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Definizione
Serie di quadri clinici che hanno in comune lo sviluppo di un'ischemia miocardica, evento scaturito da un
aumento dell'ossigeno richiesto a fronte di un'inadeguato supporto di ossigeno.
Epidemiologia
La cardiopatia ischemica è la cardiopatia con maggiore incidenza e prevalenza nei paesi sviluppati. In Italia ci
sono circa 2 milioni di soggetti affetti da cardiopatia ischemica, responsabile del 35% dei decessi dovuti a
malattie cardiovascolari.
Eziopatogenesi
Aterosclerosi coronarica (causa più frequente)
Spasmo coronarico
Alterazioni del microcircolo coronarico
Cause extracoronariche
Coronaropatie ostruttive varie (es. Embolia coronarica; Coronarite ostiale da aortite luetica;
Coronarite nell'ambito di una vasculite come ad es. Poliarterite nodosa; sindrome di Takayasu,
malattia di Kawasaki)
Anomalie congenite delle coronarie (es. origine di una coronaria dall'arteria polmonare o decorso
anomalo di una coronaria
Altri sintomi sono: dispnea, astenia e palpitazioni; nel caso di aritmie gravi inoltre possiamo avere lipotimia
o sincope.
Pericardite: in questo caso il dolore è retrosternale ma tende ad accentuarsi con gli atti del respiro e
si riduce con l'assunzione della posizione seduta. La diagnosi può essere confermata dal rilievo di
sfregamenti pericardici all'auscultazione e da alterazione tipiche all'ECG e all'ecocardiogramma.
Dissecazione aortica: il dolore è retrosternale, in genere molto intenso già all'esordio, con tipica
irradiazione al dorso e a volte anche posteriormente e in basso. Il dolore è definito come una
“pugnalata”, è un dolore molto intenso e violento. Le alterazioni all'ECG di solito sono modeste,
perciò la diagnosi può essere confermata con l'ecordiografia transesofagea o con l'angiografia
digitale computerizzata.
Embolia polmonare: al dolore in questo caso sono associati dispnea intensa, cianosi, stato di shock
e se l'embolia non interessa un grosso tronco polmonare assume le caratteristiche del dolore
pleuritico. La diagnosi può essere confermata con l'angio TC.
Pneumotorace: dolore acuto localizzato a livello dell'emitorace interessato con irradiazione alla
spalla e all'arto superiore omolaterali, a cui si aggiunge dispnea. Diagnosi con esame obiettivo e RX
torace.
Pleurite: dolore superficiale, puntorio (“a pugnalata), circoscritto e accentuato agli atti respiratori.
Diagnosi confermata con esame obiettivo.
Disturbi di origine GI, neuromuscolare, osteoarticolare e psicologica
- Angina cronica stabile è caratterizzata da episodi di angina pectoris che presentanto caratteristiche
costanti per almeno 2 mesi; tipicamente gli attacchi anginosi sono causati da situazioni come sforzi fisici,
stress emotivi e l'eliminazione del fattore scatenante causa la regressione della sintomatologia. L'alterazione
fisiopatologica fondamentale è rappresentata dalla presenza di placche aterosclerotiche stabili a livello
coronarico o anche da disfunzioni del microcircolo. La manifestazione clinica fondamentale è costituita
dall'angina fa sforzo, sintomo che si presenza in maniera costante dopo una certa soglia di sforzo, indicando
la presenza di stenosi fisse. In alcuni pazienti tuttavia diversi fattori come stenosi dinamiche posso rendere
la soglia anginosa variabile. Di solito l'esame obiettivo è negativo, all'auscultazione si può rilevare comparsa
di III e/o IV tono in caso di significativa alterazione del ventricolo sx indotta dall'ischemia.
Diagnosi: esami di laboratorio (glicemia, assetto lipidico aumentano il rischio cardiovascolare); ECG a riposo
(se c'è l'attacco anginoso riscontriamo un sottoslivellamento del tratto ST maggiore o uguale a 1mm in
genere in V4,V5,V6 e possiamo anche avere alterazioni della T; ECG da sforzo, test principale per la diagnosi
di angina stabile, considerato positivo quando si osserva un sottoslivellamento orizzontale del tratto ST
maggiore o uguale a 1mm e se è positivo bisogna considerare a quale carico di lavoro si manifestano le
alterazioni ischemiche; ECG dinamico secondo Holter per 24-48ore; Scintigrafia miocardica perfusionale;
Ecocardiografia (per evidenziare alterazioni della contrattilità ventricolare; Coronarografia (esame definitivo
per la diagnosi di cardiopatia ischemica aterosclerotica, in quanto consente di evidenziare direttamente la
presenza, numero ed entità delle stenosi).
Terapia: correzione stile di vita per ridurre i fattori rischio (ipercolesterolemia, diabete, obesità, fumo);
terapia antiaggregante con acido acetilsalicilico, clopidogrel; ß-bloccanti indicati solo nei pazienti con infarto
miocardico pregresso o disfunzione ventricolare SX. ACE-inibitori indicati nei pazienti con disfunzione
ventricolare SX o con ipertensione arteriosa. Per quanto riguarda la terapia dell'attacco anginoso invece è
consigliata assunzione di una perla di trinitrina o altro nitroderivati per via sublinguale o spray orale. La
profilassi va fatta con ß-bloccanti, Ca-antagonisti e nitrati a lungo termine.
Si può anche fare rivascolarizzazione miocardica, al fine di ripristinare un flusso coronarico normale nel
territorio irrorato da vasi coronarici con stenosi clinicamente significative mediante 1) interventi per via
percutanea di angioplastica coronarica e 2) by-pass aorto-coronarico.
Diagnosi: è clinica. Va sempre sospettata in pazienti con angina a riposo, ci può essere anche l'occorrenza di
palpitazioni, lipotimie o sincopi durante gli attacchi anginosi devono far sospettare la presenza di aritmie
pericolose per la vita. La conferma diagnostica può essere ottenuta mediante la documentazione di un
sopraslivellamento del tratto ST maggiore o uguale a 1mm all'ECG a riposo.
- Angina instabile è caratterizzata da una recente variazione del quadro anginoso, che può essere costituito
da un aumento della frequenza e/o della durata dell'angina, dalla sua comparsa per sforzi meno intensi o a
riposo, o anche a una minore sensibilità alla terapia con nitrati sublinguali. Una forma di angina instabile è
l'angina postinfartuale ad esempio che si presenta dopo poche settimane dall'evento ischemico acuto.
In genere gli episodi anginosi in questo caso durano pochi minuti, indicando che alla base vi è un'ischemia
transitoria.
Diagnosi: esame obiettivo in genere negativo, possono comparire durante un episodio anginoso segni di
scompenso cardiaco, come dispnea, rantoli polmonari basali, e III tono cardiaco. L'ECG può mostrare
sottoslivellamento del tratto ST e/o un'onda T negativa, alterazioni che possono persistere durante un
attacco anginoso. Gli indici di necrosi miocardica sono normali.
- NSTEMI è caratterizzato da necrosi miocardica che interessa solo il subendocardio. Dal punto di vista
clinico il paziente presenta dolore toracico che dura più di 20/30 minuti preceduto o meno nelle ore e nei
giorni precedenti da episodi anginosi transitori.
Diagnosi: ECG durante la fase di dolore toracico mostra un sottoslivellamento del tratto ST più o meno
marcato e diffuso e/o un'onda T negativa. Tipica di questa forma di infarto è la mancanza all'ECG dell'onda
Q di necrosi. Gli indici di necrosi miocardica mostrano valori ematici aumentati. In presenza di un quadro
clinico ed elettrocardiografico più tendente all'angina instabile, il riscontro di un aumento anche minimo di
troponine deve portare a una diagnosi di infarto.
Terapia: necessità di un ricovero ospedaliero. La terapia di prima linea è finalizzata ad evitare l'evoluzione
del trombo subocclusivo verso un'occlusione trombotica coronarica completa: questo obiettivo viene
conseguito attraverso la somministrazione di anticoagulanti (acido acetilsalicilico, clopidogrel) e
anticoagulanti (eparina non frazionata, eparina a basso peso molecolare). La terapia antiischemica prevede
somministrazione di ß-bloccanti, calcio antagonisti e nitrati. Inoltre è consigliato in tutti i pazienti con SCA
l'utilizzo di statine, che migliorerebbero secondo alcuni il decorso clinico. Infine un intervento di
rivascolarizzazione miocardica per via percutanea è utile nei pazienti a più alto rischio come diabetici, pz che
presentano sintomi di scompenso, gravi aritmie, disfunzione ventricolare SX, rialzo significativo di indici di
necrosi miocardica, ecc.
Manifestazioni cliniche: l'insorgenza dell'IMA presenta un ritmo circadiano, con picco di frequenza nelle ore
del mattino e un secondo picco nelle ore pomeridiane, andamento influenzato dalla variazione circadiana
dell'attività piastrinica e del rilascio delle catecolamine plasmatiche.
Il sintomo fondamentale è il dolore toracico, anche se nel 15-20% dei casi può essere assente. Al dolore si
può associare nausea, astenia intensa, sudorazione algida e vomito, e può associarsi anche dispnea fino al
quadro di edema polmonare acuto. All'auscultazione cardiaca possono essere rilevati aritmie, la comparsa
di III o IV tono, e un soffio da insufficienza mitralica se c'è stato interessamento dei muscoli papillari. In caso
di infarto molto esteso (perdita del 40% del miocardio totale) la compromissione della contrattilità può
determinare un quadro di shock.
Diagnosi: ECG è l'esame da eseguire immediatamente in un pz con dolore toracico sospetto di IMA.
Nell'IMA transmurale si possono distinguere 4 stadi principali di evoluzione:
- Stadio 1 nelle prime ore di esordio dei sintomi nelle derivazioni che esplorano l'area infartuata si osserva
un sopraslivellamento del tratto ST, tanto marcato da inglobare l'onda T, con o senza una piccola onda Q di
necrosi, mentre nelle derivazioni opposte le alterazioni saranno opposte.
- Stadio 2 dopo alcune ore dall'esordio si osserva una progressiva riduzione del sopraslivellamento del tratto
ST, con comparsa di onde T negative e onde Q di necrosi profonde e larghe, e queste alterazioni possono
durare poche ore fino a parecchi giorni.
- Stadio 3 si osserva la normalizzazione del tratto ST, la negatività dell'onda T si fa più profonda e c'è
persistenza dell'onda Q di necrosi.
- Stadio 4 dopo alcune settimane si osserva la normalizzazione dell'onda T e la persistenza dell'onda Q di
necrosi, che può anche normalizzarsi col tempo, diventando non diagnostica.
L'ECG non solo consente di fare diagnosi di infarto ma permette anche di individuare la localizzazione e di
suggerire l'entità della sua estensione. In genere se l'infarto è ANTERIORE le derivazioni che presentano
sopraslivellamento del tratto ST sono V1,V2,V3,V4 e V5, se l'infarto è LATERALE avremo sopraslivellamento
in V5,V6, aVL e D1, se l'infarto è INFERIORE avremo sopraslivellamento in D2, D3 e aVF, e infine in caso di
infarto POSTERIORE avremo sottoslivellamento in V1,V2,V3. Infine l'evoluzione nel tempo delle alterazioni
all'ECG durante la fase acuta è un ottimo indice di valutazione di ripristino del flusso ematico attraverso la
coronaria occlusa, ovvero tanto più rapidamente regrediscono le alterazioni ECG tanto più preoce e migliore
è l riperfusione del miocardio nella regione infartuale;
Un altro elemento diagnostico è la presenza degli indici ematici di necrosi miocardica, quali:
- Creatinkinasi: la CK totale e la sua isofroma cardiospecifica CK-MB iniziano ad aumentare 4-6 ore dopo
l'esordio dei sintomi, raggiungono picco a 24 ore e tornano normali a 72 ore. Il dosaggio della CK/CK-MB
non consente soltanto di confermare la diagnosi di infarto ma anche di fare una valutazione dell'entità della
necrosi, infatti più è alta la concentrazione di CK/CK-MB tanto più estesa sarà la necrosi.
- Troponine: le Troponine T e I iniziano ad aumentare 4-6 ore dopo l'esordio dei sintomi, raggiungono il
picco a 24 ore e possono rimanere elevate anche dopo 2 settimane. Sono gli indici ematici di necrosi
miocardica più sensibili e specifici.
- Mioglobina: aumenta già entro 2 ore dall'esordio dei sintomi, quindi può fungere da indicatore precoce di
infarto miocardico.
- Lattico Deidrogenasi: la LDH inizia ad aumentare più tardivamente della CK/CK-MB e persiste aumentata
nel siero più a lungo, quindi può fungere da indicatore tardivo di infarto miocardico.
Ecocardiogramma: se l'area è sufficientemente estesa, l'ecocardiogramma mostra un'alterazione della
contrattilità della regione ischemica (ipocinesia, acinesia, discinesia) e inoltre possiamo valutare la frazione
di eiezione, che è la stima migliore per valutare la funzionalità del ventricolo sx.
Va effettuata comunque dopo qualche giorno dall'episodio, perché ci possono essere fenomeni come lo
“stordimento miocardico” che possono far sovrastimare l'estensione della necrosi.
Complicanze aritmiche Nella fase acuta di un infarto del miocardio possono insorgere pressoché
tutti i tipi di aritmie, che possono aggravare la funzione contrattile del cuore, estendere l'area
necrotizzata ed evolvere verso forme aritmiche particolarmente gravi, causando arresto cardiaco e
morte del paziente. Possiamo avere essenzialmente BRADIARITMIE come bradicardia sinusale,
blocchi atrio-ventricolari (1° grado, 2° grado tipo I e tipo II, 3° grado o blocco A-V completo); e
TACHIARITMIE 1) sopraventricolari (extrasistoli, tachicardia sopraventricolare e infine fibrillazione
atriale e flutter atriale, e in questo caso la terapia di prima scelta è l'amidarone) e 2) ventricolari
(extrasistoli, tachicardia ventricolare, ritmo idioventricolare, fibrillazione ventricolare, che è la
principale causa di morte per IMA e può essere divisa in primitiva, insorgendo nelle 24-48 ore
successive all'infarto e può essere risolta con defibrillazione elettrica, e secondaria che insorge nelle
48 ore successive e va trattata con l'impianto di un defibrillatore automatico)
Complicanze emodinamiche/meccaniche quali SCOMPENSO CARDIACO e SHOCK CARDIOGENO,
espressione entrambe di una grave compromissione ventricolare. Lo scompenso dapprima provoca
congestione vascolare polmonare e se il quadro poi peggiore si manifesta edema polmonare.
L'ipotensione data dallo shock conclamato invece si manifesta con segni di ipoperfusione periferica
quali cute fredda, subcianosi, tachicardia, confusione mentale e oliguria. Queste condizioni
richiedono trattamento con diuretici, vasodilatatori e farmaci inotropi positivi, mentre lo shock
cardiogeno può essere trattato con la contropulsazione aortica. Importante poi se c'è shock
ipovolemico perché quest'ultimo può essere trattato con infusione di liquidi.
Infarto del ventricolo DX che se è molto esteso può accompagnarsi a sintomi da ipotensione e
scompenso cardiaco dx.
Rottura del setto interventricolare quadro emodinamico caratterizzato da un brusco aumento della
portata a livello del circolo polmonare per l'instaurarsi di uno shunt sx-dx, la portata sistemica si
riduce e il ventricolo sx va incontro a un sovraccarico di volume, con quadro di scompenso e/o
shock. All'auscultazione abbiamo un soffio olosistolico, con sdoppiamento del II tono a causa del
sovraccarico del ventricolo dx. Terapia: correzione chirurgica.
Rottura o malfunzionamento di un muscolo papillare che può provocare un'insufficienza valvolare,
in genere mitralica. L'unica terapia è la sostituzione della valvola colpita
Rottura della parete libera del ventricolo SX compare dai 3 ai 10 giorni dopo l'infarto ed è un
evento frequente negli anziani e nelle donne. Manifestazioni cliniche sonoq uelle del
tamponamento cardiaco acuto. Caratteristico aspetto è la dissociazione tra attività meccanica
(polso assente) e elettrica (persistenza dei QRS all'ECG).
Aneurisma ventricolare SX il quale può provocare scompenso cardiaco, compromettendo la
dinamica contrattile cardiaca, costituisce poi una sede per l'instaurarsi di fenomeni di rientro
facilitando insorgenza di aritmie ventricolari pericolose e può costituire una sede per stasi ematica
facilitando la formazione di trombi che possono dare origine a fenomeni tromboembolici. Dal punto
di vista diagnostico riscontriamo un itto sollevante a livello del precordio, presenza di III tono
cardiaco, sopraslivellamento del tratto ST all'ECG e diagnosi certa con radiografia ed
ecocardiografia. La terapia è con correzione chirurgica.
Rischio di reinfarto e angina postinfartuale
Pericardite epistenocardica insorge 2-4 giorni dopo l'episodio di infarto e clinicamente si manifesta
con dolore toracico tipico, che aumenta all'inspirazione e diminuisce assumendo una posizione
seduta. All'auscultazione sono presenti sfregamenti pericardici, all'ECG può essere presente un
sopraslivellamento del tratto ST e la presenza di versamento pericardico visibile
all'ecocardiogramma è diagnostica. Questo è importante perché è l'elemeno che ci permette la
valutazione di una sospensione della terapia anticoagulante, al fine di evitare emopericardio.
Sindrome di Dressler pericardite postinfartuale, dovuta ad un instaurarsi di una reazione
autoimmune contro antigeni del pericardio liberatisi durante il processo necrotico. Compare dopo
1-6 settimane dall'infarto e si manifesta con dolore pericarditico febbre eventualmente associati a
dolore pleuritico.
Morte cardiaca improvvisa nel 10-20% può essere anche il quadro all'esordio, avviene in modo
inatteso e senza nessun apparente sintomo o comunque entro 1 ora dall'evento. In genere è dovuta
comunque a una fibrillazione ventricolare in corso di STEMI.
CUORE POLMONARE
Definizione: si definisce cuore polmonare un'alterazione della struttura e/o della funzione del ventricolo dx
dovuta a un aumento della pressione nell'arteria polmonare.
L'ipertensione polmonare è la condicio sine qua non del cuore polmonare. La diagnosi di ipertensione
polmonare deve essere posta in presenza di una pressione media nell'arteria polmonare maggiore o uguale
a 25 mmHg in condizioni di riposo.
Eziopatogenesi Le principali cause sono malattie che interessano il sistema respiratorio e che sono in
grado, con meccanismi vari, di determinare un aumento della pressione polmonare.
Possono essere malattie polmonari (BPCO; Fibrosi cistica; Interstiziopatie polmonari), disordini della
circolazione polmonare (tromboembolia polmonare; ipertensione polmonare idiopatica), malattie
neuromuscolari (miastenia gravis), deformità della gabbia toracica (cifoscoliosi) e per disordini del controllo
della ventilazione (ipoventilazione centrale primitiva; sindrome delle apnee ostruttive).
Sintomi: i sintomi del cuore polmonare cronico sono in genere correlati alla patologia di base. Il sintomo
più comune è la dispnea, può insorgere sincope da tosse o da sforzo a causa dell'incapacità del ventricolo
dx di apportare una quantità di sangue adeguata al cuore sinistro. Possiamo avere dolore addominale e
ascite, edema delle estremità inferiori e ipossia, con vasodilatazione periferica. Per i il cuore polmonare
acuto i sintomi sono quelli associati a embolia polmonare.
Segni sono tachipnea, elevate pressioni venose giugulari, epatomegalia ed edema declive. Posso riscontrare
onde v prominenti nel polso venoso giugulare, conseguenza dell'insufficienza tricuspidale. Altri segni sono
fremito del ventricolo dx palpabile lungo il margine sternale sx o in epigastrio, click di eiezione polmonare
sistolico, e il segno di Carvalho, ovvero l'aumento di intensità del murmure olosistolico dell'insufficienza
tricuspidale durante l'inspirazione, che può andare perduto con il peggioramento dello scompenso del
ventricolo dx.
Diagnosi All'ECG possiamo riscontrare presenza di onda P polmonare, deviazione dell'asse cardiaco a destra
e segni di ipertrofia ventricolare dx. L'RX torace mostra un ingrossamento dell'arteria polmonare principale
e dei vasi ilari. La spirometria e lo studio dei volumi polmonari possono identificare difetti
restrittivi/ostruttivi indicativi di malattia polmonare, mentre un'emogasanalisi ipossiemia e/o ipercapnia.
La TC del torace è utile nella diagnosi della malattia tromboembolica acuta. L'ecocardiografia 2D è utile per
misurare lo spessore del ventricolo dx e le sue dimensioni, così come valutare l'anatomie delle valvole
cardiache di destra.
Terapia: l'obiettivo primario del trattamento del cuore polmonare cronico consiste nel curare la patologia
polmonare alla base, dal momento che ciò porterà a diminuire le resistenze vascolari polmonari e ad
alleviare il sovraccarico pressorio sul ventricolo dx, riducendo il lavoro respiratorio grazie a ventilazione
meccanica non invasiva, impiego di broncodilatatori e trattamento di eventuali infezioni, oltre a
un'adeguata ossigenazione e correzione di acidosi respiratoria. I diuretici sono efficaci, cos' come i
vasodilatatori polmonari mentre è dubbia l'utilità della digossina e perciò va somministrata con giudizio, a
basse dosi e monitorata attentamente.
Per il trattamento del cuore polmonare acuto vedere quello per l'embolia polmonare.
IPERTENSIONE ARTERIOSA
È un aumento dei livelli pressori al di sopra dei valori medi che si rilevano nella maggior parte dei soggetti
apparentemente sani.
Epidemiologia
Nelle popolazioni occidentali la pressione sistolica arteriosa aumenta gradualmente sino alla tarda età,
mentre valori di pressione diastolici tendono a livellarsi o anche a diminuire leggermente dopo i 50 anni.
L’i.a. essenziale è di gran lunga quella più frequente.
È quello stato di ipertensione in cui gli elevati valori pressori non riconoscono un’evidente causa organica.
Eziopatogenesi
La pressione arteriosa risulta dall’interazione tra fattori ambientali e genetici. La patologia mostra una certa
familiarità. Sono stati individuati 17 geni . I fattori ambientali più importanti sono: dieta ipersonica e ricca di
lipidi, vita sedentaria, fumo, stress.
Fisiopatologia
Costituisce in primis un fattore di rischio per l’insorgenza di aterosclerosi (soprattutto a livello coronarico) e
di arteriolosclerosi. A livello arteriolare è presente una forma di autoregolazione della pressione arteriosa,
rappresentata dalla vasocostrizione; oltre certi limiti, tale meccanismo perde il proprio effetto protettivo,
determinando l’ingresso di sostanze disciolte ne sangue all’interno delle pareti delle arteriole. Quando tale
processo avviene in modo lento e progressivo, si verifica una fibrosi della parete arteriolare.
Clinica
Nelle fasi iniziali, si osserva un aumento della gittata. Quando l’i.a. si è stabilizzata nella sua forma
conclamata, la maggior parte dei soggetti presenta una gittata normale in presenza di resistenze periferiche
aumentate. Se l’i.a. non viene trattata negli stadi tardivi, le resistenze periferiche risulteranno molto elevate
e la gittata tenderà a diminuire evolvendo verso lo scompenso. L’i.a. si manifesta clinicamente solo quando
raggiunge un grado severo e la diagnosi avviene a causa di qualche sintomo indicativo di iniziale sviluppo di
complicanza o danno d’organo. I sintomi più comuni sono: cefalea , dispnea, cardiopalmo, vertigini,
epistassi, disturbi della visione.
Complicanze
Arterie di grosso e medio calibro. La lamina elastica interna diviene più sottile e si formano nuovi strati che
si appongono in direzione dell’intima. Lo strato muscolare diviene più spesso. Nelle fasi più avanzate, la
tonaca elastica può andare incontro a rottura e parziale riassorbimento, mentre il tessuto fibroso va a
sostituire quello muscolare. I vasi si dilatano, hanno pareti spesse e rigide, spesso hanno decorso tortuoso.
Il flusso si fa turbolento, compaiono lesioni endoteliali e inizia la progressiva formazione delle placche
aterosclerotiche. Lo sviluppo delle placche segue due modelli differenti:
Strie lipidiche: gruppi di macrofagi contenenti gocce lipidiche. Essi giacciono subito al di sotto
dell’intima, che appare ispessita. L’endotelio può ulcerarsi, possono aderirvi le piastrine e possono
formarsi dei trombi.
Lesioni proliferative: gruppi di cell muscolari lisce di provenienza sottoendoteliale, privi di
macrofagi, in cui successivamente si accumulano quantità variabili di fibrina. Circa il 50% di queste
lesioni contiene un nucleo centrale di materiale lipidico extracellulare.
Entrambe le tipologie di lesione convergono dando origine a placche aterosclerotiche. Queste possono
complicarsi (rottura, embolia) e determinare conseguenze funzionali gravi a livello delle coronarie, arterie
renali, carotidi, vertebrali.
Arterie di piccolo calibro. Ispessimento della tonaca muscolare come nelle arterie di grosso calibro, ma
l’espansione dell’intima è più pronunciata come conseguenza dell’accrescimento concentrico del tessuto
connettivo. La progressiva arteriolosclerosi ialina può coinvolgere tutta la parete, fatta eccezione per
l’endotelio. Il lume si restringe con aumento delle resistenze periferiche e della pressione arteriosa.
Occhio. All’esame del fonso oculare si vedono diversi gradi di retinopatia ipertensiva. Il grado 3 e 4 si
associano ad un’ importante riduzione della capacità visiva; è elevato il rischio di trombosi venosa retinica.
Rene. L’iperplasia e la nefroangiosclerosi ialina causano un aumento della resistenza vascolare renale con
riduzione del flusso plasmatico renale. Grazie all’autoregolazione renale, nelle fasi iniziali della malattia il
rene riesce a compensare, il filtrato glomerulare è costante e la funzionalità renale rimane inalterata. Nelle
fasi più avanzate si assiste invece a un progressivo declino della funzionalità renale. La proteinuria è
variabile. Alcuni pz posso avere microematuria o iperuricemia.
Cuore. Il cuore è sottoposto ad un sovraccarico di lavoro finalizzato a mantenere costante la gittata cardiaca
a fronte di un aumento delle resistenze periferiche;in risposta a questo sovraccarico il ventricolo sx si
ipertrofizza; si individuano tre tipi di ipertrofia:
Concentrica: aumenta lo spessore parietale non accompagnato da ingrandimento della cavità
ventricolare
Eccentrica: consiste in una dilatazione della cavità ventricolare senza aumento proporzionale dello
spessore parietale, nonostante l’incremento della massa del ventricolo
Irregolare: consiste nella formazione di zone di ipertrofia asimmetriche
Alla lunga la deposizione di collageno riduce la compliance ventricolare, ostacolando il riempimento
ventricolare. Il mancato rilasciamento diastolico ventricolare inibisce il riempimento coronarico
predisponendo il soggetto ad un’ischemia sub endocardica. Alla fine il cuore va incontro a scompenso.
Diagnosi
Nell’impostazione degli esami di lab e strumentali in un pz iperteso bisogna considerare quali obiettivi:
L’esclusione di forme secondarie di ipertensione che sospetto in caso di: i.a. che esordisce prima dei
30 anni in un soggetto con familiarità negativa, valori di pressione diastolica>120 mm/Hg,
importante danno d’organo (creatininemia > 1,5 mg/dl), ipokalemia, palpitazioni, soffi addominali.
La valutazione dei fattori di rischio cardiovascolare associati
Valutazione di una ripercussione sistemica
Esami di lab. Indici di funzionalità renale (azotemia, creatinine mia, clearance della creatinina), elettroliti
plasmatici e urinari, esame delle urine (proteinuria, esame del sedimento). Questi tre servono per escludere
un’i.a. di origine renale. Altri esami sono: emocromo, glicemia, uricemia, assetto lipidemico
Esami strumentali (valutazione del danno d’organo). ECG, ecocardio, prove da sforzo cardiache, eco-color
Doppler, esame del fondo dell’occhio.
Terapia
In tutti i pz si consiglia di modificare lo stile di vita: abolizione del fumo, esercizio, calo ponderale, dieta
ipocalorica, ridotto consumo di sodio, moderato consumo di bevande alcoliche. Un pz che ha modificato lo
stile di vita ma che continua ad avere valori < 160/100 mm/Hg deve iniziare una terpaia farmacologica con
un diuretico tiazidico a basso dosaggio. Se non ha efficacia si da anche un ACE-inibitore.
IPERTENSIONI SECONDARIE
Comprende diverse condizioni poco frequenti. Sono:
I. Renale: patologie parenchimali e vascolari del rene
I.di origine endocrina: feocromocitoma, iperaldosteronismo, sd di Cushing
PERICARDITI
Sono infiammazioni del pericardio e possono essere distinte in
Acute: durano da meno di 6 settimane
Croniche: dura da più di 6 mesi. Può essere suddivisa ulteriormente in essudativa e costrittiva
Subacute: dura da più di 6 settimane ma meno di 6 mesi
Possono avere diverse eziologie: virali (rosolia, CMV, EBV, EZV…), batteriche, micotiche, parassitarie,
epistenocardica, neoplastica, associate a connettiviti sistemiche, a patogenesi immunitaria, da radiazioni,da
uremia, conseguenti a patologie degli organi circostanti.
PERICARDITE COSTRITTIVA
Definizione
È l’esito di una pericardite di lunghissima durata, con formazione di tessuto di granulazione che oblitera
quasi tutta la cavità pericardica; tale tessuto poi si ritrae fino alla formazione di fibrosi cicatriziale, con
calcificazioni e aderenze tra foglietti pericardici. La conseguenza è una compressione di tutte le camere
cardiache con ostacolo al loro riempimento.
Eziologia
In teoria tutte le pericarditi croniche possono evolvere in una forma costrittiva
Fisiopatologia
Il cuore non si dilata per mancata compliance pericardica; si verifica quindi un aumento della pressione
nelle camere cardiache che provoca congestione venosa sia polmonare che sistemica. Si riduce anche la
gittata cardiaca.
Clinica
Inizialmente si verifica solo scompenso dx; poi si aggiunge lo scompenso sx.
Ispezione. Pz deperito, sub itterico, con ascite ed edemi periferici. Possono rendersi visibili i circoli
anastomotici porto-cavali. Le giugulari sono turgide ed è presente il segno di Kussmaul (mancato collasso
inspiratorio delle giugulari).
Palpazione. Itto difficilmente percepibile.
Auscultazione. Udibile il caratteristico “knock pericardico”, causato dal brusco arresto della dilatazione
ventricolare durante la proto diastole e dovuto all’urto delle pareti ventricolari col pericardio irrigidito. Tale
suono è meglio udibile a livello del margine sternale sx o all’apice cardiaco.
Diagnosi
ECG. Non ci sono alterazioni tipiche.
Rx torace. Ombra cardiaca non ingrandita. A volte sono visibili calcificazioni.
Ecocardiogramma. Ispessimento ed irrigidimento del pericardio, dilatazione delle vv sovra epatiche, segno
di kussmaul, movimenti paradossi del setto interventricolare durante la respirazione, aumento del flusso
trans mitralico durante l’espirazione.
TC e RM. Per vedere calcificazioni, adesioni, ispessimenti pericardici.
Terapia
Pericardiectomia, diuretici e restrizione salina per ridurre il sovraccarico idrico e gli edemi.
SCOMPENSO CARDIACO
Condizione patologica caratterizzata dall’incapacità del cuore di pompare una quantità di sangue (portata
cardiaca) adeguata alle necessità metaboliche dell’organismo.
Epidemiologia
L’incidenza nella popolazione aumenta in relazione all’età e raddoppia per ogni decennio dai 40 agli 80 anni.
Nell’età adulta è più frequente negli uomini a causa della maggior prevalenza della cardiopatia ischemica.
Eziologia
Classifichiamo le cause dello scompenso in:
Cause primarie, che provocano direttamente lo scompenso
Cause precipitanti, che rendono evidente uno scompenso subclinico, determinano l’aggravamento
di uno scompenso preesistente o precipitano uno scompenso acuto
Cause primarie:
Patologie che compromettono la funzione sistolica del miocardio:
Cardiopatia ischemica
Cardiomiopatia dilatativa
Patologie che compromettono la funzione diastolica del miocardio
Cardiomiopatia ipertrofica
Cardiomiopatia restrittiva
Patologie che sottopongono il cuore ad un sovraccarico di lavoro cronico
Patologie con sovraccarico di pressione (es. ipertensione arteriosa, stenosi valvolare)
Patologie con sovraccarico di volume (es. insufficienza valvolare)
Cause precipitanti:
Stress fisico, psichico, alimentare, ambientale
Ipertensione arteriosa
Aritmie
Infezioni sistemiche
Aumento della portata cardiaca
Insufficienza renale
Embolia polmonare
Assunzione di farmaci controindicati o sostanze tossiche
Fisiopatologia
In presenza di una riduzione della contrattilità miocardica o di un sovraccarico di lavoro cardiaco, le
conseguenze emodinamiche più immediate sono rappresentate dall’aumento della pressione venosa a
monte e/o dalla riduzione della gittata sistolica a valle della camera insufficiente. L’organismo reagisce con
una serie di meccanismi di compenso che hanno lo scopo di mantenere la portata cardiaca su valori
normali. Col peggiorare dello scompenso, tali meccanismi diventano progressivamente insufficienti ed
incapaci di garantire una gittata cardiaca adeguata sotto sforzo o addirittura a riposo nelle fasi finali. Va
peraltro sottolineato che i meccanismi di compenso, inizialmente benefici, quando vengono attivati per
lunghi periodi possono contribuire nell’aggravare lo scompenso. Tali meccanismi sono:
Meccanismo di Starling: all’aumentare del volume telediastolico, aumenta anche la gittata sistolica
Meccanismi neuroendocrini: la riduzione della gittata stimola i meccanocettori presenti nel
miocardio ventricolare, nell’aorta e nel seno carotideo; tali strutture stimolano in via riflessa il
sistema adrenergico che induce vasocostrizione periferica con ridistribuzione del sangue agli organi
nobili (cuore e cervello). La riduzione della gittata provoca anche un’ipoperfusione renale con
attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone: la conseguenza dell’attivazione di questo
sistema enzimatico è un aumento della ritenzione di acqua e sodio, finalizzato ad un aumento della
volemia. L’angiotensina 2, inoltre, induce vasocostrizione arteriosa periferica. Nel caso di un cuore
insufficiente, l’aumento prolungato delle resistenze periferiche finisce con il comportare
un’ulteriore riduzione della portata cardiaca; ciò determina, a sua volta, un’ulteriore vasocostrizione
per ridistribuire il flusso insufficiente, e così via in un circolo vizioso. La somministrazione di
vasodilatatori arteriosi è finalizzata proprio ad interrompere questo circolo vizioso. Analogamente,
l’aumento prolungato della volemia provoca un aumento eccessivo del precarico il quale, per la
legge di Frank-Starling, determina una riduzione della gittata cardiaca. La somministrazione di
vasodilatatori venosi e di diuretici è finalizzata proprio a ridurre la volemia oppure a ridistribuire il
sangue verso la periferia.
Ipertrofia miocardica e rimodellamento ventricolare: l’ipertrofia miocardica costituisce un’ulteriore
meccanismo di compenso che il cuore mette in atto per migliorare la sua efficienza contrattile in
condizioni di insufficienza cardiaca persistenti nel tempo. Le variazioni della geometria del
ventricolo che va incontro ad ipertrofia sono diverse a seconda del tipo di sovraccarico a cui il cuore
è sottoposto:
Ipertrofia concentrica: in caso di sovraccarico di pressione, i cardiomiociti delle pareti ventricolari
rispondono con l’aggiunta in parallelo di miofibrille: ciò comporta un aumento dello spessore della
parete, mentre il volume ventricolare non viene modificato. Per la legge di Laplace (S=Pr/2h),
l’aumento dello spessore (h) compensa l’aumento della pressione (P), in modo da limitare lo stress
di parete (S)
Ipertrofia eccentrica: in caso di sovraccarico di volume, i cardiomiociti delle pareti ventricolari
rispondono con l’aggiunta in serie di sarcomeri: ciò comporta la dilatazione del ventricolo. Per la
legge di Laplace, l’aumento del raggio (r) comporterebbe un aumento dello stress di parete, che
anche in questo caso viene limitato da un modesto aumento di spessore.
Se il grado di ipertrofia diventa eccessivo, esso finisce col compromettere la funzione sistolica e diastolica
del ventricolo, oltre che favorire l’insorgenza di ischemia miocardica, sia per il maggior lavoro cui è
sottoposto il cuore sia per l’insufficiente sviluppo del microcircolo coronarico.
Conseguenze fisiopatologiche dell’insufficienza cardiaca conclamata:
Congestione venosa: l’aumento della pressione venosa che consegue all’insufficienza cardiaca si
trasmette a monte sino ai capillari, dove produce alterazioni negli scambi di acqua e ioni che esitano
nella formazione di edema interstiziale. Nel caso del polmone, quando la quantità di acqua nel
circolo aumenta supera la possibilità di drenaggio da parte del sistema linfatico polmonare, essa
inonda gli alveoli e l’edema diventa alveolare.
Ipoperfusione degli organi periferici: l’ipoperfusione dei tessuti in genere provoca ipossia periferica
e, nei casi più gravi, acidosi. L’ipoperfusione del rene, oltre un certo limite, produce insufficienza
renale che, nei casi di shock cariogeno, arriva sino all’anuria completa. La congestione venosa
epatica, associata all’ipoperfusione può condurre, nei casi gravi, alla necrosi centro lobulare, con le
relative manifestazioni dell’insufficienza epatica.
Manifestazioni cliniche
I sintomi e i segni clinici dello scompenso cardiaco sono sempre riconducibili in qualche modo alla
congestione venosa o all’ipoperfusione periferica; essi possono combinarsi in vario modo, dando luogo a
quadri clinici variabili.
CRITERI DI FRAMINGHAM PER LA DIAGNOSI DI
SCOMPENSO CARDIACO
CRITERI MAGGIORI Dispnea parossistica notturna
Turgore delle vene giugulari
Rantoli
Cardiomegalia
Edema polmonare acuto
Ritmo di galoppo da terzo tono
Pressione venosa centrale > 16 cmH2O
Reflusso epato-giugulare
CRITERI MINORI Edemi periferici
Tosse notturna
Dispnea da sforzo
Epatomegalia
Versamento pleurico
Riduzione della capacità vitale di un terzo del
normale
Tachicardia (frequenza cardiaca>120 bpm)
CRITERI MAGGIORI O MINORI Perdita di peso > 4,5 kg in 5 giorni in risposta al
trattamento
La diagnosi è ritenuta certa in presenza di due criteri maggiori o di un criterio maggiore e due minori.
Sintomi
Funzione respiratoria. L’edema interstiziale provocato dalla congestione venosa polmonare
determina dispnea, ortopnea e dispnea parossistica notturna. Quando l’edema interstiziale è
talmente importante da arrivare a comprimere i bronchioli, provocando un aumento delle
resistenze delle vie aeree, si parla di asma cardiaco. Nei casi più gravi, la congestione polmonare
può provocare edema alveolare, dando luogo al quadro di edema polmonare acuto.
Attività muscolare. L’ipoperfusione dei muscoli determina astenia e facile affaticabilità.
Funzione renale. Nello scompenso è frequente la comparsa di nicturia: durante il giorno, la
posizione ortostatica determina ipoperfusione renale e quindi riduzione della diuresi, al contrario,
quando viene assunta la posizione clinostatica durante la notte, aumenta il ritorno venoso e quindi
la perfusione renale, con aumento della diuresi. Nelle fasi più avanzate dello scompenso,
l’ipoperfusione diventa costante e produce oliguria e, quando la portata cardiaca è gravemente
ridotta, anuria completa
Funzione cerebrale. L’ipoperfusione cerebrale determina perdita di memoria, difficoltà di
concentrazione, insonnia, ansietà. Nei casi acuti (edema polmonare e shock cariogeno) si osservano
confusione mentale, agitazione, sonnolenza, coma.
La valutazione del livello di attività fisica che determina la comparsa di sintomi (in particolare dispnea e
fatica muscolare) consente di precisare il grado di capacità funzionale del paziente, che è strettamente
dipendente dalla gravità dello scompenso.
CLASSIFICAZIONE FUNZIONALE DEI PAZIENTI
CARDIOPATICI NELLA NEW YORK HEART
ASSOCIATION (NYHA)
CLASSE 1 Pazienti senza limitazioni dell’attività fisica. L’attività
fisica abituale non causa sintomi
CLASSE 2 Lieve limitazione dell’attività fisica. Il pz è
asintomatico a riposo, ma un’attività fisica abituale
causa sintomi
CLASSE 3 Grave limitazione dell’attività fisica. Il pz è
asintomatico a riposo, ma un’attività fisica anche
inferiore a quella abituale causa sintomi
CLASSE 4 Impossibilità di eseguire qualsiasi attività fisica senza
avere disturbi. Il pz può presentare sintomi di
scompenso a riposo. I disturbi aumentano se viene
intrapresa una qualsiasi attività fisica
Segni
Esame generale. La presenza di edema periferico è una manifestazione frequente e tipica dello
scompenso. Esso non è solo il risultato dell’aumento di pressione nel circolo venoso sistemico ma
anche nello scompenso sx puro, in cui non si verifica congestione venosa sistemica; d’altro canto,
può mancare nello scompenso dx puro insorto acutamente, poiché per manifestarsi deve
accumularsi il liquido extracellulare nei tessuti, cosa che richiede alcuni giorni. L’edema compare
prima ai piedi e alle caviglie ed è tipicamente simmetrico (edemi declivi); la presenza di edema può
essere evidenziata col segno della fovea (la digitopressione della regione pretibiale determina un
affossamento della cute che scompare lentamente). Nei casi più gravi, l’edema può diventare
generalizzato (anasarca), coinvolgendo gli arti superiori, il torace (versamento pleurico), l’addome
(ascite) e i genitali. Se l’edema non viene risolto e persiste nel tempo, esso può provocare
indurimento della cute, con formazione di aree dicromiche (caratterizzate da macchie brune o
rossastre), soprattutto sul dorso del piede e alle caviglie. La vasocostrizione cutanea diventa
clinicamente evidente solo in presenza di shock cariogeno : in questo caso, la cute appare pallida,
fredda e madida di sudore; le estremità sono cianotiche. Lo scompenso cronico grave può portare
ad uno stato di cachessia con perdita di peso e anoressia, indotto dall’aumentata produzione di
citochine pro infiammatorie (soprattutto TNF).
Esame cardiovascolare. Sono presenti tachicardia (per effetto dell’ipertono adrenergico),
spostamento dell’itto a sx e in basso alla palpazione del precordio (dovuto alla dilatazione del
cuore), presenza di un terzo e/o un quarto tono all’auscultazione cardiaca, turgore delle giugulari
(da aumento della pressione venosa centrale nello scompenso dx). Nei pz con scompenso cronico la
pressione arteriosa è normale o modestamente ridotta, a meno che non esista una condizione di
ipertensione arteriosa di base. D’altro canto, nello scompenso cardiaco acuto la pressione arteriosa
è spesso elevata, soprattutto quella diastolica, per effetto della vasocostrizione periferica
compensatoria.
Esame del torace. Nei casi di scompenso lieve l’esame è normale. Quando aumenta la pressione del
circolo venoso polmonare, compaiono rantoli crepitanti alle basi polmonari, cioè rumori umidi
inspiratori che non si modificano dopo i colpi di tosse, a differenza dei rumori umidi di origine
bronchiale. Quando l’edema interstiziale e la congestione della mucosa bronchiale comprimono le
vie aeree terminali possono comparire anche ronchi e sibili. In caso di edema polmonare acuto, i
rantoli possono diventare grossolani e si diffondono a tutto l’ambito polmonare (marea montante).
Nello scompenso cronico l’aumento di pressione dei capillari pleurici determina la comparsa di un
versamento pleurico (idrotorace).
Esame dell’addome. L’aumento della pressione venosa centrale determina epatomegalia e, nei casi
più gravi, splenomegalia. Se la congestione epatica si prolunga, la compromissione prodotta dalle
venule sugli epatociti produce segni clinici di danno epatico (alterazioni ematiche, iperbilirubinemia,
ecc.). Nei casi di scompenso grave, l’aumento di pressione nei capillari peritoneali determina la
comparsa di ascite.
Diagnosi
Gli esami di laboratorio di routine e l’ECG possono fornire informazione utili a identificare le cause primarie
dello scompenso, oppure possono aiutare il medico nell’identificare le possibili cause precipitanti. Utile per
la diagnosi di un’origine cardiaca di sintomi compatibili con lo scompenso è il dosaggio del BNP e del suo
precursore NT-proBNP. La radiografia del torace consente di valutare le dimensione del cuore e il grado di
congestione polmonare. L’ecocardiogramma color-Doppler è senz’altro l’esame che contribuisce più di ogni
altro all’identificazione delle cause dello scompenso e a valutarne la gravità. Esso consente di identificare
rapidamente molte delle patologie cardiache in grado di causare uno scompenso e di esaminare
adeguatamente la funzione contrattile globale e regionale del ventricolo sx e, con minore precisione, del
ventricolo dx. A tal proposito, esso permette di calcolare la frazione di eiezione del ventricolo sx (FEVSn),
che costituisce il parametro più importante e più largamente utilizzato nella pratica clinica per identificare lo
stato della contrattilità miocardica; normalmente, la FEVSn è compresa tra 60 e 75% ed è comunque
superiore al 50%.
Prognosi
In media, la prognosi dei pz con scompenso non è buona. La metà circa delle morti è improvvisa,mentre
negli altri casi si assiste ad un progressivo deterioramento cardiaco. La mortalità è stata ridotta grazie
all’impiego di farmaci che contrastano il rimodellamento del miocardio e all’impianto di ICD che prevengono
la morte improvvisa. Restano tuttavia numerosi i casi che alla lunga risultano refrattari a tutti i trattamenti;
in questi casi la mortalità entro pochi mesi è elevata. La prognosi è più favorevole nei casi in cui lo
scompenso è determinato da cause primarie rimovibili (es valvulopatia, cardiopatia ischemica con un’ampia
area di miocardio ibernato ecc..). I fattori prognostici comprendono: gravità dei sintomi (classi NYHA),
FEVSn, capacità di esercizio, funzione renale, livelli ematici di BNP/NT-proBNP.
Manifestazioni cliniche di scompenso acuto grave
Edema polmonare acuto. Si manifesta quando la pressione dei capillari polmonari è >25mm/Hg: in tal caso,
si verifica la trasudazione di liquido negli alveoli polmonari. Ne consegue una compromissione sia degli
scambi gassosi che della meccanica ventilatoria. L’ipossia e l’acidosi che ne derivano provocano ulteriore
peggioramento della funzione cardiaca, con riduzione della portata e ulteriore aumento delle pressioni
capillari polmonari, generando così un circolo vizioso. La riduzione della portata induce inoltre
vasocostrizione periferica, comportando un aumento del carico di lavoro per il cuore che peggiora
ulteriormente la funzione cardiaca. Il pz in edema polmonare acuto si presenta agitato, seduto sul letto,
dispnoico, con respiro caratterizzato da espirazione prolungata con sibili e ronchi, da inspirazione rumorosa
e gorgogliante e, nei casi più gravi con emissione con la tosse di un espettorato schiumoso, talvolta rosato.
La cute appare fredda e sudata, le estremità e le labbra sono cianotiche. Alcuni pz possono riferire anche
dolore retro sternale (se vi è una sottostante cardiopatia ischemica). Il pz è tachicardico, con pressione
elevata (soprattutto quella diastolica). La diuresi è ridotta. All’auscultazione toracica si apprezzano rantoli
inspiratori su tutti i campi polmonari. L’EGA rivela ipossia, acidosi (metabolica e respiratoria) e spesso
ipercapnia. Se non si interviene rapidamente l’edema evolve vero lo shock cariogeno e l’arresto circolatorio.
L’obiettivo principale del trattamento è ridurre in modo marcato il precarico e, in caso di elevata pressione
arteriosa, anche il postcarico.
Shock cardiogeno. Si manifesta quando la portata scende al di sotto dei valori minimi necessari a mantenere
la funzione degli organi vitali. Le cause più frequenti comprendono: infarto miocardico acuto e/o sue
complicanze meccaniche, miocarditi gravi, tamponamento cardiaco, embolia polmonare. La violenta
vasocostrizione che si innesca per mantenere la perfusione di organi vitali quali il cuore e il cervello unita
all’ipossia e all’acidosi, finisce per compromettere irreversibilmente la permeabilità e la contrattilità dei vasi
del microcircolo: la conseguenza è un sequestro di massa ematica in periferia che compromette il
riempimento cardiaco e riduce ulteriormente la portata, fino all’arresto circolatorio. Il pz in shock si
presenta dispnoico, in stato confusionale e semi-incosciente. Alcuni pz possono riferire anche dolore
restrosternale (se vi è una sottostante cardiopatia ischemica). La cute è fredda e sudata con ampie aree
marezzate da machhie cianotiche. I polsi sono quasi assenti con pressione bassissima o addirittura non
misurabile. La diuresi è molto scarsa o assente. L’EGA rivela acidosi metabolica grave anche in caso di
trattamento tempestivo e intensivo, Il pz con shock evolve spesso verso l’arresto circolatorio e la morte.
Terapia
Gli obbiettivi della terapia dello scompenso sono due: il miglioramento dei sintomi e della prognosi. Non
tutti i farmaci che migliorano i sintomi migliorano anche la prognosi: per es ACE-inibitori e beta-bloccanti
migliorano sia i sintomi sia la prognosi, mentre i diuretici solo i sintomi e i farmaci inotropi, con l’eccezione
forse della digitale, migliorano i sintomi ma peggiorano la prognosi. Il trattamento deve comprendere
interventi medici e chirurgici finalizzati a correggere o rimuovere, dove possibile, la causa primaria dello
scompenso (coronaropatia, valvulopatia, cardiopatia congenita ecc). il trattamento deve comprendere
misure dirette a prevenire o eliminare eventuali cause precipitanti dello scompenso (infezioni, aritmie,
embolia ecc.).
Riassumendo, i farmaci utilizzati in caso di scompenso cronico sono: ACE-inibitori, beta-bloccanti, nitrati,
diuretici, glicosidi digitalici e catecolamine. La terapia non farmacologica prevede: pacemaker bi
ventricolare, trapianto cardiaco.
I farmaci utilizzati nello scompenso acuto sono: diuretici, nitrati, glicosidi digitalici.
VIZI VALVOLARI
Le valvulopatie possono essere distinte in:
Stenosi valvolari: ostruzione al flusso di sangue in senso anterogrado, dovute a restrizione dell’area
valvolare
Insufficienze valvolari: incontinenza della valvola, con rigurgito di sangue in senso retrogrado,
dovute a lesioni dirette degli apparati valvolari o a dilatazione delle camere cardiache.
STENOSI MITRALICA
Fisiopatologia
In presenza di s.m. il passaggio di sangue dall’atrio al ventricolo sx può essere mantenuto entro certi limiti
fisiologici solo aumentando la pressione atriale. Questo aumento di pressione genera congestione venosa
polmonare, che può evolvere in ipertensione arteriosa polmonare. Il gradiente di pressione che si genera a
livello della mitrale, dipende tuttavia non solo dal grado di stenosi, ma anche dalla portata e dalla frequenza
cardiaca. Pertanto, tutte le situazioni che comportano un aumento della portata cardiaca e/o della
frequenza cardiaca causano un aggravamento del quadro emodinamico della stenosi mitralica. Così un
soggetto asintomatico a riposo può diventare sintomatico durante sforzo fisico o alla comparsa della
fibrillazione atriale. L’evoluzione successiva del quadro fisiopatologico e clinico è legata all’ipertensione
arteriosa polmonare secondaria all’ipertensione venosa. Inizialmente, l’ipertensione arteriosa è solo di tipo
funzionale, ovvero le arteriole rispondono con la vasocostrizione all’aumento di pressione del circolo
polmonare; successivamente, subentrano delle alterazioni anatomiche delle arteriole, che conducono ad
un’ipertensione polmonare irreversibile. L’ipertensione arteriosa polmonare cerca di ridurre la congestione
venosa polmonare e i sintomi correlati. Tuttavia essa genera un sovraccarico pressorio del ventricolo dx, il
quale si ipertrofizza, si dilata e può andare incontro a disfunzione contrattile. Ne consegue la dilatazione
dell’anello tricuspidale, con insufficienza della valvola. Quindi, progressivamente, si assiste alla scomparsa
dei fenomeni legati alla congestione venosa polmonare, mentre compaiono quelli legati allo scompenso dx,
con congestione venosa sistemica, e della bassa gittata cardiaca.
Manifestazioni cliniche
Il primo sintomo è quasi sempre la dispnea da sforzo; con la progressione della stenosi, la dispnea tende ad
insorgere per sforzi meno intensi , fino alla dispnea parossistica notturna e all’ortopnea. Episodi di edema
polmonare acuto possono verificarsi in occasione di improvvisi aumenti del flusso trans mitralico o di
fibrillazione atriale. Altri sintomi correlati all’ipertensione venosa polmonare sono la tosse e l’emottisi. In
fasi molto avanzate della malattia, possono comparire sintomi legati all’atriomegalia sx, quali la disfonia (da
compressione del nervo laringeo ricorrente sx) e la disfagia (da compressione dell’esofago). Tardivamente,
compaiono i segni dello scompenso dx e della bassa gittata cardiaca. La bassa gittata determina astenia,
facile affaticabilità e vasocostrizione periferica, particolarmente spiccata nei distretti circolatori non
essenziali come la cute. La maggior estrazione di O2 dal sangue capillare cutaneo ne consegue determina la
comparsa di cianosi periferica, facilitata dalla stasi venosa. Questi fenomeni danno origine alla cosiddetta
facies mitralica, caratterizzata da pallore del viso associato a cianosi dei pomelli e delle labbra . col
progredire dello scompenso dx appaiono epatomegalia, edemi declivi degli arti inferiori e, in fase avanzata,
ascite. Tra le complicanze della stenosi mitralica, la più frequente è la fibrillazione atriale, dovuta
all’ingrandimento dell’atrio sx. La complicanza più temibile è rappresentata dalle embolie sistemiche
(cerebrali, renali, spleniche, periferiche) conseguenti alla formazione di trombi nell’atrio sx dilatato o
nell’auricola.
Esame obiettivo
Alla’auscultazione cardiaca, il primo tono appare di intensità accentuata e di breve durata, mentre il
secondo tono è normale o, in caso di ipertensione arteriosa polmonare, accentuato. In protodiastole è
udibile il classico schiocco d’apertura della mitrale, di breve durata e ad alta frequenza, che segue la
componente aortica del secondo tono. Subito dopo lo schiocco, inizia un soffio (o rullio) diastolico a bassa
frequenza. Nella fase presistolica si ha un’accentuazione del soffio (rinforzo presistolico) legata all’aumento
del flusso trans mitralico conseguente alla sistole atriale. Tali reperti sono più facilmente auscultabili a livello
della punta e in decubito laterale sx. Nella stenosi mitralica grave, i lembi valvolari possono diventare tanto
rigidi da non dare più origine ai rumori di cui sopra (stenosi mitralica silente). Quando si sviluppa
ipertensione arteriosa polmonare, si possono apprezzare altri reperti, legati alla dilatazione dell’arteria
polmonare, quali un click proto sistolico sul focolaio polmonare e un soffio diastolico in decrescendo ad alta
frequenza sullo stesso focolaio o sulla linea margino-sternale sx, espressione di un’insufficienza polmonare
secondaria (soffio di Graham-Steel).
