è indi-
Il trattamento dipende dalla gravità dell’ipopla- cato in caso di ipoplasia della porzione intermedia
sia: nel primo caso in genere il trattamento di scelta del perone; se l’ipoplasia interessa l’epifisi distale, il
è l’amputazione, mentre nel secondo possono esse- trattamento consigliato è l’artrodesi della caviglia.
re prese in considerazione tecniche di allungamen-
to della gamba associate, a fine cura, ad artrodesi PSEUDOARTROSI
della caviglia.
CONGENITA DELLA TIBIA
Ipoplasia del perone Definizione
Il difetto di formazione del perone può interessa- È una forma grave di ipoplasia tibiale per cui la
re la porzione terminale o intermedia. tibia, congenitamente incurvata, va incontro a frat-
L’accorciamento complessivo dell’arto del pa- ture che esitano in pseudoartrosi.
ziente deve essere valutato paragonandolo agli arti
inferiori della popolazione generale che presenti le
stesse caratteristiche (sesso, età, etnia, ecc.) e a quel- Epidemiologia
li dei genitori: nei casi gravi l’accorciamento può I pazienti più comunemente esposti alla frattura
arrivare ad essere del 20%. tibiale sono quelli che alla nascita presentano un
7. Patologie congenite 95
so difficile. Nell’infanzia è indicata l’applicazione
Fig. 7.65 Quadro radio
di tutori protettivi, soprattutto in presenza di un
grafico di pseudoartrosi con
canale midollare ristretto e sclerotico. Nel caso in
genita di tibia che appare
cui si verifichi la frattura della tibia congenitamente
procurvata. Il canale diafisario è
deformata è necessario intervenire chirurgicamen-
chiuso al terzo medio della tibia
te poiché è improbabile che si riesca ad ottenere la
in corrispondenza della frattura.
consolidazione della frattura con la semplice im-
mobilizzazione in gesso o in tutore.
L’intervento prevede la resezione del focolaio
di pseudoartrosi, l’applicazione di innesti ossei ed
una sintesi stabile ottenibile con l’inserzione di un
chiodo retrogrado nella tibia attraverso il calcagno
e l’astragalo; questa tecnica può essere utilizzata se
l’accorciamento dell’arto non è eccessivo. Nel caso
in cui vi sia un accorciamento superiore ai tre cen-
timetri si interviene applicando un fissatore esterno
circolare. L’utilizzo del fissatore esterno (Ilizarov) è
indicato nei pazienti di età superiore ai 5 anni, in
cui alla stabilizzazione del focolaio di pseudoartrosi
si combina una corticotomia prossimale della tibia
allo scopo di stimolare il flusso ematico verso la
gamba e contemporaneamente ottenere l’allunga-
incurvamento anterolaterale della tibia, con re- mento necessario (Fig. 7.66).
stringimento del canale midollare. In alcuni casi la Un trattamento alternativo prevede il trapianto di
frattura può già osservarsi alla nascita, a volte asso- perone vascolarizzato (prelevato dall’arto sano con-
ciata a lesioni simili a livello del perone omolatera- trolaterale) a colmare lo spazio restante dalla resezio-
le, mentre nel 50% dei casi si verifica entro il pri- ne della pseudoartrosi; non di rado questo intervento
mo anno d’età e nel 25% entro il secondo. Circa il può associarsi a delle complicanze: problemi di con-
50% dei pazienti affetti da pseudoartrosi congenita solidazione, persistenza della deformità, rifrattura e
della tibia presentano neurofibromatosi di tipo I. valgismo della caviglia a livello dell’arto donatore.
L’ultima possibilità nel trattamento della pseu-
Clinica
Il paziente, in genere poco
dopo l’inizio della deambulazio-
ne, presenta un progressivo in-
curvamento della diafisi tibiale
con apice al terzo distale. L’arto
diviene funzionalmente insuffi-
ciente e compare dolore, preva-
lentemente esacerbato dai movi-
menti e dal carico.
In alcuni casi la tibia, continua
alla nascita, tende a fratturarsi in
conseguenza di traumi minimi,
con comparsa di dolore e impo-
tenza funzionale (Fig. 7.65).
A B C
Trattamento Fig. 7.66 Trattamento chirurgico della pseudoartrosi congenita della tibia (A) con il fissatore esterno Ilizarov. Attra-
Il trattamento della pseudoar- verso due osteotomie si elimina il focolaio di pseudoartrosi (B), mentre una terza osteotomia a livello della tibia prossimale
trosi congenita della tibia è spes- permette la discesa progressiva della diafisi tibiale fino ad ottenere la compattazione del focolaio di pseudoartrosi (C).
96 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
A B Piede equino-varo-supinato
Si presenta nell’80% dei casi. Il piede torto con-
Fig. 7.69 Deformità del piede in equinismo (A) e talismo (B). genito idiopatico equino-varo-supinato ha un qua-
dro clinico talmente caratteristico da essere incon-
fondibile, soprattutto nei gradi estremi di deforma-
zione.
Il piede è in equinismo per la flessione plantare
dell’articolazione tibio-tarsica e medio-tarsica, in
varismo nel retropiede, in supinazione e in addu-
zione nell’avampiede (Fig. 7.67).
A B Le alterazioni anatomo-patologiche interessano le
ossa e gli apparati capsulo-legamentosi e tendinei.
Fig. 7.70 Deformità del piede in varismo (A) e valgismo (B). Le modificazioni patologiche ossee riguardano:
l’astragalo che è ruotato lateralmente e dorsalmen-
te; il calcagno che si flette plantarmente, poggia
sulla faccia laterale e vira medialmente e lo scafoide
che si lussa medialmente e dorsalmente.
Le strutture capsulo-legamentose postero-media-
li quali il tendine di Achille, il legamento deltoideo,
il tibiale posteriore, il flessore comune delle dita e il
flessore lungo dell’alluce sono retratti, mentre quel-
A B li laterali sono stirati.
A seconda dell’età del piccolo e dell’eziologia, il fine trattamento e, nel caso di deformità parzial-
piede torto può trovarsi nella: mente correggibile si preferisce concludere il trat-
–– fase della riducibilità: quando la deformità è tamento con un piccolo intervento chirurgico di
completamente riducibile con le manipolazioni;
–– fase della riducibilità relativa: quando la deformi-
tà è solo parzialmente riducibile;
–– fase dell’irriducibilità: quando la deformità non
può essere ridotta con le manipolazioni;
–– fase del piede torto inveterato: quando alla defor-
mità primaria si aggiungono delle deformità os-
see secondarie (Fig. 7.73).
Piede talo-valgo-pronato
Il piede talo-valgo-pronato si presenta nel 10%
dei casi di piede torto congenito. La deformità del
piede è caratterizzata dalla flessione dorsale della
tibio-tarsica (talismo), dal valgismo del retropiede e
dalla pronazione dell’avampiede (Fig. 7.78).
La malformazione più importante interessa il cal-
cagno il quale si sposta lateralmente e soprattutto è
flesso dorsalmente. L’astragalo è flesso dorsalmente
e cade medialmente.
Le strutture capsulo-legamentose laterali sono
retratte, quelle mediali, posteriori e il tendine di
Fig. 7.76 L’intervento di Codivilla. Achille sono stirate.
100 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
Clinica
La diagnosi è prevalentemente clinica. L’esame
radiografico evidenzia in proiezione laterale soprat-
tutto la flessione dorsale del calcagno.
A
Trattamento
La terapia conservativa è in genere sufficiente a
correggere completamente la deformità e prevede
manipolazioni lievi e progressive del piede in sen-
so opposto alla deformità, ovvero in equino varo
supinazione, mantenendo la correzione ottenuta
con apparecchi gessati femoro-podalici per un pe-
riodo di circa 6 settimane e rinnovandoli ogni 15
giorni, seguiti da docce di posizione.
Metatarso varo
È una deformità infrequente e si presenta nel 5%
B dei casi. Il metatarso varo è caratterizzato da una
eccessiva adduzione dell’avampiede con una devia-
zione mediale delle ossa metatarsali e un accentuato
cavismo del piede (Fig. 7.79).
Fig. 7.77 Intervento di artrodesi della articolazione mediotarsica (A) e della artico- Clinica
lazione sottoastragalica (B). La diagnosi può essere più difficile perché il
metatarso varo assomiglia al piede torto congeni-
to equino-varo-supinato. In questi casi la diagnosi
differenziale la si può fare solo con un attento esa-
Fig. 7.78 Bambino di 4 mesi affetto da piede torto talo-valgo-pronato bilaterale. Fig. 7.79 Metatarso varo bilaterale.
7. Patologie congenite 101
Trattamento Fig. 7.81 Quadro clinico di un bambino di 8 anni con astragalo verticale a destra.
Il piede appoggia a terra sulla testa dell’astragalo e non sul calcagno (A). Un anno dopo
Il trattamento conservativo inizia presto, dai l’intervento chirurgico di liberazione e allungamento delle strutture capsulo-legamen-
primi mesi di vita, e si basa sulla correzione del- tose mediali e applicazione di endortesi polimerica riassorbibile nel seno del tarso, il
la deformità attraverso delle manipolazioni dol- piede risulta ben corretto (B).
ci e progressive delle ossa metatarsali riportando
l’avampiede in abduzione e tenendolo in un appa-
recchio gessato per sei settimane rinnovandoli ogni
15 giorni.
Il trattamento chirurgico consiste in capsulo-
tomie tarso-metatarsali mediali delle articolazioni
astragalo-scafoidea e scafo-cuneiforme. Talvolta è
necessario allungare a “Z” il tendine del tibiale po-
steriore.
Quando il metatarso varo diventa irriducibile
o inveterato, per l’avvicinarsi della fine dell’accre-
scimento, sono indicati interventi di accorciamen- A
to della colonna laterale del piede (osteotomie del
cuboide) o artrodesi modellanti della mediotarsica
(calcaneo-cuboidea e astragalo-scafoidea).
Domande di autovalutazione
1. Quali sono le deformità prevalentemente associate alla sindrome di Marfan?
2. Quali sono le manifestazioni cliniche e radiografiche dell’osteogenesi imperfetta?
3. Quali sono gli aspetti radiografici dell’osteopetrosi?
4. Quali sono gli aspetti clinici del soggetto con acondroplasia?
5. Quali sono le deformità spesso associate all’artrogriposi?
6. Qual è la finalità del trattamento ortopedico nelle distrofie muscolari?
7. Quali sono le cause del torcicollo congenito osseo?
8. Qual è il quadro clinico evolutivo del torcicollo miogeno?
9. Qual è il trattamento di scelta nel torcicollo miogeno?
10. Qual è il fattore eziologico nella spina bifida?
11. Quali sono gli aspetti clinici nella deformità di Sprengel?
12. Quali sono i soggetti più colpiti nella displasia congenita dell’anca?
13. Qual è il quadro clinico della fase di prelussazione dell’anca e quale esame strumentale deve essere
eseguito nei primi mesi di vita?
14. Quali sono gli aspetti radiografici della fase di prelussazione dell’anca?
15. Quali sono gli aspetti clinici della fase di sublussazione dell’anca?
16. Quali sono gli ostacoli anatomo-patologici che impediscono la riduzione dell’anca nel periodo della
sublussazione?
17. Cosa si intende per angolo cervico diafisario o di inclinazione del collo del femore, e come varia nella
coxa vara rispetto alla normalità?
18. Quali sono i segni clinici della lussazione congenita di rotula?
19. Quali sono le forme di piede torto congenito?
20. Quali sono le cause più frequenti di piede torto nei soggetti adulti?
21. Quali sono i fattori che influenzano la prognosi nel piede torto equino-varo-supinato?
22. Come viene eseguito il trattamento conservativo del piede torto congenito nella forma equino-varo-
supinato?
23. Quali accorgimenti devono essere intrapresi a fine trattamento in seguito a correzione del piede torto
congenito, per prevenire le recidive?
Patologie dell’accrescimento
8
SCOLIOSI
Definizione
La scoliosi è una deviazione laterale e perma-
nente della colonna vertebrale sul piano frontale
associata a fenomeni di rotazione, inclinazione e
deformità cuneiforme dei corpi vertebrali non cor-
reggibile volontariamente (Fig. 8.1)
Eziologia
Le scoliosi sono state classificate eziologicamen-
te da Marchetti e Faldini in congenite e secondarie
(Tab. 8-I).
Le scoliosi congenite possono essere dovute ad
anomalie di sviluppo delle colonna rappresentate
da difetti di formazione o difetti di segmentazione
dei corpi vertebrali.
I difetti di formazione sono gli “emispondili”, ov-
vero corpi vertebrali che si sono formati solo in par-
te: hanno forma di cuneo, possiedono solo un pe-
duncolo e deviano la colonna lateralmente se sono
asimmetrici (Fig. 8.2).
I difetti di segmentazione sono le “sinostosi” ver-
tebrali, ovvero corpi vertebrali che nel normale pro-
cesso di formazione non si sono separati tra loro;
le sinostosi provocano un difetto di crescita, quindi
una deviazione laterale della colonna se sono asim-
metrici (Fig. 8.3). Fig. 8.1 Radiografia in proiezione antero-posteriore di una scoliosi toraco-lombare.
Le scoliosi secondarie possono essere dovute a La curva principale interessa il tratto dorsale con la formazione di una curva lombare di
patologie congenite quali la neurofibromatosi (vedi compenso, dando il tipico aspetto a S italica. Le vertebre interessate presentano i carat-
neurofibromatosi), la sindrome di Marfan (vedi sin- teristici aspetti di strutturazione della scoliosi ossia rotazione, inclinazione e deformità
drome di Marfan), le miopatie (vedi miopatie), op- cuneiforme.
104 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
A B C
Fig. 8.2 I difetti di formazione dei corpi vertebrali (emispondili) provocano gravi forme di scoliosi congenita (A). La presenza di una vertebra parzialmente formata a livello toracico (B)
o lombare (C) devia gravemente l’allineamento frontale della colonna dando origine a curve di entità severa che interessano pochi segmenti vertebrali.
8. Patologie dell’accrescimento 105
è deformità cuneiforme dei corpi vertebrali. Analo- Queste alterazioni possono essere presenti in misu-
gamente, anche le deformità dell’anca responsabili ra diversa a seconda della sede anatomica della curva:
di una inclinazione patologica del bacino, come ad –– nelle scoliosi toraciche sarà prevalente l’alterazio-
esempio gli esiti di displasia congenita dell’anca, di ne a livello delle spalle e delle scapole, e il gibbo
epifisiolisi o di necrosi del nucleo di accrescimento costale sarà particolarmente accentuato;
della testa del femore, o la contrattura spastica de- –– nelle scoliosi toraco-lombari, oltre ai segni co-
gli adduttori possono portare a un aatteggiamento muni alle deformità toraciche sarà apprezzabile
scoliotico. Gli atteggiamenti scoliotici si trattano ri- un disassamento con la parte superiore del tron-
solvendo le cause che li hanno provocati. Non sono co spostata lateralmente rispetto ai fianchi;
necessari in questi casi trattamenti ortopedici speci- –– nelle scoliosi lombari le alterazioni cliniche sono
fici a livello del rachide o ginnastica correttiva. meno accentuate, oltre all’alterazione del trian-
Nella scoliosi strutturata, si possono notare asim- golo della taglia, facendo flettere il paziente in
metrie delle creste iliache, delle spalle e dei triangoli avanti non compare il gibbo costale, ma una
della taglia. Inoltre vi possono essere asimmetrie dei asimmetria del profilo dei lombi detta protube-
profili delle scapole e, nei pazienti magri può essere ranza lombare;
palpabile la deviazione laterale della linea delle apo- –– nelle curve doppie primarie, sono presenti sia le
fisi spinose (Fig. 8.5). Talvolta è possibile apprezzare alterazioni toraciche che quelle lombari, senza
il disassamento dovuto al fatto che la parte superiore disassamento.
del tronco si trova spostata lateralmente rispetto ai Le curve di più frequente osservazione sono le
fianchi. Facendo flettere il paziente in avanti, è pos- toraciche, seguite dalle toraco-lombari, dalle doppie
sibile notare la presenza di una più o meno marcata primarie, dalle lombari, e più raramente dalle cervi-
asimmetria dell’apparato costale a livello toracico, il co- toraciche.
gibbo costale, o del profilo dei lombi, protuberanza Nella valutazione clinica è estremamente im-
lombare, a livello lombare. portante considerare l’età del paziente, e il suo gra-
do di maturazione biologica, in
quanto la scoliosi si può aggravare
progressivamente fino al termine
dell’accrescimento.
A B
Fig. 8.6 Il metodo di Cobb permette di valutare l’entità della scoliosi (A). Su una radiografia in proiezione antero-posteriore si tracciano delle linee passanti per la limitante superiore
della vertebra prossimale della curva scoliotica e la limitante inferiore della vertebra distale. In seguito si tracciano le perpendicolari alle due linee. L’angolo così formato definisce l’entità
della curva (B).
dal valore angolare dell’incrocio tra la tangente Le proiezioni radiografiche antero-posteriori del-
alla limitante inferiore dell’ultima vertebra della la colonna eseguite a paziente sdraiato in massima
curva, e la tangente alla limitante superiore della flessione laterale destra e sinistra sono dette “ben-
prima vertebra della curva (Fig. 8.6). Con analo- ding” o funzionali e hanno lo scopo di valutare il
go procedimento possono essere misurate le entità grado di riducibilità delle curve scoliotiche, utile
delle curve di compenso superiore ed inferiore, il per la scelta del trattamento.
cui valore sommato è in genere uguale all’entità In casi molto selezionati possono essere utili la
della curva principale. In alcuni casi è possibile TAC o la RMN per valutare rare deformità come le
osservare due curve (toracica e lombare) di enti- sinostosi, gli emispondili, la neurofibromatosi e le
tà quasi uguale, che prendono il nome di scoliosi alterazioni del canale midollare.
“doppia primaria”.
Un altro importante aspetto da valutare nella ra-
diografia è l’età scheletrica del paziente, che si valu-
Terapia
ta apprezzando il grado di maturazione del nucleo L’approccio terapeutico alla scoliosi durante
di ossificazione della cresta iliaca, che compare in l’accrescimento dipende da una serie di fattori che
prossimità della spina iliaca anteriore superiore, e si possono essere definiti “fattori di tipizzazione”, che
ossifica progressivamente verso la spina iliaca poste- nel loro complesso permettono di valutare la curva
riore superiore (test di Risser) (Fig. 8.7). come non evolutiva, leggermente evolutiva o gra-
108 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
CIFOSI
Definizione
La cifosi è una deviazione della colonna verte-
brale sul piano sagittale con convessità posteriore,
generalmente localizzata nel tratto dorsale con ac-
centuazione, in tal caso, della normale cifosi dor-
sale.
Eziologia
La cifosi può essere congenita dovuta ad emi- Fig. 8.11 Radiografia in proiezione laterale del rachide dorsale. Si noti la presenza
spondilo (Fig. 8.11), idiopatica (malattia di Scheu- di un emispondilo, dovuto ad un difetto di formazione della vertebra, che porta alla for-
ermann), secondaria ad altre patologie (spondilite mazione di una cifosi congenita.
anchilosante, osteoporosi).
Eziopatogenesi
Cifosi nella malattia di Scheuermann La malattia di Scheuermann è dovuta alla ne-
crosi dei nuclei di accrescimento delle vertebre
È un’alterazione dello sviluppo delle vertebre to- toraciche, in genere T7, T8, T9. I piatti vertebrali
raciche che progressivamente si deformano a cuneo di queste vertebre dapprima appaiono frastagliati,
ad apice anteriore provocando un aumento della fi- poi assumono una caratteristica forma a cuneo con
siologica cifosi nel periodo precedente alla pubertà. apice anteriore, responsabile della deformità (Fig.
8.12).
Epidemiologia
La malattia di Scheuermann è di abbastanza fre- Anatomia patologica
quente osservazione nella pratica clinica, e colpisce I piatti limitanti delle vertebre toraciche vanno
prevalentemente i pazienti maschi con un rappor- incontro a alterazioni regressive: i nuclei di ossi-
to di 4:1, nel periodo precedente alla pubertà, in ficazione cartilaginei, disposti tra la limitante del
genere tra i 10 e i 16 anni. Analogamente all’epi- corpo vertebrale ed il disco intervertebrale, a causa
fisiolisi, alla quale spesso si associa, la malattia di di eccessive sollecitazioni meccaniche o per ische-
Scheuermann è più frequente in pazienti affetti da mia vanno in necrosi provocando una diminuzione
disendocrinopatie con habitus adiposo genitale, della crescita della regione anteriore del corpo ver-
oppure in soggetti longilinei astenici nel periodo tebrale, che progressivamente assume un aspetto
del picco della massima crescita. trapezoidale ad apice anteriore.
8. Patologie dell’accrescimento 111
A B
Fig. 8.12 Radiografia in proiezione laterale del rachi- Fig. 8.13 Aspetto clinico di un bambino di 13 anni con sindrome di Scheuermann. Si noti la cifosi toracica accentua-
de in toto. La necrosi dei nuclei d’accrescimento altera la ta, che provoca lordosi lombare compensatoria e spostamento del capo in avanti (A). Aspetto clinico di un bambino di 13
forma della VI,VII e VIII vertebra dorsale rendendole cunei- anni con rachide in asse (B).
formi con apice anteriore, responsabili dell’aggravamento
della cifosi dorsale.
caratteristicamente cede il muro vertebrale anterio- dell’arco vertebrale posteriore; queste ultime sono
re e rimane intatto il muro posteriore; si ha per- tipiche dell’atleta che fa sport esercitando forti
tanto un aumento della cifosi dorsale con sbilancia- stress sul rachide come nel sollevamento pesi. Per
mento anteriore del rachide (vedi capitolo: Fratture spondilolistesi iatrogene si intendono quelle che si
vertebrali osteoporotiche). sviluppano successivamente a interventi chirurgici
al rachide nei quali siano state rimosse le apofisi
articolari posteriori, come accade nella liberazione
SPONDILOLISTESI delle radici in seguito a stenosi severa del canale
vertebrale. Le patologiche sono quelle che si veri-
Definizione ficano in corso di malattie come il morbo di Paget,
La spondilolistesi è una condizione patologica la patologia di Recklinghausen, l’osteogenesi im-
che consiste nello scivolamento in avanti di una perfetta, le osteocondroplasie, le neoplasie primiti-
vertebra su quella sottostante (Fig. 8.14) causata ve dell’osso o le metastasi osse e le infezioni. Nelle
dalla rottura o dalla deformazione delle componen- spondilolistesi degenerative il primo evento che
ti posteriori della vertebra che insieme al disco in- predispone allo scivolamento è la degenerazione del
tervertebrale si oppongono allo scivolamento. disco intervertebrale con conseguente restringimen-
to dello spazio intervertebrale; con la deformazione
del legamento flavo si sviluppa una microinstabilità
Eziologia del segmento vertebrale interessato che favorisce lo
Le spondilolistesi sono state classificate eziologi- scivolamento. Inoltre in questa situazione si forma-
camente da Marchetti e Bartolozzi in ontogeneti- no speroni, sclerosi subcondrale, ipertrofia e ossifi-
che e acquisite. Per ontogenetiche non si intende cazione dei legamenti.
che sono presenti alla nascita (altrimenti sarebbero
congenite); con il termine ontogenetico si intende
l’esistenza di fattori congenti, come la displasia del-
le vertebre lombari, che nel tempo possono favorire
lo scivolamento vertebrale. Le spondilolistesi onto-
genetiche sono dovute a lisi del peduncolo verte-
brale (Fig. 8.15) o ad allungamento del peduncolo
vertebrale (Fig. 8.16).
Le spondilolistesi acquisite possono essere di
natura traumatica per frattura acuta o da durata
Epidemiologia
L’età colpita dipende dal tipo di spondilolistesi:
quelle ontogeniche solitamente si manifestano tra
l’infanzia e l’adolescenza e il livello più comune-
mente interessato è L5-S1. Le traumatiche, le iatro-
gene e le patologiche non hanno una prevalenza di
età. Le spondilolistesi degenerative sono più comu-
ni nella popolazione femminile sopra i 50 anni e il
livello più frequentemente colpito è L4- L5.
Clinica
La spondilolistesi determina tre differenti tipi
di sintomatologia sostenuti da diversi meccanismi:
lombalgia, radicolopatia periferica e claudicazio neu-
rologica.
La lombalgia si presenta durante le attività quo-
tidiane e di solito è legata alla postura; è probabil-
mente determinata dalla degenerazione del disco
intervertebrale o delle faccette articolari. È un do-
lore di tipo meccanico, che peggiora con la stazio-
ne eretta, la deambulazione e la posizione seduta.
Caratteristicamente, il dolore migliora da sdraiati.
Il rachide lombare è particolarmente suscettibile a
cambi di posizione, sollevamento di pesi o sforzi
che possono scatenare una lombalgia acuta difficil-
mente dominabile con la terapia medica.
Fig. 8.16 Spondilolistesi ontogenetica. L’elongazione dell’arco posteriore della La radicolopatia è in genere simmetrica ed inte-
vertebra L4 causa lo scivolamento della stessa vertebra su L5. ressa entrambe le radici che emergono dallo spazio
A B C
Fig. 8.17 Evoluzione radiografica di paziente con spondilolistesi non trattata. La gravità della deformità viene valutata in base alla percentuale di scivolamento di una vertebra sulla
sottostante. Spondilolistesi di I grado si ha quando lo scivolamento è fino al 25%; II grado dal 25% al 50%, III grado dal 50% al 75%, IV grado dal 75% fino al 100% (A), V grado o ptosi
vertebrale con la caduta della vertebra sovrastante (B, C).
114 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
A B C
Fig. 8.19 Quadro radiografico di spondilolistesi di II grado di L5 (A). L’intervento di artrodesi vertebrale è stato eseguito per via anteriore attraverso l’impianto di una vite e innesto
osseo autologo (B). Il controllo radiografico a distanza evidenzia la completa fusione della V vertebra lombare e la prima sacrale (C).
8. Patologie dell’accrescimento 115
A B
Fig. 8.21 Durante l’accrescimento il nucleo di ossificazione della testa del femore
è separato dal collo dalla cartilagine di accrescimento (A). Se sotto l’effetto del peso
la cartilagine di accrescimento cede, la testa scivola in basso e indietro provocando
l’epifisiolisi (B). Proiezione antero-posteriore del bacino di un bambino con epifisiolisi
sinistra: la testa è scivolata gravemente in basso e indietro. L’angolo cervico-diafisario è
diminuito e l’arto è fortemente accorciato (C). C
Vi è inoltre la presenza di un abbondante nu- ipertrofica inspessita. In tal modo sono disturbate
mero di proteoglicani nella matrice cartilaginea in l’ordinata calcificazione encondrale e l’ossificazione.
proliferazione e glicoproteine di struttura nella zona
Clinica
L’epifisiolisi, a seconda delle modalità di insor-
genza, può essere classificata in: pre-epifisiolisi, epi-
fisiolisi acuta, epifisiolisi subacuta o cronica.
La pre-epifisiolisi ha una presentazione tipica-
mente insidiosa, in quanto segni e sintomi sono
molto sfumati. Infatti i bambini-adolescenti pre-
sentano un dolore all’anca saltuario dopo attività
sportiva tale da non destare grande preoccupazio-
ne. Obiettivamente l’anca appare normoconforma-
ta e normoatteggiata, mobile completamente, leg-
germente dolente ai gradi estremi di movimento.
È sempre facile ritrovare una storia di lieve trauma
in un bambino. Inoltre per l’aspecificità della pre-
sentazione clinica bisogna escludere la presenza di
osteocondrosi, infezioni, tumori e coxalgie fugaci.
L’epifisiolisi acuta invece è semplice da diagno-
sticare in quanto si presenta clinicamente come
un distacco epifisario acuto del femore prossimale,
con vivo dolore, accorciamento ed extrarotazione
dell’arto, ed impotenza funzionale.
L’epifisiolisi subacuta può essere considerata una
pre-epifisiolisi che non va incontro a rottura ed
evolve progressivamente con una sintomatologia
lieve: l’adolescente riferisce dolore cronico che si ri-
solve con il riposo; l’andatura è spesso antalgica o
ondeggiante se entrambe le anche sono colpite; l’an-
Fig. 8.22 Giovane paziente affetto da epifisiolisi dell’anca destra. Si noti l’habitus ca affetta è ruotata esternamente e l’arto progressiva-
caratteristico della sindrome adiposo-genitale e l’importante accorciamento dell’arto mente si accorcia; ci potrebbero essere ispessimenti
inferiore destro che determina l’inclinazione laterale del bacino e della colonna verte- dell’articolazione dell’anca con una escursione dimi-
brale per mantenere l’asse visivo all’orizzonte. nuita in modo più o meno marcato e in alcuni casi
8. Patologie dell’accrescimento 117
Fig. 8.24 Schema per la valutazione della gravità dell’epifisiolisi. Visione laterale
del femore. Si noti lo scivolamento posteriore della testa del femore pari ad 1/3 del
Fig. 8.23 Schema per la diagnosi di un’epifisiolisi dell’anca. Si noti lo scivolamento collo: epifisiolisi lieve. Se lo scivolamento è compreso tra 1/3 e 2/3 del collo femora-
in basso dell’epifisi prossimale del femore rispetto alla retta tangente il margine supe- le si parla di epifisiolisi di medio grado. Se supera i 2/3 del collo femorale si parla di
riore del collo femorale (segno di Trethowan). epifisiolisi grave.
gravi la gamba rimane fissa in rotazione esterna e fisi femorale, si sviluppano velocemente modifica-
leggermente addotta: l’abduzione, la flessione e l’in- zioni della forma del collo del femore, che si ri-
trarotazione sono profondamente compremesse. modella secondo le nuove linee di carico: la zona
superiore al collo va incontro a riassorbimento,
Diagnostica per immagini mentre nella zona inferiore si forma nuovo osso.
