Sei sulla pagina 1di 195

CARDIOPATIA ISCHEMICA

Definizione
Serie di quadri clinici che hanno in comune lo sviluppo di un'ischemia miocardica, evento scaturito da un
aumento dell'ossigeno richiesto a fronte di un'inadeguato supporto di ossigeno.

Epidemiologia
La cardiopatia ischemica è la cardiopatia con maggiore incidenza e prevalenza nei paesi sviluppati. In Italia ci
sono circa 2 milioni di soggetti affetti da cardiopatia ischemica, responsabile del 35% dei decessi dovuti a
malattie cardiovascolari.

Eziopatogenesi
 Aterosclerosi coronarica (causa più frequente)
 Spasmo coronarico
 Alterazioni del microcircolo coronarico
 Cause extracoronariche
 Coronaropatie ostruttive varie (es. Embolia coronarica; Coronarite ostiale da aortite luetica;
Coronarite nell'ambito di una vasculite come ad es. Poliarterite nodosa; sindrome di Takayasu,
malattia di Kawasaki)
 Anomalie congenite delle coronarie (es. origine di una coronaria dall'arteria polmonare o decorso
anomalo di una coronaria

Determinanti del consumo miocardico di ossigeno


 Frequenza cardiaca
 Postcarico (tensione delle pareti cardiache in sistole, determinata dalle resistenze all'eiezione di
sangue)
 Precarico (tensione delle pareti cardiache in diastole, determinata dal ritorno venoso)
 Contrattilità

Cause di ischemia miocardica


 Stenosi coronariche
 Disfunzioni del microcircolo coronarico
 Spasmo coronarico
 Trombosi coronarica

Conseguenze dell'ischemia miocardica


 Alterazioni metaboliche (essenzialmente c'è riduzione dei livelli di glucosio nelle cellule
miocardiche, con passaggio a metabolismo anaeorobio e produzione di lattato; quindi si ha
riduzione del pH e riduzione delle riserve di ATP intracellulari, che provoca accumulo di Na e Ca
intracellulare e riduzione di K nel citoplasma. Tutto questo aumento di Ca intracellulare provoca un
sovraccarico di ioni calcio nei mitocondri con ulteriore depressione della produzione di ATP e inoltre
c'è anche produzione di radicali dell'ossigeno che danneggiano le membrane cellulari).
 Alterazioni meccaniche (depressione della funzione contrattile, riduzione della gittata sistolica,
portata cardiaca e della frazione di eiezione)
 Alterazioni elettriche (all'ECG principalmente ci sono alterazioni del tratto ST: nel caso dell'ischemia
subendocardica registreremo un sottoslivellamento del tratto ST; nel caso dell'ischemia transmurale
un sopraslivellamento del tratto ST --- comparsa di un'onda T negativa --- inoltre quando si
determina una necrosi di una regione miocardica quella zona diventa “elettricamente muta” tanto
che all'ECG, dato che il segnale elettrico non passa, verrà registrata come un'onda negativa nella
parte iniziale del complesso QRS, la cosiddetta onda Q di necrosi).
SINTOMI
Dolore ischemico cardiaco
E' l'ultimo evento della cascata ischemica in ordine temporale. Il dolore tipico è oppressivo o costrittivo,
tipicamente caratterizzato da inizio e fine graduali e non viene influenzato dagli atti respiratori, dalla
posizione del corpo e dalla digitopressione sulla parete toracica. E' un dolore localizzato in sede
retrosternale, che può irradiarsi in altre sedi soprattutto la superficie ulnare dell'arto superiore sx, spalle,
collo. Nella forma tipica inoltre l'insorgenza del dolore è ricollegabile a una causa scatenante come esercizio
fisico, stress emotivo, esposizione al freddo, pranzo ecc.

Altri sintomi sono: dispnea, astenia e palpitazioni; nel caso di aritmie gravi inoltre possiamo avere lipotimia
o sincope.

Diagnosi differenziale di dolore toracico

 Pericardite: in questo caso il dolore è retrosternale ma tende ad accentuarsi con gli atti del respiro e
si riduce con l'assunzione della posizione seduta. La diagnosi può essere confermata dal rilievo di
sfregamenti pericardici all'auscultazione e da alterazione tipiche all'ECG e all'ecocardiogramma.
 Dissecazione aortica: il dolore è retrosternale, in genere molto intenso già all'esordio, con tipica
irradiazione al dorso e a volte anche posteriormente e in basso. Il dolore è definito come una
“pugnalata”, è un dolore molto intenso e violento. Le alterazioni all'ECG di solito sono modeste,
perciò la diagnosi può essere confermata con l'ecordiografia transesofagea o con l'angiografia
digitale computerizzata.
 Embolia polmonare: al dolore in questo caso sono associati dispnea intensa, cianosi, stato di shock
e se l'embolia non interessa un grosso tronco polmonare assume le caratteristiche del dolore
pleuritico. La diagnosi può essere confermata con l'angio TC.
 Pneumotorace: dolore acuto localizzato a livello dell'emitorace interessato con irradiazione alla
spalla e all'arto superiore omolaterali, a cui si aggiunge dispnea. Diagnosi con esame obiettivo e RX
torace.
 Pleurite: dolore superficiale, puntorio (“a pugnalata), circoscritto e accentuato agli atti respiratori.
Diagnosi confermata con esame obiettivo.
 Disturbi di origine GI, neuromuscolare, osteoarticolare e psicologica

MANIFESTAZIONI CLINICHE DELLA CARDIOPATIA ISCHEMICA

La cardiopatia ischemica si può manifestare in due modalità: CARDIOPATIA ISCHEMICA CRONICA e


SINDROME CORONARICA ACUTA.

1. CARDIOPATIA ISCHEMICA CRONICA comprende essenzialmente l'Angina cronica stabile e l'Angina


variante di Prinzmetal.

- Angina cronica stabile è caratterizzata da episodi di angina pectoris che presentanto caratteristiche
costanti per almeno 2 mesi; tipicamente gli attacchi anginosi sono causati da situazioni come sforzi fisici,
stress emotivi e l'eliminazione del fattore scatenante causa la regressione della sintomatologia. L'alterazione
fisiopatologica fondamentale è rappresentata dalla presenza di placche aterosclerotiche stabili a livello
coronarico o anche da disfunzioni del microcircolo. La manifestazione clinica fondamentale è costituita
dall'angina fa sforzo, sintomo che si presenza in maniera costante dopo una certa soglia di sforzo, indicando
la presenza di stenosi fisse. In alcuni pazienti tuttavia diversi fattori come stenosi dinamiche posso rendere
la soglia anginosa variabile. Di solito l'esame obiettivo è negativo, all'auscultazione si può rilevare comparsa
di III e/o IV tono in caso di significativa alterazione del ventricolo sx indotta dall'ischemia.

Diagnosi: esami di laboratorio (glicemia, assetto lipidico aumentano il rischio cardiovascolare); ECG a riposo
(se c'è l'attacco anginoso riscontriamo un sottoslivellamento del tratto ST maggiore o uguale a 1mm in
genere in V4,V5,V6 e possiamo anche avere alterazioni della T; ECG da sforzo, test principale per la diagnosi
di angina stabile, considerato positivo quando si osserva un sottoslivellamento orizzontale del tratto ST
maggiore o uguale a 1mm e se è positivo bisogna considerare a quale carico di lavoro si manifestano le
alterazioni ischemiche; ECG dinamico secondo Holter per 24-48ore; Scintigrafia miocardica perfusionale;
Ecocardiografia (per evidenziare alterazioni della contrattilità ventricolare; Coronarografia (esame definitivo
per la diagnosi di cardiopatia ischemica aterosclerotica, in quanto consente di evidenziare direttamente la
presenza, numero ed entità delle stenosi).

Terapia: correzione stile di vita per ridurre i fattori rischio (ipercolesterolemia, diabete, obesità, fumo);
terapia antiaggregante con acido acetilsalicilico, clopidogrel; ß-bloccanti indicati solo nei pazienti con infarto
miocardico pregresso o disfunzione ventricolare SX. ACE-inibitori indicati nei pazienti con disfunzione
ventricolare SX o con ipertensione arteriosa. Per quanto riguarda la terapia dell'attacco anginoso invece è
consigliata assunzione di una perla di trinitrina o altro nitroderivati per via sublinguale o spray orale. La
profilassi va fatta con ß-bloccanti, Ca-antagonisti e nitrati a lungo termine.
Si può anche fare rivascolarizzazione miocardica, al fine di ripristinare un flusso coronarico normale nel
territorio irrorato da vasi coronarici con stenosi clinicamente significative mediante 1) interventi per via
percutanea di angioplastica coronarica e 2) by-pass aorto-coronarico.

- Angina variante di Prinzmetal è caratterizzata da angina prevalentemente a riposo, sopraslivellamento del


tratto ST all'ECG ed evidenza di spasmo coronarico alla coronarografia, spasmo che può verificarsi sia in
presenza di stenosi sia in un vaso del tutto normale.

Diagnosi: è clinica. Va sempre sospettata in pazienti con angina a riposo, ci può essere anche l'occorrenza di
palpitazioni, lipotimie o sincopi durante gli attacchi anginosi devono far sospettare la presenza di aritmie
pericolose per la vita. La conferma diagnostica può essere ottenuta mediante la documentazione di un
sopraslivellamento del tratto ST maggiore o uguale a 1mm all'ECG a riposo.

Terapia: nitrati, la profilassi invece si basa sui calcio-antagonisti.

