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PROF. DE FERRARI
Clinica e patologia del torace -Lezione 1 01/03/2022 – Prof DeFerraris – Tommaso Venditti, Michelle
Marcolino
CARDIOLOGIA
Concetti generali
ANATOMIA
Sistema circolatorio
Il nervo vago presenta dei centri cardio inibitori nel tronco (ad
esempio nucleo motore dorsale) per poi originare plessi e fibre
post ganglioniche.
La sinistra, detta anche tronco comune (TC), si biforca dopo 3 mm-2cm in un ramo interventricolare
anteriore (IVA o discendente anteriore) che arriva all’apice del cuore (e in rari casi raggiunge anche la
faccia posteriore, prende il nome di ramo ricorrente e raggiunge la discendente posterore) e in un ramo
circonflesso (CX) che decorre posteriormente per un tratto parallelamente al seno coronarico e origina il
ramo per il margine ottuso. L’arteria ciconflessa è formata da un ramo circonflesso vero e proprio e da
rami marginali o postero-laterali.
Nella visione posteriore sono visibili la vena cardiaca magna che decorre nel solco atrioventricolare per
raggiungere il seno coronario che funge da raccoglitore finale del circolo venoso cardiaco e sbocca nella
parte inferiore dell’atrio destro.
Alla base della periodicità della corrente pacemaker c’è la corrente funny (IF) attivata
dall’iperpolarizzazione, è infatti chiamata così perchè è attivata in modo oppposto alle correnti note
all’epoca della scoperta. L’immagine illustra in nero l’andamento della corrente in una cellula pacemaker
impalata in condizioni basali e in rosso la stessa corrente in seguito all’aggiunta di acetilcolina.
La causa della riduzione della frequenza cardiaca è da ricercarsi nella riduzione pendenza della corrente
funny.
In figura è riportato uno schema della principali correnti entranti
(verso il basso) e uscenti (verso l’alto) nel miocardiocita tipico
ventricolare.
CICLO CARDIACO
Il Coupling elettromeccanico inizia con l’apertura di canali
calcio L (LTCC) voltaggio dipendenti che mediano l’ingresso di
una piccola quantità di Ca2+ dall’ esterno che permette il
rilascio sel calcio contenuto nel reticolo sarcoplasmatico (SR)
tramite Ryr2 (la funzione di SERCA è invece di ripomparlo nel
reticolo).
AP=pressione aortica
Tono S2 dato da chiusura della valvola aortica e sulla curva AP si vede la l’incisura dicrota. La fase
precedente all’incisura prende nome di protodiastole: la pressione del ventricolo diminuisce e scende al di
sotto di quella arteriosa.
Segue chiusura delle valvole semilunari con inizio della fase di rilasciamento ventricolare (isometrico), con
rapida caduta della pressione che scende al di sotto di quella atriale. Ciò determina l’apertura delle valvole
atrioventricolari e il passaggio nel ventricolo del sangue nel frattempo accumulatosi nell’atrio. È la
cosiddetta fase di riempimento rapido in cui atrio e ventricolo, completamente rilasciati, formano una
cavità unica ed il sangue si accumula nel ventricolo. Segue una fase di riempimento lento o diastasi in cui
la pressione ventricolare è ancora inferiore a quella atriale. Si giunge così alla fine della diastole
ventricolare e perciò del ciclo cardiaco.
In sintesi le fasi del ciclo cardiaco sono: contrazione isometrica; eiezione (rapida e lenta); protodiastole;
rilasciamento isometrico rapido e lento; riempimento diastolico rapido e lent; sistole atriale.
Clinica e Patologia del Torace – lezione 2 – 01/03/2022 – Prof. De Ferrari (Federica Trinch,
Nicholas MarguereBaz)
L’anamnesi è un passaggio cruciale e nella maggior parte dei casi sarebbe già sufficiente per un
buon inquadramento diagnos4ci, ma al quale spesso non viene dedicato il tempo necessario. È
quindi importante nel tempo a disposizione lasciar parlare il paziente e interrogarlo
adeguatamente: è quindi fondamentale l’esperienza.
L’anamnesi si basa su:
• IdenQficazione dei faBori di rischio: sappiamo quali sono i fa.ori di rischio cardiovascolari, ma,
per fare un esempio, in caso di sospe.a cardiopa6a ischemica andremo a ricercare fa.ori
predisponen6 per la formazione di placche aterosclero6che (fumo, dislipidemie, obesità,
ipertensione ...).
• Anamnesi familiare: per oCenere informazioni è importante non porre domande troppo
complesse al paziente, non si chiede ad un* paziente con sospeCa cardiomiopa4a “ha avuto casi
in famiglia di cardiomiopa4a?” o in pazien4 con sospeCa canalopa4a “ha avuto paren4 mor4 di
morte improvvisa?”, perché nella stragrande maggioranza dei casi risponderà di no, ma se si
chiede “ha avuto paren4 mor4 in giovane età e/o che hanno avuto un infarto?” molto più
probabilmente risponderà posi4vamente. Questo perché in gergo familiare il 90% delle mor4
improvvise vengono interpretate come infar4. Un’altra informazione che dovrebbe essere
chiesta (anche se quasi mai viene chiesta) è se c’è stata abor4vità in famiglia, sopraCuCo durante
l’ul4mo trimestre: vi sono infaR molte anomalie gene4che che portano a morte il feto e sapere
questo diventa criterio importante nell’anamnesi cardiologica.
• Dispnea
• Palpitazioni
Sono sintomi importan4 che necessitano di intervento tempes4vo, sopraCuCo il dolore toracico.
• LipoQmia
• Astenia
Il dolore toracico
È il sintomo più 4pico di malaRa cardiovascolare e, in tale ambito, il dolore da ipossia miocardica è
anche chiamato angina.
La prima descrizione di angina si deve a Sir William Heberden che, circa 250 anni fa, negli annali
del Royal College of Physicians, descrive l’angina come una sensazione par4colare associata a uno
stato di ansietà e la chiama angina pectoris: l’angina fino ad allora era un termine u4lizzato
nell’ambito dell’infezione streptococcica a livello di laringe e tonsille, 4picamente descriCa come
sensazione di angoscia e di malessere e poiché una situazione simile viene a presentarsi anche in
questa condizione cardiaca decise di chiamarla angina pectoris o angina di peCo.
Le persone che sono colpite da questo malessere, con4nua Heberden, a volte sono colpite mentre
stanno camminando, per esempio se stanno camminando in salita e sopraCuCo se stanno
camminando poco dopo aver mangiato; viene percepita come una sensazione di dolore e
malessere generale del peCo che sembra quasi voler spegnere la vita se dovesse incrementarsi o
con4nuare. TuCavia questa angina da sforzo, quando i soggeR si fermano, scompare.
Ecco l’estraCo dalla pubblicazione di Heberden:
“But there is a disorder of the breast marked with strong and peculiar symptoms, considerable for
the kind of danger belonging to it, and not extremely rare, which deserves to be men6oned more
at length. The seat of it, and sense of strangling, and anxiety with which it is a.ended, may make it
not improperly be called angina pectoris.
They who are afflicted with it, are seized while they are walking, (more especially if it be up hill,
and soon aGer ea6ng) with a painful and most disagreeable sensa6on in the breast, which seems
as if it would ex6nguish life, if it were to increase or con6nue; but the moment they stand s6ll, all
this uneasiness vanishes.”
Il professore fa notare come oggi non sia così frequente l’angina post prandiale, perché questa si
verifica solitamente dopo un pasto veramente molto abbondante, ma ai tempi di Heberden non
era una condizione poi così rara e quella proposta rimane comunque una descrizione perfeCa
dell’angina da sforzo come ancora oggi si può diagnos4care già solo dal racconto che il paziente fa
dei sintomi intercorsi.
Cara/eris1che
L’angina viene definita e diagnos4cata in base alla presenza di alcune caraCeris4che fondamentali:
• dolore retrosternale che coinvolge l’emitorace sinistro ed è irradiato verso il giugulo e il braccio
sinistro, in par4colare sul alto ulnare, ed è di durata breve.
• può essere aggravata dallo sforzo fisico o da stress emoQvi.
• è risolto dal riposo o dai nitraQ sublinguali nell’arco di qualche minuto; 4picamente vengono
usa4 il natrispray (spray da spruzzare soCo la lingua), la trinitrina (in compresse frantumate con i
den4 e lasciate sciogliere soCo la lingua), isosorbide mononitrato (es. carvasin, da sciogliere
soCo la lingua).
Diagnosi
La rilevazione o meno di queste caraCeris4che permeCe di definire la probabilità di essere di
fronte a un disturbo anginoso, quindi:
- quando le tre caraCeris4che sopraelencate sono presen4, si parla di angina TIPICA e si può fare
diagnosi con probabilità elevata. Questo quadro si può riscontrare nel 50% (non più) dei
pazien4.
- quando solo due delle caraCeris4che vengono rispeCate, la diagnosi di angina ha una
probabilità intermedia. Si parla in questo caso di angina ATIPICA: in questo caso l’angina si
presenta, ad esempio, in altra sede, come dolore epigastrico (la sensazione di peso sullo
stomaco è la manifestazione più frequente in caso di infarto inferiore, in parte per con4nuità
anatomica, poiché la parete diaframma4ca appoggia sul diaframma), come dolore
prevalentemente destro o esclusivamente destro, dolore solo dorsale, solo al giugulo o molto
spesso solo alla mandibola (più 4picamente a sinistra).
- quando solo uno o nessuno dei criteri è soddisfaCo la diagnosi di angina è improbabile e si
parlerà di dolore non anginoso.
Ci sono però alcune categorie di pazien4 che, pur avendo angina, non hanno nessuno di ques4
sintomi e questo può accadere ad esempio:
• nei pazienQ anziani: una quota importante, fino al 25-30% degli ultra oCantenni, hanno infar4
senza sintomi dolorosi, ma con sintomi ad esempio di scompenso come dispnea o con sintomi
embolici dovu4 a un infarto complicato dalla formazione di un trombo endoventricolare che
embolizza e quindi il paziente arriverà per ictus cardioembolico dovuto a un trombo prodoCosi in
seguito a un infarto misconosciuto.
• nei pazienQ diabeQci: il diabete è una patologia che si associa ad una neuropa4a sensi4va che è
progressivamente più grave più è lunga la storia di diabete, quindi un soggeCo con diabete da 20
anni avrà più probabilmente infar4 asintoma4ci che sintoma4ci.
• nei pazienQ con trapianto cardiaco: sopraCuCo nei primi anni ques4 pazien4 sono denerva4 e
quindi possono avere angina e infarto (sindromi coronariche da ischemia miocardica) in assenza
di sintomi.
Per poter fare diagnosi di dolore 4pico da angina è importante considerare non solo le
caraCeris4che di sede, ma anche di durata: mol4 pazien4 vengono ricovera4 con scriCo sulla
cartella “dolore 4pico”, ma in ques4 casi, intrinsecamente, se non ha portato a infarto (che si
sarebbe riscontrato all’ECG e agli esami di laboratorio), non è un dolore cardiaco 4pico.
Proprio per le caraCeris4che dell’angina, per aiutarsi nella diagnosi, è possibile ricorrere a una
diagnosi ex adiuvanQbus, ovvero si definisce la probabilità di diagnosi sulla base della risposta ad
un traCamento, in questo caso quello con i nitra4 sublinguali: il sintomo anginoso deve essere
risolto dall’u4lizzo di nitra4 in un tempo breve, in circa 3-5 minu4, quindi se prendendo la trinitrina
il paziente sta bene dopo 20 minu4, quello non è un sintomo risolto dal farmaco.
Pertanto la diagnosi ex adiuvan4bus dell’angina è data dal tempo e modalità di risposta al nitrato
sublingiale:
- se c’è risposta 4pica con risoluzione del sintomo in 3-5 minu4 si ha elevata probabilità che il
sintomo sia un sintomo anginoso,
- se no c’è risposta o c’è risposta dopo un tempo troppo lungo (es. 30 minu4) la probabilità che il
sintomo sia un sintomo anginoso è bassa e quindi i criteri ex adiuvan4bus di diagnosi di angina
non sono soddisfaR.
Fa/ori precipitan1
• ARvità fisica
• Situazioni che possono determinare vasocostrizione periferica: per esempio il freddo, l’aRvità
fisica dopo un pasto abbondante...
• Stress psichici come paura, ansietà marcata e la rabbia;
• Una crisi ipertensiva con un aumento importante di pressione arteriosa;
• Rappor4 sessuali: non è uno sforzo fisico enorme (di solito considerata pari a due piani di scale a
passo normale), ma è comunque una condizione codificata nei sistemi anglosassoni nel
traCamento del paziente. Di solito quello che si dice è che se riesce a fare due piani di scale
senza sintomi può riprendere l’aRvità sessuale.
Sintomi associa1
• Dispnea,
• astenia
• presincope
insieme a segni come pallore, sudorazione…
Classificazione
La classificazione di angina più u4lizzata è quella proposta dalla Canadian Cardiovascular Society o
CCS, che, come avviene per quasi tuR i sintomi cardiovascolari, permeCe di suddividere l’angina in
quaCro classi:
• I CLASSE: l’angina si presenta solo per
esercizi straordinari (es. un’escursione
molto impegna4va in montagna).
• II CLASSE: l’angina si presenta per aRvità
fisica ordinaria o stress emo4vi (es. salendo
le scale rapidamente, andando in salita o
facendo più di due piani di scale).
• III CLASSE: anche aRvità rela4vamente
normali come camminare due isola4 o fare
meno di due piani di scale dà angina, quindi
si ha una forte limitazione dell’aRvità fisica.
• IV CLASSE: il paziente non riesce a fare niente, già spostarsi dal leCo a poltrona causa dolore
anginoso che può essere anche presente a riposo. C’è una completa compromissione dell’aRvità
fisica.
Ci sono diagnosi alterna4ve rispeCo al dolore toracico da angina. Esse sono molto numerose ma in
realtà non hanno tuCe la stessa importanza. Tra le più importan4 ci sono le lesioni retrosternali, tra
cui quelle legate a:
- dissezione aorQca: è una delle diagnosi più difficili in assoluto da fare e più pericolose, perché
spesso mortale. Ha caraCeris4che che spesso (ma purtroppo non nel 100% dei casi), la vanno a
dis4nguere rispeCo ad un infarto e sono:
1) l’acuzie nell’insorgenza, poiché l’infarto 4picamente ha insorgenza progressiva (da 0 il
dolore aumenta gradualmente), mentre la dissezione passa da 0 a 9-10 di dolore in un
istante, in un baRto cardiaco: questo dolore improvviso si scatena nel momento esaCo in
cui si interrompe il flap in4male dell’aorta e si crea lo strappamento della parete
endoteliale aor4ca con l’aRvazione degli algoceCori. È pertanto descriCo 4picamente
come una coltellata, pugnalata nel mezzo della schiena; è poi un dolore molto dorsale
(molto più che il dolore coronarico), a volte dipendente dai valori pressori, quindi in grado
di essere ridoCo dalla normalizzazione dei valori pressori, e spesso con possibile
irradiazione che segue la progressione dell’arco ar4co. La dissezione aor4ca dovrebbe
essere primo pensiero se si presenta un paziente con dolore toracico improvviso, ma molto
spesso sono casi più sfuma4, anche se questo rimane l’evento principale.
2) Le caraCeris4che dei polsi periferici (argomento ripreso in seguito).
- dolore esofageo: non è facile da dis4nguere dal dolore coronarico, perché l’innervazione
sensi4va della regione del cardias è quasi iden4ca all’innervazione sensi4va cardiaca, quindi la
proiezione soma4ca del dolore cardiaco e dello spasmo esofageo inferiore è simile; inoltre a
volte lo spasmo esofageo risponde alla nitroglicerina e anche a farmaci calcio antagonis4 che si
usano molto nello spasmo coronarico, quindi ha una certa difficoltà di diagnosi differenziale. In
questo caso saranno i da4 anamnesici a guidare verso la diagnosi correCa.
La dispnea
Consiste in un discomfort respiratorio che il soggeBo normalmente non dovrebbe avere, ovvero
la presenza di distress respiratorio per sforzi che individui di pari età e di pari condizioni fisiche non
hanno o che il soggeCo non aveva e inizia a soffrirne.
Chiaramente si può avere fisiologicamente distress respiratorio dopo sforzi intesi, come una lunga
corsa, e c’è anche una dispnea dovuta all’assoluta inaRvità, ma la dispnea è sempre patologica se
si presenta a riposo o in seguito ad uno sforzo minimo, indipendentemente dallo stato in cui si è.
Quando la dispnea ha causa cardiologica, la causa di gran lunga più impaCante è lo scompenso
cardiaco.
Classificazione
È classificata in quaCro classi secondo la New York Heart AssociaQon o NYHA:
• I CLASSE: assenza di dispnea se non per sforzi straordinari.
• II CLASSE: limitazione modesta all’aRvità fisica. È molto ampia e spesso a livello pra4co, ma non
codificato, viene divisa in due soCoclassi, IIa e IIb,
poiché gran parte dei pazien4 scompensa4 finirà
per essere in questa categoria di classificazione; per
IIa si intende il paziente che inizia ad avere dispnea
per aRvità come due piani e mezzo di scale, per IIb
invece si intende il paziente che inizia ad avere
dispnea per aRvità normali come un piano di scale.
• III CLASSE: limitazione marcata all’aRvità, basta
fase un’aRvità normale e si presenta dispnea.
• IV CLASSE: dispnea per qualsiasi aRvità e già a
riposo; a leCo il paziente è dispnoico.
Le palpitazioni
Sono dovute alla sensazione di avere un baRto irregolare che può essere irregolare per baR4
anormali, aggiun4, mancan4, baR4 len4 o baR4 veloci: 4picamente la palpitazione è per baR4
veloci però tuCe queste condizioni danno luogo a un sintomo di palpitazione, in cui il paziente
sente qualcosa di strano a livello del cuore.
La sincope
È un sintomo non piacevole che consiste nella perdita di coscienza transitoria e di breve durata,
dovuta generalmente al deficit di irrorazione di sangue al cervello.
Per definizione la sincope deve essere:
• ad insorgenza rapida,
• breve durata (l’incoscienza deve essere breve, pochi secondi o un minuto),
• deve avere recupero spontaneo e completo.
Le cause possibili di sincopi sono molte, può essere emo4va, da aumento della pressione
intratoracica (ad esempio un musicista che suona la tromba in piedi: riduce molto il ritorno venoso
stando in piedi e generando un’alta pressione nel torace)…
Tra le cause cardiovascolari di sincope si trovano:
• cause vascolari: neuromediata/riflessa (vasovagale, situazionale o da massaggio del seno
caro4deo) o da ipotensione ortosta4ca;
La sincope più frequente in assoluto di sincope appar4ene a questa categoria ed è la sincope
vasovagale, abitualmente benigna anche se in alcuni casi può durare molto a lungo e dare
fenomeni importan4. Essa è dovuta essenzialmente ad un riflesso di aRvazione vagale con due
componen4, una componente bradicardica e una componente ipotensiva, che 4picamente
coesistono, anche se in alcuni pazien4 prevale la componente cardiodepressiva o cardioinibitrice
rispeCo alla parte vasodepressiva. È dovuta prevalentemente all’aRvazione di meccanoceCori
all’interno del ventricolo sinistro (che si contrae quasi vuoto con enorme vigore), che scatena un
riflesso vasodepressivo e cardioinibitorio che porta alla sincope vasovagale.
Altri esempi di sincope sono:
- la sincope da ipotensione ortosta4ca, dovuta ad un’incapacità di adeguare l’omeostasi
pressoria, per esempio per incapacità dei baroceCori vasoceRvi.
- la sincope riflessa da minzione o da sindrome caro4dea. Quest’ul4ma sopraCuCo è 4pico
riscontrarla negli uomini, che, radendosi, aRvano i baroceCori del seno caro4deo, cosa che può
portare allo svenimento, oppure in seguito alla rotazione brusca della testa su un colleCo alto e
streCo o stringendo troppo la cravaCa.
L’astenia
Si definisce astenico chi è in difficoltà a fare una normale acvità.
È un sintomo potenzialmente, ma non necessariamente, correlabile a uno stato di bassa GC, quindi
di inadeguata perfusione sistemica, come in caso di insufficienza cardiaca e scompenso cardiaco,
che, oltre a dare dispnea, può anche dare astenia. Spesso infaR astenia e dispnea coesistono e
solo in rare circostanze l’asteinia può essere presente anche senza dispnea e senza un’ischemia,
cioè come sintomo da bassa portata.
Naturalmente è un sintomo generico, che può essere legato a molte altre situazioni e deve essere
iden4ficata come cardiaca solo in assenza di altre condizioni che vanno inserite nella diagnosi
differenziale, come:
• Anemia (es. Hb<7g/dl)
• Insonnia
• Se assume farmaci che possono dare astenia (x es.: alte dosi di beta-bloccan4)
• Squilibri eleCroli4ci
• Infezioni
• Endocardi4
• Turbe psichiche
• Ipo4roidismo.
2. ESAME CARDIOVASCOLARE
L’esame cardiovascolare dovrebbe collocarsi all’interno di un esame fisico completo, anche se
questo non viene normalmente faCo in reparto visitando il paziente, perché ci si concentra
sull’esame cardiovascolare isolato. TuCavia, almeno all’ingresso, il paziente deve avere un esame
obieRvo completo, poi ci si concentrerà su quello isolato.
Pertanto è importante fare inizialmente un’ispezione generale del paziente, osservando come il
paziente si presenta e facendo aCenzione ad alcuni segni par4colari: di seguito ne vengono
presenta4 due esempi.
Cianosi
La cianosi è una situazione in cui troviamo colorito bluastro-violaceo di pelle e mucose, 4pica
conseguenza di un'insufficiente quan4tà di ossigeno nel sangue.
È caraCerizzata da:
• una concentrazione di emoglobina deossigenata nei capillari sanguigni > 5 g/dl (con riduzione
dell'Hb ossigenata); questo è considerato il valore cri4co per vedere con facilità la cianosi. Per
questo l’insorgenza di cianosi è facilitata dalla poliglobulia: avrà più facilità ad avere cianosi il
paziente poliglobulico che anemico, perché se si ha saturazione venosa centrale del 66% si può
avere cianosi anche con 15 di Hb, essendo sufficiente una quota di emoglobina deossigenata pari
a 5g/dl per avere questa colorazione ciano4ca; quindi basta una saturazione rela4va dell’Hb a
livello venoso meno importantemente depressa per avere questo fenomeno nel poliglobulico.
• un rallentamento del circolo periferico (stasi venosa), con conseguente aumento della
desaturazione;
• un aumento della concentrazione dei derivaQ dell'emoglobina (es. metaemoglobina) nel leCo
capillare.
La cianosi è associata ad uno stato di ipossia cronica che si verifica in un’ampia varietà di
condizioni, molte delle quali sono pericolose per la vita:
• Cianosi dovuta ad un’alterazione centrale: è dovuta ad un problema polmonare o a un difeCo da
shunt destro-sinistro, che può essere dato, per esempio, dalla stenosi di un’arteria polmonare,
che determina aumento pressione nel cuore dx e quindi anche in atrio dx che porta, a lungo
andare, al cedimento del se.o e formazione di uno shunt;
• Cianosi dovuta ad alterazione periferica: è il risultato di una difeCosa perfusione a livello
periferico, più spesso questa è dovuta da una vasocostrizione periferica per bassa portata
cardiaca o per permanenza al freddo. Anche nello scompenso c’è vasocostrizione periferica,
poiché il poco sangue che il cuore pompa l’organismo cerca di dirigerlo agli organi nobili
(cervello, cuore, reni), a scapito di muscoli e cute.
Ispezione
All’ispezione si può valutare l’iBo della punta: infaR in una persona con un normale soCocute
normalmente non viene visto, quindi, a meno che il soggeCo non sia cacheRco, quando è visibile è
tendenzialmente sempre patologico.
SopraCuCo se dislocato o sollevato è un segno di ingrandimento del ventricolo sinistro, che
quand’anche non riscontrato all’ispezione, è certamente riscontrabile alla palpazione.
Il calcolo va faCo genericamente con il busto un po’ inclinato, perché se si sta perfeCamente
orizzontali è normale avere le giugulari piene. La PVC in cava superiore e in atrio di destro è
tendenzialmente intorno a 2-8 cmH2O, quindi la colonna idrosta4ca che origina dall’atrio di destra
deve risalire per circa 2/8 cm nella giugulare.
Per fare questo calcolo si prende un righello e lo si appoggia in corrispondenza dell’angolo sterà le
o angolo del Louis, si prende la tangente al peCo condoCa dal punto più alto della giugulare in cui
è ancora percepibile la pulsazione fino al righello; il valore in cm indicato sul righello nel punto di
incontro tra il righello e la linea rappresenta un’indicazione della pressione venosa centrale, che
non deve essere superiore agli 8 cm: dall’altezza indicata sul è possibile ipo4zzare l’altezza di
riempimento della vena giugulare.
È importante fare una precisazione: in realtà l’angolo del Louis non corrisponde esaCamente alla
posizione dell’atrio, che dovrebbe essere il punto di partenza della colonna idrosta4ca e rispeCo al
quale si dovrebbe calcolare la PVC, ma l’atrio è leggermente più in basso (5 cm); per questo al
risultato vengono aggiun4 5 cm di correzione.
Ci sono anche dei sistemi per calcolare la posizione dell’atrio prendendo la parete toracica
posteriore e anteriore: grossolanamente di può dire che a distanza tra atrio e angolo sternale è la
metà del diametro trasversale del torace, quindi il punto più o meno di mezzo dovrebbe essere
quello dell’atrio; ovviamente in un bambino o in un soggeCo obeso questa distanza sarà diversa.
Questa è la distanza tra atrio, da cui parte la misurazione della PVC e deve essere di quello valore.
Nel calcolo della PVC con cateterismo, invece, la pressione è misurata in mmHg, l’equivalenza con i
cmH2O è la seguente:
1 cmH2O=0,74 mmHg; 1 mmHg=1,36 cmH2O
Palpazione
Con la palpazione si va a valutare l’iBo e normalmente l’iCo deve essere al quinto spazio e
sull’emiclaveare sinstra, non più giù e non più lateralmente: se si sente l’iCo oltre questa sede è
patologico e nel 90% abbondante dei casi è dovuto ad un ingrandimento del ventricolo sinistro e,
in ques4 casi, l’iCo sarà anche ampio e sollevante.
Dalla palpazione si riesce anche a sviluppare diagnosi di aneurisma e discinesia dell’apice: in sistole
l’apice dovrebbe retrarsi e invece, in queste condizioni patologiche, in sistole si sente il cuore che si
alza e se c’è un aneurisma si alza a ogni sistole.
Il polso può essere anche aumentato (polso ipercineQco) e una 4pica causa cardiaca di polso
ampio è l’insufficineza aorQca, in cui la pressione differenziale tra sistole e diastole è molto
aumentata e quindi c’è un polso molto importante che può avere degli effeR collaterali importan4
e anche visibili osservando il paziente.
Una patologia associata ad insufficienza aor4ca è la sindrome di Marfan: questa malaRa può
infaR portare ad un’insufficienza anche molto grave, con conseguentemente un polso molto
marcato, a tal punto da determinare un’oscillazione del corpo ad ogni baRto.
A 4tolo esemplifica4vo, viene presentato un’esempio storico: si ri6ene che Benjamin Franklin fosse
affe.o proprio da sindrome di Marfan. Questa deduzione è stata possibile dall’osservazione di
alcune foto dell’epoca, che sfru.avano come tecnica fotografica i dagherro6pi, che per poter
imprimere l’immagine necessitavano di un tempo di esposizione di alcuni secondi, in cui il sogge.o
doveva stare perfe.amente fermo. Tu.avia questo era impossibile per un sogge.o con sindrome di
Marfan, insufficienza aor6ca associata e rela6ve oscillazioni del corpo per il polso molto ampio:
questo sarebbe il mo6vo per il quale nelle foto Franklin, che posava con le gambe accavallate,
appare sempre con la punta della scarpa sfocata a livello della gamba sollevata, poiché il suo piede
oscillava ad ogni baVto, dimostrando in questo modo la diagnosi.
Un’altra condizione che può essere associata a insufficienza aor4ca è storicamente la sifilide (o
lue), nella quale si può riscontrare il cosiddeCo segno di De Musset: è un segno di insufficienza
aor4ca ancora più marcata, che porta addiriCura ad un’oscillazione del capo ad ogni baRto.
Il segno deve il suo nome a De Musset, un le.erato del 1800, noto frequentatore delle case di
tolleranza dell’epoca e per avere una grave forma di sifilide che gli determinò un’insufficienza
aor6ca che, si racconta, gli determinava una marcata oscillazione del capo ad ogni baVto.
Il polso ampio non è esclusivo dell’insufficienza aor4ca, ma si può riscontrare polso aumentato
anche in altre condizioni, come in situazioni di aumentata rigidità arteriosa, quindi in situazioni di
aterosclerosi e ipertensione, oppure in situazioni di basse resistenze periferiche, come in
situazioni di febbre, 4reotossicosi...