Diagnosi
ECG. Le alterazioni tipiche sono quelle relative all’atriomegalia sx: onda P bifida e prolungata in D2 e un
aumento della componente terminale della stessa onda in V1. In presenza di ipertensione polmonare,
l’ipertrofia del ventricolo dx provoca una deviazione a dx dell’asse cardiaco e la comparsa di un’onda R ad
elevato voltaggio in V1. In caso di fibrillazione atriale sarà presente il tracciato tipico.
Radiografia del torace. In proiezione post-ant, sull’ombra cardiaca si possono notare la presenza di un
doppio contorno dell’arco inferiore sx (dovuta alla dilatazione dell’atrio sx) e la prominenza dell’arco medio
sx (dovuta alla dilatazione dell’auricola sx). l’atrio sx dilatato, inoltre, può sollevare e orizzontalizzare il
bronco sx. Nei campi polmonari, la congestione venosa cronica può determinare la comparsa delle strie di
Kerley (dovute ad edema e/o fibrosi dei setti interlobulari), soprattutto a livello del seno costo-frenico
laterale. In proiezione lat-lat con esofago bariato è visibile l’impronta dell’atrio sx dilatato.
Ecocardiogramma color Doppler.
Terapia
Medica. Profilassi antibiotica per chi ha valvulopatia secondaria ad endocardite infettiva. Beta-bloccanti e
digitalici per evitare le fibrillazioni e ridurre la frequenza cardiaca durante lo sforzo. Diuretici nei pz con
dispnea. Terapia anticoagulante. Nei pz con aritmie si consiglia la cardioversione elettrica.
Chirurgica. Sostituzione della valvola.
INSUFFICIENZA MITRALICA
Quella di origine reumatica ha la stessa incidenza nei due sessi; inoltre è spesso associata a stenosi mitralica
e valvulopatia aortica. Può essere acuta (es. rottura di un muscolo papillare in corso di infarto miocardico) e
cronica (es. endocardite reumatica).
Fisiopatologia
Durante la sistole, in corso di i.m., parte del sangue contenuto nel ventricolo sx può rigurgitare nell’atrio sx,
mentre si riduce la quantità di sangue espulso in aorta, e quindi la portata. In ventricolo sx è sottoposto ad
un sovraccarico di V e quindi si dilata. L’atrio sx subisce modifiche dipedenti dall’entità di rigurgito e dalla
modalità d’insorgenza dell’insufficienza:
In caso di insufficienza cronica, l’atrio sx si dilata con riduzione della gittata.
In caso di insufficienza acuta, l’atrio sx non ha tempo di dilatarsi quindi il rigurgito provoca un
aumento rapido della pressione nell’atrio sx e nel circolo polmonare.
Manifestazioni cliniche
Riduzione della gittata cardiaca: affaticamento, ridotta capacità di sforzo
Aumento della pressione venosa polmonare (nelle forme acute): edema polmonare, dispnea,
ortopnea, aumento della pressione arteriosa polmonare (più tardivamente)
Fibrillazione atriale: come complicanza della dilatazione atriale
Esame obiettivo
Auscultazione. Primo tono attutito e coperto spesso da un soffio olosistolico da rigurgito. Secondo tono
normale o aumentato in caso di ipertensione arteriosa polmonare. Terzo tono alla fine della sistole atriale
per la brusca messa in tensione dell’apparato mitralico. Soffio diastolico in caso di i.m.massiva, legato
all’aumentato flusso di sangue che attraversa la mitrale (dato da ritorno venoso polmonare + frazione di
rigurgito). Quarto tono in caso di i.m. acuta massiva; è presistolico ed è dovuto alla diminuzione della
compliance ventricolare.
Diagnosi
ECG. Stesse della stenosi. Se si verifica ipertrofia del ventricolo di sx si avrà un’onda R ad elevato voltaggio in
V5 e V6. Se si ha fibrillazione si evidenzia il quadro tipico.
Rx del torace. Cardiomegalia sx.
Eco-color Doppler. Evidenzia la valvola insufficiente, i flussi, la cardiomegalia, vegetazioni e/o trombi
valvolari.
Terapia
Medica. Come stenosi. Nell’i.m.acuta si usano nitrati e diuretici.
Chirurgica. Come stenosi
Fisiopatologia
Come insufficienza mitralica
Manifestazioni cliniche
Il p.m. determina la sindrome di Barlow (ha vari gradi di gravità); i sintomi più comuni sono palpitazioni
(dovute a tachiaritmie) e precordi algie. Altri sintomi sono simili a quelli rilevati nell’i.m. di varia natura.
Esame obiettivo
I pz tendono ad aver habitus longilineo; speso presentano anomalie scheletriche oppure alterazioni
somatiche tipiche della sd di Marfan. All’auscultazione si sente un click meso-telesistolico, a volte seguito da
un soffio da rigurgito. I reperti sono rilevabili alla punta e al mesocardio.
Diagnosi
ECG. Anomalie nella ripolarizzazione rilevabili soprattutto in D2, D3, aVF, V5, V6. Può mostrare anche
aritmie ventricolari e sopraventricolari. L’ECG dinamico secondo Holtere e l’ECG da sforzo posso essere utili
nei pz con lipotimie e sincopi.
Rx del torace. Come i.m.
Eco-color doppler. È l’esame più importante che consente di valutare il movimento sistolico “ad amaca” dei
lembi valvolari prolassanti.
Terapia
Come i.m.
STENOSI AORTICA
Fisiopatologia
La s.a. costituisce un ostacolo all’eiezione di sangue durante la sistole; per superare le resistenze della
stenosi e mantenere una portata normale, la pressione nel ventricolo sx deve superare quella in aorta,
generando un gradiente pressorio. Quando l’ostio valvolare si riduce meno di un quarto dell’area normale,
tale gradiente è > o = a 50 mm/Hg. Il sovraccarico pressorio determina ipertrofia concentrica del ventricolo
di sx. Questo meccanismo ha due conseguenze:
Riduzione della compliance ventricolare, che fa salire la pressione diastolica intraventricolare. Per
ottenere un riempimento ventricolare completo l’atrio sx deve esercitare una contrazione più
energica e si ipertrofizza
Aumento della massa ventricolare, che compromette le diramazioni distali delle coronarie,
compromettendo la perfusione del miocardio
Lo sforzo fisico è il meccanismo più comune capace di compromettere i meccanismi di compenso di cui
sopra.
Manifestazioni cliniche
A lungo asintomatica, grazie al compenso del ventricolo sx. quando la stenosi raggiunge un’entità critica si
avranno dispnea, angina, sincope. Questi sintomi compaiono soprattutto sotto sforzo.
Esame obiettivo
Polso arterioso. Tardo cioè caratterizzato da una lenta ascesa dell’onda pressoria (dovuta al rallentamento
della fase di eiezione) e poi diventa piccolo quando la pressione differenziale cade.
Palpazione. Se c’è una marcata ipertrofia ventricolare, l’itto è energico, prolungato e spostato in basso e a
sx.
Auscultazione. C’è lo sdoppiamento paradosso perchè aumenta la fase di eiezione sx e quindi la
componente aortica del secondo tono cade dopo quella polmonare. Compare un quarto tono quando
diminuisce la compliance ventricolare. Soffio a diamante: soffio sistolico aspro a bassa frequenza, udibile sul
focolaio aortico e al secondo spazio intercostale sx; comincia dopo il primo tono, raggiunge un massimo al
culmine dell’eiezione e termina prima del secondo tono; si irradia verso i vasi del collo e verso l’apice
cardiaco; nelle malformazioni congenite il soffio a diamante può essere preceduto da un click d’eiezione,
prodotto dall’apertura brusca delle valvola rigida.
Diagnosi
ECG. Segni di ipertrofia sx e di sovraccarico del ventricolo di sx.
Rx torace. Prominenza dell’arco inferiore di sx e dilatazione dell’aorta ascendente.
Eco-color Doppler. Evidenzia la valvola stenotica con eventuali anomalie congenite sopra e sottovalvolari,
l’ipertrofia concentrica del ventricolo di sx, flusso ematico.
Terapia
Medica. Prevenzione e controllo delle aritmie.
Chirurgica. Sostituzione valvola
INSUFFICIENZA AORTICA
Clinica
Nella fase asintomatica dell’i.a. l’unico disturbo possono essere le palpitazioni. Quando il ventricolo sx non
compensa più compaiono dispnea ingravescente (prima a riposo, poi da sforzo, ortopnea, dispnea
parossistica notturna) e a volte angina.
Esame obiettivo
Nell’i.a.grave, la pressione sistolica è molto aumentata, e quella diastolica molto diminuita; compaiono
segni periferici:
Polso celere (o scoccante o di Corrigan); a volte il polso può presentare due picchi (pulsus bisferiens)
Segno di De Musset: movimento ritmico della teta prodotto dalla vivace pulsatilità delle carotidi
Polso retinico e polso irideo
La riduzione delle resistenze periferiche causa:
Segno di Traube: doppio rumore secco udibile sull’arteria femorale in sistole
Segno di Durouzier: soffio sistolico o sisto-diastolico udibile sull’arteria femorale
Polso capillare (o segno di Quincke): pulsazione della linea di demarcazione tra zona pallida e zona
rosea che si osserva comprimendo il letto ungueale
Segno di Hill: differenza tra pressione arteriosa sistolica negli arti inferiori e negli arti superiori >30
mm/Hg
Palpazione. L’itto si sposta in basso e a sx, è energico e prolungato
Auscultazione. Soffio diastolico ad alta frequenza dopo il primo tono. Soffio sistolico se aumenta la frazione
di eiezione del ventricolo sx. Soffio di Austin-Flint (solo in caso di i.a.grave) : meso-telediastolico, a bassa
frequenza, rullio, la mitrale non si chiude perché aumenta la pressione diastolica.
Diagnosi
ECG. Come stenosi aortica
Rx torace. In proiezione post-ant, si ha l’allungamento dell’arco inf sx con spostamento in basso e
lateralmente dell’apice; in proiezione lat-lat vedo la riduzione dello spazio tra ventricolo sx e colonna.
Frequente è anche la dilatazione dell’aorta ascendente: in questo caso vedo la sporgenza dell’arco sup dx. La
somma tra sporgenza dell’arco inf sx e sup dx definisce il quadro di “cuore a scarpa”
Eco-color Doppler. Come stenosi aortica.
Terapia
Chirurgica.
BRADIARITMIE
Disturbi del ritmo cardiaco caratterizzati da diminuzione della frequenza cardiaca.
BRADICARDIA SINUSALE
L’impulso nasce nel NSA con frequenza <60 bpm. Fisiologica negli atleti e negli anziani. Può verificarsi in
alcune condizioni patologiche (infarto, ipotiroidismo) o dipendere da un farmaco (beta-bloccanti,
antiaritmici…)
ARITMIA SINUSALE
Caratterizzata da una variabilità degli intervalli P-P (>120 ms). Le variazioni legate alla respirazione sono
fisiologiche. La forma di a.s. non respiaratoria è spia di malattia del NSA.
BLOCCHI SENO-ATRIALI
L’impulso nasce a livello del NSA ma è alterata la conduzione tra le cellule nodali o con il miocardio atriale.
BLOCCHI A-V
Anomala diffusione dell’impulso dagli atri ai ventricoli.
BLOCCHI DI BRANCA
Conduzione alterata a livello di una delle due branche.
Blocco di branca dx
Il ventricolo dx si depolarizza in ritardo quindi le sue parti basali si depolarizzano dopo che tutto il ventricolo
sx ha completato la sua attivazione. All’ECG sarà presente un complesso rSR’ in V1 e V2, con R’ di ampiezza
e larghezza maggiori rispetto a r. Nel BBD incompleto la durata del QRS è di 0,08-0,11 s, mentre nel BBD
completo è >0,12s.
Blocco di branca sx
La durata dell’attivazione ventricolare è analoga a quella già descritta per il BBD. All’ECG sarà visibile un
complesso rS in V1,V2, V3, V4 con S molto profonda, e un complesso R, RR’, o RsR’ in D1, aVL, V5, V6. Il BBS
incompleto dura 0,10-0,12 s, quello completo >0,12 s.
Emiblocco anteriore sx
L’impulso arriva al ventricolo sx solo grazie al fascicolo post.
Emiblocco posteriore sx
L’impulso arriva al ventricolo solo grazie al fascicolo ant.
Terapia
Viene fatta solo quando l’aritmia è sintomatica o se c’è il rischio che progredisca versi forme più gravi.
Medica. Solo in condizioni di emergenza. Si usa l’atropina (farmaco vago litico).
Chirurgica. Pacemaker
Patogenesi
Gli atri vengono eccitati in maniera caotica da tanti micro rientri e acquisiscono una frequenza di 400-650
impulsi/min. Gli impulsi che raggiungono il NAV sono molti, ma la maggior parte viene bloccata dal NAV
stesso; l’attivazione ventricolare avviene in modo del tutto irregolare e con una frequenza elevata (140-150
bpm).
Terapia
La terapia ha due obiettivi:
Ridurre la frequenza cardiaca: dare beta bloccanti, calcio antagonisti o, in caso di scompenso
significativo, digossina
Sbloccare l’aritmia ripristinando il ritmo sinusale: fare cardioversione farmacologica o elettrica. La
prima viene ottenuta dando per es. l’amiodarone; la seconda non si fa se l’aritmia dura da più di 48
h, a causa di un aumentato rischio di eventi tromboembolici conseguenti al ripristino del ritmo
sinusale (si consiglia quindi di somministrare prima degli anticoagulanti).
MECCANISMO DEL RIENTRO
Perché un rientro possa aver luogo, sono necessarie tre condizioni:
Deve esistere un circuito, anatomico o funzionale, piccolo o grande, caratterizzato da due vie di
conduzione in grado di attivare una zona di miocardio a valle
L’impulso, per qualche motivo, deve essere bloccato in una delle due vie: perché ciò sia possibile, è
necessario che esista una differenza di periodo refrattario tra le due vie
La conduzione nella via non bloccata deve essere sufficientemente lenta da arrivare alla parte
distale della via bloccata solo dopo che questa ha recuperato la condizione di eccitabilità.
Quando il circuito attraverso cui si verifica il rientro è piccolo, si parla di micro rientro; quando invece
esso è grande (per es. nella sindrome di Wolff-Parkinson-White) si parla di macrorientro.
Domande ferri più frequenti sul polmone
La tromboembolia venosa comprende sia la trombosi venosa profonda (TVP) sia la tromboembolia
polmonare (TEP). La TVP deriva dalla formazione di coaguli di sangue all’interno delle vene di grosse
dimensioni, solitamente negli arti inferiori. La TEP deriva da una TVP in cui si verifica una rottura dei coaguli
di sangue e il loro spostamento nel circolo arterioso polmonare. La TVP è circa tre volte più frequente della
TEP.
Valutazione clinica
Anamnesi la TVP si presenta spesso con dolore progressivo al polpaccio. Per quanto riguarda la TEP, la
dispnea è il sintomo che si manifesta più frequentemente. Il dolore toracico può indicare un infarto
polmonare con irritazione pleurica. In caso di TEP massiva si può verificare una sincope.
Esame obiettivo (EO) nella TEP sono frequenti tachipnea e tachicardia. Si possono riscontrare anche
febbricola, distensione delle vene del collo. L’ipotensione e una cianosi vanno a suggerire una TEP
massiva. In presenza di TVP l’esame obiettivo può giusto evidenziare una lieve dolorabilità del
polpaccio. In caso la TVP sia massiva si può avere dolore inguinale e gonfiore della coscia.
Esami di laboratorio un normale livello di D-dimero (<500 microgrammi/ml al test ELISA)
sostanzialmente esclude la TEP. Sebbene nella TEP si possano osservare ipossiemia e aumento del
gradiente alveolo arterioso di O2, l’emogasanalisi su sangue arterioso è raramente utile per la diagnosi
di TEP. Tuttavia nella TEP gli elevati livelli di troponina sierica e di peptide natriuretico cerebrale è
associata ad un aumento del rischio di complicanze. Nella TEP l’elettrocardiogramma può mostrare il
segno S1Q3T3.
Diagnostica per immagini il riscontro di normale perdita della compressibilità venosa può consentire di
individuare la TVP. Se combinata con la visualizzazione del flusso venoso mediante Doppler, la capacità
dell’ecografia di evidenziare la TVP raggiunge un livello di eccellenza. In caso di TEP la radiografia del
torace risulta normale ma raramente può evidenziare oligoesmoia focale e addensamenti cuneiformi
periferici. La TC del torace con contrasto endovenoso è diventata, ad oggi, il principale esame di
imaging per la diagnosi di TEP. La scintigrafia polmonare di ventilazione/perfusione viene utilizzata
soprattutto nei pazienti che non tollerano il mezzo di contrasto endovenoso.
Approccio diagnostico integrato è necessario un approccio diagnostico integrato che prenda in
considerazione il sospetto clinico di TVP e di TEP. Per gli individui con bassa probabilità clinica di TVP o
con una probabilità clinica basso-media di TEP si può utilizzare il livello di d-dimero per stabilire se siano
necessari ulteriori studi di imaging. La diagnosi differenziale della TVP comprende la rottura di una cisti
di Backer e la cellulite. La diagnosi differenziale della TEP è ampia e include la polmonite, l’infarto del
miocardio acuto e la dissecazione aortica.
Terapia anticoagulante sebbene gli anticoagulanti non dissolvano direttamente i trombi già esistenti in
caso di TVP e di TEP, limitano l’ulteriore formazione trombotica e favoriscono la fibrinolisi. I farmaci
parenterali servono a favorirne efficacia in termini tempistici. La terapia tradizionale utilizzava eparina
non frazionata (UFH) con l’obiettivo di ottenere un tempo di tromboplastina parziale attivata pari a 2-3
volte il limite superiore alla norma. In genere l’UFH viene somministrata in bolo da 5000-10000 unità,
seguito da una infusione di 1000 unità per ora. Le alternative alla terapia classica prevedono l’utilizzo di
eparina a basso peso molecolare come l’enoxaparina e la tinzaparina. Il fondaparinux, un polisaccaride,
rappresenta un'altra alternativa che come le prime non necessita di un monitoraggio terapeutico ma al
contrario di queste non è corretto in termini di dosi se si ha insufficienza renale. Dopo avere iniziato la
via parenterale si continua la terapia usando il warfarin per assicurare coagulazione a lungo termine
per via orale. Tuttavia si ha l’effetto terapeutico dopo 5-7 giorni.
Ovviamente tutti i farmaci hanno almeno un effetto collaterale e in questo caso si può avere
emorragia; in questo caso si può somministrare prontamente protamina per contrastare la perdita
ematica. Nelle emorragie meno gravi si può anche usare vit. K. La terapia iniziale prevede almeno 3-6
mesi dopodiché se si hanno altri fenomeni si ricorre a terapia per tutta la vita.
3. EDEMA POLMONARE
Lo sviluppo acuto e potenzialmente fatale dell’edema dell’alveolo polmonare è più spesso dovuto a:
a) Innalzamento della pressione idrostatica nei capillari polmonari ( insufficienza cardiaca sx, stenosi
della mitrale).
b) Fattori scatenanti specifici che causano edema polmonare cardiogeno in pazienti con insufficienza
cardiaca congestizia precedentemente compensata o con anamnesi cardiologica negativa.
c) Aumento della permeabilità della membrana alveolo capillare di cui le cause più frequenti;
numerose posso essere riconducibili a: trauma toracico, contusione polmonare, polmonite,
embolia polmonare (tutte dirette) oppure da sepsi, pancreatite, trasfusioni multiple, bypass
cardiopolmonare (lesioni ematogene del polmone).
Il paziente in questi casi appare molto sofferente, mantiene la posizione seduta, è tachipnoico, dispnoico,
madido di sudore, talvolta cianotico. All’auscultazione del torace sono presenti rantoli polmonari bilaterali
e a livello del cuore si può apprezzare un terzo tono. L’espettorato è schiumoso ed ematico.
L’emogas evidenzia inizialmente una riduzione della PaO2 e della PaCO2; successivamente si va ad
instaurare, con la progressione dell’insufficienza respiratoria, si sviluppa ipocapnia con acidemia
progressiva.
La radiografia del torace mostra redistribuzione vascolare polmonare, velatura diffusa dei campi polmonari
con aspetto pre-ilare a “farfalla”.
La terapia, ai fini della sopravvivenza del paziente, deve essere energica ed instaurata immediatamente. Per
l’edema cardiogeno le seguenti misure vanno istituite pressoché simultaneamente :
4. FIBROSI CISTICA
La fibrosi cistica è una malattia geneticamente determinata (autosomica recessiva), causata da una
mutazione ne gene CFTR (cystic fibrosis trans membrane regulator) posto nel cromosoma 7, che ha un
ruolo importante nella regolazione del flusso di ioni attraverso la membrana cellulare. Le mutazioni
descritte a carico di questo gene sono più di 1000 e sono raggruppate in sei classi; le anomalie possibili
sono:
Classe 1: la proteina CFTR non è sintetizzata
Classe 2: la proteina CFTR è ripiegata in maniera anomala dopo essere stata sintetizzata nel reticolo
endoplasmatico, ed è perciò degradata all’interno delle cellule senza riuscire a raggiungere la
membrana cellulare
Classi 3,4,6: la proteina CFTR raggiunge la membrana cellulare, ma non funziona correttamente
Classe 5: vi è un difetto parziale della produzione o della ripiegatura della proteina CFTR
Tutte queste classi sono caratterizzate da problemi prevalentemente respiratori, derivanti da una
particolare viscosità delle secrezioni bronchiali e da ripetute infezioni respiratorie.
Patogenesi. La proteina CFTR funge da canale per il trasporto dei cloruri mediato da AMP-ciclico e regola le
funzioni di altre vie di conduttanza transmembrana. La sua assenza o alterazione provoca conseguenze
diverse in varie strutture anatomiche:
A livello dell’epitelio bronchiale si hanno una menomazione della secrezione dei cloruri verso
l’esterno delle cellule e un incremento dell’assorbimento di sodio dal lume bronchiale, il quale è un
processo fisiologico normalmente inibito da CFTR. Nella fibrosi cistica, queste condizioni
determinano un aumento della differenza di potenziale trans epiteliale al di sopra dei normale 30
mV. Oltre all’assorbimento di sodio, aumenta anche l’assorbimento di acqua e, di conseguenza, il
muco che tappezza le vie aeree diviene più denso, più difficile da espellere con la clearance muco-
ciliare, tende a ristagnare e a formare dei blocchi che occludono le più fini vie respiratorie e ad
essere colonizzato da microrganismi, i quali appartengono selettivamente a due specie:
Staphylococcus Aureus e Pseudomonas Aeruginosa
Anche nel lume dell’intestino, delle vie biliari e dei dotti deferenti si verifica una riduzione della
secrezione di liquido
Nel pancreas l’assenza dei canali per il passaggio degli ioni cloro limita il meccanismo di secrezione
di bicarbonato e acqua; di conseguenza di ha un ristagno di enzimi pancreatici all’interno
dell’organo, la loro attivazione e lo sviluppo di una pancreatite che conduce gradualmente alla
distruzione dell’organo
La produzione di sudore da parte delle cellule acinari è normale; tuttavia si ha una menomazione
dell’assorbimento di NaCl contenuto nel sudore che attraversa i dotti e l’eliminazione di questo sale
con il sudore è maggiore che di norma
Clinica. Dal punto di vista clinico esistono due varianti di fibrosi cistica, classica e non classica:
Nella forma classica qualsiasi attività del gene CFTR è assente. Il quadro clinico è dominato da gravi
e croniche infezioni delle vie respiratorie, con progressivo deterioramento della funzione
respiratoria e facilità allo sviluppo di bronchiectasie; è comune anche la presenza di pan sinusite e
di polipi nasali. I pazienti presentano comunemente dita ippocratiche, con unghie a vetrino di
orologio. Nel 25-30% dei casi si hanno gravi alterazioni epatobiliari consistenti nella ritenzione della
secrezione biliare e nello sviluppo di una cirrosi biliare focale, colecistite cronica e colelitiasi.
L’insufficienza pancreatica esocrina è consistente, mentre lo sviluppo di diabete è raro. Si possono
avere episodi di occlusione intestinale o si può verificare un prolasso rettale; è presente anche
azoospermia ostruttiva che conduce a infertilità
Nella forma non classica è presente almeno una copia di un gene che è mutato, ma che non elimina
del tutto le funzioni della proteina CFTR. Le infezioni batteriche insorgono più tardivamente e sono
meno gravi, mancano le alterazioni epatobiliari e la pancreatite si sviluppa solo nel 5-20% dei casi.
Non si osservano problemi a proposito della pervietà dell’intestino, mentre l’azoospermia è
comunque presente.
Decorso e prognosi. I segni e i sintomi si presentano già alla nascita o poco dopo. Si stima che i pazienti che
raggiungono l’età adulta sono circa il 34% e che circa il 10% vive oltre i 30 anni. La morte interviene a
seguito di infezioni o di gravi carenze nutritizie.
Diagnosi. Nella forma classica la diagnosi è suggerita dal quadro clinico; nella forma non classica il quadro
clinico è più incerto e quindi occorre una diagnosi più sicura. Una diagnosi genetica analizzando il DNA è
resa complicata dall’elevato numero di mutazioni che possono provocare la malattia; sono quindi
importanti due test: la misurazione del potenziale transepiteliale nella mucosa nasale e la valutazione del
contenuto di NaCl nel sudore.
Terapia. Ai pazienti viene somministrato un attivatore della secrezione di cloruri, come l’UTP, o un inibitore
dell’assorbimento cellulare di sodio, come l’amiloride. La vera terapia dovrebbe consistere nel trapianto
genico, in modo da restituire al paziente una normale funzione della proteina CFTR; in questo senso sono
stati fatti tentativi impegnando come vettori adenovirus o lipidi cationici, ma i risultati sono stati di breve
durata. Quando la produzione di CFTR è ridotta ma non completamente assente, un suo incremento può
essere ottenuto con la gentamicina.
La terapia delle infezioni respiratorie è simile a quella delle bronchiectasie; una terapia anti-infiammatoria
con cortisonici per via sistemica deve essere di breve durata per i seri effetti collaterali. I cortisonici per
aerosol esercitano un beneficio sull’iperreattività bronchiale ma non prevengono il deterioramento della
funzione polmonare. Dato che nella fibrosi cistica i danni più importanti a carico delle vie aeree sono
prodotti dagli enzimi proteolitici rilasciati dai neutrofili, inibitori di questi enzimi sono stati somministrati
con aerosol con risultati promettenti. Si è anche cercati di aumentare la fluidità delle secrezioni bronchiali
con inalazione di acetilcisteina o con DNasi ricombinante.
Infine, una soluzione radicale è il doppio trapianto di polmoni o il trapianto cuore polmoni.
Domande più frequenti di Ferri sul sangue
L’anemia falciforme è caratterizzata da una sostituzione di un amminoacido nella catena beta della globina
(valina al posto dell’acido glutammico nel 6° codone) che produce una molecola con diversa solubilità,
soprattutto in assenza di ossigeno. Sebbene siano presenti anemia ed emolisi cronica, le più importanti
manifestazioni sono dovute a vaso-occlusione da eritrociti falciformi. Infarti polmonari, ossei, splenici,
retinici, cerebrali e in altre sedi danno luogo a sintomi da insufficienza d’organo.
Ovviamente gli esami di laboratorio sono fondamentali in questo ambito e in generale si procede iniziando
ad osservare eventuali alterazioni come elevato indice reticolocitario, policromasia e GR nucleati allo
striscio di sangue periferico; possono essere rilevati GR caratteristici a seconda della condizione e per la a.
falciforme la presenza di eritrociti a forma di falce. Si accompagnano poi un aumento della bilirubina non
coniugata e di LDH, elevata emoglobina plasmatica, aptoglobina ridotta o assente, emosideruria presente
nell’emolisi intravascolare ma non nella extravascolare. Nell’anemia falciforme cosi come nelle talassemie
può risultare utile l’elettroforesi dell’emoglobina.
L’approccio generale è quello che prevede una terapia trasfusionale con emazie concentrate (EC) tuttavia
valutabile a seconda della gravità e alle acuzie della malattia. Il rapido instaurarsi di una grave anemia o lo
sviluppo di angina o altri sintomi costituisci indicazione alla trasfusione. Per ogni unità di EC l’ematocrito
dovrebbe aumentare del 3-4% sempre che non vi siano ulteriori perdite in atto. Nello specifico dell’ anemia
falciforme si somministra per via orale idrossiurea (10-30 mg/kg/die) che aumenta i livelli di HbF e previene
la falcemizzazione ; trattare precocemente le infezioni, fornire supplementi di acido folico; trattare le crisi
dolorose con ossigeno, analgesici (oppioidi), idratazione e intenso regime trasfusionale ; da prendere in
considerazione il trapiano allogenico nei pazienti con incremento della frequenza delle crisi dolorose.
2. ANEMIA SIDEROPENICA
L’anemia sideropenica si manifesta quando la disponibilità di ferro nell’organismo è insufficiente per una
adeguata sintesi dell’emoglobina. La sua caratteristica distintiva è perciò la diminuzione del contenuto
corpuscolare medio di emoglobina (responsabile dell’ ipocromia) che si accompagna ad una riduzione del
volume medio dei globuli rossi (microcitosi).
La carenza di ferro è la causa di anemia più comune al mondo e secondo l’OMS il concetto di anemia si
riferisce ad un valore di Hb inferiore a 4 g/dl nell’uomo, ai 12 g/dl nella donna e agli 11 g/dl nel bambino.
Uno stato di carenza marziale può dipendere da :
Apporto inadeguato
Aumentato fabbisogno
Assorbimento inadeguato
Perdita protratta di ferro
1. Un diminuito apporto senza che vi siano problemi di assorbimento o di fabbisogno aumentato è di per
se abbastanza raro. È tipico dei vegetariani che non integrano bene con la dieta; poi anche se frutta e
verdura ne sono ricchi nitriti, fosfati e carboidrati tendono a chelare il ferro.
2. Le condizioni per le quali si registra un aumento del fabbisogno di ferro sono sostanzialmente tre:
infanzia, gravidanza e allattamento.
3. Il diminuito assorbimento è raramente causa di questo tipo di anemia. Pur tuttavia, conviene ricordare,
a questo proposito, il ruolo svolto dall’acido cloridrico di derivazione gastrica. Dove condizioni di
gastrite cronica atrofica sono causa di un ridotto assorbimento. Ad ogni modo esistono anche altre
cause di malassorbimento come il morbo celiaco (colpisce duodeno e quindi porzione che più assorbe
ferro), sprue tropicale, linfomi a localizzazione addominale, ecc.
4. La causa più comune di anemia sideropenica è però dovuta alla perdita ematica. Nell’uomo e nella
donna dopo la menopausa la zona più coinvolta è il tratto digerente. Posso trascorrere anche anni
prima che si istauri. Cause e sedi sono emorroidi, varici esofagee, ernie iatali, ulcere gastriche e
duodenali, polipososi, gastriti emorragiche, adenocarcinoma gastrico, diverticolosi, diverticolo di
Meckel, colite ulcerosa, morbo di Crohn ecc.
Il termine sideropenia è impiegato per definire una condizione nella quale tutto il contenuto di ferro
dell’organismo è ridotto, senza menzione alcuna della causa. Dal momento che le riserve di ferro possono
esaurirsi prima che si manifesti una riduzione dell’eritropoiesi, ecco che l’anemia è uno stadio tardivo della
sideropenia. In altre parole si può iniziare a parlare di una sideropenia prelatente quando, prima ancora di
avere una diminuzione di ferro circolante, la presenza di emosiderina a livello del sistema reticolo
endoteliale midollare è notevolmente ridotta. Non sembra esserci evidenza biochimica di tale condizione e
si ha un aumento compensatorio dell’assorbimento di ferro. C’è poi uno stato di sideropenia latente che si
accompagna a una diminuzione del ferro plasmatico, ma non ad alterazioni ematologiche. Di ultimo si
verifica uno stadio di eritropoiesi sideropenica, dove la produzione di emoglobina è via via sempre più
limitata dalla ridotta quantità di ferro plasmatico. Alla fine si verificherà dopo alcuni mesi microcitosi.
La maggior parte dei pazienti presenta una progressione estremamente lenta e graduale della
sintomatologia. Il paziente affetto da ulcera peptica, per esempio, o da neoplasia dell’apparato digerente o
ancora donna che lamenta mestruazioni abbondanti o frequenti quando si rivolgono al medico curante
presentano valori di Hb inferiori a 8 g/dl. Clinicamente il paziente lamenta disturbi generali comuni a tutte
le forme di anemia come cefalea, astenia ingravescente, tachicardia, dispnea da sforzo, facile irritabilità
insonnia. Tipica è invece la voglia di particolari sostanze (picacismo) come l’argilla, amido da bucato e di
ghiaccio. In questi soggetti la cute diventa secca, anelastica; i capelli si fanno sottili, fragili e radi; le unghie
fragili, opache e concave (coilonichia). I disturbi a carico delle mucose riguardano soprattutto la cavità
orale. Le labbra presentano piccole ragadi alle commessure (chelite angolare) ; la mucosa è arrossata e la
lingua liscia, levigata e pallida. Al confine tra ipofaringe ed esofago si trovano delle mucose aggettanti nel
lume responsabili di disturbi digestivi. La triade anemia, glossite e esofagite si chiama sindrome di
Plummer-Vinson. La diagnosi di anemia sideropenica si basa prevalentemente su esami di laboratorio. Ci
sono infatti anemie microcitiche e ipocromiche che possono essere scambiate per una carenza di ferro. Nel
caso delle sideroblastiche e talasssemie varie la distinzione si basa sulla concentrazione di ferro che è
normale o aumentata rispetto alla sideropenica. Nelle anemie da malattie croniche, invece, dove c’è
riduzione della sideremia, la diagnosi differenziale è posta grazie alla trasferrinemia e ferritinemia. Nelle
sideropeniche invece avremo che la sideremia e la ferritinemia sono diminuiscono ma la trasferrina è
aumentata. Si può ricorrere, infine, anche ad un puntato sternale e alla valutazione di depositi di ferro con
metodo citochimico: nell’anemia sideropenica, come si è detto, si osserva una loro deplezione.
Si può parlare di prognosi solo facendo riferimento alla causa scatenate ovviamente diversa tra un
carcinoma gastrico o delle semplici emorroidi. Raramente il paziente giunge a morte per l’anemia in quanto
tale ma piuttosto per la causa.
3. ANEMIA
L’anemia è definita dalla diminuzione del patrimonio emoglobinico totale dell’organismo, quindi quando
diminuisce la massa eritrocitaria; poiché nella pratica la misurazione della massa eritrocitaria non è
semplice, la diagnosi di anemia in genere si basa sulla diminuzione dell’ematocrito e sulla riduzione della
concentrazione di emoglobina nel sangue.
Classificazione patogenetica. La classificazione patogenetica delle anemie si basa su una formula che
prende in considerazione diversi parametri, quali:
-massa eritrocitaria, pari a 30 +/- 5 ml/kg M
-vita media, pari a 120 giorni T
-quantità di Hb prodotta giornalmente H
La formula è: M=HxT; si ha anemia quando M è inferiore alla norma. Questa formula permette una
classificazione patogenetica delle anemie, per riduzione di H o di T o di entrambi i termini; all’interno di
ciascun gruppo i meccanismi responsabili possono essere diversi:
Anemie per diminuita produzione di Hb:
o Da distruzione o alterazione funzionale delle cellule staminali, da cui insufficiente
produzione di globuli rossi
o Da distruzione dei precursori nel midollo con eritropoiesi inefficace
o Da difettosa sintesi della globina o dell’eme
Anemie per riduzione del tempo di sopravvivenza dei globuli rossi:
o Da perdita secondaria ad emorragie acute o croniche
o Da distruzione ad opera di un meccanismo emolitico
Le due situazioni possono coesistere e la massa eritrocitaria può ridursi per il sommarsi dei due meccanismi
patologici.
In genere l’insufficiente produzione di globuli rossi e l’eritropoiesi inefficace sono caratterizzate da un basso
numero di reticolo citi nel sangue periferico; al contrario, le anemie post-emorragiche e quelle emolitiche
dimostrano nel sangue periferico segni di iperattività midollare, con incremento del numero dei reticolo
citi, presenza di emazie con policroma sia o punteggiatura basofila o addirittura con la comparsa di qualche
eritroblasto. Altre alterazioni caratteristiche delle anemie emolitiche sono: aumento della LDH (lattico-
deidrogenasi), iperbilirubinemia indiretta e urobilinuria, diminuzione della concentrazione di aptoglobina.
Questa classificazione patogenetica è importante per risalire dall’anemia alla diagnosi della malattia che ne
è all’origine: in alcuni casi, infatti, l’anemia è un’evenienza secondaria nel corso di una forma morbosa
nosografica ben definita, mentre in altri casi costituisce essa stessa il rilievo clinico più importante della
malattia.
Classificazione “semeiotica”. La classificazione semeiotica rappresenta una sintesi tra le prime due
classificazioni. Non vi è una correlazione precisa tra meccanismo patogenetico dell’anemia e tipo
morfologico, però per ciascuno di questi gruppi vi sono delle frequenze obbligatorie e delle frequenze
preferenziali:
Anemia ipocromica microcitica:
o Anemia sideropenia
o Anemia sideroblastica
o Talassemie, alcune emoglobinopatie
o Rari casi di carenza di rame, di piridossina
Anemia normocitica:
o Anemie emolitiche acquisite
o Sferocitosi ereditaria
o Emoglobinuria parossistica notturna
o Alcune emoglobinopatie
o Anemia aplastica
o Anemia da mielosostituzione
o Anemia delle malattie croniche
Anemia macrocitica
o Anemia da deficit di vitamina B12 o di acido folico (anemia megaloblastica)
o Anemia delle epatopatie croniche
o Anemia dell’ipotiroidismo
o Alcun casi di anemia aplastica; alcune fasi in corso di anemia emolitica
Fisiopatologia. Il globulo rosso è un anello essenziale nella catena di trasporto dell’ossigeno, che dipende
sia dall’integrità della molecola di Hb che dalla sua funzione. Nella modulazione della funzione
emoglobinica è principalmente coinvolto il 2,3-DPG (2,3-difosfoglicerato), la cui concentrazione è regolata
dall’attività gli colitica dell’emazia; esso stabilizza la conformazione deossi dell’Hb e riduce l’affinità per
l’ossigeno. Ad alte pressioni parziali di ossigeno l’effetto del 2,3-DPG è nullo, mentre è significativo alle
basse pressioni parziali, in modo che viene favorita la cessione di ossigeno ai tessuti. Un’alterazione del
trasporto di ossigeno da parte dell’emazia può quindi derivare da:
Riduzione della massa globulare (anemia classica)
Abnorme funzione dell’Hb per anomalie strutturali
Concentrazione inappropriata di 2,3-DPG
L’ipossia tissutale induce una serie di modificazioni compensatorie atte ad aumentare la circolazione del
sangue e l’estrazione di ossigeno dall’Hb arteriosa, a livello soprattutto degli organi vitali. È importante i
questo contesto prendere in considerazione della velocità con cui insorge l’anemia: un’anemia a lenta
progressione permette che i meccanismi di adattamento si instaurino gradualmente e raggiungano la loro
massima efficacia. In presenza di lieve anemia entra in azione il 2,3-DPG con un meccanismo di compenso
biochimico, che richiede un certo tempo per la sua realizzazione; nell’anemia grave entra in gioco un
meccanismo dinamico costituito dall’aumento della portata cardiaca.
Sintomatologia. Tutte le forme di anemia sono accomunate da una sintomatologia generale, secondaria
all’ipossia e all’esaltata funzione di compenso cardiorespiratorio.
Il sintomo più comune è l’astenia, soprattutto sotto sforzo; in casi particolari si hanno disturbi da diminuita
ossigenazione di vari distretti corporei, e si possono avere quindi claudicatio intermittens, crampi notturni,
vertigini, cefalea, episodi di sincope, dolore precordiale di tipo anginoso.
Il segno più tipico dell’ipossia tissutale è il pallore cutaneo e mucoso, che va esplorato in determinate sedi:
palmo della mano, padiglione auricolare, congiuntiva palpebrale; in presenza di anemia emolitica si ha
anche subittero. Frequenti sono gli edemi ai malleoli e alle parti declivi, espressione di iniziale scompenso
di circolo; l’esaltata funzione di compenso cardiorespiratorio ha come sintomi iniziali la dispnea da sforzo e
le palpitazioni.
L’esame obiettivo rileva polso molle e frequente, ipotensione arteriosa, tachicardia, soffi funzionali a livello
cardiaco e dei grossi vasi del collo, secondari all’aumentata velocità di circolo e alla ridotta viscosità del
sangue. Con l’aggravarsi dell’anemia si ha uno scompenso di circolo ad alta gettata, con ortopnea e dispnea
a riposo, cardiomegalia, edemi importanti, talvolta ascite.
Infine, nell’anemia si riscontra talvolta una diminuita resistenza alle infezioni, forse per un’alterata risposta
immunitaria cellulo-mediata.
4. TALASSEMIA
Le talassemie sono un gruppo di anemie ereditarie caratterizzate da una ridotta o abolita produzione di una
o più delle catene peptidiche che costituiscono la porzione globinica della Hb. Questo comporta un alterato
rapporto tra catene globiniche diverse, precipitazione intracellulare delle catene peptidiche in eccesso e
alterazioni sia dell’eritropoiesi sia della sopravvivenza degli eritrociti che vengono prodotti.
Eziopatogenesi. Le talassemie dipendono da un’anomalia di uno o più dei geni che codificano le catene
peptidiche della globina; a seconda del gene coinvolto si distinguono α-talassemia e β-talassemia:
α-talassemia:
o L’assenza di una sola delle 4 copie disponibili del gene è priva di equivalente clinico e
comporta solo lo stato di portatore silente
o L’assenza di due copie del gene determina un’alterazione ematologica lieve compatibile
con un buono stato di salute tratto talassemico
o L’assenza di tre copie del gene è accompagnata da un quadro clinico molto grave, con
presenza nelle emazie di Hb formata da tetrameri di catene beta
o L’assenza di tutte e quattro le copie del gene è incompatibile con la vita
β-talassemia: si possono avere due condizioni:
o Assenza completa di sintesi di catene beta β°
o Ridotta sintesi di catene beta β+
I pazienti con le forme più lievi sono eterozigoti, mentre gli omozigoti hanno forme più gravi
Fisiopatologia. L’alterato rapporto tra catene α e catene β comporta la precipitazione intracellulare delle
stesse; la precipitazione di catene alfa ha vari effetti:
Eccessiva liberazione di radicali liberi che provocano la per ossidazione della membrana, la
formazione di metaemoglobina e un danno a processi metabolici che comportano un aumento
della rigidità dell’emazia
Eritropoiesi inefficace
Alterata fosforilazione delle proteine della membrana che causa una spiccata distorsione
dell’emazia
L’anemia cronica stimola l’eritropoiesi, che diventa anche extramidollare, con conseguenti alterazioni della
struttura e della forma delle ossa. I precursori eritroidi con le inclusioni vanni incontro a morte
intramidollare; quando questi giungono a maturazione, i corpi inclusi nelle emazie vengono eliminati dalla
milza e si originano in questo modo eritrociti dalla forma bizzarra. La milza va incontro ad aumento di
volume per iperplasia della linea macrofagica, quindi aumenta il sequestro splenico delle emazie, da cui
emolisi più intensa, instaurandosi così un circolo vizioso. Si ha un accumulo marziale dovuto al processo
emolitico, all’aumentato assorbimento di ferro che si ha quando è stimolata l’eritropoiesi e all’apporto di
ferro coincidente con la terapia emotrasfusionale; come conseguenza si ha siderosi, specie nel miocardio,
nel fegato e nel pancreas. Si verificano anche alterazioni endocrine per il danneggiamento di pancreas,
tiroide, paratiroidi e surrene.
Diagnosi. L’anamnesi riguarda principalmente la razza, la presenza di anemia della famiglia, l’età di
insorgenza dell’anemia, il tipo di sviluppo; l’esame obiettivo rileva il pallore, l’eventuale ittero, la
splenomegalia, le deformità scheletriche.
Molto importante è la diagnosi differenziale con l’anemia sideropenica, ugualmente ipocromica e
microcitica: i criteri differenziali più importanti in quest’ultima forma sono la bassa sideremia con bassa
saturazione della transferrina; il basso valore dei reticolociti; la normalità del quadro emoglobinico.
Terapia. I pazienti gravemente anemici devono essere sottoposti a trattamento trasfusionale. In passato
era raccomandato il trattamento “ipertrasfusionale”, allo scopo non solo di correggere l’anemia, ma anche
di sopprimere l’eritropoiesi e di inibire l’assorbimento gastrointestinale di ferro; è proprio l’accumulo di
ferro infatti a rappresentare il principale problema di questi pazienti. Oggi si è visto che l’eccesso di
trasfusioni, di per sé, è in grado di generare un sovraccarico di ferro nell’organismo, quindi si preferisce
procedere con un approccio più prudente: viene trasfuso sangue solo se, prima di ogni trasfusione, i livelli
di Hb non superano i 9,5 g/dl. Comunque, il problema dell’accumulo di ferro resta e viene affrontato con
l’uso di un chelante, come la desferoxamina, la cui somministrazione deve essere regolata in base
all’accumulo di ferro, valutato sui livelli ematici di ferritina.
Un trattamento più radicale è il trapianto di midollo da donatore HLA-identico; il successo di questa misura
è tanto più probabile quanto minori sono i danni già instauratisi per accumulo di ferro.
La coagulazione intravascolare disseminata (CID) dipende da una diffusa attivazione dei processi coagulativi
a seguito di una varietà di eventi morbosi, cui non corrisponde un’adeguata attivazione dei processi
fibrinolitici. Questo processo determina una pluralità di eventi trombotici in vasi di piccole e medie
dimensioni cui consegue sofferenza di vari organi. Parallelamente, si ha consumo di piastrine e fattori della
coagulazione che causa l’insorgenza di emorragie.
Eziopatogenesi. Le condizioni morbose che possono provocare questa alterazione patologica sono
numerose. Nonostante l’opinione largamente sostenuta in passato, che attribuiva un ruolo più importante
alle sepsi da Gram–, oggi sembra che Gram– e Gram+ si complichino in uguale misura con la CID . In studi
eseguiti in pazienti con sepsi da Gram– si è visto che questa grave complicanza si verificava nel 30-50% dei
casi. I fattori che avviano la coagulazione sono rappresentati da lipopolisaccaridi, o endotossine, o
esotossine batteriche (come la -emolisina degli stafilococchi) che agiscono sulla parete vascolare e
provocano la produzione di citochine pro-infiammatorie. Nel caso dei traumi ha importanza il rilasciamento
nella circolazione di prodotti di degradazione cellulare, che finiscono per determinare la produzione delle
stesse citochine che sono liberate in corso di sepsi. Nel caso delle neoplasie sono in gioco processi analoghi,
con l’eccezione della leucemia acuta promielocitica, nella quale la produzione di sostanze procoagulanti e
attivanti la fibrinolisi è particolarmente caratteristica. Nei disordini ostetrici ha importanza la potente
azione del liquido amniotico come attivatore della coagulazione. Negli emangiomi giganti e negli aneurismi
aortici sono implicate alterazioni delle pareti vasali che comportano prima di tutto un’attivazione locale
della coagulazione. I fattori della coagulazione attivati si diffondono successivamente in tutta la circolazione
e provocano il disordine sistemico. Questa complicanza si verifica in circa il 25% dei pazienti con emangiomi
giganti e tra lo 0,5 e l’1% dei casi di aneurismi aortici. Anche le tossine agiscono a livello della parete
vascolare, mentre nei disordini immunologici ha importanza la liberazione di citochine pro-infiammatorie.
Fisiopatologia. Le caratteristiche comuni di tutte le forme di CID sono tre: generazione di trombina, difetti
degli inibitori della coagulazione e difetti della fibrinolisi. La generazione di trombina avviene
esclusivamente per la via estrinseca attraverso la liberazione di fattore tissutale e l’attivazione del fattore
VII, cui segue tutta la cascata coagulativa. Il fattore tissutale può essere liberato dalle pareti vascolari
sottoposte a danno o dai monociti, come risposta all’azione delle citochine pro-infiammatorie. Per quanto
riguarda gli inibitori della coagulazione, questi sono certamente consumati per contrastare il processo
coagulativo che è in corso. Tuttavia, sembra che il processo patologico comprometta anche la loro sintesi,
come è il caso dell’antitrombina III , della proteina C e della proteina S, o la sintesi della trombomodulina
endoteliale, che è importante per il controllo della coagulazione da parte di queste due ultime proteine.
Questi difetti sono da attribuire alle citochine pro-infiammatorie. Infine, anche il sistema fibrinolitico è
largamente soppresso, e questo dipende da un persistente incremento dell’inibitore di tipo 1 dell’attivatore
del plasminogeno. Perciò, anche se la fibrinolisi ha luogo, questa non riesce a tenere il passo con la
coagulazione e a impedire la deposizione sistemica della fibrina.
Clinica. La sintomatologia della CID acuta è grave e catastrofica, con sindrome emorragica diffusa:
ecchimosi a carico della cute e del tessuto sottocutaneo, ematomi in sede di iniezione, epistassi, emorragie
gengivali, ematuria, melena, emorragie cerebrali. Le conseguenze cliniche dell’ostruzione microvascolare
sono polimorfe; esse si manifestano a carico del cervello, con confusione mentale o coma; a carico dei reni
con insufficienza renale; dei polmoni con grave sindrome ipossica; della cute con necrosi cutanea anche
estesa; delle ghiandole endocrine, in particolare dell’ipofisi e delle surrenali, con segni di insufficienza
funzionale. La sintomatologia della forma cronica è spesso silente o mostra una modesta tendenza
emorragica, mentre sono più evidenti le complicanze trombotiche e l’anemia a patogenesi meccanico-
emolitica (microangiopatica). La CID in fase conclamata presenta il quadro della “coagulopatia da
consumo”, con diminuzione o assenza dei fattori che partecipano quantitativamente al processo
coagulativo, in esso appunto consumandosi. Il tempo di trombina è allungato per diminuzione del
fibrinogeno e/o presenza di FDP in quantità tale da ostacolare la coagulazione della fibrina, come
conseguenza del processo di fibrinolisi secondaria. Il tempo di protrombina è allungato per diminuzione del
fibrinogeno, della protrombina, del fattore V e per la presenza eventuale degli FDP. Gli FDP sono di solito
aumentati e questo viene messo ordinariamente in evidenza con il dosaggio del D-dimero. Le piastrine sono
quasi costantemente diminuite. I test veramente diagnostici per l’esistenza di un processo coagulativo
intravascolare sono quelli che dimostrano l’esistenza in circolo di monomeri di fibrina (prove di
paracoagulazione) e del fibrinopeptide . Nella fibrinolisi primaria i test di paracoagulazione sono negativi e
le piastrine sono solitamente in numero normale. Nella CID cronica gli esami di laboratorio mostrano una
notevole fluttuazione di risultati da un giorno all’altro, per cui si rendono necessari controlli in serie per
dimostrare le alterazioni tipiche. Oltre agli esami coagulativi è importante, in questa forma, lo studio
accurato dello striscio del sangue periferico che mette in evidenza emazie frammentate, a margini
dentellati, ed una frequente microsferocitosi. L’insorgenza di una CID peggiora notevolmente la prognosi
della condizione che l’ha determinata. Si è visto che, quando interviene in corso di sepsi o di gravi traumi, la
mortalità è raddoppiata.
Diagnosi. La CID può essere diagnosticata facilmente quando si è in presenza di una condizione che può
provocarla; si hanno conte piastriniche iniziali inferiori a 100.000/mm3 e in progressivo declino, un
allungamento tanto del tempo di tromboplastina parziale quanto del tempo di protrombina, la presenza nel
plasma di prodotti di degradazione della fibrina e bassi livelli plasmatici di inibitori della coagulazione come
l’antitrombina III. I livelli ematici di fibrinogeno possono invece restare normali, nonostante l’importante
consumo. Il fibrinogeno è, infatti, una proteina di fase acuta e in genere nelle condizioni che provocano
questo disordine la sua sintesi è aumentata.
Esiste una certa somiglianza tra il quadro clinico di una CID in seguito a una condizione febbrile, per
esempio una sepsi, e una porpora trombotica trombocitopenica. Tuttavia in quest’ultima malattia mancano
completamente le alterazioni coagulative che sono caratteristiche della CID. Gli schistociti nel sangue
possono invece essere rilevati in entrambe le condizioni, anche se più comunemente nella porpora
trombotica trombocitopenica. Dal punto di vista degli esami di laboratorio può essere difficile differenziare
una CID e una grave epatopatia, dato che in quest’ultima le piastrine possono essere ridotte di numero per
ipersplenismo e i fattori della coagulazione possono essere diminuiti nel plasma per difetto di sintesi. Il
contesto clinico è però chiaramente diverso e nelle epatopatie mancano costantemente i prodotti di
degradazione della fibrina nel plasma e gli schistociti nel sangue.
Terapia. È chiaro che, essendo questa una condizione nella quale prevalgono i fenomeni trombotici, una
terapia anticoagulante sembra indicata. Tuttavia, la condizione è anche contrassegnata da una tendenza
alle emorragie e questo potrebbe suscitare delle riserve nei riguardi dell’impiego di un anticoagulante.
Estesi studi clinici, però, non hanno dimostrato che l’eparina aumenti l’incidenza di complicanze
emorragiche. Perciò, pur non essendo stata confermata l’utilità della terapia eparinica in studi clinici
controllati, questo farmaco viene adoperato a basse dosi nel trattamento della CID (da 300 a 500 U all’ora
in infusione continua). Anche le eparine a basso peso molecolare possono essere impiegate.
Una modesta riduzione della mortalità può essere ottenuta anche con l’infusione di concentrati di
antitrombina III ad alte dosi. Una meta-analisi di vari studi clinici ha dimostrato che questo trattamento
riduceva la mortalità in corso di sepsi dal 56 al 44%. Nei casi nei quali prevalgono i problemi emorragici,
sono state raccomandate le trasfusioni di piastrine e l’infusione di plasma (allo scopo di somministrare
fattori della coagulazione). Da notare che i concentrati di fattori della coagulazione non sono consigliati
perché possono essere contaminati da tracce di fattori attivati che potrebbero esacerbare la tendenza ai
fenomeni trombotici.
In genere, i farmaci antifibrinolitici in pazienti con prevalenti fenomeni emorragici non sono consigliati,
perché in questa condizione la fibrinolisi è già insufficiente in relazione all’attivazione della coagulazione.
