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Anatomia 7-8-9

Apparato cardiocircolatorio sanguifero


L’apparato cardiocircolatorio sanguifero è costituito da due principali elementi:
cuore e vasi. Il loro compito primario è quello di distribuire il sangue in tutti i
distretti corporei; il sangue che ha nutrito poi tutti i distretti torna nei polmoni
per essere ossigenato.
Ulteriori funzioni dell’apparato cardiocircolatorio oltre al trasporto del sangue
sono dunque:
• Scambio di sostanze nutritizie, scorie e gas con i tessuti.
• Trasporto di sostanze quali ormoni (ricordiamo le ghiandole endocrine che
riversano appunto il loro prodotto, ormoni, nel sangue), enzimi, molecole per la
coagulazione.
• Regolazione della pressione sanguigna (il calibro dei vasi sono coinvolti nella
regolazione arteriosa poiché possono formare un sistema di resistenze
periferiche totali che aumentano e diminuiscono appunto rispetto alla
dimensione dei vasi).
• Direzione del flusso ematico ai tessuti.

L’organo centrale dell’apparato cardiocircolatorio è appunto il cuore che è


collegato poi a una serie di vasi; questi man mano che si allontanano dal cuore
cambiano di calibro fino a capillarizzarsi e si ramificano ovviamente in tutto
l’organismo.
Importanti organi costituenti l’apparato circolatorio sono in realtà anche i
polmoni. Infatti, il sangue pompato dal cuore per nutrire tessuti e organi, una
volta appunto giunto nei capillari ed esaurito il nutrimento, torna al cuore
deossigenato; di conseguenza esiste un sistema per cui il flusso passi per i
polmoni in modo da riossigenarsi e tornare nel cuore e riprendere il ciclo
nutritivo.
Si distinguono infatti due tipi di circolazione:
• Circolazione trofica (grande circolazione), appunto nutritiva.
• Circolazione funzionale o polmonare (piccola circolazione).
Il cuore può essere di conseguenza diviso in due metà: la dx deossigenata
(indicata dal colore azzurro) e la sx ossigenata (indicata dal colore rosso).
Il Cuore
Prima di spiegare il funzionamento dei due tipi di circolazioni, descriviamo la
struttura del cuore.
Questo presenta quattro camere principali: due superiori, atri, e due inferiori,
ventricoli. La porzione che riceve sangue è costituita dagli atri, quella che pompa
il sangue in periferia comprende invece i
ventricoli.
Il cuore è un organo impari e la sua forma è
quella di un cono appiattito in senso
anteroposteriore ed è orientato secondo l’asse
obliquo che va dall’alto verso il basso, da destra a
sinistra e dal dietro all’avanti. La sua posizione è
nella cavità toracica tra i polmoni, il mediastino.
Presenta diversi rivestimenti di protezione e di
isolamento dagli altri organi, ma allo stesso
tempo in contatto con questi. Possiamo
distinguere dall’esterno verso l’interno:
• Pericardio, membrana di protezione che a sua volta presenta un doppio
rivestimento; si distinguono pericardio fibroso, più esterno, e pericardio sieroso,
parte interna.
• Epicardio, foglietto viscerale adeso al cuore del pericardio sieroso, ovvero un
ulteriore membrana interna del pericardio sieroso, e un foglietto parietale adeso
invece al pericardio fibroso.
Proprio in riferimento alla sua forma, possiamo distinguere nel cuore
• Base, che corrisponde alla porzione superiore dove si trovano anche gli atri.
• Apice, che corrisponde al ventricolo sinistro.
• Faccia sterno-costale.
• Faccia postero-inferiore attraverso cui il cuore poggia sul muscolo diaframmatico
(si chiama anche faccia diaframmatica).
• Margine destro (o acuto).
• Margine sinistro (o ottuso).
Come detto precedentemente il cuore presenta quattro camere, atri e ventricoli.
In particolari questi non comunicano tra loro ma sono ben separati, o meglio,
non v’è comunicazione tra le due metà cardiache. Atrio dx e sx sono separati così
come ventricolo dx e sx. Tra gli atri è presente il setto interatriale, tra i ventricoli
c’è il setto interventricolare.
Appunto la comunicazione avviene solo tra ciascun atrio con ciascun ventricolo
nella stessa metà (solo nel feto non è presente distinzione grazie ad un foro, che
alla nascita si oblitera originando la fossa ovale, poiché il feto ricava ossigeno
dalla madre).
Tra atrio e ventricolo esiste l’apparato valvolare composto dalle valvole cardiache
che consentono di regolare il flusso di sangue che passa tra atri e ventricoli. Le
valvole sono però presenti anche tra i grandi vasi cardiaci, quali tronco
polmonare e aorta, che emergono dal cuore.

Morfologia esterna cardiaca


Per quanto riguarda la morfologia esterna partendo dalla faccia sterno-costale,
con una forma triangolare, si nota appunto l’emergenza dei grossi vasi cardiaci
(aorta, tronco polmonare e vena cava) che compongono il peduncolo vascolare.
La superficie cardiaca è inoltre caratterizzata dalla presenza di solchi, che in
profondità corrispondono ai setti; vi sono:
• Solco longitudinale anteriore, poiché si trova sulla faccia anteriore, ma continua
anche posteriormente, dove prende il nome di solco longitudinale posteriore.
Corrisponde al setto interventricolare in profondità, ovvero il confine tra i
ventricoli.
• Solco atrioventricolare o coronarico, poiché è impegnato dalle arterie coronarie
che sono i vasi che vascolarizzano il cuore in superficie. Appunto corrisponde al
setto atrioventricolare e quindi al confine tra atri e ventricoli.
Superficialmente anteriormente, si può notare anche una sorta di
prolungamento di ciascun atrio sulla parte superiore dei ventricoli. Tale zona
prende il nome di auricola e appunto vi sono auricola dx e sx.

Considerando invece la faccia diaframmatica o posteriore del cuore, sempre con


forma triangolare, si nota appunto il prolungamento del solco longitudinale e del
solco atrioventricolare. Nella zona posteriore è visibile un terzo solco che è
quello interatriale e corrisponde appunto al setto interatriale ovvero la zona di
confine tra gli atri. In realtà, come per i precedenti due, anche questo solco
continua nella faccia anteriore, ma è molto poco visibile essendo coperto da
tessuto adiposo e vasi.
Continuando ancora nella parte posteriore del cuore, sono visibili anche il seno
coronario che sbocca a livello dell’atrio destro, il peduncolo con la vena cava
superiore, l’arco aortico e le arterie polmonari, come anche le quattro vene
polmonari. Nella faccia diaframmatica, a differenza di quella sterno-costale, si
può ben definire la forma degli atri, che dipende principalmente
dall’orientamento con cui i vasi arrivano agli atri stessi; ad esempio, l’atrio dx ha
forma più allungata verticalmente, mentre l’atrio sx ha sviluppo più orizzontale
quasi quadratica, circondata dalle quattro vene polmonari e dalla vena cava
inferiore.
Infine, per quanto riguarda la base del cuore, convessa e regolare, è costituita
dalla presenza degli atri ed è separata dalla faccia sterno-costale, ma in
continuità con la faccia diaframmatica; sulla base si osserva anche la divisione tra
gli atri dal solco terminale.
Riguardo invece l’apice, corrisponde alla zona dei ventricoli, in particolare è
costituita dal ventricolo sx.

Faccia sterno-costale Faccia diaframmatica


Morfologia interna cardiaca
Spostandoci adesso all’interno del cuore, possiamo studiarne la conformazione.

Sono meglio visibili, dunque, le


comunicazioni tra atri e ventricoli, la
presenza di apparati valvolari, la zona
di confine tra le due metà cardiache.
Internamente, la cavità atriale destra
può essere suddivisa da una parte più
liscia e regolare dove sono presenti gli
sbocchi delle vene cave e del seno
coronarico, e delle piccole pieghe
ovvero valvole della vena cava
inferiore e del seno coronario, con
diversa funzione da quelle tra atri e ventricoli. Nella parte liscia di questa cavità,
sulla parete mediale, è inoltre presente la fossa ovale di cui si è accennato
precedentemente in relazione alla vita fetale; infatti, la fossa sarebbe l’impronta
lasciata dal foro di Botallo alla sua chiusura.
La cavità atriale destra ospita appunto una seconda parte costituita dall’auricola,
che presenta ben diversa conformazione. Internamente, infatti, l’auricola ha un
aspetto spugnoso caratterizzato da una trabecolatura irregolare.
A questa zona più irregolare si possono attribuire anche le pareti più esterne
dell’atrio destro poiché non sono lisce, ma irregolari per la presenza di muscoli
pettinati e tale sistema permette di regolare la velocità del flusso sanguigno
all’interno della cavità atriale rallentandolo.
Sulla parete inferiore dell’atrio è presente invece l’orifizio atrioventricolare con
l’apparato valvolare. In particolare, vi troviamo una valvola costituita da tre
lembi, cuspidi, che prende il nome di valvola tricuspide.
Vi è poi lo sbocco della vena cava inferiore, superiore e del seno coronarico e di
ulteriori vene che portano sangue refluo proveniente dalla circolazione
coronarica; quest’ultima ha infatti un circolo specifico per la vascolarizzazione
del cuore, ovvero per portargli nutrimento. Il sangue arterioso proviene
dall’arteria coronaria di destra e di sinistra, mentre il sangue venoso viene
drenato dal seno coronario a livello dell’atrio destro.
Riguardo la cavità atriale sinistra invece, come detto precedentemente, ha uno
sviluppo orizzontale di forma ovoidale per la presenza delle vene polmonari, da
cui infatti riceve sangue ossigenato.
Anche l’atrio sinistro ha una parte più liscia e una trabecolatura a livello
dell’auricola con i muscoli pettinati. Vi è anche un orifizio atrioventricolare sulla
parete inferiore provvisto di valvola mitrale o bicuspide, poiché ha solo due
cuspidi a differenza della valvola dell’atrio destro.

Atrio destro
Atrio sinistro

La cavità ventricolare invece ha una composizione totalmente irregolare, quasi


come l’auricola, data in questo caso dai muscoli papillari o trabecole carnee che
possono essere di tre tipi fondamentali a seconda dei punti di attacco che hanno
sulla parete interna del ventricolo.
• Trabecole di primo ordine, hanno una sola estremità di attacco con la parete,
mentre l’estremità libera da attacco a dei sottili legamenti, corde tendinee, che
servono ad ancorare le estremità delle valvole. Di conseguenza valvola bicuspide
e tricuspide hanno dei lembi che sono legati alla loro estremità alle trabecole di
primo ordine attraverso le corde tendinee.
• Trabecole di secondo ordine, hanno due punti di contatto andando a formare
delle strutture a ponte.
• Trabecole di terzo ordine, sono del tutto adese alla parete ventricolare tant’è che
sembrano solo dei rilievi su di essa.
Le trabecole di primo ordine sono le principali e prendono anche il nome di
muscoli papillari. Hanno un importante funzione che è quella di garantire
l’unidirezionalità del flusso sanguigno: quando il cuore si contrae, il flusso
potrebbe risalire a livello atriale dei ventricoli, tale sistema lo impedisce.
Nel ventricolo destro vi sono appunti tre muscoli papillari, uno per ciascuna
cuspide (anteriore, posteriore e mediale o settale).
Riguardo le corde tendinee invece non è detto che collegano un solo muscolo
papillare con un lembo valvolare; infatti, solitamente un lembo valvolare riceve
corde tendinee da ben due muscoli papillari. Si tratta di un sistema di sicurezza a
livello delle valvole nel caso in cui un muscolo papillare fallisca o se le corde
tendinee provenienti da uno dei due muscoli si dovessero spezzare.

Tra ventricolo destro e sinistro è evidente la differenza di spessore delle relative


pareti; in particolare il ventricolo destro ha parete più sottile rispetto al
ventricolo sinistro. Tale caratteristica è dovuta al fatto che il ventricolo sinistro
pompa il sangue nell’aorta per avviare il circolo generale, mentre il ventricolo
destro dovrà pompare il sangue esclusivamente in direzione dei polmoni. Di
conseguenza il ventricolo sinistro dovrà vincere una maggiore resistenza per
pompare il sangue attraverso l’aorta rispetto al ventricolo destro.
Apparato valvolare cardiaco
Come detto in precedenza vi sono due tipi di apparati valvolari, uno è l’apparato
valvolare atrioventricolare e l’altro è l’apparato valvolare a livello del tronco
polmonare e dell’arteria aorta, che garantiscono sempre l’unidirezionalità del
flusso.
Le valvole atrioventricolari sono costituite da lembi di forma triangolari detti
cuspidi, tre a destra e due a sinistra. Tali cuspidi presentano due facce: faccia
superiore o atriale rivolta appunto verso l’atrio, faccia parietale o ventricolare
rivolta appunto verso il ventricolo; proprio sulla superficie ventricolare prendono
attacco le corde tendinee. I lembi valvolari aderiscono più precisamente ad una
struttura connettivale fibrosa denominata scheletro fibroso del cuore che da
appunto attacco alle valvole e ai fasci muscolari che costituiscono la struttura
cardiaca.
Le valvole del tronco polmonare e dell’arteria aorta prendono il nome di valvole
arteriose. Per la loro forma sono anche denominate semilunari o a nido di
rondine con concavità superiore. Entrambe le valvole (del tronco polmonare e
dell’aorta) hanno tre lembi a forma di coppetta; sono inoltre tenute chiuse e
adese tra loro grazie ad un inspessimento a mo’ di nodo sull’estremità libera di
ciascuno di questi lembi. Si tratta di noduli di Morgagni, per la valvola del tronco
polmonare, e noduli di Aranzio, per la valvola aortica.
Questi tre noduletti sull’estremità libera fanno sì che i tre lembi si tengano tra
loro.
Sulle valvole aortiche sono presenti due piccoli fori che rappresentano l’origine
dell’arteria coronaria, destra e sinistra, che vascolarizzano il cuore per il versante
arterioso; le arterie coronarie nascono proprio dalla porzione ascendente
dell’aorta, ovvero il tratto che fuoriesce immediatamente dal ventricolo sinistro.
Il punto in cui sono presenti questi orifizi, prende il nome di seni del Valsalva.
In conclusione, possiamo dire che le arterie coronarie vascolarizzano il cuore e
originano dall’aorta ascendente a livello dei seni del Valsalva immediatamente al
di sopra della valvola semilunare aortica. Inoltre, quando il ventricolo si contrae
per la perfusione del sangue nell’organismo (cuore in sistole), le valvole si
accollano alla parete dell’arteria per consentire il passaggio del sangue nell’aorta
mentre gli orifizi si chiudono, di conseguenza il cuore non può ricevere a sua
volta sangue, ma viene riperfuso durante la diastole (il cuore è rilassato). Per
evitare appunto il reflusso del sangue nel ventricolo le valvole aortiche
funzionano quando il cuore è in diastole, poiché il sangue che tende a ricadere
nel ventricolo viene in realtà raccolto da delle tasche che si chiudono in modo
che il passaggio del flusso dall’arteria al ventricolo è impedito.
Valvola atrioventricolare Valvola atriale
Essendo il cuore un organo cavo, presenta una sovrapposizione di tonache che
dall’interno verso l’esterno sono una tonaca mucosa, sottomucosa, muscolare,
avventizia o sierosa. Però appunto nel caso del cuore, le tonache cambiano di
denominazione; dall’interno verso l’esterno abbiamo:
• Endocardio, che corrisponde alla tonaca
mucosa.
• Miocardio, che corrisponde alla tonaca
muscolare.
• Pericardio, rivestimento esterno che si
suddivide in pericardio fibroso, più
esternamente, pericardio sieroso, più
internamente, a sua volta formato da un
foglietto viscerale più interno (prende anche il
nome di epicardio) e un foglietto parietale più
esternamente.

In particolare, il miocardio, che corrisponde appunto alla tonaca muscolare, è


costituito da un sincizio funzionale ovvero le cellule che lo compongono, grazie
alla presenza di sistemi di giunzione, sono accoppiate tra loro elettricamente.
Inoltre, si distinguono:
• Miocardio comune o di lavoro, costituito da cardiomiociti classici e il cui compito
è di contrarsi; determinano la sistole.
• Miocardio specifico, costituito da cardiomiociti modificati che hanno perso la
capacità contrattile, infatti ha il compito di condurre impulsi elettrici; determina
il battito cardiaco.
Relativamente al movimento di contrazione, la sistole atriale e ventricolare
avviene contemporaneamente (atrio-atrio e ventricolo-ventricolo).
Relativamente invece alla conduzione dell’impulso, parte dal nodo senoatriale
che si trova subito sotto l’epicardio e lo sbocco della vena cava superiore. Il nodo
senoatriale è anche detto nodo
pacemaker. L’impulso viene
propagato alle camere atriali e al
nodo atrioventricolare; in
quest’ultima zona vi è quindi un
secondo raggruppamento di
cardiomiociti specifici che hanno il
compito di rallentare l’impulso. In tal
modo il ventricolo ha maggior tempo
di riempirsi correttamente e
pompare il sangue nell’organismo.
Una volta generato, l’impulso
intraprende un percorso diretto al setto interventricolare, chiamata fascio
interventricolare di Hiss. Tale zona si divide però in due branche, dx e sx, che
penetrano nello spessore del miocardio a livello ventricolare; si prolungano fino
all’apice per risalire sottoforma di una rete di fibre che va a coinvolgere tutta la
parete ventricolare. La rete fibrosa prende il nome di fibre del Purkinje.

L’innervazione del cuore è di tipo autonomo e il sistema nervoso autonomo si


divide in sistema nervoso parasimpatico e sistema nervoso simpatico. Uno dei
due è caratterizzato dalle reazioni attacco-fuga ovvero quelle reazioni
incontrollate che si scaturiscono in situazioni di paura.
Il cuore è innervato da entrambi i sistemi, si parla infatti di plesso cardiaco.
A livello atriale vi sono 50-50 fibre parasimpatiche e simpatiche. A livello
ventricolare prevalgono invece le fibre simpatiche. A seconda del tipo di sistema
si hanno diversi effetti a livello cardiaco, ad esempio se interviene il sistema
simpatico, scattando il meccanismo di difesa, vi è spesso un aumento del ritmo
cardiaco. Il sistema parasimpatico, invece, si oppone all’effetto del simpatico e
quindi ad esempio un rallentamento della frequenza cardiaca; si parla di azione
cronotropo negativo. Oppure, sempre in relazione al sistema parasimpatico, si
introduce un’azione inotropa negativa ovvero riduzione della forza contrattile,
un’azione batmotropa negativa ovvero diminuzione della eccitabilità miocardica,
un’azione dromotropa negativa ovvero diminuzione della velocità di conduzione
atrioventricolare.

Circolazione trofica o grande circolazione


La circolazione trofica parte dalla metà sinistra del cuore, ovvero quella
ossigenata, per trasportare ossigeno a tutti i distretti corporei attraverso un
sistema di vasi.
In particolare, la grande circolazione inizia dal ventricolo sinistro con l’arteria
aorta per poi terminare portando sangue deossigenato nell’atrio destro (camera
ricettiva) con la vena cava superiore, vena cava inferiore e seno coronarico.

Circolazione funzionale o polmonare o piccola circolazione


La circolazione funzionale, o polmonare, inizia nel ventricolo destro con l’arteria
polmonare, che dirige il sangue ai polmoni affinché si riossigeni, per poi
terminare nell’atrio sinistro con le quattro vene polmonari.
La piccola circolazione presenta però una particolarità: non segue il solito
schema arterioso-venoso sanguigno. Solitamente le arterie trasportano sangue
arterioso ossigenato, mentre le vene trasportano sangue venoso deossigenato;
appunto la circolazione polmonare non segue tale organizzazione. Infatti, le
quattro vene polmonari trasportano sangue venoso ossigenato, mentre le arterie
polmonari trasportano sangue arterioso deossigenato.
Di conseguenza dobbiamo denominare le vene e le arterie a seconda della
direzione del flusso sanguigno al loro interno: le arterie hanno un decorso
centrifugo (vanno dal cuore
alla periferia), le vene hanno
un decorso centripeto (il
flusso va dalla periferia al
cuore).

I Vasi
Come già detto inizialmente, la funzione dei vasi è quella di trasporto del sangue,
di sostanze nutritizie, scorie, gas e ormoni, enzimi, molecole per la coagulazione,
di direzione del flusso ematico ai tessuti. Più importanza però è attribuita alla
regolazione della pressione sanguigna a seguito della loro capacità di cambiare
calibro, quindi dimensioni, costringendosi e dilatandosi. Proprio per tale motivo,
i vasi sono spesso circondati da cellule con attività contrattile, periciti.
I principali vasi sanguigni sono:
• Arterie, con calibro variabile, andamento crescente (dal cuore verso i vari
distretti tendono a diminuire di calibro).
• Vene, con calibro variabile, andamento decrescente (dai vari distretti verso il
cuore tendono ad aumentare di calibro).
• Capillari, con calibro più piccolo in assoluto, possono contenere sia sangue
ossigenato sia sangue deossigenato.
Anche i vasi sono organi cavi, di conseguenza si identificano un lume e una
sovrapposizione di tonache. Come per il cuore però le tonache hanno diversa
denominazione e struttura; dall’interno all’esterno abbiamo:
• Tonaca intima, che si suddivide a sua volta in endotelio (strato singolo di cellule
piatte) e strato connettivo sottoendoteliale (più esterno).
• Tonaca media, costituita da più strati di fibrocellule muscolari ad andamento
concentrico. I lati della tonaca media (l’uno a contatto con la tonaca intima e
l’altro a contatto con la tonaca avventizia) sono circondati da due strati che
contengono fibre elastiche, rispettivamente lamina elastica interna e lamina
elastica esterna.
• Tonaca avventizia.

Tra arterie e vene soprattutto, vi sono delle piccole differenze:


• Struttura delle tonache: nelle vene la tonaca media presenta una componente
elastica meno spessa. Anche rispetto al calibro si differenziano in quanto quello
venoso è solitamente più grande di quello arterioso.
• Direzione e velocità del sangue: le vene hanno un decorso centripeto, ovvero
dalla periferia al cuore. Il flusso ematico è inoltre più lento rispetto a quello
arterioso che sfrutta la spinta cardiaca del ventricolo sinistro per raggiungere i
diversi distretti, dal cuore alla periferia.
• Stress di parete nullo, nelle vene, poiché ricevono il sangue con una pressione
minore rispetto le arterie, che per questo motivo hanno strato elastico più
spesso.
• Presenza di valvole: le vene impegnate nella raccolta del sangue refluo dai
distretti sottodiaframmatici presentano delle valvole, simili a quelle semilunari;
soprattutto le vene presenti negli arti inferiori sempre per garantire
l’unidirezionalità.
• Capacità di dilatazione, propria sia delle vene che delle arterie.
• Struttura interna: le vene ha strati elastici più sottili e meno elastici rispetto le
arterie.
• Classificazione funzionale: propria solo delle vene essendo che possono
suddividersi nel tipo recettivo o propulsivo (nei distretti corporei inferiori), dove
sono presenti soprattutto appunto le valvole. In particolare, le vene di tipo
propulsivo si localizzano tra muscoli che, nel momento della contrazione,
spremono la vena spingendo il sangue verso l’alto.

La ramificazione ancor più periferica è occupata invece dai capillari, che tendono
a formare dei veri e proprio letti di scambio per i gas o sostanze in base
all’organo interessato.
Si distinguono tre principali tipi di capillari a seconda della loro funzione e
dell’organo di cui si tratta:
• Capillari continui, più adatti agli scambi gassosi che attraversano i vasi per
diffusione. Presentano delle cellule adese tra loro attraverso tight junction non
essendo necessaria elevata permissività.
• Capillari fenestrati, sono dotati di fori, fenestrature, e sono molto permissivi
essendo necessari per il passaggio di ulteriori sostanze oltre i gas. S trovano
infatti ad esempio a livello renale dove consentono il passaggio del plasma
sanguigno e altre sostanze che dovranno poi essere eliminate.
• Capillari sinusoidi, anch’essi permissivi e presenti a livello delle ghiandole
endocrine, poiché deputati alla raccolta degli ormoni che dovranno poi essere
trasferiti nel flusso sanguigni. Prendono il nome di sinusoidi poiché hanno un
decorso che si adatta agli spazi tra le cellule.

Solitamente l’organizzazione tipica dei vasi sanguigni è arteria -> capillare ->
vena, ma vi sono degli apparati che presentano eccezioni e quindi varia
l’organizzazione in arteria -> capillare -> arteria -> capillare -> vena oppure in
arteria -> capillare -> vena -> capillare -> vena; vi è un sistema di capillari
interposta tra lo stesso tipo di vasi.
Tale organizzazione è detta rete mirabile; si parla di rete mirabile arteriosa se i
capillari si trovano in mezzo a due arterie o rete mirabile venosa se i capillari si
trovano in mezzo a due vene. Sono anche chiamati sistemi portali, arterioso e
venoso. La rete mirabile, o sistema portale, hanno funzioni specifica diverse dallo
scambio gassoso.
I vasi sanguigni, soprattutto quelli di medio e grande calibro, sono appunto
considerati come organi; perciò, devono essere anch’essi nutriti e ossigenati.
Presentano infatti, proprio come il cuore, una vascolarizzazione specifica
attraverso altri tipi di vasi, molto più piccoli e che si trovano a livello della tonaca
avventizia dei vasi; si tratta dei vasa vasorum (dal latino vasi dei vasi)

Aorta
L’aorta è il vaso responsabile della grande circolazione e quindi che porta
nutrimento ai distretti corporei. Si origina dal ventricolo sinistro e, con una prima
sua porzione, risale dal ventricolo prendendo il nome di aorta ascendente poiché
dal ventricolo risale verso l’alto.
Il tratto ascendente è importante poiché da origine alle arterie coronarie, destra
e sinistra. La porzione ascendete si curva poi andando a costituire l’arco aortico
da cui a sua volta si originano ulteriori vasi che vascolarizzano gli arti superiori, il
collo e la testa.
A destra si parla del tronco brachiocefalico o arteria anonima, da cui origina
l’arteria carotide dx e l’arteria succlavia, che va a vascolarizzare l’arto superiore.
Sulla porzione sinistra dell’arco dell’aorta si ha subito l’arteria carotide sx (nasce
direttamente dall’arco aortico) e l’arteria succlavia. L’arco poi tende a scendere
dando origine alla porzione discendente che attraversa l’addome fino a livello
iliaco-pelvico.
Discendendo, l’aorta diventa prima toracica, dove si ramifica per appunto
vascolarizzare i distretti toracici, e poi diventa aorta addominale, dove si ramifica
ancora per vascolarizzare. Dopodiché l’aorta addominale si divide in due grandi
rami che sono le aorte iliache comuni e poi a loro volta interne ed esterne, dx e
sx; si ramificano anche loro per vascolarizzare i distretti inferiori.

Dalle arterie carotidi, da destra e sinistra, si forma una sorta sistema di ulteriori
vasi, detto anastomosi, che vascolarizza la regione dell’encefalo; si tratta del
circolo arterioso di Willis.
Per tale motivo, quando le carotidi si ostruiscono, si possono verificare degli
ictus: viene interrotto il trasporto di sostanze nutritive e ossigeno al cervello.
Il sistema di anastomosi è infatti considerato un sistema di protezione poiché,
essendo costituito da diversi vasi diretti tutti in uno stesso punto, quando uno di
questi si occlude, c’è sempre qualcun altro che può sopperire alla mancanza del
vaso in questione.
Le vene effettuano lo stesso percorso arterioso, solo in direzione opposta e
ovviamente con calibro differente. Il drenaggio venoso conclude poi con la vena
cava superiore e inferiore per riportare il sangue refluo al cuore.
Anatomia 10
Sistema circolatorio linfatico
Per sistema linfatico si intende un sistema di drenaggio a una via che trasporta fluidi
dallo spazio interstiziale della maggior parte degli organi al sistema vascolare
sanguifero. Appunto le principali funzioni del sistema linfatico sono:
• Drenaggio di liquidi interstiziali.
• Assorbimento di macronutrienti (lipidi), che vengono assorbiti da specifici vasi
linfatici a livello intestinale (vasi chiliferi) per essere immessi nel flusso
sanguigno.
• Funzione d’immunità: grazie agli organi linfoidi avviene la produzione, lo
smistamento e la maturazione delle cellule del sistema immunitario.
• Mantenimento della volemia.
• Mantenimento della composizione chimica del fluido interstiziale: riportare al
sangue proteine plasmatiche.
Il sistema linfatico è appunto costituito da un sistema di vasi lungo i quali si
trovano una storta di stazioni nodulari quali i linfonodi. Il sistema linfatico è
inoltre strettamente collegato al sistema circolatorio in quanto le sostanze
trasportate e filtrate dai vasi linfatici e dai linfonodi, vengono rimesse nel
torrente circolatorio; soprattutto a livello della vena cava superiore e inferiore
dove la linfa viene rimessa nel torrente circolatorio e giunge al cuore attraverso
l’atrio destro, ritornando dunque in circolo con il sangue. Tra le reti capillari dove
scorre il sangue, sono infatti interposti vasi linfatici.
Il sistema linfatico è detto a fondo cieco, poiché negli interstizi tra le cellule,
laddove avvengono gli scambi tra i capillari e i tessuti, nascono quasi
all’improvviso questi vasi linfatici.
Non da tutti i tessuti però nascono
capillari linfatici, fanno infatti
eccezione:
• Sistema nervoso centrale.
• Orecchio interno.
• Cartilagine.
• Osso.
• Corpo vitreo e cristallino, a livello
dell’occhio.
• Cordone ombelicale e placenta.
Riguardo il fluido linfatico, costituito da istolinfa e emolinfa, nasce nel momento
in cui avvengono gli scambi gassosi all’interno dei capillari: si tratta di parte del
plasma sanguigno che, al momento dello scambio, in parte viene riassorbito dai
capillari del versante venoso stessi, mentre la parte restante, che non può essere
assorbito, si trasferisce all’interno dei vasi linfatici divenendo appunto fluido
linfatico o linfa.
La linfa viene appunto rimessa nel torrente sanguigno, filtrato e controllato dai
linfonodi nel caso in cui ci fossero sostanze estranee che non sarebbero dovute
arrivare nel torrente circolatorio.
I vasi linfatici, assieme a ulteriori organi linfoidi, producono e ospitano i linfociti,
tra cui i linfonodi, che ricevono la linfa e svolgono su questa la funzione di filtro,
deposito temporaneo e sede dove i linfociti svolgono le proprie funzioni.
Per linfonodi si intende appunto stazioni linfonodali che possono essere:
• Superficiali, drenano la linfa dalle porzioni solitamente della cute.
• Profondi, drenano la linfa proveniente dai visceri.
I più visibili alla palpazione e più noti sono quelli posti nel cavo ascellare e nella zona
inguinale. I linfonodi possono inoltre ingrossarsi a seguito di una risposta
immunitaria, ad esempio nel processo infiammatorio;
in base al distretto in cui questi si ingrossino e sono più
facilmente palpabili, è possibile localizzare la sede
dell’infiammazione o infezione.
Il sistema linfatico non è collegato al cuore, di
conseguenza la linfa, per arrivare all’atrio destro, si
sposta nel torrente circolatorio attraverso la funzione
pompa dei muscoli: quando i muscoli si contraggono
spostano a loro volta la linfa. Infatti, anche i vasi
linfatici sono provvisti di valvole per garantire
l’unidirezionalità del fluido: si aprono quando la linfa
scorre lungo i vasi e si chiudono quando deve ritornare
indietro impedendo quindi il reflusso.
La maggior parte della linfa è originata a livello intestinale.