Velocità di polsi
In questo contesto la presenza di un ritardo o di un an4cipo rispeCo al secondo tono aiuta a
determinare velocità del polso.
Un polso celere è un polso molto brusco nella sua comparsa e scomparsa, che arriverà poco dopo
il secondo tono, e anch’esso può essere correlato a un’insufficienza aor4ca.
Un polso tardo è un polso che arriva tardivamente rispeCo al secondo tono cardiaco, 4pico della
nella stenosi aor4ca.
Auscultazione
All’auscultazione si valutano i toni e i soffi cardiaci.
I toni cardiaci
• Secondo tono o S2: udito in corrispondenza della chiusura delle valvole semilunari, che avviene
quando la pressione nel ventricolo scendono al di soCo rispeRvamente della pressione in aorta
e in arteria polmonare quando inizia la fase di rilasciamento isovolumetrico.
A differenza del primo tono, il secondo è formato da due componen4 che sono un pochino più
separate tra loro, ovvero in condizioni normali la componente aor4ca precede leggermente la
componente polmonare, che può essere percepita separatamente, come uno sdoppiamento del
secondo tono. Questo sdoppiamento può essere fisiologico o patologico.
Lo sdoppiamento fisiologico è quello presente in inspirazione: nei giovani, in cui si sente bene il
cuore e in cui spesso la componente polmonare è un po’ più tradiva rispeCo alla componete
aor4ca, il respiro molto profondo riesce a variare la meccanica del sistema destro rispeCo al
sistema sinistro e in inspirazione si avrà uno sdoppiamento del secondo tono. Al termine di una
visita cardiologica da un soggeCo giovane, sul referto si troverà scriCo: “sdoppiamento del secondo
tono variabile con il respiro”.
Invece, fisiologicamente, in espirazione progressivamente le due componen4 si avvicinano fino a
fondersi completamente, quindi si sen4rà un tono singolo, dovuto alla sommatoria delle
componen4 aor4ca e polmonare.
Esistono situazioni patologiche in cui il secondo tono è sdoppiato in modo non variabile con il
respiro, ovvero quando l’inspirazione profonda non è in grado di variare in maniera differenziale il
riempimento del cuore destro rispeCo al riempimento del cuore sinistro e questo avviene quando
vi è una comunicazione a livello degli atri. Proprio per questo mo4vo è possibile fare diagnosi di
difeCo interatriale da un’aCenta auscultazione: infaR ciò che si verifica in questa condizione è uno
sdoppiamento fisso del secondo tono con incapacità delle variazioni respiratorie di variare la
distanza tra la componete aor4ca e la componente polmonare, perché tanto più sangue arriva a
destra tanto più sangue passa a sinistra e viceversa (per la presenza di un ampio difeCo
interatriale).
Altre condizioni patologiche in cui si registra uno sdoppiamento anomalo sono i blocchi di branca:
- La presenza di un blocco di branca destro tende ad aumentare lo sdoppiamento: siccome la
componete polmonare è la seconda, se l’aRvazione ventricolare destra è ritardata dal blocco di
branca, il ventricolo destro si contrae un po’ tardivamente e di conseguenza viene enfa4zzato lo
sdoppiamento del tono.
- La presenza di un blocco di branca sinistro tende a produrre uno sdoppiamento paradosso:
rallentando l’aRvazione ventricolare sinistra si avrà una tendenziale fusione delle due
componen4, con sdoppiamento paradosso, ovvero opposto rispeCo alla condizione normale,
del secondo tono. La compente aor4ca, infaR, in questo caso è ritardata e, anziché precedere,
può seguire la componente polmonare, quindi in inspirazione le due componen4 si avvicinano e
si fondono, mentre in espirazione la componente polmonare si allontana dalla componente
aor4ca che è ritardata, determinando uno sdoppiamento paradosso in fase telespiratoria.
Il secondo tono si sente con lo stetoscopio con una frequenza del diaframma intorno ai 50 Hz,
quindi anch’essa rela4vamente alta.
Toni aggiun1
Nel fonocardiogramma si possono vedere altri due possibili toni, il terzo e il quarto.
- Il terzo tono o S3 pur essendo ancora potenzialmente normale nel giovane, è tendenzialmente
patologico nel paziente non più giovane ed è un segno importante di scompenso cardiaco. È un
tono protodiastolico, dovuto alla rapida decelerazione del flusso nella fase di riempimento
rapido diastolico; sarò quindi udibile subito dopo S2 (quindi l’intervallo S2-S3 è più breve
dell’intervallo S1-S2, a meno che il soggeCo non sia gravemente tachicardico).
Si sente generalmente meglio all’apice o al mesocardio ed ha una frequenza più bassa
frequenza, intorno ai 20 Hz, quindi con lo stetoscopio tradizionale doppio si sente meglio con la
campana rispeCo al diaframma.
- Il quarto tono o S4 è invece un tono telediastolico o protosistolico, che an4cipa S1, è meno
frequente da sen4re e si può auscultare all’apice ed è sempre patologico, raramente sommato a
S3 a determinare un ritmo di galoppo di sommazione.
La presenza di ques4 toni aggiun4 determina un ritmo che viene deCo ritmo di galoppo. Il galoppo
è un ritmo patologico tranne che nel giovane.
Il galoppo può essere definito come Kentucky o Tennessee con riferimento alla cadenza del ritmo:
• Il galoppo da S3 è il galoppo Tennessee, caraCerizzato dalla vicinanza tra il scendono tono e il
tono aggiunto. È il più frequente da auscultare.
• Il galoppo da S4 è il galoppo Kentucky, caraCerizzato da una spaziatura più importante dei toni,
poiché il tono aggiunto è telediastolico.
I soffi
Si verificano quando il flusso da laminare diventa turbolento.
Dei soffi si possono definire alcune caraCeris4che:
• Timing rispeCo al ciclo cardiaco: sistolico o diastolico;
• Intensità: il soffio è 4picamente valutato in ses4: il 90% dei soffi che vengono riscontra4 in clinica
sono soffi 2/6 o 3/6 e raramente 4/6, perché il soffio 1/6 è molto difficile da sen4re, mentre i
soffi 5/6 e 6/6 non esistono più perché il paziente non arriva da avere un soffio che si sente
arrivando al leCo del paziente, senza quasi dover visitare il paziente.
• Frequenza;
• Forma: che può essere in crescendo, decrescendo, a plateau e a diamante, nastriforme;
• Qualità: può essere armonica e musicale, soffiante, aspra, dolce, squiCente, a grido di
gabbiano…
• Durata: può essere protosistolico o protodiastolico (nel primo intervallo dei due even4),
mesosistolicoo mesodiastolico (nel secondo intervallo dei due even4), telesistolico o
telediastolico (nel terzo intervallo dei due even4), olosistolico e olodiastolico (per tuCa la durata
dell’evento);
• Irradiazione: può variare. Dalla differenza delle sedi di irradiazione si può capire, ad esempio, se
un soffio sistolico è da stenosi aor4ca o da insufficienza mitralica: nel caso più comune di soffio,
ovvero la stenosi aor4ca, si irradia alla base del collo verso le arterie caro4di, mentre il soffio
dell’insufficienza mitralica, a seconda di quale lembo è interessato, si irradia più verso l’ascella. Il
soffio difeCo interventricolare invece irradia 4picamente verso la regione parasternale ed ha
caraCeris4che aspre;
• Risposta a manovre dinamiche.
Soffi aor1ci
Soffio da stenosi aorQca: è un soffio sistolico a diamante, ben udibile alla base del cuore, irradiato
al giugulo e ai vasi del collo, ovvero alle caro4di comuni lateralmente al collo, quindi sarà ben
udibile a livello della caro4de destra.
Questo soffio è molto spesso associato ad alcuni segni:
- polso tradivo e agli altri segni.
- aumento di S2
SopraCuCo nell’anziano, in cui la valvola aor4ca è calcifica, si avrà la combinazione di polso tardivo,
soffio sistolico irradiato al giugulo e S2 aumentato e si potrà facilmente fare diagnosi di stenosi
aor4ca calcifica già dall’auscultazione.
È un soffio rude da grande turbolenza su valvola calcifica.
Soffio da insufficienza aorQca: è un soffio diastolico in descrescendo, che parte con il secondo
tono. Lo si sen4rà bene più in basso rispeCo al soffio da stenosi aor4ca, lungo la linea
marginosternale destra a livello del terzo/quarto spazio intercostale e sarà un soffio più musicale e
più dolce.
È un soffio udibile nell’insufficienza aor4ca marfanoide (vedi Franklin).
Soffi mitralici
Soffio da insufficienza mitralica: è un soffio sistolico, tendenzialmente in decrescendo (sopraCuCo
se la valvola perde dall’inizio della sistole), a meno che non sia mesosistolico e questo accade ad
esempio in caso di prolasso valvolare mitralico in cui la valvola inizia a perdere non subito all’inizio
della sistole ma più tardivamente. Tipicamente si irradia verso la regione ascellare, quindi sarà ben
udibile a livello del cavo ascellare sinistro.
Il soffio può avere caraCeris4che un po’ diverse a seconda di quale dei due lembi (anteriore o
posteriore) è coivolto; il soffio da insufficienza mitralica si presenta più frequentemente in seguito
a perdita degli scallops centrali del lembo posteriore 4picamente del lembo posteriore scallop T2, il
4pico soffio da insufficienza mitralica in seguito a perdita degli scallop centrali del lembo
posteriore.
3. ELETTROCARDIOGRAMMA
Viene solo accennato dal professore che invita, pertanto, a rivedere l’argomento in autonomia.
Si ricorda solo che il posizionamento delle derivazioni prende come riferimento il triangolo di
Heintoven per le derivazioni frontali, mentre le derivazioni a livello precordiale, da V1 a V6,
esplorano il cuore sul piano orizzontale.
L’asse eleCrico principale, dovuto alla posizione in cui punta l’apice cardiaco è 4picamente tra V3 e
V4: questa è la cosiddeCa transizione rs, in cui si passa dall’avere un’onda S prevalente nel tracciato
ad avere un’onda R prevalente.
- Se c’è una transizione precoce, V1-V2, c’è la rotazione an4oraria sul piano sagiCale precordiale,
- Se c’è una transizione ritardata, V5-V6, c’è la rotazione oraria sul pianvo sagiCale precordiale.
aVR aVL
aVF
4. RADIOGRAFIA DEL TORACE
Radiografia in proiezione anteroposteriore o AP
La radiografia del torace in anteroposteriore fa vedere i classici archi cardiaci:
• due archi destri:
1. dalla vena cava superiore (arco superiore destro),
2. dall’atrio destro (arco inferiore destro).
L’arco superiore destro è pertanto rappresentato dal limite medias4nico del cuore,
prevalentemente dovuto alla cava superiore ed in parte all’arteria polmonare di destra, mentre
l’arco inferiore destro è dato dal limite inferiore del cuore, prevalentemente rappresentato dal
confine dell’atrio di destra.
La tricuspide ha un anello molto grande, mentre l’anello mitralico è più tondeggiante. È poi visibile
l’anello aor4co.
A par4re dalla conoscenza delle proiezioni è possibile risalire, in presenza di protesi alla
radiografia, quale valvola riguardi.
Nell’immagine si può anche vedere una radiografia con un soggeCo che ha assunto un pasto
baritato, che permeCe di visualizzare l’esofago: la dislocazione dell’esofago, come in questo caso, è
segno di dilatazione del cappuccio aor4co, tanto maggiore quanto più l’esofago è dislocato.
Si vedono che gli archi.
La seguente parte è stata accennata velocemente perché verrà ripresa nel corso delle lezioni, ma
siccome l’argomento è stato presentato in maniera più de.agliata lo scorso anno, riporto per
completezza quest’ul6ma parte.
5. ESAMI DI LABORATORIO
Gli esami di laboratorio sono importan4 da mol4 pun4 di vista. Alcuni degli esami più importan4
sono:
• marker infiammatori (conta leucocitaria, proteina C reaRva, velocità di eritrosedimentazione
VES). Essi sono importan4 perché, come sappiamo, una situazione infiammatoria fa da faCore
destabilizzante per le placche aterosclero4che. Di conseguenza, l’infiammazione può portare alla
comparsa di sindrome coronarica acuta. InfaR, i markers infiammatori sono 4picamente
aumenta4 in caso di Infarto miocardico e di necrosi miocardica.
• markers di necrosi miocardica (TnT, TnI, CK-MB, LDH): sono ad oggi considera4 i market cardiaci
più sensibili e informa4vi.
• D-dimero (alto VPN per Tromboembolia),
• BNP/NTproBNP che viene usato come markers di stretch della parete atriale e ventricolare.
1. Ecocardiografia
L’ecocardiografia consiste nell’u4lizzo di ultrasuoni per lo studio dell’anatomia e della funzione del
cuore.
L'ecocardiogramma può essere faCo a livello
basale, transtoracica, per via transesofagea
oppure può essere effeCuato soCo stress come
test provocatorio.
Il suo vantaggio quindi è quello di essere una
tecnica veloce e non invasiva, per questo mo4vo
l’ecocardiografia può essere anche ripetuta più
volte.
Importante per misurare lo spessore della parete
cardiaca, la misura cardiaca, la frazione
d’eiezione, i gradien4 pressori con l’effeCo
Doppler, la morfologia delle valvole e altri
parametri.
È possibile visualizzare bene le quaCro camere o delle due camere, in base alla proiezione.
2. Cateterismo cardiaco
L’angiografia coronarica è una procedura invasiva che
permeCe di visualizzare le arterie coronarie.
Invece che u4lizzare la via femorale, per correre meno
rischi di provocare emorragie, da qualche anno per
quasi tuCe le angiografie si u4lizza la via brachiale,
quindi si arriva all’arco aor4co e si incanulano le
coronarie un agente di contrasto iodato e con un
“amplificatore di brillanza” (tubo radioscopico)
andiamo a visualizzare le coronarie. La visualizzazione
delle coronarie consente il traCamento percutaneo
della patologia coronarica nella stessa sede
dell’intervento diagnos4co e di procedere alla terapia,
dove si cerca abitualmente di dilatare e riaprire ques4
vasi ristreR piazzando uno stent a livello coronarico.
ARTERIA CORONARIA SINISTRA
Dal tronco comune (le{ main, LM) vediamo una biforcazione quasi immediata (6 cm), in arteria
coronaria circonflessa, che poi passa nel solco atrioventricolare producendo dei rami marginali che
si dirigono verso la parete laterale e diaframma4ca, e ramo discendente anteriore che va fino alla
punta passando nel solco interventricolare irrora: gran parte del ventricolo sinistro, la parete
anteriore e antero-apicale, l’apice, produce anche dei rami diagonali, per la parete laterale del
cuore, e rami seCali, prevalentemente perforan4.
3. Studio EleBrofisiologico
Lo studio eleCrofisiologico comprende la registrazione dell’aRvità eleCrica dall’interno del cuore
tramite l’inserimento di uno o più cateteri all’interno del cuore con un approccio percutaneo per
via venosa sopraCuCo a livello del cuore di destra (raro un approccio al cuore di sinistra). Essa è
una procedura moderatamente invasiva. È u4le sopraCuCo per andare ad individuare, studiare e
valutare l’inducibilità delle aritmie (sia atriali che ventricolari) anche tramite l’inserimento di
extras4moli, quindi di baR4 ectopici indoR dalla s4molazione della macchina tramite una
procedura chiamata “S4molazione ventricolare programmata”. È poi u4le anche per fare
l’ablazione trans-catetere del substrato anatomico che soCostà all’aritmia (tecnica che consente di
interrompere i circui4 aritmici danneggiando il cuore con la radiofrequenza).
4. Medicina nucleare
Negli ul4mi quindici anni questa branca della medicina ha acquisito una maggior importanza (in
Italia non è mai stata molto diffusa come in Inghilterra).
La medicina nucleare ci consente, tramite l’iniezione di un farmaco radioaRvo nel torrente
circolatorio, di andare a valutare l’en4tà del flusso coronarico. Questo perché si viene a creare un
legame tra i globuli rossi e il farmaco radioaRvo e questo fa sì che si distribuisca radioaRvità
proporzionalmente al flusso coronarico. Si può fare un’analisi SPECT (Single Photon Emission
Computed Tomography), ovvero un’analisi tomografica della valutazione con strisce di funzione in
termini spaziali abbastanza buona di una radioaRvità che viene rilevata con una gamma-camera
che rileva segnali prodoR dal tracciente radioaRvo. Questo ci consente di vedere sia le camere
cardiache sia il movimento di esse stesse.
In questo esempio di una scin4grafia miocardica perfusionale di 4po SPECT. Nella prima immagine
(con asse lungo orizzontale) si vede come il ventricolo di dx sia molto meno perfuso (colore blueCo
= prima intensità di segale) rispeCo al ventricolo di sx (4pico “ferro di cavallo” che si vede in un
asse lungo orizzontale).
L'asse lungo ver4cale (terza immagine) trova anch’esso una forma a“ferro di cavallo” che
normalmente (come nell’immagine) si presenta con una parte un po’ più corta.
L'asse corto (seconda immagine) rappresenta una sezione di taglio del cuore, e di conseguenza
avremo una conformazione a “ciambella” che rappresenta il ventricolo sinistro. Essa può sembrare
apparentemente disomogenea, ma queste alterazioni sono ancora fisiologiche. Generalmente
quello che si fa è un paragone tra la distribuzione a riposo e una distribuzione da sforzo:
4picamente un pz infartuato avrà un difeCo di perfusione irreversibile, oppure un paziente
un'ischemia perinfartuale potrà avere una combinazione tra un difeCo di perfusione irreversibile
nella zona di necrosi e un alone di difeCo reversibile nelle sue vicinanze.
Quando si decide di fare una SPECT cardiaca?
Essa è sostanzialmente uno dei test
provoca4vi preferi4 e più poten4, fino alla
recente introduzione della TC coronarica. È
u4le sopraCuCo quando i test di sforzo
tradizionali (monitoraggio ECGgrafico
durante uno sforzo in bicicleCa) non sono
concluden4, avendo una specificità e una
sensibilità decisamente minore rispeCo a
una SPECT. Quindi nel caso di un ECG poco
valutabile, dubbio o non valutabile (per
esempio in presenza di un blocco di branca
sinistro completo) ecco che propenderemo
per l’esecuzione di una SPECT.
Quali sono oggi le indicazioni 4piche per l’esecuzione di una TAC del cuore?
Fare una valutazione del calcio come stra4ficatore di rischio coronarico (Calciumscore) che ci dà
un’idea grossolana sulla probabilità di essere di fronte ad una coronaropa4a.
Se la probabilità di andare incontro a coronarografia e angioplas4ca è alta, tanto vale
faredireCamente la coronarografia. Se invece questa probabilità è bassa, è certamente
menoinvasivo (e oggi sempre più quasi paragonabile) fare una tac coronarica.
Di anno in anno sono sempre più i pazien4 che invece della coronarografia fanno la tac coronarica,
perché la precisione del segnale sta aumentando in maniera importante.
Si può ancora usare la core-TC per la valutazione della presenza dimalaRe del pericardio,
anomaliecoronariche (spesso mal visualizzate da una coronarografia tradizionale), neoplasie e
calcificazioni, anomalie delle vene polmonari, malaRe dell’aorta, presenza di bypass coronarico, le
dimensioni delle valvole aor4che...
La RM cardiaca è probabilmente l’esame più sofis4cato e abbastanza essenziale per chi non abbia
controindicazioni. A tal proposito uno svantaggio dell’RM è che non può essere u4lizzata in
presenza di protesi magne4che impiantate (come defibrillatori) o protesi ferree (quindi con
contenuto di metalli magne4ci).
La risonanza magne4ca però comprende tuCa una serie di benefici come l’assenza di radiazioni e la
non invasività.
È il sistema più preciso per vedere il cuore.
Nel caso della RM l’asse lungo può essere suddiviso in: asse lungo 2 camere o asse lungo 4 camere.
L'asse corto mostra anche qui una “ciambella”.
ACraverso l’RM essa si possono vedere sia le immagini sta4che che il movimento delle varie
struCure, questo permeCe anche la ricostruzione dei flussi in una certa misura. La risonanza
magne4ca è il gold standard per la definizione della cinèsi, in par4colare nelle zone che non sono
ben accessibili all’ecocardiogramma, come l’apice o l’intero ventricolo destro. Per misurare un
volume e quindi una frazione di eiezione, il ventricolo sinistro ha una forma ogivale e questa
permeCe di fare una s4ma con efficacia. Invece è enormemente più complicato definire i diametri,
ma sopraCuCo i volumi e la frazione di eiezione, del ventricolo destro da un ecocardiogramma.
La risonanza magne4ca cos4tuisce la possibilità di vedere tuR i piani e ricostruire con perfezione
tuCe le volumetrie. Si prefigura come un esame di terzo livello, vis4 i suoi cos4 e la sua lunghezza
viene u4lizzato per i pazien4 che ne abbiano un’indicazione.
L’angiorisonanza (estenzione della RM cardiaca) è u4le per andare a valutare patologie dell’aorta e
fondamentale per studiare le anomalie delle cardiopa4e congenite.
Ci sono delle sequenze specifiche che non dobbiamo sapere nel deCaglio, bas4 sapere che sono
sequenze adaCe per vedere il grasso, i fluidi (edema)... e quindi hanno molta importanza per
vedere infiammazione, miocardite, patologie da accumulo (per esempio l’amiloidosi).
Clinica e Patologia del Torace – Lezione 3 – 07/03/2022 – Prof. De Ferrari (Irene Vaccaneo, Marina Perrucci)
Il sistema elettrico cardiaco è costituito dal nodo del seno atriale, la zona di origine del pacemaker fisiologico
del cuore dove origina lo stimolo che si trova alla giunzione tra la vena cava superiore e l’atrio di destra, dalle
vie preferenziali di congiunzione interatriale che sono delle più veloci di congiunzione del segnale che
giungono al filtro del nodo atrioventricolare, parte inferosettale a livello della giunzione atrioventricolare.
Sotto il nodo atrioventricolare è presente il tratto comune con il fascio di His con successiva separazione nelle
due branche, destra e sinistra. A sua volta la branca di sinistra tende a dividersi in fascicolo anteriore e
posteriore.
ECG
L’onda P è la depolarizzazione dell’atrio, QRS è la depolarizzazione del ventricolo, dopodiché c’è silenzio
elettrico successivo alla depolarizzazione, poi ripolarizzazione.
La polarità della depolarizzazione e della ripolarizzazione è la stessa.
Come mai la depolarizzazione (polarità che va verso il negativo convenzionalmente) e la
ripolarizzazione hanno la stessa polarità all’ECG?
La ripolarizzazione segue un fronte d’onda che è opposto a quello della depolarizzazione. La
depolarizzazione, che parte dal Purkinje, va dall’endocardio all’epicardio mentre la ripolarizzazione
va dall’epicardio all’endocardio dunque pur essendo la polarità del meccanismo elettrico inversa
anche il fronte d’onda è inverso dunque nella maggior parte delle derivazioni la polarità dell’onda t
è uguale alla polarità del qrs.
ARITMIE CARDIACHE
Le aritmie cardiache si distinguono in Bradiaritmie e tachiaritmie.
LE BRADIARITMIE
Le Bradiaritmie sono situazioni in cui la frequenza cardiaca è inferiore ai 60 bpm. Non sempre la bradiaritmia
è una condizione patologica come nel caso di bradicardia sinusale in un atleta.
In una situazione di bradicardia bisogna vedere se si è in presenza di una bradicardia ritmica o aritmica, cioè
se l’intervallo RR sia regolare o irregolare. Successivamente bisogna identificare la fisiopatologia della
bradiaritmia distinguendo tra patologie che sono dovute prevalentemente alla alterata formazione
dell’impulso che se si forma nel nodo del seno che porterà a malattie del nodo del seno o delle immediate
circostanze (bradicardia sinusale e arresto sinusale), e anomalie dovute ad un disturbo della conduzione
senoatriale o atrioventricolare, ovvero un blocco atriale o atrioventricolare che può, poi, essere
soprahissiano o sottohissiano.
Arresto sinusale
L’arresto sinusale, diversamente dalla bradicardia sinusale vista negli atleti, è l’assenza di generazione
dell’impulso all’interno del nodo del seno.
Le cause possono essere:
- Malattia del nodo del seno (sick sinus syndrome): spesso è inquadrata in una malattia più ampia, la
malattia atriale
- Aumentato tono parasimpatico associato ad una riduzione del tono simpatico che porta ad uno
squilibrio della bilancia simpatico-vagale
- Ischemia : la prima ramificazione dell’arteria coronaria destra prossimale è l’arteria del nodo del seno,
un’occlusione dell’arteria coronaria destra prossimale può causare una ischemia a livello del nodo del
seno che può portare all’origine di un arresto sinusale
- Farmaci
- Disequilibri elettrolitici : ad esempio una gravissima iperpotassiemia può dare problemi a livello della
generazione dell’impulso oppure può dare alterazione del sodio essendo correlato alla corrente del
sodio.
Il rischio non è alto perché, in assenza di un ritmo sinusale, siamo dotati di pacemaker sussidiari, cioè centri
cardiaci che sono in grado di prendere il comando in presenza di una disfunzione del nodo del seno. Vengono
chiamati ritmi vicarianti, centri che vicariano la disfunzione del nodo del seno (gerarchicamente più in alto
nella conduzione dell’impulso).
Nell’immagine sottostante sono rappresentati il blocco di secondo grado di tipo 1 (sopra) e di tipo 2 (sotto).
Il blocco di seconda grado di tipo 1 è anche detto con periodismo di Luciani Wenckebach, cioè si assiste a un
progressivo allungamento del tempo di conduzione sino al manifestarsi del blocco e dopodiché si riparte con
la sequenza esattamente uguale a prima del blocco. Si possono avere dei blocchi seno-atriali così come atrio-
ventricolari che possono essere 5 a 4, 4 a 3, 3 a 2. Nell’immagine sopra si ha una conduzione 5 a 4 che significa
che ci sono 5 impulsi del nodo del
seno, 4 arrivano a destinazione e uno viene bloccato.
S è il nodo del seno che è una presenza virtuale perché non è visibile all’elettrocardiogramma di superficie, A
è l’atrio ed è visibile all’ECG di superficie come onda P, la barra obliqua (che collega S e A) nel ladder diagram
(diagramma a scala) è il tempo ed è obliqua perché è necessario un certo tempo di conduzione seno-atriale.
La barra rappresentante il tempo diventa più obliqua quando ci mette più tempo.
Il primo ladder diagram indica un blocco di secondo grado di primo tipo o Meobitz 1, il secondo digramma
rappresenta un blocco di secondo grado di secondo tipo o Moebitz 2.
*
Dal momento che nell’ECG di superficie non vediamo il nodo del seno ma direttamente il momento in cui si attiva l’atrio, diamo
per definizione che l’attivazione del pacemaker seno atriale sia di 1 secondo o 1000 ms al battito (come fosse un metronomo).
BLOCCO ATRIO-VENTRICOLARE
Il blocco atrio-ventricolare è una conduzione per cui sono presenti onde P non seguite da QRS. Si può
classificare in:
• Blocco di primo grado: caratterizzato da un rallentamento nella conduzione dell’impulso atriale
al ventricolo, si ha un allungamento del tempo di conduzione. È visibile all’ECG di superficie,
vedremo l’atrio e, quindi l’intervallo PR che si allunga. Tutti gli impulsi raggiungono il ventricolo
con un PR maggiore di 200 ms
• Blocco di secondo grado: alcune onde P vengono condotte, mentre altre no
• Blocco di terzo grado: blocco atrio-ventricolare completo, quindi nessuna onda P viene
condotta.
Il blocco AV di secondo grado, come il blocco SA, è a sua volta diviso in:
- Tipo 1: se c’è un progressivo aumento della conduzione atrio-ventricolare fino ad arrivare al
blocco AV, quindi intervallo PR si allunga progressivamente fino a quando si blocca e poi
riprende con PR più corto
- Tipo 2: se la conduzione AV è stabile fino al momento del blocco, quindi gli intervalli PR sono
tutti uguali e ce ne è uno che salta.
Abbiamo, poi, due condizioni particolari di blocco di secondo grado:
- Blocco 2:1 : non è né un blocco di tipo 1 né blocco di tipo 2 perché non avendo la sequenza 3 a
2 non possiamo vedere se il tempo di conduzione si allunghi o no. Poiché c’è un’enorme
differenza prognostica tra blocco di primo tipo e di secondo tipo, si consiglia di cercare di
trasformare il blocco 2:1 in un blocco 3:2 ad esempio con manovre di tipo autonomico in modo
da capire il tipo di blocco con le associate conseguenze sull’interpretazione fisiopatologica e sul
rischio di progressione del blocco e quindi di necessità di impulso elettrico esterno dal
pacemaker
- Blocco di alto grado : quando si hanno due o più P consecutive non condotte (non è
necessariamente un blocco di terzo grado perché ci possono essere delle P che riprendono la
conduzione).
