Sei sulla pagina 1di 44

TipoAppunto: Tesina

Argomento: Medicina Interna


Anno: 2002
nomedocente: Prof. Cappeccioni
commento: tutti gli shock .. settico, neurogeno, termico, anafilattico e cardiogeno
nome: Thomas Manca, Dina Baglioni, Francesca Mascia, Marcella Orru, Roberta Frongia
facolta: Cagliari

SHOCK
Shock è un termine in lingua inglese che alla lettera significa urto, colpo, scossa. In
medicina si intende con shock, detto anche collasso, la diminuzione assoluta o relativa
della massa di sangue circolante, come può avvenire ad es. in seguito ad un’emorragia
profusa o ad una eccessiva dilatazione dei vasi sanguigni. Nell’uno o nell’altro caso i
vasi sanguigni contengono un volume di sangue troppo scarso rispetto alla loro
capacità e pertanto tendono a collassare.
Il sistema circolatorio è fornito di sistemi e meccanismi diversi che consentono
continui aggiustamenti, entro certi valori, della pressione sanguigna. Come in tutte le
funzioni vitali anche qui il fine ultimo è quello di dare all’organismo una grande
stabilità tra i continui cambiamenti in cui esso vive. Infatti gli innumerevoli
cambiamenti di posizione del nostro corpo, le differenti condizioni di lavoro, in
sostanza le prestazioni costantemente diverse che la vita richiede all’organismo,
provocherebbero perturbazioni di tale entità nella pressione del sangue da essere
incompatibili con la vita, se non esistesse una continua regolazione pronta ad
intervenire e a prevenire ogni squilibrio mantenendo le normali caratteristiche
idrauliche del sistema circolatorio. Se non vi fossero meccanismi di tal genere sarebbe
problematico anche il normale passaggio dalla posizione supina a quella eretta perché
comporterebbe la perdita di coscienza per ipotensione cerebrale. Ricordiamo
brevemente questi meccanismi omeostatici che agiscono per equilibrare le
perturbazioni pressorie:

a) FATTORI DI PRIMO INTERVENTO (attivi in pochi secondi)


1 riflessi da barocettori
2 riflessi da chemocettori
3 risposta ischemica encefalica

b) FATTORI DI SECONDO INTERVENTO (attivi nel giro di minuti)


4 adattamenti del tono delle pareti vasali
5 modificazioni della volemia
6 meccanismo vasocostrittore renina-angiotensina

c) MECCANISMI DI COMPENSO DEFINITO


7 meccanismo dell’aldosterone
8 aggiustamento dell’escrezione di acqua e sali minerali

1
SHOCK NEUROGENO
Vi sono persone in cui questi meccanismi sono alterati costituzionalmente o che in
seguito a particolari eventi (quali uno sforzo particolarmente intenso, la convalescenza
da una malattia debilitante) sono particolarmente sensibili per cui uno stimolo dei per
se non grave può causare un riflesso di vasodilatazione e conseguente ipovolemia
relativa, con caduta della pressione arteriosa. Dal punto di vista fisiopatologico si
verifica cioè una discrepanza del letto vascolare (che aumenta) e volume ematico
circolante, con conseguente rapida riduzione del ritorno venoso alla quale segue una
ridotta gettata cardiaca (shock ipovolemico relativo). In questo tipo di shock rientra la
sincope o svenimento. La rilevanza clinica è piuttosto modesta sia per la frequenza
rara che per l’esito favorevole, se correttamente trattato.
Lo shock neurogeno rappresenta una complicanza temibile dell’anestesia spinale. Il
quadro clinico è caratterizzato da pressione arteriosa estremamente bassa, con
frequenza cardiaca normale o ridotta, cute secca ed iperemica. Riduzione della gittata
cardiaca accompagnata da riduzione delle resistenze periferiche. Se questa condizione
non viene corretta si instaureranno lesioni cellulari a livello renale e o cerebrale. Il
trattamento si attua mediante somministrazione di liquidi e farmaci vasopressori.

SHOCK CARDIOGENO
Ma la sindrome dello shock si può avere anche in coloro i cui sistemi regolatori della
pressione funzionano bene, qualora i sistemi stessi si trovino a dover fronteggiare
rapidamente uno squilibrio che vada oltre la capacità compensatoria massima. E
questo può avvenire per un deficit centrale della pompa che sostiene attivamente
questa pressione avendosi così il collasso cardiaco o shock cardiogeno, che riconosce
diverse cause.
FISIOPATOLOGIA DEL COLLASSO CARDIACO
INFARTO ACUTO DEL MIOCARDIO
a)Perdita del miocardio ventricolare sinistro critico
b)Insufficienza della pompa ventricolare destra

COMPLICANZE MECCANICHE
a)Rigurgito mitrale acuto dovuto a distensione o rottura del muscolo papillare
b)Rottura del setto ventricolare
c)Rottura della parete
d)Aneurisma ventricolare sinistra

CONDIZIONI MISTE
a)Cardiomiopatia allo stadio terminale
b)Contusione miocardica

2
c)Miocardite
d)Ostruzione ventricolare sinistra in uscita : stenosi aortica
cardiomiopatia ostruttiva ipertrofica
e)Ostruzione ventricolare sinistra in entrata: stenosi mitralica
mixoma atriale sinistro
Sequela di by pass cardio polmonare

La sindrome dello shock cardiogeno è stata definita come l’incapacirà del cuore,
derivante dal deterioramento della funzione di pompaggio, a mandare un flusso
ematico sufficiente ai tessuti per soddisfare le richieste metaboliche a riposo. Dunque
la più pura definizione clinica di shock cardiogeno include una scarsa gittata cardiaca e
la manifestazione di ipossia tissutale in presenza di un volume intravascolare adeguato.
La diagnosi clinica di shock cardiogeno ragionevolmente accurata può essere effettuata
secondo questi criteri: ipotensione (<90 mmHg o < 30 mmHg rispetto alla pressione
sistolica vasale per almeno 30 minuti); manifestazione di scarsa perfusione tessutale,
incluse oliguria, cianosi, estremità fredde, obnubilamento del sensorio, persistenza
dello stato di shock dopo la correzione di fattori non miocardici che contribuiscono
alla scarsa perfusione tessutale ed alla disfunzione miocardica, più comunemente
l’ipovolemia, le aritmie, l’ipossia e l’acidosi.
Il progressivo deterioramento delle condizioni che avviene in assenza di intervento nei
casi di shock cardiogeno può essere considerato un circolo vizioso.
Fig 1
I meccanismi di compensazione iniziale includono l’attivazione del sistema nervoso
simpatico, effetti sulla regolazione renale e neuronale, e vasoregolazione locale.
L’attivazione del sistema nervoso simpatico è provocata dai barocettori e dai
chemocettori che portano ad un aumento della frequenza cardiaca, a vasocostrizione
arteriosa e venosa, aumento della forza di contrazione del cuore e ad un richiamo di
fluidi nel compartimento vascolare. Il sistema renina-angiotensina vieni attivato da una
inadeguata perfusione renale e da stimolazione simpatica dei nervi renali. Un eccesso
di angiotensina2 porta a vasocostrizione e sintesi di aldosterone che fa aumentare il
riassorbimento di sodio e acqua da parte dei reni incrementando così il volume
ematico. La distensione degli atri porta alla produzione di peptide natriouretico atriale
che favorisce l’escrezione di sali ed acqua da parte del rene riducendo la formazione di
renina e contrastando gli effetti dell’angiotensina2. Infine con l’ipotensione viene
incrementata la produzione di ormone antidiuretico e viene incrementato il
riassorbimento di acqua.

Gli effetti locali sui tessuti inizialmente includono l’accumulo di metaboliti vasoattivi
che causano vasodilatazione arteriolare e capillare. L’autoregolazione porta alla
ridistribuzione del sangue preferenziale verso cervello, cuore e reni. Alla fine
l’abbassamento della pressione perfusionale, specialmente in presenza di malattia
coronarica ostruttiva, porta ad un ulteriore decremento dell’attività contrattile del
cuore ed i meccanismi compensatori periferici sono sopraffatti dal progressivo
deterioramento della funzione cardiaca. L’obbiettivo terapeutico si prefigge di
interrompere il circolo vizioso. La funzione miocardica può essere stabilizzata e infine

3
migliorata massimizzando la funzione sistolica, riducendo la congestione venosa
polmonare e il post-carico e mantenendo una struttura e una funzione valvolare
competente.

APPROCCIO TERAPEUTICO ALLO SHOCK CARDIOGENO


RIANIMAZIONE GENERALE
a)monitoraggio del ritmo e della pressione sanguigna
b)correzione dell’ipossia, anomalie elettrolitiche e squilibrio acido-base
c)aggiustamento del volume intravascolare
MIGLIORATA FUNZIONE SISTOLICA
a)somministrazione di catecolamine
b)palloncino intra aortico
c)ripristino del flusso coronarico (trombolisi, aneioplastica, chirurgia)
MASSIMIZZAZIONE DEL PRECARICO E DEL POSTCARICO
a)somministrazione salina
b)vasodilatazione
DIAGNOSI E TRATTAMENTO DELLA DISFUNZIONE MECCANICA DELLA
STRUTTURA INTRACARDICA
a)valvola mitrale
b)setto ventricolare
c)parete

I tentativi rianimatori e le misure di supporto dovrebbero essere iniziate


immediatamente non appena si sia data valutazione diagnostica. Gli elementi
fondamentali includono un’ossigenazione adeguata, la correzione dell’equilibrio aciso-
base, la terapia antidolorifica e la restituzione del ritmo sinusale. Lo shock cardiogeno
risulta, anche da recenti studi, associato ad un’elevata mortalità. La prognosi può
essere migliorata da una diagnosi precoce della causa latente. I dati a nostra
disposizione sostengono che l’intervento più importante è il precoce e definito
ripristino del flusso coronarico quando la causa principale della sindrome sia il
problema ischemico cardiaco. Per una terapia d’attacco bisognerebbe effettuare una
angiografia coronarica e un’angioplastica.

Ogni ospedale privo di attrezzature e di personale qualificato per queste situazioni


dovrebbe mettere in pratica le prime manovre rianimatorie e avere già predisposto un
piano per l’eventuale trasferimento del paziente (da effettuarsi o meno dopo
valutazione da parte del medico delle possibilità di successo) in modo da eliminare
ritardi non necessari. Uno squilibrio che superi le capacità compensatorie dei sistemi
della regolazione pressoria può essere dato anche da una repentina caduta della
pressione per la riduzione della massa circolante (shock ipovolemico assoluto).
La massa circolante può ridursi per la eccessiva perdita di liquidi (acqua e sali) come
nel caso di un paziente con vomito e o diarrea incoercibili o con eccessiva
sudorazione, liquidi che non vengono reintegrati da una equivalente reintroduzione.
Oppure per la perdita della parte plasmatica del sangue come avviene negli ustionati.

4
SHOCK EMORRAGICO
La massa circolante può ridursi più banalmente per la perdita di sangue intero in
seguito ad emorragia. La fuoriuscita di sangue dai vasi può avvenire per passaggio
degli elementi attraverso la parete vasale integra (avendosi così l’emorragia per
diapedesi) specialmente quando aumenta fortemente la pressione sanguigna all’interno
del vaso: questo tipo di emorragia è però sempre di modesta entità ed il sangue
stravasato è costituito quasi esclusivamente da globuli rossi. Molto più frequenti sono
le emorragie per rottura della parete vasale e la quantità di sangue che fuoriesce può
essere imponente. Le emorragie traumatiche sono dovute all’azione di armi da fuoco,
da punte, da taglio o di corpi contundenti i quali ledono e possono recidere totalmente
il vaso o contunderne la parete così da provocare la rottura. Le emorragie spontanee
insorgono invece quando le pareti dei vasi sanguigni diventano fragili quando la
coagulabilità del sangue è diminuita: ciò può accadere nelle intossicazioni gravi, nelle
leucemie, nelle gravi malattie del fegato, nell’emofilia, nell’avitaminosi, nelle ulcere
gastriche, varici esofagee, tubercolosi, per fare qualche esempio. Il sangue fuoriuscito
dai vasi può essere emesso all’esterno attraverso una ferita (emorragica esterna),
oppure, quando il vaso leso sia profondo, può versarsi in una cavità interna (emorragia
interna). Se l’emorragia è di piccola entità (<400ml) non reca particolare danno
all’organismo in quanto rapidamente in meccanismi compensatori rimpiazzano il
volume di sangue perduto se l’emorragia è di grande entità (>500ml) invece può recare
gravi danni all’organismo e se supera il litro può dare sintomi preoccupanti di anemia
acuta. La sintomatologia di questa sindrome è costituita da sete, prostrazione,
sudorazione, respirazione affannosa, pallore aumentato dalla frequenza cardiaca,
diminuzione della pressione arteriosa. Si ha in altri termini un collasso o shock dovuto
essenzialmente alla forte diminuzione, in un periodo di tempo relativamente breve,
della massa liquida circolante nei vasi sanguigni, diminuzione che viene indicata con il
termine di ipovolemia (assoluta).

Lo shock emorragico è quello che meglio risponde ad una tempestiva terapia quindi è
importantissimo riconoscerlo al suo esordio, in particolare bisognerà prestare maggiore
attenzione alla sintomatologia e predispone il monitoraggio dei parametri fondamentali
in quei pazienti in cui è ipotizzabile la presenza di un’emorragia interna (quelli con
emorragia esterna sono evidentemente pazienti emorragici) come nei traumatizzati ad
esempio.
In seguito alla ridotta pressione vengono stimolati i barocettori aortici e carotidei che
provocano una grossa immissione in circolo di amine vasoattive da parte del sistema
adrenergico simpatico. Viene così a realizzarsi quel complesso di modificazioni
fisiopatologiche del tutto simili a quello che si riscontra in corso di shock cardiogeno e
che conduce ad un’inadeguata perfusione tessutale. In particolare ricordiamo che la
vasocostrizione periferica iniziale fa precipitare drasticamente la pressione idrostatica
nei capillari per cui la risultante delle forze Starling (che comprendono la pressione
idrostatica tessutale, la pressione oncotica dei tessuti, il drenaggio linfatico) è diretta
verso il capillare promuovendo il riassorbimento di acqua dall’interstizio portando
così ad un aumento della massa circolante. (le catecolamine hanno l’effetto di una

5
contrazione attiva degli sfinteri pre e post capillari che causano la riduzione della
capacità periferica suddetta che ha anche scopo di preservare il flusso a livello
centrale).
Le alterazione osmotiche che seguono al riassorbimento di liquidi interstiziali portano
ad un passaggio di acqua e ioni sodio all’interno delle cellule. In questo modo in corso
di shock emorragico non corretto si ha una ridistribuzione dei liquidi dell’organismo
tale che una parte del liquido interstiziale si trasferisce al letto ematico ed una parte
alle cellule. Sperimentalmente si è trovato che una perdita ematica del 25-50% della
massa totale di sangue è seguita da una riduzione del 18-26% del volume dei fluidi
extra-cellulari e si è potuto dimostrare che non tutta la massa dei fluidi extra cellulari
trasferita va ad incrementare la volemia, ma una certa quota passa all’interno delle
cellule inducendo un vero e proprio rigonfiamento ben documentato a livello delle
cellule muscolari.