Struttura e tipi di vasi linfatici


La composizione de vasi linfatici non è diversa da quelli dell’apparato circolatorio;
l’unica differenza è che originano appunto a fondo cieco, all’improvviso tra gli spazi
interstiziali, mentre quelli sanguigni compongono un circolo ed un percorso
continuo.
Sono costituiti da un solo strato di cellule endoteliali che poggiano sulla lamina
basale discontinua. Possiamo dire che somigliano alle vene propulsive, difatti
presentano sempre delle valvole, ma hanno un lume più ampio e una parete più
sottile.
Dai capillari, il calibro dei vasi linfatici va sempre più aumentando fino ad arrivare a
veri e propri dotti linfatici di grandi dimensioni che raccolgono la linfa proveniente da
tutti i distretti corporei per immetterla nel sistema circolatorio per i vasi collegati
all’atrio destro. I capillari di maggior calibro sono detti tronchi linfatici e consentono
la rimessione della linfa filtrata dai linfonodi a livello del torrente circolatorio; i
principali sono:
• Tronco giugulare, dx e sx.
• Tronco succlavio, dx e sx.
• Tronco broncomediastinico, dx e sx.
• Dotto toracico, direttamente collegato ad un’altra struttura voluminosa che
raccoglie la linfa, cisterna del chilo; raccoglie la linfa dei distretti addominali. Il
dotto toracico drena la maggior parte della linfa e contiene diversi dispositivi
valvolari.
• Tronco intestinale.
• Tronco lombare, dx e sx.

Figura 1Tronchi principali


Dotto toracico
Organi linfoidi
Associati appunto ai vasi linfatici ritroviamo gli organi linfoidi, ovvero organi che
producono elementi figurati del sangue e della linfa e comprendono:
• Il timo, si trova nel torace, nel mediastino superiore, ed è molto attivo nella
vita fetale e giovane età, mentre va in involuzione nell’età adulta e senile
essendo sempre più circondato da tessuto adiposo.
• Il midollo osseo, è il solo organo in grado di produrre l’intera
gamma di elementi figurati presenti nel circolo.
• La milza.
• I linfonodi.
• Il tessuto linfoide associato alle mucose (MALT), lo
ritroviamo soprattutto a livello dell’apparato digerente.
Possono essere distinti per sede, struttura, derivazione
embriologica e peculiari proprietà funzionali; si categorizzano
infatti in organi primari e secondari. Nonostante abbiano funzioni
specifiche, cooperano tra loro e presentano caratteristiche
comuni.
Le cellule che prendono parte alle risposte immunitarie si
organizzano in questi organi linfoidi oppure si disperdono nel connettivo interstiziale
di organi non linfoidi. Sono però i linfociti B a essere principali responsabili della
specificità della risposta immunitaria.

Organi linfoidi primari


Agli organi linfoidi primari si associano midollo osseo e timo. Entrambi contengono le
cellule staminali che sono in grado di differenziarsi poi per dare origine alle cellule
del sistema immunitario quali linfociti B, T e cellule NK (natural killer).
mentre i linfociti T si differenziano nel timo e migrano negli organi linfoidi agendo
direttamente contro l’antigene.
Midollo osseo rosso
Il midollo osseo rosso si trova delle ossa piatte e nelle epifisi di quelle lunghe. Da
questo nascono sia cellule del sangue, emopoietiche, sia appunto cellule staminali.
Di quest’ultime citiamo i leucociti, responsabili della risposta immunitaria, che a loro
volta si distinguono in granulociti (a loro volta neutrofili, basofili, eosinofili) e
agranulociti (a loro volta linfociti B e monociti), in base alla morfologia.
Principalmente, come già anticipato, sono i linfociti B responsabili della formazione
di cellule immunitarie poiché, negli organi linfoidi, formano follicoli primari e
secondari con centro germinativo. Quando vengono a contatto con l’antigene, lo
riconoscono e proliferano differenziandosi in plasmacellule; queste ultime formano
anticorpi.
Timo
Come già anticipato si trova nel mediastino superiore e, a differenza del midollo
osseo, ha tendenza involutive in età adulta e nell’anzianità. È costituito da due lobi
che si estendono dalla quarta-quinta cartilagine fino al di sotto della ghiandola
tiroide ed è rivestito da una capsula connettivale alla quale partono sepimenti che
suddividono ciascun lobo in lobuli.
Si distinguono quindi
• Lobuli, al centro vi è un cordone di midollare ripiegato su sé stesso e corticale,
disposta intorno a esso.
• Zona corticale, più esterna, dove si differenziano
le cellule epiteliali, i linfociti T e i macrofagi.
• Zona midollare, più interna, dove si differenziano
i corpuscoli di Hassal (cellule epiteliali di
rivestimento), i linfociti T, i macrofagi e i
granulociti.
• Giunzione corticomidollare, cellule dendritiche.

Le cellule immunitarie stipate a livello del timo sono coperte da una barriera emato-
timica che le protegge dal versante sanguigno; sono infatti cellule in continua
evoluzione e per questo possono essere riconosciute come corpi estranei
scatenando una risposta autoimmunitaria. La barriera emato-timica si trova
soprattutto a livello corticale e a proteggere cellule T in via di sviluppo da
un’inappropriata esposizione ad antigeni circolanti.

Organi linfoidi secondari


Agli organi linfoidi secondari si associano linfonodi, milza e tessuto linfoide associato
alle mucose (MALT). In essi i linfociti si dividono in risposta ad un’infezione; fino a
quel momento sono a “riposo” in questi stessi organi.
Anatomia 11 28/04/2023
Apparato respiratorio
L’apparato respiratorio è costituito da una serie di organi cavi dette vie aeree, che si possono
suddividere in superiori e inferiori e che trasportano l’aria dall’esterno fino ai polmoni,
organi pari e pieni dell’apparato respiratorio, dove avvengono gli scambi gassosi.
Gli organi cavi dell’apparato in questione sono principalmente:
• Cavità nasali.
• Rinofaringe.
• Laringe.
• Trachea.
• Bronchi.
Oltre agli scambi gassosi, l’apparato respiratorio presenta ulteriori funzioni:
• Regolazione del pH ematico; attraverso lo scambio di CO2 che va a impattare il pH.
• Fonazione; emissione di suoni attraverso le corde vocali nella laringe.
• Olfatto.
• Protezione; all’interno del naso vi sono dispositivi che servono ad intrappolare
microorganismi, pulviscolo, sostanze patogene e spingerle poi nell’apparato
digerente attraverso il muco che viene deglutito, oppure espulse quando ci si soffia
ad esempio il naso.
Naso
Collocato a livello facciale, il naso comprende due tipi di strutture:
• Piramide nasale; insieme delle strutture ossee e cartilaginee che compongono la
parte anteriore e visibile del naso.
• Cavità nasali.
Il naso è costituito da un composto osseo-
cartilagineo, ricoperto da muscoli e pelle; a
completare è presente anche tessuto adiposo a
dare forma al naso.
La componente ossea è data dalle ossa dello
splancnocranio, l’osso della faccia.

Cavità nasali
Le cavità nasali sono i fori attraverso cui l’aria entra all’interno delle cavità. Sono
costituite a loro volta da:
• Vestibolo, sarebbe la parte iniziale delle cavità, ovvero quella che sporge e
comunica con l’esterno attraverso le narici. Vi si trova un epitelio su cui sono
applicati un gran numero di peli, vibrisse, come prima linea di difesa per
proteggerci da agenti patogeni esterni.
• Cavità nasali propriamente dette, la porzione più profonda del naso.
Posteriormente alle cavità nasali propriamente dette vi sono delle aperture che le
mettono in comunicazione con la porzione posteriore, le coane. A livello della parte più
profonda, le cavità nasali possono essere descritte mediante le ossa che le delimitano; si
distinguono:
• Parete mediale, costituita da cartilagine del setto, vomere, lamina perpendicolare
dell’etmoide.
• Parete laterale, costituita da osso mascellare, conche nasali (sorta di sporgenze)
tra cui delimitano i meati nasali (superiore, medio e inferiore) nei quali si aprono i
seni paranasali.
• Parete superiore o tetto.
• Parete inferiore o pavimento.
Appunto comunicano posteriormente con la rinofaringe attraverso le coane.
Parete mediale Parete laterale

Seni paranasali
In alcune delle ossa craniche sono scavate delle cavità, seni paranasali, contenenti aria
(perciò dette anche pneumatiche) proprio per
alleggerire la struttura cranica. Infatti, i seni, tra le
loro funzioni come ruolo di cassa di risonanza per la
voce (per questo sentendo la nostra voce dall’esterno
ci suona diversa di come quando parliamo) e
“contenitori” della dentizione permanente nel
bambino (i seni a livello mascellare), presentano
anche quella di diminuzione di peso delle ossa del
massiccio facciale.
Clinicamente però, i seni paranasali sono soggetti a infiammazioni: quando si è
raffreddati, il muco tende ad accumularsi a livello dei seni, in particolare in quelli
frontali, provocando congestione e infiammazione di questi; si parla infatti di sinusite,
infiammazione dei seni.
I seni si aprono in modo specifico rispetto ai meati nasali:
• Nei meati nasali superiore e inferiore si aprono le cellule etmoidali, il seno frontale
e il seno mascellare.
• Nel meato nasale intermedio si apre il canale naso-lacrimale; per tale motivo
quando piangiamo, le lacrime fuoriescono non solo dagli occhi, ma anche dal
naso, perciò ci cola.
• Il seno sfenoidale si apre direttamente nella volta delle cavità nasali.
Le cavità nasali, si possono trovare ulteriori due importanti regioni oltre al vestibolo:
• Regione o mucosa respiratoria; costituita da un epitelio respiratorio.
• Regione o mucosa olfattiva; posta più in profondità delle cavità nasali
propriamente dette e più in alto, a tale livello giungono dei neuroni collegati al
nervo olfattivo proveniente dall’encefalo, che attraversa una porzione dell’osso
etmoide detta lamina cribrosa.
Tali neuroni sono particolari
poiché modificati in quanto non
comunicano con l’esterno, ma
sono sempre contenuti
all’interno del corpo.

Regione o mucosa respiratoria


È un epitelio di rivestimento batiprismatico (ovvero cilindrico) pseudostratificato con cellule
basali, cellule caliciformi mucipare e cellule ciliate (le cellule da cui è composto toccano tutte
sulla lamina propria e non c’è una reale stratificazione).
La lamina propria è riccamente vascolarizzata e contiene ghiandole tubulo acinose a
secrezione mista. Inoltre, vi è l’area di Valsalva, altrettanto vascolarizzata, dove i vasi sono
più superficiali a livello delle cavità nasali che va infatti spesso incontro all’epistassi, ovvero
la fuoriuscita di sangue dal naso.
La struttura della mucosa respiratoria è
dovuta alle sue funzioni:
• Umidificare l’aria atmosferica.
• Facilitare l’espulsione del
pulviscolo atmosferico.
• Riscaldare l’aria atmosferica.
La mucosa respiratoria presenta anche delle ciglia con funzione di difesa necessarie per
ostacolare particelle e organismi: vengono intrappolate dal muco, il quale, attraverso le
ciglia, è spinto a livello della rinofaringe e poi nell’apparato digerente per la deglutizione.
Regione o mucosa olfattiva
È costituito da un epitelio batiprismatico pluriseriato con cellule olfattive; una lamina
propria con linfociti, filamenti di nervo olfattivo e ghiandole olfattive. Sull’epitelio più
superficiale sono presenti quindi neuroni che agiscono come recettori degli stimoli
chimici e sono gli unici neuroni del nostro corpo direttamente a contatto con l’esterno.
Come detto in precedenza le cavità nasali sono
riccamente vascolarizzate, ma l’apporto ematico non
ha solo funzione trofica permettendo l’apporto di
metaboliti per l’attività delle ghiandole; il sangue
permette infatti l’umidificazione dell’aria e il suo
riscaldamento cedendole calore.

Faringe
La faringe è in collegamento con l’apparato digerente in quanto, suddividendolo in due
parti, per una garantisce il passaggio d’aria, per l’altra il passaggio del bolo alimentare.
Ovviamente vi è una separazione tra le parti effettuata da una cartilagine particolare
posta nella laringe (parte più profonda della faringe) ovvero l’epiglottide, che può aprirsi
e chiudersi.
La faringe è un organo cavo, impari e mediano, che si estende dalla base del cranio fino
alla sesta vertebra cervicale che continua con
l’esofago dell’apparato digerente. Si trova
anteriormente alla colonna vertebrale e
posteriormente alla cavità orale e nasale. La
faringe, infatti, può essere a sua volta suddivisa
in:
• Rinofaringe.
• Orofaringe.
• Laringi faringe.

Rinofaringe
È costituita dalla mucosa respiratoria, con epitelio cilindrico semplice pluriseriato e
lamina propria ben vascolarizzata. Presenta anche tessuto linfatico sottoepiteliale
sottoforma di tonsille (tonsille faringee e tonsille tubariche).
La rinofaringe è importante in quanto riceve anche lo sbocco delle tube uditive di
Eustachio. È costituita poi da una tonaca fibroelastica, uno strato muscolare incompleto
e una tonaca avventizia.
Laringe
Una volta aperta l’epiglottide permette il passaggio dell’aria nella laringe.
La laringe è un organo esclusivamente dell’apparato respiratorio, impari e mediano, che
si trova nel collo tra la faringe e la trachea.
La laringe in realtà non è importante solo per il passaggio dell’aria, ma è anche la sede
delle corde vocali. Le corde vocali, che si distinguono in vere e false, sono pieghe
membranose che rendono possibile la fonazione; vibrano aprendosi e chiudendosi per
consentire il passaggio di aria e quindi l’emissione di suoni.
La laringe comprende quindi diversi tipi di cartilagini:
• Tiroide, impari.
• Epiglottide, impari; collegato all’osso joide attraverso legamenti
muscolari/tendinei.
• Cricoide, impari.
• Aritenoidi, pari.
• Cuneiformi, pari.
• Corniculate, pari.
Su tali cartilagini sono presenti delle faccette per dare attacco a muscoli e ulteriori
articolazioni. Ad esempio, la cartilagine epiglottide, di forma di foglia ovadale, attraverso
il picciolo aderisce internamente all’angolo della cartilagine tiroide; chiude l’adito alla
laringe durante la deglutizione e ospita ghiandole in piccole fossette scavate sulla sua
superficie.
Le articolazioni principali sono:
• Cricotiroidee; tra la cartilagine tiroide e cricoide.
• Cricoaritenoidee; tra cartilagine cricoidea e aretinoidi.
• Aricorniculate.
Le cartilagini sono appunto connesse tra loro e a loro volta legate a legamenti. Queste
concedono:
• Alta mobilità.
• Dismorfismo sessuale.
• Produzione del suono.
• Prevenzione dell’ingresso di materiale in trachea.
Internamente, la laringe comprende:
• Adito laringeo; porzione superiore e quindi l’ingresso della laringe, è isolato
dalla presenza della cartilagine epiglottide.
• Apertura inferiore; rappresenta lo sbocco in trachea.
La sua struttura invece comprende:
• Tonaca mucosa; costituita a sua volta da un epitelio respiratorio, cilindrico
semplice pluriseriato con cellule ciliate e caliciformi mucipare e da una
lamina propria ricca di ghiandole, tessuto linfoide (tonsilla laringea) e di
fibre elastiche.
• Tonaca sottomucosa; nella parte inferiore della laringe, ricca di ghiandole
sierose, mucose e miste.

Cartilagine epiglottide Epiglottide

Trachea
Successiva alla laringe è la trachea.
La trachea è considerata un condotto cilindrico che si estende dalla sesta vertebra
cervicale fino alla quinta toracica dove avviene una biforcazione dando origine ai bronchi
dx e sx, che si dirigono verso i polmoni.
È costituita, come la laringe, da 15-20 anelli cartilaginei incompleti posteriormente
(parte membranosa) e si divide a sua volta in:
• Porzione cervicale; in rapporto anteriormente con la tiroide, lateralmente con
fascio vascolo-nervoso del collo e con il nervo laringeo ricorrente a dx e sx,
posteriormente con l’esofago.
• Porzione toracica; in rapporto con strutture della cavità toracica e in particolare
con il tronco brachiocefalico, l’arteria carotide sx, la vena brachiocefalica sx, la
vena cava superiore e l’arco dell’aorta. Lateralmente è in rapporto con il nervo
laringeo di sx e il nervo vago a dx, posteriormente con l’esofago.

Porzione cervicale

Porzione toracica

Esofago
Trovandosi posteriormente alla trachea, l’esofago pone interruzione agli anelli tracheali
poiché è un condotto che appartiene
all’apparato digerente trasportando il cibo
allo stomaco. Di conseguenza ha un lume
virtuale: quando non è attraversato dal cibo,
le sue pareti sono collassate ovvero unite
l’una all’altra così che il lume stesso quasi non
si vede; quando è attraversato dal cibo le
pareti del lume si distendono ampliandosi,
permettendo il passaggio del bolo alimentare.
A differenza degli anelli cartilaginei della trachea e della laringe che sono dotati di una
certa rigidità necessaria a mantenere sempre pervio il lume poiché vi ci deve passare
l’aria, gli anelli cartilaginei dell’esofago non hanno tale caratteristica poiché vi ci deve
passare il bolo alimentare.
La porzione posteriore della trachea presenta una parte morbida dove non c’è la
resistenza della cartilagine così da consentire l’espansione dell’esofago a discapito della
trachea.

Gli organi dell’apparato respiratorio, dalla laringe in giù tendono via via a rimpicciolirsi
fino a scomparire completamente a livello dei bronchioli polmonari appunto nei polmoni
dove avvengono gli scambi gassosi. Gli anelli cartilaginei vengono invece sostituiti da
fascetti muscolari che prendono anch’essi il sopravvento a livello dei bronchioli
polmonari.
Anatomia 12-13-14 5/05-12/05-18/05
Apparato Digerente -Sistema endocrino
L’apparato digerente è formato da una serie di organi cavi che si susseguono e che
formano il canale alimentare, che si estende dalla testa, dove ha inizio con la cavità
orale, fino alla regione perianale per aprirsi poi all’esterno con l’orifizio anale.

Gli organi cavi che lo costituiscono sono:


• Cavità orale (o boccale).
• Faringe.
• Esofago.
• Stomaco.
• Intestino tenue.
• Intestino crasso.
• Fegato.
• Pancreas.
Quando ingeriamo il cibo, questo prende il nome
di bolo alimentare dalla cavità orale fino allo
stomaco; durante il processo di digestione prende poi il nome di chimo. Completata la
digestione, durante il processo di assorbimento diventa chilo.

Inoltre, al canale alimentare sono annesse delle ghiandole, dette proprio ghiandole
annesse all’apparato digerente: fegato e pancreas; vi appartengono anche le ghiandole
salivari maggiori ossia le ghiandole parotidi, sottomandibolari e quelle sottolinguali.

Le funzioni dell’apparato digerente sono:


• Ricavare energia dall’apporto nutritizio; nello specifico le funzioni sono l’assunzione di
cibo, masticazione e digestione e assorbimento di macro e micronutrienti (quindi
carboidrati, lipidi, proteine, vitamine, Sali minerali).
• Eliminazione di cataboliti e scorie alimentari.
• Costituisce un sistema di barriera protettiva contro l’ingresso di agenti patogeni e
sostanze non self (sostanze estranee all’individuo); grazie alla presenza di un corredo
linfoide, soprattutto il MALT (tessuto linfoide associato alle mucose, che si trova
sottoforma di più o meno grandi aggregati di tessuto linfoide disseminati lungo il canale
alimentare).

Nel dettaglio le funzioni dell’apparato digerente sono:


• Ingestione.
• Masticazione.
• Propulsione; consiste a sua volta negli atti di deglutizione, peristalsi (movimento di
contrazione caratteristico di questo apparato e movimenti di massa), mescolamento
(viene mescolato il cibo per essere digerito in maniera ottimale), secrezione (perché la
propulsione del cibo viene accompagnato da muco, acqua e enzimi, che servono sia a
lubrificare la massa che deve procedere lungo il canale alimentare, ma anche per
digerire chimicamente tutto quello che arriva allo stomaco), digestione, assorbimento
(inizia una volta che è terminata la fase di digestione, nel momento in cui l’organismo
deve recuperare tutto ciò che è stato utilizzato per ricavare energia o per l’accumulo)
ed eliminazione (quindi tutto ciò che non serve più e rimane come materiale di scarto
che viene eliminato attraverso le feci).

Il canale alimentare è l’asse principale di tutto l’apparato digerente. La sua struttura


presenta delle peculiarità rispetto alla struttura di un normale organo cavo, infatti
avremo la sovrapposizione di tonache, che dall’interno all’esterno sono:
• Tonaca mucosa; costituita a sua volta da:
o Epitelio.
o Lamina propria; fa da base di appoggio per le cellule che costituiscono l’epitelio e
consente anche il loro ancoraggio alla superficie della lamina propria.
o Muscularis mucosae; formata da fascetti di fibrocellule muscolari lisce e, grazie alla sua
contrazione, permette la propulsione del cibo nel passaggio negli organi dell’apparato
digerente.
• Tonaca sottomucosa; solito tessuto connettivo che accoglie nervi, vasi e possono essere
presenti delle ghiandole.
• Tonaca muscolare; fatta da 2 o 3 strati con andamento diverso a seconda dell’organo.
• Tonaca avventizia o sierosa; nel caso degli organi dell’apparato digerente, la sierosa è il
peritoneo, perché gli organi dell’apparato digerente per la maggior parte del loro
percorso si trovano nella cavità addominale.

Cavità Orale
Situata nel massiccio facciale della testa, la cavità orale comunica con l’esterno tramite
la rima buccale e posteriormente prosegue nell’istmo delle fauci e quindi nella faringe.
La cavità orale è costituita da:
• Vestibolo della bocca; si trova anteriormente e lateralmente, è quella parte delimitata
anteriormente e lateralmente dalla mucosa delle labbra e delle guance e
posteriormente dalle arcate gengivodentarie. Accoglie il frenulo del labbro superiore e
quello del labbro inferiore, ovvero delle sorte di lamine di mucosa che tiene ancorate le
labbra alla gengiva.
• Cavità orale propriamente detta; posta posteriormente al vestibolo della bocca, è la
parte più interna della bocca. È delimitata anteriormente dalle arcate gengivodentarie,
superiormente dal palato, inferiormente dalla lingua e dal solco sottolinguale,
posteriormente dall’istmo delle fauci.
Le funzioni della bocca sono:
• Assunzione di alimenti solidi e liquidi.
• Triturazione; per ridurre il cibo che ingeriamo in frammenti molto piccoli.
• Insalivazione; nella bocca troviamo le ghiandole salivari maggiori e minori.
• Deglutizione; avviene attraverso muscoli specializzati, che si trovano anche nella faringe
e che esercitano un’azione coordinata con la lingua per consentire il passaggio del bolo
alimentare nell’orofaringe.
• Recezione del gusto; a livello della lingua troviamo le papille gustative.
• Articolazione della parola.
Lingua
La lingua ha come funzioni:
• Assunzione del cibo.
• Masticazione.
• Formazione del bolo alimentare.
• Deglutizione.

È formata da 3 porzioni fondamentali:


• Radice; attaccata al ramo della
mandibola e all’osso ioide.
• Corpo.
• Apice.

Nel dettaglio, la struttura della lingua


presenta:
• Scheletro fibroso; prende il nome di setto ioglosso, fatto a sua volta da una membrana
ioglossa.
• Strato di muscolatura; deve consentire la formazione del bolo alimentare. Ci sono sia
muscoli intrinseci che estrinseci.
• Tonaca mucosa; fatta a sua volta da un epitelio pavimentoso stratificato non
cheratinizzato (o corneificato) in quanto permette una grossa protezione dall’attrito che
si verifica quando noi ingeriamo dei cibi coriacei, e da una lamina propria connettivale
densa.
Gli animali che assumono cibi coriacei in quantità maggiori rispetto a noi, come
rametti, hanno addirittura un epitelio pavimentoso stratificato cheratinizzato.

È sede della sensibilità gustativa, anche se le papille gustative si trovano perlopiù nella
porzione posteriore della lingua e possono avere varie forme, morfologia e
localizzazione:
• Fungiformi.
• Filiformi.
• Vallate.
• Foliate.
Ognuna di queste ha una specializzazione nel sentire i sapori.
Esiste anche un corredo recettoriale collegato al sistema nervoso che ci consente di
discriminare i vari tipi di sapori.
Arcate dentarie superiori e inferiori
Le arcate dentarie sono costituite dai processi alveolari, scavature dello splancnocranio,
in cui sono infissi i denti. I processi alveolari sono a loro volta rivestiti dalla gengiva,
mucosa che riveste lo strato più esterno dell’osso periostio. L’articolazione del dente
con il processo alveolare dell’osso mascellare e della mandibola si chiama gonfosi.
Denti
I denti sono definiti come organi della masticazione e si possono distinguere in base
all’età in cui spuntano e in base alla durata nel momento in cui vengono sostituiti. In
tutto abbiamo 32 denti.

Si suddividono infatti:
• Denti decidui o di latte; 10 per ogni arcata, erompono dal 5°/6° mese di vita neonatale
al terzo anno.
• Denti permanenti; 16 per ogni arcata, erompono dal 6° al 18°/20° anno circa.

Da questa immagine possiamo vedere che alcuni


denti sono ancora presenti all’interno dello
spessore dell’osso e quindi non sono ancora
spuntati.
Il processo di sostituzione dei denti comprende la
perdita dei denti superiori perché garantiscano
spazio a questi ancora all’interno dello spessore
delle ossa che appunto devono spuntare
occupando il vuoto lasciato.

Il dente è formato da:


• Radice.
• Corona; non è a diretto contatto con la polpa,
ma c’è un certo spessore che le separa. Questo
è il motivo per cui quando iniziano a formarsi le
carie, quindi quando sono ancora superficiali,
non sentiamo dolore e non percepiamo la loro
presenza, ma quando poi la carie inizia a farsi
strada a livello della corona, scava fino alla
camera pulpare e poi infiamma i nervi, da quel
momento percepiamo dolore.
• Colletto.
• Camera pulpare; contiene la vascolarizzazione
del dente e l’innervazione del dente.
• Canale radicolare.

Ghiandole salivari
Nella cavità boccale, in suoi punti strategici
troviamo le ghiandole salivari. Queste producono saliva, fluido destinato ad
umidificare e mantenere sterile l’ambiente orale (contiene alcuni enzimi e sostanze che
hanno un’attività battericida), a consentire la formazione del bolo alimentare ed
avviare così, grazie agli enzimi, la digestione degli alimenti.
Le ghiandole salivari si dividono in due grandi famiglie:
• Ghiandole salivari minori; a loro volta possono essere a secrezione mucosa (che
producono solo muco) o mista (mucosa e sierosa);
• Ghiandole salivari maggiori; a loro volta si dividono in parotidi (secrezione sierosa),
sottomandibolari (secrezione mista con prevalenza della componente sierosa) e
sottolinguali (secrezione mista in cui prevale la secrezione mucosa).

In particolare, la ghiandola parotide si trova in


rapporto con il muscolo massetere, muscolo
della masticazione, e in rapporto con
l’orecchio; quando la parotide si infetta, si
parla di parotite che viene detta anche
orecchioni proprio perché, data la
localizzazione anatomica di questa ghiandola,
la porzione vicino all’orecchio si gonfia.

Il cibo viene trasformato in bolo alimentare


attraverso l’azione di denti, lingua e i secreti
delle ghiandole maggiori e minori; quindi,
viene ridotto ad una poltiglia umidificata,
sterilizzata e in parte digerita, che
successivamente viene deglutita e passa a
livello dell’orofaringe.

Faringe
(vedi apparato respiratorio per maggiori info)
La faringe è un tratto del canale digerente posto al
di dietro delle cavità nasali, della bocca e della
laringe; infatti, in ragione di questa localizzazione
si divide in tre tratti:
• Rinofaringe.
• Orofaringe.
• Laringofaringe.

Comunica con le cavità nasali tramite le coane,


con la cavità orale tramite l’istmo delle fauci
(confine tra cavità boccale e l’orofaringe), con la
laringe tramite l’aditus laringeo e con l’orecchio
medio tramite la tuba uditiva (infatti fa da cassa di
risonanza della voce).

Essendo un organo cavo la sua struttura è data dalla sovrapposizione di tonache:


• Tonaca mucosa costituita a sua volta da:
o Epitelio respiratorio nella rinofaringe; in quanto fa parte dell’apparato respiratorio.
o Epitelio pavimentoso pluristratificato nell’orofaringe e nella laringofaringe; qui inizia il
tratto di competenza dell’apparato digerente, quindi, c’è un apparato in grado di
entrare in contatto sia con l’aria che con il cibo. Necessita di un sistema strutturale
maggiormente protettivo garantito da questo epitelio.
o Lamina propria; accoglie ghiandole di tipo tubulare e composto in quanto c’è sempre
bisogno di una secrezione che accompagna il cibo che passa nei vari tratti: deve essere
sempre lubrificato e umidificato affinché non si blocchino lungo il tragitto.
o Muscularis mucosae con fascetti longitudinali di cellule muscolari lisce; serve a
garantire e coadiuvare i movimenti di peristalsi che avvengono all’interno del canale
alimentare.
• Strato fibroelastico o fascia faringea; sostitutivo alla sottomucosa, rappresenta lo
stroma di sostegno dell’organo, quindi il tessuto connettivo che accoglie vasi, nervi.
• Tonaca muscolare; costituisce i muscoli necessari per la deglutizione che sono: muscoli
costrittori ossia muscolo costrittore superiore, medio e inferiore, e muscoli elevatori
ossia muscolo stilofaringeo e faringopalatino. Questi muscoli si uniscono in una
porzione centrale che fa da riferimento alle fibre di tutti questi muscoli che si
orientano verso un punto detto rafe.
• Tonaca avventizia; più esternamente, fatta di connettivo lasso che avvolge l’organo nel
suo complesso.

Meccanismo di deglutizione (possiamo studiarlo


per aumentare il voto)
1. Nella fase volontaria il bolo è spinto dalla lingua
contro il palato e verso l’orofaringe.
2. Chiusura della rinofaringe ed elevazione della
faringe e della laringe.
3. La contrazione dei muscoli costrittori della
faringe spinge il bolo attraverso la faringe verso
l’esofago e l’epiglottide si abbassa.
4. Il muscolo costrittore inferiore della faringe si
contrae e lo sfintere esofageo si rilassa, in questo
modo il bolo passa nell’esofago.
5. Nella fase esofagea le contrazioni peristaltiche
spingono il bolo verso lo stomaco.

Esofago
È l’organo tubulare che collega la faringe con lo
stomaco; è quella porzione di canale alimentare che il bolo attraversa una volta
deglutito per passare dalla faringe allo stomaco (dove verrà ulteriormente digerito, in
quanto la digestione termina nel duodeno, 1° tratto dell’intestino tenue, non nello
stomaco).

L’esofago è il tratto del canale alimentare che fa seguito alla faringe C6 e prosegue
nello stomaco a livello T10 (a livello anatomico si trova tra la 6° vertebra cervicale e la
10° vertebra toracica).
Essendo un condotto piuttosto lungo che attraversa la regione della testa, del collo,
fino ad arrivare alla cavità addominale, si può dividere in più tratti:

• Tratto cervicale; in rapporto con la tiroide e con la trachea anteriormente, con la fascia
cervicale profonda e la colonna vertebrale posteriormente, con le arterie tiroidee
inferiori e carotidi comuni e con i nervi ricorrenti lateralmente.
• Tratto toracico; decorre dietro la trachea, accompagnato lateralmente dai nervi vaghi,
posteriormente mantiene il rapporto con la colonna vertebrale fino alla biforcazione
della trachea; se ne discosta poi portandosi in avanti e contraendo così un rapporto
sempre posteriormente con l’aorta discendente e il dotto toracico e anteriormente
con l’atrio sinistro.
• Tratto diaframmatico; attraversa insieme ai nervi vaghi l’orifizio esofageo del
diaframma.
• Tratto addominale; in rapporto con il fegato a destra, posteriormente con l’aorta
addominale e a sinistra con il fondo dello stomaco.