Nella figura è mostrato uno studio elettrofisiologico endocavitario. Le onde sulla sinistra corrispondono agli
atri, mentre le onde sulla destra corrispondono ai ventricoli. Se ci focalizziamo su un singolo catetere
endovenoso posizionato, passando dalla vena cava inferiore , nell’atrio con la punta a livello della giunzione
atrioventricolare e quindi sotto la valvola tricuspide a ridosso del lembo settale della tricuspide, vedremo (in
corrispondenza della freccia rossa) l’onda corrispondente alla depolarizzazione rapida del fascio di His. Il
catetere registrerà l’onda A (atriale), l’onda H (registrazione endocavitaria del fascio di His) e l’onda V
(ventricolare).
Si ha , dunque, la registrazione del fascio di His, registrato per la prima volta nel 1969 a Miami da Benjamin
Sherlag.
Possiamo notare come l’intervallo AV sia, in realtà, determinato da due sotto intervalli: l’intervallo di
conduzione soprahissiano o AH e l’intervallo di conduzione sottohissiano o HV.
Si può verificare se vi è un rallentamento della conduzione soprahissiano o sottohissiano.
L’intervallo AH è normalmente compreso tra 60 e 125 ms.
L’intervallo HV è normalmente compreso tra 35e 55 ms.
Quando il tempo di conduzione è prolungato avremo un blocco soprahissiano se AH>125 ms o un blocco
sottohissiano se HV>55 ms.
ECG: BLOCCO ATRIO-VENTRICOLARE DI PRIMO GRADO
Nell’immagine si vede onda P, sinusale, ritmo bradicardico. L’intervallo, però, è molto lungo, di solito può
essere di un quadratino ovvero 200ms, qui, invece è di 400 ms. L’intervallo molto prolungato ci permette di
diagnosticare un blocco AV di primo grado che può essere sopra o sotto hissiano. Le cause possono essere
l’aumento del tono vagale, ischemia, farmaci e problemi di conduzione.
Il blocco di secondo grado di tipo 1 è nella gran parte dei casi (5 casi su 6) un blocco soprahissiano.
Il blocco di secondo grado di tipo 2 è sempre un blocco sottohissiano.
Il blocco 2:1 è spesso soprahissiano (80% dei casi).
Il blocco di alto grado può essere entrambi i blocchi, ma è maggiormente sottohissiano (90% dei casi).
Nel blocco AV di secondo grado di tipo 1, come nel blocco SA di secondo grado di tipo 1, si ha un incremento
decrementale che fa si che l’intervallo tra le onde P si riduca, ma l’intervallo tra i QRS aumenti perché
l’aumento del PR è maggiore del decremento del ∆ tra le due differenze di conduzione.
Nel blocco AV di secondo grado di tipo 2 la pausa è esattamente doppia ed è doppia e uguale sia che la si
calcoli tra le onde P che tra i QRS.
Nei blocchi 2:1 è importante e utile capire se si è in presenza di un blocco soprahissiano o sottohissiano perché
il blocco sottohissiano è un blocco ad alto rischio di progressione e per cui vi è indicazione, salvo eccezioni, di
impianto di pacemaker. La diagnosi del tipo di blocco si può fare, in maniera conclusiva, con l’analisi
dell’elettrogramma di His con lo studio fisiologico endocavitario. Possiamo, inoltre, stimare il tipo di blocco
trasformandolo in un blocco 3:2 tramite alcune manovre come l’attivazione adrenergica. Se, in questo
passaggio, si ha un Moebitz 2 saremo certamente in presenza di un blocco sottohissiano, mentre se si ha un
Moebitz 1 molto più probabilmente saremo in presenza di un blocco soprahissiano.
Un'altra caratteristica da valutare è cosa succede in risposta ad alcuni stimoli. L’atropina e il massaggio seno
carotideo hanno due effetti opposti tra di loro.
In presenza di un blocco soprahissiano che è tipicamente dovuto, ad esempio, ad un aumento del tono
parasimpatico che agisce sulla componente compatta del nodo AV:
• l’atropina, antagonista muscarinico dell’acetilcolina (quindi ha effetto parasimpatico a livello
cardiaco) migliora la conduzione perché riduce il periodo refrattario delle cellule nodali
atrioventricolari.
• Il massaggio seno carotideo comporta un aumento del tono vagale e un peggioramento della
conduzione atrio ventricolare perché viene aumentato il periodo refrattorio delle cellule nodali AV.
In presenza di un blocco sottohissiano:
▪ l’atropina non migliora la conduzione, anzi potrebbe peggiorarla, cioè peggiorare il grado di blocco,
perché aumenta la frequenza del nodo del seno senza che vi sia una facilitazione alla conduzione.
▪ Il massaggio seno carotideo la conduzione non peggiora, anzi, potrebbe addirittura migliorare se c’è
una bradicardia importante perché arrivando meno impulsi il blocco potrebbe migliorare.
L’atropina inibisce i recettori muscarinici di tipo
M2, aumenta la frequenza cardiaca, riduce il
periodo refrattario funzionale delle cellule del
nodo alto ovvero le cellule della congiunzione AN
della parte nodale e atrio nodale del nodo atrio
ventricolare.
L’ECG mostra un blocco di secondo grado 2:1 dove notiamo un’onda P con una frequenza cardiaca normale.
Spesso il blocco sottohissiano ha un ritmo di scappamento non molto efficace. Tipicamente il ritmo di
scappamento, proprio per un discorso di gerarchia dall’alto al basso di capacità di generazione dell’impulso,
del nodo è intorno ai 50 bpm, mentre il ritmo di scappamento del ventricolo è intorno ai 35, massimo 40 bpm.
Quindi anche la frequenza può dare un’idea della sede del blocco.
Slide riepilogativa
BLOCCHI FASCICOLARI
I blocchi fascicolari possono essere dovuti ad alterazioni di conduzione di uno dei tre fascicoli che
convenzionalmente si ritengono essere la via di conduzione dal fascio di His alla rete del Purkinje.
A livello della produzione intraventricolare, come visto in precedenza, si hanno due fascicoli sinistri, anteriore
e posteriore, che costituiscono la branca sinistra, e una branca destra.
Si parla di blocco bifascicolare in presenza di un blocco di branca sinistra completo (LBBB) o, più
comunemente, in presenza di un blocco di branca destra con emiblocco anteriore sinistro/blocco fascicolare
anteriore (RBBB + LAFB) o, molto più raro, il blocco di branca destra con l’emiblocco posteriore sinistro/blocco
fascicolare posteriore (RBBB + LPFB).
Se al blocco bifascicolare si aggiunge un ritardo
anche di un altro fascicolo, il blocco non si vedrà in
QRS, ma nell’intervallo PR. Quindi, se siamo in
presenza di un blocco di branca destra (RBBB), un
emiblocco anteriore/posteriore sinistro e un PR
lungo, avremo probabilmente un blocco
trifascicolare. Dice “probabilmente” perché il PR
potrebbe essere lungo anche per un disturbo di
conduzione soprahissiano e dal punto di vista
metodologico e di logica, il blocco si definisce
trifascicolare solo se il ritardo dell’intervallo AV è
dovuto a un ritardo successivo al fascio di His,
relativo alla terza branca che è già ammalata.
Se abbiamo un blocco trifascicolare, due vie di
conduzione sono già bloccate mentre la terza via
“zoppica”, essendo già ammalata anche la terza
via, allunga il tempo PR. Andando a misurare l’HV, questo sarà lungo e, in linea teorica, si potrebbe avere lo
stesso ECG di superficie avendo disturbi sottohissiani a livello delle branche e disturbi soprahissiani a livello
del nodo, perciò PR lungo, ma ciò è comunque poco probabile. È più probabile che, se abbiamo una malattia
della branca destra e del fascicolo anteriore o della branca destra e del fascicolo posteriore, l’allungamento
del PR sia dovuto alla malattia del terzo fascicolo che manca.
Estremam
TRATTAMENTO
Impianto di pacemaker
L’impianto del pacemaker avviene in sede sotto claveare tipicamente a sinistra (99%
dei casi) e molto raramente a destra, dunque si posiziona un elettrodo che va a
stimolare il ventricolo destro.
Il pacemaker può essere mono o bicamerale.
L’ECG di un pacemaker è un ECG in cui si ha uno spike molto rapido perché la durata dello stimolo
è di mezzo o 1 ms. Si ha quindi un picco rapidissimo seguito da un QRS che avrà una morfologia
(che data la solita posizione dell’ elettrodo nel ventricolo dx apicale) che sarà un blocco di branca
sinistra con asse superiore.
SINCOPE
L’aurea è un sintomo
tipico della sincope
epilettogena. Un
prolungato stato di
incoscienza è più a favore
di una sincope
epilettogena che una
sincope cardiaca dove il
paziente riprende
abbastanza velocemente
coscienza.
Le contrazioni tonico
cloniche iniziano
abbastanza dopo la
perdita di coscienza nelle
sincopi perché ci deve
essere ipoperfusione cerebrale avanzata, mentre nell’epilessia iniziano quasi immediatamente la
perdita di coscienza. Il recupero è più lento nella sincope epilettogena.
Indagini strumentali
Aritmie sopra-ventricolari
• Meccanismo che le sostiene
• Livello di pericolosità
• Gestione del paziente
• Terapia
Il sito di pacing naturale del cuore è il nodo del seno, zona epicardica considerabile un aggregato di
cellule. È un sito di circa 2 cm2 al di fuori dell’atrio di destra, allo sbocco della vena cava superiore.
La conduzione attraverso questi fasci viene portata in maniera sincrona in una decina di ms all’atrio
di destra e a quello di sinistra, in modo tale che la sistole atriale sia unica.
Passato il nodo AV, bisogna riattivare in maniera velocissima tutta la massa ventricolare, operazione
difficoltosa perché il volume dei ventricoli è maggiore di quello degli atrii. Il ventricolo destro è più
piccolo del sinistro e ha una branca (destra), mentre quello sx ne ha due: la branca sinistra si divide
in fascicolo anteriore e fascicolo posteriore. Troviamo inoltre i muscoli papillari anteriore e
posteriore, che servono a tirare le corde tendinee e quindi chiudere valvola mitrale e tricuspide.
Tipi di aritmie
Le aritmie sono molto numerose, classificate in maniera differente ma sono tutte ascrivibili ai tre
meccanismi che le causano, ovvero:
1. Rientro
2. Aumentato automatismo
3. Attività triggerata
Ogni aritmia si riconduce a uno di questi tre meccanismi, con possibilità di averne diverse
combinazioni.
1. Rientro
Il rientro è la possibilità non univoca di
andare da un punto all’altro nello spazio
all’interno del cuore. Quando esistono
opzioni aggiuntive di percorso della
conduzione rispetto a quelle
precedentemente elencate (3 fasci a destra
e 1 a sinistra), c’è possibilità che il percorso
elettrico possa scegliere una delle eventuali
strade, determinando il rientro da un
ipotetico punto A ad un altro ipotetico
punto B, anche di distanza molto piccola: si
parla di micro rientro se interessa pochi
millimetri, macro rientro se lungo tutto il
cuore e le possibilità riguardano sia il lato destro, sia quello sinistro indifferentemente. Questo non
rappresenta un aspetto macroscopico (infatti, per esempio, non è visibile in un’autopsia), quanto
più una caratteristica di conduzione. Le vie opzionali hanno sempre questa caratterizzazione:
• Una è molto veloce ma con periodo refrattario maggiore (cioè impiega più tempo a
recuperare)
• Una è molto lenta con periodo refrattario minore
1. i più classici sono a livello del nodo atrio-ventricolare: due sono le vie di connessione con
caratteristiche di conduzione differenti (una rapida con periodo di recupero più lento, l’altra
lenta con periodo di recupero più veloce).
2. Altra zona caratteristica è quella all’interno dell’anello mitralico o tricuspidalico con la
presenza di un vero e proprio bypass elettrico, ovvero la via accessoria (AVRP).
3. Il terzo meccanismo è nel ventricolo, in cui ci possono essere zone che rappresentano una
sorta di barriera elettrica (tipico esempio è l’ischemia), di cicatrice, di sofferenza ischemica:
per andare dalla zona A alla B posso avere l’instaurarsi di un circuito di rientro di pochi mm
così come di qualche cm o l’intera altezza del ventricolo.
Queste vie sono ormai studiate attraverso mappature
animate di attivazione durante aritmia con isotopi colorati che
danno idea della durata di attivazione. Ogni 5-10 ms si fanno
girare e si vede come il ventricolo si attiva con un circolo
vizioso, finché non si elimina una delle due vie opzionali.
2. Aumentato automatismo
Il secondo meccanismo è l’aumentato automatismo, cioè un eccessivo batmotropismo. (In fisiologia
l’eccitabilità di un miocita è definita come batmotropismo)
Con l’attività fisica, quando è richiesto un aumentato tono della depolarizzazione diastolica,
osserviamo l’influenza del sistema simpatico. A cuore isolato (denervato), il nodo del seno ha
comunque la sua capacità di depolarizzazione diastolica spontanea.
In situazioni para fisiologiche o patologiche anche altre zone cardiache guadagnano tale capacità:
se una cellula qualsiasi comincia a depolarizzarsi spontaneamente, questa cellula prenderà il
sopravvento quando la sua depolarizzazione sarà più rapida di quella del nodo del seno. Se infatti
una cellula si depolarizza spontaneamente ma sta al di sotto dei 70 battiti al minuto (velocità del
nodo del seno), anche se il cuore è pieno di focolai di queste cellule, non succede nulla perchè si
rientra nella situazione di overdrive fisiologico. Non appena però uno di questi focolai aumenta la
frequenza o il nodo del seno rallenta, i focolai secondari possono emergere. L’alterazione cardiaca
che ne deriva sarà tanto maggiore quanto più alta sarà la distanza delle cellule che guadagnano
questa capacità di depolarizzarsi da sole rispetto al nodo de seno. Se la zona arriva dal lato di sinistro,
molto lontano dal nodo del seno, vedrò l’onda P dell’elettrocardiogramma completamente diversa
da quella sinusale. Più siamo vicini e più saranno simili all’attivazione, ma in ogni caso saranno più
rapide.
Le situazioni che danno aumentato automatismo sono lo stress, la paura, la stimolazione con
sostanze eccitanti (caffeina, teina, energy drink, taurina, sostanze considerabili anche
parafisiolofiche). Quando invece queste zone del cuore prendono il sopravvento senza particolari
stimoli, allora ci leghiamo alla patologia: in genere questo è causato da un processo di
infiammazione, di flogosi, per esempio dato da miocardite.
3. Attività triggerata
L’attività triggerata è un’attività cardiaca determinata da
qualcos’altro (trigger) che porta a una instabilità più o
meno precoce della depolarizzazione. Raramente è
presente in un cuore non trattato con farmaci, spesso è
data dall’effetto collaterale di terapia farmacologica
(antibiotici, antimicotici, antiaritmici, antidepressivi …). Se
non iatrogeno, è legato a una malattia genetica dei canali
ionici, in particolare del sodio, del potassio e del calcio
(channelopatie).
Tachiaritmie sopraventricolari
Le tachicardie possono essere ventricolari o sopraventricolari. Tendenzialmente, le tachicardie
sopraventricolari sono definite per presenza di ritmi con frequenza > 100 bpm, e genesi al di sopra
del nodo AV. Hanno un QRS stretto, perché si diffondono con i sistemi normali al ventricolo. Le
tachiaritmie sopraventricolari condividono, in ogni caso, i meccanismi con quelle ventricolari.
Le più comuni:
1)EXTRASISTOLE ATRIALE: una zona del cuore sporadicamente attiva gli atrii al di fuori del nodo del
seno.
4)FLUTTER
5)FIBRILLAZIONE ATRIALE altamente irregolare (“irregolarmente regolare” perché non c’è nessun
pattern di attivazione)
Quando si legge un ECG sono 3 i parametri da considerare:
- frequenza, guardando quanto distano i complessi QRS (ogni quadratino= 40 ms. Ogni 5 quadratini
c’è una riga più spessa che indica un tempo di 200 ms (5x40 ms). 5 quadratini sono 1 s). Per calcolare
la frequenza, perciò, si contano i ms fra i complessi QRS (i quadratini piccoli) e si divide 60000/il
numero ottenuto nel calcolo precedente.
- ritmo: se il ritmo è sinusale, vuol dire che l’attivazione va dalla spalla destra al cavo ascellare
sinistro, perciò dall’alto verso il basso e da destra verso sinistra. Se è così, l’onda P deve essere
sempre positiva in D2 e sempre negativa in aVR (che guarda il lato destro).
- asse dell’attivazione ventricolare: deve essere dalla spalla destra al cavo ascellare sinistro, e
dall’alto verso il basso e da destra verso sinistra. Si devono controllare i complessi QRS in D1 e aVF.
▪ Se la D1 è positiva e l’aVF è positiva, siamo fra 0 e 90, cioè nel quadrante in basso a
destra, ovvero l’asse normale.
▪ Se la D1 è positiva, sul lato di destra, e l’aVF è negativa, nel quadrante in alto a destra,
c’è deviazione assiale sinistra.
▪ Se la D1 è negativa e l’aVF è positiva, nel quadrante in basso a sinistra, c’è deviazione
assiale destra.
▪ Se entrambe sono negative si hanno aritmie congenite, arresto cardiaco, con deviazione
assiale destra estrema.
Tachicardia Sinusale
La tachicardia sinusale è fisiologica, raramente non lo è ed è trattabile con farmaci che riducono il
potenziale diastolico spontaneo. In questo caso il ritmo è sinusale, la frequenza è aumentata.
Tachicardia atriale ectopica (TAE)
Quando c’è più di un’extrasistole, ci
saranno dei rami di attivazioni anomali
non nel nodo del seno, che attiveranno
prima gli atrii e poi i ventricoli. Nell’ECG
vedo un’onda somigliante all’onda P
prima del QRS, non positiva in D2 e
negativa in aVR, perciò non sinusale:
l’attivazione è ANOMALA del fronte atrio
destro quadro sinistro. Si vede quale sia
l’asse dell’onda P per vedere se nasce
nell’atrio destro o in quello sinistro, per
un diverso approccio terapeutico.
Le TAE possono essere fastidiose perché non avvengono alla frequenza di scarica e alla richiesta
metabolica (es 130 battiti di frequenza al minuto a riposo).
Trattamento
Non è una aritmia eccessivamente pericolosa perché i beta bloccanti funzionano ma qualora non
fossero efficaci si può trattare con i farmaci della classe 1C (es Flecainide). Se anche questi falliscono,
si usa una combinazione di farmaci classe 1 c e betabloccanti.
Se il paziente è giovane o se il farmaco risolve la crisi ma nella normale attività quotidiana tiene il
battito troppo lento, si può decidere di fare un’ablazione trans-catetere del gruppo di cellule.
Quando la tachicardia è maggiore del 15 % dei battiti normali, il cuore patisce, si può verificare una
dilatazione cardiaca per tachi-cardio miopatia (soprattutto nei giovani).
ARITMIE DA RIENTRO
In corso di tachicardia non c’è onda P davanti al QRS perché l’attivazione è sincrona e l’attività
elettrica del ventricolo prende il sopravvento. A volte, quando il nodo è più largo, si vede una gobba
a valle della porzione QRS, residuo dell’onda P. Questo residuo si chiama onda R’ (o pseudo R’), non
è onda R del QRS ed è caratteristica della AVRNT.
Per fare diagnosi precisa si può misurare la distanza fra l’inizio dell’onda R e la prima pseudo R’:
Questa aritmia colpisce più le donne dell’uomo (nella 3° e 4° decade), con riduzione della qualità di
vita per paura dell’insorgenza della tachicardia. Nonostante questo, l’aritmia non è pericolosa per
la vita. I sintomi (capogiri, sensazione di mancanza di fiato, dispnea, incapacità di camminare) sono
intensi e i pazienti soffrono con questo tipo di tachicardia perché hanno 300 battiti al minuto quando
il limite di frequenza cardiaca è l’80 % di (220-età del paziente).
Trattamento
Il tempo che intercorre prima dell’inizio dell’azione del farmaco è intorno alla mezz’ora se
somministrati per via orale, mentre se è necessaria un’azione più rapida meglio
somministrare per via endovenosa. Nel lungo termine si possono assumere gli stessi farmaci
all’insorgenza della prima extrasistole o cronicamente. Tali farmaci rallentano la conduzione
sulla via lenta e non permettono a quest’ultima di portare l’impulso quando c’è extrasistole
(p bloccate).
➢ In caso di paziente giovane, si può ricorrere all’ablazione, ovvero alla bruciatura o alla
glaciazione della via lenta. Se la via lenta è molto vicina al fascio di His si utilizza il freddo,
che arriva a -30°C (temperatura che dà blocco
reversibile), poi a -70°C e si interrompe
definitivamente qualsiasi attività, dopo aver
verificato di non aver danneggiato il nodo AV.
Con possibilità di spazio più ampio si può
ricorrere alla radio frequenza e a una
conseguente bruciatura definitiva. Il paziente
avrà le extrasistoli ma queste non daranno
tachicardie.
AVRT: tachicardia da rientro atrio ventricolare ma non nel nodo
È legata sempre al rientro e alla presenza di una via accessoria, che se determina sintomi
(tachicardia) dà la sindrome di Wolff-Parkinson-White. Il fascio accessorio può essere in qualsiasi
punto dell’anello mitralico o tricuspidalico, ed è
essenzialmente un passaggio extra, un bypass elettrico tra
atrio e ventricolo (in situazione fisiologica solo il nodo
collega atrii e ventricoli, mentre cosè c’è doppia
possibilità.)
valutazione ECG
Trattamento
AVNRT AVRT
ECG normale (ritmo sinusale) PR breve, onda 𝛿 (ritmo sinusale)
No onda P, onda R’ (in tachicardia) con ECG migliorato, simile all’ AVNRT ma con
RR’<80 ms RR’>80 ms
Situazione non pericolosa Situazione potenzialmente fatale
Risolvibile con manovre, farmaci, ablazione Farmaci che bloccano SOLO la via accessoria (no
betabloccanti e calcio antagonisti), manovre,
ablazione
Flutter atriale
Il meccanismo di base è il rientro, che avviene sempre nella stessa zona anatomica. Il flutter può
essere:
➢ atipico
➢ tipico comune (quello di cui ci
occuperemo). Per essere tale deve avere:
❖ onde F, ovvero delle onde P
frequentissime, dette a dente di
sega (scende lentamente e sale
rapidamente). L’attivazione delle
onde F è velocissima: circa 200 ms;
300 battiti al minuto. Il nodo poi
rallenta la conduzione, e i ventricoli
si contraggono più lentamente;
❖ Deve essere negativa prevalentemente nelle derivazioni inferiori (D2, D3 e aVF) e in
V6, positiva in P1;
La zona anatomica in cui passa è l’atrio di destra, l’istmo cavo-tricuspidalico (tra la valvola tricuspide
e la vena cava inferiore), risalendo lungo il setto interatriale, mentre discende sulla porzione laterale
lungo la crista terminalis, zona da cui nascono i muscoli pettinati (unica zona dell’atrio destro non
liscia). Il circuito tipico comune è sempre antiorario, come descritto sopra. Il motivo per cui sussiste
il dente di sega è perché nelle derivazioni inferiori salirà rapidamente sul setto liscio e scende
lentamente a causa delle fibrosi della crista terminalis.
Trattamento
➢ Esiste un flutter tipico non comune che utilizza lo stesso circuito ma in senso orario. Il circuito
pero è medesimo (quindi si definisce tipico). L’elettrocardiogramma è differente perché le
onde F sono invertite (ascesa lenta e discesa rapida). V1 e V6 sempre uguali.
➢ Il flutter atipico non esiste nel cuore sano, è sempre secondario a qualche intervento esterno
(cardiochirurgia, radioterapia, fibrosi ecc.) e deriva da cicatrici causate in uno di questi modi.
Perciò l’istmo cavo tricuspidalico non c’entra. Per l’ablazione è necessario mappare e
valutare la causa.
Fibrillazione atriale
È l’aritmia più comune fra le persone con più di 65 anni di età (5 % dei soggetti. Nella fascia d’età
maggiore di 75 anni, colpisce il 15% dei soggetti). È un invecchiamento fisiologico della conduzione
a livello atriale che crea della fibrosi e facilita
l’innesco di circuiti multipli. Si può considerare un
insieme di malattia da rientro e aumentato
automatismo. Si verifica un’attivazione casuale
degli atrii velocissima e continua. Ogni tanto
l’impulso passa ai ventricoli, l’attività ventricolare si
definisce irregolarmente regolare.
Trattamento
Valutazione ECG
Clinicamente la FA si definisce
La FA si autogenera e più perdura più è difficoltosa da rimuovere perché tende a rimodellare canali
ionici e proteine di sintesi. A quel punto il trigger non è più la zona della vena polmonare ma si
instaurano altri focolai.
Il rimodellamento sarà sia elettrico, sia contrattile, soprattutto strutturale perché diviene
irreversibile. Genera fibrosi atriale, glicogeno e riduzione della parte sana, cioè i sarcomeri. Questo
capita molto velocemente (cambio strutturale dopo pochi mesi visibile a livello bioptico).
Talvolta per vedere bene il cuore in alcuni casi si può utilizzare un’Eco transesofagea (esofago a
contatto con atrio di sinistra).
Prima della formazione del coagulo, si può osservare un alone di sangue quasi addensato detto
“smoke”. Il paziente con FA va dunque trattato con anticoagulanti. C’è un problema collegato a
questo perché si è visto che anche in trattamento con anticoagulanti, la FA facilita demenza,
Alzheimer e decadimento cognitivo, perché c’è un bombardamento cronico di piccoli aggregati che
arrivano al cervello.
Esiste uno score per decidere se somministrare anticoagulanti a un paziente, ovvero quello di
CHA2DS2-VASc, acronimo che sta per “Congestive heart failure, Hypertension, Age >75 years,
Diabetes mellitus, prior Stroke 2 or transient ischemic attak, or thromboembolism – Vascular
disease, Age 65-74, Sex category).” L’età vale 2 punti se superiore a 75 anni, vale un punto se
superiore a 65 anni. Il sesso femminile vale un punto soltanto se presenti altri fattori. Se il punteggio
è superiore a 2, il paziente va sottoposto a terapia anticoagulante.
A lungo termine si può decidere di risolvere la situazione in maniera più stabile con l’uso di farmaci
antiaritmici, che hanno però molti effetti collaterali (nel 20-30% dei casi) e una efficacia bassa (40-
60%). Non è perciò buono il rapporto rischio-beneficio.
I pazienti giovani, viceversa, con un CHA2DS2-VASc basso vengono trattati solo se sintomatici. Se
poco sintomatici si può anche non ricorrere ad alcun trattamento.
CLINICA E PATOLOGIE DEL TORACE, CARDIOLOGIA – Lezione n.5 - 15/03/2022 – Prof. G. De Ferrari
– Benedetta Salvetti, Rebecca Romano
1) Classificare l’aritmia;
3) Valutare il rischio;
4) Individuare il trattamento;
EXTRASISTOLI VENTRICOLARI
Le extrasistoli ventricolari sono battiti prematuri a
QRS largo che originano dal ventricolo (qui a fianco
siamo in D2 o D3 con R positivo); questi vengono
bloccati dal nodo atrio-ventricolare, infatti non
modificano la regolare sequenza di scarica del
nodo del seno e di conseguenza di
depolarizzazione dell’atrio ma in AV vanno in
conflitto con l’impulso di derivazione NSA normale
che quindi non si propaga ai ventricoli.
Dal punto di vista elettrocardiografico quello che aiuta molto (ma non è diagnostico) la diagnosi di
sede ventricolare dell’aritmia è la presenza di una pausa compensatoria, ovvero di un intervallo RR
o PP che è doppio dell’intervallo precedente. L’anticipo che si manifesta nell’extrasistole viene
restituito in un ritardo identico nel battito successivo in modo da avere una pausa compensatoria.
Questa è la differenza con l’extrasistole sopraventricolare/atriale dove solitamente la pausa non è
compensatoria.
Le extrasistolie ventricolari possono originare da:
• cuore sano (strutturalmente o sarebbe più corretto dire elettricamente), due esempi tipici
sono quelle che originano dal tratto di efflusso del ventricolo destro (RVOT: right ventricular
outflow tract) e più raramente del sinistro o fascicolari ventricolari sinistre.
Le aritmie fascicolari invece sono extrasistoli che originano da uno dei fascicoli, tipicamente dal
posteriore sinistro, quindi hanno una morfologia a blocco di branca destro ed emiblocco anteriore
sinistro.
Quindi un’aritmia ventricolare che origina in una cardiomiopatia ischemica può essere diversa da
una che avviene in un cuore sano. Il rischio di solito è assente nei cuori sani ma è possibile che i
battiti possano fungere da trigger, da elemento scatenante di altre aritmie più gravi.
