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CARDIOLOGIA

PROF. DE FERRARI

Scuola di Medicina e Chirurgia

Clinica e patologia del torace -Lezione 1 01/03/2022 – Prof DeFerraris – Tommaso Venditti, Michelle
Marcolino

CARDIOLOGIA
Concetti generali

Affrontando una qualunque problematica


medica per prima cosa bisogna classificarlo
ovvero definire se si tratta di una condizione di
normalità o di patologia. Nel secondo caso
bisogna caratterizzare il substrato
conoscendone anatomia e fisiopatologia,
quantificare e stratificare il rischio, valutare se
necessario e appropriato assegnare trattamenti
e indentificare il rapporto rischio-beneficio (non
vi è trattamento medico non associato a rischio).

ANATOMIA

Sistema circolatorio

È definito come un sistema in serie (destro e sinistro)


normalmente non comunicanti tra loro tranne in
condizioni di Shunt.

Nella cavità toracica il cuore è circondato da una serie


di strutture: poggia sul diaframma infatti si parla di
superficie inferiore diaframmatica (in particolare il
ventricolo destro),
è collegato ai
grandi vasi e al sacco pericardico (la sierosa che avvolge il cuore).
Questo in sezione trasversa è diviso in parietale e viscerale e ospita una
piccola quantità di fluido pericardico per lubrificare, questa funzione
viene meno in condizione di pericardite acuta con frizione tra
l’epicardio e il foglietto pericardico viscerale. Si evidenzierà con un
rumore cardiaco all’oscultazione detto sfregamento e con dolore
(accentuato in caso di aumentato movimento e di respirazione) in
quanto il pericardio è riccamente innervato.
Si può inoltre identificare sul fronte
anteriore l’auricola destra in prossimità
del solco atrio ventricolare (e la sinistra
sotto la polmonare).

L’immagine mostra una radice aortica con


le sue tre cuspidi (la bicuspidia aortica è
una malformazione congenita), visibili
inoltre gli osti coronarici (i due buchi
visibili aprendo la valvola a libro) che
permette la classificazione in cuspide
coronaria sinistra, destra e non
coronarica (posteriore).

La valvola polmonare non è molto


diversa ma manca degli osti.

La valvola atrio-ventricolari di destra è dotata di tre lembi


valvolari: tricuspide quella sinistra di due: mitrale/bicuspide.
Visibili anche in figura le corde tendinee che originano dai
muscoli papillari e si connettono ai bordi commissurali delle
valvole.

Viene presentata anche una visione dall’alto (sezione a livello del


solco atrio ventricolare) a sx la mitrale con l’anello fibroso che
circonda i due lembi: l’anteriore e il posteriore a sua colta diviso
in tre Schellopes
mitralici (P1,P2,P3).
Visibile anche più a destra la tricuspide con le tre
componenti anteriore, posteriore e settale (in continuità con
la bicuspide tramite il trigono fibroso). Superiormente ci
sono l’aortica (cuspidi dx, sx e posteriore) e la polmonare
(cuspidi dx, sx e anteriore) disposte in modo speculare.
Innervazione

Il cuore è un organo riccamente innervato da terminazioni sia


afferenti che efferenti.

La maggior parte della componente parasimpatica origina dal


nervo vago che segue tronco brachiocefalico, forma un fascio

o con la carotide interna e la giugulare, si approfonda poi nel


torace e arriva a dei gangli paracardiaci dando una serie di nervi
cardiaci.

Il nervo vago presenta dei centri cardio inibitori nel tronco (ad
esempio nucleo motore dorsale) per poi originare plessi e fibre
post ganglioniche.

L’innervazione simpatica non arriva direttamente ai gangli


paracardiaci, ma ai para-vertebrali della catena simpatica da cui
origina un’ultima fibra molto più lunga. I gangli in questione sono i toracici e cervicali più il ganglio stellato
(fusione dell’ultimo cervicale e il primo toracico) a forma di stella negli animali, nell’uomo è a forma di
pera/clessidra. La componente T1 del ganglio stellato è la più importante per quanto riguarda
l’innervazione simpatica del cuore (che comprende però fino a T4-5 e una piccola componente presente
anche a livello del ganglio cervicale inferiore e cervicale medio), il C8 invece contiene delle fibre che vanno
verso l’occhio (in caso di rimozione darà miosi).

Presente anche il nervo frenico (diretto al


diaframma) rilevante per i cardiologi perche il sx
decorre lateralmente all’esofago dietro l’atrio sx
(ubicazione problematica in caso di ablazione di
quest’ultimo).

Sindrome di Bernard-horner (o sindrome


oculopupillare): caratterizzata da un danno al tronco
del sistema nervoso simpatico cervicale e si
manifesta con la tipica triade miosi, enoftalmo e ptosi.

Le corna posteriori veicolano le afferenze come quelle dolorose.


Perfusione

La perfusione è a carico delle arterie


coronarie destra e sinistra che
originano dai seni aortici.

La destra passa sotto l’auricola dx e si


inserisce nel solco atrioventricolare
seguendo il margine cardiaco e
vascolarizzando parte della parete
anteriore e posteriore. Le primissime
ramificazioni sono l’arteria per cono
della polmonare e l’arteria per il nodo
del seno poi si divide in due rami
postero-laterali (arteria discendente
posteriore, arteria marginale destra) a
livello della crux cordis.

La sinistra, detta anche tronco comune (TC), si biforca dopo 3 mm-2cm in un ramo interventricolare
anteriore (IVA o discendente anteriore) che arriva all’apice del cuore (e in rari casi raggiunge anche la
faccia posteriore, prende il nome di ramo ricorrente e raggiunge la discendente posterore) e in un ramo
circonflesso (CX) che decorre posteriormente per un tratto parallelamente al seno coronarico e origina il
ramo per il margine ottuso. L’arteria ciconflessa è formata da un ramo circonflesso vero e proprio e da
rami marginali o postero-laterali.

Nella visione posteriore sono visibili la vena cardiaca magna che decorre nel solco atrioventricolare per
raggiungere il seno coronario che funge da raccoglitore finale del circolo venoso cardiaco e sbocca nella
parte inferiore dell’atrio destro.

Sulla faccia diaframmatica la coronaria dx o la circonflessa originano l’arteria interventricolare posteriore


(IVB) e a seconda della sua origine darà dominanza destra (se origina dalla coronaria dx) o sinistra (se
origina dalla circonflessa).

IVA origina i rami diagonali


(D1,2,3) verso la parete laterale e
rami settali che si approfondano
nel setto (a differenza dei grandi
vasi coronarici che sono
epicardici quindi rimangono in
superficie per non essere
compressi in sistole). Vi è
un’alterazione detta ponte
muscolare che può sfociare in
patologia quando l’arteria si
approfonda nel muscolo.
SISTEMA DI CONDUZIONE
Concorrono alla formazione e alla conduzione di
stimoli elettrici diverse tipologie di cellule: Pacemaker
(in grado di generare l’impulso), cellule di Purkinje
(con spiccate capacità di condurre) e cellule del
miocardio comune. Il tessuto fibroso invece non è in
grado di condurre.

Potenziali d’azione, soglia e riposo sono diversi (fase 0


più o meno rapida, plateau e fase di refrattarietà
variabile) come si vede in figura.

Alla base della periodicità della corrente pacemaker c’è la corrente funny (IF) attivata
dall’iperpolarizzazione, è infatti chiamata così perchè è attivata in modo oppposto alle correnti note
all’epoca della scoperta. L’immagine illustra in nero l’andamento della corrente in una cellula pacemaker
impalata in condizioni basali e in rosso la stessa corrente in seguito all’aggiunta di acetilcolina.

La causa della riduzione della frequenza cardiaca è da ricercarsi nella riduzione pendenza della corrente
funny.
In figura è riportato uno schema della principali correnti entranti
(verso il basso) e uscenti (verso l’alto) nel miocardiocita tipico
ventricolare.

La corrente di Na+ (legata ad un canale voltaggio dipendente) è


caratterizzata da un rapido spike e seguito da una corrente di coda di
sodio (sottile filetto giallo dopo il picco).

La corrente K1 al contrario si riduce durante il potenziale d’azione ed è


quindi detta di background. Le altre Ik (correnti potassio) sono divise
in due componenti, Ik-R (rapide) che contribuisce alla prima parte
della ripolarizzazione e Ik-S (slow e simpathic più lenta e sensibile alla
stimolazione simpatica).

La fase 1 del potenziale d’azione, detta anche “spike and dome”, è


data dall’attivazione rapida di Ito 1 e 2 (transient outward current).

A livello atriale è presente inoltre la IkUR (ultra rapida) assente negli


altri tessuti. Negli ultimi anni l’attività di ricerca sta provando a
sviluppare farmaci antiaritmici in grado di bloccare selettivamente
questo canale per prolungare la refrattarietà dell’atrio (perchè
prolungando anche quella del ventricolo come nel caso dei farmaci
che bloccano IkR si va incontro ad un aumentato rischio pro-aritmico).

Il pacemaker cardiaco fisiologico è il nodo seno-atriale


collocato in corrispondenza della giunzione tra cava
superiore e atrio di destra. L’impulso si diffonde poi in
tutto atrio dove però sono presenti vie di conduzione
preferenziali verso il nodo atrio-ventricolare posto sul
versante atriale del setto posteriore. Questo, oltre a
connettere elettricamente atrio e ventriolo, ha anche altre
funzioni: agisce da filtro facendo passare solo un
determinato quantitativo di onde ed è anche un pacemaker
surrogato (più lento 40-60 bpm) che può vicariare il nodo SA
se non funzionante.
La conduzione procede poi col fascio di His che si
approfonda nel trigono fibroso dove si divide in due
branche (sx e dx), la sinistra si divide ancora in fascicolo
anteriore e posteriore. Le branche sono inoltre via via più
diramate andando in periferia fino a essere una sorta di
“pettine” di fibre di Purkinje collocate sulla parente interna
del ventricolo. Le fibre di Purkinje permettono la
contrazione sincrona grazie alla rapida trasmissione del
potenziale d’azione (Fase 0 corrente Na, Fase 1 entrata Ca e
Cl, Fase 2 plateau, Fase 3 correnti K, Fase 4 potenziale di
riposo -90 mV).

Analizzando più nello specifico la parte


bassa dell’atrio dx si identifica il
Triangolo di Coch (di notevole
importanza per lo studio della
conduzione atrio-ventricolare) che ha
come confini il tendine di Todaro, il
lembo tricuspidale e la linea
immaginaria superiore all’ostio del seno
coronarico e all’apice il nodo AV.

Rappresenta inoltre la sede di sbocco


della via di conduzione lenta.

CICLO CARDIACO
Il Coupling elettromeccanico inizia con l’apertura di canali
calcio L (LTCC) voltaggio dipendenti che mediano l’ingresso di
una piccola quantità di Ca2+ dall’ esterno che permette il
rilascio sel calcio contenuto nel reticolo sarcoplasmatico (SR)
tramite Ryr2 (la funzione di SERCA è invece di ripomparlo nel
reticolo).

Importante anche l’attivita della fosfochinasi A che fosforila i


canali aumentando l’ingresso di calcio e la forza contrattile.
*il professore consiglia il ripasso di questo grafico dal materiale di fisiologia*

AP=pressione aortica

LVP=pressione ventricolo sinistro

LAP=pressione atrio sinistro

LVEDV=volume telediastolico nel ventricolo sx

LVESV=volume telesistolico nel ventricolo sx

Tono S2 dato da chiusura della valvola aortica e sulla curva AP si vede la l’incisura dicrota. La fase
precedente all’incisura prende nome di protodiastole: la pressione del ventricolo diminuisce e scende al di
sotto di quella arteriosa.

Segue chiusura delle valvole semilunari con inizio della fase di rilasciamento ventricolare (isometrico), con
rapida caduta della pressione che scende al di sotto di quella atriale. Ciò determina l’apertura delle valvole
atrioventricolari e il passaggio nel ventricolo del sangue nel frattempo accumulatosi nell’atrio. È la
cosiddetta fase di riempimento rapido in cui atrio e ventricolo, completamente rilasciati, formano una
cavità unica ed il sangue si accumula nel ventricolo. Segue una fase di riempimento lento o diastasi in cui
la pressione ventricolare è ancora inferiore a quella atriale. Si giunge così alla fine della diastole
ventricolare e perciò del ciclo cardiaco.

In sintesi le fasi del ciclo cardiaco sono: contrazione isometrica; eiezione (rapida e lenta); protodiastole;
rilasciamento isometrico rapido e lento; riempimento diastolico rapido e lent; sistole atriale.
Clinica e Patologia del Torace – lezione 2 – 01/03/2022 – Prof. De Ferrari (Federica Trinch,
Nicholas MarguereBaz)

METODI DIAGNOSTICI IN CARDIOLOGIA


Per arrivare adeguatamente ad una diagnosi, in ambito cardiologico viene u4lizzata la “Five-
Fingers Rule”, un algoritmo diagnos4co di derivazione anglosassone che si basa su cinque steps:

1. STORIA MEDICA (anamnesi)

L’anamnesi è un passaggio cruciale e nella maggior parte dei casi sarebbe già sufficiente per un
buon inquadramento diagnos4ci, ma al quale spesso non viene dedicato il tempo necessario. È
quindi importante nel tempo a disposizione lasciar parlare il paziente e interrogarlo
adeguatamente: è quindi fondamentale l’esperienza.
L’anamnesi si basa su:
• IdenQficazione dei faBori di rischio: sappiamo quali sono i fa.ori di rischio cardiovascolari, ma,
per fare un esempio, in caso di sospe.a cardiopa6a ischemica andremo a ricercare fa.ori
predisponen6 per la formazione di placche aterosclero6che (fumo, dislipidemie, obesità,
ipertensione ...).
• Anamnesi familiare: per oCenere informazioni è importante non porre domande troppo
complesse al paziente, non si chiede ad un* paziente con sospeCa cardiomiopa4a “ha avuto casi
in famiglia di cardiomiopa4a?” o in pazien4 con sospeCa canalopa4a “ha avuto paren4 mor4 di
morte improvvisa?”, perché nella stragrande maggioranza dei casi risponderà di no, ma se si
chiede “ha avuto paren4 mor4 in giovane età e/o che hanno avuto un infarto?” molto più
probabilmente risponderà posi4vamente. Questo perché in gergo familiare il 90% delle mor4
improvvise vengono interpretate come infar4. Un’altra informazione che dovrebbe essere
chiesta (anche se quasi mai viene chiesta) è se c’è stata abor4vità in famiglia, sopraCuCo durante
l’ul4mo trimestre: vi sono infaR molte anomalie gene4che che portano a morte il feto e sapere
questo diventa criterio importante nell’anamnesi cardiologica.

• Storia medica passata o APR

• Storia medica recente o APP

• Terapie assunte dal paziente


SINTOMI CARDIOVASCOLARI
Esistono dei sintomi classici di importanza cardiologica:
• Dolore toracico

• Dispnea

• Palpitazioni

Sono sintomi importan4 che necessitano di intervento tempes4vo, sopraCuCo il dolore toracico.

• LipoQmia

• Astenia

Il dolore toracico
È il sintomo più 4pico di malaRa cardiovascolare e, in tale ambito, il dolore da ipossia miocardica è
anche chiamato angina.

L’immagine, traCa dal NeCer, è u4le per meCere in luce le


caraCeris4che 4piche del dolore toracico anginoso: vediamo un
uomo con la mano aperta sul peCo, un gesto 4pico e quasi
patognomonico dell’angina, che si può ritrovare in almeno il 50% dei
pazien4 con angina. Inoltre viene messo in evidenza un contesto
4pico in cui può presentarsi l’angina: infaR essa può manifestarsi in
seguito ad uno sforzo; in questo caso l’uomo, appena uscito da un
ristorante dopo un pasto abbondante (quindi c’è un importante quota
del flusso ema4co che va verso lo stomaco per cercare di
metabolizzare il pasto), sta facendo le scale e sta portando una
pesante valigia, e a questo sforzo si aggiunge ancora il freddo, un
forte vasocostriCore che aumenta la pressione e il lavoro cardiaco.

La prima descrizione di angina si deve a Sir William Heberden che, circa 250 anni fa, negli annali
del Royal College of Physicians, descrive l’angina come una sensazione par4colare associata a uno
stato di ansietà e la chiama angina pectoris: l’angina fino ad allora era un termine u4lizzato
nell’ambito dell’infezione streptococcica a livello di laringe e tonsille, 4picamente descriCa come
sensazione di angoscia e di malessere e poiché una situazione simile viene a presentarsi anche in
questa condizione cardiaca decise di chiamarla angina pectoris o angina di peCo.
Le persone che sono colpite da questo malessere, con4nua Heberden, a volte sono colpite mentre
stanno camminando, per esempio se stanno camminando in salita e sopraCuCo se stanno
camminando poco dopo aver mangiato; viene percepita come una sensazione di dolore e
malessere generale del peCo che sembra quasi voler spegnere la vita se dovesse incrementarsi o
con4nuare. TuCavia questa angina da sforzo, quando i soggeR si fermano, scompare.
Ecco l’estraCo dalla pubblicazione di Heberden:
“But there is a disorder of the breast marked with strong and peculiar symptoms, considerable for
the kind of danger belonging to it, and not extremely rare, which deserves to be men6oned more
at length. The seat of it, and sense of strangling, and anxiety with which it is a.ended, may make it
not improperly be called angina pectoris.

They who are afflicted with it, are seized while they are walking, (more especially if it be up hill,
and soon aGer ea6ng) with a painful and most disagreeable sensa6on in the breast, which seems
as if it would ex6nguish life, if it were to increase or con6nue; but the moment they stand s6ll, all
this uneasiness vanishes.”

Il professore fa notare come oggi non sia così frequente l’angina post prandiale, perché questa si
verifica solitamente dopo un pasto veramente molto abbondante, ma ai tempi di Heberden non
era una condizione poi così rara e quella proposta rimane comunque una descrizione perfeCa
dell’angina da sforzo come ancora oggi si può diagnos4care già solo dal racconto che il paziente fa
dei sintomi intercorsi.

Cara/eris1che
L’angina viene definita e diagnos4cata in base alla presenza di alcune caraCeris4che fondamentali:
• dolore retrosternale che coinvolge l’emitorace sinistro ed è irradiato verso il giugulo e il braccio
sinistro, in par4colare sul alto ulnare, ed è di durata breve.
• può essere aggravata dallo sforzo fisico o da stress emoQvi.
• è risolto dal riposo o dai nitraQ sublinguali nell’arco di qualche minuto; 4picamente vengono
usa4 il natrispray (spray da spruzzare soCo la lingua), la trinitrina (in compresse frantumate con i
den4 e lasciate sciogliere soCo la lingua), isosorbide mononitrato (es. carvasin, da sciogliere
soCo la lingua).
Diagnosi
La rilevazione o meno di queste caraCeris4che permeCe di definire la probabilità di essere di
fronte a un disturbo anginoso, quindi:
- quando le tre caraCeris4che sopraelencate sono presen4, si parla di angina TIPICA e si può fare
diagnosi con probabilità elevata. Questo quadro si può riscontrare nel 50% (non più) dei
pazien4.
- quando solo due delle caraCeris4che vengono rispeCate, la diagnosi di angina ha una
probabilità intermedia. Si parla in questo caso di angina ATIPICA: in questo caso l’angina si
presenta, ad esempio, in altra sede, come dolore epigastrico (la sensazione di peso sullo
stomaco è la manifestazione più frequente in caso di infarto inferiore, in parte per con4nuità
anatomica, poiché la parete diaframma4ca appoggia sul diaframma), come dolore
prevalentemente destro o esclusivamente destro, dolore solo dorsale, solo al giugulo o molto
spesso solo alla mandibola (più 4picamente a sinistra).
- quando solo uno o nessuno dei criteri è soddisfaCo la diagnosi di angina è improbabile e si
parlerà di dolore non anginoso.

Ci sono però alcune categorie di pazien4 che, pur avendo angina, non hanno nessuno di ques4
sintomi e questo può accadere ad esempio:
• nei pazienQ anziani: una quota importante, fino al 25-30% degli ultra oCantenni, hanno infar4
senza sintomi dolorosi, ma con sintomi ad esempio di scompenso come dispnea o con sintomi
embolici dovu4 a un infarto complicato dalla formazione di un trombo endoventricolare che
embolizza e quindi il paziente arriverà per ictus cardioembolico dovuto a un trombo prodoCosi in
seguito a un infarto misconosciuto.
• nei pazienQ diabeQci: il diabete è una patologia che si associa ad una neuropa4a sensi4va che è
progressivamente più grave più è lunga la storia di diabete, quindi un soggeCo con diabete da 20
anni avrà più probabilmente infar4 asintoma4ci che sintoma4ci.
• nei pazienQ con trapianto cardiaco: sopraCuCo nei primi anni ques4 pazien4 sono denerva4 e
quindi possono avere angina e infarto (sindromi coronariche da ischemia miocardica) in assenza
di sintomi.

Per poter fare diagnosi di dolore 4pico da angina è importante considerare non solo le
caraCeris4che di sede, ma anche di durata: mol4 pazien4 vengono ricovera4 con scriCo sulla
cartella “dolore 4pico”, ma in ques4 casi, intrinsecamente, se non ha portato a infarto (che si
sarebbe riscontrato all’ECG e agli esami di laboratorio), non è un dolore cardiaco 4pico.

Proprio per le caraCeris4che dell’angina, per aiutarsi nella diagnosi, è possibile ricorrere a una
diagnosi ex adiuvanQbus, ovvero si definisce la probabilità di diagnosi sulla base della risposta ad
un traCamento, in questo caso quello con i nitra4 sublinguali: il sintomo anginoso deve essere
risolto dall’u4lizzo di nitra4 in un tempo breve, in circa 3-5 minu4, quindi se prendendo la trinitrina
il paziente sta bene dopo 20 minu4, quello non è un sintomo risolto dal farmaco.
Pertanto la diagnosi ex adiuvan4bus dell’angina è data dal tempo e modalità di risposta al nitrato
sublingiale:
- se c’è risposta 4pica con risoluzione del sintomo in 3-5 minu4 si ha elevata probabilità che il
sintomo sia un sintomo anginoso,
- se no c’è risposta o c’è risposta dopo un tempo troppo lungo (es. 30 minu4) la probabilità che il
sintomo sia un sintomo anginoso è bassa e quindi i criteri ex adiuvan4bus di diagnosi di angina
non sono soddisfaR.

Fa/ori precipitan1
• ARvità fisica
• Situazioni che possono determinare vasocostrizione periferica: per esempio il freddo, l’aRvità
fisica dopo un pasto abbondante...
• Stress psichici come paura, ansietà marcata e la rabbia;
• Una crisi ipertensiva con un aumento importante di pressione arteriosa;
• Rappor4 sessuali: non è uno sforzo fisico enorme (di solito considerata pari a due piani di scale a
passo normale), ma è comunque una condizione codificata nei sistemi anglosassoni nel
traCamento del paziente. Di solito quello che si dice è che se riesce a fare due piani di scale
senza sintomi può riprendere l’aRvità sessuale.

Sintomi associa1
• Dispnea,
• astenia
• presincope
insieme a segni come pallore, sudorazione…

Classificazione
La classificazione di angina più u4lizzata è quella proposta dalla Canadian Cardiovascular Society o
CCS, che, come avviene per quasi tuR i sintomi cardiovascolari, permeCe di suddividere l’angina in
quaCro classi:
• I CLASSE: l’angina si presenta solo per
esercizi straordinari (es. un’escursione
molto impegna4va in montagna).
• II CLASSE: l’angina si presenta per aRvità
fisica ordinaria o stress emo4vi (es. salendo
le scale rapidamente, andando in salita o
facendo più di due piani di scale).
• III CLASSE: anche aRvità rela4vamente
normali come camminare due isola4 o fare
meno di due piani di scale dà angina, quindi
si ha una forte limitazione dell’aRvità fisica.
• IV CLASSE: il paziente non riesce a fare niente, già spostarsi dal leCo a poltrona causa dolore
anginoso che può essere anche presente a riposo. C’è una completa compromissione dell’aRvità
fisica.

Il dolore toracico e le diagnosi differenziali


Il dolore toracico spesso viene a essere u4lizzato come sinonimo di angina pectoris. In realtà il
dolore toracico è un fenomeno che deve avere una diagnosi differenziale con una serie di altre
patologie.
Esso è causa frequente di accesso nei pronto soccorso e si s4ma che, a seconda delle casis4che, il
20-25% degli accessi ad un pronto soccorso sia proprio per dolore toracico: esso è quindi
frequentemente oggeCo di indagine diagnos4ca, ma (fortunatamente) solo in alcuni casi è legato a
ischemia cardiaca.

Ci sono diagnosi alterna4ve rispeCo al dolore toracico da angina. Esse sono molto numerose ma in
realtà non hanno tuCe la stessa importanza. Tra le più importan4 ci sono le lesioni retrosternali, tra
cui quelle legate a:
- dissezione aorQca: è una delle diagnosi più difficili in assoluto da fare e più pericolose, perché
spesso mortale. Ha caraCeris4che che spesso (ma purtroppo non nel 100% dei casi), la vanno a
dis4nguere rispeCo ad un infarto e sono:
1) l’acuzie nell’insorgenza, poiché l’infarto 4picamente ha insorgenza progressiva (da 0 il
dolore aumenta gradualmente), mentre la dissezione passa da 0 a 9-10 di dolore in un
istante, in un baRto cardiaco: questo dolore improvviso si scatena nel momento esaCo in
cui si interrompe il flap in4male dell’aorta e si crea lo strappamento della parete
endoteliale aor4ca con l’aRvazione degli algoceCori. È pertanto descriCo 4picamente
come una coltellata, pugnalata nel mezzo della schiena; è poi un dolore molto dorsale
(molto più che il dolore coronarico), a volte dipendente dai valori pressori, quindi in grado
di essere ridoCo dalla normalizzazione dei valori pressori, e spesso con possibile
irradiazione che segue la progressione dell’arco ar4co. La dissezione aor4ca dovrebbe
essere primo pensiero se si presenta un paziente con dolore toracico improvviso, ma molto
spesso sono casi più sfuma4, anche se questo rimane l’evento principale.
2) Le caraCeris4che dei polsi periferici (argomento ripreso in seguito).

- pericardite: il dolore pericardi4co è un dolore che interessa la stessa zona ma ha alcune


caraCeris4che (ovviamente nei casi più 4pici) molto peculiari.
3) variazione con la posizione posturale: è una delle caraCeris4che più u4li per formulare la
diagnosi. È infaR un dolore che il paziente ha pra4camente sempre quando
completamente supino, ma è quasi sempre alleviato dalla posizione ad angolo reCo e dalla
posizione genupeCorale (piegandosi in avan4), perché, per disposizione del sacco
pericardico, gli sfregamen4 sono meno presen4 in queste posizioni.
4) variazione con il respiro: vi è spesso una variabilità con il respiro profondo o con il colpo di
tosse, come tuR gli altri dolori sierosinici (es. dolore pleuri4co).

- dolore esofageo: non è facile da dis4nguere dal dolore coronarico, perché l’innervazione
sensi4va della regione del cardias è quasi iden4ca all’innervazione sensi4va cardiaca, quindi la
proiezione soma4ca del dolore cardiaco e dello spasmo esofageo inferiore è simile; inoltre a
volte lo spasmo esofageo risponde alla nitroglicerina e anche a farmaci calcio antagonis4 che si
usano molto nello spasmo coronarico, quindi ha una certa difficoltà di diagnosi differenziale. In
questo caso saranno i da4 anamnesici a guidare verso la diagnosi correCa.
La dispnea
Consiste in un discomfort respiratorio che il soggeBo normalmente non dovrebbe avere, ovvero
la presenza di distress respiratorio per sforzi che individui di pari età e di pari condizioni fisiche non
hanno o che il soggeCo non aveva e inizia a soffrirne.
Chiaramente si può avere fisiologicamente distress respiratorio dopo sforzi intesi, come una lunga
corsa, e c’è anche una dispnea dovuta all’assoluta inaRvità, ma la dispnea è sempre patologica se
si presenta a riposo o in seguito ad uno sforzo minimo, indipendentemente dallo stato in cui si è.
Quando la dispnea ha causa cardiologica, la causa di gran lunga più impaCante è lo scompenso
cardiaco.

L’immagine, traCa dal NeCer, mostra some si presenta un soggeCo con


dispnea. Vediamo qui un uomo con un torace un po’ batraciano, seduto e che
fa ampio uso della dalla muscolatura accessoria: il paziente 4ene le braccia in
alto per u4lizzare tuCa la muscolatura e genera una pressione inspiratoria
nega4va nel torace che molto marcata e per questo accentua le fosseCe
sopracalveari e provoca la depressione degli spazi intercostali.
Queste caraCeris4che non permeCono però di parlare necessariamente di una
dispnea di origine cardiogena o di origine respiratoria, ma detonano comunque
una situazione di dispnea grave. Un piccolo deCaglio di dis4nguere i due 4pi di
dispnea già durante la visita: la dispnea cardiogena è 4picamente molto
migliorata dalla posizione seduta, e questo avviene perché il ritorno venoso al
cuore è molto ridoCo in posizione seduta o ancora di più in piedi e questo
riduce quindi la pressione di riempimento cardiaco che ha un ruolo importante
nel determinare la dispnea cardiogena; invece la dispnea di origine respiratoria, ad esempio quella
dovuta ad un broncospasmo, non è 4picamente migliorata dalla posizione seduta e, in generale,
cambiare la posizione non fa differenza.

Classificazione
È classificata in quaCro classi secondo la New York Heart AssociaQon o NYHA:
• I CLASSE: assenza di dispnea se non per sforzi straordinari.
• II CLASSE: limitazione modesta all’aRvità fisica. È molto ampia e spesso a livello pra4co, ma non
codificato, viene divisa in due soCoclassi, IIa e IIb,
poiché gran parte dei pazien4 scompensa4 finirà
per essere in questa categoria di classificazione; per
IIa si intende il paziente che inizia ad avere dispnea
per aRvità come due piani e mezzo di scale, per IIb
invece si intende il paziente che inizia ad avere
dispnea per aRvità normali come un piano di scale.
• III CLASSE: limitazione marcata all’aRvità, basta
fase un’aRvità normale e si presenta dispnea.
• IV CLASSE: dispnea per qualsiasi aRvità e già a
riposo; a leCo il paziente è dispnoico.
Le palpitazioni
Sono dovute alla sensazione di avere un baRto irregolare che può essere irregolare per baR4
anormali, aggiun4, mancan4, baR4 len4 o baR4 veloci: 4picamente la palpitazione è per baR4
veloci però tuCe queste condizioni danno luogo a un sintomo di palpitazione, in cui il paziente
sente qualcosa di strano a livello del cuore.

Le cause di palpitazioni possono essere:


• Cardiache: la causa cardiaca più frequente di palpitazione è un’aritmia, che può essere una
bradiaritmia o una tachiaritmia, o la presenza di extrasistoli, che sono percepite dal paziente a
volte con un baRto in più e a volte con una pausa più lunga seguita da un baRto più forte,
perché una pausa postextrasistolica più lunga vuol dire una diastole più lunga, quindi il ventricolo
si riempie di più e la forza di contrazione del baRto postextrasistolico è maggiore.
• Non cardiache: febbre, grave anemia, grave ipossia, ansietà, stress, iper4roidismo (tachicardia
sinusale).

La sincope
È un sintomo non piacevole che consiste nella perdita di coscienza transitoria e di breve durata,
dovuta generalmente al deficit di irrorazione di sangue al cervello.
Per definizione la sincope deve essere:
• ad insorgenza rapida,
• breve durata (l’incoscienza deve essere breve, pochi secondi o un minuto),
• deve avere recupero spontaneo e completo.

Le cause possibili di sincopi sono molte, può essere emo4va, da aumento della pressione
intratoracica (ad esempio un musicista che suona la tromba in piedi: riduce molto il ritorno venoso
stando in piedi e generando un’alta pressione nel torace)…
Tra le cause cardiovascolari di sincope si trovano:
• cause vascolari: neuromediata/riflessa (vasovagale, situazionale o da massaggio del seno
caro4deo) o da ipotensione ortosta4ca;
La sincope più frequente in assoluto di sincope appar4ene a questa categoria ed è la sincope
vasovagale, abitualmente benigna anche se in alcuni casi può durare molto a lungo e dare
fenomeni importan4. Essa è dovuta essenzialmente ad un riflesso di aRvazione vagale con due
componen4, una componente bradicardica e una componente ipotensiva, che 4picamente
coesistono, anche se in alcuni pazien4 prevale la componente cardiodepressiva o cardioinibitrice
rispeCo alla parte vasodepressiva. È dovuta prevalentemente all’aRvazione di meccanoceCori
all’interno del ventricolo sinistro (che si contrae quasi vuoto con enorme vigore), che scatena un
riflesso vasodepressivo e cardioinibitorio che porta alla sincope vasovagale.
Altri esempi di sincope sono:
- la sincope da ipotensione ortosta4ca, dovuta ad un’incapacità di adeguare l’omeostasi
pressoria, per esempio per incapacità dei baroceCori vasoceRvi.
- la sincope riflessa da minzione o da sindrome caro4dea. Quest’ul4ma sopraCuCo è 4pico
riscontrarla negli uomini, che, radendosi, aRvano i baroceCori del seno caro4deo, cosa che può
portare allo svenimento, oppure in seguito alla rotazione brusca della testa su un colleCo alto e
streCo o stringendo troppo la cravaCa.

• cause aritmiche: tacharitmiche e bradiaritmiche bradicardia, Sindrome di Adam-Stokes


(caraCerizzata da rallentamento del baRto cardiaco (fino a 20), ver4gine, perdita della coscienza,
aCacchi convulsivi), Tachicardia V o SV, patologie ostruRve come la Stenosi aor4ca, la
cardiomiopa4a ostruRva o TEP.
In par4colare, tra le cause ostruRve meccaniche cardiovascolari, la più frequente e importante è la
stenosi aor4ca che causa una sincope per ostruzione del flusso in via anterograda verso l’aorta.

L’astenia
Si definisce astenico chi è in difficoltà a fare una normale acvità.
È un sintomo potenzialmente, ma non necessariamente, correlabile a uno stato di bassa GC, quindi
di inadeguata perfusione sistemica, come in caso di insufficienza cardiaca e scompenso cardiaco,
che, oltre a dare dispnea, può anche dare astenia. Spesso infaR astenia e dispnea coesistono e
solo in rare circostanze l’asteinia può essere presente anche senza dispnea e senza un’ischemia,
cioè come sintomo da bassa portata.

Naturalmente è un sintomo generico, che può essere legato a molte altre situazioni e deve essere
iden4ficata come cardiaca solo in assenza di altre condizioni che vanno inserite nella diagnosi
differenziale, come:
• Anemia (es. Hb<7g/dl)
• Insonnia
• Se assume farmaci che possono dare astenia (x es.: alte dosi di beta-bloccan4)
• Squilibri eleCroli4ci
• Infezioni
• Endocardi4
• Turbe psichiche
• Ipo4roidismo.
2. ESAME CARDIOVASCOLARE
L’esame cardiovascolare dovrebbe collocarsi all’interno di un esame fisico completo, anche se
questo non viene normalmente faCo in reparto visitando il paziente, perché ci si concentra
sull’esame cardiovascolare isolato. TuCavia, almeno all’ingresso, il paziente deve avere un esame
obieRvo completo, poi ci si concentrerà su quello isolato.

Pertanto è importante fare inizialmente un’ispezione generale del paziente, osservando come il
paziente si presenta e facendo aCenzione ad alcuni segni par4colari: di seguito ne vengono
presenta4 due esempi.

Cianosi
La cianosi è una situazione in cui troviamo colorito bluastro-violaceo di pelle e mucose, 4pica
conseguenza di un'insufficiente quan4tà di ossigeno nel sangue.
È caraCerizzata da:
• una concentrazione di emoglobina deossigenata nei capillari sanguigni > 5 g/dl (con riduzione
dell'Hb ossigenata); questo è considerato il valore cri4co per vedere con facilità la cianosi. Per
questo l’insorgenza di cianosi è facilitata dalla poliglobulia: avrà più facilità ad avere cianosi il
paziente poliglobulico che anemico, perché se si ha saturazione venosa centrale del 66% si può
avere cianosi anche con 15 di Hb, essendo sufficiente una quota di emoglobina deossigenata pari
a 5g/dl per avere questa colorazione ciano4ca; quindi basta una saturazione rela4va dell’Hb a
livello venoso meno importantemente depressa per avere questo fenomeno nel poliglobulico.
• un rallentamento del circolo periferico (stasi venosa), con conseguente aumento della
desaturazione;
• un aumento della concentrazione dei derivaQ dell'emoglobina (es. metaemoglobina) nel leCo
capillare.

La cianosi è associata ad uno stato di ipossia cronica che si verifica in un’ampia varietà di
condizioni, molte delle quali sono pericolose per la vita:
• Cianosi dovuta ad un’alterazione centrale: è dovuta ad un problema polmonare o a un difeCo da
shunt destro-sinistro, che può essere dato, per esempio, dalla stenosi di un’arteria polmonare,
che determina aumento pressione nel cuore dx e quindi anche in atrio dx che porta, a lungo
andare, al cedimento del se.o e formazione di uno shunt;
• Cianosi dovuta ad alterazione periferica: è il risultato di una difeCosa perfusione a livello
periferico, più spesso questa è dovuta da una vasocostrizione periferica per bassa portata
cardiaca o per permanenza al freddo. Anche nello scompenso c’è vasocostrizione periferica,
poiché il poco sangue che il cuore pompa l’organismo cerca di dirigerlo agli organi nobili
(cervello, cuore, reni), a scapito di muscoli e cute.

Un segno 4pico di cianosi cronica, con conseguente


vasodilatazione venosa cronica, sono le dita ippocraQche:
anche deCe dita a baccheBa di tamburo sono 4piche nelle
cardiopaQe cianogene di Qpo congenito come la tetralogia di
fallot, difeR nelle comunicazioni interatriali e interventrciolari
(shunt destro-sinistro), con circolazione sinstemica di sangue poco ossigenato; le dita ippocra4che
si possono anche riscontrare in pazien4 con BPCO e quindi con saturazione arteiosa bassa. Le dita
ippocra4che sono pertanto patognomoniche e diagnos4che per una cianosi cronica a livello
periferico.

Nell’immagine c’è un esempio 4pico di una giovane donna con una


cardiopa4a congenita di 4po cianogeno non adeguatamente
traCata: ha le labbra scure, viola, con cianosi anche alle estremità
come le orecchie e le dita, che sono violacee e con le unghie
tondeggian4 e ampie, ovvero a baccheCa di tamburo.

Edemi declivi e improntabili


Si ricerca sul paziente con edema il segno della fovea, ad
esempio a livello della caviglia.
La fovea è 4pica dell’edema da scompenso cardiaco
cronico, in cui si riscontra stasi e conseguente formazione
di edema improntabile.

Un elemento aggravante la condizione di edema, nell’ambito dello scompenso cardiaco, è


l’ipoalbuminemia: l’albumina è il principale determinate della pressione onco4ca che richiama i
fluidi a livello di vasi. La riduzione della pressione onco4ca da ipoalbuminemia contribuirà quindi
alla genesi dell’edema e si avrà quindi facilmente edema per valori meno importan4 di pressione
idrosta4ca; per questo mo4vo nella terapia dello scompenso è bene anche ripris4nare i valori di
normale pressione onco4ca per favorire il riassorbimento del fluido dal terzo spazio verso la
circolazione, ovvero dal comparto extracellulare verso il sistema vascolare.

L’immagine mostra una donna con scompenso cronico di 4po destro,


presumibilmente sinistro di partenza e che è diventato anche destro
con cianosi, edema periferico, ascite che si riversa nella parte bassa
dell’addome e ar4 inferiori elefan4aci con edema pra4camente fino
alla radice della coscia. Questo è uno scompenso cardiaco molto
avanzato che si può diagnos4care già guardando la persona.
Nei casi più gravi si parla di scompenso anasarcaQco, ovvero
scompenso caraCerizzato da anasarca. L’anasarca è la condizione
condizione clinica di versamento in tuCe le sierose (peritoneo con
formazione di ascite, pleure con formazione di versamento pleurico e
pericardio con versamento pericardico) e in tuR i tessu4 soCocutanei.
Tornado all’esame obieRvo cardiovascolare vero e proprio, esso, come tuR gli esami di 4po clinico
si basa su:
- ispezione
- palpazione
- (percussione)
- auscultazione
La percussione in questo ambito riveste un ruolo marginale.

Ispezione
All’ispezione si può valutare l’iBo della punta: infaR in una persona con un normale soCocute
normalmente non viene visto, quindi, a meno che il soggeCo non sia cacheRco, quando è visibile è
tendenzialmente sempre patologico.
SopraCuCo se dislocato o sollevato è un segno di ingrandimento del ventricolo sinistro, che
quand’anche non riscontrato all’ispezione, è certamente riscontrabile alla palpazione.

All’ispezione si può inoltre determinare la pressione venosa


centrale, come mostrato nell’immagine.
È un sistema abbastanza laborioso, ma è importante avere
un’idea di cosa significhi avere turgore delle giugulari, poiché
la presenza di turgore è uno degli elemen4 essenziali per la
diagnosi del paziente con dispnea e del paziente cardiopa4co
in generale e per la diagnosi di scompenso cardiaco.

Il calcolo va faCo genericamente con il busto un po’ inclinato, perché se si sta perfeCamente
orizzontali è normale avere le giugulari piene. La PVC in cava superiore e in atrio di destro è
tendenzialmente intorno a 2-8 cmH2O, quindi la colonna idrosta4ca che origina dall’atrio di destra
deve risalire per circa 2/8 cm nella giugulare.
Per fare questo calcolo si prende un righello e lo si appoggia in corrispondenza dell’angolo sterà le
o angolo del Louis, si prende la tangente al peCo condoCa dal punto più alto della giugulare in cui
è ancora percepibile la pulsazione fino al righello; il valore in cm indicato sul righello nel punto di
incontro tra il righello e la linea rappresenta un’indicazione della pressione venosa centrale, che
non deve essere superiore agli 8 cm: dall’altezza indicata sul è possibile ipo4zzare l’altezza di
riempimento della vena giugulare.
È importante fare una precisazione: in realtà l’angolo del Louis non corrisponde esaCamente alla
posizione dell’atrio, che dovrebbe essere il punto di partenza della colonna idrosta4ca e rispeCo al
quale si dovrebbe calcolare la PVC, ma l’atrio è leggermente più in basso (5 cm); per questo al
risultato vengono aggiun4 5 cm di correzione.
Ci sono anche dei sistemi per calcolare la posizione dell’atrio prendendo la parete toracica
posteriore e anteriore: grossolanamente di può dire che a distanza tra atrio e angolo sternale è la
metà del diametro trasversale del torace, quindi il punto più o meno di mezzo dovrebbe essere
quello dell’atrio; ovviamente in un bambino o in un soggeCo obeso questa distanza sarà diversa.
Questa è la distanza tra atrio, da cui parte la misurazione della PVC e deve essere di quello valore.

Nel calcolo della PVC con cateterismo, invece, la pressione è misurata in mmHg, l’equivalenza con i
cmH2O è la seguente:
1 cmH2O=0,74 mmHg; 1 mmHg=1,36 cmH2O

Palpazione
Con la palpazione si va a valutare l’iBo e normalmente l’iCo deve essere al quinto spazio e
sull’emiclaveare sinstra, non più giù e non più lateralmente: se si sente l’iCo oltre questa sede è
patologico e nel 90% abbondante dei casi è dovuto ad un ingrandimento del ventricolo sinistro e,
in ques4 casi, l’iCo sarà anche ampio e sollevante.
Dalla palpazione si riesce anche a sviluppare diagnosi di aneurisma e discinesia dell’apice: in sistole
l’apice dovrebbe retrarsi e invece, in queste condizioni patologiche, in sistole si sente il cuore che si
alza e se c’è un aneurisma si alza a ogni sistole.

Palpazione dei polsi arteriosi


I polsi arteriosi vanno valuta4 bilateralmente e quelli di
per4nenza cardiologica sono:
• il polso caroQdeo,
• il polso aorQco addominale: è importante ricercarlo per
evitare di dimeCere un paziente con aneurisma dell’aorta
addominale che può andare incontro a roCura imminente.
• il polso femorale,
• il polso radiale: anteriore e posteriore,
• Il polso pedidio o dorsale del piede.
Oltre a ques4 si può palpare anche il polso popoliteo a livello
del cavo popliteo.

Oltre a sen4rne la presenza/assenza e simmetria/asimmetrica,


a livello dei grandi polsi è opportuno sen4re se ci sono dei soffi.
La frequenza dei polsi deve essere compresa tra 60 e 100 bpm.

Dei polsi è anche importante valutare il volume (l’ampiezza) e la durata (velocità).


Ampiezza dei polsi
Il polso poi può essere ridoBo (polso ipocineQco) se c’è poca pressione differenziale, quindi il
paziente è gravemente scompensato.

Il polso può essere anche aumentato (polso ipercineQco) e una 4pica causa cardiaca di polso
ampio è l’insufficineza aorQca, in cui la pressione differenziale tra sistole e diastole è molto
aumentata e quindi c’è un polso molto importante che può avere degli effeR collaterali importan4
e anche visibili osservando il paziente.
Una patologia associata ad insufficienza aor4ca è la sindrome di Marfan: questa malaRa può
infaR portare ad un’insufficienza anche molto grave, con conseguentemente un polso molto
marcato, a tal punto da determinare un’oscillazione del corpo ad ogni baRto.
A 4tolo esemplifica4vo, viene presentato un’esempio storico: si ri6ene che Benjamin Franklin fosse
affe.o proprio da sindrome di Marfan. Questa deduzione è stata possibile dall’osservazione di
alcune foto dell’epoca, che sfru.avano come tecnica fotografica i dagherro6pi, che per poter
imprimere l’immagine necessitavano di un tempo di esposizione di alcuni secondi, in cui il sogge.o
doveva stare perfe.amente fermo. Tu.avia questo era impossibile per un sogge.o con sindrome di
Marfan, insufficienza aor6ca associata e rela6ve oscillazioni del corpo per il polso molto ampio:
questo sarebbe il mo6vo per il quale nelle foto Franklin, che posava con le gambe accavallate,
appare sempre con la punta della scarpa sfocata a livello della gamba sollevata, poiché il suo piede
oscillava ad ogni baVto, dimostrando in questo modo la diagnosi.

Un’altra condizione che può essere associata a insufficienza aor4ca è storicamente la sifilide (o
lue), nella quale si può riscontrare il cosiddeCo segno di De Musset: è un segno di insufficienza
aor4ca ancora più marcata, che porta addiriCura ad un’oscillazione del capo ad ogni baRto.
Il segno deve il suo nome a De Musset, un le.erato del 1800, noto frequentatore delle case di
tolleranza dell’epoca e per avere una grave forma di sifilide che gli determinò un’insufficienza
aor6ca che, si racconta, gli determinava una marcata oscillazione del capo ad ogni baVto.

Il polso ampio non è esclusivo dell’insufficienza aor4ca, ma si può riscontrare polso aumentato
anche in altre condizioni, come in situazioni di aumentata rigidità arteriosa, quindi in situazioni di
aterosclerosi e ipertensione, oppure in situazioni di basse resistenze periferiche, come in
situazioni di febbre, 4reotossicosi...

Velocità di polsi
In questo contesto la presenza di un ritardo o di un an4cipo rispeCo al secondo tono aiuta a
determinare velocità del polso.

Un polso celere è un polso molto brusco nella sua comparsa e scomparsa, che arriverà poco dopo
il secondo tono, e anch’esso può essere correlato a un’insufficienza aor4ca.

Un polso tardo è un polso che arriva tardivamente rispeCo al secondo tono cardiaco, 4pico della
nella stenosi aor4ca.
Auscultazione
All’auscultazione si valutano i toni e i soffi cardiaci.

I toni cardiaci

Fisiologicamente possiamo udire:


• Primo tono o S1: udito in corrispondenza della chiusura delle valvole atrioventricolari ed è
ovviamente sincrono con l’inizio della sistole, quindi l’inizio della fase isovolumetrica di
contrazione;
In questo tono la componente mitralica e tricuspidalica sono assolutamente fuse tra di loro.
Il primo tono si sente con lo stetoscopio con una frequenza del diaframma intorno ai 30-40 Hz,
quindi rela4vamente alta.

• Secondo tono o S2: udito in corrispondenza della chiusura delle valvole semilunari, che avviene
quando la pressione nel ventricolo scendono al di soCo rispeRvamente della pressione in aorta
e in arteria polmonare quando inizia la fase di rilasciamento isovolumetrico.
A differenza del primo tono, il secondo è formato da due componen4 che sono un pochino più
separate tra loro, ovvero in condizioni normali la componente aor4ca precede leggermente la
componente polmonare, che può essere percepita separatamente, come uno sdoppiamento del
secondo tono. Questo sdoppiamento può essere fisiologico o patologico.
Lo sdoppiamento fisiologico è quello presente in inspirazione: nei giovani, in cui si sente bene il
cuore e in cui spesso la componente polmonare è un po’ più tradiva rispeCo alla componete
aor4ca, il respiro molto profondo riesce a variare la meccanica del sistema destro rispeCo al
sistema sinistro e in inspirazione si avrà uno sdoppiamento del secondo tono. Al termine di una
visita cardiologica da un soggeCo giovane, sul referto si troverà scriCo: “sdoppiamento del secondo
tono variabile con il respiro”.
Invece, fisiologicamente, in espirazione progressivamente le due componen4 si avvicinano fino a
fondersi completamente, quindi si sen4rà un tono singolo, dovuto alla sommatoria delle
componen4 aor4ca e polmonare.

Esistono situazioni patologiche in cui il secondo tono è sdoppiato in modo non variabile con il
respiro, ovvero quando l’inspirazione profonda non è in grado di variare in maniera differenziale il
riempimento del cuore destro rispeCo al riempimento del cuore sinistro e questo avviene quando
vi è una comunicazione a livello degli atri. Proprio per questo mo4vo è possibile fare diagnosi di
difeCo interatriale da un’aCenta auscultazione: infaR ciò che si verifica in questa condizione è uno
sdoppiamento fisso del secondo tono con incapacità delle variazioni respiratorie di variare la
distanza tra la componete aor4ca e la componente polmonare, perché tanto più sangue arriva a
destra tanto più sangue passa a sinistra e viceversa (per la presenza di un ampio difeCo
interatriale).

Altre condizioni patologiche in cui si registra uno sdoppiamento anomalo sono i blocchi di branca:
- La presenza di un blocco di branca destro tende ad aumentare lo sdoppiamento: siccome la
componete polmonare è la seconda, se l’aRvazione ventricolare destra è ritardata dal blocco di
branca, il ventricolo destro si contrae un po’ tardivamente e di conseguenza viene enfa4zzato lo
sdoppiamento del tono.
- La presenza di un blocco di branca sinistro tende a produrre uno sdoppiamento paradosso:
rallentando l’aRvazione ventricolare sinistra si avrà una tendenziale fusione delle due
componen4, con sdoppiamento paradosso, ovvero opposto rispeCo alla condizione normale,
del secondo tono. La compente aor4ca, infaR, in questo caso è ritardata e, anziché precedere,
può seguire la componente polmonare, quindi in inspirazione le due componen4 si avvicinano e
si fondono, mentre in espirazione la componente polmonare si allontana dalla componente
aor4ca che è ritardata, determinando uno sdoppiamento paradosso in fase telespiratoria.

Il secondo tono si sente con lo stetoscopio con una frequenza del diaframma intorno ai 50 Hz,
quindi anch’essa rela4vamente alta.