In virtù di questi tratti, l’esofago presenta 4 restringimenti fisiologici: attraversando


questi tratti entra in contatto con alcuni organi che provocano un restringimento lungo
l’esofago. Questi restringimenti sono quello cricoideo (a livello del collo, perché è in
rapporto con la cartilagine cricoide), quello aortico (perché entra in contatto con
l’aorta), restringimento bronchiale (l’esofago entra in rapporto con i bronchi, in
particolare passa in prossimità della biforcazione della trachea nei due bronchi destro
e sinistro), diaframmatico (in quanto per attraversare la cavità toracica e quindi nel
portarsi nella cavità addominale attraversa il diaframma).
L’esofago è un organo che ha una cavità virtuale, cioè normalmente le sue pareti sono
collassate; quindi, la cavità non è ben visibile se noi osserviamo un esofago in sezione
trasversale, ma lo diventa nel momento in cui l’esofago viene attraversato dal bolo
alimentare, ovvero quando si distende.
La sua struttura è organizzata in:
• Tonaca mucosa; costituita da un epitelio pavimentoso stratificato non cheratinizzato,
una lamina propria ricca di vasi e dalla muscularis mucosae, costituita da elementi a
disposizione longitudinale.
• Tonaca sottomucosa; contiene ghiandole a secrezione mucosa.
• Tonaca muscolare; fatta da uno strato interno circolare ed uno esterno longitudinale,
mentre nel terzo craniale (porzione più alta dell’esofago) c’è una muscolatura striata di
tipo scheletrico. Successivamente diventa liscia, perché la muscolatura scheletrica è di
tipo volontario (quindi nel terzo craniale abbiamo un controllo sulla deglutizione,
superato il terzo craniale la muscolatura è di tipo liscio quindi la propulsione del cibo
avviene in maniera involontaria, quindi per contrazione della muscolatura liscia non
sotto il controllo della nostra volontà).
• Tonaca avventizia; nel tratto cervicale e toracico.
• Tonaca sierosa; nel tratto addominale in quanto iniziamo a trovare il peritoneo e
quindi la sierosa va a sostituire la tonaca avventizia.

La vascolarizzazione dell’esofago è data da:


• Arteria tiroidea inferiore, arterie bronchiali e arterie gastrica e frenica di sinistra.
• Vasi tributari della vena cava superiore e nel tratto addominale vena gastrica sinistra
tributaria della vena porta.
• I nervi provengono dal vago e dall’ortosimpatico.

Attenzione: dove inizia e dove termina la digestione?


la risposta è che la digestione inizia nella cavità orale, ad opera di enzimi contenuti
nella saliva e termina a livello del duodeno con dei succhi, dei secreti che arrivano da
altre ghiandole.

Stomaco
Lo stomaco è quel tratto del canale alimentare interposto tra l’esofago e l’intestino. È
un organo cavo situato nella cavità addominale, subito al di sotto della cupola
diaframmatica, ed occupa esattamente l’ipocondrio sinistro e l’epigastrio.
Le porzioni principali che lo costituiscono sono:
• Fondo; la porzione più alta, a forma di cupola, immediatamente in rapporto con
l’immissione dell’esofago e a contatto con la concavità del diaframma.
• Corpo; regione più ampia di forma cilindrico-conica.
• Parte pilorica (o piloro); di forma conica e con una direzione leggermente ascendente.

Tra esofago e stomaco c’è uno sfintere, un restringimento che serve ad impedire la
risalita del contenuto gastrico a livello di nuovo dell’esofago; serve a garantire
l’unidirezionalità del cibo che noi ingeriamo e prende il nome di cardias.
L’unidirezionalità è necessaria perché il pH dello stomaco è molto acido, in quanto
avviene al suo interno una digestione di tipo chimica, con la secrezione di acido
cloridrico; quindi, nello stomaco c’è un pH molto basso, che è corrosivo per le mucose
del corpo.
A livello dello stomaco sono presenti dei sistemi di protezione: lo stomaco è in grado di
resistere all’ambiente acido al suo interno, mentre gli altri organi non possiedono un
epitelio adatto e quindi, quando si creano delle situazioni patologiche per cui risale il
contenuto gastrico a livello dell’esofago oppure durante il reflusso (per chi soffre di
malattia da reflusso), succede che la porzione dell’esofago subito sopra lo stomaco,
viene continuamente distrutta e negli anni può andare incontro ad una
trasformazione, detta metaplasia che può condurre anche ad una forma di cancro, che
si chiama esofago di Barret.

Dobbiamo ricordare che esiste, tra l’esofago e la porzione iniziale dell’intestino tenue,
un margine, detto piccola curvatura, mentre una porzione sempre ricurva ma più
esterna detta grande curvatura.

Essendo in cavità addominale, c’è la presenza del rivestimento peritoneale, in realtà


esso è quasi interamente ricoperto dal peritoneo eccetto che per una porzione che si
trova posteriormente.
L’importanza del peritoneo nel rivestire lo stomaco risiede anche nel fatto che crea
anche dei mezzi di fissità per l’organo: l’organo viene mantenuto in sede grazie a dei
mezzi di fissità molti dei quali sono formati dal peritoneo. Quest’ultimo, portandosi
sullo stomaco, forma delle pieghe spesse che costituiscono dei veri e propri legamenti
che collegano a loro volta lo stomaco agli altri visceri della cavità addominale che si
trovano in rapporto con lo stomaco. I
legamenti sono:
• Legamento epatogastrico; va dalla
piccola curvatura dello stomaco, si
porta al solco trasverso del fegato e va
a costituire il piccolo omento insieme
al legamento epatoduodenale.
• Legamento gastrofrenico.
• Legamento gastrolienale.
• Legamento gastrocolico; va dalla
grande curvatura al colon trasverso e
costituisce la prima porzione del
grande omento. Gli omenti sono delle
sorte di lenzuola di peritoneo che
costituiscono dei grandi legamenti a
livello della cavità peritoneale.
Piccola e grande curvatura sono dei punti di riferimento per descrivere l’origine e poi
l’inserzione di questi legamenti.

Lo stomaco è un organo cavo, quindi la sua


struttura è data dalla sovrapposizione di
tonache. La sua superficie interna però non
appare liscia, ma piegata; queste pieghe
prendono il nome di pliche gastriche o
pieghe longitudinali (si osserva a livello
macroscopico e in alcuni punti sono più fitte
di altri).

A livello microscopico la struttura è organizzata in:


• Tonaca mucosa; presente appunto le pieghe gastriche, che a loro volta composta da
areole gastriche, sollevamenti della tonaca mucosa stessa, intervallate da fossette
gastriche, scavature in cui sboccano le aperture delle ghiandole gastriche.
L’epitelio gastrico è cilindrico monostratificato a secrezione mucosa, con cellule di
microvilli. La lamina propria accoglie ghiandole gastriche, che a seconda della porzione
dello stomaco in cui si trovano, prendono il nome di ghiandole cardiali (regione del
cardias), ghiandole piloriche (regione del piloro, quella più bassa) e le ghiandole
propriamente dette (ghiandole del corpo, le più importanti, che è la regione più estesa
dello stomaco). Vi è anche la presenza della muscularis mucosae.
Man mano che si va in profondità delle
ghiandole gastriche propriamente dette
(ghiandole tubulari semplici), si trovano diverse
stratificazioni cellulari quali in ordine dal più
superficiale:
o Cellule mucosecernenti; si distinguono cellule
della mucosa superficiale e quelle della mucosa
del colletto: nonostante abbiano la stessa
funzione di secernere muco, le prime
producono muco ricco di bicarbonato, che deve
tamponare il pH eccessivamente acido così da
proteggere la mucosa gastrica e impedire l’autodigestione dell’organo; le seconde
producono invece muco neutro.
o Cellule parietali o delomorfe; presentano dei canalicoli, fondamentali poiché
contengono pompe protoniche per garantire la secrezione degli ioni che vanno a
costituire l’acido cloridrico. Tali cellule sono importanti anche per la produzione del
fattore intrinseco, responsabile del processo di assorbimento della vitamina B12, che è
essenziale per la produzione delle cellule del sangue.
o Cellule principali o adelomorfe; produce la pepsina per il processo di digestione.
o Cellule neuroendocrine o argentaffini; sono di tre tipi, G D ECL, che producono
rispettivamente gastrina, somatostatina, istamina, che servono a regolare i meccanismi
di secrezione e di motilità che avvengono nell’apparato digerente.
o Cellule staminali.
• Tonaca sottomucosa; ospita il plesso nervoso di Meissner. I plessi sono fondamentali e
costituiscono un sistema nervoso proprio dell’apparato digerente che prende il nome di
sistema metasimpatico, come se l’apparato digerente abbia un sistema nervoso a sé
stante, che regola da sé sia la motilità degli organi dell’apparato digerente, sia la
secrezione che avviene da parte delle ghiandole disseminate nell’apparato. Si trova lì
perché responsabile della secrezione ghiandolare.

• Tonaca muscolare; costituita da uno strato circolare interno ed uno longitudinale


esterno. Accoglie il plesso nervoso mienterico di Auerbach il cui sistema nervoso
controlla la regolazione; si trova per questo inframmezzato negli strati della tonaca
muscolare.
• Tonaca sierosa (l’avventizia la
ritroviamo solo in una piccola
porzione posteriore dello stomaco);
formata da mesotelio e strato
connettivo sottomesoteliale e
costituita da peritoneo.

Per quanto riguarda la vascolarizzazione dello


stomaco, è garantita da due grosse arcate arteriose
che si anastomizzano tra loro (due vasi si incontrano
formando un circolo comune) per vascolarizzare
piccola e grande curvatura e corpo dello stomaco.
Prima di continuare è però necessaria la descrizione
dell’aorta addominale, che presenta tre rami:
• Tripode o tronco celiaco; si origina nella porzione
alta dell’arteria addominale.
• Arteria mesenterica superiore.
• Arteria mesenterica inferiore.
Tripode o tronco celiaco
Si tratta di un tronco arterioso da cui si originano a sua volta a tre grosse arterie che
appunto vascolarizzano gli organi della cavità addominale e dell’apparato digerente:
o Arteria gastrica sx.
o Arteria epatica comune.
o Arteria lienale.
L’arteria gastrica sx e dall’arteria gastrica dx si anastomizzano tra loro formando la
prima arcata che vascolarizza lo stomaco e in particolare il margine della piccola
curvatura; le arterie gastroepiploiche (o gastro-omentali) dx e sx si anastomizzano tra
loro per andare a vascolarizzare invece la grande curvatura.
Il corpo e il fondo dello stomaco sono invece vascolarizzati dai rami dell’arteria
splenica.
Le vene sono tributarie della vena porta, che va al fegato: il fegato costituisce una
stazione di passaggio di tutto ciò che arriva dall’apparato digerente, di conseguenza le
sostanze assorbite da questo confluiscono con il sistema venoso della vena porta.

Riguardo l’innervazione dello stomaco, è garantita invece dai rami del ganglio celiaco
per la componente simpatica e dai rami terminali del nervo vago per la componente
parasimpatica. Inoltre, lo stomaco è dotato di un sistema nervoso a sé stante ovvero il
metasimpatico, costituito dai plessi mioenterico e sottomucoso situati tra le tonache,
per il controllo dell’attività motoria e secretoria.
Intestino
Successivamente allo stomaco, troviamo l’intestino, di cui si distingue intestino tenue e
intestino crasso.
Rappresenta la porzione più lunga del canale
alimentare e occupa la maggior parte dello spazio
della cavità addominale: l’intestino è lungo circa sei
volte l’altezza dell’individuo stesso. Essendo talmente
lungo, è ripiegato più volte su sé stesso in anse; si
tratta proprio di un sistema di impacchettamento in
modo tale da far entrare una grossa superficie di
assorbimento in uno spazio così piccolo. Saranno
sempre presenti, infatti, sistemi di impacchettamento
e per massimizzare la superficie di assorbimento e
farla rientrare in un piccolo spazio.
La funzione complessiva dell’intestino è infatti proprio
quella di terminare la digestione e di iniziare e
completare l’assorbimento.

Nella dissezione di un corpo, l’intestino non sarà esposto direttamente, ma è rivestito


da una sorta di grembiule peritoneale ricco di tessuto adiposo. In particolare, si tratta
del grande omento che va a proteggere gli organi della cavità addominale.

Intestino tenue
Il primo tratto di intestino è l’intestino tenue, che va dallo stomaco all’intestino crasso
ovvero.
Il passaggio delle sostanze che dallo stomaco si dirigono nell’intestino è regolato da
uno sfintere, sfintere pilorico, che si trova appunto tra lo stomaco e l’intestino tenue.
Lo sfintere è dovuto ad un inspessimento della tonaca muscolare andando a formare
un restringimento per regolare appunto il passaggio di sostanze.
Come detto precedentemente, l’intestino tenue è il tratto tra stomaco e intestino
crasso, che lo “circonda” formando una sorta di cornice al cui interno vi è appunto
l’intestino tenue impacchettato.
L’intestino tenue è composto da:
• Parte fissa; comprende il duodeno che accoglie proprio lo sfintere pilorico.
• Parte mobile; comprende l’intestino tenue mesenteriale.
Entrambe hanno come principale funzione la digestione e l’assorbimento di sostanze.

La struttura dell’intestino tenue è come sempre data dalla sovrapposizione di tonache:


• Tonaca mucosa; comprende a sua volta:
o Epitelio di rivestimento batiprismatico semplice; comprende enterociti, ovvero cellule
dell’intestino, cellule caliciformi municipare, per garantire il procedere delle sostanze
attarverso il muco che lubrifica il canale alimentare, cellule del sistema endocrino
gastroenteropancreatico, che secernono le sostanze che regolano i processi di
digestione, motilità e così via, cellule di Paneth, secernono sostanze per l’immunità
innata: nello stomaco vi possono entrare sono alcuni batteri che resistono all’acidità dei
succhi, come il nicobatter-pilori, che, nel caso in cui vi sia già una lesione della mucosa
gastrica, vi scava ancor di più elimina il rivestimento della mucosa esponendo le pareti
ai succhi corrosivi che possono poi portare ad un ulcera gastrica.
o Lamina propria; tessuto connettivo lasso che accoglie ghiandole tubulari semplici quali
le ghiandole di Galeazzi.
o Muscularis mucosae; strato di fibrocellule muscolari longitudinale esterno ed uno
circolare interno.
• Tonaca sottomucosa; connettivo lasso, plesso nervoso del Meissner e ghiandole
duodenali di Brunner, importanti per la produzione di muco alcalino: a livello
duodenale arriva il prodotto gastrico, ancora intriso di acido che può appunto
danneggiarlo, quindi le ghiandole attraverso la produzione di muco alcalino,
neutralizzano l’acido.
• Tonaca muscolare; strato circolare interno e longitudinale esterno, ospita il plesso
mioenterico di Auerbach.
• Tonaca sierosa; peritoneo formato da mesotelio e connettivo sottomesoteliale.

Duodeno
Il duodeno è costituito a sua volta da:
• Parte superiore.
• Parte discendente; riceve lo sbocco dei dotti pancreatici e del dotto coledoco.
• Parte orizzontale.
• Parte ascendente.
• Flessura duodeno-digiunale.

Nel duodeno si completa il processo di digestione del chimo ad opera di succhi prodotti
dal pancreas e dalla cistifellea, che servono proprio a digerire i grassi.
In particolare, la bile, contenuta nella cistifellea, nonostante sia prodotta dal fegato,
viene rilasciata dopo specifici stimoli, per andare nel duodeno attraverso il dotto
coledoco ed emulsionare i grassi, sua funzione principale, rendendoli più facilmente
attaccabili dagli enzimi che vanno a scomporli in piccole parti tali da poter essere
digerite.
Anche il pancreas appunto, dalla sua porzione esocrina, produce ormoni, ma
soprattutto succhi della digestione che arrivano anch’essi al duodeno attraverso dotti
specifici.

Il duodeno è quindi in rapporto con principalmente:


• Pancreas; si inserisce proprio nello spazio della C duodenale.
• Cistifellea.
• Lobo dx del fegato.
• Flessura dx del colon.
• Arteria e vena mesenterica superiore.

Posteriormente possiamo trovare invece:


• Rene e uretere dx.
• Vena porta.
• Vena cava inferiore.
• Aorta.
• Pelvi e uretere sx.

Anche il duodeno presenta dei mezzi di fissità, dati dalla presenza del peritoneo,
importante sierosa che avvolge gli organi della cavità addominale e in alcuni punti va a
creare delle strutture legamentose, necessarie proprio per l’ancoraggio degli organi.
Infatti, il duodeno è applicato alla parete posteriore dell’addome dal peritoneo
parietale, che lo riveste sulla faccia anteriore e presenta:
• Legamento epatoduodenale.
• Legamento di Treitz; fissa la fissure duodeno-digiunale al diaframma e alla parete
addominale posteriore.

La vascolarizzazione del duodeno è garantita da:


• Arterie pancreaticoduodenali superiore e inferiore.
• Vene tributarie del sistema portale epatico.
Duodeno
Intestino tenue mesenteriale
È la porzione mobile e quella più lunga dell’intestino tenue e si
estende dal duodeno all’intestino crasso. È possibile
suddividerlo in:
• Digiuno; chiamata così poiché è quasi sempre vuota nella
dissezione di un cadavere. Qui avviene infatti un assorbimento
così massiccio, che non rimane niente.
• Ileo.

È avvolto anch’esso dal peritoneo, che lo tiene unito alla parete


addominale posteriore mediante un legamento peritoneale a
ventaglio, il mesentere, poiché essendo il tratto più lungo
dell’intestino ha bisogno di strutture legamentose più
complesse.
Inoltre, attraverso il mesentere passano anche strutture che vanno a vascolarizzare
questa parte di intestino.
Per quanto riguarda la struttura dell’intestino tenue
mesenteriale, non è liscia, ma presenta delle pieghe
circolari o valvole di kerkring, assenti nel duodeno e
nell’ultimo tratto dell’ileo poiché, soprattutto nel
duodeno dove deve ancora terminare la digestione,
non vi è ancora assorbimento dunque non è
necessario massimizzare la superficie; mentre nell’ileo
sono assenti poiché è il punto in cui termina
l’assorbimento ed in più si trova dopo il digiuno dove
invece l’assorbimento è a livelli massimi.
Tali valvole servono appunto quindi a massimizzare la
superficie di assorbimento e a compattare l’intestino
ad uno spazio più piccolo.

• Tonaca mucosa; presenta sempre un epitelio di


rivestimento batiprismatico semplice, con enterociti comprendenti microvilli,
originando un sistema detto a spazzola anch’esso con lo scopo di massimizzare
l’assorbimento: la tonaca mucosa si solleva a formare i villi intestinali, il cui asse è
formato dalla tonaca sottomucosa che si solleva formando delle pieghe, e
comprendono sempre un’arteria, una vena ed un vaso linfatico, che prende però il
nome di vaso chilifero, poiché appunto in questo tratto di intestino il cibo ingerito che
vi passa è il chilo. Vi sono poi ovviamente cellule caliciformi municipare e cellule del
sistema endocrino gastroenteropancreatico. Tutto ciò è sempre poggiato sulla lamina
proprio che comprende non solo le ghiandole di Galeazzi e le cellule di Paneth, ma
anche le placche di Peyer, ovvero agglomerati di tessuto linfoide che servono per la
sorveglianza immunitaria. Infine, la muscolaris mucosae.
• Tonaca sottomucosa; comprende un tessuto connettivo lasso, plesso nervoso del
Meissner e ghiandole duodenali di Brunner.
• Tonaca muscolare; costituita da uno strato circolare interno e longitudinale esterno,
ospita il plesso mioenterico di Auerbach.
• Tonaca sierosa; costituita dal peritoneo formato a sua volta da mesotelio e connettivo
sottomesoteliale.
Riguardo la vascolarizzazione:
• Digiuno e ileo sono irrorati dall’arteria mesenterica superiore.
• Le vene confluiscono nella vena mesenterica inferiore, tributaria della vena porta.
• Il drenaggio linfatico è garantito dal dotto toracico.

Intestino crasso
A seguito della fossa iliaca dx dell’intestino tenue, ha inizio l’intestino crasso, che
termina aprendosi all’esterno con l’orifizio anale.
L’intestino crasso è più breve, più fisso e più grosso del tenue e riceve il chilo
proveniente dall’ileo a livello della valvola ileocecale, ovvero lo sfintere posto tra
intestino crasso e intestino tenue.
Anch’esso può essere suddiviso in parti:
• Intestino cieco.
• Colon; a sua volta distinto in:
o Ascendente.
o Flessura destra.
o Trasverso.
o Flessura sinistra.
o Discendente.
o Ileopelvico.
• Intestino retto; a sua volta distinto in:
o Ampolla rettale.
o Retto perineale.
o Canale anale.
Anche l’intestino crasso presenta dei mezzi di fissità che si distinguono in:
• Legamento epatocolico; ovvero flessura dx.
• Legamento frenocolico dx; ovvero flessura dx.
• Mesocolon trasverso.
• Legamento gastrocolico.
• Legamento frenocolico sx; ovvero flessura sx.
• Mesocolon ileopelvico.

Per quanto riguarda la struttura, comprende sempre una sovrapposizione di tonache:


• Tonaca mucosa; comprende:
o Epitelio di rivestimento batiprismatico semplice con enterociti con orletto a spazzola e
cellule caliciformi mucipare.
o Lamina propria; tessuto connettivo lasso e accoglie ghiandole tubulari semplici e
tessuto linfoide.
o Muscularis mucosae.
• Tonaca sottomucosa; connettivo lasso.
• Tonaca muscolare; strato circolare interno e uno longitudinale esterno, inoltre presenta
tre lamine nastriformi longitudinali di struttura liscia dette tenie. Queste garantiscono
un preciso movimento di peristalsi affinchè sia garantca la prosecuzione del contenuto
intestinale verso il retto e quindi l’eliminazione delle feci.
• Tonaca sierosa; peritoneo, mesotelio e connettivo sottomesoteliale.
Presenta sulla superficie
esterna rigonfiamenti, separati
da solchi (Haustra).

Nell’intestino retto, e quindi


l’ultima porzione di intestino
crasso, termina l’assorbimento
delle sostanze nutritive. La
funzione complessiva
principale dell’intestino crasso
è proprio la formazione e
l’evacuazione della massa
fecale.

Intestino cieco
Piccola porzione che fa seguito all’ultima ansa
dell’ileo a livello della fossa iliaca destra, in
rapporto diretto con le pareti anteriore e laterale
dell’addome. Si chiama cieco, poiché appunto
termina a fondo cieco ed è collegata solo
all’appendice detta appendice vermiforme, che è
soggetta spesso a infezioni e infiammazioni
comportando l’appendicite e ha una funzione
immunitaria; è costituita infatti da tessuto linfoide.
Colon
Come detto in precedenza il colon si suddivide in:
• Colon ascendente; parte dal cieco e si porta verso l’alto fino al lobo destro del fegato
dove diviene orizzontale o trasverso.
• Colon trasverso; decorre fino alla milza e poi piega
verso il basso.
• Colon discendente; dalla fossa iliaca sinistra si dirige
verso lo scavo pelvico ovvero colon sigmoideo.

Intestino retto
È costituito appunto da:
• Ampolla rettale; porzione pelvica più dilatata.
• Canale anale; porzione più ristretta che attraversa il
pavimento pelvico.
• Orifizio anale; costituisce lo sbocco all’esterno.

In base al sesso, i rapporti dell’intestino retto sono


differenti:
• Nell’uomo è in rapporto anteriormente con la parete posteriore della vescica, la
prostata e le vescichette seminali.
• Nella donna tra retto e vescica si interpongono la vagina e il collo dell’utero.

Come detto in precedenza è proprio del retto la principale funzione dell’intestino


crasso, ovvero quella di formazione ed espulsione della massa fecale. Per tale motivo
l’intestino retto presenta una struttura particolare costituita da:
• Tubo muscolare rettilineo.
• Ampolla rettale; ha struttura analoga a quella del colon.
• Canale anale; presenta una sovrapposizione di tonache quali:
o Tonaca mucosa; epitelio di rivestimento composto; diventa di protezione.
o Tonaca sottomucosa; comprende un plesso emorroidario interno. È sfruttato
principalmente per l’inserimento via retto appunto di alcuni farmaci.
o Tonaca muscolare; a livello dei seni rettali, lo strato circolare interno è più spesso nello
sfintere liscio del retto. Vi è in realtà un sistema di due sfinteri: uno esterno con
muscolatura scheletrica, quindi ne abbiamo il controllo, e uno interno con muscolatura
liscia, è involontario.

Le tonache presentano comunque le stesse cellule di quelle dell’intestino tenue, ma


cambiano i rapporti tra esse invertendosi: gli enterociti nella tonaca mucosa sono a
favore delle cellule caliciformi municipare poiché appunto c’è necessita di una
maggiore produzione di muco per dare consistenza alla massa fecale e garantire la
lubrificazione per la sua espulsione.

Per quando riguarda la vascolarizzazione, vi sono:


• Due grosse arterie quali arteria mesenterica superiore, fino alla metà destra del colon
trasverso, e arteria mesenterica inferiore, per il tratto successivo, e anche l’arteria iliaca
interna per la metà inferiore del retto.
• Vene tributarie delle vene mesenteriche superiore e inferiore e quindi del sistema della
vena porta. Nella parte inferiore dell’intestino retto le vene rettali medie e inferiori
sono tributarie della vena iliaca interna e quindi della vena cava inferiore (anastomosi
tra il sistema della vena cava inferiore e quello della vena porta); per quest’ultimo
aspetto è talvolta preferibile somministrare farmaci via rettale: non entrano in contatto
con il sistema della vena porta e quindi si evita il passaggio intermedio nel fegato.
Fegato
All’apparato digerente appartengono anche due tipi di ghiandole anficrine importanti,
cioè sono in grado di produrre sia ormoni che sostanze che completano la digestione. Si
tratta del fegato e del pancreas. Sono ghiandole
extramurali ovvero organi a sé stanti esterni allo
spessore degli organi che costituiscono l’apparato
digerente.

Il fegato in particolare si trova nella cavità addominale e


più dettagliatamente nella loggia sottofrenica dx e nella
parte destra della regione sovramesocolica subito al di
sotto del diaframma (oppure possiamo dire che occupa
la zona dell’epigastrio e nell’epicondrio destro e solo
una piccola parte nell’epicondrio sx).
Il fegato, oltre alla produzione di succhi per la digestione, ha come funzioni principali:
• Secrezione di bile, secreto di tipo esocrino.
• Sintesi di proteine plasmatiche e di fattori della coagulazione (albumina globulina
eparina).
• Metabolismo di carboidrati, proteine e lipidi.
• Detossificazione; inattivazione di sostanze tossiche (come anche farmaci).
• Emocateresi (distruzione e sostituzione di cellule del sangue invecchiate) e
immagazzinamento del ferro.
• Produzione di lipoproteine.
• Immagazzinamento e rilascio di glucosio.
• Accumulo di lipidi di riserva (glicogeno grassi ferro rame vitamine).
• Sintesi di angiotensinogeno, per la regolazione della pressione.
• Fagocitosi; presenta delle cellule con attività fagocitaria.
• Trasformazione; in particolare attivazione di farmaci a seguito di modifiche effettuate
su questi dal fegato stesso.

Il fegato è vascolarizzato dalla vena porta che porta sangue ricco di nutrienti, ma
povero di ossigeno; l’ossigeno è portato al fegato dalla arteria epatica e fuoriesce dalle
vene epatiche.

Esternamente, il fegato ha un volume molto grande, proprio per questo tende a creare
una asimmetria tra rene dx e sx; il dx è spinto un po’ più in basso del sx.
Ha forma ovoide con asse maggiore trasversale. Si possono individuare sono due facce
e dei margini; il margine posteriore coincide in realtà con la faccia posteriore:
• Faccia anterosuperiore o diaframmatica; è in rapporto con il diaframma, le cavità
pleuriche, la base polmonare dx, il pericardio, la faccia diaframmatica e l’apice del
cuore.
Presenta un lungo solco sagittale che divide il fegato in lobo dx e sx, e i cui labbri sono
agganciati dal peritoneo che si insinua formando un legamento falciforme. È una faccia
convessa.

• Faccia viscerale o posteroinferiore; presenta dei solchi longitudinali e uno trasverso che
identificano altri due lobi ovvero un lobo caudato, in contatto con la vena cava
inferiore, e un lobo quadrato, in contatto con la cistifellea. Il solco trasverso individua
l’ilo, dove entrano vena porta, arteria epatica, vasi linfatici e nervi e fuoriesce il dotto
epatico comune.
Presenta delle impronte date dagli organi con cui è in rapporto nella cavità addominale:
rene e surrene dx, porzione addominale dell’esofago e quella discendente del
duodeno, piccola curvatura dello stomaco e la sua parte pilorica, pilastro dx del
diaframma e vena cava inferiore.

• Faccia posteriore; coincide con il margine ottuso; presenta la fuoriuscita delle arterie
epatiche collegate poi alla vena cava inferiore. È priva di rivestimento peritoneale e
appunto presenta due margini, posteriore e ottuso.
• Margine posteriore.
• Margine inferiore.
Faccia anterosuperiore o diaframmatica Faccia viscerale o posteroinferiore

Faccia posteriore o margine ottuso

Come mezzi di fissità, il fegato presenta strutture legamentose costituite dal peritoneo
che si addentra nei solchi del fegato formando i seguenti legamenti:
• Legamento falciforme; formato dal peritoneo che si insinua nel solco sagittale sulla
faccia diaframmatica: unisce faccia superiore del fegato al diaframma.
• Legamento coronario; unisce la faccia posteriore al diaframma.
• Legamenti triangolari; rappresentano due estremità del legamento coronario.
• Piccolo omento; costituito da una serie di legamenti.
• Legamento rotondo; nel solco sagittale sx della faccia viscerale. Deriva sempre
dall’insinuazione del peritoneo in tale zona.
Come già accennato in precedenza, il fegato è vascolarizzato dalla vena porta e
dall’arteria epatica entrambe in ingresso (vasi afferenti), mentre in uscita si trovano le
vene epatiche (vasi efferenti). È proprio la particolarità del fegato ad essere
vascolarizzato sia da arterie che da vene.

Il fegato è un organo pieno, quindi presenta:


• Capsula; la capsula prende il nome di capsula connettivale di Glisson.
• Stroma; forma addensamenti connettivali intorno alle strutture vascolare e ai condotti
biliari.
• Parenchima; forma una struttura cordonale formata da lamine ramificate di epatociti
tra cui decorrono sinusoidi di tipo fenestrato.

Per quanto riguarda le unità istofunzionali del fegato sono:


• Lobulo epatico; costituito da cordoni o lamine di cellule epiteliali
(epatociti) a disposizione radiata. L’asse del lobulo è formato da
una vena centrolobulare in cui sboccano i sinusoidi; sono dunque
posti tra i vasi nello spazio porto-biliare e la vena centrolobulare.
Nei sinusoidi il sangue fluisce in modo centripeto: dalla periferia, i
sinusoidi vanno verso la vena centrolobulare; la bile, prodotta dagli
epatociti, ha moto centrifugo: dalla vena centrolobulare verso lo
spazio porto-biliare da cui andrà nei dotti biliari che dirigono alla
cistifellea, dove verrà immagazzinato.
Il sinusoide è appunto fenestrato, con una parete sottile, un lume
ampio, decorso tortuoso poiché appunto è in grado di insinuarsi
nei diversi spazi tra i cordoni e gli epatociti (da questa sua
caratteristica deriva il nome sinusoide) e hanno una membrana
basale discontinua.
Gli angoli dei lobuli epatici presentano gli spazi porto-biliari, a livello dei quali possiamo
osservare strutture quali: diramazioni della vena porta e dell’arteria epatica, dei dotti
biliari e dei vasi linfatici; si parla di triade portale, ovvero la sezione di un ramo della
vena porta, dell’arteria epatica e di un dotto biliare.
Grazie al lobulo epatico, dunque, possiamo descrivere a livello funzionale quale
percorso fa il sangue e quale la bile, ovvero percorsi opposti.

• Lobulo portale; area triangolare con vertici occupati da tre vene centrolobulari e con
centro uno spazio portobiliare. Ci indica sempre il percorso della bile ovvero dalla
periferia al centro.
• Acino epatico, forma di prisma quadrangolare con asse maggiore compreso tra due
vene centrolobulari ed asse minore compreso tra due spazi porto-biliari. E’ importante
per il metabolismo poiché si possono identificare tre zone andando verso la vena
centrolobulare: zona 1, zona 2, zona 3; dalla zona 1 alla zona 3 cambia la
concentrazione di metaboliti e soprattutto di ossigeno che vanno a diminuire. Infatti, ad
esempio nella zona 1 troveremo i carboidrati, con maggiore necessità di ossigeno per il
loro metabolismo; nella zona 2 troveremo le proteine che richiedono un apporto
intermedio; nella zona 3 troveremo i lipidi che richiedono scarso apporto di ossigeno.