Il trattamento può essere o non fare nulla, o eventualmente dare dei farmaci antiaritmici. In genere
il trattamento è consigliato solo per malattie sintomatiche o se pensiamo che queste aritmie siano
prognosticamente rilevanti, che normalmente non sono in assenza di cardiopatia.
TACHICARDIA VENTRCOLARE
Si definiscono tachicardie ventricolari come una serie di battiti ventricolari uno di seguito all’altro.
Questo è un esempio di una tachicardia
ventricolare, quindi un’aritmia a QRS largo di
verosimile natura ventricolare. La presenza di
negatività nelle periferiche sinistre D1 e aVL è
praticamente incompatibile con un disturbo di
conduzione, costituisce un criterio quasi di certezza
di tachicardia ventricolare.
Questa è una tachicardia ventricolare monomorfa
rapida perché la frequenza cardiaca è di circa 192
bpm (8 quadratini) con un’origine tendenzialmente
dall’apice ventricolare sinistro.
Dove avviene? Avviene in massima parte a casa e in piccola parte nei luoghi pubblici, campi sportivi
o in ospedale. Negli ultimi anni si sta cercando di ridurre la morte cardiaca improvvisa posizionando
dei defibrillatori semiautomatici per strada, ma questi provvedimenti possono essere efficaci nella
quota di casi che avvengono in pubblico, mentre è difficile agire sulla grande quota che avviene in
casa, spesso senza qualcuno che possa dare l’allarme in tempi adeguati. Questa morte cardiaca
improvvisa avviene durante il sonno per circa 1/3 dei casi, nella metà dei casi il soggetto è sveglio e
rilassato e in piccola parte sta praticando attività sportiva, rapporti sessuali o sta facendo la doccia.
CARDIOMIOPATIA ARITMOGENA
La cardiomiopatia aritmogena ventricolare destra (una volta si chiamava displasia- ARVD, oggi
ARVC), ha una serie di criteri diagnostici che ne facilitano la diagnosi nelle condizioni più avanzate,
mentre nelle condizioni meno avanzate è estremamente difficile individuarla (caso di Davide Astori).
L’ECG tipico presenta onde T negative da V1 a V4 e l’onda epsilon nelle precordiali destre, una
piccola deflessione positiva dopo la fine del QRS.
MIOCARDITI
L’incidenza è di circa 1-10 su 100 mila persone e nella maggior parte dei casi non si arriva a una
diagnosi certa della causa di miocardite. Vi sono una serie di virus che si ipotizza possano esserne la
causa, tra i quali i virus respiratori e intestinali, quindi Adenovirus e Coxsackievirus, ma anche
Cytomegalovirus e HIV, raramente Epstein-Barr-> molto rare le diagnosi certe
Ci sono miocarditi acute da farmaci, come le antracicline, che sono associate a uno scompenso
cardiaco tardivo ma possono sviluppare una tossicità acuta.
Ci sono poi miocarditi infiammatorie autoimmuni come quelle associate al LES (Lupus Eritematoso
Sistemico) o al morbo di Still, in questo caso la diagnosi è estremamente difficile. La miocardite più
grave è quella gigantocellulare, che deve essere diagnosticata e trattata entro un paio di giorni (48-
72h) altrimenti porta a morte certa; per questo motivo è necessario fare una biopsia miocardica
urgente nei pazienti con miocardite acuta e grave disfunzione ventricolare sinistra perché 1 caso su
10/20 sarà una miocardite gigantocellulare.
La miocardite eosinofila è la miocardite più facile da diagnosticare, in quanto è associata a eosinofilia
agli esami del sangue periferico (bisogna escludere che il paziente non abbia dei vermi intestinali).
Essa più essere isolata o associata alle malattie che una volta si chiamavano di Churg-Strauss
(polmonare) e Wegener (vasculite) con talora esiti gravi-> secondo la più recente definizione:
“granulomatosi con poliangioite”.
CANALOPATIE
Sono malaIe prevalentemente dovute ad
anomalie geneNcamente determinate di proteine
che hanno inPuenza sui canali eleQrici o che sono
esse stesse canali eleQrici. Le principali sono la
Sindrome di Brugada, la Sindrome del QT lungo, la
Sindrome del QT corto (rara) e la CPVT.
Sono aVeI generalmente soggeI giovani, spesso
la diagnosi è basata sull’ECG, non ci sono
alterazioni struQurali quindi all’ecocardiogramma
non vedremmo nulla (essendo una malaIa
puramente eleQrica) salvo nuovi indicatori
ra[naN, e sono caraQerizzate da un rischio
aumentato di aritmie compresa la morte
improvvisa.
Sappiamo che:
● Il potenziale d’azione nella fase 0 è
dovuto all’apertura brusca dei canali del
sodio;
● La fase 1 di ripolarizzazione precoce è
dovuta all’apertura di canali transienN
"Ito" del potassio;
● Il plateau (fase 2) è determinato
dall’equilibro fra correnN entranN (canali
"LL", corrente del calcio) e correnN
uscenN (canali "Ikr");
● Le correnN di potassio aniscono poi per
essere prevalenN nella fase 3 (canali
"Iks", la subunità più lenta, caraQerizzaN
da poter essere modulaN posiNvamente
dall’aIvità simpaNca);
● Il mantenimento del potenziale di riposo
è regolato prevalentemente dalla pompa
Na+/K+, di per sé eleQrogenica e che
quindi determina il mantenimento del
gradiente.
Le correnN del potassio sono prevalentemente implicate nelle Sindromi del QT lungo/corto,
mentre le correnN del sodio sono principalmente implicate nella Sindrome di Brugada e del QT
lungo, in parNcolare nella LQT3.
Le mutazioni del canale del potassio sono "loss of funcNon" nella sindrome del QT lungo, mentre
per la sindrome del QT Corto sono "gain of funcNon".
La probabilità di trovare un’anomalia geneNca dipende dalla patologia:
● Nella Sindrome del QT lungo è del 75-80% dei malaN con diagnosi certa;
● Nella Sindrome di Brugada è del 20-25%;
● Nella CPVT l’anomalia del canale della rianodina o della calsequestrina è del 60%.
Per quanto riguarda l'anamnesi sono da valutare aQentamente la storia familiare (parenN con
morN improvvise causate da malaIe cardiache) e nelle donne anche l'aborNvità.
SospeIamo una canalopaNa per la presenza di anomalie nell’ECG di base, ECG soQo sforzo o/e
nell’ECG Holter a 12 derivazioni. In alcuni casi può essere uNle un test provocaNvo.
In questo ECG vi è una ripolarizzazione alterata come si vede in V2, con un "notch dell'onda T" ,
ovvero una doppia componente.
Guardando l'ECG si vede un QT di 700 ms che dovrà essere correQo in base alla lunghezza dell’RR
(ovvero 1210 ms) tramite la formula di BazeQ: 700√1.21, quindi il QT correQo sarà dato da
700/1.1 = 615 ms circa.
Si ha dunque un enorme prolungamento dell’intervallo QT, più che su[ciente per far diagnosi.
Le anomalie che coinvolgono IKs e IKr sono loss of funcNon, cioè i canali sono disfunzionali,
mentre invece le anomalie che coinvolgono INa sono gain of funcNon, cioè il canale è
iperfunzionante e sta aperto un tempo troppo lungo.
Queste sono state le prime malaIe geneNcamente determinate note al mondo con così grande
chiarezza, tant’è vero che la Sindrome del QT lungo è stata deanita la “Stele di RoseQa
dell’aritmologia”, è stata infaI la prima volta che si è individuata un’alterazione punNforme di un
gene che causa una disfunzione precisa di un canale, che causa un fenoNpo preciso dell’ECG, che
causa una malaIa precisa con morte improvvisa del paziente.
L’ECG è abbastanza diverso fra le tre alterazioni:
● L’ECG di LQT1 ha un’onda T molto larga e grande che parte subito già dal QRS;
● L'ECG di LQT2 ha un’onda T a doppia componente con dentatura bifasica. È dovuto al
blocco dei canali IKr che può essere causato anche da farmaci. InfaI la quasi totalità dei
farmaci che danno prolungamento del QT bloccano IKr dando un’alterazione dell’ECG;
● L'ECG di LQT3 ha un lunghissimo traQo ST isoeleQrico con un’onda T streQa, appunNta e
molto tardiva.
L’aritmia Npica è la torsione di punta, spesso generata da un ciclo corto-lungo-corto perché questo
determina un’alterazione delle refraQarietà che facilita la formazione di circuiN di rientro per
blocco unidirezionale.
I trigger Npici della malaIa sono variabili a seconda del genoNpo.
Tipicamente l’esercizio e lo stress sono la causa di quasi tuI gli arresN cardiaci e le sincopi in LQT1
per il quale è uNle fare l'ECG soQo sforzo. Questo perché vi è un’assenza della componente IKs di
ripolarizzazione sensibile alle catecolamine, con conseguente mancanza dell’adeguamento
catecolamino-mediato dell’accorciamento dell’intervallo QT all’aumento di frequenza cardiaca.
Per quanto riguarda LQT2 lo sforzo asico è un faQore un po' meno rilevante, ma è da aggiungere
che le persone aVeQe da questa sindrome possono avere sincopi da risveglio brusco con rumore
(come ad esempio una sveglia o una chiamata sul telefono).
In LQT3 lo sforzo asico non conta, infaI il sintomo si manifesta di noQe senza risveglio.
Prima della pubertà le aritmie hanno un'incidenza maggiore nei maschi, mentre con la pubertà gli
ormoni femminili prolungano il QT (la causa maggiore di aritmie) e così l'incidenza diventa
maggiore nelle femmine.
In questo caso la mutazione è sul gene HERG/KCNH2, che codiaca per il canale IKr, ed è
ovviamente gain of funcNon causando una ripolarizzazione troppo veloce e QT molto corto.
Oltre alle anomalie dei canali del potassio (IKs, IKr, IK1 rispeIvamente SQT1, SQT2 e SQT3) che
sono "gain of funcNon", vi sono anche anomalie dei canali del calcio che ne riducono l'ingresso e
che quindi sono "loss of funcNon".
Per quanto riguarda il traQamento, negli asintomaNci si prevede l'uNlizzo di idrochinidina e loop
recorder per veriacare che non si presenNno aritmie.
Quando sono presenN aritmie (tachiaritmie) si passa direQamente all’impianto dell’ICD, e solo in
caso di riauto si aQua la terapia che viene uNlizzata negli asintomaNci.
Ci sono vari Npi di CPVT, di cui le più importanN sono la CPVT1 e la CPVT2. Nella prima si ha una
anomalia geneNca che colpisce la rianodina (Ryr2), mentre nella seconda si ha una anomalia
geneNca che riguarda la calsequestrina.
In entrambi i casi i risultaN sono simili, si ha infaI un rilascio di calcio in fase diastolica (dovuto o
ad un leak di calcio da parte della canale Ryr2 o per un’ insu[ciente tamponamento da parte della
calsequestrina) che provoca una delayed a•er depolarizaNon causando un’asistolia.
Per dare sintomatologia grave c'è bisogno che queste mutazioni agiscano in sinergia con il
simpaNco.
Si cura un po’ come la Sindrome del QT lungo di Npo 1 dando dei beta-bloccanN speciaci, ovvero il
propanololo o il nadololo. È importante non dare altri beta-bloccanN come il metopronolo e
l'atenololo perché hanno eVeI avversi (questo vale anche per la sindrome del LQT).
In assenza di risposta si aggiunge la Flecainide che blocca i canali della rianodina, e se permane
l’extrasistolia da sforzo o peggio un’aritmia più seria, si può eVeQuare l’impianto di un
deabrillatore o più appropriatamente una denervazione cardiaca simpaNca.
Sindrome di Brugada
È la canalopaNa più frequente, caraQerizzata da un’alterazione eleQrocardiograaca con punto J
elevato e ST discendente, deQo paQern Brugada di Npo 1 o "paQern a tenda" che è diagnosNco
per questa sindrome. Questo paQern è dovuto a delle alterazioni eleQro-anatomiche presenN nel
traQo di inPusso del ventricolo destro, moNvo per cui posizionare eleQrodi alN (3˚ spazio) ci
permeQe di idenNacare questo paQern a tenda.
Esiste anche il paQern Brugada di Npo 2, deQo "paQern a sella" il quale non è diagnosNco ma
indica che dovremo eVeQuare ulteriori approfondimenN. Tra quesN c’è innanzituQo l’alzare gli
eleQrodi, fare un Holter a 12 derivazioni con gli eleQrodi alN e dare un farmaco che blocchi i canali
del sodio dato che in genere c’è una loss of funcNon di SCN5A (nell'LQT3 c'era una gain of
funcNon), quindi della corrente iNa.
In totale ci sono 11 mutazioni possibili, ma le più frequenN sono a carico di SCN5A (21%), con una
gain of funcNon dei canali del sodio, oppure a carico di CACNA1C e CACNB2, con una loss of
funcNon dei canali del calcio (circa il 5% l’uno). Qualunque sia lo squilibrio tra le correnN di sodio e
di calcio e la corrente entrante di potassio (I to), vi è una depolarizzazione “tuQo o nulla” con
gradiente transmurale del potenziale d’azione che determina nella zona del cuore del traQo
d’e‚usso il caraQerisNco paQern eleQrocardiograaco.
Per intendere meglio cosa si intende per gradiente transmurale
ricordiamoci del caraQerisNco graaco rappresentante il
cambiamento di potenziale nei miocardiociN.
Questo ha la caraQerisNca morfologia spike and dome (una punta
seguita dal plateau), parNcolarmente presente a livello
dell’epicardio, sopratuQo nell’epicardio del traQo di e‚usso del
ventricolo destro.
Se avviene uno sbilanciamento di correnN, il paneQone (o dome,
ovvero il plateau) può non formarsi, a causa appunto della perdita
di funzione delle correnN di calcio che devono sostenere la depolarizzazione.
Quindi alcune cellule a livello dell’epicardio del traQo di e‚usso di ventricolo destro non hanno
questo paneQone e viene quindi causata una ripolarizzazione immediata, con una durata del
potenziale d’azione molto breve.
In questo modo si ha un’elevata dispersione transmurale della ripolarizzazione che causa dei
gradienN eleQrici. In queste zone un baIto ectopico permeQe che vengano depolarizzate le
cellule che erano andate incontro alla ripolarizzazione, ma non le altre. Perciò si può generare un
circuito di rientro per una grave diVerenza di durata di potenziale d’azione transmurale, in
parNcolare epicardico.
Questo fenomeno nell’ EcG genera l’onda J alta, visibile sopratuQo se gli eleQrodi sono posizionaN
nel traQo di e‚usso del cono della polmonare.
I faQori di rischio sono aver avuto un’aritmia, avere un paQern spontaneo ed essere uomini.
È una patologia Npica della terza/quarta decade di vita e avviene a riposo, ad esempio di noQe o
dopo pranzo in corrispondenza di un aumento del tono vagale (l’opposto della LQT1). Un’altra
caraQerisNca Npica è la sua variabilità spontanea durante gli anni, ma anche nel corso della
giornata, moNvo per cui si fa l’Holter a 12 derivazioni.
Questo è una manifestazione dell’ECG Npico
durante il recupero, che non è altro che un momento di “rebound”, ovvero un momento di brusca
aIvazione vagale con slatenNzzazione del paQern di Brugada (i soggeI aVeI da questa
sindrome non avranno sincopi durante lo
sforzo ma soltanto durante la fase di
recupero successiva).
Si ha l'aumento del to no vagale anche con
l'aumento della temperatura, l’altro criterio
di slatenNzzazione, tant’è che in quesN
pazienN la febbre è estremamente pericolosa
(la temperatura corporea non deve superare
i 38°).
LE CARDIOMIOPATIE
Le cardiomiopatie sono un gruppo eterogeneo di malattie cardiovascolari, che possono essere
definite dal punto di vista fenotipico, fisiologico, genetico oppure morfologico. Infatti in merito a
quest’ultimo aspetto, le cardiomiopatie si possono suddividere in 3 classi, a seconda del fatto che
il cuore risulti dilatato, ispessito oppure restrittivo (ovvero poco distensibile).
Le cardiomiopatie sono però tutte caratterizzate da un’alterazione di tipo meccanico,
contrariamente alle canalopatie (trattate nel corso della scorsa lezione) che presentano, invece,
un’alterazione elettrica.
CLASSIFICAZIONE
La Società Europea di Cardiologia (ESC) descrive le cardiomiopatie come un disturbo miocardico,
caratterizzato da anomalie strutturali e funzionali del muscolo cardiaco, in assenza per esempio di
cause secondarie.
N.B. è bene ricordare la differenza tra cardiopatia dilatativa e cardiomiopatia dilatativa per evitare
di confondere i due termini: nel primo caso la causa è coronarica, ipertensiva, valvolare o
congenita, mentre nella seconda si ha un disturbo della cellula miocardica.
Classificazione delle cardiomiopatie ad opera della società europea di cardiologia (ESC) in 5 gruppi:
1. CARDIOMIOPATIA IPERTROFICA (HCM)
2. CARDIOMIOPATIA DILATATIVA (DCM)
3. CARDIOMIOPATIA ARITMOGENA (un
tempo era conosciuta solo quella destra
ARVC, mentre adesso sono state
identificate anche quelle sinistre, quindi
non vengono più indicate con questa
sigla)
4. CARDIOMIOPATIA RESTRITTIVA (RCM)
5. CARDIOMIOPATIE NON CLASSIFICATE
Nella tabella sottostante sono riassunte le varie tipologie di cardiomiopatie secondarie: in esse il
cuore è affetto da una malattia sistemica, per esempio da una malattia da accumulo come
l’amiloidosi (AL e TTR, cioè legata alla transtiretina). Le cardiomiopatie da accumulo sono
caratterizzate spesso da un fenotipo ipertrofico. Ci sono poi cardiomiopatie molto più rare ma
simili a quelle ipertrofiche dal punto di vista fenotipico, in quanto presentano un cuore molto
ispessito (simile a una bistecca), come per esempio la malattia di Fabry (altra malattia d’accumulo)
o alcune glicogenosi, come la malattia di Pompe. Inoltre alcune sono associate anche a malattie
granulomatose infiammatorie, come la sarcoidosi.
La disfunzione nelle cardiomiopatie può essere meccanica (sistolica o diastolica), elettrica o mista.
CARDIOMIOPATIA DILATATIVA
EZIOLOGIA
Le cause possono essere diverse:
idiopatica
causa familiare (nel 40-50% dei casi)
causa infettiva o infiammatoria (post-miocarditica)
causa metabolica
causa tossica (da alcol o da antracicline, ovvero farmaci antitumorali utilizzati come
trattamento del tumore al seno e altri tumori solidi)
deficit di tiamina o vitamina B1, che può portare alla malattia del BERI BERI. Di solito le
categorie di soggetti più a rischio comprendono coloro che fanno uso di alcol e si nutrono
costantemente di junk food e coloro che vengono nutriti per via parenterale o enterale in
modo artificiale.
CARATTERISTICHE
In queste cardiomiopatie il cuore è dilatato, grosso, ha un aspetto a
palla e quindi ha perso il suo aspetto fisiologico a proiettile, dato
che il ventricolo sinistro va incontro a un rimodellamento che
consiste in una sfericizzazione.
A volte ci sono zone meno contrattili, per esempio all’apice, in cui ci
può essere una riduzione del flusso, con il rischio di formazione di
trombi.
Le valvole sono primitivamente normali, anche se nella
cardiomiopatia dilatativa si può avere spesso un’insufficienza
mitralica, detta anche funzionale, la quale è dovuta ad una dilatazione dell’anello mitralico con
una conseguente incapacità dei lembi mitralici di compattarsi dato che risultano dilatati.
un aumento della
componente fibrotica, sia di tipo
interstiziale che perivascolare
irregolarità e disomogeneità
dei miociti, in quanto alcuni sono
ipertrofici, altri invece atrofici.
SEGNI E SINTOMI
Il paziente può manifestare:
o scompenso cardiaco con sintomi correlati ad esso come la dispnea o l’ortopnea. Lo
scompenso può essere caratterizzato da congestione o da bassa portata cardiaca. Tra i
sintomi correlati a congestione si annovera la dispnea, mentre tra quelli dovuti alla bassa
portata c’è l’astenia, anche se appunto spesso sono presenti entrambi i sintomi.
o Insufficienza cardiaca, a volte può essere presente anche un segno di insufficienza
ventricolare destra, cioè una congestione periferica molto marcata (importante ricordare
che in generale questa è segno di uno scompenso progredito nel tempo, che perciò ha
avuto tempo di causare ipertensione arteriosa polmonare, una disfunzione ventricolare
destra, responsabile infine dell’insorgenza di una condizione di congestione periferica
molto severa). Quindi per riassumere più è datato lo scompenso e più questo è severo con
un interessamento della circolazione polmonare e stasi ventricolare.
o Tromboembolismo nei casi in cui si abbia stasi ematica, in quanto una riduzione della
velocità del flusso sanguigno può portare a un rischio maggiore di comparsa di trombi. La
stasi a livello atriale può comportare fibrillazione atriale, la cui prevalenza varia in
corrispondenza della gravità dello scompenso (2% nella classe 1, 5-10% nella classe 2, 15-
20% nella classe 3 e 40% nella classe 4) Quindi più avanza la classe della gravità dello
scompenso e più aumenta la prevalenza della fibrillazione atriale. Pertanto sia la
fibrillazione atriale che la stasi ematica (anche a livello ventricolare) concorrono in parte a
un aumentato rischio tromboembolico. Per la fibrillazione atriale è necessario
somministrare anticoagulanti al paziente, mentre per la stasi ventricolare non si è arrivati a
un accordo riguardo all’utilizzo di anticoagulanti, quindi si utilizza un approccio di tipo
empirico, andando a trattare con anticoagulanti solo i pazienti con stasi più grave e
clamorosa, oppure coloro i quali manifestano già una trombosi apicale, ma non tutti i
pazienti con cardiomiopatia dilatativa.
o Spesso aritmie ventricolari (anche causa di morte in questi pazienti)
o Edemi declivi e rantoli polmonari
o Aumento della componente polmonare del secondo tono, con presenza frequente di un
galoppo. In particolare il galoppo tipico dello scompenso da T3 è il Tennessee, mentre più
raro è quello denominato Kentucky. Quando si ha galoppo, si fa diagnosi di scompenso
cardiaco.
ECG
ECOCARDIOGRAMMA
L’ecocardiogramma deve mostrare un cuore sx ingrandito tondeggiante, disfunzione sistolica,
rigurgito tricuspidalico e mitralico
generalmente di tipo funzionale con
dilatazione dell’anello, dilatazione atriale
sinistra, ipertensione polmonare, possibile
presenza di trombi.
In questo ecocardiogramma per esempio si vede un ventricolo sinistro dilatato, sfericizzato con
una parete più sottile rispetto a quella di un ventricolo normale; c’è anche una rettilineizzazione
del setto che è indice diagnostico di una ipertensione polmonare.
CRITERI DIAGNOSTICI
Ci sono una serie di fattori che possono causare cardiopatia dilatativa, che non sono le
cardiomiopatie. Essi comprendono la malattia coronarica, l’alcol, la tachicardiomiopatia, aritmie
ventricolari, malattie sistemiche, etc...
TRATTAMENTO
È uguale a quello relativo allo scompenso cardiaco. Può consistere a seconda del paziente in:
1. Farmaci
2. Impianto di un defibrillatore
3. Terapia di risincronizzazione cardiaca (CRT)
4. Interventi per ridurre l’insufficienza valvolare mitralica
5. Interventi di supporto meccanico
6. Trapianto di cuore
PROGNOSI
È principalmente determinata dallo spessore del setto, della parete ventricolare sinistra, dalla
presenza di fibrillazione atriale e scompenso cardiaco, che può determinare una morte o per
aritmia o per scompenso cardiaco.
Nella maggior parte dei casi lo scompenso cardiaco si associa alla trasformazione da una
cardiomiopatia ipertrofica a dilatativa (nelle fasi tardive della cardiomiopatia ipertrofica il cuore
perde progressivamente lo spessore e tende a dilatarsi sempre di più.)
Esistono però delle cardiomiopatie ipertrofiche restrittive che danno origine a uno scompenso
cardiaco severissimo, fino ad arrivare alla necessità di un trapianto di cuore, senza dilatarsi.
(questa è una caratteristica fisiopatologica diversa)
ASPETTO MICROSCOPICO
L’esame fisico è spesso inconclusivo! C’è un soffio sistolico che a seconda del battito può
variare un po’ e da ciò si potrebbe fare diagnosi di cardiomiopatia ipertrofica ma è molto difficile
riuscirci.
DOMANDA: in fisiologia si diceva che l’atrial kick, ovvero la contrazione atriale nell’ultima fase concorreva
a una ridotta percentuale di riempimento ventricolare perché la maggior parte del sangue si muove per
gradiente pressorio, però nel corso di questa lezione si è detto che la perdita dell’atrial kick può portare a
scompenso cardiaco perché il riempimento ventricolare si riduce. Come mai in fisiologia questa contrazione
atriale sembra quasi inutile mentre adesso sembra più importante?
ECG
Spesso patologico
Vettori molto alti
Indice di Sokolow Lyon soddisfatto (quindi onda S in V1 + onda R in V5-V6 superiore a 35
mm)
Sottoslivellamento ST
Onde T negative nelle precordiali sinistre, a volte anche in D1 e aVL
Ipertrofia atriale sinistra con un aumento della seconda componente dell’onda P
Onde Q patologiche nelle derivazioni inferiori in D2 e D3 date da una grande
depolarizzazione settale, presenza di un setto molto ipertrofico. Questo ECG in figura può
mostrare o un infarto inferiore
pregresso o una cardiomiopatia
ipertrofica se ci si basa sulla
presenza dell’onda Q in D3, che
di norma non dovrebbe essere
presente; la sola D3 non è
distinguibile ma il quadro
complessivo degli altri segni di
cardiomiopatia ipertrofica fa
sospettare con molta probabilità
che questa patologia sia dovuta e
causata da una cardiomiopatia
ipertrofica.
Blocco incompleto di branca sinistra (si ha un blocco di branca quando la durata del
complesso QRS è superiore a 120 ms).
ECOCARDIOGRAMMA
La figura mostra un esempio di
cardiomiopatia ipertrofica, quasi
ostruttiva, in cui è visibile un setto
superiore con spessore superiore ai 15
mm, in assenza di una causa secondaria.
Si ha anche un’ostruzione del tratto di efflusso.
Si riprende il discorso riguardo a Eugene Braunwald e a ciò che aveva studiato e scoperto nel 1968
grazie al cateterismo nel ventricolo sinistro.
In questa immagine si può vedere il cateterismo nel ventricolo sinistro; quando si fa il pullback,
cioè quando si torna indietro, ci si
accorge che si ha il gradiente prima
di arrivare all’aorta; ma questo
molto spesso sfugge all’esame.
(sfuggì anche a Eugene Braunwald,
come è stato detto qualche pagina
fa) All’epoca era stato misurato il
gradiente del ventricolo e l’aorta
senza accorgersi all’inizio che ci
fosse una brevissima fase con un
gradiente intraventricolare (sub
aortico)
Il fenomeno descritto in questa immagine è il potenziamento post extrasistolico. Esso può essere
utilizzato per capire se ci sia riserva contrattile, ovvero se il battito dopo l’extrasistole abbia una
contrazione più potente. La contrazione più
potente può avvenire principalmente per 2 cause:
aumento distensione fibre, quindi aumento del
riempimento diastolico e aumento del calcio
intracellulare. Quindi in questo caso si ha un
aumento della sistole sia a livello del ventricolo
che a livello dell’aorta: si ha una persistenza del
gradiente ventricolo-aorta abbastanza simile. È
una condizione riscontrabile nella stenosi aortica.
Segno di Brockenbrough-Braunwald-Morrow
La pressione del ventricolo aumenta tantissimo (fino a 300 mmHg) mentre quella dell’aorta
diminuisce. Questo è osservabile nella stenosi sub-aortica (il gradiente è particolarmente
incrementato perché più forte è la contrazione e più il setto occluderà molto più gravemente).
Questo serve per fare diagnosi differenziale tra stenosi sub aortica e stenosi aortica.
RISONANZA MAGNETICA
Alla risonanza si osserva, in seguito all’infusione di gadolinio, l’aumento del Delayed
Hyperenhancement tardivo, indicativo della fibrosi e l’aumento dello spessore. La risonanza è più
precisa dell’eco, soprattutto perché quest’ultimo stima difficilmente lo spessore della parete
apicale del cuore. Inoltre con la risonanza si può fare diagnosi della cardiomiopatia ipertrofica ma
anche della quantità di fibrosi che si associa al rischio di morte cardiaca improvvisa.