L’angolo cervico-diafisario diminuisce creando la
La radiografia in proiezione antero-posteriore e cosi detta “coxa vara acquisita” o sindrome del
laterale dell’anca rappresenta l’indagine di primo li- collo gobbo (Fig. 8.25).
vello. Nella pre-epifisiolisi si può osservare un allar-
gamento della cartilagine di coniugazione con se-
gni di disorganizzazione (aree litiche e sclerotiche). Trattamento
Inoltre, per verificare se è iniziato lo scivolamento L’epifisiolisi se non trattata può portare a gravi
della testa del femore, nella proiezione antero-po- modificazioni permanenti dell’anca responsabili di
steriore, si traccia una linea lungo il margine supe- severo deficit funzionale, con deformità in accor-
riore del collo del femore: se la testa rimane al di
sotto di essa, significa che l’epifisi
è scivolata (segno di Trethowan)
(Fig. 8.23). Questo segno radiolo-
gico è l’unico che permette di fare
diagnosi precoce in un paziente
con pre-epifisiolisi.
Nell’anca dell’adoloscente sano,
la base dell’epifisi crea un’ampia
superficie di contatto con la te-
sta del femore nella radiografia in
proiezione laterale. L’epifisiolisi
è tanto più severa quanto più la
testa del femore risulta scivola-
ta all’indietro. Si può dividere il
collo in tre parti classificando lo
scivolamento in lieve (se è interes-
sa meno di 1/3 del collo), medio
(se interessa fino a 2/3 del collo)
e grave (se interessa più di 2/3 del
collo) (Fig. 8.24). Fig. 8.25 Radiografia in proiezione anteroposteriore del bacino con un quadro di epifisiolisi cronica bilaterale esitato
Dopo lo scivolamento dell’epi- in un collo gobbo bilaterale. Si noti la grave artrosi a livello dell’articolazione coxofemorale bilateralmente.
118 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
ciamento dell’arto con limitata escursione artico- parecchio gessato pelvipodalico per circa 6 setti-
lare, dolore al carico e rischio considerevole di ne- mane.
crosi della testa del femore o di artrosi secondaria In caso di epifisiolisi acuta, il trattamento chirur-
precoce. gico prevede manovre riduttive dello scivolamento
Il trattamento chirurgico dell’epifisiolisi dipen- dell’epifisi in basso e indietro. Queste si eseguono
de dal momento di osservazione della patologia. nel letto per fratture a cielo chiuso, flettendo l’anca
In caso di pre-epifisiolisi, l’intervento chirurgico e ruotandola all’interno abducendola, sotto con-
consiste nell’applicazione, attraverso piccole in- trollo dell’amplificatore di brillanza. Una volta ot-
cisioni, di 2 viti che, passando attraverso il collo tenuta la riduzione della deformità, si procede alla
del femore, vanno a bloccare l’epifisi prossimale fissazione dell’epifisi analogamente alla pre-epifisio-
impedendo un ulteriore scivolamento. Questo lisi. (Fig. 8.26)
intervento, (epifisiodesi) minimamente invasivo In caso di epifisiolisi cronica, il rimodellamento
e di esecuzione semplice, deve sempre essere ese- del collo del femore non permette una riduzione a
guito bilateralmente anche se l’altra anca è sana, cielo chiuso della deformità. Si rendono quindi ne-
considerando che l’epifisiolisi si presenta frequen- cessarie osteotomie intertrocanteriche a cielo aperto
temente in entrambe le anche e quasi mai con- per ricostruire un angolo cervico-diafisario quanto
temporaneamente. Il trattamento postoperatorio più possibile alla norma.
consiste in immobilizzazione delle anche in ap- Nel caso in cui all’epifisiolisi cronica sia soprag-
A C
B D E
Fig. 8.26 Radiografia in proiezione anteroposteriore del bacino. Si noti lo scivolamento in basso e posteriore del nucleo di accrescimento della testa femorale a sinistra e la normale
conformazione del femore controlaterale (A). Esame TAC del bacino dello stesso paziente. Grazie al taglio coronale si nota meglio il distacco dell’epifisi prossimale del femore e lo scivola-
mento posteriore (B). Schema della posizione del paziente su letto operatorio con gli arti inferiori in trazione e abduzione e l’anca sinistra flessa e intraruotata (C). Immagine dell’amplifica-
tore di brillanza che evidenzia la riduzione del nucleo di accrescimento cefalico sulla testa femorale e la fissazione in posizione ridotta con 2 viti, a sinistra, mentre a destra si nota la vite nel
femore controlaterale per prevenire l’epifisiolisi (D-E).
8. Patologie dell’accrescimento 119
A B
Fig. 8.27 Quadro radiografico di un esito di epifisiolisi con artrosi secondaria precoce più grave a sinistra (A). L’articolazione è stata sostituita con una protesi d’anca di rivestimento (B).
giunta una necrosi epifisaria, oppure per ritardo di femore forma con l’asse meccanico della tibia un
diagnosi in età giovane adulta si sia verificata la di- angolo aperto medialmente, ed è valgo se l’angolo
struzione completa della cartilagine articolare, sono si apre lateralmente (Fig. 8.28). Il ginocchio è re-
indicati interventi di sostituzione protesica dell’anca curvato se l’angolo si apre anteriormente, e procur-
(Fig. 8.27). vato se si apre posteriormente.
L’evoluzione fisiologica del ginocchio durante
l’accrescimento passa attraverso varie tappe, tra le
DEVIAZIONI ASSIALI DEL GINOCCHIO quali vi sono anche deviazioni assiali: fino ai due
anni di età, infatti, i bambini presentano una devia-
Definizione zione in varismo; dai due ai quattro anni, invece, in
Per deviazione assiale del ginocchio si intende valgismo. Tale deviazione si riduce nel tempo fino
una deviazione degli arti inferiori, sul piano fron- all’età adulta, in cui si normalizza completamente.
tale o sagittale, che modifica il fisiologico asse mec-
canico.
Il ginocchio è varo quando l’asse meccanico del
Ginocchio varo
Il ginocchio varo può essere suddiviso in conge-
nito e acquisito.
Il ginocchio varo congenito può essere ricondu-
cibile ad una aplasia o ad una ipoplasia del condilo
femorale o dell’emipiatto tibiale interno dovuta ad
un arresto o ad un ritardo di sviluppo embrionale.
Il ginocchio varo acquisito, nella prima infan-
zia, è riconducibile soprattutto al rachitismo; nella
tarda infanzia e nell’adolescenza può osservarsi in
processi di natura displasica, distrofica, traumatica
e infiammatoria.
L’esame obiettivo di un paziente che presenti
una o entrambe le ginocchia vare inizia con l’osser-
vazione in stazione eretta, a piedi uniti e paralleli. Il
grado di varismo del ginocchio è valutabile misu-
rando la distanza tra i condili femorali mediali: in
condizioni fisiologiche, questi tendono a sfiorarsi,
A B C mentre si parla di varismo se la distanza è di oltre
3 cm (tra 1-3 cm la deformità è lieve) (Fig. 8.29).
La conferma diagnostica della deformità è sempre
Fig. 8.28 Ginocchio varo (A); ginocchio normale (B); ginocchio valgo (C). radiografica. Attraverso una radiografia panoramica
120 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
Ginocchio recurvato
Il ginocchio recurvato consiste nella iperestensio-
ne, solitamente, di entrambe le ginocchia. Si può
considerare una deviazione dell’asse femoro-tibiale
(5-10°) che si mette in evidenza osservando il pa-
ziente di profilo in stazione eretta (Fig. 8.29). Il gi- A B
nocchio recurvato indica semplicemente una lassità
marcata dei legamenti, e solitamente non necessita Fig. 8.31 Radiografia panoramica degli arti inferiori con ginocchio valgo bilaterale
di alcun trattamento. (A). Il ginocchio destro è stato corretto mediante osteotomia tibiale varizzante in minus,
stabilizzata con placca e viti (B).
PIEDE PIATTO
luppano un piede piatto. Si stima che i piedi piatti
Definizione nell’infanzia siano circa il 5%, ma i sintomatici sono
Il piede piatto è una deformità del piede che può circa l’1%.
essere inquadrata sia dal punto di vista morfologi-
co sia da quello funzionale. Infatti il termine piede
piatto morfologicamente descrive un piede in cui si
Eziopatogenesi
ha la diminuzione in altezza dell’arco longitudinale La pronazione del complesso astragalo-calcane-
mediale e la deviazione in valgismo del retropiede ale e la mancanza dell’arco plantare mediale, carat-
sotto carico. Da un punto di vista funzionale si de- teristiche principali del piede piatto, rappresentano
finisce piede piatto quel piede che durante tutte le reperti comuni nel neonato. Anche quando il bam-
fasi del passo mantiene uno stato di prevalente o bino inizia la stazione eretta, verso i 10-14 mesi, i
persistente pronazione, invece di alternare pronazio- piedi appaiono piatti. Con la crescita le strutture
ne in fase di appoggio e supinazione in fase di spinta ossee del piede si rimodellano fisiologicamente ed
del complesso astragalo-carcaneare. il complesso astragalo-calcaneale si normalizza, for-
mando la volta plantare intorno ai 4-5 anni di età.
Oltre il 5° anno di età, se l’articolazione astragalo-
Epidemiologia calcaneale permane in uno stato di pronazione, la
Nella prima infanzia, fino a 3 anni, si osservano volta plantare appare insufficiente e il piede rimane
piedi piatti fisiologici in quasi tutti i bambini. Il pie- piatto, la deformità deve essere tipizzata e ricevere il
de si normalizza gradualmente tra i 3 e i 6 anni, e i trattamento adeguato.
bambini in cui questo meccanismo viene meno svi- Il piede piatto congenito è dovuto ad un difet-
122 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
to di segmentazione delle ossa tarsali che rimango- zione astragalo-calcaneare (sottoastragalica) e in mi-
no unite attraverso ponti ossei definiti sinostosi (o sura minore della mediotarsica. I fenomeni artrosici
barre): queste si realizzano più frequentemente tra sono, spesso, il risultato di piedi piatti che non sono
astragalo e calcagno, meno frequentamente tra cal- stati trattati, o trattati in maniera inadeguata, o esiti
cagno e cuboide e più raramente ancora tra il calca- di frattura di calcagno o di astragalo. In alcuni sog-
gno e lo scafoide. getti possono essere presenti lesioni di vario grado a
Il piede piatto può essere secondario: a lassi- carico del tendine del tibiale posteriore.
tà capsulo-legamentosa come nella sindrome di
Ehlers-Danlos, sindrome di Marfan e sindrome
della iperlassità ligamentosa costituzionale; a pato-
Clinica
logie neuromuscolari come le miopatie e le distro- Durante l’infanzia si tratta prevalentemente di
fie; a traumi come le fratture di calcagno o lesioni soggetti spesso lassi e in sovrappeso che vengono
del tendine del tibiale posteriore, soprattutto nei all’osservazione dell’ortopedico per la preoccupa-
soggetti adulti; a patologie infiammatorie come zione della madre, la quale ha notato una anomala
l’artrite reumatoide; a trattamenti chirurgici pre- deambulazione del figlio, un consumo e deforma-
cedenti, come nel caso di un intervento per piede zione delle calzature.
torto equino varo supinato in cui una ipercorrezio- Negli adolescenti il quadro clinico si manifesta
ne determina un eccessivo valgismo del retropiede, con facile stancabilità e la presenza di dolori soprat-
esitando quindi in un piede piatto iatrogeno; allo tutto nella regione del mediopiede con affaticabi-
stesso modo, ma con minor frequenza, una ipocor- lità e saltuari dolori durante il cammino. Obietti-
rezione di un piede talo valgo pronato determina vamente i soggetti presentano l’appiattimento della
un residuo di valgismo del retropiede. volta plantare, il retropiede valgo (Fig. 8.32), con
Il piede piatto idiopatico è la forma più fre- contrattura di varia entità del tendine d’Achille,
quente, che si presenta verso il 5° anno di età per l’avampiede abdotto e supinato. In alcuni casi si
mancata comparsa dell’arco plantare e persistente può notare la presenza di un callo lungo il bordo
pronazione del complesso astragalo-calcaneare non mediale del piede che indica la presenza di uno
causata da alcuna delle patologie precedenti. scafoide tarsale accessorio o prominente, comune-
mente associato al piede piatto. Spesso i soggetti
con piede piatto presentano anomalie delle artico-
Anatomia patologica lazioni sovrasegmentarie come ginocchio valgo, in-
Da un punto di vista anatomopatologico il trarotazione della tibia e antiversione del collo del
quadro è variabile in base all’età. In un piede piat- femore.
to congenito la caratteristica principale è la barra Nei soggetti adulti la sintomatologia è spesso
astragalo calcaneale che unisce le 2 ossa tarsali e legata alle lesioni artrosiche secondarie che si in-
fissa l’articolazione in pronazione, dovuta ad una staurano allorquando gli alterati rapporti scheletrici
mancanza di segmentazione delle 2 ossa durante lo determinano la strutturazione della deformità. Ac-
sviluppo ontogenetico. canto alle alterazioni ossee, i processi infiammato-
Nel piede piatto del bambino è presente una ro- ri a carico dei tendini arricchiscono il quadro sin-
tazione esterna del calcagno (valgismo del retropie- tomatologico del piede piatto. Nei soggetti adulti
de), lo scivolamento in basso dell’astragalo, la su- è possibile riscontrare la presenza di deformità
pinazione e abduzione dell’avam-
piede, che contribuiscono alla
riduzione della volta plantare.
Spesso si evidenzia una retrazione
del tendine d’Achille e alterazioni
di alcuni tendini come il tibiale
posteriore, il flessore dell’alluce, il
flessore comune delle dita e le pe-
ronieri. A B
Nel piede piatto dell’adulto
possono essere presenti i fenomeni Fig. 8.32 Quadro clinico di piede piatto. Si noti l’appiattimento della volta plantare (A). È ben evidente il valgismo
degenerativi artrosici dell’articola- del retropiede (B).
8. Patologie dell’accrescimento 123
Fig. 8.36 Plantari correttivi per piede piatto. Il cuneo a base mediale determina
il riallineamento del calcagno e ne impedisce la deviazione in valgismo. Questa duplice
azione favorisce il rimodellamento dell’articolazione astragalo-calcaneare e la correzione
del piede piatto.
Fig. 8.37 Schema di intervento di artrorisi dell’articolazione sottoastragalica
tramite l’impianto a livello del seno del tarso di un’endortesi di materiale riassorbibile.
Attraverso uno studio RMN è possibile invece
L’endortesi ristabilisce i correttti rapporti articolari tra astragalo e calcagno ed impedisce
individuare eventuali lesioni dei tessuti molli che
l’eccessiva pronazione della sottoastragalica durante tutto il ciclo del cammino. Si ottiene
spesso sono presenti nel piede piatto.
così il rimodellamento dell’articolazione sottoastragalica e la correzione del piede piatto.
Trattamento
Il trattamento del piede piatto deve essere preso
in considerazione a partire dai 5 anni.
In un età compresa tra i 5-8 anni un trattamento
conservativo attraverso l’utilizzo di plantari appare
il più indicato in quanto l’effetto correttivo si ot-
tiene mantenendo il piede in correzione durante le
sollecitazioni dinamiche del cammino. I plantari
possono essere diversi per forma e per strutture che
sollecitano. Tra questi si ricordano il plantare “ad
elica” che prevede un cuneo a base interna posto
medialmente sotto il calcagno ad azione supinante A
e un altro cuneo ad azione pronante a base esterna
posto lateralmente sotto la base del quinto metatar-
sale ed un sostegno della volta plantare (Fig. 8.36).
Il trattamento chirurgico trova indicazione nel
piede piatto al di sopra degli 8 anni, qualora non
sia stato intrapreso o sia fallito il trattamento con-
servativo.
Gli interventi chirurgici mirati alla riduzione del
rapporto astragalo-calcaneale sono diversi e possono
essere raggruppati in tre gruppi: artrorisi (limitazio-
ne dell’eccessivo movimento di una articolazione),
osteotomie e artrodesi.
Tra gli 8 anni e la fine dell’accrescimento l’inter- B
vento chirurgico di scelta è rappresentato dall’artro-
risi attraverso l’impianto di una endortesi in ma- Fig. 8.38 Quadro clinico di un piede piatto. Si noti il valgismo del retropiede e
teriale riassorbibile, che permette il riallineamento l’appiattimento della volta plantare (A). Dopo l’intervento di artrorisi astragalo-calca-
del rapporto articolare tra astragalo e calcagno. Il neare con endortesi riassorbibile il retropiede si riallinea (B).
8. Patologie dell’accrescimento 125
A B
C D
Fig. 8.44 Aspetto clinico preoperatorio (A,B) e postoperatorio (C,D) di un piede cavo bilaterale trattato chirurgicamente mediante tarsectomia. L’intervento ha permesso di ottenere un
abbassamento della volta plantare e di correggere il varismo del retropiede.
8. Patologie dell’accrescimento 129
A B
Fig. 8.45 Dismetria dell’arto inferiore sinistro, in visione frontale: si nota il disallineamento del bacino, mentre i cavi
poplitei appaiono sullo stesso piano (A). Compenso con rialzo; il bacino è parallelo al suolo, mentre i cavi poplitei appaiono
disallineati in quanto il femore sinistro è più corto di 4 cm (B).
Trattamento
Le dismetrie degli arti inferiori, nella maggior
parte dei casi, necessitano solamente di un tratta-
mento conservativo, di tipo ortesico: una dismetria Fig. 8.46 Radiografia panoramica degli arti inferiori. Il
inferiore ai 3 centimetri può essere efficacemente femore sinistro accorciato provoca una notevole obliquità
compensata con un rialzo posto all’interno della del bacino.
scarpa o con un tacco.
Dismetrie severe possono essere trattate chirur-
gicamente, attraverso interventi che mirano all’ac- Allungamento degli arti inferiori
corciamento o all’allungamento dell’arto, eventual- L’indicazione all’allungamento chirurgico degli
mente anche combinati. arti inferiori è considerata in caso di dismetria che
vada dai 3-4 cm sino ai 20 cm.
Accorciamento degli arti inferiori L’allungamento degli arti inferiori viene di nor-
L’accorciamento chirurgico degli arti inferiori è ma effettuato attraverso l’applicazione di un fissato-
indicato in caso di dismetrie di entità moderata (sino re esterno; una volta applicato il fissatore, si esegue
a 3-4 cm) in pazienti che non hanno ancora raggiun- una osteotomia. Nei giorni successivi all’intervento,
to la maturità ossea. Attraverso piccole incisioni chi- l’osteotomia viene posta in distrazione, attraverso
rurgiche, vengono applicate delle cambre a cavallo l’allungamento delle barre del fissatore, di circa 1
dei nuclei di accrescimento in modo da rallentarne la mm al giorno; la durata del trattamento è correlata
crescita. Questo intervento è detto epifisiodesi. Le alla differenza di lunghezza tra i due arti. Il fissatore
cambre vengono mantenute in sede finché gli arti in- esterno deve essere mantenuto in sede fino a quan-
feriori non raggiungano una uguale lunghezza; al ter- do non si sia raggiunta la completa maturazione
mine di questo processo le cambre vengono rimosse. dell’osso neoformato a livello dell’osteotomia.
130 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
Domande di autovalutazione
1. Descrivere la classificazione eziologica delle scoliosi.
2. Quali sono i fattori che distinguono gli atteggiamenti scoliotici dalle scoliosi?
3. Quali sono le cause più frequenti di atteggiamento scoliotico?
4. Come si tratta l’atteggiamento scoliotico?
5. Quali sono i segni clinici della scoliosi?
6. Come viene calcolata radiograficamente l’entità di una curva scoliotica?
7. Qual è il trattamento delle scoliosi lievi?
8. Qual è il trattamento delle scoliosi di entità moderata e grave?
9. Descrivere le principali cause di aumento della cifosi dorsale.
10. Qual è la classificazione eziologica delle spondilolistesi?
11. Quali sono gli aspetti clinici delle spondilolistesi?
12. Qual è il trattamento delle spondilolistesi?
13. Quali sono i soggetti più colpiti dall’epifisiolisi?
14. Con quali patologie entra in diagnosi differenziale la forma di pre-epifisiolisi?
15. Qual è il quadro clinico della episiolisi acuta?
16. Qual è il trattamento dell’epifisiolisi nei soggetti giovani e adulti?
17. Come vengono definite clinicamente e radiograficamente le deviazioni sul piano frontale e sagittale
del ginocchio?
18. Qual è il trattamento nei soggetti con deviazione assiale del ginocchio prima e dopo l’accrescimento?
19. Quali sono le caratteristiche morfo-funzionali del piede piatto?
20. Quali sono gli aspetti clinici del piede piatto?
21. A quale età deve essere intrapreso il trattamento per il piede piatto nel bambino e in cosa consiste?
22. Quali sono le cause più frequenti del piede cavo acquisito?
23. Quali sono gli aspetti clinici del piede cavo?
24. Quali sono le cause più frequenti di dismetria degli arti inferiori?
Patologie neuro-muscolari
in età infantile
9
PARALISI CEREBRALI INFANTILI La paralisi spastica è la forma di paralisi cerebrale
infantile più comune, con una frequenza di circa
65%. Il danno strutturale avviene a livello della cor-
Definizione teccia encefalica motoria e interessa un’area estesa,
Le paralisi cerebrali infantili sono delle disfun- con la compromissione di molti gruppi muscolari.
zioni del sistema muscolare dovute a un danno La paralisi atetosica (o discinetica) interessa circa
dell’encefalo immaturo. Sono patologie frequenti il 20% delle paralisi cerebrali infantili. Viene colpi-
con un’incidenza di 1-2 su 1000 nati vivi. ta la base dell’encefalo e il mesencefalo.
La paralisi atassica rappresenta il 5% ed è dovuta
Eziologia a una lesione a livello del cervelletto.
Le paralisi miste rappresentano il 10%, sono do-
Le condizioni che possono causare una paralisi
vute a lesioni estese sia in senso orizzontale ma an-
cerebrale infantile sono diverse e si suddividono in
che in senso verticale nell’ambito del sistema ner-
prenatali, perinatali e postatali. Tra le cause prena-
voso centrale.
tali più frequenti sono le patologie che colpiscono
la madre durante la gravidanza, come la rosolia, e
condizioni che provocano ipossia prima dell’inizio Clinica
del travaglio, come l’oligo-idramnios, il distacco
di placenta incompleto. Le cause perinatali com- Paralisi spastica
prendono tutte le condizioni che provocano ipossia La paralisi spastica si presenta in 4 forme clini-
durante il parto, come l’incompatibilità del fatto- che:
re Rhesus, l’ittero neonatale, il parto distocico. Le –– emiparesi (30% dei casi), quando è colpito l’arto
cause postatali più comuni sono malattie infettive superiore e l’arto inferiore dello stesso emisoma
del neonato dal momento della nascita fino ai pri- (Fig. 9.1);
mi mesi di vita, come l’encefalite e la meningite. –– paraparesi (30% dei casi), quando sono colpiti
La prematurità è una condizione che predispone a gli arti inferiori (Fig. 9.2);
molte di queste cause. –– tetraparesi (30% dei casi), quando sono colpiti
tutti e quattro gli arti (Fig. 9.3);
Classificazione –– monoparesi (10% dei casi), quando viene colpi-
Le paralisi cerebrali infantili si distinguono in 4 to solo un arto.
forme, a seconda della parte dell’encefalo lesa: Clinicamente, questa forma di paralisi cerebra-
–– paralisi spastica; le infantile è caratterizzata da spasticità muscolare
–– paralisi atetosica (o discinetica); anche se alcuni muscoli si presentano flaccidi o
–– paralisi atassica; con tono ridotto. Si associano difficoltà a iniziare
–– paralisi miste. i movimenti volontari e inabilità del controllo dei
132 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
movimenti, ipereflessia dei riflessi neuromuscolari rizzata da una prevalenza dei muscoli flessori su-
achilleo e rotuleo, clono, ed è sempre presente il se- gli estensori e degli adduttori sugli abduttori. A
gno di Babinski (estensione dell’alluce e retrazione livello dell’arto superiore lo squilibrio muscolare
della gamba in seguito allo sfregamento di un ago si manifesta in senso disto-prossimale: flessione e
smusso alla pianta del piede) (Fig. 9.4). adduzione del pollice, flessione del carpo, prona-
Gli arti colpiti presentano del-
le deformità caratteristiche dovu-
te allo squilibrio muscolare e alla
spasticità muscolare.
L’emiparesi spastica è caratte-
Fig. 9.4 Paraparesi spastica, segno di Babinski. Fig. 9.5 Arto superiore spastico. Fig. 9.6 Paraparesi spastica.
9. Patologie neuro-muscolari in età infantile 133
zione dell’avambraccio, flessione del gomito, ad- al paziente durante e dopo il trattamento. Il tratta-
duzione e rotazione interna della spalla (Fig. 9.5). mento è riabilitativo, ortopedico o chirurgico.
A livello dell’arto inferiore il piede è atteggiato in
equinismo, varismo e supinazione, il ginocchio in
flessione, l’anca in flessione e adduzione e la deam-
Trattamento riabilitativo
bulazione ha un’andatura falciante (Fig. 9.6). Lo scopo del trattamento riabilitativo è di mi-
La paraparesi spastica (o morbo di Little) è ca- gliorare la funzionalità muscolare e di evitare la
ratterizzata dalla prevalenza dei muscoli flessori. Il strutturazione delle deformità, dovuta alla retrazio-
quadro tipico è quello di un bambino con la tripli- ne fibrosa delle capsule articolari, e all’accorciamen-
ce flessione degli arti inferiori: piede equino, ginoc- to dei muscoli e dei tendini. Così, il bambino può
chio flesso e anca flessa. imparare a svolgere dei movimenti mirati per pote-
In tutte le forme di paralisi spastica le funzioni re mangiare, vestirsi e deambulare autonomamente.
cognitive possono essere conservate oppure parzial- La riabilitazione deve iniziare appena si pone dia-
mente o totalmente compromesse. gnosi di paralisi cerebrale infantile, perché la quali-
tà dei risultati dipende dalla precocità di inizio del
Paralisi atetosica trattamento.
I muscoli spastici impediscono il movimento atti-
Clinicamente è caratterizzata da turbe dei movi- vo e passivo delle articolazioni. Però, se la forza con-
menti e del tono muscolare che coinvolgono tutto tro l’azione muscolare spastica si esercita costante-
il corpo. Sono presenti movimenti coreo-atetosici mente per un certo tempo, si vince la resistenza e si
(tremori) e incoordinazione, i muscoli della faccia verifica il progressivo rilassamento dei muscoli spa-
sono coinvolti con strabismo, smorfie, sciallorea. stici, permettendo il movimento dell’articolazione.
Le funzioni cognitive sono conservate, perché la
corteccia cerebrale è indenne.
Trattamento ortopedico
Paralisi atassica Parallelamente al trattamento riabilitativo, si
usano dei presidi ortopedici per evitare l’instaurarsi
È caratterizzata clinicamente da difficoltà di co-
di deformità e per prolungare nel tempo gli effetti
ordinare il movimento volontario, ipotonia e iper-
benefici della riabilitazione. Si possono adoperare
mobilità articolare.
delle docce gessate o dei tutori di posizione portati
la notte, per esempio a ginocchio esteso per vince-
Paralisi miste re la flessione e in talismo per vincere l’equinismo
Sono lesioni molto gravi con compromissione della caviglia. Esistono, inoltre, dei tutori rigidi o
delle funzioni motorie e deficit cognitivi. articolati, appoggi e guide, che aiutano il bambino
La diagnosi della paralisi cerebrale infantile è dif- nella deambulazione.
ficile alla nascita ed è possibile solo dopo i primi
mesi di vita. I primi sintomi che risaltano all’atten-
Trattamento chirurgico
zione della madre sono: la difficoltà alla degluti-
zione, il rigurgito, la rigidità dell’arto colpito. Suc- Il trattamento chirurgico ha come scopo di cor-
cessivamente, segni più evidenti sono il ritardo del reggere le deformità già instaurate e non vincibili
bambino nelle varie tappe motorie, come il man- con il trattamento riabilitativo e ortopedico. Esi-
cato riflesso di raddrizzamento del capo, ritardo di stono vari tipi di interventi chirurgici che si sud-
sedersi e di deambulare. dividono in interventi sulle parti molli e interventi
sulle ossa.