Il fegato presenta diverse cellule importanti quali:


• Epatociti; cellula epiteliale con forma poliedrica a 6 facce. Nella loro struttura si
identificano:
o Polo vascolari; è la faccia della cellula in contatto
con il capillare sinusoide e presenta dei microvilli,
in grado di assorbire nutrienti dai capillari
necessari per l’attività metabolica della cellula.
o Poli biliari; faccia della cellula in contatto con un
altro epatocita, presenta una struttura a doccia
scavata all’interno che si accoppia alla “doccia”
della cellula adiacente formando un canale,
ovvero i canali biliari.
• Cellule endoteliali; rivestono i capillari sinusoidi
che vanno a servire il parenchima epatico.
• Cellule di Kupffer; di tipo immunitario, sono fagociti. Si trovano all’interno del lume dei
sinusoidi.
• Cellule di Ito; occupano recessi perisinusoidali tra gli epatociti. Hanno diverse funzioni
quali:
o Supporto agli epatociti; in particolare hanno funzione epiteliotrofica.
o Sintetizzano fibre reticolari e collagene (componenti della matrice extracellulare).
o Supporto ai sinusoidi.
o Hanno attività di fibrogenesi.
o Fanno da fat-storing cells; accumula ad esempio vitamina A.
• Colangiociti; che rivestono i dotti che trasportano la bile.
• Pit cells; linfociti di grandi dimensioni con attività tipo natural killer (NK)

Per quanto riguarda la bile è un secreto esocrino del fegato costituito da sostanze che
emulsiona i grassi e quindi facilitarne la digestione e l’assorbimento a livello della
mucosa dell’intestino tenue. È composto ad esempio di Sali biliari, colesterolo,
biliverdina, bilirubina e lecitina, tutte con la funzione emulsionante. Il termine della
digestione avviene nel duodeno ed è proprio ad opera della bile.
È appunto prodotta dal fegato, ma immagazzinata dalla cistifellea.
La cistifellea si trova sulla faccia viscerale del fegato. La bile prodotta dal fegato arriva
alla cistifellea attraverso una serie di ramificazioni dei condotti biliari; il dotto cistico,
raccoglie i dotti epatici dx e sx, che a loro volta accolgono la bile dalle vie extra
epatiche, e tutti e tre confluiscono nel dotto coledoco, che sbocca a livello del duodeno
attraverso la pupilla duodenale maggiore, provvista di uno sfintere, sfintere di Oddy,
che regola il passaggio della bile e dei succhi pancreatico.

Pancreas
Anch’essa è una ghiandola anficrina extramurale situata in posizione retroperitoneale
all’altezza della prima e seconda vertebra lombare in cavità addominale.
Il pancreas è costituito da:
• Testa; si inserisce proprio nella C
duodenale poiché la componente esocrina
del pancreas produce succo pancreatico,
che insieme alla bile, completano la
digestione a livello duodenale. Si aggancia
appunto con i suoi dotti alle papille
duodenali per garantire lo sbocco dei dotti.
• Istmo.
• Corpo.
• Coda.
I dotti principali pancreatici che sboccano a livello duodenale sono:
• Dotto pancreatico principale o di Wirsung; percorre tutta la lunghezza del pancreas e si
incontra con il dotto coledoco sboccando nella papilla duodenale maggiore.
• Dotto accessorio o di Santorini; si trova
nella porzione superiore della testa e
sbocca nella papilla duodenale minore.

Per quanto riguarda il succo


pancreatico, è appunto prodotto dalla
porzione esocrina del pancreas e
permette il completamento della
digestione. Per tale motivo è composto
da enzimi e ioni in grado di digerire ciò
che arriva a livello duodenale.
I più importanti sono gli ioni bicarbonato: il
succo pancreatico ha un pH molto elevato,
gli ioni bicarbonato agiscono come
tampone a livello del duodeno ovvero
neutralizzano il pH acido proveniente dal
lume dello stomaco poiché appunto risulta
corrosivo per la mucosa del duodeno.

La secrezione delle sostanze durante la


digestione avviene proprio ad opera del
chimo e in particolare del suo passaggio
dallo stomaco al duodeno. Quando il chimo raggiunge il duodeno, vengono rilasciate la
secretina e la colecistochinina, da parte delle cellule della mucosa del duodeno stesso;
queste entrano in circolo raggiungendo il pancreas e la cistifellea e stimolano la
secrezione di enzimi e ioni bicarbonato.

Riguardo la porzione endocrina del pancreas invece, che è minore rispetto quella
esocrina, è costituita da raggruppamenti cellulari detti isolotti di Lagerhans, situati nel
parenchima esocrino soprattutto a livello del corpo e della coda. Questi
raggruppamenti producono diversi ormoni, ma provengono da cellule diverse:
• Glucagone; prodotto da cellule A o alfa, agisce sui livelli di glucosio nel sangue con
azione iperglicemizzante ovvero aumenta i livelli di glucosio attraverso lo stimolo della
glicogenolisi epatica. Riduce la motilità gastrointestinale, stimola l’attività cardiaca e
favorisce la liberazione di acidi grassi dal tessuto adiposo.
• Insulina; prodotta da cellule B o beta, agisce sui livelli di glucosio nel sangue con azione
ipoglicemizzante ovvero abbassa i livelli di glucosio. Favorisce l’accumulo di glucosio nel
fegato. Ha azione anabolizzante (stimola la formazione di trigliceridi e l’incorporazione
di amminoacidi nelle catene peptidiche).
• Somatostatina; prodotta da cellule D o delta, inibisce la sintesi del GH ipofisario
(ormone della crescita), inibisce le secrezioni endocrina ed esocrina del pancreas e la
motilità gastroenterica.
• Polipeptide pancreatico; prodotto da cellule F, coinvolto nella regolazione dell’appetito.
• VIP; ovvero peptide intestinale vasoattivo, stimola la secrezione di acqua ed elettroliti,
di bicarbonato pancreatico e inibisce la secrezione di acido gastrico stimolata dalla
gastrina.

Il pancreas è vascolarizzato dalle arterie pancreaticoduodenali superiori e inferiori


ovvero
rami dell’arteria lienale, dell’arteria epatica, e dell’arteria mesenterica superiore. Il
sangue refluo è invece raccolto dal sistema della vena porta.
Anatomia 15
Apparato Urinario
L’apparato urinario è costituito da:

• Reni; due organi pieni deputati all’ultrafiltrazione del plasma sanguigno e quindi
alla produzione di urina.
• Vie Urinarie; sono una serie di condotti
che servono a trasportare l’urina prodotta
dai reni, dapprima alla vescica e poi verso
l’esterno, attraverso l’ultimo tratto
dell’apparato urinario ovvero l’uretra.
Le vie urinarie iniziano nel rene, si tratta
infatti di una porzione non visibile, se non
sezionando il parenchima renale. Partono da
strutture dette calici minori, che poi si
mutano in calici maggiori, che confluiscono a
formare la pelvi renali o bacinetto renale, ciascuna per ogni rene; abbiamo poi gli
ureteri, che si portano verso l’esterno del rene,
percorrono tutta la cavità addominale fino ad
arrivare alla vescica, un serbatoio temporaneo
dell’urina, ed infine l’uretra, che convoglia l’urina
verso l’esterno.

Reni
I reni sono due organi pieni situati posteriormente alla cavità addominale, dietro il
peritoneo, per questo si parla di organi retroperitoneali, pari e simmetrici; essi sono
applicati proprio sui muscoli che tappezzano la parete posteriore dell’addome. Inoltre,
si può osservare che i reni entrano in contatto con i grossi vasi della cavità addominale
che sono l’aorta addominale e la vena cava inferiore.
Le funzioni dei reni sono:
• Eliminazione delle scorie derivanti dal metabolismo delle proteine, dunque scorie
azotate.
• Filtrazione del plasma sanguigno.
• Produzione di urina, detta funzione emuntoria.
• Regolazione dell’equilibrio idro-elettrolitico ed acido-base (attraverso un sistema
di tubuli possono secernere o assorbire selettivamente ioni di varia natura e Sali).
• Secrezione con produzione di renina; un enzima importantissimo per la
regolazione della pressione arteriosa media e di eritropoietina (nota anche come EPO)
responsabile della stimolazione del midollo osseo rosso nella produzione di cellule del
sangue (questa è una funzione endocrina svolta dal rene, ma esso non è una
ghiandola endocrina).
• Produzione della forma attiva della vitamina D (=intervengono nel metabolismo
della vitamina D).
Volendo localizzare esattamente i reni: essi sono accolti nella parete posteriore
dell’addome, in uno spazio detto loggia renale; si trovano ai due lati della colonna
vertebrale, in particolare la loro altezza sta tra l’11esima vertebra toracica e la 3°
vertebra lombare.
Nell’immagine a destra possiamo
osservare la sezione trasversale della
metà sinistra della parete posteriore
dell’addome, nella quale troviamo:
❖ Loggia renale al cui interno è
contenuto il rene ed i vasi in rapporto
con esso.
❖ Colonna vertebrale con il suo
processo spinoso.
❖ Muscoli della parete posteriore
dell’addome.

Loggia renale
La loggia renale è circoscritta da una struttura connettivale (in azzurro) detta fascia
renale. La fascia renale nasce dalla fascia trasversale dell’addome e, in prossimità del
margine laterale dei reni, si sdoppia in due foglietti:
➢ Un foglietto decorre anteriormente al
rene e si fonde con il foglietto controlaterale
creando una fascia continua.
➢ Un foglietto decorre posteriormente al
rene, costeggiando i muscoli della parete
posteriore dell’addome e si porta fino ai corpi
vertebrali, dove va ad ancorarsi.
Superiormente va a portarsi al di sopra della ghiandola surrenale, si fonde in un unico
foglietto che va ad ancorarsi al diaframma (che si trova nella zona superiore).
Inferiormente i due foglietti sono aperti, lasciando libero il passaggio alle strutture
vascolari, nervose, linfatiche, gli ureteri che devono raggiungere la vescica o la cavità
addominale per altri motivi.

La loggia renale è quello spazio in cui sono


contenuti i reni, immediatamente a contatto
con il polo superiore di ciascun rene abbiamo le
ghiandole surrenali.
I reni sono ancorati ai grossi vasi dell’addome
attraverso arteria renale e vena renale che si
mettono in comunicazione con l’aorta
addominale (per il versante arterioso) e vena
cava inferiore (per il versante venoso).
La loggia renale è completamente riempita di tessuto adiposo, uno strato molto
consistente che si addentra anche a livello dell’ilo dell’organo; il tessuto adiposo
prende il nome di capsula adiposa del rene o grasso perirenale (prende questo nome
perché anche al di fuori della loggia c’è del
tessuto adiposo, quindi questo nome lo
differenzia). Questo tessuto adiposo non ha
una funzione metabolica o di accumulo, ma
ha una funzione strutturale, di sostegno, di
protezione, perché anche se i reni sono
localizzati posteriormente all’addome e quindi
sono già difficilmente accessibili, essendo essi
organi vitali vengono ancor di più protetti da
questo strato adiposo così consistente.
In realtà questo tessuto adiposo costituisce
anche uno dei mezzi di fissità dei reni e infatti
ne garantisce il mantenimento nella loro
posizione fisiologica. Un altro mezzo di fissità
oltre al tessuto adiposo è il peduncolo
vascolare del rene, grossi vasi a cui sono
collegati i reni.

Nelle persone eccessivamente magre o che presentano disturbi alimentari e che


quindi non assumono sufficienti calorie da poter provvedere al consumo metabolico
standard, succede che questo tessuto adiposo (che non è di riserva bensì strutturale)
viene consumato, in quanto l’organismo non sa più dove prendere le riserve
energetiche.
Il consumo di questo tessuto adiposo determina una discesa patologica dell’organo
rispetto alla sua posizione anatomica normale, questa discesa prende il nome di ptosi
renale.
Il mantenimento della posizione anatomica dei reni è molto importante per garantire
una filtrazione renale ottimale e dunque a garantire il mantenimento della pressione.
Le persone che presentano questo problema vanno incontro a gravi conseguenze a
livello renale, fino anche all’insufficienza renale che può causare la morte.
I reni hanno la forma di due grossi fagioli appiattiti in senso anteroposteriore e
presentano:
• Due margini; uno mediale e uno laterale.
• Due facce; anteriore e posteriore (adesa ai
muscoli della parete addominale posteriore).
• Due poli; superiore e inferiore.
 Il polo superiore di ciascun rene è incappucciato
dalla rispettiva ghiandola surrenale: destra per il rene
di destra, sinistra per il rene di sinistra.
I reni sono in rapporto con aorta addominale e vena cava inferiore, che entrano nel
rene ad angolo retto, questo orientamento è fondamentale per far si che il sangue
arrivi all’interno del rene con una pressione adeguata per consentire poi la filtrazione
all’interno dell’organo (questo è il motivo per cui, i reni durante la ptosi, cioè la
discesa, perdono l’orientamento ad angolo retto e ciò va ad impattare la capacità di
filtrazione dei reni).
Posteriormente, poiché sono applicati sulla parete posteriore dell’addome, sia il rene
di sinistra che quello di destra hanno gli stessi rapporti.
• Sono incrociati dalle coste, il rene di sinistra dall’11esima e 12esima costa; il rene
di destra solo dalla 12esima costa.
• Sono in contatto con i muscoli della parete posteriore dell’addome che sono,
mediolateralmente: muscolo grande psoas, muscolo quadrato dei lombi, aponeurosi
del muscolo trasverso dell’addome (possiamo più semplicemente ricordare che
posteriormente i reni sono in rapporto con le coste e con i muscoli della parete
posteriore addominale).
Anteriormente i rapporti sono diversi a seconda se esaminiamo il rene di destra o
quello di sinistra, e soprattutto alcuni di questi rapporti con altri organi sono mediati
dall’interposizione di peritoneo (in realtà anche quando non c’è peritoneo, il rapporto
dei reni con altri organi della cavità addominale non è mai diretto, in quanto o c’è il
peritoneo o comunque la fascia renale e tessuto adiposo).
In particolare, il rene destro contrae un rapporto molto importante con il fegato, un
organo molto voluminoso e ingombrante, mediante l’interposizione di peritoneo.
Questo rapporto con il fegato, fa scendere più in basso il rene destro in cavità
addominale, questo crea una asimmetria con il rene di sinistra che invece si trova più
in alto (questo è il motivo per cui l’incrocio delle coste a livello posteriore avviene
diversamente, il rene di destra solo con la 12esima costa).

Struttura
I reni sono organi pieni, quindi internamente troviamo:
• Capsula, strato di connettivo che avvolge l’organo, adesa all’organo.
• Parenchima, parte funzionale dell’organo, costituito da:
» Nefroni.
» Dotti escretori.
• Stroma, costituisce l’impalcatura che contiene
vasi sanguigni, vasi linfatici e terminazioni nervose.
Sezione frontale
Tagliato in lungo, dall’alto verso il basso troviamo
nella posizione mediana del margine mediale del
rene (cioè al centro del margine mediale):
• Ilo dell’organo; il punto in cui entra nel rene
l’arteria renale e fuoriescono vena renale e uretere. Quei piccoli “imbuti” sono i calici
minori e dalla confluenza dei calici minori, nasce il calice maggiore; dall’unione dei
calici maggiori si ha la formazione di una struttura slargata, la pelvi renale e da qui
inizia l’uretere che si porta verso l’esterno, arrivando alla vescica e da questa si
raggiunge l’ultimo tratto, l’uretra.
Le scavature all’ingresso del parenchima renale prendono il nome di seno renale e
accolgono i vasi (in entrata e in uscita), le prime vie urinarie e tessuto adiposo che
deriva dalla capsula adiposa esterna.
Il parenchima renale è costituito da 2 zone ben distinte tra loro:
• Zona midollare; più scura, interna, è organizzata in 8-12 formazioni piramidali,
ossia le piramidi renali o di Malpighi, che hanno un aspetto raggiato per la presenza di
tubuli renali. Esse hanno un orientamento ben preciso: la loro base guarda verso la
capsula dell’organo, mentre il loro apice sporge all’interno del seno renale, in
particolare si immettono con la porzione estrema, che prende il nome di papilla
renale, la quale presenta un’area forata detta area o zona cribrosa, all’interno dei
calici minori; qui ci sono gli sbocchi dei dotti escretori, attraverso i quali l’urina
gocciola all’interno di questa struttura, viene raccolta e poi passa, attraverso le vie
urinarie, arrivando alla vescica.
• Zona corticale; più chiara, esterna, va dalla capsula fino alla base delle piramidi
renali e si addentra tra una piramide e l’altra a formare le colonne renali o del Bertin.
Visto come il parenchima è organizzato in zona midollare e corticale definiamo:
• Lobo renale; una piramide renale con il corrispondente strato di zona corticale;
• Lobulo renale; un raggio midollare e la circostante zona di corticale.
Abbiamo detto che la zona midollare è organizzata in piramidi con aspetto raggiato
per la presenza di tanti tubuli renali, di dotti escretori che si portano nella zona della
papilla renale, per sboccare poi nell’area cribrosa e dare passaggio all’urina prodotta. I
tubuli renali si portano in realtà anche oltre la midollare, sforando anche nella zona
corticale; queste porzioni di tubuli renali che sforano dalla midollare e vanno nella
corticale sono i raggi midollari (questo nome perché appartengono alla zona
midollare del parenchima renale, anche se, stanno anche nella zona corticale).

COSA C’E’ NEL PARENCHIMA CHE PERMETTE LA FILTRAZIONE DEL PLASMA E LA


FORMAZIONE DELL’URINA?
A livello microscopico le unità che stanno nel parenchima, che svolgono tutto il lavoro
di filtrazione del plasma e di produzione dell’urina sono le unità istofunzionali del rene
e sono i nefroni.
I nefroni sono costituiti da due parti fondamentali:
• Corpuscolo renale (di Malpighi), la cui funzione è quella di ultrafiltrare il plasma
sanguigno. È costituito a sua volta fatto da:
» Una capsula di Bowman**.
» Un glomerulo di capillari (avvolti nella capsula) e a loro volta fatti da un’arteriola
afferente, che entra nel corpuscolo, capillarizza, si avvolge al glomerulo e fuoriesce
come arteriola efferente.
• Tubulo renale o porzione tubulare, la cui funzione è quella di modificare
l’ultrafiltrato e trasformarlo in urina definitiva. È quella porzione che, grazie alla
presenza di meccanismi di riassorbimento e di secrezione selettivi che modificano la
concentrazione salina e di ioni H+ che entrano in circolo, va ad equilibrare il bilancio
idro-elettrolitico e acido-base.
È formato a sua volta da tre porzioni fondamentali, ma sono presenti anche altri tratti
più specifici:
» Tubulo contorto prossimale; che si trova immediatamente in continuità con il
corpuscolo.
» Tubulo intermedio; detto ansa di Henle.
» Tubulo contorto distale; quello più lontano dal corpuscolo, che si immette poi in
un altro dotto, detto dotto collettore che raccoglie i tubuli di vari nefroni e poi sbocca
sotto forma di dotto escretore a livello delle papille renali.

La differenza tra ultrafiltrato e urina definitiva sta nel fatto che: l’ultrafiltrato è quel
liquido che deriva dalla filtrazione del plasma e che può essere ancora modificato. Dal
dotto collettore in poi l’ultrafiltrato non può più essere modificato perché sul dotto
collettore può ancora agire un ormone, l’ADH che consente la modifica
dell’ultrafiltrato, ma, superato il dotto collettore l’ultrafiltrato diventa urina definitiva
(prodotto di scarto che deve solo essere eliminato.

Possono essere presenti due tipi di nefroni:


• Nefroni corticali; più superficiali nella corticale e che con i loro tubuli non vanno
molto in profondità nella midollare.
• Nefroni juxtamidollari; con il tubulo più lungo, che quindi vanno più in profondità.
Questi hanno una fondamentale importanza nella fisiologia, infatti prendono parte al
meccanismo a concentrazione controcorrente che ha una funzione particolare nella
regolazione di concentrazioni ioniche, ma che faremo in fisiologia.
Capsula di Bowman
La capsula di Bowman che avvolge come un manicotto il glomerulo, è fatta di 2
foglietti, anche se in realtà si tratta di un unico foglietto in continuità con l’altro.
Vengono visti come foglietti distinti perché cambia il tipo di epitelio.
Il foglietto parietale, quello più esterno, costituito da un epitelio pavimentoso
semplice (cellule piatte che costituiscono il rivestimento esterno). Quando il foglietto
arriva all’interno e va a aderire alle anse dei capillari, l’epitelio cambia e qui troviamo
cellule altamente specializzate dalla morfologia molto particolare dette podociti
(=cellule con i piedi).
I podociti sono cellule con un corpo cellulare abbastanza grande, da cui si ripartono
vari prolungamenti come tentacoli di una piovra che vanno ad abbracciare i capillari e
i pedicelli, che sono le parti terminali dei prolungamenti dei podociti; vanno ad
interdigitarsi tra di loro formando spazi a zig-zag che si chiamano fessure di filtrazione.

Questa è l’ansa di un capillare vista al MO, il corpo cellulare rigonfio, da questo unico
podocita si dipartono molti prolungamenti, che diventano via via più piccoli, fino a
formare i pedicelli che si interdigitano tra di loro e formano le fessure di filtrazione.

PERCHE’ TROVIAMO I PODOCITI COSI’ ADESI ALLE ANSE DEI CAPILLARI (perché sono
così ricchi di estroflessioni che avvolgono in maniera completa e continua le anse dei
capillari)?

Il corpuscolo è la sede della filtrazione e proprio i podociti con altri elementi,


costituiscono la barriera di filtrazione glomerulare, cioè quella barriera selettiva
attraverso la quale viene filtrato il plasma sanguigno, senza essere attraversata da
sostanze che devono restare nel torrente circolatorio.
- 1° selezione: Questa barriera è realizzata dalla sovrapposizione di alcuni elementi,
che conferiscono alla barriera una carica netta negativa e quindi sostanze con la
stessa carica vengono respinte e non sono in grado di attraversarla.
- 2° selezione: i pori dei capillari glomerulari sono di tipo fenestrato, con
fenestrature di dimensioni di circa 7 A; dunque, le molecole più grandi di queste
dimensioni restano nel torrente circolatorio e non oltrepassano la barriera di
filtrazione glomerulare.
Quando troviamo il sangue nelle
urine, si tratta di una condizione
patologica, in quanto
normalmente gli eritrociti non
sono in grado di attraversare
questa barriera di filtrazione
glomerulare.

LA BARRIERA DI FILTRAZIONE
GLOMERULARE DALL’INTERNO
VERSO L’ESTERNO DEL
CAPILLARE (quindi verso lo
spazio capsulare che raccoglie il
primo ultrafiltrato e lo trasporta
nella porzione tubulare) È COSI’ FORMATA DA:
◼ Endotelio dei capillari;
◼ Lamina propria, su cui poggia
l’endotelio capillare. La lamina
propria è fusa sulla lamina propria su
cui poggiano i podociti (che si trovano
più esternamente);
◼ più superficialmente, troviamo lo
strato di podociti.

Le fessure di filtrazione sono chiuse


da diaframmi proteici che proteggono
e rendono ulteriormente selettiva la
membrana.
(nell’immagine a destra, un taglio al
microscopio elettronico, con
l’immagine che fa capire com’è fatta
la barriera di filtrazione glomerulare)
(nell’immagine di sinistra le fessure di
filtrazione, i pedicelli dei podociti, le
fenestrature dei capillari, lo spazio capsulare, a cui si accede, attraversando la
membrana, alle fessure di filtrazione create dai pedicelli dei podociti).
Qui osserviamo il corpuscolo renale, l’arteriola afferente che capillarizza e forma il
glomerulo, l’arteriola efferente; la capsula di Bowmann con il foglietto parietale,
quello viscerale di podociti che si attacca alle anse dei capillari e poi in basso inizia la
porzione tubulare. Di fatto il sangue che scorre nei capillari arriva attraverso l’arteriola
afferente, viene filtrato e poi passa nello spazio capsulare della capsula di Bowman
dove viene raccolto come primo ultrafiltrato. Successivamente viene convogliato nel
tubulo, dove viene modificato fino a diventare urina definitiva e quindi dove verrà
eliminato.
Sistemi che servono alla filtrazione:
- sistema a cascata per la regolazione della pressione attraverso l’orientamento dei
vasi che entrano nel rene (questo orientamento si mantiene per tutta la
vascolarizzazione del rene a partire dai vasi di calibro più grosso, fino ad arrivare ai
vasi di calibro minore);
- pressione colloidosmotica che si forma, quindi la differenza di concentrazione di
sostanze tra: il liquido capsulare (ultrafiltrato nella capsula) e il plasma sanguigno che
si trova nei capillari. Questa differenza di pressione richiama il plasma nello spazio
capsulare dai capillari.
- Pressione creata dal sistema capsulare così organizzato: in ingresso abbiamo
un’arteriola afferente, di calibro molto maggiore (portata maggiore) rispetto
all’arteriola efferente e in uscita abbiamo un’arteriola efferente, di calibro molto
minore rispetto alla precedente. Questo crea a livello del glomerulo un intasamento
che fa aumentare la pressione; quest’ultima spinge il plasma a passare attraverso il
filtro.

Nel corpuscolo renale possiamo individuare due poli:


o Un polo vascolare è il punto in cui entra l’arteriola afferente e fuoriesce quella
efferente;
o Un polo urinario (o urinifero) è il punto in cui la capsula si continua con il tubulo
contorto prossimale; il punto in cui avviene il cambio di epitelio che da pavimentoso
semplice diventa cubico alto.
Esiste un sistema molto complesso, messo in atto da 3 popolazioni cellulari presenti a
livello del polo vascolare del corpuscolo renale, esiste infatti un vero e proprio
apparato che prende il nome di APPARATO JUXTAGLOMERULARE. Ogni popolazione
cellulare ha una localizzazione ben precisa, in quanto ognuno di queste ha una
caratteristica e svolge una funzione diversa:
- Cellule juxtaglomerulari.
- Cellule della macula densa.
- Cellule del mesangio extraglomerulare.
Questo apparato ha la funzione di controllare e regolare la filtrazione e quindi
garantire la funzionalità del rene.
Questa immagine ci fa capire che oltre alle
cellule del mesangio extraglomerulare che
fanno parte dell’apparato juxtaglomerulare,
esistono anche quelle del mesangio
intraglomerulare che si trovano tra le anse dei
capillari del glomerulo vascolare ed hanno
delle funzioni particolari: producono la
matrice extracellulare che costituisce il filtro
della barriera di filtrazione glomerulare; hanno
capacità fagocitaria, quindi mantengono pulito
il filtro, fagocitando sostanze, microorganismi
che arrivano a questo livello ed inoltre
presentano i recettori per l’angiotensina 2, una
sostanza che provoca vasocostrizione (quindi
legandosi a queste cellule che presentano
questi recettori, queste cellule si contraggono,
perché hanno una capacità contrattile e
regolano il calibro dei capillari glomerulari).

La localizzazione delle 3 popolazioni cellulari sono:


- Le cellule juxtaglomerulari si trovano a livello dell’arteriola afferente, in
particolare si trovano a livello della tonaca media dell’arteriola afferente. Si trovano a
questo livello perché queste cellule sono dei meccanocettori; quindi, percepiscono il
valore della pressione arteriosa media attraverso il grado di stiramento dell’arteriola
afferente e quindi in base alla pressione che percepiscono si innesca una risposta.
Queste cellule attivano la loro risposta quando sentono l’abbassamento della
pressione. La pressione si abbassa, queste cellule si attivano e producono la renina, un
enzima che trasforma l’angiotensinogeno, una proteina circolante prodotta dal fegato,
in angiotensina di tipo 1, che a sua volta viene convertita in angiotensina 2 da un altro
enzima prodotto a livello dei capillari alveolari, nei polmoni, enzima di conversione
dell’angiotensina, noto anche come ACE. L’angiotensina 2 è il mediatore finale che ha
una serie di effetti che producono un aumento della pressione; questo meccanismo si
chiama sistema renina-angiotensina-aldosterone, un meccanismo di tipo
ipertensivante, ossia che produce un aumento della pressione e quindi va ad
innescarsi quando si abbassa la pressione. L’angiotensina 2 stimola la produzione di
aldosterone da parte della ghiandola surrenale, l’aldosterone agisce sul tubulo renale,
producendo un massiccio riassorbimento di sodio. Il sodio richiama con sé l’acqua,
quindi insieme al sodio viene assorbita acqua che produce un aumento della volemia,
ossia aumento dei fluidi circolanti a livello ematico. L’aumento del volume dei fluidi
circolanti produce un aumento della pressione. Oltre a questo effetto indotto
dall’aldosterone; l’angiotensina 2 ha una serie di altri effetti: provoca vasocostrizione
(legandosi ai recettori presentati dalle cellule del mesangio intraglomerulare);
produce una regolazione, una costrizione del calibro delle arteriole e questo produce
un aumento delle resistenze (al flusso) periferiche totali e ciò provoca un aumento
della pressione. Ancora, si ha un aumento del senso di sete, quindi noi beviamo,
introduciamo acqua, che viene assorbita, va ad aumentare la volemia e quindi
aumenta la pressione e c’è la produzione di questo ormone ADH o adiuretina o
vasopressina, che produce un effetto a livello dei vasi collettori richiamando acqua.
QUESTI SONO TUTTI I MECCANISMI CHE SERVONO AD AUMENTARE LA PRESSIONE.
- Le cellule della macula densa sono localizzate nello spessore del tubulo contorto
distale (quella più lontana del corpuscolo), però non in tutto il tubulo contorto distale,
ma esattamente nel punto in cui questo passa tra l’arteriola afferente e quella
efferente. Sono cellule che appaiono colorate molto intensamente e quindi sembrano
una macchia, per questo assumono questo nome. Queste cellule sono degli
osmocettori/ chemiocettori perché essendo collocate nella parete del tubulo renale,
percepiscono la concentrazione dei soluti che si trovano all’interno dell’ultrafiltrato
che scorre in questa porzione del tubulo.
- Le cellule del mesangio extraglomerulare costituiscono la porzione triangolare,
costituito dall’incrocio di 3 strutture: l’arteriola afferente, quella efferente e il tubulo
contorto distale; quindi, quello spazio triangolare è riempito dalle cellule del
mesangio extraglomerulare.
Oltre al corpuscolo che filtra il sangue, abbiamo il tubulo che modifica l’ultrafiltrato
fino al dotto collettore, dove agisce l’ADH; dal dotto collettore in poi l’urina definitiva
viene eliminata.
Ciascun tratto del tubulo renale ha delle caratteristiche microscopiche dettate dalla
funzione che il tratto specifico svolge:
- nel tratto prossimale, abbiamo un epitelio di tipo cubico alto, viene così definito
perché non è classificabile né come cilindrico, né propriamente cubico, con presenza
di microvilli sulla porzione apicale ed una massiccia presenza di mitocondri, perché il
tubulo contorto prossimale è la sede principale della modificazione dell’ultrafiltrato,
in particolare del riassorbimento, quindi sono presenti queste strutture (cellule alte,
microvilli) per aumentare la superficie di riassorbimento, mentre la presenza di tanti
mitocondri è giustificata dal fatto che questo riassorbimento è di tipo attivo, quindi
necessita di una produzione adeguata di ATP (per questo si spiega la presenza di tanti
mitocondri, tanto che, osservato al microscopio, sembrano dei batteri, di fatti questo
spiega il motivo per cui molto tempo fa questo epitelio veniva definito bacillare).
- Nell’ansa di Henle quindi nel tratto intermedio troviamo un epitelio pavimentoso
semplice; quindi, l’epitelio si appiattisce in questo caso perché non c’è grosso scambio
(questo tratto serve per una particolarità che vedremo in fisiologia).
- Nel tubulo contorto distale troviamo di nuovo un epitelio cubico alto, ma
leggermente più basso di quello prossimale, continuano ad essere presenti microvilli e
mitocondri ma in misura minore. Quindi avviene la modifica dell’ultrafiltrato e il
riassorbimento attivo, ma molto ridotto rispetto al tratto prossimale.

