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Semeiotica del sistema cardiovascolare


Anatomia
L’apparato cardiovascolare è formato da un organo centrale, il cuore, e da numerosi canali ramificati,
i vasi sanguigni, nei quali circola il sangue.
Questi ultimi sono distinti in arterie (nelle quali il sangue circola in direzione centrifuga), vene (in
cui il sangue circola in direzione centripeta) e capillari sanguiferi (vasi interposti tra arterie e vene,
che permettono gli scambi tra sangue e fluidi interstiziali).

Il cuore è un organo muscolare cavo, impari, che spinge il sangue nelle arterie; queste lo distribuisco-
no a tutti gli organi del corpo e all’interno di questi si ramificano nei capillari che, dopo aver
permesso gli scambi metabolici, confluiscono tra loro dando origine alle vene, attraverso cui il
sangue ritorna al cuore.
Il cuore è diviso in due metà (cuore destro e cuore sinistro) non comunicanti fra loro; ogni metà è
formata da due cavità comunicanti fra loro: l’atrio superiormente e il ventricolo inferiormente.
La metà destra contiene sangue venoso, ricco di anidride carbonica e la metà sinistra sangue
arterioso, ricco di ossigeno.

Tutto l’apparato circolatorio si può dividere in 2 grandi settori:


 Grande circolazione (o sistemica): ha inizio dal ventricolo sinistro del cuore con l’arteria
aorta, un grosso vaso che con i suoi rami distribuisce il sangue arterioso all’intero organismo,
che sul versante capillare cede ossigeno
e si carica di anidride carbonica trasfor-
mandosi in sangue venoso.
Dai capillari si formano le vene che rac-
colgono il sangue venoso e raggiungono
la vena cava superiore e la vena cava
inferiore (inoltre la circolazione corona-
rica è in gran parte raccolta dal seno co-
ronario), che sboccano nell’atrio destro.
 Piccola circolazione (o polmonare): ha
inizio dal ventricolo destro del cuore con
l’arteria polmonare che, biforcandosi in
un ramo destro ed uno sinistro, porta
sangue venoso ricco di CO2, ai polmoni.
Nei capillari polmonari il sangue perde C02,
acquista 02 e diventa sangue arterioso.
Il sangue arterioso torna al cuore con
le 4 vene polmonari che sboccano nell’a-
trio sinistro e da qui passa nel ventricolo
sinistro per riprendere la via della grande
circolazione.

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CUORE
Il cuore è l'organo centrale dell'apparato circolatorio, impari, cavo e a struttura prevalentemente
muscolare, che permette la circolazione del sangue nei vasi sanguigni con contrazioni ritmiche.
É situato nella cavità toracica, più precisamente nel mediastino anteriore, fra i due polmoni, e poggia
sulla cupola diaframmatica; non è in posizione perfettamente mediana essendo spostato per due
terzi a sinistra.
È contenuto in un sacco connettivale, il pericardio fibroso, rivestito internamente da una doppia
membrana sierosa, il pericardio sieroso.

CONFORMAZIONE ESTERNA
Ha la forma di una piramide con base rivolta in alto ed apice rivolto in basso con un asse maggiore
di circa 12 cm che è diretto dall'alto verso il basso, dall'indietro in avanti e da destra a sinistra.
L’asse trasversale misura circa 9 cm; l’asse antero-posteriore circa 6 cm.

La superficie esterna presenta solchi che segnano i limiti tra le cavità che lo costituiscono:
 Solco coronario o atrio-ventricolare: separa in superficie gli atri dai ventricoli.
 Solco interventricolare anteriore: separa in superficie ed anteriormente i due ventricoli.
 Solco interventricolare posteriore: separa in superficie e posteriormente i due ventricoli.
 Solco interatriale: separa in superficie i due atrii (visibile solo sulla base del cuore).

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Inoltre la superficie esterna può essere distinta in 2 facce, una base, un apice e 2 margini:
 Faccia anteriore, o sterno-costale: in rapporto con lo sterno e le cartilagini costali dalla 3°
alla 6°, ha una forma triangolare e in essa sono visibili solo i ventricoli in quanto gli atri risultano
coperti dai coni di emergenza dell'arteria polmonare e dell'aorta.
È percorsa dal solco interventricolare anteriore, dividendo la superficie in una porzione
sinistra e una porzione destra più vasta che corrisponde al ventricolo destro.
 Faccia postero-inferiore, o diaframmatica: triangolare e pianeggiante, è percorsa trasversal-
mente dal segmento posteriore del solco coronario che indica i limiti tra la porzione atriale
e quella ventricolare; quest'ultima è attraversata dal solco longitudinale posteriore.
Il punto di incontro di questi due solchi prende il nome di crux cordis.
 Base: guarda indietro, in alto e a destra, irregolarmente convessa per la presenza degli
sbocchi delle grosse vene; appartiene ai due atri, separati dal solco interatriale.
A destra di questo si trovano gli sbocchi delle vene cave, in alto quello della cava superiore
e in basso quello della cava inferiore; a sinistra del solco interatriale, sono presenti gli sbocchi
delle quattro vene polmonari, destre e sinistre.
 Apice: rivolto in avanti, a sinistra e in basso, appartiene solo al ventricolo sinistro.
 Margine destro: acuto
 Margine sinistro: ottuso

AIA CARDIACA E FOCI DI AUSCULTAZIONE


Per la valutazione del cuore è utile delimitare la
sua proiezione sulla parete anteriore del torace,
ovvero l’aia cardiaca, possibile con la percussione.
Questa ha una forma trapezioidale, con la base
maggiore in basso, ed in particolare:
 La base maggiore è una linea quasi orizzonta-
le che si porta dal 5° spazio intercostale sx, 1
cm internamente alla linea emiclaveare (che
corrisponde all’apice del cuore), alla 6° carti-
lagine costale dx, 1 cm al lato della linea mar-
gino-sternale.
 Il margine destro da questo punto descrive una
curva con leggera convessità destra fino alla
3° cartilagine costale dx, vicino allo sterno.
 Il margine sinistro dall’apice del cuore descrive una linea obliqua e leggermente convessa a
sinistra che arriva fino al 2° spazio intercostale sx, ad 1 cm dalla linea margino-sternale.
 La base minore unisce i due punti superiori, per lo più in corrispondenza dell’articolazione
tra manubrio e corpo dello sterno; è poco definibile per la presenza del peduncolo vascolare.
Nell’aia cardiaca è possibile collocare le valvole cardiache, la cui proiezione è rappresentata dai
cosiddetti focolai anatomici delle valvole.
Questi si localizzano per lo più lungo il piano valvolare, una linea obliqua che unisce il 2° spazio
intercostale sx alla 6° articolazione condro-sternale destra, in ordine: valvola polmonare, valvola
aortica e la valvola tricuspide; la mitrale, più posteriore delle altre si proietta un più in basso ris-
petto alla valvola aortica.
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I rumori fisiologici (toni) e patologici (soffi) generati dal passaggio e dalla chiusura delle valvole,
sono però meglio apprezzabili in sedi differenti dai focolai anatomici, e per questo vengono defi-
niti focolai di auscultazione.
Questi rappresentano le sedi in cui la corrispondente corrente sanguigna si avvicina maggior-
mente alla parete toracica, rendendo più facile l’auscultazione. Sono:
 Valvola polmonare: 2° spazio intercostale sinistro, sulla linea parasternale
 Valvola aortica: 2° spazio intercostale destro, sulla linea parasternale
 Valvola tricuspide: 4° spazio intercostale destro, sulla linea mediosternale
 Valvola mitrale: 5° spazio intercostale sinistro, sulla linea emiclaveare
C’è anche il focolaio di Erb (3° spazio intercostale sinistro, sulla parasternale), utile nei vizi aortici

CONFORMAZIONE INTERNA
Il cuore possiede al suo interno quattro cavità: due superiori, gli atri destro e sinistro, e due inferiori,
i ventricoli destro e sinistro. Atri e ventricoli sono in comunicazione tra loro:
 La cavità dell'atrio destro, che riceve il sangue refluo dalla circolazione sistemica, comunica con
quella del ventricolo destro mediante un orifizio atrioventricolare munito di una valvola
atrioventricolare detta valvola tricuspide.
Dal ventricolo destro il sangue venoso viene immesso nella circolazione polmonare attraverso
l’orifizio polmonare che presenta la valvola polmonare.
 La cavità dell'atrio sinistro
comunica con quella del ven-
tricolo sottostante per mezzo
di un orifizio atrioventricola-
re che presenta una valvola
chiamata valvola bicuspide
o mitrale.
Dal ventricolo sinistro il
sangue arterioso viene im-
messo nell’aorta attraverso
l’orifizio aortico, dotato della
valvola aortica.
Le due cavità di destra non co-
municano con quelle di sinistra,
ma sono separate da una parete
continua (setto) in parte di nat-
ura fibrosa, ma per la massima
estensione di natura muscolare.
La sua porzione superiore, il
setto interatriale, divide fra loro
i due atri, mentre la sua porzio-
ne inferiore, il setto interventri-
colare, separa i due ventricoli.
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Atrio destro
L’atrio destro, a forma di cubo, presenta una parete mediale che corrisponde al setto interatriale,
su cui è visibile una depressione ovale dove, nella vita intrauterina, era presente il forame di Botallo
che metteva in comunicazione i due atri; più in basso è presente lo sbocco del seno coronarico, che
convoglia all’atrio il sangue refluo della circolazione coronarica ed è munito della valvola del seno
venoso (o di Tebesio) che impedisce il reflusso di sangue.
Nella parete posteriore sono invece presenti gli sbocchi delle vene cave, mentre in quella superiore
si osserva un’estensione della cavità di forma triangolare che prende il nome di auricola destra.
L’orifizio atrio-ventricolare destro con la valvola tricuspide è invece presente nel pavimento.

Valvola tricuspide
È formata da tre lembi o cuspidi triangolari (anteriore, posteriore e mediale), costituite da uno strato
di tessuto connettivo fibroso denso con fibre collagene ed elastiche e rivestito da endocardio.
Ogni cuspide presenta una base, o margine aderente, che si fissa al contorno dell'orifizio mentre il
margine libero fluttua in cavità ventricolare.
Si distinguono inoltre una faccia atriale ed una ventricolare; su quest’ultima e a livello del margine
libero si ancorano le corde tendinee dei muscoli papillari del ventricolo destro (anch’essi 3, ognuno
connesso alla rispettiva cuspide) che impediscono il ribaltamento delle cuspidi (e quindi il reflusso)
in atrio destro durante la sistole.

La valvola tricuspide è aperta durante la diastole, assumendo una forma a imbuto con apice sporgente
nella cavità ventricolare, e permette il passaggio del sangue dagli atri ai ventricoli, mentre si chiude
durante la sistole, affrontandosi a livello della linea di chiusura, situata sulla faccia atriale, poco al
di sopra del margine libero.

Ventricolo destro
Il ventricolo destro ha una forma schiacciata e la cavità può essere divisa in due parti: una posteriore,
detta porzione di afflusso o cono venoso, sottostante all'orifizio atrioventricolare, in cui il sangue
discende verso l'apice durante la diastole ventricolare; l'altra, anteriore, è detta porzione di efflusso
o cono arterioso (o polmonare) in cui la corrente del sangue in sistole ventricolare è ascendente verso
l'orifizio polmonare, situato supero-anteriormente con la rispettiva valvola.

Il ventricolo presenta una parete mediale, corrispondente al setto interventricolare, più spessa (10-
12mm) mentre le pareti sterno-costale e diaframmatica sono più sottili.
La superficie interna è liscia solo nella porzione superiore del cono arterioso, mentre il resto
presenta una serie di rilievi, detti trabecole carnee, di cui fanno parte anche i muscoli papillari.

Atrio sinistro
Ha anch’esso la forma di un cubo con una parete mediale corrispondente al setto interatriale ed
una posteriore in cui troviamo gli sbocchi delle 4 vene polmonari (due provenienti dal polmone
sinistro e due da quello destro).
Nella parete superiore troviamo l’imboccatura dell’auricola sinistra, cavità triangolare analoga
all’auricola destra ma più piccola, mente a livello del pavimento è presente l’orifizio atrio-ventrico-
lare sinistro, chiuso dalla valvola bicuspide o mitrale.
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Valvola mitrale
È costituita da due lembi o cuspidi (anteriore, più grande, e posteriore) con la stessa struttura della
tricuspide e anch’essa di forma approssimativamente triangolare, con un margine aderente fissato
all’orifizio atrio-ventricolare, ed un margine libero.
Ogni cuspide presenta una faccia atriale ed una faccia ventricolare, ed anche in questo caso a livello
di quest’ultima e del margine libero si ancorano le corde tendinee dei muscoli papillari del
ventricolo destro (in numero di 2, ognuno connesso alla rispettiva cuspide) che ne impediscono il
ribaltamento in atrio durante la sistole.

Anche la valvola mitrale è aperta durante la diastole, permettendo il passaggio del sangue dagli atri
ai ventricoli, mentre si chiude durante la sistole, affrontandosi a livello della linea di chiusura, situata
sulla faccia atriale, poco al di sopra del margine libero.

Ventricolo sinistro
Il ventricolo sinistro ha una forma grossolanamente conica e si possono riconoscere anche in questo
caso una porzione di afflusso, in corrispondenza dell’orifizio atrio-ventricolare, ed una porzione di
efflusso, che va dall’apice cardiaco (appartenente soltanto al ventricolo sinistro) all’orifizio aortico
e la rispettiva valvola, posti supero-anteriormente.

Le pareti del ventricolo, anche in questo caso mediale (corrispondente al setto interventricolare),
sterno-costale e diaframmatica sono tutte molto spesse (10-12 mm).
La superficie interna è liscia solo nella parte immediatamente al di sotto della valvola aortica,
mentre la restante parte presenta le trabecole carnee e i muscoli papillari.

Valvole arteriose
Le valvole arteriose, polmonare e aortica, hanno una struttura simile e sono definite semilunari o a
nido di rondine: presentano tre semilune (pieghe membranose a forma di tasca) anch’esse costituite
da uno strato di connettivo fibroso denso con fibre collagene ed elastiche e rivestito da endocardio.
Ogni semiluna presenta un margine aderente connesso all’anello fibroso dell’orifizio arterioso ed un
margine libero; una faccia superiore concava e una inferiore convessa.
A livello della porzione mediana del margine libero, la lamina fibrosa presenta un ispessimento di
forma nodulare che prende il nome di nodulo del Morgagni per la valvola polmonare, e nodulo di
Aranzio per quella aortica (mentre ai lati di questi i margini sono più sottili e prendono il nome di
lunule); quando la valvola si chiude, i noduli delle tre tasche si incontrano rendendo più completa la
chiusura della valvola stessa.

Le valvole arteriose sono chiuse durante la diastole, impedendo che il sangue refluisca in ventricolo, ed
anche in questo caso si affrontano a livello della linea di chiusura, poco sopra il margine libero.
Durante la sistole si aprono grazie alla particolare struttura anatomica, che permette l’allontanamento
delle semilune alla pressione esercitata dal sangue in efflusso.

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SCHELETRO FIBROSO DEL CUORE
Lo scheletro fibroso consi-
ste in un insieme di robuste
formazioni connettivali (con-
nettivo fibroso denso povero
di fibre elastiche) situate in
corrispondenza del piano
valvolare (cioè a livello del
limite atrio-ventricolare) che
hanno il compito di:
 Dare attacco ai fasci mu-
scolari delle pareti di atri e
ventricoli, e alle valvole.
 Separare la muscolatura
di atri e di ventricoli ed
isolarle elettricamente,
in modo che l’impulso
possa passare solo attra-
verso il fascio AV.

Dello scheletro fibroso fanno parte 3 formazioni:


 Anelli fibrosi: formazioni connettivali anulari su cui si inseriscono i margini aderenti delle
cuspidi e delle semilune delle valvole cardiache
 Trigoni fibrosi: interposti tra gli anelli fibrosi, hanno la funzione di mantenere unite queste
strutture e si distinguono in uno destro (detto anche corpo fibroso centrale) situato tra gli
orifizi atrio-ventricolari e quello aortico, è attraversato dal fascio atrio-ventricolare di con-
duzione; il trigono sinistro, più piccolo, si trova tra gli anelli fibrosi della valvola mitrale e di
quella aortica.
 Setto membranoso: ovvero la porzione fibrosa del setto interventricolare.

STRUTTURA DEL MIOCARDIO


La parete del cuore è formata da tre tonache sovrapposte che dall'interno all'esterno sono:
 Endocardio: una sottile membrana che riveste tutte le cavità del cuore formata da una lamina
endoteliale disposta su due strati di connettivo, uno lasso ed il più profondo elastico.
 Miocardio: costituisce la parte più spessa del cuore ed è organizzato in modo da formare due
sistemi muscolari tra loro indipendenti: uno per gli atri e uno per i ventricoli, separati dall’in-
terposizione dello scheletro fibroso del cuore su cui la muscolatura si attacca.
Il miocardio che forma le pareti del cuore è detto miocardio comune (o di lavoro), costituito
da cellule muscolari striate particolari, i cardiomiociti, che formano sincizi funzionali attra-
verso dischi intercalari, responsabili sia della continuità anatomica che di quella funzionale
delle fibre muscolari cardiache.
Va distinto il miocardio specifico, particolare differenziazione del miocardio specializzato
nella conduzione di impulsi, che appartiene al sistema di conduzione.

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 Epicardio: è il foglietto viscerale del pericardio sieroso, una sottile membrana connettivale
rivestita da mesotelio (epitelio pavimentoso semplice di derivazione mesodermica) che
aderisce esternamente al miocardio.

La muscolatura degli atri è costituita da fasci muscolari propri di ciascun atrio circondati da fasci
muscolari comuni ad ambedue gli atri. I primi sono rappresentati fondamentalmente da fibrocellule
che, con andamento anulo-spirale, circondano gli orifizi di sbocco delle vene di ciascun atrio; i fasci
muscolari comuni hanno decorso prevalentemente trasversale e si estendono da un atrio all'altro.
Complessivamente la parete muscolare degli atrii è piuttosto sottile e si ispessisce solo nelle zone
dove si osservano i rilievi dei muscoli pettinati.
Alcuni cardiomiociti atriali hanno una funzione endocrina e producono il fattore natriuretico atriale.

La muscolatura dei ventricoli è notevolmente più robusta e spessa di quella atriale ed anch’essa è
formata dai fasci muscolari propri di ciascun ventricolo e dai fasci muscolari comuni. I primi formano
lo strato intermedio del miocardio, i secondi ne costituiscono gli strati superficiale profondo.
Pertanto, nella parete dei ventricoli, il miocardio comune si dispone in tre strati sovrapposti.
I fasci muscolari propri di ciascun ventricolo si inseriscono sull'anello fibroso dell'orifizio atrio-
ventricolare e si portano in basso senza raggiungere l'apice della cavità formando, nel loro complesso,
due sacchi conoidi, fra loro adiacenti.
I fasci muscolari comuni si inseriscono agli anelli fibrosi degli orifizi ventricolari, discendono, con
andamento obliquo e in sede superficiale rispetto alle fibrocellule proprie e, raggiunto l'apice del
ventricolo, risalgono in posizione profonda rispetto alle fibre proprie; alcuni dei fasci ascendenti
vanno a formare i muscoli papillari.

SISTEMA DI CONDUZIONE CARDIACO


Le cellule del miocardio comune sono tutte cellule eccitabili e, pertanto, tutte potrebbero generare
l’impulso elettrico in grado di far contrarre il cuore. Tuttavia se ciò accadesse la contrazione del
cuore sarebbe totalmente disordinata ed inefficace dal punto di vista emodinamico.
Occorre pertanto che esista un sistema preposto a far sì che il cuore si contragga in maniera
ordinata, ed in particolare è importante che gli atri si contraggano leggermente prima dei ventricoli
e che la contrazione dei ventricoli proceda dal basso verso l’alto: il sistema di conduzione cardiaco.

Il sistema di conduzione del cuore è un insieme di formazioni costituite da un particolare tessuto


miocardico, denominato miocardio specifico che grazie alle cellule che lo costituiscono, ovvero dei
cardiomiociti specializzati (che hanno perso la capacità contrattile), assicura:
 Insorgenza ritmica dello stimolo contrattile alla base dell’automatismo cardiaco
 Conduzione e distribuzione di tale stimolo alla componente muscolare di atri e ventricoli

Fanno parte del sistema di conduzione cardiaca:


- Il nodo seno-atriale, ed i fasci atriali
- Il nodo atrio-ventricolare
- Il fascio atrioventricolare con le sue diramazioni.