Gli interventi chirurgici sulle parti molli com-
Trattamento prendono:
Il trattamento delle paralisi cerebrali infantili –– allungamenti tendinei, come l’allungamento del
coinvolge varie specialità mediche ed è condizio- tendine d’Achille in caso di piede equino;
nato sia dal quadro della paralisi sia dall’ambien- –– tenotomie, come la tenotomia dei muscoli ad-
te familiare dove cresce il bambino. Si deve tenere duttori dell’anca;
conto della gravità del ritardo psichico, quando è –– trasposizioni tendinee: nel caso di un muscolo
presente, e della assistenza che può essere prestata insufficiente, si disinserisce il suo muscolo an-
134 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
Se viene colpito il muscolo quadricipite, il ginoc- –– interventi sulle parti molli: miotomie, allunga-
chio diventa recurvato per permettere la stazione menti tendinei, trasposizioni tendinee, capsulo-
eretta. tomie;
Le deformità più comuni a livello del piede sono il –– interventi sulle ossa e articolazioni: osteotomie,
piede equino-varo-supinato, il piede piatto-valgo in artrodesi, allungamenti degli arti.
caso di paralisi del muscolo tibiale posteriore, il piede
talo in caso di paralisi del tricipite
surale (Fig. 9.9). Quando vengo-
no colpiti i muscoli del tronco, si
può avere un quadro di scoliosi.
Trattamento
Il trattamento dello stadio
iniziale della poliomielite è un
trattamento medico e consiste in
riposo a letto, astinenza da movi-
menti attivi, assunzione di farma-
ci antalgici e anti-infiammatori.
Man mano che i sintomi ini-
ziali regrediscono, il ruolo del
fisiatra e dell’ortopedico diventa-
no indispensabili. Lo scopo del-
la terapia nello stadio di paralisi
precoce è la prevenzione dell’in-
staurarsi delle deformità. Inizia
il trattamento riabilitativo che
consiste nella graduale mobiliz-
zazione delle articolazioni con
movimenti passivi. Nello stesso
tempo, vengono usate delle tecni-
che di fisioterapia, come l’elettro-
stimolazione e i massaggi, per la Fig. 9.7 Arto superiore poliomielitico. Fig. 9.8 Arto inferiore poliomielitico: si noti l’ac-
stimolazione dei muscoli ancora corciamento e la scoliosi.
validi, e dei tutori ortopedici per
il mantenimento delle articolazio-
ni in posizione neutra.
Nello stadio di recupero par-
ziale, continua il trattamento
dello stadio precedente. Inoltre,
i pazienti vengono invitati a svol-
gere attivamente dei movimenti, e
gradualmente a deambulare.
Il trattamento dello stadio di
paralisi permanenti è ortopedico
o chirurgico. Il trattamento orto-
pedico consiste in applicazione di
tutori che, mantenendo le artico-
lazioni in una posizione funziona-
le, aiutano alla deambulazione.
Il trattamento chirurgico con- Fig. 9.9 Piede equino poliomielitico dovuto alla paralisi degli estensori del piede (A). Piede talo-valgo dovuto alla
siste in: paralisi dei flessori (B).
136 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
TRAUMI E PARALISI C5
OSTETRICHE C6
Definizione C7
Eziologia Mediano
Radiale
Classificazione clinica
Le lesioni ostetriche si suddividono in traumi
ostetrici (o lesioni osteoarticolari), paralisi ostetri-
che (o lesioni nervose) e miste.
Le lesioni osteoarticolari sono:
–– distorsioni a livello dell’articolazione della spalla,
con interessamento di legamenti;
–– lussazioni di spalla, rare; Fig. 9.11 Quando l’angolo tra il rachide cervicale e la clavicola aumenta, il plesso
–– distacchi epifisari, fratture a livello della cartila- brachiale può subire una lesione.
gine di accrescimento, che provocano il distac-
co completo della testa omerale dalla diafisi. In
questo caso, la prevalenza dei muscoli che intra- –– frattura della diafisi omerale; dà un aspetto ini-
ruotano la spalla (muscolo sottoscapolare) sugli ziale paralitico all’arto, ma in sole 3 settimane
extrarotatori determina la guarigione della spalla (anche senza applicazione di apparecchio gessa-
e in intrarotazione con postumi clinici di incapa- to) si crea un callo osseo riparativo e la frattura
cità di extrarotazione dell’arto; guarisce senza deformità.
–– frattura di clavicola; è una lesione completamen- Le lesioni nervose interessano il plesso brachia-
te benigna, perché lo spazio tra clavicola e prima le e in base alla gravità della lesione si può avere:
costa (dove passa il plesso brachiale) rimane am- neuroapraxia (semplice stiramento del nervo), axo-
pio, salvando il plesso da possibili lesioni. Verso i notmesi (interruzione dell’assone con involucro
5-6 anni di età, la frattura di clavicola è comple- nervoso integro), neurotmesi (rottura completa del
tamente rimodellata; tronco nervoso).
9. Patologie neuro-muscolari in età infantile 137
Domande di autovalutazione
1. Quali sono i fattori eziologici delle paralisi cerebrali infantili?
2. Qual è il quadro clinico delle paralisi cerebrali spastiche?
3. Qual è la finalità del trattamento riabilitativo nelle paralisi cerebrali infantili?
4. Quali sono le deformità più importanti negli esiti della poliomielite?
5. Qual è il trattamento nello stadio delle paralisi permanenti della poliomielite?
6. Quali sono le lesioni ostearticolari e neurologiche nei traumi e paralisi ostetriche dell’arto superiore?
Patologie degenerative
10
ARTROSI Classificazione
Dal punto di vista radiografico esistono classica-
Definizione mente 2 forme di artrosi:
L’artrosi è una alterazione degenerativa di un’ar- –– artrosi primaria, dovuta ad un’alterazione della
ticolazione nel suo complesso, caratterizzato da le- cartilagine articolare, condizionata geneticamen-
sioni progressive della cartilagine articolare, del tes- te (è frequente l’eredo-familiarità, specialmente
suto sinoviale, dell’osso subcondrale e delle struttu- per le artrosi poliarticolari), verosimilmente di
re capsulari. natura metabolica; può essere localizzata, o ge-
neralizzata, nel caso siano interessate almeno tre
Epidemiologia articolazioni;
–– artrosi secondaria: è la forma più comune, che
L’artrosi è la forma più comune di patologie ar- viene a sua volta distinta in strutturale e mec-
ticolari; la frequenza di questa patologia aumenta canica; nella prima la cartilagine viene danneg-
progressivamente con l’età: giata da cause note, come lesioni traumatiche
–– sotto i 45 anni, femmine e maschi sono colpiti ossee, sinoviali o cartilaginee (per cui anche in
per 2 e 3% rispettivamente; presenza di una normale funzione si va incontro
–– tra i 45 e i 64 anni 30 e 25%; alla condrosi prima e all’artrosi successivamen-
–– sopra i 65 anni raggiungono il 70 e il 60%. te), o per deposito di microcristalli (ad esem-
Il numero di articolazioni interessate segue lo pio di urato in corso di gotta o di calcio o del
stesso andamento: pigmento ossidato dell’acido omogentisinico in
–– fino ai 50 anni il 50% dei pazienti presenta solo corso di osteonecrosi); la seconda, invece, com-
una articolazione interessata; pare in seguito a sollecitazioni anomale create da
–– oltre i 70 anni nel 60% dei casi è presente una alterazioni meccaniche (sovraccarico ponderale,
forma poliarticolare. deformità articolare in varismo o valgismo, di-
L’artrosi inizia in modo asintomatico nel II e nel splasie articolari, ecc.).
III decennio e rappresenta la prima causa di inva-
lidità temporanea e la terza di ricovero ospedaliero Artrosi primaria
nella popolazione generale.
Le articolazioni più frequentemente interessate L’artrosi primaria insorge in una articolazione
sono, in ordine di frequenza decrescente, la colonna morfologicamente normale e la sua eziologia non è
vertebrale (Fig. 10.1), l’anca (Fig. 10.2), il ginocchio nota, ma si suppone che sia multifattoriale.
(Fig. 10.3), le interfalangee distali delle mani (Fig. La cartilagine articolare, da un punto di vista fi-
10.4) e l’articolazione gleno-omerale (Fig. 10.5). siologico, ha il compito di ridurre l’attrito dell’arti-
140 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
Fig. 10.1 Radiografia in proiezione laterale del ra- Fig. 9.2 Radiografia in proiezone anteroposteriore del bacino. Si osserva l’artrosi bilaterale delle articolazioni coxo-
chide cervicale con evidenti segni di artrosi soprattutto femorali più grave a destra con restringimento della rima articolare, sclerosi dell’osso subcondrale, osteofitosi marginale e
a livello di C5 e C6 (indicata dalla freccia) dove si osserva geodi sia sul versante acetabolare che femorale.
la riduzione dello spazio intervertebrale e la presenza di
grossi ostefiti marginali anteriori.
A B C D
Fig. 10.3 Schema di artrosi del ginocchio. Il ginocchio appare varo con restringimento dell’emirima articolare mediale. Si notano grossi osteofiti marginali mediali sia a livello della
tibia che del femore (A). In proiezione laterale (B) è evidente l’artrosi che interessa oltre all’articolazione femore-tibiale anche l’articolazione femoro-rotulea. Si noti infatti il restringimento
della rima articolare e gli osteofiti a livello della rotula. Radiografia in proiezione anteroposteriore (C) e laterale (D) del ginocchio. Ginocchio varo con artrosi del compartimento mediale.
Sono ben evidenti il restringimento della rima articolare mediale la sclerosi subcondrale e gli osteofiti marginali.
colazione e disperdere gli stress meccanici, al fine di sofferenza con riduzione dei proteoglicani e dell’ac-
favorire il movimento. La cartilagine articolare fun- qua; questo determina diminuzione della resistenza
ziona come una pompa nelle fasi di carico e scarico meccanica della cartilagine con frammentazione
determinate dal peso del corpo e dal movimento: delle fibre collagene, necrosi dei condrociti. La pri-
durante il carico il liquido sinoviale si sposta dalla ma struttura interessata dalla modificazioni artrosi-
cartilagine nello spazio articolare, mentre nella fase che è quindi la cartilagine: questa, che normalmen-
di scarico si verifica una riespansione, con iperidra- te è bianco-azzurrognola, lucente, liscia, umida ed
tazione ed assorbimento delle sostanze nutritive da elastica, presenta chiazze giallastre, opache, ruvide,
parte della cartilagine. Se si verifica una modifica- asciutte, di consistenza più molle e meno elastica
zione di questo meccanismo può comparire una del normale. In superficie, la cartilagine si sfalda e
10. Patologie degenerative 141
A B
Fig. 9.4 Quadro clinico di artrosi delle interfalangee distali della mano in un paziente anziano (A). Si notino i noduli di Heberdeen a livello delle articolazioni interfalangee distali (B).
B
Fig. 10.7 Radiografia anteroposteriore del rachide lombare con quadro di artrosi avanzata: il restringimento grave e
asimmetrico degli spazi discali provoca la scoliosi degenerativa (A). Sono inoltre presenti voluminosi osteofiti. Radiografia
in proiezione laterale della caviglia che mette in evidenza la grave artrosi dell’articolazione (B). La rima articolare non è più
visibile e sono presenti grossi osteofiti sia in sede anteriore che posteriore della caviglia.
l’articolazione sostenendosi con bastoni, utilizzan- sono rappresentati dalle sostituzioni protesiche o
do tutori ortopedici e diminuendo il peso corpo- dalle artrodesi.
reo, se eccessivo. La sostituzione protesica è ampiamente indica-
La terapia medica si basa sugli antinfiammatori ta nell’artrosi dell’anca, ginocchio e tibiotarsica, e
non steroidei, che riducono l’iperemia, l’iperplasia in casi selezionati in spalla, gomito e metacarpo-
sinoviale e il dolore, e su infiltrazioni intrarticolari falangee delle mani; questa tecnica prevede la re-
di analgesici e corticosteroidi. sezione di entrambi i capi articolari e l’impianto
La terapia fisica si avvale del calore asciutto (ter- di componenti protesiche che permettano il re-
moforo, sabbiature, ecc.), utile palliativo, ma asso- cupero dell’articolarità senza dolore. (Figg. 10.8-
lutamente temporaneo, contro il dolore; dei mas- 10.15).
saggi muscolari che, riattivando la circolazione, Le protesi articolari restituiscono in tempi brevi
aumentano il trofismo e riducono la contrattura; la il movimento senza dolore migliorano. la qualità
laserterapia, che induce remissioni abbastanza du- della vita del paziente, ma non sono esenti da com-
rature. plicanze sia precoci che tardive. La complicanza
L’artrosi secondaria a difetti meccanici (deviazio- precoce più temibile è l’infezione, che colpisce tra
ni in valgismo e varismo del ginocchio, alterazioni lo 0,5% e l’1% dei pazienti operati, e che, in casi
a livello dell’anca, scoliosi, ecc.) può essere preve- gravi, può richiedere l’espianto della protesi, la gua-
nuta con la chirurgia. È infatti possibile, mediante rigione ed il reimpianto.
osteotomie correttive, ripristinare la corretta mec- La complicanza tardiva più temibile è lo scol-
canica articolare procrastinando il rischio di artrosi; lamento asettico dell’impianto: questo fenomeno
l’osteotomia correttiva è quindi indicata come tec- è ancora in fase di studio, e consiste nel riassorbi-
nica preventiva prima dell’instaurarsi del processo mento progressivo dell’osso intorno alla protesi fino
artrosico. a renderla mobile, può avere una etiologia multifat-
Nei quadri di artrosi conclamata, sia primitiva toriale (sovraccarico del paziente, detriti da usura;
che secondaria, gli interventi chirurgici di scelta frattura del cemento acrilico, infezione, ecc.), e col-
144 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
Fig. 10.9 Radiografia in proiezione anteroposteriore del bacino. Si noti la grave artrosi dell’ar-
ticolazione coxofemorale destra (A). L’articolazione viene sostiuita da una protesi totale dell’anca.
Lo stelo femorale è impiantato nel canale femorale. La componente acetabolare risulta impiantata
nel cotile (B).
B Fig. 10.10 Artoprotesi di rivestimento dell’anca. La componente femorale riveste la testa del
femore che viene preparata mediante apposite frese, evitando così la resezione del collo del femore.
A B
Fig. 10.11 Radiografia in proiezione anteroposteriore del bacino (A). Si noti la grave artrosi dell’articolazione coxofemorale sinistra. L’articolazione viene sostiuita da una protesi di
rivestimento dell’anca. La componente femorale riveste la testa del femore senza sacrificare il collo. L’intervento è indicato in pazienti giovani con buona qualità dell’osso (B).
10. Patologie degenerative 145
A B C
Fig. 10.16 Quadro radiografico di mobilizzazione settica di una protesi d’anca. Si noti in (A) il riassorbimento osseo periprotesico. Il trattamento ha previsto l’espianto della protesi
ed il posizionamento temporaneo di uno spaziatore di cemento antibiotato (B), il quale, in seguito alla guarigione dall’infezione è stato sostituito con una protesi d’anca da revisione
cementata (C).
Eziopatogenesi
L’eziologia della lombalgia si basa su cause verte-
brali ed extra-vertebrali.
Lombalgie vertebrali
Le lombalgie vertebrali possono essere causate da:
–– infiammazione del complesso articolare vertebra
vertebra;
–– artrosi del complesso articolare vertebra vertebra; Fig. 10.17 Innervazione sensitiva del canale vertebrale lombare: dal ramo primario
–– ernia del disco intervertebrale; anteriore della radice emersa dal canale di coniugazione emerge il plesso endorachideo
–– altre patologie vertebrali (spondilolistesi, stenosi del Luschka che innerva la parte interna del canale vertebrale, il disco intervertebrale ed
del canale vertebrale, infezioni, fratture); i legamenti.
–– neoplasie primitive o secondarie.
B
148 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
avere come unico sintomo clinico una lombalgia il dolore, che si presenta come una contrattura del-
lieve. Una storia clinica di ipertensione, obesità, la muscolatura posteriore del tronco e della colon-
patologie vascolari e l’abitudine al fumo, devono na lombare. Il dolore classicamente è avvertito più
sempre essere accompagnate da un esame obiettivo acuto in posizione seduta, migliora leggermente in
vascolare accurato, anche durante la visita ortope- piedi, o sdraiati. Ispettivamente, il paziente pre-
dica, e dalla ricerca dei polsi e dell’itto. Nei casi a senta il rachide rigido in leggera flessione (spesso
rischio è sempre indicato richiedere una ecografia scompare la fisiologica lordosi lombare), può essere
addominale. presente un atteggiamento scoliotico dovuto alla
contrattura asimmetrica della muscolatura paraver-
tebrale su base antalgica (Fig. 10.21). I movimenti
Clinica di flessione ed estensione attiva del rachide sono
In base alla modalità di insorgenza, la lombalgia marcatamente limitati. (Fig. 10.22). La pressione
vertebrale si classifica in acuta e cronica, presentan- sulle apofisi spinose delle vertebre lombari evoca in
dosi clinicamente in maniera differente. genere vivo dolore.
La lombalgia vertebrale acuta si presenta in ge- Un paziente affetto da lombalgia vertebrale
nere riferita dal paziente come il tipico “mal di cronica lamenta dolore persistente da settimane o
schiena”. Insorge spesso dopo uno sforzo come il mesi, di intensità comunque variabile. È frequen-
sollevamento di un grosso peso, in seguito ad at- temente presente al risveglio e nelle prime ore del
tività sportiva, alla fine di una intensa giornata di mattino, tende a migliorare, per peggiorare poi du-
lavoro che abbia comportato posture scorrette della rante la giornata e verso la sera. Spesso il dolore è
colonna come la guida di un veicolo soggetto a for- anche notturno. L’intensità del dolore varia durante
ti vibrazioni, la posizione accovacciata continuati- i giorni o le settimane alternando periodi di qua-
va, o l’esposizione al freddo. In genere il paziente è si remissione a periodi di alta intensità. Il paziente
in grado di identificare quale causa abbia scatenato modifica progressivamente le sue abitudini di vita
150 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
A B
Fig. 10.21 Rachide in atteggiamento scoliotico antalgico: la Fig. 10.22 La flessione del tronco di un paziente affetto dal lombalgia acuta è molto limitate, in genere, le
contrattura asimmetrica della muscolatura lombare provoca un discre- mani non arrivano alle ginocchia (A). Anche l’estensione evoca vivo dolore (B).
to disassamento del tronco con asimmetria dei trinagoli della taglia.
per convivere con la lombalgia cronica: riduce l’at- chide, in particolare alla ricerca di deformità, tem-
tività fisica ed il movimento, indossa a permanenza poranee dovute al dolore (atteggiamenti scoliotici),
bustini lombari, pancere o altri dispositivi di soste- o permanenti (scoliosi); la palpazione va effettuata
gno del rachide, interrompe ogni attività sportiva, e sulla linea delle spinose, per creare un piccolo movi-
tende ad aumentare di peso. L’inattività prolungata mento tra le vertebre che in caso di infiammazione
dei muscoli paravertebrali e lombari diminuisce la del complesso vertebra-vertebra evoca vivo dolore.
stabilità del rachide producendo un circolo vizioso L’impotenza funzionale è un altro reperto caratte-
che favorisce la persistenza del dolore. ristico della lombalgia vertebrale, e va quindi verifica-
L’anamnesi è fondamentale per indirizzare l’ipo- ta chiedendo al paziente di effettuare i movimenti su
tesi diagnostica; per questo il medico deve valutare tutti i piani: in particolare è preclusa la flessione con
tutti gli aspetti, dai familiari ai lavorativi, dal com- difficoltà ad eseguire specifiche azioni, come mettere
portamento psichico, alla condizione socio-econo- o togliere le scarpe. Altro reperto è la rigidità.
mica; bisogna informarsi bene sulla modalità di L’esame obiettivo termina con la ricerca di dolo-
esecuzione del lavoro (sedentario, seduto, in piedi, re o deficit neurologico irradiato agli arti inferiori
flesso, sollevamento di pesi, guida, ecc.), sulle al- (vedi lombocruralgia e lombosciatalgia).
tre attività fisiche svolte (sport, hobby, ecc.) e sulle
eventuali patologie di base del paziente.
L’anamnesi patologica recente si basa sull’analisi
Diagnostica per immagini
del dolore, valutando i caratteri temporali (quan- La radiografia del rachide lombare rappresenta
do è cominciato, come, in rapporto a cosa, quanto l’indagine di primo livello nella diagnosi della lom-
dura, traumi associabili o precedenti interventi chi- balgia vertebrale. Con questa, infatti, è possibile evi-
rurgici sul rachide), i caratteri qualitativi, i carat- denziare deformità strutturali come l’artrosi disco so-
teri quantitativi (severità, intensità, diminuzione o matica, le patologie traumatiche dell’osso, la scoliosi,
aggravamento dopo trattamenti), i caratteri spaziali la spondilolistesi e processi neoplastici avanzati.
(sede, eventuale irradiazione). Esami di secondo livello come la TAC e la RMN,
L’esame obiettivo inizia con l’osservazione del ra- dovrebbero essere prescritti solo nel caso in cui i pa-
10. Patologie degenerative 151
zienti non abbiano risposto ad un primo approccio nella regione anteriore della coscia o nella regione
terapeutico. posteriore della coscia e della gamba, lungo i terri-
tori di innervazione rispettivamente dei nervi cru-
rale e sciatico.
Trattamento
Il trattamento della lombalgia acuta si basa sul
Epidemiologia
riposo per circa 2 settimane, e sulla somministra-
zione di farmaci antinfiammatori. Se la sintoma- La lombocruralgia e la lombosciatalgia colpisco-
tologia è severa possono essere utilizzati antinfiam- no prevalentemente la popolazione adulta tra i 35
matori non steroidei ogni 8-12 ore somministrati e i 60 anni, ma ne sono soggetti anche i giovani
per via intramuscolare, associati ad un analgesico che praticano attività sportiva a livello agonistico; si
centrale ed eventualmente ad un gastroprotettore. nota un maggiore interessamento del sesso maschi-
Questa cura d’attacco, va in genere protratta senza le, pari al doppio rispetto al femminile.
interruzioni per circa 5-7 giorni e continuata con La lombocruralgia e la lombosciatalgia hanno
assunzioni dello stesso principio attivo per via orale correlazione con il lavoro: infatti, ne soffre spesso
per ulteriori 5-7 giorni. chi svolge lavori pesanti, come muratore, facchino,
In fase acuta è indicato anche il riposo. La terapia scaricatore, fabbro, o sportivo professionista, anche
fisica è utile per rilassare i muscoli, sono indicati il se spesso colpiscono chi fa lavori sedentari.
calore, massaggi dolci, elettroanalgesia e l’utilizzo di
un bustino lombare per la stazione seduta o eretta. Eziopatogenesi
La prognosi dell’attacco acuto ha una durata di
circa 15-21 giorni a seconda del grado di infiam- Dal punto di vista eziopatologico, la lombocru-
mazione della colonna. ralgia e la lombosciatalgia possono essere causate da:
Il trattamento della lombalgia cronica si basa –– irritazione radicolare;
sulla somministrazione di farmaci antinfiammatori –– compressione radicolare;
e sulla riabilitazione. Possono essere somministrati –– interruzione radicolare.
farmaci antinfiammatori non steroidei per via orale, L’irritazione radicolare consiste in una leggera sti-
ogni 12-24 ore. Rispetto alla terapia della lombal- molazione meccanica di una radice, che corrispon-
gia acuta la terapia farmacologia deve essere assunta de a un quadro infiammatorio leggero in seguito
a dose più bassa, anche una sola somministrazione al quale il paziente avverte dolore nel territorio di
al giorno, ma protratta per più tempo: il periodo di innervazione della radice stessa.
cura può arrivare anche alle 4 settimane. La compressione radicolare è dovuta ad una sti-
È necessario prescrivere un’adeguata riabilitazione molazione meccanica più severa, a livello di una
del rachide: il riposo assoluto non è indicato, deve es- radice nervosa nella quale alcune fibre iniziano a
sere prescritto il recupero della postura globale che in degenerare: in questo caso il paziente avverte dolore
genere nella lombalgia cronica è compromesso, con nel territorio di innervazione della radice, associato
il ripristino della fisologica lordosi lombare assistito a fenomeni di alterazione della sensibilità nel der-
da un terapista, esercizi di rinforzo della muscolatura matomero innervato dalla radice: possono essere ri-
addominale e lombare, elettroanalgesia, ginnastica ferite ipoestesie (diminuita sensibilità tattile), pare-
in acqua, calore con il termoforo, ecc. Il ciclo di ria- stesie (alterata percezione sensoriale, “formicolio”).
bilitazione dura 2-6 settimane e ha come scopo mi- Inoltre possono essere presenti deficit della forza
gliorare lo schema motorio del rachide lombare per dell’unità motoria innervata dalla radice interessata
evitare i movimenti che possano favorire l’infiamma- che vanno da una leggera ipostenia fino ad un’as-
zione del complesso articolare vertebra-vertebra. senza completa del movimento.
L’interruzione radicolare è dovuta alla severa de-
Lombocruralgia, lombosciatalgia generazione delle fibre nervose che costituiscono la
radice: in questo caso, il deficit della sensibilità si fa
ed ernia del disco più marcato (totale perdita di sensibilità di un der-
matomero), così come il deficit della forza dell’uni-
Definizione tà motoria innervata dalla radice interessata; carat-
La lombocruralgia e la lombosciatalgia, consi- teristicamente in questo stadio il dolore diminuisce
stono in dolori al rachide irradiati rispettivamente o scompare.
152 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
I quadri clinici di irritazione, deficit ed interru- Le ernie si classificano in base al grado di migra-
zione radicolare possono essere causati da numerose zione del nucleo polposo in:
patologie, molte delle quali comuni alle lombalgia: –– buldging discale, quando si ha uno sfiancamento
–– infiammazione del complesso articolare vertebra delle lamelle del disco lungo tutta la sua circon-
vertebra; ferenza, ma senza rottura completa;
–– artrosi del complesso articolare vertebra verte- –– ernia contenuta, se non supera il legamento lon-
bra; gitudinale posteriore, che risulta intatto;
–– ernia del disco intervertebrale; –– ernia protrusa, in caso di superamento del lega-
–– altre patologie vertebrali (spondilolistesi, stenosi mento longitudinale posteriore, per la sua rot-
del canale vertebrale, infezioni, fratture); tura;
–– neoplasie primitive o secondarie. –– ernia migrata o espulsa, se perde totalmente il
L’infiammazione e l’artrosi, sono cause frequenti rapporto con il suo tramite (Fig. 10.24).
di lombocruralgia e di lombosciatalgia provocando Il grado di migrazione del nucleo polposo del
molto spesso quadri di irritazione radicolare. disco molto spesso corrisponde alla sintomatologia
L’ernia del disco intervertebrale può essere la radicolare, essendo il bulging discale e l’ernia con-
causa di irritazione, deficit o interruzione radico- tenuta osservabili in quadri di irritazione radicolare,
lare. Per ernia del disco intervertebrale si intende l’ernia protrusa nel quadro di compressione radico-
la fuoriuscita del nucleo polposo dal margine ver- lare, e l’ernia migrata o espulsa nel quadro di inter-
tebrale, attraverso una lacerazione dell'anello fi- ruzione radicolare.
broso, all’interno del canale vertebrale, prendendo Altre patologie vertebrali possono essere respon-
rapporto con il sacco durale e le radici spinali (Fig. sabili di lombocruralgia e lombosciatalgia: ad esem-
10.23). pio nella spondilolistesi si ha spesso un interessa-
Le cause della fuoriuscita del nucleo polposo mento simmetrico delle radici bilaterali, con qua-
sono soprattutto da ricondurre alla degenerazione dro clinico di radicolopatia bilaterale. Le stenosi del
dell'anello fibroso e del nucleo stesso, con associa- canale vertebrale, sviluppandosi molto lentamente
ta artrosi vertebrale e conseguente restringimento possono provocare quadri compressivi o deficit
dei forami di coniugazione. Un ruolo importante quasi senza dolore di una o più radici, dando ori-
è svolto dai traumi: in alcuni casi i sintomi si ma-
nifestano dopo uno sforzo improvviso, come solle-
vare o spostare un oggetto pesante, una caduta sul
bacino, ecc.
A B
C D
Fig. 10.24 Anatomia patologica dell’ernia del disco. Nel bulging discale si ha la
deformazione del profilo del disco senza fuoriuscita di nucleo polposo (A). Nell’ernia del
disco contenuta, il nucleo polposo fuoriesce completamente dal tramite erinario ma rima-
Fig. 10.23 Nell’ernia del disco lombare, il nucleo polposo fuoriesce da una rottura ne confinato sotto il legamento longitudinale posteriore (B). Qualora il frammento erinato
dell’anulus fibroso e comprime il sacco durale e le radici spinali all’interno del canale superi il legamento longitudinale posteriore si ha l’ernia del disco protrusa (C), e se questa
vertebrale. si sposta e perde contatto con il tramite erniario si ha l’ernia del disco migrata (D).