Occorre perciò discriminare attentamente se i fenomeni emorragici sono conseguenza di una CID oppure di
un’iperfibrinolisi primitiva o secondaria, come può avvenire in corso di leucemia promielocitica o in alcune
neoplasie, nel qual caso gli antifibrinolitici sarebbero indicati.
FEGATO
Valutazione della funzione epatica
Raramente i test biochimici ci permettono di fare una diagnosi specifica ma sono comunque utili
per distinguere se la malattia è epatocellulare o colestatica. Non esiste un test per valutare la
funzionalità epatica in toto. Gli esami normalmente utilizzati sono: BILIRUBINA, TRANSAMINASI,
FOSFATASI ALCALINA, TEMPO DI PROTROMBINA. Se uno o più di questi esami è alterato, si
procede con esami più specifici ed è molto probabile che esista una malattia epatica. Se sono nella
norma, è invece poco probabile che il paziente soffra di una malattia epatica.
Al contrario, un’iperbilirubinemia coniugata indica quasi sempre una malattia del fegato o delle vie
biliari e può essere presente in ogni tipo di malattia epatica. Nella maggior parte delle malattie
epatiche, tendono a essere elevate sia la frazione coniugata che quella non coniugata. Pertanto ad
eccezione dei casi d’iperbilirubinemia puramente non coniugata, il frazionamento della bilirubina è
utile sono raramente per identificare la causa di ittero.
BILIRUBINA URINARIA: Possiamo trovare aumentata solo la bilirubina coniugata poiché quella non
coniugata è legata all’albumina. La presenza di bilirubina nelle urine significa che vi è una malattia
epatica. Falsi Positivi: Fenotiazine, pazienti con ittero in risoluzione (la b. urinaria viene eliminata
prima di quella sierica.)
RIASSUNTO BILIRUBINA
Le aminotransferasi (transaminasi) sono indicatori sensibili di danno epatico e sono molto utili per
riconoscere le malattie epatocellulari acute come le epatiti. Sono di 2 tipi: AST (aspartato
aminotransferasi) e ALT (alanina aminotransferasi). Le AST sono presenti nel fegato, miocardio,
muscolo scheletrico, reni, cervello, pancreas, polmoni, leucociti ed eritrociti. Le ALT sono presenti
soprattutto nel fegato. Le transaminasi sono enzimi normalmente presenti nel siero a basse
concentrazioni. La loro concentrazione nel siero aumenta in caso di danno della membrana degli
epatociti, con conseguente aumento della permeabilità. La necrosi della cellula epatica non è
necessaria per la liberazione delle transaminasi.
Qualunque tipo di danno delle cellule epatiche può causare un aumento modesto delle
transaminasi.
Fino a 300 U/l sono aspecifici e possono essere osservati in ogni tipo di malattia epatica.
Livelli superiori a 1000 U/l, si osservano quasi esclusivamente nelle malattie con esteso
danno epatocellulare:
l ) epatite virale;
2) danno epatico ischemico (ipotensione prolungata o insufficienza cardiaca acuta);
3) danno epatico da sostanze tossiche o da farmaci.
Nella maggior parte delle malattie epatocellulari acute le ALT sono più alte o allo stesso
livello delle AST. Poiché queste ultime sono un indice aspecifico di funzionalità epatica i
suoi valori devono essere messi in rapporto con quelli di ALT per risalire alla natura –
epatica o extraepatica- del loro aumento. (Se AST >> ALT danno cardiaco, viceversa il
contrario.)
Un rapporto AST:ALT superiore a 2:1 è invece suggestivo di epatopatia alcol-correlata e un
rapporto superiore a 3: 1 è altamente suggestivo. Nella malattia alcolica le AST raramente
superano 300 U/l e le ALT sono spesso entro i limiti normali. I bassi livelli di ALT sieriche
sono dovuti a un deficit alcol-indotto di piridossal fosfato.
Nell'ittero ostruttivo le transaminasi non sono di solito molto elevate, a eccezione della
fase acuta di ostruzione biliare dovuta al passaggio di un calcolo nel coledoco. In questo
contesto, le transaminasi possono salire per brevi periodi a valori di 1000-2000 U/l;
tuttavia, i livelli di transaminasi diminuiscono rapidamente e i test di funzionalità epatica
divengono quelli tipici della colestasi.
Un normale livello sierico di fosfatasi alcalina è correlato ai livelli di diversi isoenzimi che si trovano
nel fegato, nelle ossa (aumenta nei pazienti di età superiore a 60 anni o nei bambini e negli
adolescenti durante l’accrescimento), nella placenta (fasi terminali della gravidanza) e, meno
frequentemente, nell'intestino tenue.
Un aumento della fosfatasi alcalina epatica non è specifico per la colestasi e valori fino a tre volte
la concentrazione normale possono essere osservati in tutti i tipi di malattia epatica. Tuttavia,
livelli di fosfatasi alcalina superiori a quattro volte i valori normali si osservano principalmente in
pazienti con malattie colestatiche (può indicare una colestasi precoce anche in assenza di ittero o
di transaminasi elevate), malattie infiltrative del fegato (come le neoplasie e l'amiloidosi) e
malattie ossee caratterizzate da rapido turnover osseo (per es. malattia di Paget).
L’approccio più sicuro, è la contemporanea misurazione della 5'-nucleotidasi o della GGT sierica,
poiché questi enzimi aumentano molto raramente in condizioni diverse dalle malattie epatiche.
Altre malattie che causano un aumento isolato della fosfatasi alcalina sono la malattia di Hodgkin,
il diabete, l'ipertiroidismo, l'insufficienza cardiaca congestizia, l'amiloidosi e le malattie
infiammatorie intestinali.
I livelli sierici di fosfatasi alcalina non sono utili per la diagnosi differenziale tra colestasi
intraepatica ed extraepatica poiché’ sono ugualmente elevali anche in pazienti con colestasi
intraepatica da farmaci, cirrosi biliare primitiva, rigetto dopo trapianto di fegato, malattia epatica
nei pazienti con AIDS e, raramente, steatonecrosi alcolica.
ALBUMINA SIERICA: L'albumina sierica è sintetizzata esclusivamente dagli epatociti, ha una lunga
emivita (18-20 giorni) e una degradazione giornaliera di circa il 4%. A causa di questo lento
turnover, i livelli sierici di albumina non sono un buon indicatore di disfunzione epatica acuta o
lieve; nelle malattie epatiche acute, come l'epatite virale, l'epatite da farmaci e l'ittero ostruttivo,
si verificano solo lievi alterazioni dell'albumina sierica. In pazienti con epatite, il riscontro di livelli
di albumina sierica inferiori a 3 g/dl dovrebbe indurre a sospettare un'epatite cronica.
L'ipoalbuminemia è più frequente nelle malattie croniche del fegato (come la cirrosi) e di solito
riflette un grave danno epatico e una riduzione della sintesi di albumina. Un'eccezione è
rappresentata dal paziente con ascite, nel quale la sintesi di albumina può essere normale o
addirittura aumentata, ma i livelli sono bassi per l'aumento del volume di distribuzione.
Comunque, l'ipoalbuminemia non è specifica di malattia epatica e può essere presente anche in
altre condizioni, come la malnutrizione proteica da qualunque causa, le enteropatie con perdita di
proteine, la sindrome nefrosica e le infezioni croniche che sono associate a un aumento
prolungato dei livelli sierici di interleuchina 1 e/o di fattore di necrosi tumorale, citochine che
inibiscono la sintesi di albumina.
GLOBULINE SIERICHE: Le globuline sieriche sono un gruppo di proteine formate dalle y-globuline
(immunoglobuline) prodotte dai linfociti B e dalle α e β globuline prodotte soprattutto dagli
epatociti. Le y-globuline sono aumentate nelle malattie epatiche croniche, quali l'epatite cronica e
la cirrosi. L'aumento della concentrazione sierica di y-globuline che si osserva in corso di cirrosi è
dovuto a un aumento della sintesi di anticorpi, alcuni dei quali sono prodotti contro i batteri
intestinali. Questo è dovuto al fatto che il fegato cirrotico non è in grado di eliminare tutti gli
antigeni batterici che normalmente raggiungono l'organo attraverso la circolazione epatica.
L'aumento della concentrazione di particolari isotipi di γ-globuline è spesso utile nel
riconoscimento di alcune malattie croniche del fegato. Un aumento di lgG policlonali è frequente
nelle epatiti autoimmuni, soprattutto nel caso di un aumento superiore al 100%. Un aumento delle
lgM è frequente nella cirrosi biliare primitiva, mentre un aumento delle lgA si osserva nella
malattia epatica da alcol.
FATTORI DELLA COAGULAZIONE: A eccezione del fattore VIII, tutti i fattori della coagulazione
vengono prodotti esclusivamente dagli epatociti. La loro emivita è molto più corta di quella
dell'albumina, variando da 6 ore a 5 giorni. Proprio per il loro rapido turnover, la misurazione dei
fattori della coagulazione rappresenta il migliore test singolo di funzione epatica ed è utile per
formulare la diagnosi e la prognosi delle malattie epatiche parenchimali acute. Assai utile a questo
scopo è il tempo di protrombina, che valuta complessivamente i fattori II, V, VII e X. Il tempo di
protrombina può essere allungato nell'epatite e nella cirrosi, così come nelle malattie che causano
un deficit di vitamina K (essenziale per la sintesi di alcuni fattori), quali l'ittero ostruttivo o il
malassorbimento di grassi da qualsiasi causa. Un chiaro prolungamento del tempo di protrombina
(di più di 5 secondi), è un segno prognostico sfavorevole nell'epatite acuta virale e nelle altre
malattie epatiche acute o croniche.
Tra gli esami strumentali utilizzati per indagare la salute del fegato, un ruolo di primo piano è
ricoperto dall’ecografia addominale, che sfrutta la diversa capacità dei tessuti di riflettere gli
ultrasuoni emessi da una sonda elettrica. In alternativa può essere utilizzata la risonanza
magnetica. Talvolta la certezza diagnostica è ottenuta mediante il prelievo di un piccolo
frammento di tessuto epatico (frustolo) mediante apposito ago inserito nell’addome. Altre volte si
utilizza un esame chiamato colangiopancreatografia endoscopica retrograda, che consiste nella
discesa di un sondino per via orale fino al raggiungimento delle vie biliari extraepatiche.
All’occorrenza questa sonda permette anche di effettuare manovre terapeutiche come la
rimozione di calcoli o il ripristino della pervietà dei canali occlusi.
DOMANDE: Indici di necrosi epatica, test di funzionalità epatica, esami fegato, transaminasi.
EPATITE C
E’ un virus a singola elica. L'HCV è l'unico membro del genere Hepacivirus nella famiglia
Flaviviridae. I livelli circolanti di HCV tendono a essere relativamente bassi, nonostante la velocità
di replicazione sia molto elevata. Dopo l'infezione acuta da HCV non sembra di solito svilupparsi
un'immunità né di tipo eterologo, né di tipo omologo. l test immunoenzimatici di terza
generazione attualmente in uso, che incorporano proteine dalla regione core, NS3 e NS5,
permettono il riscontro degli anticorpi anti-HCV durante l'infezione acuta. L'indicatore più
sensibile di infezione da HCV è la presenza dell'HCV RNA. L'RNA dell'HCV può essere individuato
entro pochi giorni dall'infezione da HCV, molto prima della comparsa degli anticorpi anti-HCV, e
tende a persistere per tutta la durata dell'infezione.
PATOGENESI:
1. Le risposte immunitarie cellulo-mediate e la produzione da parte dei linfociti T di citochine
antivirali contribuiscono alla patogenesi del danno epatico correlato all'HCV.
2. Anche l'infezione delle cellule linfoidi da parte dell'HCV contribuisce a moderare la risposta
immunitaria contro il virus.
3. Le cellule CD4-T helper attivate dal virus a loro volta stimolano, attraverso la produzione di
citochine, la risposta da parte delle cellule CD8-T citotossiche, HCV-specifiche.
4. Le proteine dell'HCV interferiscono con la risposta immune naturale o innata bloccando le
risposte legate all'interferone.
QUADRO CLINICO E DATI DI LABORATORIO: L'epatite virate acuta si manifesta dopo 15/160 giorni.
l sintomi prodromici dell'epatite virale acuta sono di tipo costituzionale e piuttosto variabili.
Sintomi sistemici quali anoressia, nausea, vomito, astenia, malessere generale, artralgia, mialgia,
cefalea, fotofobia, faringodinia, tosse e rinite possono precedere la comparsa dell'ittero di 1 -2
settimane. Da 1 a 5 giorni prima della fase itterica il paziente può notare urine ipercromiche e feci
acoliche. All'inizio della fase itterica i sintomi prodromici, generalmente, si attenuano; in certi
pazienti, però, un certo calo ponderale (2,5-5 kg) è comune e può protrarsi anche per tutta la fase
itterica. Si osserva un'epatomegalia dolente, con sensazione di malessere e dolore all'ipocondrio
destro. Talvolta può verificarsi un quadro di colestasi, che fa pensare a un'ostruzione biliare
extraepatica. Nel 10-20% dei casi i pazienti con epatite acuta presentano anche splenomegalia e
linfadenopatia laterocervicale. La durata della fase post-itterica varia dalle 2 alle 12 settimane. La
completa guarigione clinica e biochimica si verifica dopo 3-4 mesi dall'inizio dell'ittero (negli adulti
in buona salute l'epatite C si risolve nel circa 15%). Negli altri casi gli esami di laboratorio
rimangono alterati più a lungo. In una percentuale non trascurabile di pazienti la malattia decorre
in forma anitterica.
Le transaminasi AST e ALT si elevano in modo variabile nel siero già nella fase prodromica
della malattia, precedendo l'aumento dei livelli di bilirubina, le concentrazioni di questi
enzimi in fase acuta, tuttavia, non sono strettamente correlate all'entità del danno
cellulare epatico. l picchi massimi, tra le 400 e 4000 U/l o più, si rilevano in genere durante
il periodo itterico, dopo il quale le concentrazioni vanno diminuendo gradatamente. La
diagnosi di epatite anitterica è difficile e si basa sulle caratteristiche cliniche e sul riscontro
di ipertransaminasemia, anche se si può osservare un lieve aumento della bilirubina
coniugata.
N.B: Nei pazienti con epatite C è frequente il riscontro di aumenti episodici delle
transaminasi.
L'ittero diventa apprezzabile a livello sclerale e cutaneo quando i livelli di bilirubina
superano i 2,5 mg/dl. Quando compare l'ittero, la bilirubina sierica aumenta tipicamente a
livelli compresi tra 5 a 20 mg/dl. La bilirubina sierica può continuare ad aumentare
nonostante il calo dei livelli delle transaminasi sieriche. Nella maggior parte dei casi, la
bilirubina totale si distribuisce in modo analogo tra la frazione di bilirubina coniugata e
quella di bilirubina non coniugata. Livelli superiori a 20 mg/dl, specie se persistenti, sono
segno di una forma particolarmente grave di epatite.
La neutropenia e la linfopenia sono transitorie e a esse subentra una linfocitosi reattiva.
Linfociti anomali, uguali a quelli che si osservano nella mononucleosi, sono facilmente
individuabili durante la fase acuta in percentuali variabili tra il 2 e il 20%.
La misurazione del tempo di protrombina è una procedura importante in corso di epatite
acuta: un tempo di protrombina elevato, infatti, può essere segno di un grave difetto di
sintesi dovuto a un'estesa necrosi delle cellule epatiche e costituisce, quindi, un fattore
prognostico negativo.
L'ipoglicemia osservata nei pazienti con epatite virale acuta grave può essere dovuta a
nausea e vomito protratti, a uno scarso apporto glucidico e alle scarse riserve epatiche di
glicogeno.
La fosfatasi alcalina può essere normale o solo lievemente aumentata.
L'ipoalbuminemia è un evento raro in corso di epatite acuta non complicata.
In alcuni casi sono state notate sia una lieve e transitoria steatorrea sia ematuria
microscopica e proteinuria di minima entità.
Un lieve aumento complessivo delle y-globuline è un evento frequente durante un'epatite
virale acuta.
Durante la fase acuta della malattia possono svilupparsi anticorpi anti-muscolatura liscia e
contro altri costituenti cellulari; possono anche essere presenti deboli concentrazioni di
fattore reumatoide, anticorpi antinucleo e anticorpi eterofili. Nelle epatiti C e D sono
presenti anticorpi anti-microsomi epatici e renali. Gli autoanticorpi rilevabili nell'epatite
virale non sono specifici.
Gli anticorpi specifici contro il virus, che compaiono durante e dopo l'infezione da virus
epatitico, sono marcatori sierologici di grande rilevanza diagnostica. Una specifica diagnosi
sierologica di epatite C viene posta dimostrando la presenza di anticorpi anti-HCV. Quando
vengono utilizzati i test più recenti, gli anti-HCV possono essere individuati nei pazienti con
epatite acuta C già durante la fase iniziale di innalzamento delle transaminasi. Questi
anticorpi possono non essere mai dosabili nel 5-10% dei pazienti con epatite acuta C. Nei
pazienti con epatite cronica HCV-correlata, gli anti-HCV sono positivi in oltre il 95% dei casi.
l test immunoenzimatici per l'anti-HCV possono essere falsamente positivi, soprattutto in
popolazioni a bassa prevalenza di infezione (come i donatori di sangue) o in soggetti con
fattore reumatoide circolante, che può legarsi in maniera non specifica ai reagenti del test.
l test per la ricerca dell'HCV RNA possono essere utilizzati, in questi casi, per distinguere tra
veri positivi e falsi positivi.
l test per la determinazione dell'HCV RNA sono i più sensibili per l'infezione da HCV e
rappresentano il mezzo migliore per avvalorare la diagnosi di epatite C. L'HCV RNA è
identificabile nel siero addirittura prima dell'aumento delle transaminasi e prima ancora
della comparsa degli anti-HCV. Inoltre, I'HCV RNA rimane determinabile indefinitamente, in
maniera continua nella maggior parte dei pazienti con epatite cronica C. Importanti
soprattutto per la terapia piuttosto che per fare diagnosi.
EPATITE C CRONICA: La probabilità di sviluppare un’epatite c cronica è dell’85% dei casi se si tiene
in considerazione anche quei pazienti che hanno le transaminasi ai livelli normali ( circa un terzo).
Il 20% dei pazienti con epatite cronica C sviluppa cirrosi nell'arco di 10-20 anni. Nonostante la
frequente progressione dell'epatite cronica C e il fatto che l'epatite cronica C in fase terminale
causi insufficienza epatica, nella maggior parte dei pazienti la prognosi a lungo termine è
relativamente favorevole. Anche se nel gruppo affetto da epatite il decesso ha maggiori
probabilità di essere dovuto a insufficienza epatica e un'insufficienza epatica possa essere
dimostrata in circa il 15% di questi pazienti nell'arco di un decennio, la maggior parte (quasi il 60%)
di questi soggetti resta asintomatica e non manifesta complicanze cliniche di epatopatia cronica.
Nel complesso, l'epatite cronica C tende a progredire molto lentamente e in modo insidioso, e in
circa un quarto dei casi evolve infine in cirrosi allo stadio terminale. Tuttavia l'epatite C è la più
frequente indicazione al trapianto di fegato. Il migliore indicatore prognostico nell'epatite cronica
C è l'istologia epatica. La progressione della fibrosi può essere lenta, moderata o rapida. l pazienti
con necrosi e infiammazione lieve e coloro che hanno uno scarso grado di fibrosi presentano una
prognosi eccellente e minima progressione a cirrosi. Al contrario, i pazienti con attività
infiammatoria moderata-grave o fibrosi, comprese la fibrosi settale e la fibrosi a ponte, hanno
un'elevata probabilità di andare incontro allo sviluppo di cirrosi nell'arco di 10-20 anni. Nei
pazienti con cirrosi epatica compensata HCV-correlata, la sopravvivenza a 10 anni è vicina all'80%;
la mortalità è del 2-6% per anno, uno scompenso si verifica nel 4-5% dei pazienti per anno.
Generalmente l'astenia è il sintomo più frequente, mentre l'ittero è raro. Può dare
crioglobulinemia mista essenziale (molto raramente), sindrome di Sjogren, il lichen planus e la
porfiria cutanea tarda.
La terapia dell'epatite cronica C consiste nella somministrazione di IFNa (se non rispondono do il
PEG-IFN) e di ribavirina e un miglioramento istologico si verifica in circa tre quarti di tutti i pazienti
trattati. I livelli delle transaminasi si riducono rapidamente durante la terapia. Fino al 90% della
risposta virologica si ottiene entro le prime 12 settimane di terapia. La maggior parte delle recidive
si osserva nelle prime 12 settimane dopo la sospensione della terapia.
CIRROSI DA VIRUS DELL'EPATITE C: Molti dei pazienti che sviluppano cirrosi hanno una
concomitante assunzione cronica di alcol, per cui la reale incidenza di cirrosi epatica da HCV non è
completamente nota, anche se comunque è sicuramente significativo.
l pazienti con cirrosi da virus C possono presentarsi con i classici sintomi delle epatopatie croniche,
ossia astenia, malessere e lieve dolore al quadrante addominale superiore destro; inoltre i test di
laboratorio sono spesso alterati. Per porre diagnosi è necessario ricercare HCV-RNA sierico e il
genotipo di HCV per somministrare la giusta terapia.
La gestione delle complicanze della cirrosi epatica richiede trattamenti diversi a seconda della
complicanza sviluppata (emorragia esofagea da varici, ascite ed edema o encefalopatia).
Il trattamento di pazienti con cirrosi HCV è purtroppo più complicato, in quanto gli effetti
collaterali del peg-interferone e della ribavirina sono di difficile gestione nel paziente cirrotico. Gli
effetti collaterali ematologici (piastrinopenia, leucopenia e anemia) impongono una diminuzione
del dosaggio dei farmaci, ed eventi avversi seri possono causarne la sospensione. Se però il
paziente tollera il trattamento, la risposta virologica sostenuta è in grado di ridurre il rischio di
sviluppare le complicanze legate alla cirrosi.
ADDOME GLOBOSO E TESO: se contiene molta aria e molto liquido formatosi da poco.
ADDOME BATRACIANO: cioè tende, con il paziente in decubito supino, ad essere particolarmente
sporgente, svasato sui fianchi e sul pube e questo si verifica quando l’addome è stato molto
disteso dal versamento ascitico il quale, in seguito, per una ragione
qualsiasi, è stato riassorbito anche parzialmente, ma i tessuti non
riprendono la fisionomia originaria. Si evidenziano i circoli collaterali
superficiali: caput medusae le vene si dilatano e si ha la comparsa
sull’addome di un reticolo venoso mediano nella zona periombelicale,
solo se è presente pervietà della vena ombelicale. Meno frequente è la
presenza di un circolo cava-cava localizzato alla periferia dell’addome,
che può essere osservato soprattutto nei casi in cui c’è molto liquido
nella cavità peritoneale, il quale esercita una pressione discreta sulla
cava inferiore: poiché all’interno di questa la pressione è modesta, può
accadere che se il versamento è abbondante tale vaso viene schiacciato
provocando un ostacolo al ritorno del sangue venoso in questo distretto.
La compressione della cava inferiore, insieme con la diminuzione della pressione oncotica dovuta
all’ipoalbuminemia, è una delle cause della formazione degli edemi agli arti inferiori.
PALPAZIONE: La palpazione va eseguita con mano a piatto partendo dal lato opposto a quello del
dolore. Va eseguita prima dolcemente e poi con maggior pressione e consente di apprezzare un
notevole grado di tensione. La differenza rispetto a un addome grasso consiste nel fatto che in
quest’ultimo si riesce sempre ad apprezzare, con la percussione, l’esistenza di meteorismo, nel
caso invece di ascite si può dimostrare la presenza di una zona sicuramente ottusa, generalmente
nelle parti declivi dell’addome a paziente in decubito supino, con limite superiore concavo verso
l’alto. Per avere conferma del versamento, si potrà eseguire la percussione su una zona
sicuramente ottusa, per esempio su un fianco avendo fatto decombere il paziente da quel lato e
poi, lasciando la mano al limite di questa ottusità per essere sicuri di percuotere sempre sullo
stesso punto, si fa adagiare il paziente sul fianco opposto; il liquido tenderà a raccogliersi da
questo lato e dove prima vi era ottusità il suono diventerà timpanico per la presenza delle anse
intestinali non più mascherate dal
versamento. Per un’ulteriore conferma,
l’operazione potrà essere ripetuta facendo
decombere il paziente sull’altro fianco: il
suono cambierà in senso opposto a
dimostrare che il liquido si sposta con la
gravità. Se il liquido è poco (meno di 3-4 l)
queste manovre potrebbero essere
insoddisfacenti e pertanto si farà mettere il
paziente in decubito genu-pettorale (a carponi a pancia in giù), per cui il liquido si raccoglie tutto
intorno all’ombelico, dove, alla percussione, può essere rilevata una zona di ottusità. In caso di
versamento cospicuo si possono mettere in evidenza 2 segni semeiologici importanti: quello del
fiotto e quello del ghiacciolo. Il primo consiste nel mettere la mano a piatto su un fianco del
paziente in decubito supino; l’altra mano imprimerà delle lievi scosse sul fianco opposto e le
vibrazioni che si genereranno in questo modo si trasmetteranno attraverso il liquido fino a essere
percepite dalla mano dell’operatore posta a piatto dall’altra
parte; è utile che un secondo operatore eserciti una discreta
pressione sull’addome, facendo in modo che le vibrazioni si
propaghino attraverso il versamento e non attraverso la
superficie addominale. Il segno del ghiacciolo consiste invece
nell’imprimere una pressione sul fegato che galleggia sul
liquido fino ad affondarlo nell’addome; poiché il fegato viene
immediatamente sospinto verso l’alto, la mano dell’operatore
avvertirà il colpo dovuto all’organo che rimbalza in superficie.
CIRROSI CARDIACA
Pazienti con scompenso cardiaco destro di lunga data possono sviluppare danno epatico e cirrosi
cardiaca. Questa patologia è sempre meno frequente grazie ai progressi ottenuti dalla cardiologia
moderna, ed è ormai una malattia rara.
IPERTENSIONE PORTALE
Si definisce ipertensione portale un aumento del gradiente venoso epatico portale maggiore di 5
mmHg. L'ipertensione portale è causata da:
1) Aumento delle resistenze intraepatiche circolatorie causato dalla cirrosi e dalla presenza
dei noduli di rigenerazione.
2) Aumento del flusso splancnico legato alla vasodilatazione splancnica.
Preepatiche
Sono quelle che interessano il sistema portale prima dell'ingresso epatico, includono quindi la
trombosi portale (può essere idiopatica o correlata a cirrosi, infezioni, pancreatite o a trauma
addominale oppure può essere legata a difetti della coagulazione) e la trombosi splenica.
Postepatiche
Intraepatiche
Sono responsabili di circa il 95% dci casi di ipertensione portale, e sono rappresentate da tutti i
tipi di cirrosi. L'ipertensione portale intraepatica può essere ulteriormente suddivisa in
presinusoidale, sinusoidale o postsinusoidale.
Le tre complicanze più frequenti dell'ipertensione portale sono la formazione di varici esofagee
che possono causare emorragia, l'ascite e l'ipersplenismo.
VARICI ESOFAGEE
Circa un terzo dei pazienti cirrotici presenta varici allo screening endoscopico. Inoltre il 5- 15% dei
cirrotici sviluppa varici entro un anno, circa un terzo dei pazienti con varici svilupperà un episodio
emorragico. La presenza di varici esofagee viene identificata con l'esame endoscopico. Le tecniche
di immagine, come la TC e la RM, possono essere utili nel dimostrare un fegato nodulare e
consentono inoltre di evidenziare la presenza di circoli collaterali addominali. Sono considerati
nella norma valori fino a 5 mmHg; in pazienti con valori >12 mmHg esiste il rischio di emorragia da
varici.
Il trattamento dell'emorragia da varici esofagee prevede due fasi:
1) Profilassi primaria
programma di screening endoscopico in tutti i pazienti con cirrosi.
terapia con β-bloccanti o con legatura elastica endoscopica o con scleroterapia se
vengono identificate varici a rischio. L'efficacia della legatura delle varici è limitata
se le varici si estendono allo stomaco; in questo caso il paziente va valutato per il
posizionamento di uno shunt portosistemico transgiugulare.
Se il sanguinamento è in atto è opportuno arrestare l’episodio (si usano farmaci
vasocostrittori splancnici come la somatostatina o l’octreotide). L’octreotide va
somministrata alla dose di 50-100 microg/ora in infusione continua.
Somministrare liquidi ed emazie concentrate per ripristinare il volume ematico.
2) Profilassi del risanguinamento dopo un primo episodio emorragico.
Profilassi secondaria: legature multiple elastiche delle varici fino a ottenere
l’eradicazione delle stesse.
Nonostante l'eradicazione delle varici molti pazienti comunque presentano gastropatia
ipertensiva da cui può svilupparsi una nuova emorragia. In questo caso risultano utili i
β-bloccanti non selettivi una volta obliterate le varici.
SPLENOMEGALIA E IPERSPLENISMO
Una splenomegalia da congestione è comune nei pazienti con ipertensione portale. All'esame
obiettivo si apprezza una splenomegalia e agli esami di laboratorio sono presenti leucopenia e
piastrinopenia. Alcuni pazienti riferiscono inoltre un dolore al quadrante superiore sinistro.
Solitamente non è necessaria alcuna terapia specifica. L'ipersplenismo con sviluppo di
trombocitopenia è comune nei pazienti cirrotici, e spesso è il primo indicatore di ipertensione
portale.
ASCITE
DIAGNOSI: La diagnosi viene posta mediante esame obiettivo dell'addome, anche se può essere
aiutata dalle tecniche di immagine. l pazienti avranno un addome globoso, con il segno del fiotto
presente, e con ottusità dell'addome che si modifica a seconda del fianco su cui si fa adagiare il
paziente mentre si percuote l'addome. L'idrotorace durante ascite è più frequente a destra ed è
causato dalla presenza di un tramite diaframmatico in cui l'ascite riesce a defluire.
In pazienti con cirrosi, il contenuto proteico dell'ascite è piuttosto basso e la maggior parte dei
pazienti ha valori di proteine inferiori a 1 g/dl. L'introduzione del gradiente di albumina siero-
ascite (serum ascites-to-albumin gmdienl, SAAG) ha soppiantato la definizione di trasudato ed
essudato. Quando questo gradiente è > 1,1 g/dl la causa dell'ascite è l'ipertensione portale da
cirrosi epatica; se il gradiente è <1,1 g/dl l'ascite è probabilmente neoplastica o infettiva. ln caso di
valori proteici molto bassi esiste un rischio elevato di sviluppare peritonite batterica spontanea.
Un numero elevalo di globuli rossi indica un trauma durante la manovra, un tumore epatico
oppure un'emorragia omentale. Quando il numero di polimorfonucleati supera 250 mm3 è
suggestivo per infezione del liquido ascitico. Vanno quindi eseguiti gli esami colturali del liquido.
Trattamento: Nei pazienti con quantità minime di ascite è sufficiente una dieta iposodica ( meno di
2 g al giorno). Quando la quantità di ascite è moderata, è necessaria una terapia diuretica.
Tipicamente si inizia con dosi di spironolattone di 100-200 mg/die e furosemide 40-80 mg/die. Se
questa dose somministrata a pazienti con primo riscontro di ascite non ottiene risultati, significa
che il paziente non sta seguendo una dieta iposodica in maniera corretta. Nel caso il paziente sia
compliante, ma non c'è beneficio dalla terapia diuretica, si può aumentare il dosaggio dello
spironolattone a 400-600 mg/die e della furosemide a 120-160 mg/die. Se anche questi dosaggi
non eliminano completamente il liquido ascitico, l'ascite è classificata come ascite refrattaria e il
paziente va indirizzato a trattamenti alternativi quali ripetute paracentesi evacuative o
posizionamento di uno shunt portosistemico transgiugulare. La prognosi dei pazienti cirrotici che
hanno sviluppato ascite purtroppo è scarsa con sopravvivenza inferiore al 50% a 2 anni. Questi
pazienti devono quindi essere considerati per il trapianto di fegato.
COMPLICANZE:
Infezione spontanea del liquido senza una fonte intraddominale d’infezione. Il tasso di comparsa di
peritonite batterica spontanea è del 30% con una mortalità del 25%. l microrganismi più
frequentemente coinvolti sono Escherichia coli e gli altri patogeni intestinali, anche se spesso altri
batteri possono provocare peritonite batterica spontanea quali Streptococcus viridans,
Staphylococcus aureus o Enterococcus sp.
Terapia con cefalosporina di seconda generazione; il cefotaxime è il più usato tra i farmaci.
2. Sindrome epatorenale
Causa insufficienza renale in assenza di patologie renali note, e si sviluppa in circa il 10 % dei
pazienti con insufficienza epatica. La sindrome epatorenale è caratterizzata da alterazioni della
circolazione arteriosa renale, nello specifico un aumento delle resistenze vascolari che si associa a
una diminuzione delle resistenze a livello sistemico. La diagnosi viene posta in pazienti con ascite,
solitamente massiva, che sviluppano un significativo e costante incremento della creatinina. 2 tipi:
il tipo l è caratterizzato da un significativo danno renale con peggioramento della clearance della
creatinina piuttosto rapido e progressivo; il tipo 2 invece si associa a un aumento della creatinina
sierica più lento e graduale, e comporta una prognosi migliore rispetto al tipo l. Il trattamento
prevede la somministrazione di midodrina (un α-agonista), octreotide e albumina. La terapia
migliore è comunque il trapianto di fegato che ottiene il ripristino della funzione renale che deve
essere eseguito in tempi rapidi. Ha un significato prognostico assai sfavorevole, tant’è che la
mortalità a breve termine in questo stadio supera il 90 % dei casi.
3. Encefalopatia epatica
L'encefalopatia portosistemica è una grave complicanza della cirrosi e può essere definita come
l'alterazione delle funzioni cognitive e mentali in presenza di insufficienza epatica. Le neurotossine
intestinali che non sono state rimosse dal fegato a causa della presenza di shunt vascolari e di
ridotta funzione epatica giungono all'encefalo dove determinano la comparsa di sintomi.
L'ammonio è spesso aumentato in questi pazienti, anche se non esiste una diretta correlazione tra
livelli di ammonio e gravità della malattia, motivo per cui spesso non viene dosato per porre la
diagnosi. Non si sa ancora bene come faccia a causare danno: forse altera la funzionalità delle
membrane neuronali o provoca un’alterazione del metabolismo delle cellule nervose reagendo
con varie sostanze andrebbe a produrre GABA che svolge un ruolo fondamentale come
neurotrasmettitore ad attività inibitoria a livello delle sinapsi del SNC e ciò giustifica il progressivo
passaggio verso una condizione di generale rallentamento psicomotorio che caratterizza gli stadi
più avanzati dell’encefalopatia epatica. Inoltre le manifestazioni neurologiche dell’insufficienza
epatica, non dipendono solo dalla NH3 ma anche da altre sostanze che hanno un effetto tossico (
in particolare le amine, i mercaptani – che vengono poi eliminati con l’alito producendo il
caratteristico foetor hepaticus-, gli acidi grassi a catena corta). Anche di queste il meccanismo non
è chiaro tuttavia sembra si comportino da falsi neurotrasmettitori alterando o bloccando a livello
delle sinapsi la trasmissione degli impulsi nervosi. Il paziente presenta un progressivo
deterioramento delle proprie condizioni neurologiche fino all’insorgenza di coma: in questo caso
di ha una perdita ingravescente, fino a divenire completa della coscienza, tachipnea per
compensare l’acidosi metabolica, perdita graduale dei riflessi, fino a morte per deficit completo
delle funzioni omeostatiche ( Gitlin ha distinto l’encefalopatia epatica in stadi: da 0, che
corrisponde all’assenza di segni e sintomi neurologici fino a 4, con quadro di coma e attività
elettroencefalografica caratterizzata da tipiche onde lente “δ”. Bisogna però ricordare la forma
“latente” che può essere palesata solo attraverso test psicometrici). In tutti i casi è fondamentale
la riduzione della formazione e dell’assorbimento della NH3 a livello intestinale mediante la
somministrazione di diete a basso contenuto proteico o anche di antibiotici in grado di distruggere
i microrganismi responsabili della produzione di questa sostanza agendo sulla flora enterica
putrefattiva più che su quella fermentativa ( neomicina, paramomicina, rifaximina).
MANIFESTAZIONI CLINICHE: Ci può essere edema cerebrale con encefalite severa associata a
rigonfiamento della sostanza grigia. L'ernia cerebrale è una temibile complicanza dell'edema
cerebrale. Nei pazienti con cirrosi, l'encefalopatia è spesso una conseguenza di eventi precipitanti
come l'ipokaliemia, le infezioni, una dieta iperproteica o i disturbi elettrolitici. l pazienti possono
apparire confusi e mostrare anche cambiamenti di personalità, con comportamenti violenti e
difficili da gestire, altre volte appaiono sonnolenti e di difficile contattabilità.
ln questi pazienti è spesso dimostrabile asterissi, chiedendo al paziente di estendere gli arti
superiori estendendo i polsi: i pazienti encefalopatici nell'eseguire questa manovra mostrano il
caratteristico “liver flap”, ossia un movimento del polso in avanti.
La terapia medica deve possibilmente risolvere le cause scatenanti dell'encefalopatia. Alcune volte
è sufficiente idratare il paziente e correggere gli squilibri elettrolitici. Il cardine della terapia per
l'encefalopatia, oltre alla correzione dei fattori precipitanti, è il lattulosio, un disaccaride non
riassorbibile che determina l'acidificazione del lume del colon. L'evacuazione intestinale che segue
elimina i derivati dell'ammonio che causano la comparsa di encefalopatia. L'obiettivo è di ottenere
almeno 2-3 scariche di feci al giorno e il dosaggio va quindi modificato per raggiungere questo
obiettivo. Inoltre si possono utilizzare antibiotici non assorbibili a livello intestinale, generalmente
alternando la neomicina al metronidazolo per evitare gli effetti collaterali.
DOMANDE: Palpazione addome ascitico, cause ascite, perché muore un cirrotico, segni e sintomi
scompenso cirrosi, ipertensione portale, sindrome epatorenale, terapia encefalopatia, cirrosi
cardiogena
B. Metabolismo proteico.
Difetto delle funzioni sintetiche delle proteine del plasma e soprattutto dell’albumina.
Ipoalbuminemia riduzione pressione oncotica edema
C. Metabolismo lipidico.
Difetto Sintesi acidi biliari diminuzione formazione di Sali biliari e della loro escrezione
nell’intestino deficit assorbimento grassi e vitamine liposolubili (A,D,E,K)
D. Metabolismo farmaci
Manca la coniugazione di molti farmaci si accumula e dà più facilmente fenomeni di natura
tossica.
PANCREAS
Il pancreas è situato nello spazio retroperitoneale ai limiti fra il piano sovramesocolico e quello
sottomesocolico ed è orientato con il suo maggior asse trasversalmente, al davanti dei corpi delle
prime due vertebre lombari. Può raggiungere, in posizione alta, il corpo della 12a vertebra toracica
o, in posizione bassa, quello della 3a vertebra lombare. Il suo asse maggiore non è perfettamente
trasversale, ma risulta diretto verso sinistra e verso l’alto. Su questo asse, il pancreas si presenta
incurvato con una convessità volta verso l’avanti e determinata dal rapporto posteriore con la
colonna vertebrale e i grossi vasi posti al davanti di quest’ultima.
PANCREATITE ACUTA
Lo spettro anatomo-patologico della pancreatite acuta va dalla pancreatite interstiziale, che è la
forma più lieve a risoluzione spontanea, alla pancreatite necrotizzante, nella quale il grado di
necrosi pancreatica è strettamente correlato alla gravità dell'attacco e alle sue manifestazioni
sistemiche.
1. Attivazione degli enzimi digestivi intrapancreatici e danno alle cellule acinari (dovuto
all’azione degli zimogeni).
2. Attivazione, chemoattrazione e sequestro dei neutrofili a livello pancreatico, con
conseguente sviluppo di una reazione infiammatoria di gravità variabile. NB: il sequestro
dei neutrofili induce l'attivazione del tripsinogeno.
3. Effetti degli enzimi proteolitici e delle citochine rilasciati dal pancreas infiammato a livello
degli altri organi. Gli enzimi attivi sarebbero poi responsabili della digestione delle
membrane cellulari, della proteolisi, dell'edema, dell'emorragia interstiziale, del danno
vascolare, della necrosi coagulativa, della necrosi grassa e della necrosi delle cellule
parenchimali.
Il danno cellulare e la morte sono il risultato del rilascio di bradichinine, sostanze vasoattive e
istamina, in grado di produrre vasodilatazione, aumentare la permeabilità vascolare e causare
edema, con effetti devastanti su diversi organi, in particolare il polmone. La sindrome da risposta
infiammatoria sistemica (SIRS) e la sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS), cosi come
un'insufficienza multiorgano, rappresentano le conseguenze di questa cascata di eventi.
Il decorso della pancreatite acuta sembra essere influenzato da fattori genetici che possono
aumentare la suscettibilità e/o modificare la gravità del danno pancreatico. Quattro geni di
suscettibilità sono stati individuati: 1) mutazioni del tripsinogeno cationico 2) inibitore secretorio
pancreatico della tripsina 3) regolatore transmembrana della conduttanza della fibrosi cistica
(CFTR); 4) proteina chemiotattica dei menociti MCP-1 (se presente si associa a un indice
prognostico più negativo).
SINTOMI: Il dolore addominale costituisce il sintomo più importante della pancreatite acuta: può
essere un dolore lieve e tollerabile o un dolore violento, continuo e gravemente invalidante. Il
dolore, in genere continuo e fastidioso, è
caratteristicamente localizzato nelle regioni
epigastrica e periombelicale, spesso irradiato
al dorso e al torace, ai fianchi e ai quadranti
addominali inferiori ( “a sbarra”) ; di solito il
dolore è più intenso in posizione supina ed è
alleviato dall'assunzione della posizione
seduta con il tronco flesso e le ginocchia
sollevate. Altri sintomi frequentemente
lamentati dal paziente sono nausea, vomito e distensione addominale
dovuti a ipomotilità gastrointestinale e peritonite chimica.
Nel 10-20% dei pazienti si osservano manifestazioni polmonari che possono variare da semplici
rantoli basilari ad atelettasia e versamento pleurico (soprattutto emitorace sinistro). lperestesia e
contrattura di difesa addominale possono essere presenti in grado variabile, ma sono comunque
di scarsa entità se paragonati alla gravità della sintomatologia dolorosa. La peristalsi intestinale è
in genere ridotta o addirittura assente. A volte la palpazione dei quadranti superiori dell'addome
può evidenziare un pancreas aumentato di volume con necrosi organizzata o una pseudocisti. In
corrispondenza della regione periombelicale può essere presente una debole colorazione
brunastra, espressione di emoperitoneo (segno di Cullen), mentre una colorazione blu-rosso
porpora o verde-marrone può evidenziarsi ai fianchi (segno di Turner), espressione quest'ultima di
un catabolismo tissutale dell'emoglobina. Questi due segni, peraltro poco frequenti, indicano la
presenza di una grave pancreatite necrotizzante.
In circa il 10% dei pazienti si osserva iperbilirubinemia (bilirubina sierica superiore a 68 µmol/l); si
tratta, tuttavia, di un ittero transitorio e i livelli di bilirubinemia ritornano ai valori normali nel giro
di 4-7 giorni. Parallelamente all'aumento della bilirubinemia si verifica anche un incremento
transitorio della fosfatasi alcalina e dell'aspartato aminotrasferasi (AST). Un marcato aumento dei
livelli sierici di lattico deidrogenasi si associa, invece, a una prognosi negativa. L'albumina sierica è
diminuita <30 g/l in circa il 10% dei casi e questo sta in genere a indicare una pancreatite più grave
con un alto tasso di mortalità. La TC è in grado di confermare il sospetto clinico di pancreatite
acuta anche in presenza di normali livelli di amilasi sieriche. L'ecografia è utile nella pancreatite
acuta per studiare la colecisti.
DIAGNOSI: La diagnosi differenziale deve essere posta con le seguenti patologie: 1) perforazione di
un viscere addominale (soprattutto ulcera peptica); 2) colecistite acuta o colica biliare ( entrambe
danno una iperamilasemia ma il dolore di origine biliare è più spesso riferito a destra o
all'epigastrio che nell'area periombelicale, ha un'insorgenza più graduale); 3) occlusione intestinale
acuta; 4) occlusione vascolare mesenterica (soggetti anziani debilitati); 5) colica renate; 6) infarto
miocardico; 7) aneurisma da dissezione dell'aorta; 8) collagenopatia con vasculite; 9) polmonite;
10) chetoacidosi diabetica.
Spesso i pazienti sviluppano una massa infiammatoria entro le prime 2-3 settimane dalla
pancreatite. Questa può essere dovuta a necrosi pancreatica organizzata o essere costituita da una
pseudocisti. L'ascesso pancreatico si sviluppa più tardivamente, di solito dopo 6 settimane. Le
complicanze sistemiche si instaurano a livello polmonare, cardiocircolatorio, ematologico, renale,
metabolico e del sistema nervoso centrale. Pancreatite e ipertrigliceridemia costituiscono
un'associazione in cui causa ed effetto rimangono ancora non del tutto chiari; tuttavia
l’ipertrigliceridemia può causare pancreatite ma la maggior parte dei pazienti con pancreatite non
ha ipertrigliceridemia.
La retinopatia di Purtscher è una rara complicanza della pancreatite acuta che si manifesta
clinicamente con un'improvvisa e grave perdita della visione. Essa è caratterizzata da un
particolare aspetto del fondo dell'occhio, con macchie cotoniformi ed emorragie confinate a
un'area delimitata dalla papilla e dalla macula; si ritiene che sia provocata dall'occlusione
dell'arteria retinica posteriore da parte di aggregati granulocitari.
TRATTAMENTO: Nella maggior parte dei pazienti con pancreatite acuta (85-90%) la malattia si
risolve spontaneamente, entro 3-7 giorni dall'inizio del trattamento. Si somministrano analgesici
per alleviare il dolore, liquidi ed espansori del plasma al fine di mantenere un adeguato volume
circolante, si sospende l'alimentazione per via orale.
RUOLO DELLA TERAPIA ANTIBIOTICA: Il beneficio della profilassi antibiotica nel trattamento della
pancreatite acuta necrotizzante rimane controverso. Sebbene il tipo e la durata della terapia
antibiotica rimangano poco definiti, è attualmente raccomandata, per il paziente con pancreatite
acuta necrotizzante, la somministrazione di un antibiotico sistemico come l'imipenem + cilastatina
alla dose di 500 mg tre volte al giorno per 7 giorni.
La TC, in particolare quella dinamica con intensificazione del contrasto, fornisce importanti
informazioni sulla gravità e sulla prognosi della pancreatite acuta, e permette la valutazione della
presenza e dell'estensione della necrosi pancreatica.
Il paziente con pancreatite lieve o moderata necessita di solito di un trattamento basato sulla
somministrazione di liquidi per via endovenosa e digiuno.
Infine, la terapia dei pazienti con pancreatite associata a ipertrigliceridemia prevede: 1) calo
ponderate fino a raggiungere il peso ideale; 2) dieta povera di lipidi; 3) attività fisica; 4)
sospensione dell'assunzione di alcolici e di farmaci eventualmente in grado di aumentare i livelli
sierici dei trigliceridi (per es., estrogeni, vitamina A, diuretici tiazidici e propranololo); 5) controllo
del diabete.
EZIOLOGIA: Nella popolazione adulta degli Stati Uniti l'alcolismo è la causa più comune di
pancreatite cronica clinicamente manifesta, mentre nella popolazione pediatrica la causa
predominante è la fibrosi cistica. Fino al 25% dei pazienti adulti è affetta da pancreatite cronica
idiopatica ( forse cause genetiche: gene che codifica per il tripsinogeno resistente all'azione
dell'inibitore della tripsina e in grado di attivarsi spontaneamente e di rimanere attivato). La
mutazione della fibrosi cistica è a carico del gene CFTR. Questo gene funge da canale del cloro
regolato dall'AMP ciclico. Nei pazienti con fibrosi cistica l'elevata concentrazione di macromolecole
può ostruire i dotti pancreatici.
A differenza della pancreatite acuta, amilasi e lipasi sieriche non sono in genere aumentate nella
pancreatite cronica. L'aumento della bilirubina sierica e della fosfatasi alcalina può essere
suggestivo di colestasi secondaria all'infiammazione cronica e/o a stenosi del dotto biliare
comune. Il test diagnostico con maggiore sensibilità e specificità è il test di stimolazione ormonale
con secretina; tale test risulta alterato quando almeno il 60% della funzione pancreatica esocrina è
venuta meno e questo in genere risulta ben correlato alla comparsa del dolore addominale
cronico.
Una diminuzione del tripsinogeno sierico a livelli inferiori a 20 mg/ml è fortemente suggestiva di
insufficienza pancreatica esocrina grave, così come una concentrazione fecale di elastasi inferiore
a 100 µg per grammo di feci.
La presenza di calcificazioni diffuse alla radiografia dell'addome indica in genere un danno di circa
l'80% del parenchima pancreatico. Se da un lato l'alcol è di gran lunga la causa più frequente di
calcificazioni pancreatiche, esse si associano anche a grave malnutrizione calorico-proteica,
pancreatite ereditaria, post-traumatica, da ipercalcemia, da tumori delle cellule insulari e
pancreatite cronica idiopatica.
TRATTAMENTO: Il trattamento della steatorrea con gli enzimi pancreatici è semplice, sebbene una
completa regressione della steatorrea sia inusuale. Il trattamento del dolore nei pazienti con
pancreatite cronica è invece problematico. Nei pazienti con malattia con dotti dilatati, in genere
indotta dall'alcol, la decompressione del dotto è la terapia di scelta. Dati preliminari suggeriscono
che l'octreoticle ad alte dosi possa alleviare il dolore nei pazienti con malattia con dotti dilatati. In
pazienti con malattia con dotti non dilatati, le comuni preparazioni non gastroprotette di enzimi
pancreatici contenenti elevate concentrazioni di serinproteasi sono in grado di controllare il
dolore.
DOMANDE: delimita l’area pancreatica, pancreatite causa e diagnosi acuta e cronica, esame
obiettivo pancreatite acuta,
OBESITÀ
Per obesità si intende una condizione clinica che identifica un eccesso di tessuto adiposo. L’indice
di massa corporea ( BMI), anche se non è una misura diretta di adiposità, è il metodo più utilizzato
per valutare l’obesità e si ricava dal rapporto peso/altezza^2. Un BMI pari a 30 è considerato il
valore inferiore per l’obesità per uomini e donne. Un soggetto con BMI tra 25 e 30 si definisce
sovrappeso. Poiché’ anche la zona di distribuzione del tessuto adiposo ha sostanziali implicazioni
sulla morbilità, va anche misurato il rapporto vita-fianchi, che viene ad essere anormale quando
superiore a 0.9 nelle donne e superiore ad 1 negli uomini. Il preciso equilibrio tra assunzione e
dispendio calorico è controllato da molti ormoni. L’appetito è influenzato da molti fattori che
vengono integrati a livello ipotalamico e sono di vario tipo: neurale, ormonale e metabolico. Gli
stimoli vagali sono importanti poiché’ trasportano informazioni viscerali sulla distensione
intestinale. I segnali ormonali comprendono la leptina, l’insulina, il cortisolo e peptidi
gastrointestinali come la grelina che viene prodotta nello stomaco e stimola l’appetito, il peptide
YY e la colecistochinina, secreta nell’intestino tenue, che invia segnali al cervello attraverso
un’azione diretta sui centri di controllo ipotalamici. Alcuni metaboliti, compreso il glucosio,
possono influenzare l’appetito. Questi vari segnali agiscono influenzando l’espressione e la
liberazione di vari peptidi ipotalamici come il neuropeptide Y, il peptide Agouti-correlato, l’ormone
α-melanocitostimolante e l’ormone concentrante la melanina.
Il dispendio energetico comprende le seguenti componenti: 1)metabolismo basale o a riposo
(70%), 2) costo energetico per il metabolismo e il deposito dei nutrienti, 3) effetto termico
dell’esercizio fisico (5-10%), 4) termogenesi adattiva ( è quella che si verifica nel tessuto adiposo
bruno).
L’adipocita, oltre ad essere la sede di deposito del grasso, è anche una cellula endocrina che libera
molte molecole: la leptina, alcune citochine come il TNFα, l’IL-6, il fattore D del complemento,
l’inibitore dell’attivazione del plasminogeno I e l’angiotensinogeno.
La patogenesi dell’obesità non è ancora del tutto nota tuttavia questa viene comunemente
osservata all’interno di un gruppo familiare e l’ereditarietà del peso corporeo è simile a quella
dell’altezza. L’ereditarietà non è di tipo mendeliano e pertanto è difficile separare il ruolo dei
fattori genetici da quello dei fattori ambientali. Indubbiamente i geni influenzano la suscettibilità
all’obesità quando messi in relazione con diete specifiche e con la disponibilità dei nutrienti.
SINDROMI GENETICHE SPECIFICHE: Il topo con modificazioni genetiche del gene ob sviluppa grave
obesità, insulinoresistenza e iperfagia, ma anche un metabolismo efficiente. Il prodotto del gene
ob è il peptide leptina. Alti livelli di leptina riducono l’apporto di cibo e aumentano il dispendio di
energia. Anche altre mutazioni causano obesità anche se sono molto più rare. Tra queste
ricordiamo la mutazione del gene che codifica per la POMC, del proenzima convertasi-1 ( PC-1) ma
ce ne sono tanti altri con nomi strani e che è alquanto inutile che io li trascriva. Nella sindrome di
Prader-Willi l’obesità si accompagna a bassa statura, ritardo mentale, ipogonadismo
ipogonadotropo, ipotonia, mani e piedi piccoli, bocca a forma di pesce e iperfagia. La sindrome di
Bardet-Biedl è una malattia geneticamente eterogenea caratterizzata da obesità, ritardo mentale,
retinite pigmentosa, malformazioni renali e cardiache, polidattilia e ipogonadismo
ipogonadotropo.
ALTRE SINDROMI SPECIFICHE ASSOCIATE A OBESITÀ:
sindrome di Cushing: si valuta i livelli di cortisolo nel sangue e nelle urine in condizioni basali e in
risposta al CRH o all’ACTH per fare diagnosi differenziale.
Ipotiroidismo : si dosa il TSH
Insulinoma: Aumentano di peso a causa dell’iperalimentazione a cui ricorrono per evitare i sintomi
dell’ipoglicemia.
Craniofaringioma e altre malattie che coinvolgono l’ipotalamo.