2. SINDROME CORONARICHE ACUTE senza sopraslivellamento del tratto ST comprendono l'Angina


instabile e l'infarto NSTEMI (infarto miocardico acuto senza sopraslivellamento del tratto ST). La
maggiore differenza tra le due presentazione è che nell'angina instabile non si osserva un numero
significativo degli indici ematici di necrosi miocardica, mentre tale aumento viene rilevato
nell'infarto. Il meccanismo fisiopatologico principale comune delle SCA senza sopraslivellamento del
tratto ST è costituito dalla trombosi intracoronarica subocclusiva, in genere localizzata a livello di
placche aterosclerotiche instabili che vanno incontro a complicanze, e il trombo può essere
sufficientemente occlusivo da determinare ischemia in caso di aumento modesta della domanda
miocardica di O2 o addirittura a riposo. In genere il trombo non è totalmente occlusivo quindi
l'ischemia è limitata al subendocardio.

- Angina instabile è caratterizzata da una recente variazione del quadro anginoso, che può essere costituito
da un aumento della frequenza e/o della durata dell'angina, dalla sua comparsa per sforzi meno intensi o a
riposo, o anche a una minore sensibilità alla terapia con nitrati sublinguali. Una forma di angina instabile è
l'angina postinfartuale ad esempio che si presenta dopo poche settimane dall'evento ischemico acuto.
In genere gli episodi anginosi in questo caso durano pochi minuti, indicando che alla base vi è un'ischemia
transitoria.

Diagnosi: esame obiettivo in genere negativo, possono comparire durante un episodio anginoso segni di
scompenso cardiaco, come dispnea, rantoli polmonari basali, e III tono cardiaco. L'ECG può mostrare
sottoslivellamento del tratto ST e/o un'onda T negativa, alterazioni che possono persistere durante un
attacco anginoso. Gli indici di necrosi miocardica sono normali.

- NSTEMI è caratterizzato da necrosi miocardica che interessa solo il subendocardio. Dal punto di vista
clinico il paziente presenta dolore toracico che dura più di 20/30 minuti preceduto o meno nelle ore e nei
giorni precedenti da episodi anginosi transitori.
Diagnosi: ECG durante la fase di dolore toracico mostra un sottoslivellamento del tratto ST più o meno
marcato e diffuso e/o un'onda T negativa. Tipica di questa forma di infarto è la mancanza all'ECG dell'onda
Q di necrosi. Gli indici di necrosi miocardica mostrano valori ematici aumentati. In presenza di un quadro
clinico ed elettrocardiografico più tendente all'angina instabile, il riscontro di un aumento anche minimo di
troponine deve portare a una diagnosi di infarto.

Terapia: necessità di un ricovero ospedaliero. La terapia di prima linea è finalizzata ad evitare l'evoluzione
del trombo subocclusivo verso un'occlusione trombotica coronarica completa: questo obiettivo viene
conseguito attraverso la somministrazione di anticoagulanti (acido acetilsalicilico, clopidogrel) e
anticoagulanti (eparina non frazionata, eparina a basso peso molecolare). La terapia antiischemica prevede
somministrazione di ß-bloccanti, calcio antagonisti e nitrati. Inoltre è consigliato in tutti i pazienti con SCA
l'utilizzo di statine, che migliorerebbero secondo alcuni il decorso clinico. Infine un intervento di
rivascolarizzazione miocardica per via percutanea è utile nei pazienti a più alto rischio come diabetici, pz che
presentano sintomi di scompenso, gravi aritmie, disfunzione ventricolare SX, rialzo significativo di indici di
necrosi miocardica, ecc.

3. INFARTO MIOCARDICO ACUTO CON SOPRASLIVELLAMENTO DEL TRATTO ST è caratterizzato


da necrosi miocardica che interessa una regione miocardica per tutto il suo spessore, ovvero in caso
di infarti transmurale. Il meccanismo fisiopatologico responsabile dello STEMI è rappresentato dalla
trombosi acuta, totalmente occlusiva e persistente di un vaso coronarico; il trombo nella maggior
parte dei casi si forma a livello di una placca aterosclerotica instabile che va incontro a
complicazione. Diversi fattori influenzano l'estensione dell'infarto miocardico e la conseguente
compromissione dell'attività contrattile del cuore come la sede dell'occlusione e la durata
dell'occlusione.

Manifestazioni cliniche: l'insorgenza dell'IMA presenta un ritmo circadiano, con picco di frequenza nelle ore
del mattino e un secondo picco nelle ore pomeridiane, andamento influenzato dalla variazione circadiana
dell'attività piastrinica e del rilascio delle catecolamine plasmatiche.
Il sintomo fondamentale è il dolore toracico, anche se nel 15-20% dei casi può essere assente. Al dolore si
può associare nausea, astenia intensa, sudorazione algida e vomito, e può associarsi anche dispnea fino al
quadro di edema polmonare acuto. All'auscultazione cardiaca possono essere rilevati aritmie, la comparsa
di III o IV tono, e un soffio da insufficienza mitralica se c'è stato interessamento dei muscoli papillari. In caso
di infarto molto esteso (perdita del 40% del miocardio totale) la compromissione della contrattilità può
determinare un quadro di shock.

Diagnosi: ECG è l'esame da eseguire immediatamente in un pz con dolore toracico sospetto di IMA.
Nell'IMA transmurale si possono distinguere 4 stadi principali di evoluzione:
- Stadio 1 nelle prime ore di esordio dei sintomi nelle derivazioni che esplorano l'area infartuata si osserva
un sopraslivellamento del tratto ST, tanto marcato da inglobare l'onda T, con o senza una piccola onda Q di
necrosi, mentre nelle derivazioni opposte le alterazioni saranno opposte.
- Stadio 2 dopo alcune ore dall'esordio si osserva una progressiva riduzione del sopraslivellamento del tratto
ST, con comparsa di onde T negative e onde Q di necrosi profonde e larghe, e queste alterazioni possono
durare poche ore fino a parecchi giorni.
- Stadio 3 si osserva la normalizzazione del tratto ST, la negatività dell'onda T si fa più profonda e c'è
persistenza dell'onda Q di necrosi.
- Stadio 4 dopo alcune settimane si osserva la normalizzazione dell'onda T e la persistenza dell'onda Q di
necrosi, che può anche normalizzarsi col tempo, diventando non diagnostica.
L'ECG non solo consente di fare diagnosi di infarto ma permette anche di individuare la localizzazione e di
suggerire l'entità della sua estensione. In genere se l'infarto è ANTERIORE le derivazioni che presentano
sopraslivellamento del tratto ST sono V1,V2,V3,V4 e V5, se l'infarto è LATERALE avremo sopraslivellamento
in V5,V6, aVL e D1, se l'infarto è INFERIORE avremo sopraslivellamento in D2, D3 e aVF, e infine in caso di
infarto POSTERIORE avremo sottoslivellamento in V1,V2,V3. Infine l'evoluzione nel tempo delle alterazioni
all'ECG durante la fase acuta è un ottimo indice di valutazione di ripristino del flusso ematico attraverso la
coronaria occlusa, ovvero tanto più rapidamente regrediscono le alterazioni ECG tanto più preoce e migliore
è l riperfusione del miocardio nella regione infartuale;
Un altro elemento diagnostico è la presenza degli indici ematici di necrosi miocardica, quali:
- Creatinkinasi: la CK totale e la sua isofroma cardiospecifica CK-MB iniziano ad aumentare 4-6 ore dopo
l'esordio dei sintomi, raggiungono picco a 24 ore e tornano normali a 72 ore. Il dosaggio della CK/CK-MB
non consente soltanto di confermare la diagnosi di infarto ma anche di fare una valutazione dell'entità della
necrosi, infatti più è alta la concentrazione di CK/CK-MB tanto più estesa sarà la necrosi.
- Troponine: le Troponine T e I iniziano ad aumentare 4-6 ore dopo l'esordio dei sintomi, raggiungono il
picco a 24 ore e possono rimanere elevate anche dopo 2 settimane. Sono gli indici ematici di necrosi
miocardica più sensibili e specifici.
- Mioglobina: aumenta già entro 2 ore dall'esordio dei sintomi, quindi può fungere da indicatore precoce di
infarto miocardico.
- Lattico Deidrogenasi: la LDH inizia ad aumentare più tardivamente della CK/CK-MB e persiste aumentata
nel siero più a lungo, quindi può fungere da indicatore tardivo di infarto miocardico.
Ecocardiogramma: se l'area è sufficientemente estesa, l'ecocardiogramma mostra un'alterazione della
contrattilità della regione ischemica (ipocinesia, acinesia, discinesia) e inoltre possiamo valutare la frazione
di eiezione, che è la stima migliore per valutare la funzionalità del ventricolo sx.
Va effettuata comunque dopo qualche giorno dall'episodio, perché ci possono essere fenomeni come lo
“stordimento miocardico” che possono far sovrastimare l'estensione della necrosi.

Terapia: 1) intervento precoce di rivascolarizzazione consente il salvataggio di almeno una parte di


miocardio ischemico in via di necrosi, e l'efficacia terapeutica è elevatissima nelle prime 2 ore dopo l'infarto;
2) fibrinolisi ottenuta con farmaci fibrinolitici che inducono la lisi dei legami di fibrina del trombo,
utilizzando farmaci come streptochinasi e l'attivatore tissutale del plasminogeno. Questo intervento tuttavia
è controindicato in soggetti che hanno avuto emorragie gravi recenti, oltre ad essere associata ad un
aumentato rischio di emorragia intracranica; 3) angioplastica primaria, laddove sia possibile e in tempi
brevi, costituisce il trattamento di scelta per la ricanalizzazione della coronaria ostruita, anche se presenta
alcuni limiti come la necessità di poter essere effettuata solo in centri specializzati in emodinamica e quindi
con operatori esperti e inoltre richiede tempi di applicazione più lunghi rispetto alla fibrinolisi.