Toni aggiun1
Nel fonocardiogramma si possono vedere altri due possibili toni, il terzo e il quarto.
- Il terzo tono o S3 pur essendo ancora potenzialmente normale nel giovane, è tendenzialmente
patologico nel paziente non più giovane ed è un segno importante di scompenso cardiaco. È un
tono protodiastolico, dovuto alla rapida decelerazione del flusso nella fase di riempimento
rapido diastolico; sarò quindi udibile subito dopo S2 (quindi l’intervallo S2-S3 è più breve
dell’intervallo S1-S2, a meno che il soggeCo non sia gravemente tachicardico).
Si sente generalmente meglio all’apice o al mesocardio ed ha una frequenza più bassa
frequenza, intorno ai 20 Hz, quindi con lo stetoscopio tradizionale doppio si sente meglio con la
campana rispeCo al diaframma.
- Il quarto tono o S4 è invece un tono telediastolico o protosistolico, che an4cipa S1, è meno
frequente da sen4re e si può auscultare all’apice ed è sempre patologico, raramente sommato a
S3 a determinare un ritmo di galoppo di sommazione.

La presenza di ques4 toni aggiun4 determina un ritmo che viene deCo ritmo di galoppo. Il galoppo
è un ritmo patologico tranne che nel giovane.
Il galoppo può essere definito come Kentucky o Tennessee con riferimento alla cadenza del ritmo:
• Il galoppo da S3 è il galoppo Tennessee, caraCerizzato dalla vicinanza tra il scendono tono e il
tono aggiunto. È il più frequente da auscultare.
• Il galoppo da S4 è il galoppo Kentucky, caraCerizzato da una spaziatura più importante dei toni,
poiché il tono aggiunto è telediastolico.

I soffi
Si verificano quando il flusso da laminare diventa turbolento.
Dei soffi si possono definire alcune caraCeris4che:
• Timing rispeCo al ciclo cardiaco: sistolico o diastolico;
• Intensità: il soffio è 4picamente valutato in ses4: il 90% dei soffi che vengono riscontra4 in clinica
sono soffi 2/6 o 3/6 e raramente 4/6, perché il soffio 1/6 è molto difficile da sen4re, mentre i
soffi 5/6 e 6/6 non esistono più perché il paziente non arriva da avere un soffio che si sente
arrivando al leCo del paziente, senza quasi dover visitare il paziente.
• Frequenza;
• Forma: che può essere in crescendo, decrescendo, a plateau e a diamante, nastriforme;
• Qualità: può essere armonica e musicale, soffiante, aspra, dolce, squiCente, a grido di
gabbiano…
• Durata: può essere protosistolico o protodiastolico (nel primo intervallo dei due even4),
mesosistolicoo mesodiastolico (nel secondo intervallo dei due even4), telesistolico o
telediastolico (nel terzo intervallo dei due even4), olosistolico e olodiastolico (per tuCa la durata
dell’evento);
• Irradiazione: può variare. Dalla differenza delle sedi di irradiazione si può capire, ad esempio, se
un soffio sistolico è da stenosi aor4ca o da insufficienza mitralica: nel caso più comune di soffio,
ovvero la stenosi aor4ca, si irradia alla base del collo verso le arterie caro4di, mentre il soffio
dell’insufficienza mitralica, a seconda di quale lembo è interessato, si irradia più verso l’ascella. Il
soffio difeCo interventricolare invece irradia 4picamente verso la regione parasternale ed ha
caraCeris4che aspre;
• Risposta a manovre dinamiche.

Soffi aor1ci
Soffio da stenosi aorQca: è un soffio sistolico a diamante, ben udibile alla base del cuore, irradiato
al giugulo e ai vasi del collo, ovvero alle caro4di comuni lateralmente al collo, quindi sarà ben
udibile a livello della caro4de destra.
Questo soffio è molto spesso associato ad alcuni segni:
- polso tradivo e agli altri segni.
- aumento di S2
SopraCuCo nell’anziano, in cui la valvola aor4ca è calcifica, si avrà la combinazione di polso tardivo,
soffio sistolico irradiato al giugulo e S2 aumentato e si potrà facilmente fare diagnosi di stenosi
aor4ca calcifica già dall’auscultazione.
È un soffio rude da grande turbolenza su valvola calcifica.

Soffio da insufficienza aorQca: è un soffio diastolico in descrescendo, che parte con il secondo
tono. Lo si sen4rà bene più in basso rispeCo al soffio da stenosi aor4ca, lungo la linea
marginosternale destra a livello del terzo/quarto spazio intercostale e sarà un soffio più musicale e
più dolce.
È un soffio udibile nell’insufficienza aor4ca marfanoide (vedi Franklin).

Soffi mitralici
Soffio da insufficienza mitralica: è un soffio sistolico, tendenzialmente in decrescendo (sopraCuCo
se la valvola perde dall’inizio della sistole), a meno che non sia mesosistolico e questo accade ad
esempio in caso di prolasso valvolare mitralico in cui la valvola inizia a perdere non subito all’inizio
della sistole ma più tardivamente. Tipicamente si irradia verso la regione ascellare, quindi sarà ben
udibile a livello del cavo ascellare sinistro.
Il soffio può avere caraCeris4che un po’ diverse a seconda di quale dei due lembi (anteriore o
posteriore) è coivolto; il soffio da insufficienza mitralica si presenta più frequentemente in seguito
a perdita degli scallops centrali del lembo posteriore 4picamente del lembo posteriore scallop T2, il
4pico soffio da insufficienza mitralica in seguito a perdita degli scallop centrali del lembo
posteriore.
3. ELETTROCARDIOGRAMMA
Viene solo accennato dal professore che invita, pertanto, a rivedere l’argomento in autonomia.
Si ricorda solo che il posizionamento delle derivazioni prende come riferimento il triangolo di
Heintoven per le derivazioni frontali, mentre le derivazioni a livello precordiale, da V1 a V6,
esplorano il cuore sul piano orizzontale.
L’asse eleCrico principale, dovuto alla posizione in cui punta l’apice cardiaco è 4picamente tra V3 e
V4: questa è la cosiddeCa transizione rs, in cui si passa dall’avere un’onda S prevalente nel tracciato
ad avere un’onda R prevalente.
- Se c’è una transizione precoce, V1-V2, c’è la rotazione an4oraria sul piano sagiCale precordiale,
- Se c’è una transizione ritardata, V5-V6, c’è la rotazione oraria sul pianvo sagiCale precordiale.

aVR aVL

aVF
4. RADIOGRAFIA DEL TORACE
Radiografia in proiezione anteroposteriore o AP
La radiografia del torace in anteroposteriore fa vedere i classici archi cardiaci:
• due archi destri:
1. dalla vena cava superiore (arco superiore destro),
2. dall’atrio destro (arco inferiore destro).
L’arco superiore destro è pertanto rappresentato dal limite medias4nico del cuore,
prevalentemente dovuto alla cava superiore ed in parte all’arteria polmonare di destra, mentre
l’arco inferiore destro è dato dal limite inferiore del cuore, prevalentemente rappresentato dal
confine dell’atrio di destra.

• tre archi di sinistra:


1. dal cappuccio (o arco) aorQco (arco superiore sinistro), che sarà aumentato e calcifico in
presenza di una dilatazione e calcificazione dell’aorta.
2. dall’arteria polmonare sinistra (arco medio sinistro), nello specifico dato dalla sommazione del
cono della polmonare insieme all’emergenza dell’arteria polmonare di sinistra e dell’auricola di
sinistra; sarà aumentato in presenza di un’ipertensione polmonare, di una dilatazione
dell’arteria polmonare e di una grave dilatazione dell’auricola sinstra.
3. dalla parete del ventricolo sinistro (arco inferiore sinistro) che sarà aumentato in presenza di
una dilatazione del cuore a livello del ventricolo sinistro come aneurisma o anche solo un
aumento volumetrico del ventricolo come nelle cardiomiopa4e dilata4ve.
La proiezione delle valvole è la seguente:

La tricuspide ha un anello molto grande, mentre l’anello mitralico è più tondeggiante. È poi visibile
l’anello aor4co.
A par4re dalla conoscenza delle proiezioni è possibile risalire, in presenza di protesi alla
radiografia, quale valvola riguardi.

Nell’immagine si può anche vedere una radiografia con un soggeCo che ha assunto un pasto
baritato, che permeCe di visualizzare l’esofago: la dislocazione dell’esofago, come in questo caso, è
segno di dilatazione del cappuccio aor4co, tanto maggiore quanto più l’esofago è dislocato.
Si vedono che gli archi.

Anche se oggi si fa raramente, in anteroposteriore è anche possibile la misurazione del rapporto


cardio-toracico, ovvero il rapporto tra lo spazio occupato dal cuore in cm e il diametro dell’intero
torace. Il rapporto in condizioni normali è poco più del 40%.
Questo rapporto dà un’idea grossolana ma abbastanza affidabile della dimensione cardiaca in toto:
se >0,50 è segno di dilatazione cardiaca in toto.
Radiografia in proiezione obliqua anteriore destra o RAO
Nella RAO gli anelli delle valvole mitrale e tricuspide sono quasi complanari uno con l’altro e le
valvole sono viste d’infilata (non siamo sicuri di quest’ul4ma parola, dalla registrazione non si sen4va bene),
quindi questa è la proiezione che si userà per l’inserimento di cateteri all’interno del ventricolo
destro aCraverso la valvola tricuspide.

Radiografia in proiezione obliqua anteriore sinistra o LAO


Nella LAO gli anelli valvolari sono espressi al massimo delle loro possibilità, quindi c’è l’anello
mitralico che pra4camente completo e questo è u4le perché se si cerca di infilare il seno
coronarico si vede bene l’arteria circonflessa che va intorno alla maggior parte del solco
atrioventricolare che è espresso a livello dello svolgimento dell’analisi della valvola mitrale.
Radiografia in proiezione latero-laterale o LL
In questa proiezione si vede bene la parete anteriore del cuore che pra4camente confina con lo
sterno e si vede bene la parte destra con l’arteria polmonare e l’aorta che passa superiormente
dirigendosi posteriormente fino a “toccare” l’esofago.

La seguente parte è stata accennata velocemente perché verrà ripresa nel corso delle lezioni, ma
siccome l’argomento è stato presentato in maniera più de.agliata lo scorso anno, riporto per
completezza quest’ul6ma parte.

5. ESAMI DI LABORATORIO
Gli esami di laboratorio sono importan4 da mol4 pun4 di vista. Alcuni degli esami più importan4
sono:
• marker infiammatori (conta leucocitaria, proteina C reaRva, velocità di eritrosedimentazione
VES). Essi sono importan4 perché, come sappiamo, una situazione infiammatoria fa da faCore
destabilizzante per le placche aterosclero4che. Di conseguenza, l’infiammazione può portare alla
comparsa di sindrome coronarica acuta. InfaR, i markers infiammatori sono 4picamente
aumenta4 in caso di Infarto miocardico e di necrosi miocardica.
• markers di necrosi miocardica (TnT, TnI, CK-MB, LDH): sono ad oggi considera4 i market cardiaci
più sensibili e informa4vi.
• D-dimero (alto VPN per Tromboembolia),
• BNP/NTproBNP che viene usato come markers di stretch della parete atriale e ventricolare.

Si concludono qui le 5 regole/dita su cui si basa la semeio4ca cardiologica tradizionale.


A queste, grazie al progresso tecnologico, si sono aggiun4, nell’ambito della nuova semeio4ca altri
esami diagnos4ci molto u4li:
1. Ecocardiografia;
2. Cateterismo cardiaco (Cath Lab, che comprende il cateterismo coronarico e quello cardiaco in
senso streCo);
3. EleBrofisiologia;
4. Medicina nucleare;
5. TAC & RMN.

1. Ecocardiografia
L’ecocardiografia consiste nell’u4lizzo di ultrasuoni per lo studio dell’anatomia e della funzione del
cuore.
L'ecocardiogramma può essere faCo a livello
basale, transtoracica, per via transesofagea
oppure può essere effeCuato soCo stress come
test provocatorio.
Il suo vantaggio quindi è quello di essere una
tecnica veloce e non invasiva, per questo mo4vo
l’ecocardiografia può essere anche ripetuta più
volte.
Importante per misurare lo spessore della parete
cardiaca, la misura cardiaca, la frazione
d’eiezione, i gradien4 pressori con l’effeCo
Doppler, la morfologia delle valvole e altri
parametri.
È possibile visualizzare bene le quaCro camere o delle due camere, in base alla proiezione.

2. Cateterismo cardiaco
L’angiografia coronarica è una procedura invasiva che
permeCe di visualizzare le arterie coronarie.
Invece che u4lizzare la via femorale, per correre meno
rischi di provocare emorragie, da qualche anno per
quasi tuCe le angiografie si u4lizza la via brachiale,
quindi si arriva all’arco aor4co e si incanulano le
coronarie un agente di contrasto iodato e con un
“amplificatore di brillanza” (tubo radioscopico)
andiamo a visualizzare le coronarie. La visualizzazione
delle coronarie consente il traCamento percutaneo
della patologia coronarica nella stessa sede
dell’intervento diagnos4co e di procedere alla terapia,
dove si cerca abitualmente di dilatare e riaprire ques4
vasi ristreR piazzando uno stent a livello coronarico.
ARTERIA CORONARIA SINISTRA
Dal tronco comune (le{ main, LM) vediamo una biforcazione quasi immediata (6 cm), in arteria
coronaria circonflessa, che poi passa nel solco atrioventricolare producendo dei rami marginali che
si dirigono verso la parete laterale e diaframma4ca, e ramo discendente anteriore che va fino alla
punta passando nel solco interventricolare irrora: gran parte del ventricolo sinistro, la parete
anteriore e antero-apicale, l’apice, produce anche dei rami diagonali, per la parete laterale del
cuore, e rami seCali, prevalentemente perforan4.

ARTERIA CORONARIA DESTRA


Il vaso principale dà origine a dei piccoli rameR deputa4 all’irrorazione del nodo SA, a dei rami del
cono, dei rami verso il ventricolo destro e dirigendosi posteriormente dà dei rami posteriori e dei
rami al nodo AV. Irrorerà quindi ventricolo destro, e la parete dorsale e inferiore del cuore.

3. Studio EleBrofisiologico
Lo studio eleCrofisiologico comprende la registrazione dell’aRvità eleCrica dall’interno del cuore
tramite l’inserimento di uno o più cateteri all’interno del cuore con un approccio percutaneo per
via venosa sopraCuCo a livello del cuore di destra (raro un approccio al cuore di sinistra). Essa è
una procedura moderatamente invasiva. È u4le sopraCuCo per andare ad individuare, studiare e
valutare l’inducibilità delle aritmie (sia atriali che ventricolari) anche tramite l’inserimento di
extras4moli, quindi di baR4 ectopici indoR dalla s4molazione della macchina tramite una
procedura chiamata “S4molazione ventricolare programmata”. È poi u4le anche per fare
l’ablazione trans-catetere del substrato anatomico che soCostà all’aritmia (tecnica che consente di
interrompere i circui4 aritmici danneggiando il cuore con la radiofrequenza).

4. Medicina nucleare
Negli ul4mi quindici anni questa branca della medicina ha acquisito una maggior importanza (in
Italia non è mai stata molto diffusa come in Inghilterra).
La medicina nucleare ci consente, tramite l’iniezione di un farmaco radioaRvo nel torrente
circolatorio, di andare a valutare l’en4tà del flusso coronarico. Questo perché si viene a creare un
legame tra i globuli rossi e il farmaco radioaRvo e questo fa sì che si distribuisca radioaRvità
proporzionalmente al flusso coronarico. Si può fare un’analisi SPECT (Single Photon Emission
Computed Tomography), ovvero un’analisi tomografica della valutazione con strisce di funzione in
termini spaziali abbastanza buona di una radioaRvità che viene rilevata con una gamma-camera
che rileva segnali prodoR dal tracciente radioaRvo. Questo ci consente di vedere sia le camere
cardiache sia il movimento di esse stesse.
In questo esempio di una scin4grafia miocardica perfusionale di 4po SPECT. Nella prima immagine
(con asse lungo orizzontale) si vede come il ventricolo di dx sia molto meno perfuso (colore blueCo
= prima intensità di segale) rispeCo al ventricolo di sx (4pico “ferro di cavallo” che si vede in un
asse lungo orizzontale).
L'asse lungo ver4cale (terza immagine) trova anch’esso una forma a“ferro di cavallo” che
normalmente (come nell’immagine) si presenta con una parte un po’ più corta.
L'asse corto (seconda immagine) rappresenta una sezione di taglio del cuore, e di conseguenza
avremo una conformazione a “ciambella” che rappresenta il ventricolo sinistro. Essa può sembrare
apparentemente disomogenea, ma queste alterazioni sono ancora fisiologiche. Generalmente
quello che si fa è un paragone tra la distribuzione a riposo e una distribuzione da sforzo:
4picamente un pz infartuato avrà un difeCo di perfusione irreversibile, oppure un paziente
un'ischemia perinfartuale potrà avere una combinazione tra un difeCo di perfusione irreversibile
nella zona di necrosi e un alone di difeCo reversibile nelle sue vicinanze.
Quando si decide di fare una SPECT cardiaca?
Essa è sostanzialmente uno dei test
provoca4vi preferi4 e più poten4, fino alla
recente introduzione della TC coronarica. È
u4le sopraCuCo quando i test di sforzo
tradizionali (monitoraggio ECGgrafico
durante uno sforzo in bicicleCa) non sono
concluden4, avendo una specificità e una
sensibilità decisamente minore rispeCo a
una SPECT. Quindi nel caso di un ECG poco
valutabile, dubbio o non valutabile (per
esempio in presenza di un blocco di branca
sinistro completo) ecco che propenderemo
per l’esecuzione di una SPECT.

5. TAC (Tomografia Assiale Computerizzata) E Risonanza magneQca


La TAC tridimensionale negli ul4mi anni ha faCoveramente passi da
gigante. La TAC ci dà delle immagini tridimensionali straordinarie. Si
vede chiaramente lo sviluppo delle coronarie edel tronco comune, si
notano le due divisioni in arteria circonflessa e discendente anteriore e
dall’altro seno di Valsalva l’origine della coronaria di destra.

Quali sono oggi le indicazioni 4piche per l’esecuzione di una TAC del cuore?
Fare una valutazione del calcio come stra4ficatore di rischio coronarico (Calciumscore) che ci dà
un’idea grossolana sulla probabilità di essere di fronte ad una coronaropa4a.
Se la probabilità di andare incontro a coronarografia e angioplas4ca è alta, tanto vale
faredireCamente la coronarografia. Se invece questa probabilità è bassa, è certamente
menoinvasivo (e oggi sempre più quasi paragonabile) fare una tac coronarica.
Di anno in anno sono sempre più i pazien4 che invece della coronarografia fanno la tac coronarica,
perché la precisione del segnale sta aumentando in maniera importante.
Si può ancora usare la core-TC per la valutazione della presenza dimalaRe del pericardio,
anomaliecoronariche (spesso mal visualizzate da una coronarografia tradizionale), neoplasie e
calcificazioni, anomalie delle vene polmonari, malaRe dell’aorta, presenza di bypass coronarico, le
dimensioni delle valvole aor4che...

La RM cardiaca è probabilmente l’esame più sofis4cato e abbastanza essenziale per chi non abbia
controindicazioni. A tal proposito uno svantaggio dell’RM è che non può essere u4lizzata in
presenza di protesi magne4che impiantate (come defibrillatori) o protesi ferree (quindi con
contenuto di metalli magne4ci).
La risonanza magne4ca però comprende tuCa una serie di benefici come l’assenza di radiazioni e la
non invasività.
È il sistema più preciso per vedere il cuore.
Nel caso della RM l’asse lungo può essere suddiviso in: asse lungo 2 camere o asse lungo 4 camere.
L'asse corto mostra anche qui una “ciambella”.
ACraverso l’RM essa si possono vedere sia le immagini sta4che che il movimento delle varie
struCure, questo permeCe anche la ricostruzione dei flussi in una certa misura. La risonanza
magne4ca è il gold standard per la definizione della cinèsi, in par4colare nelle zone che non sono
ben accessibili all’ecocardiogramma, come l’apice o l’intero ventricolo destro. Per misurare un
volume e quindi una frazione di eiezione, il ventricolo sinistro ha una forma ogivale e questa
permeCe di fare una s4ma con efficacia. Invece è enormemente più complicato definire i diametri,
ma sopraCuCo i volumi e la frazione di eiezione, del ventricolo destro da un ecocardiogramma.
La risonanza magne4ca cos4tuisce la possibilità di vedere tuR i piani e ricostruire con perfezione
tuCe le volumetrie. Si prefigura come un esame di terzo livello, vis4 i suoi cos4 e la sua lunghezza
viene u4lizzato per i pazien4 che ne abbiano un’indicazione.
L’angiorisonanza (estenzione della RM cardiaca) è u4le per andare a valutare patologie dell’aorta e
fondamentale per studiare le anomalie delle cardiopa4e congenite.

Ci sono delle sequenze specifiche che non dobbiamo sapere nel deCaglio, bas4 sapere che sono
sequenze adaCe per vedere il grasso, i fluidi (edema)... e quindi hanno molta importanza per
vedere infiammazione, miocardite, patologie da accumulo (per esempio l’amiloidosi).
Clinica e Patologia del Torace – Lezione 3 – 07/03/2022 – Prof. De Ferrari (Irene Vaccaneo, Marina Perrucci)

SISTEMA DI CONDUZIONE CARDIACO

Il sistema elettrico cardiaco è costituito dal nodo del seno atriale, la zona di origine del pacemaker fisiologico
del cuore dove origina lo stimolo che si trova alla giunzione tra la vena cava superiore e l’atrio di destra, dalle
vie preferenziali di congiunzione interatriale che sono delle più veloci di congiunzione del segnale che
giungono al filtro del nodo atrioventricolare, parte inferosettale a livello della giunzione atrioventricolare.
Sotto il nodo atrioventricolare è presente il tratto comune con il fascio di His con successiva separazione nelle
due branche, destra e sinistra. A sua volta la branca di sinistra tende a dividersi in fascicolo anteriore e
posteriore.

ECG
L’onda P è la depolarizzazione dell’atrio, QRS è la depolarizzazione del ventricolo, dopodiché c’è silenzio
elettrico successivo alla depolarizzazione, poi ripolarizzazione.
La polarità della depolarizzazione e della ripolarizzazione è la stessa.
Come mai la depolarizzazione (polarità che va verso il negativo convenzionalmente) e la
ripolarizzazione hanno la stessa polarità all’ECG?
La ripolarizzazione segue un fronte d’onda che è opposto a quello della depolarizzazione. La
depolarizzazione, che parte dal Purkinje, va dall’endocardio all’epicardio mentre la ripolarizzazione
va dall’epicardio all’endocardio dunque pur essendo la polarità del meccanismo elettrico inversa
anche il fronte d’onda è inverso dunque nella maggior parte delle derivazioni la polarità dell’onda t
è uguale alla polarità del qrs.
ARITMIE CARDIACHE
Le aritmie cardiache si distinguono in Bradiaritmie e tachiaritmie.

LE BRADIARITMIE
Le Bradiaritmie sono situazioni in cui la frequenza cardiaca è inferiore ai 60 bpm. Non sempre la bradiaritmia
è una condizione patologica come nel caso di bradicardia sinusale in un atleta.
In una situazione di bradicardia bisogna vedere se si è in presenza di una bradicardia ritmica o aritmica, cioè
se l’intervallo RR sia regolare o irregolare. Successivamente bisogna identificare la fisiopatologia della
bradiaritmia distinguendo tra patologie che sono dovute prevalentemente alla alterata formazione
dell’impulso che se si forma nel nodo del seno che porterà a malattie del nodo del seno o delle immediate
circostanze (bradicardia sinusale e arresto sinusale), e anomalie dovute ad un disturbo della conduzione
senoatriale o atrioventricolare, ovvero un blocco atriale o atrioventricolare che può, poi, essere
soprahissiano o sottohissiano.

Arresto sinusale
L’arresto sinusale, diversamente dalla bradicardia sinusale vista negli atleti, è l’assenza di generazione
dell’impulso all’interno del nodo del seno.
Le cause possono essere:
- Malattia del nodo del seno (sick sinus syndrome): spesso è inquadrata in una malattia più ampia, la
malattia atriale
- Aumentato tono parasimpatico associato ad una riduzione del tono simpatico che porta ad uno
squilibrio della bilancia simpatico-vagale
- Ischemia : la prima ramificazione dell’arteria coronaria destra prossimale è l’arteria del nodo del seno,
un’occlusione dell’arteria coronaria destra prossimale può causare una ischemia a livello del nodo del
seno che può portare all’origine di un arresto sinusale
- Farmaci
- Disequilibri elettrolitici : ad esempio una gravissima iperpotassiemia può dare problemi a livello della
generazione dell’impulso oppure può dare alterazione del sodio essendo correlato alla corrente del
sodio.

Il rischio non è alto perché, in assenza di un ritmo sinusale, siamo dotati di pacemaker sussidiari, cioè centri
cardiaci che sono in grado di prendere il comando in presenza di una disfunzione del nodo del seno. Vengono
chiamati ritmi vicarianti, centri che vicariano la disfunzione del nodo del seno (gerarchicamente più in alto
nella conduzione dell’impulso).

ECG: BRADICARDIA SINUSALE


In figura è presente un esempio di bradicardia sinusale.
Onda P per esser sinusale deve avere un’asse che generalmente è vicino a 60 gradi, cioè tra i 30 e i 90 gradi
quindi deve essere positivo in D2.
Nel 95/98 % dei casi è sufficiente osservare la D2 e la V1 per determinare se il ritmo è sinusale.
La d2 deve essere positiva mentre la V1 deve essere bifasica.
Con bifasica si intende che deve avere:
- una componente positiva che è la depolarizzazione dell’atrio di destra (perché il nodo del seno è a
destra) dove la prima parte del fronte d’onda va da dietro verso l’avanti, verso destra (avvicinandosi
a V1 che si trova sulla margino-sternale di destra anteriore) dando, così, positività
- una componente negativa dove si ha la seconda parte del fronte d’onda che arriva all’atrio di sinistra
e si allontana da V1.
Si ha depolarizzazione del nodo del seno positiva negativa.
Dunque queste due caratteristiche, onda P positiva in D2 e onda bifasica positiva negativa in V1, ci
permettono di accertare che l’origine dell’impulso sia sinusale.
L’ECG, inoltre, rappresenta una condizione di bradicardia. Calcoliamo i quadratini che sono 31 e facciamo
1500/31 che darà come risultato 48 bpm circa.

ECG: ARRESTO SINUSALE


In figura è mostrata una diagnosi di arresto sinusale dovuto alla cessione di un’aritmia sopraventricolare o di
una fibrillazione atriale.
È presente una pausa di 8 secondi che è definito
arresto sinusale con ripresa di un ritmo non
sinusale (definito di scappamento) infatti onda P
non è positiva in D2 e non è bifasica in V1.
Si ha insorgenza di un ritmo vicariante basso.
L’arresto sinusale in figura è una pausa
particolare perché si interrompe un’aritmia
sopraventricolare o un ritmo atriale irregolare.
Questo tipo di pausa è definito come pausa post
automatica caratterizzata da un recupero del
nodo del seno molto lento. È patologica,
caratteristica di una malattia atriale
bradi/tachicardia.
BLOCCO SENO-ATRIALE E BLOCCO ATRIO-VENTRICOLARE
L’impulso elettrico può essere rallentato o bloccato in qualunque zona del sistema di conduzione, se si ha un
disturbo della conduzione seno-atriale si avrà un blocco seno atriale, mentre se si ha un disturbo di
conduzione atrio-ventricolare si avrà un blocco atrio-ventricolare.
Le cause di un disturbo di conduzione possono essere:
- cause organiche degenerative del sistema di conduzione: senile o non senile (se genetica)
- Infarto (ischemia)
- Cause di tipo infiammatorio come le miocarditi
- Cardiomiopatie: perché determinano un problema di dilatazione ventricolare sinistra e disturbo, poi,
intraventricolare e perché a volte sono associate ad un disturbo di conduzione (anche per cause
genetiche)
- Sick sinus syndrome (malattia del nodo del seno)
- Ipersensibilità del seno carotide: attivazione parasimpatica afferente a cui segue un’attivazione
parasimpatica efferente con un importante effetto dromotropo in seguito a stimolazione del recettore
posto a livello del seno carotideo (es: persona che si fa la barba con la camicia stretta e schiaccia il
recettore)
- Squilibri elettrolitici.

Il blocco seno atriale, come il blocco atrio-ventricolare può essere:


- Blocco di primo grado: si ha un rallentamento della conduzione degli impulsi, ma la conduzione viene
mantenuta in tutti i battiti, tutti gli impulsi vengono condotti
- Blocco di secondo grado: si verificano quando qualche impulso viene bloccato e altri, invece, vengono
condotti. Si dividono in due tipi, tipo 1 e tipo 2
- Blocco di terzo grado

Nell’immagine sottostante sono rappresentati il blocco di secondo grado di tipo 1 (sopra) e di tipo 2 (sotto).
Il blocco di seconda grado di tipo 1 è anche detto con periodismo di Luciani Wenckebach, cioè si assiste a un
progressivo allungamento del tempo di conduzione sino al manifestarsi del blocco e dopodiché si riparte con
la sequenza esattamente uguale a prima del blocco. Si possono avere dei blocchi seno-atriali così come atrio-
ventricolari che possono essere 5 a 4, 4 a 3, 3 a 2. Nell’immagine sopra si ha una conduzione 5 a 4 che significa
che ci sono 5 impulsi del nodo del
seno, 4 arrivano a destinazione e uno viene bloccato.
S è il nodo del seno che è una presenza virtuale perché non è visibile all’elettrocardiogramma di superficie, A
è l’atrio ed è visibile all’ECG di superficie come onda P, la barra obliqua (che collega S e A) nel ladder diagram
(diagramma a scala) è il tempo ed è obliqua perché è necessario un certo tempo di conduzione seno-atriale.
La barra rappresentante il tempo diventa più obliqua quando ci mette più tempo.
Il primo ladder diagram indica un blocco di secondo grado di primo tipo o Meobitz 1, il secondo digramma
rappresenta un blocco di secondo grado di secondo tipo o Moebitz 2.

Analisi primo ladder diagram: Moebitz 1/blocco di secondo grado di tipo 1*


Nel primo ladder diagram si può notare un allungamento del tempo di conduzione seno atriale con 120 ms,
poi 220 ms, poi 280 ms, 300 ms finché si blocca. Il tempo si allunga, ma l’intervallo tra un’onda P e l’altra si
accorcia. Perché?
Noi non vediamo il nodo del seno (S), perciò non possiamo misurare il tempo di conduzione perché si trova,
appunto, tra un punto non visibile che non conosciamo e l’onda P visibile (A). Noi vediamo, come prima cosa,
l’intervallo (1000 ms) che è dato da 1000 ms, la frequenza di scarica del nodo del seno, sommato al ritardo di
conduzione seno atriale tra il primo impulso e il secondo impulso dove si passa da 120 ms a 220 ms e quindi
si ha un ritardo di 100 ms. Rispetto all’intervallo tra i due nodi del seno, non visibile all’ECG di superficie,
l’intervallo tra le due onde P, visibile all’ECG, sarà 1000 + (220-120)= 1100 ms. Il secondo intervallo, invece,
sarà 1000+(280-220)= 1060 ms, minore del primo intervallo. Abbiamo, così, un incremento decrementale,
cioè un incremento del tempo di conduzione che è sempre minore. Ogni decrementalità si andrà a riscontrare
sull’accorciamento dell’intervallo visibile all’ECG di superficie.
Quindi, cioè che vediamo sull’ECG di superficie è il ciclo di base del nodo del seno più la differenza tra i due
tempi di conduzione. Siccome questa differenza va riducendosi, l’onda P si avvicina invece di allontanarsi, pur
allontanandosi dalla genesi dell’impulso (nodo del seno).
Poi avremo una pausa (1820 ms, dovuta al blocco di conduzione) che non è doppia rispetto alla pausa degli
ultimi battiti. Precisiamo che gli ultimi battiti non sono regolari perché scontano la decrementalità
dell’incremento. Quindi avremo 2000 (due intervalli da 1000) a cui si sottrae la differenza tra 300 e 120 ->
2000-(300-120) =1820 ms.

*
Dal momento che nell’ECG di superficie non vediamo il nodo del seno ma direttamente il momento in cui si attiva l’atrio, diamo
per definizione che l’attivazione del pacemaker seno atriale sia di 1 secondo o 1000 ms al battito (come fosse un metronomo).

Analisi secondo ladder diagram: Moebitz 2/blocco di secondo grado di tipo 2


Nel secondo ladder diagram non c’è incremento, semplicemente si salta una conduzione. Si avrà il tempo di
conduzione che è sempre lo stesso. Moebitz 2 è caratterizzato da un intervallo dovuto al blocco di conduzione
che è esattamente il doppio degli intervalli precedenti e successivi.
Qui vediamo un ritardo di conduzione di
blocco seno atriale di secondo grado di tipo
1, l’intervallo si riduce (in questo caso siamo
di fronte ad una riduzione costante) con
blocco seno atriale che conduce all’intervallo
PP che è nettamente minore del doppio
rispetto all’intervallo che precede il blocco.
Se vogliamo sapere il ciclo dell’intervallo
possiamo fare (880 + 840 +800 +1410)/5
perché il ciclo si riproduce 5 volte. Otteniamo
786 ms ovvero il ciclo sinusale.

In questo caso abbiamo un blocco seno


atriale di secondo tipo di secondo grado,
l’intervallo seno atriale è stabile fin quando
non abbiamo un salto completo.
800+800+800+1600 =4000/5=800.
In questo caso il blocco seno atriale si ripete
anche nel battito successivoe si continua ad
avere un intervallo pp che è doppio
dell’intervallo precedente.

BLOCCO ATRIO-VENTRICOLARE
Il blocco atrio-ventricolare è una conduzione per cui sono presenti onde P non seguite da QRS. Si può
classificare in:
• Blocco di primo grado: caratterizzato da un rallentamento nella conduzione dell’impulso atriale
al ventricolo, si ha un allungamento del tempo di conduzione. È visibile all’ECG di superficie,
vedremo l’atrio e, quindi l’intervallo PR che si allunga. Tutti gli impulsi raggiungono il ventricolo
con un PR maggiore di 200 ms
• Blocco di secondo grado: alcune onde P vengono condotte, mentre altre no
• Blocco di terzo grado: blocco atrio-ventricolare completo, quindi nessuna onda P viene
condotta.
Il blocco AV di secondo grado, come il blocco SA, è a sua volta diviso in:
- Tipo 1: se c’è un progressivo aumento della conduzione atrio-ventricolare fino ad arrivare al
blocco AV, quindi intervallo PR si allunga progressivamente fino a quando si blocca e poi
riprende con PR più corto
- Tipo 2: se la conduzione AV è stabile fino al momento del blocco, quindi gli intervalli PR sono
tutti uguali e ce ne è uno che salta.
Abbiamo, poi, due condizioni particolari di blocco di secondo grado:
- Blocco 2:1 : non è né un blocco di tipo 1 né blocco di tipo 2 perché non avendo la sequenza 3 a
2 non possiamo vedere se il tempo di conduzione si allunghi o no. Poiché c’è un’enorme
differenza prognostica tra blocco di primo tipo e di secondo tipo, si consiglia di cercare di
trasformare il blocco 2:1 in un blocco 3:2 ad esempio con manovre di tipo autonomico in modo
da capire il tipo di blocco con le associate conseguenze sull’interpretazione fisiopatologica e sul
rischio di progressione del blocco e quindi di necessità di impulso elettrico esterno dal
pacemaker
- Blocco di alto grado : quando si hanno due o più P consecutive non condotte (non è
necessariamente un blocco di terzo grado perché ci possono essere delle P che riprendono la
conduzione).

Nella figura è mostrato uno studio elettrofisiologico endocavitario. Le onde sulla sinistra corrispondono agli
atri, mentre le onde sulla destra corrispondono ai ventricoli. Se ci focalizziamo su un singolo catetere
endovenoso posizionato, passando dalla vena cava inferiore , nell’atrio con la punta a livello della giunzione
atrioventricolare e quindi sotto la valvola tricuspide a ridosso del lembo settale della tricuspide, vedremo (in
corrispondenza della freccia rossa) l’onda corrispondente alla depolarizzazione rapida del fascio di His. Il
catetere registrerà l’onda A (atriale), l’onda H (registrazione endocavitaria del fascio di His) e l’onda V
(ventricolare).
Si ha , dunque, la registrazione del fascio di His, registrato per la prima volta nel 1969 a Miami da Benjamin
Sherlag.
Possiamo notare come l’intervallo AV sia, in realtà, determinato da due sotto intervalli: l’intervallo di
conduzione soprahissiano o AH e l’intervallo di conduzione sottohissiano o HV.
Si può verificare se vi è un rallentamento della conduzione soprahissiano o sottohissiano.
L’intervallo AH è normalmente compreso tra 60 e 125 ms.
L’intervallo HV è normalmente compreso tra 35e 55 ms.
Quando il tempo di conduzione è prolungato avremo un blocco soprahissiano se AH>125 ms o un blocco
sottohissiano se HV>55 ms.
ECG: BLOCCO ATRIO-VENTRICOLARE DI PRIMO GRADO

Nell’immagine si vede onda P, sinusale, ritmo bradicardico. L’intervallo, però, è molto lungo, di solito può
essere di un quadratino ovvero 200ms, qui, invece è di 400 ms. L’intervallo molto prolungato ci permette di
diagnosticare un blocco AV di primo grado che può essere sopra o sotto hissiano. Le cause possono essere
l’aumento del tono vagale, ischemia, farmaci e problemi di conduzione.

BLOCCHI ATRIO VENTRICOLARI DI SECONDO GRADO

Il blocco di secondo grado di tipo 1 è nella gran parte dei casi (5 casi su 6) un blocco soprahissiano.
Il blocco di secondo grado di tipo 2 è sempre un blocco sottohissiano.
Il blocco 2:1 è spesso soprahissiano (80% dei casi).
Il blocco di alto grado può essere entrambi i blocchi, ma è maggiormente sottohissiano (90% dei casi).
Nel blocco AV di secondo grado di tipo 1, come nel blocco SA di secondo grado di tipo 1, si ha un incremento
decrementale che fa si che l’intervallo tra le onde P si riduca, ma l’intervallo tra i QRS aumenti perché
l’aumento del PR è maggiore del decremento del ∆ tra le due differenze di conduzione.
Nel blocco AV di secondo grado di tipo 2 la pausa è esattamente doppia ed è doppia e uguale sia che la si
calcoli tra le onde P che tra i QRS.

Nei blocchi 2:1 è importante e utile capire se si è in presenza di un blocco soprahissiano o sottohissiano perché
il blocco sottohissiano è un blocco ad alto rischio di progressione e per cui vi è indicazione, salvo eccezioni, di
impianto di pacemaker. La diagnosi del tipo di blocco si può fare, in maniera conclusiva, con l’analisi
dell’elettrogramma di His con lo studio fisiologico endocavitario. Possiamo, inoltre, stimare il tipo di blocco
trasformandolo in un blocco 3:2 tramite alcune manovre come l’attivazione adrenergica. Se, in questo
passaggio, si ha un Moebitz 2 saremo certamente in presenza di un blocco sottohissiano, mentre se si ha un
Moebitz 1 molto più probabilmente saremo in presenza di un blocco soprahissiano.

Un'altra caratteristica da valutare è cosa succede in risposta ad alcuni stimoli. L’atropina e il massaggio seno
carotideo hanno due effetti opposti tra di loro.
In presenza di un blocco soprahissiano che è tipicamente dovuto, ad esempio, ad un aumento del tono
parasimpatico che agisce sulla componente compatta del nodo AV:
• l’atropina, antagonista muscarinico dell’acetilcolina (quindi ha effetto parasimpatico a livello
cardiaco) migliora la conduzione perché riduce il periodo refrattario delle cellule nodali
atrioventricolari.
• Il massaggio seno carotideo comporta un aumento del tono vagale e un peggioramento della
conduzione atrio ventricolare perché viene aumentato il periodo refrattorio delle cellule nodali AV.
In presenza di un blocco sottohissiano:
▪ l’atropina non migliora la conduzione, anzi potrebbe peggiorarla, cioè peggiorare il grado di blocco,
perché aumenta la frequenza del nodo del seno senza che vi sia una facilitazione alla conduzione.
▪ Il massaggio seno carotideo la conduzione non peggiora, anzi, potrebbe addirittura migliorare se c’è
una bradicardia importante perché arrivando meno impulsi il blocco potrebbe migliorare.
L’atropina inibisce i recettori muscarinici di tipo
M2, aumenta la frequenza cardiaca, riduce il
periodo refrattario funzionale delle cellule del
nodo alto ovvero le cellule della congiunzione AN
della parte nodale e atrio nodale del nodo atrio
ventricolare.

L’opposto succede con il massaggio seno carotideo


lo che riduce la frequenza di scarica del nodo seno
atriale è aumenta il periodo refrattario funzione
del nodo AV.

L’immagine seguente mostra cosa succede nel


momento in cui si effettua un massaggio seno
carotideo o si somministra atropina.

Il primo ECG mostra un blocco 2:1 dove il


massaggio seno carotideo migliora la conduzione
rallentando la frequenza, mentre l’atropina la
peggiore per cui siamo in presenza di un blocco
sottohissiano. Siamo, così, in grado di capire che il
paziente avrà bisogno di un pacemaker
semplicemente facendo queste due manovre:
massaggio seno carotideo e somministrazione di
atropina.

ECG: BLOCCO DI SECONDO GRADO 2:1

L’ECG mostra un blocco di secondo grado 2:1 dove notiamo un’onda P con una frequenza cardiaca normale.

BLOCCO DI SECONDO GRADO DI ALTO GRADO


Il blocco di secondo grado di alto grado si ha quando ci sono almeno due P non condotte. In questo caso
bisogna vedere se ci sono dei ritmi di scappamento che identifichiamo come ritmi a QRS stretto o a QRS largo.
L’interpretazione della sede di blocco dipende spesso dalla larghezza di un QRS. (Ad esempio nel blocco
sottohissiano si hanno dei ritmi di scappamento a QRS largo).
Il ritmo di scappamento origina dalle zone sussidiarie che hanno un aumentato automatismo, il sistema His-
Purkinje ha un aumentato automatismo, soprattutto il nodo AV.
Se si ha QRS stretto del ritmo sostitutivo, significa che il ritmo sostitutivo origina dal nodo atrio ventricolare
prima della divisione delle branche altrimenti il QRS non potrebbe essere stretto, quindi origina sopra il
sistema His e di conseguenza il blocco potrà essere solo superiore alla zona di origine dell’impulso -> blocco
soprahissiano.
Al contrario, se il QRS è largo, è più probabile (non certo)
che il blocco sia sottohissiano perché il ritmo di
scappamento/sostitutivo è molto basso, non si è potuto
evidenziare un ritmo di scappamento in quello che di
solito è il pacemaker sussidiario che è la struttura del nodo
del seno AV. Lo scappamento, quindi, non si trova nel
nodo AV, ma più in basso.

Spesso il blocco sottohissiano ha un ritmo di scappamento non molto efficace. Tipicamente il ritmo di
scappamento, proprio per un discorso di gerarchia dall’alto al basso di capacità di generazione dell’impulso,
del nodo è intorno ai 50 bpm, mentre il ritmo di scappamento del ventricolo è intorno ai 35, massimo 40 bpm.
Quindi anche la frequenza può dare un’idea della sede del blocco.

ECG: BLOCCO DI SECONDO GRADO DI ALTO GRADO


Nel primo ECG dell’immagine si vedono
due P bloccate, quindi si ha un blocco 3:1
dove per ogni QRS ci sono tre P -> blocco
atrio ventricolare di secondo grado di
grado avanzato.
Di solito è un blocco sottohissiano anche
se non è verificato nei 100% dei casi.

ECG: BLOCCO ATRIO-VENTRICOLARE DI TERZO GRADO/DISSOCIAZIONE AV COMPLETA


In questo ECG non sono presenti delle onde P condotte, l’intervallo PP è intorno agli 800 ms che
però non ha nessuna relazione con il QRS -> dissociazione atrioventricolare completa per la presenza di un
blocco AV di terzo grado con un ritmo
sostitutivo a QRS largo a morfologia di
blocco di branca sinistra. Il battito
sostitutivo, per il blocco di branca
sinistra, origina dal ventricolo destro,
la frequenza cardiaca è lenta, intorno
ai 38-40 bpm tipica dei blocchi
sottohissiani.

Questo ECG mostra un blocco AV


avanzato dove si hanno almeno una
ventina di onde P bloccate. Si parla, a
volte, di blocco in fase 4 quando il blocco
è tendenzialmente bradicardia
dipendente ovvero quando il blocco
avviene in fase 4 del potenziale d’azione.
Normalmente il blocco si ha nelle prime
fasi del potenziale d’azione, si verifica per
l’ineccitabilità di un impulso successivo
per presenza di una refrattarietà assoluta
a livello delle cellule che devono essere
depolarizzate.
Il blocco in fase 4 sono presenti quando la
depolarizzazione è completata, quando
non si ha più la possibilità di condurre
l’impulso, le cellule sono già in fase 4 ed
eventualmente sono già tutte iperpolarizzate.
Qui vediamo una dissociazione AV
completa con un blocco atrioventricolare
completo con un ritmo sostitutivo a QRS
largo con una frequenza intorno ai 38
bpm. La dissociazione è visibile in ECG di
questo tipo, non vi è nessuna
associazione, nessun rapporto tipico tra
la onda P e il QRS.

Slide riepilogativa

BLOCCHI FASCICOLARI
I blocchi fascicolari possono essere dovuti ad alterazioni di conduzione di uno dei tre fascicoli che
convenzionalmente si ritengono essere la via di conduzione dal fascio di His alla rete del Purkinje.
A livello della produzione intraventricolare, come visto in precedenza, si hanno due fascicoli sinistri, anteriore
e posteriore, che costituiscono la branca sinistra, e una branca destra.
Si parla di blocco bifascicolare in presenza di un blocco di branca sinistra completo (LBBB) o, più
comunemente, in presenza di un blocco di branca destra con emiblocco anteriore sinistro/blocco fascicolare
anteriore (RBBB + LAFB) o, molto più raro, il blocco di branca destra con l’emiblocco posteriore sinistro/blocco
fascicolare posteriore (RBBB + LPFB).
Se al blocco bifascicolare si aggiunge un ritardo
anche di un altro fascicolo, il blocco non si vedrà in
QRS, ma nell’intervallo PR. Quindi, se siamo in
presenza di un blocco di branca destra (RBBB), un
emiblocco anteriore/posteriore sinistro e un PR
lungo, avremo probabilmente un blocco
trifascicolare. Dice “probabilmente” perché il PR
potrebbe essere lungo anche per un disturbo di
conduzione soprahissiano e dal punto di vista
metodologico e di logica, il blocco si definisce
trifascicolare solo se il ritardo dell’intervallo AV è
dovuto a un ritardo successivo al fascio di His,
relativo alla terza branca che è già ammalata.
Se abbiamo un blocco trifascicolare, due vie di
conduzione sono già bloccate mentre la terza via
“zoppica”, essendo già ammalata anche la terza
via, allunga il tempo PR. Andando a misurare l’HV, questo sarà lungo e, in linea teorica, si potrebbe avere lo
stesso ECG di superficie avendo disturbi sottohissiani a livello delle branche e disturbi soprahissiani a livello
del nodo, perciò PR lungo, ma ciò è comunque poco probabile. È più probabile che, se abbiamo una malattia
della branca destra e del fascicolo anteriore o della branca destra e del fascicolo posteriore, l’allungamento
del PR sia dovuto alla malattia del terzo fascicolo che manca.

Morfologia delle branche

In questa immagine riusciamo a


vedere la morfologia delle branche.
A sinistra vediamo la branca destra
(più semplice) chesi distribuisce
lungo la parte destra del setto
interventricolare e si sfiocca in una
rete di fibre del purkinjie mentre a
destra vediamo la branca sinistra
più grossa e robusta
dimensionalmente che tende a
dividersi (a volte non è ovvia
l’anatomia) in due fascicoli:
anteriore e posteriore.A seconda
degli elettrocardiogrammi si può
fare diagnosi di blocco fascicolare
anteriore o posteriore.
NORMALE CONDUZIONE DI UN IMPULSO ELETTRICO attraverso la conduzione sottohissiana
Nell’immagine si vede un QRS normale che è in relazione a quelle zone elettriche che si
depolarizzano prima.
a. La prima depolarizzazione è la
depolarizzazione del setto
interventricolare basso da sinistra
verso destra. Nelle derivazioni
laterali sinistre, il fronte d’onda si
allontana dalle derivazione, quindi
sarà un’onda Q in D1. (Nella
seconda immagine in rosso)
b. Diffusione dell’impulso alle zone
più apicali, rapida ascesa dell’onda
R, si depolarizzano il setto e l’apice
(nella seconda immagine in giallo)
c. Onda R poi scende arrivando a
completare l’ultima zona che si
depolarizza che di solito è la parte
alta della parete laterale del
ventricolo sinistro (nella seconda immagine in verde)
d. Fase di isoelettrica in cui tutte le cellule sono depolarizzate, ma non ancora ripolarizzate
e. Inizia la ripolarizzazione che avviene nella direzione opposta alla depolarizzazione,
dall’epicardio all’endocardio (motivo per cui onda T ha la stessa polarità dell’onda P).

(C’è un errore nell’immagine: le due


frecce blu unite dovrebbero essere
gialle)

BLOCCO FASCICOLARE ANTERIORE SINISTRO


Nel blocco fascicolare anteriore l’asse elettrico è minore di -30°-> deviazione dell’asse a sinistra.
Nella derivazione perpendicolare a -30°, cioè la derivazione a +60° ovvero DII, la componente
negativa (in azzurro) sarà prevalente rispetto alla componente positiva (in verde). Tutte le volte che
la componente negativa prevale sulla componente positiva in DII siamo, se è deviata verso sinistra,
come nella quasi totalità dei casi (si può avere anche una deviazione destra estrema) avviene a meno
di -30°, quindi in conduzioni suggestive per l’insorgenza di un emiblocco anteriore sinistro.
Nel LAFB oltre all’asse < -30°, si ha
QRS < 120 ms (perché è un blocco
solo di un fascicolo, non di tutta la
branca), nelle derivazioni
inferiori (DII, DIII, aVF) si avrà S
dominante, si ha qR nelle
derivazioni laterali sinistre e,
infine, si ha un ritardo in aVL > 45
ms.

Nell’immagine si vede un blocco fascicolare anteriore sinistro

BLOCCO FASCICOLARE POSTERIORE SINISTRO


Il blocco fascicolare posteriore è molto meno comune. È caratterizzato da:
- QRS < 120 ms
- Deviazione assiale destra marcata > 90°, spesso > 120° -> in DI la componente negativa sarà
maggiore di quella positiva perché il QRS è a più di 90°. (Ci sono anche situazioni in cui la
deviazione assiale destra è presente anche in assenza di emiblocco posteriore, ad esempio
in un soggetto atletico estremamente longilineo)
- qR nelle derivazioni inferiori (DII, DIII, aVF) con R in DIII > R in DII perché DIII corrisponde a
120° e la deviazione assiale è spesso di 120°
- rS in DI-aVL
BLOCCO DI BRANCA DESTRA

Il blocco di branca destra è dato dal fatto


che vi è una conduzione rapida nella
branca destra, ma la conduzione al
ventricolo destro arriva dal ventricolo
sinistro. Si avrà, quindi un ritardo nelle
derivazioni che vedono il ventricolo
destro, tipicamente la V1 o l’aVR. Vede
un ritardo l’ultima deflessione dopo
l’ultimo picco che si chiama deflessione
intrinsecoide. Il blocco incompleto di
branca destra è caratterizzato da un pattern
rSr’, quindi due picchi positivi in V1 e V2, ma
un intervallo inflessivo QRS < 120 ms. In
presenza di intervallo QRS > 120 ms si avrà
un blocco di branca destra completo.
Nella seconda immagine si vede cosa
succede nel blocco di branca destro, la prima
fase corrisponde all’attivazione settale, la
seconda fase è l’attivazione del ventricolo
sinistro, nella terza fase l’attivazione
dovrebbe andare verso destra, ma a causa
del disturbo di conduzione della branca
destra, si avrà solo la depolarizzazione a
sinistra. La depolarizzazione a destra avviene
tardivamente nella fase 4.
In V1 abbiamo rsR’ con ritardo nella discesa finale del QRS (deflessione intrinsecoide)
ritardo importante in V1 e V2 dunque nelle precordiali destre mentre c’è una S terminale
larga, nelle precordiali sinistre v6 e nelle periferiche sinistre.