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Nodo seno atriale (di Keith-Flack)
È un piccolo ammasso di cellule miocardiche
specifiche poste in posizione sottoepicardica
nella parete superiore dell'atrio destro, in vici-
nanza dello sbocco della VCS.
È il vero pace-maker (segnapassi) perché in esso
ha origine e si diffonde ritmicamente lo stimolo
contrattile che è alla base del battito cardiaco.

Fasci atriali
Negli atri esistono delle vie preferenziali di pro-
pagazione dello stimolo al miocardio atriale, e
che prendono il nome di fasci interatriali; questi permettono la contrazione sincrona dei due atri ed
il passaggio di sangue nei rispettivi ventricoli.
Le vie più importanti son però quelle che collegano il NSA con il nodo AV, ovvero i fasci internodali
(anteriore, medio e posteriore).

Nodo atrioventricolare (di Tawara)


È un ammasso di cellule miocardiche specifiche posto nella parete mediale dell'atrio destro in vici-
nanza dello sbocco del seno coronario.
I cardiomiociti specifici sono circondati da cellule dette cardiomiociti di transizione, il cui compito è
rallentare la conduzione dello stimolo elettrico in modo che gli atri completino la contrazione prima
che inizi quella dei ventricoli.

Fascio atrioventricolare (di His)


Origina dal nodo AV e penetra nel trigono fibroso destro e da qui alla parete muscolare che costitu-
isce il setto interventricolare dove, dopo circa 1cm, si divide nelle branche destra e sinistra.
Il fascio AV è l’unica struttura eccitabile che attraversa lo scheletro fibroso del cuore e che trasferi-
sce quindi lo stimolo dagli atri ai ventricoli.

È costituito dalle cellule giganti di Purkinje che, a livello delle due branche, assumono andamento
parallelo mentre attraversano il setto interventricolare verso l’apice del cuore per poi portarsi nelle
pareti dei rispettivi ventricoli dove si ramificano finemente formando una rete sub-endocardica, in
grado di distribuire lo stimolo a tutto il ventricolo.
PACEMAKER ECTOPICI
Il NSA è la formazione del sistema di conduzione che possiede l’automatismo a frequenza più ele-
vata, ed è per questo che in condizioni normali è lui che imprime il ritmo a tutta la massa cardiaca
che viene definito ritmo sinusale (60-80 bpm).
Quando il NSA non può più svolgere adeguatamente il ruolo di pacemaker (eccessivo rallenta-
mento della frequenza o blocco seno-atriale) altre sedi vanno ad acquisire questo ruolo e sono
quindi definiti pacemaker ectopici; in particolare:
 Nodo atrio-ventricolare (ritmo giunzionale di 40-60 bpm)
 Fascio di His e fibre di Purkinji (ritmo idioventricolare di 30-40 bpm)

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VASCOLARIZZAZIONE DEL CUORE
Arterie
Il cuore è irrorato dalle due arterie coronarie destra e sinistra, che costituiscono il circolo coronarico
a cui è destinato circa il 5% della gittata cardiaca.
Le arterie coronarie decorrono sulla superficie del cuore (coperte dall’epicardio) ed accolte nei
solchi coronario ed interventricolare. Solo i rami più sottili si approfondando nello spessore del mio-
cardio e si risolvono in reti capillari che raggiungono lo strato sub-endocardico.
I vasi coronarici risentono della contrazione cardiaca che durante la sistole li va a comprimere, per
cui la circolazione coronarica si ha prevalentemente in fase diastolica.

Le due arterie coronarie originano dai seni aortici (di Valsalva) situati nell’aorta ascendente subito
al di sopra delle semilune destra e sinistra della valvola aortica.
Fra le due arterie e fra i suoi principali rami sono presenti anastomosi che, tuttavia, sono costituite
da vasi molto sottili, spesso insufficienti a stabilire un valido circolo collaterale, per cui le arterie co-
ronarie sono definite arterie terminali funzionali, proprio perché esistono connessioni tra di esse ma
non capaci di generare circoli adeguati.
Le principali anastomosi si hanno a livello del setto interventricolare, tramite i rami perforanti, e
della parete atriale, tramite rami provenienti dalla arteria coronaria destra e dall’arteria circonflessa,
nella regione atrio-ventricolare della faccia diaframmatica.

Altra importante caratteristica è la dominanza di una delle arterie coronarie, che dipende da quale
delle due origina il ramo discendente posteriore (o ramo interventricolare posteriore), responsabile
dell’irrorazione di gran parte della parete diaframmatica dei due ventricoli e della parte posteriore
del setto interventricolare.
In circa il 90% dei casi la dominanza è destra; nel restante 10% è invece sinistra.

L’arteria coronaria destra origina dal seno aortico destro e si porta in basso e verso destra fino al
solco coronario che segue superando il margine acuto e raggiungendo la faccia diaframmatica.
In caso di dominanza (90%) a livello della crux cordis ripiega in basso continuandosi nella arteria
interventicolare posteriore, che segue il solco interventricolare posteriore fino all’apice del cuore.
Nei casi di dominanza sinistra l’arteria si interrompe poco prima della crux cordis.

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L’arteria coronaria di destra irrora la maggior parte dell’atrio e del ventricolo destro attraverso i rami
atriali e ventricolari, ad eccezione della porzione più vicina al setto interventricolare della faccia
sterno-costale; inoltre:
- Un ramo atriale dà origine nel 55% dei casi all’arteria che irrora il nodo SA.
- A livello della crux cordis dà origine ad un’arteria che fornisce il sangue al nodo AV
- L’arteria interventricolare posteriore irrora parte della faccia diaframmatica del ventricolo
sinistro e mediante i suoi rami perforanti la porzione posteriore del setto interventricolare.

L’arteria coronaria sinistra origina dal seno aortico sinistro e si porta in basso e sinistra fino al solco
coronario, dove si divide nei suoi due rami terminali:
 Arteria circonflessa, che segue il solco coronario superando il margine ottuso del cuore e
raggiungendo la faccia diaframmatica terminando poco prima della crux cordis.
In caso di dominanza sinistra si continua dando origine all’arteria interventricolare posteriore.
 Arteria interventricolare anteriore, che decorre nel solco interventricolare anteriore fino al
margine acuto che oltrepassa per fornire brevi rami alla superficie diaframmatica dell’apice.
L’arteria coronaria di sinistra irrora la maggior parte dell’atrio e del ventricolo sinistro attraverso i
rami atriali e ventricolari, ad eccezione della porzione più vicina al setto interventricolare della faccia
diaframmatica; inoltre:
- Un ramo atriale dà origine nel 45% dei casi all’arteria che irrora il nodo SA.
- L’arteria interventricolare anteriore irrora parte della faccia sterno-costale del ventricolo
sinistro e mediante i suoi rami perforanti la porzione anteriore del setto interventricolare.

Vene
Il sangue refluo dalla circolazione viene raccolto da un sistema venoso principale, costituito dal seno
coronario e dalle vene a questo affluenti, e altri due sistemi minori.
Il seno coronario è un grosso e breve vaso situato nella faccia diaframmatica del cuore e accolto
nella porzione sinistra del solco coronario (insieme all’arteria circonflessa). Si apre nell’atrio destro
in vicinanza del setto interatriale e dello sbocco della vena cava inferiore, ed è dotato di una piccola
valvola (di Tebesio).
Le vene che ad esso confluiscono seguono per lo più a ritroso il sistema arterioso, sia per quanto ri-
guarda le principali arterie che i rami atriali e ventricolari; tra esse è da ricordare la vena cardiaca
magna, che decorre nel solco interventricolare anteriore e poi nel solco coronario che segue fino a
superare il margine ottuso e, una volta nella faccia diaframmatica, gettarsi nel seno coronario.

I due sistemi venosi minori sono invece rappresentati da:


 Vene cardiache anteriori: che raccolgono il sangue dalla parete sternocostale del ventricolo
destro e sboccano direttamente nell’atrio destro a livello del solco coronario.
 Vene minime: piccoli rami venosi che si aprono irregolarmente in varie cavità cardiache.

Vasi linfatici
La linfa viene drenata da una ricca rete sottoendocardica che attraversa il miocardio e si scarica in
una seconda rete superficiale (sottoepicardica), particolarmente sviluppate a livello ventricolare.
Da qui la linfa viene raccolta dai collettori che raggiungono i linfonodi mediastinici anteriori, in
particolare quelli pretracheali.
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PERICARDIO
Il pericardio è un sacco fibrosieroso che accoglie il cuore e il suo peduncolo vascolare, costituito da
uno strato esterno di tessuto fibroso, pericardio fibroso, ed uno interno sieroso, pericardio sieroso.
Questo è costituito da un foglietto parietale, accollato alla superficie interna del pericardio fibroso,
e da un foglietto viscerale (o epicardio) che aderisce al miocardio.
Tra i due foglietti sierosi è presente una cavità chiusa, la cavità pericardica che è rivestita da un velo
di liquido con azione lubrificante che favorisce gli spostamenti a cui va incontro il cuore durante la
contrazione.

Il pericardio fibroso ha la forma di un cono


tronco con base inferiore, ancorata alla
parte centrale del diaframma in cui si con-
tinua, mentre in alto si continua con la
tonaca avventizia dei grossi vasi che nas-
cono dal o terminano nel cuore.
Inoltre è collegato alle formazioni circo-
stanti (sterno, pleure mediastiniche e ver-
tebre) per mezzo di piccoli cordoni fibrosi,
i legamenti del pericardio, che contribu-
iscono a mantenere la sua superficie
esterna distesa.

Il pericardio sieroso tappezza uniformemente la superficie interna del pericardio fibroso con il fo-
glietto parietale; in basso aderisce direttamente alla fascia di rivestimento della cupola diaframmatica
mentre in alto si riflette in maniera complessa a livello del peduncolo vascolare nell’epicardio, che
si porta poi a rivestire l’intero miocardio.

La vascolarizzazione del pericardio avviene tramite esili arterie pericardiche, che si originano diret-
tamente dall’aorta toracica, mentre le vene pericardiche, satellite delle precedenti, confluiscono
nella azigos.

TAMPONAMENTO CARDIACO
In condizioni normali, la cavità pericardica è una fessura virtuale, contenente solo un sottile strato
di liquido pericardico, tuttavia in condizioni patologiche si possono formare raccolte liquide di di-
versa natura (trasudati, essudati, sangue) che vanno a distendere il pericardio.
In caso di distensione acuta (ad esempio in seguito a lesioni traumatiche del cuore o in caso di
pericarditi acute) si determina il cosiddetto tamponamento cardiaco che può andare a limitare
la possibilità di distensione del cuore e, quindi, la sua normale azione di pompa fino ad arrivare
anche all’insufficienza cardiaca.

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VASI SANGUIGNI

ARTERIE
Le arterie sono condotti muscolomembranosi che trasportano e distribuiscono il sangue agli organi;
sono quindi i vasi efferenti dal cuore e al loro interno vi sono elevati livelli di pressione in dipendenza
della gittata sistolica e delle resistenze offerte (minori nella circolazione polmonare perché meno
estesa, per cui a questo livello anche i valori pressori sono minori).

Le caratteristiche strutturali della parete rispecchiano proprio gli elevati regimi pressori che vigono
al loro interno; inoltre il loro diametro, decrescente verso la periferia, varia in modo significativo in
seguito alla contrazione della parete.
Hanno una pulsazione sincrona al ventricolo fino ai vasi con diametro di qualche millimetro e, se
recise, sanguinano ritmicamente, a zampillo.
Le pareti delle arterie sono organizzate in tre tonache concentriche, dall’interno all’esterno:
 Tonaca intima: costituita dalle cellule endoteliali
 Tonaca media: formata essenzialmente da cellule muscolari lisce orientate in senso trasver-
sale; in generale la componente muscolare aumenta procedendo verso le arterie di calibro
minore e, nelle arteriole, sono fondamentali per determinare le resistenze periferiche.
 Tonaca avventizia: è costituita da fibroblasti e fibre collagene orientate in senso longitudinale.
Tra queste tonache sono presenti due lamine elastiche, interna ed esterna, che determinano l’ela-
sticità della parete arteriosa (soprattutto di quelle di calibro maggiore).

Le arterie possono essere classificate in base al loro calibro in:


 Arterie di grosso calibro (3 – 0,7 cm) o arterie elastiche, o di conduzione: come l’aorta, le
succlavie, le carotidi o il tronco polmonare. Presentano la più spessa componente elastica
che ne permette la distensione in fase sistolica e il ritorno in fase diastolica, caratteristiche
che contribuiscono a mantenere costante il flusso ematico.

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 Arterie di medio e piccolo calibro (7 – 0,1 mm) o arterie muscolari, o di distribuzione: sono
la maggior parte delle arterie dell’apparato circolatorio, che si ramificano per distribuirsi ai
diversi territori del corpo. Sono caratterizzate da un’importante componente muscolare.
 Arteriole (100 – 40 μm): sono la principale componente di resistenza periferica al flusso san-
guigno grazie alle cellule muscolari della tonaca media che costituisce un dispositivo di re-
golazione dell’afflusso sanguigno alla rete capillare (sfintere pre-capillare).

CAPILLARI
I capillari sono esili canali interposti tra le arterie terminali e le radici delle venule, contenuti all’inter-
no dei tessuti e la loro parete è in stretto rapporto con il tessuto stesso, permettendo gli scambi.
Hanno un diametro compreso tra i 5-10 μm e creano frequenti anastomosi dando luogo ad estese
reti capillari. Inoltre, in relazione allo stato funzionale del tessuto, possono modificare il proprio
calibro fino a non essere perfusi: di norma solo il 25% del letto capillare dell’organismo è funzionante
e la restante viene reclutata all’aumento delle richieste metaboliche.

La struttura dei capillari consiste in uno strato unico di cellule endoteliali che poggiano su una lamina
basale e circondate esternamente dai periciti, cellule dotate di prolungamenti.
Si possono distinguere in base alla struttura 2 tipi di capillari, con importante differenza nella per-
meabilità e quindi nella possibilità delle molecole di passare dal sangue all’interstizio e viceversa:
 Capillari continui: in cui le cellule endoteliali e la lamina basale formano uno strato continuo
per cui gli scambi sono fortemente regolati.
Questo tipo di capillari si trovano a livello del tessuto muscolare e particolari sono quelli a
livello encefalico, dove le cellule endoteliali sono unite da giunzioni occludenti ed è presente
un ulteriore rivestimento esterno di cellule della glia (tra cui gli astrociti) che nel complesso
formano un’importante barriera di permetabilità detta barriera emato-encefalica (BEE).
 Capillari fenestrati: in cui le cellule endoteliali che formano la parete presentano lembi cito-
plasmatici assottigliati e interrotti che formano fenestrature o pori che risultano chiuse solo
da una sottile lamina basale (che è invece continua); in questi casi, quindi, le molecole pas-
sano più facilmente e gli scambi sono maggiori.
Si trovano nella maggior parte dei tessuti, soprattutto a livello del glomerulo renale, delle
ghiandole esocrine e del tubo digerente.
Un particolare tipo di capillari con ampie fenestratura e lume ampio sono i sinusoidi, la cui
struttura è mirata a massimizzare gli scambi e presenta, interposte alle cellule endoteliali,
cellule macrofagiche. Sono localizzati soprattutto a livello di fegato, midollo osseo, alcune
ghiandole endocrine e negli organi linfatici.

VENE
Le vene sono condotti membranosi che riconducono al cuore il sangue refluo dal distretto capillare
ed in particolare si possono distinguere 3 principali sistemi venosi:
 Vene polmonari: che portano dai polmoni sangue ossigenato all’atrio sinistro
 Vene della circolazione generale: che trasportano il sangue refluo dai vari organi e tessuti
del corpo al cuore destro; in particolare possiamo ulteriormente distinguere:
- Vene del cuore
- Vene sovradiaframmatiche che drenano alla vena cava superiore il sangue prove-
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niente dai distretti superiori del corpo
- Vene degli arti inferiori, addome e pelvi che confluiscono alla vena cava inferiore
 Vena porta: drena il sangue da quasi tutto il tratto intestinale sottodiaframmatico e dalla milza.

In base al loro calibro le vene sono classificate in vene


DIFFERENZE CON LE ARTERIE
a grosso, medio e piccolo calibro; tuttavia questa
 Hanno una parete più sottile con mi-
distinzione è poco significativa in quanto non
nore componente elastica
rispecchia una differente organizzazione della
 Più facilmente dilatabili e comprimibili
struttura della parete (vene con lo stesso calibro
 Presentano valvole
possono avere strutture molto diverse).
 Hanno numerose anastomosi anche
Importante è la classificazione in vene superficiali,
tra i tronchi più grossi formando im-
che decorrono molto vicine alla cute (con un ruolo
portanti plessi venosi
fondamentale nella termodispersione), e vene pro-
 Il sistema venoso ha nel complesso un
fonde, che decorrono insieme alle corrispondenti ar-
volume quasi doppio dell’arterioso
terie nei tessuti profondi e non sono visibili.
 Presentano valori di pressione note-
I due sistemi sono spesso connessi tra loro da nume-
volmente inferiori a quelli arteriosi
rosi vasi anastomotici (vasi perforanti) spesso dotati
di valvole; questo fa si che non esistono territori ve-
nosi completamente isolati, a differenza di quelli serviti dalle arterie terminali.

La struttura della parete venosa rispecchia lo scarso regime pressorio che vige al loro interno e la
necessità di contrastare o assecondare la gravità nel trasporto del sangue al cuore.
In generale, come detto, le vene presentano una parete più sottile delle arterie con le 3 tonache
spesso non completamente distinte ed in generale una minore componente elastica.
Si possono distinguere 3 tipi in base alla struttura, sebbene frequentemente si presentano aspetti
di transizione tra questi tipi principali:
 Vene di piccolo calibro: hanno una parete del tutto simile a quella dei capillari, soprattutto
per quanto riguarda le venule, con un singolo strato endoteliale che poggia su una lamina
basale circondata da periciti; permette numerosi scambi tra sangue e interstizio.
 Vene di tipo recettivo: sono vene con parete molto sottile di tipo fibro-elastico e scarsa com-
ponente muscolare, in cui il sangue defluisce verso il cuore secondo gravità e sono quindi
caratteristiche soprattutto dei territori sovradiframmatici.
 Vene di tipo propulsivo: hanno invece una parete spessa, ricca di fibre muscolari ed elastiche
che aiutano il ritorno del sangue verso il cuore contro gravità, sono quindi anche il tipo di
vena con la maggiore presenza di valvole.
Sono le vene della maggior parte dei territori viscerali e soprattutto degli arti inferiori.

La maggior parte delle vene, e specialmente quelle di tipo propulsivo o quelle che possono essere
compresse dai muscoli durante la contrazione, presentano delle valvole, ovvero dei lembi a forma
di tasche con concavità rivolta verso il cuore; i lembi, spesso in numero di due (per cui chiamate
valvole bigemine), presentano una struttura fibrosa rivestita da endotelio.
Queste valvole sono aperte quando il flusso di sangue va in direzione del cuore mentre si chiudono
in caso di reflussi di corrente impedendo il ritorno di sangue nelle porzioni più declivi.
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Fisiologia
ATTIVITÀ ELETTRICA DEL CUORE
La contrazione cardiaca è resa possibile dalla propagazione di un potenziale d’azione sia attraverso
il miocardio, che costituisce un sincizio funzionale con continuità elettrica grazie alle gap junction
dei dischi intercalari, sia attraverso il sistema di conduzione cardiaco le cui cellule specializzate per-
mettono l’ottimale diffusione dell’impulso elettrico.
In particolare:
 La corrente si genera nel NSA, grazie alla presenza della corrente pacemaker a livello delle
sue cellule, che induce una progressiva depolarizzazione delle stesse fino a raggiungere la
soglia del potenziale d’azione; tali cellule scaricano quindi autonomamente e ritmicamente.
La corrente pacemaker è presente in tutto il sistema di conduzione (ma non nel miocardio
di lavoro) ma a livello del NSA è più intensa così che tali cellule scaricano ad una frequenza
maggiore rispetto alle altre, dettando il ritmo cardiaco.
 Dal NSA l’impulso si propaga rapidamente agli atri, sia attraverso i fasci interatriali e interno-
dali che attraverso il miocardio di lavoro. Il potenziale d’azione raggiunge quindi il NAV, prin-
cipalmente attraverso i fasci internodali.
 A livello del NAV la propagazione dell’impulso subisce un grande rallentamento grazie ai car-
diomiociti di transizione per cui si ha un ritardo nel passaggio dagli atri e i ventricoli (conside-
rando che l’unico dispositivo di conduzione che attraversa lo scheletro fibroso è il fascio AV).
Questo ritardo ha un’importanza fondamentale nella contrazione cardiaca, in quanto per-
mette che la contrazione degli atri si completi efficacemente mentre il ventricolo è ancora
rilassato, favorendo il passaggio di sangue tra le camere cardiache.
 Il potenziale raggiunge infine il fascio di His e le sue due branche, permettendo l’efficace e
rapida conduzione dell’impulso a tutto il miocardio ventricolare che si contrae sincrona-
mente determinando l’eiezione del sangue in circolo.