10. Patologie degenerative 153
gine ad una generalizzata perdita di forza degli arti Clinica
inferiori, con deambulazione a passi piccoli e lar-
ghi per aumentare la superficie di appoggio. Nelle Il paziente affetto da lombocruralgia o da lom-
neoplasie sia primitive che secondarie del rachide la bosciatalgia ha dolore al rachide lombare (vedi ca-
prima manifestazione può essere una lombocrural- pitolo: Lombalgia) e all’arto inferiore. Molto spesso
gia o una lombosciatalgia: queste sono inizialmente il paziente è in grado di descrivere la modalità di
irritative, ma rapidamente progressive verso il defi- insorgenza, ricorda un movimento di flessione del
cit o la interruzione radicolare, resistenti alla tera- rachide o uno sforzo per sollevare un peso, in se-
pia medica. guito al quale sono iniziate la lombocruralgia o la
A seconda della sede, le ernie si suddividono in: lombosciatalgia. Il paziente definisce questo dolore
–– postero-laterali, quando protrudono dalla por- come urente e continuo, non dipendente dal carico
zione postero-laterale del canale vertebrale: con o dalla deambulazione, che in genere peggiora da
conseguente compressione di una radice emer- seduto, e migliora leggermente da sdraiato. Il dolo-
gente dallo spazio intervertebrale corrispondente re è aumentato dalla marcia, dagli sforzi, dalla tos-
(a livello L4-L5 nell’ernia del disco postero late- se, mentre diminuisce leggermente con il riposo.
rale si ha l’interessamento della radice di L5); Obiettivamente, il dolore segue i territori di in-
–– centralizzate, quando protrudono dalla porzione nervazione sensitiva dell’arto inferiore: nel caso di
posteriore del canale vertebrale: con compressione interessamento della radice di L2, che emerge allo
della cauda equina e di una o entrambe le radici spazio discale L1-L2 il dolore o il deficit sensitivo
emergenti dallo spazio intervertebrale sottostante si irradiano alla faccia anteriore e al terzo mediale
(a livello L4-L5 nell’ernia del di-
sco centralizzata si ha l’interessa-
mento della radice di S1);
–– laterale o extraforaminale, quan-
do protrudono esternamente
al canale vertebrale: con com-
pressione della radice emergen-
te dallo spazio intervertebrale
soprastante (a livello L4-L5
nell’ernia del disco extraforami-
nale si ha l’interessamento della
radice di L4);
–– massive, quando il nucleo pol-
poso emerge massivamente nel
canale vertebrale provocando A B
una sindrome compressiva di
più radici spinali, con sintoma-
tologia spesso bilaterale (Fig.
10.25).
L5
L4 L5
S1
L5
S1
A S1
B
della coscia, e dal punto di vista motorio vi può i territori di innervazione sensitiva, rilevando even-
essere diminuzione della forza dei muscoli addut- tuali differenze riferite dal paziente (Fig. 10.28).
tori o del vasto mediale. Se l’interessamento è a La forza deve essere indagata simmetricamente
livello della radice di L3, che emerge allo spazio facendo compiere al paziente contrazioni simme-
discale L2-L3 il dolore si porta anteriormente alla triche dei muscoli relativi alle unità motorie da
coscia fino alla faccia mediale del ginocchio e dal indagare: l’adduzione delle anche per le radici di
punto di vista motorio vi può essere diminuzione L2, l’estensione attiva del ginocchio per le radici di
della forza del quadricipite. In caso di irritazione L3, l’estensione attiva del piede per la radice L4,
o compressione della radice di L4, che emerge allo l’estensione attiva dell’alluce per la radice di L5 e la
spazio discale L3-L4, il dolore scende nella faccia flessione plantare del piede ed eversione del piede
laterale della coscia fino al terzo prossimale della per la radice di S1 (Fig. 10.28).
gamba, e dal punto di vista motorio vi può essere
diminuzione della forza del muscolo tibiale ante-
riore; in caso di irritazione o compressione della
radice di L5, che emerge allo spazio discale L4-L5,
il dolore tipico è gluteo e scende nella faccia poste- adduttori adduttori
L2, L3
riore della coscia e anterolaterale della gamba fino della coscia lungo e breve
L4 L5 S1
Fig. 10.28 La diagnosi di livello neurologico viene stabilita coniugando la sintomatologia motoria, i riflessi osteotendinei e la sintomatologia sensitiva.
essere posta una diagnosi di livello neurolgico (Fig. bosciatalgia in fase gravemente compressiva o defi-
10.28). citaria, con quadro di deficit severo (meno di 3/5)
Nel caso di sindromi radicolari irritative, potrà della forza rispetto all’arto controlaterale, è indicato
in prima analisi essere richiesta una semplice radio- l’intervento chirurgico in urgenza differita di de-
grafia del rachide, per escludere la presenza di pa- compressione della radice nervosa ed asportazione
tologie a livello osseo, riservando l’indicazione ad dell’ernia del disco.
esami più specifici ma anche più costosi in caso di L’intervento chirurgico, può essere eseguito sia
recidiva o di mancata risposta alla terapia medica. con metodica tradizionale che mini invasiva e con-
Nel caso di sindromi radicolari compressive, nel- siste in una via d’accesso posteriore al rachide lom-
le quali siano obiettivabili deficit di sensibilità, di bare. Raggiunte le lamine dello spazio interessato
forza o diminuzione dei riflessi osteotendinei, oltre dall’ernia si esegue una emi-laminectomia parziale,
alla radiografia del rachide potrà essere richiesta e si rimuove parte del legamento giallo per espor-
una TAC o RMN per poter esplorare gli spazi in- re il sacco durale e la radice. Con apposite spatole
tervertebrali, valutare l’integrità dei dischi interver- si retrae gentilmente la radice, esponendo il disco
tebrali, e correlare la diagnosi di livello clinico con intervertebrale e la protrusione erniaria che deve es-
l’imaging strumentale. In questi casi la richiesta di sere rimossa.
questi esami dovrà essere corredata da una relazione L’intervento chirurgico, anche se eseguito con
quanto più precisa possibile della sintomatologia di tecnica mini invasiva, deve essere seguito da un pe-
livello del dolore, del deficit di sensibilità e motorio riodo di riposo, e rieducazione funzionale di almeno
per permettere al medico radiologo di ricercare le 6 settimane, per permettere al disco intervertebra-
alterazioni anatomiche nella sede della sintomato- le di creare una buona cicatrice ed evitare che altri
logia clinica. frammenti di nucleo polposo possano produrre re-
In casi selezionati di sindromi radicolari com- cidive dell’ernia.
pressive multiple, potrà anche essere richiesta una Sebbene l’intervento chirurgico di discectomia sia
elettromiografia, per la valutazione quantitativa del un intervento standard nella pratica chirurgica orto-
deficit neurologico. pedica, è un intervento maggiore e non è scevro da
complicazioni: talvolta si possono creare delle aderen-
ze fibro-cicatriziali tra voluminose ernie del disco e il
Trattamento
sacco durale, che comportano, durante la rimozione
Il trattamento della lombocruralgia e della lom- dell’ernia, la parziale lacerazione dell’involucro durale
bosciatalgia in fase irritativa acuta, è sovrapponibile delle radici, che provoca perdita di liquor dalla ferita,
al trattamento della lombalgia acuta (vedi). Potrà es- con ritardo di guarigione. Inoltre, le manovre di spo-
sere aggiunta, in casi selezionati in fase fortemente stamento delle radici o della dura per esporre e rimuo-
irritativa una terapia a base di cortisonici a dose pie- vere l’ernia del disco, anche se eseguite con molta cau-
na per 3-6 giorni, da scalare gradualmente nell’arco tela e delicatezza, possono aumentare il grado di sof-
di circa 10 giorni. ferenza radicolare. Le infezioni post chirurgiche sono
Il trattamento della lombocruralgia e della lom- rare, ma piuttosto aggressive e di difficile trattamento.
bosciatalgia in fase compressiva, dipende dal grado Infine, un disco operato di discectomia, può andare
di deficit neurologico: infatti in quadri di deficit incontro a fenomeni artrosici che comportino la fuo-
lieve (4/5, 3/5 della forza rispetto all’arto contro- riuscita dall’anello fibroso di un ulteriore frammento
laterale) potrà essere intrapresa una terapia con- erniario (recidiva dell’ernia del disco) necessitando in
servativa a base di riposo, utilizzo del bustino, anti tal caso di un secondo intervento chirurgico.
infiammatori non steroidei e steroidei, per la durata
di circa 15 giorni, da associare a terapia riabilita-
tiva: massaggi, elettroanalgesie, elettrostimolazioni CERVICALGIA e CERVICOBRACHIALGIA
dei gruppi muscolari in deficit e manipolazioni.
Qualora la terapia non ottenga un miglioramento Cervicalgia
clinico significativo, nell’arco di massimo 4-6 set-
timane, potrà essere preso in considerazione l’in- Definizione
tervento chirurgico di asportazione dell’ernia del La cervicalgia si definisce come dolore al rachide
disco, e liberazione della radice. cervicale e rappresenta, quindi, un sintomo, non
Il trattamento della lombocruralgia e della lom- una malattia.
10. Patologie degenerative 157
A B
158 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
A B
10. Patologie degenerative 159
–– infezioni;
–– malattie sistemiche con interessamento del ra-
chide cervicale (sclerosi multipla, ecc.).
Clinica
Comunemente il paziente riferisce dolore cer-
vicale, insorto acutamente senza causa o dopo un
trauma, con sensazione di grave limitazione al movi-
mento; il dolore si irradia classicamente alla musco-
latura paravertebrale del collo, al trapezio e al gran
dorsale. Talvolta può irradiarsi in regione retrorbi-
tale o temporale. È presente rigidità cervicale, e nei
casi più gravi il paziente presenta vertigini, disturbi
dell’equilibrio e cefalea. Questi ultimi sintomi sono
determinati dall’infiammazione delle faccette arti-
colari posteriori che può provocare la compressione
temporanea dell’arteria vertebrale, lungo il suo tra-
gitto attraverso i fori trasversali dei processi laterali
delle vertebre, ostruendone parzialmente il flusso
(Fig. 10.35). L’estensione del collo in questo caso
può provocare una improvvisa e violenta esacerba-
zione della sintomatologia.
Ispettivamente il rachide cervicale può presentare
una alterazione del normale asse per la contrattura
asimmetrica della muscolatura del collo (torcicollo
acquisito, rettilineizzazione della fisiologica lordosi).
Nella maggior parte dei casi i movimenti di flesso-
estensione del collo sono limitati, come anche le Fig. 10.35 Schema del rachide cervicale e dei suoi rapporti con il midollo spinale, i
rotazioni. Il dolore viene esacerbato dalla digitopres- nervi spinali che ne emergono, e l’arteria vertebrale che decorre all’interno i fori trasver-
sione sulle spinose, e può irradiarsi lungo la musco- sari delle vertebre cervicali.
latura del collo, fino alle spalle.
L’irritazione radicolare si associa al quadro clini-
Cervicobrachialgia co meno grave. Essa è dovuta ad una modesta sti-
Quando il dolore dal rachide cervicale si irradia molazione meccanica della radice e si accompagna
agli arti superiori si parla di cervicobrachialgia. L’ir- a dolore irradiato nel territorio di distribuzione del-
radiazione del dolore è conseguenza dell’interessa- la radice.
mento delle radici spinali cervicali che vanno a co- La compressione radicolare consiste in una sti-
stituire il plesso brachiale (radici da C5 a T1). molazione meccanica più severa che comporta una
L’incidenza della cervicobrachialgia è pressoché maggiore sofferenza della radice. In questo caso al
sovrapponibile a quella della cervicalgia e le cause dolore si associano alterazioni della sensibilità (ipo-
patogenetiche sono le medesime. estesie, parestesie) nel dermatomero corrispondente
Clinicamente la cervicobrachialgia si presenta e deficit di forza (ipostenia) delle unità motorie in-
con gli stessi sintomi della cervicalgia, a cui si asso- nervate dalla radice interessata.
cia la sintomatologia periferica dovuta all’interessa- Il quadro clinico più grave si associa alla in-
mento delle radici spinali. La gravità della sintoma- terruzione radicolare. In questo caso la radice
tologia in questo caso dipende dall’entità del danno coinvolta è gravemente compromessa, con conse-
radicolare, che può essere conseguenza di: guente interruzione della trasmissione nervosa che
–– irritazione radicolare; comporta totale assenza di sensibilità (anestesia)
–– compressione radicolare; nel dermatomero corrispondente e totale assenza
–– interruzione radicolare. di movimento (paralisi) delle unità motorie corri-
160 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
Riflessi
Riflessi
Sensibilità
C5 C7
Livello Livello
neurologico neurologico Sensibilità
Fig. 10.36 Esame neurologico periferico per la ricerca di danno radicolare della Fig. 10.38 Esame neurologico periferico per la ricerca di danno radicolare della
radice di C5. Si valutano la forza dei muscoli innervati da C5, i riflessi osteotendinei radice di C7. Si valutano la forza dei muscoli innervati da C7, i riflessi osteotendinei
corrispondenti e la sensibilità del territorio innervato dalla radice di C5. corrispondenti e la sensibilità del territorio innervato dalla radice di C7.
10. Patologie degenerative 161
fase compressiva il deficit di forza coinvolge i
muscoli interossei della mano; non ci sono rifles-
Mielopatia cervicale
si caratteristici evocabili. (Fig. 10.40) La mielopatia cervicale è la forma più grave di al-
Per valutare l’interessamento radicolare è possi- gia cervicale, ed è conseguenza di un interessamen-
bile inoltre eseguire opportune manovre di stira- to diffuso compressivo cronico del midollo spinale,
mento, attraverso le quali vengono messe in ten- come ad esempio nel caso di severa spondiloartrosi,
sione le radici spinali, producendo una esacerba- con grave restringimento del canale vertebrale, o
zione della sintomatologia dolorosa. La manovra nel caso di una voluminosa ernia del disco intere-
di Spurling prevede l’iperestensione e la rotazione vertebrale centrale.
del collo controlaterale rispetto alla distribuzione La sintomatologia è subdola e inizialmente è si-
della sintomatologia; questo provoca un dolore mile a quella di una cervicalgia, dopodiché evolve
acuto nell’area di distribuzione della radice interes- più o meno rapidamente con comparsa di sintomi
sata: nella regione del deltoide per la radice di C5, neurologici periferici che coinvolgono sia gli arti
del bicipite per la radice di C6, del tricipite per la superiori che gli arti inferiori. Il paziente riferisce
radice di C7, della mano per la radice di C8. quindi dolore irradiato e alterazioni della sensibili-
tà periferica, cui si associano disturbi della marcia
Motilità con sensazione di “pesantezza” e “cedimento” degli
arti inferiori (claudicatio midollare). In alcuni casi
possono essere presenti anche disturbi dell’equili-
brio.
Il coinvolgimento delle vie motorie discenden-
ti (fasci piramidali) a livello del midollo cervicale
Riflessi produce una sintomatologia periferica caratteri-
stica a livello degli arti inferiori: all’esame obiet-
tivo è possibile rilevare perifericamente dolore e
alterazioni diffuse della sensibilità periferica, con
accentuazione dei riflessi osteotendinei e ipertono
C8 muscolare.
Livello Sensibilità Nei casi più gravi può essere positivo il segno
neurologico
di Babinski. Questi segni sono caratteristici del
coinvolgimento del 1° neurone di moto e sono
Fig. 10.39 Esame neurologico periferico per la ricerca di danno radicolare della
utili a distinguere una mielopatia cervicale da
radice di C8. Si valutano la forza dei muscoli innervati da C8 e la sensibilità del territorio
una radicolopatia periferica lombare, in cui sono
innervato dalla radice di C8.
coinvolti i motoneuroni periferici, e in cui la di-
stribuzione della sintomatologia segue la distri-
Motilità buzione delle radici lombari, il tono muscolare
è ridotto, i riflessi osteotendinei sono ipovalidi o
assenti.
Trattamento
Il trattamento della cervicalgia e della cervicobra-
chialgia vertebrale acuta in fase irritativa si basa sul
riposo, per circa 2 settimane e sulla somministra-
zione di farmaci antinfiammatori. Se la sintoma-
tologia è severa possono essere utilizzati antinfiam-
matori non steroidei ogni 8-12 ore somministrati
per via intramuscolare, associati ad un analgesico
centrale ed eventualmente ad un gastroprotettore.
Questa cura d’attacco, va in genere protratta senza
interruzioni per circa 5-7 giorni e continuata con
assunzioni dello stesso principio attivo per via orale
per ulteriori 5-7 giorni.
In fase acuta la terapia fisica è utile per rilassa-
re i muscoli; sono indicati massaggi cervicali dolci,
elettroanalgesia, e l’utilizzo di un collare cervicale
che mette a riposo i muscoli paravertebrali cervicali
(Fig. 10.41).
La prognosi dell’attacco acuto ha una durata di
circa 15-21 giorni a seconda del grado di infiam-
mazione della colonna.
Il trattamento della cervicalgia e della cer-
vicobrachialgia vertebrale cronica si basa sulla
somministrazione di farmaci antinfiammatori e
sulla riabilitazione. Possono essere somministra-
ti farmaci antinfiammatori non steroidei per via
orale, ogni 12-24 ore. Rispetto alla terapia degli
attacchi acuti, la terapia farmacologia deve essere
assunta a dose più bassa, anche una sola sommi-
nistrazione al giorno, ma protratta per più tem-
po: il periodo di cura può arrivare anche alle 4
settimane.
Contemporaneamente, è necessario prescrivere
un’adeguata riabilitazione del rachide cervicale:
l’elettroanalgesia, la laser-terapia e i massaggi al Fig. 10.41 Collare cervicale rigido.
rachide cervicale contribuiscono al rilassamento
muscolare e al controllo del dolore. Un’altra me- portando così all’allargamento dei forami di co-
todica riabilitativa sono le trazioni cervicali che niugazione.
consistono nell’applicazione di forze che determi- Il ciclo di riabilitazione dura in genere 6-12 set-
nano l’allontanamento dei corpi vertebrali, stiran- timane, ed è consigliabile ripeterlo circa 2 volte
do i muscoli e gli apparati capsulo-legamentosi, all’anno.
10. Patologie degenerative 163
ALLUCE VALGO
Definizione
Numerosi invece sono i fattori eziopatogenetici
L’alluce valgo è una deformità dell’avampiede, intrinseci che concorrono allo sviluppo dell’alluce
caratterizzata dalla sublussazione laterale della fa- valgo. I più importanti sono il cedimento progressi-
lange prossimale del I dito sulla testa del I meta- vo del legamento metatarsale traverso che allargan-
tarsale, associata a vari gradi di ingrossamento della do la pianta del piede aumenta l’angolo intermeta-
eminenza mediale dell’epifisi distale del I metatar- tarsale (Fig. 10.43) favorisce l’insorgenza dell’alluce
sale. (Fig. 10.42) È una patologia che insorge pro- valgo, le alterazioni biomeccaniche come il piede
gressivamente e negli stadi più avanzati si manifesta piatto e il piede cavo valgo, i processi infiammatori
con un vivo dolore localizzato a livello della prima come l’artrite reumatoide, le patologie neuromu-
metatarsofalangea e delle teste metatarsali esterne. scolari come le paralisi muscolari, le contratture, la
spasticità e le malattie genetiche come la sindrome
di Marfan, la malattia di Ehlers-Danlos o la lassità
Epidemiologia legamentosa generalizzata.
L’alluce valgo interessa soprattutto l’età adulta
e il sesso femminile ma può manifestarsi anche in Clinica
soggetti giovani. In questi pazienti si presenta fre- L’alluce valgo è una patologia ad insorgenza
quentemente bilateralmente ed associato ad altre progressiva, ed a seconda dello stadio di sviluppo
deformità del piede. può presentarsi con una sintomatologia molto lieve
oppure manifestarsi con un dolore acuto a livello
Eziopatogenesi dell’avampiede che limita notevolmente il paziente
nelle sue normali attività.
L’eziopatogenesi dell’alluce valgo può essere de- Negli stadi iniziali, caratterizzati da una modesta
terminata dalla sinergica azione di fattori estrinseci sublussazione laterale dell’alluce, è presente un lieve
e fattori intrinseci al piede. dolore a livello della prima metatarsofalangea causato
Il fattore estrinseco principale è l’azione della dal conflitto tra la calzatura e la prominenza mediale
calzatura. Le scarpe a punta e con tacco alto, cau- che si viene a creare (Fig. 10.43). In questi stadi tut-
sando l’abduzione dell’alluce e spostando tutto il tavia possono essere già presenti ipercheratosi o callo-
carico sull’avampiede, possono facilitare l’insorgen- sità a livello dell’alluce o del secondo dito o patologie
za dell’alluce valgo. ungueali come per esempio l’unghia incarnita.
164 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
A Fig. 10.44 Quadro clinico di uno stadio avanzato di alluce valgo. Il primo raggio
è meccanicamente insufficiente e le articolazioni metarso-falangee esterne si sono
sublussate per effetto del carico.
A B C
Fig. 10.45 Alluce valgo bilaterale con II dito a martello; l’articolazione non presenta segni di artrosi (A). L’intervento correttivo è consistito in una osteotomia lineare distale del I
metatarsale (seri) e nella riduzione della sublussazione della II metatarso-falangea che vengono stabilizzare per un mese con fili metallici di Kirshner (B). Un anno dopo l’intervento,
l’osteotomia è guarita e il metatarsale si è rimodellato (C).
A B C
Fig. 10.46 Quadro clinico di alluce valgo artrosico (A) con grave restringimento della I articolare ed osteofitosi marginale della I metatarsofalangea (B) trattato mediante artrodesi
della I metatarsofalangea (C).
Il trattamento chirurgico dell’alluce valgo deve ticati per la correzione delle deformità delle dita
comprendere sempre anche la correzione delle de- esterne.
formità associate a carico delle dita esterne che sono
spesso causa di metatarsalgia. MALATTIA DI DUPUYTREN
La tenotomia dei tendini flessori o estensori
delle dita, l’artodesi dell’interfalangea prossimale Definizione
e nei casi più gravi il riallineamento metatarsale La malattia di Dupuytren è una patologia carat-
con asportazione delle teste dei metatarsi esterni terizzata dall’ispessimento e conseguente retrazione.
interessati sono gli interventi chirurgici più pra- dell’aponeurosi palmare (Fig. 10.48).
166 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
A B C
Fig. 10.47 Quadro clinico di alluce valgo rigido (A) trattato mediante artroplastica della prima metatarso-falangea e correzione delle deformità delle dita esterne mediante artrodesi
delle interfalangee prossimale delle dita. Nella radiografia dorsoplantare preoperatoria (B) si nota la severa artrosi della prima metatarsofalangea e la lussazione delle interfalangee pros-
simali delle dita esterne. Nella radiografia dorsoplantare postoperatoria (C) si nota l’artroplastica della prima metatarsofalangea con aumento dello spazio tra il I metatarsale e la falange
prossimale del I dito ottenuto mediante interposizione di una protesina di materiale riassorbibile radiotrasparente.
Clinica
Clinicamente, non è presente dolore; il paziente
usualmente si accorge della patologia quando non
riesce più a estendere le dita della mano su una su-
perficie piatta, come un tavolo. Nei casi avanzati la Fig. 10.48 Schema di malattia di Dupuytren interessante il quarto dito della mano
eccessiva flessione delle dita impedisce le normali sinistra; l’aponeurosi palmare impedisce al IV dito di estendersi.
10. Patologie degenerative 167
Domande di autovalutazione
1. Quali sono i fattori eziopatogenetici dell’artrosi primaria?
2. Quali sono i fattori eziopatogenetici dell’artrosi secondaria?
3. Qual è il quadro clinico dell’artrosi?
4. Quali sono le caratteristiche radiografiche dell’artrosi?
5. Qual è il trattamento dell’artrosi?
6. Quali sono le cause vertebrali ed extravertebrali delle lombalgie?
7. Qual è il quadro clinico della lombalgia acuta?
8. Descrivere i quadri di irritazione, compressione e interruzione radicolare
9. Descrivere il quadro clinico nel caso di compressione radicolare di S1, L5, L4; L3 ed L2.
10. Come si classificano le ernie del disco in base al grado di migrazione e alla sede?
11. Quale radice risulta compressa nell’ernia del disco postero-laterale L4-L5?
12. Qual è il trattamento della lombosciatalgia?
13. Quali sono le cause più frequenti di cervicalgia vertebrale ed extravertebrale?
14. Descrivere il quadro clinico della cervicobrachialgia in fase irritativi delle radici C5, C6, C7 e C8.
15. Quali sono i fattori eziopatogenetici dell’alluce valgo?
16. Qual è il quadro clinico e il trattamento dell’alluce valgo?
Patologie neoplastiche
11
NEOPLASIE Tab. 11-I – Classificazione dei tumori dell’apparato
DELL’OSSO E DEI TESSUTI MOLLI muscoloscheletrico.
Tumori Benigni Maligni
Definizione
Ossei Cisti ossea semplice Osteosarcoma
Le neoplasie dell’apparato muscolo scheletrico Cisti ossea aneurismatica Sarcoma di Ewing
rappresentano spesso una sfida per l’ortopedico Granuloma eosinofilo Condrosarcoma
dato che la loro valutazione non può prescindere Fibroma non ossificante Metastasi ossee
dalla completa conoscenza della loro modalità di Displasia fibrosa
presentazione, dell’evoluzione, della loro stadia- Osteoblastoma
zione nonché delle caratteristiche istopatologiche e Osteoma osteoide
della risposta alla terapia. Tumore a cellule giganti
I tumori dello scheletro e quelli dei tessuti molli Condroma (encondroma)
possono essere classificati in base al tessuto d’ori- Esostosi (osteocondroma)
gine e in base al loro comportamento biologico in Condroblastoma
benigni e maligni (Tab. 11-I). Parti molli Lipoma Istiocitoma fibroso maligno
La valutazione del paziente con sospetta lesione Emangioma Liposarcoma
neoplastica dell’osso o delle parti molli prevede la Fibroma Rabdomiosarcoma
raccolta dei dati anamnestici e un completo esame Fibromatosi Sarcoma sinoviale
obiettivo, seguiti da diverse tecniche di diagnostica
per immagini, dalla valutazione dei dati di labora-
torio e dalla biopsia. mori maligni delle ossa, il più frequente in assoluto
è l’osteosarcoma, seguito dal condrosarcoma e dal
sarcoma di Ewing.
Epidemiologia Per quanto riguarda la distribuzione per età, le
È utile fare alcune considerazioni di carattere ge- esostosi si osservano soprattutto nella prima deca-
nerale circa la frequenza, la distribuzione per età e de di vita, l’osteosarcoma colpisce prevalentemente
la localizzazione dei tumori ossei, che possono rive- pazienti giovani con un picco di incidenza intorno
stire una grande importanza nella diagnostica dif- alla seconda decade, mentre sono rari nei giovani i
ferenziale. Nella prima decade di vita solo il 20% condrosarcomi. Anche il sarcoma di Ewing è più
circa delle neoplasie è maligna mentre negli adul- tipico dell’età giovanile (sotto i 30 anni), così come
ti i tumori ossei maligni sono circa due volte più è piuttosto atipica la comparsa di tumori a cellule
frequenti di quelli benigni. Tra i tumori benigni giganti prima dei 20 anni di età. Tra i tumori dei
più frequenti vi sono le esostosi (osteocondromi) tessuti molli, il rabdomiosarcoma si osserva preva-
seguiti dai tumori a cellule giganti mentre tra i tu- lentemente nei bambini, il sarcoma sinoviale nel
170 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
La biopsia di una neoplasia muscolo-scheletrica –– stadio III: presenza di metastasi regionali o a di-
rappresenta, quindi, un momento cruciale e molto stanza (viscerali, linfatiche od ossee).
delicato per la prognosi ed il successivo trattamento A questo punto si possono definire i margini chi-
della lesione, e dovrebbe essere eseguita da un chi- rurgici:
rurgo ortopedico con esperienza nel settore oncolo- –– intralesionale: si penetra nel tumore che viene
gico o sotto la sua diretta supervisione. asportato a pezzi. Questa metodica può causare
Dopo la biopsia può rendersi necessario il posizio- la permanenza di piccoli frammenti del tumore
namento di un gesso per proteggere l’osso da even- in sede;
tuali fratture, o l’uso di stampelle con carico parziale. –– marginale: il tumore viene asportato seguendo i
margini della sua capsula o pseudocapsula. Que-
Stadiazione sta metodica è da preferire nei tumori benigni,
Per completare la diagnosi delle lesioni tumorali dove la capsula non è infiltrata;
è importante effettuarne la stadiazione, precisando –– ampio: si asporta totalmente il tumore insieme
il grado di malignità, l’entità della diffusione locale ad un buon margine di tessuto sano;
e la presenza o l’assenza di eventuali metastasi. Lo –– radicale o compartimentale: si asporta l’intero
scopo della stadiazione è quello di offrire una pro- compartimento in cui ha sede il tumore.
gnosi e una guida al trattamento.