ECG: BLOCCO INCOMPLETO DI BRANCA DESTRA

Il qrs è caratteristico di un blocco


incompleto dibranca destro con qrs <
120 ms.
ECG: BLOCCO COMPLETO DI BRANCA DESTRA
In questo ECG si ha QRS > 120 ms, S profondo in V1 e V6

BLOCCO DI BRANCA SINISTRA

Nel blocco di branca sinistro c’è un


ritardo nella depolarizzazione sinistra
e nessun ritardo nella
depolarizzazione di destra.
Il quadro sarà speculare al quadro
visto nel blocco di branca destro,
avremo una M nelle precordiali
sinistre con un granderitardo della
deflessione intrinsecoide.
Il blocco sarà incompleto in
presenza di QRS < 120 ms e
completo con QRS >120 ms.
C’è ritardo della deflessione
intrinsecoide a livello delle precordiali sinistre V1, V6, aVL, avremo un profondo QS a livello
delle precordiali destre.
(Le due frecce blu dovrebbero essere
gialle nell’immagine).
In “giallo” si vede il ventricolo destro
che di depolarizza prima del ventricolo
sinitro, poi, in verde vediamo la
depolarizzazione del ventricolo
sinistro e infine, in azzurro che
depolarizza la parte più esterna,
superiore e basale del ventricolo
sinistro.
Si vedono le due derivazioni che sono
sufficienti ad effettuare la diagnosi, V1
e V6. V1 con un QS completo e V6 con,
in questo caso un lieve ritardo della
deflessione intrinsecoide visibile
anche in a VL.
ECG: BLOCCO DI BRANCA SINISTRA INCOMPLETO
Non è un blocco completo perché la durata del QRS è di circa 110 ms < 120 ms.

Estremam

TRATTAMENTO

Impianto di pacemaker
L’impianto del pacemaker avviene in sede sotto claveare tipicamente a sinistra (99%
dei casi) e molto raramente a destra, dunque si posiziona un elettrodo che va a
stimolare il ventricolo destro.
Il pacemaker può essere mono o bicamerale.
L’ECG di un pacemaker è un ECG in cui si ha uno spike molto rapido perché la durata dello stimolo
è di mezzo o 1 ms. Si ha quindi un picco rapidissimo seguito da un QRS che avrà una morfologia
(che data la solita posizione dell’ elettrodo nel ventricolo dx apicale) che sarà un blocco di branca
sinistra con asse superiore.

Trattamento pazienti con bradicardia


Nel caso di malattia del nodo del seno che è raramente un’anomalia che necessita di impianto di
pacemaker, solo se ci sono dei sintomi gravi di bradicardia viene indicato come trattamento.
Più complicato è il discorso della sincope riflessa che si ha in seguito a ipersensibilità del nodo seno
carotideo o delle sincopi vaso vagali che sono dovute a un riflesso che causa una bradicardia
estrema con alcuni soggetti che hanno pause anche di 20/30 e quindi svengono. In questo caso si
cerca di impedire il riflesso, ma, poi, se non si riesce in nessuna maniera ad impedirlo, è evidente
che va considerata la possibilità di impiantare un pacemaker.
Nei pazienti con blocco atrio ventricolare c’è indicazione di impianto di pacemaker in tutti quelli
che hanno un blocco di secondo grado Moebitz 2 o blocco di terzo grado. Raramente ci può essere
anche indicazione di pacemaker in pazienti con blocco AV di secondo grado di tipo 1 se nello
studio elettrofisiologico c’è indicazione che sia un blocco sottohissiano.

SINCOPE

La sincope è una perdita di coscienza transitoria dovuta generalmente a un’insufficiente


irrorazione cerebrale ed è caratterizzata da un’insorgenza rapida, una breve durata e un ripristino
normale.
È molto importante nella valutazione della sincope un’anamnesi estremamente accurata sui
triggers, sui sintomi prodromici, sulla durata, sui sintomi associati, sui sintomi successivi all’evento
e sulla postura. Un criterio semplice che viene utilizzato per determinare se una sincope è grave o
sincope normale è l’incontinenza sfinterica . Un’altra criterio che determina la gravità della
sincope è se il paziente si è “spaccato” la testa perché evidenzia che non ha nemmeno avuto il
tempo di avere una reazione di difesa.
Una sincope in presenza di una malattia cardiaca è quasi sempre più preoccupante rispetto a una
sincope avvenuta in assenza di una malattia cardiaca perché è più probabile che ci sia una causa
organica che richiede un intervento.
Nell’anamnesi è importante capire se il paziente durante la sincope fosse in piedi o seduto, se ci
sono fattori predisponenti, se stava facendo attività fisica. Tipicamente si hanno sintomi come
nausea, vomito che sono tipici segni di attivazione parasimpatica che indicano una sindrome vaso
vagale, cioè una sincope vaso vagale.
Diversa è una sincope preceduta da dolore cardiaco che suggerisce un’ischemia miocardica.
Bisogna distinguere la sincope da altri sintomi come la lipotimia o le vertigini vaghe senza perdita
di coscienza.
La perdita di coscienza può essere indotta anche da dolore, da emozioni, da svuotamento
vescicale ed è considerata generalmente una sincope vasovagale.
Se ci sono dei testimoni della sincope possono indicare la presenza di determinati sintomi come la
presenza di scosse tonico-cloniche, morso della lingua, perdita sfinterica. In caso di scosse tonico
cloniche è necessario fare diagnosi differenziale con l’epilessia perché queste scosse possono
presentarsi sia in sindromi epilettiche sia in sincopi cardiogene in presenza di un’importante
ipoperfusione cerebrale. Per esempio nelle canalopatie giovanili la diagnosi di epilessia è la
diagnosi più frequente (erroneamente) in bambini che hanno arresti cardiaci con scosse tonico
cloniche.

L’aurea è un sintomo
tipico della sincope
epilettogena. Un
prolungato stato di
incoscienza è più a favore
di una sincope
epilettogena che una
sincope cardiaca dove il
paziente riprende
abbastanza velocemente
coscienza.
Le contrazioni tonico
cloniche iniziano
abbastanza dopo la
perdita di coscienza nelle
sincopi perché ci deve
essere ipoperfusione cerebrale avanzata, mentre nell’epilessia iniziano quasi immediatamente la
perdita di coscienza. Il recupero è più lento nella sincope epilettogena.

Sincope: Diagnosi differenziale


1. Il drop attack è una perdita improvvisa del tono degli arti inferiori durante la
deambulazione senza necessariamente una perdita di coscienza. È più frequente nelle
donne nella settima decade di vita.
2. L’ipoglicemia ha una sintomatologia abbastanza specifica caratterizzata da tremori, ansia,
sudorazione fredda, confusione mentale.
Ecco alcuni esempi di circostanze che devono suggerire una tipologia di sincope particolare:
- durante lo sforzo fisico (preoccupante)
- Da sdraiato
- Sincope associata a palpitazioni (preoccupante perché probabilmente correlata ad una
tachiaritmia)
- Storia familiare di morte improvvisa
- Se sono presenti segni di dissecazione aortica come la differenza importante di pressione
tra i due arti
- Vaso vagale dopo paura o dopo essere stato in posizione eretta per un lungo periodo do
tempo in una zona calda

I segni di sincope cardiaca sono:


• Disturbi di conduzione come un blocco bifascicolare, un blocco trifascicolare o un blocco
AV di secondo grado suggeriscono una sincope da disturbo di conduzione avanzato
• Un QT lungo suggeriscono una sincope da aritmia maligna in presenza di una canalopatia
• Se la sincope avviene durante l’esercizio fisico
• Se la sincope è associata a palpitazioni

I segni di sincope neuromediata sono:


▪ Sincope associata a rotazione del capo o al farsi la barba a livello della carotide
▪ Sincope associata a dolore da nevralgia del trigemino
▪ Sincope associata a sintomi neurologici strani
▪ Sincope associata a vomito

Indagini strumentali

L’ECG a 12 derivazioni va sempre


fatto. Può essere a volte utile un
monitoraggio anche di almeno
10 secondi per vedere che non ci
siano fenomeni di bradiaritmia
che non si possono vedere in un
ECG a breve durata. La possibilità
di avere un monitoraggio ECG
più lungo è importante per
cercare di identificare un’origine
cardiogena della sincope.

Abbiamo diversi tipi di monitoraggio:


- ECG di Holter: dura 24/48 ore, viene utilizzato se gli eventi sono molto frequenti con
palpitazioni o sincopi frequenti
- Event recorder: può essere usato in caso di eventi meno frequenti ed è costituito da un
piccolo apparecchio che viene posizionato sul torace per un certo periodo di tempo, ad
esempio per qualche settimana
- Loop Recorder: costituito da un piccolo elettrodo che si impianta e viene posizionato 4 cm
sottopelle che tiene in memoria le alterazioni cardiache che avvengono nell’arco di molto
tempo (fino a 3 anni) che vengono registrati dal dispositivo o segnalati con un apposito
telecomando direttamente dal paziente.
Cardiovascolare – lezione n°04 – 09/03/2022 – prof. G. De Ferrari – (Luca Pinzi; Laura Parrino)

Aritmie sopra-ventricolari
• Meccanismo che le sostiene
• Livello di pericolosità
• Gestione del paziente
• Terapia

Cenni di elettrofisiologia cardiaca


La tachicardia è segno di un problema: si verifica quando un sito del cuore prende il sopravvento
sulla normale stimolazione cardiaca e può avvenire sia all’interno di un normale passaggio delle vie
di conduzione, sia in una zona più periferica rispetto al sistema di conduzione.

Il sito di pacing naturale del cuore è il nodo del seno, zona epicardica considerabile un aggregato di
cellule. È un sito di circa 2 cm2 al di fuori dell’atrio di destra, allo sbocco della vena cava superiore.

Dalla zona del nodo del seno, partono 4 fasci ben


individuabili:

• Fascio di Bachmann, dal nodo del seno va verso


l’auricola di sinistra e attiva l’atrio di sinistra
• 3 fasci (fascio internodale anteriore, fascio
internodale medio e fascio internodale posteriore)
del lato destro che collegano il nodo del seno con il
nodo atrio-ventricolare.

La conduzione attraverso questi fasci viene portata in maniera sincrona in una decina di ms all’atrio
di destra e a quello di sinistra, in modo tale che la sistole atriale sia unica.

Attraverso l’attivazione del nodo atrio-ventricolare, la conduzione viene raccolta e rallentata,


cosicché la sistole meccanica abbia il tempo di trasportare l’intero volume del sangue a valle e
permettere un ciclo cardiaco efficiente. Il nodo atrio-ventricolare in più rappresenta una sede molto
comune di malattia legata alla bradicardia perché se la sua attività diventa eccessiva ci sarà un
eccessivo rallentamento della conduzione e il cuore potrebbe addirittura fermarsi.

Passato il nodo AV, bisogna riattivare in maniera velocissima tutta la massa ventricolare, operazione
difficoltosa perché il volume dei ventricoli è maggiore di quello degli atrii. Il ventricolo destro è più
piccolo del sinistro e ha una branca (destra), mentre quello sx ne ha due: la branca sinistra si divide
in fascicolo anteriore e fascicolo posteriore. Troviamo inoltre i muscoli papillari anteriore e
posteriore, che servono a tirare le corde tendinee e quindi chiudere valvola mitrale e tricuspide.
Tipi di aritmie
Le aritmie sono molto numerose, classificate in maniera differente ma sono tutte ascrivibili ai tre
meccanismi che le causano, ovvero:

1. Rientro
2. Aumentato automatismo
3. Attività triggerata

Ogni aritmia si riconduce a uno di questi tre meccanismi, con possibilità di averne diverse
combinazioni.

1. Rientro
Il rientro è la possibilità non univoca di
andare da un punto all’altro nello spazio
all’interno del cuore. Quando esistono
opzioni aggiuntive di percorso della
conduzione rispetto a quelle
precedentemente elencate (3 fasci a destra
e 1 a sinistra), c’è possibilità che il percorso
elettrico possa scegliere una delle eventuali
strade, determinando il rientro da un
ipotetico punto A ad un altro ipotetico
punto B, anche di distanza molto piccola: si
parla di micro rientro se interessa pochi
millimetri, macro rientro se lungo tutto il
cuore e le possibilità riguardano sia il lato destro, sia quello sinistro indifferentemente. Questo non
rappresenta un aspetto macroscopico (infatti, per esempio, non è visibile in un’autopsia), quanto
più una caratteristica di conduzione. Le vie opzionali hanno sempre questa caratterizzazione:

• Una è molto veloce ma con periodo refrattario maggiore (cioè impiega più tempo a
recuperare)
• Una è molto lenta con periodo refrattario minore

Esempi di circuito di rientro:

1. i più classici sono a livello del nodo atrio-ventricolare: due sono le vie di connessione con
caratteristiche di conduzione differenti (una rapida con periodo di recupero più lento, l’altra
lenta con periodo di recupero più veloce).
2. Altra zona caratteristica è quella all’interno dell’anello mitralico o tricuspidalico con la
presenza di un vero e proprio bypass elettrico, ovvero la via accessoria (AVRP).
3. Il terzo meccanismo è nel ventricolo, in cui ci possono essere zone che rappresentano una
sorta di barriera elettrica (tipico esempio è l’ischemia), di cicatrice, di sofferenza ischemica:
per andare dalla zona A alla B posso avere l’instaurarsi di un circuito di rientro di pochi mm
così come di qualche cm o l’intera altezza del ventricolo.
Queste vie sono ormai studiate attraverso mappature
animate di attivazione durante aritmia con isotopi colorati che
danno idea della durata di attivazione. Ogni 5-10 ms si fanno
girare e si vede come il ventricolo si attiva con un circolo
vizioso, finché non si elimina una delle due vie opzionali.

Il trattamento consiste nel semplificare il percorso della


conduzione elettrica.

2. Aumentato automatismo
Il secondo meccanismo è l’aumentato automatismo, cioè un eccessivo batmotropismo. (In fisiologia
l’eccitabilità di un miocita è definita come batmotropismo)

Il nodo del seno dovrebbe essere teoricamente l’unica zona


con potenziale diastolico spontaneo fisiologico, ovvero
unica zona del cuore con una depolarizzazione diastolica
spontanea. Più sarà ripida la curva spontanea di
depolarizzazione più sarò tachicardico, più sarà lieve la
pendenza sarò bradicardico. Questo è possibile grazie a
recettori particolari e correnti particolari dette “correnti
funny”. Recentemente sono stati descritti farmaci che possono intervenire su queste correnti che
trattano un’eventuale tachicardia inappropriata.

Con l’attività fisica, quando è richiesto un aumentato tono della depolarizzazione diastolica,
osserviamo l’influenza del sistema simpatico. A cuore isolato (denervato), il nodo del seno ha
comunque la sua capacità di depolarizzazione diastolica spontanea.

In situazioni para fisiologiche o patologiche anche altre zone cardiache guadagnano tale capacità:
se una cellula qualsiasi comincia a depolarizzarsi spontaneamente, questa cellula prenderà il
sopravvento quando la sua depolarizzazione sarà più rapida di quella del nodo del seno. Se infatti
una cellula si depolarizza spontaneamente ma sta al di sotto dei 70 battiti al minuto (velocità del
nodo del seno), anche se il cuore è pieno di focolai di queste cellule, non succede nulla perchè si
rientra nella situazione di overdrive fisiologico. Non appena però uno di questi focolai aumenta la
frequenza o il nodo del seno rallenta, i focolai secondari possono emergere. L’alterazione cardiaca
che ne deriva sarà tanto maggiore quanto più alta sarà la distanza delle cellule che guadagnano
questa capacità di depolarizzarsi da sole rispetto al nodo de seno. Se la zona arriva dal lato di sinistro,
molto lontano dal nodo del seno, vedrò l’onda P dell’elettrocardiogramma completamente diversa
da quella sinusale. Più siamo vicini e più saranno simili all’attivazione, ma in ogni caso saranno più
rapide.
Le situazioni che danno aumentato automatismo sono lo stress, la paura, la stimolazione con
sostanze eccitanti (caffeina, teina, energy drink, taurina, sostanze considerabili anche
parafisiolofiche). Quando invece queste zone del cuore prendono il sopravvento senza particolari
stimoli, allora ci leghiamo alla patologia: in genere questo è causato da un processo di
infiammazione, di flogosi, per esempio dato da miocardite.

Il trattamento è semplice: si agisce con farmaci che diminuiscono il batmotropismo, i betabloccanti.


In alcune situazioni atipiche (20-25% dei casi), all’aumentare della dose di betabloccante aumenta
anche l’aritmia perché magari il focolaio scarica sempre alla stessa frequenza, ma abbassando il
ritmo del nodo del seno facilito l’emergere del battito ectopico: bisogna ricordarsi che i
betabloccanti agiscono anche sul nodo del seno, quindi riducono anche la sua frequenza. Se il
focolaio è meno sensibile del nodo del seno all’effetto del betabloccante, emerge l’effetto
paradosso del farmaco, da qui la necessità di testare i farmaci. Nel caso appena esposto, quando i
betabloccanti non sono possono essere usati, si può ricorrere ai farmaci 1C, come Flecainide,
propafenone.

3. Attività triggerata
L’attività triggerata è un’attività cardiaca determinata da
qualcos’altro (trigger) che porta a una instabilità più o
meno precoce della depolarizzazione. Raramente è
presente in un cuore non trattato con farmaci, spesso è
data dall’effetto collaterale di terapia farmacologica
(antibiotici, antimicotici, antiaritmici, antidepressivi …). Se
non iatrogeno, è legato a una malattia genetica dei canali
ionici, in particolare del sodio, del potassio e del calcio
(channelopatie).

In genere si divide in:

▪ La DAD (delayed after depolarization), in genere legata all’effetto farmacologico, è una


gobba della post-depolarizzazione che si verifica dopo il ritorno al potenziale di riposo della
cellula. Ne è esempio una cellula del miocardio che ha avuto un rientro al potenziale di riposo
a -80mV e ha una gobba, cioè una depolarizzazione transitoria dopo il ritorno al potenziale
di riposo. Se questa depolarizzazione raggiunge il valore soglia dell’attivazione dei canali
rapidi del Na+ (55mV), ha luogo la fase 0 del potenziale d’azione, che fa partire il battito
extrasistolico, causato da questa post-depolarizzazione tardiva.
▪ La EAD (early after depolarization), legata a channelopatie, è una post depolarizzazione che
origina ancora prima che la ripolarizzazione sia completata. Può verificarsi nella fase 3 di
discesa del potenziale d’azione, oppure in fase 2 quasi ancora nella fase di plateau e, se riesce
a depolarizzare un numero sufficiente di cellule e a far attivare i canali del Na+, dà origine ad
un battito extrasistolico.
Queste alterazioni non sono legate a una zona specifica del cuore ma possono avvenire in qualsiasi
area perché legati a un’assunzione sistemica di un farmaco o di una alterazione genetica (tranne che
per alcune channelopatie particolari in cui c’è una zona del cuore più sensibile).

Tachiaritmie sopraventricolari
Le tachicardie possono essere ventricolari o sopraventricolari. Tendenzialmente, le tachicardie
sopraventricolari sono definite per presenza di ritmi con frequenza > 100 bpm, e genesi al di sopra
del nodo AV. Hanno un QRS stretto, perché si diffondono con i sistemi normali al ventricolo. Le
tachiaritmie sopraventricolari condividono, in ogni caso, i meccanismi con quelle ventricolari.

Le più comuni:

1)EXTRASISTOLE ATRIALE: una zona del cuore sporadicamente attiva gli atrii al di fuori del nodo del
seno.

2) TACHICARDIA ATRIALE ECTOPICA (TAE o EAT): stessa situazione dell’extrasistole atriale, ma in


questo caso l’attivazione avviene in maniera più ripetitiva e in più di una zona.

2)TACHICARDIA DA RIENTRO ATRIO-VENTRICOLARE NODALE (AVNRT)

3)TACHICARDIA DA RIENTRO ATRIO-VENTRICOLARE: non è a livello nodale a differenza della


precedente

4)FLUTTER

5)FIBRILLAZIONE ATRIALE altamente irregolare (“irregolarmente regolare” perché non c’è nessun
pattern di attivazione)
Quando si legge un ECG sono 3 i parametri da considerare:

- frequenza, guardando quanto distano i complessi QRS (ogni quadratino= 40 ms. Ogni 5 quadratini
c’è una riga più spessa che indica un tempo di 200 ms (5x40 ms). 5 quadratini sono 1 s). Per calcolare
la frequenza, perciò, si contano i ms fra i complessi QRS (i quadratini piccoli) e si divide 60000/il
numero ottenuto nel calcolo precedente.

- ritmo: se il ritmo è sinusale, vuol dire che l’attivazione va dalla spalla destra al cavo ascellare
sinistro, perciò dall’alto verso il basso e da destra verso sinistra. Se è così, l’onda P deve essere
sempre positiva in D2 e sempre negativa in aVR (che guarda il lato destro).

- asse dell’attivazione ventricolare: deve essere dalla spalla destra al cavo ascellare sinistro, e
dall’alto verso il basso e da destra verso sinistra. Si devono controllare i complessi QRS in D1 e aVF.

▪ Se la D1 è positiva e l’aVF è positiva, siamo fra 0 e 90, cioè nel quadrante in basso a
destra, ovvero l’asse normale.
▪ Se la D1 è positiva, sul lato di destra, e l’aVF è negativa, nel quadrante in alto a destra,
c’è deviazione assiale sinistra.
▪ Se la D1 è negativa e l’aVF è positiva, nel quadrante in basso a sinistra, c’è deviazione
assiale destra.
▪ Se entrambe sono negative si hanno aritmie congenite, arresto cardiaco, con deviazione
assiale destra estrema.

SE IL RITMO NON È REGOLARE:

Scegliamo una deviazione a caso, meglio


prediligere quella in cui l’onda P si vede meglio,
si segue l’onda P col suo QRS. Se l’onda P è
negativa e anticipata, ovviamente il battito che
rappresenta non nasce dal nodo del seno, perché
anticipato e prende il sopravvento.

Una delle sedi più comuni delle ectopie è quella


del seno coronarico dove si può vedere come la
derivazione ectopica è negativa rispetto alle
derivazioni inferiori, visibile in D2, D3 e aVF, positiva in D1. Perciò posso determinare che è
un’extrasistole atriale, aritmia solitamente data da aumentato automatismo.

La terapia è rappresentata dal betabloccante. La terapia è somministrata soltanto se si alza molto


la frequenza (battiti aumentati > 15.000-20.000 al giorno). In genere i battiti sono 100.000 al giorno,
quindi questo valore rappresenta un aumento del 15-20%, che indica un limite per il funzionamento
cardiaco, sofferenza cardiaca. Il paziente può avvertire la tachicardia anche a una frequenza minore
e avere sintomi, ma in questo caso non c’è pericolo di alterato funzionamento cardiaco.
- In generale, le extrasistoli atriali danno
origine ad una pausa che abitualmente non è
compensatoria, perché l’extrasistole
depolarizza il nodo del seno, quindi non lo
resetta e compete con esso. Questo riparte poi
con la sua frequenza di scarica normale dopo
essere stato resettato. Se l’extrasistole lo
resetta prima, come avviene nella gran parte
dei casi, poiché è anticipata a prima del
momento in cui la cellula del nodo del seno
uscirebbe con il suo stimolo, l’intervallo
successivo parte dal momento del reset,
quindi la pausa post-extrasistolica è una pausa
non compensatoria.

- Viceversa, le extrasistoli ventricolari


resettano il nodo del seno e la fase è definita
compensatoria.

Tutti hanno extrasistoli atriali, ma in frequenza


minore (fino a 5.000 al giorno nei periodi più
stressanti), ma sono fisiologiche. Il beta
bloccante risolve facilmente il meccanismo. Raramente si arriva all’ablazione → si vede dove nasce
l’attività elettrica in questione e si va a bruciare la zona con un catetere specifico.

Tachicardia Sinusale
La tachicardia sinusale è fisiologica, raramente non lo è ed è trattabile con farmaci che riducono il
potenziale diastolico spontaneo. In questo caso il ritmo è sinusale, la frequenza è aumentata.
Tachicardia atriale ectopica (TAE)
Quando c’è più di un’extrasistole, ci
saranno dei rami di attivazioni anomali
non nel nodo del seno, che attiveranno
prima gli atrii e poi i ventricoli. Nell’ECG
vedo un’onda somigliante all’onda P
prima del QRS, non positiva in D2 e
negativa in aVR, perciò non sinusale:
l’attivazione è ANOMALA del fronte atrio
destro quadro sinistro. Si vede quale sia
l’asse dell’onda P per vedere se nasce
nell’atrio destro o in quello sinistro, per
un diverso approccio terapeutico.

Le TAE possono essere fastidiose perché non avvengono alla frequenza di scarica e alla richiesta
metabolica (es 130 battiti di frequenza al minuto a riposo).

Trattamento

Non è una aritmia eccessivamente pericolosa perché i beta bloccanti funzionano ma qualora non
fossero efficaci si può trattare con i farmaci della classe 1C (es Flecainide). Se anche questi falliscono,
si usa una combinazione di farmaci classe 1 c e betabloccanti.

Se il paziente è giovane o se il farmaco risolve la crisi ma nella normale attività quotidiana tiene il
battito troppo lento, si può decidere di fare un’ablazione trans-catetere del gruppo di cellule.

Per effettuare l’ablazione, devo fare una


mappatura dell’attivazione, vedere da dove
parte il segnale anomalo, raggiungere la
zona anomala con il catetere che emette
una radiofrequenza, ovvero una corrente
elettrica. Questa scalda il tessuto a
temperatura > 45°C, così che le cellule
muoiono per necrosi coagulativa. Il cuore
riprende la sua normale attività con
frequenza subito inferiore a quella
determinata dalla zona ablata (in genere il
nodo del seno).

Quando la tachicardia è maggiore del 15 % dei battiti normali, il cuore patisce, si può verificare una
dilatazione cardiaca per tachi-cardio miopatia (soprattutto nei giovani).
ARITMIE DA RIENTRO

AVRNT: ATRIOVENTRICULAR NODAL REENTRY TACHYCARDIA


A livello del nodo ci sono due percorsi opzionali dal punto A al punto B (ovvero inizio e fine del nodo
AV, l’unica giunzione elettrica fra atrii e ventricoli). Ricordiamo che sono caratteristiche
elettrofisiologiche del nodo AV, non c’è una fibra evidente.

-Via rapida con maggiore periodo refrattario, in


genere posta più in alto e posteriormente
-Via lenta con minore periodo refrattario, in
genere posta in basso anteriormente

Questa situazione è pericolosa perché:

▪ nel battito normale sinusale (primo


disegno a sinistra) la P attiva il punto A nello
spazio e il percorso attraversa la via rapida e
arriva al punto B velocemente. Arrivata al punto
B la via lenta non è disponibile perché ancora
occupata da un’attivazione silente occulta della
via lenta che scende piano → la via lenta è silente
anche se lievemente attivata in maniera occulta
nel normale ritmo sinusale, senza determinare
danno.
▪ nel caso di perturbazione della stabilità, cioè extrasistole (battito prematuro anticipato),
quest’ultima non potrà percorrere la via rapida perché il periodo refrattario è maggiore.
Trova la via lenta fruibile, il battito scende per la via lenta e attiva il punto B in molto tempo.
La via rapida ha così il tempo di recuperare. Le vie lenta e rapida non sono unidirezionali:
portano l’impulso in entrambe le direzioni. Così al punto B, l’impulso trova la via rapida
percorribile e viene trasportato nuovamente al punto A, generando aritmia. Il problema: al
punto di inizio la via lenta è di nuovo fruibile e si instaura un circolo perenne a meno di
interventi. Il circolo sta nello spazio di 1 cm e la durata è di 250-300 ms.
Contemporaneamente si attivano così atrii e ventricoli a 250-300 ms→ 250-300 battiti al
minuto.
valutazione ECG

In corso di tachicardia non c’è onda P davanti al QRS perché l’attivazione è sincrona e l’attività
elettrica del ventricolo prende il sopravvento. A volte, quando il nodo è più largo, si vede una gobba
a valle della porzione QRS, residuo dell’onda P. Questo residuo si chiama onda R’ (o pseudo R’), non
è onda R del QRS ed è caratteristica della AVRNT.

Per fare diagnosi precisa si può misurare la distanza fra l’inizio dell’onda R e la prima pseudo R’:

▪ Se la distanza RR’ è < 80ms (classicamente intorno ai 60 ms) → tachicardia nodale


▪ Se la distanza RR’ è >80 ms → più probabilmente AVRT (da vie accessorie).

Questa aritmia colpisce più le donne dell’uomo (nella 3° e 4° decade), con riduzione della qualità di
vita per paura dell’insorgenza della tachicardia. Nonostante questo, l’aritmia non è pericolosa per
la vita. I sintomi (capogiri, sensazione di mancanza di fiato, dispnea, incapacità di camminare) sono
intensi e i pazienti soffrono con questo tipo di tachicardia perché hanno 300 battiti al minuto quando
il limite di frequenza cardiaca è l’80 % di (220-età del paziente).

Trattamento

C’è una modalità di gestione che attenua i sintomi:


se il paziente si sente svenire o se interviene una
reazione vagale, l’aritmia si interrompe. La via
lenta è infatti sensibile alla stimolazione
simpatica: quando do una forte stimolazione
parasimpatica, interrompo la funzione sulla via
lenta. Quindi l’aritmia si blocca.

➢ Si può favorire questo effetto tramite le


manovre vagali, ovvero massaggio del
seno carotideo del collo, manovra di
Valsalva (espirazione forzata a glottide
chiusa, così che aumenta la pressione intratoracica) schiacciare il globo oculare – più
pericoloso però.Per il massaggio dei seni carotidei, si posizionano due dita sotto la
mandibola, si sente la carotide da cui ci si allontana di circa ½ cm posteriormente e si
massaggia circolarmente per 5-7 secondi da seduti o sdraiati; si determina una pausa
bradicardica. Se il massaggio è effettuato a sinistra, l’effetto è maggiore sul versante
ventricolare, più facilmente si riduce il blocco atrio-ventricolare; se a destra il cuore più
probabilmente si bradicardizza. Questa manovra è da evitare su pazienti con placche
carotidee, da verificare con il fonendoscopio che non ci siano soffi. Se le manovre sono
effettuate entro i primi secondi funzionano, non funzionano se la tachicardia è presente da
alcuni minuti: in tal caso lo spavento genera già una risposta adrenalinica, che protegge dalla
reazione parasimpatica.
➢ Un’alternativa è l’adenosina da somministrare in accesso venoso, un potente bloccante del
nodo (sia della via rapida sia della via lenta) che dura per 5-10 secondi, come una piccola
cardioversione. Per questo motivo viene utilizzata come prima arma per interrompere il
circolo. Si può somministrare soltanto in prossimità di defibrillatore, più volte e con dosaggi
differenti.
➢ Altri farmaci che funzionano sono i bloccanti del nodo, ovvero i calcio antagonisti, i
betabloccanti, ma con effetto più lento (somministrati insieme all’adenosina).

Il tempo che intercorre prima dell’inizio dell’azione del farmaco è intorno alla mezz’ora se
somministrati per via orale, mentre se è necessaria un’azione più rapida meglio
somministrare per via endovenosa. Nel lungo termine si possono assumere gli stessi farmaci
all’insorgenza della prima extrasistole o cronicamente. Tali farmaci rallentano la conduzione
sulla via lenta e non permettono a quest’ultima di portare l’impulso quando c’è extrasistole
(p bloccate).

➢ In caso di paziente giovane, si può ricorrere all’ablazione, ovvero alla bruciatura o alla
glaciazione della via lenta. Se la via lenta è molto vicina al fascio di His si utilizza il freddo,
che arriva a -30°C (temperatura che dà blocco
reversibile), poi a -70°C e si interrompe
definitivamente qualsiasi attività, dopo aver
verificato di non aver danneggiato il nodo AV.
Con possibilità di spazio più ampio si può
ricorrere alla radio frequenza e a una
conseguente bruciatura definitiva. Il paziente
avrà le extrasistoli ma queste non daranno
tachicardie.
AVRT: tachicardia da rientro atrio ventricolare ma non nel nodo
È legata sempre al rientro e alla presenza di una via accessoria, che se determina sintomi
(tachicardia) dà la sindrome di Wolff-Parkinson-White. Il fascio accessorio può essere in qualsiasi
punto dell’anello mitralico o tricuspidalico, ed è
essenzialmente un passaggio extra, un bypass elettrico tra
atrio e ventricolo (in situazione fisiologica solo il nodo
collega atrii e ventricoli, mentre cosè c’è doppia
possibilità.)

▪ La via lenta in questo caso è rappresentata dal nodo, la


cui funzione è appunto quella di rallentare la conduzione.
Il nodo ha periodo refrattario breve.
▪ la via veloce, ovvero la via accessoria, ha per contro
periodo refrattario maggiore.

valutazione ECG

❖ Fintanto che si rimane nel ritmo sinusale non


succede nulla di anomalo, ma l’ECG non è
normale perché c’è attivazione del nodo dopo
la via rapida. (Il paziente invece con AVNRT aveva
un’ECG normale, quindi questa è una prima
differenza fra i due). Nell’ECG il P-R è più breve,
c’è l’onda  (onda di pre-eccitazione): non c’è
rallentamento del nodo, si va su un bypass che
attiva i ventricoli più velocemente. Questo su
tutti i battiti normali, anche senza tachicardia.
❖ Quando arriva l’extrasistole, la via accessoria rapida non è fruibile, dunque l’impulso passa
dal nodo, lentamente, attivando i ventricoli e arrivando all’apice, finendo di attivare i
ventricoli alla base del ventricolo, dove ci
sono sia l’anello, sia la via accessoria. La
lunga percorrenza della via lenta dà tempo
alla via accessoria di recuperare. In molte
situazioni la via accessoria è in grado di
condurre anche al contrario, e l’impulso
sarà ricondotto agli atrii (fenomeno di
macro rientro), coinvolgendo tutto il
cuore. In corso di tachicardia, l’ECG
“migliora” il suo aspetto, perché la
conduzione segue la via normale, pur con
una frequenza estremamente veloce. La frequenza, rapidissima, è di 200-250 battiti al
minuto (questo rende il complesso strettissimo → “narrow QRS”). Le piccole incisure sono
le onde P. Il paziente avverte durante questo tipo di tachicardia un estremo malessere.
Mentre col ritmo sinusale l’ECG del AVRT aveva caratteristiche diverse rispetto a quello della
AVNRT, in caso di fibrillazione i due ECG si assomigliano. La differenza è che la nodale avrà
l’R-R’<80 ms; la tachicardia da rientro atrioventricolare avrà R-R’ > 80ms: infatti l’attivazione
degli atri non è sincrona perché esce dal ventricolo. È importante riconoscerle durante le
urgenze: mentre l’aritmia nodale non è pericolosa, l’aritmia non nodale può mettere a
repentaglio la vita. Anche i farmaci che vengono utilizzati sono differenti.

Il paziente con un battito molto accelerato può


andare in fibrillazione atriale, di per sé una
patologia benigna. Questo perché a ogni battito
normale c’è una zona di impianto della via
accessoria che risulta continuamente rimodellata
elettricamente. Quando il pz va in fibrillazione
atriale c’è un’attivazione irregolare, in assoluto
caotica degli atrii e gli impulsi passano a caso fra il
nodo e la via accessoria. Questo determina
un’attivazione incontrollata dei ventricoli, portando
a una eventuale tachicardia o fibrillazione ventricolare. Questo tipo di fibrillazione si può soltanto
risolvere con un intervento esterno e ha una mortalità del 10 % ogni minuto: in 10 minuti la mortalità
raggiunge il 100%.

Trattamento

I betabloccanti e i calcio antagonisti sono di fatto


controindicati se il pz va in fibrillazione atriale perché
bloccherebbero il nodo e faciliterebbero il passaggio sulla
via accessoria, non tanto per l’effetto sulla via e sul rientro,
ma per evitare il passaggio dalla eventuale fibrillazione
atriale a quella ventricolare. I farmaci da usare sono quelli
che rallentano soltanto la via accessoria, ovvero i farmaci
della classe 1C flecainide o propafenone o ancora farmaci
della classe 3. L’indicazione è per propafenone (2 mg/kg)
che toglie la conduzione sulla via accessoria e interrompe la tachicardia e nel ritmo sinusale
successivo può anche togliere l’onda . A seguito della somministrazione del farmaco si può anche
effettuare la manovra vagale. Se il paziente si trova in ospedale con a disposizione un defibrillatore,
alle volte per interrompere la tachicardia si può usare l’adenosina MA bisogna essere pronti a
trattare la fibrillazione ventricolare entro il primo minuto. Estrema ratio è la scarica elettrica esterna.
L’AVRT è congenita e perciò si presenta nella prima e seconda decade e può degenerare nel tempo
(quindi risolversi). Per risolvere il problema definitivamente, l’indicazione prima del farmaco è
l’ablazione trans catetere, difficoltosa per il difficile reperimento del punto esatto d’intervento. Per
fare questo bisogna mappare attentamente l’anello mitralico e della tricuspide per poi bruciare
attentamente il solo punto di passaggio (lunga la fase di indagine, circa mezz’ora di mappatura a
fronte di una bruciatura di 10 s circa). La procedura è risolutiva.

AVNRT AVRT
ECG normale (ritmo sinusale) PR breve, onda 𝛿 (ritmo sinusale)
No onda P, onda R’ (in tachicardia) con ECG migliorato, simile all’ AVNRT ma con
RR’<80 ms RR’>80 ms
Situazione non pericolosa Situazione potenzialmente fatale
Risolvibile con manovre, farmaci, ablazione Farmaci che bloccano SOLO la via accessoria (no
betabloccanti e calcio antagonisti), manovre,
ablazione

Flutter atriale
Il meccanismo di base è il rientro, che avviene sempre nella stessa zona anatomica. Il flutter può
essere:

➢ atipico
➢ tipico comune (quello di cui ci
occuperemo). Per essere tale deve avere:
❖ onde F, ovvero delle onde P
frequentissime, dette a dente di
sega (scende lentamente e sale
rapidamente). L’attivazione delle
onde F è velocissima: circa 200 ms;
300 battiti al minuto. Il nodo poi
rallenta la conduzione, e i ventricoli
si contraggono più lentamente;
❖ Deve essere negativa prevalentemente nelle derivazioni inferiori (D2, D3 e aVF) e in
V6, positiva in P1;

La zona anatomica in cui passa è l’atrio di destra, l’istmo cavo-tricuspidalico (tra la valvola tricuspide
e la vena cava inferiore), risalendo lungo il setto interatriale, mentre discende sulla porzione laterale
lungo la crista terminalis, zona da cui nascono i muscoli pettinati (unica zona dell’atrio destro non
liscia). Il circuito tipico comune è sempre antiorario, come descritto sopra. Il motivo per cui sussiste
il dente di sega è perché nelle derivazioni inferiori salirà rapidamente sul setto liscio e scende
lentamente a causa delle fibrosi della crista terminalis.

Trattamento

Ormai il flutter da linee guida non si tratta più coi


farmaci perché le dosi sono massicce e i risultati non
sono buoni.

L’ablazione, risolutiva, è del cuore di destra a livello


dell’istmo cavo-tricuspidalico, con basso rischio di
ischemie, ictus, sanguinamenti, con accesso del
catetere molto facile dalla vena femorale. Per questa
ablazione si mette il catetere a contatto con la
tricuspide e lo si arretra di 1-1,5 cm fino alla cava
inferiore. Le ablazioni descritte precedentemente erano
focali, questa lesione è di maggior misura, lunga qualche cm, una linea di blocco. (le altre ablazioni
si eseguono con punte da 3,5 mm perché focali; per questa la punta del catetere ablatoria è di 8
mm, con la punta appoggiata parallelamente a contatto col tessuto).

➢ Esiste un flutter tipico non comune che utilizza lo stesso circuito ma in senso orario. Il circuito
pero è medesimo (quindi si definisce tipico). L’elettrocardiogramma è differente perché le
onde F sono invertite (ascesa lenta e discesa rapida). V1 e V6 sempre uguali.
➢ Il flutter atipico non esiste nel cuore sano, è sempre secondario a qualche intervento esterno
(cardiochirurgia, radioterapia, fibrosi ecc.) e deriva da cicatrici causate in uno di questi modi.
Perciò l’istmo cavo tricuspidalico non c’entra. Per l’ablazione è necessario mappare e
valutare la causa.

Fibrillazione atriale
È l’aritmia più comune fra le persone con più di 65 anni di età (5 % dei soggetti. Nella fascia d’età
maggiore di 75 anni, colpisce il 15% dei soggetti). È un invecchiamento fisiologico della conduzione
a livello atriale che crea della fibrosi e facilita
l’innesco di circuiti multipli. Si può considerare un
insieme di malattia da rientro e aumentato
automatismo. Si verifica un’attivazione casuale
degli atrii velocissima e continua. Ogni tanto
l’impulso passa ai ventricoli, l’attività ventricolare si
definisce irregolarmente regolare.

La FA è comune perché è una sindrome: tutti i danni


al cuore che determinano aumento della pressione
atriale favoriscono FA. Questo perché al passaggio dalle vene polmonari all’atrio di sinistra ci sono
delle sleeve di muscolo, porzioni di cardiomiociti che entrano nella prima porzione della vena che si
può dilatare. Nella porzione in cui c’è un po’ di muscolo, l’ipertensione della zona determina una
contrazione muscolare che innesca una extra sistole. Questo insieme di extrasistoli dalle vene
polmonari innesca la FA.

Trattamento

La terapia medica di questa condizione (diuretici,


calcio antagonisti, stabilizzatori, betabloccanti)
può funzionare, ma non sempre è sufficiente.

Valutazione ECG

- la frequenza si calcola in media.


- Il ritmo non si riesce a comprendere perché
le onde P sono di difficile reperimento.
- L’asse del QRS può essere normale.

Clinicamente la FA si definisce

- Parossistica se dura meno di 7 giorni


- Persistente se dura più di 7 giorni
- Long persistent se dura più di 1 anno
- Permanente se non c’è più speranza di ripristinare il ritmo cardiaco normale.

La FA si autogenera e più perdura più è difficoltosa da rimuovere perché tende a rimodellare canali
ionici e proteine di sintesi. A quel punto il trigger non è più la zona della vena polmonare ma si
instaurano altri focolai.
Il rimodellamento sarà sia elettrico, sia contrattile, soprattutto strutturale perché diviene
irreversibile. Genera fibrosi atriale, glicogeno e riduzione della parte sana, cioè i sarcomeri. Questo
capita molto velocemente (cambio strutturale dopo pochi mesi visibile a livello bioptico).

Clinicamente il paziente soffre. L’impatto è in


particolar modo sulla qualità di vita, non per forza
sulla quantità di vita. Una quota di questi pazienti
è a rischio di eventi trombo embolici: l’atrio non si
contrae perché troppo irregolarmente stimolato:
mancanza di sistole. Tale mancanza di sistole
determina stasi del sangue per cui si creano piccoli
coaguli, aggregati che possono entrare in circolo.
Dall’atrio di sinistra possono passare al ventricolo
di sinistra, entrare in aorta, attraverso la quale
raggiungono il posto più diretto come portata e facilità di flusso, il cervello. Virtualmente sono meno
pericolosi i coaguli più grandi perché quasi immobilizzati. Più pericolosi invece i più piccoli, che
passano dalla valvola mitralica e va in circolo, determinando danni più seri. Il principale rischio per
questi pazienti corrisponde quindi allo stroke e al TIA → aumento mortalità. La FA va quindi trattata
per migliorare la mortalità oltre alla qualità di vita.

Talvolta per vedere bene il cuore in alcuni casi si può utilizzare un’Eco transesofagea (esofago a
contatto con atrio di sinistra).

Prima della formazione del coagulo, si può osservare un alone di sangue quasi addensato detto
“smoke”. Il paziente con FA va dunque trattato con anticoagulanti. C’è un problema collegato a
questo perché si è visto che anche in trattamento con anticoagulanti, la FA facilita demenza,
Alzheimer e decadimento cognitivo, perché c’è un bombardamento cronico di piccoli aggregati che
arrivano al cervello.
Esiste uno score per decidere se somministrare anticoagulanti a un paziente, ovvero quello di
CHA2DS2-VASc, acronimo che sta per “Congestive heart failure, Hypertension, Age >75 years,
Diabetes mellitus, prior Stroke 2 or transient ischemic attak, or thromboembolism – Vascular
disease, Age 65-74, Sex category).” L’età vale 2 punti se superiore a 75 anni, vale un punto se
superiore a 65 anni. Il sesso femminile vale un punto soltanto se presenti altri fattori. Se il punteggio
è superiore a 2, il paziente va sottoposto a terapia anticoagulante.

Se la FA è insorta da meno di 48 ore, è indicata la cardioversione elettrica per interrompere questo


circolo (se non interrotta continua ad aumentare).

In alternativa, se i sintomi ci sono da più tempo, se il paziente non è eccessivamente sofferente è


consigliato l’ uso dei farmaci (propafenone, flecainide, sotalolo, amiodarone), della classe 1c e 3.

A lungo termine si può decidere di risolvere la situazione in maniera più stabile con l’uso di farmaci
antiaritmici, che hanno però molti effetti collaterali (nel 20-30% dei casi) e una efficacia bassa (40-
60%). Non è perciò buono il rapporto rischio-beneficio.

Negli anni si è provato a migliorare l’approccio


più invasivo – ma più risolutivo –
dell’ablazione trans catetere, isolando la zona
delle vene dove ci sono le sleeve di miociti che
fungono da trigger che innesca l’aritmia. Ora si
isola l’attacco delle vene nell’atrio di sinistra
con delle bruciature. Il catetere entra nella
vena polmonare, registra la sua attività
elettrica da eliminare. Con il catetere ablatore
da 4 mm si bruciano i punti di elettricità,
isolando elettricamente le vene polmonari.
Così la FA non si innesca più. Il rischio è semplicemente periprocedurale, con un’efficacia del 70-80
%. L’approccio attuale consiste nel provare un farmaco per un breve lasso di tempo: valutare se
funziona. Se questo non funziona l’indicazione è di ricorrere in breve tempo all’ablazione, senza
sprecare tempo utile.

I pazienti giovani, viceversa, con un CHA2DS2-VASc basso vengono trattati solo se sintomatici. Se
poco sintomatici si può anche non ricorrere ad alcun trattamento.
CLINICA E PATOLOGIE DEL TORACE, CARDIOLOGIA – Lezione n.5 - 15/03/2022 – Prof. G. De Ferrari
– Benedetta Salvetti, Rebecca Romano

ARITMIE VENTRICOLARI E MORTE CARDIACA IMPROVVISA


L’approccio ad un paziente con aritmia ventricolare:

1) Classificare l’aritmia;

2) Capire il substrato anatomico ed elettrofisiologico;

3) Valutare il rischio;

4) Individuare il trattamento;

5) Valutare il rapporto rischio-beneficio del trattamento.

Qui a fianco possiamo vedere due esempi di aritmie


ventricolari, a sinistra un blocco con QRS largo che sarà
una bradiaritmia e a destra invece una tachiaritmia.

Le aritmie ventricolari possono essere:


A. Isolate: battiti prematuri (o extrasistoli) ventricolari (pvcs);
B. Tachicardie regolari, di solito si tratta di tachicardie ventricolari (VT);
C. Tachicardie irregolari che possono essere tachicardie ventricolari polimorfe, ma nei casi più gravi
anche torsioni di punta (Torsades de Pointes, TdP) e fibrillazioni ventricolari (VF), la più temibile
perché porta ad arresto cardiaco immediato.

EXTRASISTOLI VENTRICOLARI
Le extrasistoli ventricolari sono battiti prematuri a
QRS largo che originano dal ventricolo (qui a fianco
siamo in D2 o D3 con R positivo); questi vengono
bloccati dal nodo atrio-ventricolare, infatti non
modificano la regolare sequenza di scarica del
nodo del seno e di conseguenza di
depolarizzazione dell’atrio ma in AV vanno in
conflitto con l’impulso di derivazione NSA normale
che quindi non si propaga ai ventricoli.
Dal punto di vista elettrocardiografico quello che aiuta molto (ma non è diagnostico) la diagnosi di
sede ventricolare dell’aritmia è la presenza di una pausa compensatoria, ovvero di un intervallo RR
o PP che è doppio dell’intervallo precedente. L’anticipo che si manifesta nell’extrasistole viene
restituito in un ritardo identico nel battito successivo in modo da avere una pausa compensatoria.
Questa è la differenza con l’extrasistole sopraventricolare/atriale dove solitamente la pausa non è
compensatoria.
Le extrasistolie ventricolari possono originare da:
• cuore sano (strutturalmente o sarebbe più corretto dire elettricamente), due esempi tipici
sono quelle che originano dal tratto di efflusso del ventricolo destro (RVOT: right ventricular
outflow tract) e più raramente del sinistro o fascicolari ventricolari sinistre.

• cuore malato (strutturalmente), come la cardiomiopatia ischemica, la cardiomiopatia


dilatativa e la cardiomiopatia aritmogena.
In linea di principio vale la regola (con rare eccezioni) che la prognosi delle extrasistoli sia benigna
nei soggetti con un cuore sano.
Le RVOT originano dal ventricolo destro e di conseguenza hanno una morfologia prevalente a blocco
di branca sinistra e asse verticale, ovvero vanno dall’alto verso il basso. Sono spesso extrasistoli
dipendenti dalla frequenza, quindi iniziano a ridursi e spesso poi scompaiono durante lo sforzo
massimale (soppressione da overdrive), e avvengono in assenza di una malattia cardiaca prevalente.
Al contrario un peggioramento durante il test da sforzo fa pensare a una condizione maligna. Di
solito sono prevalenti nella fascia d’età intermedia di giovani adulti, tra 30- 50 anni -> possono
essere più frequenti in alcuni momenti della giornata.

Nell’immagine la morfologia tipica di


un’extrasistole dal tratto di efflusso ventricolare
destro. Nelle derivazioni precordiali notiamo un
QRS normale, una R’ che sale progressivamente ed
una transizione tra V3 e V4 sulle precordiali sinistre.
La morfologia è a blocco di branca sinistra perché
in V1 manca la R e in V6 c’è la classica “doppia
gobba” del QRS; asse verticale perché è positiva in
DII, DIII e aVF. Quindi l’extrasistole va da destra a
sinistra e dall’alto verso il basso.

Le aritmie fascicolari invece sono extrasistoli che originano da uno dei fascicoli, tipicamente dal
posteriore sinistro, quindi hanno una morfologia a blocco di branca destro ed emiblocco anteriore
sinistro.
Quindi un’aritmia ventricolare che origina in una cardiomiopatia ischemica può essere diversa da
una che avviene in un cuore sano. Il rischio di solito è assente nei cuori sani ma è possibile che i
battiti possano fungere da trigger, da elemento scatenante di altre aritmie più gravi.
Il trattamento può essere o non fare nulla, o eventualmente dare dei farmaci antiaritmici. In genere
il trattamento è consigliato solo per malattie sintomatiche o se pensiamo che queste aritmie siano
prognosticamente rilevanti, che normalmente non sono in assenza di cardiopatia.

TACHICARDIA VENTRCOLARE
Si definiscono tachicardie ventricolari come una serie di battiti ventricolari uno di seguito all’altro.
Questo è un esempio di una tachicardia
ventricolare, quindi un’aritmia a QRS largo di
verosimile natura ventricolare. La presenza di
negatività nelle periferiche sinistre D1 e aVL è
praticamente incompatibile con un disturbo di
conduzione, costituisce un criterio quasi di certezza
di tachicardia ventricolare.
Questa è una tachicardia ventricolare monomorfa
rapida perché la frequenza cardiaca è di circa 192
bpm (8 quadratini) con un’origine tendenzialmente
dall’apice ventricolare sinistro.