L’attività cardiaca, a differenza delle altre cellule muscolari, è quindi autonoma e il controllo nervoso
e ormonale non sono necessari per questa funzione.
Il sistema simpatico, tramite i nervi cardiaci (gangli cervicali e primi 4-5 toracici), il sistema para-
simpatico, tramite rami cardiaci del vago e il sistema endocrino (principalmente con l’adrenalina)
hanno però importanti funzioni nella modulazione dell’attività: agendo principalmente a livello della
corrente pacemaker e dei canali del calcio voltaggio-dipendenti, vanno infatti a modificare la fre-
quenza di scarica, la velocità di propagazione dell’impulso (compreso il ritardo AV) e la forza della
contrazione cardiaca.

POTENZIALE D’AZIONE NELLE CELLULE CARDIACHE


L’attività elettrica delle cellule cardiache è più complessa rispetto alle altre cellule eccitabili, ed il
potenziale d’azione cardiaco, con una durata di circa 500-800 ms, può essere distinto in 5 fasi:
0) Fase 0 – Depolarizzazione rapida: quando è raggiunta la soglia di apertura dei canali del Na+,
si osserva un’intensa corrente in ingresso di Na+ con conseguente depolarizzazione rapida
della cellula miocardica. I canali si inattivano rapidamente e la corrente è quindi autolimitante.
La fase 0 è osservabile solo nelle cellule veloci, che presentano elevati livelli di canali del
sodio, mentre nelle cellule lente questi sono poco rappresentati (vedi riquadro).
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1) Fase 1 – Ripolarizzazione parziale precoce: determinata dalla concomitante inattivazione
dei canali del sodio e attivazione di una corrente di K+ transitoria (transient) in uscita con una
breve ma visibile ripolarizzazione.
Questa fase è visibile solo se c’è stata un’intenza depolarizzazione iniziale, quindi soltanto
nelle cellule veloci.
2) Fase 2 – Plateau: si genera per l’attivazione dei canali lenti del Ca++ voltaggio-dipendenti
(canali L del calcio) che generano una corrente in ingresso controbilanciata da un secondo
tipo di corrente del K+ che è definita ritardata (in quanto anche questa è lenta e si apre dopo
quella transiente, che intanto è terminata).
Le due correnti producono un equilibrio più o meno prolungato che porta al plateau.
3) Fase 3 – Ripolarizzazione: si realizza quando le conduttanze del calcio vanno incontro a gra-
duale inattivazione mentre aumentano le correnti del K+ in uscita (con attivazione di canali
che sono aperti a riposo, definiti canali del K+ rettificanti verso l’interno, ma chiusi dalla
depolarizzazione); nel complesso si ha una rapida ripolarizzazione della cellula.
Le correnti rettificanti sono quelle correnti che dipendono dai canali voltaggio-dipendenti e
che quindi risultano essere più o meno intense a determinati valori del potenziale di mem-
brana. Si distinguono in correnti rettificanti verso l’interno e verso l’esterno ma questa deno-
minazione non ha niente a che fare con il senso della corrente, bensì a quello che tende-
rebbe ad essere il flusso a determinati valori del potenziale:
- Una corrente rettificante verso l’interno è una corrente più attiva durante l’iperpola-
rizzazione, quando cioè l’interno della cellula è più negativo e dovrebbero prevalere
correnti in entrata.
- Una corrente rettificante verso l’esterno si ha invece nella fase di depolarizzazione,
quando cioè l’interno della cellula è positivo e dovrebbero prevalere correnti in uscita
Le correnti rettificanti del K+ che si hanno nella fase di ripolarizzazione sono quindi verso
l’interno ma il potassio fuoriesce dalla cellula in quanto segue comunque il suo gradiente.

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4) Fase 4 – Depolarizzazione diastolica lenta, o fase di riposo: realizzata grazie alla corrente
pacemaker, secondo il cui grado di espressione la cellula può presentare una più o meno
rapida depolarizzazione fino alla soglia del potenziale d’azione, dando nuovamente il via alla
fase 0.

Corrente pacemaker
La corrente pacemaker è anche definita funny (If) ovvero bizzarra poiché si attiva in risposta all’iper-
polarizzazione molto lentamente. In questo modo, una volta tornati al potenziale di riposo, cresce
gradualmente dando autonomamente e ritmicamente origine ad un nuovo potenziale d’azione.
Questa corrente è una corrente cationica, principalmente determinata da una graduale apertura
di conduttanze lente Na+ e del Ca++ (in ingresso) e graduale chiusura di conduttanze K+ (in uscita).

Queste conduttanze oltre che dipendenti dal voltaggio, risentono anche dei livelli del cAMP ed infat-
ti, per gli stessi valori di potenziale di membrana, risultano più o meno attive a seconda proprio della
concentrazione di questo nucleotide ed alla conseguente azione fosforilante della PKA.
È proprio a questo livello che agiscono i sistemi di regolazione nervoso ed ormonale: utilizzando il
cAMP come secondo messaggero modulano l’intensità della corrente pacemaker, la quale determi-
na la velocità di depolarizzazione spontanea durante la fase 4 e, di conseguenza, l’intervallo tra
potenziali successivi, ovvero la frequenza cardiaca.

CELLULE CARDIACHE VELOCI E LENTE


L’attività elettrica dei cardiomiociti, sebbene si può schematicamente riportare alle 5 fasi dette,
presenta importanti differenze a seconda delle conduttanze espresse: il grado di espressione
delle conduttanze del sodio si ripercuote sulla fase di depolarizzazione rapida; quelle determi-
nanti la corrente pacemaker sulla possibilità di depolarizzazione spontanea.
 Le cellule veloci (miocardio di lavoro e le cellule di Purkinji) hanno grande espressione di
conduttanze al sodio, responsabili di una depolarizzazione veloce e di evidenti fasi di ripola-
rizzazione parziale e di plateau, prima di terminare nella ripolarizzazione.
La corrente pacemaker, invece, è poco marcata e sono quindi attivate dalla propagazione
del potenziale originato nel sistema di conduzione. Queste cellule, quindi, non mostrano
alcuna attività pacemaker nel cuore, tuttavia possono avviare dei potenziali ectopici sponta-
nei con alterazione del ritmo cardiaco.
 Le cellule lente, quali quelle del NSA e soprattutto del NAV, hanno invece scarse con-
duttanze del sodio, per cui la fase di depolarizzazione dipende essenzialmente dalle correnti
lente del calcio, attivate gradualmente dalla corrente pacemaker. Nel potenziale di queste
cellule, perciò, non si osserva né l’onda di depolarizzazione rapida né la ripolarizzazione pre-
coce parziale, e la fase di plateau risulta essere estremamente breve.
La corrente pacemaker, di contro, è molto marcata ed è alla base dell’attività spontanea e
ritmica sostenuta da questo tipo di cellule.
Nel grafico il potenziale d’azione delle cellule rapide è descritto dalla curva rossa, mentre quello
delle cellule lente dalla curva blu.

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Refrattarietà
L’inattivazione delle correnti del Na+ (o del Ca++ per le cellule lente) a seguito della depolarizzazione
persiste finché la membrana non riacquista la corretta polarizzazione. Ciò rende difficile o impossi-
bile la generazione di un altro potenziale d’azione e si parla, quindi di periodo di refrattarietà.
In base alla quantità di conduttanze inattive possiamo distinguere diversi tipi di refrattarietà:
 Refrattarietà assoluta: si ha quando la cellula è completamente depolarizzata, fino alla fine
della fase di plateau in cui tutti canali del Na+ sono inattivi e non sarà possibile evocare alcun
tipo di risposta in seguito a stimolazione.
 Refrattarietà effettiva: man mano che la cellula si ripolarizza e i canali del Na+ divengono
nuovamente attivi è possibile ottenere una risposta depolarizzante ma, finché non si ha un
consistente numero di canali attivi, tale impulso non può propagarsi e non risulta funzionale.
 Refrattarietà relativa: si ha quando la risposta diviene in grado di propagarsi generando
quindi un impulso che risulta essere ridotto o alterato fino a quando tutti i canali non saran-
no tornati funzionanti.

Il periodo di refratterietà e la necessità di attendere la riattivazione dei canali prima di generare un


nuovo impulso impedisce la sommazione temporale delle singole scosse (e quindi è impossibile te-
tanizzare il cuore).
Ciò è fondamentale per l’azione di pompa del cuore, che richiede l’alternarsi ritmico della contra-
zione, durante cui il sangue viene espulso in circolo, e del riposo, in cui invece affluisce nuovamente
al cuore riempiendolo.

Nelle cellule lente, che non hanno conduttanze del Na+, la fase di depolarizzazione si basa sull’atti-
vazione dei canali del Ca++ a cinetica lenta e quindi anche l’inattivazione si protrae più a lungo.
Anche in queste cellule è quindi presente una refrattarietà che, anzi, si prolunga anche oltre la com-
pleta ripolarizzazione in modo che il rapporto delle durate tra periodo refrattario / potenziale d’azione,
sia maggiore rispetto agli altri tipi cellulari.

MODULAZIONE DELL’ATTIVITÀ ELETTRICA CARDIACA


La regolazione dell’attività elettrica cardiaca avviene ad opera del sistema nervoso autonomo e del
sistema endocrino che agiscono a livello di:
 Canali della corrente pacemaker: che come abbiamo detto la cui probabilità di apertura (e
quindi l’intensità della corrente) dipende dal grado di polarizzazione di membrana e dai livel-
li intracellulari di cAMP che, tramite la PKA, determinano la fosforilazione dei canali aumen-
tandone l’attivazione.
La dipendenza dell’attivazione della corrente pacemaker dal grado di iperpolarizzazione, fa
sì che a livelli più negativi di potenziale questa sia più intensa; tuttavia la distanza dal poten-
ziale di soglia è maggiore per cui l’intervallo tra i potenziali d’azione non varia notevolmente
in base solamente a questo fattore.
 Canali del Ca++: che sono i canali che sostengono la depolarizzazione delle cellule lente e la
fase di plateau del potenziale cardiaco.
Sono canali a cinetica lenta con un lungo periodo refrattario, che risentono notevolmente
della fosforilazione cAMP dipendente, e quindi dell’influenza del SNA.

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Questo crea una diversa possibilità di modulazione tra cellule veloci e cellule lente:
 Le cellule veloci, con corrente pacemaker scarsa o assente e maggiore espressione di con-
duttanze del Na+ veloci (che non sono regolati da sistemi recettoriali) non risentono nor-
malmente della modulazione nervosa.
Risentono invece fortemente del potenziale di membrana, in quanto i canali del sodio si
riattivano con l’iperpolarizzazione (termina il periodo di refrattarietà): maggiore è la nega-
tività, più canali saranno disponibili e quindi maggiore sarà la corrente di depolarizzazione.
 Le cellule lente, con marcata corrente pacemaker e fase di depolarizzazione dovuta princi-
palmente ai canali del Ca++, vengono invece fortemente influenzate dal SN, in quanto queste
conduttanze risentono sia del potenziale di membrana che dei livelli di cAMP.

La modulazione operata da parte del SNA ed endocrino mirano ad agire quindi principalmente sulle
cellule lente attraverso la fosforilazione cAMP-dipendente dei canali della corrente funny e del Ca++.
Nello specifico:
 Le cotecolammine liberate dal sistema ortosimpatico (noradrenalina) ed endocrino (adrena-
lina) agiscono sui recettori β-adrenergici accoppiati a proteine Gs che aumentano i livelli di
cAMP e quindi il grado di fosforilazione da parte della PKA che determina un aumento della
corrente funny e una maggiore tendenza all’apertura dei canali del Ca++ (abbassamento della
soglia di attivazione); il tutto porta a:
- Maggiore eccitabilità cellulare
- Riduzione del periodo refrattario
- Aumento della corrente di depolarizzazione
 L’acetilcolina rilasciata dal parasimpatico agisce sui recettori muscarinici M2 accoppiati a Gi
con riduzione dei livelli di cAMP con ridotta apertura dei canali del Ca++ (e quindi effetti op-
posti) ed un effetto diretto di attivazione dei canali del K+.

La maggiore apertura dei canali del Ca++, ha però anche un effetto positivo sulla velocità di condu-
zione (dromotropismo) e sulla forza di contrazione cardiaca (inotropismo) che, in ultima analisi,
dipendono principalmente dai livelli di cAMP.
Il legame di queste azioni ha anche un importante significato fisiologico: se si riduce l’intervallo tra
gli impulsi si riduce anche il tempo di riempimento ventricolare; per questo motivo all’aumento della
frequenza cardiaca deve accompagnarsi anche un incremento della forza di contrazione, per uno
svuotamento più rapido dell’atrio nel ventricolo e del ventricolo nel circolo sanguigno, e una velocità
di conduzione, che permette all’impulso di raggiungere più velocemente i ventricoli.

Con questi meccanismi, quindi, la stimolazione nervosa va a modificare le proprietà dell’attività


elettrica del cuore, ovvero:
 Cronotropismo: la frequenza di scarica (intervallo tra gli impulsi)
 Batmotropismo: l’eccitabilità cellulare
 Dromotropismo: la velocità di conduzione
 Inotropismo: la forza di contrazione
In particolare l’ortosimpatico va ad aumentare tutte queste caratteristiche mentre il parasimpa-
tico le va a ridurre.

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ATTIVITÀ MECCANICA DEL CUORE
La corretta propagazione dell’impulso elettrico attraverso il sistema di conduzione ed il miocardio
di lavoro, permette la generazione di una forza coordinata e sincronizzata dei cardiomiociti atriali
e ventricolari (ricordando che questi ultimi si contraggono dopo il completo svuotamento atriale, in
modo da permetterne l’adeguato riempimento).
Questa sincronizzazione è necessaria perché un’attivazione disordinata o parziale impedirebbe lo
sviluppo della forza sufficiente a garantire la funzionalità cardiaca.

I meccanismi che permettono la contrazione cardiaca in seguito all’attivazione elettrica, ovvero l’ac-
coppiamento eccitazione-contrazione, sono simili a quelli delle altre cellule eccitabili: l’apertura dei
canali del Ca2+ voltaggio-dipendenti, permette l’ingresso dello ione nella cellula che agendo sulla
troponina permette l’attivazione del complesso acto-miosinico e quindi la contrazione.
Una importante particolarità del meccanismo di contrazione cardiaca è quello della liberazione del
calcio indotta dal calcio: l’ingresso del calcio che avviene durante la depolarizzazione attraverso i
canali L voltaggio-dipendenti (e in particolare nella fase di plateau) non è sufficiente ad attivare il
meccanismo contrattile, per cui una maggiore
PARAMETRI DI ATTIVITÀ MECCANICA DEL CUORE
quantità viene rilasciato dai siti di accumulo
 Gittata sistolica: è il volume di sangue immes-
del reticolo sarcoplasmatico proprio in risposta
so in circolo dal ventricolo sinistro. Dipende dal
al Ca2+ che va a legarsi sui recettori cardiaci
precarico e dal postcarico.
per la rianodina su esso presenti.
In condizioni normali è di circa 70-80 ml.
Sia sui canali L del calcio, che su quelli per
 Volume telediastolico: è il volume presente
la rianodina, può avvenire una fosforila-
nel ventricolo al termine della diastole.
zione che porta ad un aumento del flusso
In condizioni normali è di circa 110-120 ml
dello ione nella cellula, con un effetto
 Volume telesistolico: volume di sangue che
inotropo positivo. Ciò è proprio quello che
rimane nel ventricolo al termine della sistole.
avviene in seguito alla stimolazione β-
In condizioni normali è di 40-50 m.
adrenergica delle cellule cardiache, con
 Frazione di eiezione: è il rapporto tra la gittata
attivazione della PKA e attivazione del pro-
sistolica e il volume telediastolico (ovvero la
cesso di fosforilazione.
percentuale di sangue presente nel ventricolo
che viene immessa in circolo).
CICLO CARDIACO
In condizioni normali è del 55-65 %, per cui
Il sistema cardiovascolare si compone di una
durante la sistole è immessa in circolo la mag-
pompa centrale, il cuore, e di un sistema di
gior parte del sangue presente in ventricolo.
vasi periferici che costituiscono la piccola
 Precarico: è la tensione passiva applicata al
circolazione, il cui scopo è l’ossigenazione
muscolo cardiaco prima della contrazione.
del sangue e la cessione di anidride carboni-
Dipende quindi dal volume telediastolico che
ca, e la grande circolazione, che distribuisce
distende i miociti prima della contrazione.
ossigeno e nutrienti fondamentali ai tessuti
 Postcarico: consiste in tutte le forze che si op-
periferici e allontana i cataboliti.
pongono all’apertura delle valvole semilunari
In realtà possiamo dividere il cuore in due
ed allo svuotamento del ventricolo.
pompe meccaniche collegate in serie, per
Dipende principalmente dalle resistenze pe-
cui i volumi eiettati in circolo sono uguali nel
riferiche e dalla volemia: aumenta all’aumen-
cuore destro e in quello sinistro.
tare di entrambe e si riduce al loro diminuire.
21
La funzione di pompa del cuore può essere sintetizzata nelle 3 principali fasi del ciclo:
 Diastole: la fase di riempimento dei ventricoli
 Presistole: in quanto nell’ultima fase della diastole gli atri partecipano in maniera attiva al
riempimento ventricolare con la propria contrazione.
 Sistole: la successiva fase di svuotamento ventricolare
La durata della sistole e della diastole varia in rapporto alla frequenza cardiaca; generalmente, ad
una frequenza di 75 bpm, la diastole dura circa 0,5 s, la presistole 0,1 e la sistole 0,2.
All’aumentare della frequenza cardiaca, si ha un accorciamento della sistole e soprattutto della
diastole, di conseguenza acquista maggiore importanza la contrazione atriale nel riempimento ade-
guato dei ventricoli.

Le differenze tra cuore destro e


sinistro si hanno essenzialmente nei
valori pressori, nettamente più alti a
sinistra, mentre la sequenza degli
eventi meccanici sono simili nei due
sistemi di pompa.
Nel cuore destro le pressioni che si
sviluppano durante la sistole sono di
circa 20-30 mmHg, mentre nella dia-
stole di 1-7 mmHg. Nel cuore sinistro
invece le pressioni sistoliche raggiun-
gono in media i 120-130 mmHg, ed i
5-12 mmHg in diastole.

Diastole
La diastole inizia con la chiusura della
valvola semilunare aortica, quando
la pressione intraortica supera quella
intraventricolare (che si è ridotta in
seguito allo svuotamento): il sangue
nel vaso tende a refluire verso la cavi-
tà ventricolare, riempie i lembi della
valvola determinandone la chiusura.
Alla chiusura della valvola segue:
 Rilasciamento isovolumetrico:
in cui le fibre miocardiche si ri-
lasciano senza allungarsi per cui
il volume della cavità ventrico-
lare non cambia.
 Apertura della valvola AV (mitrale): il rilasciamento porta ad una caduta della pressione nel
ventricolo con aumento del gradiente pressorio tra atrio e ventricolo che determina l’apertura
della valvola

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 Riempimento ventricolare: il passaggio di sangue dall’atrio al ventricolo avviene con una
prima fase rapida (con passaggio di circa l’80% del sangue) semplicemente grazie al gradiente
pressorio e con svuotamento dell’atrio e aumento del volume della camera ventricolare, senza
variazione del grado di contrazione dei cadiomiociti (diastole isotonica).
Man mano che il gradiente pressorio si riduce, anche il passaggio di sangue si riduce, conti-
nuando però a fluire in questa fase detta diastasi.
Presistole
La sistole atriale interviene quando il riempimento ventricolare è già di circa l’85% e va a completarlo
grazie all’aumento della pressione interatriale.