COMPLICANZE DELL'INFARTO DEL MIOCARDIO

 Complicanze aritmiche Nella fase acuta di un infarto del miocardio possono insorgere pressoché
tutti i tipi di aritmie, che possono aggravare la funzione contrattile del cuore, estendere l'area
necrotizzata ed evolvere verso forme aritmiche particolarmente gravi, causando arresto cardiaco e
morte del paziente. Possiamo avere essenzialmente BRADIARITMIE come bradicardia sinusale,
blocchi atrio-ventricolari (1° grado, 2° grado tipo I e tipo II, 3° grado o blocco A-V completo); e
TACHIARITMIE 1) sopraventricolari (extrasistoli, tachicardia sopraventricolare e infine fibrillazione
atriale e flutter atriale, e in questo caso la terapia di prima scelta è l'amidarone) e 2) ventricolari
(extrasistoli, tachicardia ventricolare, ritmo idioventricolare, fibrillazione ventricolare, che è la
principale causa di morte per IMA e può essere divisa in primitiva, insorgendo nelle 24-48 ore
successive all'infarto e può essere risolta con defibrillazione elettrica, e secondaria che insorge nelle
48 ore successive e va trattata con l'impianto di un defibrillatore automatico)
 Complicanze emodinamiche/meccaniche quali SCOMPENSO CARDIACO e SHOCK CARDIOGENO,
espressione entrambe di una grave compromissione ventricolare. Lo scompenso dapprima provoca
congestione vascolare polmonare e se il quadro poi peggiore si manifesta edema polmonare.
L'ipotensione data dallo shock conclamato invece si manifesta con segni di ipoperfusione periferica
quali cute fredda, subcianosi, tachicardia, confusione mentale e oliguria. Queste condizioni
richiedono trattamento con diuretici, vasodilatatori e farmaci inotropi positivi, mentre lo shock
cardiogeno può essere trattato con la contropulsazione aortica. Importante poi se c'è shock
ipovolemico perché quest'ultimo può essere trattato con infusione di liquidi.
 Infarto del ventricolo DX che se è molto esteso può accompagnarsi a sintomi da ipotensione e
scompenso cardiaco dx.
 Rottura del setto interventricolare quadro emodinamico caratterizzato da un brusco aumento della
portata a livello del circolo polmonare per l'instaurarsi di uno shunt sx-dx, la portata sistemica si
riduce e il ventricolo sx va incontro a un sovraccarico di volume, con quadro di scompenso e/o
shock. All'auscultazione abbiamo un soffio olosistolico, con sdoppiamento del II tono a causa del
sovraccarico del ventricolo dx. Terapia: correzione chirurgica.
 Rottura o malfunzionamento di un muscolo papillare che può provocare un'insufficienza valvolare,
in genere mitralica. L'unica terapia è la sostituzione della valvola colpita
 Rottura della parete libera del ventricolo SX compare dai 3 ai 10 giorni dopo l'infarto ed è un
evento frequente negli anziani e nelle donne. Manifestazioni cliniche sonoq uelle del
tamponamento cardiaco acuto. Caratteristico aspetto è la dissociazione tra attività meccanica
(polso assente) e elettrica (persistenza dei QRS all'ECG).
 Aneurisma ventricolare SX il quale può provocare scompenso cardiaco, compromettendo la
dinamica contrattile cardiaca, costituisce poi una sede per l'instaurarsi di fenomeni di rientro
facilitando insorgenza di aritmie ventricolari pericolose e può costituire una sede per stasi ematica
facilitando la formazione di trombi che possono dare origine a fenomeni tromboembolici. Dal punto
di vista diagnostico riscontriamo un itto sollevante a livello del precordio, presenza di III tono
cardiaco, sopraslivellamento del tratto ST all'ECG e diagnosi certa con radiografia ed
ecocardiografia. La terapia è con correzione chirurgica.
 Rischio di reinfarto e angina postinfartuale
 Pericardite epistenocardica insorge 2-4 giorni dopo l'episodio di infarto e clinicamente si manifesta
con dolore toracico tipico, che aumenta all'inspirazione e diminuisce assumendo una posizione
seduta. All'auscultazione sono presenti sfregamenti pericardici, all'ECG può essere presente un
sopraslivellamento del tratto ST e la presenza di versamento pericardico visibile
all'ecocardiogramma è diagnostica. Questo è importante perché è l'elemeno che ci permette la
valutazione di una sospensione della terapia anticoagulante, al fine di evitare emopericardio.
 Sindrome di Dressler pericardite postinfartuale, dovuta ad un instaurarsi di una reazione
autoimmune contro antigeni del pericardio liberatisi durante il processo necrotico. Compare dopo
1-6 settimane dall'infarto e si manifesta con dolore pericarditico febbre eventualmente associati a
dolore pleuritico.
 Morte cardiaca improvvisa nel 10-20% può essere anche il quadro all'esordio, avviene in modo
inatteso e senza nessun apparente sintomo o comunque entro 1 ora dall'evento. In genere è dovuta
comunque a una fibrillazione ventricolare in corso di STEMI.

CUORE POLMONARE

Definizione: si definisce cuore polmonare un'alterazione della struttura e/o della funzione del ventricolo dx
dovuta a un aumento della pressione nell'arteria polmonare.
L'ipertensione polmonare è la condicio sine qua non del cuore polmonare. La diagnosi di ipertensione
polmonare deve essere posta in presenza di una pressione media nell'arteria polmonare maggiore o uguale
a 25 mmHg in condizioni di riposo.

Fisiopatologia: Normalmente la pressione nell'arteria polmonare oscilla 22-25 mmHg (sistolica) e 8-


10mmHg (diastolica) con una pressione media di 15 mmHg. Il circolo polmonare è inoltre dotato di
meccanismi di protezione che comprendono essenzialmente:
 Reclutamento progressivo di vasi arteriosi che rimangono chiusi in condizioni di riposo
 Distensibilità notevole dei vasi arteriosi
 Quantità elevata di diramazioni vascolari dell'albero arterioso polmonare

In presenza di un aumento patologico della pressione in arteria polmonare, il ventricolo dx va inizialmente


incontro a ipertrofia e se aumenta ulteriormente il ventricolo dx va incontro a dilatazione.
Nel cuore polmonare acuto, in cui l'aumento del postcarico avviene improvvisamente , prevale la
dilatazione, mentre nel cuore polmonare acuto, in cui avviene gradualmente, prevale l'ipertrofia. In
entrambi i casi l'ipertensione polmonare comporta un aumento della pressione telediastolica del ventricolo
dx che, superati i meccanismi di compenso di ipertrofia e dilatazione, può determinare un'insufficienza del
ventricolo stesso con riduzione della gittata. Di conseguenza, meno sangue arriva al ventricolo sx e la
riduzione del suo riempimento determinerà una riduzione della gittata cardiaca, e si instaura così un circolo
vizioso che contribuisce a deprimere la funzionalità di entrambi i ventricoli.

Eziopatogenesi Le principali cause sono malattie che interessano il sistema respiratorio e che sono in
grado, con meccanismi vari, di determinare un aumento della pressione polmonare.
Possono essere malattie polmonari (BPCO; Fibrosi cistica; Interstiziopatie polmonari), disordini della
circolazione polmonare (tromboembolia polmonare; ipertensione polmonare idiopatica), malattie
neuromuscolari (miastenia gravis), deformità della gabbia toracica (cifoscoliosi) e per disordini del controllo
della ventilazione (ipoventilazione centrale primitiva; sindrome delle apnee ostruttive).

Sintomi: i sintomi del cuore polmonare cronico sono in genere correlati alla patologia di base. Il sintomo
più comune è la dispnea, può insorgere sincope da tosse o da sforzo a causa dell'incapacità del ventricolo
dx di apportare una quantità di sangue adeguata al cuore sinistro. Possiamo avere dolore addominale e
ascite, edema delle estremità inferiori e ipossia, con vasodilatazione periferica. Per i il cuore polmonare
acuto i sintomi sono quelli associati a embolia polmonare.
Segni sono tachipnea, elevate pressioni venose giugulari, epatomegalia ed edema declive. Posso riscontrare
onde v prominenti nel polso venoso giugulare, conseguenza dell'insufficienza tricuspidale. Altri segni sono
fremito del ventricolo dx palpabile lungo il margine sternale sx o in epigastrio, click di eiezione polmonare
sistolico, e il segno di Carvalho, ovvero l'aumento di intensità del murmure olosistolico dell'insufficienza
tricuspidale durante l'inspirazione, che può andare perduto con il peggioramento dello scompenso del
ventricolo dx.

Diagnosi All'ECG possiamo riscontrare presenza di onda P polmonare, deviazione dell'asse cardiaco a destra
e segni di ipertrofia ventricolare dx. L'RX torace mostra un ingrossamento dell'arteria polmonare principale
e dei vasi ilari. La spirometria e lo studio dei volumi polmonari possono identificare difetti
restrittivi/ostruttivi indicativi di malattia polmonare, mentre un'emogasanalisi ipossiemia e/o ipercapnia.
La TC del torace è utile nella diagnosi della malattia tromboembolica acuta. L'ecocardiografia 2D è utile per
misurare lo spessore del ventricolo dx e le sue dimensioni, così come valutare l'anatomie delle valvole
cardiache di destra.