VASCOLARIZZAZIONE DEL RENE


Essa è molto complessa, ma molto importante perché spiega come il sangue arriva al
corpuscolo, quindi, al glomerulo vascolare e quindi spiega come viene filtrato il
plasma. Il percorso che fa il sangue per arrivare al corpuscolo renale ed essere filtrato:
il rene riceve il sangue ossigenato dall’arteria renale (ramo dell’aorta addominale),
mentre il sangue refluo viene trasportato dalla vena renale che fuoriesce dal rene e
questa vena è tributaria della vena cava inferiore, che sbocca in atrio destro e ripete
tutto il circolo polmonare. Dall’arteria renale, si ramificano via via varie arterie in
questo ordine:
- arteria renale
- arterie segmentali
- arterie interlobari
- arterie arcuate
- arterie interlobulari
- arterie afferenti, che formano il glomerulo vascolare
- glomerulo vascolare
- arteriole efferenti (quindi il sangue fuoriesce dal corpuscolo) e il sangue percorre il
versante venoso che ricalca sia la nomenclatura che il decorso del versante arterioso
pari.
Quello che viene prodotto a livello renale, passa attraverso il sistema tubulare,
gocciola attraverso le papille, viene raccolto attraverso i calici minori poi maggiori, poi
nei bacinetti renali e poi passa negli ureteri, attraversano tutta la cavità addominale, si
portano fino alla cavità pelvica, trasportano l’urina fino alla vescica (organo che si
trova nella piccola pelvi e che costituisce il magazzino temporaneo dell’urina).
VESCICA
La vescica è un organo cavo, quindi presenta la sovrapposizione di tonache. La vescica
cambia molto in base al sesso, in base alla condizione in cui si trova (se è piena o
vuota) e va incontro a modificazioni volumetriche importanti che modificano anche i
suoi rapporti, difatti la vescica quando è completamente piena si trova tutta nella
cavità pelvica, quando invece si riempie, con la sua porzione superiore, che prende il
nome di cupola, sporge anche all’interno della cavità addominale; questi cambiamenti
volumetrici modificano i rapporti che l’organo ha in base al suo stato di riempimento.
La vescica è un organo che quando è vuoto, in realtà non rende visibile la sua cavità
interna, il suo lume, ma appare come un organo collassato, le cui pareti sono
collassate, come un sacchetto sgonfio. Presenta sulla sua superficie interna, delle
pieghe, che servono a garantire la capacità di cambiare volume, le pieghe
scompaiono, in quanto sono completamente distese quando la vescica si riempie (si
espande), sono invece perfettamente visibili quando la vescica è vuota e le pareti
tendono a collassare. C’è però una zona in cui le pieghe non sono presenti, è una zona
sempre liscia, la zona triangolare che prende il nome di trigono vescicale. Perché
questa zona rimane sempre distesa e liscia? Perché superiormente abbiamo lo sbocco
degli ureteri all’interno della vescica, inferiormente invece abbiamo l’ingresso
all’interno dell’uretra (meato uretrale interno), deve rimanere sempre liscia in quanto
le pieghe potrebbero ostruire questi orifizi degli ureteri e dell’uretra e quindi
potrebbero impedire il passaggio dell’urina dagli ureteri alla vescica e il passaggio
dell’urina dalla vescica all’uretra per l’eliminazione.
C’è una stretta correlazione anatomica e di rapporti tra apparato urinario e apparato
riproduttivo (maschile e femminile).
I rapporti della vescica con altri organi sono differenti a seconda del sesso:
- Nel maschio la vescica è in rapporto:
 inferiormente con la prostata;
 posteriormente sono presenti i dotti referenti, le vescicole seminali e il retto;
 anteriormente è presente la sinfisi pubica (punto in cui si saldano anteriormente
le ossa dell’anca per interposizione di un disco fibrocartilagineo).
- Nella femmina la vescica è in rapporto:
 anteriormente è presente la sinfisi pubica;
 superiormente è presente l’utero;
 nella porzione più posteriore è presente il retto.
La stretta vicinanza del retto alla vescica determina una predisposizione diversa a
contrarre delle infezioni alle vie urinarie, nel maschio e nella femmina.
La vescica presenta internamente:
- Tonaca mucosa, si adatta strutturalmente in modo da sopperire alla mancanza
della sottomucosa. Essa è costituita da:
❖ un epitelio vescicale è un epitelio di transizione, che prende il nome di urotelio,
costituito da 3 tipi cellulari:
• cellule basali o staminali, le cellule più piccole, di forma grossomodo cubica che
troviamo sullo strato basale e che danno poi origine agli strati superiori.
• Cellule clavate, si trovano a metà tra le cellule basali e quelle più superiori e sono
proprio delle cellule allungate a forma di clava, da qui deriva infatti il loro nome.
• Cellule cupoliformi o a ombrello, sono delle cellule proprio a forma di cupola che
stanno più superficialmente.
❖ una lamina propria bistratificata: possiede uno strato di connettivo più denso ed
uno strato di connettivo più lasso. Sono sovrapposti questi ultimi due strati perché:
uno strato fa da piano di scorrimento per lo strato superiore, c’è questo scorrimento
in quanto l’organo cambia di dimensioni e lo scivolamento dei due strati connettivali
determina la formazione delle pieghe.
La coesistenza di questi tipi cellulari fa sì che si formi un incastro tra le cellule che
garantisce il cambiamento di volume nella vescica; perché queste cellule in base allo
stato di riempimento della vescica, possono disporsi in modo diverso (quando la
vescica si svuota, si formano le pieghe e quindi l’organo tende a collassare, gli strati
cellulari si ammassano, si addensano e vanno a disporsi su più strati, quando invece la
vescica tende a distendersi perché è in uno stato di riempimento, queste cellule si
appiattiscono e si organizzano in un numero minore di strati, garantendo la
distensione dell’organo). La particolarità che hanno le cellule cupoliformi è che sono
spesso binucleate, cioè una cellula a due nuclei e sono ricoperti da uno strato
proteico (perché producono una proteina che si chiama urotelina, che fa da
protezione per questo rivestimento epiteliale, in quanto la vescica è un organo che
contiene urina temporaneamente prima dell’eliminazione, e l’urina essendo un
prodotto di scarto, non deve interagire con il liquido interstiziale, non deve essere
scambiato niente con la vescica, quindi il rivestimento proteico impermeabilizza
questo epitelio e la struttura stessa dell’epitelio fa si che non ci siano scambi, in
quanto è un epitelio già di suo impermeabilizzante, in più lo strato proteico
ulteriormente garantisce l’impermeabilità della vescica. Questo epitelio ha quindi due
funzioni:
✓ garantire il cambiamento volumetrico dell’organo;
✓ impermeabilizzazione dell’epitelio.
- Tonaca sottomucosa è assente, è più che altro presente uno strato discontinuo
che però non costituisce una vera e propria tonaca.
- Tonaca muscolare fatta da 3 strati a diverso orientamento che insieme
costituiscono il muscolo detrusore della vescica, che contraendosi aiuta lo
svuotamento dell’organo.
- Tonaca avventizia o sierosa nei punti in cui la vescica è ricoperta di peritoneo.

URETRA
L’ultimo tratto dell’apparato urinario, quello che conduce l’urina dalla vescica
all’esterno, l’URETRA. L’uretra è un organo particolare perché cambia la sua
dimensione e lunghezza in base al sesso; quindi, diversa nel maschio e nella femmina
ed anche i suoi rapporti sono differenti.
Questa è un’uretra femminile: posteriormente all’uretra abbiamo il retto. Nella
femmina è un canale molto molto breve, di 4-5 cm circa di lunghezza.

Nel maschio: inferiormente c’è la prostata. Nel maschio la lunghezza del tratto
uretrale, che si apre verso l’esterno a livello del glande, è molto maggiore rispetto
all’uretra femminile.
È proprio questa distinzione anatomica della lunghezza dell’uretra a caratterizzare la
diversa frequenza di infezioni del tratto urinario tra maschio e femmina, perché nella
femmina è un canale molto breve e quindi i batteri che eventualmente colonizzano il
retto e che possono occupare la parte superficiale esterna dell’orifizio anale, possono
facilmente risalire attraverso l’uretra nella vescica femminile e quindi caratterizzare
l’infezione nota come cistite; questa stessa infezione è complicata, tranne per alcune
condizioni particolari, nei maschi perché i batteri che colonizzano il retto nei maschi,
difficilmente riescono a risalire ed arrivare alla vescica.
Anatomia 16 22/05/2023
Sistema Endocrino
Per quanto riguarda il sistema endocrino, si tratta di un insieme di ghiandole o tessuti
con la funzione di produrre e secernere nel sistema circolatorio composti chimici, detti
ormoni. Le principali ghiandole
endocrine sono:
• Ipotalamo.
• Ipofisi.
• Epifisi.
• Paratiroidi.
• Tiroide.
• Timo.
• Cuore.
• Ghiandola surrenale.
• Rene.
• Tratto digerente.
• Isole pancreatiche.
• Gonadi.

Ghiandole endocrine
Le ghiandole endocrine, a differenza delle ghiandole esocrine, sono prive di dotti
escretori immettono le sostanze prodotte direttamente nel sangue, ma riccamente
vascolarizzate da una rete di capillari (prevalentemente sinusoidi, poiché presentano
delle fenestrature sulla membrana basale, perciò detta interrotta, che permettono il
passaggio di sostanze). La loro principale funzione è appunto quella di produrre e
immettere ormoni direttamente nel sangue. Attraverso il sangue poi l’ormone
raggiungerà quella che sarà la cellula bersaglio costituente un tessuto, un organo o un
apparato, e che può essere tanto vicina come lontana dalla cellula che ha prodotto
l’ormone.
Si possono distinguere due tipi di ghiandole endocrine:
• Unicellulari; si tratta di “popolazioni” cellulari o singole cellule che vanno a costituire il
sistema endocrino diffuso poiché producono degli ormoni che svolgono una particolare
funzione nell’ambito dell’organo in cui si trovano. Si distribuiscono in modo diffuso
nell’organismo, soprattutto lungo il tratto gastrointestinale.
• Pluricellulari; si tratta di più “popolazioni” cellulari capaci di produrre determinati
ormoni; si distinguono a loro volta in base alla struttura e di come si dispongono le
cellule che vanno a costituire la ghiandola:
» Cordoniformi; riguardo la struttura le cellule tendono a formare dei cordoni, come la
ghiandola surrenale.
» Follicolari; le cellule tendono a formare strutture quali follicoli, come per la tiroide.
» Interstiziali; le cellule costituiscono il parenchima dell’organo circondato da uno stroma
ben definito.
Ormoni
Sono presenti in minime concentrazioni, ma, nonostante ciò, sono in grado di funzionare.
Per quanto riguarda gli ormoni, questi hanno una specificità di origine: vi è appunto una
specifica cellula produttrice di quel preciso ormone che presenta inoltre una struttura
chimica definita; sono infatti prodotti ormoni di diverse nature quali peptidica o
amminoacidica o steroidei e così via, ovviamente tale struttura dipende dalla “cellula
madre” ovvero quella che l’ha prodotta.
Con gli ormoni parliamo anche di una specificità di azione: l’ormone riconosce la propria
cellula bersaglio e ne attiva la risposta in diversi modi; è una risposta specifica e che
varia a seconda della natura dell’ormone.
Proprio per tale motivo gli ormoni si distinguono in due tipi principali:
• Ormoni idrofili; si tratta di ormoni che non sono in grado di attraversare la membrana
plasmatica, ma riconoscono uno specifico recettore presente sulla membrana
plasmatica della cellula bersaglio. Di conseguenza l’ormone, legatosi al recettore sulla
membrana, rilascia una sequenza di trasduzioni di segnali a valle che può essere regolata
dalla formazione di secondi messaggeri all’interno della cellula; quest’ultimi vanno poi
ad avvisare delle specifiche proteine che svolgono attività enzimatica e vanno ad agire
sulla normale funzionalità della cellula inducendone una determinata risposta. In
particolare, agli ormoni idrofili associamo quelli di tipo peptidico.
Ricapitolando nel dettaglio, dunque, gli ormoni idrofili riconoscono i propri recettori
sulla membrana cellulare attivando cascate di segnale a valle che possono coinvolgere a
loro volta l’attivazione di proteine G che regolano
l’apertura e la chiusura di specifici canali ionici sulla
membrana plasmatica permettendo il passaggio di
ioni specifici che mediano l’attivazione enzimatica a
livello del citosol.
In alternativa il recettore a valle presenta delle
ramificazioni che permette l’attivazione diretta di
particolari enzimi intracellulari modulando la risposta
della cellula stessa.
• Ormoni lipofili; sono in grado di attraversare la
membra cellulare, passano nel citoplasma e solo
all’interno della cellula possono riconoscere il proprio
recettore. In particolare, ad esempio gli ormoni
steroidei riconoscono il recettore nel citoplasma,
invece gli ormoni tiroidei attraversano sia la
membrana sia il citoplasma per raggiungere il
recettore che si trova nel nucleo attivando dunque la
risposta da parte della cellula; l’interazione con il
proprio recettore va ad attivare le modificazioni a livello nucleare della cellula modulato
la trascrizione genica.
Ricapitolando nel dettaglio quindi abbiamo
che la risposta viene mediata a livello
genico; quindi, abbiamo l’attivazione diretta
di specifici geni a livello del nucleo che
mediano la sintesi di nuove proteine o
enzimi e di conseguenza questo porta ad
attivare la risosta della cellula bersaglio.
Il riconoscimento ormone-recettore è
altamente specifico: il riconoscimento è
considerato un’attività specifica dell’ormone
(e quindi specificità d’azione); solo quando
l’ormone riconosce il determinato recettore
può attivare la risposta da parte della cellula
bersaglio.

Gli ormoni possono agire in modalità differenti:


1. Meccanismo autocrino: la cellula bersaglio che viene riconosciuta dall’ormone è la stessa
cellula che ha prodotto l’ormone stesso e si parlerà quindi di ormone autocrino, poiché
l’ormone va ad agire sulla stessa cellula che lo ha prodotto. Di conseguenza il recettore
dell’ormone sarà localizzato sulla membrana di questa stessa cellula.
2. Meccanismo di secrezione paracrina: la cellula bersaglio si trova in vicinanza della cellula
produttrice dell’ormone si parla di messaggeri paracrini.
3. Meccanismo endocrino mediato dagli ormoni: l’ormone agisce su una cellula posta a
distanza rispetto alla cellula secretoria; in questo meccanismo gli ormoni solo grazie al
torrente circolatorio possono raggiungere la cellula bersaglio.
4. Neurotrasmettitori: si tratta di ormoni che vengono rilasciati dalle cellule nervose, che
sarà principalmente una cellula presinaptica. Tale cellula riverserà il proprio prodotto,
ovvero il neurotrasmettitore, all’interno dello spazio sinaptico cioè uno spazio posto tra
la cellula presinaptica produttrice e la cellula postsinaptica, che sarà la cellula bersaglio.
Il neurotrasmettitore rilasciato nello spazio sinaptico riconoscerà il recettore posto sulla
membrana della cellula postsinaptica e andrà a legarsi attivando la cascata di
trasduzione di segnale a valle. I neurotrasmettitori regolano il meccanismo di sinaspi.
Ipotalamo
La porzione endocrina dell’ipotalamo è strettamente connessa all’ipofisi.
Premessa: Dobbiamo pensare che vi è un forte meccanismo di regolazione nella
produzione degli ormoni da parte delle ghiandole. Si parla di una regolazione a feedback
che va a controllare sia il rilascio dell’ormone e quindi l’attività della cellula produttrice,
sia la risposta della cellula bersaglio. In particolare, si parla di:
• Regolazione a feedback positivo; quando l’ormone prodotto da una ghiandola avrà
un’azione stimolatoria ovvero andrà esso stesso a stimolare l’attivazione della stessa
ghiandola produttrice di una ghiandola più posta a valle.
• Regolazione a feedback negativo; quando vi è un controllo inibitorio, ovvero c’è una
sostanza che viene prodotta che può
agire essa stessa da inibitore sulla
stessa ghiandola che l’ha prodotto.
In maggiore dettaglio in realtà si
parla di:
• Feedback lungo; quando vi è una
forte correlazione tra ipotalamo e
ipofisi introducendo quindi l’asse
ipotalamo-ipofisario, ovvero le due
ghiandole sono connessa sia dal
punto di vista nervoso che vascolare
e la produzione di un ormone va a
regolare l’attivazione dell’altra
ghiandola.
• Feedback breve; quando lo stesso
prodotto della ghiandola agisce sulla
stessa ghiandola che l’ha prodotto; si
parla di controllo diretto.
Per citare un esempio possiamo considerare l’ormone della crescita GH:
Uno stimolo quale ad esempio lo stress o la diminuzione dei livelli di glucosio nel sangue
vanno ad attivare un ormone ipotalamico ovvero il GHRH. Questo ormone, attraverso
l’asse ipotalamo-ipofisario, raggiunge la porzione anteriore dell’ipofisi, adenoipofisi,
attivandola e dunque iniziare il processo di produzione dell’ormone GH.
Perciò possiamo dire che il GHRH è un ormone positivo nei confronti della cellula
bersaglio per ripristinare e migliorare la condizione di partenza (eccessivo stress e
abbassamento di glucosio); stimola dunque le cellule a rispondere a quello stimolo
inziale. Quando la situazione si è stabilizzata, l’eccessiva produzione di GH agisce invece
da inibitore sullo stesso ipotalamo: si avvia un meccanismo di feedback negativo e lo
stesso GH andrà a inibire la produzione da parte dell’ipotalamo del proprio stimolatore
GHRH.
Un altro esempio può essere invece la tiroide come ghiandola bersaglio:
Lo stimolo di partenza è un abbassamento della temperatura corporea, che porta
l’ipotalamo a produrre TRH, ovvero un fattore di stimolazione sempre per l’adenoipofisi,
ma per un’altra popolazione di cellule dell’adenoipofisi che producono il TSH.
Quest’ultimo agisce sulla ghiandola tiroidea stimolandola nella produzione dei suoi
ormoni T3 e T4; questi vanno ad agire sugli organi bersaglio per ripristinare la situazione
iniziale. Gli ormoni tiroidei, T3 T4, se prodotti in eccesso e quindi si trovano a livelli
elevati nel flusso sanguigno, possono assumere una funzione inibitoria, soprattutto per il
TRH ipotalamico o per il TSH dell’adenoipofisi.
Si parlerà dunque di una regolazione positiva da parte del TRH ipotalamico e di una
regolazione negativa da parte degli stessi ormoni tiroidei; in questo caso, dunque,
avremo controllo negativo a feedback lungo e controllo a feedback corto.

Primo caso sul GH


Secondo caso sulla tiroide
• Azione stimolatoria
• Azione inibitoria

Dunque, conclusa la premessa possiamo definire la porzione dell’ipotalamo che svolge


funzione endocrina: nuclei neosecernenti.
I nuclei neosecernenti si distinguono a loro volta in:
• Nuclei magnicellulari; si tratta del nucleo sopraottico e paraventricolare, sono costituiti
da cellule nervose che hanno funzione endocrina poiché producono ossitocina e ADH,
ovvero vasopressina. Questi due ormoni verranno rilasciati dall’ipotalamo verso la
neuroipofisi, porzione posteriore dell’ipofisi.
• Nuclei parvicellulari; producono releasing hormones RH (ormoni di rilascio) e inibiting
hormones IH (ormoni inibitori). Questi ormoni vengono rilasciati nell’adenoipofisi,
porzione anteriore dell’ipofisi. Inoltre, i RH e IH, funzionano da fattori che vanno a
stimolare particolari cellule a livello dell’adenoipofisi oppure le possono inibire.

L’ipotalamo è strettamente connesso all’ipofisi attraverso l’infundibolo, ovvero la


porzione che mette in connessione il peduncolo dell’ipotalamo e la ipofisi.
Ipofisi
L’ipofisi è situata nella sella turcica dello sfenoide ed è appunto in stretto contatto con
l’ipotalamo. Come già abbiamo accennato prima abbiamo:
• La neuroipofisi, parte posteriore dell’ipofisi, rappresenta la porzione nervosa dell’ipofisi;
infatti, è costituita da cellule di tipo nervoso ovvero cellule della neuroglia modificate
che prendono il nome di pituiciti. Tali cellule sono circondate da uno stroma connettivale
ricco di capillari che permettono alla neuroipofisi di mettere in circolo gli ormoni ricevuti
dall’ipotalamo.
La neuroipofisi è connessa all’ipotalamo attraverso connessioni nervose. La neuroipofisi
proprio attraverso tali connessioni riceve l’ossitocina e l’ADH o vasopressina prodotta
dall’ipotalamo; non ha funzione di produrre ormoni, ma di riceverli dall’ipotalamo.
L’ADH agisce a livello del rene, stimola la permeabilità dei dotti collettori delle piramidi
renali aumentando il riassorbimento di acqua; ha azione antidiuretica.
L’ossitocina agisce sulla muscolatura liscia dell’utero, viene rilasciata durante il parto
poiché stimola le contrazioni della muscolatura uterina e favorisce la secrezione del latte
da parte della ghiandola mammaria durante l’allattamento.

• L’adenoipofisi, porzione anteriore dell’ipofisi, che è connessa all’ipotalamo attraverso


una ricca vascolarizzazione; proprio per questo è in grado di accogliere gli ormoni
ipotalamici RH e IH e a stimolare e inibire rispettivamente le popolazioni di cellule
dell’adenoipofisi a produrre ormoni specifici. Quindi l’adenoipofisi, sotto lo stimolo degli
ormoni dell’ipotalamo, svolge attività endocrina a differenza della neuroipofisi.
A sua volta diviso in tre porzioni:
» Porzione tubolare.
» Porzione distale.
» Porzione intermedia.
L’adenoipofisi è costituita da due tipi di popolazioni cellulari a seconda della loro
capacità di colorarsi con particolari coloranti:
• Cellule cromofile; a seconda se si predispongono a coloranti basici o acidi, si distinguono
in:
➢ Cellule basofile; producono ormoni glicoproteici: gonadotropine, FSH e LH e l’ormone
tireostimolante TSH.
➢ Cellule acidofile; producono ormoni proteici quali GH e prolattina.
• Cellule cromofobe; tendono a non colorarsi e producono l’ACTH.
A livello dell’adenoipofisi si possono comunque trovare differenti popolazioni di cellule:
• Cellule mammotrope; sono cellule che secernono proteine, quindi ormoni proteici;
producono la prolattina, lo stimolo alla produzione della prolattina viene dall’ipotalamo
grazie al fattore PRH, ormone appunto di rilascio della prolattina. La prolattina agisce a
livello della ghiandola mammaria stimolandone lo sviluppo e la produzione del latte;
agisce anche sull’ovaio e in particolare sul ciclo ovarico favorendo lo sviluppo del corpo
luteo nella fase post-ovulatoria. L’inibitore delle cellule mammotrope è il fattore PIH,
rilasciato sempre dall’ipotalamo, la cui funzione è quella di ripristinare i livelli di
prolattina in circolo.
• Cellule somatotrope; producono l’ormone della crescita GH o ormone somatotropo.
Sono stimolate dal fattore GHRH, ormone di rilascio del fattore GH; stimola le cellule
somatotrope alla produzione dell’ormone della crescita che agisce a sua volta sul
metabolismo: favorisce la sintesi proteica, favorisce il catabolismo dei lipidi nelle cellule
adipose, ha effetti indiretti sulle ossa stimolandone l’accrescimento e sui muscoli. Il
fattore inibitore delle cellule somatotrope è il GHIH o somatostatina, sempre rilasciato
dall’ipotalamo.
• Cellule secernenti glicoproteine; in particolare si parla delle cellule tireotrope, che
rispondono al TRH ipotalamico, che spinge le cellule a produrre TSH, ormone
tireostimolante. Il TSH rilasciato dall’ipofisi, agisce poi più a valle, sulla tiroide,
stimolandola a produrre T3 e T4. Il controllo negativo e quindi la funzione inibitrice ha
luogo a partire dagli stessi ormoni tiroidei T3 e T4, che possono andare essi stessi o a
inibire le cellule dell’ipofisi, bloccando la produzione di TSH oppure bloccando a monte
la produzione di TRH ipotalamico; vi è controllo diretto.
• Cellule gonadotrope; rispondono allo stimolo ipotalamico GnRH, ovvero il fattore di
rilascio delle gonadotropine. Agendo sulle cellule gonadotrope, il GnRH stimola la
produzione da parte di tali ormoni delle gonadotropine ipofisarie, FSH e LH. Quest’ultimi
agiscono sulle gonadi, in particolare l’ormone FSH o follicolostimolante, agisce sul ciclo
ovarico ovvero a livello dell’ovaio stimola l’accrescimento di follicolo ooforo, stimola la
produzione di aromatasi (enzima coinvolto nella produzione di estrogeni), stimola la
produzione di estrogeni dalle cellule della granulosa. L’FSH agisce anche sulla gonade
maschile stimolando le cellule del Sertoli a produrre ABP, proteina trasportanti
androgeni.
Anche LH agisce sulla gonade femminile: stimola l’ovulazione e la formazione del corpo
luteo, stimola la secrezione di progesterone da parte di cellule luteiniche, fase post-
ovulatoria del ciclo ovarico. LH agisce anche poi sulla gonade maschile stimolando le
cellule del Leydig a produrre testosterone e stimolala la conversione di testosterone
nella sua forma attiva di didrotestosterone. L’ormone antagonista del GnRH è il GnIH:
quando i livelli di gonadotropine FSH e LH prodotte dall’adenoipofisi aumenta nel flusso,
viene prodotto GnIH, che inibisce appunto le cellule gonadotrope (regolazione negativa).
• Cellule corticotrope; appartenenti alla categoria delle cellule cromofobe, producono
l’ormone ACTH. L’ormone invece ipotalamico che le stimola è il CRH, appunto in tal
modo le cellule corticotrope producono ACTH o ormone adrenocorticotropo, che agisce
a valle sulla corticale del surrene stimolandone l’attivazione; stimola anche la
produzione di melanina nella cute, il catabolismo lipidico e ha un’azione antidolorifica: si
tratta di un peptide ad attività oppioide che regola il controllo delle afferenze
dolorifiche.

Sistema portale (o asse) ipotalamo-ipofisario


In conclusione, possiamo dire che il sistema portale ipotalamo-ipofisario è un sistema in
cui abbiamo una stretta connessione tra ipotalamo e ipofisi, in particolare si ha una ricca
vascolarizzazione a partire dalle arterie ipofisarie superiori e inferiori, che spingono a
livello dei capillari dell’adenoipofisi, il rilascio degli ormoni prodotti dall’ipotalamo verso
il livello ipofisario; si tratta dunque di connessione vascolare tra ipotalamo e
adenoipofisi. In tal modo l’ipotalamo controlla la produzione da parte delle cellule
dell’adenoipofisi di
specifici ormoni.
Mentre per la neuroipofisi
fa la presenza solo di
connessioni nervose tra
ipotalamo e ipofisi.
Dunque, il sistema portale
regola l’interazione
dell’ipotalamo con
l’adenoipofisi a partire da
una ricca vascolarizzazione
che appunto permette
l’adenoipofisi di ricevere gli
ormoni prodotti
dall’ipotalamo.

Epifisi
L’epifisi è un’altra ghiandola situata sempre a livello dell’encefalo, in prossimità del
sistema nervoso centrale.
Si tratta di una piccola ghiandola a forma di pigna, costituita da cellule epifisarie dette
pinealociti, che sintetizzano l’ormone melatonina. In realtà però la melatonina è un
ormone amminoacidico, deriva infatti dall’amminoacido triptofano; la produzione di
melatonina dipende dall’alternarsi di luce e buio.
Il principale bersaglio di tale ormone è l’asse gonadico, infatti la melatonina può agire
inibendo il fattore ipotalamico LHRH o anche inibendo direttamente dell’LH ipofisario.

Tiroide
La tiroide è l’una ghiandola follicolare del nostro corpo situata nella parte antero-
inferiore del collo ed è costituita da un lobo dx e sx uniti da un istmo centrale. Può
essere presente anche un terzo lobo anteriore che tende a sporgere verso l’alto a livello
della cartilagine della laringe chiamato lobo piramidale; la presenza o meno di
quest’ultimo non è patologica e varia da individuo a individuo.
La vascolarizzazione tiroidea è garantita da arterie e vene tiroidee superiori e inferiori, in
particolare l’arteria tiroidea superiore deriva dall’arteria carotide esterna, mentre
l’arteria inferiore deriva dalla succlavia.

Funzione e struttura della tiroide: tireociti


Dal punto di vista funzionale, appunto la tiroide è una ghiandola di tipo follicolare,
poiché presenta un parenchima organizzato in strutture dette follicoli tiroidei circolare,
che presentano un epitelio di tipo follicolare e al centro hanno un lume ricco di colloide,
sostanza che intrappola la tireoglobulina ovvero precursore degli ormoni tiroidei.
In particolare, l’epitelio follicolare è a sua volta costituito da cellule tireociti T; tra queste
cellule e quindi a ridosso della loro membrana basale, troviamo cellule parafollicolari C.
Quindi il polo basale delle tireociti sarà rivolto verso l’esterno del follicolo, mentre la loro
superficie apicale sarà rivolta verso il lume dove è presente il colloide.
Per quanto riguarda il parenchima che circonda il follicolo è ricco di capillari sinusoidi,
importanti poiché non solo hanno funzione di favorire il rilascio all’esterno degli ormoni
prodotti dalla tiroide, ma anche quella di spingere verso l’intero del follicolo gli ioni
iodruro, che collegati alla tirosina proveniente dalla tireoglobulina, permette la
formazione di ormoni tiroidei.
Vi è dunque un doppio passaggio a livello del capillare: da un lato gli ormoni prodotti dal
follicolo vengono riversati a livello circolatorio, dall’altro lato dal capillare stesso viene
captato lo iodio che viene ingerito dall’alimentazione; è proprio lo iodio collegato alla
tirosina (proveniente dalla tireoglobulina) che favoriscono la produzione degli ormoni T3
(tri-iodiotirosina) e T4 (tetra-iodiotirosina).
Durante l’attività della tiroide possono essere presenti in realtà due tipi di follicoli:
• Macrofollicoli; presentano un lume più ampio, perciò tendono ad intrappolare la
colloide e quindi le molecole di tireoglobulina. Inoltre, i tireociti, cellule follicolari,
presentano un’ampiezza più bassa, sono quasi appiattiti; si tratta di una condizione di
riposo della ghiandola che porta ad un accumulo di colloide che intrappola la
tireoglobulina.
• Microfollicoli; sono presenti nella ghiandola attiva e quindi quando secerne ormoni
all’esterno. Di conseguenza i tireociti sono attivati e diventano più alti quasi a cilindro, il
lume si restringe e sono pronti a rilasciare all’esterno gli ormoni sintetizzati al loro
interno.
La produzione degli ormoni tiroidei però, come detto precedentemente, è influenzata
dall’asse ipotalamo-ipofisario, in particolare la tiroide viene stimolata dall’ormone
tireostimolante, prodotto appunto dall’adenoipofisi.

Una volta rilasciati, gli ormoni tiroidei T3 e T4, hanno funzione di regolazione del
metabolismo: accelerano il metabolismo corporeo, stimolano il consumo di ossigeno e
ATP, possono innalzare dunque il livello di temperatura corporea e influiscono nella
maturazione del sistema nervoso centrale. Ad esempio, quindi, uno stimolo esterno
quale l’abbassamento della temperatura corporea può stimolare l’attivazione dei
tireociti T da parte dell’ormone tireostimolante; questi vanno a produrre T3 e T4.
Il meccanismo di controllo è dato dagli stessi ormoni: quando è la concentrazione in
circolo degli ormoni tiroidei aumenta, esse stessi possono comportarsi da inibitori
bloccando la produzione di TSH (quindi l’attivazione delle cellule tireotrope dell’ipofisi)
oppure direttamente l’ipotalamo inibendo il rilascio di TRH ipotalamico.
Ricapitolando il discorso sul tireocita:
1. Nel loro stato attivo presentano una forma cilindrica allungata e la loro membrana
basale si trova a ridosso del capillare sanguigno.
2. Può essere considerata come una cellula polarizzata in quanto il polo basale è rivolto
verso i capillari sanguigni e quindi l’esterno, mentre il polo apicale è rivolto verso il lume
e quindi l’interno della cavità follicolare.
3. Dal capillare, i tireociti captano gli ioni iodruro che sono stati assorbiti a livello
intestinale e passano, attraverso dei recettori specifici presenti sulla membrana basale
del tireocita, all’interno della cellula. Gli ioni iodruro vanno a coniugarsi agli amminoacidi
tirosina delle molecole di tiroglobulina: si formeranno gli ormoni tiroidei T3 e T4. In
particolare, quando viene coniugato uno ione iodruro alla molecola di tirosina si parla di
mono-iodiotirosina; se vi sono due ioni iodruro che si coniugano con una molecola di
tirosina si parla di di-iodiotirosina. Proprio quando si associano una mono-iodiotirosina e
una di-iodiotirosina, avviene la formazione di T3.
Se invece si coniugano due di-iodiotirosine si forma il T4.
Una volta appunto sintetizzati vengono rilasciati verso l’esterno nel circolo sanguigno.