Sistole
La sistole inizia con la chiusura della valvola mitrale ad opera del sangue che, riempiendo la cavità
ed aumentando la pressione intraventricoalre, va a spingere i lembi della valvola. Si ha:
 Sistole isovolumetrica: nella prima fase le fibre del miocardio sviluppano la tensione ma non
si ha accorciamento poichè le due valvole sono chiuse e non si ha svuotamento del ventricolo.
Si ha una rapida salita della pressione intraventricolare che a livello della valvola mitrale ne
determina un accollamento serrato dei margini e la fa sporgere in atrio, aumentando anche la
pressione interatriale; il prolasso della valvola è impedito delle corde tendinee.
 Eiezione: quando la pressione a livello del ventricolo aumenta (in genere fino a 80 mmHg in
un individuo sano) e supera quella intraortica, si apre la valvola semilunare con rapida
fuoriuscita del sangue che viene immesso nell’aorta (eiezione massima). In questa fase si ha
l’accorciamento dei cardiomiociti e la riduzione del volume ventricolare, che contribuisce
all’eiezione, e la distensione delle pareti atriali, che favorisce il ritorno venoso all’atrio.
Man mano che fuoriesce il sangue, la pressione intraventricolare si riduce ma l’eiezione con-
tinua finchè si ha ancora la spinta della contrazione ventricolare (eiezione ridotta).
Quando la pressione intraortica supera quella intraventricolare, il sangue refluisce, va a chiudere la
valvola semilunare ed il ciclo cardiaco ricomincia.

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GITTATA CARDIACA E SUA REGOLAZIONE
La gittata cardiaca rappresenta il volume di sangue che il ventricolo sinistro (o destro) immettono in
circolo nell’unità di tempo. Essa dipende dalla gittata sistolica e dalla frequenza cardiaca:
GC = GS x FC
In condizioni normali avremo che la gittata sistolica è di circa 70 ml e la frequenza di 70 bpm, per
cui la gittata cardiaca sarà di circa 5 l/min.

MISURAZIONE DELLA GITTATA CARDIACA


Una misurazione precisa della gittata cardiaca viene effettuata mediante metodiche invasive, che
seguono la legge di Fick, un’applicazione della legge della conservazione della massa: se la quan-
tità di una sostanza aumenta o diminuisce con il passaggio attraverso un organo, sarà possibile
calcolare il flusso di sangue attraverso l’organo conoscendo la quantità di sostanza scambiata tra
sangue e organo, e le concentrazioni della stessa nel sangue prima e dopo il passaggio.
Nel caso della gittata cardiaca possiamo prendere in considerazioni le quantità di O2 presenti
nel sangue e scambiate attraverso gli alveoli:
 Quantità scambiata (Q): ovvero la quantità di ossigeno assorbita dai capillari alveolari nel
pas-saggio attraverso i polmoni; corrisponde al consumo di O2 da parte dell’organismo e
può quindi essere calcolata misurando volume e contenuto di O2 nell’aria espirata in un
de-terminato periodo di tempo.
 Concentrazione di O2 (C1) in ingresso ai polmoni, ovvero quello nell’arteria polmonare che
viene misurata attraverso un catetere inserito nel ventricolo destro o nell’arteria polmonare.
 Concentrazione di O2 (C2) in uscita dai polmoni, ovvero nel sangue venoso polmonare, che
è simile a quello delle arterie periferiche per cui si misura attraverso un prelievo proprio a
questo livello, come ad esempio dall’arteria radiale.
In un soggetto adulto a riposo il consumo di ossigeno (Q) è di circa 250 ml/min, C1 è 0,15 ml/min
e C2 è 0,20 ml/min, per cui secondo la legge di Fick avremo:
𝑸 𝟐𝟓𝟎
𝑮𝑪 = 𝑪𝟐−𝑪𝟏 ovvero 𝑮𝑪 = 𝟎,𝟐𝟎−𝟎,𝟏𝟓 = 5.000 ml/min

Una metodica alternativa è quella della diluizione dell’indicatore: se si inietta in bolo rapido in
una vena periferica un colorante e si preleva il sangue da un’arteria periferica. La gittata cardiaca
è data dal rapporto tra la quantità di colorante iniettata e la curva di diluizione che si ottiene a
dall’arteria periferica.

Metodiche meno invasive sono le tecniche ecodoppler, sebbene ha una precisione minore ris-
petto alle precedenti. In questo caso gli ultrasuoni sono utilizzati per misurare l’area della valvola
e per determinare la velocità del flusso di sangue che attraversa la mitrale (tecnica color); il
prodotto di questi due parametri permette la misura della gittata cardiaca.

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REGOLAZIONE DELLA GITTATA CARDIACA
La gittata cardiaca può variare secondo le esigenze funzionali dell’organismo, che in svariate condi-
zioni fisiologiche (come nell’esercizio fisico) può richiedere un aumento della perfusione tissutale e
quindi del sangue immesso in circolo nell’unità di tempo.
La variazione della gittata cardiaca può dipendere da variazioni della gittata sistolica o della
frequenza cardiaca.

Gittata sistolica
I parametri che vanno a modificare la gittata sistolica sono essenzialmente il precarico ed il
postcarico, poiché entrambe vanno a determinare un differente grado di riempimento del ventricolo
prima della sistole e, quindi, di allungamento dei cardiomiociti:
 Il precarico dipende dal volume telediastolico, che a sua volta dipende dal ritorno venoso: se
aumenta la quantità di sangue che entra nell’atrio e quindi nel ventricolo durante la diastole,
aumenta anche il precarico e il grado di distensione dei cardiomiociti.
 Il postcarico dipende principalmente dalle resistenze periferiche e dalla volemia. Se aumenta
il postcarico, l’azione di pompa del cuore diviene meno efficace nel superare le forze che si
oppongono all’immissione del sangue in circolo e, quindi, si avrà un minore svuotamento del
ventricolo (aumento del volume telesistolico) e nella successiva diastole un maggior riempi-
mento dello stesso e grado di distensione dei cadiomiociti.
La relazione tra lunghezza delle fibrocellule e forza di contrazione è stata sottolineata da Starling,
che ha infatti descritto una serie di curve rappresentative di questa relazione.
Le curve di Starling pongono in relazione il
volume telediastolico, come indice del grado di
allungamento delle cellule, e la gittata cardiaca,
come indice della forza di contrazione. In que-
sto si dimostra come la forza di contrazione au-
menta all’aumentare della lunghezza delle fibre.
Questa relazione rimane valida anche in con-
dizioni che vanno a modificare l’inotropismo
cardiaco, come ad esempio l’azione del sistema
simpatico (che la aumenta, come ad esempio
durante l’attività fisica) oppure in caso di insuf-
ficienza cardiaca (in cui la forza di contrazione
del cuore è ridotta).
In particolare nell’insufficienza cardiaca, la ridu-
zione della gittata sistolica quale conseguenza
di una minore capacità contrattile del cuore (ad
esempio a causa della morte dei cardiomiociti
in seguito ad un infarto del miocardio) viene in
fase iniziale compensata da un aumento del precarico, della distensione delle cellule miocardiche e
quindi della forza di contrazione, con aumento della gittata sistolica. Tuttavia l’aumento del riempi-
mento ventricolare presenta in questo caso un valore limite, oltre il quale diviene controproducente
e la forza sviluppata si riduce.

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Frequenza cardiaca
L’aumento della frequenza cardiaca porta, fino a certi valori, ad un aumento della gittata cardiaca;
frequenze troppo elevate sono invece responsabili di un riempimento insufficiente, con drastico
calo della gittata sistolica e, quindi, della gittata cardiaca.
Quando la frequenza cardiaca aumenta, la diastole si riduce, e quindi anche il riempimento ven-
tricolare: entro certi valori di FC, però, si ha ancora una gittata sistolica adeguata, poiché il riempi-
mento ventricolare è ancora sufficiente e all’effetto Bowdich, che porta ad un aumento della forza
di contrazione caridaca. Questo effetto sembra essere dovuto ad un accumulo di Na + nelle cellule
miocardiche che si ha all’aumentare della frequenza e che porta ad una maggiore attivazione dello
scambiatore Na+/Ca2+ con accumulo di quest’ultimo della cellula e aumento della forza contrattile.
Il massimo aumento della gittata cardiaca si ha quando si ha un forte aumento della gittata sistolica
(per aumento della forza di contrazione) e un modesto incremento della frequenza cardiaca (intorno
ai 150 bpm) come avviene nel caso degli atleti.

Quando la frequenza diviene invece troppo elevata, la diastole è invece talmente breve che il
riempimento ventricolare risulta inadeguato, la gittata sistolica si riduce drasticamente e quindi
anche la gittata cardiaca.

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PRESSIONE ARTERIOSA
La pressione arteriosa è la pressione esercitata dal sangue sulle pareti vascolari ed è data da:
PA = gittata sistolica x resistenze periferiche
 Gittata sistolica: ovvero il volume di sangue pompato dal ventricolo durante la sistole, a sua
volta dipendente principalmente da:
 Precarico: ovvero il grado di distensione delle fibre miocardiche determinato dal vo-
lume di sangue che riempie i ventricoli durante la fase di diastole (dipendente dal
ritorno venoso che a sua volta dipende dalla volemia).
La legge di Frank-Starling regola la forza di contrazione in relazione alla quantità di
sangue presente nel ventricolo al termine della diastole (volume telediastolico): un
suo aumento porta ad una maggiore distensione delle fibre (aumento del precarico)
e ad aumento della forza di contrazione cardiaca.
 Attività cardiaca: ovvero l’efficienza della pompa cardiaca e quindi la durata e la velo-
cità della contrazione.
 Resistenze periferiche totali, che dipendono invece da:
 Viscosità del sangue: dato dal rapporto tra plasma e parte corpuscolata del sangue,
con aumento della viscosità al ridursi di questo rapporto.
 Raggio medio arteriolare, il fattore più importante ai fini pressori: la pressione arte-
riosa aumenta al ridursi del raggio delle arteriole. Il raggio dipende dal tono della
muscolatura, sul quale agiscono diversi fattori:
- Nervosi: principalmente per attività del simpatico che ha una prevalente azione
vasocostrittrice regolata a più livelli per via riflessa o da parte del SNC.
- Endocrini: di cui il più importante è dato dall’angiotensina II
- Locali: sostanze paracrine generate dalle stesse cellule endoteliali, sono nume-
rose ma le più importanti sono l’endotelina I, ad azione vasocostrittrice, e NO,
ad azione vasodilatatrice.

Esistono numerosi sistemi di controllo della pressione arteriosa, in grado di agire principalmente
sul calibro arteriolare, sull’attività cardiaca e sulla volemia con differente rapidità. Schematicamente
proprio in base a questa caratteristica vengono distinti in:
- Meccanismi di controllo di prima linea: che agiscono entro pochi secondi e regolano l’attività
cardiaca e le resistenze periferiche in base agli stimoli ricevuti da barocettori e chemiocettori
arteriosi (periferici e centrali) modulando l’attività del sistema simpatico.
- Meccanismi di controllo intermedi: che entrano in funzione dopo alcuni minuti ed il principale
è rappresentato dal sistema renina-angiotensina-aldosterone, che non solo agisce a livello
arteriolare con l’effetto vasocostrittore dell’angiotensina II ma anche sulla volemia median-
te l’azione dell’aldosterone.
- Meccanismi di controllo a lungo termine: che agisce più lentamente ma a differenza dei prece-
denti, che sono da considerare meccanismi di sicurezza temporanei atti ad evitare incrementi
pressori eccessivi, è l’unico in grado di riequilibrare definitivamente i valori pressori ed è rap-
presentano dalla regolazione renale di acqua ed elettroliti (principalmente il sodio).

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La funzione di pompa del cuore e l’elasticità dei vasi (soprattutto quelli di grosso calibro) provoca
modificazioni cicliche della pressione arteriosa: in sistole il volume di sangue immesso in circolo pro-
voca la dilatazione dei vasi con aumento della pressione, smorzato dall’elasticità dei vasi stessi; in
diastole la pressione si riduce grazie al ritorno elastico delle arterie che permette di continuare a
spingere il sangue in periferia. Distingueremo quindi la pressione arteriosa in:
 Pressione sistolica: o massima, durante la sistole
 Pressione diastolica: o minima, durante la diastole
Si parla di pressione differenziale per indicare la differenza tra le due, che si modifica in diverse con-
dizioni tra cui l’invecchiamento: si ha infatti un irrigidimento sclerotico dei vasi che riducono la loro
elasticità portando quindi ad un aumento della pressione sistolica e riduzione della diastolica.

MISURAZIONE DELLA PRESSIONE ARTERIOSA


La misurazione della pressione arteriosa viene effettuata mediante un metodo indiretto, con lo
sfigmomanometro (di Riva Rocci) che assieme allo stetoscopio permette di identificare il valore
di pressione sistolica e diastolica in relazione alla possibilità di udire il rumore provocato dall’on-
da sfigmica sulla parete arteriosa (toni di Korotkow) quando si applica una pressione gradualmen-
te decrescente sull’arteria tramite il bracciale dell’apparecchio.
Può essere importante misurare la pressione ad entrambe gli arti superiori in quanto in caso di
stenosi di una brachiale si otterrà un valore di pressione più basso.

La valutazione ottimale della pressione, tuttavia, non può essere fatta con una singola misura-
zione e deve correlarsi anche alle diverse condizioni in cui si trova il paziente (in particolare con
il sonno in cui i valori tendono a ridursi, soggetti definiti dipper). Per questo motivo è di grande
frequenza l’uso dell’Holter pressorio, che permette la registrazione continua della pressione per
24-48 h (anche una settimana) fornendo un grafico delle variazioni della pressione nel tempo.

VALORI PRESSORI NORMALI, IPERTENSIONE E IPOTENSIONE


I valori normali della pressione arteriosa sono stati definiti dall’OMS, che fornisce anche indicazioni
per distinguere i diversi gradi di ipertensione:

Unite nella
stratificazione
del rischio CV

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L’ipertensione, definita come l’aumento dei valori di pressione, è una condizione comunissima nella
popolazione generale (maggiore nei paesi occidentali) e rappresenta uno dei più importanti fattori
di rischio, favorendo patologie non solo a carico del cuore ma di numerosi organi.
In gran parte si tratta di ipertensione arteriosa primitiva o essenziale (91,9%) definita le cause di
ipertensione secondaria in quanto eziologia e fisiopatologia non sono note ma è favorita dall’inte-
razione di influenze genetiche (malattia poligenica con diversi gradi di familiarità) e di fattori ambien-
tali (stress, obesità, alimentazione, sedentarietà, fumo, ecc.).
Le forme secondarie si osservano più nei soggetti giovani con ipertensioni severe che non rispon-
dono a terapie e sono dovute a patologie:
- Renali: come quella conseguente a IRC o di tipo nefrovascolare, ad esempio da stenosi del-
l’arteria renale con iperaldosteronismo secondario.
- Endocrine: nel morbo di Cushing, nell’iperaldosteronismo primario, ipertiroidismo o iperpa-
ratiroidismo, o ancora nel feocromocitoma.
- Malformazioni vascolari: come nella coartazione dell’aorta
Nella grande maggioranza dei casi si presenta asintomatica, ma possono comparire palpitazioni e
astenia, a volte anche altri sintomi (cefalea, dolore anginoso e disturbi visivi).
I danni d’organo dell’ipertensione sono essenzialmente dovuti ad una sofferenza del microcircolo,
con insufficiente scambi tra sangue ed interstizio e rotture capillari, possono coinvolgere:
 Cuore: il danno principale è dato dall’aumentato lavoro cardiaco (che deve superare una
maggiore resistenza) con ipertrofia del ventricolo. Questo porta spesso ad insufficiente irro-
razione da parte delle coronarie portando a dolore anginoso ed infarto.
Altre possibili complicanze sono le aritmie e lo scompenso cardiaco.
 SNC, con danni di tipo ischemico/emorragico.
 Occhio: retinopatia ipertensiva con rottura di capillari e alterazioni del visus.
 Rene: con danni soprattutto a livello glomerulare e quindi alterazione della filtrazione, che
esordiscono con microalbuminuria e prosegue con proteinuria e riduzione del filtrato fino ad
arrivare all’insufficienza renale cronica.
 Vasi: favorendo la deposizione di placche ateromatose, soprattutto in aorta, carotidi e co-
ronarie, ma anche condizioni d’emergenza quali la dissecazione dell’aorta.

Si parla di ipotensione quando i valori sistolici scendono al di sotto dei 100 mmHg, ed è una condi-
zione che può verificarsi principalmente per 3 cause:
- Ipovolemia: nelle emorragie o disidratazioni gravi
- Ipodinamismo: da riduzione della funzione cardiaca fino allo scompenso cardiaco
- Vasodilatazione: con ristagno del sangue nei distretti periferici, come nelle lesioni spinali o
nelle reazioni anafilattiche
- Varie: come ad esempio in caso di temperature esterne troppo elevate o patologie neurode-
generative come il Parkinson (prevalentemente come forme di ipotensione ortostatica).
L’ipotensione domina il quadro degli shock, sia quelli a basso flusso, di cui ne rappresenta la causa
iniziale, sia nelle fasi avanzate, di scompenso, dello shock ad alto flusso.
Ipotensione lieve è in genere accompagnata da debolezza; man mano che diviene più grave compare
astenia di grado maggiore, cefalea, nausea e vomito, vertigini, sensazione di svenimento e confusione.
Inoltre si correla a tachicardia (se il deficit non è a carico del cuore) e ad una crescente oliguria.

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FLUSSO EMATICO
Il flusso è definito come il volume di liquido che percorre un condotto nell’unità di tempo, misurato
in litri al minuto. A partire dall’aorta, che riceve l’intera gittata cardiaca, avremo un flusso ematico
a riposo pari a 5 l/min, ma in condizioni di sforzo può arrivare anche a 25-30 l/min.
Il flusso ematico è assicurato dalla differenza di pressione tra un qualsiasi punto e quello succes-
sivo nella circolazione sia sistemica che polmonare, in quanto le pressioni si riducono man mano che
si va dai vasi arteriosi verso quelli venosi.

Velocità del flusso


La legge di Leonardo dice che un liquido che circola in un condotto, senza avere perdite né ricevere
liquidi da altre parti, ha un flusso Q costante.
Quindi la velocità del flusso è inver-
samente proporzionale alla sezione
del condotto: più diminuisce la sezio-
ne, più aumenta la velocità.

Nel corpo, tuttavia, la velocità non è


data dalla sezione di un singolo vaso,
ma dalla somma totale delle sezioni
del torrente circolatorio nello stesso
distretto, per cui i capillari avranno
un’area totale di sezione molto gran-
de e una velocità molto bassa, facili-
tando lo scambio. Quando il sangue
passa poi nelle venule e confluisce in
senso centripeto nel sistema delle
vene cave, la velocità tende di nuovo
ad aumentare.

Resistenze dei vasi al flusso


Come abbiamo detto il flusso è generato da una differenza di pressione presente ai due estremi di
un condotto; tuttavia in questo sistema devono essere considerate anche le resistenze che i vasi
offrono al flusso stesso; per descrivere più correttamente il flusso si può applicare la legge di Ohm:
Q = δP/R
Dove Q è il flusso, δP è la differenza di pressione e R la resistenza.
La resistenza offerta da un vaso dipende essenzialmente da 3 fattori:
- Il raggio del vaso: rappresenta il fattore più importante nel determinare la resistenza ed il
flusso in quanto per sue piccole variazioni si hanno variazioni esponenziali di resistenza e di
flusso: se il raggio diminuisce la resistenza aumenta e, di conseguenza il flusso di riduce.
Ciò permette una ridistribuzione del circolo grazie alle modificazioni distrettuali del tono vas-
colare, in quanto la vasocostrizione, e quindi l’aumento di resistenza in un determinato
distretto porta il flusso a diminuire in quel distretto e ad aumentare nei distretti in cui le
resistenze sono minori.
30
- Alla lunghezza del vaso (se si considera l’intera circolazione sistemica è costante).
- Alla viscosità del sangue: principalmente determinato dal rapporto tra la componente cor-
puscolata ed il plasma ematico (ematocrito); anche in questo caso, ad eccezione di condizioni
patologiche, si mantiene costante.
La relazione tra il flusso ematico e questi 3 fattori è determinata dalla legge di Poiseuille

La resistenza totale di un determinato distretto è rappresentata dalla somma delle resistenze dei
singoli segmenti circolatori. Bisogna però considerare la disposizione dei vasi poiché:
 Vasi posti in serie: la resistenza sarà la somma delle resistenze dei singoli segmenti
 Vasi posti in parallelo: la resistenza totale è inferiore a proporzionalmente al numero dei vasi
in esame posti in parallelo.
Per quanto riguarda la resistenza vascolare sistemica totale sarà inferiore ad ogni singola resistenza
degli organi poiché questi sono irrorati da sistemi vasali in parallelo.
Man mano che il sangue scorre nel sistema, la pressione diminuisce con la distanza poiché l’energia
viene persa per vincere le resistenze. La maggiore resistenza è determinata dalle arteriole
muscolari, a livello delle quali si ha quindi la massima caduta pressoria.
Nei capillari, sebbene si ha un diametro minore, la resistenza è molto bassa perché sono molto nu-
merosi e disposti in parallelo.