Questo è un altro esempio di


un’aritmia ventricolare in cui è
possibile notare il fenomeno di
“warm up”, cioè di riscaldamento
dell’aritmia. La frequenza cardiaca va
progressivamente accelerando, in
questo caso abbiamo una dozzina di
battiti di tachicardia ventricolare che
origina sui 120bpm e va accelerando
fino ai 160bpm. All’opposto abbiamo il fenomeno di “cool down”, di progressiva bradicardizzazione
alla fine dell’aritmia. In generale si ritiene che i fenomeni di warm up e cool down siano tipici di
aritmie con un meccanismo automatico o di microcircuito, mentre i circuiti stabili hanno di solito
una frequenza stabile.
Normalmente definiamo le aritmie come sostenute se durano più di 30 secondi o se danno sintomi
emodinamici maggiori come la sincope, oppure non sostenute se durano meno di 30 secondi e non
causano sintomi emodinamici rilevanti.
Le aritmie sono dovute principalmente a circuiti di rientro, anche se esistono delle tachicardie
ventricolari automatiche. Sono più rare nei cuori normali, perché i circuiti di rientro di solito
prevedono la presenza di alterazioni anatomiche come la fibrosi che costituiscono zone di blocco
unidirezionale. Sono spesso aritmie a rischio alto perché possono dare sintomi emodinamici o
addirittura progredire in fibrillazione ventricolare (il professore ricorda la fibrillazione ventricolare
conduce entro 3 sec. all’annullamento della sistole elettrica-> la persona ha un arresto cardiaco e
muore).
Il trattamento può essere quello della cardioversione elettrica immediata, l’eventuale terapia con
antiaritmici e il possibile impianto di un defibrillatore per prevenire eventuali aritmie successive e il
rischio di morte improvvisa.

TORSADES DE POINTES (torsione di punte o torsioni di punte)


È un’aritmia ventricolare di tipo irregolare.
Ci sono vari modi di chiamare questa
aritmia, la migliore è “torsade de pointes”,
ovvero “la torsione di tante punte”. Le
punte sono quelle che si vedono nell’ECG,
inferiori-superiori-inferiori-superiori
alternandosi. L’aritmia è tipicamente
polimorfa e in questo caso è molto veloce
con una frequenza cardiaca superiore ai 200
bpm e origina tipicamente in uno scenario
di prolungamento dell’intervallo QT. La
relazione tra allungamento del ciclo e prolungamento del QT è rettilinea per andare verso il plateau
(di tipo asintotico-iperbolico); in un certo range è abbastanza lineare, quindi ogni 100 ms di R-R il
QT si allunga di circa 30 ms -> Torsione di punta pausa dipendente.
Il prolungamento dell’intervallo QT può essere congenito/idiopatico oppure secondario a farmaci
che lo causano (prima di essere messi in commercio infatti tutti i farmaci devono essere sottoposti
a test dell’intervallo QT sui canali IKR, il cui blocco è la causa del 95% dei casi di torsioni di punta
iatrogene. Alcuni farmaci che causano allungamento del QT tramite blocco del canale IKR sono il
sotalolo, l’eritromicina, l’omeoprazolo, la sulfimide, il domperidone).
Spesso la torsione di punte è dovuta ad una canalopatia con squilibrio elettrolitico che prolunga
l’intervallo QT, tipicamente l’ipopotassiemia. In acuto per il trattamento bisogna somministrare
magnesio solfato ad alte dosi (10 cc), tenendo conto del fatto che la pressione si abbasserà molto
perché vasodilata molto, quindi il paziente deve essere sdraiato; inoltre se la torsione di punta è
bradicardia-dipendente si può intervenire con un pacing ventricolare o atriale. Se non si può
intervenire sulla causa primaria, può essere indicato in alcuni casi l’impianto di un defibrillatore.
La torsione di punta ha un rischio concreto che può determinare sincope, sia per l’assenza di per sé
di una contrazione efficace, sia perché nel peggiore dei casi può degenerare in una fibrillazione
ventricolare che porta ad arresto cardiaco immediato, e se non si interviene rapidamente, a morte
del paziente. Il criterio di transizione non è assoluto, c’è un punto in cui una cosa sfocia nell’altra.
Anche la torsione di punta tuttavia non genera pressione, solo raramente ogni tanto c’è un battito,
quindi se il paziente è sdraiato non muore ma sviene e riesce a mantenere l’attività fino a 30/40/50
secondi.
Ci sono altri casi meno frequenti di torsioni di punta, ovvero quelle non associate a un
prolungamento dell’intervallo QT, come la torsione di punta ad accoppiamento breve (short-
coupled torsades de pointes), che prende anche il nome di aritmia di Coumel, dal nome dello
scopritore parigino.
FIBRILLAZIONE VENTRICOLARE
È la più grave delle aritmie ventricolari, il paziente muore se non si interviene con una scarica di
defibrillatore in grado di riportare un ritmo sinusale tachicardico.
Nell’immagine si può vedere come il
paziente sia stato in fibrillazione
ventricolare per circa 50 secondi,
dopodiché c’è stato il ripristino del ritmo
sinusale: si tratta di un arresto cardiaco
abortito (aborted sudden death). In
questo caso si tratta di un’insorgenza
brusca da degenerazione di
un’extrasistole.
La fibrillazione ventricolare, un po’ come
la fibrillazione atriale, è la combinazione
di una serie numerosa di fronti d’onda fra
loro completamente irregolari. Questa aritmia causa l’immediata perdita di pressione a causa del
movimento vermicolare del ventricolo.
Il rischio delle aritmie ventricolari è quello della morte improvvisa, nella fibrillazione ventricolare
bisogna intervenire entro pochissimi minuti pena la morte cerebrale. I pazienti sopravvissuti ad
arresto cardiaco per fibrillazione ventricolare, a meno che ci sia una causa certamente correggibile,
vengono sottoposti all’impianto di un defibrillatore.

LA MORTE CARDIACA IMPROVVISA


Secondo la definizione più classica di Myerburg è una morte per cause naturali e cardiache che
consegue ad una brusca perdita di coscienza entro un’ora dall’origine dei sintomi; se il paziente non
è osservato e quindi non è possibile sapere l’esordio, si prendono in considerazione le 24 ore
dall’ultima condizione in cui il soggetto era stato visto vivo. La prima descrizione di una probabile
morte cardiaca improvvisa è quella di Anania nella Bibbia, che quando sente una brutta notizia
riguardo il suo debito con Dio, casca e muore. La stessa sorte tocca a sua moglie Sapphira poco dopo.
Un’altra descrizione di morte cardiaca improvvisa è quella di Filippide, che corse da Maratona fino
ad Atene per annunciare la vittoria, e morì all’arrivo.
È una delle principali cause di morte nei paesi sviluppati, in particolare nei soggetti sopra i 40 anni
(45-65 anni). È la causa di morte di circa 300/400 mila persone sia negli USA che in Europa, con una
sopravvivenza molto modesta (5%). In caso di sopravvivenza alla morte cardiaca improvvisa si parla
morte cardiaca improvvisa abortita.
È la prima o la seconda causa di morte in
tutti i Paesi occidentali; in Italia, come in
altri Paesi sviluppati è la prima causa,
seguita dall’ictus (che sta un po’
scendendo). Attualmente in Italia colpisce
ogni anno 1 abitante su 1000 adulti, 57000
persone all’anno (1 evento ogni 9 minuti).

Dove avviene? Avviene in massima parte a casa e in piccola parte nei luoghi pubblici, campi sportivi
o in ospedale. Negli ultimi anni si sta cercando di ridurre la morte cardiaca improvvisa posizionando
dei defibrillatori semiautomatici per strada, ma questi provvedimenti possono essere efficaci nella
quota di casi che avvengono in pubblico, mentre è difficile agire sulla grande quota che avviene in
casa, spesso senza qualcuno che possa dare l’allarme in tempi adeguati. Questa morte cardiaca
improvvisa avviene durante il sonno per circa 1/3 dei casi, nella metà dei casi il soggetto è sveglio e
rilassato e in piccola parte sta praticando attività sportiva, rapporti sessuali o sta facendo la doccia.

In figura vediamo le piramidi


rovesciate di Myerburg. Sulla
sinistra è presente il rischio di
morte improvvisa per singola
tipologia di paziente. Essa colpisce
principalmente soggetti a rischio
alto, ovvero con disfunzione
ventricolare sinistra e insufficienza
cardiaca, che hanno avuto morte
improvvisa o arresto cardiaco
tardivo rispetto all’infarto
miocardico. Tuttavia questi
soggetti non contribuiscono in larga misura al numero totale delle morti improvvise, a differenza
della popolazione generale. La morte improvvisa è quindi nella maggior parte dei casi una morte
non annunciata, ma avviene in soggetti che prima stavano bene. Anche la morte improvvisa
coronarica, che si ha durante un’ischemia miocardica acuta o un infarto miocardico acuto, è il 50%
delle presentazioni di un infarto miocardico (ovvero nel 50% dei casi il soggetto muore al primo
evento di IMA). Il contributo al numero totale di eventi è inversamente proporzionale al loro rischio.
Volendo quindi fare una prevenzione a livello della società, sicuramente è importante impiantare
dei defibrillatori a questi soggetti a rischio, ma così facendo si possono evitare soltanto 1/4 circa
delle morti cardiache improvvise. Per prevenire la maggior parte delle morti cardiache improvvise
si può agire sui fattori di rischio delle malattie coronariche (ipertensione, dislipidemia, diabete)
oppure identificare i soggetti a rischio nella popolazione generale, capire se esiste una
predisposizione genetica, intervenire sull’equilibrio autonomico; un’altra possibilità è quella di
insegnare alla popolazione come si rianima un soggetto in caso di morte improvvisa.
La morte improvvisa è dovuta nella maggior parte dei casi, circa l’80%, a cause coronariche, mentre
nel 15% dei casi a cardiomiopatie e nel 5% a cause rare, come le canalopatie.

L’eziologia è tachiaritmica nella gran parte dei


casi, i 2/3 sono tachicardie ventricolari che
degenerano in fibrillazioni ventricolari, il 13%
sono torsioni di punte che degenerano in
fibrillazioni ventricolari, l’8% sono direttamente
fibrillazioni ventricolari mentre una quota del 17%
ha una morte improvvisa bradiaritmica (e non
tachiaritmica), in particolare negli scompensi
cardiaci avanzati, caratterizzati da dissociazione
elettromeccanica, tipica degli scompensi
terminali.

La disfunzione ventricolare sinistra è un


predittore importante di rischio di
mortalità totale (nel grafico, a sinistra),
inclusa specificatamente la morte
improvvisa aritmica (nel grafico, a
destra). Ci sono due predittori distinti:
• La frazione d’eiezione
ventricolare sinistra (maggiore o inferiore
di 30 ml)
• La presenza di tachicardie
ventricolari anche non sostenute.
I soggetti con entrambi i fattori predittivi
hanno la sopravvivenza peggiore e vengono trattati con impianto di defibrillatore, in
assenza di tutti e due i fattori predittivi si ha la sopravvivenza migliore.
La morte cardiaca interessa la decade di età che parte dai 50-55 anni fino agli 80-85 anni e mentre
nei soggetti giovani è frequentemente maschile, andando avanti con l’età aumenta anche nei
soggetti di sesso femminile. Al di sopra dei 35 anni la causa più probabile è la malattia coronarica su
base aterosclerotica, a seguire ci sono cardiomiopatia ipertrofica, miocarditi, cardiomiopatia
dilatativa idiopatica, cardiomiopatia aritmogena ventricolare destra. Per le cause di morte nei
giovani adulti ci si riferisce alla casistica di aritmie maligne e morti improvvise nei giovani sportivi
studiata dal gruppo dei cardiologi di Padova. Nel Veneto vi è un’elevata prevalenza della
cardiomiopatia aritmogena (22%), vi è una prevalenza abbastanza importante di origine anomala
delle coronarie (12%), un discreto numero di miocarditi (6%) e sempre meno cardiomiopatie
ipertrofiche e dilatative (3%).
Questo comunque non è lo stesso riscontro che si ha in altre casistiche, tant’è che nella casistica di
Minneapolis vi è una percentuale quasi ribaltata con la cardiomiopatia ipertrofica al primo posto,
con il 35% dei casi (contro il 3% di Padova). Invece la cardiomiopatia aritmogena ventricolare destra
ha una prevalenza del 4% (contro il 22% di Padova). La verità starà probabilmente nel mezzo, vi sono
sicuramente delle differenze genetiche di popolazione ma vi è anche una differente sensibilità e
capacità diagnostica nei laboratori.
Nella fotografia a destra un esempio clamoroso di cardiomiopatia ipertrofica dove lo spessore del
muscolo si estende fino a rendere quasi virtuale la cavità ventricolare sinistra. Lo spessore del setto,
tra l’altro, è uno dei criteri di rischio della patologia (e va aumentando negli anni). All’istologia
vediamo il cosiddetto “disarray” delle fibrocellule, un disallineamento dei miociti che crea
un’anomalia della contrazione di questa parete ventricolare sinistra ipertrofica.

CARDIOMIOPATIA ARITMOGENA
La cardiomiopatia aritmogena ventricolare destra (una volta si chiamava displasia- ARVD, oggi
ARVC), ha una serie di criteri diagnostici che ne facilitano la diagnosi nelle condizioni più avanzate,
mentre nelle condizioni meno avanzate è estremamente difficile individuarla (caso di Davide Astori).
L’ECG tipico presenta onde T negative da V1 a V4 e l’onda epsilon nelle precordiali destre, una
piccola deflessione positiva dopo la fine del QRS.

Questo è un ECG diagnostico, infatti è possibile notare


l’onda T negativa V1, V2, V3, V4 e V5 e in più c’è una
depolarizzazione tardiva (deflessione positiva dopo il
QRS) in V1, V2 e V3 -> zona del miocardio ventricolare
destro, raggiunto tardivamente dal fronte d’onda
dell’impulso per la presenza di fibrosi miocardica che
rallenta la diffusione dell’impulso

Queste malattie nel 60% dei casi hanno un’origine


genetica, tipicamente a livello delle proteine del
desmosoma. Infatti le mutazioni della placofillina, della
placoglobina, della desmogleina, della desmocollina e
della desmoplachina sono tutte implicate nella genesi della cardiomiopatia aritmogena ventricolare
destra, e più raramente, sinistra. Essa è caratterizzata da una sostituzione fibro-adiposa della parete
laterale del ventricolo destro ed estroflessioni sistoliche del ventricolo destro ben diagnosticabili
tramite risonanza magnetica.
Se facessimo una stratificazione
prognostica all’apice del rischio ci sarebbe
chi ha avuto una morte improvvisa
abortita, una sincope e chi ha una
tachicardia ventricolare instabile. Questi
devono necessariamente impiantare un
ICD. Alla base della piramide (basso rischio)
vi sono solo dei parenti o dei probanti che
hanno i criteri diagnostici ma non hanno
sostanzialmente nessun episodio, non
hanno disfunzione ventricolare né sinistra
né destra e non hanno un eccesso di
sostituzione fibrotica alla risonanza
cardiaca, per questi ovviamente non è indicato l’impianto di un defibrillatore.
In questi pazienti ci sono delle avvertenze, in particolare l’allenamento fisico peggiora la malattia,
oltre al fatto che la morte avviene durante lo svolgimento dell’attività sportiva; per questo motivo
tra tutte le cardiomiopatie è quella che meno è idonea per fare attività sportiva. Ciò è stato
dimostrato scientificamente tramite un esperimento sui topi, in cui il gruppo che correva nella ruota
sviluppava cardiomiopatia aritmogena ventricolare destra molto prima del gruppo che stava fermo
in gabbia.
CARDIOMIOPATIA IPERTROFICA
Oltre alla cardiomiopatia
aritmogena, l’altra causa principale
di morte improvvisa nei giovani è la
cardiomiopatia ipertrofica,
caratterizzata da un importante
aumento della parete ventricolare a
scapito della cavità, che si riduce;
un altro criterio è lo spessore del
setto, che non dovrebbe essere più
spesso di 11 mm.
L’ECG della cardiomiopatia
ipertrofica è caratterizzato da
voltaggi elevati e grave sovraccarico
ventricolare sinistro con l’onda T negativa nelle derivazioni precordiali sinistre e a volte anche nelle
derivazioni inferiori, inoltre abbiamo una pseudo-onda Q, quindi uno pseudo-infarto in DIII e aVF. Si
valuta tramite l’indice di Sokolow, dato dall’ampiezza in mm dell’onda S in V1 sommata all’ampiezza
dell’onda R in V5 o V6, che identifica l’ipertrofia se superiore a 35mm.
Il background genetico è presente nel 70% dei casi e si tratta prevalentemente di mutazioni delle
proteine del sarcomero, quindi catene leggere o catene pesanti muscolari, titina e troponina. Vi
sono anche dei casi di fenotipo ipertrofico dovuto ad altre malattie, principalmente malattie di
accumulo di tipo genetico, come l’amiloidosi, la glicogenosi di Pompe o la malattia di Anderson-
Fabry, che danno fenotipo ipertrofico in assenza di una cardiomiopatia ipertrofica. Infine ci sono
delle malattie mitocondriali, patologie multiorgano piuttosto difficili da diagnosticare.
La Società Europea di Cardiologia dal 2014 consiglia l’uso di un calcolatore, un’app che utilizza come
criteri per stabilire il rischio:
• l’età;
• lo spessore massimo del miocardio ventricolare sinistro misurato tramite ecocardiogramma
transesofageo;
• la dimensione dell’atrio sinistro;
• l’eventuale gradiente del tratto di efflusso. La cardiomiopatia ipertrofica può essere
ostruttiva, può avvenire che il setto interventricolare protruda ad ostruire parzialmente l’efflusso
aortico.
• la presenza di morti improvvise in famiglia;
• la presenza di un’extrasistolia ventricolare on holter;
• la presenza di sincopi non altrimenti spiegate.
Mettendo insieme questi dati si può calcolare il rischio di morte cardiaca improvvisa a 5 anni, e se
eccede una determinata percentuale dobbiamo discutere col paziente l’opportunità dell’impianto
di un defibrillatore. Ad esempio con un rischio del 13% a 32 anni il defibrillatore (ICD) dovrebbe
essere fortemente consigliato e impiantato.

ORIGINE ANOMALA DELLE CORONARIE


Dallo studio di un’altra casistica invece
emerge che una delle cause
preponderanti nella morte cardiaca
improvvisa dei giovani adulti è l’anomalia
delle coronarie con il 17% dei casi.
Fisiologicamente la coronaria sinistra
origina dal seno di Valsalva coronarico
sinistro, quella destra dalla cuspide
coronarica destra. Nel caso in cui ad
esempio originino entrambe dal seno
coronarico sinistro, la coronarica destra
per portarsi verso destra dovrà passare in
un punto critico che è la strettoia tra
l’aorta e il cono di efflusso dell’arteria
polmonare. Questa zona durante la sistole
viene ad essere compressa in maniera grave tanto da schiacciare completamente il flusso e causare
un’ischemia miocardica ad ogni battito, in particolare durante l’esercizio fisico in cui vi è un aumento
della pressione, della pulsatilità e del diametro di quei 1-2 mm che bastano per schiacciare la
coronaria e questo potrà causare una morte improvvisa del giovane soggetto.
Un’altra anomalia è l’origine di alcune coronarie dall’arteria polmonare invece che dall’aorta, dove
è presente sangue deossigenato, questa solitamente dà angina nei bambini.
A sinistra (A) vediamo il quadro normale con il seno coronarico sinistro e destro e inferiormente il
seno non coronarico. In mezzo (B) abbiamo il quadro patologico di origine anomala della coronaria
sinistra dal seno coronarico destro. A destra (C) il quadro patologico di origine anomala della
coronaria destra dal seno di Valsalva sinistro.
A seconda delle casistiche che abbiamo osservato, l’assenza di anomalie strutturali ha una
prevalenza estremamente differente, dal 6% nel gruppo di Minneapolis, al 16% in quello di Padova
fino al 35% dell’ultima casistica osservata.
Le cardiomiopatie possono essere:
• Primarie: genetiche, miste o acquisite
• Secondarie: dovute ad altre malattie come l’amiloidosi che dà fenotipo ipertrofico. Ci sono
anche cardiomiopatie associate a malattie neuromuscolari come la distrofia di Duchenne, la
distrofia miotonica, la distrofia di Emery-Dreifuss, tutte malattie che colpiscono il muscolo e
il cuore.

MIOCARDITI

È una delle cause non ischemiche più frequenti di morte cardiaca


improvvisa soprattutto nei soggetti giovani, con una quota attorno al 10-
15% a seconda delle casistiche. Naturalmente si parla di soggetti con
esame tossicologico negativo, perché l’intossicazione da cocaina ad
esempio può essere una causa di morte cardiaca improvvisa. È una
malattia infiammatoria acuta del muscolo cardiaco, che deve essere
diagnosticata come gold-standard da una biopsia miocardica.
Istologicamente si ha un infiltrato infiammatorio linfocellulare (fibre
miocardiche piene di linfociti) associato spesso a necrosi o a
degenerazione dei miociti.
Per quanto riguarda la prevalenza le miocarditi negli ultimi anni stanno aumentando sempre di più
(miocarditi da Covid e da vaccino). Negli ultimi anni si sta studiando molto il confine tra miocardite
e le cardiomiopatie aritmogene, perché si dimostra che alcuni soggetti con miocardite recidivante
abbiano delle mutazioni sui geni del desmosoma (unione di malattie infiammatorie con malattie
genetiche).

L’incidenza è di circa 1-10 su 100 mila persone e nella maggior parte dei casi non si arriva a una
diagnosi certa della causa di miocardite. Vi sono una serie di virus che si ipotizza possano esserne la
causa, tra i quali i virus respiratori e intestinali, quindi Adenovirus e Coxsackievirus, ma anche
Cytomegalovirus e HIV, raramente Epstein-Barr-> molto rare le diagnosi certe
Ci sono miocarditi acute da farmaci, come le antracicline, che sono associate a uno scompenso
cardiaco tardivo ma possono sviluppare una tossicità acuta.
Ci sono poi miocarditi infiammatorie autoimmuni come quelle associate al LES (Lupus Eritematoso
Sistemico) o al morbo di Still, in questo caso la diagnosi è estremamente difficile. La miocardite più
grave è quella gigantocellulare, che deve essere diagnosticata e trattata entro un paio di giorni (48-
72h) altrimenti porta a morte certa; per questo motivo è necessario fare una biopsia miocardica
urgente nei pazienti con miocardite acuta e grave disfunzione ventricolare sinistra perché 1 caso su
10/20 sarà una miocardite gigantocellulare.
La miocardite eosinofila è la miocardite più facile da diagnosticare, in quanto è associata a eosinofilia
agli esami del sangue periferico (bisogna escludere che il paziente non abbia dei vermi intestinali).
Essa più essere isolata o associata alle malattie che una volta si chiamavano di Churg-Strauss
(polmonare) e Wegener (vasculite) con talora esiti gravi-> secondo la più recente definizione:
“granulomatosi con poliangioite”.

Follow up a lungo termine


Diversi studi tedeschi hanno evidenziato
che la miocardite a lungo termine abbia
una elevata probabilità di trasformarsi in
cardiomiopatia dilatativa idiopatica a
coronarie indenni e di conseguenza che
una elevata percentuale di cardiomiopatie
dilatative siano frutto di una passata
miocardite disconosciuta. Nell’immagine
si può vedere l’evoluzione da sinistra verso
destra con l’infezione in acuto,
l’infiltrazione, la comparsa di anticorpi
anti-virus fino alla trasformazione in una malattia autoimmune con progressivo mantenimento di
una risposta ad un virus che potrebbe anche persistere nel miocardio ma sicuramente esagerata in
quanto porta ad una progressiva disfunzione contrattile e appunto a cardiomiopatia dilatativa.
Tuttavia c’è un gruppo di studiosi italiani (Niguarda, Mi e Trieste) che negli ultimi quattro anni ha
pubblicato delle casistiche lombarde che suggeriscono una prognosi molto diversa, secondo cui i
pazienti che non hanno una disfunzione acuta ventricolare sinistra tornano completamente normali
(restitutio ad integrum). Quindi le ipotesi di progressione al momento non sono ancora ben chiare.
L’ECG generalmente è non specifico, anche se spesso vi è un’alterazione del tratto ST, con un
sopraslivellamento che assomiglia a quello dell’infarto miocardico STEMI ma non è concavo
superiormente (è convesso) ed inoltre tende ad avere una distribuzione non coronarica (è diffuso).
Il sopraslivellamento è diffuso a tutte le derivazioni ad eccezione di aVR, che vede la cavità del
ventricolo, e risulta essere sottoslivellato. Si possono vedere anche alterazioni della conduzione
atrio-ventricolare con comparsa di onde Q (molto raro).
Il sospetto di miocardite si prende in considerazione in caso di dolore toracico oppressivo, infatti le
miocarditi hanno sintomi simil-infartuali.
Il danno miocardico è più spesso subepicardico, anomalie della contrazione si hanno solo se il danno
riguarda più del 50% dello spessore transmurale della parete, diversamente l’ecocardiogramma
risulterà essere normale. Il danno è quasi sempre evidenziabile invece tramite risonanza magnetica
cardiaca, che ha un ruolo essenziale nella diagnosi di miocardite perché rileva l’edema in fase acuta,
la componente fibrosa in fase tardiva tramite positività al gadolinio. La certezza della diagnosi è
garantita dalla biopsia miocardica, che non è però priva di rischi; questa viene eseguita quando c’è
una disfunzione ventricolare sinistra e quando la diagnosi di certezza è essenziale e la risonanza non
è sufficiente. L’unico caso in cui non si aspetta la RMC e si procede direttamente con la biopsia è la
miocardite gigantocellulare.
Per quanto riguarda l’outcome, il cardiologo italiano Ammirati ha pubblicato 3 articoli nel 2019-
2020 sulle miocarditi acute da un registro del nord Italia dove ha ottenuto risultati assai diversi, con
una prognosi per i pazienti con restitutio ad integrum molto più benigna, mentre c’è un certo
numero di pazienti (40%) in classe funzionale 4 con scompenso cardiaco avanzato e frazione
d’eiezione compromessa. Secondo gli studiosi tedeschi i predittori di prognosi sfavorevole sono la
presenza di una classe funzionale avanzata, di una dilatazione ventricolare sinistra e l’assenza di un
beta bloccante che dovrebbe essere protettivo. In questi casi il 20% dei pazienti è andato incontro
a morte entro 5 anni.
Il paziente stabile necessita soltanto di una terapia per lo scompenso cardiaco, quindi diuretici, ACE
inibitori e beta bloccanti. Se c’è una disfunzione che persiste il paziente va indirizzato a centri
specializzati che eseguono biopsia miocardica; se la miocardite è instabile o fulminante deve essere
fatta immediatamente la biopsia e in assenza di virus va somministrata una terapia
immunosoppressiva aggressiva che si ipotizza sia in grado di ridurre la possibilità di avere
un’evoluzione rapida verso lo scompenso cardiaco. Questa terapia consiste in steroidi, ciclosporina,
aziatropina, immunoglobuline e micofenolato (farmaco immunosoprressivo che si usa molto nel
trapianto di cuore)
CLINICA E PATOLOGIE DEL TORACE – CARDIOLOGIA – Lezione n. 06 – 16/03/2022 – Prof. G. De
Ferrari – (Alessandro Mincato – Dario Scalini)

CANALOPATIE
Sono malaIe prevalentemente dovute ad
anomalie geneNcamente determinate di proteine
che hanno inPuenza sui canali eleQrici o che sono
esse stesse canali eleQrici. Le principali sono la
Sindrome di Brugada, la Sindrome del QT lungo, la
Sindrome del QT corto (rara) e la CPVT.
Sono aVeI generalmente soggeI giovani, spesso
la diagnosi è basata sull’ECG, non ci sono
alterazioni struQurali quindi all’ecocardiogramma
non vedremmo nulla (essendo una malaIa
puramente eleQrica) salvo nuovi indicatori
ra[naN, e sono caraQerizzate da un rischio
aumentato di aritmie compresa la morte
improvvisa.

Sappiamo che:
● Il potenziale d’azione nella fase 0 è
dovuto all’apertura brusca dei canali del
sodio;
● La fase 1 di ripolarizzazione precoce è
dovuta all’apertura di canali transienN
"Ito" del potassio;
● Il plateau (fase 2) è determinato
dall’equilibro fra correnN entranN (canali
"LL", corrente del calcio) e correnN
uscenN (canali "Ikr");
● Le correnN di potassio aniscono poi per
essere prevalenN nella fase 3 (canali
"Iks", la subunità più lenta, caraQerizzaN
da poter essere modulaN posiNvamente
dall’aIvità simpaNca);
● Il mantenimento del potenziale di riposo
è regolato prevalentemente dalla pompa
Na+/K+, di per sé eleQrogenica e che
quindi determina il mantenimento del
gradiente.

Le correnN del potassio sono prevalentemente implicate nelle Sindromi del QT lungo/corto,
mentre le correnN del sodio sono principalmente implicate nella Sindrome di Brugada e del QT
lungo, in parNcolare nella LQT3.
Le mutazioni del canale del potassio sono "loss of funcNon" nella sindrome del QT lungo, mentre
per la sindrome del QT Corto sono "gain of funcNon".
La probabilità di trovare un’anomalia geneNca dipende dalla patologia:
● Nella Sindrome del QT lungo è del 75-80% dei malaN con diagnosi certa;
● Nella Sindrome di Brugada è del 20-25%;
● Nella CPVT l’anomalia del canale della rianodina o della calsequestrina è del 60%.

Per quanto riguarda l'anamnesi sono da valutare aQentamente la storia familiare (parenN con
morN improvvise causate da malaIe cardiache) e nelle donne anche l'aborNvità.
SospeIamo una canalopaNa per la presenza di anomalie nell’ECG di base, ECG soQo sforzo o/e
nell’ECG Holter a 12 derivazioni. In alcuni casi può essere uNle un test provocaNvo.

Sindrome del QT Lungo


DescriQa per primo da Romano, un pediatra di Genova, nel 1963 e successivamente nel 1964 da
Ward a Dublino, moNvo per cui molN la chiamano Sindrome di Romano-Ward.

Il QT normale è caraQerizzato da una


distribuzione gaussiana dell’ECG, che ha un
centro (con una certa diVerenza tra uomo e
donna) intorno ai 390-400 ms, con un range di
normalità che va da 350 a 440 ms. Al di fuori,
quindi nelle code di queste distribuzioni,
abbiamo un intervallo QT patologico.
Per avere un valore indipendente dalla
frequenza cardiaca la misura del QT deve
essere faQa rispeQo
alla misura dell’RR, si deve ovvero calcolare il
QTc (QT correQo).

Nell'immagine qui accanto in realtà c’è la


frequenza cardiaca sull’asse delle ascisse che è
inversamente proporzionale all’RR, e sulle
ordinate il QT in discesa.
Possiamo vedere così qual è la normale
distribuzione del QT per una speciaca
frequenza cardiaca, ad esempio con FC=60
l’intervallo RR sarà 1s.
È comunque meglio uNlizzare l’RR al posto
della frequenza cardiaca per comodità.
UNlizzando l’RR è possibile uNlizzare la formula
di BazeQ per calcolare il Qtc, dividendo il QT
per la radice quadrata del RR (espresso in secondi!)

La banda di oscillazione del QTc normale è tra i 340 ms e i 440 ms.


Si ha un QTc sicuramente patologico quando è maggiore di 460 ms negli uomini e di 480 ms nelle
donne.
Questa diVerenza di genere è dovuta alla presenza di estrogeni che, agendo sulle correnN al
potassio, ne riducono l'e[cacia.
Questo è importante perché nelle donne con la sindrome del QT lungo, spesso le aritmie maligne
e le sincopi si manifestano in precise fasi del ciclo.

In questo ECG vi è una ripolarizzazione alterata come si vede in V2, con un "notch dell'onda T" ,
ovvero una doppia componente.
Guardando l'ECG si vede un QT di 700 ms che dovrà essere correQo in base alla lunghezza dell’RR
(ovvero 1210 ms) tramite la formula di BazeQ: 700√1.21, quindi il QT correQo sarà dato da
700/1.1 = 615 ms circa.
Si ha dunque un enorme prolungamento dell’intervallo QT, più che su[ciente per far diagnosi.

Nella slide si possono vedere le anomalie


geneNche che conducono a Sindrome del
QT lungo.
Questa diaposiNva in realtà non è
aggiornata perchè ad oggi se ne conoscono
19.
Le anomalie più importanN sono quelle che
colpiscono i geni KCNQ1 (LQT1), KCNH2
(LQT2) e SCN5A (LQT3) che codiacano
rispeIvamente per le subunità del canale
IKs (potassio lento), IKr (potassio rapido) e
INa (sodio).
Queste sono presenN nel 95% delle
sindromi del LQT genoNpizzate che a loro volta comprendono circa il 70% di tuQe le sindromi LQT.
Le mutazioni su quesN geni possono in rari casi avere penetranza incompleta e non dare patologia
(l'ECG risulta normale con il QT di lunghezza inferiore a 430 ms).

Le anomalie che coinvolgono IKs e IKr sono loss of funcNon, cioè i canali sono disfunzionali,
mentre invece le anomalie che coinvolgono INa sono gain of funcNon, cioè il canale è
iperfunzionante e sta aperto un tempo troppo lungo.

Queste sono state le prime malaIe geneNcamente determinate note al mondo con così grande
chiarezza, tant’è vero che la Sindrome del QT lungo è stata deanita la “Stele di RoseQa
dell’aritmologia”, è stata infaI la prima volta che si è individuata un’alterazione punNforme di un
gene che causa una disfunzione precisa di un canale, che causa un fenoNpo preciso dell’ECG, che
causa una malaIa precisa con morte improvvisa del paziente.
L’ECG è abbastanza diverso fra le tre alterazioni:
● L’ECG di LQT1 ha un’onda T molto larga e grande che parte subito già dal QRS;
● L'ECG di LQT2 ha un’onda T a doppia componente con dentatura bifasica. È dovuto al
blocco dei canali IKr che può essere causato anche da farmaci. InfaI la quasi totalità dei
farmaci che danno prolungamento del QT bloccano IKr dando un’alterazione dell’ECG;
● L'ECG di LQT3 ha un lunghissimo traQo ST isoeleQrico con un’onda T streQa, appunNta e
molto tardiva.

Per la diangosi si usa lo score di Peter Schwartz


che dà dei punteggi in base:
● Alla lunghezza dell’intervallo QT
● Allla presenza di torsioni di punte
● Alla presenza di sincope, in parNcolare
soQo sforzo
● Alla storia familiare

Sopra i 3.5 punN la probabilità della sindrome è


molto alta, sopra i 4-4.5 punN la diagnosi è
praNcamente faQa.

L’aritmia Npica è la torsione di punta, spesso generata da un ciclo corto-lungo-corto perché questo
determina un’alterazione delle refraQarietà che facilita la formazione di circuiN di rientro per
blocco unidirezionale.
I trigger Npici della malaIa sono variabili a seconda del genoNpo.
Tipicamente l’esercizio e lo stress sono la causa di quasi tuI gli arresN cardiaci e le sincopi in LQT1
per il quale è uNle fare l'ECG soQo sforzo. Questo perché vi è un’assenza della componente IKs di
ripolarizzazione sensibile alle catecolamine, con conseguente mancanza dell’adeguamento
catecolamino-mediato dell’accorciamento dell’intervallo QT all’aumento di frequenza cardiaca.
Per quanto riguarda LQT2 lo sforzo asico è un faQore un po' meno rilevante, ma è da aggiungere
che le persone aVeQe da questa sindrome possono avere sincopi da risveglio brusco con rumore
(come ad esempio una sveglia o una chiamata sul telefono).
In LQT3 lo sforzo asico non conta, infaI il sintomo si manifesta di noQe senza risveglio.

Prima della pubertà le aritmie hanno un'incidenza maggiore nei maschi, mentre con la pubertà gli
ormoni femminili prolungano il QT (la causa maggiore di aritmie) e così l'incidenza diventa
maggiore nelle femmine.

L’intervallo QT è un prediQore, più lungo è e maggiore è il rischio del paziente: un QT >500 ms


aumenta di 4.84 volte, a pazienN con la stessa diagnosi, il rischio di aritmia.

Il traQamento consiste nel:


● Ridurre lo sport sopraQuQo per i pazienN con LQT1 (in parNcolare non possono andare a
nuotare da soli senza nessuno in grado di rianimarli se necessario) e alcuni sNmoli/trigger
speciaci;
● Eliminare fonN di suoni forN durante la noQe per pazienN con LQT2;
● RicosNtuire i livelli asiologici di potassio e magnesio;
● Evitare ipokaliemie e ipomagnesiemie;
● Evitare molN farmaci (www.azcert.org e www.crediblemeds.org per consultarli) che vanno
controllaN prima di essere somministraN qualunque sia la sindrome, tra i più importanN,
l’eritromicina, e alcuni anNfungini, anNemeNci, anNpsicoNci e anche qualche anNaritmico
● Dare farmaci beta-bloccanN. In caso di sincope e traQamento con beta-bloccanN abbiamo
due opzioni: usare il deabrillatore (ICD) nelle sue forme transvenosa e soQocutanea oppure
fare una denervazione cardiaca simpaNca che consiste nell’eliminazione dei gangli
simpaNci per ridurre l’inPusso negaNvo del simpaNco sul cuore dei soggeI.

Sindrome del QT Corto


È abbastanza rara, descriQa in due paper di cui
uno di Torino (Gaita).
Il QT è quasi “appiccicato”, molto corto e i
pazienN hanno un alto rischio di abrillazione
atriale e ventricolare. Di quesN il 26% va
incontro a morte improvvisa mentre il 51% è
asintomaNco.

Tipicamente il QT è inferiore ai 300 ms (ma si


ha patologia anche con un QT inferiore a 340
ms), c’è in famiglia una storia importante di
morte improvvisa e si ha abrillazione atriale.

In questo caso la mutazione è sul gene HERG/KCNH2, che codiaca per il canale IKr, ed è
ovviamente gain of funcNon causando una ripolarizzazione troppo veloce e QT molto corto.

Con il test da sforzo possiamo ulteriormente accelerare la ripolarizzazione determinando


l’accorciamento del QT.

Per la diagnosi anche in questo caso si usa


uno score, che da punteggi in base:
● Alla lunghezza del QT (3 punN con
QT < 330 ms);
● Alla familiarità
● Alla presenza di aritmie ventricolari
● Alla presenza di abrillazione atriale
(sopraQuQo nei giovani).

Per i pazienN asintomaNci è indicaNvo un QT


< 340 ms (limite di normalità) mentre per i
pazienN con una storia importante familiare
di QT ridoQo, di sincope e arresto cardiaco, QT < 360 ms.

Oltre alle anomalie dei canali del potassio (IKs, IKr, IK1 rispeIvamente SQT1, SQT2 e SQT3) che
sono "gain of funcNon", vi sono anche anomalie dei canali del calcio che ne riducono l'ingresso e
che quindi sono "loss of funcNon".

Per quanto riguarda il traQamento, negli asintomaNci si prevede l'uNlizzo di idrochinidina e loop
recorder per veriacare che non si presenNno aritmie.
Quando sono presenN aritmie (tachiaritmie) si passa direQamente all’impianto dell’ICD, e solo in
caso di riauto si aQua la terapia che viene uNlizzata negli asintomaNci.

CPVT – Tachicardia Ventricolare Polimorfa Catecolaminergica


È caraQerizzata da extrasistolia ventricolare da
sforzo e si diVerenzia dalle altre canalopaNe
perchè a riposo ha un ECG asiologico.
Facendo invece un ECG soQo sforzo si oQengono
i risultaN visibili nella slide qui accanto.
Nel 50% dei casi si ha tachicardia ventricolare
bidirezionale (ECG B), QR posiNvo-negaNvo che
degenera in un PuQer ventricolare, in
abrillazione ventricolare e porta a morte.

Gli evenN sono giovanili:


● Una quota importante dei pazienN ha già
dei sintomi tra i 5 e i 10 anni;
● Più di metà ha già avuto tachicardia
ventricolare e sintomi entro i 15 anni;
● L'80% dei pazienN ha avuto sintomi entro
i 25 anni.

Ci sono vari Npi di CPVT, di cui le più importanN sono la CPVT1 e la CPVT2. Nella prima si ha una
anomalia geneNca che colpisce la rianodina (Ryr2), mentre nella seconda si ha una anomalia
geneNca che riguarda la calsequestrina.
In entrambi i casi i risultaN sono simili, si ha infaI un rilascio di calcio in fase diastolica (dovuto o
ad un leak di calcio da parte della canale Ryr2 o per un’ insu[ciente tamponamento da parte della
calsequestrina) che provoca una delayed a•er depolarizaNon causando un’asistolia.
Per dare sintomatologia grave c'è bisogno che queste mutazioni agiscano in sinergia con il
simpaNco.

Si cura un po’ come la Sindrome del QT lungo di Npo 1 dando dei beta-bloccanN speciaci, ovvero il
propanololo o il nadololo. È importante non dare altri beta-bloccanN come il metopronolo e
l'atenololo perché hanno eVeI avversi (questo vale anche per la sindrome del LQT).
In assenza di risposta si aggiunge la Flecainide che blocca i canali della rianodina, e se permane
l’extrasistolia da sforzo o peggio un’aritmia più seria, si può eVeQuare l’impianto di un
deabrillatore o più appropriatamente una denervazione cardiaca simpaNca.

Sindrome di Brugada
È la canalopaNa più frequente, caraQerizzata da un’alterazione eleQrocardiograaca con punto J
elevato e ST discendente, deQo paQern Brugada di Npo 1 o "paQern a tenda" che è diagnosNco
per questa sindrome. Questo paQern è dovuto a delle alterazioni eleQro-anatomiche presenN nel
traQo di inPusso del ventricolo destro, moNvo per cui posizionare eleQrodi alN (3˚ spazio) ci
permeQe di idenNacare questo paQern a tenda.

Esiste anche il paQern Brugada di Npo 2, deQo "paQern a sella" il quale non è diagnosNco ma
indica che dovremo eVeQuare ulteriori approfondimenN. Tra quesN c’è innanzituQo l’alzare gli
eleQrodi, fare un Holter a 12 derivazioni con gli eleQrodi alN e dare un farmaco che blocchi i canali
del sodio dato che in genere c’è una loss of funcNon di SCN5A (nell'LQT3 c'era una gain of
funcNon), quindi della corrente iNa.

In totale ci sono 11 mutazioni possibili, ma le più frequenN sono a carico di SCN5A (21%), con una
gain of funcNon dei canali del sodio, oppure a carico di CACNA1C e CACNB2, con una loss of
funcNon dei canali del calcio (circa il 5% l’uno). Qualunque sia lo squilibrio tra le correnN di sodio e
di calcio e la corrente entrante di potassio (I to), vi è una depolarizzazione “tuQo o nulla” con
gradiente transmurale del potenziale d’azione che determina nella zona del cuore del traQo
d’e‚usso il caraQerisNco paQern eleQrocardiograaco.
Per intendere meglio cosa si intende per gradiente transmurale
ricordiamoci del caraQerisNco graaco rappresentante il
cambiamento di potenziale nei miocardiociN.
Questo ha la caraQerisNca morfologia spike and dome (una punta
seguita dal plateau), parNcolarmente presente a livello
dell’epicardio, sopratuQo nell’epicardio del traQo di e‚usso del
ventricolo destro.
Se avviene uno sbilanciamento di correnN, il paneQone (o dome,
ovvero il plateau) può non formarsi, a causa appunto della perdita
di funzione delle correnN di calcio che devono sostenere la depolarizzazione.
Quindi alcune cellule a livello dell’epicardio del traQo di e‚usso di ventricolo destro non hanno
questo paneQone e viene quindi causata una ripolarizzazione immediata, con una durata del
potenziale d’azione molto breve.
In questo modo si ha un’elevata dispersione transmurale della ripolarizzazione che causa dei
gradienN eleQrici. In queste zone un baIto ectopico permeQe che vengano depolarizzate le
cellule che erano andate incontro alla ripolarizzazione, ma non le altre. Perciò si può generare un
circuito di rientro per una grave diVerenza di durata di potenziale d’azione transmurale, in
parNcolare epicardico.
Questo fenomeno nell’ EcG genera l’onda J alta, visibile sopratuQo se gli eleQrodi sono posizionaN
nel traQo di e‚usso del cono della polmonare.

I faQori di rischio sono aver avuto un’aritmia, avere un paQern spontaneo ed essere uomini.
È una patologia Npica della terza/quarta decade di vita e avviene a riposo, ad esempio di noQe o
dopo pranzo in corrispondenza di un aumento del tono vagale (l’opposto della LQT1). Un’altra
caraQerisNca Npica è la sua variabilità spontanea durante gli anni, ma anche nel corso della
giornata, moNvo per cui si fa l’Holter a 12 derivazioni.
Questo è una manifestazione dell’ECG Npico
durante il recupero, che non è altro che un momento di “rebound”, ovvero un momento di brusca
aIvazione vagale con slatenNzzazione del paQern di Brugada (i soggeI aVeI da questa
sindrome non avranno sincopi durante lo
sforzo ma soltanto durante la fase di
recupero successiva).
Si ha l'aumento del to no vagale anche con
l'aumento della temperatura, l’altro criterio
di slatenNzzazione, tant’è che in quesN
pazienN la febbre è estremamente pericolosa
(la temperatura corporea non deve superare
i 38°).

Per quanto riguarda il traQamento si usa


sicuramente il deabrillatore per chi ha avuto
una morte cardiaca improvvisa e per chi ha un paQern di Brugada di Npo 1 e una storia di sincope.
Per i pazienN con il paQern di Npo 1 ma nessuna storia di sincope l'uso del deabrillatore non è
scontato a causa delle molteplici complicanze che può provocare (guardando il registro del
Piemonte, che vanta più di 1000 pazienN, si vede come molN di quelli impiantaN vanno incontro a
complicanze).
Si procede quindi con un test provocaNvo allo studio eleQroasiologico.
Con un paziente asintomaNco con paQern di Npo 1 spontaneo e test provocaNvo negaNvo
possiamo fare il follow up, se invece il test provocaNvo è posiNvo si traQa con idrochinidina, un
bloccante di Ito.
In seguito si ripete il test provocaNvo e, se diventa negaNvo si fa il follow up, se rimane posiNvo si
può impiantare un deabrillatore.
Inane rimane la possibilità dell’ablazione, una nuova tecnica a livello epicardico del cono di
e‚usso ventricolare destro, per pazienN che abbiano ancora episodi aritmici o che riauNno il
deabrillatore (può anche essere associata all’idrochinidina)

In generale, con un paziente che ha una canalopaNa ionica bisogna:


● Prevenire il rischio aritmico;
● Evitare i triggers (esercizio, febbre, farmaci pericolosi);
● Considerare determinaN farmaci (beta-bloccanN per QT lungo e CPVT, idrochinidina per QT
corto e Brugada);
● Considerare determinaN intervenN (impianto di un deabrillatore e denervazione cardiaca
simapNca).
Clinica e Patologia del Torace – Cardiologia – Lezione n° 7 – 29/03/2022 – Prof. G. De Ferrari –
(Alice Ruffino, Gaia Piovesan)

LE CARDIOMIOPATIE
Le cardiomiopatie sono un gruppo eterogeneo di malattie cardiovascolari, che possono essere
definite dal punto di vista fenotipico, fisiologico, genetico oppure morfologico. Infatti in merito a
quest’ultimo aspetto, le cardiomiopatie si possono suddividere in 3 classi, a seconda del fatto che
il cuore risulti dilatato, ispessito oppure restrittivo (ovvero poco distensibile).
Le cardiomiopatie sono però tutte caratterizzate da un’alterazione di tipo meccanico,
contrariamente alle canalopatie (trattate nel corso della scorsa lezione) che presentano, invece,
un’alterazione elettrica.

CLASSIFICAZIONE
La Società Europea di Cardiologia (ESC) descrive le cardiomiopatie come un disturbo miocardico,
caratterizzato da anomalie strutturali e funzionali del muscolo cardiaco, in assenza per esempio di
cause secondarie.
N.B. è bene ricordare la differenza tra cardiopatia dilatativa e cardiomiopatia dilatativa per evitare
di confondere i due termini: nel primo caso la causa è coronarica, ipertensiva, valvolare o
congenita, mentre nella seconda si ha un disturbo della cellula miocardica.

Classificazione delle cardiomiopatie ad opera della società europea di cardiologia (ESC) in 5 gruppi:
1. CARDIOMIOPATIA IPERTROFICA (HCM)
2. CARDIOMIOPATIA DILATATIVA (DCM)
3. CARDIOMIOPATIA ARITMOGENA (un
tempo era conosciuta solo quella destra
ARVC, mentre adesso sono state
identificate anche quelle sinistre, quindi
non vengono più indicate con questa
sigla)
4. CARDIOMIOPATIA RESTRITTIVA (RCM)
5. CARDIOMIOPATIE NON CLASSIFICATE

Inoltre le cardiomiopatie possono essere ulteriormente distinte in:


o FAMILIARI  quando è presente una storia familiare, quindi sono cardiomiopatie
geneticamente determinate e il gene mutato può essere noto oppure non ancora
identificato.
o NON FAMILIARI  possono essere determinate da mutazioni de novo, non si ha storia
familiare

CARDIOMIOPATIE PRIMARIE E SECONDARIE


Le cardiomiopatie possono essere distinte in:

 Primarie (se la malattia è primitiva del miocardio)


 Secondarie (se il cuore è affetto da una malattia sistemica)

In questa tabella sono rappresentate le cardiomiopatie primarie, distinte in GENETICHE,


ACQUISITE E MISTE.

 In quelle genetiche sono


incluse le canalopatie, le
cadiomiopatie
mitocondriali (legate al
sesso femminile), le
cardiomiopatie da
accumulo di glicogeno,
quelle aritmogene ed
ipertrofiche.
 Tra quelle acquisite ci
sono le cardiomiopatie
infiammatorie, come per
esempio le miocarditi; la
Tako-tsubo, la
cardiomiopatia
peripartum e la tachicardiomiopatia.
 Nella colonna centrale sono indicate le cardiomiopatie miste, di cui fanno parte forme
genetiche e altre non genetiche.

Nella tabella sottostante sono riassunte le varie tipologie di cardiomiopatie secondarie: in esse il
cuore è affetto da una malattia sistemica, per esempio da una malattia da accumulo come
l’amiloidosi (AL e TTR, cioè legata alla transtiretina). Le cardiomiopatie da accumulo sono
caratterizzate spesso da un fenotipo ipertrofico. Ci sono poi cardiomiopatie molto più rare ma
simili a quelle ipertrofiche dal punto di vista fenotipico, in quanto presentano un cuore molto
ispessito (simile a una bistecca), come per esempio la malattia di Fabry (altra malattia d’accumulo)
o alcune glicogenosi, come la malattia di Pompe. Inoltre alcune sono associate anche a malattie
granulomatose infiammatorie, come la sarcoidosi.
La disfunzione nelle cardiomiopatie può essere meccanica (sistolica o diastolica), elettrica o mista.

Questo è un disegno che schematizza le varie


cardiomiopatie. In alto si ha un cuore
normale, in cui sono visibili il ventricolo
destro e sinistro (rappresentato da un anello
concentrico). Il sinistro può essere normale,
ipertrofico (come nella HCM simmetrica in
cui si ha un aumento importante del setto)
oppure molto ristretto, dove la cavità
ventricolare sinistra sembra quasi virtuale. La
cardiomiopatia dilatativa (DCM), come
suggerisce il nome, è invece caratterizzata da
un aumento del diametro del ventricolo
sinistro che tende però ad essere anche più sottile. Ci sono anche forme meno frequenti come la
ARVD/ARVC, RCM o EMF.