La stadiazione o “staging” prevede tre stadi per i TUMORI OSSEI BENIGNI
tumori istologicamente benigni:
–– lesione latente o inattiva: non presenta segni di
Cisti ossea semplice
La cisti ossea semplice è una cavità intraossea
accrescimento o è in grado di guarire spontanea-
contenente liquido sieroso, originatasi per una tem-
mente con decorso clinico silente e ha una com-
poranea interruzione della formazione dell’osso da
pleta delimitazione capsulare, es: fibroma non os-
parte della cartilagine di accrescimento. Si osserva
sificante, osteoma, alcune cisti ossee unicamerali.
più frequentemente nei bambini tra i 4 e i 10 anni.
–– lesione attiva: si accresce ma rimane limitata dal-
Si localizza di preferenza alle metafisi delle ossa
le barriere naturali (corticale, periostio), le quali
lunghe, in particolare all’omero (50% dei casi), al
possono essere deformate per compressione, es:
femore e alla tibia, tendendo con l’accrescimento a
encondroma, osteoma osteoide, cisti ossea aneu-
migrare verso la diafisi. La lesione è asintomatica
rismatica.
fintanto che non venga complicata da una frattura;
–– lesione aggressiva: si accresce non delimitata da
spesso infatti la diagnosi è accidentale, in seguito
capsula o superando le barriere anatomiche. Es:
ad una frattura patologica dell’osso coinvolto.
tumore a cellule giganti.
L’eziologia della cisti ossea resta sconosciuta. Si
Per i tumori maligni sono invece identificabili tratta di lesioni osteoliotiche rivestite da una fine
cinque stadi: membrana fibrosa contenente emosiderina, cellule
–– stadio I: istologicamente a bassa malignità, ben di flogosi cronica e cellule giganti plurinucleate. A
differenziato, rare mitosi, modeste atipie nuclea- differenza delle cisti ossee aneurismatiche, tipica-
ri, tendente alla recidiva locale, moderatamente mente eccentriche, le cisti ossee solitarie hanno una
captante il radioisotopo: posizione centrale nell’osso.
–– IA: intraosseo o intracompartimentale; Radiograficamente la cisti ossea semplice si pre-
–– IB: extraosseo o extracompartimentale in gra- senta come un’area osteolitica in sede metafisaria
do di infiltrare la corticale o i limiti di confine centrale, simmetrica con la presenza di setti ossei nel
del compartimento; suo interno. La metafisi appare soffiata e la cortica-
–– stadio II: istologicamente ad alta malignità, scar- le assottigliata tanto da predisporre alle fratture; in
samente differenziato, dotato di elevata atipia questo caso all’interno della cavità cistica possono
nucleare, necrosi, neovascolarizzazione, elevata ritrovarsi dei frammenti di osso responsabili del co-
penetrazione, intensamente captante il radioiso- siddetto segno della “foglia cadente” (Fig. 11.1).
topo. Alta incidenza di metastasi: Le cisti ossee sono considerate lesioni non tumo-
–– IIA: intraosseo o intracompartimentale; rali che possono però porre dei problemi di diagno-
–– IIB: extraosseo o extracompartimentale in gra- si differenziale. A volte infatti la uniforme radiotra-
do di infiltrare la corticale o i limiti del com sparenza della cisti può essere confusa con l’aspetto
partimento; a “vetro smerigliato” tipico della displasia fibrosa,
11. Patologie neoplastiche 173
che ha però più frequentemente sede eccentrica ed
è più spesso diafisaria.
Il trattamento può essere conservativo, mediante
infiltrazione di preparati corticosteroidei all’interno
della cisti o, nei casi resistenti si procede al curettage
intralesionale seguito da borraggio con innesti ossei.
Granuloma eosinofilo teressa più del 50% del diametro del segmento osseo
colpito, rende l’osso facilmente soggetto a fratture.
Il granulona eosinofilo è una lesione granuloma- Al raggiungimento della maturità scheletrica, il fi-
simile ricca di granulociti eosinofili ed istiociti, broma ossificante diviene latente e successivamente
appartenente ad un gruppo di malattie caratteriz- tende spontaneamente ad ossificare (Fig. 11.4).
zate dalla presenza di lesioni simil-tumorali che si Circa il trattamento, il curettage intracapsula-
sviluppano a causa di difetti del metabolismo delle re è di solito sufficiente e può essere integrato con
cellule del sistema reticoloendo-
teliale. L’insieme di queste malat-
tie prende il nome di istiocitosi o
istiocitosi X.
Il granuloma eosinofilo si osser-
va prevalentemente in età infanto-
giovanile, nelle ossa lunghe, in
quelle piatte del cranio e del baci-
no e in quelle brevi delle vertebre.
Nella maggior parte dei casi il gra-
nuloma eosinofilo è asintomatico,
ma può presentarsi con modesta
febbricola, aumento della VES,
eosinofilia periferica e, nelle loca-
lizzazioni pelviche con coxalgia.
Radiograficamente il granu-
loma eosinofilo si presenta come
un’area osteolitica; quando loca-
A B
lizzata a livello del corpo vertebra-
le porta alla formazione della “ver- Fig. 11.3 Radiografia in proiezione antero-posteriore (A) e laterale (B) del rachide dorsale con granuloma eosinofilo di
tebra plana”, causata dal collasso D9. Il corpo vertebrale si collassa uniformemente portando alla formazione di una vertebra plana.
vertebrale (Fig. 11.3).
Il trattamento prevede l’infiltra-
zione della lesione con preparati
corticosteroidi oppure il curettage
della lesione e il successivo borrag-
gio con innesti ossei al fine di pre-
venire fratture secondarie.
Osteoblastoma
L’osteoblastoma è un raro tu-
more benigno dell’osso in grado di
produrre matrice osteoide. Colpisce
più frequentemente le femmine di
età compresa tra i 10 ed i 25 anni,
localizzandosi di preferenza nella
regione arcale delle vertebre (pro- C
cessi trasversi e spinosi, peduncoli).
L’osteoblastoma tende ad accre- Fig. 11.5 Radiografia in proiezione laterale del piede con la presenza di un osteoma osteoide dell’astragalo (A). La scin-
scersi (anche fino a 10 centimetri) tigrafia con isotopi radioattivi dimostra una maggiore captazione a livello della lesione (B). La TAC rappresenta un’indagine
senza evocare reazione flogistica, più specifica, in quanto mette in evidenza il nidus dell’osteoma osteoide (C).
176 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
mente di piccole dimensioni (<1 cm) e a crescita Il tumore a cellule giganti ha un’alta tendenza
lenta, si presentano, dal punto di vista sintomato- alla recidiva locale, nonostante l’uso di trattamenti
logico, con intenso dolore, soprattutto notturno ed adiuvanti. Nel 2% dei casi può dare metastasi pol-
esacerbato dall’assunzione di alcool. Il dolore è ben monari.
controllato dall’assunzione di FANS. Radiograficamente si manifesta come una lesio-
Radiograficamente la lesione si manifesta con il ne osteolitica ampia circondata da un netto mar-
caratteristico aspetto di “nidus” centrale radiotraspa- gine di osso reattivo. Frequenti reperti associati:
rente, circondato da osso denso reattivo (Fig. 11.5). assottigliamento della corticale, erosione endostale,
Gli osteomi osteoidi possono andare incontro a formazione di trabecole o di setti ossei all’interno
risoluzione spontanea dopo 5-7 anni. Il trattamen- della cavità (Fig. 11.6).
to conservativo è consigliato per i pazienti che ri- Il trattamento è in funzione delle dimensioni e
spondono in maniera eccellente ai FANS, purché le dello stadio della lesione: le lesioni allo stadio 1 e 2
lesioni presentino il caratteristico
aspetto clinico e radiografico.
Nei pazienti con scarsa risposta
ai farmaci, il trattamento consiste
nell’exeresi chirurgica del nidus e
della circostante zona di osso reatti-
vo. Attualmente si può utilizzare un
piccolo elettrodo a radiofrequenza
inserito nella lesione sotto la guida
della TAC che ne provoca la necro-
si termica (termoablazione).
A B
C D
178 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
si associano anche angiomi multipli dei tessuti mol- Le sedi più colpite sono le estremità delle ossa
li, il complesso è definito sindrome di Maffucci. lunghe, a livello metafisario, ma occasionalmente si
Mentre la trasformazione sarcomatosa nei con- possono reperire alle ossa della pelvi, alle scapole,
dromi isolati sporadici è molto rara, per i tumori alle coste o raramente alle piccole ossa delle mani o
multipli e le lesioni sistemiche l’evoluzione in con- dei piedi. L’accrescimento della lesione si arresta in
drosarcoma si verifica nel 30% dei casi circa intor- genere al momento in cui si saldano le epifisi, seb-
no ai 40 anni di età. bene occasionalmente possa continuare anche nella
La maggior parte dei condromi sono asintoma- vita adulta.
tici e spesso, l’unico segnale della loro presenza è Il segno clinico iniziale è rappresentato dalla pre-
rappresentato dalle deformità ossee o dalle fratture senza di una massa dura e indolente adesa al piano
patologiche. osseo. I sintomi compaiono solo quando la lesione
Radiograficamente si presentano con un’area comprime ed irrita i tessuti molli o le formazioni
osteolitica centrale, a margini ben definiti ma for- vascolo-nervose circostanti; l’evento più significa-
mati da osso molto assottigliato. Col passare degli tiAvo è infatti rappresentato dall’infiammazione
anni si possono verificare fenomeni di calcificazio- delle borse mucose in prossimità della lesione.
ne centrale, radiologicamente evidenziata da un Radiograficamente l’esostosi appare come una
aspetto puntinato od opaco della lesione. Eventuali lesione morfologicamente caratteristica, a partenza
segnali di trasformazione maligna di un encondro- metafisaria, dotata di margini netti e densità non
ma sono rappresentati dalla presenza di aree osteo- omogenea (la componente cartilaginea mostra aree
litiche endostali, dall’inspessimento della corticale di calcificazione) (Fig. 11.8 A).
e dalla formazione di speroni o di una spiccata rea- Dal punto di vista anatomopatologico le lesio-
zione endostale (Fig. 11.7). ni esostotiche vengono distinte in sessili (con lar-
I condromi solitari non necessitano di terapia, ga base d’impianto) e peduncolate (con esile base
tranne nei casi in cui si accompagnano a fratture d’impianto), entrambe sporgenti per circa 3-5 cm
patologiche, ma vanno tenuti periodicamente sotto dal normale contorno dell’osso. Corpo e pedunco-
controllo per verificarne l’evoluzione. L’interven- lo della lesione sono costituiti da osso ben formato
to chirurgico è infatti indicato in quei pazienti che con una cavità midollare centrale in continuità con
presentino almeno due dei criteri della cosiddetta quella dell’osso d’origine, mentre il cappuccio è co-
triade di degenerazione: dolore, alterazioni radio- stituito da cartilagine matura (Fig. 11.8 B).
grafiche caratteristiche, aumentata
captazione del radionuclide alla
scintigrafia ossea. In questo caso il
tumore viene escisso insieme ad un
buon margine di tessuto sano così
da ridurre il rischio di recidiva.
Esostosi (osteocondroma)
Le esostosi sono alterazioni
dello sviluppo caratterizzate dal
lento accrescimento di osso epifi-
sario a costituire proiezioni ossee
ricoperte di cartilagine. Le esosto-
si possono presentarsi come lesio-
ni solitarie sporadiche oppure in
rare forme multiple trasmesse con
modalità autosomica recessiva; in
quest’ultimo caso si osserva spesso
la coesistenza di deformità impor- A B
tanti come la bassa statura, l’in-
curvamento e/o l’accorciamento Fig. 11.8 Radiografia in proiezione antero-posteriore del femore distale con la presenza di un esostosi solitaria pedu-
delle ossa lunghe. colata (A). Aspetto macroscopico della lesione (B).
11. Patologie neoplastiche 179
La trasformazione maligna dei condromi (so- –– osteosarcoma parostale;
prattutto in condrosarcoma) è più probabile per le –– osteosarcoma del periostio;
forme multiple (10% dei casi); i segni di trasforma- –– osteosarcoma di basso grado;
zione maligna comprendono: presenza di un rive- –– osteosarcoma a piccole cellule;
stimento cartilagineo di spessore >1 cm e aumenta- –– osteosarcoma multicentrico;
ta captazione del radioisotopo alla scintigrafia. –– osteosarcoma emorragico.
Il trattamento chirurgico si attua in presenza di
una sintomatologia e prevede l’escissione marginale La forma classica si sviluppa prevalentemente fra
della lesione. i 10 e i 20 anni, in soggetti più alti della media tan-
to da ipotizzare il possibile ruolo nella patogenesi
del tumore di un rapido accrescimento.
Condroblastoma Le localizzazioni prevalenti sono rappresentate
Il condroblastoma è una rara neoplasia benigna dalle cartilagini di accrescimento, in particolare al
costituita da condrociti immaturi, cellule giganti ginocchio (estremità distale del femore o prossi-
plurinucleate e isole di matrice condroide. male della tibia) e più raramente all’omero, e rara-
Colpisce soprattutto i maschi tra i 15 ed i 25 anni mente alla pelvi.
d’età, localizzandosi preferenzialmente alle epifisi o Il sintomo d’esordio è rappresentato dalla com-
alle apofisi di omero prossimale o al ginocchio. parsa di una tumefazione molle e dolorosa che
Clinicamente il condroblastoma si presenta con limita la funzionalità del distretto interessato. Il
dolore spontaneo o alla pressione (spesso risolto tumore tende ad accrescersi molto rapidamen-
con l’assunzione di FANS) e disturbi articolari, in te manifestandosi a volte all’esordio con fratture
particolare versamenti. spontanee.
Il riconoscimento di questa lesione è importante L’esame radiografico mostra una caratteristica
poiché, a causa di alcuni suoi aspetti morfologici e lesione infiltrativa di tipo destruente, prevalente-
radiologici potrebbe essere confusa con un tumore mente densa o osteoblastica, sebbene a volte possa
più aggressivo come quello a cellule giganti. presentare un aspetto misto o apparire osteolitica.
Radiograficamente il condroblastoma si presenta Altri segni distintivi: precoce distruzione corticale,
come un’area di osteolisi pura circondata da margi- margini mal definiti, mancanza di contenimento da
ni netti e ben delimitati, orletto sclerotico e in alcu- parte del periostio neoformato. Alla radiografia il
ni casi piccole aree di calcificazione. tessuto neoplastico amorfo produce un aspetto pa-
Pur essendo a tutti gli effetti un tumore benigno tognomonico cosiddetto “a raggiera”. Caratteristico
il condroblastoma può dare metastasi ai polmoni. è anche il cosiddetto “triangolo di Codman” che si
Il trattamento chirurgico dei condroblastomi osserva quando il tumore solleva il periostio e che è
è spesso reso difficoltoso dalla loro estensione alla compreso tra il piano della superficie esterna della
cartilagine articolare; la lesione della cartilagine di corticale ed il periostio sollevato (Fig. 11.9).
accrescimento dovuta al tumore o al curettage in- I dati di laboratorio più significativi sono rappre-
fatti, aumentano le difficoltà del trattamento chi- sentati dall’aumento della fosfatasi alcalina (come
rurgico. indice di rimodellamento osseo) e dall’aumento del-
la lattico deidrogenasi (come parametro di citolisi).
La TAC e la RMN forniscono informazioni più
TUMORI OSSEI MALIGNI dettagliate circa il coinvolgimento intraosseo ed i
rapporti con i tessuti molli adiacenti; la TAC è an-
Osteosarcomi che utile per la ricerca di eventuali metastasi pol-
monari occulte.
Gli osteosarcomi sono i tumori ossei maligni L’osteosarcoma è un tumore molto aggressivo
più frequenti. Colpiscono tipicamente adolescenti che nelle fasi avanzate tende a superare la cartila-
e giovani adulti (soprattutto maschi), benché si os- gine di accrescimento (penetrando nell’epifisi) e a
servi un secondo picco di incidenza negli anziani in dare metastasi anche al di fuori del compartimento
associazione al morbo di Paget. Se ne riconoscono d’origine (fino alle forme multicentriche dotate di
diverse varianti: eccezionale aggressività). Nel 10% circa dei casi è
–– osteosarcoma classico (oltre il 90% di tutti gli possibile evidenziare già all’esordio metastasi pol-
osteosarcomi); monari o più raramente linfonodali.
180 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
C D E
Fig. 11.10 Radiografia in proiezione antero-posteriore della diafisi femorale con sarcoma di Ewing (A). La TAC definisce le alterazioni dell’osso e identifica la componente tumorale
extra-ossea che presenta una densità simile alle masse muscolari (B). La RMN è l’esame principale che quantifica l’estensione del tumore all’interno del canale midollare (C). La scintigrafia
ossea è positiva (D). Il trattamento chirurgico è consistito nella resezione ampia del segmento diafisario, ricostruzione con innesto osseo omologo e perone vascolarizzato autologo, e sintesi
con lama-placca e viti (E).
B D
Fig. 11.12 Radiografia in proiezione antero-posteriore del bacino con metastasi osteolitica da carcinoma tiroideo dell’epifisi prossimale del femore destro (A). La RMN è un’indagine che
evidenzia la presenza di metastasi ossee prima di alterazioni radiografiche (B). Il trattamento chirurgico è consistito nella resezione della metaepifisi prossimale del femore (C), che è stata
sostituita da una protesi da resezione (D).
tastatizzazione più diffusa (sia alle ossa che ad altri importante adiuvante, migliorando i risultati della
tessuti) come per esempio il carcinoma della mam- stabilizzazione chirurgica.
mella, quello del polmone o dell’intestino, lo scopo
della chirurgia (palliativa) è quello di:
–– controllare la sintomatologia dolorosa;
TUMORI DEI TESSUTI MOLLI
–– prevenire le fratture patologiche; Si tratta di lesioni molto eterogenee e di difficile
–– trattare le eventuali fratture patologiche. classificazione, poiché vi è una sostanziale sovrap-
–– permettere il rapido recupero funzionale. posizione tra neoplasie benigne e maligne. Sono tu-
La radioterapia postoperatoria si è rivelata un mori molto più frequenti rispetto a quelli delle ossa
11. Patologie neoplastiche 185
e, salvo qualche eccezione, tendono a colpire l’età coinvolgimento secondario dell’osso o quando all’in-
adulta con una predominanza nel sesso maschile. terno del tumore si ritrovino aree di calcificazione
In oltre il 50% dei casi i tumori delle parti molli (es. nell’angioma o nel sarcoma sinoviale) o di ossifi-
compaiono alle estremità, soprattutto agli arti infe- cazione (innocenti nella miosite ossificante o spia di
riori, ma è possibile anche che si sviluppino in sedi aggressività nell’osteosarcoma delle parti molli).
miste. L’esame di primo livello per identificare con pre-
Per quanto riguarda l’eziologia di questi tumori cisione i tumori delle parti molli è l’ecografia, che
sono stati chiamati in causa diversi fattori: oltre a identificare i margini, il livello della lesione
–– fattori genetici: molti tumori dei tessuti molli si ed eventuali rapporti con le strutture vicine, forni-
associano a patologie francamente genetiche o a sce informazioni anche sulla natura, solida o liquida
carattere familiare (schawnnoma associato a neu- del tumore. In genere le lesioni benigne presentano
rofibromatosi o fibromatosi aggressiva associata a limiti ben definiti, ecostruttura omogenea e com-
poliposi del colon); portamento non invasivo, mentre le forme maligne
–– radiazioni ionizzanti; si identificano con limiti irregolari ed infiltranti e
–– linfedema cronico: aumenta l’incidenza delle le- con ecostruttura disomogenea.
sioni tumorali alle parti molli; Tecniche diagnostiche di secondo livello sono
–– cancerogeni chimici: soprattutto erbicidi, inset- rappresentate dalla TAC (che fornisce informazio-
ticidi; ni importanti sulla vascolarizzazione della lesione),
–– fattori biologici: es. infezioni virali. dalla RMN (che permette di valutare i rapporti tra
la massa tumorale e le strutture vascolo-nervose) e
La conoscenza, da parte del clinico, dei compor- dalla PET o tomografia ad emissione di positroni
tamenti più tipici di alcune neoplasie dei tessuti con radiofarmaci marcati (permette di valutare l’at-
molli, può essere fondamentale per orientare il so- tività metabolica del tumore, fornendo indicazio-
spetto diagnostico, già con un primo esame obietti- ni utili per la stadiazione, la risposta alla terapia e
vo. Di fronte per esempio a masse presenti da lun- l’identificazione precoce di ripresa di malattia).
ghi periodi si può ragionevolmente pensare ad una Infine la biopsia permette il definitivo inquadra-
lesione benigna, mentre una lesione comparsa ra- mento diagnostico della lesione ed eventualmente
pidamente può essere indicativa di un tumore ma- anche la sua totale asportazione.
ligno. Le eccezioni sono rappresentate dal sarcoma
sinoviale, che in genere si accresce lentamente.
Un altro dato importante da tenere in considera-
Tumori benigni delle parti molli
zione è l’età di comparsa della lesione: nell’infanzia Sono un gruppo molto eterogeneo di neoplasie
sono più tipici gli emangiomi tra i tumori benigni, che vanno da lesioni innocenti (es. lipomi sotto-
il fibrosarcoma ed il rabdomiosarcoma tra quelli cutanei) a tumori molto aggressivi ed invasivi (es.
maligni, mentre nell’adulto i tumori benigni più fibromatosi aggressiva).
frequenti sono i lipomi e tra quelli maligni si anno- I lipomi sono in assoluto i tumori benigni del-
verano il liposarcoma ed il leiomiosarcoma. le parti molli più frequenti. Insorgono soprattutto
Anche le dimensioni e la profondità della neopla- nell’adulto presentandosi come una massa asinto-
sia possono essere di grande aiuto nel discriminare la matica, di consistenza molliccia e soffice che tende
natura biologica del tumore: più frequentemente i progressivamente ad aumentare di volume, preva-
tumori benigni hanno dimensioni inferiori a 5 centi- lentemente localizzata nei tessuti sottocutanei di
metri e localizzazione soprafasciale mentre in genere dorso, spalla, collo e coscia (Fig. 11.13). I lipomi
le forme maligne sono più voluminose e profonde. che si localizzano nei tessuti profondi (es. intramu-
Clinicamente i tumori delle parti molli si presen- scolari) sono dotati di una maggiore aggressività
tano con masse anche molto voluminose che dan- clinica e di un modesto potenziale maligno. Il trat-
no però scarso o nullo dolore, tanto che il paziente tamento dei lipomi prevede l’escissione chirurgica
tende a sottovalutarle. Di fronte ad una lesione del marginale, raramente soggetta a recidive.
genere la prima cosa da accertare è se si tratti di una Gli emangiomi sono tumori vascolari che insor-
massa solida o liquida, sopra- o sottofasciale (le so- gono spesso in sede intramuscolare, di solito nell’in-
prafasciali sono dotate di prognosi migliore). fanzia, interessando gli arti o il tronco. Hanno un
Le radiografie non ci consentono di evidenziare decorso molto variabile che varia dal silente all’alta-
con precisione la lesione, a meno che non ci sia un mente aggressivo con continua invasione e sostitu-
186 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
lignità, più comune negli anziani). Le sedi di più bifasiche costituite da elementi neoplastici epiteliali
frequente comparsa sono rappresentate dalla natica, frammisti ad una componente simil-fibroblastica, e
dalla coscia, dall’avambraccio o dalla cavità addo- forme monofasiche, a prognosi peggiore, dove pre-
minale; qui tendono a crescere indisturbati fino a domina la componente fibroblastica.
quando, raggiunte dimensioni enormi, attirano Sebbene la maggiorparte dei sarcomi sinoviali
l’attenzione del medico o del paziente. tenda ad accrescersi piuttosto lentamente, al mo-
Il rabdomiosarcoma è il più comune sarcoma pe- mento della diagnosi in circa il 20% dei casi si os-
diatrico delle parti molli, presentando un picco di servano metastasi, soprattutto ai polmoni ed ai lin-
incidenza nei bambini al di sotto dei 10 anni d’età. fonodi regionali.
Si presenta in genere come una massa localizzata
alla regione urogenitale o a quella della testa-collo
(in quest’ultimo caso tende ad invadere le pare-
Trattamento
ti ossee dell’orbita ed i seni o i forami vertebrali, Per quanto riguarda il trattamento dei sarcomi
impedendo una escissione totale). A differenza dei delle parti molli in genere è richiesta una combi-
sarcomi delle parti molli degli adulti, relativamente nazione di chirurgia e radioterapia adiuvante per il
chemioresistenti, il rabdomiosarcoma risponde ef- controllo locale della neoplasia, mentre la chemio-
ficacemente alla chemioterapia, così da permettere terapia trova indicazione nel controllo sistemico
un importante miglioramento della sopravvivenza della malattia. In questa maniera si può affiancare
dopo exeresi chirurgica ampia associata a tratta- ad un’exeresi chirurgica con margini ampi uno o
mento chemioterapico. più cicli di radioterapia allo scopo di controllare i
Il sarcoma sinoviale rappresenta il 10% di tutti i residui neoplastici microscopici. Questa metodica
tumori maligni delle parti molli. Insorge prevalen- permette l’eventuale salvataggio di un arto che, in
temente a livello articolare, in stretta relazione con assenza di una terapia adiuvante sarebbe dovuto es-
le guaine tendinee, le borse e le capsule articolari sere amputato. I tassi di controllo del tumore con
degli arti inferiori (ginocchio, caviglia, piede), ma radioterapia eseguita preoperatoriamente o posto-
raramente all’interno dalla cavità articolare. Il ses- peratoriamente sono praticamente sovrapponibili
so più frequentemente colpito è quello maschile, in benché le complicanze della guarigione delle ferite
età compresa tra i 15 ed i 35 anni, sebbene il tumo- siano più frequenti nel caso della radioterapia pre-
re possa insorgere anche in pazienti più giovani o operatoria.
più anziani. L’indicazione alla chemioterapia adiuvante, a
Il sarcoma sinoviale si presenta clinicamente completamento di un intervento chirurgico adegua-
come una massa dolorosa in prossimità delle ginoc- to, è controversa; nei sarcomi ad alto rischio (grado
chia, delle caviglie o dei piedi e, più raramente a elevato, sede profonda e dimensioni maggiori di 5
livello del cingolo scapolare o ai gomiti. Le lesioni centimetri) è stato proposto un trattamento che-
più piccole tendono ad essere meglio circoscritte, mioterapico post-operatorio allo scopo di ritarda-
ben capsulate, e a crescita lenta, mentre quelle di re la ricomparsa del tumore. Vi è inoltre consenso
maggiori dimensioni risultano essere più irregolari, nell’utilizzo della chemioterapia in presenza di me-
spesso interrotte da aree cistiche o di necrosi o di tastasi polmonari o extrapolmonari, in associazione
calcificazione. alla loro exeresi chirurgica quando possibile; negli
Radiograficamente il sarcoma sinoviale si pre- ultimi anni il trattamento chemioterapico viene
senta come un’area indistinguibile dai tessuti molli dunque utilizzato prima dell’approccio chirurgico
circostanti a meno che non presenti nel suo conte- allo scopo di ridurre la neoplasia e valutare la che-
sto aree di calcificazione. Nel 15% circa il tumore mio-sensibilità del tumore.
si accresce estendendosi all’osso e provocando una La toracotomia per il trattamento delle metastasi
reazione periostale o una franca erosione. La dia- polmonari è un’altra tecnica adiuvante molto utile
gnosi è fortemente sostenuta dall’identificazione di nella gestione dei sarcomi delle parti molli: si ottie-
un coinvolgimento dei linfonodi regionali. ne così una percentuale di sopravvivenza libera da
Istologicamente si distinguono forme classiche malattia a 5 anni che arriva al 40%.