DIAGNOSI DIFFERENZIALE
Ci sono forme specifiche di cardiomiopatia ipertrofica, come per esempio quelle ereditarie o
quelle metaboliche come malattia di Fabry, di Pompe, di Gaucher, amiloidosi, malattie
neuromuscolari abbastanza rare, cardiomiopatie mitocondriali per esempio la MELAS, ma bisogna
anche saper distinguere queste cardiomiopatie ipertrofiche dalle cardiopatie ipertrofiche. In
queste ultime ad esempio è incluso il “cuore di
atleta”, che può essere ipertrofico se il
soggetto pratica sport isometrici come il
sollevamento pesi. È fondamentale
distinguerlo dalla cardiomiopatia ipertrofica
perché in tal caso bisognerebbe fermare il
soggetto per un aumentato rischio di morte
improvvisa.
Le cardiopatie ipertrofiche possono anche
essere causate dall’ipertensione, da una
stenosi aortica, dal feocromocitoma o da
alcuni farmaci. È bene quindi riuscire a fare diagnosi differenziale.
TRATTAMENTO
CARDIOMIOPATIA ARITMOGENA
Il professore non si sofferma molto su di essa perché è già stata trattata in parte nella lezione riguardante la
morte improvvisa (vedi lezione 5).
TRIANGOLO DELLA DISPLASIA (oggi non si usa più questa terminologia, in quanto si parla di
triangolo della cardiomiopatia) è un triangolo formato da 3 sedi (il tratto di efflusso, l’apice e la
regione sub-tricuspidalica della parete laterale) che rappresentano le 3 zone in cui si ha la
sostituzione fibro-adiposa.
ASPETTO MICROSCOPICO
In questo vetrino tutto ciò che è di colore
bianco rappresenta la sostituzione fibro-
adiposa; ci sono anche infiltrati linfocitari.
Inoltre i miociti ancora sani sono circondati da
tessuto adiposo e zone di fibrosi.
CRITERI DIAGNOSTICI
Ci sono criteri maggiori e minori: di
norma si fa diagnosi con 2 criteri
maggiori, 1 maggiore e 2 minori o 4
minori.
Esempi di criteri maggiori alterazione
della cinesi, onde T invertite nelle
derivazioni precordiali destre, aritmie
ventricolari, blocco di branca sinistra.
Si usano per fare diagnosi sia
l’ecocardiogramma che la risonanza
magnetica, nei casi in cui si sospetta una
cardiomiopatia aritmogena.
ECG
Presenza di onda epsilon (depolarizzazione tardiva alla fine del QRS. Rappresentata
nell’immagine con la freccia rossa)
Extrasistole e blocco di branca sinistra nell’asse inferiore
Aumentata durata del QRS
Onde T negative in V1-V3
Deviazione assiale
TRATTAMENTO
Corrisponde di solito al trattamento dello scompenso cardiaco con prevalentemente la
somministrazione di ACE inibitori e beta bloccanti.
Idiopatica (rara) ci possono essere forme giovanili, con una frequenza maggiore nel
sesso femminile rispetto a quello maschile.
Fibrosi endomiocardiche (rare qui, molto più frequenti in Centro Africa)
Cardiomiopatia ipertrofica da accumulo (per es. amiloidosi, emocromatosi, malattia di
Fabry, di Pompe, sarcoidosi, mucopolisaccaridosi)
Associata a malattie del collagene
Associata a sclerodermia
Rigetto del trapianto
Chimica, post-radiazioni mediastiniche (in alcuni pazienti che 50 anni fa venivano irradiati
per il linfoma di Hodgkin nel mediastino, andando però ad irradiare completamente anche
il cuore. Per questo motivo questi soggetti a distanza di tempo manifestavano una
cardiomiopatia chimica restrittiva. Oggi invece si riesce ad irradiare il mediastino,
risparmiando il cuore)
Esiste anche una cardiomiopatia infiammatoria endocardica (è una miocardite eosinofila e non
una fibroelastosi miocardica)
Di solito nella pericardite costrittiva il pericardio è ispessito e calcifico, mentre nella RCM è
normale. Solitamente ci sono diverse cause che causano la cardiomiopatia restrittiva, mentre nella
pericardite costrittiva non si ha una causa specifica.
La differenza tra le due condizioni non si riesce a capire basandosi sui segni clinici, però ci possono
essere dei segni ecocardiografici che possono aiutare a fare la corretta diagnosi (di solito il cuore è
ispessito nella RCM).
La variazione respiratoria consente di distinguere le due entità: nella RCM si ha un aumento del
flusso epatico e durante l’inspirazione una “reversal” del flusso epatico, mentre nella pericardite
costrittiva si ha un diverso pattern di flusso nelle vene epatiche, quindi il ritorno venoso al cuore
varia in maniera lievemente diversa con l’inspirazione. L’inspirazione è quella che determina il
segno di Kussmaul’s durante l’inspirazione normalmente ci dovrebbe essere il richiamo di
sangue al ventricolo destro e un aumento della pressione, mentre in caso di costrizione pericardica
si ha esattamente l’opposto (riduzione della portata cardiaca e riduzione del polso). Nei casi più
gravi si può avere la perdita del polso durante l’inspirazione e ciò lo si può constatare quando si
misura la pressione arteriosa con l’utilizzo dello sfigmomanometro.
Clinica e patologia del torace – Cardiologia - Lezione 8 - 30/03/2022 – Prof. De Ferrari – (Roberta
Maggiore, Margherita Ravizza)
LO SCOMPENSO CARDIACO
È una sindrome complessa, in cui la compromissione cardiologica gioca un ruolo centrale, ma non è
l’unico elemento in gioco. La prevalenza aumenta con l’età, infatti sopra i 70 anni lo scompenso
cardiaco è la prima causa di ricovero in ospedale. Ogni malattia cardiaca può condurre a uno
scompenso; solitamente, però, non si tratta di patologie elettriche, bensì strutturali. La prognosi è
piuttosto infelice: la mortalità a 5 anni è più grave rispetto a quella di un tumore generico.
La visione classica del processo che porta a insufficienza cardiaca comincia con una disfunzione
cardiaca, che a sua volta è il punto di origine di una serie di meccanismi di tipo compensatorio che
giocano un ruolo importante nella progressione dello scompenso. Il concetto è che l’organismo
risponde con una prima azione riflessa alla disfunzione, che consiste nell’attivazione sistema
simpatico, e dopo questa attivazione neuroumorale segue l’attivazione del RAAS, nell’ottica di
ripristinare una normale portata cardiaca e una corretta pressione.
L’attivazione adrenergica ha evolutivamente uno scopo: tipicamente è la base della reazione di
attacco o fuga di fronte a un pericolo. Questa attivazione si traduce, in acuto, in un effetto positivo,
ma può innescare una spirale negativa che esita nello scompenso cardiaco.
La definizione europea dello scompenso cardiaco del 2016 è: “sindrome clinica caratterizzata da
sintomi tipici, quali dispnea e astenia, che possono accompagnarsi a segni, come l’aumento del
turgore delle giugulari, la congestione polmonare con rantoli basali del polmone, la congestione
sistemica causante edema periferico, insorta a seguito di un’anomalia strutturale e/o funzionale del
cuore, la quale conduce a una diminuzione della portata cardiaca oppure a una elevata pressione
intracardiaca, a riposo o durante esercizio fisico”.
Lo scompenso cardiaco viene categorizzato a seconda della funzione ventricolare sinistra, che si
esprime con la funzione di eiezione (cioè la percentuale di sangue eiettato a ogni sistole). Si
distinguono, perciò:
HFrEF: scompenso cardiaco con frazione di eiezione ridotta, in presenza di segni e sintomi
tipici di scompenso e frazione di eiezione <40%
HFpEF: scompenso cardiaco con frazione di eiezione preservata, in presenza di segni e
sintomi tipici di scompenso e frazione di eiezione >50%. In questo caso, è inoltre necessario
avere ulteriori segni specifici e tangibili di scompenso: l’aumento dei peptidi natriuretici
atriali con una disfunzione diastolica oppure con un’anomalia strutturale importante (valvola
stenotica, diastole alterata, ventricolo ipertrofico).
Uno dei criteri della HFpEF (frazione di eiezione conservata) consiste nell’aumento delle pressioni di
riempimento; come detto nella lezione sulla cardiomiopatia ipertrofica, la disfunzione diastolica
determina tipicamente questo quadro di HFpEF. In un quadro di HFrEF, invece, si ha una riduzione
della funzione cardiaca sistolica, che inevitabilmente conduce alla riduzione della portata cardiaca;
spesso, anche in questo caso, troviamo l’aumento delle pressioni di riempimento, con conseguente
aumento delle pressioni a monte: la pressione sale nell’atrio sx, poi nelle vene polmonari e così via,
in un circolo vizioso.
(Il professore indica, uno per uno, i numeri delle singole fasi. Successivamente aggiunge, purtroppo in modo piuttosto
sconnesso, alcuni commenti ai grafici, che riporto integrati con la sbobina dello scorso anno.)
Il ventricolo sinistro si inizia a riempire, in fase di diastole, con l’apertura della valvola mitralica. La
fase 2 di questo grafico, in realtà, non è fedele alla realtà: in una situazione reale la pressione
aumenta durante il riempimento, ma in questo caso viene semplificata e la pressione resta costante
(normalmente il tratto 2 non sarebbe orizzontale). A questo punto si chiude la mitrale e si blocca
l’allargamento del ventricolo. Si ha dunque la fase di contrazione isovolumetrica in cui si ha un
importante aumento di pressione, fino a pareggiare la pressione aortica. Successivamente, si ha
l’apertura della valvola aortica e può così iniziare lo svuotamento del ventricolo. Questa fase si
associa inizialmente ancora a un aumento della pressione ventricolare sinistra per la salita della
curva pressoria, sia nel ventricolo che nell’aorta. Segue la fase di riduzione progressiva di pressione,
sia in ventricolo che aorta, fino a che si richiude la valvola aortica e si ha il rilasciamento
isovolumetrico, con importante riduzione pressoria a livello del ventricolo.
Facendo riferimento a una scorsa lezione, si spiega che la pendenza della curva “pressione
protodiastolica-pressione telediastolica” è un indicatore della compliance; infatti, in presenza di un
ventricolo ipertrofico c’è molta pendenza perché si raggiungono pressioni telediastoliche molto
elevate.
In presenza di un aumento di volume del ventricolo sx, anche indotto sperimentalmente mediante
l’introduzione di liquidi nel paziente, il volume nel grafico si sposterà verso destra. C’è un punto
importante, chiamato EES1, che tenderà a essere descritto nelle varie famiglie di curve pressione-
volume da una retta indicata con tratteggio. La retta che unisce tutti i punti telesistolici della curva
volume-pressione ottenuta a diversi gradi di volumetria ventricolare sx (diversi gradi di carico) si
considera la migliore stima della contrattilità cardiaca. La pendenza della retta tratteggiata è quindi
proporzionale alla contrattilità cardiaca.
Se il paziente assume farmaci che aumentano la contrattilità, questa retta diventerà più pendente;
il contrario accade con l’assunzione di farmaci che diminuiscono la contrattilità. In presenza di
scompenso cardiaco, ci sarà una modesta pendenza di questa curva che unisce tutti i punti della
curva volume-pressione al suo punto telesistolico, prima dell’inizio della contrazione isovolumetrica.
1
Su internet risulta che il punto EES sia l’End-Systolic Elastance, ossia il punto di pressione-volume sistolico terminale,
indice appunto della contrattilità cardiaca. Il punto è quello in alto a sinistra sui vari grafici.
PREVALENZA DELLO SCOMPENSO
La prevalenza dipende molto dall’età, ma quella
della popolazione generale è intorno al 3%.
Come molte malattie cardiache, la prevalenza è
maggiore negli uomini, ma dopo gli 80 anni
questo divario rispetto alla popolazione
femminile scompare. In totale, 6 milioni di
persone all’anno negli Stati Uniti ricevono questa
diagnosi; in Europa, la situazione è molto simile.
In generale, una persona su cinque, nel corso
della vita, otterrà diagnosi di scompenso
cardiaco.
EZIOLOGIA
Lo scompenso è dovuto per almeno il 50% a cardiopatia ischemica; per questo, per i pazienti anziani
la coronarografia fa parte del flusso diagnostico di scompenso.
Meno frequenti sono altre cause, come le sostanze ricreazionali (cocaina), sostanze anabolizzanti
(steroidi), farmaci (“check point inhibitors”, degli antitumorali che causano il 3-4% di miocardite,
talvolta mortale, e antracicline). In particolare, i culturisti sono molto a rischio di morte cardiaca
improvvisa.
Ci può essere scompenso causato da un’alterazione valvolare: l’insufficienza valvolare dà
sovraccarico di volume con dilatazione, mentre la stenosi dà sovraccarico di pressione con ipertrofia.
La via finale comune, in ogni caso, sarà lo scompenso.
Ancora, possiamo ritrovare come cause le patologie infiltrative e le aritmie; nello specifico, la
tachicardiomiopatia è tipicamente uno scompenso con cardiomiopatia dilatativa dovuta a
frequenza cardiaca alta per molto tempo.
Infine, esiste una condizione rara associata alla gravidanza, di cui non si conosce bene l’eziologia,
nota come “cardiomiopatia peripartum”, in cui il cuore si dilata e si indebolisce, portando a sintomi
di scompenso cardiaco. Potenzialmente è molto grave, ma in genere dà restitutio ad integrum.
Lo scompenso cardiaco rimane asintomatico per molto tempo perché insorge una risposta
adattativa, che diventa essa stessa il motore della progressione della malattia.
Abbiamo dunque un evento index (es. infarto miocardico anteriore) che dà il primo danno a livello
cardiaco; questo causa l’attivazione neuro-ormonale con attivazione del sistema simatico, di RAAS,
del sistema delle endoteline e citochine. Tra le risposte ci sono anche BNP e ANP; in realtà questi
ultimi sono controregolatori, quindi hanno un effetto benefico rispetto a quello “malefico”
dell’attivazione neuro-ormonale: infatti gli altri sistemi determinano vasocostrizione, mentre questi
ultimi portano a vasodilatazione. Tuttavia, aumentano in presenza di scompenso e proprio per
questo vengono utilizzati come marker biochimici. Avviene poi un rimodellamento del ventricolo
sinistro tendenzialmente sfavorevole, che è un momento cardine, soprattutto per lo scompenso
con frazione di eiezione ridotta (HFrEF).
Possono inoltre aumentare l’ipertrofia, l’apoptosi, la fibrosi.
Ci sono anche modifiche elettrofisiologiche: il potenziale d’azione nella cellula ipertrofica
scompensata si allunga e c’è una probabile down regulation dei IKr (componente rapida della
corrente di rettificazione del potassio).
A livello dell’endotelio si verifica vasocostrizione periferica, dovuta all’attivazione del sistema
simpatico e dell’endotelina, che è uno dei più potenti vasocostrittori, insieme ad angiotensina II.
NB: tutti questi schemi si riferiscono alla HFrEF (scompenso con frazione di eiezione ridotta). Tuttavia,
l’attivazione simpatica può trovarsi anche nella HFpEF.
Il meccanismo da cui parte la
cascata di eventi è la
(de)attivazione2 dei barocettori
del glomo carotideo e del seno
aortico che si traduce in un
aumento importante della
scarica simpatica e
deattivazione parasimpatica.
Quando si riduce la pressione
cambia, infatti, l’input centrale
del barocettore, che determina
un aumento importante della
scarica simpatica; questo
avviene per riduzione della
pressione assoluta e anche della pressione pulsatoria (indice di bassa portata cardiaca). La riduzione
della pressione porta a ipoperfusione renale, che si traduce nell’aumento della secrezione di renina
da parte delle cellule juxtaglomerulari; la secrezione di renina è anche stimolata dal sistema
simpatico, che innerva direttamente queste strutture.
Tutto questo conduce a un rimodello sfavorevole del ventricolo sinistro e a un peggioramento della
funziona sistolica.
2
I barocettori si attivano in presenza di alta pressione
Classicamente si fa un rapporto tra spessore della parete e cavità che prende il nome di “spessore
di parete relativo”; in un cuore normale di solito il valore è intorno al 35%. È importante anche
considerare la massa, che è data dallo spessore per tutta la circonferenza del cuore. Tutte le forme
di ipertrofia, sia eccentrica che concentrica, sono associate ad aumento di massa e peso del cuore.
SEGNI DI SCOMPENSO
DIAGNOSI
Il sintomo cardine dello scompenso, come appena visto, è la dispnea. Se è presente, bisogna prima
di tutto effettuare una diagnosi differenziale tra dispnea causata da patologie polmonari e quella
causata dallo scompenso; per farlo, è necessario dosare i BNP. Se i BNP sono sopra 400 pg/mL, allora
siamo in presenza di scompenso, se sono sotto i 100 non c’è scompenso; se i BNP sono tra i 100 e i
400 pg/mL, allora “bisogna usare la materia grigia di cui siamo forniti”.
Oltre a patologie polmonari come la BCPO, ci sono altre condizioni che talvolta vengono scambiate
per scompenso cardiaco: obesità, angina, ansia, varici e insufficienza venosa, fibrosi polmonare.
Tornando al dosaggio del BNP, questo è un polipeptide prodotto principalmente a livello del
ventricolo sinistro (al contrario dell’ANP, prodotto a livello atriale e cerebrale), in maniera
proporzionale al volume e al carico pressorio. È quindi un ottimo marker dello stress parietale del
cuore e di conseguenza di scompenso cardiaco.
In alcuni casi, è necessario utilizzare il suo precursore NT-proBNP. Ad esempio, molti pazienti
scompensati assumono il Sacubitril, un farmaco bloccante delle peptidasi che degradano il BNP e
che determina artificialmente un aumento dei BNP, i quali quindi non sono più dei corretti marker
dello scompenso; in questi casi, si dosa il precursore NT-proBNP.
I test diagnostici sono:
ECG: generalmente alterato, in quanto possono presentarsi aritmie, segni di ischemia,
pregressi infarti, ipertrofia e disordini di conduzione;
RX torace: può evidenziare ipertrofia del cuore, congestione ed effusione pleurica;
Ecocardiogramma: è un esame estremamente importante che fornisce informazioni
prognostiche come i volumi, la frazione di eiezione e la presenza di un pattern restrittivo.
Quest’ultimo è il pattern tipico, nonché unico all’ecocardiogramma, della HFpEF, però è
molto importante anche nella valutazione della frazione di eiezione ridotta. La diagnosi di
scompenso diastolico ha una prognosi peggiore perché i pazienti che hanno uno scompenso
diastolico con pattern restrittivo hanno una pressione telediastolica ventricolare sinistra alta
(nota come “pressione di incuneamento”) che si traduce in un aumento delle pressioni a
monte, quindi atrio, vene polmonari, etc.
I test funzionali sono:
6-minutes Walking Test: il paziente percorre più volte un corridoio di lunghezza nota nel
corso dei 6 minuti; in base al sesso, al peso e all’età esiste un valore ottimale di metri
percorsi.
Cardiopulmonary Exercise Testing: un paziente indossa una maschera ben adesa, che evita
la possibilità che sfugga dell’aria respirata dal paziente, in comunicazione con una macchina
complessa, dotata di analizzatore di CO2 e altre funzioni. È un esame raffinato, ma difficile
da eseguire correttamente, in quanto l’apparecchio va continuamente tarato. Se eseguito
correttamente, fornisce una misura oggettiva della capacità funzionale del paziente e viene
eseguito per prendere la decisione di inserire il paziente nella lista trapianti di cuore oppure
per esaminare i casi dubbi, in cui il paziente riferisce di avere dispnea, ma il cuore non
sembra avere grossi problemi.
Riassumendo l’iter diagnostico, prima di tutto si dosano i BNP e, se questi risultano bassi, il paziente
non ha scompenso, mentre se invece sono alti, è molto probabile che il paziente abbia lo
scompenso, ma per averne la certezza è necessario effettuare l’ecocardiogramma.
TERAPIA
Lo scopo della terapia dello scompenso è quello di arrestare la progressione dello scompenso
asintomatico nello scompenso sintomatico oppure di impedire che uno scompenso già sintomatico
evolva negli stadi più gravi.
Questo schema indica quali sono i farmaci o gli interventi che migliorano la mortalità, la morbidità
o i sintomi. I beta bloccanti sono i farmaci più importanti per migliorare la mortalità dello
scompenso; ci sono poi i farmaci che agiscono sul RAAS (ACE inibitori e Sartani) e, nello specifico,
spesso si danno in associazione Valsartan e Sacubitril, che è un inibitore della degradazione di una
serie di citochine, incluso il BNP.
Altri farmaci possono agire sui sintomi, ma non sulla mortalità. Il trapianto ovviamente agisce sia
sul problema organico, sia sul sintomo, sia sulla mortalità.
Il successo della terapia degli ultimi 25 anni è stato quello di somministrare in associazione un beta
bloccante e un ACE inibitore. Un’altra classe di farmaci è quella degli ARBs bloccanti del recettore
dell’angiotensina I, AT1R, con effetti simili a quelli degli ACE inibitori.
L’angiotensina I aumenta in corso di scompenso cardiaco; l’ACE inibitore blocca l’enzima della sua
conversione in angiotensina II, mentre il Sartano blocca solitamente il recettore 1 dell’angiotensina
(AT1R), che media la vasocostrizione e la ritenzione idrica. L’ACE inibitore agisce a livello anche di
riduzione dell’azione delle peptidasi, che ad esempio degradano la bradichinina: perciò, l’ACE
inibitore può dare una vasodilatazione non solo mediata, per il 90%, dalla mancata conversione in
Angiotensina II, ma anche dall’aumento delle bradichinine circolanti. L’aumento delle bradichinine
può, tuttavia, portare a un effetto collaterale molto pericoloso di questa classe di farmaci, che è
l’edema della glottide; per questo motivo, alcuni farmaci sono stati rimossi dal commercio in quanto
causa, in una certa percentuale di pazienti (soprattutto africani), di angioedemi.
Un’altra classe di farmaci è quella degli antagonisti del recettore dei mineralcorticoidi (MRAs), in
particolare si utilizza lo Spironolattone. Vengono utilizzati in pazienti sintomatici (stadio II e oltre)
per bloccare l’azione dell’aldosterone. Quest’ultimo, infatti, può portare a edema per il
riassorbimento di sodio e acqua, nonché ad aritmie per l’escrezione di potassio e magnesio; un altro
effetto molto negativo è la fibrosi del miocardio e dei vasi dovuta alla deposizione di collagene. Gli
MRAs diminuiscono, dunque, la fibrosi e l’evoluzione verso un ventricolo con meno compliance e
l’insorgenza di aritmie e problemi di conduzione. Di conseguenza, nel complesso diminuiscono
anche i decessi per morte cardiaca improvvisa.
La digossina è un farmaco controverso che blocca la Na+/K+ ATPasi e questo aumenta il calcio
intracellulare in quanto il blocco della pompa Na+/K+ interessa, poi, anche la funzione della pompa
Na+/Ca2+. Il calcio migliora l’inotropismo, però è dannoso dal punto di vista ritmico.
Un altro effetto della digossina è quello di aumentare il tono vagale, di per sé benefico. Per i suoi
effetti controversi, è uno dei pochi farmaci che si dosa con molta precisione: deve rimanere
assolutamente sotto il nanogrammo, altrimenti inizia ad aumentare il rischio di danno.
Questo farmaco ha uno spiccato metabolismo renale, il che è negativo perché i pazienti scompensati
spesso hanno una diminuzione della clearance renale e aumento della creatinina, il che si traduce
in un diminuito metabolismo della digitale e aumento della probabilità di insorgenza di tossicità.
In genere, vengono sempre impiegati i diuretici. Ci sono i tiazidici, che agiscono a livello prossimale,
e i diuretici dell’ansa (es. Furosemide), che agiscono a livello più distale, bloccando lo scambiatore
Na/K/Cl. Di solito questi ultimi determinano una perdita di elettroliti importante, tuttavia possono
essere associati ai MRAs, perché i diuretici dell’ansa migliorano molto i sintomi, mentre i MRAs
minimizzano la perdita di potassio e riducono l’ulteriore attivazione neuro-ormonale e la
conseguente ritenzione idrica, causata dal riflesso barocettivo indotto dall’assunzione dei diuretici
ad alta dose.
Recentemente, si sono aggiunti ai tre pilastri della terapia classica (ACE inibitori, beta bloccanti e
MRAs) le gliflozine. Queste glifozine (es. Dapagliflozin ed Empagliflozin) sono dei farmaci
antidiabetici che salvano pazienti diabetici con scompenso (il professore racconta che, in passato,
per lungo tempo i diabetologi hanno prescritto farmaci che aumentavano il rischio cardiovascolare
nei diabetici, senza nemmeno associare le statine). Sull’onda di questo entusiasmo, sono stati
condotti degli studi clinici, in cui i pazienti hanno assunto sia Dapagliflozin che Empagliflozin, che
hanno dimostrato che questi non solo riducono la morte cardiovascolare e lo scompenso nel
diabetico scompensato, ma anche nello scompensato non diabetico. Proprio per questo, alcuni mesi
fa, le linee guida hanno aggiunto questa classe di farmaci alla terapia per scompenso, rendendolo il
quarto pilastro della terapia moderna dello scompenso cardiaco (non ancora in Italia).
Riassumo la terapia dello scompenso in alcuni punti:
1. Si inizia con ACE inibitore o beta bloccante;
2. Poi si aggiunge MRA;
3. Poi si aggiungono Sacubitril/Valsartan.
Se lo scompenso è grave, si inizia subito con beta bloccante, MRA, ARNI3, gliflozina. In Italia,
quest’ultima opzione non è ancora possibile: se il paziente non risponde bene alla terapia, si
sostituisce il sartano con l’ARNI, e se anche quest’ultimo ancora non funziona, allora si tenta la
gliflozina. Le linee guida, non ancora applicate, direbbero invece di cominciare con la gliflozina
(“sporchi, maledetti e subito”, evidenzia il professore).
Non è ancora chiaro perché funzioni la gliflozina. Si sa, però, che blocca una pompa renale (SGLT2).
3
ARNI (non specificato dal professore): Angiotensin Receptor Neprilysin Inhibitor, nuova classe di farmaci il
cui capostipite è composto da una combinazione fissa 1:1 di Valsartan e Sacubitril in grado di inibire la
neprilisina, che degrada i peptidi natriuretiti.
Riporto alcune slides su cui il professore non si è soffermato, in quanto dà per scontate le
informazioni contenute.
CLINICA E PATOLOGIE DEL TORACE - CARDIOLOGIA - Lezione n.9 - 31/03/2022 - Prof. G. De Ferrari
(Cristina Lapolla Mattia Maiorella)
Degno di nota, invece, un fenomeno raro ma assai sgradevole che si verifica per lo più in
giovani donne, favorito probabilmente da malattie genetiche solo in parte note (come la
sindrome di Marfan o di Ehlers-Danlos), caso per via di
uno squilibrio ormonale importante): la dissezione coronarica. Essa può iniziare come una
prima fissurazione endoteliale che poi, a causa delle forze idrauliche date dalla presenza di
flusso ematico, procede come uno slaminamento della parete del vaso. Ciò causa stasi
ematica, che può portare a infarto miocardico.
Infine, un contributo alla malattia coronarica può essere dato dalla disfunzione
microvascolare, che altera la fisiologia coronarica e di conseguenza il flusso coronarico in
soggetti a rischio. Ricordiamo che l loro
notevole influenza sulla regolazione della pressione, in quanto sede di resistenze periferiche. La
disfunzione microvascolare è piuttosto difficile da diagnosticare perché, ad oggi, non è ancora
possibile valutare con precisione le resistenze del microcircolo coronarico.
Questo è un processo dinamico, quindi, la placca può diventare instabile e poi ristabilizzarsi in
un processo detto di rimodellamento della placca. Vi sono elementi che contribuiscono a
stabilizzare la placca (collagene e cellule muscolari lisce, che creano il cap di protezione) e
elementi che contribuiscono a instabilizzare la placca (cellule infiammatorie).
Le citochine infiammatorie contribuiscono della placca, così come le
metalloproteinasi che, degradando il collagene, tendono a instabilizzare la placca.
Teoricamente, ci sarebbe un equilibrio tra la produzione di collagene e la sua distruzione ad
( Mentre
manifestazioni come le caratteristiche della placca, il tempo di inizio e la durata dei sintomi e
terapeutico, sono diverse. Bisogna sempre vedere qual è tra sintomi stabili e
sintomi in peggioramento.)
EPIDEMIOLOGIA di IHD
Dal punto di vista epidemiologico la malattia coronarica è la prima causa di morte soprattutto
nei paesi a reddito medio-alto e alto, seguita dalle malattie cerebrovascolari e dalle altre malattie
cardiache. do poi di incidenza nei paesi
medio-
Vi sono una serie di fattori maggiori che aumentano il rischio cardiovascolare, quali: il colesterolo
LDL alto, il fumo, la pressione arteriosa alta, il diabete, progressiva, lo stile di vita
sedentario, il sesso e Tra i precedenti risultano correggibili: lo stile di vita sedentario, il
fumo, in parte il diabete. Possiamo poi avere dei fattori predisponenti, quali la familiarità.