Terapia: l'obiettivo primario del trattamento del cuore polmonare cronico consiste nel curare la patologia
polmonare alla base, dal momento che ciò porterà a diminuire le resistenze vascolari polmonari e ad
alleviare il sovraccarico pressorio sul ventricolo dx, riducendo il lavoro respiratorio grazie a ventilazione
meccanica non invasiva, impiego di broncodilatatori e trattamento di eventuali infezioni, oltre a
un'adeguata ossigenazione e correzione di acidosi respiratoria. I diuretici sono efficaci, cos' come i
vasodilatatori polmonari mentre è dubbia l'utilità della digossina e perciò va somministrata con giudizio, a
basse dosi e monitorata attentamente.
Per il trattamento del cuore polmonare acuto vedere quello per l'embolia polmonare.
IPERTENSIONE ARTERIOSA
È un aumento dei livelli pressori al di sopra dei valori medi che si rilevano nella maggior parte dei soggetti
apparentemente sani.

Epidemiologia
Nelle popolazioni occidentali la pressione sistolica arteriosa aumenta gradualmente sino alla tarda età,
mentre valori di pressione diastolici tendono a livellarsi o anche a diminuire leggermente dopo i 50 anni.
L’i.a. essenziale è di gran lunga quella più frequente.

IPERTENSIONE ARTERIOSA ESSENZIALE

È quello stato di ipertensione in cui gli elevati valori pressori non riconoscono un’evidente causa organica.

Eziopatogenesi
La pressione arteriosa risulta dall’interazione tra fattori ambientali e genetici. La patologia mostra una certa
familiarità. Sono stati individuati 17 geni . I fattori ambientali più importanti sono: dieta ipersonica e ricca di
lipidi, vita sedentaria, fumo, stress.

Fisiopatologia
Costituisce in primis un fattore di rischio per l’insorgenza di aterosclerosi (soprattutto a livello coronarico) e
di arteriolosclerosi. A livello arteriolare è presente una forma di autoregolazione della pressione arteriosa,
rappresentata dalla vasocostrizione; oltre certi limiti, tale meccanismo perde il proprio effetto protettivo,
determinando l’ingresso di sostanze disciolte ne sangue all’interno delle pareti delle arteriole. Quando tale
processo avviene in modo lento e progressivo, si verifica una fibrosi della parete arteriolare.

Clinica
Nelle fasi iniziali, si osserva un aumento della gittata. Quando l’i.a. si è stabilizzata nella sua forma
conclamata, la maggior parte dei soggetti presenta una gittata normale in presenza di resistenze periferiche
aumentate. Se l’i.a. non viene trattata negli stadi tardivi, le resistenze periferiche risulteranno molto elevate
e la gittata tenderà a diminuire evolvendo verso lo scompenso. L’i.a. si manifesta clinicamente solo quando
raggiunge un grado severo e la diagnosi avviene a causa di qualche sintomo indicativo di iniziale sviluppo di
complicanza o danno d’organo. I sintomi più comuni sono: cefalea , dispnea, cardiopalmo, vertigini,
epistassi, disturbi della visione.

Complicanze
Arterie di grosso e medio calibro. La lamina elastica interna diviene più sottile e si formano nuovi strati che
si appongono in direzione dell’intima. Lo strato muscolare diviene più spesso. Nelle fasi più avanzate, la
tonaca elastica può andare incontro a rottura e parziale riassorbimento, mentre il tessuto fibroso va a
sostituire quello muscolare. I vasi si dilatano, hanno pareti spesse e rigide, spesso hanno decorso tortuoso.
Il flusso si fa turbolento, compaiono lesioni endoteliali e inizia la progressiva formazione delle placche
aterosclerotiche. Lo sviluppo delle placche segue due modelli differenti:

 Strie lipidiche: gruppi di macrofagi contenenti gocce lipidiche. Essi giacciono subito al di sotto
dell’intima, che appare ispessita. L’endotelio può ulcerarsi, possono aderirvi le piastrine e possono
formarsi dei trombi.
 Lesioni proliferative: gruppi di cell muscolari lisce di provenienza sottoendoteliale, privi di
macrofagi, in cui successivamente si accumulano quantità variabili di fibrina. Circa il 50% di queste
lesioni contiene un nucleo centrale di materiale lipidico extracellulare.

Entrambe le tipologie di lesione convergono dando origine a placche aterosclerotiche. Queste possono
complicarsi (rottura, embolia) e determinare conseguenze funzionali gravi a livello delle coronarie, arterie
renali, carotidi, vertebrali.

Arterie di piccolo calibro. Ispessimento della tonaca muscolare come nelle arterie di grosso calibro, ma
l’espansione dell’intima è più pronunciata come conseguenza dell’accrescimento concentrico del tessuto
connettivo. La progressiva arteriolosclerosi ialina può coinvolgere tutta la parete, fatta eccezione per
l’endotelio. Il lume si restringe con aumento delle resistenze periferiche e della pressione arteriosa.

Occhio. All’esame del fonso oculare si vedono diversi gradi di retinopatia ipertensiva. Il grado 3 e 4 si
associano ad un’ importante riduzione della capacità visiva; è elevato il rischio di trombosi venosa retinica.

Encefalo. Tante complicanze come:


 Ictus
 TIA
 Emorragia sub aracnoidea
 Demenza multinfartuale
 Encefalopatia ipertensiva

Rene. L’iperplasia e la nefroangiosclerosi ialina causano un aumento della resistenza vascolare renale con
riduzione del flusso plasmatico renale. Grazie all’autoregolazione renale, nelle fasi iniziali della malattia il
rene riesce a compensare, il filtrato glomerulare è costante e la funzionalità renale rimane inalterata. Nelle
fasi più avanzate si assiste invece a un progressivo declino della funzionalità renale. La proteinuria è
variabile. Alcuni pz posso avere microematuria o iperuricemia.

Cuore. Il cuore è sottoposto ad un sovraccarico di lavoro finalizzato a mantenere costante la gittata cardiaca
a fronte di un aumento delle resistenze periferiche;in risposta a questo sovraccarico il ventricolo sx si
ipertrofizza; si individuano tre tipi di ipertrofia:
 Concentrica: aumenta lo spessore parietale non accompagnato da ingrandimento della cavità
ventricolare
 Eccentrica: consiste in una dilatazione della cavità ventricolare senza aumento proporzionale dello
spessore parietale, nonostante l’incremento della massa del ventricolo
 Irregolare: consiste nella formazione di zone di ipertrofia asimmetriche
Alla lunga la deposizione di collageno riduce la compliance ventricolare, ostacolando il riempimento
ventricolare. Il mancato rilasciamento diastolico ventricolare inibisce il riempimento coronarico
predisponendo il soggetto ad un’ischemia sub endocardica. Alla fine il cuore va incontro a scompenso.

Diagnosi
Nell’impostazione degli esami di lab e strumentali in un pz iperteso bisogna considerare quali obiettivi:
 L’esclusione di forme secondarie di ipertensione che sospetto in caso di: i.a. che esordisce prima dei
30 anni in un soggetto con familiarità negativa, valori di pressione diastolica>120 mm/Hg,
importante danno d’organo (creatininemia > 1,5 mg/dl), ipokalemia, palpitazioni, soffi addominali.
 La valutazione dei fattori di rischio cardiovascolare associati
 Valutazione di una ripercussione sistemica

Esami di lab. Indici di funzionalità renale (azotemia, creatinine mia, clearance della creatinina), elettroliti
plasmatici e urinari, esame delle urine (proteinuria, esame del sedimento). Questi tre servono per escludere
un’i.a. di origine renale. Altri esami sono: emocromo, glicemia, uricemia, assetto lipidemico
Esami strumentali (valutazione del danno d’organo). ECG, ecocardio, prove da sforzo cardiache, eco-color
Doppler, esame del fondo dell’occhio.

Terapia
In tutti i pz si consiglia di modificare lo stile di vita: abolizione del fumo, esercizio, calo ponderale, dieta
ipocalorica, ridotto consumo di sodio, moderato consumo di bevande alcoliche. Un pz che ha modificato lo
stile di vita ma che continua ad avere valori < 160/100 mm/Hg deve iniziare una terpaia farmacologica con
un diuretico tiazidico a basso dosaggio. Se non ha efficacia si da anche un ACE-inibitore.
IPERTENSIONI SECONDARIE
Comprende diverse condizioni poco frequenti. Sono:
 I. Renale: patologie parenchimali e vascolari del rene
 I.di origine endocrina: feocromocitoma, iperaldosteronismo, sd di Cushing

PERICARDITI
Sono infiammazioni del pericardio e possono essere distinte in
 Acute: durano da meno di 6 settimane
 Croniche: dura da più di 6 mesi. Può essere suddivisa ulteriormente in essudativa e costrittiva
 Subacute: dura da più di 6 settimane ma meno di 6 mesi

Possono avere diverse eziologie: virali (rosolia, CMV, EBV, EZV…), batteriche, micotiche, parassitarie,
epistenocardica, neoplastica, associate a connettiviti sistemiche, a patogenesi immunitaria, da radiazioni,da
uremia, conseguenti a patologie degli organi circostanti.