Un’ultima considerazione da fare è la differenza di pressione: la pressione iniziale, quella di input


nel sistema circolatorio, è determinata dalla gittata sistolica, e quindi dall’attività del cuore.
Per questo motivo, se si ha un aumento delle resistenze periferiche si deve avere anche un au-
mento dell’attività cardiaca al fine di mantenere costante il flusso.

Distensibilità e Compliance dei vasi


Un altro parametro che va tenuto in considerazione è la distensibilità della parete dei vasi, da cui
dipende il volume di sangue contenuto e la pressione in essi presente (altro fattore che va quindi ad
influire sulla differenza di pressione e sul flusso ematico).
- Le arterie hanno pareti rigide, perciò vi è una pressione elevata al loro interno
- Le vene sono molto distensibili, circa 20 volte maggiore delle arterie, per cui le pressioni al
loro interno sono più basse
Questa grande distensibilità delle arterie permette di accogliere un grande volume di sangue (e
quindi con velocità di scorrimento minore al fine di mantenere costante il flusso) ed infatti abbiamo
che nel sistema venoso sono compresi circa i 2/3 del volume di sangue totale, mentre nel sistema
arterioso e capillare il restante 1/3.

Il rapporto che si ha tra le variazioni di volume e le variazioni di pressione all’interno di un vaso è


definito compliance e dipende proprio dalla distensibilità dei vasi. Avremo quindi che:
 Nelle arterie si ha scarsa compliance, per cui per piccole variazioni di volume abbiamo grandi
variazioni della pressione
 Nelle vene la compliance è elevatissima, per cui si possono avere grandi variazioni di volume
con piccole variazioni della pressione. Di contro una piccola variazione della pressione de-
termina grandi variazioni di volume
31
Inoltre, esiste un fenomeno detto capacitanza ritardata per cui, quando si verifica un aumento del
volume di sangue in un vaso, questo dapprima risponde con un sostenuto aumento di pressione a
causa della distensione delle pareti che però con il tempo (nell'ordine di decine di minuti) tende a
diminuire fino a tornare a valori normali, a causa dell'adattamento per stiramento delle tonache
muscolari del vaso; tale fenomeno viene chiamato stress-relaxation o rilasciamento da tensione.
Il fenomeno vale anche al contrario, cioè se il volume di sangue diminuisce si assiste dapprima ad
una diminuzione sostenuta della pressione sanguigna ma successivamente il vaso si adatta
contraendosi e mantenendo un certo tono muscolare.

Questo fenomeno ha anche un’importante significato fisiologico, ovvero quello di garantire un


flusso continuo di sangue ai tessuti a fronte di un sistema di pompa intermittente, quale quello del
cuore: grazie alla capacitanza le arterie funzionano come serbatoi di pressione.
Quando il sangue viene immesso in circolo dal cuore, tende ad accumularsi via via nelle arterie di
calibro maggiore che andranno inizialmente a distendersi con grande aumento della pressione e
acquisizione di energia elastica. Questa, grazie al ritorno elastico, si trasforma quindi in energia ci-
netica che contribuirà al movimento del sangue.
In questo modo nei vasi di calibro minore il movimento del sangue sarà dovuto sia alla gittata sis-
tolica che al ritorno elastico nella fase di diastole, meccanismi che permettono di trasformare il
flusso pulsatile (a livello arterioso) in un flusso continuo.

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Semeiotica clinica e strumentale
SEMEIOTICA DEL CUORE
QUADRO CLINICO
(Guarda Malattie del sistema cardiovascolare)

ISPEZIONE
All’ispezione è possibile osservare:
 Deformazioni toraciche: rare, si osservano generalmente in caso di cardiomegalia insorta
nei primi anni di vita, quando è ancora possibile la deformazione del torace
 Itto della punta: è il ritmico sollevamento dell’area corrispondenza dell’apice cardiaco, in
genere a livello del V spazio intercostale, medialmente all’emiclaveare; è tuttavia visibile solo
in soggetti molto magri, soprattutto nei maschi e meglio individuabile alla palpazione.

PALPAZIONE
Con la palpazione andiamo a valutare meglio le deformazioni e a localizzare l’itto della punta con
maggiore precisione; in particolare l’itto della punta si può individuare in sedi anomale, ad esempio:
- IV spazio intercostale: per innalzamento del diaframma (ascite, gravidanza, meteorismo)
- A sinistra: a volte lo spostamento è molto marcato ed è in genere dovuto ad un’ipertrofia
ventricolare sinistra

Inoltre alla palpazione possono essere percepibili:


 Pulsazioni anomale, in caso di un aneurisma dell’arco dell’aorta, percepibile a livello del ma-
nubrio dello sterno.
 Fremiti precordiali, l’equivalente palpatorio di soffi cardiaci particolarmente intensi
 Polsi arteriosi, che oltre alla valutazione della funzionalità cardiaca ci dà anche informazioni
sul sistema vascolare.

PERCUSSIONE
La percussione permette di identificare la proiezione del cuore sulla parete toracica anteriore, in
cui può essere distinta un'aia di ottusità relativa e una di ottusità assoluta, dovuta alla presenza dei
margini polmonari anteriori che si interpongono tra buona parte del cuore e la parete toracica.
In realtà questa tecnica è attualmente poco utilizzata in quanto è possibile delimitare grossolana-
mente soltanto il margine sinistro; inoltre le dimensioni cardiache sono meglio definibili mediante
ecocardiografia e RX.

AUSCULTAZIONE
L’auscultazione è la fase più importante della semeiotica fisica del cuore, grazie ai rumori generati
dalla meccanica cardiaca che forniscono importanti informazioni sullo stato degli apparati valvolari
ma anche del miocardio, pericardio e grossi vasi.
L’auscultazione si effettua con lo steto-fonendoscopio poggiato su aree specifiche del torace che
prendono il nome di focolai di auscultazione cardiaca. È costituito da due parti: il fonendoscopio che
è dotato di una membrana che è in grado di raccogliere i suoni generati dal cuore, e lo stetoscopio
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che trasmette i suoni direttamente, senza interposizione di membrane.
I focolai di auscultazione non sono però i focolai
anatomici che, essendo tra loro molto vicini, po- FOCOLAI CLINICI DI AUSCULTAZIONE
trebbero dare reperti confondenti, ma si usano i  Valvola polmonare: 2° spazio intercostale
focolai clinici, che hanno la caratteristica di esse- sinistro, sulla linea parasternale
re quanto più vicini possibile a quelli anatomici  Valvola aortica: 2° spazio intercostale de-
ma il più lontano possibile dagli altri. stro, sulla linea parasternale
All’auscultazione si accompagna la palpazione  Valvola tricuspide: 4° spazio intercostale
del polso radiale considerando che il primo tono destro, sulla linea mediosternale
è quasi in contemporanea al battito del polso.  Valvola mitrale: 5° spazio intercostale si-
nistro, sulla linea emiclaveare
Inoltre i rumori del cuore possono essere regi- Esiste anche un altro focolaio, che è il focolaio
strati tramite il fonocardiografo, uno strumento di Erb, localizzato a livello del 3° spazio inter-
dotato di microfoni molto sensibili, e li trasferi- costale di sinistra, sulla linea parasternale, ed
sce su un tracciato grafico, il fonocardiogramma. è utile in alcuni vizi aortici.
Grazie a questo strumento è stato possibile
individuare i 4 toni cardiaci in condizioni fisiologiche, cosa che all’orecchio umano è possibile solo in
condizioni patologiche.
Tuttavia attualmente è poco utilizzato, in quanto superato da altre indagini strumentali, prima fra
tutte l’elettrocardiogramma.

All’auscultazione sono rilevabili 2 tipi di rumori


 Toni cardiaci, reperti fisiologici ma che possono presentare caratteristiche alterate in con-
dizioni patologiche
 Soffi, reperti esclusivamente patologici
 Sfregamenti pericardici, nelle pericarditi

TONI CARDIACI
I toni individuati all’auscultazione sono:
 Primo tono (S1): di intensità e durata maggiore, è in realtà costituito da 4 componenti:
 Chiusura delle valvole AV (componente fondamentale)
 Contrazione isovolumetrica dei ventricoli
 Apertura delle valvole semilunari ed eiezione del sangue
 Passaggio di sangue in aorta e arteria polmonare
Il primo tono è meglio udibile a livello dei focolai della mitrale e della tricuspide, in quanto la
chiusura di queste valvole genera la componente principale del suono; è sincrono all’espan-
sione dell’arteria radiale (in realtà la precede leggermente ma questa latenza non è apprezza-
bile all’esame fisico), la cui palpazione diviene quindi importante per distinguere il primo
tono nei casi in cui risulta difficile
 Secondo tono (S2): di minore intensità ed ampiezza, è dovuto alla chiusura delle valvole
semilunari, che in condizioni normali non sono distinguibili. Si sente meglio a livello dei cosid-
detti focolai della base (aortico e polmonare).
La chiusura della valvola aortica, precede in realtà di pochissimo quella della valvola pol-
monare che, come detto, è impercettibile in condizioni normali ma che può risultare ben
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discriminabile in alcune condizioni patologiche; si parla quindi di sdoppiamento del tono.
In alcuni casi lo sdoppiamento è individuabile anche in inspirazione forzata, in quanto le pres-
sioni intratoraciche elevate si ripercuotono anche sul circolo, ritardando di poco la chiusura
della valvola polmonare e permettendo di udire il doppio tono.

I due toni sono separati da pause, la cui durata è inversamente proporzionale alla frequenza:
 Piccola pausa: che si trova tra il I e il II tono, è breve e corrisponde alla sistole ventricolare
 Grande pausa: presente dopo il II tono, corrisponde alla diastole
Al fonocardiogramma è inoltre possibile individuare altri 2 rumori, non sono percepibili all’orecchio
umano, presenti nella grande pausa e generati dal riempimento ventricolare:
 Terzo tono (S3): dovuto alle vibrazioni della parete ventricolare generate dal riempimento
rapido del ventricolo.
 Quarto tono (S4 o tono atriale): dovuta alla fase di presistole, ovvero alla contrazione degli
atri che completano il riempimento dei ventricoli.

SEDI DI AUSCULTAZIONE DEI TONI


Il primo tono, sincrono al polso, si sente meglio sui focolai mitralico e tricuspitale.
Il secondo tono si sente meglio sui focolai aortico e polmonare

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Alterazione dell’intensità dei toni cardiaci
 Primo tono
 Accentuazione del I tono:
- Stenosi mitralica, soprattutto quando la valvola è fortemente calcifica, ed è
una delle condizioni in cui l’accentuazione è maggiore.
Una stenosi della valvola tricuspide influisce poco sull’intensità del I tono in
quanto i regimi pressori presenti nel cuore di destra sono molto inferiori ris-
petto a quelli di sinistra, e quindi anche le vibrazioni generate alla chiusura
della valvola sono minori.
 Riduzione del I tono:
- Edema infiammatorio della mitrale, come ad esempio nella fase iniziale di una
endocardite, che rende la valvola più flaccida e il primo tono meno intenso
- Insufficienza mitralica, poiché la chiusura della valvola non avviene regolar-
mente determinando anche una riduzione dei rumori generati
- Blocco AV di I grado, in cui si ha allungamento del tratto PQ o PR e un ritardo
tra l’attivazione degli atri e quella dei ventricoli, condizione che determina un
maggiore riempimento ventricolare e un tempo più lungo di chiusura della
valvola i cui lembi sono più ravvicinati nel momento in cui si chiude completa-
mente, ed il rumore sarà quindi minore.
 Alterazione in fibrillazione atriale: in cui gli intervalli irregolari tra i vari impulsi sono
responsabili anche di durata variabile del riempimento ventricolare e del tempo di
chiusura della mitrale. Se l’intervallo è breve, si osserverà quindi un tono di maggiore
intensità mentre se è lungo l’intensità sarà minore.
 Secondo tono
 Accentuazione del II tono:
- Valvola aortica calcifica, meno nel caso della valvola polmonare
- Ipertensione arteriosa: reperto molto comune nei soggetti ipertesi per au-
mento della componente arteriosa del II tono.
Nell’ipertensione polmonare si può avere accentuazione del II tono per au-
mento dell’intensità della componente polmonare, sebbene minore rispetto
a quella generata dalla componente aortica; caratteristico in questo caso, è
lo sdoppiamento del secondo tono.
 Riduzione del II tono:
- Stenosi valvolare senza calcificazione della valvola: poiché si ha un’alterazione
nella chiusura della valvola con vibrazioni ridotte
 Entrambe i toni
 Accentuazione di entrambe i toni:
- Ipercinesia cardiaca, in tutti i casi di aumento della frequenza cardiaca con
aumentata velocità del circolo, l’aumento della dinamica porta anche ad una
maggiore rapidità della chiusura delle valvole AV, con maggiore intensità del
primo tono.
 Riduzione di entrambe i toni:
- Versamento pericardico: in quanto la massa di liquido riduce nettamente la
trasmissione dei suoni
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- Insufficienza cardiaca: dove la ridotta forza di contrazione del cuore è respon-
sabile anche di un ridotto urto dei lembi valvolari.
Entrambe i toni assumono carattere ovattato (suoni parafonici) e soprattutto
il I avrà intensità ridotta, fino a divenire simile a quella del II tono. Se a ciò si
aggiunge anche una tachicardia con eguaglianza della durata delle pause, si
osserva il cosiddetto ritmo pendolare o embriocardico (perché ricorda il batti-
to fetale) che è indice di grave compromissione.

Sdoppiamento dei toni


 Sdoppiamento del primo tono
- Blocchi di branca: per asincrona contrazione dei due ventricoli e quindi dei
tempi di apertura e chiusura delle valvole
 Sdoppiamento del secondo tono
 Sdoppiamento fisiologico: quello che abbiamo visto in caso di inspirazione forzata
 Sdoppiamento patologico: in cui si ha un ritardo nell’apertura e nella chiusura della
valvola e quindi della componente polmonare del II tono rispetto a quella aortica.
- Ipertensione polmonare
- Stenosi polmonare
- Blocco di branca destro: con sdoppiamento fisso per notevole aumento dell’in-
tervallo di chiusura tra le valvole aortica e polmonare
 Sdoppiamento paradosso: a differenza degli altri tipi di sdoppiamento in cui la com-
ponente aortica comunque precedeva quella polmonare, si ha un’inversione e quindi
la componente polmonare precede quella aortica; si ha:
- Blocco di branca sinistro: in questo caso il ventricolo sinistro viene attivato
per propagazione dell’impulso da destra, per cui è in ritardo rispetto a questo
con sdoppiamento e inversione delle componenti.

Claquement d’apertura
È un rumore aggiunto che può assomigliare ad uno sdoppiamento del II tono ma ha carattere e
meccanismo differente: è infatti dovuto ad una valvola mitrale o tricuspide sclerotica che determina
un rumore anche all’apertura (è protodiastolico: compare circa 10 ms dopo il II tono, ovvero all’inizio
della fase di riempimento rapido).
Questo rumore è un rumore schioccante e molto breve che permette la distinzione dallo sdoppia-
mento del II tono anche all’auscultazione.

Click sistolici
I click sistolici sono dei rumori aggiunti brevi, che si possono ascoltare nella piccola pausa (sistole).
La presenza di questi click dà origine quindi ad un reperto caratteristico con 3 rumori cardiaci molto
ravvicinati separati dalla grande pausa.
Possiamo riconoscere 2 tipi di click sistolici:
 Click protosistolico: piuttosto raro, si può udire nella prima fase della sistole (proto-sistole) ed
è dovuto all’apertura rumorosa delle valvole semilunari che si può avere in alcuni soggetti.
Il rumore generato dall’apertura delle valvole è una componente proprio del I tono che nei
rari casi del click protosistolico è ben distinguibile ma senza grande significato patologico.
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 Click meso-tele-sistolico: è una condizione più frequente che si osserva soprattutto nei sog-
getti giovani che fanno molto sport, in cui la contrazione del ventricolo può determinare una
piccola erniazione della mitrale verso l’atrio, a volte seguita da un piccolo rigurgito di sangue.
L’ingobbimento della valvola verso l’atrio è responsabile del click che si osserva nella parte
centrale o finale della sistole e l’incostante rigurgito (che può farsi più frequente nel tempo)
determina invece un rumore simile ad un soffio.
Generalmente in un soggetto che fa attività agonistica importante la presenza di un click non
crea problemi, tuttavia va tenuto sotto controllo perché con il tempo il rigurgito può divenire
maggiore e si può sfociare anche in una vera e propria insufficienza mitralica.
Con l’ecocolor-doppler è possibile quantificare bene l’entità del rigurgito e determinare il
rischio di evoluzione, definendo anche se il soggetto può continuare l’attività agonistica.

Ritmi di galoppo, variazioni di S3 e S4


Questo tipo di ritmi si caratterizza dal fatto che al posto dei normali 2 tempi del cuore, si può udire
un ritmo a 3 tempi (da cui il nome, poiché ricorda il rumore di un cavallo al galoppo).
Sono dovuti ad un’anomala risposta vibratoria delle pareti ventricolari al flusso di sangue durante il
riempimento e sono quindi una manifestazione del III e del IV tono che si rendono udibili come un
tono grave di diversa intensità, normalmente non percepibili.
Questi ritmi si rendono percepibili quando la parete ventricolare ha perso tono, e quindi soprat-
tutto in caso di scompenso cardiaco in cui le pareti risultano sfiancate e vi è un sovraccarico di
volume di sangue nel ventricolo con distensione dello stesso.

Entrambe i toni sono udibili nelle stesse condizioni e si possono distinguere in base al momento di
insorgenza degli stessi; tra questi ritmi distinguiamo:
 Galoppo atriale (o presistolico): per aumento di intensità del IV tono e quindi poco prima
del I tono; ha una tonalità molto bassa e un’intensità piuttosto elevata.
È bene ricordare che il tono si genera per contrazione atriale, per cui non può esserci nei casi
di fibrillazione atriale.
 Galoppo ventricolare (o protodiastolico): per aumento dell’intensità del III tono e quindi
poco dopo il II tono (circa 10 ms) sempre con tonalità molto bassa.
Deve essere distinto dallo sdoppiamento del II tono e dal Claquement d’apertura
 Galoppo di somma: condizione in cui all’indebolimento della parete ventricolare si aggiunge
un’elevata frequenza cardiaca, tale che la diastole si accorcia in modo che il riempimento
rapido ventricolare e la contrazione atriale coincidono e i due toni si sovrappongono, gene-
randone uno di grande intensità
 Ritmo di treno: che è un ritmo a 4 tempi dovuto alla possibilità di udire sia il III che il IV tono

SOFFI
I soffi sono rumori cardiaci generati da moti vorticosi del flusso ematico che si creano a livello del
cuore, presentando una tonalità più bassa e una durata maggiore rispetto ai toni.
Importante distinzione è quella basata sulla dinamica cardiaca, che distingue:
 Soffi sistolici: che si sentono tra il I e il II tono cardiaco
 Soffi diastolici: tra il II e il I tono cardiaco
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 Soffi continui o sisto-diastolici, più rari, che si sentono in entrambe le pause; generalmente
nascono per una singola causa e non per la somma di due alterazioni.

Il soffio si genera a causa di un’alterazione di una valvola o una struttura cardiaca che crea un moto
turbolento per cui avremo la massima intensità in corrispondenza del rispettivo focolaio, che prende
il nome di focolaio elettivo di ascolto.
In base a ciò distinguiamo quindi i soffi: mitralici, tricuspidali, aortici, polmonari.
Il soffio tende però ad irradiarsi seguendo la direzione del flusso ematico che lo genera (ad esem-
pio nel soffio aortico si irradia verso l’alto). Per questo motivo il rumore generato può essere udito
anche lungo queste irradiazioni attenuandosi man mano che ci si allontana.