NORMALE EMORRAGICO SHOCK TOT


PLASMA 8,5% 4,5% 4,5-3% 4,5%
LIQUIDI 25,5% 25,5%
INTERSTIZIALI
LIQUIDI 66% 66% 66% 68%
INTRACELLULARI

Le complesse alterazioni della dinamica microcircolatoria che abbiamo indicato


determinano profonde alterazioni del metabolismo cellulare con arresto della fase
aerobia e produzione dell’energia attraverso la via anaerobia con accumulo di
metaboliti acidi con diminuzione del pH.

Fig 2

L’abbassamento del pH rende i recettori alfa-adrenergici arteriolo capillari meno


sensibili all’azione delle catecolamine che a sua volta è uno stimolo all’ulteriore
liberazione di noradrenalina dal surrene nel tentativo di mantenere la vasodilatazione
malgrado l’acidosi e la prograssiva inefficienza funzionale degli sfinteri. Lo stadio
successivo vede la perdita del tono degli sfinteri precapillari che lasciano entrare
sangue nei capillari. Lo sfintere venoso più resistente all’acidosi mantiene per più
tempo il proprio tono. Il sangue ha difficoltà a lasciare il letto capillare che è stagnante.
La situazione si autoalimenta fino a che lo shock diventa realmente irreversibile.
Tutto ciò si verifica se la volemia non viene profondamente reintegrata. Non entreremo
nel merito dei vari mezzi di reintegrazione volemica o dei farmaci dato che ancora non
conosciamo questi mezzi terapeutici, ma segnialiamo almeno cosa non fare dato che
“primum: non nocere”.
L’uso di catecolamine in questo caso peggiora i sintomi e accelera la morte. L’uso del
caldo nei pazienti colpiti da collasso, apparentemente giustificato dai sintomi di
raffraddamento delle estremità o di tutto il corpo, non è provabile; anzi in determinati
casi si è riscontrata l’utilità dell’ipotermia, cioè del raffreddamento del corpo a 32-33

6
°C, che favorirebbe la ripresa della circolazione e diminuirebbe la gravità dei fenomeni
del collasso.
---------------------------------------------------------------------------------------------------------
-----
DINA BAGLIONI
BIBLIOGRAFIA
Pontieri (fisiopatologia)
Stein vol 1 pg394 (medecina interna)
Colombo pg117 (trattato di chirurgia)
Gallone 1 cap (patologia chirurgica)
Speranza (shock e chirurgia)

ARTICOLI
Cardiogenic Shock, Robert Califf, md, e James R. Bengtscn, md, mph, New England
journal of medicine, june 16 1994

Come i vasi linfatici regolano il volume del liquido interstiziale


Giuseppe Miserocchi, Le Scienze 302 ,ott. 93, pag48

http://www.futurimedici.com

SHOCK SETTICO
Lo shock settico è, fra le varie forma di shock, quello che più interessa il chirurgo, sia
per le complesse implicazioni fisiopatologiche sia per le scelte terapeutiche, talvolta
drammatiche, che impone. Esso è totalmente differente per gli squilibri a livello
cellulare per l’evoluzione dei concomitanti disturbi emodinamici, dagli altri tipi di
insufficienza circolatoria da porre, addirittura, il problema di una sua definizione. E’
molto importante avere ben chiara la distinzione tra stato di batteriemia, sepsi,
sindrome settica e shock settico. Sono questi processi distinti ma rappresentanti fasi
evolutive di un’unica sindrome.
Definiamo:
Sepsi: presenza di microrganismi nel sangue accompagnata da una risposta sistemica
al processo infettivo, da distinguersi dalla batteriemia in cui la presenza dei
microrganismi in circolo non è accompagnata da sintomi.
Sindrome settica: rappresentata dai sintomi della sepsi accompagnati da segni di
alterata perfusione ed ipossia tessutale.
Shock settico: indica casi di sindrome settica con ipotensione marcata. Può essere
definito come un’alterazione cardiocircolatoria rilevante accompagnata da
ipoperfusione.
7
In passato la definizione di sepsi e shock settico era riservata alle forme ad etiologia
batterica. Oggi invece come possibili agenti di shock settico si riconoscono anche i
miceti, virus e protozoi. Nel complesso tra le sepsi prevalgono di gran lunga quelle di
eziologia batterica. Pressoché tutti i batteri possono causare una sepsi: la frequenza
con cui ciascuno di essi si rende responsabile di questo evento può risultare diversa e
si è andata modificando nel corso degli anni. Infatti in epoca preantibiotica i casi di
sepsi erano dovuti prevalentemente a Gram+ (St. Pneumoniae, St. Pyogenes, e
Staphilococcus aureus).
A partire dagli anni sessata sono diventati più frequenti i batteri Gram - (Escherichia
Coli, Clebisiella, Enterobacter, Serratia, Proteus, Pseudomonas).
Si è di pari passo osservato un aumento delle sepsi da miceti, soprattutto da Candida e
da anaerobi. Recentemente si è osservato un nuovo incremento delle sepsi
stafilococciche meticillino-resistenti. Va sottolineato il fatto che l’aumentata incidenza
di sepsi da Gram - è correlata alla maggiore facilità con cui essi sviluppano resistenza
agli antibiotici rispetto ai Gram+ e l’indiscriminato uso di questi farmaci ha favorito
questo fenomeno. Le manifestazioni cliniche della sindrome settica è dello shock
dipendono sia dall’azione patogena dei microrganismi o dei loro prodotti, sia dalla
risposta dell’ospite, in particolare del suo sistema immunitario.

Situazioni che condizionano la capacità difensiva dell’organismo ad un’infezione


locale o generale sono:
1) STATO IMMUNITARIO COMPROMESSO (pazienti colpiti da neoplasie,
granulocitopenici, cirrotici, trapiantati, diabetici scompensati, prematuri, anziani,
defedati in genere, ipogammaglobulinemici). Il sistema della T cellule è
particolarmente sensibile alle carenza proteiche, situazione che si verifica in soggetti
mal nutriti, cirrotici (per perdita proteica nel fenomeno ascitico e diminuita produzione
epatica) ustionati gravi. Anche nella senescenza prevalgono alterazioni a carico
dell’immunità cellulo-mediata a causa sia di carenza dietetiche e alterazioni del
metabolismo generale sia dell’insufficiente produzione di ormoni timici. Una
particolare importanza hanno inoltre le immunodeficienze iatrogene cui possono
andare incontro pazienti trattati per lunghi periodi con corticosteroidi (che inducono
linfopenia per apoptosi dei T linfociti a dosaggi elevati e interagiscono con
l’espressione dei geni delle citochine a dosaggi più moderati). Nei pazienti affetti da
tumore sia la terapia cui vengono sottoposti, sia sostanze direttamente prodotte dal
tumore contribuiscono all’immunodepressione.
2) OSPEDALIZZAZIONE aumenta il rischio di insorgenza di infezioni.
3) INTERVENTI CHIRURGICI particolarmente frequente è l’insorgenza di infezione
da Gram- in seguito a interventi di chirurgia sporca (apparato urogenitale e digerente)
4) FREQUENTE RICORSO A SCOPO DIAGNOSTICO E TERAPEUTICO A
MANOVRE STRUMENTALI: colangiografia percutanea transepatica per esempio
l’endoscopia.

8
5) LARGO IMPIEGO DI CATETERI ENDOVENOSI A PERMANENZA E DI
MATERIALI PLASTICO nell’assistenza al malato (cateteri vescicali).
6) TRAUMI E USTIONI.
Poiché la via di penetrazione de patogeni condizione l’entità della batteriemia è bene
sottolineare che essa è differente nei bambini e negli adulti:
infatti mentre nei bambini è frequente l’ingresso attraverso il cordone ombelicale, sedi
di ustione e vie urinarie, negli è frequente attraverso i distretti in cui sono state
condotte manovre a scopo diagnostico o terapeutico (vie urinarie e biliari soprattutto).
La gravità dell’infezione che potrà evolvere in un quadro di shock settico dipende da
una serie di fattori di virulenza del germe responsabile:
- mobilità batterica
- produzione di enzimi (collagenasi, elastasi, lipasi, proteasi, emolisine, nucleasi)
- produzione di esotossine, capsula.
- presenza di sostanze costitutive di parete ad azione immunomodulante
- fattori di resistenza agli antibiotici.

PATOGENESI
Il microrganismo si moltiplica in prossimità della sede di ingresso (focolaio sepsigeno)
non sempre manifesto, da qui l’importanza dell’anamnesi. Segue la diffusione dei
microrganismi per via linfoematogena. In questa fase si possono verificare forma
trombotiche con possibilità di distacco di emboli settici ( forma tromboflebitiche e
tromboemboliche). Pervenuti nel torrente circolatorio i microrganismi possono
impiantarsi in siti diversi originando focolai metastatici, oppure essere eliminati
(soprattutto per via renale) senza determinare segni clinici evidenti. La sede dei focolai
metastatici dipende dal tropismo che il microrganismo responsabile dell’infezione ha
per un particolare organo: Stafilococco (cute-scheletro), Meningococco (meningi),
Streprococco (endocardio) ecc.
Le manifestazioni cliniche sono scatenate da diversi componenti: esotossine per quanto
riguarda i Gram+ (enterotossine stafilococciche, enzimi extracellulari, streptochinasi
ecc.); Endotossina per i Gram- e in particolare il lipide A.

AZIONE DEL LPS:


L’azione dell’LPS si esplica a diversi livelli:
1) SISTEMA IMMUNITARIO
2) SISTEMA DELLA COAGULAZIONE
3) IPOFISI
L’azione del LPS sul sistema immunitario non è diretta, ma mediata dal macrofago il
quale sotto la sua stimolazione produce una serie di citokine (TNF, IL1, IL6, IL8) ad
azione immuno modulante. Esso produce inoltre derivati dell’acido arachidonico
(leucotrieni, TXA2) e radicali liberi (O2, H2O2, NO) che esercitano effetti sistemici a

9
carico del tono vasale. La quantità dei mediatori prodotti condiziona l’entità della
risposta: quantità elevate provocano iperemia, ipotensione shock, CID. L’iperemia è
causata dall’azione di IL1 e TNF a livello ipotalamico. L’ipotensione è causata sia
dall’azione di sostanze direttamente prodotte dal macrofago (prostaglandine) sia dai
prodotti del sistema delle chinine (bradichinina, callidina) che viene attivato dal fattore
XIIa del sistema della coagulazione, a sua volta direttamente attivato dall’LPS. La CID
è il risultato dell’azione diretta dell’LPS, delle citokine di produzione macrofagica su
endotelio e piastrine. L’azione sull’endotelio determina aumentata produzione di
Tissue Factor (ad attività trombofilica e diminuita sintesi di trombomodulina (fattore
che lega la trombina agendo come antiaggregante) .Il danno endoteliale diretto causato
dall’endotossina causa la diminuita produzione di EDRF (fattore di rilasciamento
endotelio dipendente, che ha funzione antiaggregante e vasodilatante) e di una serie di
altre sostanze ad azione simile implicate nel mantenimento dell’equilibrio della
bilancia coagulativa.

L’azione dell’LPS sulle piastrine è mediato da sostanze rilasciate da macrofagi (TXA2


e prostaglandine) e dall’endotelio danneggiato (Tissue Factor) : queste sostanze sono
causa di attivazione e aggregazione piastrinica, ne consegue consumo piastrinico e
liberazione (da parte delle piastrine attivate) di attivatore del plasminogeno con
conseguente fibrinolisi.
Queste condizioni (eccessiva attivazione piastrinica e del sistema fibrinolitico)
associate all’attivazione della cascata coagulativa portano alla coagulopatia da
consumo caratterizzata da una sintomatologia di tipo emorragico. L’azione del LPS a
livello ipofisario consiste nella stimolazione alla liberazione di endorfine (ad azione
vasodilatante e ipotensiva) e ACTH (ad azione pressoria e metabolica). A livello
vascolare il risultato finale dell’azione di sostanze anche fra loro antagoniste (tipo i
derivati dell’acido arachidonico) si presenta come:
1) alterazione della permeabilità vascolare
2) alterazione del tono vasale
3) inibizione della contrattilità miocardica
4) anomala regolazione dell’emocoagulazione
Rispettivamente abbiamo:
1) questa condizione è determinata dall’azione di un grande numero di sostanze,
alcune rilasciate dalle cellule macrofagiche (prostaglandine, leucotrini) e dai basofili
(istamina), altre derivate dal sistema della chinine.
2) possono essere in senso di vasodilatazione o vasocostrizione a seconda che, a
livello locale, prevalga l’azione di vasodilatanti (prostaglandine, chinine, istamina) o
vasocostrittori (TA2, TF).
3) in corso di shock si rileva sempre la presenza in circolo di sostanze ad azione
miocardio deprimente, tra queste il TNF riveste il ruolo principale, ma svolgono in tale
senso un ruolo interessante anche le endorfine.

10
PROFILO EMODINAMICO
Per comprendere le modificazioni emodinamiche che si verificano in corso di shock
settico, si deve esaminare oltre all’azione delle sostanze vasoattive, il controllo da
parte del sistema nervoso sul tono vasale che avviene tramite la stimolazione di
recettori. Tra questi, alcuni sono maggiormente implicati nell’evoluzione del profilo
emodinamico:
- recettori alfa adrenergici (costrittori) che rispondono alla noradrenalina ma anche alle
catecolamine circolanti.
- recettori beta adrenergici (dilatatori) rispondono all’adrenalina circolante ed ai
farmaci beta stimolanti come ad esempio l’isoproterenerolo. La distribuzione di questi
recettori è differente nei diversi organi.

Lo stato di shock è vissuto dall’organismo come una condizione di emergenza a cui si


oppone con la liberazione di ormoni e mediatori del sistema nervoso (adrenalina
soprattutto ma anche noradrenalina) col fine di aumentare il flusso negli organi del
movimento e della produzione di energia (muscoli, cuore, polmone, fegato), ridurlo
negli organi che non concorrono a risolvere l’emergenza (cute, reni, milza)
Le condizioni che delineano un quadro di shock sono da attribuirsi a :
1) alla risposta catecolaminica dell’organismo
2) all’azione del LPS -diretta (simil adrenergica)
-indiretta (mediata dalle sostanze rilasciate dalle cellule del
sistema immunitario)

Va dunque sottolineato fra gli effetti biologici del LPS la vasodilatazione, dovuta alla
sua azione simpatico mimetica diretta sui beta recettori.
La particolarità di questo tipo di shock è che esso, evolve in due fasi principali,
nessuna delle quali è obbligatoria: fase ipercinetica e fase ipocinetica.