PERICARDITE COSTRITTIVA

Definizione
È l’esito di una pericardite di lunghissima durata, con formazione di tessuto di granulazione che oblitera
quasi tutta la cavità pericardica; tale tessuto poi si ritrae fino alla formazione di fibrosi cicatriziale, con
calcificazioni e aderenze tra foglietti pericardici. La conseguenza è una compressione di tutte le camere
cardiache con ostacolo al loro riempimento.

Eziologia
In teoria tutte le pericarditi croniche possono evolvere in una forma costrittiva

Fisiopatologia
Il cuore non si dilata per mancata compliance pericardica; si verifica quindi un aumento della pressione
nelle camere cardiache che provoca congestione venosa sia polmonare che sistemica. Si riduce anche la
gittata cardiaca.

Clinica
Inizialmente si verifica solo scompenso dx; poi si aggiunge lo scompenso sx.
Ispezione. Pz deperito, sub itterico, con ascite ed edemi periferici. Possono rendersi visibili i circoli
anastomotici porto-cavali. Le giugulari sono turgide ed è presente il segno di Kussmaul (mancato collasso
inspiratorio delle giugulari).
Palpazione. Itto difficilmente percepibile.
Auscultazione. Udibile il caratteristico “knock pericardico”, causato dal brusco arresto della dilatazione
ventricolare durante la proto diastole e dovuto all’urto delle pareti ventricolari col pericardio irrigidito. Tale
suono è meglio udibile a livello del margine sternale sx o all’apice cardiaco.

Diagnosi
ECG. Non ci sono alterazioni tipiche.
Rx torace. Ombra cardiaca non ingrandita. A volte sono visibili calcificazioni.
Ecocardiogramma. Ispessimento ed irrigidimento del pericardio, dilatazione delle vv sovra epatiche, segno
di kussmaul, movimenti paradossi del setto interventricolare durante la respirazione, aumento del flusso
trans mitralico durante l’espirazione.
TC e RM. Per vedere calcificazioni, adesioni, ispessimenti pericardici.
Terapia
Pericardiectomia, diuretici e restrizione salina per ridurre il sovraccarico idrico e gli edemi.
SCOMPENSO CARDIACO

Condizione patologica caratterizzata dall’incapacità del cuore di pompare una quantità di sangue (portata
cardiaca) adeguata alle necessità metaboliche dell’organismo.

Epidemiologia
L’incidenza nella popolazione aumenta in relazione all’età e raddoppia per ogni decennio dai 40 agli 80 anni.
Nell’età adulta è più frequente negli uomini a causa della maggior prevalenza della cardiopatia ischemica.

Eziologia
Classifichiamo le cause dello scompenso in:
 Cause primarie, che provocano direttamente lo scompenso
 Cause precipitanti, che rendono evidente uno scompenso subclinico, determinano l’aggravamento
di uno scompenso preesistente o precipitano uno scompenso acuto
Cause primarie:
 Patologie che compromettono la funzione sistolica del miocardio:
 Cardiopatia ischemica
 Cardiomiopatia dilatativa
 Patologie che compromettono la funzione diastolica del miocardio
 Cardiomiopatia ipertrofica
 Cardiomiopatia restrittiva
 Patologie che sottopongono il cuore ad un sovraccarico di lavoro cronico
 Patologie con sovraccarico di pressione (es. ipertensione arteriosa, stenosi valvolare)
 Patologie con sovraccarico di volume (es. insufficienza valvolare)
Cause precipitanti:
 Stress fisico, psichico, alimentare, ambientale
 Ipertensione arteriosa
 Aritmie
 Infezioni sistemiche
 Aumento della portata cardiaca
 Insufficienza renale
 Embolia polmonare
 Assunzione di farmaci controindicati o sostanze tossiche

Fisiopatologia
In presenza di una riduzione della contrattilità miocardica o di un sovraccarico di lavoro cardiaco, le
conseguenze emodinamiche più immediate sono rappresentate dall’aumento della pressione venosa a
monte e/o dalla riduzione della gittata sistolica a valle della camera insufficiente. L’organismo reagisce con
una serie di meccanismi di compenso che hanno lo scopo di mantenere la portata cardiaca su valori
normali. Col peggiorare dello scompenso, tali meccanismi diventano progressivamente insufficienti ed
incapaci di garantire una gittata cardiaca adeguata sotto sforzo o addirittura a riposo nelle fasi finali. Va
peraltro sottolineato che i meccanismi di compenso, inizialmente benefici, quando vengono attivati per
lunghi periodi possono contribuire nell’aggravare lo scompenso. Tali meccanismi sono:
 Meccanismo di Starling: all’aumentare del volume telediastolico, aumenta anche la gittata sistolica
 Meccanismi neuroendocrini: la riduzione della gittata stimola i meccanocettori presenti nel
miocardio ventricolare, nell’aorta e nel seno carotideo; tali strutture stimolano in via riflessa il
sistema adrenergico che induce vasocostrizione periferica con ridistribuzione del sangue agli organi
nobili (cuore e cervello). La riduzione della gittata provoca anche un’ipoperfusione renale con
attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone: la conseguenza dell’attivazione di questo
sistema enzimatico è un aumento della ritenzione di acqua e sodio, finalizzato ad un aumento della
volemia. L’angiotensina 2, inoltre, induce vasocostrizione arteriosa periferica. Nel caso di un cuore
insufficiente, l’aumento prolungato delle resistenze periferiche finisce con il comportare
un’ulteriore riduzione della portata cardiaca; ciò determina, a sua volta, un’ulteriore vasocostrizione
per ridistribuire il flusso insufficiente, e così via in un circolo vizioso. La somministrazione di
vasodilatatori arteriosi è finalizzata proprio ad interrompere questo circolo vizioso. Analogamente,
l’aumento prolungato della volemia provoca un aumento eccessivo del precarico il quale, per la
legge di Frank-Starling, determina una riduzione della gittata cardiaca. La somministrazione di
vasodilatatori venosi e di diuretici è finalizzata proprio a ridurre la volemia oppure a ridistribuire il
sangue verso la periferia.
 Ipertrofia miocardica e rimodellamento ventricolare: l’ipertrofia miocardica costituisce un’ulteriore
meccanismo di compenso che il cuore mette in atto per migliorare la sua efficienza contrattile in
condizioni di insufficienza cardiaca persistenti nel tempo. Le variazioni della geometria del
ventricolo che va incontro ad ipertrofia sono diverse a seconda del tipo di sovraccarico a cui il cuore
è sottoposto:
 Ipertrofia concentrica: in caso di sovraccarico di pressione, i cardiomiociti delle pareti ventricolari
rispondono con l’aggiunta in parallelo di miofibrille: ciò comporta un aumento dello spessore della
parete, mentre il volume ventricolare non viene modificato. Per la legge di Laplace (S=Pr/2h),
l’aumento dello spessore (h) compensa l’aumento della pressione (P), in modo da limitare lo stress
di parete (S)
 Ipertrofia eccentrica: in caso di sovraccarico di volume, i cardiomiociti delle pareti ventricolari
rispondono con l’aggiunta in serie di sarcomeri: ciò comporta la dilatazione del ventricolo. Per la
legge di Laplace, l’aumento del raggio (r) comporterebbe un aumento dello stress di parete, che
anche in questo caso viene limitato da un modesto aumento di spessore.
Se il grado di ipertrofia diventa eccessivo, esso finisce col compromettere la funzione sistolica e diastolica
del ventricolo, oltre che favorire l’insorgenza di ischemia miocardica, sia per il maggior lavoro cui è
sottoposto il cuore sia per l’insufficiente sviluppo del microcircolo coronarico.
Conseguenze fisiopatologiche dell’insufficienza cardiaca conclamata:
 Congestione venosa: l’aumento della pressione venosa che consegue all’insufficienza cardiaca si
trasmette a monte sino ai capillari, dove produce alterazioni negli scambi di acqua e ioni che esitano
nella formazione di edema interstiziale. Nel caso del polmone, quando la quantità di acqua nel
circolo aumenta supera la possibilità di drenaggio da parte del sistema linfatico polmonare, essa
inonda gli alveoli e l’edema diventa alveolare.
 Ipoperfusione degli organi periferici: l’ipoperfusione dei tessuti in genere provoca ipossia periferica
e, nei casi più gravi, acidosi. L’ipoperfusione del rene, oltre un certo limite, produce insufficienza
renale che, nei casi di shock cariogeno, arriva sino all’anuria completa. La congestione venosa
epatica, associata all’ipoperfusione può condurre, nei casi gravi, alla necrosi centro lobulare, con le
relative manifestazioni dell’insufficienza epatica.

Manifestazioni cliniche
I sintomi e i segni clinici dello scompenso cardiaco sono sempre riconducibili in qualche modo alla
congestione venosa o all’ipoperfusione periferica; essi possono combinarsi in vario modo, dando luogo a
quadri clinici variabili.
CRITERI DI FRAMINGHAM PER LA DIAGNOSI DI
SCOMPENSO CARDIACO
CRITERI MAGGIORI Dispnea parossistica notturna
Turgore delle vene giugulari
Rantoli
Cardiomegalia
Edema polmonare acuto
Ritmo di galoppo da terzo tono
Pressione venosa centrale > 16 cmH2O
Reflusso epato-giugulare
CRITERI MINORI Edemi periferici
Tosse notturna
Dispnea da sforzo
Epatomegalia
Versamento pleurico
Riduzione della capacità vitale di un terzo del
normale
Tachicardia (frequenza cardiaca>120 bpm)
CRITERI MAGGIORI O MINORI Perdita di peso > 4,5 kg in 5 giorni in risposta al
trattamento

La diagnosi è ritenuta certa in presenza di due criteri maggiori o di un criterio maggiore e due minori.