I soffi possono essere classificati sulla base della loro intensità in 6 gradi (di Freeman Levine):
- Grado 1: molto debole, percepito solo con grande concentrazione e non in tutte le posizioni
- Grado 2: debole ma apprezzabile al fonendoscopio
- Grado 3: moderatamente intenso
- Grado 4: intenso
- Grado 5: molto intenso, si percepisce anche con fonendoscopio parzialmente sollevato
- Grado 6: estremamente intenso, si ascolta anche con lo stetoscopio sollevato dalla parete
Nei soffi più intensi (grado 5 e 6), la vibrazione delle strutture va a trasmettersi anche alla parete
toracica, per cui è possibile avvertirla anche alla palpazione, segno definito fremito palpatorio.

Tra le altre caratteristiche dei soffi da valutare abbiamo:


 Timbro: in base a cui distinguamo i soffi aspirativi, a rullio, aspri e musicali (molto armonici,
in genere per vibrazione di una corda tendinea)
 Modificazioni nel tempo: facendo attenzione se sono spontanee o correlate ad alterazioni
della frequenza cardiaca, del respiro o della postura del paziente.

Meccanismi di genesi dei soffi


Il meccanismo con cui si genera un soffio prevede il passaggio da un flusso ematico di tipo laminare
ad un flusso ematico di tipo turbolento, condizione che in genere di crea quando il sangue nel suo
percorso incontra un ostacolo o una dilatazione. Tra le principali cause troviamo:
1. Flusso attraverso un’ostruzione parziale di un apparato valvolare o un vaso arterioso: la
presenza di una stenosi porta ad un aumento della velocità del fluido con passaggio al flusso
di tipo turbolento (superamento del numero di Reynolds). Esempi sono:
 Stenosi aortica, che determina un soffio da eiezione
 Stenosi mitralica, che comporta un rullio diastolico
2. Flusso attraverso una valvola anomala senza stenosi, in cui la superficie di apertura è con-
servata, ma la struttura valvolare è alterata (ad esempio calcifica). Esempi sono:
 Valvola aortica bicuspide, anziché con 3 cuspidi
 Perforazione di lembo della mitrale
 Rottura di una corda tendinea
3. Flusso retrogrado attraverso la valvola insufficiente, che non si chiude perfettamente e si
ha quindi un reflusso di sangue che genera un soffio da rigurgito, tipico di:

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 Insufficienza aortica, con un soffio olosistolico
 Insufficienza mitralica, con un soffio protodiastolico
4. Flusso arterioso in un vaso dilatato, in cui le valvole sono normali ma il flusso incontra una
dilatazione improvvisa che crea delle turbolenze che generano rumore. Sono anche definiti
soffi post-valvolari, perché la dilatazione è a carico di uno dei principali vasi arteriosi:
 Ectasia (o aneurisma) dell’aorta ascendente
 Ectasia dell’arteria polmonare, più raro
5. Presenza di shunt patologici, quindi per formazione di vie anomale che permettono il pas-
saggio di sangue alterandone il flusso, che diviene turbolento. Ad esempio:
 Difetti del setto inter-atriale o inter-ventricolare, con passaggio di sangue da sinistra
a destra (il flusso segue il gradiente pressorio)
 Pervietà del dotto arterioso di Botallo

SOFFI BENIGNI
Sono condizioni in cui il soffio è auscultabile ma non vi è correlazione patologica, in quanto le
strutture sono normali. Generalmente si possono percepire in tutti i focolai di auscultazione in
quanto sono in genere legati non ad anomalie anatomiche ma ad un aumento eccessivo del flusso
con formazione di turbolenze. Tra queste abbiamo
1. Flusso aumentato in tachicardia, ovvero nei casi in cui la causa del soffio è l’emodinamica
ipercinetica, ovvero l’aumento della velocità del sangue all’interno delle cavità cardiache
e dei vasi che determina in genere soffi da eiezione.
Esempi sono: anemia, ipertiroidismo, shunt artero-venosi periferici, sforzo, ecc.
2. Soffi benigni dei bambini, abbastanza frequenti e senza significato patologico, sono do-
vuti sia alle caratteristiche del torace del bambino, dotato di maggiore elasticità e quindi
consente una migliore trasmissione dei rumori, sia alla fisiologica tachicardia dei bambini
(dovuta all’anemia infantile).

Vizi valvolari
Le cause più frequenti di formazione di un soffio sono i difetti che riguardano le valvole cardiache,
o vizi valvolari, che si distinguono in:
 Stenosi, quando si ha un restringimento dell’ostio valvolare
 Insufficienza, quando non si ha la chiusura completa della valvola
 Steno-insufficienza, o doppio vizio, se sono presenti entrambe i difetti
Si parla invece di vizio combinato se si hanno difetti a carico di due valvole, condizione abbastanza
frequente quale evoluzione di un singolo difetto valvolare iniziale.

Le sedi in cui più frequentemente si riscontra un vizio valvolare sono quelle sinistre, ovvero a carico
delle valvole aortica e mitrale, perché maggiormente soggette ad alterazioni strutturali (a causa dei
regimi pressori maggiori).
Le valvole di destra (polmonare e bicuspide) sono invece interessate come conseguenza del vizio
di sinistra, e si dice infatti che il vizio “destrizza”. Ad esempio un vizio mitralico porta ad un regime
pressorio aumentato nel distretto polmonare, per cui il cuore destro lavora di più e tende a dilatarsi
precocemente, con slargamento della base d’impianto delle valvole e si ha insufficienza.
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L’interessamento primitivo delle valvole di destra può essere dovuto principalmente a patologie di
natura congenita (ad esempio la stenosi congenita della polmonare). Tuttavia al giorno d’oggi stan-
no aumentando anche le cause acquisite, per lo più di natura infettiva (endocardite reumatica) a
causa dell’aumento della tossicodipendenza: le basse difese immunitarie in questi soggetti e l’inie-
zione di sostanze nel distretto venoso con localizzazione dei germi nei primi distretti incontrati,
ovvero le valvole destre, ne sono la causa.

Per quanto riguarda l’eziologia dei vizi valvolari abbiamo:


- Endocardite reumatica: anche se si sta riducendo, è la causa più frequente, ed è un’infiam-
mazione su base immuno-mediata che coinvolge le valvole per meccanismi di cross-reazione
degli anticorpi prodotti con le strutture cardiache.
La flogosi porta ad edema inizialmente con insufficienza valvolare in fase acuta; successi-
vamente si avrà esito cicatriziale con conseguente stenosi.
- Endocardite infettiva: in cui l’infiammazione è dovuta alla presenza di germi nell’endocardio
valvolare. Anche in questo caso si ha insufficienza inizialmente e poi stenosi calcifica.
- Degenerazioni aterosclerotiche: interessano principalmente la radice dell’aorta e la valvola
aortica con conseguente calcificazione.
- Anomalie congenite: ad esempio la valvola aortica bicuspide
- Cardiomiopatia ischemica: con alterazione della contrattilità della parete o infarto di un mus-
colo papillare con alterazione della corda tendinea ed insufficienza valvolare.
- Cardiomiopatie dilatative, per lo più idiopatiche, il ventricolo sinistro si dilata con slarga-
mento delle basi di impianto valvolari, soprattutto nella mitralica ma anche nella aortica
- Alterazioni primitive del connettivo: come nella sindrome di Marfan, una collagenopatia in
cui viene spesso coinvolta l’aorta (dissecazione) e la valvola aortica.

Soffi sistolici da eiezione


Questi soffi sono generati dal flusso ematico anterogrado attraverso le valvole semilunari durante
la sistole, ed in base alle cause si distingono in:
- Organici: alterazione anatomo-patologica della valvola (stenotica o calcifica)
- Funzionali: modificazione funzionale del flusso, con o senza cardiopatia
- Innocenti: non associati ad alcuna modificazione anatomica o funzionale
Vengono anche definiti soffi a rombo o a diamante, per la loro particolare morfologia: iniziano pre-
cocemente dopo S1 e crescono di intensità fino ad un massimo in mesosistole, in concomitanza con
l’aumento della velocità di fuoriuscita del sangue; poi, quando questa si riduce, decresce anche
l’intensità del soffio.
Il soffio occupa quindi tutta la sistole e si sente bene a livello dei focolai aortico e polmonare. Può
accompagnarsi ad un’attenuazione del II tono in caso di rigidità della valvola.

I due esempi di soffio da eiezione comprendono:


 Stenosi aortica: dovuta principalmente ad endocarditi e degenerazione aterosclerotica, è
un’alterazione che può risultare particolarmente grave, perché comporta un aumento del
precarico a causa della scarsa apertura della valvola aortica e, quindi, ad aumento della pres-
sione intraventricolare con ipertrofia ventricolare, coinvolgendo anche la mitrale (ed even-

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tuale destrizzazione della patologia) e portando al rischio di ischemia del miocardio.
Il surplus di pressione generato è definito gradiente di pressione trans-valvolare aortico, ed
è uno dei criteri su cui ci si basa per decidere se effettuare l’intervento chirurgico.
Il soffio si presenta aspro e molto intenso (tra i più intensi, grado 5/6 – 6/6), occupa l’intera
sistole con morfologia a rombo e si irradia in alto verso il collo.
Si può accompagnare a riduzione di S2 ed a sdoppiamento paradosso, per la stenosi valvolare.
Nelle fasi più avanzate, con alterazione della parete ventricolare si può generare anche un
ritmo di galoppo.
 Stenosi polmonare: più rara, è dovuta principalmente a malattie congenite quali la stenosi
polmonare congenita o le sindromi di Fallot (anche se, come detto, i casi di endocardite
infettiva stanno aumentando).
Il soffio presenta le stesse caratteristiche di quello della stenosi aortica, ma in genere con
intensità minore (anche se comunque intensa), attenuazione di S2 e sdoppiamento patologi-
co (non paradosso).

Soffi olosistolici da insufficienza valvolare


L’insufficienza di una valvola determina un flusso retrogrado del sangue dalla carica cardiaca a mag-
giore pressione a quella a minore pressione, da cui la formazione dei vortici.
Si parla di soffio olosistolico in quanto occupa l’intera sistole con un andamento a plateau, ovvero
di intensità costante durante tutta la sistole (e in alcuni casi protrarsi anche dopo il II tono).

I due esempi più comuni di soffio da rigurgito comprendono:


 Insufficienza mitralica: principalmente dovuta ad endocarditi o infarto del miocardio con
compromissione di un muscolo papillare e corda tendinea; altre cause sono le cardiopatie
dilatative, con allargamento della base d’impianto, o la degenerazione mixomatosa che im-
pediscono la chiusura adeguata dei lembi valvolari.
Il soffio è olosistolico a plateau, con intensità bassa nelle prime fasi della patologia ma che
poi diviene più importante fino ad accompagnarsi anche al fremito palpatorio; l’irradiazione
è verso la base e l’ascella di sinistra. Si può accompagnare a sdoppiamento di S2 a causa
dell’ipertensione che si instaura a livello polmonare.
A livello mitralico è possibile percepire anche un soffio telesistolico da incontinenza valvola-
re che compare dopo un click meso-tele-sistolico da prolasso della mitrale, tipico soprattutto
dei giovani. La valvola va ad erniare durante la contrazione ventricolare e, se è ancora con-
tinente, si avvertirà solamente il click; se invece questa estroflessione genera anche una pic-
cola insufficienza si avverte questo soffio da rigurgito terminale.
 Insufficienza tricuspidale: anch’essa dovuta ad endocardite (soprattutto nei tossicodipen-
denti) e genera un soffio di intensità minore dati i bassi regimi pressori.

Soffi olosistolici da pervietà del setto cardiaco


Presentano un meccanismo simile a quello precedente, in quanto si ha il passaggio di sangue da una
camera ad alta pressione ad una a pressione minore ma, in questo caso, si deve alla presenza di
shunt sinistro-destro, ovvero per difetti del setto interatriale o interventricolare.
Il soffio è sistolico e presenta delle caratteristiche simili a quello da insufficienza valvolare anche
se minore intensità.
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Rullio diastolico
Questo soffio diastolico è dovuto ad un’alterazione stenotica delle valvole AV, che determina un
aumento della velocità del flusso con formazione di vortici.
Il soffio compare dopo un piccolo silenzio all’inizio della diastole a cui segue il claquement di aper-
tura della valvola rigida e dura per il resto della diastole. Ha carattere aspirativo ed è anche definito
soffio a rocchetto in quanto è più intenso inizialmente e poi si attenua per poi accentuarsi nuova-
mente in fase presistolica (assente se manca la contrazione atriale, come nella fibrillazione atriale).
Questi rinforzi iniziale e finale sono dovuti all’emodinamica cardiaca, e corrispondono infatti alle fasi
di riempimento rapido ventricolare e di sistole atriale.

Esempi di rullio diastolico sono:


 Stenosi mitralica: condizione dovuta prevalentemente ad endocarditi, comporta un aumen-
to dei regimi pressori in atrio sinistro e quindi nel circolo polmonare, con edema polmonare
e dispnea.
Il soffio ha le caratteristiche tipiche del rullio diastolico e può accompagnarsi ad accentua-
zione e sdoppiamento di S2 a causa dell’ipertensione del circolo polmonare.
 Stenosi tricuspidale

Soffio protodiastolico
Si riscontra nelle alterazioni delle valvole semilunari, ed è il quadro classico dell’insufficienza aor-
tica, anche se meno comunemente può essere dovuto all’insufficienza polmonare.
Il soffio è definito protodiastolico in quanto segue immediatamente S2, senza un intervallo libero
con carattere aspirativo e intensità media (raramente supera i 4/6) che decresce fino a scomparire
durante la diastole. Queste caratteristiche sono dovute al fatto che nell’insufficienza delle valvole
semilunari, al termine della sistole si ha un’inversione del gradiente pressorio a livello della valvola
ed essendo la valvola incontinente il sangue passa nuovamente in ventricolo generando questo
soffio a carattere aspirativo; man mano che il ventricolo si riempie, questo gradiente si riduce fino
a scomparire e con esso anche il soffio.

INSUFFICIENZA AORTICA
Le cause dell’insufficienza aortica sono principalmente di natura infiammatoria (endocardite in-
fettiva o reumatica) ma comprendono anche:
- Ectasia dell’anulus aortico, come conseguenza di una degenerazione ateromatosa della
porzione ascendente dell’aorta che evolve in aneurisma andando anche a coinvolgere la
base della valvola, che risulterà quindi dilatata.
- Sindrome di Marfan, collagenopatia che tra le altre manifestazioni presenta un’alterazio-
ne della tonaca media delle arterie, che tende a dilatarsi con slaminamento della parete
e formazione di un doppio lume (dissecazione dell’aorta). Questa sindrome va a coinvol-
gere anche la valvola aortica che va incontro a insufficienza.
Come conseguenza dell’insufficienza abbiamo diverse alterazioni emodinamiche e manifesta-
zioni caratteristiche, tra cui:
 Soffio protodiastolico: per il rigurgito di sangue in ventricolo, con tutte le caratteristiche
tipiche di questo tipo soffi.

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 Aumento del volume diastolico ventricolare: in quanto il sangue passa nel ventricolo sia
dall’atrio che dall’aorta a causa dell’incontinenza della valvola.
Questa condizione porta ad un sovraccarico di volume a livello ventricolare a cui il mio-
cardio risponde mediante un’aumentata contrazione (legge di Starling) che porterà ad
una progressiva dilatazione ed ipertrofia eccentrica ventricolare.
 Soffio diastolico di Austin-Flint: un altro soffio diastolico dovuto alla dilatazione del ven-
tricolo che consegue all’insufficienza mitralica. A differenza del soffio da rigurgito, questo
dura per tutta la diastole ed è analogo al rullio diastolico da stenosi mitralica: in questo
caso non si ha però una stenosi della valvola ma una stenosi relativa, in quanto il sangue
che passa attraversa una valvola normalmente aperta, si ritrova bruscamente in una ca-
vità allargata, determinando la turbolenza.
 Diminuzione della pressione arteriosa diastolica: a causa del reflusso del sangue in
ventricolo, il ritorno elastico dell’aorta si troverà ad agire su un volume inferiore rispetto
al normale per cui si ha riduzione della pressione diastolica (che dipende dalle resistenze
periferiche e dal ritorno elastico).
A ciò si aggiunge un aumento della pressione sistolica, dovuto ad un volume teledia-
stolico maggiore e quindi una maggiore gittata sistolica per cui si avrà caratteristicamente
un aumento della pressione differenziale.
Alcune manifestazioni emodinamiche tipiche dell’insufficienza aortica sono proprio una
conseguenza di questo aumento della pressione differenziale:
 Polso di Corrigan, breve e potente, che insorge e regredisce rapidamente per la
maggiore energia della sistole e la minore pressione presente in aorta
 Danza delle carotidi, iperpulsatilità delle carotidi che può addirittura determinare
oscillazioni ritmiche del capo sincrone alla sistole
 Polso capillare di Quincke, ritmiche fasi di dilatazione e costrizione dei capillari
per cui il letto ungueale, se delicatamente compresso, diviene roseo e pallido in
sincronia al polso radiale.
 Segno di Traube, o colpo di pistola, percepito poggiando leggermente lo stetosco-
pio su un’arteria (come la femorale) per l’espansione della sua parete
 Doppio soffio di Durosiez, che si determina mediante una leggera compressione
dell’arteria femorale o della brachiale con lo stetoscopio in modo da creare una
stenosi artificiale: in condizioni si avvertirebbe un solo soffio dovuto al passaggio
del sangue attraverso la stenosi; nell’insufficienza aorta se ne avverte uno per il
flusso ematico in direzione anterograda, e il secondo per il ritorno del sangue in
direzione retrograda.
 Fenomeno di Hill e Flack, ovvero che la pressione agli arti inferiori è maggiore di
quella agli arti superiori.

SFREGAMENTI PERICARDICI
Gli sfregamenti pericardici sono rumori di breve durata e intensità variabile che possono essere
ascoltati in area precordiale. Sono dovuti alla presenza di depositi fibrinosi nel cavo pericardico che
possono limitarsi ad una o due placche variamente localizzate o vanno a ricoprire interamente la
superficie epicardica provocando la frizioni tra i due foglietti della sierosa, da cui il rumore.
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I depositi di fibrina, e quindi gli sfregamenti, sono caratteristici di una pericardite fibrinosa, che può
essere di origine reumatica, batterica o tubercolare, uremica.
Nel corso delle pericarditi, però, si può andare a realizzare un versamento che andrà a mascherare
il reperto ascultatorio, che riappare però con il suo riassorbimento

Le caratteristiche di questo rumore sono:


 Rumore ruvido, aspro, simile allo sfregamento dei capelli tra le dita
 Continuo sisto-diastolico, generato da contrazione e rilasciamento del cuore
 Più intenso in sistole e meglio udibile al “centrum cordis” con scarsa irradiazione
 Si accentuano con torace anteroflesso e in espirazione forzata
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POLSO
Il polso arterioso è l’espressione dell’onda sfigmica generata dalla sistole cardiaca, trasmessa nel sis-
tema vascolare e quindi percepibile sui vasi periferici sotto forma di pulsazione.
L’onda sfigmica rappresenta l’onda di propagazione della pressione attraverso la componente
elastica delle arterie dall’aorta fino a quelle periferiche; ciò porta ad una distensione della parete di
questi vasi che determina la pulsazione rileva alla pulsazione del polso.
Il flusso arterioso è pulsato fino alle arteriole di un certo calibro, dopo di che diviene continuo a li-
vello delle arteriole più piccole. In alcune patologie si può avere un grande aumento della pressione
differenziale che fa si di osservare una pulsazione anche a livello del microcircolo (polso capillare).

Le caratteristiche dell’onda sfigmica, e quindi del polso, dipendono da diversi fattori:


- Gittata sistolica: che dipende dal precarico, a sua volta dipendente dalla volemia, e dall’attività
cardiaca, ovvero forza e velocità di contrazione del ventricolo.
- Volemia: oltre a determinare il ritorno venoso e quindi influenzare la gittata sistolica, il volu-
me di sangue presente nelle arterie ne determina il grado di distensione.
- Resistenze periferiche: il cui aumento riduce la distensibilità delle arterie
- Elasticità dell’aorta e delle grandi arterie: la riduzione della componente elastica riduce la
distensibilità delle arterie, più grave se si ha fin dall’inizio ovvero nell’aorta: se questa risulta
calcifica o aterosclerotica, si ha minore distensibilità e quindi sia un aumento della resistenza
opposta alla gittata sistolica (postcarico) sia una ridotta propagazione dell’onda sfigmica.
- Viscosità del sangue: influente solo per grandi alterazioni.