FASE IPERCINETICA
E’ caratterizzata da una vasodilatazione e da un deficit dell’estrazione tissutale di O2.
Riconosciamo 3 fenomeni fondamentali:
1) CADUTA DELLE RESISTENZE PERIFERICHE.
In caso di shock settico si ha una diminuzione misurabile delle resistenze arteriose
sistemiche. Questo dato finale non riflette la realtà, perché esiste una grande diversità
tra la circolazione dei veri distretti corporei. Così mentre il muscolo è sede di
un’importante vasodilatazione, cute, rene, viscere addominali si trovano in uno stato di
intensa vasocostrizione. Si avrebbe inoltre, secondo la “teoria della beta stimolazione”,
l’apertura di Shunts arterovenosi (in seguito alla stimolazione di beta recettori da parte
degli aumentati livelli di catecolamine de del LPS) a livello polmonare, muscolare e
splancnico.
2) DEFICIT D’ESTRAZIONE DI O2

11
a causa dell’esclusione di parte del microcircolo dal flusso sanguigno, (il sangue passa
cioè direttamente dall’arteriola alla venula “saltando” il territorio capillare a valle ). Si
osserva in caso di shock settico una peculiare diminuzione della differenza
arterovenosa di O2 (DAVO2) dovuta alla diminuita estrazione di O2 da parte dei
distretti non vascolarizzati.
Fig 1
3) ADATTAMENTO DELL’APPARATO CARDIOCIRCOLATORIO.
L’immediata conseguenza della caduta delle resistenze periferiche è l’aumento del
ritorno venoso: a questa condizione il cuore si adatta aumentando la sua gittata. Questo
stadio che contraddistingue lo shock settico si traduce clinicamente in un polso pieno,
in una pressione differenziale conservata o aumentata, in una diastolica e una media
abbassata.

FASE IPOCINETICA
Si caratterizza per la comparsa di una ipovolemia e di un eventuale insufficienza
cardiaca che determina una caduta dell’agitata.
1) IPOVOLEMIA
Si tratta di una ipovolemia relativa dovuta al sequestro periferico di sangue soprattutto
a carico del distretto splancnico.
Sempre secondo la teoria dell’apertura degli shunts: si verificherebbe una
vasocostrizione degli sfinteri precapillari per azione delle catecolamine, nel tentativi di
aumentare le resistenze periferiche. Questo determinerebbe un’ulteriore aggravamento
dello stato di anossia dei distretti già ipoperfusi, cui seguirebbe il rilasciamento
paralitico degli sfinteri stessi con conseguente ampliamento del letto capillare a valle e
sequestro di sangue. All’instaurarsi dell’ipovolemia contribuisce inoltre la fuoriuscita
dei liquidi dai capillari favorita dall’aumento della pressione idrostatica a seguito della
stasi e dell’aumento della permeabilità endoteliale mediata dalla numerose sostanze
vasoattive. L’ipovolemia determina una diminuzione del ritorno venoso.
2) INSUFFICIENZA CARDIACA
Ha una genesi multifattoriale (ipossiemia, acidosi metabolica, squilibrio elettrolitico,
MDF). Qusto danno è incostante, complica abitualmente shock protratti. Colpisce in
ugual modo i due ventricoli, motivo per cui le modificazioni della PVC e della PA
avvengono parallelamente.
3) PROFILO EMODINAMICO
L’ipovolemia provoca una diminuzione importante del ritorno venoso, della gittata
cardiaca e dunque della PA. Cioè scatena una stimolazione del sistema simpatico con
vasocostrizione. La comparsa in questo stadio di una insufficienza cardiaca accentua la
caduta della gittata. Il paziente si trova di solito in uno stato di acidosi metabolica. In
mancanza di terapia si instaura un quadro di MOF (multiplo danno d’organo) che può
condurre a morte il paziente.

SINTOMATOLOGIA

12
Sul piano clinico l’evoluzione può essere distinta in diversi stadi: sepsi, sindrome
settica, shock settico (distinto in iniziale e refrattario). Le caratteristiche di questi stadi
sono:
- SEPSI: importante rialzo termico preceduto da brivido può raggiungere i 40- 41 °C e
può lasciare successivamente il posto a ipotermia. Il polso è accelerato (> 90 b/ min)
di ampiezza variabile, talvolta appena percettibile anche a livello dei grossi tronchi
arteriosi. Compare inoltre tachipnea.
- SINDROME SETTICA: questa fase è caratterizzata dalla contrazione della diuresi
oraria ( diuresi <0,5ml/Kg), dall’iniziale stato di sofferenza tissutale da ipossia che si
manifesta con un amento dei valori di lattacidemia.

-SHOCK SETTICO INIZIALE: si aggiunge in questo stadio evolutivo, l’ipotensione


(sistolica < 90mmHg o riduzione dei valori vasali > 40mmHg) che ha durata inferiore
ad una ora ed è sensibile alla terapia infusionale e farmacologica.
-SHOCK SETTICO REFRATTARIO: si entra in questa fase quando l’ipotensione ha
durata superiore ad una ora e non risponde più alla terapia convenzionale, si richiede
in questo caso una terapia più “aggressiva”. La sintomatologia può essere
ulteriormente aggravata da vari danni d’organo. A questo proposito il quadro più
temuto è quello di multiple disfunzioni d’organo che rappresenta un’evoluzione
temibile per l’elevatissima letalità: quando risultano compromessi 4 o più apparati, il
tasso di mortalità si avvicina al 100%.

DANNO D’ORGANO
POLMONE
Il quadro polmonare caratteristico dello shock settico è l’ARDS (sindrome da stress
respiratorio dell’adulto) che rappresenta la complicanza nel 15-20% dei pazienti in
corso di shock si tratta di una forma di edema polmonare che si distingue dall’edema
cardiaco per il fatto che la pressione idrostatica è normale. Dunque la causa
dell’edema è in questo caso da identificare con l’aumento della permeabilità della
membrana alveolo-capillare determinata dall’attivazione delle cellule sanguigne, in
particolare dei neutrofili (leucotrieni, tromboxano, prostaglandine) e delle piastrine
(microtrombi causa di danno endoteliale). Il quadro anatomo patologico comprende
inoltre emorragie, atelettasia (dovuta a perdita del “surfactant”), formazione di
membrane ialine (in conseguenza dell’edema alveolare, il febrinogeno coagula a
fibrina formando all’interno degli alveoli queste strutture peculiari).
Questo quadro si manifesta come una insufficienza respiratoria acuta che costituisce la
causa di morte più frequente nei pazienti in stato di shock. Questo quadro peggiora in
seguito a terapia infusionale atta alla correzione della volemia (per aumento della
pressione idrostatica che tende a peggiorare l’edema).
Inizialmente: il polmone compensa l’acidosi metabolica sistemica (dovuta all’ipossia
stagnante) con tachipnea, responsabile dello stato alcalotico e ipocapnoico del
paziente. Con la progressione dello shock e il sopraggiungere del quadro di ARDS si

13
verifica una diminuita capacità di diffusione dell’O2 che si manifesta con ipossiemie in
genere resistente anche a forti incrementi di PO2 nell’aria infusa.

Alcuni autori riconoscono due stadi evolutivi nel quadro di polmone da shock:
1) caratterizzato da edema interstiziale, congestione vascolare, infiltrazione
leucocitarie e atelettasie focali. In questa fase spesso il reperto radiografico non
consente un’esatta valutazione della gravità delle alterazione anatomopatologiche,
pertanto si deve prestare particolarmente attenzione ai parametri di emogas analisi. Se
non trattato questo stadio evolve nel secondo.
2) quadro caratterizzato da episodi broncopneumonici con infiltrazione di
polimorfonucleati negli alveoli e nei setti e con aree di addensamento ben evidenti
radiologicamente.

RENE
Il danno renale è dovuto all’ipossia tubulare che da origine al quadro di necrosi
tubulare acuta ischemica detta anche tubulo nefrosi emoglobinurica che riguarda il
tubulo distale, si instaura rapidamente e può essere più o meno reversibile. Dal punto
di vista anatomopatologico è caratterizzata da necrosi degli epiteli tubulari, con rottura
della membrana basale e quindi tubuloressi con passaggio del filtrato nell’interstizio,
presenza di cilindri pigmentati bruno-arancio di Hb o altre proteine che occludono il
lume tubulare, edema per ectasia dei vasi e tubuloressi. Se il soggetto sopravvive,
dopo una settimana è possibile mettere in evidenza segni di rigenerazione.
Al quadro di rene da shock, in corso di shock settico si aggiunge come fattore
aggravante l’azione diretta della tossine, di per se causa di necrosi tubulare (necrosi
tubulare acuta tossica) soprattutto a carico del tubulo prossimale.
L’evoluzione del quadro sintomatologico si articola in 4 fasi:
a) FASE INIZIALE DELLO SHOCK SETTICO: sino a circa 36 ore si presenta un
quadro extra renale con ipotensione marcata.
b) FASE OLIGURICA: si verifica contrazione della diuresi fino a 100-400cc nelle
24h, dura dai primi giorni sino a 2-3 settimane. Sintomatologia uremica.
c) FASE DIURETICA PRECOCE: la diuresi cresce fino a divenire abbondante (oltre 3
litri ) perchè si ha perdita di H2O, Na+ e K+ per danno tubulare che impedisce le
funzioni di riassorbimento: In questa fase l’urina può diventare isostenurica (cioè con
osmolarità simile a quella del plasma). Può essere utile considerare come indice di
funzionalità tubulare il rapporto Na+ urinario/ sodio plasmatico (Na U / Na P) questo
diviene tanto più elevato, avvicinandosi all’unità quanto maggiore è la compromissione
renale.
d) FASE DIURETICA TARDIVA: in cui dopo il recupero della struttura tubulare si ha
il ritorno alla normale concentrazione delle urine.

CUORE
Il danno cardiaco può evolvere sino all’insufficienza cardiaca irreversibile (vol.
terapia).

14
APPARATO DIGERENTE
L’apparato digerente può andare incontro a processi di gastrite acuta emorragica,
responsabile di ematemesi e melena, sono frequenti anche disturbi funzionali quali
l’ilio paralitico. Le ulcerazioni sono dovute al danno ischemico locale (rottura della
barriera mucosa), in corso di uremia (condizione caratteristica dell’insufficienza
renale) si osservano numerosi a carico di questo apparato:
- un quadro infiammatorio indicato come esofagite uremica
- ulcere acute a livello gastrico
- una grave forma di colite ulcero necrotica detta colite uremica.
A livello epatico risulta depresso il potere di filtrazione nei confronti di tossine,
cataboliti e batteri, si può osservare una inefficienza della sintesi proteica (con
alterazione anche del meccanismo emostatico) e della coniugazione biliare (ittero).
Sono stati descritti i danni d’organo principali, va comunque sottolineato che tutti gli
apparati ( sistema nervoso, sistema immunitario ecc..) subiscono danni più o meno
rilevanti.

ESAMI DI LABORATORIO
Per completare il bilancio clinico è necessario praticare un minimo di esami
laboratoristici che risultano utili per seguire l’evoluzione e guidare la terapia ma non
per formulare la diagnosi che deve basarsi sull’anamnesi e sulle circostanze di
insorgenza.
In corso di shock settico si osserva spesso:
1) LEUCOCITOSI NEUTROFILA (15.000-30.000/ml) che può però essere sostituita
da una leucopenia prognosticamente sfavorevole, soprattutto se sono presenti in
circolo forme leucocitarie giovani o immature.
Nelle infezioni da patogeni intracellulari (salmonelle, brucelle, listeria, virus, rickettsie)
e nelle sepsi iperacute il numero dei leucociti si presenta normale o diminuito.
2)PIASTRINOPENIA inferiore a 100000/mm3
3) se presente CID: marcata diminuzione del fibrinogeno, aumento di PT e PTT,
presenza in circolo dei prodotti di degradazione della fibrina.
4) IPERAZOTEMIA: si instaura rapidamente è segno di ipercatabolismo secondario
all’infezione di insufficienza renale, compaiono inoltre ipercreatinemia e spesso
iperkaliemia ( questa situazione richiede urgente depurazione extra renale).
5) Le TRANSAMINASI, l’AMILASIEMIA, la CPK, la LDH, sono spesso molto
aumentate.

6)disturbi dell’equilibrio acido-base: variano nelle due fasi dello shock (alcalosi
respiratoria in fase ipercinetica, acidosi metabolica in fase ipocinetica).

DIAGNOSI
Lo stato di sepsi può essere sospettato sulla base della sintomatologia clinica
(essenzialmente la tipica febbre elevata e preceduta da brivido) dai reperti di

15
laboratorio e fondamentalmente sul risultato dell’emocoltura ( il prelievo si esegue tre
volte al giorno nella fase di brivido) che il questa fase risulta positivo al 99%. Al
contrario solo il 50% dei pazienti in corso di shock settico risulta batteriemico: dunque
il riconoscimento dello shock settico non richiede il riscontro dell’emocoltura positiva.
La diagnosi, di conseguenza, deve tener conto essenzialmente del quadro clinico: la
comparsa di una sintomatologia da shock in un paziente che presenta febbre e brivido,
specie se è possibile dimostrare la presenza di una “porta di ingresso” dei patogeni,
deve indirizzare immediatamente verso la diagnosi di shock settico. Nei casi in cui la
temperatura corporea è normale o inferiore alla norma la diagnosi risulta molto più
difficile.

TERAPIA
I tre fattori fondamentali dell’equilibrio circolatorio:
MASSA SANGUIGNA <--------> POMPA CARDIACA

TONO VASALE

La terapia razionale dello shock necessita per prima cosa di una correzione del grave
squilibrio emodinamico che rappresenta l’origine di tutte le altre condizioni di pericolo
per la sopravvivenza del paziente.
Quando la capacità di compenso del sistema cardiocircolatorio raggiunge i limiti, si
passa a un quadro di insufficienza circolatoria che nei casi più gravi assume i caratteri
dello shock: questo può dipendere dal difetto di uno solo o tutti e tre i parametri
riportati sopra: Dunque un paziente in stato di shock richiede prima di tutto quei
provvedimenti che servono a stabilire il giusto equilibrio tra volume di sangue
circolante, capacità dinamica del cuore e tono della rete vasale. Dunque poiché la vera
causa di morte per shock è da identificarsi con l’insufficienza acuta della
microcircolazione, la salvezza del paziente dipende dalla nostra capacità di correggere,
quanto più tempestivamente possibile, l’insufficienza della microcircolazione (causa
dell’ipovolemia relativa in corso di shock settico).