Sintomi
 Funzione respiratoria. L’edema interstiziale provocato dalla congestione venosa polmonare
determina dispnea, ortopnea e dispnea parossistica notturna. Quando l’edema interstiziale è
talmente importante da arrivare a comprimere i bronchioli, provocando un aumento delle
resistenze delle vie aeree, si parla di asma cardiaco. Nei casi più gravi, la congestione polmonare
può provocare edema alveolare, dando luogo al quadro di edema polmonare acuto.
 Attività muscolare. L’ipoperfusione dei muscoli determina astenia e facile affaticabilità.
 Funzione renale. Nello scompenso è frequente la comparsa di nicturia: durante il giorno, la
posizione ortostatica determina ipoperfusione renale e quindi riduzione della diuresi, al contrario,
quando viene assunta la posizione clinostatica durante la notte, aumenta il ritorno venoso e quindi
la perfusione renale, con aumento della diuresi. Nelle fasi più avanzate dello scompenso,
l’ipoperfusione diventa costante e produce oliguria e, quando la portata cardiaca è gravemente
ridotta, anuria completa
 Funzione cerebrale. L’ipoperfusione cerebrale determina perdita di memoria, difficoltà di
concentrazione, insonnia, ansietà. Nei casi acuti (edema polmonare e shock cariogeno) si osservano
confusione mentale, agitazione, sonnolenza, coma.
La valutazione del livello di attività fisica che determina la comparsa di sintomi (in particolare dispnea e
fatica muscolare) consente di precisare il grado di capacità funzionale del paziente, che è strettamente
dipendente dalla gravità dello scompenso.
CLASSIFICAZIONE FUNZIONALE DEI PAZIENTI
CARDIOPATICI NELLA NEW YORK HEART
ASSOCIATION (NYHA)
CLASSE 1 Pazienti senza limitazioni dell’attività fisica. L’attività
fisica abituale non causa sintomi
CLASSE 2 Lieve limitazione dell’attività fisica. Il pz è
asintomatico a riposo, ma un’attività fisica abituale
causa sintomi
CLASSE 3 Grave limitazione dell’attività fisica. Il pz è
asintomatico a riposo, ma un’attività fisica anche
inferiore a quella abituale causa sintomi
CLASSE 4 Impossibilità di eseguire qualsiasi attività fisica senza
avere disturbi. Il pz può presentare sintomi di
scompenso a riposo. I disturbi aumentano se viene
intrapresa una qualsiasi attività fisica

Segni
 Esame generale. La presenza di edema periferico è una manifestazione frequente e tipica dello
scompenso. Esso non è solo il risultato dell’aumento di pressione nel circolo venoso sistemico ma
anche nello scompenso sx puro, in cui non si verifica congestione venosa sistemica; d’altro canto,
può mancare nello scompenso dx puro insorto acutamente, poiché per manifestarsi deve
accumularsi il liquido extracellulare nei tessuti, cosa che richiede alcuni giorni. L’edema compare
prima ai piedi e alle caviglie ed è tipicamente simmetrico (edemi declivi); la presenza di edema può
essere evidenziata col segno della fovea (la digitopressione della regione pretibiale determina un
affossamento della cute che scompare lentamente). Nei casi più gravi, l’edema può diventare
generalizzato (anasarca), coinvolgendo gli arti superiori, il torace (versamento pleurico), l’addome
(ascite) e i genitali. Se l’edema non viene risolto e persiste nel tempo, esso può provocare
indurimento della cute, con formazione di aree dicromiche (caratterizzate da macchie brune o
rossastre), soprattutto sul dorso del piede e alle caviglie. La vasocostrizione cutanea diventa
clinicamente evidente solo in presenza di shock cariogeno : in questo caso, la cute appare pallida,
fredda e madida di sudore; le estremità sono cianotiche. Lo scompenso cronico grave può portare
ad uno stato di cachessia con perdita di peso e anoressia, indotto dall’aumentata produzione di
citochine pro infiammatorie (soprattutto TNF).
 Esame cardiovascolare. Sono presenti tachicardia (per effetto dell’ipertono adrenergico),
spostamento dell’itto a sx e in basso alla palpazione del precordio (dovuto alla dilatazione del
cuore), presenza di un terzo e/o un quarto tono all’auscultazione cardiaca, turgore delle giugulari
(da aumento della pressione venosa centrale nello scompenso dx). Nei pz con scompenso cronico la
pressione arteriosa è normale o modestamente ridotta, a meno che non esista una condizione di
ipertensione arteriosa di base. D’altro canto, nello scompenso cardiaco acuto la pressione arteriosa
è spesso elevata, soprattutto quella diastolica, per effetto della vasocostrizione periferica
compensatoria.
 Esame del torace. Nei casi di scompenso lieve l’esame è normale. Quando aumenta la pressione del
circolo venoso polmonare, compaiono rantoli crepitanti alle basi polmonari, cioè rumori umidi
inspiratori che non si modificano dopo i colpi di tosse, a differenza dei rumori umidi di origine
bronchiale. Quando l’edema interstiziale e la congestione della mucosa bronchiale comprimono le
vie aeree terminali possono comparire anche ronchi e sibili. In caso di edema polmonare acuto, i
rantoli possono diventare grossolani e si diffondono a tutto l’ambito polmonare (marea montante).
Nello scompenso cronico l’aumento di pressione dei capillari pleurici determina la comparsa di un
versamento pleurico (idrotorace).
 Esame dell’addome. L’aumento della pressione venosa centrale determina epatomegalia e, nei casi
più gravi, splenomegalia. Se la congestione epatica si prolunga, la compromissione prodotta dalle
venule sugli epatociti produce segni clinici di danno epatico (alterazioni ematiche, iperbilirubinemia,
ecc.). Nei casi di scompenso grave, l’aumento di pressione nei capillari peritoneali determina la
comparsa di ascite.

Diagnosi
Gli esami di laboratorio di routine e l’ECG possono fornire informazione utili a identificare le cause primarie
dello scompenso, oppure possono aiutare il medico nell’identificare le possibili cause precipitanti. Utile per
la diagnosi di un’origine cardiaca di sintomi compatibili con lo scompenso è il dosaggio del BNP e del suo
precursore NT-proBNP. La radiografia del torace consente di valutare le dimensione del cuore e il grado di
congestione polmonare. L’ecocardiogramma color-Doppler è senz’altro l’esame che contribuisce più di ogni
altro all’identificazione delle cause dello scompenso e a valutarne la gravità. Esso consente di identificare
rapidamente molte delle patologie cardiache in grado di causare uno scompenso e di esaminare
adeguatamente la funzione contrattile globale e regionale del ventricolo sx e, con minore precisione, del
ventricolo dx. A tal proposito, esso permette di calcolare la frazione di eiezione del ventricolo sx (FEVSn),
che costituisce il parametro più importante e più largamente utilizzato nella pratica clinica per identificare lo
stato della contrattilità miocardica; normalmente, la FEVSn è compresa tra 60 e 75% ed è comunque
superiore al 50%.
Prognosi
In media, la prognosi dei pz con scompenso non è buona. La metà circa delle morti è improvvisa,mentre
negli altri casi si assiste ad un progressivo deterioramento cardiaco. La mortalità è stata ridotta grazie
all’impiego di farmaci che contrastano il rimodellamento del miocardio e all’impianto di ICD che prevengono
la morte improvvisa. Restano tuttavia numerosi i casi che alla lunga risultano refrattari a tutti i trattamenti;
in questi casi la mortalità entro pochi mesi è elevata. La prognosi è più favorevole nei casi in cui lo
scompenso è determinato da cause primarie rimovibili (es valvulopatia, cardiopatia ischemica con un’ampia
area di miocardio ibernato ecc..). I fattori prognostici comprendono: gravità dei sintomi (classi NYHA),
FEVSn, capacità di esercizio, funzione renale, livelli ematici di BNP/NT-proBNP.
Manifestazioni cliniche di scompenso acuto grave
Edema polmonare acuto. Si manifesta quando la pressione dei capillari polmonari è >25mm/Hg: in tal caso,
si verifica la trasudazione di liquido negli alveoli polmonari. Ne consegue una compromissione sia degli
scambi gassosi che della meccanica ventilatoria. L’ipossia e l’acidosi che ne derivano provocano ulteriore
peggioramento della funzione cardiaca, con riduzione della portata e ulteriore aumento delle pressioni
capillari polmonari, generando così un circolo vizioso. La riduzione della portata induce inoltre
vasocostrizione periferica, comportando un aumento del carico di lavoro per il cuore che peggiora
ulteriormente la funzione cardiaca. Il pz in edema polmonare acuto si presenta agitato, seduto sul letto,
dispnoico, con respiro caratterizzato da espirazione prolungata con sibili e ronchi, da inspirazione rumorosa
e gorgogliante e, nei casi più gravi con emissione con la tosse di un espettorato schiumoso, talvolta rosato.
La cute appare fredda e sudata, le estremità e le labbra sono cianotiche. Alcuni pz possono riferire anche
dolore retro sternale (se vi è una sottostante cardiopatia ischemica). Il pz è tachicardico, con pressione
elevata (soprattutto quella diastolica). La diuresi è ridotta. All’auscultazione toracica si apprezzano rantoli
inspiratori su tutti i campi polmonari. L’EGA rivela ipossia, acidosi (metabolica e respiratoria) e spesso
ipercapnia. Se non si interviene rapidamente l’edema evolve vero lo shock cariogeno e l’arresto circolatorio.
L’obiettivo principale del trattamento è ridurre in modo marcato il precarico e, in caso di elevata pressione
arteriosa, anche il postcarico.
Shock cardiogeno. Si manifesta quando la portata scende al di sotto dei valori minimi necessari a mantenere
la funzione degli organi vitali. Le cause più frequenti comprendono: infarto miocardico acuto e/o sue
complicanze meccaniche, miocarditi gravi, tamponamento cardiaco, embolia polmonare. La violenta
vasocostrizione che si innesca per mantenere la perfusione di organi vitali quali il cuore e il cervello unita
all’ipossia e all’acidosi, finisce per compromettere irreversibilmente la permeabilità e la contrattilità dei vasi
del microcircolo: la conseguenza è un sequestro di massa ematica in periferia che compromette il
riempimento cardiaco e riduce ulteriormente la portata, fino all’arresto circolatorio. Il pz in shock si
presenta dispnoico, in stato confusionale e semi-incosciente. Alcuni pz possono riferire anche dolore
restrosternale (se vi è una sottostante cardiopatia ischemica). La cute è fredda e sudata con ampie aree
marezzate da machhie cianotiche. I polsi sono quasi assenti con pressione bassissima o addirittura non
misurabile. La diuresi è molto scarsa o assente. L’EGA rivela acidosi metabolica grave anche in caso di
trattamento tempestivo e intensivo, Il pz con shock evolve spesso verso l’arresto circolatorio e la morte.
Terapia
Gli obbiettivi della terapia dello scompenso sono due: il miglioramento dei sintomi e della prognosi. Non
tutti i farmaci che migliorano i sintomi migliorano anche la prognosi: per es ACE-inibitori e beta-bloccanti
migliorano sia i sintomi sia la prognosi, mentre i diuretici solo i sintomi e i farmaci inotropi, con l’eccezione
forse della digitale, migliorano i sintomi ma peggiorano la prognosi. Il trattamento deve comprendere
interventi medici e chirurgici finalizzati a correggere o rimuovere, dove possibile, la causa primaria dello
scompenso (coronaropatia, valvulopatia, cardiopatia congenita ecc). il trattamento deve comprendere
misure dirette a prevenire o eliminare eventuali cause precipitanti dello scompenso (infezioni, aritmie,
embolia ecc.).
Riassumendo, i farmaci utilizzati in caso di scompenso cronico sono: ACE-inibitori, beta-bloccanti, nitrati,
diuretici, glicosidi digitalici e catecolamine. La terapia non farmacologica prevede: pacemaker bi
ventricolare, trapianto cardiaco.
I farmaci utilizzati nello scompenso acuto sono: diuretici, nitrati, glicosidi digitalici.