CARDIOMIOPATIA DILATATIVA
EZIOLOGIA
Le cause possono essere diverse:
 idiopatica
 causa familiare (nel 40-50% dei casi)
 causa infettiva o infiammatoria (post-miocarditica)
 causa metabolica
 causa tossica (da alcol o da antracicline, ovvero farmaci antitumorali utilizzati come
trattamento del tumore al seno e altri tumori solidi)
 deficit di tiamina o vitamina B1, che può portare alla malattia del BERI BERI. Di solito le
categorie di soggetti più a rischio comprendono coloro che fanno uso di alcol e si nutrono
costantemente di junk food e coloro che vengono nutriti per via parenterale o enterale in
modo artificiale.

CARATTERISTICHE
In queste cardiomiopatie il cuore è dilatato, grosso, ha un aspetto a
palla e quindi ha perso il suo aspetto fisiologico a proiettile, dato
che il ventricolo sinistro va incontro a un rimodellamento che
consiste in una sfericizzazione.
A volte ci sono zone meno contrattili, per esempio all’apice, in cui ci
può essere una riduzione del flusso, con il rischio di formazione di
trombi.
Le valvole sono primitivamente normali, anche se nella
cardiomiopatia dilatativa si può avere spesso un’insufficienza
mitralica, detta anche funzionale, la quale è dovuta ad una dilatazione dell’anello mitralico con
una conseguente incapacità dei lembi mitralici di compattarsi dato che risultano dilatati.

A livello microscopico è possibile


osservare:

 un aumento della
componente fibrotica, sia di tipo
interstiziale che perivascolare
 irregolarità e disomogeneità
dei miociti, in quanto alcuni sono
ipertrofici, altri invece atrofici.

SEGNI E SINTOMI
Il paziente può manifestare:
o scompenso cardiaco con sintomi correlati ad esso come la dispnea o l’ortopnea. Lo
scompenso può essere caratterizzato da congestione o da bassa portata cardiaca. Tra i
sintomi correlati a congestione si annovera la dispnea, mentre tra quelli dovuti alla bassa
portata c’è l’astenia, anche se appunto spesso sono presenti entrambi i sintomi.
o Insufficienza cardiaca, a volte può essere presente anche un segno di insufficienza
ventricolare destra, cioè una congestione periferica molto marcata (importante ricordare
che in generale questa è segno di uno scompenso progredito nel tempo, che perciò ha
avuto tempo di causare ipertensione arteriosa polmonare, una disfunzione ventricolare
destra, responsabile infine dell’insorgenza di una condizione di congestione periferica
molto severa). Quindi per riassumere più è datato lo scompenso e più questo è severo con
un interessamento della circolazione polmonare e stasi ventricolare.

o Tromboembolismo nei casi in cui si abbia stasi ematica, in quanto una riduzione della
velocità del flusso sanguigno può portare a un rischio maggiore di comparsa di trombi. La
stasi a livello atriale può comportare fibrillazione atriale, la cui prevalenza varia in
corrispondenza della gravità dello scompenso (2% nella classe 1, 5-10% nella classe 2, 15-
20% nella classe 3 e 40% nella classe 4) Quindi più avanza la classe della gravità dello
scompenso e più aumenta la prevalenza della fibrillazione atriale. Pertanto sia la
fibrillazione atriale che la stasi ematica (anche a livello ventricolare) concorrono in parte a
un aumentato rischio tromboembolico. Per la fibrillazione atriale è necessario
somministrare anticoagulanti al paziente, mentre per la stasi ventricolare non si è arrivati a
un accordo riguardo all’utilizzo di anticoagulanti, quindi si utilizza un approccio di tipo
empirico, andando a trattare con anticoagulanti solo i pazienti con stasi più grave e
clamorosa, oppure coloro i quali manifestano già una trombosi apicale, ma non tutti i
pazienti con cardiomiopatia dilatativa.
o Spesso aritmie ventricolari (anche causa di morte in questi pazienti)
o Edemi declivi e rantoli polmonari
o Aumento della componente polmonare del secondo tono, con presenza frequente di un
galoppo. In particolare il galoppo tipico dello scompenso da T3 è il Tennessee, mentre più
raro è quello denominato Kentucky. Quando si ha galoppo, si fa diagnosi di scompenso
cardiaco.

In questa immagine si vede il galoppo Tennessee, presente


quando si ha poca distanza tra il secondo e il terzo tono. Il
terzo tono ha una frequenza abbastanza bassa, è udibile
bene nel mesocardio, può essere fisiologico nei giovani e
nelle donne in gravidanza, ma di base rappresenta un
segno di insufficienza cardiaca.

Il quarto tono invece è meno frequente, è più spaziato, sempre


patologico.
In alcuni pazienti si ha un galoppo di sommazione (quando
sono udibili tutti e quattro i toni)
In questa radiografia del torace è visibile un cuore grosso e
dilatato. Una volta veniva fatto l’indice cardio-mediastinico: si
misurava il diametro trasverso del cuore (per es 22 cm) e
dividendolo poi per il diametro toracico (38 cm). Il risultato derivante dal rapporto è intorno a 0.6.
Il massimo consentito è 0.5, dal momento che un valore superiore è segno di dilatazione.
Si vede anche un aumento del terzo arco, che indica una dilatazione ventricolare sinistra e un
aumento del secondo arco, indice di un aumento atriale. (difficile però capire se la dilatazione
riguardi solo l’atrio sinistro oppure anche quello destro).

ECG

Un’alterazione molto frequente nell’ECG di


un paziente con una cardiomiopatia
dilatativa è il blocco di branca sinistra (la
sua prevalenza aumenta con l’aumento
della gravità).
Ci possono essere anche delle onde T
negative.

Può essere presente anche fibrillazione


atriale con un grado di ipertrofia, con un
alto voltaggio e sovraccarico ventricolare
sinistro.

ECOCARDIOGRAMMA
L’ecocardiogramma deve mostrare un cuore sx ingrandito tondeggiante, disfunzione sistolica,
rigurgito tricuspidalico e mitralico
generalmente di tipo funzionale con
dilatazione dell’anello, dilatazione atriale
sinistra, ipertensione polmonare, possibile
presenza di trombi.
In questo ecocardiogramma per esempio si vede un ventricolo sinistro dilatato, sfericizzato con
una parete più sottile rispetto a quella di un ventricolo normale; c’è anche una rettilineizzazione
del setto che è indice diagnostico di una ipertensione polmonare.

In questo ecocardiogramma in movimento, invece si


osserva un aumento molto importante del diametro
(che di solito non supera i 55 mm, ma in questo caso
può raggiungere anche i 70 mm), un’ipocinesia
severissima (la parete praticamente non si muove e non
si ispessisce, di solito dovrebbe essere 10mm in diastole
e 15-16 mm in sistole, mentre in questa immagine non
si ha sostanzialmente nessuna differenza tra i valori
sistolici e diastolici, mentre la parete laterale ha un
minimo movimento centripeto e minimo spessore di 6-7
mm), la valvola mitrale si apre poco (infatti viene detta mitrale da basso flusso), così come l’aorta,
si ha un basso flusso con versamento pericardico posteriore come si ha nello scompenso più
severo.

In questa proiezione si vede il ventricolo sinistro, la mitrale da


basso flusso, sistole modesta, setto assottigliato con un
movimento minimo, la parete laterale con un po’ più di
movimento, battito irregolare per la presenza di molte
extrasistoli, atrio sinistro dilatato, ventricolo destro lievemente
dilatato e disfunzionale. Inoltre si vede uno “spadone” che
passa nella tricuspide e trafigge il cuore di destra, che non è
altro che un elettrodo del defibrillatore cardiaco.

CRITERI DIAGNOSTICI
Ci sono una serie di fattori che possono causare cardiopatia dilatativa, che non sono le
cardiomiopatie. Essi comprendono la malattia coronarica, l’alcol, la tachicardiomiopatia, aritmie
ventricolari, malattie sistemiche, etc...

TRATTAMENTO
È uguale a quello relativo allo scompenso cardiaco. Può consistere a seconda del paziente in:
1. Farmaci
2. Impianto di un defibrillatore
3. Terapia di risincronizzazione cardiaca (CRT)
4. Interventi per ridurre l’insufficienza valvolare mitralica
5. Interventi di supporto meccanico
6. Trapianto di cuore

CARDIOMIOPATIA IPERTROFICA (HCM)


È una malattia di origine genetica, con una familliarità molto spiccata, dal momento che è possibile
identificare il gene mutato responsabile circa nel 70 % dei pazienti.
Si ha una ipertrofia ventricolare sinistra, che di solito si definisce per 15 mm di spessore in
assenza di cause secondarie che potrebbero determinare ipertrofia, come ipertensione severa o
stenosi aortica o cardiomiopatia da accumulo.
Questa ipertrofia non dà solo una disfunzione sistolica, anzi inizialmente dà solo una disfunzione
diastolica, perché lo spessore è aumentato al contrario della distensibilità e compliance
ventricolare sinistra. Spesso infatti questi pazienti hanno una cavità ventricolare sinistra minuscola
e rigida, poco distensibile.
Nelle cardiomiopatie ipertrofiche asimmetriche si può anche osservare una ostruzione all’efflusso
(si ha un’accelerazione con un aumento della pressione intracavitaria, con una riduzione di
pressione dopo l’ostruzione).
Le cardiomiopatie ipertrofiche sono una causa frequente di morte cardiaca improvvisa in atleti
giovani
La prima descrizione fu di una cardiomiopatia ipertrofica asimmetrica nel 1958. Si tratta di
un’ipertrofia a livello del setto, mentre in altre zone risulta essere meno marcata, come a livello
della parete laterale posteriore. Questo causa una stenosi dinamica sub aortica ipertrofica, quindi
un aumento dello spessore al di sotto della valvola aortica che determina che la zona di efflusso
che va dal setto alla valvola mitralica si riduca di dimensioni causando un’ostruzione).
Nel 1968 Eugene Braunwald, uno dei “mostri sacri della cardiologia”, fece molte scoperte in
merito alla cardiomiopatia ipertrofica simmetrica, andando a diagnosticare la stenosi aortica
severa in un paziente, dopo avergli fatto un cateterismo cardiaco  il ventricolo sinistro ha 200
mmHg di pressione sistolica, dopo la retrazione del catetere nel cuore del paziente il valore del
ventricolo sinistro arriva a 220: questo è il gradiente sistolico. (normalmente ventricolo e aorta
dovrebbero avere la stessa pressione, se non ce l’hanno è presente una stenosi aortica). In base a
ciò Braunwald pensava che il paziente avesse una stenosi aortica severa, ma in realtà durante
l’intervento chirurgico ci si accorse che la valvola aortica era normale e che quindi la sua diagnosi
non era corretta. Studiando un altro paziente riuscì infine a diagnosticare per la prima volta una
stenosi subaortica ipertrofica, ovvero la cardiomiopatia ipertrofica subaortica (stenosi che
assottiglia la parte di efflusso fino ad un’ostruzione).
EZIOLOGIA
Può essere causata dalla mutazione di alcune proteine contrattili. Le mutazioni più frequenti
riguardano la catena pesante della beta miosina, la myosin binding protein c e la troponina T,
infatti circa il 70% dei pazienti con una cardiomiopatia ipertrofica ha una mutazione identificata in
una di queste proteine.
La mutazione porta ad una alterazione
sarcomerica, a una diminuzione della
contrattilità con un conseguente
aumento dello stress (anche se questo
non è del tutto certo e tutt’oggi ancora
da dimostrare), a una ipertrofia e a un
disarray, cioè a un disallineamento.
Infatti osservando una biopsia
miocardica di un soggetto con questa
cardiomiopatia si notano cellule spesse
e disorganizzate/disallineate, con zone
di fibrosi e focolai ischemici.

PROGNOSI
È principalmente determinata dallo spessore del setto, della parete ventricolare sinistra, dalla
presenza di fibrillazione atriale e scompenso cardiaco, che può determinare una morte o per
aritmia o per scompenso cardiaco.
Nella maggior parte dei casi lo scompenso cardiaco si associa alla trasformazione da una
cardiomiopatia ipertrofica a dilatativa (nelle fasi tardive della cardiomiopatia ipertrofica il cuore
perde progressivamente lo spessore e tende a dilatarsi sempre di più.)
Esistono però delle cardiomiopatie ipertrofiche restrittive che danno origine a uno scompenso
cardiaco severissimo, fino ad arrivare alla necessità di un trapianto di cuore, senza dilatarsi.
(questa è una caratteristica fisiopatologica diversa)

ASPETTO MICROSCOPICO

Queste due immagini raffigurano due


biopsie molto diverse tra loro in quanto
in quella a destra si osserva un
completo disarray delle fibre con una
contrazione irregolare, data la
diminuzione dell’efficacia della
contrattilità.
FISIOPATOLOGIA
1. Disfunzione diastolica: sempre presente, a causa della riduzione della compliance
ventricolare sinistra e dei tempi di rilassamento isovolumetrico, dell’aumento dello
spessore della parete e dell’alterazione del reuptake del calcio.
2. Ostruzione all’efflusso di tipo sistolico, dovuto alla riduzione di zona efflusso, a causa della
grande occupazione dal setto interventricolare ipertrofico (normalmente questo misura 10
mm circa, mentre in certi casi, può arrivare anche a valori superiori ai 30 mm di spessore)
quindi tutto lo spessore in più tende ad andare a occupare lo spazio di efflusso di tipo
sistolico.
3. Effetto Venturi (effetto suzione): effetto dovuto al risucchio di un’accelerazione di un
passaggio di un flusso turbolento con aumento della velocità del flusso. Se l’effetto venturi
avviene a livello del setto sigmoide del ventricolo, viene risucchiato il lembo anteriore della
valvola mitralica che tende ad avvicinarsi al setto ipertrofico dando quasi un’occlusione
(detto anche movimento SAM o Systolic Anterior movement)  come accade per esempio
quando si fa la doccia e l’accelerazione del flusso d’acqua crea un movimento della tendina
della doccia verso il nostro corpo.
4. Normalità apparato valvolare (anche se non sempre è presente)
5. Presenza di un’ischemia miocardica (dato che la perfusione del cuore proviene da vasi
epicardici ed endocardici, l’aumento dello stress e dello spessore vanno a schiacciare le
arteriole, riducendo la pressione di perfusione sistolica. La pressione di perfusione
diastolica sarà ridotta se vi è un aumento della pressione telediastolica ventricolare
sinistra, come si verifica tipicamente in presenza di una disfunzione diastolica. Questo
fenomeno viene anche indicato come increased myocardial wall stress). Infatti tutti questi
fattori appena elencati concorrono alla genesi di un’ischemia miocardica che si può rilevare
facendo risonanze e ulteriori esami approfonditi.
6. Disfunzione autonomica frequente e spesso associata all’incapacità di aumentare la
pressione sistolica durante l’esercizio, a causa anche del progressivo instaurarsi del
gradiente tra ventricolo e aorta. Questa incapacità è uno dei segni clinici associati ad una
prognosi peggiore.
7. Aritmie atriali: spesso portano a scompenso, a causa della perdita della spinta atriale
(atrial kick) sul ventricolo ipertrofico che a sua volta è determinata dalla fibrillazione atriale
che causa appunto la perdita della spinta atriale sul ventricolo rigido, quindi un deficit della
compliance del ventricolo e deficit del calcio atriale per il riempimento ventricolare in
intervalli diastolici più brevi (quindi con riduzione del tempo per il riempimento). Quindi la
fibrillazione atriale è una tipica causa dello scompenso cardiaco.
8. Aritmie ventricolari: causa frequente di morte in questi soggetti.

L’esame fisico è spesso inconclusivo!  C’è un soffio sistolico che a seconda del battito può
variare un po’ e da ciò si potrebbe fare diagnosi di cardiomiopatia ipertrofica ma è molto difficile
riuscirci.
DOMANDA: in fisiologia si diceva che l’atrial kick, ovvero la contrazione atriale nell’ultima fase concorreva
a una ridotta percentuale di riempimento ventricolare perché la maggior parte del sangue si muove per
gradiente pressorio, però nel corso di questa lezione si è detto che la perdita dell’atrial kick può portare a
scompenso cardiaco perché il riempimento ventricolare si riduce. Come mai in fisiologia questa contrazione
atriale sembra quasi inutile mentre adesso sembra più importante?

RISPOSTA: la caratteristica principale della cardiomiopatia ipertrofica è l’assenza di compliance del


ventricolo che determina quindi la perdita del kick atriale, che in un cuore normale è ininfluente, mentre nel
cuore ipertrofico, maggiore è il grado di ipertrofia e più importante è il kick atriale e più la sua perdita sarà
rilevante.

ECG

 Spesso patologico
 Vettori molto alti
 Indice di Sokolow Lyon soddisfatto (quindi onda S in V1 + onda R in V5-V6 superiore a 35
mm)
 Sottoslivellamento ST
 Onde T negative nelle precordiali sinistre, a volte anche in D1 e aVL
 Ipertrofia atriale sinistra con un aumento della seconda componente dell’onda P
 Onde Q patologiche nelle derivazioni inferiori in D2 e D3  date da una grande
depolarizzazione settale, presenza di un setto molto ipertrofico. Questo ECG in figura può
mostrare o un infarto inferiore
pregresso o una cardiomiopatia
ipertrofica se ci si basa sulla
presenza dell’onda Q in D3, che
di norma non dovrebbe essere
presente; la sola D3 non è
distinguibile ma il quadro
complessivo degli altri segni di
cardiomiopatia ipertrofica fa
sospettare con molta probabilità
che questa patologia sia dovuta e
causata da una cardiomiopatia
ipertrofica.
 Blocco incompleto di branca sinistra (si ha un blocco di branca quando la durata del
complesso QRS è superiore a 120 ms).
ECOCARDIOGRAMMA
La figura mostra un esempio di
cardiomiopatia ipertrofica, quasi
ostruttiva, in cui è visibile un setto
superiore con spessore superiore ai 15
mm, in assenza di una causa secondaria.
Si ha anche un’ostruzione del tratto di efflusso.

Si riprende il discorso riguardo a Eugene Braunwald e a ciò che aveva studiato e scoperto nel 1968
grazie al cateterismo nel ventricolo sinistro.
In questa immagine si può vedere il cateterismo nel ventricolo sinistro; quando si fa il pullback,
cioè quando si torna indietro, ci si
accorge che si ha il gradiente prima
di arrivare all’aorta; ma questo
molto spesso sfugge all’esame.
(sfuggì anche a Eugene Braunwald,
come è stato detto qualche pagina
fa) All’epoca era stato misurato il
gradiente del ventricolo e l’aorta
senza accorgersi all’inizio che ci
fosse una brevissima fase con un
gradiente intraventricolare (sub
aortico)

Il fenomeno descritto in questa immagine è il potenziamento post extrasistolico. Esso può essere
utilizzato per capire se ci sia riserva contrattile, ovvero se il battito dopo l’extrasistole abbia una
contrazione più potente. La contrazione più
potente può avvenire principalmente per 2 cause:
aumento distensione fibre, quindi aumento del
riempimento diastolico e aumento del calcio
intracellulare. Quindi in questo caso si ha un
aumento della sistole sia a livello del ventricolo
che a livello dell’aorta: si ha una persistenza del
gradiente ventricolo-aorta abbastanza simile. È
una condizione riscontrabile nella stenosi aortica.

Segno di Brockenbrough-Braunwald-Morrow
La pressione del ventricolo aumenta tantissimo (fino a 300 mmHg) mentre quella dell’aorta
diminuisce. Questo è osservabile nella stenosi sub-aortica (il gradiente è particolarmente
incrementato perché più forte è la contrazione e più il setto occluderà molto più gravemente).
Questo serve per fare diagnosi differenziale tra stenosi sub aortica e stenosi aortica.
RISONANZA MAGNETICA
Alla risonanza si osserva, in seguito all’infusione di gadolinio, l’aumento del Delayed
Hyperenhancement tardivo, indicativo della fibrosi e l’aumento dello spessore. La risonanza è più
precisa dell’eco, soprattutto perché quest’ultimo stima difficilmente lo spessore della parete
apicale del cuore. Inoltre con la risonanza si può fare diagnosi della cardiomiopatia ipertrofica ma
anche della quantità di fibrosi che si associa al rischio di morte cardiaca improvvisa.

Questa immagine raffigura una risonanza di una


cardiomiopatia ipertrofica asimmetrica con un
setto avente lo spessore di 30 mm e con la parete
posteriore di 9 mm

Nell’immagine B si può vedere come appare l’ipertrofia e la


fibrosi in un paziente morto.

DIAGNOSI DIFFERENZIALE
Ci sono forme specifiche di cardiomiopatia ipertrofica, come per esempio quelle ereditarie o
quelle metaboliche come malattia di Fabry, di Pompe, di Gaucher, amiloidosi, malattie
neuromuscolari abbastanza rare, cardiomiopatie mitocondriali per esempio la MELAS, ma bisogna
anche saper distinguere queste cardiomiopatie ipertrofiche dalle cardiopatie ipertrofiche. In
queste ultime ad esempio è incluso il “cuore di
atleta”, che può essere ipertrofico se il
soggetto pratica sport isometrici come il
sollevamento pesi. È fondamentale
distinguerlo dalla cardiomiopatia ipertrofica
perché in tal caso bisognerebbe fermare il
soggetto per un aumentato rischio di morte
improvvisa.
Le cardiopatie ipertrofiche possono anche
essere causate dall’ipertensione, da una
stenosi aortica, dal feocromocitoma o da
alcuni farmaci. È bene quindi riuscire a fare diagnosi differenziale.

TRATTAMENTO

 Evitare esercizi isometrici


 Prevenire la morte cardiaca improvvisa
 Beta bloccanti come farmaci di prima scelta
 Impianto di un defibrillatore
Esiste sul web un calcolatore della società europea di cardiologia (ESC) riguardante la
cardiomiopatia ipertrofica. Questo è considerato oggi il metodo suggerito dalle linee guida per
decidere se impiantare o meno un defibrillatore. Come funziona? Si inseriscono le caratteristiche
del paziente, informazioni relative allo spessore del setto, a una storia non spiegata di sincope,
all’incapacità di aumentare la pressione durante uno sforzo, alla storia familiare di aritmie,
presenza di tachicardie ventricolari non sostenute. Il calcolatore in base a tutte queste
informazioni, calcola il rischio e se questo è superiore al 10% l’impianto del defibrillatore è
obbligatorio, mentre se è intermedio è opzionale, se è basso invece l’impianto non è consigliato.

CARDIOMIOPATIA ARITMOGENA
Il professore non si sofferma molto su di essa perché è già stata trattata in parte nella lezione riguardante la
morte improvvisa (vedi lezione 5).

È stata descritta per la prima volta da Louis Fontaine nel 1977.


Nella sua forma classica è caratterizzata da un’infiltrazione fibro-adiposa con conseguente
sostituzione dei miociti sani. È una malattia geneticamente determinata con una positività al test
genetico intorno al 60%. La prevalenza varia a seconda delle zone geografiche (maggiormente
diagnosticata nel Nord-Est Italia, in Grecia e in particolare nell’isola di Naxos).

TRIANGOLO DELLA DISPLASIA (oggi non si usa più questa terminologia, in quanto si parla di
triangolo della cardiomiopatia) è un triangolo formato da 3 sedi (il tratto di efflusso, l’apice e la
regione sub-tricuspidalica della parete laterale) che rappresentano le 3 zone in cui si ha la
sostituzione fibro-adiposa.
ASPETTO MICROSCOPICO
In questo vetrino tutto ciò che è di colore
bianco rappresenta la sostituzione fibro-
adiposa; ci sono anche infiltrati linfocitari.
Inoltre i miociti ancora sani sono circondati da
tessuto adiposo e zone di fibrosi.

CRITERI DIAGNOSTICI
Ci sono criteri maggiori e minori: di
norma si fa diagnosi con 2 criteri
maggiori, 1 maggiore e 2 minori o 4
minori.
Esempi di criteri maggiori alterazione
della cinesi, onde T invertite nelle
derivazioni precordiali destre, aritmie
ventricolari, blocco di branca sinistra.
Si usano per fare diagnosi sia
l’ecocardiogramma che la risonanza
magnetica, nei casi in cui si sospetta una
cardiomiopatia aritmogena.

ECG

 Presenza di onda epsilon (depolarizzazione tardiva alla fine del QRS. Rappresentata
nell’immagine con la freccia rossa)
 Extrasistole e blocco di branca sinistra nell’asse inferiore
 Aumentata durata del QRS
 Onde T negative in V1-V3
 Deviazione assiale

In questa immagine sono raffigurate delle tachicardie


ventricolari a blocco di branca sinistra e tutte queste
possono originare dalle diverse sedi del triangolo della
cardiomiopatia di cui abbiamo parlato in precedenza.

La ventricolografia destra è un esame che oggi si tende a non eseguire


più, anche se faceva notare come il ventricolo destro avesse un
aspetto a “pila di piatti”. Infatti questo aspetto caratteristico viene
considerato un segno maggiore della cardiomiopatia aritmogena
ventricolare destra.

TRATTAMENTO
Corrisponde di solito al trattamento dello scompenso cardiaco con prevalentemente la
somministrazione di ACE inibitori e beta bloccanti.

CARDIOMIOPATIA RESTRITTIVA (RCM)


Sono cardiomiopatie associate ad un aumento dello spessore e a una fisiologia restrittiva con una
grande riduzione della distensibilità.
EZIOLOGIA

 Idiopatica (rara)  ci possono essere forme giovanili, con una frequenza maggiore nel
sesso femminile rispetto a quello maschile.
 Fibrosi endomiocardiche (rare qui, molto più frequenti in Centro Africa)
 Cardiomiopatia ipertrofica da accumulo (per es. amiloidosi, emocromatosi, malattia di
Fabry, di Pompe, sarcoidosi, mucopolisaccaridosi)
 Associata a malattie del collagene
 Associata a sclerodermia
 Rigetto del trapianto
 Chimica, post-radiazioni mediastiniche (in alcuni pazienti che 50 anni fa venivano irradiati
per il linfoma di Hodgkin nel mediastino, andando però ad irradiare completamente anche
il cuore. Per questo motivo questi soggetti a distanza di tempo manifestavano una
cardiomiopatia chimica restrittiva. Oggi invece si riesce ad irradiare il mediastino,
risparmiando il cuore)
Esiste anche una cardiomiopatia infiammatoria endocardica (è una miocardite eosinofila e non
una fibroelastosi miocardica)

L’amiloidosi dal punto di vista macroscopico è indistinguibile dalla cardiomiopatia ipertrofica


severa, se non con una biopsia con colorazione Rosso Congo o con
una risonanza che permettono una diagnosi corretta.
All’ecocardiogramma il cuore è ipertrofico e all’ECG si nota una
riduzione dei voltaggi nonostante l’aumento dello spessore
ventricolare sinistro, perché c’è poco muscolo e tanti spazi
interstiziali. Quindi l’ecocardiogramma e l’ECG sono fondamentali
perché consentono di fare diagnosi di infiltrazione di tipo amiloide.

DIAGNOSI DIFFERENZIALE TRA CMP RESTRITTIVA E PERICARDITE COSTRITTIVA


La diagnosi differenziale tra questa cardiomiopatia e la pericardite costrittiva non è per niente
facile. Nella prima il paziente ha uno scompenso cardiaco diastolico, insufficienza ventricolare
sinistra quando aumenta la frequenza cardiaca, per esempio durante uno sforzo.
o Nella cardiomiopatia
restrittiva (immagine A)
si ha una pendenza
molto alta della diastole,
durante il riempimento
diastolico aumenta la
pressione del ventricolo
sinistro, che non ha
nessuna distensibilità. La
pressione telediastolica
ventricolare sinistra sarà
45-50 mmHg anziché 15
mmHg (paziente è in
edema polmonare). Se si
osserva invece la curva
della pressione telediastolica del ventricolo destro, salta subito all’occhio una grande
differenza con quello sinistro.
o Nella pericardite costrittiva (immagine B) si ha ancora un aumento della pressione
telediastolica del ventricolo destro e sinistro (30 mmHg, quindi comunque patologica) ma
si ha la completa sovrapposizione tra la curva pressoria del ventricolo destro e quella del
ventricolo sinistro, quindi si ha l’appaiamento completo delle due pressioni diastoliche che
permette di fare diagnosi di pericardite costrittiva, perché il sacco pericardico costringe
ugualmente il ventricolo destro e quello sinistro.

Di solito nella pericardite costrittiva il pericardio è ispessito e calcifico, mentre nella RCM è
normale. Solitamente ci sono diverse cause che causano la cardiomiopatia restrittiva, mentre nella
pericardite costrittiva non si ha una causa specifica.
La differenza tra le due condizioni non si riesce a capire basandosi sui segni clinici, però ci possono
essere dei segni ecocardiografici che possono aiutare a fare la corretta diagnosi (di solito il cuore è
ispessito nella RCM).
La variazione respiratoria consente di distinguere le due entità: nella RCM si ha un aumento del
flusso epatico e durante l’inspirazione una “reversal” del flusso epatico, mentre nella pericardite
costrittiva si ha un diverso pattern di flusso nelle vene epatiche, quindi il ritorno venoso al cuore
varia in maniera lievemente diversa con l’inspirazione. L’inspirazione è quella che determina il
segno di Kussmaul’s  durante l’inspirazione normalmente ci dovrebbe essere il richiamo di
sangue al ventricolo destro e un aumento della pressione, mentre in caso di costrizione pericardica
si ha esattamente l’opposto (riduzione della portata cardiaca e riduzione del polso). Nei casi più
gravi si può avere la perdita del polso durante l’inspirazione e ciò lo si può constatare quando si
misura la pressione arteriosa con l’utilizzo dello sfigmomanometro.
Clinica e patologia del torace – Cardiologia - Lezione 8 - 30/03/2022 – Prof. De Ferrari – (Roberta
Maggiore, Margherita Ravizza)

LO SCOMPENSO CARDIACO
È una sindrome complessa, in cui la compromissione cardiologica gioca un ruolo centrale, ma non è
l’unico elemento in gioco. La prevalenza aumenta con l’età, infatti sopra i 70 anni lo scompenso
cardiaco è la prima causa di ricovero in ospedale. Ogni malattia cardiaca può condurre a uno
scompenso; solitamente, però, non si tratta di patologie elettriche, bensì strutturali. La prognosi è
piuttosto infelice: la mortalità a 5 anni è più grave rispetto a quella di un tumore generico.

La visione classica del processo che porta a insufficienza cardiaca comincia con una disfunzione
cardiaca, che a sua volta è il punto di origine di una serie di meccanismi di tipo compensatorio che
giocano un ruolo importante nella progressione dello scompenso. Il concetto è che l’organismo
risponde con una prima azione riflessa alla disfunzione, che consiste nell’attivazione sistema
simpatico, e dopo questa attivazione neuroumorale segue l’attivazione del RAAS, nell’ottica di
ripristinare una normale portata cardiaca e una corretta pressione.
L’attivazione adrenergica ha evolutivamente uno scopo: tipicamente è la base della reazione di
attacco o fuga di fronte a un pericolo. Questa attivazione si traduce, in acuto, in un effetto positivo,
ma può innescare una spirale negativa che esita nello scompenso cardiaco.

La definizione europea dello scompenso cardiaco del 2016 è: “sindrome clinica caratterizzata da
sintomi tipici, quali dispnea e astenia, che possono accompagnarsi a segni, come l’aumento del
turgore delle giugulari, la congestione polmonare con rantoli basali del polmone, la congestione
sistemica causante edema periferico, insorta a seguito di un’anomalia strutturale e/o funzionale del
cuore, la quale conduce a una diminuzione della portata cardiaca oppure a una elevata pressione
intracardiaca, a riposo o durante esercizio fisico”.
Lo scompenso cardiaco viene categorizzato a seconda della funzione ventricolare sinistra, che si
esprime con la funzione di eiezione (cioè la percentuale di sangue eiettato a ogni sistole). Si
distinguono, perciò:
 HFrEF: scompenso cardiaco con frazione di eiezione ridotta, in presenza di segni e sintomi
tipici di scompenso e frazione di eiezione <40%
 HFpEF: scompenso cardiaco con frazione di eiezione preservata, in presenza di segni e
sintomi tipici di scompenso e frazione di eiezione >50%. In questo caso, è inoltre necessario
avere ulteriori segni specifici e tangibili di scompenso: l’aumento dei peptidi natriuretici
atriali con una disfunzione diastolica oppure con un’anomalia strutturale importante (valvola
stenotica, diastole alterata, ventricolo ipertrofico).

Nel 2016 è stata introdotta una categoria intermedia:


 HFmrEF: scompenso cardiaco con moderata riduzione di frazione di eiezione (40-49%).
Anche in questo caso, si aggiungono ulteriori criteri necessari: l’aumento dei peptidi
natriuretici atriali insieme a una disfunzione diastolica oppure con un’anomalia strutturale
importante.

Uno dei criteri della HFpEF (frazione di eiezione conservata) consiste nell’aumento delle pressioni di
riempimento; come detto nella lezione sulla cardiomiopatia ipertrofica, la disfunzione diastolica
determina tipicamente questo quadro di HFpEF. In un quadro di HFrEF, invece, si ha una riduzione
della funzione cardiaca sistolica, che inevitabilmente conduce alla riduzione della portata cardiaca;
spesso, anche in questo caso, troviamo l’aumento delle pressioni di riempimento, con conseguente
aumento delle pressioni a monte: la pressione sale nell’atrio sx, poi nelle vene polmonari e così via,
in un circolo vizioso.

GRAFICI DELLA CURVA PRESSIONE-VOLUME

(Il professore indica, uno per uno, i numeri delle singole fasi. Successivamente aggiunge, purtroppo in modo piuttosto
sconnesso, alcuni commenti ai grafici, che riporto integrati con la sbobina dello scorso anno.)

Il ventricolo sinistro si inizia a riempire, in fase di diastole, con l’apertura della valvola mitralica. La
fase 2 di questo grafico, in realtà, non è fedele alla realtà: in una situazione reale la pressione
aumenta durante il riempimento, ma in questo caso viene semplificata e la pressione resta costante
(normalmente il tratto 2 non sarebbe orizzontale). A questo punto si chiude la mitrale e si blocca
l’allargamento del ventricolo. Si ha dunque la fase di contrazione isovolumetrica in cui si ha un
importante aumento di pressione, fino a pareggiare la pressione aortica. Successivamente, si ha
l’apertura della valvola aortica e può così iniziare lo svuotamento del ventricolo. Questa fase si
associa inizialmente ancora a un aumento della pressione ventricolare sinistra per la salita della
curva pressoria, sia nel ventricolo che nell’aorta. Segue la fase di riduzione progressiva di pressione,
sia in ventricolo che aorta, fino a che si richiude la valvola aortica e si ha il rilasciamento
isovolumetrico, con importante riduzione pressoria a livello del ventricolo.
Facendo riferimento a una scorsa lezione, si spiega che la pendenza della curva “pressione
protodiastolica-pressione telediastolica” è un indicatore della compliance; infatti, in presenza di un
ventricolo ipertrofico c’è molta pendenza perché si raggiungono pressioni telediastoliche molto
elevate.

In presenza di un aumento di volume del ventricolo sx, anche indotto sperimentalmente mediante
l’introduzione di liquidi nel paziente, il volume nel grafico si sposterà verso destra. C’è un punto
importante, chiamato EES1, che tenderà a essere descritto nelle varie famiglie di curve pressione-
volume da una retta indicata con tratteggio. La retta che unisce tutti i punti telesistolici della curva
volume-pressione ottenuta a diversi gradi di volumetria ventricolare sx (diversi gradi di carico) si
considera la migliore stima della contrattilità cardiaca. La pendenza della retta tratteggiata è quindi
proporzionale alla contrattilità cardiaca.
Se il paziente assume farmaci che aumentano la contrattilità, questa retta diventerà più pendente;
il contrario accade con l’assunzione di farmaci che diminuiscono la contrattilità. In presenza di
scompenso cardiaco, ci sarà una modesta pendenza di questa curva che unisce tutti i punti della
curva volume-pressione al suo punto telesistolico, prima dell’inizio della contrazione isovolumetrica.

1
Su internet risulta che il punto EES sia l’End-Systolic Elastance, ossia il punto di pressione-volume sistolico terminale,
indice appunto della contrattilità cardiaca. Il punto è quello in alto a sinistra sui vari grafici.
PREVALENZA DELLO SCOMPENSO
La prevalenza dipende molto dall’età, ma quella
della popolazione generale è intorno al 3%.
Come molte malattie cardiache, la prevalenza è
maggiore negli uomini, ma dopo gli 80 anni
questo divario rispetto alla popolazione
femminile scompare. In totale, 6 milioni di
persone all’anno negli Stati Uniti ricevono questa
diagnosi; in Europa, la situazione è molto simile.
In generale, una persona su cinque, nel corso
della vita, otterrà diagnosi di scompenso
cardiaco.

Lo scompenso cardiaco può essere visto come il


prezzo da pagare per la medicina moderna: ormai non si vedono quasi più morire pazienti per infarto
miocardico, però chi ha un infarto comunque ha parti di ventricolo funzionali perse; alla fine, tutte
queste cardiomiopatie ischemiche esitano in scompensi cardiaci. Impiantando defibrillatori si evita
una morte di origine aritmica, ma si aumenta la probabilità di andare incontro a scompenso.
Lo scompenso, da solo, consuma il 2% delle risorse del SSN, in quanto i pazienti scompensati sono
soggetti a frequenti visite e ricoveri. In Italia un paio di milioni di persone sono affette da scompenso:
è la seconda causa di ricovero dopo il parto.
Il 50% dei pazienti muore entro i 5 anni successivi, il 10% nei primi 30 giorni.
Il professore evidenzia l’esistenza di un articolo in cui lo scompenso viene definito più maligno del
cancro, per tutti questi motivi.

EZIOLOGIA
Lo scompenso è dovuto per almeno il 50% a cardiopatia ischemica; per questo, per i pazienti anziani
la coronarografia fa parte del flusso diagnostico di scompenso.
Meno frequenti sono altre cause, come le sostanze ricreazionali (cocaina), sostanze anabolizzanti
(steroidi), farmaci (“check point inhibitors”, degli antitumorali che causano il 3-4% di miocardite,
talvolta mortale, e antracicline). In particolare, i culturisti sono molto a rischio di morte cardiaca
improvvisa.
Ci può essere scompenso causato da un’alterazione valvolare: l’insufficienza valvolare dà
sovraccarico di volume con dilatazione, mentre la stenosi dà sovraccarico di pressione con ipertrofia.
La via finale comune, in ogni caso, sarà lo scompenso.
Ancora, possiamo ritrovare come cause le patologie infiltrative e le aritmie; nello specifico, la
tachicardiomiopatia è tipicamente uno scompenso con cardiomiopatia dilatativa dovuta a
frequenza cardiaca alta per molto tempo.
Infine, esiste una condizione rara associata alla gravidanza, di cui non si conosce bene l’eziologia,
nota come “cardiomiopatia peripartum”, in cui il cuore si dilata e si indebolisce, portando a sintomi
di scompenso cardiaco. Potenzialmente è molto grave, ma in genere dà restitutio ad integrum.

FISIOPATOLOGIA DELLO SCOMPENSO CARDIACO

Lo scompenso cardiaco rimane asintomatico per molto tempo perché insorge una risposta
adattativa, che diventa essa stessa il motore della progressione della malattia.
Abbiamo dunque un evento index (es. infarto miocardico anteriore) che dà il primo danno a livello
cardiaco; questo causa l’attivazione neuro-ormonale con attivazione del sistema simatico, di RAAS,
del sistema delle endoteline e citochine. Tra le risposte ci sono anche BNP e ANP; in realtà questi
ultimi sono controregolatori, quindi hanno un effetto benefico rispetto a quello “malefico”
dell’attivazione neuro-ormonale: infatti gli altri sistemi determinano vasocostrizione, mentre questi
ultimi portano a vasodilatazione. Tuttavia, aumentano in presenza di scompenso e proprio per
questo vengono utilizzati come marker biochimici. Avviene poi un rimodellamento del ventricolo
sinistro tendenzialmente sfavorevole, che è un momento cardine, soprattutto per lo scompenso
con frazione di eiezione ridotta (HFrEF).
Possono inoltre aumentare l’ipertrofia, l’apoptosi, la fibrosi.
Ci sono anche modifiche elettrofisiologiche: il potenziale d’azione nella cellula ipertrofica
scompensata si allunga e c’è una probabile down regulation dei IKr (componente rapida della
corrente di rettificazione del potassio).
A livello dell’endotelio si verifica vasocostrizione periferica, dovuta all’attivazione del sistema
simpatico e dell’endotelina, che è uno dei più potenti vasocostrittori, insieme ad angiotensina II.

NB: tutti questi schemi si riferiscono alla HFrEF (scompenso con frazione di eiezione ridotta). Tuttavia,
l’attivazione simpatica può trovarsi anche nella HFpEF.
Il meccanismo da cui parte la
cascata di eventi è la
(de)attivazione2 dei barocettori
del glomo carotideo e del seno
aortico che si traduce in un
aumento importante della
scarica simpatica e
deattivazione parasimpatica.
Quando si riduce la pressione
cambia, infatti, l’input centrale
del barocettore, che determina
un aumento importante della
scarica simpatica; questo
avviene per riduzione della
pressione assoluta e anche della pressione pulsatoria (indice di bassa portata cardiaca). La riduzione
della pressione porta a ipoperfusione renale, che si traduce nell’aumento della secrezione di renina
da parte delle cellule juxtaglomerulari; la secrezione di renina è anche stimolata dal sistema
simpatico, che innerva direttamente queste strutture.
Tutto questo conduce a un rimodello sfavorevole del ventricolo sinistro e a un peggioramento della
funziona sistolica.

Il rimodellamento è anche facilitato da risposte di tipo volumetrico e pressorio: con l’insufficienza


mitralica avremo un sovraccarico di volume, perché il sangue che il ventricolo eietta in parte torna
indietro e questo porterà, infine, a un aumento del volume della camera ventricolare; in caso di
sovraccarico di pressione ci sarà invece una ipertrofia, non l’aumento volumetrico del ventricolo.
Tipicamente nel sovraccarico di volume c’è uno stiramento delle fibre miocellulari, inizialmente
eccentrico con possibile ipertrofia, ma negli stadi più avanzati porta alla riduzione dello spessore
della parete. In caso si sovraccarico di pressione, la parete si ispessisce e il volume nella camera
ventricolare si riduce.
Nell’immagine a sinistra è presente
un terzo rimodellamento
particolare, non omogeneo,
caratterizzato da una cicatrice in
caso di infarto anteriore, con
possibile evoluzione simil
aneurismatica ed espansione non
uniforme del ventricolo. Troviamo
sempre un rimodellamento
sfavorevole a carico della porzione
infartuata, che si dilata.

2
I barocettori si attivano in presenza di alta pressione
Classicamente si fa un rapporto tra spessore della parete e cavità che prende il nome di “spessore
di parete relativo”; in un cuore normale di solito il valore è intorno al 35%. È importante anche
considerare la massa, che è data dallo spessore per tutta la circonferenza del cuore. Tutte le forme
di ipertrofia, sia eccentrica che concentrica, sono associate ad aumento di massa e peso del cuore.

SINTOMI DELLO SCOMPENSO CARDIACO


Un tipico segno è sicuramente la dispnea. Il paziente scompensato fatica a respirare, tende a stare
in piedi o mantenere eretto il busto e presenta retrazione delle coste, segno della grande fatica
inspiratoria e dell’utilizzo dei muscoli accessori per la respirazione. L’espressione del volto indica la
cosiddetta “fame d’aria”. La dispnea può essere a riposo, oppure solo sotto sforzo.
Può essere presente un versamento ascitico. Se non interviene un cardiologo in maniera
tempestiva, il paziente scompensato rischia di morire.
L’ortopnea indica l’impossibilità di respirare in maniera soddisfacente in posizione completamente
sdraiata; tipicamente, il paziente dorme con un numero di cuscini proporzionale al peggioramento
dello scompenso (domanda tipica da fare durante l’anamnesi).
L’ortopnea si riscontra anche nel paziente affetto dalla dispnea parossistica notturna; questa
condizione, che si riscontra in pazienti con uno scompenso abbastanza grave, ma non tale da
determinare dispnea anche di giorno, è caratterizzata dal risveglio brusco verso le 5 del mattino con
fame d’aria e dispnea, la quale normalmente non è presente di giorno. Di notte, facilitato dalla
posizione orizzontale, sovviene un riassorbimento dei liquidi che aumenta anche il volume
telediastolico del ventricolo sinistro, finché non si arriva ad avere una dispnea per difficoltà a livello
degli scambi alveolari. Inoltre, in concomitanza avviene anche una certa attivazione del sistema
simpatico, che si verifica sempre nel mattino precoce. Se non è stato sufficiente da solo l’aumentato
assorbimento di liquidi verso il cuore, quindi, sicuramente l’attivazione del simpatico, con possibile
venocostrizione e aumento del ritorno venoso, fa precipitare la situazione verso la dispnea.
L’attivazione dell’inibizione a livello alveolare può determinare l’asma cardiaco, uno stato di
insufficienza respiratoria acuta con dispnea e broncospasmo, che nelle sue fasi iniziali è difficile da
distinguere dall’asma bronchiale vera e propria. Tuttavia, quando si aggrava, l’asma cardiaco è
caratterizzato da rumori umidi, i rantoli polmonari.
L’ortopnea si distingue dalla dispnea parossistica notturna in quanto la dispnea si risolve
velocemente mettendosi seduti; nel secondo caso, il paziente ha bisogno di alzarsi dal letto,
passeggiare per qualche minuto e aprire la finestra prima di riprendere una respirazione normale.
Nei casi più gravi, troviamo la dispnea a riposo e l’edema polmonare acuto, un’emergenza medica
con rantoli che possono diventare anche “rantoli a marea montante”: i rantoli, in pochi minuti, dalla
base del polmone iniziano a essere auscultabili sempre più in alto, in pochissimo tempo. Nei casi più
gravi, possono rompersi alcuni capillari e determinare uno “sputo rosato” da parte del paziente.

La classificazione dello scompenso, considerando la dispnea, si distingue in:


 I: paziente scompensato che non presenta nessun tipo di limitazione;
 II: paziente che presenta limitazioni modeste, ovvero presenta dispnea per moderata
attività fisica; riesce comunque a svolgere “ordinary physical activity”, come ad esempio a
salire due piani di scale a passo normale o svolgere una normale attività sessuale;
 III: in questo caso, il paziente presenta dispnea anche nello svolgere le più ordinarie attività;
 IV: il paziente non riesce a compiere nessun tipo di attività e la dispnea è presente anche a
riposo.
Il professore accenna brevemente a un modello animale basato su un cane, a cui è estato indotto
precedentemente un infarto cardiaco anteriore e che è stato poi fatto correre su un tapis roulant, in
modo che sviluppasse un’ischemia miocardica in un altro distretto, per ottenere dati sulla morte
cardiaca improvvisa. Questo modello voleva infatti mimare quello che accade a un paziente post
infartuale che ha un’ischemia miocardica in eterosede in seguito a una normale e ordinaria attività.
Altri sintomi di scompenso sono il dolore toracico, le palpitazioni, l’astenia, la nicturia. Se un
paziente all’improvviso inizia a urinare più volte per notte, questo può essere dovuto a uno
scompenso cardiaco oppure a un problema prostatico.
Negli stadi più gravi, si aggiunge l’ipoperfusione cerebrale.
ESAME OBIETTIVO
Il paziente può presentare distensione delle
giugulari, cianosi periferica, pallore, ittero, ascite e
cachessia.

SEGNI DI SCOMPENSO

 Crepitii e rantoli polmonari


 Ritmo di galoppo (presenza di terzo e
quarto suono)
 Murmure mitrale o tricuspide
 Polso alterno
 Effusione pleurica
 Battito cardiaco debole
 Epatomegalia
 Edema periferico
 Segno di Kussmaul (aumento
della pressione venosa centrale
in inspirazione)
 Reflusso epatogiugulare
(manovra raffinata che prevede
una spinta subcostale destra per comprimere il fegato, in modo che questo rilasci sangue; se
le giugulari si gonfiano, allora significa che siamo in presenza di un probabile scompenso
cardiaco incipiente, ancora border-line)
Tra i sintomi si evidenzia come la dispnea non sia particolarmente specifica, mentre lo è di più la
dispnea parossistica notturna. I segni invece sono decisamente più specifici.

DIAGNOSI
Il sintomo cardine dello scompenso, come appena visto, è la dispnea. Se è presente, bisogna prima
di tutto effettuare una diagnosi differenziale tra dispnea causata da patologie polmonari e quella
causata dallo scompenso; per farlo, è necessario dosare i BNP. Se i BNP sono sopra 400 pg/mL, allora
siamo in presenza di scompenso, se sono sotto i 100 non c’è scompenso; se i BNP sono tra i 100 e i
400 pg/mL, allora “bisogna usare la materia grigia di cui siamo forniti”.
Oltre a patologie polmonari come la BCPO, ci sono altre condizioni che talvolta vengono scambiate
per scompenso cardiaco: obesità, angina, ansia, varici e insufficienza venosa, fibrosi polmonare.
Tornando al dosaggio del BNP, questo è un polipeptide prodotto principalmente a livello del
ventricolo sinistro (al contrario dell’ANP, prodotto a livello atriale e cerebrale), in maniera
proporzionale al volume e al carico pressorio. È quindi un ottimo marker dello stress parietale del
cuore e di conseguenza di scompenso cardiaco.
In alcuni casi, è necessario utilizzare il suo precursore NT-proBNP. Ad esempio, molti pazienti
scompensati assumono il Sacubitril, un farmaco bloccante delle peptidasi che degradano il BNP e
che determina artificialmente un aumento dei BNP, i quali quindi non sono più dei corretti marker
dello scompenso; in questi casi, si dosa il precursore NT-proBNP.
I test diagnostici sono:
 ECG: generalmente alterato, in quanto possono presentarsi aritmie, segni di ischemia,
pregressi infarti, ipertrofia e disordini di conduzione;
 RX torace: può evidenziare ipertrofia del cuore, congestione ed effusione pleurica;
 Ecocardiogramma: è un esame estremamente importante che fornisce informazioni
prognostiche come i volumi, la frazione di eiezione e la presenza di un pattern restrittivo.
Quest’ultimo è il pattern tipico, nonché unico all’ecocardiogramma, della HFpEF, però è
molto importante anche nella valutazione della frazione di eiezione ridotta. La diagnosi di
scompenso diastolico ha una prognosi peggiore perché i pazienti che hanno uno scompenso
diastolico con pattern restrittivo hanno una pressione telediastolica ventricolare sinistra alta
(nota come “pressione di incuneamento”) che si traduce in un aumento delle pressioni a
monte, quindi atrio, vene polmonari, etc.
I test funzionali sono:
 6-minutes Walking Test: il paziente percorre più volte un corridoio di lunghezza nota nel
corso dei 6 minuti; in base al sesso, al peso e all’età esiste un valore ottimale di metri
percorsi.
 Cardiopulmonary Exercise Testing: un paziente indossa una maschera ben adesa, che evita
la possibilità che sfugga dell’aria respirata dal paziente, in comunicazione con una macchina
complessa, dotata di analizzatore di CO2 e altre funzioni. È un esame raffinato, ma difficile
da eseguire correttamente, in quanto l’apparecchio va continuamente tarato. Se eseguito
correttamente, fornisce una misura oggettiva della capacità funzionale del paziente e viene
eseguito per prendere la decisione di inserire il paziente nella lista trapianti di cuore oppure
per esaminare i casi dubbi, in cui il paziente riferisce di avere dispnea, ma il cuore non
sembra avere grossi problemi.
Riassumendo l’iter diagnostico, prima di tutto si dosano i BNP e, se questi risultano bassi, il paziente
non ha scompenso, mentre se invece sono alti, è molto probabile che il paziente abbia lo
scompenso, ma per averne la certezza è necessario effettuare l’ecocardiogramma.
TERAPIA
Lo scopo della terapia dello scompenso è quello di arrestare la progressione dello scompenso
asintomatico nello scompenso sintomatico oppure di impedire che uno scompenso già sintomatico
evolva negli stadi più gravi.