Anche se la ipotesione che caratterizza lo stato di shock è un parametro che va


chiaramente corretto, non si deve correre il rischio di identificare la caduta della PA
con lo shock e pensare di “curarla” usando vasocostrittori che peggiorano la già
deleteria condizione del microcircolo dovuta proprio alla straordinaria quantità di
catecolamine liberate dall’organismo in corso di shock (nel tentativo di riadeguare il
tono vasale).Anche se in corso di shock settico la massa sanguigna non subisce
variazioni, la terapia sarà mirata alla correzione della pompa cardiaca, e
dell’insufficienza vasomotoria e dell’ipovolemia relativa.
CUORE
CORREZIONE DELL’INSUFFICIENZA CARDIACA:
nel quadro di shock sono diversi i fattori di ordine biochimico che concorrono a
indebolire il muscolo cardiaco. Tra questi ricordiamo per la speciale importanza:
1) IPOSSIEMIA
2) ACIDOSI METABOLICA

16
3) SQUILIBRI ELETTROLITICI
La terapia mira a risolvere subito ognuna di queste situazioni:
1) E’ tanto più dannosa quanto maggiore è la richiesta di O2 nel tessuto. Nel caso del
muscolo cardiaco è noto che il circolo coronarico presenta la più alta differenza artero-
venosa di qualsiasi altro distretto. Si deve sottolineare inoltre che l’ipossia arteriosa è
causa di ipotonia vasale il che implica che lo stato di ipotensione persista anche in
seguito alla correzione dell’ipovolemia. Si procede alla somministrazione di O2
miscelato con aria in parti uguali. La saturazione di O2 nel sangue arterioso si deve
mantenere superiore al 90%, per avere la certezza è di grande utilità l’ossimetria (si
esegue con l’ossimetro che è un apparecchio fotoelettrico che misura la saturazione
dell’O2 ematico registrando la quantità di luce trasmessa o riflessa dall’emoglobina
deossigenata rispetto a quella ossigenata).
2) si tenta di tamponare l’acidosi con la somministrazione endovenosa di bicarbanato
sodico (o altre soluzione come ringer-lattato e il tham cioè tris-idrossimetil-
aminometano) Tuttavia la somministrazione di valenze alcaline non può impedire la
formazione di acido lattico e degli altri cataboliti di origine anaerobia se gli scambi
ossidativi permangono compromessi sia a causa dell’ipossiemia (causata da
complicanze polmonari) sia per le complicanze microcircolatorie (causate
dall’ipossiemia stagnante per gli shunts arterovenosi in condizioni persistenti di sepsi).
La riserva alcalina e la lattacidemia sono parametri indicativi per la terapia e nello
stesso tempo hanno significato prognostico: tanto più grave e prolungata è l’acidosi
metabolica, tanto più difficile sarà la guarigione.
3) E’ molto complesso trattare gli squilibri elettrolitici che si instaurano in corso di
shock perché le funzioni biochimiche compromesse in questo stato sono numerose.
Nella pratica clinica è bene prestare particolare attenzione alle variazioni di Na+ e K+.
Solo dopo aver provveduto alla correzione di questi parametri e non prima, si può
passare alla terapia con farmaci digitalici e con glucosidi. E’ ovvio infatti che ad essi il
miocardio potrà rispondere meglio, con contrazioni più efficaci, purché riceva O2
sufficiente e non si trovi in condizioni di acidosi o di squilibrio elettrolitico. E’ bene
sottolineare inoltre uno stretto rapporto fra metabolismo potassico e tossicità digitalica:
la deplezione di K+ infatti sensibilizza il miocardio ai digitalici che anche nelle dosi
abituali possono portare a disturbi di conduzione se non a blocco atrio-ventricolare.
Attualmente hanno assunto grande importanza i farmaci adrenergici beta stimolanti, il
prototipo è l’isoprotenerolo la cui azione inotropa positiva sul a cuore fa notevolmente
aumentare la portata cardiaca, a tale effetto si somma anche una discreta
vasodilatazione che migliora la perfusione della rete capillare. Questo tipo di farmaco
è assai più indicato per la correzione della pompa cardiaca rispetto agli alfa stimolanti
(come noradrenalina) dotati di potente azione vasocostrittiva.

CORREZIONE DELL’INSUFFICIENZA VASOMOTORIA E IPOVOLEMIA:


la correzione della particolare insufficienza vasomotoria che si trova all’origine dello
shock settico è forse il compito più delicato della terapia dello shock.
Poiché ogni insufficienza circolatoria di origine periferica (in questo caso rappresentata
da shunts arterovenosi) è causa di ipovolemia relativa, la prima correzione riguarda il
volume di sangue in circolo, che si deve aumentare sino al raggiungimento di una

17
portata cardiaca efficiente. Questo trattamento va ovviamente associato alla terapia di
sostegno al cuore che ne aumenta il rendimento. Dunque la correzione di un
ipovolemia relativa non è sostanzialmente diversa da quella di una ipovolemia
assoluta. Spesso la salvezza dei pazienti è totalmente dipendente da un’energica
terapia infusionale associata a farmaci con effetto inotropo positivo.
E’ stata dimostrata una altissima produzione di catecolamine nell’organismo in corso di
shock, tanto da rendere superflua la somministrazione di sostanze vasopressorie,
questo indica l’inadeguatezza della terapia precedentemente adottata che prevedeva la
somministrazione di vasocostrittori: sostanze adrenergiche alfa-stimolanti tipo:
noradrenalina, sinefrina, retaraminolo, allo scopo di correggere l’ipotensione
arteriosa acuta, la risposta “naturale” alle gravi cadute pressorie può già divenire un
fattore di aggravamento, se l’ischemia (causata dalla vasocostrizione catecolaminica)
si protrae assumendo i caratteri irreversibili dell’ipossia stagnante. Dunque quando il
polso diventa impercettibile perché il cuore, che non riceve sangue a sufficienza batte
(per così dire) a vuoto, si deve aumentare rapidamente il volume circolante
sorvegliando la PV piuttosto che ostinarsi con stimoli vasopressori; praticamente noi
possiamo sperare di normalizzare la PA agendo direttamente sul tono vasale: è ciò che
già tenta il nostro organismo senza successo.
E’ bene sottolineare anzi che vasopressina, angiotesina e altre sostanze puramente
dotate d’azione vasopressoria, sono assolutamente controindicate, poiché aumentano
le resistenze e dunque il lavoro del cuore senza migliorare le sue prestazioni.
Si è osservata invece l’importanza delle amine beta stimolanti dotate di intensa azione
inotropa sulla pompa cardiaca e capaci di ridurre le resistenze periferiche. L loro utilità
d’impiego si dimostra a condizione che il volume di sangue circolante venga
“aggiustato” sulla base della PVC e della PAPB.
Alla terapia sintomatologica va affiancata quello eziologica con l’eliminazione della
porta d’ingresso del germe che può consistere nella rimozione di un catetere venoso o
vescicale o anche in un intervento chirurgico come il drenaggio di un ascesso
profondo. Il paziente inoltre va sottoposto ad antibiotico terapia che deve essere
iniziata tempestivamente: prima con antibiotici a largo spettro attivi su Gram+ e
Gram-, in un secondo momento (identificato il patogeno) si procede su guida
dell’antibiogramma. La posologia deve essere sempre adatta alla condizione renale ed
epatica.
I DIECI COMANDAMENTI DELLO SHOCK:
1) ESAMINA IL PAZIENTE
2) ASSICURA LA PERVIETÀ DELLE PRIME VIE AEREE
3) AGGIUSTA LA MASSA DI SANGUE (volume circolante) con trasfusioni e
infusioni isotoniche, tenendo conto dell’ematocrito, da diuresi oraria (con catetere
vescicale a dimora), la PVC e preferibilmente la PAPB
4) SORVEGLIA E CORREGGI le concentrazioni ematiche di Na+, K+, Ca2+, HCO-3 e
Cl-
5) se la PVC sale, mentre persiste l’ipotensione arteriosa, inizia la terapia digitalica
(per infusione a goccia)*
6) sorveglia l’EMATOSI aggiungendo all’osservazione clinica, quando possibile,
l’emogas analisi (specie l’ossimetria del sangue arterioso)

18
7) correggi l’INSUFFICIENZA RESPIRATORIA con l’inalazione di O2
opportunamente miscelato all’aria (se la PaO2 è scesa tra 70 e 80mmHg) ma non
ritardare l’impiego del respiratore meccanico per una PaO2 inferiore a 70mmHg.
8) NON IMPIEGARE VASOPRESSORI (noradrenalina, metarominolo ecc..) ma
ricorri piuttosto a isoprotenerolo, sorvegliando la frequenza del polso
9) SOSPETTA LA NATURA SETTICA dello shock quando la sua causa è oscura. In
ogni caso tieni d’occhio la temperatura (termometria rettale e non cutanea).
10) comincia subito a somministrare un ANTIBIOTICO AD AMPIO SPETTRO,
provvedi a eliminare la porta d’ingresso del germe e poi correggi la terapia sulla base
dell’antibiogramma.
*Ricorda che per essere utile devi prima eseguire una correzione dell’ipossiemia e
della potassiemia se queste hanno valori alterati

ATTIVITÀ DI ADRENALINA, NORADRENALINA, DOPAMINA,


ISOPROTERENOLO
Sono queste le catecolamine principali. La loro azione è legata alla capacità di legarsi
ai recettori simpatici situati sulle cellule effettrici. L’affinità di legami con i vari
recettori è differente e questo basta a spiegare i diversi effetti di queste sostanze.
L’adrenalina ha una alta affinità di legame con tutti i recettori adrenergici (alfa, beta),
la noradrenalina ha un’alta affinità per gli alfa ed i beta1 ma scarsa sui beta2 mentre
l’isoproterenolo è considerato quasi un beta agonista puro vista la sua selettività per i
recettori beta. La dopamina interagisce con i recettori alfa e beta1 e inoltre con
recettori dopaminergici specifici D1 e D2.
A causa della diversa distribuzione dei recettori alfa e beta nei diversi distretti
vascolari e alla differente affinità che le amine nei loro confronti, le modifiche
emodinamiche che si possono ottenere con il loro utilizzo sono assai differenti.
I vasi della cute, delle mucose, dei visceri e del rene possiedono prevalentemente
recettori alfa, dunque risponderanno alla stimolazione con adrenalina e noradrenalina
con un’intensa vasocostrizione. I muscoli scheletrici sono vascolarizzati da vasi che
contengono prevalentemente recettori beta2, sebbene siano presenti anche recettori
alfa sensibili all’adrenalina e noradrenalina: questi provocheranno costrizione in
contrasto con l’azione dell’isoproterenolo che darà invece dilatazione.
Per quanto riguarda il circolo coronarico, in esso sono presenti recettori sia alfa che
beta ma la loro stimolazione non ha un ruolo determinante nella vasodilatazione di
questo distretto che invece è regolato prevalentemente da METABOLITI AD
EFFETTO VASODILATATORIO di produzione locale: questi si producono ogni volta
che il cuore è stimolato e aumenta il suo lavoro. Dunque l’incremento del flusso
coronarico che si osserva dopo la loro somministrazione è legato all’aumento del
lavoro cardiaco da esse indotto.
Al contrario l’ISOPROTERENOLO provoca un effetto vasodilatatore diretto sui vasi
coronarici, inoltre esso determina anche l’incremento di produzione dei metaboliti
vasodilatatori menzionati.
Gli EFFETTI CARDIACI dell’isoprotenerolo sono di incrementare la frequenza e la
contrattilità cardiaci (cronotropo e inotropo positivo) che si traducono in un netto
aumento della gittata cardiaca. A livello sistemico si registrerà l’effetto

19
DEPRESSORIO (caduta della diastolica e della media) dovuto alla caduta delle
resistenze periferiche. Anche l’adrenalina agisce a livello dei beta recettori cardiaci
determinando un aumento della gittata.
L’effetto sul cuore della noradrenalina è complessivamente quello di non far variare la
gittata e a livello sistemico di far aumentare le resistenze periferiche.

AZIONE DOPAMINA: L’azione dipende dalla concentrazione infusa. Bassi dosaggi


provocano vasodilatazione renale, mesenterica, coronarica; concentrazioni maggiori
determinano aumentata frequenza, contrattilità e dunque maggiore gittata cardiaca: in
particolare, al contrario dell’isoprotenerolo (che ha marcato effetto anche sulla
frequenza) la dopamina agisce maggiormente sulla forza che non sulla frequenza ha
inoltre azione di vasodilatazione periferica. Questo da il vantaggio che usando
dopamina il cuore aumenti meno il suo consumo di O2. La dopamina ha inoltre azione
di vasodilatazione periferica.

IMPIEGO CLINICO
L’ADRENALINA è il farmaco d’elezione nel trattamento dello shock anafilattico
grazie alla sua azione di contrasto nei confronti dell’istamina.
LA NORADRENALINA non viene mai usata nel trattamento dell’ipotensione in corso
di shock in quanto il tono simpatico è già alto e la perfusione degli organi può essere
ulteriormente aggravata da questa terapia.
ISOPROTERENOLO e DOPAMINA sono i migliori candidati (insieme a vari altri
farmaci derivati dalla dopamina stessa) alla terapia dello shock settico. Particolarmente
usata è la dopamina che viene usata per correggere il deficit della pompa cardiaca sia
nello shock cardiogeno da infarto del miocardio e scompenso cardiaco, sia nello shock
settico appunto. Particolarmente indicata la sua somministrazione anche per la sua
capacità di indurre dilatazione renale, come abbiamo visto infatti la circolazione renale
è frequentemente compromessa in corso di shock.

---------------------------------------------------------------------------------------------------------
----
ROBERTA FRONGIA
MARCELLA ORRU

http://www.futurimedici.com

SHOCK ANAFILATTICO
20
Si tratta di uno stato di insufficienza circolatoria acuta dovuto alla massiccia
liberazione di mediatori vasoattivi, in corso di una reazione immunitaria verificantesi
dopo l’introduzione di un allergene all’interno di un organismo, allergene a cui il
soggetto si era precedentemente sensibilizzato.
L’inadeguata perfusione capillare, che provoca una diminuzione dell’effettiva
irrorazione tessutale costituisce il principale evento fisiopatologico dello shock
anafilattico. All’alterazione emodinamica iniziale fanno poi seguito, se i meccanismi di
compenso risultano inefficaci ovvero, si non si instaura un trattamento precoce ed
adeguato, alterazione emodinamiche e metaboliche, che possono condurre a un danno
cellulare irreversibile.
Lo shock anafilattico è una situazione clinica legata al fenomeno di ipersensibilità di
tipo I della classificazione di Gell e Coombs.
Fig 1
Innanzitutto il termine anafilassi letteralmente significa contro protezione e viene
inteso come una risposta immunitaria abnorme espletata nei confronti di un agente
estraneo di varia natura che è venuto a contatto con l’organismo. Questa iperattività da
parte del sistema immunitario è alla basa di alcune patologie che vanno da una rinite o
un asma, al vero e proprio shock allergico.
L’anafilassi è indotta in seguito a due successive inoculazioni di un antigene,
intervallate da un opportuno lasso di tempo, di cui la prima ha un effetto
sensibilizzante, la seconda un effetto scatenante. Prendendo in considerazione dello
shock, la sequenza degli eventi è stereotipata: dopo una sensibilizzazione iniziale,
clinicamente muta, a un determinato antigene, segue un periodo di latenza di 7-10
giorni durante il quale vengono prodotti gli anticorpi specifici per l’antigene. Se si
verifica un secondo contatto con lo stesso antigene si instaura uno shock anafilattico
nel volgere di pochi minuti.
Vediamo ora sommariamente cosa accade durante una reazione di ipersensibilità.
Fig 2
Premettiamo che i protagonisti delle malattie allergiche sono le IgE, le mastcellule e
basofili con i loro prodotti, gli eosinofili e le cellule dell’infiltrato infiammatorio.
L’antigene viene a contatto per la prima volta con l’organismo tramite la superficie
mucosa (sono possibili, come vedremo, altre vie di penetrazione). Viene inglobato da
un APC locale (che può essere un macrofago o un linfocito B o qualsiasi altra cellula
che sia predisposta a questa attività) processato e presentato ai linfociti Th sulle
molecole di istocompatibilità di classe II. I Th2 si legano e secernono citochine
particolari come la IL 4 e la IL13 che stimolano la proliferazione dei linfociti B. E’
necessario sottolineare che sono i Th2 e non i Th1 ad agire, perché nei soggetti atopici
c’è una prevalenza dei Th2 sui Th1, in ragione di una predisposizione genetica.