VIZI VALVOLARI
Le valvulopatie possono essere distinte in:
 Stenosi valvolari: ostruzione al flusso di sangue in senso anterogrado, dovute a restrizione dell’area
valvolare
 Insufficienze valvolari: incontinenza della valvola, con rigurgito di sangue in senso retrogrado,
dovute a lesioni dirette degli apparati valvolari o a dilatazione delle camere cardiache.
STENOSI MITRALICA

Eziologia e anatomia patologica


La causa più frequente di s.m. pura rimane la malattia reumatica; altre cause meno frequenti includono
l’eziologia iatrogena dovuta ad esiti di correzione chirurgica di un’insufficienza mitralica mediante plastica
della valvola. Questa valculopatia è molto frequente nel sesso femminile.
La s.m. è caratterizzata da ispessimento dei lembi valvolari dovuto a processi fibrotici e/o calcifici, e da
fusione parziale delle commessure con frequente coinvolgimento delle corde tendinee. Pertanto i lembi
valvolari diventano ipomobili e rigidi, determinando il restringimento dell’ostio valvolare , che assume una
forma ad imbuto. Mentre il danno valvolare primitivo è causato direttamente dall’endocardite reumatica, la
successiva progressione delle lesioni è dovuta al trauma cronico generato dalle turbolenze del flusso sulle
strutture valvolari. L’atrio sx appare dilatato, talvolta con depositi di calcio parietali. Nelle fasi avanzate della
malattia, l’ipertensione polmonare determina ipertrofia della media e fibrosi dell’intima nelle arteriole
polmonari.

Fisiopatologia
In presenza di s.m. il passaggio di sangue dall’atrio al ventricolo sx può essere mantenuto entro certi limiti
fisiologici solo aumentando la pressione atriale. Questo aumento di pressione genera congestione venosa
polmonare, che può evolvere in ipertensione arteriosa polmonare. Il gradiente di pressione che si genera a
livello della mitrale, dipende tuttavia non solo dal grado di stenosi, ma anche dalla portata e dalla frequenza
cardiaca. Pertanto, tutte le situazioni che comportano un aumento della portata cardiaca e/o della
frequenza cardiaca causano un aggravamento del quadro emodinamico della stenosi mitralica. Così un
soggetto asintomatico a riposo può diventare sintomatico durante sforzo fisico o alla comparsa della
fibrillazione atriale. L’evoluzione successiva del quadro fisiopatologico e clinico è legata all’ipertensione
arteriosa polmonare secondaria all’ipertensione venosa. Inizialmente, l’ipertensione arteriosa è solo di tipo
funzionale, ovvero le arteriole rispondono con la vasocostrizione all’aumento di pressione del circolo
polmonare; successivamente, subentrano delle alterazioni anatomiche delle arteriole, che conducono ad
un’ipertensione polmonare irreversibile. L’ipertensione arteriosa polmonare cerca di ridurre la congestione
venosa polmonare e i sintomi correlati. Tuttavia essa genera un sovraccarico pressorio del ventricolo dx, il
quale si ipertrofizza, si dilata e può andare incontro a disfunzione contrattile. Ne consegue la dilatazione
dell’anello tricuspidale, con insufficienza della valvola. Quindi, progressivamente, si assiste alla scomparsa
dei fenomeni legati alla congestione venosa polmonare, mentre compaiono quelli legati allo scompenso dx,
con congestione venosa sistemica, e della bassa gittata cardiaca.

Manifestazioni cliniche
Il primo sintomo è quasi sempre la dispnea da sforzo; con la progressione della stenosi, la dispnea tende ad
insorgere per sforzi meno intensi , fino alla dispnea parossistica notturna e all’ortopnea. Episodi di edema
polmonare acuto possono verificarsi in occasione di improvvisi aumenti del flusso trans mitralico o di
fibrillazione atriale. Altri sintomi correlati all’ipertensione venosa polmonare sono la tosse e l’emottisi. In
fasi molto avanzate della malattia, possono comparire sintomi legati all’atriomegalia sx, quali la disfonia (da
compressione del nervo laringeo ricorrente sx) e la disfagia (da compressione dell’esofago). Tardivamente,
compaiono i segni dello scompenso dx e della bassa gittata cardiaca. La bassa gittata determina astenia,
facile affaticabilità e vasocostrizione periferica, particolarmente spiccata nei distretti circolatori non
essenziali come la cute. La maggior estrazione di O2 dal sangue capillare cutaneo ne consegue determina la
comparsa di cianosi periferica, facilitata dalla stasi venosa. Questi fenomeni danno origine alla cosiddetta
facies mitralica, caratterizzata da pallore del viso associato a cianosi dei pomelli e delle labbra . col
progredire dello scompenso dx appaiono epatomegalia, edemi declivi degli arti inferiori e, in fase avanzata,
ascite. Tra le complicanze della stenosi mitralica, la più frequente è la fibrillazione atriale, dovuta
all’ingrandimento dell’atrio sx. La complicanza più temibile è rappresentata dalle embolie sistemiche
(cerebrali, renali, spleniche, periferiche) conseguenti alla formazione di trombi nell’atrio sx dilatato o
nell’auricola.

Esame obiettivo
Alla’auscultazione cardiaca, il primo tono appare di intensità accentuata e di breve durata, mentre il
secondo tono è normale o, in caso di ipertensione arteriosa polmonare, accentuato. In protodiastole è
udibile il classico schiocco d’apertura della mitrale, di breve durata e ad alta frequenza, che segue la
componente aortica del secondo tono. Subito dopo lo schiocco, inizia un soffio (o rullio) diastolico a bassa
frequenza. Nella fase presistolica si ha un’accentuazione del soffio (rinforzo presistolico) legata all’aumento
del flusso trans mitralico conseguente alla sistole atriale. Tali reperti sono più facilmente auscultabili a livello
della punta e in decubito laterale sx. Nella stenosi mitralica grave, i lembi valvolari possono diventare tanto
rigidi da non dare più origine ai rumori di cui sopra (stenosi mitralica silente). Quando si sviluppa
ipertensione arteriosa polmonare, si possono apprezzare altri reperti, legati alla dilatazione dell’arteria
polmonare, quali un click proto sistolico sul focolaio polmonare e un soffio diastolico in decrescendo ad alta
frequenza sullo stesso focolaio o sulla linea margino-sternale sx, espressione di un’insufficienza polmonare
secondaria (soffio di Graham-Steel).