Tra questi si possono distinguere i fattori modificabili e quelli non modificabili. Infine, ci sono altri
fattori meno importanti che possono modulare verosimilmente il rischio cardiovascolare.
Questi ultimi sono i trigliceridi, LDL piccole o pesanti, alterazioni della lipoproteina A, fattori
protrombotici e uno stato infiammatorio particolarmente rilevante (per esempio elevati livelli di
proteina C). molto elevata sembra inoltre avere un ruolo trombotico (il professore
a questo punto si dilunga sul trattamento di livelli di omocisteina alta con la somministrazione di
folato, il che, viene detto, non trova evidenza scientifica per quanto venga comunque prescritto).
Il modulo più classico della valutazione del rischio di aterosclerosi coronarica sono le tavole
fumo, con in ascissa il colesterolo totale e in ordinata la pressione arteriosa sistolica. Qui si può
identificare il rischio di sviluppare una malattia coronarica severa in dieci anni, sulla base del
colore che si può vedere nella tabella. La popolazione presa in analisi nelle tabelle sovrastanti è
unicamente di sesso femminile.
Normalmente si
suddivisa
ANATOMIA CORONARICA
Le arterie coronarie sono le arterie responsabili di portare il sangue alle varie zone del miocardio.
La coronaria sinistra presenta un tronco comune e due biforcazioni principali che sono la
coronaria circonflessa e la coronaria discendente anteriore .
La coronaria destra, che arriva fino alla crux cordis, fornisce la discendente posteriore, la quale
gira dietro il cuore, ed il ramo postero-laterale.
È presente un range di autoregolazione sul flusso coronarico, vale a dire la capacità di mantenere
un flusso costante entro un certo range di pressioni coronariche.
È possibile effettuare un test di massima vasodilatazione dando dei nitrati (nitroglicerina) ad alta
dose: ciò comporta una vasodilatazione completa delle coronarie che fa triplicare/quadruplicare
il flusso coronarico. Ciò rappresenta la riserva coronarica, cioè la quantità di volume di sangue
in più che può essere veicolato a seguito di vasodilatazione massimale. Essa, in condizione
fisiologiche, è in grado, allora, di produrre un flusso fino a quattro volte il flusso coronarico
basale, così da poter rispondere alle esigenze metaboliche cardiache quattro volte superiori.
Questa riserva coronarica dipenderà ovviamente di stenosi coronariche. Quando la
pressione di perfusione scende al di sotto del livello di autoregolazione (nel grafico tale punto
corrisponde a 40 mmHg), si verifica ischemia perché tale flusso coronarico non è nemmeno in
grado di rispondere alle esigenze metaboliche basali del miocardio.
ANGINA STABILE
Convenzionalmente la placca stabile è caratterizzata da una crescita abbastanza fissa e continua.
La placca coronarica stabile dà luogo ad coronarica fissa. In questo caso si ha un
aumento della domanda di ossigeno, che a sua volta può determinare miocardica.
Questo tipo di placca può quindi determinare di angina stabile, ovvero angina da
sforzo con placca stabile. Un esempio di angina da sforzo può essere dato da un paziente che,
camminando a velocità costante per andare a comprare il giornale, riferisce dolore al terzo
isolato. Il dolore si manifesta sempre in seguito ad uno sforzo abbastanza stabile.
A questo punto, viene ribadita la fisiopatologia che porta alla formazione della placca
aterosclerotica: la progressione parte dal danno endoteliale progressiva formazione della
placca (alla quale contribuiscono il pool lipidico e la fibrosi). Se la placca si stabilizzasse, si avrebbe
poi la manifestazione del trombo.
Ancora, aggiungiamo che il trombo può essere:
- Parzialmente occlusivo
- Completamente occlusivo
Non è sempre vero al 100% dei casi ma è importante distinguere le manifestazioni cliniche di
sindrome coronarica acuta perché il trattamento sarà diverso. Inoltre, è verosimile che alcuni
trombi non occlusivi non siano sintomatici, ossia che si verifichino rotture di placche con piccole
manifestazione trombotiche adese che, tuttavia, non danno manifestazioni cliniche. Avviene,
poi, un processo di rimodellamento e guarigione della placca che che porta spesso a necrosi e
calcificazione della placca stessa.
Il fenomeno della calcificazione della placca è uno dei fenomeni più oggetto di studio degli
ultimi dieci anni; Attraverso una TAC del torace è possibile calcolare il calcium score (CAC),
ovvero la quantità di calcio presente sul cuore. Il calcium score è associato al rischio di
malattie coronariche ed è tra i criteri di rischio delle linee guida della società europea di
cardiologia.
Se un paziente ha un CAC alto, vuol dire che ha tante placche guarite, ovvero che ha tante
placche rimodellate non a rischio di instabilizzazione. Il paziente ha quindi tante placche
che si sono instabilizzate senza dare sintomi clinici e che sono andate in contro a necrosi e
calcificazione del core lipidico. Avere un CAC alto significa, quindi, avere una storia di
tanta aterosclerosi che è andata incontro a processi di instabilizzazione e rimodellamento.
Un paziente con CAC alto è un soggetto con aterosclerosi che, avendo avuto
tante instabilizzazioni, è a rischio di averne La presenza di molto calcio è, però,
fenomeno di una placca ormai stabilizzata. Fanno, p e r ò , eccezione le microcalcificazioni,
che sono calcificazioni invisibili alla TAC normale, che sono invece associate a un rischio di
instabilizzazione.
(La visualizzazione dettagliata delle placche aterosclerotiche è resa possibile dalla tecnicaOCT (tomografia
a coerenza ottica), che ha sostituito la tecnica IVUS (intravascular ultrasound intracoronary)
20 minuti.
Convenzionalmente, quindi, si ritiene che 20 minuti siano lo spartiacque tra un danno reversibile,
Nella diapositiva sovrastante
si può vedere lo schema classico di una occlusione coronarica totale senza grande flusso
collaterale: zero aree a rischio per i primi venti minuti (in realtà coronarica dà luogo
ai fenomeni di stunning -stupore, stordimento- e precondizionamento, come spiegato in
seguito). Con la progressione della durata coronarica (parliamo di occlusione
coronarica totale) si ha morte di qualche cellula che generalmente inizia nel
subendocardio, che e
o
scorre il tempo, più
con una riperfusione, meno il ventricolo subirà danno.
È inoltre possibile salvare più o meno un infarto, a seconda del momento in cui cerchiamo di
il passare degli anni, il tempo oltre il quale la riperfusione non
dà più benefici è passato da 6 a 12 ore. Ad oggi si dice che ha senso riaprire una coronaria e
riperfondere almeno fino a 12 ore. Nella slide abbiamo
coronarica che si verifica nella zona interventricolare anteriore, ovvero apicale sottesa
discendente anteriore. Sono esemplificati tre tipi di risposta e alla
successiva riperfusione coronarica.
CASO C: quando non si ha una riperfusione coronarica o quando questa non avviene in tempi
questo punto
non si potrà più recuperare il tessuto miocardico.
1. PRECONDIZIONAMENTO ISCHEMICO
Si prenda un animale e gli si chiuda discendente anteriore creando a livello prossimale
un grosso infarto del 40% della massa del ventricolo sinistro. Ripetendo
infarto che è sempre circa il 40% del ventricolo sinistro. Si prenda lo stesso animale e, prima di
fargli cronica, si facciano due o più occlusioni reversibili. Si potrebbe pensare che
danno maggiore; in realtà è esattamente
precondiziona in senso favorevole
coronarica successiva.
Questo è il precondizionamento ischemico, fenomeno per cui il fatto di avere dei brevi periodi di
ischemia successiva.
2. FORMAZIONE DI COLLATERALI
Altro fenomeno che giustifica la riduzione del danno miocardico è di flussi collaterali.
flusso
collaterale, che sarà più efficiente miocardica successiva.
Un esempio di formazione di collaterali lo si può vedere nel fenomeno di Walk-through angina.
Esso è un fenomeno per cui una persona ha un dolore toracico che poi va via, nonostante
è dovuto al
reclutamento di circolo collaterale durante
Clinicamente viene dimostrato che i pazienti che hanno angina nei giorni precedenti hanno un
infarto più piccolo dei pazienti che non presentano angina nei giorni precedenti. Spesso un
clinica di lunga data di malattia coronarica con angina, perché avrà molte
anastomosi che garantiscono la presenza di un flusso collaterale.
4. IBERNAZIONE
stunning sono entrambi fenomeni di disfunzione contrattile
sistolica. Mentre lo stunning è un fenomeno reversibile che avviene al ripristino del flusso dopo
flusso cronicamente ridotto. Si ha, ad
esempio, il 15% del flusso e la cellula smette di contrarsi per non morire. Un esempio è ciò che
avviene in inverno agli orsi, che vanno in letargo passando da una frequenza cardiaca di 70 bpm
a 20 o 10 o 5 battiti di una riprogrammazione dei miociti:
essi si riprogrammano ma non si contraggono. Si può avere anche ibernazione senza stunning.
Un miocardio ibernato è un miocardio in grado di ritornare normale.
CLINICA E PATOLOGIE DEL TORACE, CARDIOLOGIA – Lezione 10 – 04/04/2022- Prof. De Ferrari –
(Rosa Ruo, Giulia Sordello)
Nella diapositiva sono mostrati alcuni dei segni tipici di indicazione di dolore toracico di tipo
coronarico. L'indicazione puntiforme (pointing sign) di solito è molto suggestiva di dolore non
cardiaco. La localizzazione del dolore anginoso si può individuare con il segno di Levine, con il segno
della mano aperta (Palm sign) e il segno del braccio (Arm sign).
I fattori che provocano l'angina sono quelli in cui aumentano il consumo di ossigeno, la pressione
arteriosa e la frequenza cardiaca, come nel caso dell' esercizio fisico, dello stress mentale, di pasti
pesanti, freddo, di un risveglio brusco: tutte queste cause sono suggestive di probabilità di
un’ischemia anginosa. Tipicamente il primo esercizio del mattino viene più comunemente associato
al dolore rispetto a quello nel corso della giornata.
Quando va via il dolore? Quando il paziente si mette a riposo. Nell'arco di secondi o al massimo uno
o due minuti il dolore va via. È molto efficace l'utilizzo di farmaci: tipicamente si somministra la
nitroglicerina, l’isosorbide mononitrato sublinguale o spray, che riducono il dolore fino a farlo
scomparire.
Naturalmente il tempo è una variabile critica: se vi sono pazienti che prendono il carvasin (trinitrina)
sublinguale e il dolore passa soltanto dopo venti o trenta minuti, non abbiamo una risposta positiva:
la risposta positiva deve avvenire nell'arco di pochi minuti, quattro o cinque, per determinare che
si tratti di dolore anginoso. Infatti è utilizzato come sistema efficiente di diagnosi ex adiuvantibus,
per misurare la qualità del dolore. Si esorta il paziente a sciogliere la compressa sotto la lingua, a
non restare in piedi, ma di mettersi seduto (questo perché la somministrazione di nitrati causa una
vasodilatazione importante con grande riduzione del ritorno venoso e, se il paziente è in piedi, può
avere una sincope) e osservare entro quanto tempo il dolore passa, sempre che passi.
La tipologia del dolore, di cui abbiamo già parlato, è un dolore toracico oppressivo e costrittivo, ma
non è del tutto eccezionale nell’ambito della patologia cardiaca la possibilità che il dolore si associ
a una sintomatologia urente di tipo gastroenterica, come l'ulcera o l'esofagite.
A volte non è così importante che ci sia dolore. Si tende a chiedere al paziente di esprimere il dolore
in decimi, e sappiamo che il decimo corrisponde alla manifestazione di una sensazione intollerabile.
Tuttavia il dolore per infarto è abbastanza variabile nella sua intensità. Infatti il paziente potrebbe
avvertire semplicemente un fastidio invece di un dolore, anche di tipo lieve, ma che può durare
anche due o tre ore. La particolarità è che il paziente lo percepisce come una sensazione nuova, un
fastidio a cui non è abituato.
Per quanto riguarda l’irradiazione del dolore, il dolore
retrosternale si irradia nelle direzioni delle frecce come indicato
nell’immagine: la freccia più grossa va verso il braccio sinistro,
e indica la direzione di irradiazione più frequente, una freccia
verso il giugulo, una verso l'epigastrio e una verso la spalla.
Diagnosi
Tra le tecniche diagnostiche della cardiopatia ischemica vi sono l’esame fisico,
l’elettrocardiogramma e i test di laboratorio.
Cosa si può vedere nella valutazione dell’obiettività nell'ambito dell'angina? L’obiettività è utile per
delineare un quadro nel quale possono essere presenti patologie concomitanti; ad esempio, se il
paziente ha un' insufficienza mitralica sentirò un soffio.
L’elettrocardiogramma è molto importante. L’ECG di solito prevede il tratto ST grande in corso di
ischemia mitralica acuta, accompagnato da sottoslivellamento del tratto ST tipico delle sindromi
coronariche acute NSTEMI (infarto miocardico acuto senza sopraslivellamento del tratto ST). In
prospettiva poi queste alterazioni possono o recuperare completamente o dare origine a quelle che
sono le onde T negative tipicamente post ischemiche. Quindi una classica manifestazione
dell'ischemia è l'evoluzione in T negativo. Nel caso di tratti di STEMI invece, l’elettrocardiogramma
sarà caratterizzato da un sopraslivellamento del
tratto ST.
ANGINA STABILE
Quindi noi abbiamo da un lato l’angina stabile e dall'altro lato abbiamo le sindromi coronariche
acute. L’angina classica infatti è la “più classica” delle manifestazioni della cardiopatia ischemica ed
è l’unica, tra queste, a non essere considerata una sindrome coronarica acuta.
Per classificare la gravità dell'angina stabile si utilizza la classificazione Canadian Cardiovascular
Society detta anche CCS che ricorda, come impostazione, la classe NYHA (New York heart
Association) dello scompenso cardiaco.
Naturalmente ci sono tecnologie, alcune nuove, che aiutano la diagnosi. A seconda del momento in
cui inizia l'ischemia possiamo avere datazioni più o meno rilevabili alle metodiche diagnostiche. Vi
sono anche metodiche che riescono a vedere difetti di perfusione al loro inizio: la scintigrafia di
perfusione evidenzia immediatamente la presenza di un difetto.
Il test da sforzo è stato per moltissimo tempo il cavallo di battaglia della diagnosi di angina. Ora,
nelle ultimissime linee guida dell'anno scorso, il valore del test da sforzo sulla malattia ischemica
cronica (quelle che adesso vengono chiamate con un acronimo nuovo CCS Chronic Coronary
Syndrome, per distinguerle dalle acute) è stato ridimensionato in relazione al suo valore predittivo
non altissimo. Infatti il valore è molto variabile nelle donne.
Gli esami riportati in diapositiva sono riconducibili a un uomo di giovane età (32 anni). In seguito a
test da sforzo ad un carico di lavoro di almeno 100 mV, si ha diagnosi di ischemia se risulta un
sottoslivellamento di ST. Più e alto questo sottoslivellamento, maggiore è la probabilità di avere
angina. Nell’ECG riportato, il paziente presenta un alterazione del tratto ST che supera ampiamente,
a 60 millisecondi dal punto J, i 250 circa mV, cioè due quadratini e mezzo, risultando quindi
diagnostico per ischemia inducibile da sforzo, in particolare se anche associato a un sintomo
sospetto.
Questa è una scintigrafia, un esame utilizzato per cercare possibili anomalie nella perfusione del
miocardio sotto stress (da perfusione) e a riposo, cioè in rest.
Questi sono tipicamente i predistretti delle coronarie, quindi a seconda che si abbia un'alterazione
di un certo distretto, possiamo ipotizzare una stenosi significativa su quella specifica coronaria. In
questo caso le frecce dovrebbero puntare su una zona del cuore che è più debole come colorante
rispetto alla zona rest dell'asse corto nelle porzioni più basali.
Questa è una TAC coronarica che può essere ricostruita con un modello tridimensionale: si può
vedere l'aorta, il seno di Valsalva a destra, una coronaria a destra; a sinistra si vede il tronco comune
che poi si biforca in ventricolare anteriore e in circonflessa.
Trattamento
Cosa si dà al paziente? Sì dà il beta bloccante, il calcio antagonista, che riduce la frequenza, oppure
il calcio antagonista diidropiridinico. Quando questi farmaci non sono sufficienti si hanno dei
farmaci di seconda linea che possono essere i nitrati e la ranolazina.
Per ridurre il rischio nel caso di sospetto di malattia coronarica si possono utilizzare statine e
aspirina.
L'argomento se curare o meno una coronaria di un paziente con angina stabile da sforzo è un
controverso. Il professore dice che non esiste cardiologo, né tantomeno cardiologo emodinamista,
che non tenti di dilatare una coronaria a un paziente con angina stabile, perché è una tentazione
quasi inevitabile. Tuttavia non esiste una singola dimostrazione al mondo che fare questa cosa serva
a curare la malattia. Serve esclusivamente per migliorare la qualità della vita e per limitare la
frequenza e la severità degli episodi anginosi. Non esiste nessuna dimostrazione che migliori la
sopravvivenza o si riduca l'infarto miocardico.
Si può compiere una rivascolarizzazione per migliorare la prognosi solo nei seguenti casi:
- malattia del tronco comune con stenosi >50%
- stenosi della discendente anteriore >50%
- stenosi di 2-3 vasi coronarici >50% con disfunzione ventricolare sinistra
- grande area di ischemia (misurata con la scintigrafia >10% del ventricolo destro)
- una sola coronaria rimanente, poiché le altre sono chiuse.
In queste condizioni la rivascolarizzazione, quindi l'angioplastica, può avere un ruolo prognostico
significativo. In tutti gli altri casi, che sono il 70-80% delle angioplastiche fatte in alcuni ospedali, non
vi è alcuna dimostrazione che si stia facendo del bene.
Un’altra possibile indicazione per angioplastica è la presenza di una stenosi che non risponde alla
terapia medica, ma in realtà tutte le angine rispondono abbastanza bene alle terapie mediche.
Quindi l'esecuzione di un angioplastica in queste condizioni è tendenzialmente discutibile.
La gran parte delle rivascolarizzazioni, circa il 90% dei casi, avviene con angioplastica. La procedura
prevede prima una dilatazione, poi l’inserimento di uno stent montato su un pallone. Gonfiando il
pallone lo stent si apre, e ovviamente rimane in sede tenendo la coronaria dilatata.
Perché si mettono gli stent? Un tempo si facevano angioplastiche senza stent, ma la dilatazione
danneggiava sia la tonaca media che l'endotelio e la coronaria tendeva ad avere una risposta
negativa duplice: una risposta cosiddetta recoil, di tipo elastico, in cui la coronaria tende di nuovo a
restringersi, oppure una formazione di neo intima con proliferazione anche di cellule muscolari lisce,
che tende a far richiudere la coronaria.
La presenza di stent coronarici ha ridotto l'incidenza di ristenosi da un numero proibitivo, circa l'80%,
a un numero molto ridotto di 10-15%.
La rivascolarizzazione può essere fatta anche con un intervento di bypass. Possiamo avere bypass
di tipo arterioso, che sfruttano l’arteria mammaria inferiore, mettendola sull'arteria discendente
anteriore, oppure un bypass venoso, dove si utilizza un tratto di vena safena prelevata da una
gamba.
Che tipo di infarto è? Il ritmo è sinusale; il PR è 0,28 secondi, quindi sette quadratini, (blocco
atrioventricolare di primo grado); sopra ST in D2, D3 e aVF; sotto ST in V1, V2 e V3 e aVL: quindi
infarto inferiore posteriore.
La coronaria responsabile di questo infarto è la destra dominante che dà origine a DDP: questo
perché vi è una D3 che chiude la D2, quando invece è chiusa l'arteria circonflessa, nel 80% dei casi
la D2 è più sopraslivellata della D3, l'aVL è molto sottoslivellata.
Trattamento farmacologico
Cosa si fa a un paziente con uno STEMI? Bisogna fare la diagnosi, bisogna vedere che sia stabile; se
si è in ospedale dargli dell'ossigeno e monitorizzarlo. È importante somministrare l'aspirina come
primo antiaggregante: l'aspirina va data per tutte le sindromi coronariche acute. Il trattamento
ideale prevede 300 mg da
masticare per un assorbimento
orale, ma se siamo in ospedale
possiamo dare 150- 200 mg di
acido acetilsalicilico o
acetilsalicilato di lisina,
disponibile in vena.
La somministrazione di un
secondo antiaggregante
piastrinico è un argomento più
complesso. Va valutata sulla
base della durata dell'ischemia,
prima della possibile riperfusione. Se si decide per la somministrazione, perché ad esempio i tempi
di trasporto fino alla sala emodinamica sono lunghi, le dosi da fare sono:
- 600 mg di clopidogrel
- o 60 mg di prasugrel
- o 180 mg di ticagrelor.
Il beta-bloccante è ancora consigliato nel trattamento iniziale: si utilizza solitamente 2 mg e mezzo
di metoprololo fino a un massimo di 5 mg. Si utilizza il beta-bloccante essenzialmente per produrre
un consumo di ossigeno, non potendone aumentare l'apporto. La dimensione dell'infarto sarà
chiaramente anche determinata dl consumo di ossigeno. Se il consumo è basso la dimensione
dell'infarto sarà un po' più bassa.
Trattamento intervenistico
In tutti gli STEMI viene fatta una angioplastica
primaria, fino a circa 12 ore dall'esordio dei
sintomi. Ovviamente prima viene effettuata,
meglio è: se la si fa entro la prima ora, nella
cosiddetta golden hour, si riesce quasi ad
abortire l'infarto; fatta entro la terza ora, si
riesce a ridurre l’infarto in modo importante,
ma dopo la sesta ora l'induzione del beneficio
è veramente modesta. Tuttavia si tende
ancora a consigliare una rivascolarizzazione
entro le 12 ore e, in alcuni casi particolari, ad
esempio se si dimostra una persistenza del
dolore o una persistenza di ischemia, ci può
essere l'indicazione ad andare oltre le 12 ore.
NSTE-ACS
La famiglia NSTE-ACS comprende l’angina instabile e il NSTEMI vero e proprio; quest’ultimo è
caratterizzato da un occlusione parziale della coronaria in presenza di sottoslivellamento ST.
Diagnosi differenziale
Le sindromi coronariche acute da ST sopra necessitano di una diagnosi differenziale: infatti la
presentazione è identica e noi saremo certi della diagnosi solo dopo i risultati delle analisi del
sangue. Se il dolore è di un quarto d'ora si può sospettare un'angina, se il dolore è di un'ora si può
sospettare un infarto: ma di fatto, la diagnosi finale, se si tratti di angina instabile o STEMI, è quella
dell'utilizzo degli enzimi. La presenza di una troponina positiva significa danno miocardico, Quindi è
vera l’indicazione di infarto quando abbiamo la presenza di troponina, più dolore tipico, più
alterazione tipica dell'ECG.
Ma la presenza di troponina senza queste altre due cose è sì indicativa di un danno miocardico, ma
non deve prendere la parola infarto. Infatti si possono avere danni miocardici per una miocardite,
per una malattia infiltrativa come l'amiloidosi che muove la troponina, per uno stress da scompenso
cardiaco acuto. O anche per malattie non direttamente cardiache, come l'embolia polmonare, per
danni farmacologici, trauma, insufficienza renale severa, sepsi, ictus.
È importante comprendere che il movimento di troponina, soprattutto adesso che le troponine sono
molto sensibili, è indicativo certamente di danno, ma non è indicativo della causa del danno.
Alcune di queste patologie possono mimare l'infarto miocardico, tipicamente la miocardite
infartuale e la cardiomiopatia da Tako-Tsumo.
Quando si ha di fronte una sindrome coronarica acuta si è in una situazione "tra incudine e
martello". Da un lato bisogna contrastare il rischio trombotico, somministrano al paziente almeno
tre trattamenti antitrombotici, che saranno aspirina, inibitore della P2Y12 ed eparina;
eccezionalmente si somministra anche un inibitore della glicoproteina IIB/IIIA come quarto
antiaggregante.
Tuttavia il trattamento antitrombotico espone al rischio di emorragia. Per stimare il rischio di
sanguinamento si utilizza un calcolatore chiamato Crusade, uno score di per la stratificazione del
rischio emorragico (specialmente in pazienti con angina instabile). A seconda del punteggio Crusade,
vi sarà una più o meno alta probabilità di sanguinamento. La terapia per il paziente è perciò
fortemente personalizzabile sia in base al rischio trombotico che il rischio emorragico.
Quale inibitore della P2Y12 è meno potente? Il clopidogrel è meno potente del ticagrelor. Quindi
nel caso di un paziente con elevato Crusade score è consigliato l'uso del clopidogrel, rispetto al
ticagrelor, che di conseguenza è più indicato per pazienti con inferiore rischio emorragico.
Il cateterismo cardiaco
È un procedimento che va fatto con un intervento di angioplastica per pazienti con punteggio Grace
alto e in tutti i pazienti con troponina positiva, quindi in diagnosi di NSTEMI o di angina instabile o
stabile.
In pazienti appartenenti a queste categorie, la cateterizzazione con angioplastica, sin da dati forniti
nel 2002, si dimostra migliorativa della prognosi, ma tipicamente solo nel sottogruppo di pazienti a
rischio più alto, quindi classe di rischio 1 con un livello A. I tempi di intervento vanno ulteriormente
velocizzato se si è in presenza di angina refrattaria, se c'è scompenso cardiaco o aritmie. La
tempistica è di 72 ore, ma si sta tendendo a ridurre entro 24 massimo 48 ore per tutte le categorie
di rischio.
Complicanze dell'infarto
La complicanze sono più severe sono di natura meccanica: le rotture di parete libera, del setto
interventricolare, del muscolo papillari, con insufficienza mitralica acuta severa o presenza di
trombi, che danno in genere un quadro meno grave.
La presenza di un infarto senza alterazione
coronarica importante dà luogo al
cosiddetto MINOCA myocardial infarction
with non-obstructive coronary arteries,
una definizione che include diverse
patologie, tra cui gli spasmi coronarici o la
sindrome di Tako-Tsubo.
Che cos’è la sindrome di Tako-Tsubo? Il termine è di origine giapponese e indica una tipica anfora
stretta nella quale viene intrappolato il polipo: il polipo entra e non riesce più ad uscire a causa della
forma del collo che è troppo stretta.
La sindrome di Tako-Tsubo è caratterizzata tipicamente da dolore, scatenato nel 60% dei casi da
eventi stressanti; è più frequente in pazienti di sesso femminile.
La causa scatenante non è nota. È verosimilmente legata al sistema adrenergico, a causa della
differenza dei recettori adrenergici tra l'apice e la base. Nella Tako-Tsubo tipica la base funziona
ancora, mentre l'apice "spancia". Le alterazioni radiografiche tipiche consistono in un
sopraslivellamento transitorio del tratto ST nella sede dell'apice, tipicamente V2 V4, con evoluzione
con T negativo e QT lungo. Il movimento enzimatico è presente ma modesto, perché poche cellule
muoiono, molte sono gravemente disfuzionanti. Su questa base, nella risonanza sarà visibile molto
edema.
Si osserva una dilatazione (acinesia) dell’apice della
parete anteriore del ventricolo sinistro (balooning
dell’apice), contrazione della zona basale del setto e
della parete libera del ventricolo; contrattilità molto
debole del restante miocardio, un po’ ipocinetico;
forma di stunning. La dilatazione della parete
anteriore può avere forme atipiche.
La sindrome di Tako-Tsubo è reversibile: nel giro di sei
mesi tutto torna normale.
Clinica e patologia del torace – Cardiologia – Lezione 11 6/04/2022 – DeFerraris – Arianna Zamboni,
Stefano Sipala
[premessa: mi scuso anticipatamente per questa sbobina ma quel giorno il professore ha avuto problemi con le
diapositive, quindi, spesso è stato confusionario e un po’ approssimativo nell’esposizione degli argomenti. Ho cercato di
riorganizzare il discorso al meglio integrando anche dalla sbobina dell’anno scorso che vi consiglio comunque di
consultare in quanto più approfondita. Consiglio anche di guardare la presentazione PowerPoint del prof che è ricca di
animazioni Doppler e Echo che aiutano a capire molto meglio le varie alterazioni valvolari]
MALATTIE VALVOLARI
Le malattie valvolari sono all’origine di una serie di sovraccarichi cardiaci che possono condurre allo
scompenso cardiaco.
Distinguiamo sovraccarichi di volume o di pressione a seconda delle anomalie valvolari che
possiamo riscontrare, per esempio: quando si ha stenosi della valvola avremo un sovraccarico di
volume a monte della valvola stenotica, mentre quando la valvola è insufficiente il sovraccarico
riguarderà o entrambe le camere cardiache, se si ha insufficienza della valvola atrio-ventricolare, o
solamente il ventricolo, se è insufficiente la semilunare corrispondente.