DOMANDE: Obesità
EDEMA
Con il termine edema si definisce un aumento di volume dei liquidi interstiziali che può
raggiungere parecchi litri prima di dar luogo ad alterazioni clinicamente evidenti. Con il termine
anasarca si intende una condizione di edema massivo generalizzato. L’ascite e l’idrotorace sono
considerati forme particolari di edema. L’edema può essere distrettuale o diffuso e in questo caso
lo si riconosce per la comparsa di gonfiore al volto, nelle regioni periorbitali e per la persistenza
dell’impronta lasciava sulla cute dalla pressione digitale. Alla base di tutto abbiamo le forze di
Starling: ricordiamo che la pressione idrostatica all’interno dei vasi e quella colloido-osmotica nel
liquido interstiziale tendono a promuovere lo spostamento dei liquidi dai vasi verso lo spazio
extravascolare; al contrario, la pressione colloido-osmotica delle proteine plasmatiche e la
pressione idrostatica del liquido interstiziale, nota come tensione tissutale, spingono i liquidi nel
compartimento vascolare. Lo sviluppo dell’edema dipende da una o più alterazioni delle forza di
Starling, la cui sommatoria causa un movimento effettivo di liquidi dal sistema vascolare
all’interstizio oppure in una cavità corporea.
1. Aumento della pressione capillare responsabile di edema può verificarsi per aumento della
pressione venosa dovuto a un’ostruzione locale del drenaggio venoso. In questo caso la
pressione idrostatica nel distretto capillare a monte dell’ostruzione aumenta e determina
un passaggio maggiore di liquidi dallo spazio vascolare a quello interstiziale e poiché’ anche
la via di drenaggio dei vasi linfatici può essere ostruita, ne consegue un aumento del
volume dei liquidi interstiziali nell’arto compromesso. Ovviamente questo edema locale
causa un deplezione del volume intravascolare e a una conseguente ritenzione idrosalina.
2. La pressione colloido-osmotica del plasma può ridursi per una grave ipoalbuminemia.
Questa condizione può verificarsi nel caso di diminuzione della pressione colloido-osmotica
per perdita di grandi quantità di proteine con le urine nella sindrome nefrosica.
3. Può comparire per alterazioni dell’endotelio dei capillari che aumentino la loro
permeabilità e consentano in tal modo il passaggio di proteine nel compartimento
interstiziale. È questa presumibilmente la causa dell’edema di tipo infiammatorio, che non
mantiene l’impronta e che si associa però a rossore, calore e gonfiore.
4. Se si riduce il riempimento dell’albero arterioso si ha una diminuzione del sangue che
giunge a livello renale che causa l’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone.
Va ricordato che livelli stabilmente elevati di aldosterone non sempre causano edema (
“fuga dall’aldosterone”). Coloro che sviluppano edema hanno quindi una diminuzione di
questo meccanismo compensatorio ossia non sviluppano natriuresi pressoria.
5. L’arginina vasopressina se non decresce può contribuire all’iponatriemia e quindi alla
formazione degli edemi.
6. L’endotelina contribuisce alla vasocostrizione renale, alla ritenzione di sodio e all’edema.
7. Il peptide natriuretico atriale è in grado di antagonizzare la ritenzione di sodio e il rialzo
pressorio in condizioni di ipervolemia. Il peptide natriuretico cerebrale è simile al
precedente. Nell’insufficienza cardiaca e nella cirrosi con ascite i livelli di questi enzimi
sono alti ma non abbastanza per prevenire la formazione di edemi.
8. Nell’insufficienza cardiaca congestizia si verifica un accumulo di sangue nel circolo venoso a
spese del volume arterioso. Se la compromissione funzionale cardiaca coinvolge il
ventricolo destro, si può produrre un incremento pressorio nel letto venoso e capillare
sistemico, aumentando di conseguenza la trasudazione di liquido nello spazio interstiziale e
favorendo la formazione di edemi periferici. L’innalzamento della pressione venosa
sistemica si trasmette al dotto toracico con conseguente riduzione del drenaggio linfatico e
aggravamento degli edemi. Se invece la compromissione funzionale cardiaca coinvolge
primariamente il ventricolo sinistro, allora aumentano le pressioni venosa e capillare
polmonare e si innalza anche la pressione dell’arteria polmonare. Questo si traduce in un
difficoltoso svuotamento sistolico ventricolare destro con aumento della pressione
diastolica ventricolare destra e delle pressioni venosa centrale e sistemica. L’aumento della
pressione capillare polmonare può condurre ad edema polmonare.
9. Cirrosi
10. Indotto da farmaci
11. Edema idiopatico: frequente nelle donne ma senza relazione con il ciclo mestruale.
Pertanto non va confuso con l’edema ciclico o premestruale in cui la ritenzione di sodio e di
acqua può essere dovuta all’eccessiva stimolazione estrogenica.
12. Altre cause possono essere l’ipotiroidismo nel quale il mixedema è pretibiale. Ma anche
l’ipercorticosurrenalismo da cause esogene, la gravidanza, l’assunzione di estrogeni e di
vasodilatatori.
DOMANDE: classificazione edema ( risposta: generalizzato e distrettuale) e anasarca.
COLECISTI
ANOMALIE CONGENITE :
Non sono rare e comprendono alterazioni di numero, dimensioni e morfologia della colecisti. La
colecisti a “berretto frigio” è un’anomalia clinicamente non rilevante nella quale il fondo della
colecisti viene separato dal corpo per la presenza di un setto.
CALCOLI:
I calcoli possono essere di colesterolo (80%) oppure pigmentati (20%). I calcoli di colesterolo di
solito contengono più del 50% di colesterolo monoidrato più una miscela di sali di calcio, pigmenti
biliari, proteine e acidi grassi. I calcoli pigmentati sono composti principalmente di bilirubinato di
calcio, contengono meno del 20% di colesterolo e vengono suddivisi in neri e bruni o marroni.
CALCOLI DI COLESTEROLO E SABBIA BILIARE.
Si verificano quando il colesterolo è presente in eccesso rispetto ai fosfolipidi e agli acidi biliari. Il
meccanismo più importante è l’aumento della secrezione biliare di colesterolo che può verificarsi
in caso di obesità, dieta ipercalorica, dopo assunzione di farmaci o a causa dell’aumento
dell’attività di HMG-CoA. Oltre a fattori ambientali, quali una dieta ipercalorica e ricca di
colesterolo, l’ipersecrezione di colesterolo e la formazione di calcoli dipendono anche da fattori
genetici ( difetto genetico nella secrezione del colesterolo). Nonostante la supersaturazione della
bile con colesterolo sia un prerequisito importante per la formazione di calcoli non è sufficiente
poiché’ il tempo di permanenza della bile in colecisti è minore di quello necessario ai cristalli di
colesterolo per iniziare ad aggregarsi e accrescersi. Pertanto un importante meccanismo è la
nucleazione dei cristalli di colesterolo monoidrato che può essere accellerato per l’eccesso di
fattori che favoriscono la nucleazione o per la mancanza di fattori che impediscono la nucleazione.
Un terzo importante meccanismo è l’ipomobilità della colecisti che quindi aumenta il tempo di
permanenza della bile nella colecisti.
La sabbia è costituita da uno spesso materiale mucoso che appare composto da cristalli di
colesterolo-lecitina, cristalli di colesterolo monoidrato, bilirubinato di calcio e gel mucoso. La
formazione si associa a due condizioni: 1) alterazione del normale bilancio tra secrezione ed
eliminazione del muco della colecisti; 2) nucleazione di soluti biliari. Due altre condizioni sono
associate alla formazione di calcoli di colesterolo o di sabbia biliare: la gravidanza e le diete a
contenuto calorico molto basso.
CALCOLI PIGMENTARI.
I calcoli pigmentari neri sono formati da calcio bilirubinato puro o da complessi simili a polimeri
con calcio e glicoproteine della mucina. Sono più comuni in pazienti che presentano stati emolitici
cronici, cirrosi epatica, sindrome di Gilbert o fibrosi cistica. Sono dovuti alla presenza di aumentate
quantità di bilirubina non coniugata insolubile nella bile che precipita formando i calcoli.
DIAGNOSI: L’ecografia è una tecnica molto accurata per la diagnosi di colelitiasi e offre molti
vantaggi rispetto alla colecistografia.
SINTOMI: I calcoli diventano sintomatici quando causano infiammazione od ostruzione
conseguente alla loro migrazione nel dotto cistico o nel coledoco. Il sintomo più comune è la colica
biliare, un dolore intenso, costante, oppure avvertito come una pressione all’epigastrio o
all’ipocondrio destro frequentemente con irradiazione all’area interscapolare, scapolare destra o
alla spalla. Si accompagna spesso a nausea e vomito. Il persistere di elevati livelli di bilirubina
sierica è suggestivo di calcoli del coledoco.
TRATTAMENTO
Terapia chirurgica: una colecistectomia profilattica in paziente asintomatico deve essere basata su
3 fattori fondamentali: 1) presenza di sintomi così frequenti o così importanti da interferire con la
normale vita del paziente, 2) presenza di una pregressa complicanza della malattia, 3) presenza di
una concomitante condizione che aumenta il rischio di complicanze.
Terapia medica: l’acido ursodesossicolico ( UDCA) riduce la saturazione della bile da parte del
colesterolo, ritarda la nucleazione dei cristalli di colesterolo. Tuttavia poiché’ le recidive sono
frequenti e il farmaco è molto costoso non viene utilizzato frequentemente.
Terapia chirurgica: colecistectomia da effettuare in tempi brevi.
COMPLICANZE POST-COLECISTECTOMIA
Le complicanze precoci sono: Atelettasia e altre alterazioni polmonari, formazione di un ascesso,
emorragie esterne o interne, fistola bilioenterica o deiscenza biliare. Le sindromi post-
colecistectomia sono:
1. Stenosi delle vie biliari
2. Calcoli biliari ritenuti
3. Sindrome del moncone del dotto cistico: presenza di un lungo dotto cistico residuo ( >1
cm).
4. Disfunzione papillare, stenosi papillare, spasmo dello sfintere di Oddi e discinesia biliare.
5. Diarrea o gastrite da Sali biliari: dovute a un reflusso duodeno-gastrico di bile. La diarrea
abbastanza grave, con scariche 3-4 volve al giorno, si verifica poiché’ la colecistectomia
abbrevia il tempo di transito intestinale accelerando il passaggio delle feci attraverso il
colon che causa un aumento del deflusso di bile nel colon e un cambiamento nella
composizione degli acidi biliari ( con una maggior produzione di acidi biliari secondari che
stimolano maggiormente la diarrea).
COLECISTITE ACUTA
La colecistite acuta consegue in genere all’ostruzione del dotto cistico a opera di un calcolo. La
risposta infiammatoria può essere attribuita a tre tipi di meccanismi: 1) infiammazione meccanica
provocata da un aumento della pressione intraluminale e della distensione, con conseguente
ischemia della mucosa e della parete della colecisti; 2) infiammazione chimica causata dalla
liberazione di lisolecitina e di altri fattori tissutali locali; 3) infiammazione batterica, che
rappresenta nel 50-85% dei casi (Escherichia coli, Klebsiella, Streptococcus D, Staphylococcus e
Clostriudium.).
Clinicamente si manifesta come un dolore biliare progressivo ingravescente, sono frequenti le
recidive e tende a diventare più generalizzato nell’ambito del quadrante addominale superiore
destro. Può irradiarsi alla regione interscapolare, alla scapola destra o alla spalla. Il paziente
lamenta anoressia, nausea e vomito mentre l’ittero è raro. È presente febbre non elevata.
L’ipocondrio di destra si presenta quasi costantemente dolente alla palpazione; una colecisti
aumentata di volume e tesa è palpabile nel 25-50% dei casi. L’inspirazione profonda e il colpo di
tosse durante la palpazione sottocostale dell’ipocondrio destro determinano in genere
un’accentuazione della sintomatologia dolorosa e un arresto dell’atto inspiratorio ( segno di
Murphy).
La manovra di Murphy : Con la mano destra appoggiata a piatto sul quadrante superiore
destro dell'addome si premono le punte dell'indice e del medio sul punto colecistico: quest'ultimo
è situato sotto la decima costa di destra, a livello della sua estremità anteriore. A questo punto si
fa inspirare profondamente il paziente, sempre comprimendo il punto cistico: in questo modo la
colecisti viene spinta in basso e in avanti dal diaframma fino a toccare la parete anteriore
dell'addome. Se è presente una colecistite, oppure una calcolosi, il tocco dell'organo da parte delle
due dita esacerberà il dolore, per cui il paziente smetterà bruscamente di inspirare.
È frequente il riscontro di positività del segno di Blumberg in ipocondrio desto, la distensione
addominale e la riduzione della peristalsi da ileo paralitico, mentre in assenza di perforazione non
si riscontrano segni di peritonite generalizzata o contrattura addominale. La diagnosi viene posta
sulla base di una storia caratteristica e dell’esame obiettivo. La triade di dolore a esordio
improvviso nel quadrante superiore destro, febbre e leucocitosi è altamente indicativa. Con
l’ecografia è possibile individuare i segni della colecistite, che comprendono ispessimento della
parete, presenza di liquido pericolecistico e dilatazione del dotto cistico. Circa il 75% dei pazienti
trattati con terapia medica va incontro a remissione della sintomatologia acuta in 2-7 giorni di
ospedalizzazione. Tuttavia il 25% svilupperà una recidiva entro un anno e il 60% entro 6 anni.
Valutando la storia naturale della malattia, il trattamento di scelta per la colecistite acuta è
l’intervento chirurgico precoce.
TRATTAMENTO
Terapia medica: si effettua prima della colecistectomia. Sospensione dell’alimentazione per os,
all’aspirazione nasogastrica, correzione eventuali alterazioni idroelettrolitiche, riduzione del
volume extracellulare, analgesici ( meperidina o antiinfiammatori non steroidei), talvolta terapia
antibiotica per via endovenosa.
La sindrome di Mirizzi è una rara complicanza in cui in calcolo s’incunea nel dotto cistico o nel collo
della colecisti causando una compressione del coledoco che porta a occlusione coledocica e ittero.
COLECISTITE ALITIASICA: Nel 5-10% dei pazienti con colecistite acuta non si riscontrano calcoli che
ostruiscono il dotto cistico e nella metà dei casi non si trova una spiegazione per l’infiammazione.
Un rischio maggiore è associato a: gravi traumi o ustioni, puerperio dopo un parto prolungato,
interventi di chirurgia maggiore e ortopedici. L’incidenza di complicanze della colecistite alitiasica
supera quella della colecistite acuta.
COLECISTOPATIA ALITIASICA : Alterazioni della motilità della colecisti possono causare dolore
biliare ricorrente in pazienti senza calcoli nella colecisti. I criteri usati per identificare i pazienti
sono : 1) episodi ricorrenti di dolore all’ipocondrio destro; 2) frazione di eiezione inferiore al 40%
alla scintigrafia della colecisti con colecistochinina; 3) infusione di colecistochinina che riproduce il
dolore del paziente.
COLECISTITE ENFISEMATOSA: ha inizio da una colecistite acuta( con o senza calcoli) seguita da
ischemia o gangrena della parete della colecisti e successiva infezione da parte di germi che
producono gas ( anziani, maschi, diabete). La diagnosi si fa osservando la presenza di gas nel lune
colecistico o nei tessuti circostanti.
COLECISTITE CRONICA:
È quasi sempre associata alla presenza di calcoli e si ritiene consegua a ripetuti episodi di
colecistite acuta o subacuta, oppure alla persistente irritazione meccanica della parete da parte
dei calcoli. Nel 25% dei casi di colecistite cronica è presente contaminazione batterica della bile.
COMPLICANZE
EMPIEMA E IDROPE: di solito l’empiema è il risultato della progressione della colecistite acuta, con
ostruzione persistente del dotto cistico, verso una sovrainfezione della bile ristagnante con germi
piogeni. Si presenta con febbre elevata, dolore al quadrante superiore destro, leucocitosi marcata
e spesso stato di prostrazione.
Anche l’idrope e il mucocele possono conseguire all’ostruzione del dotto cistico, di solito
provocata da un voluminoso calcolo solitario. In tale situazione il lume ostruito viene
progressivamente disteso, dopo un certo periodo di tempo, da muco ( mucocele) o da un
trasudato chiaro ( idrope), prodotto dalle cellule dell’epitelio mucoso. Spesso è asintomatico,
anche se talvolta viene riferita una sintomatologia dolorosa cronica all’ipocondrio destro. In
entrambi i casi è indicata la colecistectomia poiché’ può andare incontro a perforazione o
gangrena.
GANGRENA E PERFORAZIONE: la gangrena della colecisti consegue all’ischemia della parete con
necrosi a chiazze o completa. Predispone alla perforazione della colecisti. Una perforazione
localizzata è generalmente tamponata dall’omento o da aderenze prodotte dalle infiammazioni
ricorrenti della colecisti. Una sovrainfezione batterica del contenuto della colecisti ostruita porta
alla formazione di ascesso. Si interviene con una colecistectomia. La perforazione libera è meno
comune ma si associa nel 50% dei casi a morte.
FORMAZIONE DI FISTOLE E ILEO BILIARE: La fistolizzazione in un organo adiacente alla parete della
colecisti può far seguito all’infiammazione e alla successiva adesione delle due strutture. Le fistole
nel duodeno sono le più frequenti, seguite da quelle che interessano la flessura epatica, stomaco,
digiuno, parete addominale, pelvi renale.
L’ileo da calcoli è determinato da un’ostruzione meccanica conseguente al passaggio di un
voluminoso calcolo biliare nel lume intestinale. Penetra nel duodeno attraverso una fistola
colecistoenterica. I grossi calcoli predispongono alla formazione di fistole per effetto della
graduale erosione del fondo della colecisti. Laparotomia con estrazione del calcolo.
SABBIA BILIARE E COLECISTI A PORCELLANA: Se la sabbia biliare si complica con un’idrope della
colecisti è raccomandata la colecistectomia. Nella colecisti a porcellana si ha la deposizione di sali
di calcio nella parete di una colecisti sede di un processo infiammatorio cronico. Colecistectomia.
ANOMALIE CONGENITE
ATRESIA E IPOPLASIA DELLE VIE BILIARI: è la più frequente anomalia di rilevanza clinica
nell’infanzia. Il quadro clinico consiste nella comparsa di un grave ittero ostruttivo nel corso del
primo mese di vita con feci acoliche.
CISTI DEL COLEDOCO: una dilatazione cistica può interessare la porzione libera del coledoco ( cisti
del coledoco propriamente detta) oppure presentarsi sotto forma di diverticolo del suo segmento
intraduodenale. In quest’ultima condizione, il reflusso cronico di succo pancreatico nell’albero
biliare può indurre infiammazione e stenosi delle vie biliari extraepatiche, con conseguente
colangite e ostruzione biliare.
ECTASIA BILIARE CONGENITA: la dilatazione cistica dei dotti biliari intrepatici può interessare i rami
intraepatici principali ( malattia di Caroli) o i dotti inter- e intra lobulari ( fibrosi epatica congenita),
oppure entrambi contemporaneamente.
COLEDOLITIASI
Il passaggio di calcoli nel dotto biliare si verifica nel 10-15% dei pazienti con colelitiasi. Nella
maggioranza dei casi sono calcoli che si formano all’interno della colecisti e che migrano
nell’albero biliare extraepatico attraverso il dotto cistico, mentre quelli che si formano de novo nei
dotti biliari sono di solito calcoli pigmentari. Possono essere asintomatici o dar luogo a una colica
biliare o a complicanze.
COMPLICANZE
COLANGITE: La colangite è una complicanza della coledolitiasi. Può essere acuta o cronica e la
sintomatologia, di tipo infiammatorio, è dovuta di solito a un parziale ostacolo al deflusso biliare. Il
quadro clinico è rappresentato da dolore biliare, ittero e puntate febbrili con brividi scuotenti
(triade di Charcot). La forma più comune è quella non suppurativa, che risponde rapidamente al
trattamento antibiotico associato a terapia di supporto. Nella forma suppurativa, la presenza di
materiale purulento, non drenabile, all’interno dell’albero biliare porta a un quadro clinico di grave
tossiemia con confusione mentale, batteriemia e shock settico. La mortalità in questo caso è vicina
al 100%.
ITTERO OSTRUTTIVO: Un’ostruzione del coledoco che si instauri progressivamente nell’arco di
settimane o mesi determina, come sintomo iniziale la comparsa di ittero o prurito, senza un
quadro di colica biliare o colangite. È presente molto frequentemente una colecistite cronica,
situazione che comporta una scarsa possibilità di distensione della colecisti e questa non è
palpabile: infatti per la legge di Courvoisier, la presenza di una colecisti aumentata di volume e
palpabile è espressione di un’ostruzione biliare di natura maligna e non di calcolosi. L’ostruzione
biliare determina una progressiva dilatazione dei dotti biliari intraepatici con aumento della
pressione intrabiliare. Il flusso epatico di bile viene bloccato e il riassorbimento e il riflusso della
bilirubina coniugata nel torrente circolatorio conducono all’ittero associato a urine ipercromiche e
feci acoliche.
PANCREATITE: Una concomitante pancreatite dovrebbe essere sempre sospettata nel paziente
con un quadro clinico di colecistite acuta che presenti: 1) dolore dorsale o all'emiaddome sinistro;
2) vomito protratto con ileo paralitico; 3) versamento pleurico, soprattutto sinistro.
CIRROSI BILIARE SECONDARIA: Si verifica frequentemente quando vi è un’ostruzione prolungata
dovuta a neoplasia o stenosi.
PARASSITOSI EPATOBILIARE
Infestazione delle vie biliari da parte di elminti adulti o delle loro uova è piuttosto rara e può
essere riscontrata nelle popolazioni della Cina meridionale e nel Sudest asiatico.
CANDIDOSI ORALE
La candidasi orofaringea (mughetto) è causata da una varietà di specie di
Candida, tra le quali la più comune è C. albicans. La candidasi colpisce soprattutto i neonati, i
pazienti immunocompromessi (soprattutto i malati di AIDS) e i soggetti che hanno assunto
antibiotici per lungo tempo o sono stati sottoposti a terapia a base di glucocorticoidi. Oltre al mal
di gola, i pazienti spesso lamentano bruciore alla lingua e all'esame obiettivo si osservano placche
friabili bianche o grigiastre sulla gengiva, la lingua c la mucosa orale. Il trattamento che di norma
consiste nella somministrazione di una sospensione antimicotica orale (nistatina o clotrimazolo) o
fluconazolo per os porta di solito a guarigione. Nei rari casi di candidosi refrattaria al fluconazolo,
rilevati saltuariamente in pazienti affetti da AIDS, altre opzioni terapeutiche includono sospensioni
orali di itraconazolo, l'amfotericina B o il voriconazolo, cosi come le echinocandine per via
endovenosa (caspofungina, micafungina c anidulafungina).
MALATTIE DEL SISTEMA ENDOCRINO
MALATTIE DEL SISTEMA IPOTALAMO-IPOFISARIO:
L’ipopituitarismo (funzione ipofisaria ridotta) può essere dovuta a patologie ereditarie o, più comunemente, a l’effetto massa di
tumori sellari, processi infiammatori o danni vascolari.
1) Displasia ipofisaria: può risultare in uno sviluppo della ghiandola di tipo aplastico, ipoplastico o ectopico. Si può associare a
disordini craniofacciali (labiopalatoschisi, ipertelorismo, ipoplasia del n. ottico). Disfunzioni ipotalamiche e ipofisarie possono
inoltre derivare da disgenesie del setto pellucido o del corpo calloso (dispalsia setto-ottica) causate da mutazioni di un gene
coinvolto nello sviluppo del proencefalo ventrale. Questi bambini sviluppano deformità, anosmia, deficit nello sviluppo, diabete
insipido, e presentano deficit di GH e talvolta TSH.
2) Mutazioni di fattori tessuto-specifici: autosomiche dominanti o recessive di Pit-1 portano a deficit combinato di GH, PRL e TSH.
Mutazioni di Prop-1 portano a un deficit anche di gonadotropine (ritardi di crescita, ipotiroidismo, ipogonadismi con assenza di
pubertà spontanea).
3) Disfunzioni dello sviluppo ipotalamico (Sindrome di Kallmann): deficit di sintesi di GnRH ipotalamica, associabile ad anosmia,
cecità per i colori, varie anomalie neurologiche, assenza di sviluppo puberale con ipogonadismo (micropene nel M e amenorrea
nella F).
-Ipopituitarismo acquisito:
4) Ipofisite linfocitaria: soprattutto donne incinte o post-partum, alla RM si presenta come una massa associata a iperprolattinemia
e VES aumentata. Terapia steroidea e la funzione ipofisaria generalmente viene recuperata.
4) Apoplessia ipofisaria: eventi vascolari emorragici acuti possono insorgere spontaneamente in un adenoma ipofisario preesistente
oppure nel periodo post-partum (sindrome di Sheehan) o, ancora, associati a diabete, ipertensione o shock acuto. Rappresenta
un’urgenza endocrina che può portare a ipoglicemia, ipotensione, emorragia del SNC e infine a morte. Localizzabile con TAC e RM
che evidenziano segni di emorragia intratumorale o intrasellare, con deviazione del peduncolo ipofisario o compressione del resto
del ghiandola.
5) Sella vuota: spesso reperto occasionale alla RM, perché spesso la funzionalità della ghiandola viene conservata, anche se
l’ipopituitarismo può insorgere in maniera insidiosa.
-Tumori ipofisari: gli adenomi ipofisari rappresentano la causa più comune di ipersecrezione ormonale nonché una delle più
frequenti sindromi da ipofunzione ipofisaria dell’adulto. Possono originare da cellule tireotrope, lattotrope, somatotrope,
corticotrope o gonadotrope. Esistono tumori secernenti misti (GH, PRL, TSH e ACTH). Circa un terzo di tali adenomi sono non
funzionanti, perciò non danno sindromi da ipersecrezione ormonale. Carcinomi con metastasi extracraniche sono estremamente
rari. Quasi tutti gli adenomi ipofisari sono di origine monoclonale in quanto acquisiscono una o più mutazioni somatiche che
conferiscono un vantaggio di crescita selettivo. Importante è ricordare che ormoni ipotalamici come il GHRH e CRH, oltre al ruolo di
regolazione ipofisaria, possono indurre un aumento dell’attività mitotica delle rispettive cellule bersaglio. Ne deriva che pazienti
portatori di rari tumori ectopici che producono tali ormoni possono presentare iperplasia somatotropa o corticotropa.
MEN 1 (prolattinomi più frequentemente, mentre in rari casi si osservano acromegalia e morbo di Cushing)
Sindrome di Carney (pigmentazione cutanea a chiazze, mixomi e tumori endocrini quali testicolari, surrenali e ipofisari)
Sindrome di McCune-Albright (displasia fibrosa poliostosica, macchie cutanee color caffèlatte e varie alterazioni
endocrine, come adenomi GH-secernenti e surrenalici, una funzione ovarica endocrina)
Acromegalia familiare (rara)
Craniofaringiomi: derivano dalla tasca di Rathke, spesso grandi e parzialmente calcificati. Si presentano con segni legati
all’aumento della pressione intracranica (vomito, nausea, cefalea, papilledema e idrocefalo). Altri sintomi sono legati alle
alterazioni del campo visivo e diabete insipido. Terapia prevede la resezione chirurgica e terapia radiante dei residui
tumorali. Spesso richiede una terapia sostitutiva ormonale a vita.
Cisti della tasca di Rathke: deriva da una sua mancata chiusura. Dà sintomi compressivi, diabete insipido,
iperprolattinemia da compressione del peduncolo ipofisario.
Cordomi della sella (RM)
Meningiomi
Istiocitosi X: comprende una varietà di sindromi associate a foci di granulomi eosinofili.
Metastasi ipofisarie: soprattutto nella neuroipofisi e più della metà derivano da tumori mammari.
Amartomi ipotalamici e gangliocitomi: possono originare da astrociti, oligodendrociti e neuroni con diversi gradi di
differenziazione. Possono produrre GnRH, GHRH o CRH. Raramente gli amartomi si associano ad altre caratteristiche
cliniche come alterazioni craniofacciali, ano imperforato, anomalie renali, cardiache, polmonari e insufficienza ipofisaria
(sindrome di Pallister-Hall).
Gliomi ipotalamici e ottici.
Germinomi, carcinomi embrionali, teratomi e coriocarcinomi: producono hCG. Si manifestano con pubertà precoce,
diabete insipido, alterazioni del campo visivo e alterazioni nella regolazione del senso della sete.
In base alla regione interessata si avranno degli effetti diversi: lesioni della regione anteriore e preottica dell’ipotalamo provocano
vasocostrizione paradossa, tachicardia e ipertermia.
Disordini più gravi della termoregolazione sono però a carico della regione posteriore e nel complesso danno la sindrome da
ipotermia periodica, caratterizzata da temperatura rettale minore di 30°, sudorazione, vomito, bradicardia.
Danni al nucleo ventro-mediale sono la causa di iperfagia e obesità (alterazioni dell’appetito). Possono essere presenti altri disturbi,
ma non nel 100% dei casi e sono: diabete insipido, deficit nella crescita, polidipsia o ipodipsia, sonnolenza e alterazioni del ciclo del
sonno, disturbi dell’emotività.
VALUTAZIONE CLINICA:
Effetti massa locali: sintomo comune è la cefalea, la cui intensità è raramente proporzionale alle dimensioni e all’estensione del
tumore. Sono presenti disturbi della vista, compressione del peduncolo ipofisario (determina iperprolattinemia e caduta dei livelli
degli altri ormoni ipofisari). Se la massa si estende lateralmente e invade il seno cavernoso, si possono avere deficit dei nervi III, IV e
VI e danneggiamento dei rami oftalmico e mascellare del V (diplopia, ptosi-spostamento verso il basso dell’occhio-, oftalmoplegia e
deficit sensitivi a livello facciale.
Valutazione oftalmologica: la perdita della percezione del colore rosso è un segno precoce di compressione del tratto ottico. Anche
l’emianopsia bitemporale o difetti bitemporali superiori si osservano con relativa frequenza.
Indagini di laboratorio: si effettua una valutazione ormonale che generalmente comprende: 1) PRL basale; 2) IGF-I; 3)cortisolo
libero urinario nel corso delle 24 ore e/o test di soppressione overnight con desametasone; 4) subunità α, FSH e LH; 5) esami di
funzionalità tiroidea. E’ opportuno effettuare anche un esame istologico della massa per via trans-sfenoidale, per valutarne la
natura.
TERAPIA:
Le manifestazioni cliniche derivano dall’effetto massa o dall’iper/iposecrezione ormonale causata direttamente dall’adenoma o dal
trattamento. Per questo è necessario seguire il paziente per tutta la vita.
Bisogna visualizzare la massa con RM (con somministrazione di gadolinio) innanzitutto, dopodiché vi sono vari approcci:
Chirurgia trans-sfenoidale: preferibile all’approccio classico per via transfrontale, tranne che per rare masse invasive
sovrasellari. Quando possibile, la lesione ipofisaria deve essere rimossa in modo selettivo; il tessuto normale e sano
dovrebbe quindi essere manipolato o rimosso solo se ciò risulta indispensabile per l’effettiva dissezione del tumore.
Quest’ultima procedura comporta frequentemente la comparsa di ipopituitarismo e quindi la necessità di una terapia
sostitutiva a vita. La mortalità legata a questo intervento è dell’1% e i danni permanenti sono in genere molto rari nella
rimozione di microadenomi.
Radioterapia: utilizzabile come trattamento primario o per masse ipofisarie o parasellari oppure, più frequentemente,
dopo terapia chirurgica o trattamento medico. L’irradiazione è mirata e ad alto voltaggio. Utilizzata su adenomi non
funzionanti, mentre su quelli secernenti PRL, GH e ACTH si può agire con una concomitante terapia farmacologica.
Effetti collaterali: nausea, astenia. Alopecia, perdita del gusto e anosmia possono durare a lungo. Deficit di GH, ACTH,
TSH e gonadotropine si può verificare entro 10 anni dalla terapia radiante.
Terapia medica: altamente specifica e dipende dal tipo di tumore. Per i prolattinomi si usano dopaminoagonisti, per
l’acromegalia e i TSH-secernenti sono indicati principalmente gli analoghi della somatostatina.
PROLATTINA:
IPERPROLATTINEMIA:
E’ la più comune causa di ipersecrezione ormonale da parte dell’ipofisi, sia nell’uomo che nella donna. Gli adenomi PRL-secernenti
(prolattinomi) sono la causa più frequente di valori di prolattina ≥100microg/L. Per valori compresi tra 30 e 100 microg/L le cause
possono essere un microprolattinoma (≤1cm) oppure, più facilmente, farmaci (che bloccano i recettori della dopamina, inibitori
della sintesi di dopamina, inibitori delle catecolamine e oppiacei), compressione del peduncolo ipofisario, ipotiroidismo o
insufficienza renale. Esiste anche l’iperprolattinemia fisiologica, durante la gravidanza, allattamento, stimolazione del capezzolo,
orgasmo, legata al sonno e allo stress.
Manifestazioni cliniche e diagnosi: nelle donne si manifesta con amenorrea, galattorrea, infertilità, secchezza vaginale, dispareunia
(dolore femminile durante il coito) e perdita della libido. Si può assistere anche a una riduzione della densità ossea vertebrale
(dovuto all’ipoestrogenismo). Negli uomini si presenta soprattutto con perdita della libido, impotenza, oligospermia (ridotti livelli di
testosterone) e alterazioni visive dovute alla compressione delle vie ottiche. La galattorrea è rara. Se il disturbo è di lunga durata, si
assiste a osteopenia e riduzione della massa muscolare.
Indagini di laboratorio: si misura la PRL basale, la mattina a digiuno (normalmente sono inferiori a 20 microg/L). E’ necessario
procedere al dosaggio in più occasioni, soprattutto se il sospetto diagnostico è alto. L’ipotiroidismo deve essere escluso mediante
dosaggio di TSH e fT4.
Terapia: dipende dall’eziologia, però, indipendentemente dalla causa, la terapia dovrebbe essere mirata a normalizzare i valori di
PRL. I dopamino-agonisti sono efficaci in molte forme di iperprolattinemia (vd. Prolattinomi). Nell’ipotiroidismo si risolve con
adeguata terapia tiroidea e nei pazienti con insufficienza renale dopo trapianto di rene o dialisi.
PROLATTINOMA:
Rappresentano circa la metà dei tumori ipofisari funzionanti. Rapporto M:F è di circa 1:20 per i microadenomi, mentre sale a 1:1
per i macroadenomi. Sono a crescita lenta. Oltre ai sintomi legati all’iperprolattinemia possono dare anche effetto massa.
Terapia: nel 30% dei casi con microadenoma, l’iperprolattinemia si risolve spontaneamente.
o Terapia medica: i dopamino-agonisti per via orale rappresentano il trattamento di scelta in pazienti con micro-
e macroprolattinomi. Sono in grado di sopprimere la sintesi di PRL, nonché la proliferazione delle cellule
lattotrope:
-BROMOCRIPTINA: normalizza la PRL, riduce le dimensione del tumore e ristabilisce la funzione gonadica.
Inizialmente si somministrano basse dosi (0,625-1,25 mg), da assumere prima di coricarsi, a stomaco pieno;
tale dose va poi aumentata gradualmente. La maggior parte dei paziente richiede una dose giornaliera ≤7,5 mg
(2,5 mg tre volte al giorno).
-CABERGOLINA: a lunga durata d’azione. Con un’unica somministrazione orale può sopprimere la secrezione di
PRL per più di 14 giorni. Una dose pari a 0,5-1 mg due volte a settimana induce normoprolattinemia e recupero
della funzione gonadica nell’80% dei casi.
-ALTRI DOPAMINO-AGONISTI: pergolide mesilato, quinagolide.
o Terapia chirurgica
o Gravidanza: per le donne in terapia con bromocriptina il farmaco deve essere sospeso e i livelli di PRL
costantemente monitorati (specialmente in caso di insorgenza di cefalea o disturbi visivi), perché durante la
gravidanza solo il 5% dei microadenomi aumenta di dimensioni in modo significativo, ma ben il 30% dei
macroadenomi aumenta eccessivamente.
Deficit di GH isolato: caratterizzato da bassa statura, micropene, aumento della massa grassa, voce acuta e tendenza
all’ipoglicemia. L’eziologia non è identificabile nella maggior parte dei pz. In circa un terzo è presente una trasmissione
familiare (dominate, recessiva oppure X-linked). Mutazioni di fattori di trascrizione come Pit-1 e Prop-1, che regolano la
differenziazione delle cellule somatotrope, causano deficit di GH associato a quello di altre tropine ipofisarie.
Mutazione del recettore del GHRH: recessive
Insensibilità al GH: difetti nella struttura del recettore o della via di trasmissione del segnale del GH. Essi si associano a
insensibilità totale o parziale al GH e dunque deficit nella crescita (sindrome di Laron). Si riscontrano livelli normali o
elevati di GH e valori bassi di GHBP e IGF-I.
Bassa statura di origine nutrizionale: deprivazione calorica e malnutrizione, diabete mal controllato e insufficienza renale
cronica rappresentano cause secondarie di alterata funzione del recettore del GH.
Bassa statura di origine psicosociale: deprivazioni emotive e sociali portano al ritardo di crescita, accompagnato a ritardo
nell’acquisizione del linguaggio, iperfagia e risposta ridotta alla somministrazione di GH. Il miglioramento delle condizioni
ambientali generalmente induce il recupero della velocità di crescita.
Clinica e diagnosi: la bassa statura è di frequente riscontro e dovrebbe essere attentamente indagata quando l’altezza del bambino
è più di 3 DS (deviazioni standard) sotto la media in base all’età, in presenza di una riduzione della velocità di crescita. La
maturazione scheletrica può essere valutata tramite misurazione radiologica.
Indagini di laboratorio: dato che la secrezione di GH è pulsatile, il deficit di GH viene valutato meglio esaminando la risposta a
stimoli provocativi quali l’esercizio fisico, ipoglicemia indotta da insulina (deve essere evitato nei bambini epilettici) e altri test
farmacologici che siano in grado di indurre nel bambino normale un aumento del GH≥7 microg/L. Una RM dell’ipofisi può mettere
in evidenza lesioni tumorali o difetti strutturali.
Terapia: la terapia sostitutiva con GH ricombinante (0,02-0,05 mg/kg/die per via sottocutanea) ristabilisce la velocità di crescita nei
bambini con deficit di GH fino a 10 cm/anno. Nei bambini con insensibilità al GH e ritardo di crescita dovuto a mutazioni nel
recettore del GH, il trattamento con IGF-I consente di aggirare la disfunzione recettoriale.
Clinica e diagnosi:
alterazioni della qualità di vita: riduzione dell’energia e della concentrazione, bassa autostima, isolamento sociale.
Alterazione della composizione corporea: aumento della massa grassa, distribuzione centripeta del grasso viscerale intra-
addominale, riduzione della massa magra.
Diminuzione del rendimento nell’esercizio fisico: riduzione massima captazione di O2, alterazioni della funzione cardiaca
e della massa muscolare.
Fattori di rischio cardiovascolari: alterazione struttura e funzione ventricolare sinistra, iperlipidemie, ipertensione
arteriosa, riduzione attività fibrinolitica con aumento dei livelli plasmatici di fibrinogeno.
Riduzione densità ossea con aumento del numero di fratture.
Indagini di laboratorio: Salvo poche eccezioni, le indagini dovrebbero essere limitate ai pz che presentano i seguenti fattori
predisponenti:
L’AGDH (adult growth hormone deficiency) viene diagnosticato in base al riscontro di valori di GH<3microg/L in risposta a test
provocativi standard. Il test a maggiore sensibilità è quello dell’ipoglicemia indotta da insulina (0,05-0,1 U/kg). Quando si raggiunge
una riduzione dei valori di glicemia al di sotto dei 40 mg/dl, la maggior parte dei soggetti manifesta sintomi neuroglicopenici e
parallelamente si assiste a un picco di GH entro 60 min, che persiste nelle 2 ore successive. Il 90% degli adulti normali presenta una
risposta del GH>5microg/L. Gli affetti da AGDH hanno GH<3microg/L. Il test di tolleranza insulinica (ITT) è controindicato in pz
dabetici, quelli con malattia cardiaca ischemica, con malattia cerebrovascolare, nel pz epilettico e nell’anziano. Esistono test di
stimolazione alternativi: test con L-dopa (500mg per os), con arginina e.v. (30 g) e con GHRH (1 microg/kg).
Terapia: sostitutiva con GH con dose iniziale di 0,15-0,3 mg/die e poi aggiustamento della dose fino a un massimo di 1,25 mg/die.
Controindicazioni a tale terapia comprendono la presenza di neoplasia in fase attiva, ipertensione intracranica, diabete non
controllato e retinopatia. I pz già in terapia con insulina devono essere monitorati attentamente in quanto il GH è un
controregolatore dell’insulina molto potente.
3)ACROMEGALIA: l’ipersecrezione di GH è generalmente il risultato di adenomi di origine somatotropa o di tumori misti (GH e PRL);
infatti raramente è causata da lesioni extraipofisarie. Esistono inoltre rari tumori GH-secernenti che originano da tessuto ectopico
ipofisario localizzato nel nasofaringe o nei seni della linea mediana oppure esistono casi di secrezione ectopica di GH da parte di
tumori pancreatici, ovarici o polmonari. Anche l’eccesso di GHRH può provocare acromegalia, in seguito a un’eccessiva stimolazione
delle cellule somatotrope.
Clinica e diagnosi: la caratteristica crescita delle ossa acrali si manifesta con protrusione frontale, aumento delle dimensioni di mani
e piedi, ingrandimento della mandibola con prognatismo e diastasi dentaria. Nei bambini e negli adolescenti (prima della saldatura
dell’epifisi delle ossa lunghe) si assiste allo sviluppo del gigantismo ipofisario. L’acromegalia è caratterizzata da un aumento della
misura di scarpe e guanti, lineamenti grossolani, naso largo e carnoso. Frequenti sono iperidrosi, voce profonda e bassa, cute
oleosa, artropatia, cifosi, sindrome del tunnel carpale, indebolimento della muscolatura prossimale. Infine i pz presentano
visceromegalia generalizzata (cuore, tiroide, lingua). L’impatto clinico principale è l’interessamento del sistema cardiovascolare;
infatti frequentemente si riscontrano: malattia coronarica, cardiomiopatia associata ad aritmie, ipertrofia ventricolare sinistra e
ipertensione arteriosa. Complicanze sono l’ostruzione delle vie aeree superiori, diabete mellito (anche se più spesso è presente
intolleranza glucidica se viene effettuato l’OGTT), rischio di sviluppare polipi e neoplasie maligne del colon. La mortalità globale è
aumentata di 3 volte rispetto alla popolazione normale.
Indagini di laboratorio: La determinazione di elevati livelli di IGF-I rappresenta un utile screening. La diagnosi di acromegalia viene
confermata dalla mancata riduzione di GH al di sotto di 1 microg/L a 1 e 2 ore dalla somministrazione di una carico orale di glucosio
(75g).
Terapia: la resezione chirurgica per via transfenoidale degli adenomi GH-secernenti costituisce il trattamento di prima scelta per la
maggior parte dei pazienti. Gli analoghi della somatostatina vengono utilizzati in fase pre-operatoria per ridurre le dimensioni del
tumore, danno inoltre un rapido sollievo dai sintomi della malattia. Uno di questi analoghi è l’octreotide acetato con emivita di 2
ore e 40 volte più potente della somatostatina. Viene somministrato per via sottocutanea, iniziando con una dose di 50 microg tre
volte al giorno; tale dose si può aumentare fino ai 1500microg/die. Gli analoghi sono ben tollerati nella maggior parte dei casi. Vi
sono alcuni effetti collaterali quali nausea, dolori addominali, malassorbimento dei grassi, diarrea e flatulenza, ma regrediscono nel
giro di 2 settimane. Si possono utilizzare anche i dopamino-agonisti, come la bromocriptina, che sopprime la secrezione di GH in pz
acromegalici, in particolare nei casi di concomitante secrezione di PRL. La terapia combinata con octreotide e bromocriptina induce
un controllo biochimico maggiore rispetto a quello ottenuto con ciascun trattamento in monoterapia.
ORMONE ADRENOCORTICOTROPO:
1)DEFICIT DI ACTH: dà insufficienza surrenalica secondaria. Caratterizzata da astenia, debolezza, anoressia, nausea, vomito e
talvolta ipoglicemia (ridotta contro regolazione insulinica). Non si accompagna a iperpigmentazione cutanea e deficit di
mineralcorticoidi. Cause:
Indagini di laboratorio: livelli di ACTH molto bassi associati a ridotti livelli di cortisolo.
Idrocortisone: la dose giornaliera non dovrebbe superare i 30 mg, suddivisi in2 o 3somministrazioni.
Prednisone: 5 mg al mattino e 2,5 mg la sera. Ha una maggiore durata d’azione e ha una minore attività mineralcorticoide
rispetto all’idrocortisone.
Per evitare manifestazioni tipo Cushing, la dose di mantenimento è quella minima efficace. Il dosaggio va aumentato
adeguatamente in episodi di stress o malattia.
2)MALATTIA DI CUSCHING (ADENOMA ACTH-SECERNENTE): gli adenomi ipofisari ACTH-secernenti rappresentano circa il 70% dei
casi di sindrome di Cushing di tipo endogeno. Bisogna tuttavia ricordare che l’ipercortisolismo iatrogeno rimane la causa più
frequente delle manifestazioni cushingoidi.
Distinguere i pz con eccesso patologico di cortisolo da quelli con aumento fisiologico o con altri disturbi della produzione
dello stesso
Determinare l’origine dell’eccesso di cortisolo, che va dalla somministrazione esogena di glucocorticoidi, agli adenomi o
carcinomi surrenali, agli adenomi ipofisari, alla produzione ectopica di ACTH o CRH.
Manifestazioni tipiche sono: cute sottile e fragile, obesità centrale, ipertensione, faccia pletorica a luna piena, strie rubre, facilità
all’ecchimosi, intolleranza glucidica o franco diabete mellito, disfunzione gonadica, osteoporosi, debolezza dei muscoli prossimali,
segni di iperandrogenismo (acne e irsutismo), disturbi psichiatrici (depressione, mania, psicosi)e infine soppressione dei processi
immunitari. La principale causa di morte è legata alle malattie cardiovascolari , alle infezioni e al rischio di suicidio.
Quando le manifestazioni dell’ipercortisolismo si instaurano rapidamente e sono associate a iperpigmentazione cutanea e miopatia
grave, Cushing è più frequentemente causato da una produzione ectopica di ACTH. Inoltre in questi pz sono più pronunciati
ipertensione, alcalosi ipokaliemica, intolleranza glucidica e gli edemi.
Indagini di laboratorio: la misurazione del cortisolo libero urinario (CLU) nelle 24 ore è un test affidabile, così come la mancata
inibizione del cortisolo plasmatico dopo somministrazione di 1 mg di desametasone overnight. La determinazione dei livelli di ACTH
basale permette di discriminare le forme ACTH-dipendenti da quelle indipendenti. La media dei livelli di ACTH è circa 8 volte
maggiore nei soggetti con secrezione ectopica rispetto a quelli con adenomi ipofisari ACTH-secernenti. Importante è anche il
cateterismo dei seni petrosi inferiori: infilati bilateralmente prima e dopo somministrazione di CRH. La determinazione simultanea
di ACTH a livello delle vene petrose inferiori e del circolo sistemico periferico costituisce un valido mezzo per identificare la sede di
produzione di ACTH (ectopico o ipofisario). Un rapporto aumentato(>2) tra seni venosi e circolo periferico conferma la presenza di
malattia di Cushing. Se, dopo iniezione di CRH, tale rapporto risulta uguale o aumentato viene confermata la presenza di un
adenoma ipofisario.
Terapia: prima scelta è la resezione chirurgica. Vengono somministrati anche inibitori della steroidogenesi per bloccare gli effetti
dei livelli elevati di ACTH:
Mitotano: blocca 11β-idrossilasi e distrugge anche le cellule surrenaliche. Effetti collaterali: sintomi GI, vertigini,
ginecomastia, iperlipidemia, rash cutanei, innalzamento enzimi epatici e ipoaldosteronismo.
Chetoconazolo: se somministrato 2 volte al giorno (600-1200mg/die) riduce efficacemente i livelli di cortisolo. Effetti
collaterali: aumento transaminasi, ginecomastia, impotenza ed edema.
Metopirone: 2-4 g/die. Effetti collaterali: nausea, vomito, rash cutanei, acne, irsutismo.
Altri: trilostano, etomidato, proeptadina.
GONADOTROPINE: FSH e LH
DEFICIT DI GONADOTROPINE: L’ipogonadismo è il quadro clinico più frequente di ipopituitarismo nell’adulto, anche quando sono
deficitarie le altre tropine. Diverse patologie ereditarie (s. di Kallmann o mutazioni del gene DAX 1) o acquisite (anoressia nervosa,
stress, digiuno, esercizio fisico molto intenso danno deficit di GnRH) si associano a ipogonadismo ipogonadotropo isolato (IHH). Le
forme acquisite sono reversibili con la rimozione della causa.
Clinica e diagnosi: le donne in premenopausa hanno ridotta funzione gonadica con oligo-amenorrea, infertilità, ridotte secrezioni
vaginali, diminuzione della libido e atrofia mammaria. I maschi hanno calo della libido, impotenza, infertilità, diminuzione della
massa muscolare, debolezza, ridotta crescita dei peli corporei e della barba. In entrambi i sessi si verifica osteoporosi se
l’ipogonadismo non viene trattato.
Indagini di laboratorio: bassi livelli di gonadotropine, testosterone (M) ed estradiolo (F) circolanti. Un pool di tre campioni di siero
raccolti a 20 min di distanza l’uno dall’altro rende la misurazione più accurata. I maschi presentano anomalie all’esame spermatico.
Terapia:
Maschi: terapia sostitutiva con testosterone (per via intramuscolare ogni 1-4 settimane) necessaria per il mantenimento
di una crescita e uno sviluppo normali dei genitali esterni e dei caratteri sessuali secondari. Iniezione di hCG o hMG ogni
12-18 mesi per il recupero della fertilità. Terapia con GnRH pulsatile (25-150 ng/kg ogni 2 ore), somministrato tramite
pompa a infusione sottocutanea, è efficace per mantenere la fertilità.
Femmine: terapia sostitutiva con estroprogestinici per mantenere i caratteri sessuali secondari e l’integrità del tratto
genitourinario, previene inoltre osteoporosi e malattie cardiovascolari. La terapie con gonadotropine è riservata
all’induzione dell’ovulazione; infatti hMG o FSH usate per la maturazione follicolare, mentre LH per l’ovulazione vera e
propria.
ORMONE TIREOSTIMOLANTE:
DEFICIT DI TSH: l’ipotiroidismo centrale mima l’ipotiroidismo primitivo, anche se il quadro è generalmente meno grave. Si
riscontrano livelli bassi di TSH e di ormoni tiroidei liberi (se l’ipotiroidismo è ipotalamico i valori di TSH sono normali o leggermente
aumentati).
L’iniezione endovenosa di TRH (200 microg) provoca un aumento di 2-3 volte dei livelli di TSH (e PRL) entro i primi 30 min. Benchè il
test con TRH possa essere utilizzato per valutare la riserva ipofisaria di TSH, generalmente esso non è necessario per diagnosticare
difetti dell’asse IIT, per cui è sufficiente determinare i valori basali di TSH e fT4.
La terapia sostitutiva con ormone tiroideo deve essere instaurata solo dopo che sia stata accertata un’adeguata funzione
surrenalica.
ADENOMI TSH-SECERNENTI: rari, ma al momento della diagnosi sono spesso grande e localmente invasivi. Si presentano
generalmente con gozzo e ipertiroidismo.
La diagnosi viene posta in presenza di elevati livelli di TSH e fT4. Alla RM si evidenzia una massa.
Terapia: chirurgica transfenoidale. Si possono inoltre utilizzare farmaci tireostatici (metimazolo e propiltiouracile) o ricorrere
all’ablazione chirurgica della tiroide, nei casi in cui la rimozione dell’adenoma ipofisario non sia completa.
DIABETE INSIPIDO:
La ridotta azione o secrezione di ADH o AVP in genere si manifesta sotto forma di diabete insipido, sindrome caratterizzata da
produzione di quantità elevate di urine diluite (flusso giornaliero superiore a 50 ml/kg di peso corporeo e osmolalità inferiore a 300
mOsml/kg). Si associa anche a sete (polidipsia), mentre la disidratazione si verifica raramente, sempre che non sia compromesso
l’apporto di liquidi.
Il deficit di AVP può essere primitivo (centrale o nefrogeno) o secondario. La forma primitiva è in genere legata all’agenesia o alla
distruzione irreversibile della neuroipofisi (DI neuroipofisario o centrale) e le cause sono:
Il difetto primitivo dell’azione di AVP dà origine al DI nefrogeno, che può avere una base genetica (mutazioni del recettore V2 e
dell’acquaporina a livello renale) acquisito o da esposizione a diversi agenti farmacologici.
Deficit secondari di AVP sono dovuti all’inibizione della secrezione dell’ormone quando si introducono liquidi in eccesso. Viene
definite polidipsia primitiva che a sua volta può essere classificata in tre categorie:
1. Dipsogena: causata da un inappropriato aumento della sete secondario alla riduzione del “set point” dei meccanismi di
osmoregolazione. A volte si manifesta in associazione con malattie cerebrali multifocali quali neurosarcoidosi, meningite
tubercolare e sclerosi multipla.
2. Polidipsia psicogena: non è associata alla sete e la polidipsia sembra essere una manifestazione psicotica.
3. Polidipsia iatrogena: aumento dell’assunzione di liquidi legato a raccomandazioni di operatori sanitari.
Quando la secrezione o l’effetto antidiuretico di AVP si riducono dell’80-85%, la quantità di ormone non è sufficiente per
concentrare adeguatamente le urine e il flusso urinario aumenta esponenzialmente. Se il difetto è primitivo la poliuria porta a una
riduzione modesta dell’acqua corporea e corrispondente aumento dell’osmolalità plasmatica e della natremia, dunque aumento
della sete e assunzione compensatoria di liquidi. E’ chiaro che quindi non si sviluppano altri segni o alterazioni di laboratorio
caratteristici della disidratazione, a meno che il pz non sia in grado di bere. Nelle forme gravi il flusso urinario raggiunge i 10-15 litri
giornalieri.
Nella polidipsia primitiva la patogenesi della poliuria e della polidipsia è l’opposto di quanto appena detto. L’eccessiva assunzione di
liquidi aumenta leggermente il contenuto di acqua corporea, con riduzione dell’osmolalità plasmatica e della secrezione di AVP e
della capacità di eliminare urine concentrate. Questo porta a un aumento compensatorio dell’escrezione di acqua libera. Rari sono i
casi di iperidratazione.
Diagnosi differenziale: quando sono presenti minzione frequente, enuresi (emissione involontaria di urina), nicturia e/o sete
persistente si devono escludere tutte le altre cause di poliuria. La produzione di urine >50 ml/kg al giorno (>3500 ml in un uomo di
70 kg) deve far sospettare DI soprattutto se l’osmolalità è >300mOsmol/kg. Se invece l’osmolalità delle urine è superiore a
300mOsmol/kg, si tratterà di diuresi da soluti (es: diabete mellito mal controllato). Nel differenziare le varie forme di DI possono
essere utili anamnesi, esame obiettivo e gli esami di laboratorio, anche se l’esame del pz deve iniziare con il test dell’assetamento,
effettuato al mattino con continuo monitoraggio del bilancio idrico, del peso corporeo, dell’osmolalità plasmatica, della natremia,
del volume e osmolalità urinarie.