Questo schema indica quali sono i farmaci o gli interventi che migliorano la mortalità, la morbidità
o i sintomi. I beta bloccanti sono i farmaci più importanti per migliorare la mortalità dello
scompenso; ci sono poi i farmaci che agiscono sul RAAS (ACE inibitori e Sartani) e, nello specifico,
spesso si danno in associazione Valsartan e Sacubitril, che è un inibitore della degradazione di una
serie di citochine, incluso il BNP.
Altri farmaci possono agire sui sintomi, ma non sulla mortalità. Il trapianto ovviamente agisce sia
sul problema organico, sia sul sintomo, sia sulla mortalità.
Il successo della terapia degli ultimi 25 anni è stato quello di somministrare in associazione un beta
bloccante e un ACE inibitore. Un’altra classe di farmaci è quella degli ARBs bloccanti del recettore
dell’angiotensina I, AT1R, con effetti simili a quelli degli ACE inibitori.
L’angiotensina I aumenta in corso di scompenso cardiaco; l’ACE inibitore blocca l’enzima della sua
conversione in angiotensina II, mentre il Sartano blocca solitamente il recettore 1 dell’angiotensina
(AT1R), che media la vasocostrizione e la ritenzione idrica. L’ACE inibitore agisce a livello anche di
riduzione dell’azione delle peptidasi, che ad esempio degradano la bradichinina: perciò, l’ACE
inibitore può dare una vasodilatazione non solo mediata, per il 90%, dalla mancata conversione in
Angiotensina II, ma anche dall’aumento delle bradichinine circolanti. L’aumento delle bradichinine
può, tuttavia, portare a un effetto collaterale molto pericoloso di questa classe di farmaci, che è
l’edema della glottide; per questo motivo, alcuni farmaci sono stati rimossi dal commercio in quanto
causa, in una certa percentuale di pazienti (soprattutto africani), di angioedemi.
Un’altra classe di farmaci è quella degli antagonisti del recettore dei mineralcorticoidi (MRAs), in
particolare si utilizza lo Spironolattone. Vengono utilizzati in pazienti sintomatici (stadio II e oltre)
per bloccare l’azione dell’aldosterone. Quest’ultimo, infatti, può portare a edema per il
riassorbimento di sodio e acqua, nonché ad aritmie per l’escrezione di potassio e magnesio; un altro
effetto molto negativo è la fibrosi del miocardio e dei vasi dovuta alla deposizione di collagene. Gli
MRAs diminuiscono, dunque, la fibrosi e l’evoluzione verso un ventricolo con meno compliance e
l’insorgenza di aritmie e problemi di conduzione. Di conseguenza, nel complesso diminuiscono
anche i decessi per morte cardiaca improvvisa.
La digossina è un farmaco controverso che blocca la Na+/K+ ATPasi e questo aumenta il calcio
intracellulare in quanto il blocco della pompa Na+/K+ interessa, poi, anche la funzione della pompa
Na+/Ca2+. Il calcio migliora l’inotropismo, però è dannoso dal punto di vista ritmico.
Un altro effetto della digossina è quello di aumentare il tono vagale, di per sé benefico. Per i suoi
effetti controversi, è uno dei pochi farmaci che si dosa con molta precisione: deve rimanere
assolutamente sotto il nanogrammo, altrimenti inizia ad aumentare il rischio di danno.
Questo farmaco ha uno spiccato metabolismo renale, il che è negativo perché i pazienti scompensati
spesso hanno una diminuzione della clearance renale e aumento della creatinina, il che si traduce
in un diminuito metabolismo della digitale e aumento della probabilità di insorgenza di tossicità.
In genere, vengono sempre impiegati i diuretici. Ci sono i tiazidici, che agiscono a livello prossimale,
e i diuretici dell’ansa (es. Furosemide), che agiscono a livello più distale, bloccando lo scambiatore
Na/K/Cl. Di solito questi ultimi determinano una perdita di elettroliti importante, tuttavia possono
essere associati ai MRAs, perché i diuretici dell’ansa migliorano molto i sintomi, mentre i MRAs
minimizzano la perdita di potassio e riducono l’ulteriore attivazione neuro-ormonale e la
conseguente ritenzione idrica, causata dal riflesso barocettivo indotto dall’assunzione dei diuretici
ad alta dose.
Recentemente, si sono aggiunti ai tre pilastri della terapia classica (ACE inibitori, beta bloccanti e
MRAs) le gliflozine. Queste glifozine (es. Dapagliflozin ed Empagliflozin) sono dei farmaci
antidiabetici che salvano pazienti diabetici con scompenso (il professore racconta che, in passato,
per lungo tempo i diabetologi hanno prescritto farmaci che aumentavano il rischio cardiovascolare
nei diabetici, senza nemmeno associare le statine). Sull’onda di questo entusiasmo, sono stati
condotti degli studi clinici, in cui i pazienti hanno assunto sia Dapagliflozin che Empagliflozin, che
hanno dimostrato che questi non solo riducono la morte cardiovascolare e lo scompenso nel
diabetico scompensato, ma anche nello scompensato non diabetico. Proprio per questo, alcuni mesi
fa, le linee guida hanno aggiunto questa classe di farmaci alla terapia per scompenso, rendendolo il
quarto pilastro della terapia moderna dello scompenso cardiaco (non ancora in Italia).
Riassumo la terapia dello scompenso in alcuni punti:
1. Si inizia con ACE inibitore o beta bloccante;
2. Poi si aggiunge MRA;
3. Poi si aggiungono Sacubitril/Valsartan.
Se lo scompenso è grave, si inizia subito con beta bloccante, MRA, ARNI3, gliflozina. In Italia,
quest’ultima opzione non è ancora possibile: se il paziente non risponde bene alla terapia, si
sostituisce il sartano con l’ARNI, e se anche quest’ultimo ancora non funziona, allora si tenta la
gliflozina. Le linee guida, non ancora applicate, direbbero invece di cominciare con la gliflozina
(“sporchi, maledetti e subito”, evidenzia il professore).
Non è ancora chiaro perché funzioni la gliflozina. Si sa, però, che blocca una pompa renale (SGLT2).

3
ARNI (non specificato dal professore): Angiotensin Receptor Neprilysin Inhibitor, nuova classe di farmaci il
cui capostipite è composto da una combinazione fissa 1:1 di Valsartan e Sacubitril in grado di inibire la
neprilisina, che degrada i peptidi natriuretiti.
Riporto alcune slides su cui il professore non si è soffermato, in quanto dà per scontate le
informazioni contenute.
CLINICA E PATOLOGIE DEL TORACE - CARDIOLOGIA - Lezione n.9 - 31/03/2022 - Prof. G. De Ferrari
(Cristina Lapolla Mattia Maiorella)

CARDIOPATIA ISCHEMICA (IHD: ISCHEMIC HEART DISEASE)

La malattia cardiaca ischemica è un disequilibrio tra il flusso coronarico e i fabbisogni del


miocardio, dovuto a un della circolazione coronarica. Nella stragrande maggioranza
dei casi, questa situazione di squilibrio del flusso coronarico e dei fabbisogni di ossigeno è dovuta
a una malattia coronarica ostruttiva. Può essere presente, però, malattia coronarica ischemica
anche in presenza di deficit non ostruttivo.
La malattia coronarica ostruttiva normalmente viene chiamata CAD (coronary artery disease) ed
è, come dicevamo, la circostanza più frequente (85-90% dei casi). Essa è prevalente negli uomini,
poiché le donne godono della protezione estrogenica e sono soggette a meno fattori di rischio
(la percentuale di donne fumatrici è tendenzialmente minore della rispettiva maschile). Esiste
tuttavia la possibilità di una malattia cardiaca ischemica in assenza di ostruzioni coronariche e
questo fenomeno si verifica più frequentemente nelle donne, a volte di età relativamente
giovane; in questo caso coronarica può essere dovuta a un fenomeno trombotico di
erosione su placca, diversa dalla rottura della placca che, invece, rappresenta la classica
manifestazione della sindrome coronarica acuta. La diagnosi di CAD non ostruttiva risulta più
complicata, poiché spesso si instaurano meccanismi aggiuntivi (come la disfunzione endoteliale
con alterazione del micro e macrocircolo, come i fenomeni di vasospasmo vale a dire aumento
del tono arterioso che così genera fenomeni ischemici).
Questa maggiore complessità nella fisiopatologia si traduce in una minor chiarezza sulla terapia
e sul migliore approccio a questo tipo di problematica.
della cardiopatia ischemica può essere causata da diversi fenomeni:

- classica vede una progressiva evoluzione della placca aterosclerotica,


partendo dalla cosiddetta stria fibrotica, che prevede: la risposta endoteliale a seguito di un
stria lipidica a
livello endocardico. In seguito, si verifica il progressivo accumulo di lipidi che porterà alla
formazione della vera e propria placca. Questa è la definizione di placca stabile.
Diversamente da quello che si può pensare, non è assolutamente vero che la placca instabile
sia più importante della placca stabile. Spesso, infatti, è vero il contrario. La placca stabile è
molto sclerosante ma, comunque, poco prona alla rottura.
Ciò che differenzia i due tipi di placca è il contenuto del core lipidico, più ricco nella placca
son presenti poche cellule muscolari lisce e tante cellule
infiammatorie. In particolare, il professore sottolinea come, ,
risaltino -cito-
seguito del processo di fagocitosi delle LDL ossidate.

discontinuità della placca.


fenomeni di shear stress, ossia la forza tangenziale che agisce sul vaso, la quale rende ragione
della criticità della spalla della placca, la sede dove può avvenire la rottura della placca.
La rottura della placca è il meccanismo tipico della sindrome coronarica acuta.
A seguito della rottura, avviene un contatto tra il materiale altamente trombogenico del
core lipidico ed il sangue, evento che dà inizio alla cascata di adesione piastrinica (trombo
bianco poi trombo rosso) che porta alla sindrome coronarica.

distruzione endoteliale, vi è , che


quando transitoria può determinare (o angina variante); molto più
frequente, invece, in occasione di un vasospasmo duraturo,
danno.
Ci sono poi anche fenomeni di erosione di placca non critici, meno importanti.

Degno di nota, invece, un fenomeno raro ma assai sgradevole che si verifica per lo più in
giovani donne, favorito probabilmente da malattie genetiche solo in parte note (come la
sindrome di Marfan o di Ehlers-Danlos), caso per via di
uno squilibrio ormonale importante): la dissezione coronarica. Essa può iniziare come una
prima fissurazione endoteliale che poi, a causa delle forze idrauliche date dalla presenza di
flusso ematico, procede come uno slaminamento della parete del vaso. Ciò causa stasi
ematica, che può portare a infarto miocardico.
Infine, un contributo alla malattia coronarica può essere dato dalla disfunzione
microvascolare, che altera la fisiologia coronarica e di conseguenza il flusso coronarico in
soggetti a rischio. Ricordiamo che l loro
notevole influenza sulla regolazione della pressione, in quanto sede di resistenze periferiche. La
disfunzione microvascolare è piuttosto difficile da diagnosticare perché, ad oggi, non è ancora
possibile valutare con precisione le resistenze del microcircolo coronarico.

Tra le misure che possono stabilizzare


- la riduzione )
- la riduzione del contenuto dei lipidi
- la riduzione di pressione.

Questo è un processo dinamico, quindi, la placca può diventare instabile e poi ristabilizzarsi in
un processo detto di rimodellamento della placca. Vi sono elementi che contribuiscono a
stabilizzare la placca (collagene e cellule muscolari lisce, che creano il cap di protezione) e
elementi che contribuiscono a instabilizzare la placca (cellule infiammatorie).
Le citochine infiammatorie contribuiscono della placca, così come le
metalloproteinasi che, degradando il collagene, tendono a instabilizzare la placca.
Teoricamente, ci sarebbe un equilibrio tra la produzione di collagene e la sua distruzione ad

metalloproteinasi, capiamo bene che il rischio di destabilizzazione della placca aumenterebbe.


CLASSIFICAZIONE IHD

La malattia ischemica cardiaca include uno spettro ampio di manifestazioni:


angina stabile, che è la più classica;
sindromi coronariche acute, che si distinguono a loro volta in tre categorie:

1. Angina instabile (UA)


2. Infarto miocardico non caratterizzato da sopraslivellamento persistente del tratto ST (NSTEMI)
3. Infarto miocardico caratterizzato da sopraslivellamento persistente del tratto ST(STEMI).

( Mentre
manifestazioni come le caratteristiche della placca, il tempo di inizio e la durata dei sintomi e
terapeutico, sono diverse. Bisogna sempre vedere qual è tra sintomi stabili e
sintomi in peggioramento.)

EPIDEMIOLOGIA di IHD

Dal punto di vista epidemiologico la malattia coronarica è la prima causa di morte soprattutto
nei paesi a reddito medio-alto e alto, seguita dalle malattie cerebrovascolari e dalle altre malattie
cardiache. do poi di incidenza nei paesi
medio-
Vi sono una serie di fattori maggiori che aumentano il rischio cardiovascolare, quali: il colesterolo
LDL alto, il fumo, la pressione arteriosa alta, il diabete, progressiva, lo stile di vita
sedentario, il sesso e Tra i precedenti risultano correggibili: lo stile di vita sedentario, il
fumo, in parte il diabete. Possiamo poi avere dei fattori predisponenti, quali la familiarità.
Tra questi si possono distinguere i fattori modificabili e quelli non modificabili. Infine, ci sono altri
fattori meno importanti che possono modulare verosimilmente il rischio cardiovascolare.
Questi ultimi sono i trigliceridi, LDL piccole o pesanti, alterazioni della lipoproteina A, fattori
protrombotici e uno stato infiammatorio particolarmente rilevante (per esempio elevati livelli di
proteina C). molto elevata sembra inoltre avere un ruolo trombotico (il professore
a questo punto si dilunga sul trattamento di livelli di omocisteina alta con la somministrazione di
folato, il che, viene detto, non trova evidenza scientifica per quanto venga comunque prescritto).

Un fattore interessante è la proteina C reattiva, che conferma come la malattia aterosclerotica


sia una malattia sistemica a base infiammatoria. La presenza di una malattia infiammatoria
cronica, infatti, rappresenta un potentissimo fattore di
rischio per malattia coronarica.

Valutazione del rischio di aterosclerosi coronarica

Il modulo più classico della valutazione del rischio di aterosclerosi coronarica sono le tavole

fumo, con in ascissa il colesterolo totale e in ordinata la pressione arteriosa sistolica. Qui si può
identificare il rischio di sviluppare una malattia coronarica severa in dieci anni, sulla base del
colore che si può vedere nella tabella. La popolazione presa in analisi nelle tabelle sovrastanti è
unicamente di sesso femminile.
Normalmente si
suddivisa

aumento del rischio di malattia coronarica. Si osserva, inoltre, abbia un rischio


maggiore della donna e come i fumatori e le fumatrici abbino un rischio maggiore rispetto alla
popolazione non fumatrice.

ANATOMIA CORONARICA
Le arterie coronarie sono le arterie responsabili di portare il sangue alle varie zone del miocardio.
La coronaria sinistra presenta un tronco comune e due biforcazioni principali che sono la
coronaria circonflessa e la coronaria discendente anteriore .
La coronaria destra, che arriva fino alla crux cordis, fornisce la discendente posteriore, la quale
gira dietro il cuore, ed il ramo postero-laterale.

Il flusso coronarico è prevalentemente diastolico perché, durante la sistole, la pressione


esercitata dal ventricolo sn tenderà a schiacciare i rami perforanti (tutti ad eccetto di quello
epicardico), portando ad un aumento vertiginoso delle resistenze coronariche. Il flusso nella
coronaria sinistra, che irrora gran parte del ventricolo sinistro, infatti è quasi nullo nella fase
iniziale della sistole. Per quanto riguarda la coronaria destra, invece, il flusso tra sistole e diastole
è meno variabile perché il ventricolo destro lavora a pressioni minori (25-30 mmHg invece che
120 mmHg del ventricolo sinistro), quindi si sviluppa una minore resistenza coronarica al flusso.
Il tratto di coronaria destra che irrora il ventricolo sinistro segue lo stesso tipo di variabilità
sistolo-diastolica della coronaria sinistra.
Diversamente da altri organi, il miocardio consuma molto ossigeno e lo estrae in maniera
importante (intorno al 70%-75%). Se si prende una saturazione venosa dalla giugulare si nota
come il cervello non consumi ossigeno. La saturazione del sangue venoso refluo dal
consumato solo il 20%
legato
Il cuore, invece, consumando molto ossigeno non ha molto margine per aumentare
Se il consumo di ossigeno aumenta molto, infatti, non basta aumentare e il consumo
di ossigeno, ma bisogna aumentare il flusso coronarico.

AUTOREGOLAZIONE E RISERVA CORONARICA

È presente un range di autoregolazione sul flusso coronarico, vale a dire la capacità di mantenere
un flusso costante entro un certo range di pressioni coronariche.
È possibile effettuare un test di massima vasodilatazione dando dei nitrati (nitroglicerina) ad alta
dose: ciò comporta una vasodilatazione completa delle coronarie che fa triplicare/quadruplicare
il flusso coronarico. Ciò rappresenta la riserva coronarica, cioè la quantità di volume di sangue
in più che può essere veicolato a seguito di vasodilatazione massimale. Essa, in condizione
fisiologiche, è in grado, allora, di produrre un flusso fino a quattro volte il flusso coronarico
basale, così da poter rispondere alle esigenze metaboliche cardiache quattro volte superiori.
Questa riserva coronarica dipenderà ovviamente di stenosi coronariche. Quando la
pressione di perfusione scende al di sotto del livello di autoregolazione (nel grafico tale punto
corrisponde a 40 mmHg), si verifica ischemia perché tale flusso coronarico non è nemmeno in
grado di rispondere alle esigenze metaboliche basali del miocardio.

Il flusso è dato dal rapporto tra la variazione di pressione e le resistenze; quindi,


delle resistenze si riduce il flusso. Le resistenze, però, come dicevamo, non sono date dalle
arterie epicardiche, ma dalle arterie successive più piccole, dai capillari e precapillari.
Diverso è ciò che avviene in caso di stenosi coronarica: la resistenza al flusso aumenta; per
questo aumento
delle resistenze (R1) attraverso una riduzione delle resistenze microvascolari (R2). Tale controllo
e ADP (potente
a livello delle
coronarie epicardiche, il circolo coronarico cerca di compensare, riducendo le resistenze
coronariche nelle coronarie più piccole. Questa è la riserva coronarica, ovvero un meccanismo
che serve a tutelare durante uno sforzo e in situazioni patologiche. Riducendo R2,
però, diminuisce la riserva coronarica perché le resistenze microvascolari fisiologicamente sono
già state ridotte per sopperire alla stenosi coronarica.
importante del flusso coronarico, che può aumentare fino a quattro volte rispetto al flusso a
riposo. La riserva coronarica si riduce più aumenta la percentuale di stenosi, in termine di
percentuali di diametro. nuzione della riserva
coronarica
estremamente importanti. (Con un test da sforzo si può stimare il consumo della richiesta
metabolica sulla base della misura dei METs -metabolic equivalents-). Più progredisce la stenosi,
più sarà sufficiente uno sforzo modesto per causare ischemia. Per livelli di stenosi tra e il
90% si può avere anche a riposo.

ANGINA STABILE
Convenzionalmente la placca stabile è caratterizzata da una crescita abbastanza fissa e continua.
La placca coronarica stabile dà luogo ad coronarica fissa. In questo caso si ha un
aumento della domanda di ossigeno, che a sua volta può determinare miocardica.
Questo tipo di placca può quindi determinare di angina stabile, ovvero angina da
sforzo con placca stabile. Un esempio di angina da sforzo può essere dato da un paziente che,
camminando a velocità costante per andare a comprare il giornale, riferisce dolore al terzo
isolato. Il dolore si manifesta sempre in seguito ad uno sforzo abbastanza stabile.

SINDROME CORONARICA ACUTA


Le sindromi coronariche acute sono caratterizzate . La placca
vulnerabile è la placca predisposta a subire un fenomeno di rottura, che avviene generalmente
alle spalle della placca e non nella zona centrale. Successivamente, si ha la perdita di integrità
determina del pool lipidico, altamente protrombotico. Questo
fenomeno del tissue factor, dà inizio alla cascata di aggregazione piastrinica,
primo fenomeno trombotico, fattori della coagulazione. Seguirà
aggiunta di fibrina che determina la formazione del classico trombo rosso che chiude le
coronarie. Le manifestazioni cliniche di tale fenomeno sono le sindromi coronariche acute e la
morte improvvisa. La morte cardiaca improvvisa in almeno metà dei casi è la prima
manifestazione di malattia coronarica. Il paziente non sa di avere una malattia coronarica, ha una
sindrome coronarica acuta e va in fibrillazione ventricolare.
rottura della placca e dalla formazione di un trombo.

A questo punto, viene ribadita la fisiopatologia che porta alla formazione della placca
aterosclerotica: la progressione parte dal danno endoteliale progressiva formazione della
placca (alla quale contribuiscono il pool lipidico e la fibrosi). Se la placca si stabilizzasse, si avrebbe
poi la manifestazione del trombo.
Ancora, aggiungiamo che il trombo può essere:
- Parzialmente occlusivo
- Completamente occlusivo

Non è sempre vero al 100% dei casi ma è importante distinguere le manifestazioni cliniche di
sindrome coronarica acuta perché il trattamento sarà diverso. Inoltre, è verosimile che alcuni
trombi non occlusivi non siano sintomatici, ossia che si verifichino rotture di placche con piccole
manifestazione trombotiche adese che, tuttavia, non danno manifestazioni cliniche. Avviene,
poi, un processo di rimodellamento e guarigione della placca che che porta spesso a necrosi e
calcificazione della placca stessa.
Il fenomeno della calcificazione della placca è uno dei fenomeni più oggetto di studio degli
ultimi dieci anni; Attraverso una TAC del torace è possibile calcolare il calcium score (CAC),
ovvero la quantità di calcio presente sul cuore. Il calcium score è associato al rischio di
malattie coronariche ed è tra i criteri di rischio delle linee guida della società europea di
cardiologia.

Se un paziente ha un CAC alto, vuol dire che ha tante placche guarite, ovvero che ha tante
placche rimodellate non a rischio di instabilizzazione. Il paziente ha quindi tante placche
che si sono instabilizzate senza dare sintomi clinici e che sono andate in contro a necrosi e
calcificazione del core lipidico. Avere un CAC alto significa, quindi, avere una storia di
tanta aterosclerosi che è andata incontro a processi di instabilizzazione e rimodellamento.
Un paziente con CAC alto è un soggetto con aterosclerosi che, avendo avuto
tante instabilizzazioni, è a rischio di averne La presenza di molto calcio è, però,
fenomeno di una placca ormai stabilizzata. Fanno, p e r ò , eccezione le microcalcificazioni,
che sono calcificazioni invisibili alla TAC normale, che sono invece associate a un rischio di
instabilizzazione.

Vi è anche la possibilità che uno o più pezzetti di un trombo si stacchino ed embolizzino in un


vaso più periferico, arrecando danni al microcircolo. Ciò causa un aumento delle resistenze
coronariche e ne diminuisce il flusso.
Questo fenomeno può sia essere spontaneo sia essere causato dal cardiologo quando esegue
pallone
e una quota si frammenta e va in giro nella circolazione.

(La visualizzazione dettagliata delle placche aterosclerotiche è resa possibile dalla tecnicaOCT (tomografia
a coerenza ottica), che ha sostituito la tecnica IVUS (intravascular ultrasound intracoronary)

Un argomento di rilevante interesse è la possibilità che il colesterolo cristiallizzi. La capacità del


colesterolo di cristallizzare può dare un danno meccanico: si formano degli aghi di colesterolo
bilizzazione della placca. Ciò ricorda la
fisiopatologia della gotta, in cui gli effetti meccanici attivano
che la presenza di cristalli di colesterolo siano dei forti predittori di rischio
COSA SUCCEDE IN CASO ?

20 minuti.
Convenzionalmente, quindi, si ritiene che 20 minuti siano lo spartiacque tra un danno reversibile,
Nella diapositiva sovrastante
si può vedere lo schema classico di una occlusione coronarica totale senza grande flusso
collaterale: zero aree a rischio per i primi venti minuti (in realtà coronarica dà luogo
ai fenomeni di stunning -stupore, stordimento- e precondizionamento, come spiegato in
seguito). Con la progressione della durata coronarica (parliamo di occlusione
coronarica totale) si ha morte di qualche cellula che generalmente inizia nel
subendocardio, che e
o
scorre il tempo, più
con una riperfusione, meno il ventricolo subirà danno.
È inoltre possibile salvare più o meno un infarto, a seconda del momento in cui cerchiamo di
il passare degli anni, il tempo oltre il quale la riperfusione non
dà più benefici è passato da 6 a 12 ore. Ad oggi si dice che ha senso riaprire una coronaria e
riperfondere almeno fino a 12 ore. Nella slide abbiamo
coronarica che si verifica nella zona interventricolare anteriore, ovvero apicale sottesa
discendente anteriore. Sono esemplificati tre tipi di risposta e alla
successiva riperfusione coronarica.

CASO A: ha iniziato a soffrire solo rischio. In tale area è avvenuta


con durata inferiore ai 20 minuti. È quindi presente miocardio vivo con
post ischemic dysfunction. Questa disfunzione post ischemica di tipo sistolico è detta stunning.
Le cellule ischemiche al momento della riperfusione sono vive ma si mettono a riposo secondo
un meccanismo di preservazione della vita, evitando di continuare a contrarsi senza riserve di
ATP e di ossigeno. Tali cellule rimangono a riposo anche dopo la riperfusione per un tempo
proporzionale alla durata e alla quantità di deplezione delle riserve energetiche
della cellula. La cellula post ischemica ha quindi una disfuzione reversibile transitoria detta
stunning, la cui misura dipenderà dalla durata e d ischemico.
CASO B: Se abbiamo una riperfusione dopo un tempo relativamente breve, come ad esempio 2/3
ore, riusciamo a salvare molto infarto. Sarà presente un core centrale
cellula è morta e una zona più ampia (che può corrispondere anche area a rischio) dove
invece lo stunning. Quindi solo più centrale sarà completamente morta e intorno ad
essa ci sarà una zona ancora viva, ma che presenterà una disfunzione sistolica. Questo è il motivo
frazione di eiezione sarà ridotta, ma, se la riperfusione avviene in tempi
abbastanza brevi, sarà possibile osservare un recupero della funzione contrattile.

CASO C: quando non si ha una riperfusione coronarica o quando questa non avviene in tempi
questo punto
non si potrà più recuperare il tessuto miocardico.

In fase di ischemia subendocardica la manifestazione elettrocardiografica tipica è la depressione


del tratto ST (1-3 mm al di sotto della linea isoelettrica). In caso di infarto miocardico acuto
(STEMI) si può avere di lesione o onda di Pardee, che presenta un sopraslivellamento
del tratto ST. L traduce in una cicatrizzazione, cioè una
morte cellulare con una perdita di voltaggio
manifesta con Q di 40 ms di durata. Tale onda è
altamente specifica per pregressa necrosi miocardica.
ISCHEMIA RIPETITIVA
Le ischemie ripetitive, anche se reversibile, danno origine a una serie di fenomeni:
1. precondizionamento ischemico
2. formazione di collaterali
3. miocardio stordito (stunning)
4. miocardio ibernato

1. PRECONDIZIONAMENTO ISCHEMICO
Si prenda un animale e gli si chiuda discendente anteriore creando a livello prossimale
un grosso infarto del 40% della massa del ventricolo sinistro. Ripetendo
infarto che è sempre circa il 40% del ventricolo sinistro. Si prenda lo stesso animale e, prima di
fargli cronica, si facciano due o più occlusioni reversibili. Si potrebbe pensare che
danno maggiore; in realtà è esattamente
precondiziona in senso favorevole
coronarica successiva.
Questo è il precondizionamento ischemico, fenomeno per cui il fatto di avere dei brevi periodi di
ischemia successiva.

2. FORMAZIONE DI COLLATERALI
Altro fenomeno che giustifica la riduzione del danno miocardico è di flussi collaterali.
flusso
collaterale, che sarà più efficiente miocardica successiva.
Un esempio di formazione di collaterali lo si può vedere nel fenomeno di Walk-through angina.
Esso è un fenomeno per cui una persona ha un dolore toracico che poi va via, nonostante
è dovuto al
reclutamento di circolo collaterale durante
Clinicamente viene dimostrato che i pazienti che hanno angina nei giorni precedenti hanno un
infarto più piccolo dei pazienti che non presentano angina nei giorni precedenti. Spesso un

clinica di lunga data di malattia coronarica con angina, perché avrà molte
anastomosi che garantiscono la presenza di un flusso collaterale.

3. MIOCARDIO STORDITO o STUPITO (STUNNING)


(descritto precedentemente)
Il miocardio stordito è una conseguenza post ischemica caratterizzata da disfunzione meccanica
sistolica. È il fenomeno per cui la capacità di contrazione sistolica si riduce e poi tende nel tempo
a ritornare normale. Più è grave, più la cinetica di ritorno a una coronaria normale è
lenta. Esso si verifica a seguito di occlusione coronarica.

4. IBERNAZIONE
stunning sono entrambi fenomeni di disfunzione contrattile
sistolica. Mentre lo stunning è un fenomeno reversibile che avviene al ripristino del flusso dopo
flusso cronicamente ridotto. Si ha, ad
esempio, il 15% del flusso e la cellula smette di contrarsi per non morire. Un esempio è ciò che
avviene in inverno agli orsi, che vanno in letargo passando da una frequenza cardiaca di 70 bpm
a 20 o 10 o 5 battiti di una riprogrammazione dei miociti:
essi si riprogrammano ma non si contraggono. Si può avere anche ibernazione senza stunning.
Un miocardio ibernato è un miocardio in grado di ritornare normale.
CLINICA E PATOLOGIE DEL TORACE, CARDIOLOGIA – Lezione 10 – 04/04/2022- Prof. De Ferrari –
(Rosa Ruo, Giulia Sordello)

La lezione riprende dalle possibili conseguenze


dell'ischemia. La cardiomiopatia ischemica può
essere l’espressione della combinazione di
stunning o di ibernazione. La presenza di
stordimento e ibernazione di solito conduce a un
quadro di disfunzione ventricolare sinistra che
spesso viene definita come cardiomiopatia.
Quali sono le conseguenze della cardiomiopatia?

Abbiamo già visto questo disegnino: il famoso


rappresentante di commercio che porta pesi,
vasocostretto per il freddo e per il pranzo pranzo, che produce un po' di flusso arterioso che va
all'intestino e poco flusso che va al cuore. Manifesta angina pectoris.

La distribuzione anatomica dell’angina fa


parte della medicina classica. Il dolore si
manifesta più frequentemente in zona
retrosternale sul lato sinistro e al braccio
sinistro, meno frequentemente
retrosternale sul lato destro. Anche il
dolore epigastrico, alla mandibola e al
dorso, il quale spesso si accompagna al
dolore retrosternale, è poco frequente.

Nella diapositiva sono mostrati alcuni dei segni tipici di indicazione di dolore toracico di tipo
coronarico. L'indicazione puntiforme (pointing sign) di solito è molto suggestiva di dolore non
cardiaco. La localizzazione del dolore anginoso si può individuare con il segno di Levine, con il segno
della mano aperta (Palm sign) e il segno del braccio (Arm sign).
I fattori che provocano l'angina sono quelli in cui aumentano il consumo di ossigeno, la pressione
arteriosa e la frequenza cardiaca, come nel caso dell' esercizio fisico, dello stress mentale, di pasti
pesanti, freddo, di un risveglio brusco: tutte queste cause sono suggestive di probabilità di
un’ischemia anginosa. Tipicamente il primo esercizio del mattino viene più comunemente associato
al dolore rispetto a quello nel corso della giornata.

Quando va via il dolore? Quando il paziente si mette a riposo. Nell'arco di secondi o al massimo uno
o due minuti il dolore va via. È molto efficace l'utilizzo di farmaci: tipicamente si somministra la
nitroglicerina, l’isosorbide mononitrato sublinguale o spray, che riducono il dolore fino a farlo
scomparire.
Naturalmente il tempo è una variabile critica: se vi sono pazienti che prendono il carvasin (trinitrina)
sublinguale e il dolore passa soltanto dopo venti o trenta minuti, non abbiamo una risposta positiva:
la risposta positiva deve avvenire nell'arco di pochi minuti, quattro o cinque, per determinare che
si tratti di dolore anginoso. Infatti è utilizzato come sistema efficiente di diagnosi ex adiuvantibus,
per misurare la qualità del dolore. Si esorta il paziente a sciogliere la compressa sotto la lingua, a
non restare in piedi, ma di mettersi seduto (questo perché la somministrazione di nitrati causa una
vasodilatazione importante con grande riduzione del ritorno venoso e, se il paziente è in piedi, può
avere una sincope) e osservare entro quanto tempo il dolore passa, sempre che passi.
La tipologia del dolore, di cui abbiamo già parlato, è un dolore toracico oppressivo e costrittivo, ma
non è del tutto eccezionale nell’ambito della patologia cardiaca la possibilità che il dolore si associ
a una sintomatologia urente di tipo gastroenterica, come l'ulcera o l'esofagite.
A volte non è così importante che ci sia dolore. Si tende a chiedere al paziente di esprimere il dolore
in decimi, e sappiamo che il decimo corrisponde alla manifestazione di una sensazione intollerabile.
Tuttavia il dolore per infarto è abbastanza variabile nella sua intensità. Infatti il paziente potrebbe
avvertire semplicemente un fastidio invece di un dolore, anche di tipo lieve, ma che può durare
anche due o tre ore. La particolarità è che il paziente lo percepisce come una sensazione nuova, un
fastidio a cui non è abituato.
Per quanto riguarda l’irradiazione del dolore, il dolore
retrosternale si irradia nelle direzioni delle frecce come indicato
nell’immagine: la freccia più grossa va verso il braccio sinistro,
e indica la direzione di irradiazione più frequente, una freccia
verso il giugulo, una verso l'epigastrio e una verso la spalla.

I sintomi possono essere spesso associati ad altri sintomi di


accompagnamento. Possono essere sintomi soggettivi come
l'ansia o più oggettivi come sudorazione fredda, nausea,
vomito, dispnea, più raramente tosse e riduzione di pressione.
Di solito la durata del dolore è breve: pochi minuti.
Classicamente, se il dolore supera i venti minuti si tratta di infarto miocardico. Allo stesso modo, se
il dolore dura quattro secondi non è un dolore cardiaco; ugualmente, se il dolore dura un'ora e
mezza o due ore e non si rilevano segni d'infarto né all'elettrocardiogramma né agli enzimi, è assai
difficile che si tratti di un dolore di tipo coronarico.
Le diagnosi differenziali sono molto numerose. In base alla localizzazione vi sono dolori che possono
mimare in maniera importante al dolore coronarico. Alcune zone sono particolarmente insidiose: la
zona dell’esofago basso è innervata praticamente dagli stessi neuromeri che innervano il cuore e, di
conseguenza, è impossibile distinguere dalla sola sede anatomica un dolore del cardias da un dolore
farraginoso.

Diagnosi
Tra le tecniche diagnostiche della cardiopatia ischemica vi sono l’esame fisico,
l’elettrocardiogramma e i test di laboratorio.
Cosa si può vedere nella valutazione dell’obiettività nell'ambito dell'angina? L’obiettività è utile per
delineare un quadro nel quale possono essere presenti patologie concomitanti; ad esempio, se il
paziente ha un' insufficienza mitralica sentirò un soffio.
L’elettrocardiogramma è molto importante. L’ECG di solito prevede il tratto ST grande in corso di
ischemia mitralica acuta, accompagnato da sottoslivellamento del tratto ST tipico delle sindromi
coronariche acute NSTEMI (infarto miocardico acuto senza sopraslivellamento del tratto ST). In
prospettiva poi queste alterazioni possono o recuperare completamente o dare origine a quelle che
sono le onde T negative tipicamente post ischemiche. Quindi una classica manifestazione
dell'ischemia è l'evoluzione in T negativo. Nel caso di tratti di STEMI invece, l’elettrocardiogramma
sarà caratterizzato da un sopraslivellamento del
tratto ST.

Dal punto di vista del laboratorio, bisogna verificare


principalmente la presenza di una troponina
negativa o positiva, perché è lo spartiacque tra la
sindrome coronarica acuta non inflittuale? e l'infarto
miocardico NSTEMI (non ST sopra).

ANGINA STABILE
Quindi noi abbiamo da un lato l’angina stabile e dall'altro lato abbiamo le sindromi coronariche
acute. L’angina classica infatti è la “più classica” delle manifestazioni della cardiopatia ischemica ed
è l’unica, tra queste, a non essere considerata una sindrome coronarica acuta.
Per classificare la gravità dell'angina stabile si utilizza la classificazione Canadian Cardiovascular
Society detta anche CCS che ricorda, come impostazione, la classe NYHA (New York heart
Association) dello scompenso cardiaco.

Essa è divisa in quattro livelli.


Nella classe di livello 1 è possibile
avere angina solo per sforzi
straordinari: ad esempio spalare la
neve per mezz'ora a meno 10 gradi
con una pala di grandi dimensioni.
Invece la classe 2 è quella in cui sforzi
importanti, ma non straordinari,
tendono a dare dolore toracico, come
salire le scale a passo rapido. La
classe 3 è quella che prevede una
limitazione importante dell'attività,
come dopo una rampa di scale a
passo abbastanza sostenuto. Nella classe 4 il dolore può sopraggiungere anche a riposo.
Le linee-guida storiche per diagnosi di angina tipica, atipica e dolore non anginoso si fondano su
quanto è probabile che il dolore sia riconducibile alla patologia.
L’angina si definisce tipica quando vi sono tutte e tre le caratteristiche tipiche del dolore: se c'è
dolore tipico come sede, durata e qualità, se risponde a provocazione da sforzo e se il recupero dopo
riposo e trattamento con nitroglicerina. Invece l'angina è probabilmente atipica se ha almeno due
di queste caratteristiche e verosimilmente non si tratta di angina se non vi è nessuna di queste
caratteristiche.
La probabilità della malattia coronarica dipende dal fatto che il paziente abbia angina tipica, atipica
o dolore non anginoso, associato a una ulteriore probabilità “a priori” che è data dall'età e dai fattori
di rischio.
Se prendiamo in considerazione la variabile
dell’età, possiamo notare come essa sia
influenzata anche dal sesso. Ad esempio, un
uomo di 38 anni in presenza di angina atipica
vede il 60% di probabilità di avere angina vera
se il dolore è tipico, invece nella donna il dato
si riduce a meno della metà. Solo al
raggiungimento dei 70-80 anni le donne
iniziano a manifestare un certo grado di
affidabilità in base al dolore. È quindi
importante considerare l'aumentare dell'età, la variazione di sesso e la tipicità del sintomo: in
questo modo possiamo tendenzialmente stimare le probabilità della presenza di reale angina.

Naturalmente ci sono tecnologie, alcune nuove, che aiutano la diagnosi. A seconda del momento in
cui inizia l'ischemia possiamo avere datazioni più o meno rilevabili alle metodiche diagnostiche. Vi
sono anche metodiche che riescono a vedere difetti di perfusione al loro inizio: la scintigrafia di
perfusione evidenzia immediatamente la presenza di un difetto.
Il test da sforzo è stato per moltissimo tempo il cavallo di battaglia della diagnosi di angina. Ora,
nelle ultimissime linee guida dell'anno scorso, il valore del test da sforzo sulla malattia ischemica
cronica (quelle che adesso vengono chiamate con un acronimo nuovo CCS Chronic Coronary
Syndrome, per distinguerle dalle acute) è stato ridimensionato in relazione al suo valore predittivo
non altissimo. Infatti il valore è molto variabile nelle donne.
Gli esami riportati in diapositiva sono riconducibili a un uomo di giovane età (32 anni). In seguito a
test da sforzo ad un carico di lavoro di almeno 100 mV, si ha diagnosi di ischemia se risulta un
sottoslivellamento di ST. Più e alto questo sottoslivellamento, maggiore è la probabilità di avere
angina. Nell’ECG riportato, il paziente presenta un alterazione del tratto ST che supera ampiamente,
a 60 millisecondi dal punto J, i 250 circa mV, cioè due quadratini e mezzo, risultando quindi
diagnostico per ischemia inducibile da sforzo, in particolare se anche associato a un sintomo
sospetto.

Le linee guida odierne non hanno


completamente annullato il significato del
test di sforzo ma ne hanno ridotto il grado
di raccomandazione e hanno implementato
invece il ruolo della TAC. Oggi la TAC delle
arterie coronarie è in grado di avere un
valore predittivo negativo molto alto. Se
una persona di età intermedia, per esempio
intorno ai 65 anni, ha un dolore toracico,
una delle opzioni per valutare la presenza di
malattia coronarica o meno è proprio quella
di fargli una TAC.
Grazie ai nuovi macchinari degli ultimi anni,
come per esempio la TAC multislice, che è in grado in pochi secondi di esaminare grandi distretti
corporei e con una definizione spaziale molto buona, si riesce ad fare diagnosi molto affidabile di
malattia coronarica. Quindi molto di quello che si faceva con il test da sforzo fino a pochissimi anni
fa, adesso viene sostituito con la TAC coronarica. Fino a sette anni fa la TAC coronarica aveva una
classe 2, mentre adesso è stata promossa nella classe 1 (non aggiornato in diapositiva). La TAC
coronarica ovviamente ha il limite delle radiazioni ionizzanti.

Esiste un test raffinato, che però non è


semplicissimo da fare, che si chiama
ecocardiogramma da pedalata. Come
funziona? Si fa un ecocardiogramma mentre il
paziente pedala su una bicicletta a 45°. È molto
fisiologico e tecnicamente non facilissimo da
fare, perché se il paziente iperventila, muove
tanto la gabbia toracica.
Un'alternativa è l'ecocardiogramma da stress
con farmaci, tipicamente con utilizzo di
dipiridamolo, un vasodilatatore che induce
un'intensa dilatazione dei vasi, oppure di dobutamina, che è uno stressor di tipo adrenergico.

Questa è una scintigrafia, un esame utilizzato per cercare possibili anomalie nella perfusione del
miocardio sotto stress (da perfusione) e a riposo, cioè in rest.

Qui è visibile l'asse corto del


ventricolo sinistro che è
sostanzialmente un anello.
La parte di stress è sopra e la
parte di rest è sotto. Bisogna
confrontare se vi sono
differenze di perfusione,
quindi di colore, fra queste
due situazioni. Nello stress la
parte del setto infero-basale
è meno colorata, ma
complessivamente le
differenze sono abbastanza
modeste. Se c'è una
differenza significativa sarà
visibile una differenza sostanziale di colore, ma in questo caso abbiamo una differenza veramente
modesta.

Questi sono tipicamente i predistretti delle coronarie, quindi a seconda che si abbia un'alterazione
di un certo distretto, possiamo ipotizzare una stenosi significativa su quella specifica coronaria. In
questo caso le frecce dovrebbero puntare su una zona del cuore che è più debole come colorante
rispetto alla zona rest dell'asse corto nelle porzioni più basali.
Questa è una TAC coronarica che può essere ricostruita con un modello tridimensionale: si può
vedere l'aorta, il seno di Valsalva a destra, una coronaria a destra; a sinistra si vede il tronco comune
che poi si biforca in ventricolare anteriore e in circonflessa.

Specificità e sensibilità degli esami


L'elettrocardiogramma da sforzo tende a essere sempre meno utilizzato perché poco sensibile:
parliamo infatti di una sensibilità inferiore al 50%. Invece se noi andiamo a valutare la risonanza con
adenosina, cioè un test di medicina nucleare, arriviamo anche a 80-90%.
Alcuni esami sono più precisi: ad esempio la PET, che pero non si esegue spesso perché è troppo
cara ed è praticamente impossibile da organizzare; altri esami come la scintigrafia e
l'ecocardiogramma da stress si fanno più facilmente rispetto a un test di medicina nucleare, che è
associato anche a un esposizione radiologica.
Prognosi
La prognosi della cardiopatia ischemica dipende dalla serenità del quadro coronarico: più le
coronarie sono malate, più grave è la disfunzione ventricolare sinistra, peggiore è la prognosi del
paziente. Le probabilità di sopravvivenza peggiorano nella malattia trivasale, rispetto alla malattia
bivasale o alla malattia monovasale. Quindi i determinanti della prognosi sono la funzione
ventricolare sinistra e il grado di malattia coronarica, ed entrambi contribuiscono a peggiorare la
prognosi del paziente.
Molto dipende anche dalla localizzazione: avere una stenosi prossimale dell'ascendente anteriore
è diverso dall'avere una stenosi distale di una piccola coronaria circonflessa.

Trattamento
Cosa si dà al paziente? Sì dà il beta bloccante, il calcio antagonista, che riduce la frequenza, oppure
il calcio antagonista diidropiridinico. Quando questi farmaci non sono sufficienti si hanno dei
farmaci di seconda linea che possono essere i nitrati e la ranolazina.
Per ridurre il rischio nel caso di sospetto di malattia coronarica si possono utilizzare statine e
aspirina.
L'argomento se curare o meno una coronaria di un paziente con angina stabile da sforzo è un
controverso. Il professore dice che non esiste cardiologo, né tantomeno cardiologo emodinamista,
che non tenti di dilatare una coronaria a un paziente con angina stabile, perché è una tentazione
quasi inevitabile. Tuttavia non esiste una singola dimostrazione al mondo che fare questa cosa serva
a curare la malattia. Serve esclusivamente per migliorare la qualità della vita e per limitare la
frequenza e la severità degli episodi anginosi. Non esiste nessuna dimostrazione che migliori la
sopravvivenza o si riduca l'infarto miocardico.
Si può compiere una rivascolarizzazione per migliorare la prognosi solo nei seguenti casi:
- malattia del tronco comune con stenosi >50%
- stenosi della discendente anteriore >50%
- stenosi di 2-3 vasi coronarici >50% con disfunzione ventricolare sinistra
- grande area di ischemia (misurata con la scintigrafia >10% del ventricolo destro)
- una sola coronaria rimanente, poiché le altre sono chiuse.
In queste condizioni la rivascolarizzazione, quindi l'angioplastica, può avere un ruolo prognostico
significativo. In tutti gli altri casi, che sono il 70-80% delle angioplastiche fatte in alcuni ospedali, non
vi è alcuna dimostrazione che si stia facendo del bene.
Un’altra possibile indicazione per angioplastica è la presenza di una stenosi che non risponde alla
terapia medica, ma in realtà tutte le angine rispondono abbastanza bene alle terapie mediche.
Quindi l'esecuzione di un angioplastica in queste condizioni è tendenzialmente discutibile.
La gran parte delle rivascolarizzazioni, circa il 90% dei casi, avviene con angioplastica. La procedura
prevede prima una dilatazione, poi l’inserimento di uno stent montato su un pallone. Gonfiando il
pallone lo stent si apre, e ovviamente rimane in sede tenendo la coronaria dilatata.

Perché si mettono gli stent? Un tempo si facevano angioplastiche senza stent, ma la dilatazione
danneggiava sia la tonaca media che l'endotelio e la coronaria tendeva ad avere una risposta
negativa duplice: una risposta cosiddetta recoil, di tipo elastico, in cui la coronaria tende di nuovo a
restringersi, oppure una formazione di neo intima con proliferazione anche di cellule muscolari lisce,
che tende a far richiudere la coronaria.
La presenza di stent coronarici ha ridotto l'incidenza di ristenosi da un numero proibitivo, circa l'80%,
a un numero molto ridotto di 10-15%.
La rivascolarizzazione può essere fatta anche con un intervento di bypass. Possiamo avere bypass
di tipo arterioso, che sfruttano l’arteria mammaria inferiore, mettendola sull'arteria discendente
anteriore, oppure un bypass venoso, dove si utilizza un tratto di vena safena prelevata da una
gamba.

Sindromi coronariche acute


Le sindromi coronariche acute sono le altre manifestazioni della cardiopatie ischemiche. Vengono
divise in due tipologie:
- le NSTE-ACS, ulteriormente suddivise in due famiglie a seconda che siano troponina
negativa (in angina instabile, sempre meno diagnosticati perché le troponine sono sempre
più sensibili ) o positiva, che sono la maggioranza (NSTEMI)
- le STEMI.
Per NSTEMI intendiamo l’infarto del miocardio senza sopraslivellamento de tratto ST, mentre per
STEMI intendiamo l’infarto del miocardio con sopraslivellamento del tratto ST.
I criteri per una diagnosi di infarto miocardico, rispetto a una diagnosi di angina instabile, deve
prevedere l'innalzamento e la caduta dei valori di biomarker, di solito il marker di necrosi che
utilizza la troponina, con almeno un altro elemento:
- sintomi di ischemia,
- in ECG: l'alterazione del tracciato acuto, sviluppo di un'onda patologica (l'alterazione sull'ST con le
onde Q)
- evidenza a un test di imaging, come l’ecocardiogramma, di una zona del cuore che smette di
funzionare.
Avere almeno uno di questi segni è sufficiente per fare diagnosi di infarto miocardico se associato
alla presenza di una curva di troponina.

Esame fisico obiettivo


Se la diagnosi è importante,
altrettanto importante è
stratificare il rischio per decidere
come agire.
La classicazione Killip è un sistema
usato in pazienti con infarto acuto
del miocardio per la stratificazione
del rischio. Esso valuta la presenza
o meno di segni di insufficienza
ventricolare sinistra. È una
classificazione molto importante
perché è ad alto valore
prognostico.
La classe Killip 1 vede il paziente senza congestione polmonare, quindi non sono evidenti segni di
insufficienza ventricolare sinistra. Si avverte la presenza di ritmo di galoppo nella classe 2 per
presenza di S3, che indica un aumento della pressione diastolica del ventricolo sinistro, e la presenza
di rantoli (o uno o l'altro sono sufficienti per dare classe 2). L'edema polmonare dà la classe Killip 3,
lo shock cardiogeno è la classe Killip 4.
La mortalità varia moltissimo al progredire delle classi. Inizia a essere al 5-6% nella classe 2, è
dell'ordine del 25% nella classe 3, nell'ordine del 45% nella classe 4.

I criteri per diagnosi di infarto con sopraslivellamento del tratto ST


Secondo le linee guida L’ECG deve essere fatto il prima possibile, entro dieci minuti. I criteri per la
diagnosi di infarto con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI) sono di almeno di 0,2 mV negli
uomini e 0,1 mV nelle donne, in almeno due derivazioni consecutive.
In realtà vi è un po' di differenza sulla razza: la "razza nera" ha un ST normalmente più
sopraslivellato.

Che tipo di infarto è? Il ritmo è sinusale; il PR è 0,28 secondi, quindi sette quadratini, (blocco
atrioventricolare di primo grado); sopra ST in D2, D3 e aVF; sotto ST in V1, V2 e V3 e aVL: quindi
infarto inferiore posteriore.
La coronaria responsabile di questo infarto è la destra dominante che dà origine a DDP: questo
perché vi è una D3 che chiude la D2, quando invece è chiusa l'arteria circonflessa, nel 80% dei casi
la D2 è più sopraslivellata della D3, l'aVL è molto sottoslivellata.

Diagnosi differenziale con peridicardite


La diagnosi della pericardite è un po' diversa, è molto più scodellata in alto, e il dolore solitamente
diverso.
Nella pericardite l’ECG presenta alterazioni più diffuse, non vi è una distribuzione coronarica. Nella
pericardite si ha un sopraslivellamento del tratto ST piuttosto diffuso, e un sottoslivellamento in
aVR, che è speculare a tutte le altre derivazioni periferiche. Anche il PR sottoslivellato è un segno
molto caratteristico della pericardite.