Dal punto di vista epidemiologico la maggior parte delle malattie che danno origine a disturbi
valvolari, progressivamente crescenti nel corso della vita, sono dovute a un processo degenerativo
e progressivo tipico dell’invecchiamento, ad eccezione delle alterazioni valvolari congenite: ad
esempio nel caso della morte cardiaca improvvisa la Bicuspidia Aortica è una patologia congenita
fra le più frequenti che può dar luogo a una stenosi aortica precoce e a un’ insufficienza valvolare
relativamente precoce.
STENOSI AORTICA
Eziologia degenerativa della valvola aortica:
presenta una serie di similitudini con il processo degenerativo
aterosclerotico in quanto è presente una componente flogistica
a cui segue un processo di calcificazione della valvola stessa,
infatti se ricordiamo il processo di guarigione dell’aterosclerosi
della coronaria, alla fase infiammatoria segue il processo di
calcificazione che riguarda prima la placca e successivamente
l’arteria: questo fenomeno, più marcato, dello sviluppo di calcio
deposizione è quello che si verifica a livello della valvola aortica
e determina:
- Un iniziale e progressivo disturbo valvolare con flusso turbolento;
- Una successiva calcificazione della valvola con ridotta mobilità dei lembi;
- In ultimo, la progressiva fusione delle commissure valvolari (frecce sottili) dovute al processo
infiammatorio calcifico arrivando a determinare una riduzione dell’anulus aortico e quindi
Stenosi aortica.
Dal punto di vista emodinamico la stenosi aortica è determinata da un gradiente anterogrado che si
misura facendo la differenza fra i valori di pressione misurati da un catetere posizionato in
ventricolo e uno posizionato nel aorta (differenza di pressione fra ventricolo e aorta)
Si parla di gradiente Picco-Picco e di gradiente medio: il gradiente Picco-Picco è quello che si
misura all’apice della curva pressoria (se per esempio misuriamo 150mmHg in ventricolo e
100mmHg in aorta di sistolica massima il gradiente è di 50 di picco); quello che però si usa
maggiormente per dare definizione della gravità della malattia aortica è il gradiente medio, dato
dalla differenza fra la media delle due pressioni (ventricolare e aortica) ed è inferiore del gradiente
di picco.
Inoltre, la pressione che si trasferisce agli alveoli può causare un edema polmonare: per una
persona che non soffre di ipertensione cronica 25mmHg di pressione negli alveoli sono sufficienti
per causare edema polmonare (un po’ di più in caso di ipertensione cronica perché li alveoli si
adeguano alla pressione elevata).
La sintomatologia tipica è quella dell’angina da sforzo, astenia (sintomi iniziali), lipotimia
(sensazione di improvvisa debolezza non accompagnata da completa perdita di coscienza)
presincope e sincope (da sforzo e successivamente a riposo) e scompenso cardiaco.
La triade della stenosi aortica classica prevede dispnea, angina, sincope (di solito in questa
sequenza) e dal momento in cui si manifestano i sintomi la stenosi aortica entra in “classe
chirurgica” perché se non curata va in contro a più di 50% di mortalità in 6-9 mesi.
Il primo esame da cui ci facciamo venire il sospetto di una stenosi aortica rimane comunque quello
ecocardiografico: possiamo osservare un lembo della valvola immobile (normalmente c’è una
apertura chiamata box aortico che si vedrebbe in M MODE) quindi l’apertura complessiva rimane
ridotta poiché solo uno dei due lembi si muove. (indicativamente osserviamo una separazione di 8-
9mm quando una separazione normale delle cuspidi sarebbe almeno di 20-25mm)
Doppler: quando il ventricolo non riesce più a ridurre lo stress di parete si va incontri a una
dilatazione ventricolare con riduzione della funzione ventricolare sx e quindi della frazione di
eiezione. Possiamo osservare la variazione di pressione e quindi il gradiente grazie alla variazione di
flusso attraverso la valvola: in questo esempio abbiamo 461cm/s che corrispondono a 85mmHg di
gradiente (picco-picco) e gradiente medio > 40. Siamo di fronte a una stenosi aortica severa certa.
Dal punto di vista diagnostico è un problema quando il ventricolo non pompa bene (si scompensa)
perché la capacità di generare un gradiente che dia delle informazioni adeguate sulla gravità della
stenosi dipende soprattutto dal flusso e non solo dalle dimensioni del buco, infatti anche se la
stenosi è severa ma la portata cardiaca è bassa il gradiente sarà basso (potremmo erroneamente
confonderla con una stenosi lieve poiché il gradiente è basso) à parliamo della cosiddetta LOW
FLOW/LOW GRADIENT Severe Aortic Stenosis, una condizione per cui la stenosi è severa ma non si
misura un gradiente alto perché la frazione di eiezione e il flusso sono ridotti.
Come facciamo a valutare se siamo di fronte a stenosi aortica con basso gradiente e abbiamo
l’impressione che sia severa, a verificare che sia effettivamente severa?
Un modo è aumentare il flusso: si fa un test provocativo con la dobutamina, si aumenta il flusso e la
contrattilità cardiaca: se aumentando la gittata sistolica (quindi il flusso) e il gradiente aumenta in
maniera significativa e diventa grave allora la stenosi è veramente severa à low flow low gradient;
se invece non aumenta (aumenta solo la portata ma non il gradiente) siamo di fronte a una stenosi
pseudo-severa.
TRATTAMENTO
Non esistono terapie medicinali per la stenosi aortica se non qualche intervento sulla frequenza
cardiaca; l’unica terapia è sostituire la valvola e l’intervento va fatto
• in tutti i pazienti che hanno gradiente > 40 e un sintomo.
• in pazienti con disfunzione ventricolare sinistra anche se senza sintomi
• se presenti segni di ipertensione polmonare
OBIETTIVITÀ
SEGNI:
• polso a martello (celer)
• grande pressione differenziale (sistolica alta - diastolica bassa)
• il segno di Quincke: pulsazione dei capillari del letto ungueale (schiacciando l’unghia si vede
“ballare” il segno rosso fra la zona perfusa e non perfusa)
• segno di De Musset: pulsazioni del capo con movimenti ritmici
• soffio diastolico in decrescendo: inizia dal secondo tono
(Excursus su De Musset: uomo della Parigi dei primi ‘900 solito frequentare molte donne tra cui
diverse prostitute che all’epoca erano affette da treponema. De Musset aveva quindi contratto la
Sifilide che come manifestazione cardiovascolare da una grave insufficienza aortica che si
manifestava con un segno tipico che è quello della testa che oscilla in avanti e indietro. Questo è
dovuto ad un polso che è così importante che fa oscillare la testa. Lo stesso segno era presente in
Abraham Lincoln, probabilmente affetto da Marfan, le cui foto lo ritraevano sempre con il piede
sfocato perché non riusciva a stare fermo (proprio per questa grandissima pressione pulsatoria) per
la durata della lunga esposizione tipica delle fotografie dell’800)
ECG è simile all’ipertrofia da stenosi perché siamo comunque in una condizione di sovraccarico
(dalla sbobina dell’anno scorso: la dilatazione e il sovraccarico possono causare sottoslivellamento
ST come da ischemia subendocardica)
Radiografia: simile alla stenosi ma più manifesto l’ingrandimento del cuore e dell’arco aortico per
via dell’insufficienza
TRATTAMENTO e TERAPIE
L’insufficienza aortica ha delle terapie tipiche (vale anche per insufficienza mitralica) e dipendono
dalla impedenza (resistenza) relativa anterograda o retrograda: più c’è resistenza anterograda più
sangue andrà all’indietro (la tendenza del sangue a tornare indietro dipende da quanto fa fatica ad
andare in avanti nei vasi) per cui se nella periferia trova vasi costretti la tendenza sarà di tornare
indietro per questo la terapia vasodilatante è la terapia principe (si può trattare così un paziente
anche 20 anni senza operare l’insufficienza severa in condizioni di pressioni sistolica elevata).
La valutazione deve tener sempre conto delle resistenze stimate sotto forma di pressione arteriosa:
più è alta la pressione arteriosa peggio è la gravità dell’insufficienza (va sempre rapportata alla
pressione che si misura al momento dell’echo)
Il timing dell’intervento:
è difficile capire quando operare perché soprattutto nei casi asintomatici potrebbe essere che il
paziente non avrà nemmeno mai bisogno di essere operato; l’indicazione di intervento in questi
casi è solo se c’è disfunzione ventricolare sx o nei pazienti sintomatici.
Poi ci sono i pazienti con una frazione di eiezione ancora buona ma che hanno una dilatazione
molto marcata (diametro diastolico >70 o sistolico >50) e magari si ha una dilatazione aortica: i
valori per i quali si ha l’indicazione di fare sostituzione anche della aorta ascendente sono 45mm
con presenza della sindrome di Marfan, 50mm con Bicuspidia, 55mm per pazienti che non hanno nè
una nè l’atra. L’obiettivo è ridurre il rischio di rottura della aorta e di morte improvvisa.
STENOSI MITRALICA
Una volta era molto frequente nei paesi in via di sviluppo perché ha eziologia da febbre reumatica
(frequentemente associata a una cattiva sanità e igiene ridotta) in cui si ha fusione delle
commissure e riduzione dell’area luminale associata a fibrosi dell’apparato valvolare e delle corde
tendinee.
L’incidenza dipende dai paesi (in africa centrale è un problema di salute pubblica molto importante)
ma nella maggior parte dei casi il paziente avrà storia reumatica (90% casi) anche se ci possono
essere casi di stenosi mitralica congenita o degenerativa da endocarditi, ma sono molto rare.
La febbre reumatica è dovuta allo Streptococco Pyogenes β-emolitico di tipo A e causa una reazione
autoimmune che può dare malattia articolare e cardiaca (carditi): pericarditi, miocarditi,
endocarditi e malattie valvolari. È una febbre tipicamente dell’età scolare e adolescenziale e spesso
si manifesta nel corso delle recidive in cui è frequente una risposta immune eccessiva delle cellule T
che poi genera la cardite (il prof dice che questi casi non li vedremo mai in Italia)
Si ha sovraccarico di pressione a
monte con aumento pressioni
polmonari e i soliti sintomi.
La gravità del gradiente dipende dal
flusso (come per l’aorta) il quale
dipende anche dall’area della valvola
e dalla gravità della stenosi, ad
esempio con una valvola con un’area
di 4 cm2 si ha sintomo dispnoico solo
con flussi altissimi. Quindi può
succedere che si abbia un grande
aumento di pressione transmitralica
(che raggiunge i 30mmHg) ma in
dipendenza dall’area della valvola e
quindi a flussi relativamente alti.
Esame obiettivo:
Quando la stenosi mitralica dura anni si possono avere segni di tricuspidalizzazione della stenosi
mitralica: il processo fisiopatologico segue questa sequenza di eventi: 1) Insufficienza mitralica à
2) aumento della pressione venosa polmonare a monte à 3) aumento della pressione arteriosa
polmonare a monte à 4) ipertrofia del ventricolo dx à 5) dilatazione ventricolare dx per
sovraccarico di pressione.
La dilatazione del ventricolo dx e la dilatazione dell’anello tricuspidale danno insufficienza
tricuspidale associata a stasi venosa, distensione e turgore della vena giugulare, epatomegalia,
edema periferico e ascite. A questo punto la stenosi è tricuspidalizzata e abbiamo una deviazione
assiale a dx (asse a 110° ad esempio)
Area: L’area valvolare viene considerata normale se compresa tra 4-6 cm2; stenosi lieve con dispnea
da sforzo intenso se l’area è compresa tra 1,5-2,5 cm2; stenosi moderata tra 1-1,5 cm2 (dispnea da
sforzo lieve e senza sintomi a riposo); infine stenosi severa con dispnea a riposo per aree < 1 cm2. A
seconda dell’area e della portata cardiaca attraverso di essa, si avrà un valore di gradiente trans-mitralico più
o meno tollerabile, il quale va aggiunto alla pressione atriale sx iniziale dando la pressione atriale sx finale
che, se maggiore di 25-30 mmHg, aumenta il rischio di edema polmonare.
TRATTAMENTO E TERAPIE
Come si cura?
La terapia medica è la stessa dello scompenso:
diuretici e nitrati che possano ridurre la
frequenza cardiaca (soprattutto in caso di
sforzo). Per la dispnea da sforzo possono essere
utilizzati anche i beta bloccanti e i calcio
antagonisti non diidropiridinici. L’anticoagulante
è quasi sempre necessario per pz con stenosi
aortica severa, in parte perché questi pz hanno
molti episodi di fibrillazione atriale, in parte
perché comunque vi è un rallentamento del
flusso atriale e un aumento del rischio di ictus.
Il trattamento chirurgico prevede una
valvuloplastica con approccio trans- (equivalente
della digitoplastica): si arriva dalla vena femorale,
si buca il setto interatriale e si va nell’atrio sx, si
passa un pallone attraverso la valvola mitralica
calcifica che inizialmente lo trattiene per via delle calcificazioni ma aumentando l’espansione del
pallone questo romperà poi la calcificazione commissurale riducendo moltissimo il gradiente
diastolico (es: si passa da 11 che è severo a 4 che è lieve moderato). (Nella foto si vede prima il
pallone a forma di clessidra che cerca di vincere le resistenze della valvola calcifica) La
valvuloplastica di riserva solitamente ai rarissimi casi in cui è impossibile eseguire l’intervento
chirurgico (es. gravidanza).
Un altro approccio può essere chirurgico ma di solito nella mitrale reumatica è difficile perché
anche i papillari e le corde tendinee sono danneggiate quindi spesso si preferisce sostituire
direttamente la valvola (le scelte sono sempre le stesse: biologica di bue o meccaniche a singolo
disco o a doppio disco che durano di più ma richiedono terapia anticoagulante per tutta la vita per
via dell’alto rischio trombotico).
La mortalità è più bassa che per l’aorta (più vicini a 2%) e aumenta se sostituiamo la valvola o se
aggiungiamo anche un bypass.
INSUFFICENZA MITRALICA:
Dà luogo a sovraccarico di volume e può avere causa:
• Organica: di tipo degenerativo (prolasso della valvola), congenito, reumatico e infettivo
(endocardite batterica)
• Funzionale: da dilatazione dell’anello per cardiomiopatia dilatativa o post-ischemica)
In generale le tre cause principali sono prolasso, reumatica e endocarditica. L’insufficienza mitralica
reumatica è più difficile che sia insufficiente, l’endocardite può dare corde rotte o a perforazione
dei lembi e vegetazioni.
Nella foto a fianco si vede il prolasso (freccia
gialla) dovuto a una lassità dell’apparato di
sostegno valvolare per cui uno dei lembi
prolassa causando un flusso verso l’atrio
(rigurgito mitralico). Si può osservare che a
prolassare è il centro del lembo e il fenomeno
si chiama billowing (fenomeno di protrusione,
cioè lo spiazzamento sistolico di uno o due dei
lembi valvolari)
ESAME OBIETTIVO
Soffio di tipo olosistolico che può partire già da S1 o se
c’è un prolasso mitralico parte dal click mitralico (tipico
del prolasso) e ingloba tutto l’S2 perché continua fino
alla chiusura delle valvole stesse. Nei casi più gravi può
comparire un galoppo S3
Il cateterismo cardiaco non è particolarmente importante in questi malati se non per andare a
vedere quanto ci mette l’atrio a riempirsi di liquido di contrasto una volta iniettato nel ventricolo sx,
(normalmente sono sufficienti 1 o 2 sistoli per riempirlo completamente) più è lungo il tempo più la
condizione è grave.
Si riscontra anche un aumento della pessione di Wedge (atriale sx) dovuta ad un aumento
dell’onda V. In sistole c’è trasmissione di sangue, quindi di pressione, dal ventricolo all’atrio che
arriva fino ai capillari polmonari dove esprime un’onda V molto alta, segno sensibile, anche se non
assolutamente specifico, di insufficienza mitralica
L’onda retrograda pressoria dovuta al rigurgito atriale causa quindi un aumento della pressione di
incuneamento (o anche pressione atriale).
TRATTAMENTO e TERAPIA
La valvola va riparata se non è calcifica e non sostituita.
INIDICAZIONI:
timing: è pericoloso sostituire la valvola quando c’è frazione di eiezione ridotta, infatti, la frazione
di eiezione che misurate in un pz con insufficienza mitralica massiva è fortemente sovrastimata
rispetto alla funzione ventricolare sx. In realtà con l’insuff. mitralica il cuore è molto più
disfunzionante di quello che indica il numero della frazione di eiezione, che è un valore che è stato
concepito per indicare la funzione ventricolare sx ipotizzando che tutto il sangue eietto vada in
aorta. In questo caso il sangue che va indietro fa molto meno fatica quindi il ventricolo si svuota con
molta più facilità verso l’atrio, che rappresenta una via a bassa impedenza (è come misurare
l’attività del bicipite mentre solleva una tanica da 10l piena o da 10l bucata). Questo vuol dire che
se abbiamo una frazione eiezione del 30% e un ventricolo di 200 ml avremo un cuore gravemente
disfunzionante ma ancora compatibile con una vita accettabile poiché abbiamo 60ml eiezione
sistolica che con 80bpm genera una portata di 4l/h; ma se diversamente di questi 60ml, 30 (che
corrispondono a una frazione di rigurgito del 50%) tornano indietro, la portata anterograda è 30 ml
per battito quindi anche a 100bpm avremo 3l/h di portata. La frazione di eiezione del 60% è il
minimo che si possa avere un ventricolo normale in presenza di insufficienza mitralica severa e i
parametri di contrattilità abituali devono essere rivisti per essere correttamente giudicati
Oggi si fa o la riparazione mitralica con la chirurgia o con la molletta (mitralclip) che serve in caso di:
1. Disfunzione ventricolare sx in cui uno dei lembi ha “tethering” mitralico
(stiramento del lembo) che impedisce l’apposizione di questi lembi causando un
forte rigurgito mitralico eccentrico
2. Disfunzione del papillare, come in un infarto che peggiora e impedisce la
funzione del papillare posteromediale che rimane rigido e non consente di
apporre i lembi
3. Dilatazione in cui un papillare è ischemico e si ha tensione ischemica di tipo
asimmetrico sui papillari per cui abbiamo un lembo più stirato dell’altro e un
flusso di rigurgito (jet) asimmetrico;
4. In presenza di una cardiomiopatia dilatativa tipicamente non infartuale
abbiamo il ventricolo sx dilatato, l’anulus dilatato e un jet centrale mediano,
segno di grave rigurgito
In questi pazienti con grave insufficienza mitralica ma anche una grave disfunzione ventricolare sx
l’intervento chirurgico è a rischio altissimo perché il ventricolo sx a volte ce la fa a contrarsi perché
ha una via d’uscita a bassa impedenza, ma se chiudiamo completamente quella via di fuga da un
momento all’altro il ventricolo si trova a pompare contro una resistenza bruscamente aumentata e
rischia di sfiancarsi. Si parla di Afterload mismatch, cioè un mismatch fra capacità contrattile e
resistenza incontrata (afterload aumentato) (è come aggiungere carico a un asino stanco).
In questa circostanza era stata inventata da Otavio Alfieri una tecnica: la Edge to edge
valvulloplasty /repair che consiste nel dare il cosiddetto “punto di Alfieri” ovvero un punto
chirurgico al centro della valvola mitralica trasformando un’ampia mitrale aperta e insufficiente in
una valvola con due buchetti molto più piccoli, in grado di ridurre di molto il rigurgito senza però
annullarlo completamente e soprattutto non in modo brusco (all’Echo si vedono due jet distinti e di
dimensioni ridotte).
Oggi questo intervento che una volta era di tipo chirurgico si effettua per via percutanea con una
speciale cucitrice per valvola mitralica che applica questa clip accostando al centro i due lembi della
valvola lasciano una specie di apertura “ad otto”; è un intervento impiegato per tutte le mitrali
degenerative che sono semplici o in quei pazienti in cui l’intervento chirurgico è troppo pericoloso.
Anche nel caso della mitral-clip ci può essere un po’ di afterload mismatch, anche se non grave
come nella sostituzione della valvola mitralica perché non andiamo a sigillare la valvola ma ridurre il
rigurgito.
Quali sono i pazienti che ne hanno beneficio? Sono stati condotti due studi.
Nel primo, condotto in Francia, i pazienti con scompenso cardiaco avanzato dilatazione dell’anello e
insufficienza mitralica severa sono stati sottoposti a clip mitralica o a terapia medica ottimizzata.
Nel secondo, condotto negli USA, sono stati randomizzati pz con scompenso cardiaco avanzato,
dilatazione dell’anello insuff. mitralica severa a mitral-clip o terapia medica ottimizzata.
I due studi, sebbene pressoché uguali hanno dato effetti clamorosamente diversi: il primo non ha
mostrato alcun esito la curva di sopravvivenza di ogni paziente trattato con clip e senza è identica
mentre il secondo ha mostrato uno straordinario beneficio con la riduzione del 6% della mortalità e
del 18% di mortalita+ospedalizzazione+scompenso nell’arco di un biennio.
Come mai? Al di là della tecnica, gran parte della risposta è data dal fatto che ventricoli dei francesi
erano più insufficienti e il volume rigurgitante era minore al contrario degli americani avevano
ventricoli più piccoli con volumi rigurgitanti maggiori.
Questo risultato ha portato a scoprire una cosa molto importante: che qualunque scompenso con
dilatazione dell’anello si associa intrinsecamente a insufficienza mitralica perché slargandosi l’anello
passa sangue ma l’insufficienza mitralica è proporzionata al grado di dilatazione ventricolare sx: se
uno ha un ventricolo di 200 ml e 40 ml di insufficienza mitralica è proporzionata al gradi di
dilatazione mentre se uno ha un ventricolo di 140 ml e 60 di volume rigurgitante ha un insuff
mitralica sproporzionata al grado di dilatazione.
Anche noi abbiamo degli studi sul rapporto fra volume rigurgitante e volume ventricolare che
dimostrano che effettivamente l’efficacia dell’intervento sembra andare di pari passo con la
“sproporzionatezza” dell’insufficienza e questo è diventato un parametro molto importante per
valutare l’adeguatezza alla candidatura del paziente alla riparazione mitralica percutanea con clip.
CLINICA E PATOLOGIA DEL TORACE – CARDIOLOGIA LEZIONE 12 – 06/04/2022 – Prof.
De Ferrari (Vignetta Stefano, Aldo Pacenza)
Il cuore è formato da diversi strati: endocardio, miocardio( formato da diversi tipi cellulari),
epicardio, poi abbiamo la cavità pericardica, il pericardio parietale ed infine quello fibroso.
Pericardio: sacca di sierosa posta attorno al cuore, cavità tendenzialmente virtuale riempita di
liquido lubrificante.
Funzioni:
● riduce attrito tra il cuore e le strutture circostanti
● aumenta l’interdipendenza ventricolare diastolica
● previene la dilatazione del cuore in caso di un aumento brusco di volume
● costituisce una barriera contro le infezioni
● àncora il cuore in posizione limitando i movimenti durante il ciclo cardiaco
Le patologie del pericardio possono essere di origine congenita (poco rilevante, vi sono soggetti che
nascono senza pericardio ma non è così grave come patologia), neoplastica (molto rari sia benigni
che maligni) e metastasica (solitamente di origine polmonare) traumatica o infiammatoria ( più
frequente).
Solitamente la pericardite si presenta con fenomenologia acuta accompagnata o meno da
versamento pericardico, può anche essere silente fino ad arrivare al tamponamento cardiaco.
Inoltre è possibile una manifestazione cronica con versamento pericardico semplice oppure in
maniera più insidiosa abbiamo le pericarditi effusive costrittive o la pericardite costrittiva vera e
propria in cui abbiamo un pericardio molto rigido che costringe il cuore.
Classificazione istopatologica della pericardite acuta:
Le più comuni:
- pericardite sierosa
- pericardite fibrinosa e serofibrinosa
Le più rare:
- pericardite purulenta in caso di infezione batterica es stafilococco aureus
- pericardite emorragica (comprende anche le pericarditi tubercolari)
- pericardite casearie (malattia infiammatoria cronica)
Il professore illustra alcune foto di diverse tipologie di pericardite, leggendo le slide.
Pericardite
Sindrome causata da infiammazione pericardica e caratterizzata da dolore, sfregamento (simile ad una
pezza di cuoio vecchio che viene piegata), versamento pericardico e anomalie nell’ECG.
Epidemiologia
incidenza reale sconosciuta, possibile che non venga diagnosticata poiché asintomatica. In autopsie
prevalenza del 2-6%; in ospedale diagnosticato in 1 su 1000 accessi ospedalieri. Più frequente nei
maschi abbastanza giovani. La prognosi è variabile ed è connessa all’eziologia.
Eziologia
● idiopatica (incidenza 80-85%)
● infettiva (incidenza 60-70%)
- virale: soprattutto echovirus e coxsackie tipo d, ma anche virus influenza, EBV, CMV,
adenovirus, varicella, rubeola, orecchioni, Epatite B, HIV, parvovirus B19, Herpesvirus
6, difficili da individuare
- batterica: tubercolosi o brucellosi
- fungina: rara, histoplasma o candida
- parassitiche: toxoplasma, echinococco
● non infettiva (incidenza 30-40%)
- autoimmune: lupus
- neoplastiche: tumori secondari e formazioni metastatiche
- metaboliche: uremica
- traumatiche: di tipo diretto e indiretto
- correlato a farmaci: penicillina, procainamide, idralazina, doxorubicina, alcuni danno anche
miocarditi
- Da infarto: acuta durante infarto transmurale con morte di epicardio e flogosi del
pericardio, sindrome di dressler post pericardiotomica (più spesso dopo taglio chirurgico
che scatena risposta autoimmune)
Presentazione clinica
Si presenta con dolore pericarditico spesso accompagnato da dispnea.
Lo sfregamento pericardico si manifesta con 3 componenti: sistole atriale, sistole ventricolare,
rapido riempimento diastolico. Si possono riscontrare anche in caso di versamento pericardico.
I test diagnostici usati per approfondire sono l’elettrocardiogramma e l’ecocardiogramma.
Importante distinguere il dolore pericarditico dal dolore toracico non pericarditico, come in caso di
ischemia miocardica o di infarto. Come facciamo?
Solo nella derivazione cavitaria (aVR) è l’unica in cui c’è sottoslivellamento del punto J e tratto PR.
In caso di pericardite acuta, i farmaci di prima linea utilizzati sono aspirina oppure FANS associati a
colchicina, mentre di seconda linea si utilizza cortisone somministrato a basso dosaggio qualora ci
fossero controindicazioni con i farmaci di prima linea.
In caso di pericardite recidiva le prime due linee sono le medesime, ma subentrano una terza linea
con immunoglobuline, anakinra(inibitore dell’interluchina 1) o azatioprina somministrate per via
endovenosa, e una quarta linea con pericardiectomia (scelta estrema).
Tamponamento cardiaco
Il tamponamento cardiaco è la condizione più preoccupante derivante da pericardite,
potenzialmente mortale. Compressione del cuore dovuta a presenza di liquidi (sangue, pus, ecc) o
aria in spazio pericardico (pneumopericardio) che a un certo volume e pressione compromettono il
riempimento cardiaco. Pericardio ha distensibilità nel tempo ma non acuta, diventa problematico il
versamento acuto in caso di rottura del cuore, bastano 150-200cc di sangue per avere una
pressione incompatibile con un riempimento adeguato delle camere cardiache. Come le camere
cardiache diventano progressivamente più piccole, l’afflusso di sangue al cuore viene limitato fino a
equalizzare la P diastolica all’interno di pericardio e camere ventricolari causando la mancata
contrazione del cuore e il suo conseguente arresto.
I due grafici evidenziano la differenza tra versamento acuto e cronico, nel quale i pazienti possono
presentare quantità di liquido maggiori.
Pericardite costrittiva
Processo patologico che coinvolge il pericardio che diventa fibroso e ispessito, limitando il
riempimento diastolico. Si presenta spesso con una pericardite acuta sierosa, poi subacuta con
organizzazione fibrinosa e infine fase cronica in cui non si ha una guarigione vera e propria con
aspetto fibrinoso e sostituzione con fibrina e materiale connettivale fino al vero e proprio
ispessimento e calcificazione. Può essere causata da una pericardite tenuta sotto traccia con
cortisone a bassa dose che evolve in costrittiva cronica.
Eziologia
● eziologia sconosciuta (40%)
● dopo chirurgia cardiaca (20%)
● post-esposizione a radiazioni (30%),soprattutto in passato dopo il trattamento di linfomi
mediastinici, si manifesta dopo anni (11 di media circa)
● Tubercolosi: <15% nei paesi sviluppati, più alta incidenza in quelli in via di sviluppo
● Presenti con pazienti con lunga storia di emodialisi e malattie renali croniche;patologie
infiammatorie dei tessuti connettivi
Presentazione clinica
Il quadro dipende dalla gravità: inizialmente abbiamo segni subdoli di scompenso a livello addominale
come segni di dispepsia, pienezza post prandiale, difficoltà all’assorbimento intestinale, anoressia,
scarso appetito, ascite, quando la pressione venoso centrale aumenta allora si manifestano astenia,
dispnea, perdita di peso e riduzione della massa muscolare.