Questo, assieme ad altri meccanismi cui accenneremo, è alla base dei fenomeni
allergici. Quindi il linfocito B produce IgE che vanno a legarsi ai mastociti. Essi
vengono così stimolati a degranulare tramite una serie di reazione enzimatiche,
inizialmente localizzate a livello di membrana plasmatica, poi nel citoplasma.

21
Si ha infatti l’apertura dei canali al calcio e attivazione di enzimi citoplasmatici,
meccanismi questi, che trasducono all’interno della cellula il messaggio di attivazione.

VIE DI INTRODUZIONE
L’antigene può penetrare nell’organismo in vario modo:
1) per inoculazione (tramite punture di imenotteri per esempio e attraverso la cute
raggiunge il derma.
2) per endovena ( come accade per i farmaci)
3) per ingestione o inalazione e viene a contatto con le mucose digestive e respiratorie.
Le vie di introduzione dell’allergene sono molto importanti perché alcune di esse,
soprattutto la via endovenosa, l’intradermica e la digestiva sono considerate dei fattori
favorenti nella patogenesi dello shock anafilattico. Naturalmente tutte, comprese
l’intramuscolare, l’intrarticolare, l’intrarachidea e la via che utilizza collirio o supposta
possono scatenare uno shock.

DOSE
La dose di antigeni da prendere in considerazione non ha un valore prestabilito e
cambia in relazione al tipo di sostanza considerata: anche piccolissime quantità dello
stesso, possono scatenare uno shock.

ALLERGENI
Gli antigeni, o allergeni implicati possono essere di varia natura. Possono essere
allergeni completi di natura proteica ad alto peso molecolare e apteni, sostanze non
proteiche a basso peso molecolare che acquisiscono le loro proprietà antigeniche
coniugandosi a un vettore proteico, generalmente albumina. La maggior parte dei
farmaci implicati nei fenomeni allergici, antibiotici in testa sono apteni.
Fig 3
Le caratteristiche del “carrier” è quella di essere di natura proteica e pertanto si
distinguono sostanze come le globuline, la sieroalbumina, l’emocianina, l’ovoalbumina
e il fibrinogeno. E’ da notare che l’aptene, quando è coniugato al carrier induce una
produzione anticorpale che è di tipo misto e cioè diretta sia verso l’aptene che lo
stesso carrier.

I farmaci più spesso in causa sono:


1) PENICILLINA: oltre il 70% dei casi da shock anafilatico da farmaci è dovuto a
questo antibiotico
2) ALTRI ANTIBIOTICI: in genere le betalattamine, più raramente gli aminoglicosidi,
le tatracicline e i sulfamidici
3) PRODOTTI DI CONTRASTO IODATO: ionici e non ionici con un rischio minore
per quelli non ionici e a bassa osmolarità.
4) MEZZI DI CONTRASTO PARAMAGNETICI: il Gadolino- DTPA è l’unico che
viene utilizzato in Italia per la risonanza magnetica e il rischio associato ad esso di
comparsa di reazioni avverse è uguale o leggermente inferiore a quello dei mezzi di
contrasto iodati non ionici.

22
5) SIERI ETEROLOGHI: non sono una causa molto frequente. Il recente uso di siero
antitetanico omologo, o eterologo purificato, ha fatto scomparire questi incidenti.
6) ANESTETICI GENERALI E I CURARI: rappresentano un gruppo molto
importante (propofol).
7)VELENI DI IMENOTTERI: soprattutto api e vespe
8) VITAMINA B1 (cloridato di tiamina): il determinante antigenico di questo
composto, sembra costituito dall’anello pirimidinico legato a un gruppo aminico
9) INSULINA
10) MIORILASSANTI
11) VACCINI
Una volta penetrato, l’antigene, viene inglobato da parte di una APC. Il meccanismo di
processazione e presentazione è infatti fondamentale affinché avvenga l’attivazione
dei linfociti Th la quale è possibile solo se si instaura il legame tra l’MHC di classe II e
il complesso recettoriale CD4+ dei linfociti.
L’antigen-presenting-cell internalizza l’antigene: esso viene degradato da enzimi
proteolitici nel fagolisosoma. Alcune parti di esso vengono riespresse sulla superficie
cellulare, dove vengono associate alle molecole MHC2.
Fig 4
Le cellule che fungono da APC possono essere quelle professionali qui sotto elencate.
Fig 5
Ve ne possono essere anche altre che diventano tali solo dopo particolari stimoli
immunologici dei quali sono responsabili alcune citochine come IFN gamma sia di tipo
I che II.
Siccome gli allergeni sono antigeni esogeni, nelle reazioni vengono coinvolte le MHC
di classe II.
Gli Ag HLA di classe II sono costituiti da due catene polinucleotidiche, una pesante
alfa e una leggera beta, associate a una catena gamma. Essi sono dotati di una sorta di
“tasca” in cui vengono contenuti gli Ag. La forma di tale tasca dipende da strutture
aminoacidiche che fungono da strutture di “ancoraggio” per i peptidi.

Le estremità della tasca di MHC II sono “aperte” per cui la stessa è in grado di
ospitare peptidi di lunghezza variabile.
Fig 6
I linfociti Th rispondono alla presentazione instaurando un legame con l’MHC II
tramite il loro complesso recettoriale.
Fig 7
Dopo la formazione del legame si verificano degli eventi cellulari e molecolari
rappresentati da :
a) attivazione, proliferazione autocrina dei linfociti T helper e secrezione di citochine,
essenziali per la proliferazione e differenziazione dei linfociti B.
b) attivazione, proliferazione e differenziazione dei linfociti B, con sintesi di anticorpi.
I linfociti T sono indispensabili per la produzione ed il controllo della sintesi di
immunoglobuline, infatti senza una cooperazione T-B non si avrebbe lo switch
isotipico e la produzione di anticorpi.
I linfociti T e B cooperano in due modi:

23
1) tramite un contatto diretto (cognate-help)
2) tramite fattori solubili (non-cognate-help)
La cognate-help prevede che il linfocito B funga anch’esso da APC e esponga
l’antigene complessato con MHC II al TCR dei linfociti B.
La non-cognate-help prevede una cooperazione non specifica e non MHC ristretta,
mediata dalla produzione di linfochine. Tra queste un ruolo prevalente è indubbiamente
svolto dalla IL-4.
Fig 8
Questa citochina è necessaria per la sintesi di IgE. Esistono varie sottopopolazioni di
linfociti T helper, presenti in tutti gli individui, ciascuno capace di sintetizzare
differenti tipi di citochine con azione diversa nei confronti dei linfociti B e quindi con
differenti significati funzionali. Per esempio i Th1 producono soprattutto IL-2 e IFN
gamma che inibiscono la produzione di IgE. I linfociti Th2 producono IL-4 che al
contrario, come già detto, favorisce la sintesi di IgE.
Le risposte Th1 o Th2 sono selezionate in base al tipo di antigene e alle molecole di
MHC II, infatti i Th si attivano in base a precise sequenze dell’MHC. Non si sa se
questo è dovuto alla particolare struttura molecolare dell’allergene, al tipo di APC
coinvolto o a altri fattori. Nei soggetti atopici c’è un aumento della popolazione
linfocitaria di tipo 2.
Una volta prodotte, le IgE si legano al mastocita: fisiologicamente ciascun mastocita
contiene 130.000 recettori circa sulla propria membrana cellulare che legano con alta
affinità i domini CH2 e CH3 delle IgE. Una volta avvenuto il legame il mastocita viene
attivato. Occorre sottolineare che l’attivazione è favorita solo se vengono coinvolte
almeno due molecole anticorpali.
Fig 9 e fig 10

L’attivazione del mastocita determina una serie di reazioni a cascata che prevedono
come evento iniziale l’entrata del calcio e l’accumulo di cAMP, i quali portano al
rilascio di sostanze preformate contenute in granuli e sostanze neoformate che
derivano dal metabolismo dell’acido arachidonico indotto dall’attivazione della
fosfolipasi A2. L’acido arachidonico è metabolizzato dagli enzimi cicloossigenasi e
lipoossigenasi che conducono alla formazione di alcuni mediatori che contribuiscono a
amplificare il processo flogistico.
Schema 1
Fig 11
Ecco schematizzati i mediatori associati ai granuli e quelli neoformati con le relative
funzioni.
Fig 12
Tra questi sicuramente, l’istamina, le prostaglandine e i leucotrieni giocano un ruolo
preponderante.
L’istamina agisce tramite i recettori H1 e H2. Essa ha varie azioni.
1) a livello cutaneo e locale determina: eritema, edema e prurito
2) a livello broncopolmonare determina: broncodilatazione
3) a livello generale determina: imponenti fenomeni a carico del sistema
cardiovascolare

24
Fig 13
Agendo sui recettori H1 determina contrazione del tessuto muscolare e costrizione dei
grossi e medi vasi (comprese le coronarie). Nel microcircolo agendo su entrambi i
recettori determina vasodilatazione e vasopermeabilizazione allontanando tra loro le
giunzioni inter-endoteliali e permettendo così il passaggio di elementi cellulari e non
nel connettivo. Poi, legandosi unicamente ai recettori H2 ha un’attività contro
infiammatoria, ma ai fini dello shock anafilattico questa sua azione è irrilevante.
La prostaglandina D2 e i leucotrieni LTC4, LTD4, hanno un’azione
vasopermeabilizzante, spasmogenica e causano una ipersecrezione mucosa (edema
mucosale).
Nei soggetti allergici, abbiamo detto, c’è una iperesponsività immunitaria per cui le
reazioni di difesa, anziché esaurirsi nei dovuti limiti temporali e secondo un preciso
sistema di autoregolazione, appare esagerata e non contenuta. I fattori che sono
responsabili di questa reazione abnorme, sono soprattutto di natura genetica e in minor
misura ambientali.
Tra i fattori genetici particolare risalto si da allo studio dei sistemi di controllo della
produzione di IgE e dei sistemi di controllo della sintesi e liberazione dei mediatori
molecolari di flogosi. Come è noto i soggetti atopici presentano una produzione
aumentata, continua e persistente di anticorpi IgE verso determinati allergeni.
I meccanismi cellulari o molecolari che stanno alla base sono:
1) deficit dei linfociti CD8+
2) alterato rapporto Th1/ Th2 a favore dei Th2. Viene prodotta infatti una maggiore
quantità di cloni Th di tipo 2 capaci cioè di produrre IL-4, ma non INF gamma e quindi
in grado di favorire risposte anticorpali di tipo IgE.
3) aplotipo HLA: i soggetti atopici ereditano particolari sequenze di aminoacidi
nell’ambito di molecole HLA di classe II che, espresse sulla membrana della APC.
risultano in grado di instaurare legami più stabili con certi allergeni che con altri. Non
solo, ma pare che queste molecole di HLA abbiano la capacità di esporre
continuamente l’antigene stimolando così i cloni linfocitari a proliferare e a espandersi.
4) i linfociti Th1, inoltre, sono dotati di attività citolitica che permette loro, dopo il
riconoscimento dell’antigene di ledere le APC; i Th2 non hanno attività citolitica e
questo fatto serve a spiegare la cronicità delle risposte IgE agli allergeni.

FISIOPATOLOGIA DELLO SHOCK ANAFILATTICO


Fig 14
Instaurandosi uno stato di sensibilità nei confronti di un’antigene, al secondo contatto
con questo, nell’individuo può scatenarsi uno shock anche a dosi minime dello stesso.
Le forme più gravi si verificano in seguito a somministrazione parenterale. Ricordiamo
però, al fine di evitare confusione, che esistono anche delle forme di shock di tipo
anafilattoide causate da sostanze di varia natura in cui intervengono meccanismi
extraimmunitari. In queste forma lo shock può presentarsi anche alla prima
somministrazione del farmaco, risultando quindi del tutto imprevedibili. In questo si
differenzia nettamente da quello propriamente anafilattico.
Fig 15

25
CONSEGUENZE
Fig 16
SUL PIANO EMODINAMICO:
un’ipovolemia relativa dovuta da una parte a un aumento della permeabilità capillare,
dall’altra a una vasodilatazione. In associazione si ha una diminuzione del ritorno
venoso causata dal sequestro di liquidi in altri distretti e dall’aumento del letto
circolatorio. Si instaura precocemente un deficit cardiaco, comportandosi il cuore
come un vero e proprio organo bersaglio. Esso è infatti interessato da episodi
ischemici dovuti a ipoperfusione coronarica e insufficienza di O2 e da episodi di
aritmia conseguenti a alterazione della conduzione. La situazione può essere
aggravata da una effettivo aumento delle resistenze vascolari polmonari. Il tessuto
cerebrale può essere interessato da lesioni ischemiche. La microcircolazione, cui spetta
il compito dello scambio dei principi energetici e catabolici tra sangue e tessuti, risulta
gravemente alterata.
La diminuzione dell’irrorazione dei tessuti causa infatti tutta una serie di processi
degenerativi susseguenti all’ipossia soprattutto di tipo stagnante. L’evento iniziale di
questi processi degenerativi è rappresentato da una aumento del metabolismo
anaerobio che causa un accumulo di lattati. A ciò seguono tutte quelle alterazioni a
carico delle membrane cellulari e degli organelli (mitocondri, nucleo, lisosomi ecc..)
per cui, se non si instaura una terapia precoce ed immediata, portano all’instaurazione
di circoli viziosi che aggravano ulteriormente il quadro clinico. Possono cioè causare
de danni irreversibili, a carico dei distretti e organi colpiti, che possono risultare
responsabili dell’eventuale esito fatale.

SUL PIANO RESPIRATORIO:


si verifica un intenso broncospasmo e ipersecrezione mucosa con edema delle pareti
bronchiali e in maniera elettiva della glottide.

SUL TRATTO GASTROINTESTINALE:


aumento della secrezione gastrica e della peristasi intestinale.

QUADRO CLINICO
Il quadro clinico dello shock anafilattico è indipendente dalla natura dell’allergene. Di
solito nel giro di pochi minuti, ma sempre entro un’ora dall’assunzione della sostanza
in causa possono comparire, sebbene non sempre, prodromi, tipo sensazione di
intenso malessere, con ansia, cefalea, vampate di calore con febbre e nausea. La
sintomatologia dello shock conclamato appare quanto mai polimorfa, potendosi
riscontrare, con varia frequenza a seconda dei casi, sintomi a carico dei diversi organi
e apparati.
1) APPARATO CARDIOVASCOLARE: caduta della pressione arteriosa ( i valori
pressori possono risultare normali se il paziente era precedentemente iperteso);
tachicardia estremamente accentuata, con polso piccolo, frequente e molle.