Trattamento farmacologico
Cosa si fa a un paziente con uno STEMI? Bisogna fare la diagnosi, bisogna vedere che sia stabile; se
si è in ospedale dargli dell'ossigeno e monitorizzarlo. È importante somministrare l'aspirina come
primo antiaggregante: l'aspirina va data per tutte le sindromi coronariche acute. Il trattamento
ideale prevede 300 mg da
masticare per un assorbimento
orale, ma se siamo in ospedale
possiamo dare 150- 200 mg di
acido acetilsalicilico o
acetilsalicilato di lisina,
disponibile in vena.
La somministrazione di un
secondo antiaggregante
piastrinico è un argomento più
complesso. Va valutata sulla
base della durata dell'ischemia,
prima della possibile riperfusione. Se si decide per la somministrazione, perché ad esempio i tempi
di trasporto fino alla sala emodinamica sono lunghi, le dosi da fare sono:
- 600 mg di clopidogrel
- o 60 mg di prasugrel
- o 180 mg di ticagrelor.
Il beta-bloccante è ancora consigliato nel trattamento iniziale: si utilizza solitamente 2 mg e mezzo
di metoprololo fino a un massimo di 5 mg. Si utilizza il beta-bloccante essenzialmente per produrre
un consumo di ossigeno, non potendone aumentare l'apporto. La dimensione dell'infarto sarà
chiaramente anche determinata dl consumo di ossigeno. Se il consumo è basso la dimensione
dell'infarto sarà un po' più bassa.

Trattamento intervenistico
In tutti gli STEMI viene fatta una angioplastica
primaria, fino a circa 12 ore dall'esordio dei
sintomi. Ovviamente prima viene effettuata,
meglio è: se la si fa entro la prima ora, nella
cosiddetta golden hour, si riesce quasi ad
abortire l'infarto; fatta entro la terza ora, si
riesce a ridurre l’infarto in modo importante,
ma dopo la sesta ora l'induzione del beneficio
è veramente modesta. Tuttavia si tende
ancora a consigliare una rivascolarizzazione
entro le 12 ore e, in alcuni casi particolari, ad
esempio se si dimostra una persistenza del
dolore o una persistenza di ischemia, ci può
essere l'indicazione ad andare oltre le 12 ore.

In quanto tempo dobbiamo decidere se il


paziente può essere sottoposto a una
riperfusione non meccanica, quindi non a
un’angioplastica, ma a una fibrinolisi? La
fibrinolisi, cioè una rivascolarizzazione
farmacologica, è l’alternativa quando l'angioplastica non è effettuabile entro i limiti di tempo, cioè
entro i 120 minuti dal first medical contact, cioè dal momento in cui di fatto viene fatta la diagnosi
di infarto STEMI.
I farmaci più utilizzati per la
fibrinolisi sono t-Pasi, reteplase
ecc. L'urochinasi invece non è più
utilizzato da decenni.

Qui vediamo quanto cambia la


mortalità in base al tempo che
passa rispetto al momento della
diagnosi. Se noi aspettiamo 150
minuti invece di 90 minuti, questo
breve ritardo di un'ora fa quasi
raddoppiare la mortalità.

NSTE-ACS
La famiglia NSTE-ACS comprende l’angina instabile e il NSTEMI vero e proprio; quest’ultimo è
caratterizzato da un occlusione parziale della coronaria in presenza di sottoslivellamento ST.

L'alterazione all'elettrocardiogramma è quella tipica di sottoslivellamento di ST in fase acuta ed


evoluzione con T negative post ischemiche; la presenza di enzimi positivi, associato a dolore, indica
che c'è stata una zona di miocardio morto.
In diapositiva vediamo un sottoslivellamento ST ( sottolineato dalle frecce rosse) nelle derivazioni
inferiori, D2, D3, aVF e da V3 a V6. Sopraslivellamento speculare in aVR, aVL.
Perché questo non è uno STEMI? Perché aVR è l'unica derivazione che non esplora nessun pezzo di
cuore ed è quindi è essenzialmente una sommatoria delle alterazioni speculari delle altre
derivazioni. Quindi la sopra ST in aVR è il segno di un sotto ST molto diffuso nelle altre derivazioni,
tanto che il sopra ST in aVR è considerato un segno di sospetto per stenosi del tronco comune,
oppure stenosi dell'arteria interventricolare discendente anteriore, magari associata alla malattia di
un'altra coronaria.
Questo elettrocardiogramma suggerisce una stenosi del tronco comune, perché si verifica la
presenza di due fattori: un sotto ST diffuso sia inferiore, D2 D3 aVF, che anterolaterale, V3 V4 V5 V6.
Quindi abbiamo già un alterazione coronarica molto estesa. L'associazione del sopra ST in aVR di
fatto è un'altra manifestazione dello stesso concetto, che rinforza l'importanza del sotto ST nelle
altre derivazioni. Inoltre siamo in presenza di una marcata tachicardia: il paziente va a circa 120
battiti al minuto. Quindi questo è quasi certamente un intending shock, cioè uno stato pre-shock.

Diagnosi differenziale
Le sindromi coronariche acute da ST sopra necessitano di una diagnosi differenziale: infatti la
presentazione è identica e noi saremo certi della diagnosi solo dopo i risultati delle analisi del
sangue. Se il dolore è di un quarto d'ora si può sospettare un'angina, se il dolore è di un'ora si può
sospettare un infarto: ma di fatto, la diagnosi finale, se si tratti di angina instabile o STEMI, è quella
dell'utilizzo degli enzimi. La presenza di una troponina positiva significa danno miocardico, Quindi è
vera l’indicazione di infarto quando abbiamo la presenza di troponina, più dolore tipico, più
alterazione tipica dell'ECG.
Ma la presenza di troponina senza queste altre due cose è sì indicativa di un danno miocardico, ma
non deve prendere la parola infarto. Infatti si possono avere danni miocardici per una miocardite,
per una malattia infiltrativa come l'amiloidosi che muove la troponina, per uno stress da scompenso
cardiaco acuto. O anche per malattie non direttamente cardiache, come l'embolia polmonare, per
danni farmacologici, trauma, insufficienza renale severa, sepsi, ictus.
È importante comprendere che il movimento di troponina, soprattutto adesso che le troponine sono
molto sensibili, è indicativo certamente di danno, ma non è indicativo della causa del danno.
Alcune di queste patologie possono mimare l'infarto miocardico, tipicamente la miocardite
infartuale e la cardiomiopatia da Tako-Tsumo.

Gestione del paziente


NSTEMI tendenzialmente non ha gli stessi tempi dello STEMI, a meno che non vi siano degli eventi
aggravanti del NSTEMI stesso. È possibile seguire la curva enzimatica di CK, CK-MB e troponina, ed
è possibile fare una valutazione del rischio nel paziente con NSTEMI per decidere se fare subito una
coronariografia. Esiste uno score utilizzato per la prognosi della sindrome coronarica acuta,
chiamato Grace Score, che consiste nella sommatoria di una serie di fattori (età, frequenza cardiaca,
pressione sistolica, creatinina ecc.) che dà un punteggio rapportabile al grado di rischio coronarico.
Il punteggio può essere basso, medio o alto. Il rischio basso secondo le linee guida e sotto 108, il
rischio intermedio è 109 - 140, il rischio alto è sopra 140.
Il punteggio serve a definire una prognosi ipotetica e per valutare se essere particolarmente
aggressivi verso pazienti con un rischio alto. Questi ultimi verranno sottoposti a coronarografia
entro le 24h, mentre quelli a rischio intermedio verranno sottoposti a coronarografia a media
urgenza.

Quando si ha di fronte una sindrome coronarica acuta si è in una situazione "tra incudine e
martello". Da un lato bisogna contrastare il rischio trombotico, somministrano al paziente almeno
tre trattamenti antitrombotici, che saranno aspirina, inibitore della P2Y12 ed eparina;
eccezionalmente si somministra anche un inibitore della glicoproteina IIB/IIIA come quarto
antiaggregante.
Tuttavia il trattamento antitrombotico espone al rischio di emorragia. Per stimare il rischio di
sanguinamento si utilizza un calcolatore chiamato Crusade, uno score di per la stratificazione del
rischio emorragico (specialmente in pazienti con angina instabile). A seconda del punteggio Crusade,
vi sarà una più o meno alta probabilità di sanguinamento. La terapia per il paziente è perciò
fortemente personalizzabile sia in base al rischio trombotico che il rischio emorragico.
Quale inibitore della P2Y12 è meno potente? Il clopidogrel è meno potente del ticagrelor. Quindi
nel caso di un paziente con elevato Crusade score è consigliato l'uso del clopidogrel, rispetto al
ticagrelor, che di conseguenza è più indicato per pazienti con inferiore rischio emorragico.

Il cateterismo cardiaco
È un procedimento che va fatto con un intervento di angioplastica per pazienti con punteggio Grace
alto e in tutti i pazienti con troponina positiva, quindi in diagnosi di NSTEMI o di angina instabile o
stabile.
In pazienti appartenenti a queste categorie, la cateterizzazione con angioplastica, sin da dati forniti
nel 2002, si dimostra migliorativa della prognosi, ma tipicamente solo nel sottogruppo di pazienti a
rischio più alto, quindi classe di rischio 1 con un livello A. I tempi di intervento vanno ulteriormente
velocizzato se si è in presenza di angina refrattaria, se c'è scompenso cardiaco o aritmie. La
tempistica è di 72 ore, ma si sta tendendo a ridurre entro 24 massimo 48 ore per tutte le categorie
di rischio.

Complicanze dell'infarto
La complicanze sono più severe sono di natura meccanica: le rotture di parete libera, del setto
interventricolare, del muscolo papillari, con insufficienza mitralica acuta severa o presenza di
trombi, che danno in genere un quadro meno grave.
La presenza di un infarto senza alterazione
coronarica importante dà luogo al
cosiddetto MINOCA myocardial infarction
with non-obstructive coronary arteries,
una definizione che include diverse
patologie, tra cui gli spasmi coronarici o la
sindrome di Tako-Tsubo.

Che cos’è la sindrome di Tako-Tsubo? Il termine è di origine giapponese e indica una tipica anfora
stretta nella quale viene intrappolato il polipo: il polipo entra e non riesce più ad uscire a causa della
forma del collo che è troppo stretta.
La sindrome di Tako-Tsubo è caratterizzata tipicamente da dolore, scatenato nel 60% dei casi da
eventi stressanti; è più frequente in pazienti di sesso femminile.
La causa scatenante non è nota. È verosimilmente legata al sistema adrenergico, a causa della
differenza dei recettori adrenergici tra l'apice e la base. Nella Tako-Tsubo tipica la base funziona
ancora, mentre l'apice "spancia". Le alterazioni radiografiche tipiche consistono in un
sopraslivellamento transitorio del tratto ST nella sede dell'apice, tipicamente V2 V4, con evoluzione
con T negativo e QT lungo. Il movimento enzimatico è presente ma modesto, perché poche cellule
muoiono, molte sono gravemente disfuzionanti. Su questa base, nella risonanza sarà visibile molto
edema.
Si osserva una dilatazione (acinesia) dell’apice della
parete anteriore del ventricolo sinistro (balooning
dell’apice), contrazione della zona basale del setto e
della parete libera del ventricolo; contrattilità molto
debole del restante miocardio, un po’ ipocinetico;
forma di stunning. La dilatazione della parete
anteriore può avere forme atipiche.
La sindrome di Tako-Tsubo è reversibile: nel giro di sei
mesi tutto torna normale.
Clinica e patologia del torace – Cardiologia – Lezione 11 6/04/2022 – DeFerraris – Arianna Zamboni,
Stefano Sipala

[premessa: mi scuso anticipatamente per questa sbobina ma quel giorno il professore ha avuto problemi con le
diapositive, quindi, spesso è stato confusionario e un po’ approssimativo nell’esposizione degli argomenti. Ho cercato di
riorganizzare il discorso al meglio integrando anche dalla sbobina dell’anno scorso che vi consiglio comunque di
consultare in quanto più approfondita. Consiglio anche di guardare la presentazione PowerPoint del prof che è ricca di
animazioni Doppler e Echo che aiutano a capire molto meglio le varie alterazioni valvolari]

MALATTIE VALVOLARI

Le malattie valvolari sono all’origine di una serie di sovraccarichi cardiaci che possono condurre allo
scompenso cardiaco.
Distinguiamo sovraccarichi di volume o di pressione a seconda delle anomalie valvolari che
possiamo riscontrare, per esempio: quando si ha stenosi della valvola avremo un sovraccarico di
volume a monte della valvola stenotica, mentre quando la valvola è insufficiente il sovraccarico
riguarderà o entrambe le camere cardiache, se si ha insufficienza della valvola atrio-ventricolare, o
solamente il ventricolo, se è insufficiente la semilunare corrispondente.

Dal punto di vista epidemiologico la maggior parte delle malattie che danno origine a disturbi
valvolari, progressivamente crescenti nel corso della vita, sono dovute a un processo degenerativo
e progressivo tipico dell’invecchiamento, ad eccezione delle alterazioni valvolari congenite: ad
esempio nel caso della morte cardiaca improvvisa la Bicuspidia Aortica è una patologia congenita
fra le più frequenti che può dar luogo a una stenosi aortica precoce e a un’ insufficienza valvolare
relativamente precoce.

STENOSI AORTICA
Eziologia degenerativa della valvola aortica:
presenta una serie di similitudini con il processo degenerativo
aterosclerotico in quanto è presente una componente flogistica
a cui segue un processo di calcificazione della valvola stessa,
infatti se ricordiamo il processo di guarigione dell’aterosclerosi
della coronaria, alla fase infiammatoria segue il processo di
calcificazione che riguarda prima la placca e successivamente
l’arteria: questo fenomeno, più marcato, dello sviluppo di calcio
deposizione è quello che si verifica a livello della valvola aortica
e determina:
- Un iniziale e progressivo disturbo valvolare con flusso turbolento;
- Una successiva calcificazione della valvola con ridotta mobilità dei lembi;
- In ultimo, la progressiva fusione delle commissure valvolari (frecce sottili) dovute al processo
infiammatorio calcifico arrivando a determinare una riduzione dell’anulus aortico e quindi
Stenosi aortica.

Dal punto di vista emodinamico la stenosi aortica è determinata da un gradiente anterogrado che si
misura facendo la differenza fra i valori di pressione misurati da un catetere posizionato in
ventricolo e uno posizionato nel aorta (differenza di pressione fra ventricolo e aorta)
Si parla di gradiente Picco-Picco e di gradiente medio: il gradiente Picco-Picco è quello che si
misura all’apice della curva pressoria (se per esempio misuriamo 150mmHg in ventricolo e
100mmHg in aorta di sistolica massima il gradiente è di 50 di picco); quello che però si usa
maggiormente per dare definizione della gravità della malattia aortica è il gradiente medio, dato
dalla differenza fra la media delle due pressioni (ventricolare e aortica) ed è inferiore del gradiente
di picco.

Immagine calcificazione aortica (i lembi sono tutti alterati con


riduzione dell’area): un’area normale di una valvola aortica aperte è
fra i 2,5-3,5cm2 mente in condizione di stenosi severa l’area è < 1 cm2
(o < 0,55cm2/ m2 di superficie corporea)
Rimane comunque diversa la superficie di una valvola di una donna
di 40kg rispetto a quella di un uomo di 120 kg.

Si valuta la gravità della stenosi sulla base del gradiente medio


e non sul gradiente picco.
I criteri standard sono:
• Stenosi lieve: < 20 mmHg
• Stenosi moderata: valore fra 20-40 mmHg
• Stenosi grave: > 40 mmHg

La fisiopatologia del sovraccarico di pressione (aumento del gradiente pressorio)


determina un aumento dello spessore del miocardio di lavoro in modo da ridurre
!"
lo stress del ventricolo: lo stress è dato dalla formula ! = #$ quindi se aumenta
la pressione endocavitaria (che deve aumentare per colmare il gradiente)
riusciamo comunque a mantenere basso lo stress adattando il ventricolo all’aumento di pressione.
L’ipertrofia si associa a:
1. ridotta compliance (distensibilità) del ventricolo,
2. aumento delle pressioni atriali di sx,
3. aumento delle pressioni polmonari a monte e un aumento di dispnea (soprattutto quando la
diastole si accorcia: con tachicardia ed esercizio fisico)

Inoltre, la pressione che si trasferisce agli alveoli può causare un edema polmonare: per una
persona che non soffre di ipertensione cronica 25mmHg di pressione negli alveoli sono sufficienti
per causare edema polmonare (un po’ di più in caso di ipertensione cronica perché li alveoli si
adeguano alla pressione elevata).
La sintomatologia tipica è quella dell’angina da sforzo, astenia (sintomi iniziali), lipotimia
(sensazione di improvvisa debolezza non accompagnata da completa perdita di coscienza)
presincope e sincope (da sforzo e successivamente a riposo) e scompenso cardiaco.

La triade della stenosi aortica classica prevede dispnea, angina, sincope (di solito in questa
sequenza) e dal momento in cui si manifestano i sintomi la stenosi aortica entra in “classe
chirurgica” perché se non curata va in contro a più di 50% di mortalità in 6-9 mesi.

Diagnosi ed Esame obiettivo


AUSCULTAZIONE:
si presenta con un soffio mesosistolico a
diamante (in crescendo e decrescendo)
irradiato ai vasi del collo e con il secondo tono
variato (tendenzialmente ridotto perché c’è
meno chiusura della valvola dato che si apre
poco ma può anche essere aumentato
nell’intensità per eventuali calcificazioni).
PALPAZIONE:
Il polso può essere un po’ tardivo (pulsus
tardus) quindi se palpiamo la carotide durante
l’auscultazione sentiremo un leggero ritardo
rispetto al primo tono.

ECG: foto che mostra sovraccarico


ventricolare sx associato ad
ipertrofia:
- voltaggi alti nelle precordiali sx,
- tratto ST rigido discendente con
onda T negativa in D1, aVL, V5 e V6
- (il professore non lo cita quindi
riporto le sbobine dell’anno scorso:
il criterio di diagnosi dell’ipertrofia
ventricolare sx e l’indice di
Sokolow: somma del voltaggio
dell’onda S in V1 e R in V5-V6 ≥
35mm)

Radiologico: aumento del terzo arco di sx per


ipertrofia ventricolare sx, aumento della aorta
ascendente per dilatazione aortica ascendente post
stenotica e possibile aumento del secondo arco
(componente polmonare - freccia a sx) se c’è aumento
a monte delle pressioni polmonari.

Il primo esame da cui ci facciamo venire il sospetto di una stenosi aortica rimane comunque quello
ecocardiografico: possiamo osservare un lembo della valvola immobile (normalmente c’è una
apertura chiamata box aortico che si vedrebbe in M MODE) quindi l’apertura complessiva rimane
ridotta poiché solo uno dei due lembi si muove. (indicativamente osserviamo una separazione di 8-
9mm quando una separazione normale delle cuspidi sarebbe almeno di 20-25mm)
Doppler: quando il ventricolo non riesce più a ridurre lo stress di parete si va incontri a una
dilatazione ventricolare con riduzione della funzione ventricolare sx e quindi della frazione di
eiezione. Possiamo osservare la variazione di pressione e quindi il gradiente grazie alla variazione di
flusso attraverso la valvola: in questo esempio abbiamo 461cm/s che corrispondono a 85mmHg di
gradiente (picco-picco) e gradiente medio > 40. Siamo di fronte a una stenosi aortica severa certa.

Dal punto di vista diagnostico è un problema quando il ventricolo non pompa bene (si scompensa)
perché la capacità di generare un gradiente che dia delle informazioni adeguate sulla gravità della
stenosi dipende soprattutto dal flusso e non solo dalle dimensioni del buco, infatti anche se la
stenosi è severa ma la portata cardiaca è bassa il gradiente sarà basso (potremmo erroneamente
confonderla con una stenosi lieve poiché il gradiente è basso) à parliamo della cosiddetta LOW
FLOW/LOW GRADIENT Severe Aortic Stenosis, una condizione per cui la stenosi è severa ma non si
misura un gradiente alto perché la frazione di eiezione e il flusso sono ridotti.

Come facciamo a valutare se siamo di fronte a stenosi aortica con basso gradiente e abbiamo
l’impressione che sia severa, a verificare che sia effettivamente severa?
Un modo è aumentare il flusso: si fa un test provocativo con la dobutamina, si aumenta il flusso e la
contrattilità cardiaca: se aumentando la gittata sistolica (quindi il flusso) e il gradiente aumenta in
maniera significativa e diventa grave allora la stenosi è veramente severa à low flow low gradient;
se invece non aumenta (aumenta solo la portata ma non il gradiente) siamo di fronte a una stenosi
pseudo-severa.

Può succedere però che nonostante la dobutamina non aumenti la


portata e quindi non possiamo avere la controprova di come potrebbe
essere il gradiente se la portata dovesse aumentare.
In questo caso una secondo metodo potrebbe essere calcolare l’area
dell’orifizio aortico con l’equazione di continuità (AVA):
%&'&
A2= '(
Il terzo modo è guardare il calcio alla TAC dato che il meccanismo di stenosi aortica senile è
tipicamente calcifica. Si può quantificare con la scala di Agaston quanto è il calcio: se è sopra
determinati cut-off questo corrobora l’ipotesi che si tratti di una stenosi aortica calcifica severa.

TRATTAMENTO
Non esistono terapie medicinali per la stenosi aortica se non qualche intervento sulla frequenza
cardiaca; l’unica terapia è sostituire la valvola e l’intervento va fatto
• in tutti i pazienti che hanno gradiente > 40 e un sintomo.
• in pazienti con disfunzione ventricolare sinistra anche se senza sintomi
• se presenti segni di ipertensione polmonare

La sostituzione valvolare chirurgica ad oggi è sempre più frequentemente sostituita dall’approccio


percutaneo operata da cardiologi interventisti e si avvale o di protesi biologiche (solitamente di
maiale) o meccaniche.

Le linee guida sono vecchie (4 anni fa):


inizialmente l’indicazione di intervento era per i paziente a rischio alto e controindicato per pazienti
con almeno di un anno di attesa di vita, ora l’intervento essendo prevalentemente percutaneo è
divento la regola per i pazienti > 75 anni e rimane indicato per i pz < 75 anni a rischio chirurgico
elevato, mentre per quelli a rischio intermedio o ridotto si interviene discutendo con il paziente
sulla strategia terapeutica da intraprendere (ad esempio si discute se operare la sostituzione
valvolare classica o se fare la sostituzione transcatetere)
La sostituzione transcatetere si fa entrando dall’arteria femorale con un catetere abbastanza
grosso da 6mm (18 French) e si risale lungo l’aorta e si posiziona pallone a cavallo della valvola
aortica, si gonfia il pallone e la valvola si ancora con degli uncini al calcio in sede dell’anulus, spacca
la valvola stenotica e si appiccica al posto. Più raro è l’approccio transapicale (non si fa più) ovvero
transcarotideo o transucclavio.
Ci sono inoltre due tipologie di valvole entrambe ugualmente utilizzate: la prima è una valvola in cui
l’espansione è completamente dovuta dal pallone e una volta che è stata messa la valvola li rimane,
la seconda è una valvola “self Expand”, si posizionano con il pallone ma una volta posizionata
riprende una forma iniziale più ampia (sono fatte di un materiale che viene preformato e dopo che
vengono piegate riacquisiscono la loro memoria di forma)
Il tallone d’achille di queste valvole è il cosiddetto rigurgito paraprotesico dovuta a delle fessurine
fra la valvola e la parete aortica.
INSUFFICIENZA AORTICA
Vi possono essere poi insufficienze valvolari dovute a sovraccarico di
volume che sono meglio tollerata della stenosi aortica e non c’è
indicazione chirurgica in tempi brevi a anche se danno origine ai
sintomi classici di insufficienza cardiaca e di scompenso.

Cause tipiche di insufficienza aortica:


1) Bicuspidia Aortica
2) Cause reumatiche
3) Endocardite (speso può rompere i lembi aortici à emergenza
chirurgica)
4) Sindromi del connettivo: sindrome di Marfan che causando
una dilatazione della aorta ascendente e una tendenza alla
lassità oltre che legamentosa anche di altre strutture
connettivali, si associa a insufficienza aortica spesso severa
5) Aneurismi o ipertensione non controllata (causano mancata
coartazione dei lembi)

Complessivamente anche la dilatazione dovuta a sovraccarico di


volume tende ad aumentare lo stress di parete (nella formula
dello stress di parete una variabile è anche il raggio che se
aumenta determinerà un aumento diretto dello stress) inducendo
una risposta ipertrofica di tipo eccentrico (va verso l’esterno) a
differenza della stenosi aortica in cui l’ipertrofia è concentrica,
verso l’interno (riduzione del volume ventricolare).
A lungo andare però anche questa risposta compensatoria non
risulta più sufficiente e il ventricolo si sfianca, si dilata e si ha
perdita di funzione contrattile e della frazione di eiezione progressiva finché la pressione
telediastolica diventa importante portando ai tipici sintomi dell’insufficienza: dispnea e dispnea da
sforzo..

OBIETTIVITÀ

SEGNI:
• polso a martello (celer)
• grande pressione differenziale (sistolica alta - diastolica bassa)
• il segno di Quincke: pulsazione dei capillari del letto ungueale (schiacciando l’unghia si vede
“ballare” il segno rosso fra la zona perfusa e non perfusa)
• segno di De Musset: pulsazioni del capo con movimenti ritmici
• soffio diastolico in decrescendo: inizia dal secondo tono

(Excursus su De Musset: uomo della Parigi dei primi ‘900 solito frequentare molte donne tra cui
diverse prostitute che all’epoca erano affette da treponema. De Musset aveva quindi contratto la
Sifilide che come manifestazione cardiovascolare da una grave insufficienza aortica che si
manifestava con un segno tipico che è quello della testa che oscilla in avanti e indietro. Questo è
dovuto ad un polso che è così importante che fa oscillare la testa. Lo stesso segno era presente in
Abraham Lincoln, probabilmente affetto da Marfan, le cui foto lo ritraevano sempre con il piede
sfocato perché non riusciva a stare fermo (proprio per questa grandissima pressione pulsatoria) per
la durata della lunga esposizione tipica delle fotografie dell’800)

ECG è simile all’ipertrofia da stenosi perché siamo comunque in una condizione di sovraccarico
(dalla sbobina dell’anno scorso: la dilatazione e il sovraccarico possono causare sottoslivellamento
ST come da ischemia subendocardica)
Radiografia: simile alla stenosi ma più manifesto l’ingrandimento del cuore e dell’arco aortico per
via dell’insufficienza

Come si fa a capire se l’insufficienza è severa?


• Jet (getto/rigurgito) molto largo e spesso centrale
• Il flusso di rigurgito è olosistolico con una inversione del
flusso nell’aorta discendente
• Halftime (tempo di dimezzamento) della pressione aortica
< 200ms. È molto veloce perché aumenta rapidamente la
pressione telediastolica nel ventricolo sinistro (passa
molto sangue molto rapidamente) à più è ripida la
pendenza più è grave l’insufficienza aortica
• vena contracta (zona centrale del rigurgito che al doppler
si vede in stile “arlecchiniforme”, dice il prof.) più larga di
6mm
• Il cuore è spesso dilatato e ipercinetico

TRATTAMENTO e TERAPIE
L’insufficienza aortica ha delle terapie tipiche (vale anche per insufficienza mitralica) e dipendono
dalla impedenza (resistenza) relativa anterograda o retrograda: più c’è resistenza anterograda più
sangue andrà all’indietro (la tendenza del sangue a tornare indietro dipende da quanto fa fatica ad
andare in avanti nei vasi) per cui se nella periferia trova vasi costretti la tendenza sarà di tornare
indietro per questo la terapia vasodilatante è la terapia principe (si può trattare così un paziente
anche 20 anni senza operare l’insufficienza severa in condizioni di pressioni sistolica elevata).
La valutazione deve tener sempre conto delle resistenze stimate sotto forma di pressione arteriosa:
più è alta la pressione arteriosa peggio è la gravità dell’insufficienza (va sempre rapportata alla
pressione che si misura al momento dell’echo)
Il timing dell’intervento:
è difficile capire quando operare perché soprattutto nei casi asintomatici potrebbe essere che il
paziente non avrà nemmeno mai bisogno di essere operato; l’indicazione di intervento in questi
casi è solo se c’è disfunzione ventricolare sx o nei pazienti sintomatici.
Poi ci sono i pazienti con una frazione di eiezione ancora buona ma che hanno una dilatazione
molto marcata (diametro diastolico >70 o sistolico >50) e magari si ha una dilatazione aortica: i
valori per i quali si ha l’indicazione di fare sostituzione anche della aorta ascendente sono 45mm
con presenza della sindrome di Marfan, 50mm con Bicuspidia, 55mm per pazienti che non hanno nè
una nè l’atra. L’obiettivo è ridurre il rischio di rottura della aorta e di morte improvvisa.

STENOSI MITRALICA
Una volta era molto frequente nei paesi in via di sviluppo perché ha eziologia da febbre reumatica
(frequentemente associata a una cattiva sanità e igiene ridotta) in cui si ha fusione delle
commissure e riduzione dell’area luminale associata a fibrosi dell’apparato valvolare e delle corde
tendinee.
L’incidenza dipende dai paesi (in africa centrale è un problema di salute pubblica molto importante)
ma nella maggior parte dei casi il paziente avrà storia reumatica (90% casi) anche se ci possono
essere casi di stenosi mitralica congenita o degenerativa da endocarditi, ma sono molto rare.
La febbre reumatica è dovuta allo Streptococco Pyogenes β-emolitico di tipo A e causa una reazione
autoimmune che può dare malattia articolare e cardiaca (carditi): pericarditi, miocarditi,
endocarditi e malattie valvolari. È una febbre tipicamente dell’età scolare e adolescenziale e spesso
si manifesta nel corso delle recidive in cui è frequente una risposta immune eccessiva delle cellule T
che poi genera la cardite (il prof dice che questi casi non li vedremo mai in Italia)
Si ha sovraccarico di pressione a
monte con aumento pressioni
polmonari e i soliti sintomi.
La gravità del gradiente dipende dal
flusso (come per l’aorta) il quale
dipende anche dall’area della valvola
e dalla gravità della stenosi, ad
esempio con una valvola con un’area
di 4 cm2 si ha sintomo dispnoico solo
con flussi altissimi. Quindi può
succedere che si abbia un grande
aumento di pressione transmitralica
(che raggiunge i 30mmHg) ma in
dipendenza dall’area della valvola e
quindi a flussi relativamente alti.

Il sintomo, pertanto, si verifica durante lo sforzo o la fibrillazione atriale.


Una situazione fisiologica in cui la stenosi mitralica è molto rilevante è la gravidanza in donne con
malattia reumatica: quando si entra nel 2°/3° trimestre e la portata cardiaca comincia ad
aumentare, la donna va in scompenso cardiaco e in edema polmonare rischiando la vita (si
interveniva con l’apertura mitralica col dito: a cuore battente aprivano il torace e aprivano la
valvola infilando il dito attraverso di essa)

SINTOMI e segni clinici:

Esame obiettivo:

• Soffio diastolico dovuto al riempimento ventricolare in diastole; è difficilmente udibile per


cui si può auscultare più facilmente uno schiocco (suono simil-metallico) più a bassa
frequenza, rullante, dopo S2, associato all’apertura della valvola detto opening snap (non è
un T3 ma è più metallico): si può sentire l’accelerazione dello svuotamento dell’atrio dovuto
alla contrazione atriale sinusale (atrial kick) che causa
aumento del flusso telesistolico (rinforzo presistolico da
ritmo sinusale).
L’ECG: non è molto specifico: possiamo
osservare un amento atriale sx in V1 dove la
componente negativa dell’onda P difasica
prevale nettamente sulla componente
positiva indicazione che l’atrio sinistro è
grosso e la P in V2 e a M (M Mitralica) perché
ha due componenti separate di cui la sinistra
si altarda e si separa dalla componente dx e
non è più fusa in una P monofasica ma
diventa mamellonata.

Quando la stenosi mitralica dura anni si possono avere segni di tricuspidalizzazione della stenosi
mitralica: il processo fisiopatologico segue questa sequenza di eventi: 1) Insufficienza mitralica à
2) aumento della pressione venosa polmonare a monte à 3) aumento della pressione arteriosa
polmonare a monte à 4) ipertrofia del ventricolo dx à 5) dilatazione ventricolare dx per
sovraccarico di pressione.
La dilatazione del ventricolo dx e la dilatazione dell’anello tricuspidale danno insufficienza
tricuspidale associata a stasi venosa, distensione e turgore della vena giugulare, epatomegalia,
edema periferico e ascite. A questo punto la stenosi è tricuspidalizzata e abbiamo una deviazione
assiale a dx (asse a 110° ad esempio)

Radiografia: si vede un aumento dell’auricola sinistra (freccia


rossa), tipicamente un aumento del secondo arco con una
“rettilinizzazione”: solitamente ci sono 3 archi più o meno
tondi in successione sul lato sx, mentre in questo caso si vede
come sia tutto più o meno rettilineo.
Nei pazienti di gravità massima si vede anche un aumento
delle dimensioni dell’atrio dx con uscita dell’atrio di sx
creando un doppio contorno, arrivando sulla freccia gialla. si
ha aumento del secondo arco per aumento della pressione
polmonare e il cuore appare più piccolo.

Ecocardiografia: ci permette di osservare la morfologia del


cuore e quantificare la gravità della stenosi. Si può
osservare anche il cosiddetto inginocchiamento del lembo
dato dal fatto che la valvola non si apre bene perché
trattenuto all’altro lembo dalle calcificazioni commissurali.

Altro segno visibile all’echo è l’aspetto a bocca di tinca


(immagine centrale in alto) della mitrale per via dalla
fusione delle commissure, dalla fibrosi e dalla calcificazione
dei lembi valvolari. Queste caratteristiche sono utili al
doppler per misurare l’area anatomica della valvola e l’area
anatomica funzionale.
Ulteriori parametri utili in campo diagnostico sono il tempo di dimezzamento, il gradiente medio
(che è direttamente ricavabile dalla velocità media) e l’aumento della pressione polmonare.

Pe valutare la gravità della stenosi abbiamo 3 indicatori:


velocità di rigurgito: 2,8 m/s lieve, 2,8-3,4m/s intermedia, > 3,4m/s stenosi severa.

Area: L’area valvolare viene considerata normale se compresa tra 4-6 cm2; stenosi lieve con dispnea
da sforzo intenso se l’area è compresa tra 1,5-2,5 cm2; stenosi moderata tra 1-1,5 cm2 (dispnea da
sforzo lieve e senza sintomi a riposo); infine stenosi severa con dispnea a riposo per aree < 1 cm2. A
seconda dell’area e della portata cardiaca attraverso di essa, si avrà un valore di gradiente trans-mitralico più
o meno tollerabile, il quale va aggiunto alla pressione atriale sx iniziale dando la pressione atriale sx finale
che, se maggiore di 25-30 mmHg, aumenta il rischio di edema polmonare.

Gradiente medio: è direttamente proporzionale alla gittata cardiaca e inversamente proporzionale


all’area della valvola mitralica.

TRATTAMENTO E TERAPIE
Come si cura?
La terapia medica è la stessa dello scompenso:
diuretici e nitrati che possano ridurre la
frequenza cardiaca (soprattutto in caso di
sforzo). Per la dispnea da sforzo possono essere
utilizzati anche i beta bloccanti e i calcio
antagonisti non diidropiridinici. L’anticoagulante
è quasi sempre necessario per pz con stenosi
aortica severa, in parte perché questi pz hanno
molti episodi di fibrillazione atriale, in parte
perché comunque vi è un rallentamento del
flusso atriale e un aumento del rischio di ictus.
Il trattamento chirurgico prevede una
valvuloplastica con approccio trans- (equivalente
della digitoplastica): si arriva dalla vena femorale,
si buca il setto interatriale e si va nell’atrio sx, si
passa un pallone attraverso la valvola mitralica
calcifica che inizialmente lo trattiene per via delle calcificazioni ma aumentando l’espansione del
pallone questo romperà poi la calcificazione commissurale riducendo moltissimo il gradiente
diastolico (es: si passa da 11 che è severo a 4 che è lieve moderato). (Nella foto si vede prima il
pallone a forma di clessidra che cerca di vincere le resistenze della valvola calcifica) La
valvuloplastica di riserva solitamente ai rarissimi casi in cui è impossibile eseguire l’intervento
chirurgico (es. gravidanza).
Un altro approccio può essere chirurgico ma di solito nella mitrale reumatica è difficile perché
anche i papillari e le corde tendinee sono danneggiate quindi spesso si preferisce sostituire
direttamente la valvola (le scelte sono sempre le stesse: biologica di bue o meccaniche a singolo
disco o a doppio disco che durano di più ma richiedono terapia anticoagulante per tutta la vita per
via dell’alto rischio trombotico).
La mortalità è più bassa che per l’aorta (più vicini a 2%) e aumenta se sostituiamo la valvola o se
aggiungiamo anche un bypass.
INSUFFICENZA MITRALICA:
Dà luogo a sovraccarico di volume e può avere causa:
• Organica: di tipo degenerativo (prolasso della valvola), congenito, reumatico e infettivo
(endocardite batterica)
• Funzionale: da dilatazione dell’anello per cardiomiopatia dilatativa o post-ischemica)

In generale le tre cause principali sono prolasso, reumatica e endocarditica. L’insufficienza mitralica
reumatica è più difficile che sia insufficiente, l’endocardite può dare corde rotte o a perforazione
dei lembi e vegetazioni.
Nella foto a fianco si vede il prolasso (freccia
gialla) dovuto a una lassità dell’apparato di
sostegno valvolare per cui uno dei lembi
prolassa causando un flusso verso l’atrio
(rigurgito mitralico). Si può osservare che a
prolassare è il centro del lembo e il fenomeno
si chiama billowing (fenomeno di protrusione,
cioè lo spiazzamento sistolico di uno o due dei
lembi valvolari)

Quando è mitralica l’insufficienza è sempre


associata alla stenosi e vi sarà un sovraccarico
delle camere a monte; come si può
immaginare, la capacità di sopportare il sovraccarico di volume abbastanza buona (anchel’ insuff.
aortica è meglio tollerata della stenosi) ma succede che per l’elevato sforzo o pe una fibrillazione
atriale o per le palpitazioni compaiano a lungo andare i sintomi (quadro tipico dello scompenso
cardiaco).

ESAME OBIETTIVO
Soffio di tipo olosistolico che può partire già da S1 o se
c’è un prolasso mitralico parte dal click mitralico (tipico
del prolasso) e ingloba tutto l’S2 perché continua fino
alla chiusura delle valvole stesse. Nei casi più gravi può
comparire un galoppo S3

ECG: c’è tendenza della P a essere a M senza aumento


del voltaggio del ventricolo né un aumento dell’atrio sx
marcato

Radiografia: aumento della arteria polmonare e


dell’auricola sx che contribuiscono alla rettilinizzazione
del 2° arco.
A volte si vede un doppio contorno degli atrii: l’atrio sx
posteriormente si sviluppa e dilata fino a raggiungere l’arco
dell’atrio di dx (si vede un doppio contorno dovuto
all’enorme dilatazione atriale sinistra e che arriva in
anteroposteriore quasi a raggiungere l’atrio di dx).

Con l’ecocardiografia si può valutare la gravità


dell’insufficienza andando a valutare il gradiente sistolico che
riempie l’atrio. È un’analisi approssimativa che ad occhio ci
permette di distinguere un’insufficienza severa in funzione di
dove arriva il flusso retrogrado (se arriva fino alla fine dell’atrio
il reflusso è severo, se arriva fino a metà è moderato)

Le valutazioni più precise sono fatte secondo parametri più


specifici (che il professore non pretende che conosciamo).
L’unico da sapere è il diametro della vena contracta (zona arlecchinosa nel centro della valvola che
suggerisce severità se > 7-8mm).
Ci sono delle valutazioni sul volume e l’area rigurgitante EROA (a seconda della tecnica che si usa. Ci
saranno dei valori di cut off diversi)

Il cateterismo cardiaco non è particolarmente importante in questi malati se non per andare a
vedere quanto ci mette l’atrio a riempirsi di liquido di contrasto una volta iniettato nel ventricolo sx,
(normalmente sono sufficienti 1 o 2 sistoli per riempirlo completamente) più è lungo il tempo più la
condizione è grave.
Si riscontra anche un aumento della pessione di Wedge (atriale sx) dovuta ad un aumento
dell’onda V. In sistole c’è trasmissione di sangue, quindi di pressione, dal ventricolo all’atrio che
arriva fino ai capillari polmonari dove esprime un’onda V molto alta, segno sensibile, anche se non
assolutamente specifico, di insufficienza mitralica
L’onda retrograda pressoria dovuta al rigurgito atriale causa quindi un aumento della pressione di
incuneamento (o anche pressione atriale).

TRATTAMENTO e TERAPIA
La valvola va riparata se non è calcifica e non sostituita.

INIDICAZIONI:

(ripasso: la Frazione di Eiezione si calcola come: FE= 100 x (VTD-VTS)/VTD)

timing: è pericoloso sostituire la valvola quando c’è frazione di eiezione ridotta, infatti, la frazione
di eiezione che misurate in un pz con insufficienza mitralica massiva è fortemente sovrastimata
rispetto alla funzione ventricolare sx. In realtà con l’insuff. mitralica il cuore è molto più
disfunzionante di quello che indica il numero della frazione di eiezione, che è un valore che è stato
concepito per indicare la funzione ventricolare sx ipotizzando che tutto il sangue eietto vada in
aorta. In questo caso il sangue che va indietro fa molto meno fatica quindi il ventricolo si svuota con
molta più facilità verso l’atrio, che rappresenta una via a bassa impedenza (è come misurare
l’attività del bicipite mentre solleva una tanica da 10l piena o da 10l bucata). Questo vuol dire che
se abbiamo una frazione eiezione del 30% e un ventricolo di 200 ml avremo un cuore gravemente
disfunzionante ma ancora compatibile con una vita accettabile poiché abbiamo 60ml eiezione
sistolica che con 80bpm genera una portata di 4l/h; ma se diversamente di questi 60ml, 30 (che
corrispondono a una frazione di rigurgito del 50%) tornano indietro, la portata anterograda è 30 ml
per battito quindi anche a 100bpm avremo 3l/h di portata. La frazione di eiezione del 60% è il
minimo che si possa avere un ventricolo normale in presenza di insufficienza mitralica severa e i
parametri di contrattilità abituali devono essere rivisti per essere correttamente giudicati

Oggi si fa o la riparazione mitralica con la chirurgia o con la molletta (mitralclip) che serve in caso di:
1. Disfunzione ventricolare sx in cui uno dei lembi ha “tethering” mitralico
(stiramento del lembo) che impedisce l’apposizione di questi lembi causando un
forte rigurgito mitralico eccentrico
2. Disfunzione del papillare, come in un infarto che peggiora e impedisce la
funzione del papillare posteromediale che rimane rigido e non consente di
apporre i lembi
3. Dilatazione in cui un papillare è ischemico e si ha tensione ischemica di tipo
asimmetrico sui papillari per cui abbiamo un lembo più stirato dell’altro e un
flusso di rigurgito (jet) asimmetrico;
4. In presenza di una cardiomiopatia dilatativa tipicamente non infartuale
abbiamo il ventricolo sx dilatato, l’anulus dilatato e un jet centrale mediano,
segno di grave rigurgito

In questi pazienti con grave insufficienza mitralica ma anche una grave disfunzione ventricolare sx
l’intervento chirurgico è a rischio altissimo perché il ventricolo sx a volte ce la fa a contrarsi perché
ha una via d’uscita a bassa impedenza, ma se chiudiamo completamente quella via di fuga da un
momento all’altro il ventricolo si trova a pompare contro una resistenza bruscamente aumentata e
rischia di sfiancarsi. Si parla di Afterload mismatch, cioè un mismatch fra capacità contrattile e
resistenza incontrata (afterload aumentato) (è come aggiungere carico a un asino stanco).
In questa circostanza era stata inventata da Otavio Alfieri una tecnica: la Edge to edge
valvulloplasty /repair che consiste nel dare il cosiddetto “punto di Alfieri” ovvero un punto
chirurgico al centro della valvola mitralica trasformando un’ampia mitrale aperta e insufficiente in
una valvola con due buchetti molto più piccoli, in grado di ridurre di molto il rigurgito senza però
annullarlo completamente e soprattutto non in modo brusco (all’Echo si vedono due jet distinti e di
dimensioni ridotte).
Oggi questo intervento che una volta era di tipo chirurgico si effettua per via percutanea con una
speciale cucitrice per valvola mitralica che applica questa clip accostando al centro i due lembi della
valvola lasciano una specie di apertura “ad otto”; è un intervento impiegato per tutte le mitrali
degenerative che sono semplici o in quei pazienti in cui l’intervento chirurgico è troppo pericoloso.
Anche nel caso della mitral-clip ci può essere un po’ di afterload mismatch, anche se non grave
come nella sostituzione della valvola mitralica perché non andiamo a sigillare la valvola ma ridurre il
rigurgito.

Quali sono i pazienti che ne hanno beneficio? Sono stati condotti due studi.
Nel primo, condotto in Francia, i pazienti con scompenso cardiaco avanzato dilatazione dell’anello e
insufficienza mitralica severa sono stati sottoposti a clip mitralica o a terapia medica ottimizzata.
Nel secondo, condotto negli USA, sono stati randomizzati pz con scompenso cardiaco avanzato,
dilatazione dell’anello insuff. mitralica severa a mitral-clip o terapia medica ottimizzata.
I due studi, sebbene pressoché uguali hanno dato effetti clamorosamente diversi: il primo non ha
mostrato alcun esito la curva di sopravvivenza di ogni paziente trattato con clip e senza è identica
mentre il secondo ha mostrato uno straordinario beneficio con la riduzione del 6% della mortalità e
del 18% di mortalita+ospedalizzazione+scompenso nell’arco di un biennio.
Come mai? Al di là della tecnica, gran parte della risposta è data dal fatto che ventricoli dei francesi
erano più insufficienti e il volume rigurgitante era minore al contrario degli americani avevano
ventricoli più piccoli con volumi rigurgitanti maggiori.
Questo risultato ha portato a scoprire una cosa molto importante: che qualunque scompenso con
dilatazione dell’anello si associa intrinsecamente a insufficienza mitralica perché slargandosi l’anello
passa sangue ma l’insufficienza mitralica è proporzionata al grado di dilatazione ventricolare sx: se
uno ha un ventricolo di 200 ml e 40 ml di insufficienza mitralica è proporzionata al gradi di
dilatazione mentre se uno ha un ventricolo di 140 ml e 60 di volume rigurgitante ha un insuff
mitralica sproporzionata al grado di dilatazione.

Anche noi abbiamo degli studi sul rapporto fra volume rigurgitante e volume ventricolare che
dimostrano che effettivamente l’efficacia dell’intervento sembra andare di pari passo con la
“sproporzionatezza” dell’insufficienza e questo è diventato un parametro molto importante per
valutare l’adeguatezza alla candidatura del paziente alla riparazione mitralica percutanea con clip.
CLINICA E PATOLOGIA DEL TORACE – CARDIOLOGIA LEZIONE 12 – 06/04/2022 – Prof.
De Ferrari (Vignetta Stefano, Aldo Pacenza)

Patologia del pericardio

Il cuore è formato da diversi strati: endocardio, miocardio( formato da diversi tipi cellulari),
epicardio, poi abbiamo la cavità pericardica, il pericardio parietale ed infine quello fibroso.
Pericardio: sacca di sierosa posta attorno al cuore, cavità tendenzialmente virtuale riempita di
liquido lubrificante.

Funzioni:
● riduce attrito tra il cuore e le strutture circostanti
● aumenta l’interdipendenza ventricolare diastolica
● previene la dilatazione del cuore in caso di un aumento brusco di volume
● costituisce una barriera contro le infezioni
● àncora il cuore in posizione limitando i movimenti durante il ciclo cardiaco

Le patologie del pericardio possono essere di origine congenita (poco rilevante, vi sono soggetti che
nascono senza pericardio ma non è così grave come patologia), neoplastica (molto rari sia benigni
che maligni) e metastasica (solitamente di origine polmonare) traumatica o infiammatoria ( più
frequente).
Solitamente la pericardite si presenta con fenomenologia acuta accompagnata o meno da
versamento pericardico, può anche essere silente fino ad arrivare al tamponamento cardiaco.
Inoltre è possibile una manifestazione cronica con versamento pericardico semplice oppure in
maniera più insidiosa abbiamo le pericarditi effusive costrittive o la pericardite costrittiva vera e
propria in cui abbiamo un pericardio molto rigido che costringe il cuore.
Classificazione istopatologica della pericardite acuta:
Le più comuni:
- pericardite sierosa
- pericardite fibrinosa e serofibrinosa

Le più rare:
- pericardite purulenta in caso di infezione batterica es stafilococco aureus
- pericardite emorragica (comprende anche le pericarditi tubercolari)
- pericardite casearie (malattia infiammatoria cronica)
Il professore illustra alcune foto di diverse tipologie di pericardite, leggendo le slide.
Pericardite
Sindrome causata da infiammazione pericardica e caratterizzata da dolore, sfregamento (simile ad una
pezza di cuoio vecchio che viene piegata), versamento pericardico e anomalie nell’ECG.

Epidemiologia
incidenza reale sconosciuta, possibile che non venga diagnosticata poiché asintomatica. In autopsie
prevalenza del 2-6%; in ospedale diagnosticato in 1 su 1000 accessi ospedalieri. Più frequente nei
maschi abbastanza giovani. La prognosi è variabile ed è connessa all’eziologia.
Eziologia
● idiopatica (incidenza 80-85%)
● infettiva (incidenza 60-70%)
- virale: soprattutto echovirus e coxsackie tipo d, ma anche virus influenza, EBV, CMV,
adenovirus, varicella, rubeola, orecchioni, Epatite B, HIV, parvovirus B19, Herpesvirus
6, difficili da individuare
- batterica: tubercolosi o brucellosi
- fungina: rara, histoplasma o candida
- parassitiche: toxoplasma, echinococco
● non infettiva (incidenza 30-40%)
- autoimmune: lupus
- neoplastiche: tumori secondari e formazioni metastatiche
- metaboliche: uremica
- traumatiche: di tipo diretto e indiretto
- correlato a farmaci: penicillina, procainamide, idralazina, doxorubicina, alcuni danno anche
miocarditi
- Da infarto: acuta durante infarto transmurale con morte di epicardio e flogosi del
pericardio, sindrome di dressler post pericardiotomica (più spesso dopo taglio chirurgico
che scatena risposta autoimmune)
Presentazione clinica
Si presenta con dolore pericarditico spesso accompagnato da dispnea.
Lo sfregamento pericardico si manifesta con 3 componenti: sistole atriale, sistole ventricolare,
rapido riempimento diastolico. Si possono riscontrare anche in caso di versamento pericardico.
I test diagnostici usati per approfondire sono l’elettrocardiogramma e l’ecocardiogramma.

Importante distinguere il dolore pericarditico dal dolore toracico non pericarditico, come in caso di
ischemia miocardica o di infarto. Come facciamo?

La localizzazione retrosternale del dolore e le modalità d’esordio sono simili.


Il dolore non pericardico è un dolore oppressivo e costrittivo, più sordo, mentre nella pericardite il
dolore risulta più acuto, a “pugnalata”.
La diagnosi differenziale può procedere anche valutando la variabilità del dolore a seguito di
cambiamenti di respiro e posizione: questi non influenzano il dolore non pericardico, in caso di
pericardite il dolore si attenua in apnea e aumenta in espirazione, più forte con paziente coricato
mentre quasi sparisce con il paziente seduto con il busto in avanti.
L'irraggiamento è abbastanza simile.
Differente è anche la durata: per ischemia questione di minuti, infarto di ore, mentre pericardite ore
o giorni. Inoltre la pericardite non risponde a nitroglicerina.
Esame fisico nella differenziale

La principale condizione discriminante clinica lo sfregamento, assente in ischemia/infarto. In


pericardite risultano assenti congestione polmonare e terzo e quarto tono.
S1 normale, murmuri assenti; marcatori di danni del miocardio (troponina) normali o leggermente
aumentati, mentre in casi di infarto e ischemia sono elevati.