SFIGMOGRAMMA PERIFERICO
Lo studio dettagliato del polso arterioso è dato dallo sfigmogramma periferico, effettuato me-
diante l’uso di uno sfigmo-oscillometro che raccoglie le variazioni della parete arteriosa (di solito
radiale, brachiale o carotidea) e le trasforma in grafico. Nello sfigmogramma si distinguono:
- Onda anacrote: branca ascendente che indica la distensione della parete
- Onda di plateau: di breve durata, corrisponde alla massima ampiezza della distensione
- Onda dicrota: piccola incisura nella
branca discendente del grafico che
corrisponde alla chiusura delle valvole
semilunari con rimbalzo della colonna
di sangue sulla valvola chiusa respon-
sabile del lieve rialzo pressorio.
- Onda catacrote: branca discendente.
Con lo sfigmogramma si possono osservare le
caratteristiche del polso: ampiezza e durata
valutando la singola onda, frequenza, ritmo e
uguaglianza valutando più onde successive.

In base ai suddetti parametri, lo studio del polso permette di ottenere informazioni su:
- Gittata sistolica ed attività cardiaca (contrattilità, frequenza e ritmicità del cuore)
- Volemia
- Stato della parete e della pervietà delle arterie
46
Alcune arterie sono più facilmente raggiungibili all’esame e rappresentano le sedi elettive di palpa-
zione dei polsi periferici:
 Polso radiale: il più comune perché poggia sul piano osseo dato dal radio (anche se in alcuni
casi l’arteria è profonda e non palpabile)
 Polso carotideo: facilmente palpabile anche per livelli molto bassi di pressione arteriosa
 Polso brachiale: alla piega del gomito
 Polso femorale: subito al di sotto del legamento inguinale
 Polso popliteo: nel cavo popliteo (palpazione con entrambe le mani)
 Polso tibiale posteriore: dietro il malleolo mediale
 Polso pedideo o dorsale del piede, nella regione mediana del dorso del piede

Ispezione
L’ispezione del polso permette di valutare aspetto o movimenti anomali delle arterie, quali:
- Arterie tortuose: in caso di aterosclerosi
- Tumefazione dolorosa e aspetto serpiginoso delle arterie temporali: a causa della flogosi con
infiltrazione linfocitaria della parete, che conferisce questo aspetto e l’iperpulsatilità e si
associa a cefalea e disturbi del visus.
- Pulsatilità anomala: come nel caso della “danza delle carotidi” (prevalentemente da insuffi-
cienza aortica, in rari casi con movimento oscillatorio del capo definito segno si De Musset),
oppure in presenza di aneurismi o ectasie dell’arco dell’aorta, visili a livello del giugulo.

Palpazione
È la fase più importante, e permette di valutare tutti i parametri cardiaci e vascolari descritti, anche
attraverso lo studio comparativo dei polsi simmetrici. Con la palpazione valutiamo:
 Frequenza: stabilita dal numero di pulsazioni al minuto e si parla di normosfigmia quando
soo comprese tra 60-80 bpm nell’adulto (nel bambino la frequenza è aumentata).
- Tachisfigmia (> 80 bpm): si può osservare nello sforzo fisico, febbre, ipertiroidismo,
tachiarirmie o come meccanismo di compenso nelle patologie cardiache (insufficienza
cardiaca, pericardite) o nello shock.
- Bradisfigmia (< 60 bpm): costituzionale negli atleti, in condizioni patologiche si presen-
ta per stimolazione del vago per via meccanica (ipertensione endocranica), riflessa
(stimolazione del seno carotideo) o umorale (intossicazione da digitale).
Inoltre si ha nei disturbi di conduzione cardiaca, come nella bradicardia sinusale o nel
blocco seno-atriale con attivazione di un pacemaker a ritmo ridotto; si possono avere
anche a causa di farmaci, come nel caso dei beta-bloccanti.
In questi casi la frequenza può essere tanto ridotta da essere < 40 bpm, condizione
detta polso raro, che si ha più di frequente nel blocco AV di III grado.
- Deficit di polso: si ha quando la frequenza cardiaca è maggiore della frequenza misu-
rata al polso, condizione in cui non tutti i battiti cardiaci sono trasmessi in periferia.
Le condizioni che possono determinare questo deficit sono quelle in cui la contrazione
non è efficace, come ad esempio nella fibrillazione atriale (con una frequenza centrale
di 100-120 bpm e una periferica di 50-60) o nelle extra-sistoli ripetute (il battito trop-
po precoce impedisce un adeguato riempimento ventricolare con ridotta gittata e
distensione dell’aorta).
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- Polso assente: legato non a patologie cardiache ma vascolari, per cui il polso non è pre-
sente in alcune sedi ma può essere ritrovato in altre.
Tra le condizioni più frequenti abbiamo le occlusioni arteriose (con scomparsa dei re-
lativi polsi) oppure in alune vasculiti, come la malattia di Takayashu, anche detta
malattia senza polso, dove l’infiammazione porta ad un tale restringimento delle ar-
terie di grosso calibro da impedire la palpazione dei polsi (radiale, brachiale e caroti-
deo) e portare a fenomeni di tipo ischemico.
 Ritmo: ovvero la presenza di intervalli costanti tra i battiti. Un polso aritmico si può avere:
- Aritmia respiratoria, condizione benigna tipica degli atleti in cui si ha un lieve aumento
della frequenza cardiaca in inspirazione e riduzione in espirazione.
- Aritmia intermittente o isolata: per extrasistole isolata, battito prematuro che impedi-
sce un’adeguata gittata sistolica, oppure un blocco AV di II grado, in cui si ha mancata
trasmissione di un battito isolato tra atrio e ventricolo.
- Aritmia periodica: si ha nelle alloritmie, aritmie caratterizzate dalla comparsa di battiti
prematuri (seguiti da una pausa) con particolare cadenza tra i battiti normali; si parla
di polso bigemino se si ha un battito prematuro ogni sistole, trigemino ogni 2 battiti
normali e quadrigemino ogni 3 battiti normali.
Anche il blocco AV di II grado può presentarsi con carattere periodico in cui un battito
“salta” ogni 2, 3 o 4 battiti normalmente condotti.
- Aritmia totale: con successione di battiti del tutto irregolare, spesso con frequenza ele-
vata (meno nelle bradiaritmie) e deficit di polso; si accompagna a disuguaglianza.
La massima alterazione della ritmicità si ha nella fibrillazione atriale (come detto prima)
in cui l’atrio si contrae a frequenze molto elevate (100-120 bpm) ma non tutti vengono
condotti tramite il fascio di His e il nodo AV che fungono quindi da filtro; l’attività ventri-
colare è quindi inferiore a quella atriale (60-80 bpm) così come il polso. La mancata con-
duzione dei battiti non avviene però in modo periodico ma del tutto irregolare così che
gli intervalli tra i battiti risultano estremamente variabili.
 Ampiezza: data dall’entità della distensione dell’arteria sotto l’onda di pressione in rapporto
alla gittata sistolica, volemia ed elasticità del vaso.
L’ampiezza risulta quindi alterata quando uno di questi parametri è alterato, per cui avremo
un polso ampio nell’aumento della gittata sistolica e quindi in condizioni di ipervolemia o nell’in-
sufficienza aortica, men-tre la riduzione, definita polso filiforme, si ha in caso di:
- Ostacolo all’efflusso: ad esempio nella stenosi aortica (associato a durata aumentata)
- Ridotta contrazione miocardica: miocarditi, fibrillazione ventricolare o infarti
- Gravi ipovolemie: emorragie, fino ad arrivare nelle condizioni di shock (in cui si ha un
polso piccolo e rapido).
 Uguaglianza: ovvero l’uguale ampiezza di tutte le pulsazioni, meglio valutabile con l’osserva-
zione dello sfigmogramma periferico. Le alterazioni, che spesso si associano a disturbi del
ritmo, comprendono:
- Polso diseguale: quando si presenta sporadicamente un battito di ampiezza inferiore
a quelli normali e spesso dovuto ad extrasistoli, dove la prematurità riduce il riempi-
mento ventricolare e quindi la gittata sistolica, con minore capacità di distensione
delle arterie, e quindi ampiezza del polso diversa.
In generale l’ampiezza sarà tanto minore quanto più è prematuro il battito.
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- Polso alternante: caratterizzato dall’alternarsi di battiti ad ampiezza maggiore e bat-
titi con ampiezza minore, reperto grave in quanto indica compromissione della parete
del miocardio, come si può avere nello scompenso cardiaco in fase avanzata.
In questo stato il miocardio va incontro ad affaticamento dopo una sistole per ridotta
riserva funzionale, per cui il battito successivo avrà forza e velocità ridotte, percepito
a livello del polso come ampiezza minore. Ciò permette al cuore di recuperare la fun-
zionalità con il battito seguente normale, e così via.
L’alterazione dell’ampiezza si associa spesso ad alternanza elettrica osservata all’ECG
in cui si osserva un complesso QRS alto e uno più bassa.
- Polso nelle fibrillazioni: nella fibrillazione atriale all’aritmicità si associa anche la di-
suguaglianza del polso con alla base sempre lo stesso meccanismo, ovvero l’irregola-
rità di conduzione e quindi di contrazione ventricolare determinano una gittata molto
variabile a seconda del tempo di riempimento ventricolare.
Nella fibrillazione ventricolare il polso è spesso piccolo o del tutto assente in quanto
il ventricolo non si contrae adeguatamente.
 Durata: anche questa meglio osservata allo sfigmogramma periferico, indica il tempo che in-
tercorre tra l’inizio dell’anacrota alla fine della catacrota.
Dipende essenzialmente dalla velocità di contrazione del miocardio (contrattilità) e dalle
resistenze alla gittata sistolica, e quindi della valvola aortica (stenosi, sclerosi) e periferiche;
in base alla durata il polso può essere:
- Polso tardo: che si ha in genere per stenosi aortica o nell’aterosclerosi dei grossi vasi,
in quanto queste condizioni limitano il passaggio di sangue e la possibilità di disten-
sione delle arterie. Si avrà quindi ampiezza ridotta ma durata aumentata.
- Polso celere: al contrario del polso tardi si ha durata ridotta e ampiezza aumentata;
è una condizione osservabili negli stati iperdinamici, con ipercinesia del circolo come
nel caso di febbre, ipertiroidismo, anemia grave, gravidanza.
- Polso scoccante di Corrigan: con massima riduzione della durata e massimo aumento
dell’ampiezza del polso, che si ha nell’insufficienza aortica in cui si ha reflusso di
sangue nel ventricolo destro a seguito della gittata sistolica.
Questo determina un costante aumento del volume telediastolico con contrazione
del ventricolo estremamente rapida e rapido ritorno elastico delle arterie in quanto
il sangue viene sia distribuito in periferia sia refluisce nel ventricolo.
Si avrà quindi netto aumento della pressione differenziale, con diversi segni tipici: il
polso scoccante, polso capillare (o di Quinke), “danza delle carotidi”.
 Forza: indica l’intensità espressa dall’onda sfigmica sul dito che la palpa, correlato quindi alla
gittata sistolica e molto simile al concetto di ampiezza. Si parla di polso forte e debole.
 Simmetria: ovvero la contemporaneità dell’onda sfigmica in polsi simmetrici e la latenza
rispetto alla sistole cardiaca. Va quindi valutato contemporaneamente nelle sedi anatomiche
simmetriche. L’asimmetria del polso può essere dovuta a:
- Ostruzione arteriosa intrinseca o estrinseca, con asimmetria in relazione alla sede: ad
esempio nell’ostruzione della succlavia destra si avrà un polso radiale destro ritardato
e di ampiezza minore rispetto al sinistro; analogamente una stenosi di una femorale
darà asimmetria tra il polso pedideo dei due lati.
- Coartazione aortica: il restringimento congenito dell’aorta al di sotto dell’emergenza
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della succlavia di sinistra, per cui osserveremo polsi del distretto superiore di ampiezza
notevole, mentre quelli inferiori ridotti.
È inoltre importante valutare il polso in diverse sedi, come negli arti inferiori (spesso i polsi
femorali, tibiali o poplitei non sono studiati) in quanto ci possono dare utili informazioni sullo
stato di quel distretto arterioso.
Ad esempio in un paziente che riferisce dolore all’arto inferiore e i rispettivi polsi non sono
palpabili, si può sospettare un’occlusione o una grave stenosi dell’arteria (per lo più femorale).

Auscultazione
L’auscultazione consente di udire il rumore dovuto ad un flusso turbolento a livello di anomalie del
lume vascolare come nel caso di stenosi (carotideo, arteria renale) o di fistole artero-venose.

SEMEIOTICA STRUMENTALE DEL CUORE


 Elettrocardiogramma
 Ecocardiografia (+ Doppler)
 Radiografia del torace
 Scintigrafia cardiaca
 TAC e RM
 Tecniche invasive (cateterismo cardiaco)

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SEMEIOTICA VASCOLARE
SEMEIOTICA DEI VASI ARTERIOSI
Quadro clinico
La sintomatologia legata alle patologie arteriose è conseguenza di eventi acuti o cronici che possono
provocare ischemia in un determinato territorio.
 Sintomi e segni acuti (legati ad un fenomeno ad insorgenza acuta)
- Dolore acuto: soprattutto a riposo
- Ipo-anestesia: si accompagna al dolore ed è legata alla riduzione del flusso sanguigno
ai nervi
- Impotenza funzionale associata
- Segni obiettivi specifici (in base alla patologia)
 Sintomi e segni cronici
- Claudicatio intermittens: abbastanza tipica, si presenta come un dolore che insorge
dopo uno sforzo (diverso a seconda della gravità) e che porta al paziente la necessità
di fermarsi e recuperare.
- Dolore a riposo
- Segni obiettivi specifici

Le cause che principalmente possono determinare ischemia di un territorio comprendono:


- Trombosi (acute)
- Embolia (acute)
- Stenosi/occlusioni (croniche)
- Aneurismi dissecanti
- Fistole artero-venose

Ispezione
All’ispezione possiamo osservare innanzitutto le alterazioni della cute, soprattutto agli arti:
 Colorito:
- Pallore, determinato da un’ischemia che, se acuta, crea un’area cerea ben evidente
e demarcata rispetto alla zona vascolarizzata; nella cronica è invece più sfumato
- Rossore, conseguenza di un processo infiammatorio a carico del vaso (vasculiti)
- Cianosi, dovute all’accumulo di Hb ridotta (> 5 g/dl) essenzialmente per stasi ematica
 Trofismo: il ridotto apporto di nutrienti ed ossigeno porta a modificazioni sia dei muscoli,
con riduzione della massa muscolare, sia alla cute con assottigliamento dell’epidermide, des-
quamazione, fragilità e caduta dei peli, alterazioni delle unghie.
Nei casi più gravi l’ischemia progredisce fino ad una vera e propria assenza dell’irrorazione
di alcuni distretti, con formazione di ulcerazioni ed infine gangrena (secca, umida, gassosa),
tanto più gravi quanto più è distale il distretto, per assenza di circoli collaterali.

In alcuni casi, inoltre possiamo riscontrare arterie visibili, come cordoncini più o meno tortuosi:
 Aterosclerosi: per cui è importante valutare il vaso alla palpazione
 Insufficienza aortica: si ha aumento della pressione sistolica e riduzione di quella diastolica,
il che rende la pulsatilità delle arterie carotidi particolarmente evidente, fenomeno chiamato
danza delle carotidi, anche accompagnato da oscillazioni del capo (segno di De Musset).
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 Formazioni aneurismatiche: possono presentarsi come tumefazioni pulsanti, come ad esem-
pio nella dilatazione dell’arco aortico, a livello del giugulo.
 Arterite di Horton: con gonfiore e dolore dell’arteria temporale
 Condizioni di emodinamica ipercinetica: anche se raramente la pulsatilità è tale da rendere
l’arteria visibile (ipertiroidismo, anemia grave, gravidanza, febbre, ecc.)

Palpazione
Sicuramente la palpazione dei polsi (vedi pag.46) ha un’importanza fondamentale non solo dal
punto di vista cardiologico, ma anche per lo stesso sistema vascolare. In particolar modo andare a
palpare il polso permette di valutare lo stato dell’arteria stessa e del sistema a monte:
 Presenza, ampiezza e forza: se un polso è assente o ha ampiezza ridotta (soprattutto in caso
di pulsus differens con il controlaterale) si può ipotizzare la presenza di un’ostruzione com-
pleta a monte del polso o di una sua stenosi/compressione.
 Asincronismo tra i corrispettivi polsi dei due lati, è indicativo anche in questo caso di un’os-
truzione o al contrario di un aneurisma
Altre caratteristiche rilevabili alla palpazione dei polsi sono:
 Consistenza: che dipende dalle condizioni delle arterie, che possono andare incontro a modi-
ficazioni della parete in alcune patologie.
Esempio classico è l’atero-sclerosi, che determina rilevatezza, indurimento e tortuosità di
un vaso, fino anche alla caratteristica sensazione tattile della trachea di pollo, per la presenza
di diverse calcificazioni circolari rilevate.
 Masse pulsanti: andando in questo caso a differenziare la pulsatilità vera, quando si ha una
dilatazione a carico di una struttura vascolare (aneurisma) con espansione della stessa in
tutte le direzioni; da una pulsatilità trasmessa, in cui la tumefazione è carico di una struttura
che si trova superficialmente ad un vaso normale che, appunto, trasmette la pulsazione.

Infine alla palpazione si vanno ad individuare anche le alterazioni della temperatura cutanea, ed in
particolare l’ipotermia, che si associa al pallore nel caso di ischemia ed è netta nei casi di ischemia
acuta, più sfumata nei casi di ischemia cronica.

Auscultazione
Sui vasi l’auscultazione è difficile, ed è possibile ottenere come reperto un soffio sistolico, a livello
di arterie di calibro maggiore, come ad esempio l’aorta, la biforcazione aortica o l’arteria femorale.
In particolare a livello dell’aorta bisogna fare attenzione a distinguere quelli che sono i soffi vasco-
lari trasmessi, ovvero che si originano a livello di vizi valvolari, da quelli autoctoni, ovvero dovuti ad
alterazioni vascolari che portano a flussi turbolenti.

I soffi vascolari possono essere dovuti a:


 Aneurismi, per i flussi turbolenti che si instaurano nella sacca aneurismatica
 Stenosi, con aumento della velocità del flusso e comparsa di turbolenze
 Fistole artero-venose, a causa del passaggio di sangue attraverso tale comunicazione. Poiché
la pressione arteriosa è sempre maggiore di quella venosa, il sangue passa in continuazione
attraverso tale shunt e si avrà quindi un soffio continuo con rinforzo sistolico

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ALTRE MANOVRE DI SEMEIOTICA ARTERIOSA
Test di Allen
Un test particolare che permette di valutare la pervietà dell’arteria radiale o ulnare. Viene fatta
chiudere la mano a pugno in modo si ha un rapido deflusso del sangue venoso e poi si va a com-
primere uno delle due arcate in modo che il territorio corrispondente vada incontro ad una tran-
sitoria ischemia con pallore della cute nel territorio corrispondente. Successivamente si fa aprire
la mano che dovrebbe riacquisire il colore normale entro 3 secondi, se l’altra arcata è pervia.
Se è presente un’occlusione, invece, alla riapertura della mano il pallore persiste oltre i 3 sec
per mancato compenso da parte dell’arteria occlusa.

Prove posturali
Sono prove che testimoniano la presenza di arteriopatia obliterante, effettuate con:
 Paziente supino: si solleva l’arto di 45° ed in caso di patologia si avrà un impallidimento
del piede entro 1-2 minuti.
 Paziente seduto: con gamba declive al lato del letto, compare la cianosi entro 2-3 minuti

Prova di Adson
Nella sindrome dello stretto toracico, l’incarceramento e compressione della succlavia che si
realizza con particolari movimenti di rotazione del capo, determina la scomparsa del polso radiale.
Si chiede al paziente di ruotare la testa dal lato opposto rispetto all’arto a livello di cui si vuole
andare a percepire la presenza o meno del polso.