26
2) APPARATO RESPIRATORIO: respiro frequente e superficiale, notevole dispnea da
ostruzione meccanica delle vie aeree superiori che richiamano la crisi d’asma o di
eritema polmonare acuto.
3) SISTEMA NERVOSO: perdita di coscienza fino al coma, disturbi psichici e
sensoriali (ansia e irrequietezza motoria ovvero torpore, con diminuzione o scomparsa
de riflessi), paresi, convulsioni, vertigini. Questi sintomo possono mancare o risultare
molto sfumati se la cosiddetta “centralizzazione del circolo” (dovuta alla risposta
nueroendocrina-metabolica allo shock) è in grado di assicurare un flusso ematico
cerebrale sufficiente.
4) APPARATO GASTROENTERICO: vomito, diarrea, dolori addominali diffusi.
5) RENE: oliguria che può diventare estremamente grave fino all’anuria.
6) CUTE E MUCOSE: pallore intenso con cute fredda e cianosi delle estremità,
prurito, orticaria e edema di Quincke.
Nelle forma più gravi predominano i sintomi cardiocircolatori e neurologici, mentre
risultano attenuati o assenti i sintomi degli altri organi e apparati, che prevalgono,
invece, nelle forme più lievi a evoluzione protratta.
Fig 17

ESAMI DI LABORATORIO
Gli esami di laboratorio permettono di rilevare:
1) aumento dell’ematocrito
2) leucopenie
3) trombocitopenie
numeri 2 e 3 sono relativi, purché si abbia un sequestro nei siti di stravaso
4) aumento della glicemia
5) aumento dei valori dell’azotemia, creatininemia e dell’uricemia
6) iponatriemia
7) iperpotassiemia
8) aumento delle attività enzimatiche nel siero (AST = aspartato transferasi, CPK =
creatininofosfochinasi)
9) aumento dei lattati e diminuzione del pH (acidosi)
10) diminuzione della PaO2
11) aritmie (extrasistoli, fibrillazione atriale)

PROGNOSI
La prognosi appare tanto più grave quanto più breve è l’intervallo di tempo tra
l’esposizione della sostanza allergenica e la comparsa del quadro clinico dello shock.
Si possono infatti osservare forme fulminanti. La prognosi è più favorevole ovviamente
quanto più precoce sia l’attivazione di un trattamento adeguato. Comunque l’esito
letale può aversi anche in reparti di terapia intensiva, malgrado gli interventi
terapeutici. Nelle forme con esito favorevole si assiste al una progressiva regressione
della sintomatologia, generalmente completa. Sono descritti però alcuni casi con
sequele cardiocircolatoria (infarto miocardico) o neurologiche (paresi, spesso
transitorie).

27
TERAPIA D’URGENZA
Le misure d’urgenza comprendono i seguenti provvedimenti:
1) eliminare l’esposizione del paziente all’allergene responsabile, per esempio
sospendere il farmaco se ne è stata la causa.
2) tenere il paziente in posizione supina, per favorire il ritorno venoso al cuore.
3) somministrare adrenalina o per via sottocutanea o endovenosa. L’adrenalina ha
effetto alfa-stimolante abolendo la vasodilatazione arteriolare e venulare, facendo
diminuire la permeabilità capillare e ripristinando così la pressione arteriosa sistemica.
4) somministrare glicorticoidi
5) colmare la sproporzione tra volume sanguigno e capacità del letto circolatorio
mediante trasfusioni generose di plasma o di sostituti di plasma, o albumina umana
concentrato.
6) somministrare ossigeno allo scopo di ridurre l’ipossiemia e l’ipossia.
Le misure terapeutiche successive comprendono anzitutto il ricovero del paziente in
centri di terapia intensiva, o comunque in ambiente ospedaliero in modo da adeguare il
trattamento all’evoluzione dello shock anafilattico.

QUADRO CLINICO E TERAPIA IN CORSO DI SHOCK DA


MEZZI DI CONTRASTO
Questi tipi di shock sono da tenere in considerazione, in quanto sempre più numerosi
sono i pazienti che più volte si sottopongono a esami quali TAC o RM (o altri che
prevedono comunque l’utilizzo di mezzi di contrasto). Un prima esposizione infatti
può determinare l’insorgenza di uno stato di ipersensibilità nel paziente, che è
responsabile di reazioni anafilattiche dopo una seconda esposizione al mezzo di
contrasto. Nell’ambiente ospedaliero il personale deve conoscere l’importanza di
identificare subito i pazienti con allergie note e comunicare queste notizie ai colleghi.
Una attrezzatura di emergenza deve essere sempre disponibile ovunque vengano
somministrati farmaci o agenti diagnostici che possono provocare reazioni
anafilattiche. Da un colloquio con i responsabili del reparto di rianimazione
dell’ospedale S. Giovanni di Dio a Cagliari, è emerso che da circa 10 anni che il
servizio è stato istituito, non si è mai verificato un caso di shock anafilattico vero
proprio. Il loro intervento è stato richiesto a questo proposito solo per quei pazienti
sottoposti per una seconda volta alla TAC, in cui si sia manifestata una sintomatologia
da reazione anafilattica di moderata entità: frequenti infatti sono i casi di
broncospasmi e dispnea aggravati da stati ansiosi, risolvibili tranquillamente in loco
senza necessità di intervento rianimatorio. In questi casi si ritiene necessaria per
esempio una ventilazione assistita. I mezzi di contrasto sono prodotti farmaceutici di
più largo impiego a livello mondiale.
In ragione di ciò, occorre essere a conoscenza delle reazioni collaterali indesiderate tra
cui possono aversi reazioni anafilattiche o simili, di tipo cioè anafilattoidi e a
patogenesi extraimmunitaria, indipendente dalla reazione antigene-anticorpo. Da
recenti studi è stato rilevato che i mezzi di contrasto radiopachi possono infatti
determinare il rilascio diretto dell’istamina da parte di mastociti e basofili.

28
Essi possono inoltre anche attivare direttamente o indirettamente i sistemi del
complemento, della coagulazione, della fibrinolisi e delle chinine, con conseguente
rilascio di numerosi mediatori in grado d provocare effetti avversi.
Le reazioni avverse possono essere classificate in base alla gravità della
sintomatologia. Si possono infatti distinguere reazioni lievi, moderate e gravi.
Quelle lievi sono quelle che non richiedono una forma di trattamento per le quali
occorre solo tranquillizzare il paziente. Le reazioni moderate sono quelle che
richiedono una attenta osservazione del paziente con somministrazione di farmaci
senza però necessità di ricovero. Le reazioni gravi pongono in pericolo di vita il
paziente e richiedono un pronto trattamento e spesso anche il ricovero. Le reazioni
gravi tra cui predomina lo shock anafilattico, si riscontrano nello 0,05-0,1% dei casi.
Ecco un esempio analitico di terapia associata al quadro clinico in corso di shock
anafilattico da mezzi di contrasto.
Fig 18
---------------------------------------------------------------------------------------------------------
FRANCESCA MASCIA

http://www.futurimedici.com

SHOCK DA USTIONE
Le lesioni termiche costituiscono un importante problema sociosanitario; ogni anno
negli Stati Uniti ricorrono alle cure mediche per lesioni termiche più di 2.000.000 di
persone delle quali 70.000 necessitano di un periodo di ospedalizzazione più o mento
lungo (in media 64 giorni). Le lesioni termiche interessano più frequentemente
individui in età infantile o giovani adulti.

USTIONE

Le principali risposte del corpo umano ad un eccessivo calore dell’ambiente sono:


vasodilatazione periferica e sudorazione. Le ampie capacità di compenso del nostro
organismo vengono ad essere profondamente alterate, quando la funzione
termoregolatrice diventa deficitaria (es. deperimento organico, stress psichici, processi
infettivi) o quando le variazioni della temperatura raggiungono valori tali da superare
ogni possibilità di compenso (ustione, colpo di calore, congelamento).
Le ustioni sono determinate dalla attività lesiva che il calore esercita sull’organismo
vivente. L’entità della lesione dipende:
-dall’intensità e dal periodo di esposizione alla fonte di calore
-dalla natura dei tessuti (es. zone ipercheratosiche delle mani e dei piedi subiscono
meno l ’ effetto del calore)
-tipo di calore applicato (es.: caldo secco e meglio supportato del caldo umido)
29
Infatti il caldo secco, al contrario di quello umido, può essere disperso attraverso
meccanismi di evaporazione dell’H2O.
Al di sotto di 45 °C raramente si hanno ustioni termiche, esse appaiono tra i 45 °C e i
50 °C; al di sopra di questi valori si ha una denaturazione dei costituenti proteici
cellulari.

FONTI DI CALORE

Le più comuni sono: fuoco e liquidi. Altre sono: metalli caldi, sostanze chimiche
tossiche (in questo caso si parla di causticazione) o corrente elettrica ad alto voltaggio.
Essi possono agire per irradiazione (raggi solari, fiamme, vapori) o per contatto diretto
(liquidi bollenti, infiammabili, corpi solidi, corrente elettrica).
Gli agenti eziologici dell’ustione variano con l’età. Essi condizionano l’entità e la
gravità della lesione termica.

ETA(anni) CAUSA DI USTIONE


<3 scottature
3-14 incendio di vestiario
5-60 incidenti sul lavoro
incendio di abitazione
>60 perdita di coscienza vicino a fonti di calore
fumare a letto

Le cause più frequenti di ustione sono: gli infortuni sul lavoro; seguono gli incidenti
domestici (soprattutto bambini e anziani)

CLASSIFICAZIONE DELLE LESIONI TERMICHE


Attualmente nella comune pratica clinica le ustioni vengono classificate in 3 gradi: 1°,
2° e 3° grado.

CLASSIFICAZION MORFOLOGIA CLINICA


E
1° GRADO Interessa solo l’epidermide. Eritema che appare dopo un
“epidermica” Dilatazione e congestione dei vasi intervallo variabile. Dolore
intradermici
2° GRADO Distruzione epidermica di variabile Eritema, dolore, flittene e
“dermica” profondità con necrosi coagulativa: fenditure bolle.
epidermiche con formazione di flittene; Gli strati superficiali della

30
coagulazione e congestione nel plesso cute possono essere rimossi.
subdermico. Alcuni costituenti cutanei Permangono elementi cutanei
possono consentire la rigenerazione bianco-cerei, morbidi, secchi,
dell’epitelio insensibili
3° GRADO Distruzione di tutti i costituenti cutanei ; Secco, duro, anelastico,
“sottodermica” necrosi coagulativa del plesso sub-dermico traslucido con trombosi delle
vene visibili. Escara

L’escara è la crosta formata dall’essiccamento della parte necrotica.


L’ustione di primo grado può essere provocata ad es. dalla esposizione al sole. Essa
scompare dopo 2 o 3 giorni. La cute presenta una pigmentazione brunastra (dovuta alla
melanogenesi) a cui segue una desquamazione.
L’ustione di secondo grado guarisce con completa restituzione dei tessuti.
Nell’ustione di terzo grado la riparazione avviene: demarcazione della necrosi, sua
caduta, colmatura della perdita di sostanza con tessuto di granulazione ed
epitelizzazione.

Nell’ustione grave si ha in genere esuberanza del tessuto di granulazione con


formazione di cicatrici ipertrofiche con notevole tendenza alla retrazione. Le cicatrici
possono essere molto deturpanti , dolorose e possono compromettere la funzionalità di
alcuni organi.In realtà questa classificazione è semplicistica infatti per inquadrare le
modificazioni sistemiche e locali non bisogna prescindere dalla estensione del tessuto
leso.
L’ustione di 2° grado viene divisa in: dermica profonda e dermica superficiale.
L’ustione di 3° grado viene divisa in: con perdita completa della cute e con
coinvolgimento del sottocutaneo, muscoli e ossa.
Qualcuno chiama ustione di 4° grado la carbonizzazione del tessuto ,che comporta,
altre alla morte cellulare, la carbonizzazione del tessuto .In questo caso solo il C e le
ceneri restano mentre l ‘ H , l ‘ O e l’N si allontanano rispettivamente come H 2O, CO
e CO2, ammoniaca.
L ’ organismo risponde al calore come a un qualsiasi stimolo infiammatorio. Si ha
inizialmente una vasodilatazione a cui segue un aumento della permeabilità dei
capillari dovuto al rilascio di sostanze come la istamina.
Tutto questo si traduce in una fuoriuscita di H2O dai vasi; se l’ustione e grave
usciranno anche le proteine plasmatiche in misura inversamente proporzionale al loro
peso molecolare ; si forma l’edema (ustione di 1° grado)
Quando la capacita di imbibizione del connettivo viene superata l’H2O si fa strada
verso i tessuti superficiali e si forma la bolla o flittene (ustione di 2° grado)

CALCOLO DELLA SUPERFICIE USTIONATA E PROGNOSI

31
Esistono 2 metodi per calcolare la superficie corporea ustionata rispetto alla superficie
totale del corpo:

1) Metodo di PULANSKY E TENNISON


Poco accurato, semplice e veloce. La superficie corporea viene suddivisa in aree
rappresentanti 9% o multipli del 9% della superficie corporea . (vedi lucidi)

2) Metodo LUND E BROWDER


Metodica accurata che permette di calcolare secondo l’età e il distretto interessato la
percentuale di superficie corporea ustionata . (vedi lucidi)

Più che il grado dell’ustione ciò che condiziona primariamente l’evoluzione del quadro
clinico (prognosi) e l’estensione del processo lesivo ustionante sulla superficie
corporea.La prognosi di un paziente con ustioni diffuse è difficile da determinare. La
mortalità aumenta con l’età e con la severità delle ustioni.

Un tempo un ustione che interessava più di 1/3 della superficie corporea aveva
prognosi infausta.Oggi una ustione che interessa il 50/60% della superficie corporea ha
una prognosi sicuramente non infausta. La prognosi è comunque riservata (sino ai 30
giorni) per ustioni di 2° o 3° grado che interessano più del 40% della superficie
corporea.
Spesso infatti il paziente severamente ustionato sopravvive nelle prime settimane per
soccombere più tardivamente con il sopraggiungere di complicazioni.

SHOCK DA USTIONE
Una lesione termica che interessa una percentuale di superficie corporea maggiore del
25-30% nell’adulto e del 12% nel bambino cessa di essere una patologia localizzata
per divenire generalizzata, determinando, attraverso una serie di eventi fisiopatologici,
una risposta sistemica dell’organismo che coinvolge i principali organi e apparati.
Lo shock da ustione può essere definito come uno shock ipovolemico non emorragico,
infatti si ha una perdita del liquido maggiore rispetto agli elementi corpuscolati.
Clinicamente si ha :
1)PVC bassa
2)Ht alta
3)Diuresi bassa
4)Spesso dopo 2-3 settimane si associa una infezione da gram-negativi (che trovano
del tessuto ustionato un terreno favorevole per il loro sviluppo) che possono condurre
ad uno shock endotossico.
FIGURA 17.4

EMODINAMICA
32
Alterazione dell’equilibrio idrico.
Esistono due teorie:
1) alterazione patologica della permeabilità capillare con spostamento di proteine
plasmatiche, acqua e sali verso le aree ustionate (interstizio) con formazione
dell’edema.
2) spostamento di liquidi dal compartimento extra cellulare alla zona dell’insulto
termico.
I liquidi vengono persi anche direttamente con le flittene e con le secrezioni della
superficie ustionata. La quantità persa dipende dall’estensione dell’ustione. In ultima
analisi si ha perdita di liquido dal distretto circolatorio e quindi ipovolemia.
Inizialmente il sistema linfatico drena il liquido in eccesso ma ben presto la sua
capacità di assorbimento si satura e compare l’edema.