188 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
Domande di autovalutazione
1. Quali sono i primi sintomi clinici di un tumore osseo o delle parti molli?
2. Quali sono gli aspetti radiografici generali dei tumori benigni e maligni?
3. Quali sono le indagini diagnostiche da eseguire in caso di sospetta lesione tumorale?
4. Qual è il rischio maggiore nel caso in cui la biopsia non venga eseguita correttamente?
5. Qual è la complicanza più grave della cisti ossea semplice?
6. Qual è il trattamento della cisti ossea aneurismatica?
7. Qual è il sintomo principale dell’osteoma osteoide?
8. Qual è il quadro radiografico del tumore a cellule giganti?
9. Quali sono le sedi più frequenti delle esostosi?
10. Qual è la complicanza più grave nelle esostosi?
11. Quali sono gli aspetti clinici e radiografici dell’osteosarcoma?
12. Quali sono gli aspetti radiografici del sarcoma di Ewing?
13. Quali sono le caratteristiche clinico-radiografiche dei condrosarcomi?
14. Quali sono i tumori primitivi che più spesso determinano metastasi ossee?
15. Quali sono gli aspetti radiografici delle metastasi ossee?
16. Quali sono i sintomi più frequenti delle metastasi ossee?
17. Qual è il tumore benigno delle parti molli più frequente?
18. Qual è il tumore maligno delle parti molli più frequente?
19. Quali sono gli aspetti clinici dei sarcomi delle parti molli?
20. Quali sono le linee generali del trattamento dei sarcomi delle parti molli?
Fratture
12
GENERALITÀ te a rottura del rivestimento delle ossa, il periostio,
e conseguentemente allo spostamento dei fram-
Definizione menti ossei. Ciò si verifica soprattutto per l’azione
di tre fattori:
Per frattura si intende la soluzione di continuità –– persistenza dell’azione traumatica che non si
di un osso prodotta da una forza che supera i limiti esaurisce dopo aver causato la frattura;
di resistenza del tessuto. –– trazione esercitata dalle masse muscolari;
–– azione della forza di gravità che agisce libera-
Epidemiologia mente sul frammento dell’osso distalmente alla
frattura, non più solidale con l’altra parte dell’os-
Le fratture, essendo un evento traumatico, pos- so per la perdita della continuità meccanica.
sono presentarsi in tutte le categorie della popo-
lazione generale, ma ve ne sono alcune tipiche: i In base al punto di applicazione della forza che
traumi ad alta energia sono frequenti nei giovani, provoca la frattura si distinguono fratture da trauma
solitamente uomini (tipica frattura da incidente diretto o “dirette” (perché la frattura dello scheletro
stradale), mentre le fratture a bassa energia colpi- avviene nel punto in cui il carico accidentale agisce),
scono maggiormente gli anziani e le donne (perché e fratture da trauma indiretto o “indirette” (la frat-
l’osso è reso più fragile dall’osteoporosi). tura avviene a distanza dalla zona interessata). Nelle
fratture dirette il meccanismo di frattura è semplice:
l’agente traumatizzante ha una energia tale da su-
Eziopatogenesi perare il limite di elasticità delle lamelle ossee che
Le varie sollecitazioni cui viene sottoposto lo formano la superficie esterna del segmento osseo e
scheletro in condizioni fisiologiche e patologiche le interrompe. Il piano di frattura però, nel suo ulte-
possono essere suddivise in sollecitazioni da pres- riore decorso varia in base a una serie di fattori lega-
sione e da trazione; la parte mineralizzata dell’os- ti sia alle caratteristiche dell’agente traumatizzante
so resiste soprattutto alla pressione mentre le fibre che a quelle del segmento osseo interessato. Tali fat-
collagene resistono alla trazione. La frattura avviene tori sono spesso difficili da analizzare, in quanto nel
quando l’intensità della sollecitazione supera la resi- momento in cui l’osso subisce il sovraccarico che ne
stenza del segmento osseo interessato. Di solito tale interromperà la continuità, entrano in gioco altre
sollecitazione è data da un carico che agisce in una forze che modificano valore e direzione della forza
unità di tempo brevissima (sollecitazione dinamica), primitiva: l’improvvisa contrazione muscolare (in
più raramente da un carico il cui valore aumenta in parte riflessa e in parte volontaria), l’atteggiamento
modo lento e uniforme (sollecitazione statica). assunto dalla parte traumatizzata, l’azione di un’al-
L’interruzione completa della continuità di un tra forza esterna (es. urto contro un oggetto, caduta
segmento scheletrico si accompagna il più delle vol- del soggetto dopo l’inizio di frattura).
192 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
Nelle fratture da trauma indiretto o indirette mento scheletrico interessato e pertanto è detta
il meccanismo di produzione è più complesso, in spiroide (Fig. 12.2).
quanto il carico applicato ad una parte dello sche- –– Fratture per compressione: sono più frequenti
letro dà origine ad una forza che si trasmette ad fra le fratture indirette, e sono provocate di so-
un’altra parte dello scheletro più o meno lontana, lito dal brusco arresto contro un ostacolo di una
conservando un’energia sufficiente a determinarne la parte del corpo. La localizzazione del punto di
rottura. Il segmento scheletrico può subire i seguenti frattura è determinata dalla direzione della forza
movimenti: flessione, torsione, compressione e tra- e dalle sollecitazioni provocate. Con questo mec-
zione; raramente queste agiscono singolarmente. canismo sono colpite prevalentemente le metafi-
–– Fratture per flessione: si riscontrano prevalente- si, le epifisi e le ossa brevi (come i corpi vertebrali
mente nelle ossa lunghe. A seconda della forma e le ossa del carpo). La maggior parte delle frat-
dell’osso, delle sue condizioni di vincolo, dell’as- ture dette da schiacciamento traggono origine da
sociarsi di altre sollecitazioni varia la zona in cui questo meccanismo traumatico (Fig. 12.3).
questo si frattura, come varia la direzione della –– Fratture per trazione o da strappo: sono provo-
rima di frattura: questa può essere trasversale o cate dalla trazione esercitata in un punto dello
obliqua (Fig. 12.1). scheletro da un legamento o più raramente da
–– Fratture per torsione: sono prodotte da una solle- un tendine messo in tensione. Sono fratture ar-
citazione in rotazione, di entrambi i capi ossei o ticolari o para-articolari che interessano l’osso
di uno solo quando l’altra estremità è mantenuta spugnoso di queste zone o le sporgenze apofisa-
fissa (ad esempio caduta con gli sci). La rima di rie (Fig. 12.4).
frattura descrive una spirale a volute più o meno Vengono definite patologiche le fratture a cari-
strette a seconda della direzione, dell’intensità co di segmenti scheletrici colpiti da alterazioni che
della forza e della forma e dimensione del seg- ne riducono la resistenza meccanica, come tumori,
infezioni o altre patologie ed en-
tro certi limiti l’osteoporosi, che
vengono quindi a essere provoca-
te anche da traumi a bassa ener-
gia (Fig. 12.5).
Clinica
La fratture sono solitamente ac-
compagnate da un dolore acuto
che solitamente si attenua ma non
scompare; si può avere deforma-
zione dell’arto, gonfiore, incapacità
funzionale, tumefazione, motilità
preternaturale ed ecchimosi. Queste
manifestazioni possono anche com-
parire alcune ore dopo il trauma.
È fondamentale valutare la
anamnesi familiare (alla ricerca
Fig. 12.2 Frattura pluriframmentaria della meta- di eventuali patologie ereditarie),
epifisi distale della tibia e della metafisi distale del patologica remota (fratture ripe-
perone con rima spiroide. La caratteristica geometria tute, tumori, osteoporosi, ecc.) e
della rima di frattura favorisce la scomposizione ad recente: importante è compren-
longitudinem dei frammenti. dere il meccanismo e l’energia del
Fig. 12.1 Frattura a rima traversa della diafisi della tibia trauma, la modalità di insorgenza
e frattura bifocale della diafisi del perone. La scomposizione e la tipologia del dolore, o la sua
presenta una deviazione ad axim dei frammenti. eventuale assenza che potrebbe es-
sere dovuta a una patologia neu-
rologica di base.
12. Fratture 193
B C D
198 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
C
Guarigione
delle fratture
Il processo di guarigione di Fig. 12.14 Processo di guarigione delle fratture: fase dell’infiammazione (A); fase della riparazione (B); la fase del rimo-
una frattura segue tre fasi: la dellamento osseo (C).
12. Fratture 199
Domande di autovalutazione
1. Qual è il meccanismo traumatico delle fratture indirette?
2. Quali sono i segni clinici delle fratture?
3. Quali sono gli aspetti radiografici delle fratture?
4. Cosa si intende per frattura a “legno verde”?
5. Come vengono classificate le fratture in base alla scomposizione?
6. Quali sono i fattori che influenzano la guarigione delle fratture?
Trattamento delle fratture
13
TRATTAMENTO DI PRIMO SOCCORSO
Il corretto e precoce trattamento di primo soccor-
so delle fratture influenza notevolmente la prognosi.
La prima valutazione di una persona che ha
appena subito un trauma deve sempre iniziare
dall’analisi dell’eventuale pericolo di vita immedia-
to: in primo luogo bisogna valutare la pervietà delle
vie aeree, la respirazione e la circolazione sanguigna,
effettuando le manovre rianimatorie appropriate.
Il soccorritore deve valutare, in seguito, le lesio-
ni traumatiche presenti, immobilizzando le parti
interessate prima di ogni spostamento. Particolare
attenzione deve essere posta nell’estrarre il paziente
da un veicolo: mai flettere il capo per evitare di peg-
giorare una lesione al rachide cervicale. Il paziente
deve essere posto supino e coperto. La corretta im-
mobilizzazione riduce il dolore, il sanguinamento,
il rischio di ulteriori danni o la comparsa di com-
plicanze precoci e tardive. L’immobilizzazione ha
lo scopo di consentire il trasporto del malato al più
vicino ospedale (Figg. 13.1, 13.2).
È necessario analizzare bene il paziente, identifi-
cando le zone che richiedono l’intervento: fratture
certe, fratture esposte o scomposte, deformità, do-
lore riferito dal paziente, lesione tipica del trauma
(ad esempio: rachide cervicale dopo un incidente
stradale). Inizialmente bisogna coprire le ferite (pos-
sibilmente con bende sterili), per poi immobilizza-
re il segmento interessato nella posizione in cui si
trova, interessando anche l’articolazione prossimale Fig. 13.1 In caso di trauma violento, come ad esempio avviene negli incidenti
e la distale rispetto alla sede della lesione; personale stradali, è necessario intervenire tempestivamente immobilizzando il soggetto, al fine
competente può eseguire manovre di riduzione, al di evitare lo spostamento dei segmenti ossei fratturati, avendo cura di proteggere le
fine di agevolare l’immobilizzazione ed il trasporto, zone maggiormente a rischio di complicanze a carico del sistema nervoso e degli organi
e la prognosi. interni, come il rachide cervicale, il torace e l’addome.
202 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
Fig. 13.2 Una volta che il soggetto è stato adeguatamente immobilizzato, può es-
sere posizionato con molta attenzione sulla barella per essere trasportato in ospedale.
C
Fig. 13.5 Aspetto radiografico di una frattura
biossea scomposta del radio e dell’ulna (A). Controllo
radiografico in apparecchio gessato, dopo riduzione della
frattura (B). L’apparecchio gessato brachio-metacarpale
immobilizza sia il gomito che il polso (C).
A B
A B
Fig. 13.6 Frattura di clavicola (A). La riduzione e l’immobilizzazione ottengono una trazione continua delle spalle con un bendaggio a otto (B).
204 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
A B C
Fig. 13.7 Frattura scomposta della rotula, la contrazione del quadricipite allontana i frammenti (A). Il trattamento consiste nella riduzione e applicazione di fili e cerchiaggi (B-C).
Grazie all’intervento è possibile mobilizzare il ginocchio precocemente (2-4 settimane dopo il trauma).
13. Trattamento delle fratture 205
coltà (es. frattura del collo del femore);
–– fratture che interessano una superficie
articolare (es. frattura del piatto tibiale);
–– fratture, vicine alle articolazioni, in
cui un piccolo frammento è dislocato
(es. frattura dell’epicondilo mediale
dell’omero);
–– fratture multiple o multifocali degli arti;
–– fratture patologiche;
–– fratture con danno vascolare importan-
te (es. frattura del femore distale);
–– fratture non consolidate. A
–– ecc.
A B
A B C
13. Trattamento delle fratture 207
Fig. 13.14 Frattura spiroide del terzo distale della diafisi tibiale (A). Il trattamento
chirurgico è consistito nell’applicazione di un chiodo endomidollare che mantiene al-
lineata la frattura durante il processo di guarigione senza necessità di immobilizzare il
ginocchio o il piede (B). Alla comparsa del collo osseo la frattura è guarita e il chiodo
può essere rimosso (C).
A B C
208 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
A B C
Fig. 13.15 Frattura spiroide con scomposizione ad periferiam del terzo distale della diafisi tibiale (A), sintetizzata con placca e viti, associata a frattura spiroide della metaepifisi del
perone (B). Il controllo radiografico a distanza mostra la guarigione della frattura con abbondante produzione di callo osseo (C).
te alla comparsa radiografica del callo osseo maturo come incidenti automobilistici o cadute da grandi
che in genere avviene dopo la 12° settimana. altezze.
Il trattamento incruento delle fratture di tibia Il trauma a bassa energia è più frequentemente
presenta lo svantaggio di necessitare di un lungo associato a fattori patologici, come osteoporosi, ar-
periodo di immobilizzazione in gesso della caviglia triti e tumori ossei, che possono aver ridotto la resi-
e del ginocchio, che espongono a rischi di rigidità e stenza del femore.
lunghi periodi di riabilitazione. Essendo le fratture della diafisi femorale tipica-
Il trattamento chirurgico consiste nella solidariz- mente associate ad un trauma ad alta energia, oc-
zazione temporanea dei frammenti ossei con mezzi corre diagnosticare e trattare eventuali lesioni che
di sintesi, che mantengono la riduzione della frat- rappresentano urgenze, come lesioni al cranio, al
tura fino alla comparsa del callo osseo. Allo scopo torace e all’addome, e sospettare fratture in altri di-
possono essere utilizzati chiodi metallici da inserire stretti come ad esempio le fratture vertebrali.
all’interno del canale midollare dell’osso (osteosin- All’esame obiettivo si nota un notevole accor-
tesi endomidollare) (Fig. 13.14), placche metalliche ciamento dell’arto, con rotazione esterna del piede.
e viti (Fig. 13.15) o fili di Kirschner. Qualora la Il dolore è in genere vivacissimo, e il paziente pre-
frattura sia esposta, possono essere utilizzati mezzi senta una impotenza funzionale assoluta. La coscia
di sintesi esterni, solidarizzati all’osso da viti metal- può raccogliere un ematoma considerevole che au-
liche che fuoriescono dalla cute (fissatori esterni). mentando di volume espone il paziente a rischio di
shock e di embolia polmonare sia di origine trom-
Fratture della diafisi del femore botica che gassosa.
È molto importante valutare la motilità e il cir-
Le fratture diafisarie di femore si presenta- colo a valle della frattura, in quanto i frammenti di
no spesso come effetto di traumi ad alta energia, frattura se molto scomposti possono comprimere o
13. Trattamento delle fratture 209
A B C
Fig. 13.16 Frattura a rima trasversa della diafisi del femore con scomposizione ad latus e ad longitudinem dei frammenti (A), trattata con chiodo endomidollare (B). La radiografia di
controllo mostra la guarigione della frattura con abbondante deposizione di callo osseo (C).
ledere sia le strutture vascolari come l’arteria femo- ancora completamente sviluppato. Se sono passate
rale sia le strutture nervose come il nervo sciatico. più di 6-8 ore dal trauma per diminuire il rischio
L’indagine strumentale di primo livello per effet- di complicanze come trombo-embolia e sindromi
tuare la diagnosi di frattura diafisaria del femore è compartimentali in genere si pone l’arto in scarico
la radiografia. e in trazione trans-scheletrica fino a quando l’ede-
Il trattamento delle fratture della diafisi del fe- ma non sia risolto (24-96 ore).
more è di tipo chirurgico. L’intervento può essere L’osteosintesi è analoga alle fratture di tibia (Fig.
eseguito in urgenza qualora l’ematoma non si sia 13.16).
Fig. 13.18 Una grave complicanza neurologica delle fratture della diafisi dell’omero
è rappresentata dalla lesione del nervo radiale. A seconda della gravità della lesione può
Fig. 13.17 Frattura pluriframmentaria della diafisi dell’omero con scomposizione ad insorgere una paralisi transitoria o persistente dei muscoli estensori del polso e della
axim dei capi di frattura. mano.
210 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
A B C
Fig. 13.20 Frattura a rima trasversa del terzo medio della diafisi dell’omero con scomposizione ad axim dei frammenti (A), trattata con chiodo endomidollare (B). La radiografia di
controllo evidenzia la guarigione della frattura con abbondante callo osseo (C).
13. Trattamento delle fratture 211
to, che deve consistere nella ricostruzione quanto
più possibile fedele della superficie articolare.
A B C
Fig. 13.22 Schema di riduzione e sintesi di frattura isolata del piatto tibiale esterno mediante l’utilizzo di viti eseguita spesso a cielo chiuso (A). Schema di riduzione e sintesi di frattura
pluriframmentaria scomposta del piatto tibiale esterno. In questo caso l’utilizzo di placca e viti consente di ottenere una ricostruzione dell’articolazione quanto più anatomica possibile (B).
Schema di riduzione e sintesi di una frattura interessante entrambi i piatti tibiali. Rappresenta una frattura complessa che comporta una maggiore difficoltà nel ripristino della normale
anatomia articolare. Solitamente in questo caso è previsto l’uso di una placca per la sintesi del piatto esterno e di una placca per il piatto interno (C).
212 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
bile, nella pianificazione di un adeguato trattamen- rata possibile, e la difficoltà del trattamento è diret-
to chirurgico. tamente correlata alla comminuzione della frattura
Se la frattura è composta, il trattamento può e alla sua scomposizione.
consistere nella semplice immobilizzazione con una Se vi sono solo 2 frammenti, la riduzione può es-
ginocchiera rigida per un periodo di 8-12 settima- sere eseguita a cielo chiuso utilizzando l’amplifica-
ne, necessario ai processi riparativi di formazione tore di brillanza o l’artroscopio, e la sintesi ottenuta
del callo osseo. Il carico non deve essere concesso mediante una o più viti applicate attraverso piccole
per le prime 6-8 settimane per evitare l’affonda- incisioni della cute (Figg. 13.22 A, 13.23).
mento o la scomposizione dei frammenti. Qualora la frattura sia molto frammentata è
Qualora la frattura sia scomposta, è necessaria la necessaria la riduzione aperta e l’applicazione
ricostruzione della rima articolare quanto più accu- di una placca (Figg. 13.22 B,C, 13.24). Questa
metodica permette una accu-
rata riduzione dei frammenti,
ma l’apertura dell’articolazione
comporta maggiori rischi di in-
fezione post-chirurgica, ritardi di
guarigione della cute con a volte
la necessità di interventi accesso-
ri di chirurgia plastica, e rigidità
articolare.
Nel periodo postoperatorio la
mobilizzazione deve essere esegui-
ta molto precocemente. Il carico,
invece, deve essere concesso alla
comparsa del callo osseo, in genere
non prima di 8-12 settimane.
A B
Fratture malleolari
Fig. 13.23 Frattura isolata del piatto tibiale esterno (A) sintetizzata con 2 viti, inserite perpendicolarmente alla
rima di frattura, e controllo radiografico a distanza che di mostra il processo riparativo in atto con produzione di callo Per malleolo si intende l’epifisi
osseo (B). distale delle ossa che partecipano
all’articolazione della caviglia; si
parla quindi di malleolo peroneale
e tibiale, e del terzo malleolo che
appartiene alla tibia e che si trova
posteriormente.
Le fratture malleolari possono
essere provocate da traumi diretti
o indiretti. Spesso il meccanismo
è simile a quello della distorsione
in inversione o eversione del pie-
de, che, invece di lesionare un le-
gamento, distacca un malleolo.
Le fratture malleolari posso-
no essere classificate in malleolari
isolate (del malleolo esterno o in-
terno), bimalleolari con interessa-
A B mento dei compartimenti mediale
e laterale, e trimalleolari. Nei casi
Fig. 13.24 Frattura complessa di entrambi i piatti tibiali, con e affondamento (decalage) del piatto tibiale esterno (A). più gravi una o più rime di frat-
La sintesi è stata eseguita utilizzando placca e viti, ed il controllo a distanza dimostra un processo di riparazione attivo con ture si possono estendere nelle
presenza del callo osseo (B). regioni più prossimali della tibia:
13. Trattamento delle fratture 213
A B
A B
C
Fig. 13.25 Frattura composta a più frammenti del malleolo mediale (A). Frattura
bimalleolare. Il malleolo esterno presenta una frattura pluriframmentaria, mentre il
malleolo interno presenta una frattura a rima trasversa con scomposizione del frammen-
to (B). Frattura trimalleolare con interessamento del pilone tibiale. La scomposizione dei
frammenti in questo caso ha prodotto la sublussazione posteriore dell’articolazione e la
deviazione in valgo dell’asse della caviglia (C).
D
E
Fig. 13.27 Frattura isolata composta del malleolo laterale con rima spiroide (A),
Fig. 13.26 Aspetto clinico di una frattura di caviglia. La tumefazione è un reperto trattata con immobilizzazione in gesso per sei settimane senza carico (B-C-D) . Il trat-
costante, e possono essere presenti ecchimosi e lesioni cutanee, come conseguenza del tamento continua con un tutore per altre 6 settimane che permette esercizi di mobiliz-
trauma. zazione della caviglia (E).
214 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
1 2 3
B
A B
A B
13. Trattamento delle fratture 215
A B
Fig. 13.31 Quadro radiografico di crollo vertebrale di L1 (A) trattato mediante chifoplastica con iniezione di cemento acrilico all’interno del corpo vertebrale (B). Una volta solidificato,
il cemento sostiene la limitante superiore della vertebra, impedendo la progressione della deformazione a cuneo del corpo vertebrale.
216 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
A B C
Fig. 13.32 Schema dell’intervento chirurgico di chifoplastica. Attraverso uno dei due peduncoli vertebrali si introduce un palloncino che progressivamente si gonfia riducendo la
frattura (A-B). Lo spazio creato all’interno del corpo vertebrale viene riempito con cemento acrilico (C) impedendo la deformazione vertebrale a cuneo.
Le fratture del collo del femore si suddividono, –– Garden IV: fratture gravemente scomposte con
in base alla localizzazione, in mediali e laterali. risalimento ed extrarotazione del moncone dista-
Le fratture mediali sono quelle fratture che inte- le, rotazione in valgismo o nessuna rotazione del-
ressano la testa ed il collo del femore all’interno della la testa, per un traumatismo in adduzione, con
capsula articolare ovvero fino alla linea intertrocan- lesione dei vasi sanguigni e necrosi quasi certa.
terica. La testa del femore è vascolarizzata dall’arte- A seconda della localizzazione, le fratture me-
ria del legamento rotondo e dalle arterie circonflesse diali del collo del femore si suddividono in (Fig.
femorali (Fig. 13.33); nelle fratture mediali del collo 13.35):
del femore si può verificare la lesione di questi vasi –– sottocapitate, le più prossimali;
sanguigni, con alto rischio di ischemia della testa, –– mediocervicali;
che provoca la necrosi asettica. Quanto più la frattu- –– basicervicali, le più distali.
ra è scomposta tanto più alto è il rischio di ischemia. La sintomatologia delle fratture mediali del col-
La classificazione secondo Garden (Fig. 13.34) lo del femore Garden I può essere anche lieve in
ha lo scopo di indicare la prognosi della frattura quanto la frattura ingranata risulta stabile. Il pa-
considerandone il meccanismo traumatico e il gra- ziente in alcuni casi riesce a camminare riferendo
do di scomposizione: dolore all’anca al carico e al movimento.
–– Garden I: fratture ingranate con testa ruotata in Nelle fratture instabili e scomposte vi è invece
valgo, per un traumatismo in abduzione; impotenza funzionale assoluta dell’arto, il quale
–– Garden II: fratture senza spostamento, per un appare extraruotato, accorciato e dolente ai mo-
traumatismo in abduzione; vimenti dell’operatore (Fig. 13.36). Il paziente da
–– Garden III: fratture parzialmente scomposte sdraiato non è in grado di flettere l’anca a ginoc-
con risalimento ed extrarotazione del moncone chio esteso.
distale; rotazione in varismo della testa per un Il trattamento di queste fratture è chirurgico. Se
traumatismo in adduzione, con lesione dei vasi la frattura è composta ingranata l’intervento consi-
sanguigni e probabile necrosi; ste nell’osteosintesi: si inseriscono due o tre viti nel
A B
218 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
A B
Fig. 13.38 Frattura mediocervicale scomposta in varo Garden 4 a elevato rischio di necrosi della testa (A). Il trattamento nel paziente anziano consiste nella sostituzione protesica (B).
A B C
Fig. 13.40 Sistema di fissazione delle fratture laterali del collo del femore con placca e viti (A). Quadro radiografico di una frattura per-sottotrocanterica (B) trattata con placca e viti (C).
13. Trattamento delle fratture 219
A B C
Fig. 13.41 Sistema di fissazione delle fratture laterali del collo del femore con chiodo endomidollare (A). Quadro radiografico di una frattura pertrocanterica (B) trattata con chiodo
endomidollare (C).
A B
Fig. 13.42 Frattura di polso in paziente anziano. In questo caso la forza del trauma,
diretta lungo l’asse longitudinale del radio, ha provocato l’affossamento dell’epifisi di-
stale del radio.
A B
Le più frequenti sono per caduta sul palmo della risulta particolarmente esposta agli insulti trauma-
mano in estensione ed hanno la caratteristica de- tici.
formità a “collo di forchetta” (frattura di Colles); I distacchi epifisari sono classificati in sei tipi
talvolta il trauma è in flessione e produce una de- secondo la classificazione di Salter-Harris: il tipo I
viazione palmare della mano (frattura di Goyrand). viene definito come distacco epifisario puro, men-
La frattura del polso si presenta con dolore, tu- tre i gruppi dal II al VI vengono definiti distacchi
mefazione, ecchimosi, impotenza funzionale ed epifisari misti. Tale classificazione è particolarmente
eventuale deviazione radiale della mano. La confer- utile nella scelta del trattamento di riduzione più
ma diagnostica è data dalla radiografia, in doppia adeguato e inoltre fornisce indicazioni prognostiche
proiezione. e su eventuali complicanze a livello della cartilagine
La gravità della frattura è data dal grado di scom- di accrescimento.
posizione e dal numero di frammenti (semplici, La lesione di tipo I (o distacco epifisario puro)
pluruframmentate o comminute). è caratterizzato dalla separazione completa della
Il trattamento è spesso conservativo e consiste epifisi rispetto alla diafisi a livello della cartilagine
in una riduzione a cielo chiuso che si ottiene con di accrescimento (Fig. 13.45). Questa lesione è più
la trazione manuale del polso e l’immobilizzazione frequente nei neonati e nella prima infanzia e in al-
in apparecchio gessato per un periodo di circa sei cuni casi può non essere evidente nelle radiografie
settimane (Fig. 13.43). Qualora la riduzione non in quanto l’epifisi non è ancora calcificata.
sia possibile a cielo chiuso o i frammenti siano in- La lesione di tipo II è la lesione più frequente fra i
stabili con tendenza a spostarsi all’interno
del gesso, è consigliabile il trattamento
chirurgico che consiste nella riduzione e
sintesi con fissatore esterno o placca (Fig.
13.44).
DISTACCHI EPIFISARI
I distacchi epifisari sono lesioni che
interessano la cartilagine metafisaria del
bambino prima del termine dell’accre-
scimento scheletrico. La cartilagine di Fig. 13.45 Distacco epifisa- Fig. 13.46 Distacco epifi- Fig. 13.47 Distacco epifisa-
accrescimento, essendo meno resistente, rio di tipo Salter I. sario di tipo Salter II. rio di tipo Salter III.
13. Trattamento delle fratture 221
A B A B A B
Fig. 13.48 Distacco epifisario di tipo Salter IV (A). Fig. 13.49 Distacco epifisario di tipo Salter V (A). Fig. 13.50 Distacco epifisario di tipo Salter VI (A). La
Se la riduzione non è anatomica, si ha un parziale arresto Parte della cartilagine di accrescimento può danneggiarsi, parte della cartilagine di accrescimento guarisce, causando
della crescita epifisaria, che porta a deviazione dell’asse del portando a deviazione dell’asse del segmento scheletrico l’arresto di crescita portando a deviazione dell’asse del
segmento scheletrico interessato (B). interessato (B). segmento scheletrico interessato (B).
distacchi epifisari. La rima di frattura inizialmente de- In questi casi la comparazione radiografica dell’arto
corre lungo la cartilagine di accrescimento ma succes- controlaterale può essere utile per identificare lievi
sivamante interessa l’osso metafisario determinandone differenze nel grado di scomposizione o riduzione
il distacco di un piccolo frammento (Fig. 13.46). dell’altezza della cartilagine articolare, che permet-
La lesione di tipo III è una forma molto rara ed tono di porre una diagnosi più accurata.