Funzione e struttura della tiroide: cellule parafollicolari


Nell’epitelio follicolare sono appunto presenti anche cellule parafollicolari C, in
particolare sono presenti sempre a ridosso della membrana basale dei tireociti T.
Le cellule parafollicolari C producono la calcitonina, ormone coinvolto nei meccanismi di
regolazione della calcemia: ha funzione ipocalcemizzante, abbassa i livelli di calcio nel
sangue agendo a livello dell’osso sugli osteoblasti, stimolandone l’attivazione che vanno
a depositare le molecole di calcio a livello della matrice ossea (accumulo di molecole di
calcio nell’osso).
Di conseguenza la regolazione dell’attivazione della calcitonina è influenzata dai livelli di
calcemia poiché se i livelli di calcemia nel sangue aumentano, vengono attivate le cellule
parafollicolari. Per normali livelli di calcemia invece, bloccano l’attivazione di queste
ultime cellule.
L’antagonista della calcitonina è il paratormone, prodotto da ulteriori ghiandole
endocrine localizzate sulla superficie posteriore della tiroide ovvero le paratiroidi; sono
4: due sul lobo dx e due sul lobo sx. Essendo antagonista, il paratormone ha dunque
effetto ipercalcemizzante: stimola il rilascio di calcio attivando gli osteoclasti, che vanno
a degradare la matrice ossea che rilascia appunto calcio.
Il paratormone può agire anche a livello dell’intestino e del rene sempre stimolando il
riassorbimento di calcio.
Ricapitolando dunque da uno stimolo di ipercalcemia (aumento di livello di calcio nel
sangue):
1. Si attiva la tiroide per la produzione di calcitonina.
2. La calcitonina agisce sugli osteoblasti stimolando la sintesi di nuova matrice ossea che
vanno ad immagazzinare il calcio a livello dell’osso.
Invece da uno stimolo di ipocalcemia (abbassamento dei livelli di calcio nel sangue):
1. Si attivano le paratiroidi per la produzione di paratormone.
2. Il paratormone agisce attivando gli osteoclasti che degradano la matrice ossea
rilasciando calcio, oppure stimola il riassorbimento di calcio sia a livello dell’intestino che
a livello del rene.

La ghiandola paratiroide ha struttura differente da quella della tiroide poiché ha un


aspetto più interstiziale rispetto alla tiroide che può essere riconosciuta attraverso le
strutture follicolari. Produce appunto il paratormone con effetto ipercalcemizzante.
Ghiandole surrenali
Le ghiandole surrenali sono due ghiandole localizzate su ciascun polo superiore dei reni,
di conseguenza avremo ghiandola surrenale dx e sx.
Dal punto di vista funzionale, si tratta di ghiandole cordoniformi poiché il parenchima è
organizzato in modo che le cellule
siano disposte in cordoni.
Esternamente le ghiandole sono
circondate da una capsula di natura
connettivale, che spinge dei setti verso
il parenchima dell’organo e in
particolare si può portare fino alla zona
più interna detta zona corticale. Di
conseguenza avremo due tipi di
parenchima, uno più esterno
attraversato dalla corticale e uno più
interno costituito dalla zona midollare.
Entrambe le zone però, corticale e
midollare, hanno funzione endocrina.
Zona corticale
A seconda della disposizione dei cordoni cellulari, la corticale è suddivisa in altre tre
zone, ognuna che risponde a stimoli diversi e produce ormoni di diversa natura:
• Zona glomerulale; più esterna, si trova a ridosso della capsula, e i cordoni cellulari si
dispongono a formare dei gomitoli. Produce i
mineral-corticoidi ed è sotto il controllo del
sistema renina-angiotensina.
• Zona fascicolata; intermedia, i cordoni di
cellule si dispongono longitudinalmente e in
modo parallelo tra loro. È sotto il controllo
dell’ACTH ipofisario, ormone corticotropo, e
produce i glicocorticoidi, come il cortisolo.
• Zona reticolare; più interna, qui più cordoni
cellulari si organizzano a formare una rete a
maglie strette. Anch’esso sotto il controllo
dell’ACTH ipofisario, ma anche dall’ormone LH,
prodotto dall’adenoipofisi, e produce
androgeni.
Zona glomerulale
Si trova appunto subito al di sotto della capsula, è infatti pienamente attraversata dai
setti provenienti dalla capsula. Occupa circa il 15% della corticale e presenta per lo più
cellule epiteliali costituite a loro volta da cellule stereoidogeniche: presentano al loro
interno strutture particolari che permettono alle cellule epiteliali di produrre mineral-
corticoidi (aldosterone e
desossicorticosterone).
Gli ormoni mineral-corticoidi agiscono sul
rene, stimolando l’assorbimento di sodio e
l’escrezione di potassio da parte del rene;
agiscono soprattutto sui tubuli distali del
rene. Possono regolare anche il volume di
acqua nel plasma e mantengono costante
la concentrazione degli elettroliti presenti
nel sangue.
Lo stimolo alla produzione di mineral-corticoidi deriva proprio dal sistema renina-
angiotensina: in particolari condizioni, il sistema stimola le cellule della zona glomerulale
a produrre mineral-corticoidi.

Zona fascicolata
Occupa il 78% della corticale, è costituita anch’essa da cellule di natura stereoidogenica
e producono i glicocorticoidi quali cortisolo e il corticosterone. Questi ormoni hanno
funzione di regolazione del metabolismo del glucosio andando dunque a stimolare la
gluconeogenesi (sintesi di glucosio), attivano il
catabolismo di lipidi e proteine e hanno effetti
antinfiammatori. Inoltre, grazie alla particolare
vascolarizzazione della ghiandola surrenale, il
cortisolo andrà ad agire anche sulla zona
midollare, in particolare regola la produzione
delle catecolammine da parte della midollare
stessa.
La produzione dei glicocorticoidi è invece regolata dall’ACTH ipofisario; regola, dunque,
la produzione di cortisolo da parte della zona fascicolata.
Zona reticolare
Occupa il 7% della corticale, costituita da cellule
di minori dimensioni che producono gli
androgeni. Questi sono ormoni che regolano
dei caratteri sessuali secondari maschili e
stimolano la sintesi proteica; anche la zona
reticolare è sotto il controllo dell’ACTH
ipofisario, ma anche dalla gonadotropina LH.

Tutti e tre gli ormoni prodotti da ciascuna zona (aldosterone, cortisolo e androgeni)
hanno però uno stesso precursore ovvero il colesterolo. A seconda dello stimolo che
ricevono appunto viene attivata una determinata popolazione cellulare o un’altra: il
sistema renina-angiotensina, in particolare l’angiotensina 2, attiva la conversione del
colesterolo verso l’aldosterone, in particolare prima in corticosterone e poi in
aldosterone.
Invece, la produzione dell’ACTH indirizza la sintesi verso il cortisolo o verso gli androgeni:
attiva enzimi che permettono di convertire alcuni precursori come il progesterone
direttamente a cortisolo oppure ad androgeni. Di conseguenza sono tutti ormoni di
natura steroidogenica con un precursore comune, il colesterolo; a seconda dello stimolo
che ricevono il colesterolo può essere convertito in un determinato ormone.
Zona Midollare
Appena al di sotto della zona reticolare vi è appunto la zona midollare, parte più interna
della ghiandola surrenale. La zona midollare si trova sotto il controllo del sistema
nervoso autonomo; è dunque di derivazione nervosa e deputata alla produzione di
catecolammine quali noradrenalina e adrenalina, o ormoni dello stress.
Delle cellule che costituiscono la midollare, il 20% producono noradrenalina e
presentano una porzione centrale più scura circondata da un alone trasparente; l’80%
produce adrenalina e sono omogeneamente scure.
Si tratta di ormoni di natura amminoacidica, infatti il loro precursore comune è la
fenilalanina: viene convertita a livello del fegato in tirosina e per attivazione della
tirosinidrossilasi, viene convertita in didrossifenilalanina, la dopa (precursore della
dopamina) la converte appunto in dopamina, già a livello della midollare del surrene e
infine, dopo la idrossilazione della dopamina stessa, si ottiene la noradrenalina. In
seguito ad uno specifico stimolo, la noradrenalina viene a sua volta metilata per essere
convertita in adrenalina.
La stimolazione delle catecolammine può essere però sia di tipo nervoso da parte del
sistema nervoso stesso: vengono chiamati anche ormoni dello stress poiché la loro
produzione aumenta nel caso in cui il soggetto si trova a rispondere ad un particolare
stimolo di emergenza. Vengono infatti prodotti in una reazione “di lotta e di fuga”, per
cui il soggetto è chiamato ad attivarsi immediatamente in seguito ad una minaccia.
Di conseguenza gli ormoni della noradrenalina e adrenalina, comportano: una
vasodilatazione a livello di cuore, cervello e muscoli scheletrici, un aumento di glicemia e
una broncodilatazione.
Oltre al controllo nervoso sull’attivazione della midollare, interviene anche il cortisolo,
che, prodotto dalla corticale del surrene, può attraversare la corticale grazie alla rete di
capillari e andare ad agire direttamente stimolando l’azione dell’enzima metiltransferasi.
In tal modo, l’attivazione di questo enzima, porta la conversione della noradrenalina in
adrenalina. Si tratta di un controllo a feedback positivo: la stessa adrenalina, che viene
prodotta in caso di stress, può andare ad agire a livello dell’ipotalamo stimolando il CRH;
quest’ultimo può a sua volta stimolare ACTH ipofisario che stimola la produzione di
cortisolo da parte della corticale del surrene. Dunque, il cortisolo aumenta la
stimolazione della conversione della noradrenalina in adrenalina.
Vi è dunque un controllo continuo tra il sistema nervoso e la ghiandola surrenale: il SN
stimola la produzione di catecolammine, le quali stesse (principalmente l’adrenalina)
possono agire come stimolatore della produzione del cortisolo da parte della corticale
del surrene; il cortisolo può andare ad incrementare ancor più la produzione di
adrenalina.
In tal caso l’adrenalina ha un controllo a feedback positivo sull’asse ipotalamo-ipofisario,
in particolare sul CRH prodotto dall’ipotalamo che va ad agire a livello dell’adenoipofisi
stimolando l’ACTH e quindi la produzione di cortisolo.

Il cortisolo è in grado di stimolare l’enzima a livello della midollare, grazie ad una


particolare vascolarizzazione delle ghiandole surrenali ovvero circolazione surrenalica.
Ciascuna ghiandola surrenale è vascolarizzata dalle arterie surrenali superiori, medie e
inferiori sia a dx che a sx; tale rete arteriosa va a costituire al di sotto della capsula un
plesso arterioso sottocapsulare. Proprio da tale plesso originano le arterie lunghe, che si
portano fino alla midollare, e le arterie brevi, che capillarizzano a livello della corticale.
Perciò, grazie alla capillarizzazione e alla rete vascolare sinusoidale, il cortisolo è in grado
di attraversare la zona corticale e raggiungere la midollare attivando la produzione delle
catecolammine.

Timo
Il timo è una ghiandola connessa all’apparato respiratorio con funzione endocrina poiché
produce:
• Fattore timico umorale; induce
la differenziazione dei linfociti
pretimici.
• Timosina; stimola la
proliferazione dei linfociti T.
• Timopoietina; potenzia le
risposte immunitarie cellulo-
mediate e l’attività di macrofagi
e granulociti.
Pancreas
È una grossa ghiandola endocrina connessa all’apparato digerente, la cui funzione
endocrina è esplicata dalla presenza degli isolotti di Langerhans: nel parenchima
endocrino sono distribuiti isolotti di cellule pancreatiche quali:
• Cellule A; che producono glucagone.
• Cellule B; che producono insulina.
• Cellule D; che producono somatostatina.
• Cellule F; che producono polipeptide pancreatico.
In particolare, l’insulina e il glucagone sono ormoni che regolano la glicemia: l’insulina
ha funzione ipoglicemizzante, abbassando dunque i livelli di glucosio nel sangue
stimolando l’immagazzinamento del glucosio sottoforma di glicogeno, mentre il
glucagone ha un effetto iperglicemizzante, dunque stimola il rilascio di glucosio.

Gonadi
Anche le gonadi, maschili e femminili, hanno funzione endocrina.
Riguardo la gonade maschile troviamo le cellule di Leyding, che hanno funzione
endocrina di produrre, sotto stimolo di LH ipofisario, gli ormoni androgeni quali il
testosterone.
Riguardo la gonade femminile dell’ovaio, sotto l’ormone follicolo stimolanti FH e LH,
vanno a regolare il ciclo ovarico e in particolare la produzione endocrina dell’ovaio che è
connessa alla produzione di estrogeni e progesterone.
Rene
Anche il rene è una grossa ghiandola endocrina con funzione di produzione di:
• Eritropoietina; principale regolatore dell’eritropoiesi ovvero la sintesi dei globuli rossi.
• Prostaglandine; a livello della midollare, stimolano la dilatazione dei vasi.
• Idrossilasi; attivatore della vitamina D, regola i livelli di calcio nel sangue in seguito a uno
stimolo da parte del paratormone.
Cuore
La funzione endocrina del cuore si esplica a livello dell’atrio destro poiché secerne il
fattore natriuretico atriale in risposta all’aumento della pressione sanguigna.
Sistema neuroendocrino diffuso: cellule APUD
Le cellule APUD sono popolazioni di cellule che fanno parte della mucosa dei diversi
organi dell’apparato digerente e che hanno diverse funzioni. Vi sono:
• Cellule G; che producono la gastrina, si trovano nella parte inferiore del corpo dello
stomaco, nell’antro pilorico e nel duodeno.
• Cellule D; che producono la somatostatina, situate nel fondo e nell’antro pilorico.
• Cellule A; che producono il glucagone, ma è diverso dall’ormone prodotto dalle
omonime cellule del pancreas. Infatti, in tal caso si tratta di glucagone prodotto dalla
mucosa dello stomaco che va ad attivare la secrezione di insulina; agisce dunque sulle
cellule del pancreas stimolando la secrezione di insulina.
• Cellule E; che producono la serotonina, nella mucosa gastrica e intestinale e aumentano
la peristalsi intestinale.
Vengono prodotti anche:
• Peptide vasoattivo intestinale o VIP.
• Peptide gastrico inibitorio o GIP.
Si tratta di ormoni prodotti da popolazioni di cellule a livello della mucosa degli organi
intestinali che svolgono funzione endocrina appunto.
Anatomia 17
Apparato Riproduttivo

Gonadi
Le gonadi sono gli organi deputati alla produzione e alla maturazione dei gameti
ovvero le cellule aploidi, sia nell’apparato riproduttivo maschile che quello
femminile.
Nell’apparato femminile si tratta delle ovaie, mentre nell’apparato maschile si tratta
dei testicoli.
I gameti responsabili della riproduzione sono:
• Ovociti; per l’apparato riproduttivo femminile.
• Spermatozoi; per l’apparato riproduttivo maschile.
Spermatozoo e ovocita, unendosi tra di loro formano, lo zigote con un corredo
diploide completo.

Apparato genitale maschile


L’apparato genitale maschile è formato da:
• Gonadi maschili; ossia i testicoli o didimi che sono organi pieni.
• Vie spermatiche; una serie di condotti di organi cavi che servono per maturare
e trasportare il liquido seminale completo dai testicoli verso l’esterno
attraverso l’uretra (nei maschi è un canale comune di emissione dell’urina e
dello sperma).
• Ghiandole annesse alle vie spermatiche; sono ghiandole che servono a
completare lo sperma, in quanto lo sperma completo è costituito nel suo
insieme da spermatozoi ed una serie di sostanze minerali che servono al
sostentamento e al trasporto degli spermatozoi fino a quando essi non
incontrano l’ovocita e lo fecondano.
• Genitali esterni; si tratta del pene e dello scroto, rappresentano il veicolo
anatomico attraverso il quale il liquido spermatico viene depositato
nell’apparato riproduttivo femminile.

Nell’apparato genitale maschile vi è uno stretto legame tra apparato riproduttivo e


apparato urinario: la prostata viene attraversata dall’uretra, nella quale sboccano
dei condotti che sono le vescichette seminali e le ampolle dei dotti deferenti.
Parte dell’apparato riproduttivo maschile si trova all’interno della cavità
addominale, piccola pelvi; i testicoli stanno all’esterno del corpo, nelle borse scrotali.

Testicoli
I testicoli sono gli organi che, a differenza della femmina, producono e maturano i
gameti, ovvero gli spermatozoi. Gli spermatozoi vengono prodotti e maturati per
tutta la vita dell’individuo; i testicoli secernono gli ormoni sessuali maschili.
Vedremo invece che appunto le gonadi femminili ovvero le ovaie, si occupano solo
della maturazione dei gameti: la femmina nasce con un corredo già determinato di
ovociti che man mano si perdono durante l’età fertile.

Essi sono organi pieni pari, situati alla radice delle cosce, all’esterno del corpo, e si
trovano al di sotto del pene.
Sono contenuti in un “sacchetto” ovvero la borsa scrotale, costituita da diversi strati
di cute, fasce e muscoli; i due testicoli all’interno della borsa scrotale sono separati
dal setto scrotale.

La superficie esterna del testicolo è quasi completamente avvolta da un sacco


sieroso a doppia parete, ovvero la tonaca vaginale propria. Questo sistema a doppia
parete, all’interno del quale troviamo uno spazio lubrificato da un sottile strato di
liquido che viene prodotto, serve come sistema di protezione per questi organi:
stando all’esterno del corpo, hanno bisogno di un sistema di protezione dagli insulti
meccanici che i testicoli stessi possono subire.

Essi si trovano all’esterno del corpo per la funzione gametogenica fisiologica


adeguata: questa dipende dalla temperatura ottimale, che è di circa un paio di gradi
più bassa rispetto a quella corporea: i testicoli si trovano all’esterno del corpo
poiché all’interno della cavità addominale la temperatura sarebbe troppo alta ed
impedirebbe la funzione gametogenica.

I testicoli sono dotati di una serie di sistemi che garantiscono proprio la regolazione
della temperatura a livello della borsa scrotale. In particolare, è presente di un
sistema di fascetti muscolari e di un muscolo vero e proprio, che derivano dalla
cavità addominale e si portano fino alla borsa scrotale.
La stratificazione di fasce e muscoli che compone la borsa scrotale, proviene dalla
cavità addominale: le fasce, i vasi, i nervi e i muscoli accompagnano i testicoli
dall’addome per tutta la discesa verso la borsa scrotale. I testicoli discendono nella
borsa scrotale solo alla nascita, non si sviluppano direttamente al di fuori.
Essendo muscoli possono contrarsi o rilassarsi in base alla temperatura o in base ad
altri stimoli tattili: la contrazione determina la risalita dello scroto e quindi
l’avvicinamento dei testicoli alla cavità addominale per riscaldarli (questo succede in
caso di temperatura più bassa di quella utile a mantenere la funzione
gametogenica), mentre il rilassamento determina un abbassamento dello scroto e
quindi un allontanamento delle gonadi dalla cavità addominale per raffreddarli
(questo succede in caso di temperatura più alta di quella utile).

Per quanto riguarda la vascolarizzazione dei testicoli, passa a livello del funicolo
spermatico, una struttura che arriva ai testicoli ed accoglie il passaggio di vasi che
irrorano il testicolo, nervi e il dotto deferente, proveniente dall’epididimo.

L’epididimo è una struttura che sormonta il testicolo ed è destinata


all’immagazzinamento temporaneo degli spermatozoi prodotti e alla loro
maturazione. Si distingue una testa, un corpo ed una coda dell’epididimo.
In particolare, è una struttura articolata che si porta prima al di sopra e
posteriormente al testicolo, successivamente scende, si riporta su, attraversa il
funicolo spermatico e va in cavità addominale. Qui giunge alla prostata dove si
unisce ai condotti delle vescichette seminali per portare e unire lo sperma ai fluidi
secreti dalle vescichette seminali e dalla prostata andando a formare lo sperma
completo.
Il sistema di vascolarizzazione mette in contatto tra loro le arterie e le vene così che
avvenga uno scambio di calore tra questi stessi versanti vascolari (arterie e vene): lo
scambio di calore regola la temperatura che si instaura a livello testicolare.
I testicoli sono dunque irrorati dalle arterie genitali per il sangue arterioso, mentre il
sangue refluo è drenato dalle vene testicolari.
Il testicolo è un organo pieno, quindi internamente troviamo:
• Capsula; si distingue un rivestimento più esterno quale la tonaca vaginale, che
forma la doppia camera che fa da protezione al testicolo, mentre il
rivestimento più interno, che fa da capsula per il testicolo, è di tipo
connettivale e si tratta della tonaca albuginea, che divide il parenchima
testicolare in sezioni dette logge. Nelle logge troviamo a loro volta un
parenchima disposto in lobuli e uno stroma lasciato libero dal parenchima.

A livello posteriore del testicolo, il tessuto connettivale della tonaca albuginea


si ispessisce fino a formare il mediastino testicolare, ovvero una struttura
connettivale molto densa che accoglie un sistema di condotti che collega i
dotti testicolari all’epididimo ovvero rete testis. In particolare, si tratta di un
sistema di tubuli che permette il trasporto degli spermatozoi.
L’epididimo si collega al sistema di tubuli, in particolare prima la rete testis e
poi i tubuli retti: gli spermatozoi prodotti a livello testicolare, attraverso i
tubuli, arrivano all’epididimo e vi si fermano per un certo periodo di tempo
per subire la maturazione. In questo modo acquisiscono la motilità; fino a
questo punto infatti gli spermatozoi non sono mobili, ma vengono spinti da un
sistema di ciglia e da una serie di cellule con attività contrattile nei tubuli
seminiferi. Inoltre, acquisiscono parzialmente la proprietà di capacitazione,
che la completano nelle vie genitali femminili in modo da poter fecondare
l’ovocita.
Appena nascono, nei neonati di sesso maschile si controlla che sia avvenuta la
corretta discesa del testicolo all’interno dello scroto: può succedere che per
qualche ragione i testicoli restino bloccati in cavità addominale. Questa
condizione è detta criptoorchidismo, dal greco testicolo nascosto: alla
palpazione non è possibile percepirne la presenza. Questo deve essere
accertato il prima possibile in quanto la persistenza del testicolo in cavità
addominale, ne compromette la capacità gametogenica e può provocare
sterilità.

• Parenchima; parte funzionale dell’organo costituito da tubuli seminiferi, la cui


parete è costituita dall’epitelio germinativo in grado di generare e produrre gli
spermatozoi e poggia su una lamina propria contenente miofibroblasti. Si
tratta di cellule con attività contrattile che, contraendosi, spingono gli
spermatozoi prodotti a livello dei tubuli seminiferi lungo questi stessi e le vie
spermatiche fino all’epididimo. Nei tubuli seminiferi, oltre ai miofibroblasti, ci
sono le cellule di sostegno o cellule del Sertoli.

• Stroma; connettivo lasso che accoglie le cellule interstiziali di Leydig, deputate


alla produzione di testosterone, ormone sessuale maschile.
Questa immagine illustra la sezione dei tubuli seminiferi tagliati in sezione
orizzontale. È possibile notare il lume del tubulo seminifero e tutt’attorno l’epitelio
germinativo.

L’epitelio germinativo ha una caratteristica: man mano che dallo strato basale
(direttamente in contatto con la lamina propria) verso il lume del tubulo, le cellule
sono sempre più differenziate fino ad arrivare a spermatozoi completi. Queste
cellule si moltiplicano, si dividono, poi differenziano e si trasformano in spermatozoi
maturi che vengono riversati nel lume di questi tubuli e spinti fino all’epididimo
attraverso la contrazione delle cellule mioidi della lamina propria.

Miofibroblasto
Per quanto riguarda l’epitelio germinativo, è costituito da:
• Cellule germinali; disposte in più strati tra le cellule di sostegno del Sertoli e
rappresentano le varie tappe maturative attraverso le quali dagli
spermatogoni (cellule meno differenziate) si giunge agli spermatozoi.
• Cellule di sostegno del Sertoli; presenti tra le cellule dell’epitelio germinativo e
che hanno le seguenti funzioni:
» Sostegno per le cellule germinali.
» Scambi metabolici con le cellule germinali.
» Coordinano la spermatogenesi.
» Producono alcuni ormoni come l’ABP (sotto lo stimolo dell’FSH), ma
anche l’ormone anti-Mulleriano.
» Conversione del testosterone in diidrotestosterone.
» Formano la barriera emato-testicolare.

Tubulo seminifero
In dettaglio, le cellule del Sertoli dividono la porzione del tubulo seminifero in due
compartimenti:
• Compartimento adluminale; compartimento superiore che va verso il lume del
tubulo seminifero.
• Compartimento basale; compartimento inferiore direttamente a contatto con
la lamina propria.

Per quanto riguarda invece la barriera emato-testicolare, è costituita proprio da


cellule del Sertoli. La sua presenza è dovuta al fatto che qui, mentre gli
spermatogoni per dare origine ad altre cellule si moltiplicano per mitosi, ad un certo
punto iniziano delle divisioni meiotiche che poi portano alla formazione di cellule
con corredo aploide. Di conseguenza, il sistema immunitario potrebbe riconoscere
come estranee le cellule in fase meiotica aploidi e comportando loro un attacco
dalle cellule del sistema immunitario; la barriera emato-testicolare isola le cellule
con corredo aploide da quelle con corredo diploide.

La spermatogenesi dura circa 64 giorni e consta di 4 fasi:


1. Spermatogoniogenesi o fase moltiplicativa.
2. Spermatocitogenesi o fase della meiosi.
3. Spermiogenesi o fase della differenziazione degli spermatidi.
4. Spermiazione.

Le cellule che man mano si differenziano a diventare spermatozoi sono collegate tra
loro attraverso dei ponti; sono collegate tra loro perché si differenziano in maniera
sincrona. In ogni periodo della loro evoluzione alcune cellule germinali possono
andare incontro a fenomeni degenerativi e quindi a morte.
Apparato genitale femminile
L’apparato genitale femminile è costituito da:
• Gonadi femminili; ovvero le ovaie.
• Vie genitali, comprendenti:
» Tube uterine.
» Utero.
» Vagina, organo della copula.
• Genitali esterni.

Anche per quanto riguarda gli organi dell’apparato femminile, sono in stretto
contatto con l’apparato urinario: l’utero, con le tube e le ovaie, sormonta la vescica.

Inoltre, il peritoneo, ovvero la tonaca sierosa dell’addome, media il rapporto con i


vari organi, ma rappresenta anche un mezzo di fissità per gli organi della cavità
addominale ma anche organi che risiedono nella cavità pelvica, come appunto
l’apparato genitale femminile, attraverso dei legamenti. Il peritoneo va a rivestire la
vescica, l’utero, una porzione delle ovaie e delle tube.

Il rapporto dell’utero con la vescica nella donna è il motivo per cui le donne in
gravidanza hanno spesso lo stimolo alla minzione.
Ovaie
Le ovaie sono le gonadi femminili; hanno una funzione riproduttiva, cioè si occupano
della maturazione dei gameti. Il numero di ovociti è prestabilito alla nascita e
diminuisce ad ogni ovulazione man mano che termina il periodo fertile.
Le ovaie presentano anche una funzione endocrina: producono estrogeni,
progesterone ed altri ormoni ed una quota anche di androgeni.

Sono organi pari pieni e simmetrici situati nella parete laterale della piccola pelvi, in
una zona che presenta una piccola depressione chiamata fossetta ovarica.
Le ovaie hanno una forma a mandorla ed un orientamento particolare all’interno
della pelvi: si tratta di un orientamento sagittale (come se fossero messe di taglio
nella pelvi).
Grazie a questo orientamento sagittale possiamo individuare:
• Faccia laterale; più esterna e che guarda verso la parete della pelvi.
• Faccia mediale; più interna, guarda verso l’utero ed è in parte coperta dalla
tuba uterina.
• Due poli:
» Polo superiore o tubarico; tubarico perché è in rapporto con
l’infundibolo della tuba uterina, in particolare con un prolungamento
della tuba uterina che si chiama fimbria ovarica. Essa serve ad
“acchiappare” gli ovociti che vengono espulsi dopo lo scoppio del
follicolo e che quindi passano all’interno delle tube uterine, che sono la
sede della fecondazione: lo spermatozoo incontra l’ovocita a livello
delle tube uterine e, se è il giorno x dell’ovulazione, l’ovocita viene
fecondato. Da lì, a mano a mano si sposta verso l’utero, qui va ad
attecchire la blastocisti, formazione embrionale allo stato primitivo e
poi piano piano diventerà embrione e feto.
» Polo inferiore o uterino; è connesso per mezzo del legamento utero-
ovarico con l’angolo tubarico dell’utero.
• Due margini:
» Margine anteriore; presenta l’ilo dell’organo e corrisponde ad una
piega peritoneale chiamata mesovario.
» Margine posteriore; è libero e tramite l’interposizione del peritoneo
parietale è a contatto con l’uretere.
Alcuni dei legamenti ovarici sono formati grazie al peritoneo e quelli fondamentali
sono:
• Legamento sospensore; lamina connettivale organizzata intorno ai vasi ovarici
e raggiunge il polo superiore dell’organo.
• Legamento utero-ovarico; cordone fibromuscolare che collega il polo
superiore dell’ovaio all’angolo tubarico dell’utero.
• Legamento tubo-ovarico; piccola piega che unisce il polo superiore dell’ovaio
al padiglione della tuba uterina in corrispondenza della fimbria ovarica.
• Mesovario; collega il margine anteriore dell’ovaio al foglietto del legamento
largo dell’utero; contiene i vasi ed i nervi diretti dell’ilo dell’ovaio.
• Legamento proprio dell’utero.
L’ovaio è un organo pieno, in cui troviamo:
• Epitelio ovarico; epitelio superficiale di rivestimento di tipo cubico.
• Falsa albuginea; strato connettivale che somiglia alla tonaca albuginea che
riveste i testicoli.
• Parenchima fatto da:
» Una zona corticale che è la regione periferica in cui troviamo:
➢ Stroma; tessuto connettivo ricco di cellule e povero di fibre
di collagene. I fibrociti, cellule dello stroma, sono dotate di
un notevole polimorfismo.
➢ Organuli ovarici; si trovano in vari stadi di maturazione:
l’ovaio, prima del periodo fertile che comincia verso i 10
anni (menarca= primo ciclo mestruale), ha una superficie
liscia; dopo l’inizio del periodo fertile, in seguito alle
ovulazioni cicliche, si formano delle cicatrici a livello della
superficie ovarica e quindi la superficie appare frastagliata
e irregolare per la presenza di cicatrici dovute a questi
follicoli che scoppiano. Queste cicatrici si riducono dopo la
fase fertile (menopausa) poiché non c’è più ovulazione.

» Una zona midollare che è la regione centrale e profonda, quella che


viene dall’ilo dell’organo, in cui troviamo tessuto connettivo lasso
che accoglie:
➢ Vasi linfatici in uscita.
➢ Nervi.
➢ Vasi a spirale; soprattutto le arterie, sono anche detti a
cavaturacciolo (=a cavatappi) perché, grazie al loro decorso a
spirale, sono in grado di dare una spinta ai follicoli a favorirne lo
scoppio e il rilascio verso l’esterno: come una molla danno una
spinta al follicolo per farli scoppiare e rilasciare l’ovocita
all’esterno dell’ovaio.
➢ Cellule dell’ilo.
Nella zona midollare non sono presenti organuli ovarici perché
devono essere più vicini alla superficie in quanto lo scoppio del
follicolo deve espellere l’ovulo più facilmente.
Organuli ovarici
Sono i follicoli, strutture che contengono e portano a maturazione gli ovociti. Solo
un numero limitato di questi completa la maturazione scoppiando e rilasciando
l’ovocita.
Gli organuli ovarici si distinguono in:
• Follicoli oofori evolutivi.
• Follicoli oofori involutivi.