L’alterata permeabilità capillare inoltre è più marcata nella zona dell’ustione però in
realtà il fenomeno appare generalizzato cioè i liquidi vengono persi anche in zone
molto distanti da quella ustionata. Il liquido che attraverso i vasi si raccoglie
nell’interstizio può rappresentare una quota notevole del liquido extracellulare. La
perdita dei fluidi è massima nelle prime 24 ore dopo il trauma termico. La permeabilità
capillare torna normale dopo 48 ore e inizia il riassorbimento dell’edema. In realtà non
tutto il liquido del terzo compartimento (edema) può essere riassorbita. Infatti circa la
metà rimane legato alle proteine interstiziali e questa quota può aumentare in relazione
alle alterazioni dell’equilibrio acido-base.
Il liquido dell’edema è formato da acqua, sali e proteine. I sali sono gli stessi del
liquido plasmatico e interstiziale (NaCl).

Alterazioni dell’equilibrio proteico


Nella prima settimana dopo l’ustione la perdita proteica è di 25-50 gr/die di cui 12-30
gr persi con l’ipercatabolismo che sopraggiunge dopo le prime 5-10 ore (durante le
quali c’è una attività catabolica nulla ), 10-20 gr persi con l’essudato e nel liquido
dell’edema. E’ stato dimostrato che la plasmaferesi cioè la perdita di proteine dal
plasma non accompagnata da perdite di sali minerali e di acqua non causa shock.
Inoltre parte delle proteine plasmatiche tornano in circolo tramite il drenaggio linfatico.
Al contrario la perdita repentina di sodio può provocare shock e collasso
cardiocircolatorio.

Alterazioni dell’equilibrio ematologico


Il numero dei globuli rossi si riduce proporzionalmente alla estensione e al grado
dell’ustione per 4 motivi:
1) Emolisi diretta da calore
2) Formazione di trombi vasali nell’area ustionata che intrappolano e distruggono i
globuli rossi
3) Distruzione da parte del sistema reticolo-endoteliale di emazie in parte alterate
4)Fenomeno dello sludging

33
Il fenomeno dello sludging è aggravato della emoconcentrazione dovuta alla perdita
dei liquidi. La carenza di eritrociti riduce il flusso ematico nel microcircolo
peggiorando il deficit perfusionale e ossigenativo. Tale stato è mantenuto poi dal
deficit eritropoietico (dovuto ad una ridotta utilizzazione del ferro ad alterazioni del
metabolismo delle porfirine e alla diminuzione della eritropoietina in seguito al danno
renale ) e dalla perdita nel tessuto di granulazione. La perdita totale durante l’intero
corso della malattia può arrivare all’85% dei valori normali.
Nonostante questo le trasfusioni sono sconsigliate nelle prime 72 ore. Infatti visto che
la deplezione plasmatica è maggiore di quella eritrocitaria la trasfusione di sangue
intero aumenterebbe solo la viscosità ematica e quindi lo sludging.

Alterazioni dell’equilibrio acido-base


Il pH normale del sangue arterioso e mantenuto a 7,4 dai sistemi tampone. Tra i più
importanti tamponi ricordiamo :
-fosfati e proteine (emoglobina) nel compartimento intracellulare
-sistema bicarbonato - acido carbonico nel compartimento extra cellulare

Nell’ustionato c’è un aumento di acidi organici e inorganici per 3 motivi :


1)aumento del metabolismo anaerobio per ipossia tissutale(aumento di piruvato e
lattato)
2)aumento del catabolismo proteico e necrosi tissutale(aumento di urati e solfati)
3)aumento del catabolismo degli acidi grassi per soddisfare il fabbisogno energetico
(aumento dei corpi chetonici)
Questi acidi ,dopo essere stati neutralizzati dai sistemi tampone ,vengono eliminati
aumentando l ‘ attività respiratoria e l ‘ emuntorio renale. Spesso pero i polmoni sono
danneggiati e la diuresi e ridotta a causa dell’ipoperfusione renale (vedi oltre).

Alterazioni dell’equilibrio del potassio


Si ha aumento della potassiemia perché:
1)le cellule danneggiate rilasciano il potassio contenuto
2)l’acidosi viene tamponata in parte scambiando l’H+ extracellulare con il K+
intracellulare
3)il K+ è scarsamente eliminato dal rene.

Alterazioni dell’equilibrio del calcio


Si ha iniziale ipocalcemia dovuta a:
1) perdita di calcio nel territorio ustionato
2)acidosi metabolica
3)ipereattività adrenocorticale (aumentata secrezione di ACTH che stimola la corticale
del surrene a produrre cortisolo ecc.)
4)trattamento corticosteroideo

34
Il cortisolo riduce l’assorbimento intestinale di calcio sia riducendo la formazione di
vitamina D che esercitando una azione antagonista ad essa, aumentando la secrezione
urinaria di calcio.
Tardivamente si ha ipercalcemia dovuta a:
1)ipocalcemia iniziale
2)immobilità forzata
(fattori che condizionano il riassorbimento di calcio dalle ossa)

Alterazioni dell’equilibrio del magnesio


Talvolta i valori di magnesio stanno nella norma, altre volte invece si osserva una
ipomagnesiemia associata ad alterazioni psichiche , deliri e allucinazioni. La causa è:
1)la perdita diretta dall’area ustionata
2)l’iperaldosteronismo secondario (la produzione di aldosterone viene stimolata dal
rene tramite la secrezione di renina, sistema renina-angiotensina-aldosterone, ogni qual
volta si verifica ipovolemia)

FISIOPATOLOGIA , CLINICA E SINTOMATOLOGIA


Il decorso clinico dell’ustione può essere diviso in 6 fasi:
1) fase dello shock nervoso per il terribile dolore
2) fase ipodinamica o fase dello shock ipovolemico (prime 48 ore)
3) fase catabolica (prima della chiusura dell’ustione)
4) fase della tossicosi da assorbimento degli essudati
5) fase della sepsi per infezione delle piaghe
6) fase della distrofia sincrasica o della convalescenza

1) Fase dello shock nervoso


Dura poche ore, è caratterizzato da: eccitazione psichica, dolore vivissimo,
seteintensa, sudorazione, polipnea (frequenza respiro superiore alla norma),
insonnia(talvolta delirio e convulsioni), diuresi scarsa o assente, atonia
gastrointestinale, sbalzi di pressione.

2) Fase dello shock ipovolemico


E’ caratterizzato da: polso piccolo e frequente, pressione bassa(specie la sistolica),
cianosi periferica, sudore freddo, temperatura bassa (36-35 °C) respiro superficiale e
frequente, iperecitabilità nervosa alternata a periodi di depressione con sonnolenza,
apatia, adinamia; necessità continua di mingere con emissione di poche gocce o anuria,
alvo chiuso a feci e gas, crisi emodinamica che dura da poche ore a 3-4 giorni. Il
paziente può morire per scompenso cardiocircolatorio

35
schema 17.5
Le modificazioni emodinamiche comprendono:
1)tachicardia
2)ipotensione
3)riduzione della gittata cardiaca
4)vasocostrizione

La gittata cardiaca può scendere al 30-50% dei valori normali a causa dell’ipovolemia
e del Myocardial Depressant Factor. Spesso la gittata cardiaca tende ai livelli normali
solo dopo parecchi giorni, anche se la terapia infusionale è corretta.
Le modificazioni della funzionalità renale sono dovute a:
1)ipovolemia
2)vasocostrizione
3)apertura degli shunt artero-venosi che escludono il rene
4)imperatività surrenalica
Le cellule juxtaglomerulari del rene riversano renina in circolo in risposta ad: una
deprivazione di sodio, ad una ridotta pressione sanguigna (ipovolemia) e ad uno
stimolo nervoso simpatico (determinato dall’ipovolemia). La renina provoca, tramite
l’angiotensina, il rilascio di ormoni dalla corticale del surrene (cortisolo,
mineralcorticoidi es. aldosterone, glucorticoidi, ecc.)che agiscono sul riassorbimento
renale.
In seguito a questi si verifica:
1)oliguria(più o meno grave)
2)riduzione della filtrazione glomerulare
3)ritenzione di sodio (aldosterone)
4)aumentata secrezione di potassio (aldosterone)
Se la terapia è adeguata queste manifestazioni possono non comparire, in case
contrario si può avere insufficienza renale simile allo schok emorragico. Dopo 2-3
settimane si può avere schok settico da gram-negativi che aggrava ancora la
funzionalità renale , con possibile comparsa di una insufficienza renale acuta
irreversibile spesso letale.
Diverse teorie spiegano l’oliguria:
1)Per alcuni è un riflesso nervoso che provoca spasmo delle arteriole afferenti
2)Per altri è dovuto all’immissione in circolo di sostanze tossiche liberate dalla zona
ustionata che agirebbero o a livello glomerulare o producendo lo spasmo delle
arteriole afferenti che blocca la filtrazione
3)Per altri l’oliguria è un tentativo renale di compensare le alterazioni idrometaboliche
attraverso un maggiore riassorbimento tubulare di sodio e acqua riducendo la
eliminazione urinaria Nella prima fase è stata evidenziata anche una attivazione del
sistema renina-angiotensina che provoca ritenzione sodica.

36
3) Fase catabolica
E’ caratterizzata da:
1)diminuita reattività generale dell’organismo
2)bilancio dell’azoto negativo
3)decadimento delle capacita difensive
Se in questa fase sopraggiunge lo shock settico si instaura una insufficienza renale che
porta alla morte.

Il dato più attendibile per monitorizzare la funzionalità renale è la osmolarita


plasmatica ed urinaria. Se questa continua ad aumentare (iperosmolarità progressiva)
la prognosi diviene infausta.
I sintomi della iperosmolarità progressiva sono: sete intensa, alterazioni della
coscienza, disturbi dell’orientamento, allucinazioni, coma, convulsioni, morte.
Il bilancio d’azoto negativo e il deficit energetico sono in parte legati al mancato
aumento dell’evaporative water. La durata e l’intensità della fase catabolica sono in
rapporto a:
1)estensione e grado dell’ustione
2)gravità di eventuali processi infettivi
3)regime nutrizionale
4)durata della fase aperta delle ferite
Durante questa fase il fabbisogno energetico di calorie è superiore a 4000cal/die.
Nonostante l’instaurazione delle terapie opportune la positivizzazione del bilancio
d’azoto viene raggiunta solo nella fase della convalescenza.

4) Fase della tossicosi (shock autotossico)


Compare dopo 3-4 giorni. Il riassorbimento del trasudato e degli essudati dalle aree
ustionate mette in circolo sostanze tossiche. Esse determinano, dopo un periodo di
apparente benessere (caratterizzato da normalizzazione di polso, pressione e
temperatura), nuovi sintomi quali: febbre elevata(39-40 °C), cefalea, nausea e ulcere
emorragiche. Questa fase può durare dai 15 ai 20 giorni.

5) Fase della sepsi


E’ dovuta ad infezione delle aree ustionate facilitata dalla immunosopressione. La
temperatura riprende a salire con febbre continua e remittente preceduta o
accompagnata da brividi, cefalea, nausea. Il polso è frequente e la pressione si
abbassa. Si ha virulenza dei germi saprofiti cutanei che nel periodo della sepsi
inquinano la superficie del tessuto di granulazione (sono gram-negativi: Pseudomonas,
Serratia, Klebisiella, Candida, ecc.)

6) Fase della distrofia sincrasica o fase della convalescienza


Distrofia = disturbi della nutrizione di un organo o dell’organismo
Si ha il graduale recupero del tono circolatorio, scompare la febbre, la diuresi e l’alvo
ritornano alla normalità. L’ustionato è ancora pallido (anemia), magro (perdita di

37
proteine) con ipotrofia muscolare. Se le aree di necrosi sono giunte in profondità, si
potranno mantenere per settimane o mesi delle aree non riepitelizzate con tessuto di
granulazione esuberante.

ALTERAZIONI POLMONARI ED INSUFFICIENZA


RESPIRATORIA
Se in corso di shock da ustione compare una insufficienza respiratoria la prognosi già
riservata diviene molto spesso infausta. Le alterazioni polmonari possono essere:
1)indirette (insorgono in pazienti senza anamnesi positiva per l’inalazione).
Il quadro è quello tipico del polmone da shock, compare dopo circa 24-72 ore e
l’evoluzione è quasisempre letale
2)dirette (sono la risultante di agenti termici come aria calda, vapori oppure di prodotti
della combustione incompleta come fumo, gas nocivi)
Queste lesioni si manifestano con la “ Smoke Inhalation Syndrome ” (SIS); la gravità
della sindrome dipende dal tipo di fumo inalato, dalla quantità e dall’estensione delle
ustioni. La diagnosi per tempo di questa sindrome deve essere ricercata e sospettata in
base all’anamnesi raccolta (l’ustione è avvenuta in ambiente chiuso, il soggetto era in
preda ai fumi del alcool, aveva perso conoscenza o assunto farmaci) infatti i segni
clinici e i sintomi spesso mancano nelle prime 24 ore.
Il quadro clinico e caratterizzato da:
1)bronco-spasmo
2)sibili espiratori
3)rantoli
4)tachipnea(aumento degli atti respiratori)
5)progressiva insufficienza respiratoria.
6)quadro broncopneumotico da batteri (spesso)
La terapia è distinta in specifica e non specifica. Quella non specifica mira a prevenire
o a correggere lo shock già in atto. La terapia specifica prevede l’approvvigionamento
di aria e ossigeno umidificato; se necessario l’intubazione endotracheale e la
PEEP(respirazione a pressione positiva finale espiratoria). Sono utili i bronco-
dilattatori per alleviare il bronco-spasmo e gli antibiotici per via parenterale per
combattere l’eventuale processo bronco-pneumonico.