è caratterizzata da una frattura articolare in cui la Il trattamento di queste lesioni deve essere intra-
rima si estende lungo l’epifisi e successivamente de- preso rapidamente e prevede la riduzione quanto
corre lungo la cartilagine di accrescimento determi- più possibile anatomica del distacco epifisario, as-
nando il distacco di un frammento epifisario (Fig. sociata alla immobilizzazione in gesso per un perio-
13.47). do di circa 3-4 settimane nell’arto superiore e 4-8
Nella lesione di tipo IV la rima di frattura origi- settimane nell’arto inferiore. Quando la riduzione a
na dalla superficie articolare e si estende alla regione cielo chiuso non è possibile a causa della comples-
metafisaria attraversando la cartilagine di accresci- sità del distacco epifisario, può rendersi necessario
mento (Fig. 13.48). l’intervento chirurgico, che prevede la fissazione dei
La lesione di tipo V è dovuta ad un trauma che frammenti con fili di Kirshner applicati attraverso
determina la compressione della cartilagine di ac- piccole incisioni cutanee.
crescimento con sovvertimento della normale ar- Sebbene i distacchi epifisari consolidino facil-
chitettura della stessa (Fig. 13.49). L’interessamen- mente sono necessari controlli periodici fino alla
to della cartilagine articolare può essere totale o fine dell’accrescimento, per verificare la comparsa
parziale. di anomalie di sviluppo della crescita del segmen-
La lesione di tipo VI è rappresentato dall’avul- to colpito. La cartilagine di accrescimento lesa dal
sione di un frammento a cavallo della cartilagine di distacco epifisario può andare incontro ad una
accrescimento, dovuto spesso alla trazione esercita- precoce chiusura dopo la guarigione della frattura
ta dalle inserzioni legamentose (Fig. 13.50). (epifisiodesi post-traumatica). Nel caso di un di-
Clinicamente, i distacchi epfisari hanno la stes- stacco epifisario di tipo I (puro) il segmento sche-
sa sintomatologia di una frattura. In seguito ad un letrico cresce meno del controlaterale. Nel caso di
trauma il bambino, presenta intenso dolore a un distacchi epifisari più complessi tipo II, III, IV, V,
arto, in regione meta epifisaria. Compaiono spesso VI la precoce chiusura di una parte della cartila-
tumefazione e dolore, ed impotenza funzionale. gine di accrescimento associata alla normale cre-
La conferma diagnostica del sospetto clinico di scita di un’altra parte, determina una progressiva
distacco epifisario si effettua mediante una radiogra- deformità assiale del segmento osseo: ad esempio,
fia, anche se questa può risultare difficoltosa a causa nei distacchi epifisari misti della tibia prossimale,
della radiotrasparenza della cartilagine di accresci- si può osservare la comparsa di un ginocchio val-
mento soprattutto nel caso di lesione in compres- go, varo o ricurvato (vedi capitolo Dismetrie degli
sione o con minima scomposizione della frattura. arti inferiori.
222 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
Domande di autovalutazione
1. Quali sono i principali accorgimenti di primo soccorso che devono essere adottati in caso di sospetta
frattura?
2. Qual è il trattamento delle fratture diafisiarie?
3. Quali sono le fratture più frequenti nell’anziano?
4. Come vengono classificate le fratture del collo del femore?
5. Qual è il quadro clinico delle fratture del collo del femore?
6. Qual è il trattamento delle fratture del collo del femore?
7. Come si classificano i distacchi epifisari?
Complicanze delle fratture
14
Le complicanze delle fratture si distinguono in venosa profonda è la formazione di un trombo in
sistemiche o generali e locali. A loro volta queste una vena profonda, che causa danni locali; le lesio-
sono poi suddivise in immediate, precoci e tardive. ni del bacino e degli arti inferiori sono quelle che
più frequentemente sono causa di trombosi veno-
sa profonda. Clinicamente l’arto si gonfia in poche
Complicanze generali delle fratture ore, diventa dolente, rosso e caldo, potendo arrivare
Complicanze generali immediate anche a quadri ischemici.
La triade di Virchow descrive i fattori che pre-
Lo shock traumatico è frequente soprattutto nei dispongono e causano la trombosi: aumentata coa-
politraumi che coinvolgono il cranio, il torace e gulabilità, stasi e danno delle pareti vascolari. Altri
l’addome, sebbene anche una frattura diafisaria del fattori aumentano tale rischio: l’immobilità prolun-
femore possa esserne causa. È uno stato di shock gata (ad esempio in apparecchi gessati), le fratture
emorragico, con formazione di un grosso ematoma agli arti inferiori, gli interventi chirurgici (soprat-
da 500 ml fino a oltre 2 litri di sangue. I segni cli- tutto ortopedici), i politraumi, i precedenti even-
nici di shock traumatico sono: pallore, lipotimie, ti trombotici, l’essere in sovrappeso, la familiarità
accelerazione del polso e soprattutto caduta della e le neoplasie maligne. Inoltre per le donne sono
pressione arteriosa. importanti fattori di rischio l’assunzione degli anti-
concezionale orali e la gravidanza.
Complicanze generali precoci Un evento legato alla trombosi venosa profonda
è il distacco di uno o più frammenti dal trombo
L’embolia adiposa o grassosa si manifesta con (emboli) che vengono portati dalla corrente san-
l’inattesa comparsa, pochi giorni dopo la frattura guigna prima fino al cuore e successivamente nelle
di un osso lungo, di uno stato confusionale, ipossia arterie polmonari; qui i coaguli si fermano, causan-
(con insufficienza respiratoria) e petecchie transito- do un’ostruzione. La gravità dell’embolia polmona-
rie su guance, collo, ascelle, palato e congiuntiva. I re dipende dall’entità della trombosi, dal distretto
segni minori sono rappresentati da febbre, tachicar- interessato e dalle condizioni cardiocircolatorie di
dia, alterazioni della retina, ittero e alterazioni della base del paziente. Essa può interessare il microcir-
funzionalità renale. La radiografia del torace mostra colo (microembolia), per cui il paziente può anche
infiltrazioni bilaterali di aspetto sfumato rappresen- rimanere asintomatico, o i grossi vasi (embolia mas-
tate dal grasso midollare liberatosi dalla frattura che siva); quest’ultima può determinare un’insufficienza
ha provocato delle micro-embolizzazioni nei pol- respiratoria e cardiaca severa.
moni. Il rischio di embolia polmonare è assai più ele-
La trombosi venosa profonda e l’embolia polmona- vato se la trombosi non è stata prontamente dia-
re rappresentano le cause più comuni di morbilità gnosticata e trattata: si ritiene che in assenza di una
e di mortalità nei pazienti ortopedici. La trombosi corretta terapia anticoagulante, oltre il 40% delle
224 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
rizzata da dolori acuti con iperestesia dell’arto in- Pseudoartrosi. È l’assenza di consolidazione di
teressato, tumefazione, aspetto arrossato e violaceo una frattura oltre i tempi abituali, che si possono
della pelle con ipersudorazione e iperemia locale definire nell’ordine dei sei mesi ed è la conseguenza
in assenza di febbre. Successivamente si manifesta dell’arresto dell’evoluzione del callo osseo da oste-
rigidità articolare, limitazione funzionale e feno- oide a osso compatto. Clinicamente può essere evi-
meni atrofici della muscolatura. L’esame radio- dente una motilità preternaturale, dolore, fragilità
grafico mostra una demineralizzazione ossea con o deformità nella sede della frattura.
osteoporosi delle zone metafiso-epifisarie (vedi ca- Esistono due tipi principali di pseudoartrosi, le
pitolo: Algodistrofie). ipertrofiche e le atrofiche. Le pseudoartrosi ipertro-
fiche (soprattutto in seguito a fratture esposte), pre-
Ritardo di consolidazione. Il ritardo di consolida- sentano estremità ossee radiograficamente scleroti-
zione di una frattura si verifica quando la guarigio- che, addensate e allargate (pseudoartrosi a zampa
ne avviene in un tempo prolungato rispetto ai tem- d’elefante) (Fig. 14.4). La linea di pseudoartrosi è
pi classici. Radiograficamente il callo di frattura è evidente ed è riempita di tessuto fibroso e cartilagi-
poco evidente, e matura lentamente. Sono descritte neo o liquido. Il canale midollare è otturato com-
guarigioni di frattura in ritardo di consolidazione pletamente, e il focolaio è sempre mobile. Quando
anche a 2 anni dalla frattura. la pseudoartrosi viene completamente stabilizzata,
A B C
Fig. 14.6 Viziosa consolidazione di una frattura di tibia e perone destra in varismo (A). Il trattamento è consistito in una osteotomia correttiva della tibia e del perone aggiungendo un
cuneo osseo mediale stabilizzato con un filo di Kirshner (B). Una volta guarita l’osteotomia, l’arto è allineato (C).
A B
C D
Fig. 14.7 Frattura mediocervicale del collo del femore sinistro scomposta in varismo (A). Nonostante la corretta riduzione e sintesi con viti (B), la testa del femore è andata incontro a
necrosi ischemica (C) e ha richiesto un secondo intervento di sostituzione protesica (D).
228 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
Domande di autovalutazione
1. Quali sono le complicanze generali delle fratture?
2. Quali sono le complicanze locali delle fratture?
3. Cosa è la sindrome di Volkmann
15
Lesioni traumatiche
articolari e lesioni tendinee
Epidemiologia
Le distorsioni di ginocchio sono
2 1 tra i traumi più frequenti dell’arto
1 inferiore, soprattutto negli adole-
2 scenti e negli adulti che praticano
sport, in particolare lo sci, e gli
sport da incontro come il calcio e
football, anche se si verificano non
di rado durante atti sportivi come il
A B tennis, l’atletica leggera. Queste le-
sioni si osservano anche come con-
Fig. 15.1 Visione frontale di un ginocchio flesso a 90°; si notano i legamenti e le cartilagini meniscali (A). Visione seguenza di traumi indiretti come
coronale del piatto tibiale; si notano il menisco mediale (1), laterale (2), ed i legamenti crociati anteriore e posteriore incidenti stradali, cadute accidenta-
sezionati (B). li per strada, dalle scale o in casa.
Obiettivamente, il ginocchio
può apparire ecchimotico; nelle
distorsioni medie o gravi, vi può
essere la tumefazione, che si va-
luta mediante la palpazione della
rotula, potendone apprezzare il
“galleggiamento” o “ballottamen-
to rotuleo” sulla gola intercondi-
loidea, dovuta alla presenza di un
accumulo di liquido sinoviale o
sangue nello sfondato sovrarotu-
A B
leo (Fig. 15.3). Alla palpazione, si
Fig. 15.2 Trauma in valgismo e rotazione esterna (A) e trauma in varismo e rotazione interna (B) del ginocchio. deve identificare il dolore lungo il
decorso dei legamenti collaterale
mediale e/o laterale, a livello della rima articolare
capsula o del legamento collaterale mediale superfi- o sul piatto tibiale, o eventualmente ai punti meni-
ciale che generalmente si distacca dalla sua inserzione scali interno e esterno.
prossimale al condilo femorale, oppure rottura del le- Infine, devono essere eseguite le manovre di
gamento collaterale mediale superficiale e profondo. stress per valutare la stabilità articolare sia in valgi-
Nelle distorsioni in varismo e rotazione interna, vi smo che in varismo: queste devono essere eseguite
possono essere stiramento con ecchimosi o lacerazio- a ginocchio esteso, e in ambedue le ginocchia per
ne della capsula e del legamento collaterale laterale; poter apprezzare una eventuale apertura della rima
nelle distorsioni in iperestensione vi può essere uno articolare segno di instabilità post-traumatica (Fig.
stiramento del legamento crociato anteriore. 15.4). La stabilità del legamento crociato anteriore
si valuta mediante il test del cassetto: con il ginoc-
chio flesso a 90°, l’operatore, traziona anteriormen-
Distorsioni medie te la tibia rispetto al femore, apprezzando uno scor-
Nelle distorsioni in valgismo e rotazione esterna, rimento in avanti qualora sia lesionato il legamento
oltre alla lacerazione del legamento collaterale me- crociato anteriore.
diale, si può avere il distacco del corno posteriore Gli esami strumentali più importanti sono la
del menisco mediale dalla sua inserzione, a livello radiografia, dalla quale non si possono osservare le
della capsula postero mediale. lesioni a carico dei legamenti, della capsula, dei me-
Nelle distorsioni in varismo e rotazione interna, nischi normalmente presenti nelle distorsioni, ma
oltre alla lacerazione del legamento collaterale late- si possono escludere lesioni ossee come fratture o
rale si può avere lesione del menisco laterale
Distorsioni gravi
Oltre alle lesioni precedentemente illustrate, sia
per le distorsioni in valgismo e rotazione esterna,
sia per quelle in varismo e rotazione interna, sia per
quelle in iperestensione, si ha la lesione parziale o
completa del legamento crociato anteriore, del le-
gamento crociato posteriore o di entrambe.
Clinica
È molto importante l’anamnesi patologica remo-
ta, per tenere presenti nell’esame obiettivo eventuali
esiti di pregresse distorsioni al ginocchio, e l’anam- Fig. 15.3 Ballottamento rotuleo: la capsula articolare si distende e mantiene solle-
nesi patologica recente per comprendere il tipo di vata la rotula rispetto alla gola intercondiloidea. L’esaminatore con una leggera pressio-
trauma che ha provocato la distorsione. ne ne apprezza il “galleggiamento” se nel ginocchio vi è accumulo di liquido.
232 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
A B
Fig. 15.6 Immagine sagittale di risonanza magnetica nucleare del ginocchio, taglio mediale. Si nota superiormente il
condilo femorale mediale, e inferiormente il piatto tibiale; lo spazio che si trova tra le due componenti articolari è occupato
dalle rispettive cartilagini articolari, con interposizione del menisco mediale. I menischi appaiono, in sezione sagittale,
come due piccoli triangoli di colore nero con apice rivolto verso l’interno del ginocchio; il corno posteriore del menisco
mediale appare non uniforme, a causa della lesione che lo interessa (A). Immagine sagittale di risonanza magnetica nu- B
cleare del ginocchio, taglio laterale. Si nota superiormente il condilo femorale laterale, e inferiormente il piatto tibiale e la
porzione mediale del perone prossimale. La freccia indica la lesione del corno posteriore del menisco laterale (B).
C
Fig. 15.8 Lesione del menisco interno a manico di
secchio (A), del corno posteriore (B) o trasversale del
corpo del menisco esterno (C).
Distorsioni di caviglia
La caviglia è un ginglimo angolare, costituito
dall’articolazione tibio-peroneo-astragalica, grazie
alla quale si realizza un ampio movimento di flesso-
estensione del piede. Durante questo movimento,
la tibia e il perone modificano il loro rapporto re-
ciproco: si allontanano tra loro durante la flessione
(grazie alla sindesmosi tibio-peroneale distale), e si
avvicinano durante l’estensione a causa del fatto che
Fig. 15.11 Test del cassetto anteriore. la parte posteriore dell’astragalo è più larga rispetto
alla parte anteriore. L’articolazione della caviglia è
–– nel caso di pazienti sportivi, di età giovane, le resa stabile da una robusta capsula articolare, che la
lesioni croniche dei legamenti crociati (e talvol-
ta anche dei collaterali) possono essere trattate
mediante ricostruzione chirurgica: il legamento
Sindesmosi tibio-peroneale
rotto viene ricostruito in artroscopia utilizzando (fascio anteriore)
un trapianto tendineo prelevato dallo stesso pa- Sindesmosi tibio-peroneale
Legamento
(fascio posteriore)
ziente; a tale scopo possono essere utilizzati di- peroneo-astragalico
anteriore
versi tendini a seconda della tecnica chirurgica, Legamento
peroneo-astragalico
in genere il semitendinoso e gracile accoppiati, posteriore
Legamento
peroneo-
calcaneare
Visione laterale
Legamento deltoideo
Visione mediale
Fig. 15.12 Immagine sagittale di risonanza magnetica nucleare del ginocchio, taglio
centrale alla gola del ginocchio. Si nota il legamento crociato anteriore, che appare sfi- Fig. 15.13 Articolazione della caviglia: si notano i legamenti peroneo astragalico
lacciato; le frecce indicano i punti di inserzione femorale e tibiale del legamento. Questa anteriore, peroneo calcaneare e peroneo astragalico posteriore, la sindesmosi tibio pero-
lesione determina instabilità del ginocchio. neale ed il legamento deltoideo.
236 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
Epidemiologia
A B Le distorsioni di caviglia sono
tra i traumi più frequenti dell’arto
Fig. 15.14 L’inversione (A) ed eversione (B) del piede, se effettuate otre il fisiologico arco di movimento, dell’artico- inferiore, e si possono verificare in
lazione sottoastragalica, possono provocare una distorsione di caviglia. soggetti di tutte le età con i mecca-
nismi traumatici più diversi. Sono
comunque frequentissime nella
pratica sportiva, in particolare nel
gioco del calcio, nel football, nella
pallacanestro, e negli sport da in-
contro in genere. Sono frequenti
nei cacciatori, e nei pastori, che
sono soliti camminare su terreni
sconnessi, ma si osservano anche
come conseguenza di incidenti
stradali, cadute accidentali, dalle
scale o in casa.
Eziopatogenesi
Il meccanismo eziopatogenetico
è estremamente importante, perché
permette di capire quali strutture
A B anatomiche siano interessate dalla
distorsione della caviglia. Il trauma
Fig. 15.15 Lesione dei legamenti del compartimento esterno nella distorsione in inversione (A) e del compartimento
è quasi sempre indiretto, e può av-
interno in eversione (B) della caviglia.
venire in uno dei seguenti modi:
– con l’arto in appoggio, un
avvolge completamente, e dalla presenza di alcuni trauma in inversione della caviglia, interessa la
legamenti: nel compartimento laterale si trovano capsula laterale, i legamenti peroneo astragalico
il legamento peroneo-astragalico anteriore, il lega- anteriore, peroneo calcaneare o peroneo astra-
mento peroneo-calcaneare, e il legamento peroneo- galico posteriore, la sindesmosi tibio peroneale,
astragalico posteriore. Nel compartimento mediale e i legamenti del compartimento mediale (Fig.
si trova il legamento deltoideo, e tra la tibia ed il 15.15 A).
perone si trova la sindesmosi tibio-peroneale (fascio –– con l’arto in appoggio, un trauma in eversione
anteriore e fascio posteriore) (Fig. 15.13). L’articola- della caviglia, interessa la capsula mediale, il le-
zione della caviglia provvede quasi esclusivamente al gamento deltoideo, la sindesmosi tibio peronea-
movimento di flesso estensione del piede, in quanto le, e i legamenti del compartimento laterale (Fig.
i movimenti di inversione ed eversione, sono ga- 15.15 B).
15. Lesioni traumatiche articolari e lesioni tendinee 237
2-6 settimane a seconda della gravità del trauma. spesso sportivi. Si verificano in genere a seguito di
Lo stivaletto gessato o il tutore rigido, mantengono gravi traumi distorsivi, a causa dell’impatto diretto
bloccata la caviglia, permettendo la guarigione del- delle superfici articolari. Si osservano spesso a livel-
le lesioni legamentose occorse nella distorsione; il lo del condilo femorale laterale, a seguito di traumi
carico viene in genere proscritto durante le prime 2 in valgismo rotazione esterna, nel condilo femorale
settimane di immobilizzazione. mediale a seguito di traumi in varismo rotazione in-
Il trattamento deve essere concluso, con la pre- terna a livello del ginocchio; a livello della caviglia
scrizione di un periodo di 2-4 settimane di fisiotera- si osservano sulla superficie mediale dell’astragalo a
pia a seconda della gravità del trauma, che consenta seguito di distorsioni in inversione e sulla superfi-
il recupero graduale dell’articolarità della caviglia, e cie laterale a seguito di distorsioni in eversione. La
il progressivo rinforzo muscolare. cartilagine articolare danneggiata dal trauma va in
Nelle distorsioni di grave entità nelle quali sia necrosi e tende a staccarsi, formando così una irre-
dimostrata una grave instabilità articolare dovuta golarità della superficie articolare.
alla lesione completa di più legamenti, può esse- Molto spesso la sintomatologia della lesione oste-
re indicato il trattamento chirurgico. L’intervento ocondrale viene mascherata da quella dell’evento di-
consiste nella sutura dei legamenti lesionati con storsivo che la produce in quanto il quadro clinico è
punti riassorbibili trans-ossei a livello delle inser- completamente sovrapponibile. Negli atleti soggetti
zioni. Il cedimento della sindesmosi tibio-perone- a distorsioni frequenti, è inoltre difficile mettere in
ale si tratta applicando una vite dal perone verso relazione la lesione osteocondrale con un singo-
la tibia che mantiene chiusa la pinza e permette la lo evento distorsivo. Pertanto la sintomatologia di
guarigione del legamento senza necessità della su- una lesione osteocondrale è subdola, e si manifesta
tura. Il trattamento è in genere seguito da una im- come un ritardo di guarigione di un episodio di-
mobilizzazione in stivaletto gessato o tutore rigido storsivo: nonostante il trattamento riabilitativo, il
per un periodo di 6 settimane, seguito da un pe- paziente continua a lamentare dolore al carico, e al
riodo di rieducazione di 6-12 settimane. L’attività movimento, anche vari mesi dopo il trauma.
sportiva in genere può essere intrapresa 4-6 mesi Clinicamente l’articolazione può presentarsi
dopo l’intervento. asciutta, o moderatamente tumefatta, con dolore
Nel caso di distorsioni di grave entità che ab- elettivo sulla lesione a livello del condilo femorale o
biano generato una instabilità cronica, può esse- della superficie dell’astragalo.
re indicato un trattamento riabilitativo mirato al La lesione osteocondrale non è solitamente evi-
rinforzo della muscolatura del piede, oppure, in dente alla radiografia tradizionale, mentre può esse-
pazienti sportivi ad alta richiesta funzionale può re rilevata attraverso la RMN che mostra alterazione
essere indicato il trattamento chirurgico di rico- focale del segnale della superficie della cartilagine
struzione chirurgica dei legamenti: i legamenti rot- articolare e, nei casi più gravi, dell’osso subcondrale
ti vengono ricostruiti utilizzando un trapianto ten- (Fig. 15.16).
dineo prelevato dallo stesso paziente, a tale scopo Il trattamento delle lesioni osteocondrali dipen-
possono essere utilizzati diversi tendini a seconda de dall’estensione della lesione, dall’età del paziente
della tecnica chirurgica, in genere il plantar gracile, e dalle sue richieste funzionali.
o il peroneo breve. L’intervento chirurgico richiede Il trattamento conservativo viene riservato nel-
un percorso riabilitativo impegnativo che compor- le lesioni di estensione limitata (<1,5 cm2) nei pa-
ta un primo periodo di 4-6 settimane per recupera- zienti giovani non sportivi oppure nei pazienti di
re la completa articolarità della caviglia seguito da età superiore a 40 anni. Il trattamento consiste nel
4-8 settimane per il recupero del tono muscolare. riposo, magnetoterapia, terapia fisica con laser e
Il reinserimento nella pratica sportiva avviene in ultrasuoni e terapia infiltrativa con cortisonici e/o
circa 6 mesi. farmaci condroprottetori.
Il trattamento chirurgico è riservato a pazienti ad
Lesioni osteocondrali alta richiesta funzionale e, a seconda dell’estensione
della lesione può prevedere:
Le lesioni osteocondrali sono lesioni circoscritte –– nelle lesioni di superficie inferiore a 1,5 cm2, in
della cartilagine articolare e dell’osso subcondrale artroscopia si procede alla rimozione di tutta la
sottostante, che colpiscono per lo più le articolazio- lesione osteocondrale, e si eseguono microfrattu-
ni del ginocchio e della caviglia, in soggetti giovani, re dell’osso subcondrale con un piccolo puntale
15. Lesioni traumatiche articolari e lesioni tendinee 239
A B
Fig. 15.16 RMN che mostra lesione osteocondrale dell’astragalo (A) e del condilo mediale del ginocchio (B).
B
Fig. 15.17 Trattamento di una lesione osteocondrale superficiale di 1,5 cm2 attra- Fig. 15.18 Trattamento di una lesione osteocondrale di 3 cm2 della caviglia, attra-
verso l’esecuzione di microfatture dell’osso subcondrale in artroscopia. verso trapianto di condrociti antologhi in artroscopia.
240 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
Il trattamento chirurgico deve essere seguito da grafia permette di escludere eventuali interessamen-
un periodo di riabilitazione della durata di circa 3 ti ossei, come i distacchi parcellari.
mesi: nel post-operatorio, l’articolazione non viene Subito dopo il trauma è consigliata l’applicazio-
immobilizzata, ma il carico viene proscritto per le ne di ghiaccio locale (per ridurre l’infiammazione
prime 6-8 settimane. La fisioterapia ed il movimen- locale e il dolore); utili anche i farmaci antinfiam-
to articolare, fin dall’immediato post-operatorio fa- matori ed eventualmente gli antidolorifici, durante
voriscono la riparazione della lesione ostecondrale. i primi giorni.
Il carico viene concesso progressivamente, ed infine Un lesione parziale può essere trattata in modo
viene eseguita una riabilitazione mirata al recupe- conservativo, attraverso l’immobilizzazione per 4-6
ro della potenza muscolare. L’attività sportiva può settimane, seguita da un periodo di riabilitazione di
essere ripresa circa 6-12 mesi dopo il trattamento 4-6 settimane.
chirurgico.
ROTTURE TENDINEE
Traumi anche di non notevo-
le entità possono determinare la
rottura sottocutanea, parziale o
totale, di un tendine, dovuta a
brusca contrazione muscolare.
Solitamente sono colpiti i tendini
con alterazioni degenerative pre-
esistenti, anche modeste e spesso
non note al paziente. La lesione
può verificarsi a livello della giun- A B
zione muscolo-tendinea o in sede
di inserzione ossea (distacco). Fig. 15.19 Schema di rottura del tendine di Achille; si noti la completa interruzione delle fibre del tendine (A). Riso-
Le sedi più colpite sono: il ten- nanza magnetica nucleare, in un taglio sagittale; si noti la rottura completa del terzo distale del tendine di Achille: il capo
dine d’Achille (Fig. 15.19), il capo distale ha mantenuto la sua inserzione al calcagno, mentre il capo prossimale appare retratto (B).
lungo del bicipite, il tendine del
quadricipite, il legamento rotuleo.
Il paziente riferisce dolore, insorto improvvisa-
mente: spesso riferisce una sensazione di strappo
improvviso o un colpo secco. Ad esempio, nella
lesione del tendine d’achille, che si verifica in ge-
nere durante la corsa, il paziente avverte un colpo
secco alla regione posteriore della gamba, che sem-
bra un calcio. Il dolore, anche se non intenso pro-
voca impotenza funzionale immediata. Compare
rapidamente un ematoma con ecchimosi. L’arco di
movimento passivo dell’articolazione interessata in
genere non è ridotto, mentre risulta ridotta la capa-
cità di movimento attivo. Nella lesione del tendine
d’Achille la flessione attiva plantare risulterà molto
diminuita (ma non completamente assente per la
contrazione dei flessori mediali del piede e del plan-
tar gracile); nella lesione del capo lungo del bicipite Fig. 15.20 Paziente con rottura del tendine d’Achille dx: è visibile un lieve affos-
si può notare la retrazione del corpo muscolare ri- samento in corrispondenza della lesione (freccia). L’esaminatore sta eseguendo il test
spetto al controlaterale, durante la flessione attiva di Thomson: il paziente viene posizionato in decubito prono, con i piedi sporgenti dal
dell’avambraccio (braccio di Popaye). lettino; fisiologicamente la compressione del muscolo tricipite surale provoca la fles-
L’esame obiettivo è di solito sufficiente a porre la sione plantare del piede; il test risulta positivo quando alla compressione del muscolo
diagnosi di rottura tendinea (Fig. 15.20); la radio- tricipite non segue la plantarflessione del piede, a causa della discontinuità del tendine.
15. Lesioni traumatiche articolari e lesioni tendinee 241
La lesione totale di un tendine in genere vie- Attraverso una incisione della cute, si espongo-
ne trattata chirurgicamente nei pazienti attivi, no i due monconi tendinei e si esegue una sutura
che debbano riprendere la funzionalità completa termino-terminale.
dell’arto. Il trattamento conservativo, che consiste Nel caso di ampie degenerazioni tissutali, o
in una immobilizzazione di circa 4-6 settimane per quando vi siano rirotture è necessario eseguire un
l’arto superiore, e 8-12 settimane per l’arto inferiore intervento maggiormente invasivo che prevede la
ha lo svantaggio di essere un trattamento di lunga plastica di rinforzo del tendine rotto mediante ri-
durata e difficile da accettare dal paziente: si riser- baltamento di una parte del tendine con tessuto
va di solito in pazienti in età avanzata, o con rischi sano. Il trattamento postoperatorio prevede una
chirurgici elevati. Il trattamento chirurgico consiste iniziale immobilizzazione in tutore rigido per cir-
nella nella sutura dei capi tendinei (diretta o con ca 3 settimane, seguita da esercizi di riabilitazione
ribaltamento di un capo) o nella reinserzione del al movimento senza carico per circa 4-6 settimane.
tendine nella sua sede o in zona adiacente, riguarda La guarigione completa avviene in circa 12-18 set-
la maggior parte dei pazienti. timane.
Domande di autovalutazione
1. Quali strutture articolari sono interessate dal trauma in valgismo e rotazione esterna del ginocchio?
2. Quali sono le complicanze più severe delle distorsioni di ginocchio?
3. Qual è il quadro clinico delle lesioni meniscali?
4. Qual è il quadro clinico delle lesioni legamentose del ginocchio?
5. Quali strutture articolari sono interessate dal trauma in inversione della caviglia?
6. Qual è il trattamento delle distorsioni lievi di caviglia?
7. Come viene posta la diagnosi di rottura del tendine d’Achille?
Lussazioni
16
Per lussazione si intende la perdita permanente mento scheletrico lussato, dall’irriducibilità della
dei rapporti tra i capi articolari di un’articolazione. lussazione, dalla coesistenza di turbe vascolari e
Si distinguono in: nervose e dalla esposizione. Tardivamente, la lussa-
–– complete, quando si ha la perdita totale dei rap- zione recente (verificata 24-36 ore prima del riscon-
porti articolari; tro clinico) si può trasformare in abituale, si può
–– sublussazioni, quando la perdita dei rapporti è produrre necrosi asettica del capo articolare lussato,
parziale. ossificazioni periarticolari con possibili rigidità e
In base alla frequenza, le lussazioni, sono suddi- lassità articolare.
vise in: Lussazioni non ridotte da oltre 4-6 settimane e
–– acute; lussazioni ricorrenti vanno trattate chirurgicamen-
–– recidivanti, se riprodotte per nuovo evento trau- te; in particolare, per le prime la riduzione chiusa è
controindicata per l’alto rischio di fratturare il capo
matico anche di modesta intensità;
articolare.