Se l’assetamento non porta alla concentrazione delle urine (osmolalità >300) prima che si osservi una riduzione del peso corporeo
superiore al 5% o che l’osmolalità plasmatica e/o la natremia superino i limiti più elevati del range normale, è possibile escludere la
polidipsia primitiva. In questi pz si può distinguere il DI centrale e nefrogeno somministrando desmopressina: un aumento del 50%
dell’osmolalità urinaria suggerisce la diagnosi di DI centrale, se l’aumento è inferiore al 50% o assente si tratterà di DI nefrogeno.
Terapia: DDAVP, analogo sintetico dell’AVP. In genere sono necessari 1-2 microg/die per via iniettiva oppure 10-20 microg due o
tre volte al giorno come spray nasale oppure 100-400 microg due tre volte al giorno via orale. L’azione del farmaco è rapida (dai 15
ai 60 min). Il DI centrale può anche essere trattato con clorpropamide (125-500 mg/die).
La polidipsia primitiva non può essere trattata con DDAVP perchè la soppressione della diuresi idrica compensatoria porterebbe a
un’intossicazione di acqua in poco tempo. Quella iatrogena può essere corretta con adeguato supporto psicologico; tuttavia nelle
forme dispogene e psicogene non esistono trattamenti efficaci. Nelle forme dipsogene la nicturia e l’enuresi notturna possono
essere controllate assumendo piccole dosi di DDAVP prima di coricarsi.
Segni e sintomi del DI nefrogeno non sono modificati dal DDAVP o clorpropamide, ma possono essere attenuati da un diuretico
tiazidico e/o amiloride e associando una dieta a basso contenuto di sodio. Anche gli inibitori della sintesi delle prostaglandine
possono essere efficaci in alcuni pz.
IPERNATRIEMIA ADIPSICA:
Causata dall’agenesia o distruzione degli osmocettori ipotalamici che regolano la sete e la secrezione di AVP. Caratterizzata da
disidratazione ipertonica cronica o ricorrente e ridotta risposta dell’AVP agli stimoli osmotici. Nonostante la disidratazione i pz non
hanno molta sete. Si associa a segni di ipovolemia. Possono manifestarsi anche debolezza muscolare, dolore, rabdomiolisi,
iperglicemia, iperlipidemia e insufficienza renale acuta.
Terapia: dovrebbe essere trattata somministrando acqua per os se il pz è cosciente o infondendo una soluzione fisiologica allo
0,45% per via endovenosa qualora il pz non sia collaborante o sia incosciente. Se è presente DI o questo si presenta durante la fase
di reidratazione, si dovrebbe somministrare DDAVP a dosi standard, così da minimizzare le perdite renali.
IPONATRIEMIA:
L’eccessiva secrezione o azione di AVP causa una riduzione del flusso urinario con urine particolarmente concentrate. Se
l’iponatriemia si sviluppa gradualmente o è presente da più giorni, può essere asintomatica. Qualora si verifichi acutamente, si
associa spesso a segni e sintomi da intossicazione da acqua quali lieve cefalea, stato confusionale, anoressia, nausea, vomito, coma
e convulsioni. Se è grave, può essere letale.
L’inappropriata diuresi su base osmotica può essere causata da un’alterazione primitiva dell’azione o secrezione di AVP o essere
secondaria a uno stimolo non osmotico quali ipovolemia, ipotensione, deficit di glucocorticoidi.
Le forme primitive sono note come SIADH o iponatriemia euvolemica (tipo III): secrezione ectopica di ADH, secrezione eutopica
sostenuta da farmaci o malattie varie, somministrazione esogena di AVP, DDAVP e ossitocina.
Le forme secondarie di inappropriata diuresi su base osmotica vengono classificate in due gruppi:
1. Iponatriemia di tipo I (ipervolemica o edematosa): si manifesta in condizioni che favoriscono la ritenzione di sodio e la
comparsa di edemi quali scompenso cardiaco congestizio, cirrosi e nefrosi (tutte situazioni in cui si ritiene che si determini
una riduzione del volume ematico “effettivo”)
2. Iponatriemia di tipo II (ipovolemica): si manifesta in condizioni caratterizzate da perdita di sodio (gastroenteriti gravi,
abuso di diuretici, deficit mineralcorticoidi). Si pensa che il meccanismo coinvolto sia la riduzione del volume e/o della
pressione ematica.
Terapia: nella SIADH acuta il trattamento dell’iponatriemia si basa sulla restrizione totale dell’assunzione di liquidi al di sotto della
somma delle perdite insensibili e di quelle urinarie, ricordando che nell’apporto totale si deve tenere in considerazione l’acqua
derivata dal cibo. In questo modo si riduce l’acqua corporea e la natriemia dell’1-2% al giorno. Se necessario, si può procedere
all’infusione endovenosa di una soluzione fisiologica ipertonica (3%) a una velocità < 0,05 ml/kg di peso corporeo al minuto.
Nella SIADH cronica l’iponatriemia può essere corretta somministrando demeclociclina ( 150-300 ml per os 3 o 4 volte al giorno) o
fludrocortisone ( 0,05-0,2 mg per os 2 volte al giorno).
Nell’iponatriemia di tipo I l’unico trattamento oggi disponibile è quello basato sulla restrizione idrica stretta, alla somministrazione
di urea o mannitolo al fine di indurre diuresi da soluti. Somministrazione anche di cardiotonici o di albumina per correggere
l’ipovolemia effettiva.
Nell’iponatriemia di tipo II si blocca la perdita di sodio e acqua compensando tale perdita via os o via endovenosa.
OSTEOPOROSI:
Condizione caratterizzata da un’aumentata fragilità del tessuto osseo. Viene definita come una riduzione della massa (o densità)
ossea o come la presenza di una frattura atraumatica. Convenzionalmente la diagnosi di osteoporosi viene posta quando la densità
minerale ossea (BMD, bone mineral density) è di 2,5 DS al di sotto del valore medio di BMD del giovane adulto sano. L’osteoporosi
è frequente negli anziani e nelle donne in menopausa.
L’epidemiologia delle fratture ossee segue il medesimo trend della riduzione della massa ossea. La frequenza delle fratture di Colles
(fratture del polso, più specificatamente dell’epifisi distale del radio) aumenta prima dei 50 anni, presenta poi un plateau fra i 50 e
60 anni e successivamente solo un modesto incremento legato all’età. La frequenza invece delle fratture femorali raddoppia ogni 5
anni dall’età di 70 anni in poi. Queste differenze potrebbero essere spiegate dal diverso modo di cadere delle persone in relazione
all’età; infatti negli anziani sono meno frequenti le cadute a mani tese.
Le fratture del bacino e del tratto prossimale dell’omero sono chiaramente associate all’osteoporosi. Vedi tabella sopra per i fattori
di rischio per le fratture osteoporotiche: una precedente frattura, una storia familiare di fratture da osteoporosi e un basso peso
corporeo sono tutti fattori predittivi di un frattura osteoporotica. Inoltre il rischio può essere incrementato da alcune patologie
croniche che aumentano la propensione alla caduta o alla debolezza (demenze, sclerosi multipla e Parkinson). Le fratture sono più
comuni nella donna che nell’uomo.
Fisiopatologia: dopo la crescita, una volta raggiunto il picco di massa ossea,il rimodellamento osseo diventa la principale attività
metabolica dell’osso e questo processo ha tre funzioni principali:
l
a
r
e
s
i
s
t
e
n
za scheletrica
3. Rendere disponibile il calcio per mantenere costante la calcemia
Una richiesta immediata di calcio coinvolge un riassorbimento mediato dagli osteoclasti e un trasporto di calcio da parte degli
osteociti. Il rimodellamento osseo è regolato da: estrogeni, androgeni, vitamina D, PTH, IGF-I e IGF-II, fattore di crescita
trasformante (TGFβ), peptide correlato al PTH (PTH-rP), le interleuchine, le prostaglandine, TNF e il ligando dell’osteoprotegerina.
Un’ulteriore influenza è dalla nutrizione e dal livello di attività fisica. Il risultato finale di questo processo di rimodellamento è il
tessuto riassorbito viene sostituito da una pari quantità di tessuto neoformato. Lo squilibrio fra questi fattori può iniziare a varie
età, anche se come già detto è più marcato nelle donne in menopausa.
Apporto di calcio: se inferiore a 400 mg/die ha probabilmente un effetto negativo sullo scheletro; infatti la dose
giornaliera raccomandata ai soggetti adulti è di 1000-1200 mg.
Vitamina D: un grave deficit di vit D determina rachitismo nei bambini e osteomalacia negli adulti. Un modesto deficit
invece è in grado di determinare un iperparatiroidismo secondario ed è considerato un importante fattore di rischio per
l’osteoporosi.
Stato estrogenico: un deficit di estrogeni causa una perdita di tessuto osseo tramite due meccanismi: 1) attivazione di
nuove unità di rimodellamento 2)amplificazione dello squilibrio tra neoformazione e riassorbimento osseo. Gli estrogeni
sembrano inoltre rivestire un ruolo fondamentale nel controllo del periodo di sopravvivenza delle cellule ossee, dato che
sembrano controllare il processo di apoptosi: con la riduzione degli estrogeni infatti, il tempo di sopravvivenza degli
osteoblasti viene ridotto, mentre si allunga quello degli osteoclasti. Le fratture vertebrali sono la conseguenza più
comune e precoce di un deficit di estrogeni.
Attività fisica: il rischio di frattura è inversamente proporzionale al livello di attività fisica.
Malattie croniche: ipogonadismo (Turner, Klinefelter, iperprolattinemia, anoressia nervosa etc), endocrinopatie (Cushing,
tireotossicosi, iperparatiroidismo, acromegalia, insufficienza surrenalica), malnutrizione, sindromi da malassorbimento,
patologie reumatologiche (artrite reumatoide, spondilite anchilosante), patologie ematologiche/neoplastiche (mieloma
multiplo, tumori secernenti PTH-rP, emofilia, talassemia), patologie ereditarie (osteogenesi imperfetta, sindrome di
Marfan), altro (immobilizzazione, gravidanza e allattamento, sarcoidosi, amiloidosi).
Farmaci: glucocorticoidi, eccessivi ormoni tiroidei, immunosoppressivi (ciclosporina e tacrolimus).
Fumo: effetto tossico diretto sugli osteoblasti.
SXA o DXA (single or dual energy X-ray absorptiometry): gold standard per la misurazione della densità ossea al rachide
lombare e al femore.
TC quantitativa: di solito usata per la colonna vertebrale, segmenti ossei tibiale e radiale.
Ecografia
APPROCCIO AL PAZIENTE: Il periodo perimenopausale è quello più indicato per sensibilizzare la donna sul rischio di osteoporosi e
considerare quindi le indicazioni per la misurazione di BMD. Si inizia con un’accurata anamnesi per evidenziare i fattori di rischio,
poi si prosegue con una valutazione laboratoristica di routine: dosaggio del calcio sierico e urinario e un emocromo completo sono
utili per escludere cause secondarie di osteoporosi: ipercalcemia data da iperparatiroidismo con PTH alto o da una neoplasia, che
avrà PTH basso, mentre l’ipocalcemia può essere indicativa di malnutrizione e osteomalacia, ipocalciuria (<50mg/die) indica
osteomalacia, malnutrizione o malassorbimento, ipercalciuria (>300mg/die) data da 1)eccessiva perdita da parte del rene,
frequente nell’osteoporosi 2) ipercalciuria assorbitiva, data da iperproduzione di vit D attivata nelle patologie granulomatose 3)
neoplasie ematologiche o altre condizioni associate a elevato turnover. Si valuta inoltre la presenza di anemia macrocitica e
ipocolesterolemia, date da malassorbimento subclinico.
In seguito quantificare i marcatori biochimici, che danno una stima dell’entità dei processi di rimodellamento osseo: ci sono quelli
correlati alla formazione ossea (fosfatasi alcalina ossea sierica e osteocalcina sierica) e quelli legati all’assorbimento osseo
(telopeptide N-terminale e C-terminale del collagene di tipo I sierico e urinario).
TERAPIA:
-Trattamento della patologia sottostante: tramite 1)riduzione dei fattori di rischio, 2)attività fisica (ha effetto benefico, oltre che
sulla massa ossea, anche sulla funzione neuromuscolare, facendo migliorare coordinazione, equilibrio e la forza, riducendo la
probabilità di cadute) e ovviamente 3)raccomandazioni nutrizionali:
Calcio: i prodotti caseari (latte, formaggio, yogurt) e altri cibi quali cereali, focacce, succhi e cracker sono una buona fonte
di calcio. Molti pz, però, necessitano di un ulteriore apporto di calcio, che viene somministrato inizialmente con un
dosaggio inferiore o uguale a 600 mg o con dosi più elevate quando l’assorbimento intestinale si riduce.
Vitamina D: la dose minima adeguata di 25(OH)D sierica è di 15-20 ng/ml e l’apporto giornaliero raccomandato è di 200
UI per gli adulti sotto i 50 anni, di 400 UI per quelli con età compresa fra 50 e 70 anni e di 600 UI per gli ultrasettantenni.
Altri nutrienti: sale e caffeina possono avere effetti modesti sull’assorbimento o l’escrezione di calcio. Importanti sono
anche vitamina K, magnesio e filoestrogeni alimentari derivanti soprattutto da soia e legumi.
-Terapia farmacologica: fino a pochi anni fa gli estrogeni, da soli o in associazione con progestinici, erano considerati il trattamento
principale per la prevenzione e la cura dell’osteoporosi. Attualmente sono stati invece introdotti numerosi farmaci.
Estrogeni: riducono turnover osseo. Il dosaggio degli estrogeni somministrati per via orale è di 0,05 mg/die per gli
estrogeni esterificati, di 0,625 mg/die per gli estrogeni equini coniugati e di 5 microg/die per l’etinil-estradiolo. Se la
somministrazione è transdermica allora servono 50 microg/die di estradiolo. L’utilizzo prolungato di estrogeni è stato
associato a maggior rischio di tromboembolia venosa, calcolosi biliare e neoplasie uterine e mammarie, però è stato
registrato una calo significativo dell’infarto al miocardio.
Progestinici: un progestinico, da assumere giornalmente o a cicli di 12 giorni al mese, viene associato agli estrogeni al fine
di ridurre il rischio di tumore all’utero. Il medrossiprogesterone e il noretindrone acetato, ma non il progesterone
micronizzato, annullano l’effetto positivo degli estrogeni sui livelli di HDL.
Modulatori selettivi del recettore degli estrogeni (SERM): si legano ai recettori estrogenici
1. Tamoxifene: approvato per la prevenzione e la cura del tumore alla mammella, somministrato a donne in
menopausa, riduce il turnover osseo e la perdita di massa ossea. Possibile riduzione delle fratture cliniche
vertebrali, femorali e quelle di Colles.
2. Raloxifene: 60 mg/die. Prevenzione e cura dell’osteoporosi con un’azione estrogeno-simile sullo scheletro.
Aumenta gli episodi di vampate di calore. Inoltre, sebbene sia in grado di ridurre i valori di colesterolo, delle
LDL, della lipoproteina e del fibrinogeno, nessuno studio ha finora considerato come obiettivo primario le
patologie cerebro- e cardio-vascolari, rendendo impossibile un giudizio definitivo sull’efficacia del raloxifene
nella prevenzione della cardiopatia ischemica e delle malattie cerebrovascolari.
Bifosfonati: approvati perla prevenzione e cura dell’osteoporosi e per il trattamento dell’osteoporosi da corticosteroidi, in
quanto riducono notevolmente il turnover osseo e incrementano la massa ossea fino all’8%.
1. Alendronato: poiché il bifosfonati sono scarsamente assorbiti a livello intestinale, tale farmaco con dosaggio di
5-10 mg/die deve essere assunto al mattino a digiuno e almeno 30 minuti prima della colazione con un
bicchiere d’acqua. Siccome può risultare irritante per la mucosa esofagea, è controindicato per coloro che
presentano stenosi esofagea o reflusso GE.
2. Risedronato: 5 mg per via orale e il pz non dovrebbe coricarsi per almeno 30 min dopo l’assunzione.
3. Etidronato: effetto positivo sulle fratture vertebrali quando viene somministrato ciclicamente (2 settimane di
terapia e 2 mesi e mezzo di sospensione).
Calcitonina: approvata per il trattamento della malattia ossea di Paget, per l’ipercalcemia e per l’osteoporosi presente
nelle donne in menopausa da oltre 5 anni. E’ presente una formulazione con 200 UI/die in spray nasale. Incrementa la
densità ossea e riduce le fratture vertebrali, più della semplice somministrazione di calcio. Non è indicata per la
prevenzione. Ha un effetto analgesico sul dolore osseo.
Agenti in sperimentazione:
1. Paratormone: sebbene un incremento cronico del PTH endogeno si associ a perdita ossea, il PTH può esercitare
anche un effetto anabolico sull’osso. In accordo con quanto detto, alcuni studi osservazionali hanno dimostrato
che moderati incrementi di PTH o somministrazione di PTH esogeno sono associati a conservazione della massa
ossea trabecolare. L’effetto è ancor più benefico se alla somministrazione si associano estrogeni.
2. Fluoruri (rimangono ancora sperimentali)
3. Altri farmaci anabolici potenziali: GH (non hanno rilevato sostanziali effetti positivi, ma rimangono ancora da
studiare), steroidi anabolizzanti (dovrebbero essere antiriassorbitivi), statine (usate per l’ipercolesterolemia, ma
potrebbero aumentare la massa ossea e ridurre le fratture).
-Approccio non farmacologico: cuscinetti protettivi applicati alla parte esterna della coscia (scarso comfort).
IPERLIPIDEMIE:
Livelli elevati di colesterolo a digiuno in presenza di TG normali si associano ad aumenti di LDL. I rari pazienti con colesterolo HDL
molto elevato possono presentare anche un aumento di colesterolo totale nel plasma.
1. IPERCOLESTEROLEMIA FAMILIARE ( IF): malattia genetica codominante. Mutazione del gene del recettore per le LDL ed è
geneticamente eterogenea ( più di 200 diverse mutazioni). Livelli di LDL elevati alla nascita e rimangono tali per tutta la
vita. I livelli plasmatici di TG sono normali, le HDL normali o ridotte. La forma eterozigote di IF si manifesta in genere con
una grave forma di aterosclerosi entro i 50 anni di età.
Gli xantomi tendinei sono dovuti a depositi di colesterolo sia intra- che extra-cellulari, di solito coinvolgono il tendine
d’Achille e i tendini estensori delle articolazioni ( 75% dei pazienti con IF).
Gli xantomi tuberosi sono noduli morbidi non dolorosi presenti su gomiti e natiche.
Gli xantelasmi sono depositi poveri di colesterolo presenti sulle palpebre frequenti negli IF eterozigote.
La forma omozigote di IF si osserva raramente ( 1:1mln) associata a livelli di colesterolo > 500, grandi xantelasmi e
xantomi tendinei e palmari. I pazienti presentano coronaropatia aggressiva anche nell’infanzia.
2. DIFETTO FAMILIARE DI APO B-100: malattia autosomica dominante che è una copia dal punto di vista fenotipico della IF.
3. IPERCOLESTEROLEMIA POLIGENICA: la maggior parte delle ipercolesterolemie presenta un’origine poligenica. Numerosi
geni interagiscono con fattori ambientali per contribuire a questa iperlipidemia e si ritiene che sia l’iperproduzione sia il
ridotto catabolismo delle LDL siano coinvolte in questa malattia. La gravità è influenzata dal consumo di acidi grassi saturi
e colesterolo, dall’età e dall’attività fisica. In questi pz vi è un aumento del rischio di aterosclerosi ma non sono presenti
xantomi tendinei.
IPERTRIGLICERIDEMIA:
Livelli elevati di TG nel plasma possono essere dovute a un aumento dei livelli di VLDL (tipo IV) o all’aumento combinato di VLDL e
chilomicroni (tipo V). Raramente sono levati solo i livelli di chilomicroni (tipo I). Il plasma diventa torbido quando i livelli di TG> 400
mg/dl, poichè chilomicroni e VLDL diventano abbastanza grandi da riflettere la luce. Quando sono presenti chilomicroni, uno strato
cremoso galleggia sulla superficie del plasma conservato al freddo per qualche ora. Gli xantomi tendinei e gli xantelasmi non si
osservano dell’ipertrigliceridemia isolata, ma possono comparire xantomi eruttivi e piccole papule di colore rosso-arancione sul
tronco e sugli arti quando TG>100 mg/dl. A livelli così elevati di TG si manifesta anche la lipemia retinale (vasi retinici appaiono di
colore arancione-giallo). La pancreatite è il rischio maggiore associato a concentrazioni elevati di TG.
L’aumento dei TG plasmatici è spesso associato a una maggior sintesi e secrezione di TG delle VLDL da parte del fegato. La sintesi
epatica di TG è regolata dal flusso di substrato (la disponibilità di acidi grassi liberi), dal bilancio energetico (quantità di glicogeno
epatico) e dallo stato ormonale (insulina e glucagone). L’obesità e l’eccessivo consumo di zuccheri semplici e grassi saturi,
l’inattività, il consumo di alcole l’insulino-resistenza sono condizioni comunemente associate all’ipertrigliceridemia.
1. IPERTRIGLICERIDEMIA FAMILIARE: autosomica dominante, fisiopatologia complessa: data sia da un ridotto catabolismo
delle lipoproteine ricche di TG sia da un’eccessiva produzione di VLDL. I pz sono esposti a un rischio di cardiopatia
coronarica moderatamente aumentato.
2. DEFICIT FAMILIARE DI LIPASI LIPOPROTEICA: autosomica recessiva, l’alterazione o l’assenza di LPL comporta un accumulo
di chilomicroni a livello plasmatico. Le manifestazioni iniziano nell’infanzia e comprendono pancreatite, xantomi eruttivi,
epato- e splenomegalia, infiltrazione del midollo osseo da parte di cellule schiumose, la lipemia retinale, mentre
l’aterosclerosi non viene accelerata. La conferma di tale malattia si ottiene con la dimostrazione che i livelli di LPL nel
plasma non aumentano dopo la somministrazione di eparina (che normalmente libera LPL dalle superfici endoteliali). Le
manifestazioni cliniche regrediscono con una dieta priva di grassi. La forma eterozigote di questo deficit è una forma
attenuata, anche se in caso di diabete scarsamente controllato, obesità, eccessivo consumo di alcol, terapia estrogenica e
gravidanza si può manifestare con una grave ipertrigliceridemia.
3. DEFICIT FAMILIARE DI APO CII: autosomica recessiva, causa un deficit funzionale di LPL e le manifestazioni cliniche sono
del tutto simili a quella sopra (2). Il deficit di CII impedisce l’idrolisi dei chilomicroni e delle VLDL, le quali si accumulano
nel sangue.
4. DEFICIT LIPASI EPATICA: il deficit totale di HTGL è una rara malattia autosomica recessiva che impedisce il catabolismo
finale e/o il rimodellamento delle piccole VLDL e delle IDL. Per cui i pz avranno livelli elevati di residui delle VLDL e anche il
livelli delle HDL2 saranno alti, poiché HTGL partecipa alla conversione di HDL2 in HDL3.
1. IPERLIPIDEMIA FAMILIARE COMBINATA (FCHL): il difetto alla base di questa malattia non è noto, benchè mutazioni o
polimorfismi nel gene di LPL o nei geni delle apo AI, apo CIII e apo AIV potrebbero contribuire allo sviluppo della patologie
in alcune famiglie. L’insulino-resistenza è presente in molti soggetti con FCHL: l’associazione potrebbe essere dovuta a
una aumento del flusso di acidi grassi liberi che guida l’assemblaggio e la secrezione delle lipoproteine apo B100.
FCHL è associata a un aumento della secrezione delle VLDL, ma nel complesso le numerose variazioni sul catabolismo
delle VLDL, associate a un’eterogeneità genetica e una variabilità ambientale fra loro legate, sono alla base del fenotipo
estremamente variabile di questa malattia. È presente aumentato rischio di aterosclerosi, plasma chiaro, ma sono assenti
xantomi e xantelasmi.
2. DISBETALIPOPROTEINEMIA: (rara, 1:10.000) è dovuta a una condizione di omozigosi per apo E2, una forma di apo E con
scarsa affinità e legame deficitario. Poiché apo E svolge un ruolo cruciale nel catabolismo dei chilomicroni e dei residui di
VLDL, i soggetti affetti presentano un aumento sia dei TG delle VLDL sia del colesterolo VLDL e residui dei chilomicroni nel
plasma e a digiuno. I pz possono presentare xantomi tuberosi e depositi di colesterolo nelle pieghe palmari (strie
palmari), che si presentano come linee giallo-arancione e sono caratteristiche di questa patologia. Il rischio di
aterosclerosi e delle complicanze associate è aumentato. L’incidenza di una patologia vascolare periferica è maggiore
rispetto all’ipercolesterolemia familiare.
Vengono definiti bassi questi valori quando il colesterolo delle HDL<35 mg/dl nell’uomo e < 40-45 mg/dl nella donna. Solitamente
sono associati a una contestuale ipertrigliceridemia, anche se nell’ipoalfalipoproteinemia primitiva questo non avviene (forma in cui
le HDL sono marcatamente diminuite, ma i TG sono normali). Questa relazione deriva da:
1. Trasporto mediato dalla CEPT (proteina di trasferimento) degli esteri del colesterolo dal core delle HDL alle VLDL.
2. Dal passaggio di componenti di superficie, particolarmente i fosfolipidi apo CII e apo CIII, dalle HDL alle VLDL.
3. Dall’aumento del catabolismo frazionato delle apo AI povere di esteri di colesterolo che derivano dai primi due
processi.
La presenza di bassi livelli di HDL è clinicamente silente e il plasma è limpido se non vi è aumento di TG.
Diabete mellito: nel tipo 1 con chetoacidosi diabetica l’ipertrigliceridemia può essere grave a causa dell’aumento sia delle
VLDL sia dei chilomicroni e queste alterazioni sono associate a un deficit di LPL secondario all’isulinopenia. Solitamente
migliorano con uno stretto controllo del diabete. Nel DM di tipo 2 l’insulino-resistenza e l’obesità si associano
determinando un aumento dei TG lieve o moderato e bassi livelli di colesterolo HDL. Le LDL sono solitamente normali nel
DM 2, benchè esse siano piccole, dense e aterogene.
Ipotiroidismo: LDL possono essere elevati anche in pz con la malattia subclinica
Malattie renali: determinano un ampio spettro di alterazioni dei lipidi. La sindrome nefrosica può essere accompagnata
da un aumento delle LDL e/o VLDL e la gravità dell’iperlipidemia è correlata con il grado di ipoproteinemia. L’insufficienza
renale è associata a ipertrigliceridemia e a scarse HDL.
Etanolo
Malattie epatiche: cirrosi biliare primitiva e ostruzione vie biliari extraepatiche possono causare un’ipercolesterolemia
caratterizzata da livelli elevati di una lipoproteina anomala, detta lipoproteina X.
AIDS: l’uso di terapie con inibitori della proteasi è associata a una sindrome metabolica generalizzata che comprende
anche aumento dei TG, alterazioni nella distribuzione del grasso corporeo e talvolta DM di tipo 2.
DIAGNOSI: anche se l’indicazione iniziale di un’anomalia del metabolismo delle lipoproteine emerge da una valutazione dei TG e del
colesterolo ematici, le malattie sono dovute ad alterazioni di specifiche lipoproteine. Quindi, le analisi dovrebbero valutare i livelli
di VLDL, LDL e HDL. Le misurazioni dirette delle LDL plasmatiche necessitano di laboriose tecniche di centrifugazione, mentre le
concentrazioni di colesterolo LDL possono essere stimate indirettamente quando i TG<400 mg/dl con la seguente equazione:
In soggetti con TG>400 mg/dl e in soggetti con disbetalipoproteinemia (rapporto TG e colesterolo delle VLDL è marcatamente
inferiore a 5) questa equazione non può essere applicata. In queste due situazioni si usano tecniche di ultracentrifugazione per
misurare il colesterolo LDL.
APPROCCIO AL PZ:
-Modificazioni dietetiche: è fondamentale fornire adeguati consigli circa la dieta, l’esercizio fisico, il fumo e altri fattori legati allo
stile di vita che possano aumentare il rischio di cardiopatia coronarica. La dieta deve essere povera di colesterolo e di grassi saturi. I
carboidrati sono i tipici alimenti utilizzati per sostituire i grassi nei pz con ipercolesterolemia isolata. E’ necessario porre attenzione
all’entità delle porzioni: una porzione di carne ricca di proteine e grassi in un dato pasto dovrebbe essere inferiore a 115 g.
-Prevenzione primaria: si raccomanda la valutazione del profilo lipidico ogni 5 anni in tutti i soggetti con età superiore ai 20 anni. Gli
obiettivi della prevenzione primaria includono livelli di LDL<130 mg/dl, TG<150mg/dl, HDL>40 mg/dl negli uomini e HDL>50 mg/dl
nelle donne. E’ essenziale valutare inoltre la presenza dei seguenti fattori di rischio:
Ricorda che HDL>60 mg/dl sono considerati protettivi e in grado di annullare un altro eventuale fattore di rischio.
Nei soggetti con meno di due fattori di rischio è sufficiente modificare lo stile di vita ed eseguire nel tempo un follow up se LDL<160
mg/dl , se invece LDL>190 è indicata una terapia farmacologica.
In presenza di due o più fattori di rischio è necessario associare alla dieta una terapia farmacologica se LDL>130 mg/dl.
-Prevenzione secondaria: riguarda i soggetti con pregressa cardiopatia coronarica e l’obiettivo terapeutico è quello di ridurre LDL
sotto i 130 mg/dl e per fare ciò è necessaria l’associazione di una dieta oltre al trattamento farmacologico.
Esistono inoltre i derivati dell’acido fibrico che rappresentano un trattamento di seconda scelta per l’ipercolesterolemia, mentre
sono molto efficaci nel ridurre i livelli dei TG.
MALATTIE PARATIROIDI
IPERPARATIROIDISMO
L’iperparatiroidismo definisce un quadro metabolico derivante da eccessiva secrezione di PTH, e si distingue in
primitivo, legato ad una sregolata o autonoma secrezione, e secondario all’ipocalcemia cronica. Nel tipo primitivo
l’alterazione caratteristica è l’ipercalcemia, accompagnata ad ipofosforemia, ad ipercalciuria e iperfosfaturia.
L’ipercalcemia dovuta ad iperparatiroidismo è:
- per l’80% associato ad un adenoma, a singola ghiandola;
- solo raramente legato ad un carcinoma(1-3%);
- nel 15% dei casi si tratta di un’iperplasia paratiroidea a cellule principali, per cui vi è coinvolgimento di tutte e 4 le
ghiandole, che risultano iperfunzionanti; trattasi di una condizione ereditaria, associata frequentemente ad altre
patologie endocrine, quindi riscontrata nell’ambito della MEN 1, MEN 2A, prevalentemente. L’iperplasia delle
paratiroidi è inoltre spesso presente nei pazienti affetti da ipercalcemia ipocalciurica familiare.
[All’istologia sia l’adenoma che l’iperplasia presentano una predominanza di cellule principali. Talvolta l’adenoma può
essere incapsulato da tessuto normale, mentre le altre ghiandole sono normali con una normale distribuzione di
tessuto adiposo ed una cellularità uniforme. L’iperplasia può essere caratterizzata da asimmetria delle ghiandole e
scomparsa di tessuto adiposo. Differente il carcinoma che, spesso invasivo nei confronti della capsula e metastizzante
a distanza, è caratterizzato da un incremento del tessuto fibroso nello stroma ghiandolare e un aumento del numero
delle cellule in mitosi.] All’ipercalcemia dovuta a ipertiroidismo, è seconda per frequenza l’ipercalcemia d’origine
neoplastica, da riferire a tumori sia solidi, come quelli del polmone, della mammella, sia ematologici, come mieloma
multiplo. In questo caso l’ipercalcemia è indice di progressione tumorale se in presenza di metastasi osteolitiche,
come è frequente nei tumori polmonari, e un indice precoce tumorale, se in assenza di metastasi, perché il tumore
secerne un fattore paracrino definito peptide correlato al paratormone, PTHrP, che si ritrova in concentrazioni elevate
nel latte materno umano e bovino (per un ruolo nelle contrazioni uterine e altre funzioni, ma di fatti non funzionale
all’omeostasi del calcio). L’azione del PTHrP è basata sulla regione di omologia aminoterminale col PTH, regione
funzionale, che lega il recettore PTH/PTHrP, espresso oltre che sulle cellule paratiroidi, su quelle dell’encefalo, c
parafollicolari, e che, non distinguendo le due molecole, trasmette lo stesso segnale.
Nell’ipercalcemia i livelli ematici di Ca superano il fisiologico range di 8,4-10,4 mg/dl, risultando in un’ipercalcemia
asintomatica nell’80% dei casi, tanto da costituire frequentemente un reperto occasionale agli esami di laboratorio (
almeno per valori fino ad 11,5 mg/dl); nella forma asintomatica il sospetto di neoplasia deve insorgere per un quadro
di anemia, calo ponderale e movimento degli indici infiammatori; inizia a manifestarsi clinicamente tra gli 11,5-12
mg/dl, presentandosi con calcificazioni quando raggiunge i 13 mg/dl; tra i 15 e i 18 mg/dl si palesa un quadro grave di
emergenza caratterizzato da disidratazione, coma, e arresto cardiaco, una condizione definita anche crisi paratiroidea
ipercalcemica (evento raro e tipico tra la terza e la quarta decade).
-letargia, perdita della memoria e della personalità con depressione, apatia, labilità emotiva, raramente franche
psicosi, stupore e coma per interessamento del SNC;
-ipertensione arteriosa per implicazione del sistema reninico, abbreviazione della sistole elettrica cui corrisponde
reperto ECG di accorciamento dell’intervallo QT, bradicardia e blocco atrioventricolare per aumenti acuti di calcemia,
e rare aritmie, per interessamento del sistema cardiovascolare;
-per interessamento neuromuscolare astenia, debolezza della muscolatura prossimale degli arti inferiori, raramente
quelli superiori, ipotrofia muscolare; sintomatologia reversibile dopo correzione chirurgica;
-le manifestazioni gastro intestinali comprendono sintomi aspecifici come anoressia, vomito, nausea, epigastralgie e
stipsi, o specificatamente legati ad ulcera peptica – considerare l’eventuale gastrinoma insorto nell’ambito di una
MEN1- e a pancreatite.
Le forme ossee, precedentemente caratterizzate dal quadro clinico dell’osteite fibroso cistica, con dolori ossei,
fratture spontanee e psuedocisti palpatoriamente apprezabili, sono oggi rare. [L’osteite fibroso cistica è una
manifestazione ossea, considerata caratteristica del 10-25%, associata ad una iperproliferazione degli osteoclasti
giganti multinucleati nelle lacune di Howership ed ad un’iperproduzione di tessuto fibroso, che va a rimpiazzare i
normali costituenti cellulari.] I segni caratteristici e più comuni dell’ipercalcemia derivano dal riassorbimento
subperiostale principalmente a livello delle falangi terminali, che divengono corte e tozze, e delle clavicole. Il reperto
di più frequente riscontro alla radiologia è quello di una demineralizzazione diffusa, o osteopenia. Affianco all’RX
l’utilizzo della TC e della DEXA, densitometria ossea computerizzata a doppia emissione di raggi X, permette un’analisi
quantitativa oltre che visiva della rarefazione dell’osso a cui va incontro il paziente, studiandone la densità minerale.
Con la DEXA si evidenzia nello specifico al radio e alla colonna vertebrale un aumento della densità dell’osso
trabecolare ed una riduzione di quello corticale.
-La prevalenza della nefrolitiasi in pazienti ipertiroidei è variabile tra il 10% e il 40%, mentre soltanto nel 5% dei casi la
nefrolitiasi ha alla base un ipertiroidismo. Il sospetto sorge nel caso di nefrolitiasi recidivante (attacchi ripetuti di
calcolosi renale). La nefrolitiasi, e conseguente ostruzione delle vie urinarie, deriva dall’ipercalciuria, in quanto il calcio
totale filtrato è aumentato in quantità tali che neppure il riassorbimento ulteriore, stimolato dall’iperPTH, è
sufficiente, determinando un aumento del Ca urinario in senso assoluto; si sovrappone il rischio aumentato di
infezioni urinarie favorite dalla maggiore alcalinità delle urine, in cui è aumentata l’escrezione di bicarbonati. Lo stato
ipercalciurico non bilancia, con l’escrezione, l’eccesso ematico di Ca, in quanto oltre al riassorbimento osseo indotto
dal PTH, bisogna considerare un’ipervitaminosi D secondaria, che determina eccesso di assorbimento intestinale.
Infine l’aumentata tendenza all’escrezione di bicarbonati fa tendere all’acidosi, che non soltanto favorisce la
mobilizzazione del Ca, quindi la demineralizzazione ossea, ma fa anche diminuire l’affinità dello ione per l’albumina,
suo trasportatore principale nel sangue, che quindi rilascia facilmente Ca e aggrava il quadro dell’ipercalcemia.
I depositi di Sali di calcio che si realizzano una volta superato il limite di solubilità di 40 si localizzano nei tessuti molli:
-principalmente a livello del parenchima renale determinando nefrocalcinosi e dando il via alla progressione verso
l’insufficienza renale cronica( quadro è ulteriormente aggravato dalla nefrolitiasi e le infezioni);
-a livello di tendini, articolazioni e cartilagini, determinano condrocalcinosi e pseudogotta, tanto precocemente e
frequentemente da essere utilizzati come test di screening.
-a livello di cornea e congiuntiva, determinando cheratite a banda;
-nella cute causando prurito
La diagnosi:
si basa classicamente sul riscontro dell’ipercalcemia, almeno in 3 misurazioni essendo un ormone dello stress,
associata a elevati livelli circolanti di PTH. Inoltre sono presenti ipofosforemia, sebbene i livelli fosforo si basino
essenzialmente sull’apporto dietetico, e iperfosfaturia, nei pazienti con normale funzionalità renale, acidosi
ipercloremica, aumento dei livelli di Fosfatasi Alcalina isoenzima osseo, escrezione urinaria di idrossiprolina e altri
indici di rimaneggiamento osseo. Il tessuto abnorme viene identificato tramite ecografia e scintigrafia delle paratiroidi
con tc-sestamibi o per sottrazione di immagine, tecnica che sfrutta l’assorbimento del radiotallio da parte di
paratiroidi e tiroidi e del tecnezio da parte della tiroide, ma di fatti non risolutiva per masse molto piccole. Segue la
biopsia per eventuale diagnosi differenziale tra adenomi e iperplasia.
La diagnosi differenziale dalle altre forme ipercalcemiche è basata sui livelli di PTH, solitamente ridotti nelle neoplasie,
sarcoidosi, ipertiroidismo, m.di addison, immobilizzazione e farmaci; quando elevati, le uniche condizioni che possono
entrare in diagnosi differenziale sono l’ipercalcemia ipocalciurica familiare, in cui il PTH è in genere normale, e la rara
evenienza di un tumore a secrezione ectopica i PTH. Quando è invece presente ipocalcemia o normocalcemia
associata ad ipotiroidismo può esistere un deficit di Vit D o grave deficit di assorbimento intestinale, ipoalbuminemia o
acidosi. Quando è presente ipercalcemia con alcalosi ipocloremica la causa è da considerarsi non paratiroidea. Se
d’origine iatrogena la sospensione del trattamento dovrebbe ricondurre a normocalcemia.
Terapia:
-nelle forme asintomatiche il trattamento può essere limitato all’idratazione per favorire l’escrezione urinaria di Ca (
almeno 2 lt/die), eventualmente associata a diuretico dell’ansa (furosemide);
-In corso di ipercalcemia grave il trattamento chirurgico è risolutivo:
in corso di adenoma di una ghiandola le altre devono essere biopsate, poiché potrebbe esserci un’iperplasia
asimmetrica
per carcinoma l’intervento è solitamente totale
-per l’iperplasia si effettuano o una paraidectomia subtotale o totale con l’autotrapianto nel braccio di 50-100
mg di tessuto
La chirurgia è eseguita seguendo le linee guida:
- Aumento calcemia di 1 mg/dl almeno rispetto al range fisiologico
- Pericolo di vita
- Riduzione della clearance della cretinina oltre il 30%, e presenza di calcoli renali alla radiografia
- Aumento calciuria dlle 24h oltre i 400mg
- Riduzione massa ossea oltre 2 deviazioni standard al di sotto del valore medio normale
-L’approccio terapeutico farmacologico utilizza bifosfonati, che inibiscono l’osteoclastogenesi e la pompa protonica
espressa sulla superficie degli osteoclasti maturi contrastando il rilascio delle idrolasi acide, e quindi inibiscono del
riassorbimento osseo, SERM, glucocorticoidi.
- la terapia con litio: utilizzata nelle malattie psichiatriche, determina ipercalcemia nel 10% dei casi, non viene
direttamente associata ad un rapporto causa-effetto ma viene dimostrata una dipendeza dalla terapia.
- Ipercalcemia ipocalciurica familiare: trattasi di una sindrome a trasmissione autosomico dominante legata a
mutazione del gene del recettore di sensibilità al calcio paratiroideo espresso sul cromosoma 3; attraverso il
legame dello ione a quest’ultimo, viene soppressa la secrezione, attraverso degradazione all’interno di
vescicole, del PTH. La perdità di sensibilità determina la mancanza del feedback negativo sulle paratiroidi ed
ipersecrezione di PTH. In questi pazienti il riassorbimento di calcio renale è superiore al 99%. Viene
diagnosticato entro i primi 10 anni, con livelli di PTH normali, pochi seni e sintomi, durante screening
familiare. Si studiano calciomimentici, mentre la terapia chirurgica è consigliata solo nei neonati omozigoti
per perdita di funzione, nati da matrimoni tra consanguinei per esempio, in quanto è subito evidente la grave
ipercalcemia.
- Malattia di jensen: associata a mutazioni del recettore del paratormone, con trasmissione autosomica
dominante; solitamente è caratterizzata da nanismo ed arti corti secondaria ad anomala maturazione delle
cartilagini di accrescimento. Nella vita adulta si riscontrano anomalie ossee, cona ree cistiche multiple di
riassorbimento.
Ipoparatiroidismo
È la condizione morbosa che risulta da un deficit della secrezione o dell’azione del PTH, caratterizzata sul piano
biochimico dall’ipocalcemia e iperfosforemia, e su quello clinico dai sintomi neuromuscolari e dalla deposizione di
Sali dal calcio nei tessuti molli.
Cause:
Fisiopatologia
Quadro clinico:
Terapia:
-il trattamento dell’ipoparatiroidismo ereditario o acquisito si basa sulla somministrazione di Vitamina D in
quantità in ecceso rispetto alle necessità giornaliere di 200U, questo in quanto la conversione della vitD a
calcitriolo è assai ridotta, per cui la dose indicata è tra 1 e 3 mg/die;
-si consiglia una dieta ricca in calcio
-e povera in sodio, in quanto la correzione con calcitriolo non influenza l’escrezione renale di calcio, che deve
pertanto essere tenuta sotto controllo per evitare ipercalciuria e calcolosi renale. Si possono pertanto
somministrare diuretici tiazidici alla scopo di riudurre la calciuria dii 100 mg/die nei pazienti ipoparatiroidei
sottoposti a trattamento con vitD.
-se alla base dell’ipoparatiroidismo vi è un’ipomagnesemia la reintegrazione di magnesio correggerè questa
condizione; quando la funzionalità renale è normale la magnesuria può essere un buon indice della
reintegrazione di magnesio, che se non somminitrato a sufficienza, bisogna infatti considerare la quota
intracellulare scesa anche di 50 mmol, porterà dopo un breve intervallo di eumagnesemia ad un nuovo crollo.
Per cui la somministrazione di magnesio per via parenterale sarà almeno di 10-14 mmol al fine di correggere
la sintomatologia dell’ipomagnesemia.
Psedoipoparatiroidismo
Si tratta di una patologia ereditaria caratterizzata da sintomi e segni dell’ipoparatiroidismo , tipicamennte
associata a difetti scheleterici e di sviluppo. L’ipoparatiroidismo è dovuto ad un’insufficiente risposta al PTH
da parte degli organi bersaglio. L’iperplasia delle paratiroidi, che esprime una risposta omeostatica
all’ormono-resistenza, determina un aumento del PTH.
Cause:
- Deficit AMPciclico per ridotta quantità di subunità Ga stimolatoria, o con normali livelli, che caratterizza i tipi
Ia e Ib, rispettivamente.
- Il tipo Ia è anche associato alla Sindrome di McCune Albright o osteodistrofia ereditaria, in cui
l’ipoparatiroidismo è in associazione a bassa statura, ipogonadismo, grave ritardo mentale, faccia rotonda,
anomalie scheletriche(brachidattilia) e calcificazion ectopiche
- Il tipo Ib è contraddistinto da una resistenza per difetto recettoriale del PTH, a causa del quale il PTH non
evoca alcuna risposta nella secrezione dell’AMPciclico che si va a valutare.
- Nel tipo II il difetto è distale alla formazione dell’AMPciclico, ed evidentemente la proteina Ga sitmolatoria
sarà normale.
Infine una quadro clinico definito Pseudopseudoipoparatiroidismo è caratterizzato dalla presenza delle sole
stigmate somatiche, in assenza di una resistenza al PTH.
La diagnosi di resistenza ormonale viene posta per storia familiare positiva per difetti di sviluppo e/o la
presenza di anomalie come la brachidattilia, in associazione con segni e sintomi di ipoparatiroidismo. In tutti i
tipi i livelli di PTH sono elevati, mentre la risposta dell’AMPciclico urinario è ridotta nel tipo Ib.
Il trattamento del PTH è tipico dell’ipoparatiroidismo, se non per le dosi di vitaminaD e calcio che sono di
solito inferiori.
SURRENE
Valutazione della funzionalità
Livelli ematici: - secrezione basale ACTH a ritmo circadiano, con livelli bassi serali
- Attività reninica plasmatica caratterizzata da un picco di attività al mattino e da una riduzione nel pomeriggio
- Oltre all’attività reninica è possibile misurare il livelli di renina circolanti
- Steroidi: sia cortisolo che aldosterone vengono secreti in modo episodico e solitamente i livelli si riducono
durante il giorno, con un picco al mattino; l’aldosterone subisce inoltre un rialzo dopo un’eccessiva
assunzione di potassio, o una restrizione di sodio
Livelli renali:
- Cortisolo libero urinario, più alto nelle ore diurne tra le 7 e le 19
- Cortisolo plasmatico: 5-15μg/100ml ore 8 del mattino
Test di stimolazione: vengono utilizzati solitamente per la valutazione della riserva surrenalica di cortisolo e
dell’attività del sistema renina-angiotensina:
Di maggiore importanza sono i test di soppressione, che si basano sulla misurazione della risposta di un ormone
bersaglio in sueguito alla soppressione standardizzata della sua tropina (somministrazione di glucocorticoidi al fine di
inibire l’asse ipofisi-surrenalico) e che sono utilizzati per documentare un’ipersecrezione di ormoni surrenalici,
principalmente gli stati di ipercostisolismo.
Sindrome metabolica definita dall’eccesso di cortisolo plasmatico, caratterizzato da obesità truncale, strie
addominali rubre, astenia, facile affaticabilità, edema, glicosuria, osteoporosi.
Cause:
- Iperplasia surenalica bilaterale:nella maggior parte dei casi dovuta ad iperproduzinoe ipofisaria di ACTH O alla
produzione ectopica di ACTH. -> Per adenoma ipofisario secernente; solo questi pazienti ritenuti affetti dalla
malattia di Cushing.
- Tumori non ipofisari secernenti ACTH O CRH che causino iperplasia surrenalica: prevalentemente carcinomi
polmonari a piccole cellule, tumori pancreatici, ovarici (l’insorgenza in questi casi può essere improvvisa),
carcinoma midollare della tiroide -> in questi casi la presenza di iperpigmentazione indica il tumore
extrasurrenalico (con localizzazione intra ed extracranica)
- Nel 20 25% dei casi si tratta di un tumore surrenalico, sia un adenoma secernente cortisolo che un carcinoma,
anche se raro; i tumori sono solitamente monolaterali e maligni
- Cause iatrogene: somministrazione di steroidi a scopo terapico può indurre un Cushing esogeno
Segni e sintomi
- Strie rubre e cute assotigliata 85% ->pletora facciale, acne, facile lesività della cuta ed infezioni: per
degradazione del collagene indotto dai glucorticoidi;
- Osteopenia con fratture fino ad osteoporosi 50%i: il cortisolo inibisce la produzione di osteoprotegerina e
favorisce l’osteoclastogenesi, quindi la demineralizzazione;
- Intolleranza al glucosio e diabete mellito 2 (60%): essendo un ormone interprandiale ha attività
iperglicemizzante
- Obesità e aumento ponderale 95%: allo stimolo differenziativo in senso adipocitario e all’attivazione della
lipoproteinlipasi si aggiunge la capacità dell’ormone di legare con la stessa affinità i recettori
mineralcorticoidi->quindi effetto del cortisolo dove prevale un effetto mineralcorticoide (per iperfunzione
dell’isoenzima della 17β-deidrogenasi di tipo 1)->determina un’obesità definita centripeta a sede
sottocutanea-> collo taurino, gibbo a dorso di bufalo, facies lunare e rapporto vita/fianchi aumentato; ed in
sede viscerale->peritoneo e mediastino
- Le seguenti complicanze sono dovute ad una effetto inibitorio del cortisolo sul rilascio delle altre tropine
ipofisarie, in particolare GH e gonadotropine:
o ipogonadismo secondario:
Riduzione libido 90%
Irregolarità mestruali, con amenorrea, per ipogonadismo secondario 80%
Irsutismo 75%
o Riduzione crescita lineare (bambini) 80%
- Ipertensione 75%
- Depressione/labilità emotiva 70%
- Suscettibilità alle ecchimosi 65%
- Astenia, causata da atrofia muscolare per aumentato catabolismo proteico 60%
- Nefrolitiasi 50%
- Suscettibilità alle infezioni per effetto antiinfiammatorio e immunosoppressivo, a basse e ad alte dosi
rispettivamente
Diagnosi (fare riferimento al paragrafo iniziale su surrene per approfondire i test e i valori)
- Cortisolemia non accurata-> accertata ipercortisolemia per positività ai test overnight con soppressione da
Desemetasone, cortisolo urinario e/o salivare
- DIAGNOSI DELLA CAUSA:
Quando cortisolo sopra 15μg/dl + ACTH >15pg/L -> malattia di Cushing(adenoma ipofisario) o secrezione
ectopica da tumori non ipofisari (sindrome di Cushing)
Quando cortisolo > 15μg/dl + ACTH <5pg/L -> ipercortisolismo ACTH INDIPENDENTE -> adenoma surrenalico o
carcinoma: solitamente la diagnosi differenziale dal carcinoma si basa su livelli più elevati del cortisolo e
l’ipersecrezione di androgeni, che caratterizzano l’irsutismo e la virilizzazione nel caso di carcinomi; inoltre
sulla dimensione del tumore alla radiologia: se >5 cm quasi sicuramente carcinoma.
Terapia:
- Chirurgia per ADENOMI e CARCINOMI surrenalico + trattamente pre- o postoperatorio per eventuale atrofia
della ghiandola controlaterale;
- Chirurgia per ADENOMI IPOFISARI o ectopici secernenti
- Irradiazione dell’ipofisi, rara, se il trattamento chirurgico non è risolutivo
- Inibizione enzimatica con inibitori della steroidogenesi: chetoconazolo, mitotane.
IPERALDOSTERONISMO
Raramente:
Segni e sintomi:
- Ipertensione arteriosa – non associata ad edema- nel 100% dei casi: la principale azione dell’aldosterone si
esplica a livello del tubulo renale contorto distale e del dotto collettore facilitando l’espressione dei canali
del sodio e favorendone il riassorbimento, e di conseguenza causando il riassorbimento di acqua -> sodio
volume dipendente
- Ipopotassiemia: la deplezione del K+ è responsabile delle manifestazioni neuromuscolari -> astenia,
debolezza e crampi muscolari, parestesia
- Ipernatremia
- Alcalosi metabolica e acidificazione urine
- Iposecrezione di renina
- Poliuria
- Polidipsia
- Alterazioni ECG con aritmie cardiache ed extrasistoli
DIAGNOSI:
- ARR : rapporto aldosterone/Attività plasmatica reninica > 30, con aldosterone >15 ng/dl; oppure
aldosterone/renina>3.8
- Conferma con infusione di soluzione salina
- Se non vi è soppresione da soluzione salina: Tc o RM
- Mancata individuazione del tumore -> dosaggio aldosterone plasmatico dopo soppressione con
desametasone: soppressione mancata-> iperplasia idiopatica
TERAPIA:
- Chirurgia per via laparoscopica
- Dieta iposodica + antagonisti dell’aldosterone, spironolattone: la terapia cronica nel maschio comporta
ginecomastia, diminuzione della libido e impotenza.
IPOSURRENALISMO E ADDISON
Distinguiamo due tipologie di insufficienza surrenalica, primitiva, che vede atrofiche tutte e tre le zone reticolata,
fascicolata e glomerulare, con deficit generale, dovuta a carenza di produzione o secrezione, e secondaria o terziaria
ad un deficit di stimolazione ipofisario-ipotalamico, in cui prevale la carenza di glucocorticoidi, per atrofia limitata
principalmente alla corteccia reticolare e fascicolare, il cui trofismo è ACTH-dipendente. Sul piano clinico la
conseguenza dell’iposurrenalismo varia in rapporto alla rapidità di evoluzione del processo morboso (acuto o cronico)
e all’estensione delle lesioni.
Si tratta di una malattia da insufficienza surrenalica cronica con pari incidenza nei due sessi e possibile ad ogni età; è il
risultato della distruzione parenchimale che coinvolga più del 90% delle ghiandole prima che si manifestino i sintomi e
i segni dell’insufficienza.