TERAPIA DELLO SHOCK DA USTIONE


La terapia è differente in base a:
1)estensione dell’ustione. Distinguiamo tra ustioni circoscritte ed ustioni estese
2)grado dell’ustione
Ustioni circoscritte
La terapia è mirata a ridurre lo stato iperemico e doloroso, a prevenire l’inquinamento
delle zone esposte. Varia con il grado dell’ustione:
1° grado: pomate grasse contenenti analgesici
2° grado: le flittene possono essere punte ed evacuate (asetticamente) per favorire
l’accollamento dell’epidermide al derma. Se le flittene sono aperte si fa una
medicazione con garze vasellinate contenenti antibiotici trattenute da fasciature non
compressive.
38
Ustioni estese
Esse vanno trattate solo in centri specializzati: Reparto grandi ustionati
Terapia locale (si articola in 6 fasi):
1)Trattamento esposto in aria sterile e climatizzata, lasciando scoperte le aree
ustionate. In alternativa a questo c’è il trattamento con Nitrato D’Argento. Esso in
soluzione 5 per 1000 ha un potere battericida, è tollerato dai tessuti e dalle piaghe.
Viene usato per bagni e fasciature
2)Definizione della profondità delle lesioni necrotiche. Le necrosi superficiali
guariscono spontaneamente. Non è sempre facile, anche per un occhio esperto,
definire al primo esame la profondità di un ustione. Può essere utile una ecografia.
3)Le zone necrotiche vanno asportate entro 5-7 giorni, al fine di evitare il
riassorbimento di sostanze tossiche, l’infezione microbica e la formazione di cicatrici
ipertrofiche e retraenti
4)L’area ben sanguinante viene ricoperta da innesti autoplastici
5)Se con il metodo precedente non si riesce a ricoprire la superficie cruenta, a causa
della sua estensione, si ricorre alle colture in vitro di cellule epidermiche. In questo
modo da 2 cm2 di cute in 4 settimane (nel frattempo si usano delle sostanze sintetiche)
si possono ottenere 2 m2 di cute. Sembra ma non è sicuro che attecchisca anche un
innesto omoplastico di cellule coltivate in vitro inquanto queste lamine epiteliali
sarebbero prive di cellule immunocompetenti.
6)Trattamento delle cicatrici retraenti o deformanti con plastiche, bisturi ecc.

Terapia generale
Per una corretta e razionale terapia è necessaria una corretta valutazione della gravità
del quadro clinico e delle alterazioni dei principali parametri emato-clinici. Sono da
prendere in considerazione i seguenti parametri:
PVC, Diuresi oraria, Peso corporeo, Ematocrito, PA sistolica e diastolica, Volume
ematico, Massa globulare, Ionogramma, Osmolarità plasmatica ed urinaria, Equilibrio
acido-base.
Lo shock da ustione è uno shock ipovolemico non emorragico caratterizzato da una
bassa PVC ed elevata Ht (ematocrito). Il primo provvedimento terapeutico è volto a
ristabilire una adeguata perfusione tissutale adeguando il volume ematico alla mutata
capacita del letto vascolare. E’ necessaria una terapia infusionale corretta
qualitativamente e quantitativamente e che sia adattata via via in base ai seguenti
esami di laboratorio: Ht, elettroliti(Na+, K+, Cl-, Mg--, Ca++), pH, pO2, pCO2, HCO3-,
PVC, diuresi, osmolarita. Essi vanno verificati 6 volte al giorno.
Se in corso della terapia infusionale l’Ht rimane sopra il 45% allora la velocità di
somministrazione è bassa, se scende sotto il 35% allora è troppo elevata. In genere
l’Ht deve essere più basso del normale soprattutto se il rene funziona bene e può
quindi eliminare da solo l’H2O in eccesso.

La PVC ci informa della pressione nell’atrio destro; se essa è inferire a 9 cmH2O le


terapia infusionale è insufficiente se invece è superiore a 12 cmH2O significa o che la
terapia è eccessiva o che c’è un deficit del cuore sinistro.

39
Il volume di liquidi da infondere varia secondo l’autore
Tab Pag 138-139
Esse non devono essere prese alla lettera perché:
1)non tengono conto della gravita dell’ustione ma solo della superficie ustionata
2)la casistica non è recente
3)non è razionalmente corretto usare una formula standard su una popolazione cosi
eterogenea (età, processi morbosi pregressi o in atto)
Diuresi oraria: è un indice sufficientemente attendibile della perfusione renale (si
esegue con un catetere in vescica ) Valori di urine compresi tra 0,5 e 1 mg/Kg di peso
corporeo/ora indicano una buona perfusione renale.
Osmolarita plasmatica ed urinaria: sono indicativi per valutare la funzionalità renale
e la concentrazione ionica dei liquidi infusi. Se inferiori a 290-300 allora i liquidi
somministrati sono ipotonici se superiori c’è pericolo di coma iperosmolare.
In genere si usano:
1)cortisonici
2)eparina (ostacola le coagulazione intravasale disseminata o CID)
3)inibitori di enzimi proteolitici (trasylol)
4)dopamina (aumenta la portata renale)
5)terapia antibiotica mirata (antibiogramma ripetuti)
6)nutrizione parenterale (in corso di ustioni delle vie respiratorie
8)profilassi antitetanica

Terapia del dolore


Prescrivere un sovradosaggio di sedativi è facile. Infatti spesso ci si dimentica che una
piccola ustione(1° o 2° grado) può essere molto dolorosa inquanto lascia intatte le
terminazioni nervose mentre una ustione grave (3° grado) le distrugge e quindi risulta
meno dolorosa. La dose di sedativo deve essere la minima necessaria per evitare
depressioni dell’attività cardio-polmonare e del sensorio. La via di somministrazione
deve essere endovenosa perché le modificazioni fisiopatologiche a carico della
circolazione cutanea e del tessuto muscolare ne alterano la dinamica di assorbimento. I
farmaci più affidabili sono: morfina e pyseptone. Nei bambini che mal sopportano il
dolore viene dato il Pedimix (mistura pediatrica)

Thomas Manca

http://www.futurimedici.com
LESIONI GASTRODUODENALI DA STRESS
L’incidenza di queste lesioni è in notevole aumento per 2 motivi:
1) grazie alla endoscopia digestiva a fibre ottiche può essere fatta una diagnosi sicura e
precisa
2) le moderne tecniche rianimatorie consentono di mantenere in vita pazienti altrimenti
destinati alla morte

40
Lesioni acute gastroduodenali compaiono frequentemente come complicanza in
pazienti con ustioni, traumi, in stato uremico, shock settico, tumori cerebrali o
sottoposti a interventi neurochirurgici.
Tab 18.1 e 18.2
Queste tabelle individuano i gruppi di pazienti con maggiore incidenza di emorragie
digestive da stress (categorie ad elevato rischio). Le lesioni acute da stress sono
meglio definite come : lesioni mucose acute gastroduodenali.
Esse sono di 2 tipi: gastrite emorragica erosiva, ulcera acuta da stress
Entrambe danno emorragie alte e hanno esordio acuto.

GASTRITE EMORRAGICA EROSIVA


Macroscopicamente le erosioni interessano la mucosa e solo raramente raggiungono o
superano la muscolaris mucosae. Per questo motivo in genere guariscono per
rigenerazione epiteliale e non lasciano cicatrici. In certi casi sono talmente superficiali
che l’endoscopia mostra solo uno stravaso ematico.
Le erosioni sono perlopiù multiple e sono localizzate nella mucosa acido-secernente
del corpo e del fondo gastrico. Macroscopicamente le alterazioni sono di 3 tipi:
1) epitelio superficiale distaccato dal collo ghiandolare
2) emorragia della rete capillare superficiale al livello del collo ghiandolare
3) emorragie diffuse e da focolaio nelle tunica propria della mucosa
Al microscopio elettronico si vede un epitelio superficiale con cellule che hanno perso
parte della regione apicale, con scomparsa del contenuto intracellulare e discontinuità
della membrana limitante.

ULCERA ACUTA DA STRESS


Si intende con il termine ulcera la perdita di sostanze, dalla cute o dalle mucose, con
superficie suppurante o necrotica con poca tendenza a cicatrizzare. Quest’ultima
caratteristica la differenzia dalla ferita traumatica.
Essa può essere singola o multipla (mai più di 3 o 4 ) è localizzata nel duodeno o nella
parte alcalina della mucosa gastrica, supera la muscolaris mucosae e tende al
sanguinamento o alla perforazione. Essa è caratterizzata da una necrosi parietale
profonda ed interessa quasi sempre il piano muscolare. Lungo i margini e sul fondo
delle lesioni manca il tessuto connettivo; caratteristica che differenzia l’ulcera acuta da
quella cronica.

ETIOPATOGENESI E FISIOPATOLOGIA
GASTRITE EMORRAGICA EROSIVA
La cellula gastrica separa il liquido interstiziale a pH 7,4 ed il succo gastrico a pH 1.
Questa situazione estrema giustifica la ricchissima vascolarizzazione (elevate richieste
metaboliche) e il rapido ricambio cellulare. In condizioni normali la retrodiffusione
idrogenionica è mantenuta a livelli molto bassi da un ottimale apporto ematico
sufficiente a soddisfare i fabbisogni metabolici ed a tamponare gli idrogenioni

41
retrodiffusi (sistema bicarbonato-anidride carbonica) e da una competente barriera
mucosa (tight junctions e idrofobicità delle membrane).
La retrodiffusione può divenire patologica se la barriera mucosa è danneggiata; l’entità
di essa è proporzionale alla concentrazione di H+ nel lume gastrico e alla entità del
danno. La barriera può essere lesa da fattori esogeni (urea, alcool, DTA, acido
acetilsalicilico) o endogeni. Tra i fattori endogeni abbiamo:
1) ischemia acuta della mucosa da shock ipovolemico che causa una vaso costrizione
adrenergica nel territorio splancnico con bersaglio elettivo nell’area acido-secernente
dello stomaco
2) incordinazione motoria antro-pilorica causata da stress, per cui c’è un reflusso
duodeno-gastrico
3) ipersecrezione acida dello stomaco per stimolazione vagale tramite gli stimoli
psichici dello stress mediati dall’ipotalamo anteriore
Nelle infezioni da gram-negativi c’è una reazione adrenergica spiccata che può dare
ulcera. Questi dati spiegano perché la malattia colpisce i ricoverati in reparti di terapia
intensiva nei quali la componente emotiva del malato è esaltata da vari fattori: dolore,
preoccupazione, immobilità prolungata, luce persistente, rumore continuo del
respiratore automatico. I fattori endogeni agiscono compromettendo la capacità
tampone delle cellule; l’anossia inoltre compromette il ciclo di Krebs e pertanto
induce un aumento della permeabilità di membrana. La retrodiffusione patologica
provoca inoltre la liberazione di istamina che aumenta la permeabilità capillare della
mucosa aggravando il danno di barriera; essa inoltre stimola la secrezione di HCl
dalle cellule parietali. La persistenza di questi fattori patogenetici provoca edema ed
emorragia a cui segue necrosi ed erosione. Si instaura un circolo vizioso che induce
un’emorragia endoluminare più o meno massiva. La stimolazione colinergica in questa
fase può aggravare il danno con 3 meccanismi:
1) deplezione del muco
2) contrazione della muscolatura liscia dello stomaco che impedisce il normale ritorno
venoso
3) aumento della secrezione gastrica.
I fattori aggressivi endogeni possono sommarsi a quelli esogeni aggravando il quadro
clinico.

Sintomatologia
Si ha ematemesi (vomito ematico) da moderarata a importante con emissione di sangue
rosso vivo con grossi coaguli, senza segni premonitori si ha melena (emissione di
sangue da solo o misto a feci). Il sanguinamento causa o aggrava la ipovolemia.
Nell’anamnesi si rilevano, ingestione di alcool o aspirina e lo stress. In quest’ultimo
caso quando si tratta di un ricoverato in terapia intensiva si assiste ad un
peggioramento.

ULCERE ACUTE DA STRESS

42
Sono di due tipi:
1) Ulcera di Curling. È frequente negli ustionati gravi, la sua incidenza raggiunge
l’80% se la superficie ustionata supera il 35%
2) Ulcera di Cushing. Insorge dopo lesioni cerebrali traumatiche
E’ stata osservata la comparsa di ulcere acute in seguito al lesioni del sistema nervoso
centrale e di perforazione acuta del tratto alto gastrointestinale in pazienti operati per
neoplasie cerebrali. Esiste infatti un nucleo parasimpatico diencefalico capace di
provocare iperincrezione gastrica tramite il nervo vago. L’ipotalamo controlla la
secrezione gastrica, oltre che con il vago, anche con la via simpatica e con la via
neuroumorale tra ipotalamo e ipofisi. Inoltre sono stati trovati ormoni uguali sia nel
cervello che nel tratto gastrointestinale (asse cerebro-intestinale) es. le endorfine. E’
stata notata una secrezione associata tra beta-endorfine ed ACTH nel flusso ematico
proveniente dalla ghiandola pituitaria.
Le caratteristiche dell’ulcera acuta gastroduodenale sono:
1) barriera mucosa gastrica normale
2) secrezione gastrica cloridricopeptica aumentata
3) livelli di gastrina nel siero aumentati
Numerose osservazioni cliniche (anche su ustionati gravi) hanno dimostrato che:
1) la gastrite emorragica erosiva e l’ulcera acuta da stress, pur potendosi differenziare
dal punto di vista anatomo patologico non sono da considerare come due patologie
necessariamente e nettamente distinte
2) danno di barriera (gastrite emorragica erosiva) ed ipersecrezione gastrica (ulcera
acuta da stress) possono variamente interagire nel determinismo delle lesioni acute
gastroduodenali, anche in relazione al momento etiologico fondamentale
3) il ruolo degli enterormoni e del sistema neuropeptidergico (asse cerebro-intestinale)
costituisce un campo ancora inesplorato e di notevole interesse speculativo.

TERAPIA MEDICA
Prima di tutto il paziente deve essere adeguatamente rianimato con una corretta terapia
che elimini la causa dello stress. Inoltre bisogna attuare appropriati provvedimenti atti
a bloccare l’emorragia. Il sondino nasogastrico permette di localizzare l’emorragia e
di effettuare il lavaggio continuo, con soluzione modicamente alcalina, della cavità
gastrica. Metodiche più sofisticate per il controllo dell’emorragia sono:
elettrocoagulazione, fotocoaugulazione mediante laser. Inoltre sotto visione
endoscopica è possibile utilizzare topicamente farmaci ad azione coaugulante quali le
trombochinasi.

43
Angiografia selettiva: è possibile con questa tecnica embolizzare il ramo arterioso
causa dell’emorragia usando coaguli ematici autologhi, frammenti di tessuto adiposo o
frammenti di spugna di fibrina.
Per le lesioni acute gastroduodenali si usano inoltre gli antagonisti dei recettori H2-
istaminici tra i quali la cimetidina. Essa inibisce la produzione e la secrezione di acido
cloridrico diminuendo pertanto la retrodiffusione idrogenionica e l’attività acido
peptica intra luminare. Inoltre la riduzione della secrezione acida riduce l’attività della
pepsina nei processi di lisi del coagulo facilitando il controllo dell’emorragia. La
cimetidina sembra agire favorevolmente sulla mucosa gastrica prevenendo la
retrodiffusione idrogenionica ed aumentando il flusso ematico sottomucoso con
conseguente incremento dell’apporto dei sistemi tampone ematici. Se la cimetidina non
sortisce alcun effetto può rendersi necessaria una terapia chirurgica (gastrectomia
totale in casi estremi).
Anche la somatostatina è stata impiegata nella terapia medica delle emorragie
gastriche in quanto inibisce la increzione gastrica.

---------------------------------------------------------------------------------------------------------
----
Testi consultati per shock da ustione e lesioni gastroduodenali da stress:

Trattato di chirurgia (C. Colombo, G. Maggi, A.E. Paletto E. Masenti)


Shock e chirurgia (Vincenzo Speranza, Emanuele Lezoche)

THOMAS MANCA
http://www.futurimedici.com

44

Potrebbero piacerti anche