Test diagnostici: ECG

Criterio di differenza: pericardite caratterizzata da tratto ST concavo e diffuso. L’evoluzione verso


la terza fase classica dell'infarto miocardico è caratterizzata da negativizzazione delle onde T in
presenza di tratto ST ancora sopraslivellato; in pericardite assistiamo a normalizzazione di ST e
solo dopo negativizzazione.
Aritmie, blocchi ventricolari e altre manifestazioni tipiche di infarto sono assenti.
Depressione tratto PR rispetto alla isoelettrica, sopraslivellamento punto J in tutte le derivazioni,
concavità superiore.

Solo nella derivazione cavitaria (aVR) è l’unica in cui c’è sottoslivellamento del punto J e tratto PR.

4 stadi delle alterazioni nell’ECG della pericardite

1- sopraslivellamento tratto ST, depressione PR2- ST


normale, T appiattiti
3- onde T invertite dopo ritorno alla normalità di ST4-
Modifiche dell’onda T risolte
RX Torace: cuore circondato da sacco pericardico pieno di fluidi

Ecocardiografia: caratterizzata da presenza di abbondante liquido, il cuore oscilla e può portare ad


un’alternanza del qrs
Terapia
Viene somministrata principalmente una terapia di tipo antinfiammatorio. Bisogna essere aggressivi
perché si rischia che la pericardite cronicizzi (es. aspirina almeno 2g al giorno) Anche usati ibuprofene
600mg 3 volte al giorno (da associare gastroprotettori), indometacina e colchicina (0,5 mg 2 volte al
giorno o 0,5 al giorno per pazienti sotto 70kg)
La terapia deve durare settimane o mesi.

In caso di pericardite acuta, i farmaci di prima linea utilizzati sono aspirina oppure FANS associati a
colchicina, mentre di seconda linea si utilizza cortisone somministrato a basso dosaggio qualora ci
fossero controindicazioni con i farmaci di prima linea.
In caso di pericardite recidiva le prime due linee sono le medesime, ma subentrano una terza linea
con immunoglobuline, anakinra(inibitore dell’interluchina 1) o azatioprina somministrate per via
endovenosa, e una quarta linea con pericardiectomia (scelta estrema).

Tamponamento cardiaco
Il tamponamento cardiaco è la condizione più preoccupante derivante da pericardite,
potenzialmente mortale. Compressione del cuore dovuta a presenza di liquidi (sangue, pus, ecc) o
aria in spazio pericardico (pneumopericardio) che a un certo volume e pressione compromettono il
riempimento cardiaco. Pericardio ha distensibilità nel tempo ma non acuta, diventa problematico il
versamento acuto in caso di rottura del cuore, bastano 150-200cc di sangue per avere una
pressione incompatibile con un riempimento adeguato delle camere cardiache. Come le camere
cardiache diventano progressivamente più piccole, l’afflusso di sangue al cuore viene limitato fino a
equalizzare la P diastolica all’interno di pericardio e camere ventricolari causando la mancata
contrazione del cuore e il suo conseguente arresto.
I due grafici evidenziano la differenza tra versamento acuto e cronico, nel quale i pazienti possono
presentare quantità di liquido maggiori.

Tamponamento, presentazione clinica


● Triade clinica (triade di Beck): ipotensione, distensione vena giugulare, toni cardiaci attutiti
dalla presenza di liquido(molto liquido).
● Triade ECG: tachicardia sinusale, tendenzialmente basso voltaggio, alternanza elettrica.
Non da indicazione della gravità dei sintomi ma della quantità di liquido presente.
● Triade POCUS: fluido pericardico, collasso diastolico ventricolo e atrio destro, IVC dilatato.
Il professore legge la slide

Polso paradosso: si tratta di un importante calo di P arteriosa sistemica in concomitanza con


l'inspirazione, in questo caso non è importante per la diagnosi.
Si definisce polso paradosso una riduzione superiore ai 10-20 mmHg rispetto alla normale riduzione di
P arteriosa sistolica che si verifica durante l'inspirazione.
Era chiamato paradosso di Kussmaul, paradosso in quanto durante l'inspirazione il polso arterioso
scompariva nonostante il battito persistesse.
Succede perché già fisiologicamente aumenta il flusso sangue verso la circolazione polmonare e si
riduce gittata cardiaca e P sistolica. Nel polso paradosso è più evidente, in pericardite e
tamponamento il ventricolo dx non riesce a riempirsi bene di sangue, quindi la gittata diminuisce
ulteriormente.

Pericardite costrittiva

Processo patologico che coinvolge il pericardio che diventa fibroso e ispessito, limitando il
riempimento diastolico. Si presenta spesso con una pericardite acuta sierosa, poi subacuta con
organizzazione fibrinosa e infine fase cronica in cui non si ha una guarigione vera e propria con
aspetto fibrinoso e sostituzione con fibrina e materiale connettivale fino al vero e proprio
ispessimento e calcificazione. Può essere causata da una pericardite tenuta sotto traccia con
cortisone a bassa dose che evolve in costrittiva cronica.

Eziologia
● eziologia sconosciuta (40%)
● dopo chirurgia cardiaca (20%)
● post-esposizione a radiazioni (30%),soprattutto in passato dopo il trattamento di linfomi
mediastinici, si manifesta dopo anni (11 di media circa)
● Tubercolosi: <15% nei paesi sviluppati, più alta incidenza in quelli in via di sviluppo
● Presenti con pazienti con lunga storia di emodialisi e malattie renali croniche;patologie
infiammatorie dei tessuti connettivi

Presentazione clinica
Il quadro dipende dalla gravità: inizialmente abbiamo segni subdoli di scompenso a livello addominale
come segni di dispepsia, pienezza post prandiale, difficoltà all’assorbimento intestinale, anoressia,
scarso appetito, ascite, quando la pressione venoso centrale aumenta allora si manifestano astenia,
dispnea, perdita di peso e riduzione della massa muscolare.
All’esame fisico il paziente si presenta quasi sempre paziente tachicardico e tachipnoico. Può
esserci distensione venosa giugulare (segno Kussmaul), polso paradosso assente o limitato. Altri
sintomi sono epatomegalia, ascite o edema periferico, schiocco pericardico (consegue A2,
successivo al secondo tono)

Segno Kussmaul: presentazione clinica


Il segno di Kussmaul è un aumento della distensione delle vene giugulari in concomitanza di una
inspirazione profonda e soprattutto a fine ispirazione.
Riscontrabile in: pericardite costrittiva cronica, insufficienza cardiaca (in particolare destra),
cardiomiopatia restrittiva, cuore polmonare cronico, non presente in tamponamento cardiaco
(molto difficile da distinguere).

Il professore commenta la diapositiva: durante l’inspirazione la pressione atriale dx tende a


aumentare, anche in modo molto franco fino a 30 mmHg. Questo fenomeno si verifica per il
pericardio rigido, non elastico, e c’è sistema già dilatato a livello venoso per cui l’aumento
inspiratorio di P addominale viene trasmesso a organi toracici e vena cava superiore -> reflusso
epatogiugulare inspiratorio.
Il reflusso epatogiugulare è la manovra in cui si comprime la superficie epatica a livello sottocostale
per vedere presenza di aumento turgore giugulare ed è segno di iniziale scompenso (insufficienza
cardiaca destra).

Test diagnostici
Cateterismo cuore destro, si misurano contemporaneamente le pressioni nei due ventricoli.
Caratterizzato da due fenomeno abbastanza precisi:
- curva a radice quadrata (o dip and plateau) in cui scende profondo, sale e resta stabile, è definibile
come segno patognomico della pericardite costrittiva.
- equalizzazione delle pressioni diastoliche, in quasi tutta la durata della diastole le due
pressioni sono molto vicine perché chiuse nel sacco pericardico non distendibile.
Normalmente la pressione diastolica di sinistra è maggiore di quella destra, ma essendo i
ventricoli chiusi nel pericardio costrittivo si ha l’equalizzazione delle pressioni diastoliche. Il
setto ventricolare diventa interdipendente e trasmette le pressioni destra e sinistra in
manierauniforme.

Esiste un’ulteriore manovra per saggiare la presenza di pericardite costrittiva che però non
viene mai eseguita, questa consiste nel carico idrico. Si dovrebbe avere un mantenimento
dell’equalizzazione anche se andiamo a perturbare la pressione diastolica ventricolare (es
eseguendo la manovra di valsavia).

A livello diagnostico si può verificare una condizione di assenza del pericardio, fenomeno
estremamente raro.
Il polmone si insinua dove in teoria dovrebbe essere pericardio.
Tumori del pericardio

Sono rari, i tumori primitivi sono più frequenti benigni, con possibilità di maligni. Quelli più
frequenti sono i tumori metastatici.

Gran parte dei tumori pericardici sono di tipo polmonare, del seno e dell’esofago

Dalla sbobina dell’anno precedente:


Da segnalare, per procedere alla diagnosi, la differenza tra versamento pericardico sieroso ed
ematico.
Come per altre cavità, va fatta pericardiocentesi a livello diagnostico, si possono avere info anche
tramite TAC su ROI (region of interest pericardica) valutando la densità per capire se si tratta di
versamento ematico o sieroso.
Successivamente al prelievo si può analizzare il liquido e fare eventualmente colture.
Se limpido, veniva effettuata in passato la reazione di Rivalta per distinguere tra essudato e trasudato.
Se si riscontra un versamento non puramente sieroso, bisogna quantificare la quantità di sangue: se
unicamente rosato o rosso e si aprono una serie di possibilità.
Ematico è tipicamente tumorale e tubercolare e sarebbero quindi da valutare cellularità (tumore) o
presenza del batterio (tubercolosi).
Sieroso: in alcune circostanze può diventare ematico per presenza di anticoagulante somministrato.
Per contenuti più elevati di sangue (più ⅓ ematocrito) si ha rottura del cuore e travaso ematico da
cavità al pericardio come complicanze dell’infarto miocardico acuto.
Miocardite

La miocardite è una malattia del miocardio. Spesso è associata a pericarditi e si parla di miopericardite,
come a volte accade non raramente nelle malattie reumatiche croniche ( es lupus e sclerodermia). In
generale parliamo di miopericardite se abbiamo i sintomi di pericardite (dolore al variare del respiro e
della posizione) con i segni obbiettivi di pericardite (sfregamenti), associati ad un movimento enzimatico
che indica una necrosi del cuore e nei casi più gravi ad una variazione della cinetica del cuore.

Terapia
La terapia è confusa. Si può scegliere di curare la pericardite con la triade aspirina, ibuprofene e
colchicina, nessuno di questi farmaci si ritiene serva per la miocardite. Infatti non esiste una terapia
riconosciuta per la miocardite, esistono solo degli studi sul cortisone, che normalmente viene dato in
casi di miocardite grave senza però dimostrazione di efficacia.

Endocarditi infettive
È un’infezione cronica intravascolare dell’apparato cardiovascolare, riguarda valvole cardiache o
endocardio. Spesso coinvolge materiale non umano come valvole prostesiche o dispositivi elettronici
(pacemaker e defibrillatori).

L’incidenza è molto bassa e tende ad aumentare per un maggiore uso di protesi. Una parte delle
endocarditi ha una porta di ingresso e una procedura che si riconosce come causa dell’invasione del
torrente ematico. Ad esempio in seguito ad interventi dentistici in cui si avrà l’ingresso di gram + nel
torrente ematico, vi sono cause urologiche come la presenza di catetere, diverticolite, nello scompenso
cardiaco grave vi è un’importante aumento della pressione venosa addominale con congestione dei villi
e riduzione dell’impermeabilizzazione dei capillari, questo porta alla traslocazione batterica. Un altro
esempio è l’endocardite del tossicodipendente che utilizza una siringa non sterile.
In molte endocarditi non siamo in grado di capire il meccanismo di insorgenza dell’infezione.
Normalmente però si manifesta in pazienti che presentano già una patologia cardiaca (congenite,
protesi valvolari, reumatiche:.)

Nel caso di infezioni di protesi valvolari se l’endocardite è vicina all’intervento può essere colpa del
chirurgo o di un infezione in terapia intensiva post chirurgica. Per questo in fase pre operatoria i pazienti
fanno una terapia antibiotica molto aggressiva
La terapia dovrebbe basarsi sull’identificazione della noxa patogena, quindi bisognerebbe fare
un’emocultura, test sierologico e un antibiogramma. Esistono casi di infezioni con emocultura negativa
e sierologia negativa.
Ci possono essere casi di endocardite non infettiva come nel caso del novantenne agonizzante, in questo
caso parliamo di endocardite marantica, oppure endocardite causate da patologie autoimmuni, in
questo caso bisogna ricercare gli anticorpi anticardiolipina e gli anticorpi anti-𝛽2-glicoproteina 1

L’endocardite dalla valvola aortica può andare nel setto, formare un ascesso e dare blocco
atrioventricolare.
L’endocardite tende a localizzarsi dove vi è un maggiore flusso del sangue e quindi un maggiore stress
di parete.

Sintomi
Il professore legge le slide seguenti
Le petecchie:

Queste sono fenomeni causati dall’embolizzazione dell’endocardite. Questi emboli possono essere
settici e quindi oltre all’emorragia causare infiammazione e ascessi. In rari casi possono formarsi nel
cervello e sono molto pericolosi.

Diagnosi
È piuttosto complicata. Esistono i criteri di Duke, se ci sono un criterio maggiore e uno minore o tre
minori l’endocardite è possibile, invece se ci sono due criteri maggiori, uno maggiore e tre minori o
cinque minori la diagnosi è certa.
Criteri maggiori:
1. Culture positive, a seconda del patogeno vengono richieste 2 culture come per lo streptococcus
gallolyticus o lo staphylococcus aureus, oppure 1 cultura solamente per la coxiella burnetii.

2. Tecniche di imagining positive, ad esempio l’uso dell’ecocardiogramma per cercare un ascesso


oppure una pet con 18 fluoro-desossiribosio per tracciare la flogosi.

Criteri minori:
1. Predisposizione
2. Febbre alta
3. Fenomeni embolici, emorragie intracraniche, congiuntivali ecc…
4. Fenomeni associati a componente immunologica, glomerulonefrite, nodo di osler
5. Evidenza microbiologica ma non sufficiente per rientrare in un criterio maggiore

Inoltre bisogna sempre fare un test trans-esofageo. Quando il test è negativo ma tutto i dati clinici
suggeriscono l’endocardite è suggerito ripetere il test dopo qualche giorno.
In questa ecografia è presente questa vegetazione a “cavolfiore”, bisogna urgentemente definire il
batterio responsabile e procedere con rimozione chirurgica.

Prognosi
La prognosi è piuttosto negativa è dipende da diversi fattori riportati nella foto seguente.
Importante è l’età del paziente, la presenza di comorbilità, complicazioni cerebrali, il tipo di batterio.

Trattamento
Normalmente si inizia la terapia prima di avere i risultati dell’emocultura (5 giorni di attesa) con:
 ampicillina(12g/giorno) in 4 o 6 dosi con gentamicina(3mg al kg per giorno) in 1 dose o in 3 dosi.
Non esiste un metodo migliore, con una dose si cerca di sterminare il batterio con un picco di
concentrazione, con 3 dosi si cerca di mantenere una dose terapeuticalungo tutto il corso della
giornata.
 vancomicina(30-60mg al kg per giorno)in 2-3 dosi o in dose singola con gentamicina(3mg al kg
per giorno)
l’importante è usare subito una dose molto alta perché l’endocardite è mortale. Allo stesso tempo
queste alte concetrazioni di vancomicina e di gentamicina sono altamente
nefrotossiche ed è importante controllare la loro concentrazione nel sangue.
Su pazienti con valvole recentemente impiantate si usa Vancomicina con gentamicina e rifampina.
Una volta avuti i risultati della cultura e dell’antibiogramma si andrà a somministrare il farmaco
maggiormente indicato

Si deve ricorre ad operazione in casi clinici gravi come in intolleranza emodinamica o quando non si
riesce a controllare l’infezione, ad esempio abbiamo un ascesso persistente, un’infezione fungina o una
vegetazione di 12-13mm come quella dell’ecografia precedente.
La mortalità è alta come si evince dalla slide sottostante.

In determinate circostanze i pazienti che hanno ricevuto una protesi devono seguire una profilassi.
Solitamente prima di interventi per impiantare protesi dentali, prima di ricevere cure parodontali, cure
canalari o cateterizzazione vescicale.
Si prendono 2g di amoxicillina orale 30-60 minuti prima della procedura, negli allergici si usa un
macrolide o clindamicina
Per i cardiologi le endocarditi su catetere sono particolari. Una volta con endocardite su catetere di un
pacemaker si cercava di eradicare l’infezione con una terapia antibiotica endovena che dura per 8-12
settimane. Inoltre in caso di disfunzione del catetere se ne aggiungeva un secondo. Oggi si cerca di
estrarre il catetere, questa è un’operazione molto rischiosa infatti solitamente è adeso con reazione
fibrotica al cuore e spesso anche alla vena cava, quindi è facile danneggiare le valvole e il cuore, esistono
degli esperti specializzati in questa operazione, che prevede l’uso progressivo di pesi diversi. Quando
l’elettrodo è posizionato da molto tempo spesso è necessario circondare l’elettrodo con una cannuccia
affilata con cui cerchiamo di staccarlo dalle aderenze di fibrina senza danneggiare la vena cava. Esistono
anche delle cannucce con raggi laser che cercano di vaporizzare i tralci fibrosi. Quest’ultima procedura
si effettua su endocarditi su cateteri inferiori a 10mm.

Normalmente si fa il test trans-esofageo, si identifica il patogeno, si tratta con antibiotico, si ripete il


trans-esofageo e se le dimensioni lo permettono si esegue l’estrazione. Successivamente il paziente
potrà subire una terapia antibiotica per un’eventuale reimpianto del catetere. Questa procedura è
ancora più complessa per pazienti pacemaker dipendenti, che quindi necessiteranno di un pacemaker
temporaneo. La rimozione della noxa patogena è essenziale per questo la procedura viene fatta anche
su pazienti moribondi.
Clinica e patologia del Torace – lezione 13 – 25/05/2022 - Prof. Anselmino (Maria Chiara Marena,
Federico Munerato)
CARDIOPATIE CONGENITE
È un argomento considerato ostile ma se uno conosce bene l’anatomia normale risulta anche
abbastanza “divertente”: mostra quanto sia miracoloso un esito normale e benigno, data l’infinità
di combinazioni sfortunate che possono sfociare in morte in corso gravidanza o in situazioni
borderline in cui il cuore riesce a mantenere la circolazione per tutto il corso della vita ma con
diverse difficoltà. Oggi vedremo le cardiopatie congenite a grossi capitoli (data l’infinità di queste
patologie): affronteremo le più frequenti, le più numerose, quelle che più permettono, se correte,
un'evoluzione da neonato ad adulto e come e con quali metodologie cardiochirurgiche si possono
correggere queste situazioni anatomiche molto particolari.
Definizione: la cardiopatia congenita è un difetto strutturale e/o funzionale del cuore o dei grossi
vasi presente fin dalla nascita o addirittura prima della nascita (diventa dunque fondamentale lo
screening neonatale per decidere se e come affrontare la situazione).
Nelle cardiopatie congenite è inclusa anche la trasposizione dei grossi vasi dove il cuore è
mantenuto ma l'arteria polmonare e l'aorta sono invertite.

Epidemiologia:
 Incidenza delle cardiopatie congenite che arrivano alla nascita è dell’0,8-1%: non sono così
rare come ci si aspetta
 L’incidenza e l’aumento della prevalenza di queste patologie sono sicuramente dati sia da
una migliore conoscenza delle patologie nelle fasi iniziali fetali sia da un’evoluzione
dell'imaging neonatale intrauterino che facilita la diagnosi: vengono quindi incluse anche
come cause di morte fetale e non solo di morte post-nascita
 Sono davvero molto numerose:
 Solo sotto il generico termine di “altre” ne sono incluse circa il 15% del totale
 Difetti del setto interventricolare: rappresentano 1/3 delle patologie congenite (difetti
più frequenti)
 Difetti del setto interatriale: circa 10%
 Dotto arterioso di Botallo pervio: circa il 10%
*Dotto di Botallo: è un passaggio tra aorta e arteria polmonare fisiologico in
circolazione fetale che va poi incontro a degenerazione e fibrotizzazione spontanea in
età adulta, diventando legamento arterioso
 Stenosi polmonare, Coartazione aortica, Stenosi aortica, Tetralogia di Fallot e
Trasposizione dei grossi vasi: tra 4-6% (per la maggior parte queste anomalie
riguardano i grossi vasi e non la struttura del cuore stesso)
Classificazione
 Classificazione in base alle diverse fasi di insorgenza e di trattamento:
 Fase prenatale
 Età neonatale
 Pianificazione di eventuali interventi nel bambino e nell’adolescente
 Età adulta: se il paziente arriva all’età adulta significa che il difetto emodinamico o non
era così importante e non è stato nemmeno diagnosticato o è stato diagnosticato e
siamo riusciti a correggerlo bene.
Per questa fase adulta esiste una vera e propria sezione della cardiologia “GUCH
(Grown-up Congenital Heart Disease)” che si occupa delle cardiopatie congenite
dell’adulto tramite ambulatori e imaging dedicati: centri multidisciplinari specializzati
che seguono e gestiscono puntualmente ogni paziente, con la propria ed “unica”
malformazione cardiaca congenita, in modo da permettere loro di superare tutte
queste fasi, dalla prenatale fino alla vita adulta.
 Classificazione in base alla presenza o meno di una correzione chirurgica della cardiopatia:
se la cardiopatia congenita sia stata sottoposta ad intervento chirurgico o meno:
 Operata o da operare (in caso di cardiopatia congenita neonatale ancora da
operare): in alcuni casi è richiesta l’immediata correzione chirurgica, la quale può
risultare o completamente definitiva o solo palliativa posponendo l’intervento
definitivo in età più adulta quando lo sviluppo sarà completato
 Non operato o da non operare: o perché non ha bisogno o perché non è
sottoponibile a operazioni ma è da tenere sotto controllo
 Classificazione in base al grado di complessità:
 Singola anomalia congenita: molto rara in quanto la tendenza di associazione di
diverse anomalie è molto frequente  difetto interatriale o interventricolare sono
di per sé singole anomalie ma spesso le ritroviamo associate ad altre.
 Combinazione di singole anomalie congenite è piuttosto frequente: quando
troviamo in un neonato un solo difetto dell'anatomia cardiaca bisogna cercare
attivamente altre anomalie in quanto la combinazione è spesso presente e complica
vertiginosamente la situazione anatomica. La combinazione è data da:
> O da un insieme di piccoli difetti
> O da un unico singolo difetto molto evidente che complica l’intera struttura
basale del cuore: atresia della tricuspide che determina la scomparsa delle 4
camere e l’assenza di un passaggio tra atrio dx e ventricolo dx -> è quindi una
singola anomalia che però vede una alterazione strutturale profonda
 Classificazione fisiopatologica/clinica in 3 classi, ognuna delle quali è caratterizzata dal
proprio sintomo cardine: classificazione in base al sintomo tipico (problema finale) che
permette poi, andando a ritroso, di identificare l’alterazione anatomica cardine (problema
iniziale). È la classificazione più importante che utilizzeremo per la descrizione di queste
cardiopatie congenite
1) IPERTENSIONE POLMONARE: il difetto implicherà uno shunt da sinistra
(circolazione sistemica) a destra (circolazione polmonare)  il risultato finale è un
maggior afflusso di sangue a livello polmonare che alla lunga determinerà un
aumento delle pressioni polmonari -> ipertensione polmonare
2) CIANOSI: il difetto implicherà uno shunt in senso contrario da destra verso sinistra
 il sangue destro sporco senza Hb ossigenata andrà a mescolarsi con quello nobile
pulito carico di O2 destinato a tutti gli organi -> tutti gli organi sono deossigenati ->
cianosi centrale
3) OSTRUZIONE: il flusso sistemico e/o polmonare ha un’ostruzione che non permette
la normale circolazione corporea  non si identifica precisamente una delle due
situazioni precedenti (shunt o dx-sx o sx-dx) perché spesso sono presenti entrambe
o una prevale sull’altra

Per ognuno di questi 3 gruppi verranno affrontate le cardiopatie congenite principali che
determinano uno di questi 3 effetti:

1) IPERTENSIONE POLMONARE: tipicamente causata da cardiopatie congenite con SHUNT


SINISTRO-DESTRO il quale determinerà un “iperafflusso polmonare” = aumentato flusso a
livello polmonare fino a ipertensione polmonare.
Quali sono le principali patologie congenite che determinano uno shunt sinistro-destro: tutte
le patologie congenite che implicano un “buco” all'interno della normale anatomia cardiaca
con conseguente intercomunicazione tra le due camere sinistra e destra. I difetti principali
sono:
 Difetti a livello dei setti: si ha un difetto/ blocco del processo di formazione e isolamento
delle camere durante embriogenesi causato dall'utilizzo di farmaci o dall’esposizione a
qualsiasi agente patogeno:
 DIFETTO del setto INTERATRIALE – Difetto della chiusura delle camere atriali
 DIFETTO del setto INTERVENTRICOLARE – Difetto della chiusura delle camere
ventricolari
 PERVIETA’ DEL DOTTO ARTERIOSO DI BOTALLO:
Dotto di Botallo: è il passaggio tra aorta e arteria polmonare
 Fisiologico ed essenziale nella circolazione fetale
 Quando il neonato inizia a respirare, il dotto deve chiudersi completamente tramite
un processo di degenerazione e fibrotizzazione spontanea, diventando legamento
arterioso  se non avviene la chiusura si ha un difetto inter-vasale (e non
intracardiaco) tra porzione prossimale dell’aorta e dell’arteria polmonare: è come
se fosse un difetto interventricolare dal punto di vista puramente funzionale-
fisiologico ma anatomicamente non è intra-cardiaco ma tra i grossi vasi.
Studio della circolazione nelle cardiopatie congenite: calcolo dell’iper-afflusso polmonare
QS/QP
 Per studiare dal punto di vista funzionale la circolazione sistemica nelle cardiopatie
congenite è necessario uno studio emodinamico tramite cateterismo che ci permette di
andare nelle diverse camere e misurare 2 valori fondamentali: pressione e saturazione 
con questi valori si va poi a calcolare con dei metodi di stima indiretta: la portata del circolo
sia polmonare sia sistemico  con le 2 portate si determina il rapporto tra QP (portata o
flusso polmonare)/ QS (portata o flusso sistemico) che descrive la dimensione e la
direzione (sx-dx o dx-sx) dell’eventuale shunt:
Livelli di pressione Livelli di saturazione
 Atrio dx: 3mmHg  In atrio dx e a. polmonare:
 Arteria polmonare: saturazione bassa = sangue
25-9mmHg con %O2 bassa
 Atrio sx: 8-10mmHg  In atrio sx e aorta:
 Aorta: 120-70mmHg saturazione buona normale

 Rapporto tra QP/QS


 Condizione normale: QP/QS=1
 Condizione patologica di ipertensione polmonare severa: QP/QS > 1,5  indica
l’iper-afflusso polmonare: la portata del circolo polmonare è quasi il doppio della
portata del circolo sistemico cioè i polmoni sono recipienti del doppio del flusso
normale rispetto al sistemico e si devono essenzialmente difendere perché non
possono ricevere tutto questo sangue
 Questi valori sono ormai calcolabili anche tramite risonanza magnetica, procedura non
invasiva ma di lunga acquisizione (30-40 min): si calcolano le 2 portate sistemiche e
polmonari con RM tramite la formula del Flusso = Velocità x Sezione dell’aorta/a.
polmonare nel tempo (quanti cc di sangue passano in aorta/polmonare nell’arco di tempo
= ml/s) -> una volta calcolate le due portate, si fa il rapporto QP/QS
È una procedura più indaginosa che viene utilizzata in casi particolari e selezionati come
pazienti molto giovani, delicati e fragili

QP/QS qui uguale a circa 2


Sintomi
 Dispnea da sforzo
 Endocarditi e infezioni polmonari per eccesso di passaggio
 Sintomi di scompenso cardiaco: l’iper-afflusso polmonare -> determina un sovraccarico
volumetrico -> che porta cronicamente a una dilatazione delle camere cardiache
Esami diagnostici:
 Segni e sintomi visibili a esame obbiettivo
 ECG: sufficiente quando lo shunt è ampio
 Radiografia del torace
 Ecocardiogramma
Complicanza: Sindrome di Eisenmenger
- All’iper-afflusso polmonare cronico, il polmone, come reazione di difesa a questo eccesso
di irrorazione, cerca di ridurre la portata tramite iperplasia della tonaca media dell'arteria
polmonare la quale determina un irrigidimento della tonaca ed un restringimento del lume.
La riduzione del lume chiaramente si riversa in un aumento pressorio del ventricolo destro
che porta ad un ulteriore peggioramento dell’iperafflusso e dell’ipertensione -> con una
conseguente caduta in un circolo vizioso  creazione di un danno ancora reversibile
- Il danno passa a essere irreversibile quando l’iperplasia dell’arteria polmonare da
funzionale diventa anche strutturale con aumento anche dello spessore vero e proprio
dell’arteria polmonare. Dunque, le pressioni sia polmonare sia ventricolare dx diventano
così elevate da superare le pressioni del circolo sistemico  determinano l’inversione dello
shunt che da sx-dx passa ad essere dx-sx: si avrà quindi il passaggio di sangue non
ossigenato nel sangue nobile ossigenato, situazione irreversibile e molto pericolosa che
sfocerà in cianosi  sindrome di Eisenmenger

Difetti principali
 DIFETTO INTERATRIALE – DIA: può essere di diverse tipologie
 Forame ovale pervio (non è un difetto vero e proprio – condizione ancora fisiologica):
legato non alla mancanza di tessuto dei due setti (primum e secundum) ma alla
mancata saldatura dei due setti che, invece di unirsi tra loro, si sovrappongono
lasciando tra di loro una piccola fissurazione. Questa fissurazione è, in realtà, solo
virtuale in quanto la cavità sinistra (a pressione maggiore) permette al septum primum
di appoggiarsi contro il setto secondo, chiudendo di fatto la cavità. Solo con la spinta da
destra verso sinistra la fissurazione risulta visibile. È una condizione ancora fisiologica
che non dà alcuna disfunzione ed è molto comune, presente in circa il 25% della
popolazione
 Ostium secundum: mancanza di tessuto nel setto interatriale a livello centrale. In
questo caso si tratta di un vero e proprio “buco” (senza alcuna sovrapposizione che, dal
punto di vista funzionale, risolve la situazione)
 Ostium primum o canale atrioventricolare parziale: mancanza di tessuto nel setto
interatriale più in basso a livello dell’anello AV della valvola tricuspide dovuta al
mancato accrescimento dal basso verso l’alto del septum primum (che non è salito a
sufficienza)
Sintomi del difetto interatriali: sono gli stessi sintomi generali dell’ipertensione come
dispnea da sforzo, facile affaticamento, infezioni respiratorie e aritmie atriali
Diagnosi
 ECG: quando il difetto è rilevante è visibile anche all’ECG con caratteristiche tipiche:
 Blocco di Branca destro con RSR’ (orecchia di coniglio) in V1: è molto comune
soprattutto in caso di ostium primum in quanto, essendo il difetto strutturale
anatomico proprio nella zona di passaggio appena a monte del nodo AV, spesso il
difetto anatomico va a comprendere un difetto del sistema di conduzione in questa
sede.
 Deviazione assiale dx
 Blocco fascicolare anteriore (tipico in difetto di tipo ostium primum): DI positiva,
aVF negativa e una profonda S in V6

 RX torace:
 2° arco sinistro aumentato: arteria polmonare dilatata
 Opacizzazione diffusa per la presenza di maggior materiale vascolare in quanto i
vasi sono molto dilatati e reclutati
Terapia
 Chiusura del difetto per via percutanea con un piccolo dispositivo di chiusura
“ombrellino”: un device che viene inserito nell’organismo tutto schiacciato -> quando
passa a cavallo del buco (difetto da correggere), tramite un sistema di rilascio, si apre il
disco distale -> poi si tira indietro fino al contatto con la parete del setto interatriale ->
e, quando non si riesce più a detrarre il dispositivo (vuol dire che è bene a contatto), ->
liberiamo anche il disco prossimale -> determinando una posizione ”a panino” sul setto
interatriale che chiude il nostro difetto.
Procedura attuabile solo quando si ha ancora metà del setto con un’ampia landing zone
(materiale sano) tutto attorno al difetto

 Chiusura chirurgica: si apre il cuore -> si mettono dei punti a livello del setto -> se i
punti non sono sufficienti, si possono mettere anche dei patch in materiale sintetico, di
pericardio bovino o di maiale che vanno a sostituire la mancanza di tessuto.
Procedura effettuata in tuti gli altri casi
(Difetto di tipo ostium primum: passiamo attraverso vena femorale -> diamo dei mezzi
di contrasto-> in atrio di destra si vede che il mezzo di contrasto passa tranquillamente
anche a sx attraverso il buco)

 DOTTO ARTERIOSO DI BOTALLO PERVIO: orifizio di 3-4mm che rappresenta la mancata


chiusura della comunicazione tra l’arteria polmonare e l’aorta (strutture fisiologicamente
tutte molto vicine tra loro appena sopra il tetto dell’atrio sx) al momento della nascita con
conseguente passaggio del flusso sanguigno dall’aorta (120-80mmHg) all’arteria
polmonare (15-5mmHg). Quindi il sangue arriverà fino alla valvola a livello del ventricolo la
valvola non essendo insufficiente non permetterà il passaggio in ventricolo ma aumenterà
il monte pressorio fino a livello polmonare -> situazione è analoga
Sintomi e presentazione clinica: sempre gli stessi e uguali a quelli dell’ipertensione
polmonare (dispnea da sforzo, affaticamento, infezioni respiratorie, endocarditi)

Diagnosi definitiva
 (Esame obiettivo: soffio continuo sottoclaveare e polsi arteriosi scoccanti)
 (ECG: ipertrofia ventricolare sx)
 (RX: segni di iper-afflusso polmonare)
 RMN con contrasto: per studiare bene il livello di passaggio del flusso in modo molto
più semplice e rapido. Si vede proprio il dotto con il passaggio del contrasto tra l'arco
discendente dell’aorta e l’arteria polmonare
 Terapia:
Percutanea tramite cottoncini embolizzanti che vanno a occupare il dotto e lo
occludono
Chirurgica: se il dotto è troppo lungo o tortuoso (x pressioni alte) si va chirurgicamente
ad escluderlo dalla circolazione tra aorta e polmonare, a livello sia prossimale sia distale

 DIFETTO INTERVENTRICOLARE: anomala comunicazione tra ventricolo sinistro e ventricolo


destro che può presentarsi su 4 diversi livelli anatomici:
 Outlet septum: difetto a livello del tratto di afflusso al ventricolo
 Setto membranoso (70%): difetto più in alto vicino al sito di inserzione delle vie di
conduzione, nodo AV e fascio di His. Se inficia anche le vie di conduzione si ha, oltre allo
shunt sx-dx, anche un blocco AV. È il difetto interventricolare più frequente ed ha la
tendenza ad autorisolversi tramite una chiusura spontanea nel tempo.
 Inlet septum: difetto a livello del tratto di efflusso
 Setto muscolare: difetto più distale a livello muscolare. Anch’esso ha la tendenza ad
autorisolversi grazie alla contrazione muscolare che nel tempo autolimita il flusso fino a
chiudere il “buco”.

Sintomi sempre gli stessi


Diagnosi:
 Esame obiettivo: soffio olosistolico (raro in interatriali mentre frequente in
interventricolari) anche fino a 5/6 o 6/6 e quindi comprensivo di un fremito toracico
percepito anche alla palpazione
 ECG: ipertrofia ventricolare sinistra
 RX: 2° arco accentuato
Terapia
 Percutanea per i piccoli difetti: si può utilizzare lo stesso tipo di ombrellino (con diverse
misure) impiantato in maniera assolutamente analoga a quella per il difetto interatriale
 Chiusura chirurgica
 Da fare nei tempi esatti senza aspettare di arrivare alla sindrome di Eisenmenger:
caratterizzata da iperplasia dell’arteria polmonare con riduzione sezione ->
ipertensione polmonare irreversibile -> che determina l’inversione dello shunt -> a
questo punto, anche se intervenissimo con chiusura dello shunt, ormai invertito,
andremo solo a peggiorare la situazione perché causeremmo un sovraccarico solo
ulteriore della circolazione cardiaca. In caso di manifestazione della sindrome, diventa
assolutamente inutile andare a riparare la situazione.
Sopravvivenza dal tempo della diagnosi: 80% ha 10 anni e 42% 25 anni. La
sopravvivenza è davvero minima in quanto si ha cianosi associata a una problematica
funzionale sistemica.

2) CIANOSI: tipicamente causata da cardiopatie congenite con SHUNT DESTRO-SINSITRO il quale


determina una condizione di cianosi. La cianosi è una condizione caratterizzata da aumento
sistemico della concentrazione di Hb deossigenata >5g/100ml che determina la tipica
colorazione bluastra della cute e delle mucose (diversa è la situazione nel paziente anemico in
cui non è facile riconoscere cianosi). Cianosi si distingue in 2 tipologie in base alla sede:
 Cianosi periferica: mucosa periorale, congiuntiva, letto ungueale  Diverse sono le cause:
freddo (forte vasocostrizione -> sangue non arriva)
 Cianosi centrale: è una cianosi a livello cardiaco che determina una deossigenazione
generale di tutti gli organi per cui il paziente è interamente blu (non c’è un organo che
viene meno ossigenato degli altri)  La causa è prevalentemente cardiaca da shunt destro-
sinistro che determina una commistione di sangue arterioso e venoso con riduzione
dell’ossigenazione del sangue
Sintomi della cianosi centrale cronica: si ha un deficit di ossigenazione generale di tutti gli
organi per un tempo piuttosto lungo (dalla fase intrauterina al momento in cui vediamo il pz)
che determina degli aspetti semeiotici molto tipici e distintivi che aiutano anche nella diagnosi
 Clubbing o ippocratismo digitale: dita a bacchetta di tamburo
 Unghie a vetrino d'orologio: l’unghia ha una curvatura molto piatta e non segue il
fisiologico profilo dito

Quali sono le principali cardiopatie congenite che determinano shunt destro-sinistro con
cianosi:
 Evoluzione delle cardiopatie congenite con ipertensione polmonare in sindrome di
Eisenmenger (appena viste)
 TETRALOGIA DI FALLOT: è la principale cardiopatia che dà cianosi. È caratterizzata da una
combinazione di 4 anomalie
1. Difetto del setto interventricolare: solitamente nella zona dell'outflow
2. Ipoplasia/stenosi del tratto d’efflusso dell’arteria polmonare: si ha un’ostruzione al
tratto d’efflusso del ventricolo destro da cui ne deriva un’arteria polmonare un po’
ipoplasica perché ha ricevuto cronicamente poco sangue ed è stata poco utilizzata
3. Ipertrofia del ventricolo destro: il ventricolo destro tenta di contrastare l’ostruzione
d’efflusso del ventricolo che, alla lunga, diventa ipertrofico (alterazione più funzionale
che anatomica)
4. Aorta “a cavaliere”: nascita dell’aorta a cavallo dei 2 ventricoli (nasce nel ventricolo sia
destro sia sinistro) quindi a cavallo del difetto interventricolare, nel tratto di efflusso
5. Se presente anche un difetto interatriale (raro) -> pentalogia di Fallot
 La conseguenza di tutte queste 4 anomali è una commistione di sangue sistemico e
polmonare con conseguente eccesso di sangue ipossigenato nella circolazione
sistemica:
 L’arteria polmonare è ostruita (con sangue ipossigenato che dovrebbe andare ad
ossigenarsi) -> portata minore
 L’Aorta (con sangue ossigenato da portare a tutto il corpo) non nasce da un
normale ventricolo sx (ossigenato dalle polmonari) ma nasce dal ventricolo sia
sinistro sia destro -> si ha quindi, appena prima dell’aorta, una commistione di
sangue ossigenato e non -> la quantità di sangue non ossigenato sarà molto più alta
del solito -> sangue sarà ipossigenato
Aspetti patognomonici:
 RX TORACE:
 Classica modifica della sagoma dell’indice cardiotoracico - profilo cardiaco (ombra
cardiaca) con aspetto a sabot: forma a zoccolo dovuta all’ipertrofia ventricolare dx
che diventa la componente predominante nella descrizione del RX torace
 Campo polmonare molto trasparente (immagine RX opposta a ipertensione
caratterizzata da smerigliatura marcata): l’ipoplasia dell’arteria polmonare e
l’ostruzione all’efflusso del ventricolo dx determinano un ipoafflusso
 ECG:
> Ipertrofia ventricolare dx caratterizzata da onde R ed S molto elevate in V1,2,3
> Deviazione assiale dx

Terapia: si deve risolvere sia il problema funzionale sia il problema anatomico di ipoplasia
dell’arteria polmonare la quale determinerà un anomalo sviluppo del vaso stesso. Bisogna
correggere sia la portata sistemica sia la portata polmonare. L’approccio terapeutico
consiste in:
1. Primo step palliativo – chirurgia palliativa per aiutare la polmonare ad avere flusso
maggiore che permetta un’evoluzione normale del vaso: creazione chirurgica di uno
shunt aorto-polmonare che restituisce l’eccesso di flusso in aorta alla polmonare per
migliorare l’ipoplasia polmonare e il livello di ossigenazione. A seguito dell’intervento,
all’ingresso dell’aorta ci sarà sangue ancora mista ma più ossigenato che senza shunt.
Lo shunt si fa tramite un altro vaso disponibile o tramite una protesi in teflon (tubicino
che connette aorta polmonare)
2. Seconda fase di correzione definitiva: quando il neonato guadagna dei kg e le strutture
anatomiche sono più grandi e cresciute, si procede con l’intervento chirurgico che
consiste in:
 Chiusura del difetto interventricolare e del passaggio tra l’aorta cavaliere e il
ventricolo dx, lasciando solo la comunicazione tra aorta e ventricolo sx
 Eliminazione della stenosi
 Ripristinare la circolazione
3) OSTRUZIONI: sono cardiopatie congenite caratterizzate da una SINGOLA ostruzione (e non
combinazioni). Tale ostruzione, se severa, può eventualmente sfociare sia in ipertensione sia in
cianosi
Il concetto di base è che non si ha uno shunt che dà prevalentemente o ipertensione o cianosi
ma si ha un’ostruzione che, se severa, può eventualmente sfociare in entrambe le
manifestazioni.
Le ostruzioni principali sono:
 STENOSI AORTICA SOPRA O SOTTO VALVOLARE (non quella classica valvolare)
 COARTAZIONE AORTICA (ostruzione al flusso a sinistra): malattia cronica caratterizzata da
un restringimento progressivo della porzione discendente dell’arco aortico in prossimità
della partenza del legamento arterioso. Il restringimento è dovuto all’estensione eccessiva
del processo fibrotico fisiologico di chiusura del dotto di Botallo (che una volta chiuso
diventerà legamento arterioso) verso la porzione dell’aorta: la fibrosi fisiologica del dotto
di Botallo ha una reazione eccessiva per cui si estende oltre il dotto verso la porzione
discendente dell’aorta.
 È un eccesso di risposta alla chiusura del dotto di Botallo fibrotico che determina una
ridotta pressione del distretto inferiore a fronte di un’ipertensione arteriosa del distretto
superiore:
 Ridotta pressione del distretto inferiore: è dovuta al fatto che, come risposta
all’ostruzione, si ha l’attivazione di un circolo collaterale che include classicamente
l’arteria ascellare e le arterie intercostali: dal ventricolo sx, il flusso sanguigno, invece di
scendere giù tramite l’aorta discendente, prende un circuito parallelo attraverso
l’arteria ascellare, a. toracica interna e le a. intercostali, per poi riunirsi più distalmente
all’aorta discendente.  Questo circuito collaterale garantisce e mantiene
l’ossigenazione, seppur con flussi e portata minori, di tutto il distretto inferiore
 Ipertensione arteriosa del distretto superiore: è dovuta al cuore che, per contrastare la
perdita di pressione al passaggio dell’ostruzione, genera una pressione elevata a monte
Diagnosi
 Esame obiettivo:
 Soffio sistolico anteriore e interscapolare
 Polsi omerali sono regolari mentre i polsi femorali sono ridotti o ritardati (per
ipotensione distretto inferiore). È importante il confronto tra polso carotideo e
femorale

 Circolo collaterale
 ECG: ipertrofia ventricolo sx da sovraccarico pressorio
 Ecocardiografia: ipertrofia ventricolo sx
 RX:
 Segno indiretto classico dell’incisura costale: il circolo collaterale porta a iper-
irrorazione delle arterie intercostali che decorrono nel solco inferiore della costa
determinando questa “incisura” nei vari spazi intercostali a livello inferiore della
costa
 Segno del 3 (più raro): visualizzazione della dilatazione pre-coartazione (prima
pancia del 3) e post-coartazione (seconda pancia del 3) -> dando quest’aspetto a
simil 3 del 1° profilo a sinistra

Coartazione aortica si associa frequentemente ad altre anomalie: bicuspidia aortica


(prevalenza del 5% -> che determina stenosi aortica), aneurisma cerebrale e aneurismi
intercostali (considerati più quasi come una conseguenza)
Terapia
 Se la coartazione non è completa  si predilige la via percutanea caratterizzata da: o
una dilatazione con palloncino o stent
 Se la coartazione è troppo marcata  si sceglie la via chirurgica che andrà ad escludere
la porzione fibrotica e connettere i 2 monconi. È però un intervento piuttosto
complesso che si fa in circolazione extracorporea
 STENOSI POLMONARE SOPRA O SOTTO VALVOLARE (ostruzione al flusso a destra): la
stenosi della valvola polmonare causa un sovraccarico di pressione che si traduce in
un’ipertrofia ventricolare destra.
Diagnosi
 Esame obiettivo: è tipico e facile da identificare grazie alla presenza di un fremito
sistolico
 RX torace: caratterizzato dall’arco del tronco polmonare dilatato (dovuto all’aumentata
pressione che determina una gittata maggiore contro la parete del vaso che nel tempo
reagisce con una dilatazione.

 ECG
 Deviazione assiale dx
 P “polmonare”: P molto dilatata
Terapia: la terapia è necessaria perché la stenosi polmonare implica una ridotta
ossigenazione di sangue che non permette il normale sviluppo del vaso
 (Forma valvolare -> dilatazione percutanea ma non è il caso di cui parliamo)
 Forma sopra e sotto valvolare:
 Raramente si tratta con stent percutaneo (come la tavi per la stenosi aortica) in
quanto spesso non è definitivo
 È più comune trattarla con la chirurgia: si lima e si esclude la porzione fibrotica che
ostruisce
4) TRASPOSIZIONE DEI GROSSI VASI – TGV
È una situazione a metà tra le varie categorie che non si può direttamente catalogare in una
specifica delle 3 classi, ma è una situazione talmente frequente, anomala e unica che merita
una descrizione autonoma.

Definizione: condizione caratterizzata da uno scambio di posizione dei grandi vasi per cui
l’aorta nasce direttamente dal ventricolo destro e l’arteria polmonare origina dal ventricolo
sinistro, determinando la presenza delle 2 circolazioni polmonare e sistemica come
circolazione completamente indipendenti e parallele tra loro:
- Circolazione di destra continua a trasportare sangue non ossigenato: vene cave inferiori
portano sangue deossigenato ad atrio dx -> tramite ventricolo dx il sangue va a finire in
aorta
- Circolazione di sinistra continua a portare ai polmoni sangue ossigenato: vene polmonari
portano sangue appena ossigenato ad atrio sx -> con ventricolo sx il sangue è buttato in
arteria polmonare
 Creazione di un loop non sostenibile per vita, a meno che non ci sia uno shunt interatriale (o
più raramente interventricolare) che crei una mescolanza tra i 2 circuiti.
Nella maggior parte dei casi la trasposizione dei grossi vasi è causa di morte intra-uterina, se
non associata ad un difetto interatriale (ostium primum) o interventricolare (più raramente).
Terapia
 Terapia palliativa di sopravvivenza del neonato comprende:
 Procedura di Rashkind: settostomia per mantenere aperto lo shunt del setto
interatriale, essenziale per mantenere il paziente in vita, in quanto garantisce la
mescolanza dei 2 circuiti
 PGEI: prostaglandine per mantenere aperto anche il dotto arterioso di Botallo ed
evitare la fisiologica chiusura cosicchè anche il dotto arterioso possa contribuire alla
commistione di sangue tra i 2 circuiti (oltre allo shunt interatriale)

 Terapia a lungo termine


 Intervento di Senning o Mustard – intervento che prevede lo switch delle grandi vene:
 Sposto le vene cave dall’atrio dx all’atrio sx: si dirottano insieme le 2 vene cave
verso l’atrio sinistro, facendole passare dietro al cuore (raramente con tessuto
nativo ma più frequentemente con tubicino artificiale)  Ritorno venoso sistemico
viene convogliato al ventricolo sx da cui nasce l’arteria polmonare.
Inoltre, si esegue anche una chiusura difetto interatriale con un patch (che ormai
non serve più)
 Sposto le vene polmonari dall’atrio sx all’atrio dx: le vene polmonari vengono
prolungate e dirottate in atrio dx  Ritorno venoso polmonare va al ventricolo dx
da cui parte l’aorta
 Con questo tipo di intervento rimane un problema piuttosto importante: il ventricolo
destro, pur avendo una morfologia non adatta con pareti molto sottili, diventa il
ventricolo che deve sostenere la circolazione sistemica e le sue pressioni. Quindi, a
lungo termine, questo tipo di pressione determina uno sfiancamento del ventricolo
destro che si associa a scompensi cardiaci refrattari nella 2-3° decade  Per questo
motivo l’intervento d’elezione sarebbe quello di trasposizione dei 2 vasi arteriosi in
assetto fisiologico tramite sconnessione e riconnessioni: è però un intervento molto
complesso e rischioso. Non è l’intervento di 1° scelta ma sarebbe la soluzione + a lungo
termine
5) ALTRE SITUAZIONI PARTICOLARI

 ATRESIA DELLA POLMONARE: mancanza di orifizio di uscita dal ventricolo di destra (nella
classe delle ostruzioni). Come terapia si mantiene il dotto arterioso pervio per far circolare
sangue in polmoni
 ATRESIA DELLA TRICUSPIDE: assenza dell’orifizio AV destro per cui il ventricolo destro
risulta quindi composto da una cavità unica non comunicante con l’atrio dx. Spesso si
associa ad un difetto interatriale con uno shunt dall’atrio dx all’atrio sx o a difetto
interventricolare in cui il ventricolo dx, ormai un piccolo sacchettino (quasi aneurisma), è in
comunicazione con ventricolo sx tramite difetto interventricolare
Terapia: consiste in un’esclusione completa del ventricolo destro e una connessione diretta
dell’atrio destro con l’arteria polmonare in modo da creare un passaggio diretto del sangue
per vis a tergo da vene cave inferiori ad arteria polmonare. I pazienti, dopo l’operazione,
non hanno troppi problemi e conducono una vita abbastanza normale (dimostra quanto il
ventricolo dx non sia così fondamentale), alla lunga possono soffrire di edemi declivi.

 ANOMALIA DI EBSTEIN: anomalia più lieve e frequente caratterizzata da una dislocazione


verso l’apice dell’anello della tricuspide: non è né atresia né una mancanza anatomica ma
semplicemente la base di impianto valvolare è più bassa.
È frequentemente associata ad altre anomalie cardiache (come nel caso di coartazione o
bicuspidia): canale ovale pervio, difetti interatriali o fascio accessorio (in Wolf-Parkinson-
White: problema di sviluppo dell’anello atrioventricolare dx con bypass delle vie di
conduzione che determina una pre-eccitazione tra atrio e ventricolo con presenza onda δ)

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