Segni e sintomi:
Laboratorio e diagnosi
- Iponatremia
- Iperkaliemia
- Angiotensina e vasopressina elevati
- Cortisolemia basale inferiore a 18μg/dl e cortisolo libero urinario ridotto(+aldosterone ridotto = i. primitiva; +
aldosterone normale=i.secondaria)
- ACTH elevato
- Cortisolo e aldosterone ridotti anche dietro stimolazione con ACTH(vedi test da stimolo con ACTH)
- Elettrocardiogramma alterato
- Anemia normocitica, linfocitosi, eosinofilia; nel caso di patologia autoimmune, per coinvolgimento della
mucosa gastrica si può avere anemia megaloblastica
Terapia
- Deve essere instituita una terapia sostitutiva con idrocortisone (analogo del cortisone) somministrato per via
orale alla dose di 20-30 mg/die;
o da assumere durante i pasti con il latte o un antiacido, in quanto aumenta l’acidità gastrica(tra le
complicanze prima la gastrite)
o in 2 momenti per riprodurre il normale ritmo secretivo diurno (2/3 della dose al mattino e 1/3 nel
tardo pomeriggio).
o Da ridurre se compaione sintomi psichici come irritabilità, insonnia ed eccitazione mentale
o Da ridurre nell’ipertensione e nel diabete mellito
o Da aumentare nell’obesità ed in terapia con anticonvulsivanti
o Da raddoppiare (almeno) in condizione di stress, come febbre, interventi chirurgici o estrazioni
dentarie, e nel caso assunta per via parenterale
- Supplemento di mineralcorticoidi (fluidrocortisone): 0.05-0.1 mg/die (da aumentare nei periodi di aumentato
esercizio fisico)
- Apporto di sodio con la dieta elevato( 3-4 g/die)
- Androgeni nelle donne per aumentare la densità ossea
FEOCROMOCITOMA
È un tumore delle cellule cromaffini della midollare del surrene, cellule di derivazione neuroectodermica. Dalla
cresta neurale da cui provengono alcune di queste cellule migrano verso la midollare del surrene mentre altre si
localizzano nei paragangli extrasurrenalici: strutture di piccolo dimensioni associate al sistema nervoso autonomo,
che talvolta possono riunirsi in masse di dimensioni maggiori come l’organo di zuckerkanland, normalmente
destinato all’atrofia. Può insorgere a tutte le età, con una maggiore frequenza fra i giovani e con una prevalenza
nelle donne.
La secrezione principale del tumore è associata e quasi mai esclusiva delle 2 catecolamine con percentuale
maggiore di noradrenalina nei tumori extrasurrenalici, e di adrenalina in quelli surrenalici, in quanto nel surrene vi
è già un eccesso di enzimi metilanti. Inoltre si possono trovare una serie di peptidi che contribuiscono alla
sindrome paraneoplastica. La secrezione non avviene per stimolazione nervosa come per la midollare sana, ma
probabilmente per una variazione del flusso sanguigno o per necrosi all’interno del tumore, essendo tumori molto
vascolarizzati. Inoltre la secrezione non risulta continuativa ma episodica, poiché il tumore immagazzina ormoni in
attesa di stimoli, come può essere il clinostatismo, la palpazione nella sede del tumore, sforzi, minzione nel caso
di paraganglioma vescicale, e così via.
Sedi:
Sindromi familiari:
Fisiopatologia:
La noradrenalina ha un effetto prevalente sui recettori α-adrenergici e la sua azione si riflette nella costrizione
arteriolare con riduzione del raggio del vaso e aumento dei livelli pressori.
L’adrenalina agisce a livello dei recettori sia α che β-adrenergici, la stimolazione dei quali provoca la vasodilatazione
delle arteriole muscolari con effetto antiipertensivo. Tuttavia la stimolazione β-adrenergica da parte dell’adrenalina a
livello cardiaco determina un aumento della forza e delle frequenza di contrazione.
La liberazione eccezionale nel sangue di catecolamine determina crisi ipertensive, associate però, al prevalere
dell’adrenalina, ad aumento pressorio, crisi di malessere, cefalea, sudorazione, tremori e angoscia(per azione sul SNC).
L’ipotensione ortostatica è più tipica dei tumori maligni che secernono grosse quantità di adrenalina, con effetto
antipertensivante periferico.
La “tempesta di catecolamine” si ha per eventi necrotici-emorragici al centro dei feocromocitomi, con abnorme
rilascio di catecolamine che vanno a determinare lesioni delle cellule miocardiche nonché aumento della permeabilità
dei vasi polmonari, da cui l’edema (può essere il primo segno).
Quadro clinico:
La maggior parte dei pazienti presenta una prima crisi ipertensiva, per la quale si rivolge al medico, associata a
parossismi, crisi ansiose, ipertensione non sensibile al trattamento convenzionale, e meno comunemente per shock
post chirurgico e ipotensione inspiegata.
Ipertensione e crisi: persistente e parossistica, solitamente grave, maligna, resistente agli antipertensivi;
lo 0.1% degli ipertesi mostra feocromocitoma a monte; possono essere rare e distanziarsi di mesi e
durare da pochi secondi a diverse ore; la loro gravità e frequenza peggiora col tempo. Nel 20% la
pressione è a livelli normali con picchi ipertesi; nel 30% è persistente l’ipertensione, con episodi; un 30%
presente ipertensione stabile senza parossismi; nel 15% è del tutto irregolare.
Manifestazioni caratteristiche che predispongono il paziente a shock in corso di interventi chirurgici:
- aumento metabolismo,
- sudorazione profusa,
- perdita di peso da lieve a moderata
Manifestazioni cardiache: angina e possibilità di infarto del miocardio, con manifestazioni ECG legate ad
alterazione ST, T, U elevate, blocco di branca dx e sx, sovraccarico vt sx.
Edema polmonare
Intolleranza ai carboidrati, per inibizione della sintesi insulinica e della stimolazione epatica alla sintesi di
glucosio
Ematocrito elevato
Febbre, VES elevata
Poliuria
Rabdomiolisi con mioglobinuria, probabilmente per vasocostrizione e ischemia muscolare
Diagnosi:
Livelli aumentati di catecolamine urinarie nella raccolta 24h: valori normali tra 100 e 150μg -> in caso di
feocromocitoma superiori a 250μg
Livelli aumentati di metanefrine e acido vanilmandelico nelle 24h urine: valori normali di 1,3 mg e 7 mg
rispettivamente -> in feocromocitoma: triplicati almeno
Dati i livelli elevati si fanno test di conferma:
Con fentolamina( 5mg in bolo dopo una dose di 0,5 mg prova) allo scopo di ridurre la pressione arteriosa
-> mancata soppresione -> test positivo al feocromocitoma
Test di stimolazione (pericolosi) con glucagone per indurre crisi ipertensiva e rialzo delle catecolamine
circolanti nei paznt con feocromocitoma, eventi che non sono rilevabili nel soggetto normale.
Una volta fatta diagnosi esami strumentali:
- Surrenalico -> RM o TC
- addome extrassurenalico->RM
- Toracico -> RX o TC
i. Se le indagini danno esito negativo ->aortografia addominale
ii. Se negativo -> sampling venoso dalla cava superiore e dalla cava inferiore per
identificare il territorio di distribuzione
iii. Angiografia selettiva
a. Scintigrafia con MIBG (radioiodio che viene captato dal tumore dai
processi di captazione amminica)
terapia:
La crisi ipertensiva si tratta con fentolamina endovena, ad esempio durante il test da stimolazione
Terapia solitamente chirurgica:
- Necessita di preparazione preoperatoria: blocco α-recettoriale (fenossibenzamina) per i
precedenti 14 giorni aumentando la dose ogni giorno di 10-20mg partendo da 10 mg ogni 12 ore
+ β-bloccanti, solo dopo aver ottenuto il blocco α, con propanolo(10mg 3-4/die) per
antagonizzare la vasodilatazione nella muscolatura scheletrica.
Nel caso di gravidanza: il tumore tende a crescere esponenzialmente, in quanto espone recettori del
progesterone; la rimozione chirurgica deve essere immediata l momento della diagnosi se la gravidanza è
agli inizi, preparando la paziente con fenossibenzamina, non avendo dato questi farmaci effetti
collaterali; la terapia è con farmaci antiadrenergici dal terzo trimestre, quando vi è maturità sufficiente
del feto, a scopo preparatorio per il taglio cesareo e la successiva rimozione del tumore.
Ipotiroidismo
L’ipotiroidismo nella gran parte dei casi è primitivo, cioè dovuto a malattie che colpiscono direttamente la tiroide con
conseguente compromissione della secrezione ormonale. Meno frequentemente viene ad essere causato da malattie
ipotalamo-ipofisarie che compromettono il rilascio del TSH (ipotiroidismo secondario e terziario). Raro è
l’ipotiroidismo causato da resistenza recettoriale (sindrome di Refetoff). L’ipotiroidismo primitivo può essere distinto
in congenito e acquisito: il primo può essere a sua volta sporadico o endemico.
Forma di ipotiroidismo primitivo presente fin dalla nascita, con una prevalenza variabile in base alle aree geografiche:
nelle aree endemiche gozzigene la frequenza di tale patologia è correlata alla carenza di iodio. L’endemia viene ad
essere distinta in 3 gradi: il 1° grado con ioduria 50-100 ug/g creatininemia, il 2° 25-49 ug/g, il 3° < 25ug/g con TSH alla
nascita <50 mU/L.
La carenza iodica rappresenta la causa di ipotiroidismo congenito endemico, mentre quello sporadico è provocato più
frequentemente da disgenesia tiroidea o più raramente da disormonogenesi da difetti genetici. La disgenesia tiroidea
si presenta come condizione sporadica isolata e non si associa in gran parte dei casi ad alterazioni genetiche specifiche
tranne nel caso del gene PAX8 che regola lo sviluppo ghiandolare. Tale mutazione è stata riscontrata nei casi di
iplopasia tiroidea o ectopia tiroidea. Quello disormonogenetico è causato da mutazioni germinali di geni che
traducono per proteine essenziali all’ormonogenesi tiroidea con una manifestazione modesta o subclinica. Si può
avere una mutazione del NIS che causa malattia autosomica recessiva. Altra malattia autosomica recessiva è la
sindrome di Pendred, caratterizzata da ipotiroidismo e sordità neurosensoriale, per un difetto nell’organificazione.
Altre cause sono difetto di sintesi di Tg e H2O2. Esistono alcune forme di ipotiroidismo congenito transitorio: nei
bambini prematuri si può osservare un difetto nel metabolismo dello iodio; un ipotiroidismo di alcune settimane può
conseguire ad assunzione di iodio o farmaci antitiroidei dalla madre; un ipotiroidismo transitorio è dovuto alla
presenza di anticorpi materni inibenti contro il TSHR i quali hanno attraversato la placenta e permanere nel circolo
neonatale per alcuni mesi.
Gli ormoni tiroidei svolgono la loro azione sullo sviluppo dello scheletro e del SNC. La carenza di ormoni tiroidei nei
primi anni di vita può causare danni all’SNC dove gravità e reversibilità dipendono dall’ipotiroidismo fetale e rapidità
dall’inizio della terapia. Nelle aree endemiche, la ridotta funzionalità tiroidea sia nella madre che nel feto comporta la
comparsa precoce di ipotiroidismo nella vita fetale, con conseguenze nello sviluppo del SNC. Nell’ipotiroidismo
congenito sporadico, in quanto la madre riesce a supplire al deficit ormonale tale condizione si sviluppa generalmente
alla nascita e le conseguenze meno gravi. Comunque, anche nelle forme sporadiche il deficit intellettivo può diventare
importante se non viene intrapresa una terapia sostitutiva precoce. La carenza di ormoni tiroidei causa anche un
difetto di accrescimento che esita in bassa statura definita “bassa statura”. Quest’ultima è caratterizzata da uno
sproporzionato accrescimento degli arti rispetto al corpo, espressione di un difetto d’azione sulle cartilagini di
accrescimento (disgenesia epifisaria).
Nelle forme endemiche il sintomo sempre presente è il cretinismo, cui si associano mixedema e nanismo invece nelle
forme disormogenetiche è presente gozzo. I segni clinici di ipotiroidismo sono l’ittero prolungato, la difficoltà
all’alimentazione, la macroglossia, l’ipotonia muscolare e il pianto rauco. Può essere presente ernia ombelicale e
malformazioni, soprattutto cardiache. Se non corretto, l’ipotiroidismo congenito causa rallentamento della crescita e
bassa statura disarmonica.
Oggi sono in atto programmi di screening effettuati su tutti i neonati che consentono di individuare ipotiroidismo
congenito mediante dosaggio di TSH su una goccia di sangue ottenuta per puntura del calcagno. Lo screening è
giustificato dai seguenti motivi: bassa probabilità di diagnosticare ipotiroidismo su base clinica; elevata frequenza della
malattia; semplicità, costo contenuto e non invasività della procedura; importanza della diagnosi precoce per efficacia
della terapia. Il test di conferma a screening positivo è il dosaggio del pattern ormonale completo. Per la diagnosi
eziologica è utile la valutazione mediante ecografia tiroidea o scintigrafia con 123I, entrabi utili per la diagnosi delle
forme disormonogenetiche. Per la sindrome di Pendred si può eseguire il test al perclorato che è un inibitore della
captazione dello iodio ed è in grado i eliminare tutto lo iodio non organificato. Il perclorato viene somministrato 2 ore
dopo la somministrazione di un tracciante radioattivo: nel soggetto normale la TPO organifica gran parte dello iodio
perciò il perclorato non induce cambiamenti, invece, nel bambino con deficit della TPO, il perclorato induce il rilascio
di una significativa quantità di iodio tanto da causare una riduzione della captazione >5% del basale.
Tiroidite di Hashimoto
La tiroidite di Hashimoto è una malattia autoimmune ad andamento cronico che predilige il sesso femminile (spesso in
età peri- e postmenopausale). L’ipotiroidismo non rappresenta una manifestazione costante nella patologia ma
compare quando il processo autoimmunitario ha causato una distruzione parziale o totale della ghiandola tale
comprometterne la funzionalità. Il rischio di sviluppare ipotiroidismo nei pazienti con tiroidite di Hashimoto aumenta
progressivamente con l’età e la progressione della malattia autoimmune.
La tiroidite di Hashimoto è una malattia a genesi multifattoriale, scatenata da fattori ambientali in soggetti
geneticamente predisposti. L’esistenza di una predisposizione genetica è suggerito da una concordanza elevata tra
gemelli omozigoti rispetto a quelli dizigotici. I primi geni ad essere stati identificati come responsabili della patologia
sono quelli di MHC di classe II (DR3, DR4 E DR5). Nei soggetti predisposti intervengono fattori endogeni ed esogeni alla
sviluppo della tiroidite di Hashimoto: tra i primi si ricorda la gravidanza che comporta profondi e rapidi modificazioni
dell’assetto immunitario invece tra i secondi le infezioni, i farmaci, lo iodio e le radiazioni ionizzanti. Le infezioni
possono scatenare la patologia andando ad attivare le cascate citochiniche responsabili dell’innesco e del
mantenimento della risposta autoimmune “organo specifica”. Una tiroidite di Hashimoto con ipotiroidismo può
comparire anche nei pazienti che assumono immunomodulatori (interferone α). La tiroidite di Hashimoto è frequente
nelle zone ad alto consumo di prodotti ittici crudi ad elevato contenuto di iodio: si pensa che lo iodio inneschi la
risposta autoimmune attraverso un incremento della iodinazione della Tg, che porterebbe alla presentazione di
antigeni tiroidei criptici per i quali non si è sviluppata la tolleranza. Le radiazioni ionizzanti causano la tiroidite
mediante la produzione di radicali liberi con conseguente danno cellulare ed esposizione di autoantigeni.
Nella tiroidite di Hashimoto sono generalmente presenti solo due tipi di anticorpi antitiroide, TgAB TPOAb. Alla base
della patogenesi vi è sia l’azione di alcuni dei TPOAb che possono attivare il complemento e quindi contribuire al
processo di distruzione della ghiandola sebbene sia, e più importante, la risposta autoimmune di tipo cellula-mediata
che coinvolge principalmente i CD8 citotossici. A dirigere tale risposta intervengono citochine e chemiochine prodotte
sia dai linfociti sia dalle cellule follicolari le quali rappresentano non solo il bersaglio dei linfociti ma partecipano alla
cascata patogenetica regolando l’afflusso di linfociti e modulando la loro azione. In seguito allo stimolo citochinico, le
cellule follicolari esprimono 2 marcatori che sono coinvolti nell’induzione dell’apoptosi: Fas e Fas ligando. Nella
tiroidite di Hashimoto, l’attivazione del processo autoimmune induce l’espressione del Fas anche sulle cellule tiroidee,
che quindi sono predisposte a essere distrutte attraverso un processo apoptotico. A livello anatomopatologico,
l’architettura ghiandolare appare alterata per la presenza di un intenso infiltrato infiammatorio interstiziale che
contiene linfociti e plasmacellule, spesso organizzati in follicoli. Il grado di fibrosi varia da caso a caso e in alcune aree
mostra un aspetto ialino, amiloido-simile.
La carenza di ormoni tiroidei provoca effetti generali: rallentamento dei processi metabolici con conseguente
mixedema da accumulo di mucopolisaccaridi, ipercolesterolemia, diminuita sintesi proteica con deficit di enzimi,
ormoni e recettori; minore responsività dei recettori delle catecolamine a livello del SNC con conseguente
diminuzione dell’attenzione, compromissione della memoria, abulia e sintomi depressivi; riduzione dei processi
ossidativi e della produzione di calore con compromissione dell’omeostasi termica; ridotta disponibilità energetica per
tutte le cellule con conseguente riduzione di ogni attività.
Il decorso clinico presenta una fase iniziale asintomatica in cui non vi è ipotiroidismo ma vi può essere gozzo. Tale fase
può essere più o meno lunga, anche durare tutta la vita però si possono avere fasi transitorie di tireotossicosi
espressioni di tiroidite distruttiva. Successivamente, la transizione dell’eutiroidismo all’ipotiroidismo può presentare
una fase di ipotiroidismo “subclinico” caratterizzata da un incremento del TSH con valori di FT4 e FT3 ancora nel range
di riferimento. Anche, quando si sviluppa l’ipotiroidismo, la sintomatologia può essere sfumata. I sintomi avvertiti dal
paziente sono astenia, affaticabilità, ridotta tolleranza al freddo, sonnolenza, stipsi ostinata. Obbiettivamente, si nota
che la voce è roca e profonda, l’eloquio lento, uniforme, privo di variazioni di tono. La succulenza della palpebre, il
pallore, la scarsezza dei movimenti mimici danno al volto un aspetto inespressivo caratteristico. Nei casi più gravi le
alterazioni del voto sono più spiccate: l’edema diffuso, le rime palpebrali ristrette, ii capelli, e le sopracciglia scarsi e la
bocca semiaperta, attraverso la quale si scorge la lingua ingrossata (da infiltrazione mixedematosa), conferiscono al
volto del paziente l’aspetto della facies mixedematosa. Si osserva generalmente un aumento di peso, principalmente
dovuto alla ritenzione di liquidi. L’appetito è ridotto in rapporto al diminuito fabbisogno energetico. La stipsi ostinata,
dovuta a rallentamento della peristalsi intestinale, è sintomo assai frequente. La cute è spessa, secca, pallida, fredda,
talvolta con una sfumatura giallastra per accumulo di carotene. Il mixedema è un edema caratterizzato dalla
consistenza duro-elastica con marcata formazione di fovea alla pressione digitale e dallo sviluppo in sedi
caratteristiche (regioni palpebrali, dorso delle mani e dei piedi, regioni pretibiali e avambracci). Nella fase iniziale della
malattia è presente un aumento di volume della tiroide. La consistenza è aumentata e può essere presente
dolorabilità. Possono anche essere presenti formazioni nodulari che però non sono correlate alla malattia
autoimmune, ma che riflettono coesistenza di un gozzo nodulare. Con il progredire della malattia, la ghiandola diventa
non palpabile o difficilmente palpabile. Nell’ipotiroidismo dell’adulto si ha un rallentamento di tutte le funzioni
intellettive infatti l’atteggiamento psichico del paziente ipotiroideo è caratterizzato da rallentamento dell’ideazione,
perdita della memoria, difetto dell’attenzione, sonnolenza, con rallentamento dei riflessi osteotendinei. Nei soggetti
anziani la sonnolenza spesso è più accentuata sino a raggiungere una vera letargia e in rari casi coma (coma
mixedematoso). Sono presenti stati depressivi e in alcuni casi un vero stato di deterioramento cognitivo, spesso
confuso con la demenza senile. La carenza di ormoni causa bradicardia e riduzione della forza contrattile del miocardio
con riduzione della gittata sistolica. Di conseguenza la portata cardiaca è nettamente ridotta e il flusso sanguigno alla
cute, al cervello e ai reni è diminuito. Si ha inoltre vasocostrizione periferica con aumento delle resistenze e talora
ipertensione. Si stabilisce pertanto una situazione emodinamica caratterizzata da bradicardia, allungamento del
tempo di circolo, diminuzione del flusso ematico ai tessuti, diminuito ritorno venoso al cuore, riduzione della gittata
sistolica. Nonostante la riduzione della gittata sistolica, la differenza arterovenosa di ossigeno è normale e,
diversamente dallo scompenso cardiaco, la gittata cardiaca aumenta se il paziente è sottoposto a sforzo. Tuttavia nelle
forme gravi e di lunga durata di ipotiroidismo può essere complicato da scompenso cardiaco in quanto tale stato
causa lesioni del miocardio (edema interstiziale, rigonfiamento aspecifico delle miofibrille, deposizione di materiale
mucoproteico), configurando il quadro di cuore mixedematosa (anche con cardiomegalia). Si può avere versamento
pericardico, in genere ben sopportato in quanto il liquido si accumula lentamente.
Negli esami di routine gli esami ematochimici mostrano un ipercolesterolemia (>300 mg/dl) e un’anemia. Si tratta di
un’anemia normocromica, normocitica con ridotto numero di reticolociti e quadro di ipoplasia midollare. L’anemia
può aggravarsi bruscamente, divenendo sideropenica nelle pazienti con menometrorragia. Si può osservare anche
un’anemia macrocitica nel caso in cui siano presenti anticorpi diretti contro le cellule parietali associati alla tiroidite di
Hashimoto.
Agli esami immunologici, nelle fasi iniziali sono presenti solo gli anticorpi tiroide, TgAb e TPOAb con normali livelli di
TSH, FT3 e FT4. I TgAb e soprattutto i TPOAb sono importanti per la diagnosi di tiroidite di Hashimoto. Quest’ultima
potendosi associare ad altre malattie autoimmuni rende necessario il dosaggio anche di altri anticorpi anti-parete
gastrica, quelli antiendomisio o antitransglutaminasi e quelli anti-GAD65.
Per lo studio della funzione tiroidea si utilizza il dosaggio di TSH il cui range laboratoristico è compreso tra 0,5 mU/L e
4,5 mU/L. Per completezza diagnostica, il TSH si associa il dosaggio della FT4. La prima fase, quella eutiroidea, può
essere transitoriamente da episodi di tireotossicosi senza ipertiroidismo. L’ipotiroidismo si sviluppa gradualmente con
una fase subclinica che precede la fase conclamata. Tale fase si caratterizza sempre da elevati livelli di TSH e bassi
livelli di FT4, mentre nel 25% dei casi la FT3 è normale.
Tra gli esami strumentali l’ecografia tiroidea è uno strumento utile anche se non indispensabile per l’approccio
diagnostico. Il quadro ecografico è caratterizzato da un’ipoecogenicità più o meno diffusa espressione dell’infiltrazione
linfomonocitaria e della distruzione follicolare. Inoltre l’ecografia consente di evidenziare anche l’eventuale
coesistenza di noduli tiroidei. L’agoaspirato va eseguito solo nei pazienti con evidenza di noduli tiroidei veri.
Esistono forme acquisite e congenite di ipotiroidismo secondario e terziario, che per definizione sono causati
rispettivamente da una ridotta secrezione di TSH e TRH. Tali condizioni possono verificarsi nei pazienti con malattie
ipofisarie o ipotalamiche (malattie infiammatorie, vascolari, neoplastiche, infiltrative) o sotto posti a ipofisectomia o
irradiazione ipofisaria (in questo caso vi sono altre manifestazioni di ipopituitarismo). Le forme di ipotiroidismo
secondario sono per lo più idiopatiche come: mutazioni inattivanti il gene del recettore del TRH, mutazioni del gene
del TSH che ne impediscono la dimerizzazione, mutazioni del fattore di trascrizione ipofisari pit-1 e prop-1. Una forma
iatrogena può essere dovuta dal mitomane, farmaco per trattamento del carcinoma surrenalico. Il quadro bioumorale
è caratterizzato da livelli sierici di FT4 e FT3 inferiori alla norma e valori di TSH inappropriatamente bassi o normali. Il
test al TRH consente di dare informazioni diagnostiche nei casi di ipotiroidismo centrale.
Le mutazioni del TRβ a livello del sito di legame comportandone un’incapacità di legame determinano repressione
della trascrizione del gene bersaglio e sono la causa della sindrome da resitenza agli ormoni tiroidei. I valori di FT3 e
FT4 sono superiori alla norma con valori di TSH inappropriatamente elevati. Il TSH non è inibito dalla somministrazione
degli ormoni tiroidei, ma aumenta in risposta alla somministrazione di TRH. Clinicamente si ha gozzo e la
sintomatologia può variare dall’ipotiroidismo all’assenza di sintomi, alla presenza di tireotossicosi soprattutto cardiaci.
Tali malattie sono a trasmissione autosomica dominante.
DIABETE MELLITO
Definizione
Il diabete mellito comprende un gruppo di disturbi metabolici comuni che condividono il fenotipo di iperglicemia.
Classificazione
• DM1
• DM2
Tabella Harrison
• Diabete di tipo 2 (può variare da una forma con predominante insulinoresisrenza e carenza
rnsulinica relativa a una forma con predominante difetto secretorio e insulinoresistenza}
Glucochinasi (MOOY 2)
HNF-1or (MODY3)
Fattore del promoter insulinico (IPF) l (MODY4 )
HNF- 113 (MOOY 5)
NeuroDl (MODY6)
DNA mitocondriale
Subunità delcanale del potassio sensibile all'AlP
Conversione della proinsulina o dell'insulina
lnsulinoresistenza di tipo A
Leprecaunismo
Sindrome di Rabson-Mendenhall
Sindromi lipodrstrofiche
C. Malattie del pancreas esocrino - pancreatiti, pancreascctomra, neoplasia, fibrosi cistica. emocromatosi,
pancreopatia fibrocalcolosica, mutazioni delle lipasi degliesteri carbossilici
corpianti-recettore dell'insulina
H Altre sindromi genetiche talvolta associate a diabete - sindrome di Down,
sindrome di Klinefelter, sindrome diTurner, sindrome drWolfram, atassia dr fri edrich, corea di
Huntington. sindrome di Laurence-Moon-8redl, distrofia miotonica, porfiria, sindrome di Prader Willi
• la prevalenza del dm in tutto il mondo è aumentata moltissimo negli ultimi due decenni (nel
1985 30 milioni di casi —> 177milioni del 2000)
La prevalenza del dm2 aumenta molto più rapidamente a causa dell’aumento dell’obesità e della
riduzione dell’attività fisica
• Esiste una forte variabilità dell’incidenza in base all’area geografica. Paesi a più elevate
incidenza di dm1 sono quelli scandinavi, paesi ad incidenza intermedia sono l’ EU settentrionale e gli USA.
Paesi a bassa incidenza sono Cina e Giappone.
Patogenesi DM1
Il dm1 è il risultato della combinazione di fattori ambientali, genetici e immunologici che conducono ad una
distruzione AUTOIMMUNE delle cellule beta del pancreas e ad una diminuzione della secrezione di insulina.
In soggetti predisposti uno stimolo infettivo o ambientale (infezione virale o sostanze tossiche) può avviare il processo
autoimmune che porta ad una progressiva distruzione delle cellule beta (che alla nascita sono in numero normale). La
secrezione di insulina viene progressivamente alterata anche se la tolleranza glucidica è conservata. Le manifestazioni
cliniche del dm1 si manifestano quando l’80% delle cellule beta sono state distrutte.
Dopo la presentazione clinica del dm1 si può presentare la fase honey moon in cui la glicemia è controllata con dosi
molto basse di insulina o addirittura senza. Questo avviene quando permangono pochissime cellule beta che cercano
di compensare il danneggiamento delle restanti cellule. Questa fase si esaurisce rapidamente quando anche quelle
ultime cellule beta rimaste vengono distrutte.
Fattore genetico
Il dm1 è una patologia poligenica (ovvero si eredita la suscettibilità al danno e non la patologia!) I fattori genetici che
prendono parte alla patogenesi del DM1 sono sicuramente l’associazione con aplotipi HLA DR3/DQ8. Il peso del
fattore genetico può essere valutato mediante studi epidemiologici basati su gemelli omozigoti. Se un gemello è
affetto da dm1, l’altro avrà il 30% di possibilità di sviluppare la patologia. Questo vuol dire che nella patogenesi del
dm1 il peso del fattore genetico è del 30%, ovvero 1/3.
Fattore Immunologico
In una prima fase il sistema immunitario è sensibilizzato contro le cellule beta a causa delle alterazioni genetiche che
comportano l’iperespressione di antigeni HLA di classe 1 e l’espressione aberrante (su cellule non immunocompetenti)
di antigeni HLA di classe 2. A questa fase segue la risposta immune vera e propria caratterizzata da reazione
linfocitaria (cellule T, reazione cellule-mediata) e da autoanticorpi (ICA) che fissano il complemento. Queste reazioni
sono alla base del danno cellulare.
Quando si ammalano le isole pancreatiche vengono quindi infiltrate da linfoticiti (insulte). Quando tutte le cellule beta
sono distrutte l’infiammazione si arresta, le isole diventano atrofiche e la maggior parte dei marker scompare.
Patogenesi DM2
Gli elementi centrali nello sviluppo del dm2 sono l’insulino resistenza e l’anomala secrezione dell’insulina.
Fattori genetici
Soggetti predisposti ereditano una diminuzione nella secrezione insulinica secondo un meccanismo multifattoriale non
legato ad associazione con HLA e, a differenza del dm1, non comprende meccanismi autoimmuni.
La concordanza tra gemelli omozigoti è del 70-80%, il che vuol dire che se un gemello ha la patologia l’altro avrà l’ 80%
di probabilità di svilupparla. Il peso del fattore genetico è quindi altissimo.
Fattori ambientali
L’obesità, l’alimentazione e l’attività fisica sono tutti fattori ambientali in grado di modulare il fenotipo, determinando
l’espressione clinica delle alterazione genetiche che, in assenza dei fattori ambientali, potrebbero non evidenziarsi
mai.
Fisiopatologia
Le isole non riescono a rispondere adeguatamente allo stimo glicemico in quanto manca quella
primissima fase della secrezione insulinica, ovvero la secrezione di insulina preformata. Quindi ci sarà
secrezione insulinica soltanto quando si raggiungeranno livelli più alti di iperglicemia (rispetto agli standard di
popolazione).
Nel dm2 c’è un difetto nei canali del K+ che non rispondono bene all’afp.
• Insulino-resistenza
L’insulino resistenza è la diminuita capacità dell’insulina di agire efficacemente sui tessuti bersaglio
periferici (soprattutto muscoli e fegato) ed è il risultato di fattori ambientali e genetici.
Il meccanismo molecolare dell’insulina resistenza non è stato chiarito. Si ritiene che un ruolo
fondamentale sia quello del grasso viscerale (=obesità) che, avendo funzioni endocrine, secerne
TNFalfa, resistina, adiponectina, ma soprattutto acidi grassi in quanto è molto sensibile allo stimolo beta
adrenergico. L’aumento degli acidi grassi sarebbe responsabile di un’alterata fosforilazione
del recettore insulinico IRS (normalmente subisce una fosforilazione in tiroxina, mentre in questo caso
la subirebbe in serina).
⁃ al livello epatico l’insulino resistenza è responsabile dell’iperglicemia basale.
Normalmente l’insulina blocca il glucosio all’interno del fegato andando ad inibire la gluconeogenesi
e la glicogenolisi. Se non c’è insulina queste vie metaboliche saranno più attive e ci sarà iperglicemia
interprandiale.
⁃ a lungo andare il pancreas non riesce più a far fronte a questa maggiori richiesta di insulina
si ha un’iposecrezione —> iperglicemia postprandiale
Diagnosi
⁃ > 100 mg/dl ma < 126 mg/dl alterata glicemia a digiuno (IFG)
Soggetti con IFG/IGT hanno una condizione definita come prediate e sono a rischio di sviluppare dm2 (25-40% nei
successivi 5 anni) e patologie cardiovascolari.
• glicemia random > 200 mg/dl + sintomi classici del dm (poliuria, polidipsia, calo ponderale) è
sufficiente per la diagnosi di dm
• in età più giovane in soggetti sovrappeso (BMI > 25 kg/m^2) o che presentino fattori di
rischio per il diabete
Terapia
• obiettivi della terapia
• TMN (terapia medica nutrizionale) consiste nel bilancio ottimale tra apporto calorico e gli
altri elementi del dm.
⁃ Il TMN come prevenzione terziaria sono volte alla gestione delle complicanze
⁃ la dieta comprende un apporto di carboidrati del 40-60% delle kcal totali. Si devono
assumere carboidrati complessi e soprattutto è necessario abbinare l’assunzione di molte fibre in
quanto rallentano l’assorbimento dei carboidrati evitando picchi glicemici. I grassi sono 35% delle
kcal totali e devono essere preferiti quelli vegetali. Le proteine sono un 10-20% delle kcal totali
⁃ L’attività fisica ha effetti positivi come miglioramenti cardiovascolari, riduzione della PA,
mantenimento della massa muscolare, riduzione del peso. 150 minuti a settimana di attività aerobica
distribuiti su 3 giorni
Nei pazienti con dm1 l’attività insulinica endogena è annullata è fondamentale la somministrazione di insulina
terapia insulinica intensiva: mirata a mantenere una quasi normoglicemia a lungo termine in pz con dm1 con lo scopo
di prevenire o ritardare l’insorgenza di complicanze.
▪ Insulina
⁃ Lispro (humalog)
⁃ Aspart (Novorapid)
⁃ Glulisina (Apidra)
⁃ Pronta o regolare: Inizio azione dopo 30 minuti, picco a 3 ore e durata 6-8 h
⁃ Actrapid HM
⁃ Humulin R
⁃ intermedia: maggiore durata d’azione perchè coniugate con sostanze come zinco o
portamina che fanno precipitare la sospensione nella zona di iniezione permettendo un rilascio
graduale e lento. Inizio a 2h, picco a 4-6 h e durata 12-20 h
⁃ Protaphane
⁃ Humulin I
⁃ Glargine (Lantus) e Detemir (Lemevir): una volta iniettata glargine forma dei
microprecipitati e viene assorbita in modo ritardato e costante nel tempo, mimando la secrezione di
insulina normale nei soggetti non diabetici. diminuisce gli episodi di ipoglicemia. Inizio a 90 minuti,
durata 20 ore senza dare picchi di concentrazione.
⁃ iniziezione di due boli di insulina ad azione lenta a colazione e cena. Insulina rapida
a colazione e cena.
Terapia DM2
La cura degli individui con dm2 include il trattamento delle condizione associate (obesità, ipertensione, dislipidemia,
malattie cardiovascolari) e il riconoscimento e trattamento delle complicanze.
• nella grande maggioranza dei casi, almeno nelle fasi iniziali, è sufficiente perdere peso
⁃ biguanidi
⁃ sulfaniluree
⁃ sono farmaci che agiscono direttamente al livello del canali del K+ —>
determinano una depolarizzazione di membrana facendo uscire il K+ e permettendo
l’ingresso d Ca2+. Se non sono ben dosati possono portare all’ipoglicemia perchè agiscono
sul rilascio di insulina in modo indipendente dalla glicemia. Legano il recettore SUR1
associato al canale del K+ ATP-dipendente. Le sulfaniluree sono di prima, seconda e terza
generazione. Quelle di terza generazione (glimepiride) necessitano di una dose minore 1-6
mg/die contro i 500-3000 mg/die di quelle di prima generazione), di un numero minore di
somministrazioni (1, contro le 2-3 della 1G e 1-2 della 2G), una durata d’azione maggiore
(24h, contro 6-10 h della 1G e 10-20 h della 2G). Le sulfaniluree di 1G (prima generazione)
sono la tolbutamide, acetoexamide, tolazamide, clorpropamide. Quelle di 2G sono gliclazide
(diamicron), gliquidone.
• Terapia insulinica
Il livello di iperglicemia dovrebbe influenzare la scelta iniziale della terapia. Assumendo che il massimo effetto
dellaTMN e dell' aumento dell' attività fisica sia stato ottenuto, i pazienti con iperglicemia lieve o moderata [glicemia a
digiuno <200-250 mg/dl (l l,H 3.9 mmol/1)) spesso rispondono bene a un singolo farmaco ipoglicemizzante orale. l
pazienti con iperglicemia più marcata [glicemia a digiuno >250 mg/dl (13,9 mmolli)) possono rispondere parzialmente,
ma è improbabile che raggiungano la normoglicemia con una monoterapia per os. Ciò nonostante, può essere adot
taro un approccio ·a gradini', iniziando con un singolo farmaco e aggiungendone un secondo per raggiungere la
glicemia ottimale. L'insulina può essere usata come terapia iniziale in caso di iperglicemia grave [glicemia a digiuno
>250-300 mg/dl (13.9- 16.7 mmol/1) o nei soggetti asintomatici a causa dell'iperglicemia. Questo approccio si basa sul
concetto che il più rapido controllo glicemico ridurrà la 'tossicità del glucosio' sulle cellule insulari, migliorerà la
secrezione endogena di insulina e possibilmente permetterà agli ipoglicemizzanti orali di essere più effiicaci. Se questo
avviene, l'insulina può essere sospesa
Complicanze
Complicanze Acute —> chetoacidosi diabetica (CAD) e stato iperosmolare iperglicemico (SII)
⁃ Caratteristiche cliniche
⁃ edema cerebrale
⁃ Fisiopatologia
⁃ Aumentanto gli acidi grassi rilasciati dal tessuto adiposo, aumenta la beta
ossidazione epatica con aumento di acetilcoa e nadh. Il ciclo del citrato viene inibito mentre
la carnitina è maggiormente espressa, evento cruciale per il trasporto degli acidi grassi liberi
nel mitocondrio dove si fa beta-ox e chetogenesi. Quando i depositi di bicarbonato si
esauriscono si ha acidosi metabolica.
⁃ Diagnosi
⁃ leucocitosi, iperliproproteinemia
⁃ Terapia
⁃ reidratazione
⁃ Terapia insulinica
⁃ Caratteristiche cliniche
⁃ il SII può essere precipitato da una patologia come IMA o ictus, ma anche
sepsi polmonite o infezioni importanti.
⁃ Fisiopatologia
⁃ Diagnosi
⁃ pH > 7,3
⁃ Terapia
⁃ monitorare idratazione
⁃ apporto idrico (1-3 l di fisiologica allo 0,9% nelle prime 2-3 ore)
• complicanze vascolari
• stress ossidativo
Retinopatia diabetica
Negli USA il dm è la causa principale di cecità nella fascia d’età tra i 20 e i 74 anni. La cecità è il risultato della
retinopatia diabetica.
⁃ fisiopatologia: perdita dei periciti, aumento della permeabilità dei vasi, alterazioni
del flusso ematico, abnorme microvascolarizzazione
⁃ presente in quasi tutti i soggetti dm da più di 20 anni
• retinopatia proliferativa
⁃ non tutti gli affetti da retinopatia semplice sviluppano la proliferativa ma più grave
è la semplice, maggiore è la probabilità di sviluppare la proliferativa
Nefropatia diabetica
causa prinicpale di insufficienza renale terminale negli USA. Colpisce il 20-40% dei soggetti con dm.
⁃ storia naturale
⁃ stadio 2: dopo 5-10 anni il 40% dei soggetti fa microalbuminuria transitoria (30-300
mg/die)
⁃ stadio 3: nei dieci anni successivi, nel 50% dei soggetti diventa proteinuria
conclamata (>300 mg/die). Se si ha macroalbuminuria la PA aumenta e le alterazioni diventano
irreversibili
La nefropnlia che si sviluppa nel DM di tipo 2 differisce da quella del DM di tipo l per i seguenti aspetti: l) la
microalbuminuria o la macroalbuminuria manifesta può essere presente al momento della diagnosi di DM di tipo 2,
indicando il suo lungo periodo asintomatico; 2) l'ipertensione accompagna la micro o macroalbuminuria più
frequentemente nel DM di tipo 2; 3) la microalbuminuria può essere meno indicativa della progressione verso la
nefropatia diabetica e la macroalbuminuria nel DM di tipo 2. Infine, è da notare che la microalbuminuria nel DM di
tipo 2 può essere secondaria a fattori non correlati al DM, come ipertensione, scompenso cardiaco, malattia prostatica
o infezioni
nel 50% dei soggetti con dm1 o dm2. Si può manifestare in forme diverse
⁃ il tipo più comune, ha esordio insidioso e colpisce le regioni distali degli arti
inferiori.
⁃ ireversibile
• neuropatia asimmetrica
• neuropatia autonomica
⁃ sistema cardiovascolare
⁃ tachicardia a riposo
⁃ ipotensione ortostatica
⁃ gastrointestinale
⁃ stipsi/diarrea
⁃ genitourinario
⁃ disfunzione erettile
⁃ eiaculazione retrograda
⁃ sudoriparo
⁃ metabolico
⁃ riduzione degli ormoni controregolatori
Gli sforzi per migliorare il controllo glicemico possono essere resi difficoltosi dalla neuropatia autonomica e dalla
conseguente incapacità di avvertire l'ipoglicemia. l fattori di rischio per la neuropatia, come l'ipertensione e
l'ipertrigliceridernia, devono essere trattati. Evitare le sostanze neurotossiche (alcol) e attuare una supplementazione
con vitamina per possibili carenze (b12, folati..)
la neuropatia diabetica cronica dolorosa è difficile da trattare, ma può rispondere agli antidepressivi triclicici o agli
anticonvulsivanti (gabapentin).
Manifestazioni dermatologiche
dermopatia diabetica (papule pretibiali pigmentate) —> area eritematosa ed evolve come area di iperpigmentazione.
L’ acanthosis nigricans (placche vellutate iperpigmentate osservate sul collo, sulle ascelle e sulle superfici estensorie).
Manifestazione di grave insulino-resistenza .
IPOGLICEMIE
valori di glucosio < 55 mg/dl con sintomatologia che prontmente regredisce con l’aumento dei livelli confermano
l’ipoglicemia.
Cause
• ipoglicemia a digiuno
⁃ farmaci
⁃ malattie gravi
⁃ sepsi
⁃ deficit ormonali
⁃ iperinsulinemia endogena
⁃ insulinoma
⁃ autoimmune
⁃ alimentare
⁃ idiopatica
Clinica
⁃ confusione
⁃ astenia
⁃ epilessia
⁃ perdita di coscienza
⁃ palpitazioni
⁃ tremori
⁃ ansietà
IPOGLICEMIA NEL DM
L’ipoglicemia è il fattore che limita la terapia del dm. L’ipoglicemia è un evento comune nei pz con dm1 che soffrono
mediamente di due episodi alla settimana di ipoglicemia e un episodio grave all’anno. Nel dm2 è meno comune.
IPOGLICEMIA A DIGIUNO
Tra i pazienti ospedalizzati le malattie gravi come l’insufficienza renale o epatica, lo scompenso, la sepsi la cachessia
sono tutte cause seconde ai farmaci.
APPROCCIO AL PAZIENTE
• riconoscimento e documentazione
• trattamento urgente
TIROIDITE ACUTA
Cause
⁃ Infezione batterica soprattutto stafilococchi, streptococchi ed enterobacter
⁃ amiodarone
⁃ nei bambini e nei giovani adulti la causa più comune è la presenza del seno piriforme, un
residuo della quarta tasca branchiale che connette l’orofaringe alla tiroide. Questi seni si trovano
generalmente nella parte sn del collo.
Clinica
⁃ tiroidite subacuta
⁃ cancro
La tiroidite cronica ha esordio improvviso e caratteristiche cliniche peculiari che consentono una diagnosi agevole. Ves
e globuli bianchi sono aumentati. La funzione tiroidea è normale.
All’esame citologico con agoaspirato c’è infiltrazione di leucotiti polimorfonucleati e con la coltura si può identificare il
microrganismo
TIREOTOSSICOSI
Definizione
stato caratterizzato da eccesso di ormoni tiroidei. Non è un sinonimo di ipertiroidismo che invece è una delle cause
principali di tireotossicosi.
Epidemiologia
Cause
⁃ malattia di graves
• secondaria
• senza ipertiroidismo
⁃ tiroidite subacuta
⁃ tiroidite silente
Patogenesi
• fattori genetici
⁃ polimorfismi HLA-DR
• fattori ambientali
Manifestazioni cliniche
• Sintomi
• Segni
Diagnosi di tireotossicosi
Alti livelli di FT3 e FT4, TSH soppresso nelle forme primitive, normale o aumentato nelle forme secondarie
MALATTIA DI GRAVES-BASEDOW
Epidemiologia
M:F=1:10
Un apporto di iodio elevato è associato ad una maggiore prevalenza della malattia di graves. Raramente colpisce
prima dell’adolescenza, tipicamente compare tra i 20 e 50 anni.
Patogenesi
La malattia di Graves è una patologia autoimmune su base genetica ed ambientali. La concordanza tra gemelli
omozigoti è 30%, il che vuol dire che il peso del fattore genetico è del 30%. Sono presenti associazioni con diversi tipi
di HLA (HLA DR3 e DQA1).
Si riscontrano IgG dirette contro il recettore del TSH (chiamate TSI) sintetizzate nella tiroide, nel midollo osseo e nei
linfonodi. TSI legano e attivano il recettore del TSH determinando un’attivazione costitutiva della tiroide TSH-
indipendente.
La tiroide è quindi infiltrata da linfociti, macrofagi e cellule dendritiche che rilasciano IL1, TNFalfa e INFgamma —>
stimolano l’espressione di CD54 e CD40 (citochine con funzione di adesione e regolazione rispettivamente) da parte
dei tireociti. In questo modo permettono la permanenza e la maggiore attivazione dell’infiltrato infiammatorio. Si
instaura quindi un circolo vizioso che consente il mantenimento dell’infilitrato.
La patogenesi dell’oftalmopatia basedow è basata sulle citochine rilasciate dall’infiltrato infiammatorio (il1, ifn-
gamma, tnf-alfa) che stimolano i fibroblasti a produrre glicosamminoglicani —> fibrosi. La fibrosi, l’edema, l’aumento
della cellularità infiammatoria e l’aumento del tessuto adiposo retrorbitario sono tutti meccanismi alla base
dell’oftalmopatia nel basedow.
Manifestazioni cliniche
⁃ clinicamente evidente nel 50% dei casi. Sintomi precoci sono senso di irritazione ed
eccessiva lacrimazione (sensazione di “sabbia negli occhi” e fastidio oculare)
• tireotossicosi
⁃ gozzo tossico diffuso presente nel 97% dei casi (75% negli anziani), di consistenza
variabile, parenchimatoso e liscio. Molto vascolarizzato
Diagnosi
• tsh soppresso
• dosaggio TSI
• alla captazione di iodio si realizza l’angolo di fuga ( captazione massima a 6h, minima a 24h)
[diagnosi differenziale con la fase tireotossica di una tiroidite subacuta: in questa la captazione è soppressa!].
La tiroide è diffusamente captante.
Terapia
• medica
• chirurgica
• radioiodio
patogenesi
mutazioni che stimolano la vita metabolica del TSH-R (mutazioni somatiche attivanti TSH-R)
mutazioni somatiche del gene che codifica la subunità alfa della proteina g stimolatoria che risulta costitutivamente
attiva
Manifestazioni cliniche
Diagnosi
• conferma tireotossicosi
terapia
definizione
malattia con neoplasie in due o più tessuti endocrini in molti membri di una stessa famiglia
• anche se rara, è la MEN più comune con prevalenza 2-20 per 100.000 nella popolazione
generale
• Patogenesi
⁃ mutazione inattivante del gene MEN! (11q13) che codifica per la menina (proteina
nucleare ad azione oncosoppressiva). La menina interagisce con JunD sopprimendone la trascrizione
• Manifestazioni cliniche
⁃ iperparatiroidismo primitivo
⁃ Tumori enteropancreatici
⁃ manifestazioni cliniche
⁃ insulinomi pancreatici
⁃ glucagonoma
⁃ VIP-oma
⁃ Tumori ipofisari
⁃ leiomiomi cutanei
• MEN2A
⁃ iperparatiroidismo
⁃ 15-20% dei pz
⁃ feocromocitoma
⁃ 50% dei pz, circa la metà è bilaterale e più del 50% dei pz con
surrenalectomia unilaterale sviluppa un feocromocitoma nel surrene controlaterale nel
corso di 10 anni
• MEN2B
⁃ k midollare della tiroide
⁃ feocromocitoma
⁃ in più della metà dei pazienti con men2b e non differisce da quello con
men2a
⁃ neuromi mucosi
⁃ ganglioneuromatosi
⁃ caratteristiche marfanoidi
• screening
⁃ la morte per k midollare della tiroide può essere prevenuta dalla tiroidectomia
precoce radicale. Si cercano e si individuano mutazioni di ret nelle famiglie affette mediante indagini
di biologia molecolare
• autosomica recessiva, mutazioni del gene AIRE = codifica per fattore di trascrizione timico e
linfonodale implicato nella regolazione immunitaria
• manifestazione clinica
⁃ ipoparatiroidismo (90%)
• Presentazione clinica: la maggior parte dei pz presenta inizialmente una candidosi orale
nell’infanzia che non risponde alla terapia e recidiva frequentemente. L’ipoparatiroidismo cronico compare
prima dell’iposurrenalismo. Le componenti endocrine della APS1 possono non manifestarsi fino alla quarta
decade
• poligenica, associata ad hla dr3 e dr4. familiare, trasmessa secondo modello autosomico
dominante
• manifestazioni cliniche
⁃ isufficienza surrenale
⁃ patologia autoimmune della tiroide (ipotiroidismo, graves) 70%
⁃ dm1 60%
⁃ ipogonadismo
• screening
⁃ dosaggio tsh
⁃ lh, fsh
⁃ testosterone
questi screening andrebbero effettuati ogni 1 o 2 anni e fino all’età di 40 anni nei soggetti con familiarità per aps1
• diagnosi differenziale
⁃ sindrome di di george
⁃ sindrome di wolfram
⁃ sindrome di kearns-sayre
⁃ sindrome ipex
⁃ rosolia congenita
MALATTIE DEL RENE E DELLE VIE URINARIE.
VOLUME URINARIO ESCRETO=1ml/min=1,5l/die
Il rene riceve il 20% della gittata cardiaca dalla quale produrrà l’urina attraverso due processi:
l’ULTRAFILTRAZIONE ,tramite cui 180l/die di liquidi attraversano il rene, e il RIASSORBIMENTO, che avviene
per oltre il 99% del filtrato. Il TASSO DI FILTRAZIONE GLOMERULARE o VELOCITA’ DI FILTRAZIONE
GLOMERULARE (GFR)è regolato da fattori che favoriscono l’uno o l’altro processo: la prima è sostenuta
dalla pressione idraulica dei capillari, il secondo dalla pressione idraulica nella capsula di Bowman e dalla
pressione oncotica capillare glomerulare.
La filtrazione avviene solo per molecole di diametro minore <40Å come l’insulina, perché le fessure di
filtrazione in un soggetto sano hanno questo diametro, ma bisogna tener in considerazione anche le
cariche, poiché la barriera glomerulare è costituita da glicoproteine aventi carica elettrica negativa che
favorisce il passaggio cationico. L’albumina, ad esempio, è una molecola grande e polianionica che in
condizioni normali non viene filtrata.
Pazienti che perdono masse nefrotiche avranno meccanismi di compenso del GFR :la nefrectomia
unilaterale inizialmente comporta un abbassamento del GFR al 50%, ma successivamente sale all’80%
grazie a fattori che favoriscono la filtrazione, parleremo dunque di IPERFILTRAZIONE. Ciò avviene anche
nella cronicizzazione quando le aree ancora funzionanti diverranno ipertrofiche. Tuttavia quando la massa
nefrosica viene distrutta per oltre il 50% circa i nefroni superstiti vanno incontro ad un’inarrestabile
distruzione, portando a glomerulosclerosi, proteinuria e progressivo abbassamento del GFR.
La VALUTAZIONE DELLA FUNZIONALITA’ RENALE si effettua valutando i livelli di GFR che in un soggetto
sano è compreso tra 120-130ml/min. Diminuzioni di questi valori implicano una maggiore concentrazione a
livello plasmatico di prodotti che dovrebbero essere eliminati, i quali saranno organo-tossici oltre
determinati livelli. Una seconda componente molecolare, costituita da fosfati, urato, potassio e idrogenioni
tendono ad aumentare i loro livelli plasmatici solo quando il GFR si riduce ad una piccola percentuale
rispetto al normale . IL NaCl ha un comportamento a parte, in quanto i suoi livelli restano stabili durante
tutto il decorso di un’ insufficienza renale cronica grazie ad un meccanismo di compensazione che prevede
un bilancio tra entrate e uscite di Naᶧ. Nonostante ciò è necessario avere a disposizione un parametro più
generale in grado di descrivere la funzione depurativa del rene: la CLEARANCE, il volume virtuale di plasma
che il rene è in grado di depurare da una certa sostanza "x" nell'unità di tempo. Sono due i metaboliti i cui
valori di clearance sono presi in considerazione per la funzionalità renale: l’ INULINA e la CREATININA.
L’inulina viene filtrata, ma non riassorbita né secreta, pertanto la sua clearance sarà pari alla GFR. In realtà
per essere misurata deve essere prima iniettata, poi seguite le sue concentrazioni plasmatiche medie nel
tempo t ed infine le quantità eliminate tramite urina. La creatinina è un catabolita della fosfocreatina,
prodotto del muscolo, che viene filtrata e non riassorbita. Anche se è soggetta ad un 20% di secrezione
resta un utile indice di GFR in quanto la concentrazione plasmatica è sovrastimata di circa il 20% per la
presenza di glucosio ed altri artefatti di misura. Questo composto è esclusivamente di origine endogena e
viene eliminato attraverso un meccanismo i cui valori variano poco di giorno in giorno: nell’ uomo 0,7-1,2
mg/dl, nella donna 0,6-1,2 mg/dl. L’aumento è indice di insufficienza renale, ma si riscontra anche in caso di
ipertiroidismo e acromegalia, la diminuzione implica atrofia muscolare. La clearance della creatinina è
inversamente proporzionale alla concentrazione di creatinina nel plasma e si può dedurre direttamente da
questa .
ALTERAZIONI URINARIE
POLIURIA
La poliuria indica la presenza di proteine nelle urine rilevata mediante stick urinario (striscia reattiva). Questa
misurazione rileva solo la presenza di albumina e fornisce falsi positivi quando:
- Il pH urinario è > 7;
- Le urine sono molto concentrate;
- Le urine sono contaminate da sangue;
- Le urine sono molto diluite (in questo caso la albuminuria viene mascherata dall’aumentato volume
urinario)
Solitamente, la quantificazione dell’albumina avviene su urina del mattino e va a misurare il rapporto
albumina-creatinina (ACR) per ottenere una stima del tasso di escrezione di albumina (AER) nell’arco di 24
ore (ACR = AER).
Questo tipo di test presenta però il limite di riconoscere solo proteinurie da albumina; per gli altri tipi di
proteinuria vengono utilizzati acido sulfisalicilico o tricloroacetico.