All’esame fisico il paziente si presenta quasi sempre paziente tachicardico e tachipnoico. Può
esserci distensione venosa giugulare (segno Kussmaul), polso paradosso assente o limitato. Altri
sintomi sono epatomegalia, ascite o edema periferico, schiocco pericardico (consegue A2,
successivo al secondo tono)
Test diagnostici
Cateterismo cuore destro, si misurano contemporaneamente le pressioni nei due ventricoli.
Caratterizzato da due fenomeno abbastanza precisi:
- curva a radice quadrata (o dip and plateau) in cui scende profondo, sale e resta stabile, è definibile
come segno patognomico della pericardite costrittiva.
- equalizzazione delle pressioni diastoliche, in quasi tutta la durata della diastole le due
pressioni sono molto vicine perché chiuse nel sacco pericardico non distendibile.
Normalmente la pressione diastolica di sinistra è maggiore di quella destra, ma essendo i
ventricoli chiusi nel pericardio costrittivo si ha l’equalizzazione delle pressioni diastoliche. Il
setto ventricolare diventa interdipendente e trasmette le pressioni destra e sinistra in
manierauniforme.
Esiste un’ulteriore manovra per saggiare la presenza di pericardite costrittiva che però non
viene mai eseguita, questa consiste nel carico idrico. Si dovrebbe avere un mantenimento
dell’equalizzazione anche se andiamo a perturbare la pressione diastolica ventricolare (es
eseguendo la manovra di valsavia).
A livello diagnostico si può verificare una condizione di assenza del pericardio, fenomeno
estremamente raro.
Il polmone si insinua dove in teoria dovrebbe essere pericardio.
Tumori del pericardio
Sono rari, i tumori primitivi sono più frequenti benigni, con possibilità di maligni. Quelli più
frequenti sono i tumori metastatici.
Gran parte dei tumori pericardici sono di tipo polmonare, del seno e dell’esofago
La miocardite è una malattia del miocardio. Spesso è associata a pericarditi e si parla di miopericardite,
come a volte accade non raramente nelle malattie reumatiche croniche ( es lupus e sclerodermia). In
generale parliamo di miopericardite se abbiamo i sintomi di pericardite (dolore al variare del respiro e
della posizione) con i segni obbiettivi di pericardite (sfregamenti), associati ad un movimento enzimatico
che indica una necrosi del cuore e nei casi più gravi ad una variazione della cinetica del cuore.
Terapia
La terapia è confusa. Si può scegliere di curare la pericardite con la triade aspirina, ibuprofene e
colchicina, nessuno di questi farmaci si ritiene serva per la miocardite. Infatti non esiste una terapia
riconosciuta per la miocardite, esistono solo degli studi sul cortisone, che normalmente viene dato in
casi di miocardite grave senza però dimostrazione di efficacia.
Endocarditi infettive
È un’infezione cronica intravascolare dell’apparato cardiovascolare, riguarda valvole cardiache o
endocardio. Spesso coinvolge materiale non umano come valvole prostesiche o dispositivi elettronici
(pacemaker e defibrillatori).
L’incidenza è molto bassa e tende ad aumentare per un maggiore uso di protesi. Una parte delle
endocarditi ha una porta di ingresso e una procedura che si riconosce come causa dell’invasione del
torrente ematico. Ad esempio in seguito ad interventi dentistici in cui si avrà l’ingresso di gram + nel
torrente ematico, vi sono cause urologiche come la presenza di catetere, diverticolite, nello scompenso
cardiaco grave vi è un’importante aumento della pressione venosa addominale con congestione dei villi
e riduzione dell’impermeabilizzazione dei capillari, questo porta alla traslocazione batterica. Un altro
esempio è l’endocardite del tossicodipendente che utilizza una siringa non sterile.
In molte endocarditi non siamo in grado di capire il meccanismo di insorgenza dell’infezione.
Normalmente però si manifesta in pazienti che presentano già una patologia cardiaca (congenite,
protesi valvolari, reumatiche:.)
Nel caso di infezioni di protesi valvolari se l’endocardite è vicina all’intervento può essere colpa del
chirurgo o di un infezione in terapia intensiva post chirurgica. Per questo in fase pre operatoria i pazienti
fanno una terapia antibiotica molto aggressiva
La terapia dovrebbe basarsi sull’identificazione della noxa patogena, quindi bisognerebbe fare
un’emocultura, test sierologico e un antibiogramma. Esistono casi di infezioni con emocultura negativa
e sierologia negativa.
Ci possono essere casi di endocardite non infettiva come nel caso del novantenne agonizzante, in questo
caso parliamo di endocardite marantica, oppure endocardite causate da patologie autoimmuni, in
questo caso bisogna ricercare gli anticorpi anticardiolipina e gli anticorpi anti-𝛽2-glicoproteina 1
L’endocardite dalla valvola aortica può andare nel setto, formare un ascesso e dare blocco
atrioventricolare.
L’endocardite tende a localizzarsi dove vi è un maggiore flusso del sangue e quindi un maggiore stress
di parete.
Sintomi
Il professore legge le slide seguenti
Le petecchie:
Queste sono fenomeni causati dall’embolizzazione dell’endocardite. Questi emboli possono essere
settici e quindi oltre all’emorragia causare infiammazione e ascessi. In rari casi possono formarsi nel
cervello e sono molto pericolosi.
Diagnosi
È piuttosto complicata. Esistono i criteri di Duke, se ci sono un criterio maggiore e uno minore o tre
minori l’endocardite è possibile, invece se ci sono due criteri maggiori, uno maggiore e tre minori o
cinque minori la diagnosi è certa.
Criteri maggiori:
1. Culture positive, a seconda del patogeno vengono richieste 2 culture come per lo streptococcus
gallolyticus o lo staphylococcus aureus, oppure 1 cultura solamente per la coxiella burnetii.
Criteri minori:
1. Predisposizione
2. Febbre alta
3. Fenomeni embolici, emorragie intracraniche, congiuntivali ecc…
4. Fenomeni associati a componente immunologica, glomerulonefrite, nodo di osler
5. Evidenza microbiologica ma non sufficiente per rientrare in un criterio maggiore
Inoltre bisogna sempre fare un test trans-esofageo. Quando il test è negativo ma tutto i dati clinici
suggeriscono l’endocardite è suggerito ripetere il test dopo qualche giorno.
In questa ecografia è presente questa vegetazione a “cavolfiore”, bisogna urgentemente definire il
batterio responsabile e procedere con rimozione chirurgica.
Prognosi
La prognosi è piuttosto negativa è dipende da diversi fattori riportati nella foto seguente.
Importante è l’età del paziente, la presenza di comorbilità, complicazioni cerebrali, il tipo di batterio.
Trattamento
Normalmente si inizia la terapia prima di avere i risultati dell’emocultura (5 giorni di attesa) con:
ampicillina(12g/giorno) in 4 o 6 dosi con gentamicina(3mg al kg per giorno) in 1 dose o in 3 dosi.
Non esiste un metodo migliore, con una dose si cerca di sterminare il batterio con un picco di
concentrazione, con 3 dosi si cerca di mantenere una dose terapeuticalungo tutto il corso della
giornata.
vancomicina(30-60mg al kg per giorno)in 2-3 dosi o in dose singola con gentamicina(3mg al kg
per giorno)
l’importante è usare subito una dose molto alta perché l’endocardite è mortale. Allo stesso tempo
queste alte concetrazioni di vancomicina e di gentamicina sono altamente
nefrotossiche ed è importante controllare la loro concentrazione nel sangue.
Su pazienti con valvole recentemente impiantate si usa Vancomicina con gentamicina e rifampina.
Una volta avuti i risultati della cultura e dell’antibiogramma si andrà a somministrare il farmaco
maggiormente indicato
Si deve ricorre ad operazione in casi clinici gravi come in intolleranza emodinamica o quando non si
riesce a controllare l’infezione, ad esempio abbiamo un ascesso persistente, un’infezione fungina o una
vegetazione di 12-13mm come quella dell’ecografia precedente.
La mortalità è alta come si evince dalla slide sottostante.
In determinate circostanze i pazienti che hanno ricevuto una protesi devono seguire una profilassi.
Solitamente prima di interventi per impiantare protesi dentali, prima di ricevere cure parodontali, cure
canalari o cateterizzazione vescicale.
Si prendono 2g di amoxicillina orale 30-60 minuti prima della procedura, negli allergici si usa un
macrolide o clindamicina
Per i cardiologi le endocarditi su catetere sono particolari. Una volta con endocardite su catetere di un
pacemaker si cercava di eradicare l’infezione con una terapia antibiotica endovena che dura per 8-12
settimane. Inoltre in caso di disfunzione del catetere se ne aggiungeva un secondo. Oggi si cerca di
estrarre il catetere, questa è un’operazione molto rischiosa infatti solitamente è adeso con reazione
fibrotica al cuore e spesso anche alla vena cava, quindi è facile danneggiare le valvole e il cuore, esistono
degli esperti specializzati in questa operazione, che prevede l’uso progressivo di pesi diversi. Quando
l’elettrodo è posizionato da molto tempo spesso è necessario circondare l’elettrodo con una cannuccia
affilata con cui cerchiamo di staccarlo dalle aderenze di fibrina senza danneggiare la vena cava. Esistono
anche delle cannucce con raggi laser che cercano di vaporizzare i tralci fibrosi. Quest’ultima procedura
si effettua su endocarditi su cateteri inferiori a 10mm.
Epidemiologia:
Incidenza delle cardiopatie congenite che arrivano alla nascita è dell’0,8-1%: non sono così
rare come ci si aspetta
L’incidenza e l’aumento della prevalenza di queste patologie sono sicuramente dati sia da
una migliore conoscenza delle patologie nelle fasi iniziali fetali sia da un’evoluzione
dell'imaging neonatale intrauterino che facilita la diagnosi: vengono quindi incluse anche
come cause di morte fetale e non solo di morte post-nascita
Sono davvero molto numerose:
Solo sotto il generico termine di “altre” ne sono incluse circa il 15% del totale
Difetti del setto interventricolare: rappresentano 1/3 delle patologie congenite (difetti
più frequenti)
Difetti del setto interatriale: circa 10%
Dotto arterioso di Botallo pervio: circa il 10%
*Dotto di Botallo: è un passaggio tra aorta e arteria polmonare fisiologico in
circolazione fetale che va poi incontro a degenerazione e fibrotizzazione spontanea in
età adulta, diventando legamento arterioso
Stenosi polmonare, Coartazione aortica, Stenosi aortica, Tetralogia di Fallot e
Trasposizione dei grossi vasi: tra 4-6% (per la maggior parte queste anomalie
riguardano i grossi vasi e non la struttura del cuore stesso)
Classificazione
Classificazione in base alle diverse fasi di insorgenza e di trattamento:
Fase prenatale
Età neonatale
Pianificazione di eventuali interventi nel bambino e nell’adolescente
Età adulta: se il paziente arriva all’età adulta significa che il difetto emodinamico o non
era così importante e non è stato nemmeno diagnosticato o è stato diagnosticato e
siamo riusciti a correggerlo bene.
Per questa fase adulta esiste una vera e propria sezione della cardiologia “GUCH
(Grown-up Congenital Heart Disease)” che si occupa delle cardiopatie congenite
dell’adulto tramite ambulatori e imaging dedicati: centri multidisciplinari specializzati
che seguono e gestiscono puntualmente ogni paziente, con la propria ed “unica”
malformazione cardiaca congenita, in modo da permettere loro di superare tutte
queste fasi, dalla prenatale fino alla vita adulta.
Classificazione in base alla presenza o meno di una correzione chirurgica della cardiopatia:
se la cardiopatia congenita sia stata sottoposta ad intervento chirurgico o meno:
Operata o da operare (in caso di cardiopatia congenita neonatale ancora da
operare): in alcuni casi è richiesta l’immediata correzione chirurgica, la quale può
risultare o completamente definitiva o solo palliativa posponendo l’intervento
definitivo in età più adulta quando lo sviluppo sarà completato
Non operato o da non operare: o perché non ha bisogno o perché non è
sottoponibile a operazioni ma è da tenere sotto controllo
Classificazione in base al grado di complessità:
Singola anomalia congenita: molto rara in quanto la tendenza di associazione di
diverse anomalie è molto frequente difetto interatriale o interventricolare sono
di per sé singole anomalie ma spesso le ritroviamo associate ad altre.
Combinazione di singole anomalie congenite è piuttosto frequente: quando
troviamo in un neonato un solo difetto dell'anatomia cardiaca bisogna cercare
attivamente altre anomalie in quanto la combinazione è spesso presente e complica
vertiginosamente la situazione anatomica. La combinazione è data da:
> O da un insieme di piccoli difetti
> O da un unico singolo difetto molto evidente che complica l’intera struttura
basale del cuore: atresia della tricuspide che determina la scomparsa delle 4
camere e l’assenza di un passaggio tra atrio dx e ventricolo dx -> è quindi una
singola anomalia che però vede una alterazione strutturale profonda
Classificazione fisiopatologica/clinica in 3 classi, ognuna delle quali è caratterizzata dal
proprio sintomo cardine: classificazione in base al sintomo tipico (problema finale) che
permette poi, andando a ritroso, di identificare l’alterazione anatomica cardine (problema
iniziale). È la classificazione più importante che utilizzeremo per la descrizione di queste
cardiopatie congenite
1) IPERTENSIONE POLMONARE: il difetto implicherà uno shunt da sinistra
(circolazione sistemica) a destra (circolazione polmonare) il risultato finale è un
maggior afflusso di sangue a livello polmonare che alla lunga determinerà un
aumento delle pressioni polmonari -> ipertensione polmonare
2) CIANOSI: il difetto implicherà uno shunt in senso contrario da destra verso sinistra
il sangue destro sporco senza Hb ossigenata andrà a mescolarsi con quello nobile
pulito carico di O2 destinato a tutti gli organi -> tutti gli organi sono deossigenati ->
cianosi centrale
3) OSTRUZIONE: il flusso sistemico e/o polmonare ha un’ostruzione che non permette
la normale circolazione corporea non si identifica precisamente una delle due
situazioni precedenti (shunt o dx-sx o sx-dx) perché spesso sono presenti entrambe
o una prevale sull’altra
Per ognuno di questi 3 gruppi verranno affrontate le cardiopatie congenite principali che
determinano uno di questi 3 effetti:
Difetti principali
DIFETTO INTERATRIALE – DIA: può essere di diverse tipologie
Forame ovale pervio (non è un difetto vero e proprio – condizione ancora fisiologica):
legato non alla mancanza di tessuto dei due setti (primum e secundum) ma alla
mancata saldatura dei due setti che, invece di unirsi tra loro, si sovrappongono
lasciando tra di loro una piccola fissurazione. Questa fissurazione è, in realtà, solo
virtuale in quanto la cavità sinistra (a pressione maggiore) permette al septum primum
di appoggiarsi contro il setto secondo, chiudendo di fatto la cavità. Solo con la spinta da
destra verso sinistra la fissurazione risulta visibile. È una condizione ancora fisiologica
che non dà alcuna disfunzione ed è molto comune, presente in circa il 25% della
popolazione
Ostium secundum: mancanza di tessuto nel setto interatriale a livello centrale. In
questo caso si tratta di un vero e proprio “buco” (senza alcuna sovrapposizione che, dal
punto di vista funzionale, risolve la situazione)
Ostium primum o canale atrioventricolare parziale: mancanza di tessuto nel setto
interatriale più in basso a livello dell’anello AV della valvola tricuspide dovuta al
mancato accrescimento dal basso verso l’alto del septum primum (che non è salito a
sufficienza)
Sintomi del difetto interatriali: sono gli stessi sintomi generali dell’ipertensione come
dispnea da sforzo, facile affaticamento, infezioni respiratorie e aritmie atriali
Diagnosi
ECG: quando il difetto è rilevante è visibile anche all’ECG con caratteristiche tipiche:
Blocco di Branca destro con RSR’ (orecchia di coniglio) in V1: è molto comune
soprattutto in caso di ostium primum in quanto, essendo il difetto strutturale
anatomico proprio nella zona di passaggio appena a monte del nodo AV, spesso il
difetto anatomico va a comprendere un difetto del sistema di conduzione in questa
sede.
Deviazione assiale dx
Blocco fascicolare anteriore (tipico in difetto di tipo ostium primum): DI positiva,
aVF negativa e una profonda S in V6
RX torace:
2° arco sinistro aumentato: arteria polmonare dilatata
Opacizzazione diffusa per la presenza di maggior materiale vascolare in quanto i
vasi sono molto dilatati e reclutati
Terapia
Chiusura del difetto per via percutanea con un piccolo dispositivo di chiusura
“ombrellino”: un device che viene inserito nell’organismo tutto schiacciato -> quando
passa a cavallo del buco (difetto da correggere), tramite un sistema di rilascio, si apre il
disco distale -> poi si tira indietro fino al contatto con la parete del setto interatriale ->
e, quando non si riesce più a detrarre il dispositivo (vuol dire che è bene a contatto), ->
liberiamo anche il disco prossimale -> determinando una posizione ”a panino” sul setto
interatriale che chiude il nostro difetto.
Procedura attuabile solo quando si ha ancora metà del setto con un’ampia landing zone
(materiale sano) tutto attorno al difetto
Chiusura chirurgica: si apre il cuore -> si mettono dei punti a livello del setto -> se i
punti non sono sufficienti, si possono mettere anche dei patch in materiale sintetico, di
pericardio bovino o di maiale che vanno a sostituire la mancanza di tessuto.
Procedura effettuata in tuti gli altri casi
(Difetto di tipo ostium primum: passiamo attraverso vena femorale -> diamo dei mezzi
di contrasto-> in atrio di destra si vede che il mezzo di contrasto passa tranquillamente
anche a sx attraverso il buco)
Diagnosi definitiva
(Esame obiettivo: soffio continuo sottoclaveare e polsi arteriosi scoccanti)
(ECG: ipertrofia ventricolare sx)
(RX: segni di iper-afflusso polmonare)
RMN con contrasto: per studiare bene il livello di passaggio del flusso in modo molto
più semplice e rapido. Si vede proprio il dotto con il passaggio del contrasto tra l'arco
discendente dell’aorta e l’arteria polmonare
Terapia:
Percutanea tramite cottoncini embolizzanti che vanno a occupare il dotto e lo
occludono
Chirurgica: se il dotto è troppo lungo o tortuoso (x pressioni alte) si va chirurgicamente
ad escluderlo dalla circolazione tra aorta e polmonare, a livello sia prossimale sia distale
Quali sono le principali cardiopatie congenite che determinano shunt destro-sinistro con
cianosi:
Evoluzione delle cardiopatie congenite con ipertensione polmonare in sindrome di
Eisenmenger (appena viste)
TETRALOGIA DI FALLOT: è la principale cardiopatia che dà cianosi. È caratterizzata da una
combinazione di 4 anomalie
1. Difetto del setto interventricolare: solitamente nella zona dell'outflow
2. Ipoplasia/stenosi del tratto d’efflusso dell’arteria polmonare: si ha un’ostruzione al
tratto d’efflusso del ventricolo destro da cui ne deriva un’arteria polmonare un po’
ipoplasica perché ha ricevuto cronicamente poco sangue ed è stata poco utilizzata
3. Ipertrofia del ventricolo destro: il ventricolo destro tenta di contrastare l’ostruzione
d’efflusso del ventricolo che, alla lunga, diventa ipertrofico (alterazione più funzionale
che anatomica)
4. Aorta “a cavaliere”: nascita dell’aorta a cavallo dei 2 ventricoli (nasce nel ventricolo sia
destro sia sinistro) quindi a cavallo del difetto interventricolare, nel tratto di efflusso
5. Se presente anche un difetto interatriale (raro) -> pentalogia di Fallot
La conseguenza di tutte queste 4 anomali è una commistione di sangue sistemico e
polmonare con conseguente eccesso di sangue ipossigenato nella circolazione
sistemica:
L’arteria polmonare è ostruita (con sangue ipossigenato che dovrebbe andare ad
ossigenarsi) -> portata minore
L’Aorta (con sangue ossigenato da portare a tutto il corpo) non nasce da un
normale ventricolo sx (ossigenato dalle polmonari) ma nasce dal ventricolo sia
sinistro sia destro -> si ha quindi, appena prima dell’aorta, una commistione di
sangue ossigenato e non -> la quantità di sangue non ossigenato sarà molto più alta
del solito -> sangue sarà ipossigenato
Aspetti patognomonici:
RX TORACE:
Classica modifica della sagoma dell’indice cardiotoracico - profilo cardiaco (ombra
cardiaca) con aspetto a sabot: forma a zoccolo dovuta all’ipertrofia ventricolare dx
che diventa la componente predominante nella descrizione del RX torace
Campo polmonare molto trasparente (immagine RX opposta a ipertensione
caratterizzata da smerigliatura marcata): l’ipoplasia dell’arteria polmonare e
l’ostruzione all’efflusso del ventricolo dx determinano un ipoafflusso
ECG:
> Ipertrofia ventricolare dx caratterizzata da onde R ed S molto elevate in V1,2,3
> Deviazione assiale dx
Terapia: si deve risolvere sia il problema funzionale sia il problema anatomico di ipoplasia
dell’arteria polmonare la quale determinerà un anomalo sviluppo del vaso stesso. Bisogna
correggere sia la portata sistemica sia la portata polmonare. L’approccio terapeutico
consiste in:
1. Primo step palliativo – chirurgia palliativa per aiutare la polmonare ad avere flusso
maggiore che permetta un’evoluzione normale del vaso: creazione chirurgica di uno
shunt aorto-polmonare che restituisce l’eccesso di flusso in aorta alla polmonare per
migliorare l’ipoplasia polmonare e il livello di ossigenazione. A seguito dell’intervento,
all’ingresso dell’aorta ci sarà sangue ancora mista ma più ossigenato che senza shunt.
Lo shunt si fa tramite un altro vaso disponibile o tramite una protesi in teflon (tubicino
che connette aorta polmonare)
2. Seconda fase di correzione definitiva: quando il neonato guadagna dei kg e le strutture
anatomiche sono più grandi e cresciute, si procede con l’intervento chirurgico che
consiste in:
Chiusura del difetto interventricolare e del passaggio tra l’aorta cavaliere e il
ventricolo dx, lasciando solo la comunicazione tra aorta e ventricolo sx
Eliminazione della stenosi
Ripristinare la circolazione
3) OSTRUZIONI: sono cardiopatie congenite caratterizzate da una SINGOLA ostruzione (e non
combinazioni). Tale ostruzione, se severa, può eventualmente sfociare sia in ipertensione sia in
cianosi
Il concetto di base è che non si ha uno shunt che dà prevalentemente o ipertensione o cianosi
ma si ha un’ostruzione che, se severa, può eventualmente sfociare in entrambe le
manifestazioni.
Le ostruzioni principali sono:
STENOSI AORTICA SOPRA O SOTTO VALVOLARE (non quella classica valvolare)
COARTAZIONE AORTICA (ostruzione al flusso a sinistra): malattia cronica caratterizzata da
un restringimento progressivo della porzione discendente dell’arco aortico in prossimità
della partenza del legamento arterioso. Il restringimento è dovuto all’estensione eccessiva
del processo fibrotico fisiologico di chiusura del dotto di Botallo (che una volta chiuso
diventerà legamento arterioso) verso la porzione dell’aorta: la fibrosi fisiologica del dotto
di Botallo ha una reazione eccessiva per cui si estende oltre il dotto verso la porzione
discendente dell’aorta.
È un eccesso di risposta alla chiusura del dotto di Botallo fibrotico che determina una
ridotta pressione del distretto inferiore a fronte di un’ipertensione arteriosa del distretto
superiore:
Ridotta pressione del distretto inferiore: è dovuta al fatto che, come risposta
all’ostruzione, si ha l’attivazione di un circolo collaterale che include classicamente
l’arteria ascellare e le arterie intercostali: dal ventricolo sx, il flusso sanguigno, invece di
scendere giù tramite l’aorta discendente, prende un circuito parallelo attraverso
l’arteria ascellare, a. toracica interna e le a. intercostali, per poi riunirsi più distalmente
all’aorta discendente. Questo circuito collaterale garantisce e mantiene
l’ossigenazione, seppur con flussi e portata minori, di tutto il distretto inferiore
Ipertensione arteriosa del distretto superiore: è dovuta al cuore che, per contrastare la
perdita di pressione al passaggio dell’ostruzione, genera una pressione elevata a monte
Diagnosi
Esame obiettivo:
Soffio sistolico anteriore e interscapolare
Polsi omerali sono regolari mentre i polsi femorali sono ridotti o ritardati (per
ipotensione distretto inferiore). È importante il confronto tra polso carotideo e
femorale
Circolo collaterale
ECG: ipertrofia ventricolo sx da sovraccarico pressorio
Ecocardiografia: ipertrofia ventricolo sx
RX:
Segno indiretto classico dell’incisura costale: il circolo collaterale porta a iper-
irrorazione delle arterie intercostali che decorrono nel solco inferiore della costa
determinando questa “incisura” nei vari spazi intercostali a livello inferiore della
costa
Segno del 3 (più raro): visualizzazione della dilatazione pre-coartazione (prima
pancia del 3) e post-coartazione (seconda pancia del 3) -> dando quest’aspetto a
simil 3 del 1° profilo a sinistra
ECG
Deviazione assiale dx
P “polmonare”: P molto dilatata
Terapia: la terapia è necessaria perché la stenosi polmonare implica una ridotta
ossigenazione di sangue che non permette il normale sviluppo del vaso
(Forma valvolare -> dilatazione percutanea ma non è il caso di cui parliamo)
Forma sopra e sotto valvolare:
Raramente si tratta con stent percutaneo (come la tavi per la stenosi aortica) in
quanto spesso non è definitivo
È più comune trattarla con la chirurgia: si lima e si esclude la porzione fibrotica che
ostruisce
4) TRASPOSIZIONE DEI GROSSI VASI – TGV
È una situazione a metà tra le varie categorie che non si può direttamente catalogare in una
specifica delle 3 classi, ma è una situazione talmente frequente, anomala e unica che merita
una descrizione autonoma.
Definizione: condizione caratterizzata da uno scambio di posizione dei grandi vasi per cui
l’aorta nasce direttamente dal ventricolo destro e l’arteria polmonare origina dal ventricolo
sinistro, determinando la presenza delle 2 circolazioni polmonare e sistemica come
circolazione completamente indipendenti e parallele tra loro:
- Circolazione di destra continua a trasportare sangue non ossigenato: vene cave inferiori
portano sangue deossigenato ad atrio dx -> tramite ventricolo dx il sangue va a finire in
aorta
- Circolazione di sinistra continua a portare ai polmoni sangue ossigenato: vene polmonari
portano sangue appena ossigenato ad atrio sx -> con ventricolo sx il sangue è buttato in
arteria polmonare
Creazione di un loop non sostenibile per vita, a meno che non ci sia uno shunt interatriale (o
più raramente interventricolare) che crei una mescolanza tra i 2 circuiti.
Nella maggior parte dei casi la trasposizione dei grossi vasi è causa di morte intra-uterina, se
non associata ad un difetto interatriale (ostium primum) o interventricolare (più raramente).
Terapia
Terapia palliativa di sopravvivenza del neonato comprende:
Procedura di Rashkind: settostomia per mantenere aperto lo shunt del setto
interatriale, essenziale per mantenere il paziente in vita, in quanto garantisce la
mescolanza dei 2 circuiti
PGEI: prostaglandine per mantenere aperto anche il dotto arterioso di Botallo ed
evitare la fisiologica chiusura cosicchè anche il dotto arterioso possa contribuire alla
commistione di sangue tra i 2 circuiti (oltre allo shunt interatriale)
ATRESIA DELLA POLMONARE: mancanza di orifizio di uscita dal ventricolo di destra (nella
classe delle ostruzioni). Come terapia si mantiene il dotto arterioso pervio per far circolare
sangue in polmoni
ATRESIA DELLA TRICUSPIDE: assenza dell’orifizio AV destro per cui il ventricolo destro
risulta quindi composto da una cavità unica non comunicante con l’atrio dx. Spesso si
associa ad un difetto interatriale con uno shunt dall’atrio dx all’atrio sx o a difetto
interventricolare in cui il ventricolo dx, ormai un piccolo sacchettino (quasi aneurisma), è in
comunicazione con ventricolo sx tramite difetto interventricolare
Terapia: consiste in un’esclusione completa del ventricolo destro e una connessione diretta
dell’atrio destro con l’arteria polmonare in modo da creare un passaggio diretto del sangue
per vis a tergo da vene cave inferiori ad arteria polmonare. I pazienti, dopo l’operazione,
non hanno troppi problemi e conducono una vita abbastanza normale (dimostra quanto il
ventricolo dx non sia così fondamentale), alla lunga possono soffrire di edemi declivi.