–– abituali, se si producono con facilità anche per
traumatismi di per sé non sufficienti.
Le lussazioni traumatiche sono sicuramente le Lussazione acuta di spalla
più frequenti, e sono classificate a loro volta a se- Per lussazione della spalla si intende la perdita
conda della direzione dello spostamento del capo completa dei normali rapporti articolari tra la testa
articolare distale rispetto al prossimale (ed esempio dell’omero e la glenoide della scapola.
anteriore o posteriore); la diagnosi viene posta in La lussazione acuta si determina quasi costan-
base all’anamnesi patologica remota (storia di lus- temente per un meccanismo di caduta sulla mano
sazioni) e recente (tipo di trauma, dolore); obiet- o sul gomito, ad arto atteggiato a difesa, più rara-
tivamente si nota deformità, tumefazione, dolore mente per caduta diretta sulla spalla, e solitamente
digitopressorio e ai movimenti; i segni clinici pos- è una lussazione anteriore o antero inferiore la te-
sono essere suddivisi in segni che denotano l’assen- sta omerale si può trovare al di sotto della capsula
za dell’estremità dell’articolazione nella sua anato- articolare, nel caso in cui vi sia la contemporanea
mica posizione e segni che denotano la presenza lesione anteriore della capsula stessa (Fig. 16.1). La
dell’estremità in una posizione non anatomica. La lussazione posteriore e l’inferiore (eretta) sono rare.
conferma radiografica è fondamentale. Il paziente, che solitamente è un giovane adulto,
La lussazione acuta di un’articolazione è un’emer- si presenta all’osservazione con il braccio interessato
genza ortopedica, e va trattata con riduzione imme- dal trauma sostenuto dall’altro. Dopo avere raccol-
diata; l’arto deve poi essere immobilizzato per 3-4 to l’anamnesi (il dolore che accompagna la lesione è
settimane, fino alla guarigione dei tessuti molli. intenso e acuto), bisogna eseguire un accurato esame
Le complicanze immediate sono rappresentate obiettivo: l’aspetto clinico è caratteristico, oltre che
dalla associazione con la frattura dello stesso seg- per l’atteggiamento obbligato dell’arto, per la defor-
244 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
consiste nella trazione del braccio e nella successiva in supinazione si percepisce un lieve scatto, dovu-
e graduale flessione del gomito, spingendo dolce- to alla riduzione del capitello radiale; la manovra
mente l’avambraccio nella direzione contraria alla riduttiva si completa con la flessione del braccio.
lussazione. La buona mobilità e la diminuzione del Dopo pochi minuti il bambino smette di piangere
dolore suggeriscono l’efficacia della riduzione, men- e comincia a muovere braccio: se afferra un oggetto
tre l’eventuale presenza di scroscio al movimento è con la mano vuol dire che l’articolazione è ridotta.
indicativo della presenza di frammenti ossei in arti- In genere non è necessaria alcuna immobilizza-
colazione. zione, e la piccola lesione del legamento anulare
La riduzione cruenta è indicata in pazienti con guarisce con restituzione ad integrum. È comunque
richieste funzionali molto alte (atleti), in caso di importante spiegare ai genitori che può diventare
gravi instabilità e di presenza di frammenti ossei ricorrente, visto che episodi ravvicinati di lussazio-
in articolazione (sia prima che dopo la riduzione ne interrompono il processo di guarigione del lega-
chiusa). mento favorendo la produzione di una tasca cica-
Dopo la riduzione, aperta o chiusa, il gomito triziale.
deve essere immobilizzato a 90° per 4 settimane,
con un tutore o un bendaggio che può essere ri-
mosso per effettuare i primi esercizi di riabilitazio- Lussazione dell’anca
ne, che devono essere proseguiti anche successiva- La lussazione dell’anca consiste nella fuoriuscita
mente: una delle complicanze più frequenti, infatti, della testa femorale dall’acetabolo (Fig. 16.3).
è la rigidità dell’articolazione, in particolare con L’articolazione coxofemorale è un’articolazione
l’avanzare dell’età. molto stabile, grazie ai tanti mezzi di unione: la
Un’altra complicanza a lungo termine, dovuta concavità dell’acetabolo, la capsula articolare, i tre
al trauma subito dai muscoli, è rappresentata dalla legamenti di rinforzo longitudinali (ileofemorale,
miosite ossificante, in particolare in seguito a trau- ischiofemorale e pubofemorale) ed l’intrarticolare
mi di alta intensità e a trattamento ritardato. Rara- (il legamento rotondo). La capsula si fissa prossi-
mente la lussazione del gomito diventa ricorrente, malmente all’acetabolo e distalmente sulla linea in-
per lassità dei legamenti postero-laterali, e va sem- tertrocanterica femorale anteriormente, mentre po-
pre trattata chirurgicamente. steriormente si fissa al collo, in una zona intermedia
tra terzo medio e terzo distale; il collo anatomico
Pronazione dolorosa femorale è, quindi, intrarticolare anteriormente e
posteriormente nei 2/3 mediali.
La pronazione dolorosa è una forma di lussazio- La lussazione dell’anca è un evento che coinvol-
ne del gomito che consiste nella perdita parziale ge in particolare i giovani adulti, essendo comun-
del contatto dell’epifisi prossimale del radio con il que possibile anche nei più piccoli. La lussazione è
condilo omerale, con lesione del legamento anu- causata da una trauma ad alta energia, per la grande
lare; colpisce i bambini tra i 2 e i 6 anni, nei quali stabilità dell’articolazione.
è molto frequente, in seguito a trazionamento del Il meccanismo traumatico è l’impatto a ginoc-
braccio (ad esempio quando il bambino viene sol- chio flesso, come durante gli incidenti stradali ad
levato da parte di un adulto durante un gioco, o alta velocità. Spesso si associa a lesioni multiple de-
per evitarne la caduta). gli arti inferiori, tra le quali frequenti sono le frattu-
Il bambino comincia subito a piangere, non re di bacino, della rotula, della diafisi femorale e del
muove il braccio, lo mantiene in atteggiamento di legamento crociato posteriore del ginocchio. Visti i
leggera intrarotazione e lungo il corpo, non per- rapporti anatomici, la lussazione posteriore dell’an-
mette a nessuno di toccarlo e gli risulta impossibile ca può provocare anche lesione del nervo sciatico,
afferrare e stringere un oggetto con la mano. fino al 20% dei casi, e dei vasi sanguigni della testa
L’esame obiettivo, unito alla descrizione che il del femore (Fig. 16.4).
genitore fa del trauma, è molto suggestivo, e per Clinicamente, si manifesta con un dolore molto
questo la diagnosi è solamente clinica. intenso, accompagnato da perdita funzionale, e rife-
La riduzione va effettuata afferrando con una riscono una sensazione di “ingombro” in sede glutea.
mano il polso del bambino, e mantenendo il go- All’esame obiettivo, l’anca lussata posteriormen-
mito in posizione con l’altra mano; esercitando te si presenta accorciata, addotta, flessa ed intraro-
una leggera trazione sul braccio e ruotando il polso tata; alla palpazione si nota la deformità a livello
16. Lussazioni 247
del grande trocantere, che si tro-
va al di sotto dei muscoli glutei.
È fondamentale valutare la pre-
senza dell’interessamento del ner-
vo sciatico mediante valutazione
neurologica, sia della sensibilità
dell’arto inferiore che della motili-
tà del ginocchio e del piede contro
resistenza.
L’esame radiologico (radiogra-
fia antero-posteriore che mostri
entrambe le anche) è fondamenta-
le per escludere un’eventuale frat-
tura del femore o dell’acetabolo, e
per confermare l’ipotesi diagno-
stica: la testa del femore lussata si
trova fuori dall’acetabolo e in una A
posizione che appare prossimale
e superiore rispetto alla controla-
terale; si nota l’interruzione della
linea di Shenton (linea immagi-
naria che corre lungo la porzione
inferiore del collo del femore e
lungo quello superiore del forame
otturatorio).
La riduzione della lussazione
dovrebbe essere effettuata in nar-
cosi, al fine di evitare dolore al
paziente e di diminuire la resisten-
za opposta dai muscoli, ed il più
rapidamente possibile: in caso di
interessamento dei nervi e dei vasi
sanguigni, la lussazione posteriore
dell’anca diventa una vera e pro-
pria emergenza, e andrebbe tratta- B
ta entro 6 ore dal trauma.
La riduzione può essere effet- Fig. 16.3 Immagine radiografica (A) e ricostruzione tridimensionale TAC di lussazione (B) traumatica di anca: la testa
tuata incruentemente: il bacino del femore, fuoriuscita dalla cavità acetabolare, appare risalita; è presente anche una frattura dell’acetabolo, che spesso si
del paziente, che si trova in decu- accompagna alla lussazione dell’anca.
bito supino, deve essere stabilizza-
to da un assistente, mentre l’ope-
ratore applica una cauta ma decisa
A B C
trazione dell’arto interessato, ad anca e ginocchio ne passiva e attiva dell’anca su tutti i piani, mentre
flesso, in direzione opposta alla lussazione; movi- il carico è più tardivo, verso le 6 settimane.
menti di rotazione possono risultare utili; lo scatto Le complicanze a lungo termine più frequen-
corrispondente alla riduzione è ben percepibile. ti in caso di lussazione dell’anca sono la necrosi
Al termine della riduzione, deve essere effettuato della testa del femore e l’artrosi post-traumatica
un controllo radiografico. (Fig. 16.5), perciò questi pazienti vanno visitati
In seguito viene applicata una immobilizzazione periodicamente nei successivi due anni. In caso di
in valva e viene consigliato il riposo per 3-4 setti- paralisi del nervo sciatico, il paziente presenterà
mane, tempo necessario perché si risolvano le lesio- zoppia importante, impossibilità di estendere il
ni dei tessuti molli; è concessa poi la mobilizzazio- piede.
Domande di autovalutazione
1. Qual è l’aspetto clinico nella lussazione di spalla?
2. Qual è il quadro clinico della lussazione d’anca?
3. Qual è la complicanza più grave della lussazione posteriore dell’anca?
17
Fratture e lussazioni
vertebrali
11 D
A 12 D
1L
2L
B
a) c)
Fig. 17.2 Le sedi più frequentemente colpite sono le vertebre situate nel passaggio
toraco lombare.
A B
accurato, e deve prevedere una completa ispezione inferiori e degli arti superiori è detto tetraplegia,
del paziente, per ricercare i segni di altre possibili che possono essere complete o incomplete.
fratture: infatti le fratture vertebrali, nei traumi ad La radiografia in genere è sufficiente per una
alta energia si associano spesso a fratture del calca- diagnosi iniziale di frattura o lussazione vertebra-
gno, del piatto tibiale, alla frattura lussazione del le. Ogni vertebra viene idealmente suddivisa in
cotile, o degli arti superiori. Spesso sono associate a tre porzioni (Fig. 17.4): la anteriore comprende i
lesioni interne, come rottura della milza, del fegato 2/3 del corpo vertebrale, la posteriore è formata
o della vescica. Il rachide deve essere ispezionato e dall’arco a partire dai peduncoli e la intermedia è
palpato alla ricerca di punti dolorosi, che possano la zona compresa tra le due; le fratture vertebrali
rivelare il livello di frattura. si definiscono instabili se interessano almeno 2 di
Nel caso di fratture mieliche, dovrà essere ese- queste 3 zone, altrimenti sono stabili.
guito un accurato esame neurologico per valutare: La TC e RMN sono esami che vengono ese-
–– la diminuzione o l’assenza di sensibilità distal- guiti dopo la radiografia, per valutare con maggior
mente alla lesione precisione le caratteristiche della frattura e identi-
–– la diminuzione o l’assenza di forza sotto alla le- ficare il possibile impegno del canale midollare dei
sione frammenti e le eventuali lesioni a carico del midol-
In base a questa valutazione è possibile stabilire il lo spinale o della cauda equina.
“livello neurologico” di una lesione. Devono essere
considerati i dermatomeri di innervazione sensiti-
Trattamento
va, le parestesie o le eventuali anestesie: Dal punto
di vista motorio si valuta la forza muscolare con Il trattamento delle fratture vertebrali stabili
una scala da 0 a 5 (vedi ernia del disco). La valuta- amieliche sia a livello cervicale, che a livello toraco
zione neurologica completa, nelle lesioni mieliche lombare è in genere conservativo. Nel rachide cer-
è comunque complessa, a causa dello shock spina- vicale possono essere utilizzati collari rigidi o mi-
le, che è un periodo caratterizzato dalla paralisi nerve gessate per un periodo di 8-12 settimane per
sensitiva e motoria completa associata all’assenza di consentire i processi riparativi delle lesioni. A livello
attività riflessa spinale al di sotto del livello della le- toraco lombare, potrà essere confezionato un appa-
sione: vi è paralisi flaccida sottolesionale. L’interes- recchio gessato antigravitario, oppure potrà essere
samento neurologico di entrambi gli arti inferiori è applicato un busto rigido a 3 punti che mantenga
detto paraplegia, mentre l’interessamento degli arti la colonna in scarico anche con il paziente in piedi,
252 Manuale di Ortopedia e Traumatologia
durante il processo di guarigione della frattura che midollo spinale o della cauda equina in urgenza as-
in genere avviene in 12 settimane. sociata alla stabilizzazione, in quanto la risoluzione
Il trattamento delle fratture vertebrali instabili o della compressione midollare può portare ad una re-
delle sublussazioni amieliche a livello cervicale, ri- gressione dei sintomi neurologici. Qualora la sinto-
chiede la riduzione della frattura o della lussazione matologia neurologica sia occorsa da oltre 12 ore e il
in urgenza e l’immobilizzazione in trazione o Halo. livello neurologico sia stabile, l’intervento di decom-
La stabilizzazione definitiva della frattura può esse- pressione chirurgica associata alla stabilizzazione po-
re eseguita immediatamente, qualora le condizioni trà essere eseguita in urgenza differita o in elezione a
cliniche del paziente lo necessitino o può essere seconda delle condizioni cliniche del paziente.
procrastinata di qualche giorno, e consiste nella sta- Grazie all’intervento chirurgico di decompres-
bilizzazione della vertebra fratturata con mezzi di sione e stabilizzazione artrodesi a livello toraco
sintesi interni (barre, viti o uncini) e nella esecuzio- lombare, il paziente potrà assumere tutte le posture
ne di una solida artrodesi. durante il ricovero, senza rischiare di peggiorare le
Il trattamento delle fratture vertebrali instabi- sue condizioni neurologiche. Inoltre, la stazione se-
li o delle sublussazioni amieliche a livello toraco- duta e la deambulazione possono essere recuperate
lombare, richiede la stabilizzazione per evitare il in tempi molto brevi e la riabilitazione può essere
rischio di trasformare la lesione amielica in lesione precoce. La stabilità iniziale dell’impianto è affidata
mielica con i movimenti del paziente. L’intervento, alle viti e le barre inserite nelle vertebre superiore ed
può essere programmato, a seconda delle condizio- inferiore a quella fratturata, mentre l’artrodesi di-
ni cliniche del paziente: tanto prima viene eseguito, venta solida in circa 12 settimane.
quanto maggiori saranno le possibilità di riduzione Nel periodo post-operatorio, un paziente con
della frattura, e consiste nella stabilizzazione della frattura vertebrale mielica va incontro gradualmen-
frattura fissando la vertebra superiore e la vertebra te alla risoluzione dello shock spinale, a seconda
inferiore alla frattura mediante viti peduncolari e della lesione si potrà verificare:
barre, e nella esecuzione di una artrodesi a livello –– la risoluzione dello shock spinale con recupe-
della frattura (Fig. 17.5). ro parziale o totale delle funzioni del midollo
Il trattamento delle fratture vertebrali o delle su- spinale, nel caso in cui la lesione fosse soltan-
blussazioni mieliche a livello toraco-lombare dipen- to compressiva, e precocemente risolta. Questo
de dal momento di osservazione della frattura e dal recupero può avvenire in alcune ore, oppure in
momento di insorgenza della sintomatologia mieli- giorni o addirittura mesi. È comunque oppor-
ca: qualora la sintomatologia neurologica sia occorsa tuno il trasferimento in un centro di riabilita-
entro 6-12 ore, oppure sia in accertato aggravamen- zione specializzato per il trattamento delle mie-
to, è opportuna la decompressione chirurgica del lolesioni.
17. Fratture e lussazioni vertebrali 253
C D
–– la risoluzione dello shock spinale senza alcun caso di lesioni distali al livello di L1, la paralisi
recupero delle funzioni del midollo spinale, nel rimane flaccida in quanto la lesione non interes-
caso in cui vi fosse una rottura del midollo spi- sa il sistema nervoso centrale (il midollo spina-
nale o una forte compressione che ne abbia de- le), bensì il sistema nervoso periferico (la cauda
generato le fibre, oppure una compressione pro- equina). Compare vescica neurologica atonica. Il
tratta nel tempo. La risoluzione è accompagnata paziente deve essere avviato ad un centro di ria-
da comparsa di paralisi spastica sottolesionale, se bilitazione specializzato per il trattamento delle
la lesione interessa il midollo spinale fino a L1. mielolesioni, per valorizzare le sue capacità mo-
Compare vescica neurologica ipertonica. Nel torie residue.
Domande di autovalutazione
1. Quali sono i meccanismi traumatici delle fratture-lussazioni vertebrali?
2. Quali sono le vertebre più frequentemente interessate dalle fratture-lussazioni?
3. Come viene valutato il paziente con trauma vertebrale?
4. Qual è il trattamento delle fratture-lussazioni vertebrali?
Indice analitico
J Lombalgia Metabolismo
Johansson-Larsen, morbo di, 45 – – clinica, 153 – del calcio, regolazione del, 5f
– – – manovra di Lasègue, 155 – osseo, fisiologia del, 4
K – – – manovra di Wasserman, 155 Metastasi ossee, 182
Kienboeck, malattia di, 53 – – definizione, 151 – osteoaddensanti, 183
Kohler, morbo di, 45, 51 – – diagnosi, 156 – osteolitiche, 183
– – epidemiologia, 151 Metatarso varo, 100
L – – eziopatogenesi, 151 Mielopatia cervicale, 161
Lachmann, test di, 234 – – – compressione radicolare, 151 Monoparesi, 131
Lasègue, manovra di, 155 – – – ernia del disco, 152 Morbo di Freiberg, 45, 52
Legg-Calvè-Perthes, morbo di, 45, 46 – – – interruzione radicolare, 151 Morbo di Johansson-Larsen, 45
Lesioni traumatiche articolari e lesioni – – – irritazione radicolare, 151 Morbo di Kohler, 45, 51
tendinee – – trattamento, 156 Morbo di Legg-Calvè-Perthes, 45
– distorsioni di caviglia, 235 Lussazione della rotula – definizione, 46
– – anatomia patologica, 237 – clinica, 91 – diagnosi, 48
– – – distorsioni gravi, 237 – definizione, 90 – – fase della frammentazione, 48
– – – distorsioni lievi, 237 – diagnosi, 92 – – fase della frattura subcondrale, 48
– – – distorsioni medie, 237 – eziologia, 90 – – fase della necrosi con nucleo metal-
– – clinica, 237 – trattamento, 92 lizzato, 48
– – epidemiologia, 236 Lussazioni, 243 – – fase della riossificazione, 48
– – eziopatogenesi, 236 – abituali, 243 – – fase iniziale di osteocondrosi, 48
– – trattamento, 237 – – lussazione abituale della spalla, 244 – – fase terminale, 48
– distorsioni di ginocchio, 229 – acute, 243 – – – coxa magna, 49
– – anatomia patologica, 230 – – lussazione acuta della spalla, 243 – – – coxa plana, 49
– – – distorsioni gravi, 231 – complete, 243 – – – coxa vara, 49
– – – distorsioni lievi, 230 – lesione della cuffia dei rotatori, 244 – epidemiologia, 46
– – – distorsioni medie, 231 – lussazione del gomito, 245 – eziologia, 46
– – clinica, 231 – lussazione dell’anca, 246 – patogenesi, 47
– – epidemiologia, 230 – lussazioni recidivanti, 243 – – fase della frammentazione, 48
– – eziopatogenesi, 230 – pronazione dolorosa, 246 – – fase della frattura subcondrale, 47
– – trattamento, 232 – sublussazioni, 243 – – fase della necrosi con nucleo metal-
– generalità sulle distorsioni, 229 Lussazioni vertebrali e fratture lizzato, 47
– – distorsioni gravi, 229 – clinica, 249 – – fase della riossificazione, 48
– – distorsioni lievi, 229 – – fratture amieliche, 249 – – fase iniziale di osteocondrosi, 47
– – distorsioni moderate, 229 – – fratture mieliche, 249 – – fase terminale, 48
– lesione dei legamenti del ginocchio, – definizione, 249 – quadri clinici, 48
234 – epidemiologia, 249 – trattamento, 49
– – stress in varo-valgo, 234 – eziopatogenesi, 249 Morbo di Osgood-Schlatter, 45, 52
– – test di Lachmann, 234 – trattamento, 251 Morbo di Pott, 43
– – test del cassetto anteriore e poste- Morbo di Scheuermann, 45
riore, 234 M Morbo di Sever, 45
– – trattamento, 234 Malattia di Dupuytren Morbo di Still, 28
– – – conservativo, 234 – clinica, 166 Morquio, malattia di, 68
– – – ricostruzione chirurgica, 235 – definizione, 166 Movimento, analisi del, 5
– lesioni meniscali, 232 – diagnosi, 167 Mucopolisaccaridosi
– lesioni osteocondrali, 238 – epidemiologia, 166 – clinica, 67
– rotture tendinee, 240 – eziopatogenesi, 166 – definizione, 66
Lipomi, 185 – trattamento, 167 – diagnosi, 67
Liposarcomi, 186 Malattia di Kienboeck, 53 – eziopatogenesi, 66
– liposarcoma mixoide, 186 Malattia di Morquio, 68 – trattamento, 67
– liposarcoma pleiomorfo, 187 Malattia di Paget Muscolo scheletrico, anatomia dell’appa-
Lombalgia – clinica, 24 rato, 3
– definizione, 146 – definizione, 23
– epidemiologia, 146 – epidemiologia, 23 N
– eziopatogenesi, 147 – eziopatogenesi, 23 Necrosi ossea ischemica, 228
– lombalgie extra-vertebrali, 148 – terapia, 24 Neonato, osteomielite ematogena del, 35
– – clinica, 149 Malattia di Scheuermann, cifosi nella, Neoplasie dell’osso e dei tessuti molli
– – – diagnosi, 150 110 – classificazione dei tumori dell’apparato
– – – diagnostica per immagini, 150 Manovra di Lasègue, 155 muscoloscheletrico, 169t
– – – trattamento, 151 Manovra di Wasserman, 155 – clinica, 170
– lombalgie vertebrali, 147 Marfan, sindrome di, 59 – – dolore in assenza di trauma apparen-
– lombocruralgia e lombosciatalgia Menisco, lesioni del, 232 te, 170
17. Indice analitico 259
Neoplasie dell’osso e dei tessuti molli Osteoma osteoide, 175 Paralisi cerebrali infantili, 131
– – dolore secondario ad un trauma mo- Osteomielite sclerosante di Garrè, 40 – – – paraparesi, 131
desto, 170 Osteomieliti – – – tetraparesi, 131
– – frattura patologica, 170 – definizione, 35 – trattamento
– definizione, 169 – epidemiologia, 35 – – chirurgico, 133
– epidemiologia, 169 – eziopatogenesi, 35 – – ortopedico, 133
– esami strumentali, 170 – osteomielite da infezione diretta, 38 – – riabilitativo, 133
– – angiografia, 171 – – clinica, 38 Paralisi ostetriche, traumi e, 136
– – biopsia, 171 – – diagnostica per immagini, 39 Paraparesi, 131
– – ecografia, 171 – – trattamento, 39 Patologie congenite
– – esami di laboratorio, 171 – osteomielite ematogena acuta, 36 – acondroplasia
– – radiografia convenzionale, 170 – – clinica, 36 – – clinica, 64
– – scintigrafia, 171 – – diagnosi radiografica, 37 – – definizione, 64
– – TAC e RMN, 171 – – trattamento, 37 – – diagnosi, 65
– stadiazione, 172 – osteomielite ematogena del neonato e – – eziopatogenesi, 64
del lattante, 35 – – trattamento, 65
O – osteomieliti croniche primitive, 39 – artrogriposi
Omero, fratture della diafisi dell’, 209 – – ascesso di Brodie, 39 – – clinica, 65
Osgood-Schlatter, morbo di, 45, 52 – – osteite corticale circoscritta, 40 – – definizione, 65
Ossa, – – osteomielite sclerosante di Garrè, 40 – – diagnosi, 66
– patologie infettive delle, 35 Osteonecrosi, 53 – – eziopatogenesi, 65
– patologie infiammatorie delle, 25 Osteonecrosi della testa del femore – – trattamento, 66
Osso corticale, 4f – clinica, 54 – costa cervicale, 72
Osteite corticale circoscritta, 40 – definizione, 53 – coxa vara, 88
Osteoblastoma, 175 – diagnostica per immagini, 54 – – epidemiologia, 89
Osteocondroma, 178 – epidemiologia, 53 – – eziologia, 89
Osteocondrosi, 45 – eziologia, 53 – – quadro clinico, 90
– da trazione, 45 – trattamento, 56 – – trattamento, 90
– – osteocondrosi del polo inferiore Osteopetrosi – displasia congenita dell’anca
delle rotula o morbo di Johansson- – clinica, 63 – – classificazione clinica, 80
Larsen, 45 – definizione, 62 – – – anamnesi, 81
– – osteocondrosi dell’apofisi calcaneare – diagnosi, 63 – – – anatomia patologica, 84
o morbo di Sever, 45 – eziopatogenesi, 62 – – – diagnosi, 81
– – osteocondrosi dell’apofisi tibiale – trattamento, 63 – – – esame obiettivo, 81
anteriore o morbo di Osgood- Osteoporosi – – – esami strumentali, 83
Schlatter, 45 – clinica, 20 – – definizione, 79
– osteocondriti disseccanti, 46 – definizione, 18 – – epidemiologia, 79
– – del ginocchio, 46 – diagnosi, 20 – – eziopatogenesi, 80
– – del gomito, 46 – epidemiologia, 19 – – – fattori anatomici, 80
– – della tibiotarsica, 46 – eziopatogenesi, 19 – – – fattori genetici, 80
– semplici, 45 – terapia, 20 – – – fattori intrauterini, 80
– – osteocondrosi della testa del 2° me- Osteosarcomi, 179 – – – fattori postnatali, 80
tatarsale o morbo di Freiberg, 45 – osteosarcoma a piccole cellule, 179 – – terapia
– – osteocondrosi della testa del femore – osteosarcoma classico, 179 – – – trattamento della displasia conge-
o morbo di Legg-Calvè-Perthes, 45 – osteosarcoma del periostio, 179 nita dell’anca nella fase di prelus-
– – – definizione, 46 – osteosarcoma di basso grado, 179 sazione, 86
– – – diagnosi, 48 – osteosarcoma emorragico, 179 – – – trattamento della sublussazione o
– – – epidemiologia, 46 – osteosarcoma multicentrico, 179 lussazione dell’anca inveterata, 87
– – – eziologia, 46 – osteosarcoma parostale, 179 – – – trattamento della sublussazione o
– – – patogenesi, 47 lussazione dell’anca precoce, 86
– – – quadri clinici, 48 P – – – trattamento della sublussazione o
– – – trattamento, 49 Paget, malattia di, 23 lussazione dell’anca tardivo, 87
– – osteocondrosi dello scafoide tarsale Paralisi cerebrali infantili, 131 – distrofie muscolari
o morbo di Kohler, 45 – classificazione, 131 – – definizione, 68
– – osteocondrosi vertebrale o morbo di – eziologia, 131 – – distrofie facio-scapolo-omerale e dei
Scheuermann, 45 – quadro clinico cingoli, 71
Osteogenesi imperfetta – – paralisi atassica, 133 – – distrofie muscolari di Duchenne e
– clinica, 61 – – paralisi atetosica, 133 Becker
– definizione, 60 – – paralisi miste,133 – – – clinica, 69
– diagnosi, 62 – – paralisi spastica, 131 – – – definizione, 68
– eziopatogenesi, 61 – – – emiparesi, 131 – – – diagnosi, 70
– trattamento, 62 – – – monoparesi, 131 – – – eziopatogenesi, 68
260 Manuale di Ortopedia e Traumatologia