1. EPU: Proteinuria
all'elettroforesi
dell'urina
L’entità della
proteinuria
dipende dal
meccanismo del
danno renale che
porta alla perdita
delle proteine. In
condizioni normali,
la membrana
glomerulare è
selettiva per
dimensioni e
carica, per cui le
proteine
plasmatiche non vengono escrete con le urine. La membrana basale è in grado di trattenere molecole >100
kDa, mentre i podociti, attraverso i loro prolungamenti, riescono a costituire dei sottili diaframmi che
permettono esclusivamente il passaggio di soluti e acqua, ma non di proteine. Alcune malattie glomerulari,
come la nefropatia da lesioni minime, causano la fusione dei pedicelli (prolungamenti podociti),
determinando una perdita “selettiva” di albumina. Altre glomerulopatie (Es: malattia di Berger) possono
portare al sovvertimento della membrana basale e dei piccoli diaframmi, con conseguente perdita di
albumina e altre proteine plasmatiche. La fusione dei pedicelli causa un aumento di pressione nella
membrana basale, con conseguente dilatazione dei pori. L’aumento delle dimensioni dei pori e della
pressione causa una proteinuria significativa.
Quando la perdita di proteine plasmatiche è > 3,5 mg/die si ha un quadro da Sindrome Nefrosica, con:
Ipoalbuminemia;
Iperlipidemia;
Edema.
Ci sono casi di proteinuria > 3,5 mg/die che non vengono associati a sindrome nefrosica: un esempio è il
mieloma multiplo, in cui c’è aumento dell’escrezione delle catene leggere delle Ig, che però non viene ad
essere rilevata dallo stick urinario (che rileva in parte solo la presenza di albumina). Queste catene vengono
filtrate dai glomeruli e riassorbite dal TCP, in cui però viene superato il carico tubulare massimo di
riassorbimento, con conseguente escrezione urinaria delle catene leggere e formazione di precipitato (
proteinuria di Bence-Jones). Questo precipitato potrebbe comportare l’ostruzione tubulare (nefropatia da
cilindri) e la deposizione delle catene leggere, con una conseguente potenziale insufficienza renale.
La riduzione della pressione oncotica e la perdita di proteine con l’urina stimolano la produzione di
lipoproteine da parte del fegato. Ne risulta una iperlipidemia, la quale comporta il riscontro di formazioni
lipidiche nelle urine (corpi ovali grassi, cilindri lipidici).
Uno stato di ipercoagulazione accompagna di solito le sindromi nefrosiche gravi, con maggiore escrezione di
antitrombina III, l’aumento del fibrinogeno e un’aumentata aggregazione piastrinica.
In genere la malattia glomerulare è associata a proteinuria persistente >1-2 g/die. I pazienti spesso ne sono
inconsapevoli, a meno che non siano edematosi o non notino la presenza di urine schiumose al momento
della minzione. È necessario distinguere la proteinuria persistente dalla proteinuria benigna, di entità
quantitativamente minore e presente nella popolazione normale: è una proteinuria non persistente (< 1
g/die) e viene definita funzionale o transitoria. La proteinuria transitoria può avere diverse cause, fra cui:
stress emotivo, obesità, febbre, esercizio fisico, insufficienza cardiaca congestizia e apnea notturna. Quando
la proteinuria si osserva solo durante la stazione eretta viene definita ortostatica e ha prognosi benigna. Nella
maggior parte degli adulti la proteinuria non è selettiva , cioè contiene albumina mista ad altre proteine
sieriche, mentre nei bambini con malattia da lesioni minime, la proteinuria è selettiva, dovuta quindi a
perdita di albumina. Alcuni pazienti affetti da glomerulonefrite poststreptococcica acuta possono presentare
piuria, caratterizzata dalla presenza di leucociti nelle urine.
Ematuria
Si definisce ematuria la presenza di 3-5 globuli rossi per campo microscopico esaminato a forte
ingrandimento (il campione è di norma l’urina del mattino). L’ematuria isolata da proteinuria, senza cilindri
e senza altre cellule è indicativa di sanguinamento dalle vie urinarie ed è possibile riconoscerla al dipstick.
Neoplasie
Calcoli
Traumi
Tubercolosi
Prostatite
L’ematuria viene distinta in
microematuria e macroematuria, a
seconda del volume di sangue che viene
perso nelle urine; se la perdita ematica
è tale da modificare il colore dell’urina in
maniera considerevole allora parleremo
di macroematuria.
Macroematuria
Microematuria
Può essere una manifestazione della malattia glomerulare. I globuli rossi di origine glomerulare appaiono
spesso dismorfici all’esame con il microscopio a contrasto di fase. Le cause più comuni di ematuria
glomerulare isolata sono:
Più raramente il sanguinamento renale è causato dalla rottura di una cisti. Ciò accade specie nei soggetti
affetti da rene policistico e, seppur remoto, il sanguinamento in tal casi può essere molto abbondante. Il
sanguinamento renale può anche essere dovuto a un tumore renale. In questo caso l'ematuria è spesso
microscopica.
Una rara causa di sanguinamento renale è la necrosi papillare, cioè la necrosi di una delle papille renali. Le
cause più frequenti di necrosi papillare sono l'abuso di farmaci analgesici e l'anemia drepanocitica, detta
anche drepanocitosi o anemia a cellule falciformi.
La presenza di ematuria con globuli rossi dismorfici, cilindri eritrocitari ed escrezione proteica a 500 mg/die
consente di porre diagnosi di glomerulonefrite.
La presenza di batteri con cilindri di globuli rossi indica una pielonefrite. Si possono inoltre osservare cilindri
di emazie e/o emazie in altre patologie, quali:
- Nefrite interstiziale
- LES
- Rigetto cronico del trapianto
Il sanguinamento postrenalico può interessare i diversi segmenti delle vie urinarie basse:
Il più delle volte esso è dovuto a un calcolo. Se il calcolo è a livello della pelvi renale può non dare alcun
sintomo, anche se di grandi dimensioni, ma il suo attrito con la parete pelvica spesso determina piccole
perdite di sangue evidenziabili con microematuria, o più raramente, con episodi di macroematuria senza
dolori colici. Se invece il calcolo si impegna nell'uretere di norma compare il dolore tipico della colica renale e
ciò può associarsi a micro o macroematuria, dovuta alla lesione della parete ureterale da parte del calcolo.
Se il calcolo ostruisce l'uretere in maniera completa il dolore e l'ematuria possono cessare in quanto l'urina
non defluisce dal rene "ostruito" dal calcolo (idronefrosi). Questa condizione, a volte insidiosa, può essere
evidenziata con una ecografia renale, di norma è necessario completare le indagini con una urografia o
una uroTC.
L’ematuria pelvica od ureterale può essere dovuta a tumori della pelvi o dell'uretere, che tuttavia sono
relativamente rari.
Sanguinamento vescicale
La maggior parte delle ematurie originano dalla vescica, specie nelle donne e nei soggetti anziani. È
un’ematuria che presenta coaguli eliminati durante la minzione. Fra le cause di sanguinamento vescicale la
più frequente è la cistite, dovuta principalmente ad infezioni batteriche. Nella cistite all’ematuria possono
aggiungersi:
L’ematuria potrebbe anche dipendere (raramente) da calcolosi vescicale. Il calcolo, infatti, potrebbe
accrescersi e determinare delle microlesioni alle pareti vescicali, responsabili del sanguinamento. È
necessario effettuare un’ecografia vescicale.
Sanguinamento uretrale
Esclusivo del sesso maschile, è dovuto a uretriti o a stenosi dell’uretra. Rari sono i tumori dell’uretra.
Ematuria da sforzo
La presenza di microematuria dopo esercizio fisico è una condizione frequente e benigna. Può manifestarsi
dopo attività sportiva e all’esame urine i globuli rossi appaiono ben conservati. La condizione recede
spontaneamente dopo pochi giorni/una settimana. In caso di macroematuria è necessario escludere altre
cause di ematuria ed è importante confermare con un esame delle urine che il loro colore sia dovuto alla
presenza di globuli rossi e non a emoglobinuria, che precluderebbe l’ipotesi di lesioni muscolari o deficit di
enzimi muscolari.
DIURETICI
I diuretici rappresentano dei farmaci in grado di controllare la ritenzione dei fluidi corporei. Vengono
impiegati per stabilizzare e mantenere la volemia in pazienti congesti (affetti da edema, ortopnea, dispnea)
o con segni di elevate pressioni di riempimento (rantoli, distensione venosa della giugulare, edemi periferici
ecc). I diuretici vengono ad essere classificati in base al loro sito di azione sul tubulo renale in tiazidici, diuretici
dell’ansa e risparmiatori di potassio.
Nonostante tutti i diuretici aumentino l’escrezione di sodio e il volume urinario, ognuno di essi agisce in
maniera differente.
Tiazidici
Azione Questi farmaci inibiscono il simporto del Na+-Cl- presente a livello del tubulo contorto distale. La
loro capacità di riassorbimento massimo si aggira intorno al 5-10% del sodio filtrato, ma questo basta ad
aumentare la deplezione del potassio e l'escrezione di anioni organici neutralizzati dalle cariche positive del
sodio. Agiscono anche sul tubulo prossimale perché, essendo sulfonamidi, hanno la capacità di inibire
l'anidrasi carbonica. Al contrario dei diuretici dell'ansa, non inducono perdita di Ca++ mentre inducono quella
di magnesio. Non influenzano la perfusione glomerulare ma l'inibizione della Cox-1 renale ne diminuisce
l'effetto diuretico.
Usi ed effetti collaterali Sono i farmaci d’elezione per il trattamento dell’ipertensione; sono sicuri e a
basso costo ma presentano degli effetti avversi, seppur rari: vomito, diarrea, fotosensibilità e lieve
impotenza. Gli effetti collaterali più frequenti sono di pertinenza renale: iponatriemia, per la diminuita
capacità di diluizione, ipokaliemia con eventuale alcalosi e ipomagnesiemia in pazienti anziani. A volte è stata
osservata la slatentizzazione del diabete mellito specialmente in soggetti con ipersensibilità ai sulfamidici.
L'unica interazione importante è con la chinidina, che può essere fatale. Il loro effetto nell'abbassamento
della pressione arteriosa può essere potenziato se associati a beta-bloccanti, ACE-inibitori o bloccanti dei
recettori dell'angiotensina.
Diuretici dell’Ansa
Azione Questa classe di farmaci inibisce il simporto Na-K-2Cl delle cellule tubulari della porzione
ascendente dell’ansa di Henle. Sebbene il 70% del riassorbimento del sodio avvenga prossimalmente, l’ansa
ascendente ha una enorme riserva funzionale e possiede la capacità di sottrarre circa il 20-25% del sodio
filtrato. Inibendo il simporto, viene quindi compromessa la capacità dell’ansa di diluire l’urina ed allo stesso
tempo di aumentare la concentrazione salina nell’interstizio. Favoriscono la perdita di calcio e magnesio.
In un numero limitato di casi, questo tipo di diuretico può essere di aiuto nel trattamento dell'edema nella
sindrome nefrosica e dell'ascite nelle insufficienze epatiche. in caso di intossicazione da farmaci o
nell'ipercalcemia, infondendo una soluzione isotonica, i diuretici dell'ansa inducono una diuresi forzata.
Impiegato nel tentativo di convertire una insufficienza renale acuta da oligurica a non oligurica.
Effetti collaterali ll simporto in questione è presente anche in altri tessuti, ma l'unico in cui si riscontra
un’interferenza è a livello dell'orecchio interno, che può manifestare effetti ototossici, e arrivare a un
danneggiamento dell’organo del Corti. Gli altri effetti indesiderati sono a carico della diuresi, in particolare la
forzata diuresi di Na+ e la stimolazione del sistema renina angiotensina, per azione diretta sui sensori della
macula densa o indirettamente tramite l'iponatriemia. È possibile l'instaurarsi di una ipokaliemia e di
un'alcalosi ipocloremica: fattori predisponenti l'aritmia.
Risparmiatori di Potassio
Classe di diuretici che preserva dall’escrezione di potassio, spesso indotta dall’utilizzo di altri diuretici
(tiazidici). Il più importante è lo spironolattone, antagonista del recettore dell’aldosterone, con un’azione che
porta ad inibire il riassorbimento di sodio e ridurre la secrezione di potassio, idrogenioni e acido urico. Simile
è il canrenoato di potassio.
L'aggiunta di tiazide o metolazone, una o due volte al giorno, ai diuretici dell'ansa può essere presa in
considerazione nei pazienti con ritenzione idrica persistente nonostante le dosi elevate di diuretici dell'ansa.
Il metolazone è generalmente più potente e ha una maggiore durata d'azione rispetto ai tiazidici. In ogni
caso, l'uso cronico giornaliero di diuretici, specialmente del metolazone, dovrebbe essere ridotto, a causa
delle possibili alterazioni degli elettroliti e della deplezione di volume. L'ultrafiltrazione e la dialisi possono
essere usate in caso di ritenzione idrica refrattaria che non risponde ad alte dosi di diuretici ed è stato
dimostrato essere utile in un breve periodo di trattamento.
La somministrazione cronica di diuretici potrebbe comportare la formazione di edema idiopatico per via di
una lieve riduzione del volume ematico con conseguente iper reninemia cronica e iperplasia
iuxtaglomerulare. In caso di sospensione acuta dei diuretici, i fattori che inducono la ritenzione di sodio non
vengono più antagonizzati, inducendo così la ritenzione di liquido e quindi l'edema.
Esistono altri tipi di diuretici che non sono largamente utilizzati nella pratica clinica; uno di questi è l’inibitore
dell’anidrasi carbonica, usato sporadicamente per il trattamento del glaucoma.
L'anidrasi carbonica è un enzima ubiquitario che nel rene entra a far parte del meccanismo di secrezione di
protoni e di ritenzione dello ione bicarbonato. Nel rene è presente sia sulla superficie luminale delle cellule
del tubulo prossimale, sia all'interno del citoplasma. L'acido carbonico che arriva dall'ultrafiltrato, attraverso
l’anidrasi carbonica, viene scisso in acqua e CO2, che diffonde all’interno della cellula tubulare . Qui L'AC
cellulare la riconverte in acido carbonico, il quale si ionizza e perde un protone, che verrà secreto dalla cellula
nel lume. Il bicarbonato verrà poi secreto sul lato basale tramite un simporto con il sodio. La reazione netta
è il trasporto di NaHCO3 dal lume allo spazio extracellulare e l'acidificazione dell'urina. Il blocco dell'AC blocca
una parte sostanziale dell'assorbimento del HCO3- e ,di conseguenza, del sodio.
Di questa famiglia fanno parte sulfonamide e metazolamide.
NEFROSCLEROSI
Con il termine “nefrosclerosi” indichiamo una malattia renale che si associa alla sclerosi delle arteriole e
delle piccole arterie renali; è fortemente associata a ipertensione.
L’ipertensione sistemica incontrollata provoca danni permanenti ai reni in circa il 6% dei pazienti ipertesi. In
almeno il 27% dei pazienti con malattia renale a livello terminale l’ipertensione costituisce la causa principale.
La nefrosclerosi ipertensiva è 5 volte superiore negli afroamericani rispetto ai bianchi. Gli alleli di rischio
associati al gene APOL1, un gene funzionale per l’apoliproteina L1 espressa nei podociti, spiegano la maggior
incidenza in questa razza. I fattori di rischio che potrebbero comportare la progressione verso la patologia
renale allo stadio terminale sono:
- Sesso
- Età
- Razza
- Fumo di tabacco
- Ipercolesterolemia
- Durata ipertensione
- Basso peso alla nascita
- Lesioni renali preesistenti
Pazienti con ipertensione, microematuria e proteinuria moderata mostrano alla biopsia renale:
- Arteriosclerosi;
- Nefrosclerosi cronica
- Fibrosi interstiziale in assenza di immunodepositi
La diagnosi viene effettuata attraverso un’attenta anamnesi, su EO e sugli esami di laboratorio, senza
necessità di biopsia renale.
Si raccomanda di abbassare la pressione sotto i 130/80 mmHg se c’è una condizione preesistente di diabete
o di malattia renale. In presenza di patologia renale si somministrano due farmaci:
1. Diuretico tiazidico
2. ACE-inibitore
Nei soggetti con bassi livelli di ipertensione si somministra uno solo dei due farmaci.
L’accelerazione maligna dell’ipertensione può peggiorare il quadro della nefrosclerosi cronica, soprattutto se
già presenti sclerodermia o uso di cocaina. L’ipertensione maligna può progredire verso la necrosi fibrinoide
dei piccoli vasi, microangiopatia trombotica, pattern nefritico all’esame delle urine e insufficienza renale
acuta. In un contesto di insufficienza renale, dolore toracico e papilledema, la condizione viene trattata come
un’emergenza ipertensiva.
IPERTENSIONE NEFROVASCOLARE
Rappresenta una forma d’ipertensione, potenzialmente curabile, dovuta a una forma di occlusione da parte
di un’arteria renale. Inizialmente, la pressione elevata è influenzata dall’attivazione del sistema renina-
angiotensina; questa condizione è temporanea poiché, progressivamente, la ritenzione di sodio e la
comparsa di altri meccanismi ipertensivi contribuiscono a mantenere alta la pressione. Ci sono due gruppi di
pazienti a rischio:
Aterosclerotici più anziani, nei quali una placca ostruisce l’arteria renale ( tipicamente all’origine)
Pazienti con displasia fibromuscolare*, che si manifesta ad ogni età ma ha una forte predilezione per
le giovani donne bianche, con rapporto donna/uomo di 8:1. Ci sono diverse varianti della displasia
fibromuscolare:
- Fibrodisplasia mediale (la più diffusa)
- Fibrodisplasia perimediale
- Iperplasia mediale
- Fibrodisplasia intimale
Le lesioni da displasia fibromuscolare sono solitamente bilaterali e, contrariamente alla malattia
nefrovascolare aterosclerotica, tendono a colpire l’arteria renale in posizione più distale.
Clinica Esistono delle condizioni che indirizzano la diagnosi verso l’ipertensione nefrovascolare, per esempio:
Se il quadro generale è tenuto sotto controllo attraverso un regime antipertensivo, non è necessario
proseguire con la valutazione per la ricerca di una stenosi renale, soprattutto se il soggetto è anziano, con
aterosclerosi e stato di morbilità.
Diagnosi Se si sospetta una stenosi, è utile eseguire un test di screening; normalmente, si valuta il flusso
renale con una scintifìgrafia con ortoiodoippurato, oppure si rileva la percentuale di filtrazione glomerulare
attraverso scintigrafia con acido pentacetico dietilenetramina, prima e dopo una singola dose con un ACE-
inibitore (captopril). In pazienti con funzionalità renale conservata, un normale renogramma con ace-
inibitore esclude stenosi dell’arteria renale funzionalmente significativa. Se la scintigrafia è positiva, è utile
eseguire altre indagini, quali l’ecodoppler delle arterie renali, il quale fornisce misurazioni sulla velocità del
flusso renale e consente di monitorare la lesione nel tempo. È possibile sottoporre il paziente anche ad
angiografia dell’arteria renale con gadolinio, che offre ottima visione della porzione prossimale, ma non
rende evidenti lesioni della porzione distale. L’arteriografia con contrasto resta comunque il gold standard
per la valutazione e l’individuazione delle lesioni renali. I potenziali rischi per il rene includono nefrotossicità,
in particolare in pazienti con diabete mellito o insufficienza renale persistente.
In quasi il 50 % delle aterosclerosi si osserva ostruzione delle arterie renali: le lesioni con significato funzionale
occludono più del 70% del lume dell’arteria. Nell’angiografia, la presenza di vasi collaterali al rene ischemico
indica una lesione importante funzionalmente.
I pazienti con displasia fibromuscolare hanno risultati migliori rispetto ai soggetti aterosclerotici,
principalmente a causa della loro giovane età, della durata inferiore dell’ipertensione e della minore malattia
sistemica. L’angioplastica percutanea transluminale è il trattamento di prima scelta, essendo basso il
rapporto rischio/beneficio e alta la percentuale di successo (90% dei pazienti mostra miglioramento o cura
dell’ipertensione). La rivascolarizzazione chirurgica può essere intrapresa nel momento in cui l’angioplastica
fallisca.
Nei pazienti aterosclerotici, la correzione vascolare deve essere presa in considerazione se la pressione
arteriosa non può essere adeguatamente controllata nonostante una terapia medica ottimale o se la funzione
renale si è ridotta. La chirurgia è prevista per gli aterosclerotici più giovani che non presentino altre gravi
patologie; tuttavia, per questi soggetti l’approccio iniziale è l’angioplastica percutanea transluminale renale
o lo stenting.
La terapia medica più efficace include ACE- inibitori oppure bloccanti del recettore dell’angiotensina II; questi
farmaci, però, diminuiscono la filtrazione in un rene stenotico a causa della dilatazione dell’arteriola
afferente. Perciò, l’utilizzo prolungato di queste sostanze, soprattutto in presenza di stenosi renale bilaterale,
può portare ad una insufficienza renale progressiva. Ovviamente, tale insufficienza è reversibile sospendendo
i farmaci in questione.
-IRA PRERENALE o IPERAZOTEMIA PRERENALE (55%):alterazioni della perfusione renale in presenza di reni
sani,
-IRA POSTRENALE o IPERAZOTEMIA POSTRENALE(5%):malattie ostruttive del tratto urinario con esordio
acuto.
L’IRA è reversibile perché il rene “recupera” la funzionalità persa, ma morbilità e mortalità ospedaliera sono
alte per l’eziologia della malattia con la quale solitamente si associa.
L’IRA prerenale può aggravare patologie che comportano ipovolemia, diminuzione della gittata cardiaca,
vasodilatazione sistemica e vasocostrizione renale. L’ipoperfusione conseguente a queste condizioni
determina diminuzione della pressione arteriosa con successiva attivazione del SNS, del sistema renina-
angiotensina-aldosterone e rilascio di arginina vasopressina (ADH) : esito di questi processi sarà la
vasocostrizione dei distretti “non essenziali” (muscolocutaneo), inibizione della perdita di sali tramite
sudorazione ghiandolare, stimolazione della sete e ritenzione di sali e acqua a livello renale.
Quando l’ipoperfusione è lieve i valori della funzionalità renale resteranno preservati grazie a meccanismi di
compenso quali vasodilatazione dell’arteriola afferente e vasocostrizione della efferente. La prima è
favorita da sintesi di prostaglandine ad azione vasodilatatoria e dal riflesso miogeno, meccanismo di
autoregolazione che ha attività ottimale fino ad una pressione di 80 mmHg, al di sotto determinerà
diminuzione del GFR, la seconda è promossa dall’azione dell’ angiotensina 2.
I segni clinici sono sete, vertigini ed ipotensione in ortostasi, tachicardia, ridotta pressione venosa
giugulare, ridotto turgore cutaneo, secchezza delle mucose e ridotta sudorazione ascellare. Bisogna
rivalutare i dati anamnestici per considerare una riduzione progressiva della diuresi o del peso corporeo o
un trattamento con ACE-inibitori o inibitori delle cicloossigenasi.
TERAPIA
E’ rapidamente reversibile dopo correzione dell’alterazione emodinamica. Se l’ipovolemia è dovuta ad
emorragia bisogna effettuare trasfusione. Urine e liquidi gastrointestinali sono di solito ipotonici, quindi
inizialmente è consigliabile un trattamento con medesime soluzioni, soluzioni isotoniche sono consigliate
nei casi più gravi. L’utilizzo di shunt può migliorare il GFR e provvisoriamente l’escrezione di sodio perché
tende a stimolare il peptide natriuretico atriale ed inibire aldosterone e adrenalina.
SINDROME EPATORENALE: caratterizzata da una IRA aggressiva che si associa ad INSFFICIENZA EPATICA
dovuta il più delle volte a cirrosi, talvolta ad altre epatopatie. Risposte precoci sono vasocostrizione renale
e ritenzione di sodio(diminuita produzione di urina, iperazotemia e ipercreatininemia), successivamente
alterazioni emodinamiche sistemiche. Ciò porta ad ascite ed edema polmonare che devono essere trattati
con paracentesi ed infusione di albumina. Inoltre pazienti con malattie epatiche gravi hanno solitamente
volume plasmatico maggiore, ma effettiva ipovolemia a causa della vasodilatazione sistemica e del
sequestro di sangue da parte del circolo portale. L’IR di solito si sviluppa lentamente col progredire
dell’insufficienza epatica, ma può essere accelerata da alterazioni emodinamiche quali emorragie. Bisogna
tener presente che pazienti con patologie epatiche possono sviluppare anche altre forme di IRA, come da
sepsi o da farmaci nefrotossici, quindi è necessaria una diagnosi certa prima della terapia. La prognosi è
comunque sfavorevole e il trapianto di fegato è considerato il trattamento d’elezione.
-MALATTIE TUBULOINTERSTIZIALI.
Il più delle volte l’ insufficienza renale è di FORMA ISCHEMICA o NEFROTOSSICA e si evolve in una NECROSI
TUBULARE ACUTA (NTA). Il 20-30% dei pazienti con queste tipologie di ischemia non presenta evidenza
clinica o morfologica. Sebbene le forme siano responsabili di oltre il 90% dei casi bisogna considerare altre
forme di malattia renale: il dolore lombare può essere sintomo di occlusione dell’arteria o della vena renale
o di malattie parenchimali che distendono la capsula, quali glomerulonefriti o vasculiti.
IRA ISCHEMICA
Differisce dall’IRA prerenale in quanto induce un danno ischemico sulle cellule parenchimali e la guarigione
richiede da una a due settimane dalla normalizzazione della perfusione poiché sono necessari la riparazione
e la rigenerazione delle cellule tubulari. Nelle forme più estreme causa necrosi corticale bilaterale con IR
irreversibile. E’ classicamente caratterizzata da tre fasi:
1) FASE DI INIZIO: periodo iniziale di ore o giorni caratterizzato da ipoperfusione renale che causa
diminuzione della GFR. Ciò è dovuto a diminuzione della pressione di ultrafiltrazione glomerulare,
presenza di cilindri necrotici di cellule tubulari e retrodiffusione del filtrato glomerulare attraverso
l’epitelio danneggiato. Le porzioni più danneggiate sono la midollare del tubulo prossimale e la
porzione ascendente dell’ ansa di Henle, dove solitamente viene consumato più ossigeno.
L’ischemia causa danni nel metabolismo cellulare e addirittura necrosi, ma si tratta comunque di
una lesione che può essere limitata dal ripristino del flusso ematico e renale;
2) FASE DI MANTENIMENTO: dura da uno a due settimane ed è caratterizzata da GFR di 5-10ml/min e
complicanze dell’uremia per danno epiteliale ormai stabilizzato. Possibili cause della stabilità del
GFR in questa situazione sono vasocostrizione intrarenale e ischemia della midollare. La prima è
provocata dalle stesse cellule epiteliali tramite un meccanismo chiamato feedback
tubuloglomerulare: cellule specializzate della macula densa rilevano l’alta quantità di sali in arrivo
per il mancato riassorbimento a livello del tubulo prossimale e stimolano la vasocostrizione delle
arteriole afferenti determinando un circolo vizioso;
3) FASE DI RECUPERO: rigenerazione delle cellule parenchimali, specialmente tubulari, con ritorno a
normali valori del GFR. Questa fase può essere complicata dall’ uso continuo di diuretici o da
poliuria.
Microscopicamente si osservano irregolari e focali necrosi dell’epitelio tubulare con distacco dalla
membrana basale e occlusione dei lumi tubulari con cilindri composti da cellule epiteliali intatte o in
degenerazione e detriti cellulari. La morfologia dei glomeruli è normale, anche se è possibile un accumulo di
leucociti nei vasa recta.
IRA NEFROTOSSICA
Può complicare l’esposizione a parecchi agenti farmacologici. La vasocostrizione intrarenale è un evento
cardine dell’IRA causata da MEZZI DI CONTRASTO e da CICLOSPORINE. Si svilupperà una IRA simile alla
prerenale con abbassamento improvviso del flusso ematico e del GFR, sedimento urinario relativamente
buono e bassa frazione di escrezione di sodio, nei casi più gravi si avrà evidenza clinica e NTA.
La sindrome causata da mezzi di contrasto sembra essere dose-correlata. Provoca incremento acuto (da 24
a 48 ore), ma reversibile, dell’azotemia e della creatinina. La vasocostrizione è causata dall’ENDOTELINA-1,
peptide ad azione vasocostrittrice, implicato anche nell’IRA dovuta a ciclosporine. Molti ANTIBIOTICI, per lo
più antimicrobici quali aciclovir, foscarnet, aminoglicosidi, amfotericina B e cisplatino, e FARMACI
ANTITUMORALI, nonché chemioterapici, sono tossici verso il rene, provocando danno diretto alle cellule
tubulari o ostruzione interna.
Sostanze nefrotossiche possono anche essere di natura ENDOGENA. L’ipercalcemia può causare
vasocostrizione intrarenale e deposizione di fosfati di calcio. La rabdomiolisi (rottura delle cellule del
muscolo scheletrico con rilascio nel sangue delle sostanze muscolari, quali la mioglobina) e l’emolisi
possono indurre IRA specialmente in soggetti ipovolemici e in stato di acidosi, inoltre mioglobina ed
emoglobina inibiscono NO determinando vasocostrizione ed ischemia intrarenale nei pazienti con
ipoperfusione. Il mieloma multiplo porta ad IRA tramite formazione di cilindri intratubulari contenenti
catene leggere di Ig e altra proteine quali quella di Tamm-Horsfall. Iperuricosuria(alto acido urico nelle
urine) o iperossaluria(alto acido ossalico nelle urine) possono causare ostruzione intratubulare.
ALTRE CAUSE DI IRA INTRINSECA: pazienti con aterosclerosi avanzata dopo manipolazione
dell’aorta o dell’arteria renale durante intervento chirurgico, o più raramente per embolizzazione
da cristalli di colesterolo, quest’ultima causa è solitamente reversibile.
TERAPIA
Non ci sono terapie specifiche nell’IRA intrinseca, pertanto la prevenzione è di fondamentale importanza:
pazienti a rischio di IRA ischemica dovrebbero effettuare esami di screening cardiovascolare o nel caso di
interventi di chirurgia maggiore siano soggetti a pronto ripristino del volume dei liquidi. Nella nefrotossica il
dosaggio dei farmaci deve essere rapportato all’età, al peso corporeo e al GFR. Se la malattia insorge come
secondaria a glomerulonefrite acute o vasculite il trattamento con glucocorticoidi, agenti alchilanti o
plasmaferesi può dare risposta. Se l’IRA è causata da sclerodermia il miglior trattamento è con ACE-inibitori.
Nelle prime fasi la persistenza della filtrazione glomerulare provoca aumento della pressione endoluminale
a monte dell’ostruzione e graduale dilatazione dell’uretere prossimale, del bacinetto e dei calici, con caduta
del GFR.
Il paziente solitamente manifesta dolore sovrapubico e lombare dovuti a distensione della vescica. Dolore
lombare irradiante all’inguine suggerisce un’ostruzione ureterale acuta. La diagnosi definitiva si basa
sull’uso di indagini radiologiche e sul riscontro della ripresa funzionale del rene dopo la risoluzione del
problema dell’ostruzione.
TERAPIA
Cateteri transuretrali o sovrapubici possono essere utilizzati in attesa di identificare e trattare la lesione
responsabile. Corpi ostruenti endoluminali (calcoli)possono essere rimossi per via percutanea, ostruzioni
estrinseche(carcinomi), invece, tramite posizione di un divaricatore ureterale.
L’ANURIA indica una completa ostruzione del tratto urinario e può complicare casi gravi di IRA prerenale o
intrinseca, quando l’ostruzione è parziale può manifestarsi POLIURIA. Nell’ iperazotemia prerenale e
postrenale il sedimento è tipicamente privo di cellule e può contenere cilindri ialini o benigni, che si
formano quando le urine sono concentrate. Nell’ IRA ischemica o nefrotossica si riscontrano i cilindri
granulosi pigmentati di colore marrone opaco e quelli contenenti cellule tubulari, solitamente associati a
microematuria e lieve proteinuria, queste strutture in realtà non sono indispensabili per la diagnosi. Nella
forma nefrotossica indotta da antibiotici si riscontra in oltre il 90% dei casi EOSINOFILURIA(>5% dei leucociti
nelle urine). Fra gli indici di DANNO RENALE c’è sicuramente la PROTEINURIA, >1 g/die. Un importante
parametro è la FRAZIONE DI ESCREZIONE DEL SODIO(FeNa), poiché è avidamente riassorbito nella
prerenale (<1%), ma non nei pazienti con IRA ischemica e nefrotossica. La CREATININA SIERICA può essere
utilizzata come indicatori delle cause di IRA: nella prerenale i suoi livelli sono fluttuanti in parallelo con la
funzione emodinamica, invece sale rapidamente dalle 24 alle 48 ore nell’IRA conseguente a ischemia
renale, nella nefropatica da mezzi di contrasto si osserva il picco dopo 3-5 giorni, nell’IRA ischemica il picco
di viene raggiunto dopo 7-10 giorni. IPERKALIEMIA, IPERFOSFATEMIA, IPOCALCEMIA, elevati livelli sierici di
ACIDO URICO e CREATINA CHINASI suggeriscono l’esordio di rabdomiolisi.
ALTRE INDAGINI
ECOGRAFIA, in alternativa TC o RM, del tratto urinario sono utili per diagnosticare IRA postrenale, la
PIELOGRAFIA RETROGRADA O ANTEROGRADA permette la precisa localizzazione del sito d’ostruzione.
RADIOGRAFIA DELL’ADDOME è utile nei pazienti in cui si sospetta nefrolitiasi. ECO-DOPPLER e
ANGIOFRAGIA COMBINATA ALLA RM valutano la pervietà di arterie e vene renali.
La BIOPSIA viene utilizzata se sono state escluse diagnosi di IR pre/postrenale, la causa di iperazotemia non
è stata chiarita e i dati di laboratorio indicano cause diverse da danno ischemico o nefrotossico.
COMPLICANZE
1-ESPANSIONE DEL VOLUME EXTRACELLULARE: con possibile sviluppo di edema polmonare,
2-IPERKALIEMIA e ACIDOSI METABOLICA: con ulteriore fuoriuscita di Kᶧ dalle cellule che può causare
anomalie elettrocardiografiche,
3-IPERFOSFATEMIA,
4-IPOCALCEMIA: facilitata dalla deposizione di cristalli di calcio, in più ci sono resistenza al paratormone e
ridotti livelli di 1,25-diidrossicolecalciferolo(vitamina D inattiva),
7-LEUCOCITOSI: con maggiore predisposizione alle INFEZIONI, causa della maggior parte dei decessi,
TERAPIE DI SUPPORTO
Una volta corretta l’ipovolemia, l’apporto di acqua e sale dovrebbe essere equivalente alle perdite idriche e
saline, ciò è anche il trattamento utilizzato per l’ipernatriemia. L’ipervolemia viene trattata, invece, con
restrizione di sali e acqua più somministrazione di diuretici, così facendo si trattano anche iponatriemia e
ipoosmolarità. L’acidosi metabolica viene trattata quando il pH<7,2 con bicarbonati sia orali che
endovenosi. La dieta deve fornire giuste calorie per evitare il catabolismo minimizzando la produzione di
residui azotati. Gli antiacidi sembrano ridurre il rischio di emorragia gastrointestinale. E’ d’obbligo il
controllo di cateteri, cannule endovenose e altri dispositivi invasivi.
La DIALISI sostituisce la funzione renale fino alla sua ripresa: l’EMODIALISI, solitamente con catetere a
doppio lume inserito nella vena giugulare, o la PERITONEODIALISI, dopo inserimento di catetere a lume
singolo nella cavità peritoneale, sono le modalità più utilizzate.
Il processo prevede numerose cause che hanno un comune denominatore nello sviluppo di una riduzione di
lunga durata nella massa renale. Inizialmente si verificano ipertrofie compensatorie da parte dei nefroni
superstiti mediate da molecole che predispongono alla sclerosi: tra queste svariate citochine ed il sistema
renina-angiotensina. Ciò comporta la diminuzione della funzione progressiva della funzionalità renale anche
nel momento nel quale la causa dell’insufficienza è stata eliminata.
Nella fase più precoce il GFR può essere normale o aumentato. In questo momento solo indicazioni
laboratoristiche possono essere utili: se azotemia e creatininemia sono anche lievemente aumentate si è
ormai instaurato un processo cronico. Fin tanto che il GFR non arriva al 30% il paziente sarà asintomatico.
Nicturia(ripetuto bisogno di urinare durante il sonno), lieve anemia ed anomalie del metabolismo del calcio
indicano un’INSUFFICIENZA RENALE MODERATA, ulteriori manifestazione cliniche ed un GFR<30%
implicano un’INSUFFICIENZA RENALE AVANZATA. Quando GFR<5-10% ci si trova in uno stato di
INSUFFICIENZA RENALE TERMINALE e la sopravvivenza è subordinata alla terapia sostitutiva funzionale.
L’EZIOLOGIA prevede che le cause più comunemente scatenanti IRC siano NEFROPATIA DIABETICA e
NEFROPATIA IPERTENSIVA, anche se spesso il paziente si presenta in uno stato di IRC avanzata per la quale
non è possibile definirne una causa. Talvolta è possibile riconoscere una derivazione genetica come nella
NEFROPATIA EREDITARIA DI ALPORT, trasmessa tramite carattere X-linked . In realtà anche il diabete
mellito e l’ipertensione essenziale presentano dei pattern genetici che, se ereditati, predispongono all’IRC.
L’UREMIA indica uno stato in cui i pazienti sono incapaci di eliminare i prodotti di degradazione proteica e
aminoacidica. E’ una condizione che si sviluppa successivamente all’alterazione funzionale di vari organi e
sistemi per l’accumulo di scorie della sintesi proteica, quali anomalie della funzione piastrinica e aumentati
livelli sierici di ormoni(paratormone, insulina, glucagone, LH, PRL…), e alla perdita di altre funzioni renali tra
cui anche la sintesi di determinate sostanze quali EPO e 1,25-diidrossicolecalciferolo. Ciò fa sì che anche un
adeguato trattamento con dialisi non risolva tutte le problematiche fisiologiche, in parte non più collegate
al malfunzionamento del rene.
-OMEOSTASI POTASSIO: il declino del GFR non sempre si accompagna ad iperpotassiemia, poiché
l’escrezione a livello gastroenterico risulta essere aumentata, ma questa condizione può essere favorita da
una dieta non adeguata e soprattutto da abbassamenti bruschi del pH. Iperpotassiemia significativa si
verifica con GFR<10ml/min,
-ACIDOSI METABOLICA: causata dal metabolismo delle proteine che produce idrogenioni, nella maggior
parte dei pazienti è comunque lieve(>7,35) e può essere trattata con 20-30 mmol di bicarbonato di sodio,
Il trattamento di iperparatiroidismo ed osteite fibrosa consiste in una dieta povera di fosfati e di agenti
chelanti per via orale. Vengono somministrati il più delle volte calcio carbonato o calcio acetato. E’
importante mantenere il prodotto calcio/fosforo nei limiti normali per evitare calcificazioni metastatiche.
2)OSTEODISTROFIA UREMICA A BASSO TURNOVER: si presenta specialmente a livello della testa del
femore ed è rappresentata da una situazione nella quale sia la velocità di mineralizzazione che di sintesi del
collagene sono ridotte, pertanto le aree osteoidi sono di spessore normale. Col tempo si è visto che
l’alluminio, utilizzato in passato nelle dialisi, era tra i principali responsabili di osteomalacia. Oggi l’alluminio
viene farmacologicamente utilizzato per circa un terzo dei pazienti. In questa condizione ci sono bassi livelli
di paratormone, alti livelli di calcio e di vitamina D esogena. Dopo molti anni di dialisi il paziente potrà
essere caratterizzato da deposizione di amiloide per accumulo di β₂-microglobulina con interessamento
degli ossicini carpali, sindrome del tunnel…c’è una maggiore predisposizione alle fratture spontanee che
necessitano di molto tempo per guarire. E’ possibile anche la CALCIFICASSI, riferita a lesione necrotizzante
delle estremità dei tessuti molli in relazione ad occlusione vascolare e calcificazione metastatica.
Quando la patologia è causata da un eccesso di alluminio la terapia prevede la sua completa eliminazione
dalla dieta. Per l’amiloidosi da dialisi, per il momento, non esiste nessun tipo di trattamento adeguato,
-ANOMALIE EMATOLOGICHE:
1)Anemia normocitica e normocromica perché con l’avanzamento della patologia il rene tende a
produrre meno EPO, altro fattore predisponente può essere la carenza di ferro, vitamina B12 e folati. Il
paziente viene trattato con eritropoietina umana ricombinata e tutt’al più ferro per via endovenosa,
2)Anomalie dell’emostasi,
3)Aumento delle suscettibilità alle infezioni: per variazione della formazione e della funzione
leucocitaria, linfocitopenia e atrofia delle strutture linfoidi. Nei pazienti dializzati c’è incompatibilità di
alcune membrane con la funzione leucocitaria. Gli accessi vascolare e peritoneale sono sedi comuni di
ingresso di patogeni,
-ANOMALIE NEUROMUSCOLARI: soprattutto nelle fasi avanzate dove si manifesta neuropatia periferica
dapprima della componente sensitiva, indice che è necessario iniziare un trattamento dialitico. La
DEMENZA DIALITICA può verificarsi in pazienti dializzati da anni: è caratterizzata da mioclonie, convulsioni e
morte,
-ANOMALIE GASTROINTESTINALI: anoressia, nausea e vomito. Il FETORE UREMICO simile a quello dell’urina
caratterizza i pazienti perché avviene la lisi dell’urea in ammoniaca a livello salivare,
-ANOMALIE DERMATOLOGICHE: la cute è pallida, presenta ecchimosi o ematomi e dà fastidioso prurito per
l’accumulo di calcio. Quest’ultimo fattore non migliora durante la dialisi. La necrosi cutanea può avvenire a
causa della calcifilassi.
DIAGNOSI
Il primo passaggio è riconoscere una IRC o una IRA: la prima è favorita dalla presenza di malattia metabolica
ossea cronica, anemia e rene bilateralmente ridotti di volume tramite diagnostica per immagini.
Una volta accertato IRC bisognerebbe cercarne l’eziologia, anche se quando il processo è avanzato è di
scarso significato terapeutico.
All’esame obiettivo bisogna porre particolare attenzione alla pressione arteriosa, all’esame del fundus
oculi(retinopatia diabetica), all’addome(masse palpabili), all’estremità(edemi) e alla valutazione
neurologica per ricercare segni di neuropatia.
Se anamnesi ed esame obiettivo lo indicano bisogna condurre gli esami di laboratorio per valutazioni
immunologiche per il LES e per le vasculiti. Altri esami sono: creatininemia, azotemia, emoglobina,
calcemia, fosforemia e della fosfatasi alcalina(malattia metabolica dell’osso). Le urine possono essere utili
nell’analisi dei sottostanti processi infiammatori o proteinurici.
L’esame di imaging più utile è l’ecografia che analizza le dimensioni dei reni e la possibile presenza di masse
renali o uropatia ostruttiva. Reni normali possono essere indice di IRA, ma bisogna ricordare che amiloidosi,
policistosi e diabete possono portare ad IRC con reni normali per dimensioni. Asimmetria può indicare
processi unilaterali quali anomalie urologiche o malattia cronica renovascolare. La TC può essere utile nel
riconoscimento di calcoli.
Pazienti con reni approssimativamente di dimensioni normali in cui non si riesce ad effettuare una diagnosi
chiara si effettua biopsia renale.
TERAPIA
E’ volta a prevenire o posticipare l’esordio di IR terminale e consiste in:
-RESTRIZIONE PROTEICA: la dieta deve essere ipoproteica sia nella nefropatia diabetica che non, ma deve
comunque evitare la malnutrizione con un adeguato apporto proteico costituito per lo più da aminoacidi
essenziali,
Quando la proteinuria è di livello moderato o assente, come nel rene policistico adulto, c’è minor
ipertensione intraglomerulare e può esser effettuato un trattamento con calcio-antagonisti.
Le dosi di molti farmaci devono essere sottodosate perché il rene non detossifica bene, quando invece
l’escrezione della medicina è per oltre il 70% non renale(epatico o intestinale) ciò non serve.
GLOMERULONEFRITI
Tutte le lesioni glomerulari provocano una compromissione della filtrazione glomerulare e/o la presenza di
proteine plasmatiche e di cellule ematiche nell’urina.
Le malattie glomerulari possono essere classificate in base alla causa in primitive o secondarie, in base al
tempo di insorgenza in acute, subacute o croniche e in base alle lesioni in focali, diffuse o segmentarie.
La maggior parte delle glomerulopatie viene ancora classificata in base alle caratteristiche morfologiche.
Nella malattia a lesioni minime si presente tipicamente una proteinuria nefrosica>3g/die con presenza nel
sedimento urinario di globuli rossi, leucociti o cilindri cellulari. Conseguenze di ciò sono ipoalbuminemia,
edema, iperlipidemia e lipiduria.
I fattori più importanti che determinano la gravità del danno glomerulare sono:
-NATURA DELLA LESIONE PRIMITIVA: la maggior incidenza si ha per alterazioni del sistema immunitario,
diabete mellito e ipertensione,
E’ responsabile di circa l’80% dei casi di SINDROME NEFROSICA nei giovani di età inferiore a 16 anni e del
20% negli adulti. Questa si manifesta con proteinuria>3,5 g/1,73m²/24ore, causa delle successive:
- IPERLIPIDEMIA E LIPIDURIA: per aumento della sintesi di lipoproteine innescata da riduzione della
pressione oncotica e aggravata dalla perdita di proteine regolatrici dell’omeostasi dei lipidi,
-IPERCOAGUABILITA’ E DIATESI TROMBOTICA: per cause multifattoriali tra cui aumentata perdita di
antitrombina 3, alterati livelli di proteina C ed S…ciò predispone alla formazione di trombosi arteriose,
venose periferiche, della vena renale ed embolia polmonare,
-ALTRE COMPLICANZE: ANEMIA ipocromica microcitica per la perdita di transferrina, IPOCALCEMIA con
iperparatiroidismo secondario, ridotti livelli di TIROXINA per perdita delle sue globuline leganti,
predisposizione alle INFEZIONI per perdita di IgG ed alterazione della CINETICA FARMACOLOGICA.
Il tutto può portare a diminuzione del GFR nel 10-30% dei casi.
L’eziologia più comune è di natura idiopatica, ma può essere anche associata a nefrite interstiziale da
farmaci(FANS), infezioni da HIV, eroina, Hodgkin e altri linfomi. In realtà spesso c’è una sorta di
predisposizione genetica perché se si analizza l’aplotipo nella maggior parte dei casi è di tipo HLA-B 12.
La biopsia renale uno strumento importante nell’adulto con sindrome nefrosica per stabilire la diagnosi
definitiva.
TERAPIA
La MCD è steroido-sensibile e ha prognosi molto favorevole sia per il paziente che per il rene.
Vengono somministrati glucocorticoidi per via orale: nei bambini 60mg/m²/die per le prime 4 settimane,
seguiti da 40mg/m²/die per le successive 4 settimane, negli adulti 1-1,5mg/kg/die le prime 4 settimane
seguiti da 1mg/kg/die le successive 4.
Recidive sono presenti in oltre il 50% dei casi dopo sospensione della terapia steroidea, se ciò avviene per
più di tre volte l’anno vengono somministrati farmaci alchilanti(ciclofosfamide o clorambucil) per 8-12
settimane. Questi hanno vari effetti indesiderati tra cui infertilità, infezioni e neoplasie secondarie. In
alternativa si può utilizzare ciclosporina che è meno tossica.
Glomerulonefrite poststreptococcica
La glomerulonefrite poststreptococcica rappresenta una patologia acuta che insorge a seguito di un’infezione
da streptococchi. È una malattia immunomediata che coinvolge antigeni streptococcici, immunocomplessi
circolanti e l’attivazione del complemento insieme al danno cellulomediato.
La sua incidenza nei Paesi Occidentali è diminuita e attualmente in queste aree la malattia è quasi sempre
sporadica. Nei Paesi sottosviluppati colpisce di solito i bambini di età compresa tra i 2 e i 14 anni, mentre nei
Paesi sviluppati è più comune negli anziani, soprattutto in condizioni debilitanti. Il sesso maschile è il più
colpito.
Patogenesi
Normalmente, la malattia glomerulare è preceduta da infezioni della cute e della faringe da parte di uno
Streptococco di tipo M, appartenente al ceppo Nefritogeno. I tipi M 47, 49, 55, 2, 60 sono stati osservati in
seguito a impetigine e, in questo caso, la glomerulonefrite si sviluppa dopo 2-6 settimane dall’infezione
cutanea; i tipi M 1, 2, 3, 4, 25, 49, 12 si associano a faringite, con sviluppo della GN 1-3 settimane dopo
l’infezione.
Clinica
- Ematuria;
- Cilindruria;
- Edema;
- Ipertensione;
- Insufficienza renale oligurica.
In circa il 50% dei casi vengono riferiti sintomi sistemici come: cefalea, malessere, anoressia e dolore ai fianchi
(dovuto al rigonfiamento della capsula renale).
Edema
L’edema è presente nell’80% dei casi ed è dovuto alla compromissione del flusso plasmatico glomerulare a
causa dell’ipercellularità presente che riduce sempre di più la clearance a livello dei capillari glomerulari.
Questa riduzione del flusso si traduce in una minore filtrazione ed escrezione del sodio con conseguente
concentrazione delle urine. La ritenzione di sodio e acqua darà luogo all’edema.
Ipertensione
Si manifesta nel 60-80% dei casi ed è più comune dei soggetti anziani. Normalmente, l’ipertensione è
transitoria, poiché si cerca subito di normalizzare il flusso plasmatico glomerulare, con conseguente riduzione
dell’edema e della volemia. Se l’ipertensione persiste è possibile che la malattia si avvii verso la cronicità.
Oliguria
L’oliguria è presente è presente nel 10-40% dei casi. Nel 15% dei casi la quantità di urina prodotta non supera
i 200 ml/die. Solitamente è transitoria, ma indica un peggioramento del quadro clinico.
Diagnosi
La presenza di colture positive per infezione streptococcica è incostante (10-70%) mentre l’aumento di
anticorpi antistreptolisina-O (30%) , anti-DNAsi (70%) o anti ialuronidasi possono aiutare a confermare la
diagnosi. Di conseguenza, la glomerulo nefrite streptococcica raramente necessita di una biopsia renale per
la diagnosi.
Il trattamento è di supporto, con: controllo di ipertensione ed edema e, nei casi in cui necessario, dialisi. È
fondamentale che il paziente sia trattato con antibiotici, così come i soggetti che sono venuti a contatto con
esso.
La morte prematura è rara nel bambino. In generale la prognosi è buona e l’insufficienza renale permanente
avviene in meno dell’1% dei casi. Nella maggioranza dei bambini la risoluzione completa dell’ematuria e della
proteinuria si verifica entro 3-6 settimane dall’esordio della nefrite, ma nel 3-10% dei casi può persistere
microematuria, proteinuria non nefrosica o ipertensione. Negli anziani la prognosi è peggiore, con elevata
incidenza di azotemia (fino a 60%). Proteinuria in range nefrosico e malattia renale terminale.
NEFROPATIA DIABETICA
Fa parte delle lesioni glomerulari non immunologiche, infatti è di natura metabolica.
Complica circa il 30% dei pazienti con diabete mellito di tipo 1 ed il 20% di quelli con tipo 2 ed è
caratterizzata da proteinuria ed insufficienza renale progressiva. E’ la prima causa di uremia terminale. Le
caratteristiche, che si tratti di diabete di tipo 1 o 2, sono simili.
A distanza di circa 5 anni dalla diagnosi di diabete il primo sintomo a manifestarsi sarà la
MICROALBUMINURIA, segno di danno a livello della barriera glomerulare e preannuncio dello sviluppo di
nefropatia conclamata. Successivamente si svilupperanno proteinuria rilevabile associata ad ipertensione e
progressiva perdita della funzionalità renale associata ad iperkaliemia e acidosi metabolica, che portano al
rene terminale nel giro di qualche anno.
Istologicamente è possibile analizzare, nelle prime fasi, un ispessimento della membrana ed ampiamento
del mesangio per aumento della matrice extracellulare. Successivamente l’accumulo di matrice
extracellulare diventa diffuso e si manifesta alla biopsia come glomerulosclerosi eosinofila. La
vascolarizzazione renale mostra tipicamente segni di aterosclerosi, conseguenza dell’iperlipidemia, e
arteriosclerosi ipertensiva.
La diagnosi viene fatta in base ai dati clinici, senza biopsia renale: reni di dimensioni normali o leggermente
aumentate(differenziano la suddetta patologia dall’IRC), segni di retinopatia diabetica e sedimento urinario
insignificante orientano verso una nefropatia diabetica.
I fattori implicati nell’iniziazione sono molti, tra i principali possiamo ricordare l’ipertensione, l’angiotensina
2, TGFβ,prodotti del metabolismo glucidico e fattori emodinamici. Pressione idrostatica glomerulare e GFR
tendono ad aumentare nel giro di mesi dopo lo sviluppo dell’iperglicemia, anche se ancora non si sa bene
quali siano i meccanismi coinvolti si pensa che il responsabile sia il peptide natriuretico atriale: la glicosuria
induce aumentato riassorbimento di sodio e glucosio a livello del tubulo prossimale che determina
aumentati livelli nel siero. La risposta fisiologica sarà la produzione dell’ormone a livello cardiaco che
provoca natriuresi con vasodilatazione dell’arteriola afferente e aumento della pressione intraglomerulare
e del GFR. Questo comporta l’ispessimento della membrana basale, incremento della produzione di matrice
mesangiale e glomerulosclerosi.
Glomerulopatia di Berger
(Malattia di Berger o Nefropatia da IgA)
Patologia caratterizzata da ematuria di natura episodica associata a deposizione di IgA nel mesangio.
È sporadica, con rare forme familiari e insorgenza tra la IIª e la IIIª decade di vita, con un’incidenza maggiore
nei soggetti maschili e una preponderanza per le popolazioni dell’Asia, del Pacifico e dell’Europa meridionale.
A livello laboratoristico presenta delle forti analogie con la porpora di Henoch-Schönlein, che però si distingue
per:
RENE POLICISTICO
(Sulle domande del 2012 c’era scritto che non lo chiede da un po’, ma che conviene farlo lo stesso).
Fa parte delle malattie ereditarie e può essere trasmesso attraverso carattere dominante o recessivo.
Geneticamente possiamo riconoscere tre forme: la FORMA 1 è dovuta a una mutazione sul braccio corto
del cromosoma 16, la FORMA 2 ad una sul braccio corto del 14. Questi geni codificano per il complesso
proteico della POLICISTEINA, regolatrice di interazione cellula/cellula o cellula/matrice. La FORMA 3 è stata
documentata, ma non se ne conosce il gene responsabile.
L’aspetto dei reni è ingrandito e con cisti sferiche multiple presenti sia a livello corticale che midollare.