Per quanto riguarda in particolare i follicoli oofori evolutivi, si tratta degli ovociti che
si trasformano in cellule follicolari e poi in cellule tecali (negli stadi più avanzati).
Il corredo di follicoli primordiali produce però un numero di gameti limitato rispetto
alla quota che abbiamo in dotazione. Man mano che crescono, i follicoli cambiano
struttura fino a formare una cavità al cui interno vi è un liquido; si parla di follicolo
antrale che va a ingrandimento fino allo scoppio rilasciando l’ovocita. Ciò che
rimane dopo lo scoppio è il corpo luteo; seconda che l’ovocita venga fecondato, il
corpo luteo può essere gravidico. Ad ogni modo, persiste per un periodo di tempo
più o meno lungo, a seconda che sia gravidico o no, poiché la sua funzione è quella
di produrre ormoni.

Nel dettaglio, i follicoli oofori evolutivi si distinguono in:


• Primordiali; quelli che abbiamo in dotazione da sempre, l’ovocita è circondato
da un’unica fila di cellule follicolari appiattite.
• Primari; più grandi dei primordiali, l’ovocita è circondato da cellule follicolari
cubiche, comincia ad essere visibile la zona pellucida e a costituirsi la teca
follicolare.
• Secondari; le cellule follicolari si dispongono in più strati (cellule della
granulosa: estrogeni), l’ovocita è circondato dalla zona pellucida, il connettivo
perifollicolare si è organizzato a formare le teche. Tra le cellule follicolari
compaiono piccoli spazi in cui si accumula il liquido follicolare.
• Antrali; gli spazi tra le cellule confluiscono (antro follicolare), l’ovocita è
circondato dalla corona radiata ed accolto nel cumulo ooforo; si organizzano
le teche interna, con funzione endocrina, ed esterna, priva di funzione
endocrina.
• Maturi; il follicolo ha un aspetto cistico e sporge dall’ovaia, l’ovocita termina
la prima divisione meiotica e prosegue fino alla metafase della seconda
divisione meiotica; al momento dell’ovulazione l’ovocita viene espulso nella
cavità peritoneale.

Dopo la liberazione dell’ovocita a livello della tuba restano i corpi lutei.


Il corpo luteo, allo scoppio e rilascio dell’ovocita può andare incontro a due destini:
1. Se l’ovocita viene fecondato, il corpo luteo è detto gravidico e resta ancora
per circa due o tre mesi per produrre ormoni necessari al sostenimento della
gravidanza e alle sue prime fasi.
2. Se l’ovocita non viene fecondato, si parla di corpo luteo mestruale, rimarrà
per minor tempo sempre però a produrre ormoni necessari all’azione a livello
della mucosa uterina; si avrà il ciclo mestruale.

Alla fine di tutto diventano follicoli oofori involutivo. La degenerazione del corpo
luteo comporta la degenerazione delle cellule luteiniche e la loro sostituzione con
tessuto connettivo, quindi diventa un corpo albicante.
Ciclo nel dettaglio
La femmina nasce con un numero già determinato di ovociti che man mano vanno in
contro a scoppio e quindi man mano esauriscono e lì inizia la menopausa.
Lo scoppio degli ovociti avviene ciclicamente ogni 28 giorni.
Possiamo identificare due tipologie di ciclo:
• Ciclo ovarico; coinvolge tutti gli stadi di maturazione del follicolo fino al corpo
albicante; va dall’ovulazione (quindi l’emissione dell’ovocita) allo scoppio del
follicolo al 14esimo giorno. Questo ciclo risponde a due ormoni: l’FSH
(ormone follicolo stimolante) e l’LH (ormone luteinizzante).
• Ciclo uterino o ciclo mestruale; è il cambiamento ciclico che va di pari passo
con il ciclo ovarico e coinvolge la mucosa uterina: se l’ovocita viene fecondato
la mucosa uterina subirà cambiamenti per accogliere la blastocisti; la mucosa
uterina si ispessirà e vascolarizzerà enormemente.
Se l’ovulo non viene fecondato, la mucosa uterina va incontro a distruzione: si
sfalda, si assottiglia e si perde attraverso il flusso mestruale, in quanto
assieme alla mucosa si perderanno anche i vasi e le cellule che la
vascolarizzano.
Questo ciclo risponde all’azione di due ormoni, FSH e LH (rispettivamente
ormone follicolo stimolante e ormone luteizzante), ma principalmente anche
estrogeni e progesterone, che hanno effetti principalmente sulla mucosa
uterina.
Utero
Dalle ovaie, le tube si portano all’organo della gestazione, l’utero.
Si tratta di un organo a forma di pera capovolta, che si inserisce nel canale vaginale
e, anche se sembra che la cervice uterina, ovvero il collo dell’utero, si inserisca in
maniera rettilinea all’interno del canale vaginale, in realtà non è così: vi è un certo
orientamento tanto che, questa angolatura dovuta all’immissione della cervice
uterina all’interno del canale vaginale, determina la formazione di due spazi detti
fornici vaginali, anteriore e posteriore.

Questo organo si inserisce all’interno del canale vaginale; di fatto lo sperma


depositato all’interno del canale vaginale risale lungo l’utero, arriva alle tube, qui se
trova l’ovocita, lo feconda e l’ovocita fecondato percorre la direzione inversa,
portandosi all’utero, annidandosi e quindi qua si sviluppa l’embrione.
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Anatomia 18-19
Sistema Nervoso
Il sistema nervoso è un insieme di interazioni che permette di comunicare con
l’esterno, in particolare vi sono delle connessioni tra sistema nervoso centrale e
sistema nervoso periferico, che permettono il funzionamento del sistema nervoso
stesso.
Le funzioni principali del sistema nervoso sono dunque:
• Permettere l’interazione tra organismo e ambiente circostante.
• L’elaborazione di risposte adeguate.
• Attività somatica; interazione con l’esterno.
• Attività viscerale; funzionamento degli organi interni.
Il sistema nervoso è costituito da cellule altamente specializzate ovvero i neuroni, in
grado di recepire gli stimoli in entrata, attività afferente o
sensitiva, e di elaborare risposte adeguate, attività
efferente o motoria.

Inoltre, il sistema nervoso si compone di:


• Sistema nervoso centrale SNC; chiamato anche
nevrasse, è situato nel cranio a livello dell’encefalo e
nella colonna vertebrale a livello del midollo spinale
(possiamo dire che è proprio costituito da encefalo e
midollo spinale).
• Sistema nervoso periferico SNP; costituito da nervi,
gangli, recettori, organi di senso.
• Sistema nervoso autonomo SNA; costituito da una
parte del SNC e del SNP che controlla le funzioni
viscerali, si tratta di un sistema involontario.
Le connessioni tra SNC e SNP sono date da fibre specifiche
quali fibre centripete e fibre centrifughe:
• Fibre centripete; vanno dalla periferia al centro,
dunque si tratta delle vie sensitive che raccolgono le
informazioni dalla periferia per portarle al sistema
nervoso centrale.
• Fibre centrifughe; vanno dal centro verso la periferia, dunque trasportano
quella che è la risposta o l’impulso nervoso dal sistema nervoso centrale a
quello periferico; generalmente si tratta di una risposta motrice.

Sistema nervoso centrale


Come detto in precedenza, il sistema nervoso centrale è costituito da encefalo, nel
cranio, e dal midollo spinale, nella colonna vertebrale.
Il midollo spinale è connesso alla periferia mediante 33 paia di nervi. Anche
l’encefalo presenta 12 paia di nervi attraverso cui è connesso alla periferia.
A livello dell’encefalo troviamo però ulteriori strutture quali:
• Tronco encefalico; composto a sua volta da bulbo, ponte e mesencefalo.
• Cervelletto.
• Diencefalo; composto a sua volta da epitalamo, metatalamo, talamo,
ipotalamo e subtalamo.
• Telencefalo.
Il sistema nervoso consente come già detto di comunicare con l‘ambente esterno
permettendo di effettuare movimenti motori o sensazioni attraverso delle
connessioni con la periferia. Tali connessioni abbiamo detto che sono in due sensi: vi
sono stimoli che vanno dal SNC al SNP e viceversa altri stimoli che vanno dal SNP al
SNC; possiamo dunque distinguere le vie afferenti (o vie della sensibilità poiché
portano sensazioni, partono dalla periferia) e quelle efferenti (o vie motrici poiché
portano la risposta, partono dal centro).

Tornando al sistema nervoso centrale, questo elabora tutte le informazioni ovvero


sia quelle afferenti che quelle efferenti; stessa cosa per le risposte.
Neurone
Il tessuto nervoso è costituito da una popolazione cellulare predominante quale
appunto i neuroni.
Il neurone è costituito da un corpo centrale detto soma, da cui partono da una parte
i dendriti, che costituiscono la porzione recettiva, e dall’altra parte vi è l’assone,
ovvero un lungo prolungamento del soma che conduce l’impulso nervoso verso le
terminazioni sinaptiche, ovvero l’ultima parte del neurone che trasmette l’impulso
ad altri neuroni o cellule.

Oltre ai neuroni vi sono però anche altre popolazioni cellulari che compongono il
sistema nervoso ovvero le cellule di sostegno, in modo specifico gli oligodendrociti e
le cellule di Swann. Riguardo gli oligodendrociti, costituiscono proprio la mielina,
dunque responsabili della mielinizzazione dell’assone nei neuroni del sistema
nervoso centrale. Invece le cellule di Swann producono la mielina per i neuroni del
sistema nervoso periferico.
La mielinizzazione degli assoni è fondamentale per la velocità di conduzione: la
velocità di conduzione è molto più veloce laddove vi è maggiore rivestimento
mielinico. Tra un rivestimento e l’altro vi sono i cosiddetti nodi di Ranvier; dunque, la
conduzione passa da un nodo all’altro, perciò, viene definita come conduzione
saltatoria; per tale motivo la conduzione sarà più rapida se presente questo
rivestimento mielinico.
Dunque, oltre ai neuroni, dobbiamo ricordarci anche di questi altre due tipi di cellule
di sostegno.

I neuroni si distinguono in diversi tipi:


• Sensitivi; portano le informazioni sensitive dalla periferia al sistema nervoso
centrale.
• Motori; conducono stimoli effettori dal SNC alla periferia.
• Associativi; si tratta di neuroni intercalati tra i neuroni sensitivi e i neuroni
motori.
• Somatici; conducono gli stimoli ai muscoli scheletrici.
• Viscerali; conducono le informazioni a livello degli organi interni, cuore e
ghiandole; dal centro alla periferia.
Per quanto riguarda le informazioni sensitive, quindi la sensibilità, dobbiamo
distinguerne due tipi:
» Sensibilità specifica; riguarda recettori specifici che ritroviamo in determinati
organi quali occhio, naso, lingua o orecchio.
» Sensibilità generale; si distinguono a sua volta sensibilità somatica e sensibilità
viscerale.
La sensibilità somatica è distinta ancora in esterocettiva o cutanea e
propriocettiva o osteoartomuscolare.
Riguardo la sensibilità esterocettiva o cutanea, comprende i recettori
posizionati a livello della cute, dunque in superficie, permettendo dunque di
raccogliere informazioni tattili, termiche e dolorifiche. La sensibilità
propriocettiva o osteartomuscolare, comprende i recettori a livello tendineo,
delle articolazioni e muscolare. Mentre la sensibilità viscerale è una sensibilità
involontaria che riguarda i visceri.

Sostanza bianca e sostanza grigia


Riprendendo il discorso sul sistema nervoso nel suo complesso, si distinguono
sostanza bianca e sostanza grigia. La sostanza bianca è rappresentata dai
rivestimenti mielinici degli assoni e dunque dai fasci di fibre nervose; la sostanza
grigia è rappresentata dai corpi cellulari, dendriti e tratti prossimali degli assoni.
A livello dell’encefalo e in particolare a livello del parencefalo, ovvero la parte più
alta dell’encefalo, la sostanza grigia di distribuisce nella zona periferica andando a
colmare quella che è la corteccia cerebrale. Sempre a livello del parencefalo ma in
zona interna, abbiamo invece la sostanza bianca; possiamo dire che la corteccia
cerebrale contiene una porzione di sostanza bianca sottostante.
La sostanza bianca però a sua volta contiene all’interno dei raggruppamenti di
sostanza grigia, che rappresentano gruppetti di neuroni e vengono chiamati nuclei
cerebrali.
Passando al tronco encefalico, abbiamo solo la sostanza bianca che va a racchiudere
gruppi di nuclei cerebrali e dunque raggruppamenti di sostanza grigia.
Sostanzialmente manca la corteccia.
A livello del cervelletto è simile l’organizzazione dell’encefalo: in periferia si trova in
prevalenza sostanza grigia, che forma sempre una sorta di corteccia cerebrale, ma
nel cervelletto prende il nome di corteccia cerebellare; più in profondità si trova
appunto la sostanza bianca che racchiude sempre dei nuclei cerebellari in questo
caso.
A livello del midollo spinale abbiamo un unico nucleo centrale costituito da sostanza
grigia; questa va ad originare la cosiddetta H grigia, circondata da sostanza bianca
che si trova dunque in zona periferica.
A livello del sistema nervoso centrale, la sostanza bianca prende il nome di vie o
tratti, mentre la sostanza grigia prende il nome di corteccia o nucleo.
A livello del sistema nervoso periferico, la sostanza bianca prende il nome di nervo,
mentre la sostanza grigia è chiamata ganglio. Ciò è bene ricordarlo quando appunto
si va a parlare del sistema nervoso.

Nervi
I nervi, come detto in precedenza, rappresentano la sostanza bianca a livello del
sistema nervoso periferico. Sono costituiti da uno o più fasci di fibre nervose.
Le fibre nervose possono essere a loro volta:
• Mieliniche e amieliniche.
• Afferenti (sensitive) o efferenti (motorie).
• Del sistema nervoso somatico o autonomo.
Si distinguono dunque nervi encefalici e nervi spinali.
I nervi nascono dal sistema nervoso centrale con delle radici che confluiscono poi in
un unico tronco e, nel loro decorso, si ramificano in quelli che sono rami collaterali e
rami terminali, che si portano nei vari distretti del corpo; i nervi sono avvolti e
protetti da tessuto connettivo. I rami possono anche anastomizzarsi tra loro per
andare a formare i plessi nervosi.
Gangli
Anche i gangli fanno parte del sistema nervoso periferico in rappresentanza della
sostanza grigia. Si tratta di aggregati di corpi cellulari di neuroni e appunto si trovano
al di fuori del SNC.

Dunque, ricapitolando la funzione del sistema nervoso, vi sono tutta una serie di
recettori che raccolgono le informazioni e che poi confluiscono nelle vie afferenti del
sistema nervoso centrale; tali informazioni vengono elaborate dal SNC in modo tale
che questo stesso mandi delle risposte che viaggiano a loro volta attraverso le vie
efferenti del sistema nervoso somatico (che innerva principalmente la muscolatura
scheletrica) oppure le vie efferenti del sistema nervoso autonomo.

Meningi
Il sistema nervoso centrale principalmente ci permette di interagire con l’ambiente
esterno; dunque, ricevendo e analizzando gli stimoli esterni produce specifiche
risposte. Vi sono però diversi sistemi di produzione del sistema nervoso centrale:
È presente un primo livello di protezione dato spesso da sculture ossee: abbiamo
detto infatti che l’encefalo si trova a livelle del cranio, nella scatola cranica, mentre il
midollo spinale si trova nella colonna vertebrale.
Il secondo livello è dato appunto dalle meningi, ovvero degli involucri connettivali
membranosi che avvolgono il nevrasse (il SNC) e si prolungano a rivestire il primo
tratto dei nervi encefalici e spinali. Si distinguono tre tipi di meningi, dall’interno
verso l’esterno abbiamo:
• Pia madre; è la più interna e sottile, aderisce completamente alle strutture
nervose.
• Aracnoide; strato intermedio, come la pia madre, entra nella costituzione della
barriera ematoencefalica.
• Dura madre; è appunto la più esterna ed è costituita da strati di connettivo
fibroso, ha la funzione di protezione. Ha tonaca più spessa.
Dunque, le funzioni principali delle meningi sono quella di proteggere e limitare gli
spostamenti delle strutture del SNC, contribuiscono alla formazione della barriera
emato-encefalica, partecipano alla produzione e al riassorbimento del liquor.
Ventricoli encefalici e liquor
A livello dell’encefalo, nella porzione più profonda di esso, troviamo 4 cavità
comunicanti che prendono il nome di ventricoli.
I primi due ventricoli sono denominati come ventricoli laterali, presenti uno per
entrambi gli emisferi: ventricolo laterale dx e sx. Questi comunicano appunto con il
terzo ventricolo attraverso il foro interventricolare. Il terzo ventricolo comunica poi
con il quarto ventricolo attraverso l’acquedotto del mesencefalo. All’interno delle
quattro cavità avviene proprio la produzione del liquor, ovvero liquido
cefalorachidiano.

Il liquor lo possiamo trovare per ¼ a livello dei ventricoli encefalici, mentre per ¾ lo
troviamo nello spazio sub-aracnoideo, ovvero lo spazio che si crea tra la pia madre e
l’aracnoide. Le funzioni principali del liquido cefalorachidiano è quella di eliminare i
prodotti rifiuto ovvero quelli del catabolismo neuronale, protegge l’encefalo dai
traumi a cui è soggetta la scatola cranica e nutre le cellule nervose funzionando da
filtro del sangue permettendo il passaggio di sostanze nutritive.
Vi è una continua produzione del liquor, ma anche un continuo riassorbimento:
abbiamo detto che il liquor viene
prodotto a livello dei ventricoli
(principalmente da quelli laterali e
dal terzo), mentre viene riassorbito
a livello dell’aracnoide. A livello
aracnoideo sono infatti presenti le
granulazioni del Pacchioni, ovvero
delle aperture, che servono a
riversare il liquor nel sistema
venoso in modo tale che può essere
appunto riassorbito. L’importanza
del riassorbimento del liquido sta
nel fatto che altrimenti potrebbe
innanzitutto accumularsi e poi
portare ad una patologia chiamata
idrocefalo: nel momento in cui
manca il riassorbimento del liquor,
questo si accumula a livello dei
ventricoli che andranno appunto a
deformarsi; è un fenomeno
patologico solito soprattutto nei neonati nei quali le ossa della scatola cranica non
sono ancora “cicatrizzate” tra loro, dunque cedono alla pressione del liquor
accumulato originando un ingrossamento anomalo della scatola cranica. Nell’adulto
invece, qualora accadesse, non si ha una sintomatologia così evidente poiché
appunto la scatola cranica è omogena e le ossa sono ben saldate; come
sintomatologia non avviene un ingrossamento, ma si presenta una forte cefalea.
Il liquor è costituito per la maggior parte da acqua, poi sostanze organiche e una
parte corpuscolata composta da linfociti, monociti e cellule ependimali.

Barriera ematoencefalica
Si tratta di una barriera che permette di preservare l’omeostasi del SNC,
proteggendolo dalle brusche variazioni delle concentrazioni ioniche nell’interstizio;
impedisce inoltre a sostanze che potrebbero interferire con la trasmissione nervosa
di passare dal sangue al tessuto nervoso; dunque, fa da barriera tra sangue e
neuroni.
La barriera ematoencefalica è una barriera selettiva, difatti permette il passaggio di
alcune sostanze quali il glucosio o anche i gas; mentre impedisce il passaggio di
sostanze tossiche, metaboliti e farmaci. Riguardo i farmaci risulta ovviamente un
problema, poiché non riescono a raggiungere la zona in cui hanno lo scopo di agire;
ad esempio, i farmaci per le malattie neurologiche quali la sindrome di Parkinson,
hanno appunto come obiettivo il sistema nervoso centrale, ma da soli non riescono
ad attraversare la barriera ematoencefalica. Ci sono delle strategie che permettono
di sfruttare alcune proprietà della barriera, una di queste è quella di legare al
farmaco una molecola di glucosio: potendo entrare, il glucosio porta con sé il
farmaco.

Midollo spinale
Il midollo spinale fa parte del sistema nervoso
centrale, al contrario i nervi spinali fanno parte
del sistema nervoso periferico; il midollo
spinale si trova in continuità dell’encefalo.
Come già detto, il midollo spinale è accolto nel
canale vertebrale, dunque nella colonna
vertebrale, e comunica con la periferia
attraverso 33 paia di nervi, appunto i nervi
spinali.
I nervi spinali si originano dai neuromeri,
ovvero dei segmenti continui che suddividono
il midollo spinale, e fuoriescono dal canale
vertebrale attraverso i fori intervertebrali,
situati tra due vertebre adiacenti. I nervi
cervicali, nel tendersi verso i fori, eseguono un
tragitto orizzontale, mentre i successivi si
inclinano sempre di più passando da un tragitto obliquo ad uno totalmente verticale;
questi ultimi vanno infatti a formare la cauda equina, un fascio di nervi che si
estende verticalmente verso il basso dal fondo del midollo spinale.

Nell’adulto il midollo spinale si estende dal foro occipitale fino alla seconda vertebra
lombare.
Il midollo spinale è circondato dalle meningi spinali: pia madre, che è a intimo
contatto con il midollo, aracnoide e dura madre. Vi sono inoltre una serie di
legamenti, tra cui in particolare il legamento denticolato, che sono importanti in
quanto accompagnano i nervi verso il foro intervertebrale; i legamenti
rappresentano anche dei mezzi di fissità del midollo spinale.

Il calibro del midollo spinale non è uniforme: vi sono delle zone che presentano dei
rigonfiamenti, in particolare nella zona verticale e quella lombare, a livello degli arti,
superiori e inferiori, e dunque dove vi è bisogno di numerose fibre nervose.
Come anticipato, possiamo dividere il midollo spinale in segmenti successivi che
prendono il nome di neuromeri. Da ciascun neuromero originano delle radici, sia a
dx che a sx, in particolare una radice anteriore e posteriore a dx ed una radice
anteriore e posteriore a sx. Le radici sono fondamentali poiché è proprio dall’unione
delle due radici che si originano i nervi: i nervi spinali si originano per l’unione tra
una radice anteriore e una posteriore. Le radici anteriori sono destinate a innervare i
muscoli scheletrici, muscoli lisci e ghiandole, dunque, sono responsabili di
innervazione periferica; le radici posteriori portano informazioni sensitive raccolte
dalla periferia.
Per quanto riguarda la conformazione interna del midollo spinale, troviamo appunto
la sostanza grigia nella zona centrale originando la cosiddetta H grigia, presenta una
parte trasversa chiamata commessura grigia, al cui centro vi è un foro contenente il
liquor. All’interno della H si distinguono inoltre due corni, anteriore e posteriore. La
sostanza grigia è circondata dalla sostanza bianca. Ricordiamo che la sostanza grigia
è costituita dai corpi dei neuroni. A livello della sostanza grigia sono presenti dei
neuroni che si dividono in due grandi categorie:
• Neuroni di primo tipo; sono costituiti da un lungo assone e possono fuoriuscire
dalla sostanza grigia. A loro volta si distinguono in:
» Neuroni radicolari; li troviamo a livello del corno anteriore, sempre
nell’H grigia e possono essere ancora somatomotori e viscero-effettori. I
primi si dividono a loro volta in motoneuroni α, terminano a livello dei
muscoli scheletrici, e motoneuroni γ, terminano a livello dei fusi
neuromuscolari; i secondi invece si distinguono i motoneuroni β,
riguardano il sistema nervoso autonomo, dunque a livello della
muscolatura liscia e delle ghiandole.
» Neuroni funicolari; si trovano nel corno posteriore e si individuano
ancora i somatosensitivi e viscerosensitivi.
• Neuroni di secondo tipo; presentono un breve assone e rimangono all’interno
della sostanza grigia.
Successivamente troviamo la sostanza bianca che circonda appunto la H grigia ed è
costituita da fasci di fibre nervose che vanno sia in direzione ascendente che
discendente. Anche a livello della sostanza bianca si possono individuare delle zone
quali cordoni, posteriore laterale e anteriore.
I fasci di fibre nervose che costituiscono la sostanza bianca, di distinguono in:
• Fasci di associazione.
• Fasci di proiezione; a loro volta si dividono in ascendenti, portano gli stimoli
dalla periferia all’encefalo, e discendenti, ovvero vie sensitive che trasportano
l’informazione dal midollo spinale alla periferia e sono stimoli di natura
motoria.
Come vie ascendenti, che si portano a livello della corteccia cerebrale o al
talamo, possiamo citare il fascicolo gracile e il fascicolo cuneato, importanti
per la percezione della sensibilità tattile fine, ovvero quella che ci permette di
apprezzare la superficie o la forma di un oggetto nel momento in cui lo
tocchiamo.
Per quanto riguarda le vie discendenti, originano invece dalla corteccia o dal
tronco encefalico per portarsi ai motoneuroni del midollo spinale. Controllano
i movimenti degli arti o del tronco, ad esempio possiamo citare la via
corticospinale che origina dalla corteccia motoria e termina a livello dei
motoneuroni del midollo.

Vie ascendenti
Vie discendenti
Entrambi i tipi di fasci di proiezioni sono fondamentali: senza la provenienza di
informazioni dalla periferia, tutte le diverse funzioni nervose superiori quali la
memorizzazione o la coscienza, a livello del cervelletto e dell’encefalo, non
potrebbero verificarsi. Il cervelletto, infatti, elabora le informazioni sensitive
ed invia delle risposte motrici attraverso le vie discendenti (sono vie effettrici).

Organizzazione sostanza grigia

Organizzazione sostanza bianca


Riflessi spinali
Per riflessi spinali, si intende delle risposte immediate e non elaborate destinate a
funzioni in condizioni di pericolo, dolore o paura. Un esempio è quello del riflesso da
stiramento muscolare, ovvero ad esempio a seguito di una percussione del
ginocchio, in particolare quando si colpisce il tendine del muscolo quadricipite
femorale, si ha un’estensione della gamba sulla coscia, ovvero tendiamo ad alzare la
gamba. Ciò accade poiché al momento della percussione vengono attivati dei
recettori dei fusi neuromuscolari: le fibre sensitive vengono attivate, trasportano
l’informazione a livello del corno posteriore eccitando il motoneurone α che si porta
ad innervare le fibre muscolari del quadricipite, provocando quindi il movimento di
estensione.

Nervi spinali
Come già anticipato, i nervi fuoriescono da fori intervertebrali, ma ciò vale solo per
31 paia dei nervi spinali. Il primo paio emerge tra il cranio e la C1, dunque, dal foro
cervicale; stessa cosa accade anche ad esempio per i nervi sacrali ovvero a livello
dell’osso sacro, che appunto fuoriescono attraverso i forami sacrali e dal coccige per
quanto riguarda il nervo coccigeo.
Ricordiamo inoltre che i nervi spinali si originano dall’unione delle due radici,
anteriore e posteriore; ricordiamo inoltre che la radice anteriore contiene fibre
efferenti dunque motrici, mentre la radice posteriore contiene fibre afferenti dunque
sensitive. I nervi si distinguono appunto in:
• Nervi cervicali.
• Nervi toracici.
• Nervi lombari.
• Nervi sacrali e coccigei.

Per quanto riguarda i rami anteriori dei nervi spinali, si uniscono tra loro per
scambiarsi dei fasci di fibre nervose andando a formare i plessi, ovvero appunto fasci
di fibre nervose. Eccezione sono solo i nervi toracici, che non formano plessi poiché
decorrono indipendentemente per formare i nervi intercostali, che innervano
appunto il torace. Tra i plessi possiamo individuare:
• Plesso cervicale; costituito dall’unione del primo, secondo, terzo e quarto
nervo cervicale. Va a innervare tutte le strutture a livello del collo e della testa;
qui è però importante il nervo frenico, responsabile della contrazione del
muscolo diaframmatico: scendono da ciascun lato del collo fino ad innervare il
diaframma, si estende dalla C3 alla C5.
• Plesso brachiale; va a innervare gli arti superiori, ad esempio si trova il nervo
ascellare, che si trova in parte della spalla innervando il muscolo deltoide.
• Plesso lombare; è costituito dai rami anteriori del primo, secondo, terzo e
quarto nervo lombare, ad esempio citiamo il nervo otturatore e il nervo
femorale.
• Plesso sacrale; a tale livello è presente il
nervo ischiatico o nervo sciatico che
parte dall’unione del quarto e quinto
nervo lombare e dai rami anteriori del
primo, secondo e terzo nervo sacrale. È
importante poiché è il più lungo nervo
dell’essere umano ed innerva tutta la
zona posteriore degli arti inferiori.
• Plesso pudendo.
• Plesso coccigeo.
Plesso brachiale

Plesso cervicale
Encefalo e strutture componenti
Quando ci riferiamo all’encefalo, esso comprende tutte le diverse strutture che in
realtà lo compongono e che hanno precise funzioni:
• Tronco encefalico; rappresenta la continuazione del midollo spinale a livello
della scatola cranica.
• Cervelletto; posto al di sotto di quella che vedremo sarà la calotta.
• Diencefalo.
• Telencefalo.

Tronco encefalico
Il tronco encefalico è suddiviso in:
• Bulbo.
• Ponte.
• Mesencefalo.
A livello del tronco encefalico troviamo i diversi centri del sistema parasimpatico,
ovvero la porzione di sistema nervoso che controlla le funzioni di diversi organi
(visceri interni nell’addome, nel torace e alcuni organi nella testa e nel collo).
Dal tronco encefalico partono il maggior parte dei nervi cranici che ne sono in tutto
12: 10 paia dei nervi encefalici emergono dal tronco encefalico ad eccezione di 2
paia; il tronco è dunque connesso alla periferia attraverso i nervi encefalici.