SEMEIOTICA DEI VASI VENOSI


Quadro clinico
Le principali patologie venose sono quelle responsabili di trombosi venosa, definite come trombo-
flebiti e flebotrombosi, e la patologia varicosa. Queste possono dare:
 Sintomi e segni acuti (da flebopatie acute: flebotrombosi e tromboflebite)
- Dolore spontaneo: percepito come tensione o dolore gravativo
- Edema / tumefazione dell’arto
- Cianosi
- Turgore delle vene superficiali
- Segni locali di flogosi
- Dolore provocato, attraverso particolari manovre quali:
 Segno di Bauer: dolore alla compressione del polpaccio
 Segno di Homan: dolore al polpaccio alla dorsiflessione del piede
 Sintomi e segni cronici (da flebopatie croniche: varici primitive e secondarie)
- Senso di tensione: espresso come pesantezza delle gambe
- Crampi notturni
- Flebectasie e varici: ovvero le dilatazioni venose, che risultano più evidenti in orto-
statismo prolungato, per accumulo di sangue a causa della forza di gravità
- Edema sottocutanei
- Cianosi
- Ulcere (nei casi più avanzati)
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Ispezione
All’ispezione è possibile osservare la presenza di:
 Distensioni venose ed ectasie, come ad esempio le varici degli arti inferiori che sono ectasie
non pulsanti (il polso giugulare è invece pulsante); si presentano come cordoni bluastri, più
evidenti e grossi alle gambe e sul dorso del piede, soprattutto in ortostatismo.
Nei casi più gravi si può arrivare ad osservare sanguinamenti o ulcere.
 Circoli collaterali, di particolare importanza quelli a livello del torace o dell’addome nelle
sindromi ostruttive delle cave o del sistema portale
 Edema, soprattutto a livello degli arti ed è importante valutare la simmetria con l’arto
controlaterale
 Alterazione del colorito e del trofismo della cute: a differenza della patologia arteriosa in
cui si osserva un pallore ischemico, in caso di patologia venosa si osserva principalmente la
cianosi; le alterazioni cutanee sono simili

Palpazione
Con la palpazione di grande importanza è andare ad esplorare la presenza di un cordone venoso,
con eventuale dolorabilità alla palpazione (mediante manovre specifiche), indicativo di una trom-
bosi venosa. Oltre a valutarne decorso, tortuosità ed elasticità è importante identificare la direzione
di un vaso ed eseguire le manovre che ci permettono di rilevare la presenza di un’occlusione del cir-
colo profondo (prova di Perthes) o l’insufficienza valvolare delle vene superficiali (manovra di Rima-
Trendelemburg).
 Determinare la direzione di un vaso: importante soprattutto nel caso di formazione di circoli
venosi, quali quelli addominali, si valuta attraverso la manovra del Gasbarrini, che consiste
nello svuotare un vaso del reticolo attraverso la pressione applicata con due dita ed in se-
guito si rilascia alternativamente una delle due; a seconda di quando avviene il riempimento
si riesce a stabilire la direzione del flusso.
 Manovre per esacerbare il dolore: necessarie per andare ad esercitare una pressione sulle
vene profonde dell’arto inferiore che permettono di evocare dolore nel caso in cui queste
siano infiammate come conseguenza di una trombosi venosa profonda. Poiché non possono
essere palpate le vene direttamente, come nel caso di quelle superficiali, si va a sfruttare la
compressione esercitata dai muscoli della gamba. I principali:
- Segno di Bauer: si effettua una compressione attiva sul polpaccio
- Segno di Homans: si esegue una iperflessione dorsale del piede, che porta alla con-
trazione del polpaccio.
In entrambe i casi otterremo una spremitura della vena da parte del muscolo che in caso
di TVP ed infiammazione andrà ad esacerbare il dolore.
 Prova di Perthes: la valutazione del circolo venoso profondo si effettua mediante l’applica-
zione di un laccio alla coscia del paziente che viene invitato a marciare in modo che la pompa
muscolare permette lo svuotamento del circolo venoso superficiale che confluisce in quello
profondo (va sempre ricordato, dal punto di vista anatomico, che il circolo superficiale va a
confluire in quello profondo e da qui al cuore).
Se il circolo profondo è normale le vene superficiali si svuotano; se invece è presente una
occlusione della rete venosa profonda, il deflusso delle superficiali è bloccato: queste vanno
incontro ad ulteriore ectasia ed il paziente avverte una tensione dolorosa al polpaccio.
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 Manovra di Rima-Trendelemburg: per valutare la presenza di un’eventuale insufficienza
valvolare delle vene superficiali e delle comunicanti (in particolare della valvola ostiale situ-
ata allo sbocco della grande safena nella femorale).
Si effettua con paziente disteso, ed arto sollevato di circa 65° sul piano orizzontale in modo
da svuotare il circolo superficiale e far collabire le vene, e si applica un laccio al terzo supe-
riore della coscia, in modo da comprimere le vene superficiali ma non le profonde.
Successivamente il paziente viene fatto alzare e gli si toglie il laccio, avremo:
- Valvole continenti: lieve riempimento delle vene dal basso verso l’alto e nessuna
altra modificazione (manovra negativa).
- Insufficienza valvolare della sola vena safena mentre le valvole delle vene perforanti
sono continenti: si ha la stessa situazione di prima finchè permane il laccio (perché
il sangue proveniente dalla safena è bloccato da quest’ultimo) ma nel momento in
cui viene rimosso il laccio le vene superficiali si riempiono bruscamente dall’alto
verso il basso.
- Insufficienza valvolare delle comunicanti ma non della safena: si ha il brusco riempi-
mento delle vene superficiali anche con il laccio ancora applicato, ma quando viene
tolto non si ha ulteriore riempimento retrogrado delle vene.
- Insufficienza valvolare della safena e delle comunicanti: come prima ma alla rimozio-
ne del laccio si ha un ulteriore riempimento vistoso delle vene.

SEMEIOTICA STRUMENTALE DEI VASI


ECO-COLOR DOPPLER
È l’esame di prima scelta in campo vascolare, sia in campo arterioso che venoso, in quanto ci per-
mette di visualizzare qualsiasi alterazione vascolare (ecografia) e ci dà informazioni indirette sul gra-
do di ostruzione attraverso la valutazione del flusso sanguigno a quel livello (doppler).
Con lo studio ecografico, grazie a cui si possono effettuare scansioni sia longitudinali che trasversali,
si possono analizzare:
 Dimensioni del lume (che appare anaecogeno, quindi nero)
 Caratteristiche della parete
 Placche aterosclerotiche
Con la tecnica Doppler, che permette di visualizzare i flussi ematici attraverso un’analisi colorime-
trica degli stessi (tradizionalmente con colore rosso e blu) definendo la direzione e la presenza di
eventuali turbolenze (visualizzate in altri colori, come il giallo o il verde).
Con questa tecnica è possibile definire il grado di stenosi, che modifica la velocità del sangue, nonché
la presenza di reflusso.

ANGIOGRAFIA
È una tecnica invasiva che permette la visualizzazione con eccellente definizione dei vasi attraverso
l’introduzione di un mezzo di contrasto a livello dell’arteria che deve essere valutata e successiva
acquisizione delle immagini mediante radiografie successive.
La tecnica è tuttavia poco utilizzata, data l’introduzione dell’angio-TC e angio-RM, che ci danno
informazioni simili ma con minore invasività, con quindi un rischio minore (minore esposizione alle
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radiazioni, mancata complicanze da introduzione di un catetere, come la rottura di placche e succes-
siva embolizzazione).

Un vantaggio dell’arteriografia è che però può essere anche operativa, e quindi può effettuare un
intervento contemporaneamente alla visualizzazione diagnostica dell’albero arterioso, motivo per
cui nei casi in cui si intende procedere con l’intervento è ancora utilizzata, come nei casi di aneurismi
dell’aorta addominale non complicati (operabili per via endovascolare sotto guida angiografica).

ANGIO-TC
Oltre al fatto che la TC è ancora considerata il gold standard nello studio degli aneurismi dell’aorta
toracica e addominale grazie al suo potere di risoluzione, la tecnica dell’angio-TC è largamente uti-
lizzata in alternativa all’ecodoppler in quanto ci permette di visualizzare immagini tridimensionale
dell’aorta e dei suoi rami da ogni angolo di visuale. Ciò consente di definire tutti quei parametri (dia-
metri, decorso, lunghezza, angolazione, rapporti) utili in interventi sia chirurgici che endovascolari.
Inoltre affiancata all’eco-doppler, va a completare lo studio delle arteriopatie occlusive o aneuri-
smatiche degli arti inferiori e dell’insufficienza cerebro-vascolare.

ANGIO-RM
È anch’essa una valida alternativa, perché ci permette di visualizzare i vasi grazie ad un mezzo di
contrasto non iodato in maniera simile alla Angio-TC, ma viene utilizzata principalmente per la vi-
sualizzazione dei vasi non aortici, dove invece si preferisce l’angio-TC.

CAPILLAROSCOPIA
Lo studio dei capillari viene effettuato mediante un particolare microscopio ottico, in particolare a
livello della plica peri-ungueale o sulla congiuntiva bulbare.
Vengono valutati diversi parametri al fine di stabilire lo stato della microcircolazione, quali ad
esempio il numero di capillari, la loro morfologia, la presenza di ectasie, microemorragie o eventuali
processi di neoangiogenesi.

Si utilizza soprattutto in quelle patologie che possono comportare danni al microcircolo, quali ad
esempio il diabete mellito o l’ipertensione arteriosa, ma anche in patologie reumatologiche quali il
lupus, la sclerodermia e nel fenomeno di Reynaud.

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Vascolarizzazione dell’arto inferiore
VASCOLARIZZAZIONE ARTERIOSA

VASCOLARIZZAZIONE VENOSA
Il sistema venoso dell’arto inferiore si origina da fittissime reti di venule del piede che convergono
nei vasi principali di due sistemi venosi: superficiale e profondo.
La compressione delle vene del piede durante la sua fase di appoggio, fornisce anche una delle più
importanti forze che permettono la progressione del sangue venoso contro gravità, tanto da esser
definito pompa periferica o pompa di propulsione.

Questi due sistemi risultano essere collegati tra loro da due tipi di vasi venosi:
 Vene perforanti, vasi valvolati che attraversano le aponeurosi per favorire il passaggio di
sangue dal sistema superficiale a quello profondo, assumendo un ruolo fondamentale nella
regolazione delle pressioni tra i due sistemi.
 Vene comunicanti, che sono invece vasi anastomotici tra distretti dello stesso sistema.

RETE VENOSA DEL PIEDE


Nel piede sono presenti 4 reti venose particolarmente sviluppate ed in comunicazione tra loro, che
possono essere anch’esse distinte in superficiali e profonde dando quindi origine ai rispettivi sistemi.

Le reti venose superficiali (o cutanee) del piede comprendono:


 Rete venosa cutanea plantare del piede, è particolarmente ricca soprattutto a livello del cal-
cagno ma in generale in tutta la pianta del piede formando la cosiddetta suola plantare ve-
nosa di Le Jars, con grande importanza emodinamica.
Le venule che formano questa rete si gettano nell’arco venoso cutaneo plantare, situato
nella porzione distale del piede e che a sua volta è in comunicazione l’arco venoso cutaneo
dorsale mediante diversi rami comunicanti, tra cui le vene interdigitali (o intercapitolari).
 Rete venosa cutanea dorsale del piede, raccoglie il sangue dalla porzione dorsale del piede e
lo getta nell’arco venoso cutaneo dorsale, localizzato in corrispondenza delle ossa metatarsali.
L’arco, dopo aver ricevuto anche il sangue della rete superficiale plantare, si continua nelle:
- Vena marginale mediale, più voluminosa e da cui si origina la vena grande safena
- Vena marginale laterale, da cui si orgina la vena piccola safena
Inoltre le due reti sono anche in comunicazione con quelle profonde grazie a numerosi rami perfo-
ranti che attraversano gli spazi inter-metatarsali o che contornano i margini del piede.

Le reti venose profonde, comprendono:


 Rete venosa profonda plantare, che origina con le vene digitali e poi le metatarsali plantari
(che decorrono negli spazi inter-metatarsali e danno anch’esse le perforanti per la rispettiva
rete dorsale). Da queste si origina l’arco venoso plantare profondo da cui si originano le due
vene tibiali posteriori.
 Rete venosa profonda dorsale, che fa capo alle vene metatarsali dorsali e quindi all’arco ve-
noso dorsale profondo, da cui prendono origine direttamente le due vene tibiali anteriori.

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VENE SUPERFICIALI DELL’ARTO INFERIORE
Il circolo superficiale, localizzato superficial-
mente all’aponeurosi dei muscoli, origina dal-
le vene cutanee del piede e drena circa il 10%
del sangue venoso dell’arto inferiore (per cui
l’asportazione non determina ristagno di san-
gue nel territorio drenato). Comprende:
 Vena grande safena: è la vena più lun-
ga del corpo (70-80 cm), origina dalla
vena marginale mediale a livello del
malleolo e si porta nella regione antero-
mediale della gamba, supera il condilo
mediale del femore e attraversa la coscia anteriormente fino a raggiungere il triangolo di
Scarpa e confluire nella femorale comune, circa 2-3 cm al di sotto del legamento inguinale.
 Vena piccola safena: nasce dalla vena marginale laterale dietro il malleolo e risale il tendine
calcaneare e poi la gamba posteriormente, decorrendo nel solco tra i due muscoli gemelli del
polpaccio. A differenza della grande safena non decorre sempre sottocutanea, ma attraversa
a vario livello la fascia divenendo sottofasciale e confluire nella vena poplitea.

Le due vene del sistema superficiale presentano numerose anastomosi mediante rami comunicanti,
di cui il più importante è la vena anastomotica di Giacomini che si origina dalla piccola safena poco
prima della sua confluenza nella poplitea e si porta nella regione laterale della coscia fino a gettarsi
nella grande safena.

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VENE PROFONDE DELL’ARTO INFERIORE
Il circolo profondo, o sottofasciale, segue il decorso delle rispettive arterie, drenando circa il 90%
del sangue dell’arto inferiore. Inoltre anche il superficiale confluisce nel profondo. Comprende:
 Vene tibiali posteriori: le due vene si originano dall’arco venoso plantare del piede e decor-
rono posteriormente nella gamba e confluiscono nella poplitea. Ricevono inoltre anche il
sangue drenato dalle due vene peroniere (satelliti delle rispettive arterie).
 Vene tibiali anteriori: anch’esse in numero di due, si originano dall’arco venoso dorsale del
piede e risalgono lungo la regione anteriore della gamba per poi spostarsi nella posteriore e
confluire nella poplitea con le posteriori.
 Vena poplitea: si origina quindi dalla confluenza delle tibiali anteriori e posteriori nella re-
gione posteriore della gamba in corrispondenza dell’arcata tendinea del soleo. Risale lungo
la coscia, sempre posteriormente, fino all’anello del muscolo grande adduttore (tra la sua
aponeurosi e il femore) per poi continuare come vena femorale (superficiale).
Riceve inoltre la vena piccola safena e numerose altre satelliti.
 Vena femorale: impropriamente definita superficiale, prende origine dalla poplitea e risale
nella coscia fino al triangolo di Scarpa, decorrendo insieme all’omonima arteria. Dall’anello
del muscolo grande adduttore decorre quindi nel canale degli adduttori ed infine si riunisce
con la femorale profonda per dare origine alla vena femorale comune.
 Vena femorale profonda: drena il sangue dalla regione mediale della coscia e risale fino al
triangolo di Scarpa, dove si riunisce con la femorale per dare la vena femorale comune.
 Vena femorale comune: dopo la confluenza della femorale con la femorale profonda risale
il triangolo di Scarpa, ricevendo anche la grande safena, e superato il legamento inguinale
diviene vena iliaca esterna.

RAMI PERFORANTI
Le vene perforanti hanno la funzione di favorire il deflusso del sangue dal sistema superficiale a
quello profondo, con le valvole direzionate a tal fine. Come detto questo permette anche di regolare
le pressioni tra i due sistemi. Le vene principali:
 Vene di Crockett e Boyd, a livello delle gambe: che connettono la vena grande safena (e le
sue tributarie) con le vene tibiali posteriori. Le 3 vene di Crockett si trovano nella porzione
inferiore, mentre quella di Boyd nel terzo superiore della gamba.
 Vene di Dodd e Hunteriane, a livello delle cosce, sempre dalla grande safena.

FISIOLOGIA DEL SISTEMA VENOSO


Le valvole delle vene dell’arto inferiore sono direzionate in modo da garantire un flusso unidirezio-
nale del sangue anche quando le vene vengono compresse, impedendo il reflusso gravitazionale e
favorendo il deflusso dal sistema superficiale al profondo, grazie a quelle delle vene perforanti.
Sono valvole bicuspidi (o a nido di rondine), costituite da un’estroflessione dell’endotelio e della
media che fornisce una struttura fibrosa in cui si addentrano piccoli fasci muscolari in grado di op-
porre resistenza alla pressione gravitazionale della colonna ematica.

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La disposizione e frequenza delle valvole rispecchia la fisiologia, sono infatti più rappresentate:
 Nel sistema superficiale rispetto al profondo, poiché in quest’ultimo la progressione del
sangue è sostenuta dalla posizione delle vene stesse, tra la fascia muscolare inestensibile e i
muscoli stessi, ed è anzi favorita dall’effetto di pompa realizzato dalla contrazione e rila-
sciamento muscolare (pompa di progressione).
 Nelle vene più distali rispetto alle prossimali, per cui il numero va progressivamente diminu-
endo dal basso verso l’alto fino ad essere raramente presenti nelle iliache e del tutto assenti
nella cava inferiore. In questo modo si rende più facile lo spostamento del sangue dai distret-
ti periferici verso i centrali.
Si ha, però, che le poche valvole della femorale e le prime valvole della safena sostengono
tutto il peso della colonna di sangue sovrastante e possono quindi sfiancarsi (varici).
 Nelle vene perforanti, favorendo il passaggio del sangue dal circolo superficiale al profondo.

Il ritorno venoso degli arti inferiori in un paziente in ortostatismo deve quindi contrastare l’aumento
di pressione dato dalla forza di gravità (gradiente gravitazionale ≈ 0,7 mmHg / cm) efficacemente
ridotto dalla presenza delle valvole. In assenza delle valvole, infatti, per un dislivello di circa 120-140
cm tra cuore e piede, si avrebbero pressioni a livello del malleolo anche di 100 mmHg.

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Accanto alle valvole che limitano questo incremento pressorioesistono una serie di forze che per-
mettono di contrastare questo aumento della pressione venosa. Nel complesso abbiamo:
 Vis a tergo e vis a fronte, entrambe dovute all’attività cardiaca del cuore. La prima è la spinta
data dall’attività sistolica (minima nel sistema venoso), mentre la seconda è l’aspirazione che
si crea durante la diastole nelle cavità cardiache.
 Vis a latere, spinta ottenuta dalla pulsatilità delle arterie adiacenti nel caso delle vene pro-
fonde che decorrono in fasci vascolo-nervosi. In realtà la pulsatilità delle arterie dovrebbe
spingere il sangue verso la periferia anche nelle vene, tuttavia rimbalzando sulle valvole
(quando continenti) si genera un’inversione del flusso e una spinta in direzione del cuore.
 Pompa di propulsione, costituita dalle reti venose del piede a partire dalla suola plantare di
LeJars a livello della quale la pressione della pianta del piede in sede d’appoggio (soprattutto
a livello calcaneare e nella porzione anteriore) e la contrazione della muscolatura determina
una spinta del sangue verso le vene successive e quindi verso l’alto.
 Pompa di progressione, dovuta all’attività dei muscoli della gamba (polpaccio) e poi della
coscia sulle vene profonde, le cui fasi di contrazione e rilasciamento forniscono ulteriore
spinta per il sangue.
La pompa di propulsione e di progressione, insieme alla funzione delle valvole continenti, rappre-
sentano i fattori più importanti nel garantire il ritorno venoso dall’arto inferiore.
Questo è reso possibile anche dalla grande elasticità della parete venosa, che viene compressa dai
muscoli del piede e della gamba passando dal normale profilo ellittico fino al completo collabimento
della stessa, permettendo la progressione del sangue lungo il vaso.

È importante ricordare che il ritorno venoso è condizionato anche dalla ritmicità degli atti respirato-
ri: in inspirazione l’allargamento della cavità toracica determina una riduzione delle pressioni nei
vasi toracici mentre l’abbassamento del diaframma porta ad un aumento della pressione addominale,
favorendo il richiamo di sangue dalla cavità addominale; in espirazione abbiamo invece aumento
delle pressioni a livello toracico (che non determina spostamento del sangue in basso grazie alla pre-
senza delle valvole) ed una riduzione della pressione addominale che favorisce il richiamo di sangue
dagli arti inferiori. Se la ritmicità è ben condotta si ha una facilitazione del ritorno venoso.
Questo fattore è ben visualizzato con lo studio della flussimetria all’eco-doppler: chiedendo al pa-
ziente di effettuare respiri profondi, si osserva come la velocità del sangue aumenta enormemente
dimostrando l’assenza di trombosi o occlusioni a monte del segmento esplorato.

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