Queste contengono un liquido paglierino che può diventare emorragico e possono variare di grandezza da
pochi mm ad alcuni cm. Solo una parte dei nefroni svilupperà cisti, ma il numero può aumentare a causa di
eventi scatenanti che determinano mutazione somatica con successiva proliferazione dell’epitelio tubulare.
Il restante epitelio sarà atrofico e presenterà fibrosi interstiziale e nefrosclerosi.
SINTOMATOLOGIA:
-DOLORE ACUTO: può essere indice di ostruzione del tratto urinario, emorragia della cisti o INFEZIONE, la
quale può essere una pielonefrite, riguardando vescica o interstizio renale, o una piocisti, riguardando la
cisti,
-NEFROLITIASI: può presentarsi con calcoli costituiti da ossalato di calcio e acido urico,
L’EMATOCRITO è alto in confronto ai soliti pazienti con IRC e la produzione di EPO è alta.
Ci sono anche manifestazioni extrarenali a vari livelli: cisti epatiche (il fegato resta funzionante), spleniche,
pancreatiche e dell’ovaio, aneurismi cerebrali, diverticolosi del colon(principale anomalie con maggiore
predisposizione alle perforazioni), prolasso della mitrale ed insufficienza aortica o tricuspidalica.
Il declino della funzionalità renale è frequente, ma varia notevolmente anche nell’ambito di una stessa
famiglia. Fattori maggiormente predisponenti sono ipertensione, infezioni, sesso maschile e diagnosi in
giovane età.
La DIAGNOSI viene effettuata tramite ecografia, utilizzata sia per pazienti sintomatici che per esami di
screening: per la conferma di patologia è necessario che ciascun rene presenti dalle 3 alle 5 cisti. La TC è più
sensibile e riesce a scovare cisti più piccole. Per la prima forma di ADPKD è possibile effettuare l’analisi
genetica nel caso in cui l’immagine radiografica sia negativa.
-INFEZIONI: in maniera convenzionale se non è presente una piocisti, diversamente si utilizzano antibiotici
che penetrano nella cisti come il trimetoprim o il cloramfenicolo.
SINTOMATOLOGIA:
-MASSE ADDOMINALI BILATERALI: già dal primo anno di vita che aiutano nella diagnosi,
-IPERTENSIONE ARTERIOSA,
L’evoluzione verso l’uremia terminale è variabile, anche se nel giro di alcuni anni si verifica in ogni caso.
-FIBROSI EPATICA CONGENITA, caratterizzata da proliferazione e dilatazione dei duttuli intraepatici con
fibrosi periportale,
-EPATOSPLENOMEGALIA,
-VARICI ESOFAGEE,
-IPERTENSIONE PORTALE.
La DIAGNOSI prenatale e infantile viene fatta tramite ecografia, rilevante reni aumentati di volume ed
ipoecogeni, e anamnesi familiare.
La TERAPIA è uguale a quella della forma dominante con l’aggiunta di dialisi e trapianto ad un’età
considerevolmente minore. La fibrosi epatica può causare rottura di varici esofagee che mettono in
pericolo la vita del paziente.
Le UTI possono essere asintomatiche (infezione subclinica) o sintomatiche; entrambe le forme denotano la
presenza di batteri nelle vie urinarie, di solito accompagnata da leucociti e citochine infiammatorie nelle
urine. La batteriuria asintomatica non richiede trattamento, mentre la UTI necessita di terapia
antimicrobica.
Epidemiologia
Le UTI sono molto comuni nel sesso femminile. Durante il periodo neonatale, la loro incidenza è però
superiore nei maschi, poiché questi sono più spesso affetti da anomalie congenite delle vie urinarie. Dopo i
50 anni negli uomini è più comune l’ostruzione da ipertrofia della prostata, quindi a quest’età l’incidenza
tra uomo e donna è simile. Nell’età compresa tra 1-50 anni, le UTI sono prevalentemente femminili. Il 50-
80% delle donne contrae almeno una UTI nel corso della vita, nella maggior parte dei casi una cistite non
complicata. I fattori di rischio per una cistite acuta sono rappresentati da:
Anamnesi positiva per UTI
Uso recente di diaframma vaginale spermicida
Rapporti sessuali frequenti (è più facile che le forme acute di cistite si manifestino entro 48 ore da
un rapporto)
Molti fattori che si associano a cistite predispongono anche a pielonefrite. I fattori associati a pielonefriti in
donne giovani sono:
Nelle donne in gravidanza, la batteriuria ha conseguenze cliniche per cui sono indispensabili screening e
trattamento.
La maggior parte degli uomini affetti da UTI presenta un’anomalia funzionale o anatomica delle vie urinarie,
di solito un’ostruzione secondaria a ipertrofia prostatica. Tuttavia, non tutti gli uomini con uti hanno
anomalie individuabili e ciò diventa importante nei soggetti con meno di 45 anni. Anche la mancata
circoncisione si associa ad un aumentato rischio di UTI, poiché la colonizzazione da parte di E.Coli è
maggiormente favorita a livello di glande e prepuzio ed è facile che migri verso le vie urinarie.
Le donne con diabete hanno una maggiore probabilità di incorrere in batteriuria asintomatica e in UTI. Ciò è
dovuto ad una minore funzionalità vescicale, ostruzione al flusso delle urine e minzione incompleta, che si
possono manifestare maggiormente nella condizione diabetica.
Eziologia
I patogeni che causano questo tipo di infezione sono diversi, ma sono in genere bacilli gram negativi
enterici, migrati nelle vie urinarie. In USA ed Europa, gli agenti più isolati sono:
Patogenesi
Nella maggior parte di queste infezioni, i batteri infettano le vie urinarie risalendo dall’uretra alla vescica
per poi ascendere dall’uretere fino al rene. Tuttavia, l’ingresso dei patogeni nella vescica non preclude
necessariamente un’infezione prolungata e sintomatica. I batteri possono accedere alle vie urinarie anche
attraverso il sangue; la diffusione ematogena rappresenta appena il 2% delle UTI e generalmente fa seguito
a batteriemia causata da Salmonella e S.aureus. Le infezioni ematogene possono provocare ascessi focali o
aree di pielonefrite e si evidenziano con urino colture positive.
Fattori ambientali
Ecologia vaginale: è un importante fattore che influisce molto sul rischio di UTI. La colonizzazione
del vestibolo della vagina e dell’area periuretrale da parte di batteri appartenenti alla flora
intestinale (E.Coli) rappresenta il primo passaggio per l’insorgenza di una UTI. I rapporti sessuali
aumentano questo rischio di colonizzazione.
Anomalie anatomiche e funzionali: situazioni che permettono la stasi delle urine oppure l’ostacolo
al deflusso predispongono a UTI. I corpi estranei come calcoli o cateteri favoriscono la
proliferazione batterica. Le UTI sono favorite anche da: ostruzione uretrale secondaria a ipertrofia
prostatica, reflusso vescico-ureterale e vescica neurologica. Spesso in queste condizioni il ceppo
infettante è E.Coli. nelle donne in gravidanza molto spesso l’insorgenza della pielonefrite può
essere dovuta a inibizione della peristalsi e ridotto tono degli ureteri, che provocano un reflusso
vescico-ureterale. Anche fattori anatomici, come la distanza dell’uretra dall’ano, spiegano perché le
giovani donne siano interessate da UTI più degli uomini.
Fattori riguardanti l’ospite
I ceppi di E.Coli provocano infezioni sintomatiche invasive delle vie urinarie utilizzando anche fattori di
virulenza, quali l’espressione di adesine, che mediano il legame tra il patogeno e il recettore presente sulla
cellula uro epiteliale. Le adesine di riferimento sono le fimbrie P, strutture che interagiscono con un
recettore presente soprattutto a livello renale, che molto spesso determina l’insorgenza di pielonefriti.
Un’altra adesina è il pilo, sempre espresso da E.Coli, il quale media l’adesione vescicale attraverso delle
particolari molecole di adesione presenti a livello dell’epitelio di transizione, definite uroplachine. Questo
legame porta ad una serie di fenomeni apoptotici e alla formazione di detriti cellulari che vengono
trasportati nelle urine insieme ai microrganismi.
Clinica
Il principale problema da affrontare quando si sospetta un’UTI è riconoscere che sia batteriuria
asintomatica, cistite non complicata, pielonefrite, prostatite o UTI complicata.
Batteriuria asintomatica
La diagnosi di questa forma può essere presa in considerazione solo quando il paziente NON presenta
sintomi locali o sistemici riferibili alle vie urinarie. Si tratta, di solito, di una persona che si sottopone a
urinocoltura per altri motivi e ha riscontro accidentale di batteriuria. La presenza di segni e sintomi quali
febbre, alterazioni mentali, leucocitosi con urinocoltura positiva non fa sorgere il sospetto diagnostico per
UTI sintomatica.
Cistite
Disuria;
Pollachiuria;
Urgenza minzionale;
spesso si osservano anche nicturia, esitazione minzionale, malessere sovrapubico e microematuria. Un
dolore unilaterale del dorso o del fianco indica che sono interessate le vie urinarie superiori. La febbre è
indice di invasione verso il rene.
Pielonefrite
Febbre alta
Rigidità
Nausea
Vomito
Dolore al fianco o nell’area renale.
Di solito, la pielonefrite acuta si sviluppa rapidamente e possono non essere presenti sintomi di cistite. La
febbre è la principale caratteristica che differenzia la pielonefrite dalla cistite.
Nella pielonefrite, la febbre ha un pattern “a palizzata” e si risolve entro 72 ore dall’inizio della terapia. Nel
20-30% dei casi si sviluppa batteriemia.
I soggetti diabetici potrebbero presentare uropatia ostruttiva e necrosi papillare acuta, quando le papille
sfaldate ostruiscono l’uretere. Nel raro caso di necrosi papillare bilaterale, un forte incremento della
creatininemia può costituire un primo segno clinico della malattia.
La pielonefrite enfisematosa è una forma piuttosto grave, con produzione di gas nel rene e si osserva quasi
esclusivamente nei diabetici;
la pielonefrite xantogranulomatosa si osserva quando un’ostruzione urinaria cronica (dovuta a calcoli detti
“a stampo” o “a cervo”) induce distruzione suppurativa del tessuto renale. Il tessuto renale appare
giallastro poiché infiltrato da macrofagi ricchi di lipidi. La pielonefrite può anche essere complicata dalla
formazione di ascessi intraparenchimali; questa ipotesi deve essere presa in considerazione nel momento
in cui il paziente presenta febbre e/o batteriemia prolungata nonostante la terapia antibiotica.
Prostatite
Descrive anomalie della prostata sia di tipo infettivo, sia non infettivo. Le infezioni possono essere acute o
croniche, sono quasi sempre batteriche e sono meno frequenti delle anomalie non infettive che definiscono
il quadro di sindrome dolorosa pelvica cronica (prostatite cronica). La prostatite batterica acuta si manifesta
con:
Disuria;
Pollachiuria;
Dolore nell’area prostatica, pelvica e perineale
Spesso presenti febbre e brividi.
La prostatite batterica cronica si manifesta in maniera più insidiosa con episodi ricorrenti di cistite, a volte
associata a dolore pelvico. Gli uomini con cistiti ricorrenti vanno valutati per escludere la presenza di un
focolaio prostatico.
Si presentano come episodi sintomatici di cistite o pielonefrite in donne e uomini che presentano una
predisposizione anatomica per questo tipo di infezione, con corpo estraneo nelle vie urinarie o fattori che
predispongono a un ritardo nella risposta alla terapia.
Diagnosi
Anamnesi
È essenziale raccogliere un’attenta anamnesi. È stato dimostrato infatti, che in donne che presentavano
anche UN SOLO sintomo di UTI (disuria, pollachiuria, ematuria, dolore dorsale) la probabilità di cistite o
pielonefrite acuta è del 50%. La presenza di disuria e pollachiuria in assenza di perdite vaginali aumenta la
probabilità di UTI fino al 96%, soprattutto in donne con UTI ricorrente. È necessario prestare particolare
attenzioni a donne con meno di 25 anni che possiedono più di un partner sessuale e non usano
abitualmente il preservativo, poiché molto spesso i sintomi che lamentano non sono associati ad UTI, bensì
a una malattia sessualmente trasmissibile come la Chlamydia trachomatis.
I test con disptick ci permette di analizzare la quantità di nitriti presenti nell’urina (prodotti da molti
Enterobacteriaceae) e di individuare l’esterasi leucocitaria (presente nei PMN, sia lisati che intatti).
Solitamente la positività per questi due segni può essere interpretata come orientamento diagnostico verso
una UTI, così come la presenza di sangue nelle urine. Un test negativo per i precedenti parametri deve far
prendere in considerazione altre ipotesi, eseguendo quindi un’urinocoltura. Infatti, il test con dipstick non è
abbastanza sensibile per escludere batteriuria.
L’esame microscopico delle urine evidenza piuria in quasi tutti i casi di cistite ed ematuria nel 30% dei casi.
L’individuazione dei batteri in urinocoltura è il gold standard per la diagnosi di UTI.
Diagnosi
Cistite non complicata nelle donne
Questa forma potrebbe essere diagnosticata anche da una semplice ed attenta anamnesi. Quando però i
sintomi non sono specifici o l’anamnesi poco affidabile, va eseguito un esame delle urine mediante dipstick.
Il risultato positivo per nitriti e esterasi leucocitaria in una donna che presenta anche solo un sintomo di UTI
aumenta la probabilità di diagnosi fino all’80% e si può procedere al trattamento senza ulteriori esami.
Se il risultato dovesse essere negativo, occorre ricordarsi della ridotta sensibilità del dipstick ed è quindi
consigliabile effettuare un’urino coltura e un attento follow-up.
Cistite nell’uomo
I segni e sintomi sono simili a quelli della donna, ma la malattia presenta diverse differenze tra i sessi.
Quando un uomo presenta sintomi di UTI è necessario effettuare un’urinocoltura per capire se si tratti di
una infezione o di una sindrome dolorosa pelvica cronica, che non è associata a batteriuria. Se la diagnosi è
incerta, occorre effettuare il test di Meares- Stamey, in cui vengono raccolte le urine dopo massaggio
prostatico, per differenziare tra sindromi prostatiche batteriche e non batteriche. Gli uomini con UTI
febbrili presentano spesso un alto valore di PSA, come pure un ipertrofia della prostata e delle vescichette
seminali all’ecografia, indicativi di interessamento della prostata.
Batteriuria asintomatica
Trattamento
Per tutte le forme di UTI sintomatica è necessaria la terapia antibiotica. Ciascuna categoria di UTI ha però
un approccio differente.
Nella cistite acuta non complicata i farmaci di prima scelta sono appunto: nitrofurantoina e TMP-SMX, mentre
quelli di seconda scelta sono fluorochinoloni e beta lattamici. Benché la nitrofurantoina abbia un regime
terapeutico di sette giorni, anche un ciclo di cinque giorni presenta efficacia microbica. A volte viene utilizzato
per tre giorni, affiancato dal TMP-SMX in caso di cistite acuta.
Anche i fluorochinoloni sono efficaci, soprattutto per brevi cicli di terapia; un’eccezione è rappresentata dalla
moxifloxacina, che non raggiunge livelli adeguati nelle urine. I flurochinoloni comunemente usati nelle UTI
sono: ofloxacina, ciprofloxacina e levofloxacina. il problema principale di questa classe di antibiotici è la
propagazione della resistenza, non solo fra gli uropatogeni, ma anche fra gli altri microrganismi che causano
infezioni in altre sedi. In alcune situazione è indicato l’uso di analgesici urinari (fenazopiridina, che però causa
nausea intensa).
Pielonefriti
Nei pazienti affetti da pielonefrite la terapia di prima scelta è rappresentata dai fluorochinoloni, almeno per
la forma acuta non complicata. La scelta della via orale o parenterale dipende dalla tolleranza del paziente
nei confronti della terapia orale. Solitamente, soprattutto per il trattamento iniziale, si somministra
Ciprofloxacina per os (500 mg 2 volte/die). Le soluzioni per via parenterale per la pielonefrite non complicata
comprendono:
- fluorochinoloni;
- un amino glicoside con o senza ampicillina;
- cefalosporina ad ampio spettro con o senza aminoglicoside.
UTI in gravidanza
Nitrofurantoina, ampicillina e cefalosporine sono considerati sicuri nelle prime fasi della gravidanza. I
solfamidici devono ovviamente essere evitati sia nel primo trimestre, per possibili effetti teratogeni, sia in
prossimità del termine, per un possibile ruolo nell’insorgenza di kernittero (un ittero neonatale patologico
con deposito di bilirubina libera nel tessuto cerebrale).
I fluorochinoloni non sono usati in gravidanza per possibili effetti tossici sullo sviluppo delle cartilagini fetali.
Ampicillina e cefalosporine sono farmaci di scelta per il trattamento delle UTI sintomatiche o asintomatiche
in corso di gravidanza. Nel caso di pielonefrite conclamata, la terapia standard consiste nella
somministrazione parenterale di beta lattamici con o senza amino glicosidi.
Nei casi di UTI febbrile con interessamento della prostata è necessario eradicare l’infezione sia da questo
organo, che dalla vescica. Negli uomini con UTI apparentemente non complicata è raccomandato un ciclo di
7-14 giorni con fluorochinoloni. Se si sospetta una prostatite batterica la terapia antibiotica viene prescritta
a seguito di prelievo di sangue e urine per gli esami colturali. In caso di prostatite batterica cronica è
necessario un ciclo di antibiotici della durata di 4-6 settimane. Le recidive richiedono spesso un ciclo di
trattamenti di 12 settimane.
UTI complicata
La terapia della UTI complicata deve essere personalizzata e guidata dai risultati dell’urinocoltura. La
pielonefrite xantogranulomatosa viene curata con la nefrectomia. Può essere inizialmente effettuato un
drenaggio percutaneo in caso di pielonefrite enfisematosa, seguito da nefrectomia elettiva. La necrosi
papillare con ostruzione richiede un intervento per risolvere l’ostacolo e preservare la funzione renale.
La CAUTI è definita come la presenza di batteriuria in un paziente cateterizzato. I segni e sintomi possono
essere localizzati alle vie urinarie o comprendere manifestazioni sistemiche come la febbre.
Nella patogenesi da CAUTI, un passaggio determinante è la formazione del biofilm, uno strato vivente di
uropatogeni, sul catetere urinario. I microrganismi che costituiscono questo film sono relativamente
resistenti all’effetto battericida degli antibiotici e l’eradicazione di un biofilm catetere-associato è complessa,
a meno che non si rimuova completamente il catetere stesso. L’eziologia della CAUTI è varia e i risultati
dell’urinocoltura sono fondamentali per il trattamento. È fondamentale rimuovere il catetere cosicché venga
rimosso anche il biofilm, i cui microrganismi potrebbero fungere da focolaio per una reinfezione. È inoltre
raccomandato un ciclo di antibiotici di 7-14 giorni.
La strategia preventiva migliore per evitare la CAUTI consiste nel limitare il più possibile l’inserimento dei
cateteri e di rimuoverli quando non siano più strettamente necessari. La cateterizzazione intermittente può
essere preferibile a quella uretrale a dimora a lungo termine in alcune popolazioni (es: traumatizzati spinali)
per prevenire complicazioni infettive e anatomiche. Non sono stati riscontrati vantaggi nell’utilizzo di cateteri
impregnati con antibiotici o argento.
Candiduria
La comparsa di Candida nelle urine è una complicazione molto diffusa nella cateterizzazione a permanenza,
in particolare in pazienti ricoverati in terapia intensiva, in quelli che assumono antibiotici a largo spettro e
nei diabetici. C.albicans è la specie più comune per questo tipo di infezione. La presentazione clinica può
variare da un reperto casuale a pielonefrite o, in casi gravissimi, a sepsi. Nei pazienti asintomatici, la rimozione
del catetere risolve la candiduria in oltre un terzo dei casi. Il trattamento è raccomandato per pazienti che
presentino una cistite sintomatica o pielonefrite. I pazienti ad alto rischio sono i neutropenici, neonati di
basso peso e persone sottoposte a manipolazioni urologiche . il farmaco di prima scelta per le infezioni
urinarie da Candida è il Fluconazolo.
1. continua
2. postcoitale
3. avviata dalla paziente.
Nelle 1 e 2 si prevede assunzione di bassi dosi di TMP SMX, fluorochinolone e nitrofurantoina. Solitamente
la profilassi in questi casi si protrae per sei mesi e poi sospesa. Se l’infezione dovesse ripresentarsi, la profilassi
va ripetuta per un periodo più lungo.
Nella 3 vengono utilizzati materiale per l’urinocoltura e farmaci per automedicazione, con un ciclo di
antibiotici ai primi sintomi di infezione.
Prognosi
La cistite è un fattore di rischio per cistiti ricorrenti e pielonefriti. La batteriuria asintomatica è comune negli
anziani e nei pazienti cateterizzati, ma non aumenta di per sé il rischio di morte. In assenza di anomalie
anatomiche, infezioni urinarie in adulti e bambini non portano a pielonefrite cronica o insufficienza renale.
In presenza di anomalie renali (es: calcolo ostruttivo) l’infezione, come fattore secondario, può accelerare il
danno parenchimale renale.
PIELONEFRITE ACUTA
E’ un’infiammazione localizzata che colpisce il bacinetto renale ed il rene. E’ spesso causata dal propagarsi
di un’infezione sostenuta da patogeni appartenenti alla flora batterica intestinale. Tra i più frequenti
troviamo E.coli, P.mirabilis, S.saprophyticus. Le vie di accesso al rene sono tre: ASCENDENTE DALLA
VESCICA(la più comune), EMATICA E LINFATICA.
I SINTOMI si manifestano velocemente e comprendono: FEBBRE( > 39,4 gradi), brividi, nausea, vomito e
diarrea. In alcuni casi prevalgono segni e sintomi della sepsi da Gram-negativi. Spesso gli esami riscontrano
una leucocitosi e presenza di cilindri leucocitari nelle urine, quest’ultimo fattore è patognomonico. Altro
sintomo talvolta presente durante la fase acuta è l’ematuria, se non scompare successivamente è indice di
presenza di calcoli, tumori o tubercolosi. La palpazione evidenzia dolore profondo di uno o entrambi gli
angoli costovertebrali.
La DIAGNOSI avviene tramite conta dei batteri nelle urine(>10⁵/ml) e l’indicazione della loro tipologia
permette di intraprendere una terapia adeguata. Metodi moderni di conta batterica sono utilizzati in
alternativa ai metodi standard normali: fotometria, bioluminescenza ed altre metodiche permettono di
avere risultati nel giro di 1-2 ore con alta sensibilità. Per l’alto numero di batteri è possibile che essi siano
visibili al microscopio ottico e la loro assenza non esclude la diagnosi perché se la loro concentrazione è
inferiore, ma comunque alta, questa metodica non funziona. La piuria(pus nelle urine) è un importante
indicatore di infezione in pazienti sintomatici, la sua assenza deve porre in dubbio la diagnosi. Piuria in
assenza di batteriuria (PIURIA STERILE) può indicare infezione da agenti batterici inusuali, quali
C.trachomatis, Mycobacterium tuberculosis o miceti, oppure condizioni urologiche non infettive, come
calcolosi, anomalie anatomiche, nefrocalcinosi…
Vengono utilizzati due approcci terapeutici: nel primo si inizia il trattamento solo con anamnesi positiva o
rilievi caratteristici all’esame obiettivo, nel secondo le donne con segni di cistite acuta senza fattori
complicanti, possono essere trattate sulla base dell’esame microscopico del sedimento urinario.
L’urinocultura deve essere effettuata per quei pazienti ai quali l’esame delle urine e i sintomi danno dubbi
di diagnosi. Quando i pazienti presentano complicanze o sospetta infezione delle vie urinarie superiori è
necessaria la coltura cellulare e gli antibiogrammi(valuta se un batterio è sensibile ad un particolare
antibiotico). Anche dopo la scomparsa dei sintomi batteriuria e piuria possono persistere. Nelle forme più
gravi la febbre decresce più lentamente anche con adeguato trattamento antibiotico.
La TERAPIA dà risposte entro 48/72 ore tranne che nei pazienti con necrosi papillare od ostruzione urinaria.
Solitamente il trattamento prevede l’utilizzo di un chinolonico(fluorochinolone, aminoglicoside o
cefalosporina) per via orale con preferibile prima dose endovena per 7-14 giorni. Le infezioni delle vie
urinarie alte richiedono di solito cicli più prolungati(2-6 settimane) e dopo la guarigione le recidive causate
dallo stesso ceppo possono presentarsi a causa di focolai non eliminati a livello vaginale, o più raramente
dello stesso tratto urinario. Le infezioni contratte al di fuori dell’ambiente ospedaliero sono sensibili ad
antibiotici ad ampio spettro. In caso contrario i pazienti maggiormente colpiti sono quelli soggetti ad
infezioni ricorrenti o interventi strumentali sulle vie urinarie e ci sarà una maggiore resistenza. Pazienti che
non rispondono al trattamento entro 72 ore o che vanno incontro a recidive dovrebbero essere esaminati
per la possibile presenza di calcoli, anomalie urologiche o focolai suppurativi sconosciuti.
MALATTIE DEL SISTEMA IMMUNITARIO, DEL TESSUTO
CONNETTIVO E DELLE ARTICOLAZIONI
Gotta è un termine generico che sta ad indicare un insieme di patologie caratterizzate dalla deposizione,
nel liquido sinoviale articolare, di cristalli minerali. Clinicamente indistinguibili, la diagnosi differenziale si fa
unicamente con il prelievo e l’analisi del liquido sinoviale. La terapia varia lievemente tra i diversi tipi. I 4 ti-
pi di gotta sono: gotta da urato monosodico (sicuramente la più prevalente), malattia da deposizione di cal-
cio pirofosfato diidrato, malattia da deposizione di idrossiapatite di calcio e malattia da deposizione di ossa-
lato di calcio.
60000/µl. Se c’è il sospetto di artrite settica va eseguito anche un esame colturale del liquido. L’uricemia
può essere normale o bassa durante l’attacco, ma solitamente è elevata e può quindi essere usata per valu-
tare l’efficacia della terapia ipouricemizzante. Utile la raccolta delle urine delle 24h per valutare la funziona-
lità renale, per evidenziare la sovrapproduzione o l’insufficiente escrezione di acido urico e per stabilire il
corretto regime ipouricemico. Se l’uricuria supera 800 mg/die con una dieta regolare è utile considerare le
cause di questa sovrapproduzione di purine. Alla RX delle articolazioni colpite si evidenziano “lesioni a
scoppio con i bordi ossei sporgenti”, associate alla presenza di masse calcificate nei tessuti molli.
Terapia. Si fonda sulla somministrazione di antinfiammatori e ipouricemizzanti. Tra gli antinfiammatori
rientrano la colchicina, i FANS e i glucocorticoidi. La terapia classica, efficace nell’85% dei pazienti, è la
somministrazione di colchicina già dall’inizio dell’attacco. Va somministrata una compressa (0.6 mg) ogni
ora fino alla scomparsa dei sintomi o fino a quando non si manifesti tossicità gastrointestinale (da trattare
con terapia sintomatica), oppure fino ad un totale di 4-8 compresse (in base all’età del paziente). Alle volte
la somministrazione endovenosa può ridurre (ma non eliminare) la diarrea. I FANS sono efficaci in circa il
90% dei pazienti e la scomparsa dei sintomi di solito di ha in 5-7 giorni. Sono altresì ugualmente efficaci i
glucocorticoidi: prednisone per os alla dose iniziale di 30-50 mg/die con progressiva riduzione nell’arco di 5-
7 giorni; singola dose di metilprednisolone via endovenosa; 7 mg di betametasone. La terapia ipouricemiz-
zante dovrebbe essere presa in considerazione quando i valori di uricemia siano sopra la norma (>5 mg/dl)
e quando misure come il controllo del peso corporeo, dieta scarsa in purine, maggiore assunzione di liquidi
(almeno 1.5 L/die), limitazione del consumo di alcol e sospensione dei diuretici non si siano dimostrate effi-
caci. La somministrazione di probenecid può essere iniziata ad un dosaggio di 200 mg due volte al giorno,
aumentando la dose ad un massimo di 2 g al giorno per mantenere l’uricemia entro 5 mg/dl. In pazienti an-
ziani e con ridotta funzionalità renale l’allopurinolo può degnamente sostituire il probenecid, soprattutto in
pazienti dipendenti dai tiazidici. L’allopurinolo è anche il farmaco migliore in pazienti predisposti alla forma-
zione di calcoli e in pazienti iperproduttori di acido urico. Si inizia con un’unica somministrazione mattutina
di 300 mg per poi aumentare fino a 800 mg se necessario. Il trattamento con farmaci ipouricemizzanti non
dovrebbe essere intrapreso in corso di un attacco acuto. Di solito la profilassi con colchicina (0.6 mg 1 o 2
volte/die) viene continuata in associazione con allopurinolo o probenecid fino a quando l’uricemia si sia
normalizzata o comunque siano trascorsi almeno 3 mesi senza attacchi. Il trattamento profilattico con col-
chicina può rendersi necessario finché sono presenti i tofi.
SINDROME DI MARFAN
Patologia di origine genetica che deriva dalla mutazione a carico dei geni che codificano per la fibrillina-1
e/o -2, sul cromosoma 15 (la fibrillina è la componente maggiore delle micro fibrille associate all’elastina).
La patologia può venir ereditata con modalità autosomica dominante oppure derivare da una mutazione
spontanea. La presentazione clinica tipica è caratterizzata da una triade patologica che comprende: 1. Arti
lunghi e sottili, spesso associati ad altre alterazioni scheletriche, come ipermobilità articolare e aracnodatti-
lia; 2. Diminuzione de visus dovuta alla sublussazione del cristallino (ectopia lentis); 3. Aneurismi dell’aorta
che tipicamente hanno origine alla base del vaso. Una forma più rara della malattia, associata a mutazione
esclusiva della fibrillina-2, è caratterizzata da aracnodattilia con atteggiamento contrattile invece che da i-
permobilità articolare. La diagnosi clinica risulta spesso difficoltosa perché la triade patologica può non ma-
nifestarsi sempre; inoltre non è detto che la patologia ereditaria sia più grave o più esplicita rispetto a quel-
È causata dalla deposizione di una sostanza proteica, fibrinosa, insolubile, nota come amiloide, princi-
palmente negli spazi extracellulari di organi e tessuti dell’organismo. Tutte le proteine dell’amiloide presen-
tano un’identica struttura secondaria e tutti i depositi di amiloide contengono un’identica componente non
fibrillare, la pentraxina (o amiloide sierica P – SAP) e sono associati con glicosamminoglicani (GAG). Un a-
normale ripiegamento o assemblaggio della proteina può comportare la sua deposizione nei tessuti. A se-
conda della natura biochimica del precursore della proteina amiloide, le fibrille si possono depositare lo-
calmente o possono coinvolgere a livello sistemico virtualmente ogni organo. La deposizione di fibrille di
amiloide può non avere apparentemente alcuna conseguenza clinica, oppure essere responsabile di gravi
alterazioni patologiche. Spesso la diagnosi si ha già quando la malattia è in fase avanzata. La struttura poli-
peptidica dei precursori assume una strutture fibrillare in grado di resistere alla proteolisi.
La classificazione delle amiloidosi si basa sulla natura biochimica delle proteine che formano le fibrille.
Le amiloidosi sistemiche comprendono forme distinte da un punto di vista biochimico e riconoscono
un’origine neoplastica, infiammatoria, genetica o iatrogena; l’amiloidosi localizzata o limitata è tipica della
senescenza e del diabete e si manifesta in singoli organi, frequentemente endocrini, senza evidente coin-
volgimento sistemico. Di seguito riporto i tipi più comuni di amiloidosi.
AMILOIDOSI A
Si verifica più frequentemente come complicanza di una malattia infiammatoria cronica. Durante
l’infiammazione citochine stimolano la sintesi epatica di amiloide sierica A, una proteina della fase acuta
che fa parte del complesso lipoproteico ad alta densità. Un trattamento efficace dello stato flogistico inter-
rompe il meccanismo che innesca la sintesi del precursore dell’amiloide. La deposizione di proteina AA si
manifesta in alcuni gruppi di pazienti con febbre mediterranea familiare (FMF). Il trattamento con colchici-
na si è dimostrato molto efficace nel bloccare gli attacchi di FMF e nel ridurre l’incidenza di amiloidosi AA in
questi pazienti.
MALATTIE DA PRIONI
I prioni rappresentano una classe unica di proteine infettive che si associano a un gruppo di malattie
neurodegenerative, le encefalopatie spongiformi trasmissibili. Nell’uomo rappresentano il kuru, la malattia
di Creutzfeld-Jakob, la sindrome di Gerstmann-Straussler-Scheinker e l’insonnia familiare fatale. La PrPsc
rappresenta la forma patogena specifica dell’encefalopatia spongiforme trasmissibile, che deriva dalla pro-
teina prionica (PrP) codificata dall’ospite. I depositi di PrPsc sono composti di fibrille amiloidi o possono es-
sere facilmente convertiti in fibrille amiloidi. È stato ipotizzato che le forme familiari a esordio precoce
dell’amiloidosi siano dovute ad un’aumentata velocità di formazione delle fibrille a partire da precursori
mutati, mentre nei casi sporadici le fibrille si formerebbero in maniera più lenta da precursori di molecole
normali. Il passaggio da una forma normale ad una amiloidogenica PrPsc è molto lento, ma irreversibile. La
progressione della malattia può verificarsi in quanto la PrPsc amiloidogenica, una volta formata, può cataliz-
zare la conversione di molecole normali in forme amiloidogeniche.
MALATTIA DI CHURG-STRAUSS
È una vasculite granulomatosa (detta anche angioite granulomatosa allergica) che interessa diversi or-
gani, soprattutto il polmone. La vasculite interessa vasi di vari tipi e dimensioni (comprese vene e venule),
prevede la formazione di granulomi intra- ed extravascolari con infiltrati tissutali di eosinofili ed è associata
ad asma grave ed eosinofilia periferica. È una malattia poco comune; può insorgere a qualunque età, anche
se sembra sia risparmiata quella infantile. Esordio medio a 44 anni; leggermente più colpiti i maschi.
GRANULOMATOSI DI WEGENER
Entità clinico-patologica ben definita caratterizzata da una vasculite granulomatosa delle vie respiratorie
superiori e inferiori associata a glomerulonefrite. Può inoltre essere presente una vasculite di varia entità a
carico sia delle piccole arterie che delle vene. È una malattia rara, specialmente nelle etnie nere. Maschi e
femmine sono ugualmente colpiti e ogni età della vita può essere interessata, con una media di esordio a
40 anni circa.
Fisiopatologia e patogenesi. Istopatologicamente è caratterizzata da una vasculite delle piccole arterie e
vene associata alla formazione di granulomi intra- o extravascolari. Nel polmone sono presenti infiltrati cavi
nodulari multipli e bilaterali, istologicamente caratterizzati dalla presenza della tipica vasculite necrotizzan-
te granulomatosa. La localizzazione endobronchiale può determinare ostruzioni e atelettasie. All’inizio,
l’interessamento renale è caratterizzato da glomerulonefrite segmentaria e focale, che può evolvere in
glomerulonefrite rapidamente progressiva con formazione di semilune. Oltre al classico interessamento di
vie respiratorie superiori, inferiori e rene, qualsiasi organo può essere sede di vasculite, granulomi o en-
trambi. La malattia sembra essere dovuta ad un’abnorme risposta immunitaria nei confronti di (sconosciuti)
antigeni esogeni che penetrano nelle vie aeree superiori o anche antigeni endogeni che vi siano localizzati.
- genetici: l'importanza dei fattori genetici è dimostrata dal fatto che il 60% dei pz esprime molecole HLA di
classe II in particolare DR1 e DR4. tali fattori sono responsabili della suscettibilità alla malattia e alla gravità
della stessa. al contrario HLA 2 e 5 ad esempio sono associati ad una bassa incidenza. inoltre ca. 80% pz è
positivo per il FR.
- infettivi: è stato ipotizzato che possa essere secondario al contato con un determinato agente infettivo in
soggetti geneticamente predisposti ( infezione da mycoplasma, ebv, cmv, parvovirus, rosolia). il meccani-
smo attraverso cui l'agente infettivo determina la malattia cronica è ancora dibattuto; alcune proposte so-
no le seguenti: infezione cronica a livello delle strutture articolari, strutture appartenenti agli agenti infettivi
potrebbero essere trattenute nella sinovia provocando una flogosi cronica, il microrganismo o la risposta a
quest'ultimo potrebbero indurre una risposta immunitaria contro componenti articolari, azione di prodotti
di degradazione di microrganismi infettanti come i superantigeni
la lesione più precoce è un danno microvascolare seguito poi da una proliferazione delle cellule sinoviali. La
sinovia vascolarizzata permette poi l'infiltrazione perivascolare di leucociti mononucleati. Se l'iniziatore del-
la malattia non è conosciuto, invece sappiamo che la propagazione è immunomediata. le manifestazioni si-
stemiche possono essere determinate dal rilascio di molecole flogogene a livello della sinovia (in particolare
IL 1,6 e TNF).
clinica: nei 2/3 dei casi l'esordio è insidioso perché compaiono sintomi aspecifici quali astenia, feb-
bre,mialgia, anoressia. I sintomi più specifici invece compaiono gradualmente: vengono coinvolte più arti-
manifestazione sistemiche sono i noduli reumatoidi sulla superficie estensoria delle articolazioni o in aree
esposte a sollecitazioni meccaniche, nel polmone si ha fibrosi polmonare/pleurite/pleuropericardite, vascu-
lite, nell'occhio si ha xeroftalmia/uveite/sclerite e infine manifestazioni neurologiche come la neuropatia
del mediano.
forme particolari dell'AR sono la sindrome di Caplan (AR con silicosi), sindrome di Felti (AR con splenolinfo-
adenomegalia e granulocitopenia), malattia di Still (AR giovanile con febbre, esantema, pleuropericardite
ed epatosplenomegalia).
Swan neck fingers
diagnosi:
- esami strumentali: l'eco articolare mostra il versamento e il panno sinoviale, l'RX le erosioni, la RMN mo-
stra iperplasia sinoviale/danni cartilaginei ed articolari, scintigrafia.
4. simmetricità
5. noduli reumatoidi
6. FR positivo
- metotrexato che è un immunosoppressore. effetti avversi sono ulcerazioni della mucosa,citopenia, cirrosi
e polmonite
- leflunomide agisce sulla diidrorotato deidrogenasi (DHODH) dei linf t autoimmuni in modo da bloccare la
produzione dell'uridina monofosfato precursore per la sintesi dell' rna e dei precursori per la sintesi del
dna. effetti avversi sono cefalea, diarrea, nausea, calo ponderale, allergia, alopecia, ipokaliemia.
- D-penicillamina: analogo dell'aa cisteina. l'uso prolungato dà problemi dermatologici, nefrite,anemia apla-
stica.
- infliximab è un anticorpo monoclonale IgG che lega TNF alfa. al momento dell'infusine dà febbre, brividi,
prurito, orticaria.
- adalimurab anch'esso è un anticorpo monoclonale legante TNF alfa. dà cefalee, nausea ed eruzioni cuta-
nee
eziologia: alla base si ha un'alterazione immunologica che comporta iperattività dei linfociti B e T, inadegua-
ta regolazione dell'attività linfocitaria e una continua produzione anticorpale. Il tutto avviene in soggetti
con dei fattori predisponenti (sesso femminile, famigliarità, etnia, pacchetti genetici alterati come i geni
DQA e B e molti altri) in cui intervengono fattori ambientali come ad esempio i raggi UV e infezioni da EBV.
Queste anomalie portano alla produzione di autoanticorpi e alla formazione di immunocomplessi in tessuti
target. Le cellule dell'ospite attaccate dalle Ig vengono sequestrate e distrutte grazie all'attivazione dello
tesso sistema immunitario cioè attivazione del complemento, chemochine, peptidi vasoattivi ed enzimi va-
ri. La maggior parte di questi autoanticorpi sono:
- anti-DNA/proteina
- anti-RNA/proteina
- anti-nucleosomi
- anti-RNA nucleolari
clinica: all'esordio può coinvolgere anche un solo organo o al contrario può esordire come malattia sistemi-
ca. Comprende sia forme lievi e intermittenti che forme persistenti e rapidamente fatali. In molti si hanno
recidive seguite da periodi di quiescenza relativa nel senso che una vera e propria remissione (che permette
quindi di sospendere anche la terapia)avviene in meno del 20% dei pz. Vediamo i segni e sintomi.
muscolo-scheletrici: artralgia, mialgia (in fase attiva della malattia o come conseguenza del trattamento con
glucocorticoidi che dà ischemia alle ossa delle grandi articolazioni), artriti intermittenti (dolore è spropor-
zionato rispetto all'obiettività; le articolazioni metacarpofalangee e quelle interfalangee prossimali sono le
più coinvolte e raramente ho deformità ossee benché posso in una piccola percentuale vedere deviazioni
ulnari di mani e piedi e collo a cigno).
- cutanei: nel LES osservo il tipico eritema a farfalla che indica una malattia attiva (copre il dorso del naso e
si porta sulle guance. E' costante, piano/rilevato e fotosensibile). Nella variante discoide del LE ho invece
lesioni circolari con margine eritematoso sollevato, squamoso e con teleangectasie. Nel LES posso trovare
anche lesioni vasculitiche come porpora e ulcere dolenti della mucosa orale o nasale.
- vascolare: trombosi in vasi di ogni calibro. Questi pz sono difatti a rischio di ictus cerebrali e cardiopatia
ischemica
- ematologiche: pancitopenia,linfocitopenia e più raramente emorragia da Ig diretti verso i fattori della coa-
gulazione.
- cardio-polmonari: pleurite, pericardite con rischio ti tamponamento cardiaco, endocardite specie a carico
delle valvole di sx , miocardite
- gastro-enterici: la presentazione più grave è la vasculite intestinale che si presenta con vomito, diarrea a e
dolori crampiformi con rischio di perforazione e peritonite quindi è una condizione d'emergenza. Altre volte
invece ho sintomi più lievi con senso generale di malessere. Possono essere coinvolti pancreas e fegato.
- oculari: anche qui la forma più grave è la vasculite retinica per cui devo intervenire in modo rapido e ag-
gressivo con una terapia immunosoppressiva per evitare cecità nel giro di pochi giorni.
Diagnosi: 1.clinica 2.esami di laboratorio (ANA, citopenie, cilindruria, proteinuria, ematuria microscopica,
aumento di VES e PCR, altri autoanticorpi)
Prognosi: la sopravvivenza a due anni è del 92% e arriva a 63% a 20 anni di distanza. L'invalidità è però co-
mune. Il pz eventualmente muore nei primi anni per infezioni e insufficienza renale o altre situazioni legate
al LES attivo mentre nella seconda decade per eventi tromboembolici. La probabilità di andare incontro a
periodi di remissione aumenta a ogni decade dopo la diagnosi.
Terapia: per le forme lievi in cui ho artrite, dolore ma nessun coinvolgimento degli organi maggiori allora
uso FANS specie COX-2 selettivi e immunomodulatori come la idrossiclorochina a 400mg/die. Nelle forme
gravi invece in cui il pz è in pericolo di vita faccio terapia steroidea ad alte dosi (1-2 mg/kg/die), agenti cito-
tossici come la ciclofosfamide o eventualmente trapianto ed emodialisi cronica.
Colpisce soprattutto donne di media età ma possono essere interessate tutte le età. La prevalenza è al
massimo dell'1% e il rapporto femmine-maschi è 9 a 1. Si presenta in modo isolato cioè nella sua forma
primitiva ma la troviamo nella sua forma secondaria in associazione ad altre patologie autoimmuni riporta-
te in questo file.
Eziopatogenesi: i due meccanismi autoimmuni più importanti sono l'infiltrazione linfocitaria delle ghiandole
esocrine e l'iperattività dei linfociti B che determina la comparsa di autoanticorpi.
Nel siero dei pz si possono osservare autoanticorpi diretti verso antigeni non organo-specifici come le Ig
(fattori reumatoidi) e gli antigeni nucleari o citoplasmatici estraibili (Ro/SS-A e La/SS-B). La presenza di
quest'ultimi autoanticorpi riportati nell'ultima parentesi è associata ad un esordio precoce della malattia,
ad una maggior durata dell'ingrossamento delle ghiandole salivari, all'estensione dell'infiltrato linfocitario
nelle gh. salivari minori e alle manifestazione extraghiandolari. Altri anticorpi rinvenuti sono quelli diretti
verso l'alfa-fordina che è una proteina specifica delle gh. salivari. In generale nell'infiltrato trovi linfociti B e
T attivati. E' importante notare che le cellule duttali e acinari sembrano svolgere un ruolo fondamentale
nell'inizio e mantenimento del danno autoimmune dal momento che producono molecole pro-
infiammatorie che richiamo i linfociti ed esprimono sulla loro superficie autoantigeni nucleari. Studi immu-
nogenetici hanno rivelato una maggior frequenza degli Ag di istocompatibilità HLA tipo B8 e DR3.
Clinica: la forma primitiva decorre in modo lento e benigno. Tra la comparsa dei primi sintomi spesso molto
aspecifici e la comparsa di un quadro conclamato possono passare anche 10 anni.
- cavo orale: ho xerostomia per cui i pz avvertono difficoltà nel deglutire, nel parlare speditamente, riferi-
scono bruciore della bocca e presentano una maggior predisposizione alle carie. L'applicazione delle protesi
dentarie risulta difficoltosa. La maggior parte presenta un lieve aumento di volume delle ghiandole. Test u-
tili sono la sialometria, la sialografia, la scintigrafia, la biopsia (sensibilità massima quando fatta a livello del-
le gh. salivari minori labiali). NB saliva normale è di ca. 0,3 ml/min.
- oculare: i pz lamentano secchezza oculare (senso di sabbia sotto le palpebre), bruciore oculare, accumulo
di filamenti spessi a livello dell'angolo mediale dell'occhio, arrossamento congiuntivale, lacrimazione ridot-
ta, prurito e facile affaticabilità alla luce. la sintomatologia è dovuta alla cheratocongiuntivite secca svilup-
patasi. Test importante è quello di Schimer: si pone un pezzo di carta assorbente all'angolo dell'occhio e
dopo pochi minuti si valuta la lunghezza della carta assorbente inumidita (se la macchia è < 10 mm ho ipo-
- at ghiandole: secchezza nasale, faringea e tracheale, dispareunia, ridotta digestione per quanto concerne
il tratto GI
- extraghiandolare: artrite, fenomeno di Raynaud (vasocostrizione che avviene quando passa da luoghi caldi
a freddi o per stimoli del simpatico es emozione e che causa una colorazione bluastra alle estremità delle
dita), nefrite interstiziale, vasculite specie a carico di vasi del SNC, linfoma.
diagnosi:
4. autoanticorpi 5.biopsia
terapia: per l'occhio lacrime artificiali e pilocarpina a 5 mgx3/die via orale; per la xerostomia pilocarpina;
con l'artrite i FANS; con la nefrite bicarbonati; con la vasculite uso i corticosteroidi.
epidemiologia: colpisce 1 ogni 7500 soggetti di tutte le età (20 a 70 anni; i pz più giovani sono generalmente
le femmine).
fisiopatologia: in breve ricordiamo che un potenziale del nervo causa il rilascio di Ach dalla membra presi-
naptica. L'Ach si lega poi al suo recettore a 5 subunità e permette l'entrata del sodio innescando cosi il po-
tenziale muscolare che permetterà la contrazione. L'Ach viene rapidamente rimossa dall'enzima acetilcoli-
nesterasi. Passiamo alla patologia: il difetto principale è la diminuzione dei recettori per l'Ach disponibili
sulla membrana post-sinaptica; inoltre le digitazioni post-sinaptiche sono appiattite. il tutto è causato dalla
produzione di anticorpi diretti contro l'AchR che causano un turnover aumentato del recettore che viene
perciò degradato. GLI anticorpi inoltre interferiscono con il vero ligando cioè l'Ach e mediano una lisi com-
plemento-mediata. L'Ach quindi è prodotta a livello presinaptico ma non riesce a legarsi. Il meccanismo
immunitario di sregolazione non è chiaro ma sembra esser dato da una mancata soppressione di linf T au-
toreattivi a livello timico (NB nei giovani la miastenia gravis è correlata a iperplasia timica mentre nell'an-
ziano al timoma).
clinica: sintomi cardini sono l'affaticabilità e l'ipostenia che compaiono con l'esercizio muscolare quindi so-
no presenti durante il giorno, di notte il pz riposa per cu al mattino non li trovo. Per evidenziarli alla visita se
non sono già presenti chiedo al pz di aprire-chiudere le palpebre ripetutamente, lo stesso con il pugno op-
pure lo faccio camminare. Vengono interessati prima i muscoli più piccoli e quelli usati di pi. Nei 2/3 dei casi
il primo segno è la ptosi palpebrale. La muscolatura estrinseca dell'occhio alterata dà inoltre strabismo e
diplopia; quella orofaringea disfagia/disfonia/disartria; quella degli arti dà limitazione nel sollevare i pesi o a
fare le scale (sono interessati i muscoli prossimali anche in modo asimmetrico). Pz presenta dispnea. Quan-
do sono coinvolti i muscoli della respirazione compare la crisi miastenica cioè IRA che può portare a morte il
pz. Nel pz con miastenia di lunga data osservo poi la facies tipica cioè sonnolenta.
decorso: i peggioramenti possono presentarsi in seguito a febbre, gravidanza, stress, infezioni. Per cui ha un
andamento fluttuante.
Diagnosi: 1.clinica 2. EMG: osservo una risposta decrementale alla stimolazione ripetuta del muscolo (cioè
aumentando la frequenza di stimolo ho una sempre più ridotta risposta elettrica del muscolo) 3.test al ten-
silon: è un inibitore dell'acetilcolinesterasi. La sua durata d'azione è di ca. 2 minuti. somministro 2-5 mg via
ev e vedo che il pz migliora per qualche minuto e poi torna a peggiorare 4. dosaggio degli anticorpi anti-
AchR (NB nel 30% dei pz non trovo questi anticorpi ma altri come anti-MuSK) 5.TC/RM mediastino
epidemiologia: ha una prevalenza di 20-75 casi ogni 100.000 abitanti, un'incidenza di 20 casi/1milione di a-
bitanti/anno e colpisce soprattutto il sesso femminile.
Dal punto di vista classificativo riconosciamo la sclerodermia cutanea diffusa (rapido e simmetrico interes-
samento cutaneo delle estremità prossimali e distali ma anche tronco e volto), la sclerodermia cutanea li-
mitata (ispessimento cutaneo simmetrico limitato alle dita o alle estremità distali e al volto. è conosciuta
come sindrome CREST-acronimo di calcinosi, fenomeno Raynaud,alterazione motilità esofagea, sclerodatti-
lia, teleangectasia), sclerodermia localizzata (coinvolge la cute, sottocute e muscoli ma non ho interessa-
mento sistemico. la variante morfea si presenta con placche singole o multiple di indurimento cutaneo; la
lineare invece interessa un'estremità o il volto).
eziopatogenesi:
Le cause sono sconosciute. son stati chiamati in causa fattori genetici, ambientali, immunologici e un danno
vascolare. le caratteristiche cliniche derivano da un'eccessiva produzione e accumulo di collagene e di altre
proteine della matrice extracellulare come la fibronectina, la fibrillina 1 e GAG a livello cutaneo e di altri or-
gani. in soggetti predisposti geneticamente intervengono fattori ambientali (infezioni, polveri etc) che cau-
sano un danno vascolare e un'attivazione del sistema immunitario. il danno alle cellule endoteliali è preco-
ce e causa una condizione che favorisce la vasocostrizione e l'ischemia tissutale. infatti l'endotelio danneg-
giato produce ridotte quantità di prostaciclina (importante vasodilatatore e inibitore dell'aggregazione pia-
strinica). in seguito al danno si ha quindi aggregazione piastrinica, rilascio di trombossano A2 e di fattori mi-
togeni per le cellule muscolari e per i fibroblasti. la fibrosi vascolare è alla base del fenomeno di Raynaud
ma ricorda che la fibrosi avviene in maniera multisistemica es nel polmone, nel cuore e at. In questo quadro
intervengono anche cellule T, macrofagi e cellule endoteliali che rilasciano citochine che mediano la fibrosi.
clinica:
- cute: in genere esordisce con coinvolgimento delle mani e nel 95% dei casi comincia col fenomeno di Ra-
ynaud (consiste in una crisi acroasfittica delle estremità degli arti e si manifesta attraverso la classica triade
di impallidimento cereo cioè fase ischemica, cianosi cioè vasoparalisi e arrossamento cioè ripresa della
normale circolazione. Generalmente la crisi è scatenata dall’esposizione al freddo, ma può essere indotta
anche da fattori emotivi. Benché la localizzazione più classica sia alle dita delle mani, il fenomeno di Ra-
ynaud può interessare anche quelle dei piedi e, meno frequentemente, la punta del naso, le orecchie e la
lingua.)Dopo la cute diventa dura e tesa evolvendo verso un quadro di sclerodattilia con mani ad artiglio.
altre manifestazioni cutanee possono essere la facies sclerodermica dovuta alla rigidità mimica generale del
- at organi: nel tratto gastrointestinale dà disfagia per sostituzione fibrosa della muscolatura orofaringea,
nei polmoni dà fibrosi polmonare con alterazioni ventilatorie restrittive, nel cuore ho cardiomiopatia re-
strittiva ed aritmie, a livello renale d infarti renali multipli ed ipertensione nefrogena.
la sclerodermia cutanea diffusa in cui sono coinvolti anche gli organi interni nel 40% casi i pz sono positivi
all' Ab anti topoisomerasi 2 mentre la CREST (sclerodermia limitata) nel 70% casi è positiva ad anticorpi an-
ti-centromero.
diagnosi: 1.clinica 2.laboratorio (gli anticorpi visti sopra) 3.capillaroscopia 4.biopsia cutanea
Prognosi è variabile e difficilmente formulabile finché non assume le caratteristiche cliniche di uno dei vari
sottogruppi. la morte avviene per complicanze cardiache, renali e polmonari. la prognosi è migliore per la
forma limitata che ha una sopravvivenza a 10 anni del 75% mentre nella forma diffusa è del 55%. NB dopo
anni di malattia la cute può ammorbidirsi spontaneamente e avviene con andamento inverso a quello di in-
sorgenza: dal tronco va alle estremità prossimali e poi distali. la sclerodattilia e le contratture possono co-
munque persistere. lo spessore cutaneo può quasi tornare alla norma ma la cute rimane atrofica.
- nello stadio precoce: glucocorticoidi (prednisone con dose iniziale di 40-60 mg/die per ridurre l'edema cu-
taneo, la miosite e la pericardite. non indicato per trattamento a lungo termine)
- importante è la profilassi del fenomeno di Raynaud: evitare i fattori che inducono vasocostrizione ad es
freddo, stress, fumo, amfetamine; possono essere usati farmaci che evitano la vasocostrizione inibendo il
simpatico, calcio antagonisti, inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina etc