Nella sostanza grigia del tronco encefalico troveremo diversi tipi di nuclei, ovvero,
ricordiamo, dei raggruppamenti dei corpi neuronali presenti a livello del SNC.
In particolare, possiamo distinguere:
• Nuclei propri; si distinguono a loro volta in nuclei del bulbo, del ponte e del
mesencefalo; dunque, a seconda della struttura in cui sono localizzati.
• Formazione reticolare; si trova al centro del tronco encefalico, è costituita da
cellule nervose (neuroni) separate da fasci di fibre che decorrono in diverse
direzioni.
• Nuclei dei nervi encefalici; da cui originano i nervi encefalici.
In particolare, quando parliamo dei nuclei propri del tronco, abbiamo detto che si
distinguono a loro volta in:
» Nuclei propri del bulbo; comprende il nucleo olivare inferiore e i nuclei del
fascicolo gracile e cuneato.
» Nuclei propri del ponte; comprende i nuclei basilari, nucleo del corpo
trapezoide, nucleo olivare superiore, nucleo del lemnisco laterale.
» Nuclei propri del mesencefalo; comprende il nucleo rosso circondato dalla
sostanza nera.
Appunto tutte queste strutture rappresentano la sostanza grigia.
Ricapitolando dunque, le funzioni principali del tronco encefalico, sono:
• Responsabile della regolazione di funzioni vitali quali respirazione, funzioni
cardiovascolari, attività motorie, stati di coscienza e sonno.
• Rappresenta una stazione di passaggio delle informazioni dalla periferia verso
il centro, proprio perché è in continuità con il midollo. Per questo motivo,
inoltre, presenta sia vie ascendenti sia via discendenti; lungo queste vie sono
intercalati i nuclei propri del tronco e, per tutta la sua lunghezza, nella sezione
centrale, accoglie la formazione reticolare.
Bulbo
Il bulbo è chiamata anche midollo allungato poiché è proprio la continuazione del
midollo spinale, e presenta una superfice ventrale (o anteriore) dove sono localizzate
le piramidi bulbari, ovvero due strutture di forma conoidale che presentano la base
rivolta verso l’alto e l’apice rivolto verso il basso. Si tratta di fasci di fibre
corticospinali e permettono la regolazione dei movimenti volontari.
Tra le piramidi vi è una linea mediana che le separa, ma si interrompe circa nella
parte intermedia; in questa porzione accade che i fasci di fibre che attraversano le
piramidi bulbari, si intrecciano. In questa zona si parla di decussazione delle piramidi,
ovvero incrocio delle piramidi poiché le fibre della piramide dx passano nella
piramide sx e viceversa. In tal caso, nel momento in cui si dovessero verificare delle
lesioni nelle regioni al di sopra della decussazione, comporterà un danno in
corrispondenza della porzione controlaterale; se il danno avviene al di sotto della
decussazione, questo sarà omolaterale, ovvero lo stesso lato in cui ci sarà la lesione a
livello della fibra.
Sempre a livello ventrale è presente una sporgenza ovvero l’oliva, in particolare il
nucleo olivare inferiore localizzato appunto a livello dell’oliva, permette di
connettere il bulbo e quindi il tronco encefalico al cervelletto.
Per quanto riguarda la superficie dorsale, è anche chiamata regione romboidale,
proprio per la sua forma a rombo. È possibile identificarla solo asportando il
cervelletto in quanto questo lo copre completamente. In questa porzione posteriore
del bulbo troviamo:
• Fascicolo gracile e cuneato; sono attraversati da fasci di fibre ascendenti,
trasportano dunque al SNC la sensibilità esterocettiva collegata ad esempio
agli stimoli sensitivi; si tratta di una sensibilità primaria.
• Tubercolo gracile e cuneato; accolgono i nuclei dei neuroni sensitivi, regola
dunque la risposta sensitiva.
• Metà inferiore della fossa romboidale; rappresenta il pavimento del quarto
ventricolo e quindi la zona posteriormente al bulbo.
I nuclei del bulbo sono:
• Nucleo gracile e cuneato; ricevono gli assoni dei neuroni sensitivi e quindi le
informazioni provenienti dalla periferia, in particolare la sensibilità tattile
discriminativa, proveniente dallo stimolo tattile, la sensibilità cosciente,
proveniente dagli arti inferiori e dalla parte inferiore del tronco ed è veicolata
dal fascicolo gracile, mentre le informazioni propriocettive coscienti,
provenienti dalla porzione superiore del tronco, dagli arti superiori e dal collo,
sono veicolate dal fascicolo cuneato. Inoltre, da entrambi i nuclei fuoriescono
dei fasci che vanno a formare il lemnisco mediale, e vanno in direzione
craniale, dunque, verso il diencefalo.
• Complesso olivare inferiore; ovvero il nucleo olivare inferiore, si trova appunto
a livello dell’oliva e riceve le informazioni provenienti dal midollo spinale, dal
nucleo rosso e dalla corteccia cerebrale, ovvero la corteccia che va a rivestire il
telencefalo. Le fibre che partono dal nucleo o complesso olivare, raggiungono
il cervelletto mediando le informazioni relative al coordinamento di schemi
motori già acquisiti.
Ponte
Il ponte si trova al di sopra del bulbo.
Per quanto riguarda la superficie ventrale vi è un solco, attraversato dall’arteria
basilare. Dal ponte emerge il nervo trigemino; si possono inoltre individuare i
peduncoli cerebellari, che mettono in connessione il ponte con il cervelletto.
Passando alla superficie dorsale, qui si individua la metà superiore della fossa
romboidale, che rappresenta sempre il pavimento del quarto ventricolo.
I nuclei del ponte invece si distinguono in:
• Nuclei basilari del ponte; o nuclei pontini, possono ricevere le fibre
corticopontine, ovvero fibre provenienti dalla corteccia cerebrale, dunque
informazioni provenienti dal centro, oppure possono inviare delle informazioni
verso la corteccia del cervelletto attraverso le fibre pontocerebellari.
Quest’ultimo tipo di informazione viene in realtà trasferita attraverso il
peduncolo cerebellare medio del lato opposto, in tal modo le informazioni si
incrociano. Si tratta di informazioni che sono relative alla programmazione
corticale di movimenti volontari.
• Nuclei cocleari ventrali; ricevono gli impulsi uditivi provenienti dal nervo
acustico, dunque, impulsi correlati alla funzione uditiva.
• Fasci ascendenti del ponte; si tratta del lemnisco mediale, per la sensibilità
profonda, il lemnisco spinale, per la sensibilità superficiale, e il fascio
trigeminotalamico, per le sensazioni acustiche.
Mesencefalo
Anche nel mesencefalo possiamo distinguere una superficie ventrale dove
individuiamo:
• Peduncoli cerebrali, ovvero peduncoli che connettono al telencefalo dunque al
cervello.
• Tratto ottico.
• Emergenza del nervo oculomotore. Possiamo dire che le informazioni delle vie
ottiche viaggiano a livello del mesencefalo.

Riguardo invece la superficie dorsale possiamo individuare i collicoli, strutture che


vanno a costituire il tetto del mesencefalo o lamina quadrigemina. Si distinguono in
particolare:
• Collicoli superiori; rappresentano una stazione per le vie ottiche e sono
connessi con il diencefalo.
• Collicoli inferiori; rappresentano una stazione per la via acustica correlati però
con il corpo genicolato mediale e quindi la via uditiva.
A livello del mesencefalo troviamo anche il nervo trococleare, è l’unico nervo che
emerge dalla superficie dorsale del tronco
encefalico.
Oltre ai collicoli, a livello del mesencefalo
troviamo anche l’acquedotto
mesencefalico. Questo è circondato dalla
sostanza grigia periacqueduttale e
rappresenta una via di comunicazione tra
il terzo ventricolo e il quarto ventricolo.
Inoltre, a livello dell’acquedotto sono
presenti dei nuclei che sono coinvolti
nella regolazione centrale della sensibilità
dolorifica; quindi, mediano le
informazioni della sensibilità dolorifica.

A livello sempre del mesencefalo, in particolare di una struttura denominata


tegmento.
Identifichiamo poi altri due nuclei che sono il nucleo rosso, così chiamata proprio per
il suo colorito tipico dovuto ad una ricca vascolarizzazione, circondato dalla sostanza
nera; la sostanza nera è costituita da neuroni che presentano dei granuli
citoplasmatici di melanina.
I neuroni presenti a livello della sostanza nera sono coinvolti nei processi di
regolazione e mantenimento del tono muscolare e coordinazione dei movimenti,
inoltre questi nuclei secernono la dopamina, anch'essa coinvolta appunto nella
regolazione della coordinazione dei movimenti.
L’ultima componente che abbiamo descritto è appunto la formazione reticolare, si
tratta di gruppi di neuroni che sono intercalati lungo delle fibre. La formazione
reticolare attraversa tutto il tronco encefalico, anzi in realtà ne occupa la calotta
quindi il tetto del tronco encefalico: si estende attraverso tutto il tronco encefalico,
quindi dal bulbo fino alla regione del diencefalo, in particolare alle due strutture del
diencefalo che sono l’ipotalamo e il subtalamo.
A livello della formazione reticolare sono presenti dei neuroni che presentano al loro
interno dei neurotrasmettitori di diversa natura, abbiamo i neurotrasmettitori quali
la serotonina, la dopamina, la noradrenalina e l'acetilcolina; ovviamente, a seconda
della funzione che va a mediare, avremo il rilascio di un neurotrasmettitore piuttosto
che di un altro.
Dunque, la formazione reticolare è coinvolta nella regolazione di numerose funzioni
quale ad esempio il controllo della respirazione, il controllo vaso motorio e il
controllo delle vie dolorifiche. Infatti, ad esempio è coinvolta nello stato di vigilanza e
di coscienza, attraverso l'acetilcolina, nella regolazione del ritmo sonno veglia in
particolare con il rilascio di serotonina, e nella modulazione del dolore e poi è
coinvolta anche nel mantenimento del tono muscolare, mantenimento della postura
e dei riflessi e nella regolazione della funzione cardiorespiratoria.

Cervelletto
Posteriormente al tronco encefalico, procedendo lungo l'encefalo, troveremo il
cervelletto. Abbiamo detto che il cervelletto va a coprire proprio la faccia dorsale del
tronco encefalico, e si trova infatti inferiormente agli emisferi cerebrali (o
telencefalo), in particolare inferiormente ai poli occipitali degli emisferi cerebrali.
Risulta essere separato proprio dal telencefalo grazie ad una lamina di dura madre,
che viene chiamata tentorio del cervelletto; si trova tra il telencefalo e il cervelletto,
quindi tra i poli occipitali degli emisferi cerebrali e il cervelletto.
È connesso al tronco encefalico attraverso i peduncoli cerebellari, in particolare ve
ne sono di tre tipi:
• Peduncoli cerebellari inferiori; uniscono il cervelletto al bulbo.
• Peduncoli cerebellari medi; uniscono il cervelletto al ponte.
• Peduncoli cerebellari superiori; uniscono il cervelletto al mesencefalo.
Il cervelletto si dice sia di forma ovalare e presenta un asse trasversale maggiore. La
faccia anteriore corrisponde all’ilo dell’organo, mentre la faccia superiore appare
convessa. Lungo la linea mediana della faccia superiore è presente il verme, una
sporgenza; si parla di verme superiore e inferiore. Ai lati del verme si identificano i
due emisferi cerebellari.
Il cervelletto presenta una sostanza grigia che va a costituire quella che è la corteccia
cerebellare, che presenta in superficie numerose fessure; queste vanno a delimitare
dei ripiegamenti che vengono chiamati folia. Questa tipica organizzazione da una
sorta di aspetto arboriforme alla struttura interna del cervelletto.
La corteccia cerebellare va a coprire il cervelletto e risulta essere uniforme in tutti i
territori: presenta la stessa organizzazione strutturale.
Avremo tre strati in tutte le aree del cervelletto che dall’esterno all’interno sono:
• Strato molecolare; strato più esterno, presenta poche cellule nervose. Accoglie
cellule dei canestri, cellule stellate, cellule fusiformi che prendono il nome
dalle proprie forme. Vi sono anche i dendriti delle cellule di Purkinje, che si
spingono dallo strato gangliare allo strato molecolare, e gli assoni delle cellule
granulari.
• Strato gangliare; strato intermedio, sono organizzate parallelamente le une
alle altre e sono anche chiamate cellule di Purkinje, unica popolazione
cellulare presente in questa zona. Le cellule di Purkinje spingono il proprio
assone verso lo strato dei granuli, presente più internamente.
• Strato dei granuli; strato più interno, accolgono le cellule del Golgi che
presentano al loro interno granuli di piccole e grandi dimensioni.

A livello della corteccia, inoltre, troveremo due tipi di fibre:


• Fibre muscoidi; rappresentano le fibre che trasportano le informazioni alla
corteccia cerebellare provenienti dai neuroni del midollo spinale e del tronco
encefalico. Tali fibre attraversano dunque lo strato molecolare e si spingono
fino lo strato granulare, dove formano delle sinapsi con i dendriti delle cellule
granulari.
• Fibre rampicanti; rappresentano le fibre che ricevono gli assoni dei neuroni
provenienti dal tronco encefalico, in particolare dai neuroni del nucleo olivare
inferiore (fascio olivocerebellare). Inviano informazioni dal tronco encefalico
verso la corteccia del cervelletto; entrano in sinapsi a livello dello strato
molecolare con i dendriti delle cellule del Purkinje. Si tratta di fasci di fibre
ascendenti.

La sostanza bianca invece occupa la porzione centrale del cervelletto. A livello poi del
cervelletto troveremo i nuclei profondi del cervelletto, che rappresentano delle
porzioni di sostanza grigia all'interno della sostanza bianca. I nuclei sono
rappresentati da:
• Nucleo globoso ed emboliforme.
• Nucleo dentato.
Sulla superficie del cervelletto si individuano inoltre delle fessure che permettono di
suddividerlo in tre regioni. Tutte e tre le aree presentano un’origine
filogeneticamente diversa:
• Paleocerebellum e Archicerebellum; porzioni più antiche. Il paleocerebellum
accoglie i nuclei globosi ed emboliformi ed è connesso al midollo spinale; è
connesso dunque alle funzioni più antiche del cervelletto associate al
mantenimento dell’equilibrio, della postura e del tono muscolare. È
strettamente connesso agli arti inferiori.
L’archicerebellum è anche noto come flocculo o nodulo flocculare, poiché
presenta una forma a fiocco. Esso accoglie i nuclei del tetto ed è associato ai
nuclei vestibolari che connettono il cervelletto alla funzione vestibolare
dell’orecchio; vi si associa il mantenimento dell’equilibrio del tronco, della
postura e del tono muscolare.
• Neocerebello; porzione più nuova, si tratta della più estesa e centrale. È
associata a più nuove funzioni del cervelletto, in particolare al coordinamento
degli arti superiori e inferiori durante i movimenti il cui stimolo parte dalla
corteccia cerebrale. In tale porzione sono presenti i nuclei dentati; è connessa
all’attività della corteccia telencefalica: media la coordinazione delle attività tra
il cervelletto e il telencefalo.
Per quanto riguarda le scissure invece ci sono:
• Scissura primaria; divide il paleocerebellum dal neocerebello.
• Scissura posterolaterale; divide il neocerebello dall’archicerebellum.

Dunque, il cervelletto rappresenta la porzione motoria dell'encefalo, perché regola


proprio il coordinamento della contrazione muscolare: grazie alle informazioni
acquisite dal cervelletto, quindi, attraverso le informazioni dei fasci afferenti che
riceve, riesce a coordinare quella che è la sinergia della contrazione muscolare,
ovvero a indirizzare la contrazione simultanea del muscolo e il rilassamento di altri
muscoli in modo da consentire quel determinato movimento. È poi responsabile del
mantenimento dell'equilibrio.
Inoltre, il cervelletto interviene anche nella ideazione, nella comprensione e nella
produzione del linguaggio: ha una funzione importante nell'elaborazione del
linguaggio e della parola e nei processi di memorizzazione e apprendimento.
Il cervelletto è quindi importante perché svolge numerose funzioni, in particolare
sulla base delle diverse afferenze che può ricevere; possono provenire o dal midollo
spinale e quindi via ascendenti provenienti dal midollo spinale, oppure dal tronco
encefalico, connesso al cervelletto attraverso i peduncoli cerebellari, o ancora
informazioni provenienti anche dal telencefalo. Si tratta di impulsi afferenti che
riceve il cervelletto.
Lo stimolo ricevuto viene elaborato e da qui emergono poi quelli che sono gli impulsi
efferenti; quindi, la risposta da parte delle strutture del cervelletto che si riportano
ad esempio in periferia agendo sulla regolazione del tono muscolare.
A livello muscolare il cervelletto regola dunque il tono muscolare, la coordinazione
delle attività somatiche sia volontarie che involontarie e poi interviene nella
regolazione di quello che è l'equilibrio.
Inoltre, il cervelletto modula le afferenze acustiche e visive.
Si possono verificare delle lesioni a livello della linea mediana, ovvero la linea che
separa i due emisferi, si lesioni a carico degli emisferi stessi. Un danno a carico della
linea mediana comporta dei disordini a livello posturale, mentre un danno a livello
degli emisferi comporta un alterato controllo motorio degli arti omolaterali (se si
verifica un danno all’emisfero dx si verifica un alterato controllo degli arti sx).

Diencefalo
Il diencefalo è interposto tra il mesencefalo e il telencefalo. In realtà è difficile
identificarlo perché quasi coperto interamente dagli emisferi telencefalici, poiché
questi risultano essere molto più sviluppati fino a coprire un'area molto più vasta
che contorna in gran parte il diencefalo. L'unica porzione più facilmente visibile del
diencefalo è la superficie ventrale ovvero l'ipotalamo.
All'interno del diencefalo troveremo il terzo ventricolo, dove abbiamo la produzione
del liquido cefalorachidiano. Le strutture che formano il diencefalo sono:
• Talamo.
• Epitalamo.
• Ipotalamo.
• Subtalamo.

Talamo
Il talamo è il primo tratto del diencefalo e rappresenta la stazione dove le vie
sensitive, in particolare ad esempio la via olfattiva, si interrompono per poi
raggiungere la corteccia cerebrale per la percezione cosciente: avremo
un'interruzione del trasferimento dell'informazione prima che essa prosegua verso la
corteccia.
Le funzioni principali del talamo sono:
• Percezione delle sensazioni; riceve le informazioni relative alla attività sensitiva
quindi le sensazioni.
• Coordinamento delle vie motrici.
• Regolazione delle attività viscerali, quindi degli organi interni.
• Regolazione della memoria e delle emozioni connesse al sistema limbico.
• Mantenimento dello stato di coscienza.
Per quanto riguarda i rapporti del talamo, vedremo che:
» La faccia mediale accoglie la cavità del terzo ventricolo.
» La faccia laterale accoglie una struttura che viene chiamata capsula interna.
» La faccia superiore corrisponde al nucleo caudato dell'encefalo, proprio data la
stretta connessione del diencefalo con il telencefalo.
» La faccia inferiore del talamo si trova in continuità con l'ipotalamo.

Il talamo è la porzione più voluminosa di tutto il diencefalo e accoglie i nuclei


talamici, che inviano informazioni alla corteccia cerebrale dell'emisfero omolaterale.
In realtà la superficie del talamo è suddivisa in diverse regioni, proprio per la
presenza di una lamina di sostanza bianca che permette di identificare una regione
anteriore, una regione mediana e una regione posteriore.
Queste tre regioni accolgono nuclei di diverso tipo che svolgono funzioni differenti a
seconda della loro localizzazione. A loro volta, tra questi nuclei, ne avremo di altri
che sono connessi a delle aree delimitate della corteccia cerebrale, e nuclei non
specifici che si dispongono in maniera specifica a diverse aree della corteccia:
• Nuclei anteriori; sono coinvolti negli stati emozionali, nell’apprendimento e
nella memoria; in particolare, sono coinvolti nel mantenimento della memoria
a breve termine (tipo di memoria corrispondente a quelle azioni che vengono
temporaneamente immagazzinate a livello del diencefalo).
• Nuclei mediali; sono coinvolti nei processi cognitivi, modula le risposte
viscerali agli stati emozionali.
• Nuclei laterali; coinvolti nella regolazione delle emozioni, nell’integrazione
delle informazioni sensitive.
• Nuclei posteriori; si distinguono a loro volta in nuclei pulvinar e nuclei dei corpi
genicolati. I primi rappresentano una via associativa di interazione con la
corteccia cerebrale, in particolare con il lobo temporale, parietale e occipitale
di ciascun emisfero; sono correlati sia all’integrazione delle informazioni
sensitive speciali sia alle aree sensitive associate alla corteccia cerebrale.
Per quanto riguarda i secondi, accolgono le vie acustiche e ottiche: sono
coinvolti nella memoria a breve termine e nella regolazione delle vie
sopracitate (acustiche e ottiche).
• Nuclei ventrali.
Epitalamo
L’epitalamo si trova superiormente al terzo ventricolo formandone proprio il tetto.
Accoglie la ghiandola pineale, ovvero l’epifisi, che produce la melatonina, ormone
coinvolto nei ritmi circadiani e può avere un’azione inibitoria sull’attività dell’ipofisi.

Ipotalamo
L’ipotalamo forma le pareti laterali e il pavimento del terzo ventricolo, è connesso al
chiasma ottico e ai peduncoli cerebellari. A livello dell’ipotalamo possono essere
distinte diverse regioni quali:
• Infundibolo ipofisario; connette l’ipotalamo all’ipofisi.
• Corpi mammillari.
• Lobo posteriore dell’ipofisi; ovvero la neuroipofisi.
Le funzioni dell’ipotalamo sono correlate soprattutto alla funzione dell’omeostasi
dell’organismo poiché controlla:
• L’attività delle ghiandole endocrine; attraverso la produzione di fattori di
rilascio e fattori inibitori, l’ipotalamo può andare ad agire su di queste.
• Neurosecrezioe; alcuni ormoni vengono prodotti dall’ipotalamo e riversati a
livello della neuroipofisi.
• L’equilibrio idrosalino.
• La pressione arteriosa.
• La temperatura corporea; a livello dell’ipotalamo sono localizzati i centri per la
regolazione di riscaldamento, nel nucleo posteriore, e raffreddamento, nel
nucleo preottico.
• L’assunzione di cibo e liquidi; a livello dell’ipotalamo si trova il centro di
sazietà, in particolare nei nuclei ipotalamici mediali, e il centro di fame e sete
nei nuclei ipotalamici laterali.
• Il bilancio energetico.
• Le funzioni viscerali; regola l’attività del sistema nervoso autonomo, infatti,
vengono attivati i nuclei ipotalamici anteriori regolando le attività correlate
alla bradicardia, ipotensione e così via; si attiva il sistema parasimpatico. I
nuclei ipotalamici posteriori portano ad un aumento dell’attivazione del
sistema simpatico.
• Il comportamento emotivo; sensazioni di paura, rabbia e ansia sono associate
alla connessione dell’ipotalamo con il sistema limbico.
L’ipotalamo regola inoltre il ritmo sonno-veglia e lo stato di allerta, attraverso una
correlazione con la formazione reticolare e attraverso l’attivazione dei neuroni
istaminergici, che indirizzano le loro informazioni alla corteccia telencefalica.
Dunque, le funzioni dell’ipotalamo sono dovute alla presenza di neuroni che vanno a
definire i nuclei neurosecernenti ovvero:
• Neuroni magnicellulari; comprendono i nuclei sopraottico e paraventricolare,
che producono ossitocina e vasopressina, che venivano poi rilasciati proprio
nella neuroipofisi. L’ossitocina agisce sulla contrazione della muscolatura
uterina e sull'attivazione delle cellule mioepiteliali delle ghiandole mammarie,
mentre la vasopressina ha un effetto antidiuretico in azione in ipertensiva,
quindi di regolazione della pressione arteriosa.
• Neuroni parvicellulari; producono i fattori di rilascio RH e i fattori inibitori IH,
che hanno una funzione di stimolazione sulla produzione da parte
dell’adenoipofisi di particolari ormoni.
L’ipotalamo presenta dunque una connessione nervosa con la neuroipofisi,
permettendo il passaggio di ossitocina e vasopressina, e connessione vascolo
nervoso, dunque attraverso il sistema dell’asse ipotalamo-ipofisario, che
permette il rilascio di RH e IH a livello dell’adenoipofisi.
Subtalamo
Il subtalamo si trova a confine con il mesencefalo e presenta anch’esso la sostanza
nera e il nucleo rosso. Il subtalamo è coinvolto nella regolazione dell’inizio della
locomozione e nella progressione del movimento in avanti.

Telencefalo
Il telencefalo, o cervello, è l’ultima componente che va a costituire l’encefalo.
Il cervello occupa la maggior parte della calotta cranica e presenta una superficie
ripiegata; i ripiegamenti sono chiamati circonvoluzioni, che sono separate da solchi,
scissure profonde che permettono di identificare i ripiegamenti.
Grazie alle circonvoluzioni, è possibile avere un aumento della superficie
telencefalica: una parte di essa è infatti nascosta nelle profondità dei solchi stessi.
Sempre sulla superficie del telencefalo, individuiamo una fessura maggiore che è la
scissura profonda longitudinale e che permette di dividere il cervello in emisfero dx e
sx. All’interno di tale scissura, si presenta inoltre il corpo calloso, una struttura
formata da fibre commessurali che vanno ad unire le parti corrispondenti della
corteccia di ciascuno dei due emisferi.
Oltre alle scissure e i solchi sopracitati, si individuano su ciascun emisfero scissure
secondarie, che individuano quelli che sono i lobi. Avremo:
• Lobo frontale.
• Lobo parietale.
• Lobo occipitale.
• Lobo temporale.
• Lobo dell’insula.
A livello della corteccia cerebrale invece, possiamo localizzare delle aree che
regolano la funzione del telencefalo. In particolare, si identifica una scissura centrale
detta scissura di Rolando, che segna il confine tra lobo frontale e lobo parietale.
Anteriormente alla scissura centrale vi è la circonvoluzione precentrale, un
ripiegamento che accoglie l’area motoria primaria della corteccia cerebrale.
Posteriormente alla scissura centrale, abbiamo la circonvoluzione postcentrale, che
accoglie l’area somestesica primaria, ovvero un’area sensitiva.
Anteriormente alla circonvoluzione precentrale, avremo le circonvoluzioni frontali di
pertinenza del lobo frontale; si distinguono la circonvoluzione frontale superiore,
intermedia e inferiore.
Al di sotto della scissura laterale, che segna il confine tra lobo frontale e lobo
temporale, vi sono le circonvoluzioni temporali. Anche qui si individuano
circonvoluzione temporale superiore, intermedia e inferiore. A tale livello è associata
l’area acustica primaria.
Per quanto riguarda la sostanza bianca del
telencefalo, è organizzata in fibre. In
particolare, si distinguono in:
• Fibre associative; collegano aree della
corteccia localizzate sullo stesso
emisfero cerebrale; in particolare si
distinguono fibre arcuate, ovvero fibre
brevi tra circonvoluzioni vicine, e
fascicoli longitudinali che vanno ad
unire circonvoluzioni più distanti, ad
esempio che stanno nella porzione
superiore e inferiore, ma sempre nello
stesso emisfero.
• Fibre commessurali; già accennate in
precedenza, sono intrinseche al corpo
calloso; dunque, si tratta di fasci di fibre
che collegano regioni corrispondenti dei
due emisferi. Si parla inoltre di una
commessura anteriore che collega le
circonvoluzioni temporali dei due lati.
• Fibre di proiezione; collegano la
corteccia cerebrale alla corteccia
sottocorticale, dunque con il talamo, i
nuclei della base, del midollo spinale e del tronco encefalico.

Per quanto riguarda invece la sostanza grigia, essa stessa va a formare la corteccia
cerebrale. La corteccia cerebrale presenta però una organizzazione strutturale
diversa a seconda della regione; in particolare si distinguono:
• Paleocortex e archicortex; corteccia più antica organizzata a sua volta il tre
strati. Tale corteccia la troviamo a livello dell’ippocampo e di alcune regioni del
lobo temporale. Queste regioni, sin dall’origine, hanno mantenuto il rapporto
con il sistema olfattivo: a questo livello sono associate le informazioni relative
alla sensibilità olfattiva.
• Neocortex; corteccia più moderna costituita da sei strati, va ad occupare la
maggior parte dell’area del telencefalo. Gli strati vengono suddivisi a seconda
della loro composizione:
» Strato molecolare; sono accolti i dendriti
delle cellule piramidali che si spingono
verso appunto lo strato molecolare.
» Strato granulare esterno; abbiamo
cellule che presentano dei piccoli
granuli.
» Strato piramidale esterno; abbiamo
piccole cellule minali che inviano voi i
dendriti verso lo strato molecolare e i
cui assoni di queste cellule sono quelli
che vanno a costituire quelle fibre che
abbiamo prima descritto come fibre di
fasci commensurabili associativi e di
proiezione.
» Strato granulare interno; abbiamo
cellule che presentano dei grandi
granuli.
» Strato piramidale interno; vi sono cellule
con dimensioni maggiori rispetto a
quelle dello strato piramidale esterno.
Gli assoni di queste cellule formano delle fibre discendenti che sono
dirette verso il midollo spinale.
» Strato polimorfo; costituito da cellule fusiformi, anche gli assoni di
queste cellule formano le fibre
commensurabili.
Come anticipato, sulla corteccia si possono identificare
anche delle aree. Tali aree sono chiamate aree di
Brodmann e sono state proprio numerate con diversi
numeri; a ciascuna di queste aree corrisponde una
funzione diversa.
Ad esempio, l'area identificata con il numero 4
rappresenta l'area motoria primaria, sull’emisfero dx. In
particolare, a livello di quest'area possiamo avere quella
che viene chiamata rappresentazione somatotopica del
corpo umano: abbiamo una schematizzazione delle diverse parti del corpo umano
dove abbiamo una grandezza diversa a seconda dell'estensione che in queste aree
vanno a svolgere. Quindi a livello di questa di quest'area vi è il controllo di quella che
è la contrazione muscolare, in particolare dei muscoli contro laterali.

Oppure possiamo citare l’area 44, ovvero l’area di Broca, a livello della
circonvoluzione frontale inferiore. Nel caso in cui si verificasse una lesione proprio a
livello di quest’area, comporterebbe una difficoltà nell’articolazione della parola, ma
si conserva la capacità di comprensione.
Ancora, a livello del lobo parietale, è presente l’area
somestesica primaria, dove troviamo la
rappresentazione somatotopica del corpo umano, ma
a livello sensitivo: riflette il numero di recettori
localizzati nelle diverse parti del corpo capaci di
rispondere ad uno stimolo sensitivo. In questo caso si
parla di innervazione: l’area somestesica primaria non
stimola la contrazione, ma l’innervazione sensitiva.
A livello della circonvoluzione temporale superiore,
troviamo l’area acustica primaria (41 e 42). È
associata alla percezione cosciente dei suoni; riceve le
informazioni del nucleo genicolato del talamo. Inoltre, è presente l’area acustica
associativa, o area di Wernick, correlata alla comprensione del significato delle
parole
Infine, vi sono l’area 17 e 18 che rappresentano l’area visiva, primaria e associativa,
appunto associate agli stimoli visivi.

Sistema limbico
Citato già in precedenza in correlazione all’ipotalamo, il sistema limbico svolge
numerose funzioni associate alla memoria a breve termine e alla risposta
comportamentale del soggetto a stimoli correlati agli stati emozionali.
È costituito sia da componenti telencefalici sia diencefalici. Le componenti
telencefaliche sono connesse alle aree corticali, ai nuclei del telencefalo e alle
diverse fasce e tratti; la componente diencefalica è invece connessa al talamo, a
livello dei gruppi anteriori, e all’ipotalamo, con la regolazione degli stati emozionali.

Nervi encefalici
I nervi encefalici originano proprio dall’encefalo. Possono essere appunto:
• Nervi motori; possono avere componente somatica, terminano sulla
muscolatura volontaria, e viscerale, terminano sulla muscolatura liscia
involontaria.
• Nervi sensitivi; componente somatica, trasportano impulsi della sensibilità
generale e specifica, componente viscerale, raccolgono gli impulsi dai diversi
organi o apparati.
• Nervi misti; formati da fibre effettrici, a loro volta somatiche e viscerali, e fibre
sensitive, a loro volta somatiche e viscerali.
I nervi encefalici sono presenti in 12 paia:
• Il primo paio, nervo olfattivo, origina dal telencefalo; è connesso all’epitelio
della mucosa olfattivo. Le fibre che formano i filamenti del nervo continuano
nel bulbo olfattivo, che riceve le informazioni dalle cellule olfattive dell’epitelio
della mucosa olfattiva.
• Il secondo paio, nervo ottico, origina dal diencefalo.
• Le restanti dieci paia originano dal tronco encefalico, in particolare quelli a
partire dal terzo paio di nervi cranici fino al dodicesimo.

Possono essere appunto misti, possono avere solo una componente motoria o solo
sensitivi.
Vi è il quinto nervo, il nervo trigemino, già citato anch’esso in precedenza, la cui
particolarità è quella di presentare tre branche: oftalmica, mascellare e mandibolare.
È coinvolto in diverse porzioni della faccia: è un nervo sensitivo che fornisce
sensibilità esterocettiva alla faccia, cavità nasali e orali, denti, cuoio capelluto e dura
madre. Mentre emette una sensibilità propriocettiva per i muscoli masticatori, della
faccia e dell’orbita.
Il nervo trigemino presenta una componente motrice somatica da cui originano fibre
colinergiche per i muscoli masticatori, ovvero fibre che ne regolano la contrazione.

Un altro nervo particolare è l’ottavo, nervo vestibolococleare, costituito appunto dal


nervo cocleare e nervo vestibolare. È infatti coinvolto nell’innervazione dell’orecchio:
a livello della componente cocleare, che media la sensibilità uditiva, e a livello della
componente vestibolare, che trasmette informazioni propriocettive correlate al
mantenimento dell’equilibrio.
Infine, vi è il decimo nervo, nervo vago, che è un nervo misto. Lo abbiamo già
incontrato nella descrizione della cavità toracica e addominale inquanto ne innerva
la maggior parte degli organi. A livello del collo, il nervo vago discende
parallelamente all’arteria carotide e alla vena giugulare formando il fascio vascolo-
nervoso del collo, citato a proposito del suo stretto rapporto con organi del collo
quali la trachea.

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