Diagnosi
ECG. Le alterazioni tipiche sono quelle relative all’atriomegalia sx: onda P bifida e prolungata in D2 e un
aumento della componente terminale della stessa onda in V1. In presenza di ipertensione polmonare,
l’ipertrofia del ventricolo dx provoca una deviazione a dx dell’asse cardiaco e la comparsa di un’onda R ad
elevato voltaggio in V1. In caso di fibrillazione atriale sarà presente il tracciato tipico.
Radiografia del torace. In proiezione post-ant, sull’ombra cardiaca si possono notare la presenza di un
doppio contorno dell’arco inferiore sx (dovuta alla dilatazione dell’atrio sx) e la prominenza dell’arco medio
sx (dovuta alla dilatazione dell’auricola sx). l’atrio sx dilatato, inoltre, può sollevare e orizzontalizzare il
bronco sx. Nei campi polmonari, la congestione venosa cronica può determinare la comparsa delle strie di
Kerley (dovute ad edema e/o fibrosi dei setti interlobulari), soprattutto a livello del seno costo-frenico
laterale. In proiezione lat-lat con esofago bariato è visibile l’impronta dell’atrio sx dilatato.
Ecocardiogramma color Doppler.

Terapia
Medica. Profilassi antibiotica per chi ha valvulopatia secondaria ad endocardite infettiva. Beta-bloccanti e
digitalici per evitare le fibrillazioni e ridurre la frequenza cardiaca durante lo sforzo. Diuretici nei pz con
dispnea. Terapia anticoagulante. Nei pz con aritmie si consiglia la cardioversione elettrica.
Chirurgica. Sostituzione della valvola.

INSUFFICIENZA MITRALICA

Quella di origine reumatica ha la stessa incidenza nei due sessi; inoltre è spesso associata a stenosi mitralica
e valvulopatia aortica. Può essere acuta (es. rottura di un muscolo papillare in corso di infarto miocardico) e
cronica (es. endocardite reumatica).

Fisiopatologia
Durante la sistole, in corso di i.m., parte del sangue contenuto nel ventricolo sx può rigurgitare nell’atrio sx,
mentre si riduce la quantità di sangue espulso in aorta, e quindi la portata. In ventricolo sx è sottoposto ad
un sovraccarico di V e quindi si dilata. L’atrio sx subisce modifiche dipedenti dall’entità di rigurgito e dalla
modalità d’insorgenza dell’insufficienza:
 In caso di insufficienza cronica, l’atrio sx si dilata con riduzione della gittata.
 In caso di insufficienza acuta, l’atrio sx non ha tempo di dilatarsi quindi il rigurgito provoca un
aumento rapido della pressione nell’atrio sx e nel circolo polmonare.

Manifestazioni cliniche
 Riduzione della gittata cardiaca: affaticamento, ridotta capacità di sforzo
 Aumento della pressione venosa polmonare (nelle forme acute): edema polmonare, dispnea,
ortopnea, aumento della pressione arteriosa polmonare (più tardivamente)
 Fibrillazione atriale: come complicanza della dilatazione atriale

Esame obiettivo
Auscultazione. Primo tono attutito e coperto spesso da un soffio olosistolico da rigurgito. Secondo tono
normale o aumentato in caso di ipertensione arteriosa polmonare. Terzo tono alla fine della sistole atriale
per la brusca messa in tensione dell’apparato mitralico. Soffio diastolico in caso di i.m.massiva, legato
all’aumentato flusso di sangue che attraversa la mitrale (dato da ritorno venoso polmonare + frazione di
rigurgito). Quarto tono in caso di i.m. acuta massiva; è presistolico ed è dovuto alla diminuzione della
compliance ventricolare.

Diagnosi
ECG. Stesse della stenosi. Se si verifica ipertrofia del ventricolo di sx si avrà un’onda R ad elevato voltaggio in
V5 e V6. Se si ha fibrillazione si evidenzia il quadro tipico.
Rx del torace. Cardiomegalia sx.
Eco-color Doppler. Evidenzia la valvola insufficiente, i flussi, la cardiomegalia, vegetazioni e/o trombi
valvolari.

Terapia
Medica. Come stenosi. Nell’i.m.acuta si usano nitrati e diuretici.
Chirurgica. Come stenosi

PROLASSO DELLA VALVOLA MITRALE

Eziologia e anatomia patologica


È l’anomalia valvolare più comune e mostra una certa familiarità. È una patologia che determina una
chiusura sistolica anomala, con protrusione nell’atrio sx di uno o entrambi i lembi della valvola: ciò provoca
un’insufficienza valvolare di vario grado. Il p.m. può essere primario (idiopatico) o secondario a diverse
condizioni patologiche ( miocardiopatie ischemiche, collagenopatie…).

Fisiopatologia
Come insufficienza mitralica

Manifestazioni cliniche
Il p.m. determina la sindrome di Barlow (ha vari gradi di gravità); i sintomi più comuni sono palpitazioni
(dovute a tachiaritmie) e precordi algie. Altri sintomi sono simili a quelli rilevati nell’i.m. di varia natura.

Esame obiettivo
I pz tendono ad aver habitus longilineo; speso presentano anomalie scheletriche oppure alterazioni
somatiche tipiche della sd di Marfan. All’auscultazione si sente un click meso-telesistolico, a volte seguito da
un soffio da rigurgito. I reperti sono rilevabili alla punta e al mesocardio.

Diagnosi
ECG. Anomalie nella ripolarizzazione rilevabili soprattutto in D2, D3, aVF, V5, V6. Può mostrare anche
aritmie ventricolari e sopraventricolari. L’ECG dinamico secondo Holtere e l’ECG da sforzo posso essere utili
nei pz con lipotimie e sincopi.
Rx del torace. Come i.m.
Eco-color doppler. È l’esame più importante che consente di valutare il movimento sistolico “ad amaca” dei
lembi valvolari prolassanti.

Terapia
Come i.m.

STENOSI AORTICA

Eziologia e anatomia patologica


È un ostacolo allo svuotamento del ventricolo di sx che si verifica attraverso il tratto di efflusso (stenosi
sottovalvolare), la valvola (stenosi valvolare) o la prima parte dell’aorta ascendente (stenosi sopravalvolare).
Le ostruzioni valvolari sono conseguenza di processi infiammatori o degenerativi che si sovrappongono, in
alcuni casi, a malformazioni congenite. Di conseguenza sono più frequenti in età adulta o avanzata. Le
ostruzioni sopra- e sottovalvolari sono sempre congenite e di conseguenza più frequenti in età infantile o
giovanile. L’anomalia genetica più frequente è la valvola bicuspide.

Fisiopatologia
La s.a. costituisce un ostacolo all’eiezione di sangue durante la sistole; per superare le resistenze della
stenosi e mantenere una portata normale, la pressione nel ventricolo sx deve superare quella in aorta,
generando un gradiente pressorio. Quando l’ostio valvolare si riduce meno di un quarto dell’area normale,
tale gradiente è > o = a 50 mm/Hg. Il sovraccarico pressorio determina ipertrofia concentrica del ventricolo
di sx. Questo meccanismo ha due conseguenze:
 Riduzione della compliance ventricolare, che fa salire la pressione diastolica intraventricolare. Per
ottenere un riempimento ventricolare completo l’atrio sx deve esercitare una contrazione più
energica e si ipertrofizza
 Aumento della massa ventricolare, che compromette le diramazioni distali delle coronarie,
compromettendo la perfusione del miocardio
Lo sforzo fisico è il meccanismo più comune capace di compromettere i meccanismi di compenso di cui
sopra.

Manifestazioni cliniche
A lungo asintomatica, grazie al compenso del ventricolo sx. quando la stenosi raggiunge un’entità critica si
avranno dispnea, angina, sincope. Questi sintomi compaiono soprattutto sotto sforzo.

Esame obiettivo
Polso arterioso. Tardo cioè caratterizzato da una lenta ascesa dell’onda pressoria (dovuta al rallentamento
della fase di eiezione) e poi diventa piccolo quando la pressione differenziale cade.
Palpazione. Se c’è una marcata ipertrofia ventricolare, l’itto è energico, prolungato e spostato in basso e a
sx.
Auscultazione. C’è lo sdoppiamento paradosso perchè aumenta la fase di eiezione sx e quindi la
componente aortica del secondo tono cade dopo quella polmonare. Compare un quarto tono quando
diminuisce la compliance ventricolare. Soffio a diamante: soffio sistolico aspro a bassa frequenza, udibile sul
focolaio aortico e al secondo spazio intercostale sx; comincia dopo il primo tono, raggiunge un massimo al
culmine dell’eiezione e termina prima del secondo tono; si irradia verso i vasi del collo e verso l’apice
cardiaco; nelle malformazioni congenite il soffio a diamante può essere preceduto da un click d’eiezione,
prodotto dall’apertura brusca delle valvola rigida.

Diagnosi
ECG. Segni di ipertrofia sx e di sovraccarico del ventricolo di sx.
Rx torace. Prominenza dell’arco inferiore di sx e dilatazione dell’aorta ascendente.
Eco-color Doppler. Evidenzia la valvola stenotica con eventuali anomalie congenite sopra e sottovalvolari,
l’ipertrofia concentrica del ventricolo di sx, flusso ematico.

Terapia
Medica. Prevenzione e controllo delle aritmie.
Chirurgica. Sostituzione valvola

INSUFFICIENZA AORTICA

Eziologia e anatomia patologica


L’i.a. è il reflusso di sangue dall’aorta al ventricolo sx durante la diastole, causato da un’alterata chiusura
dell’ostio valvolare. Può essere secondaria a lesioni che interessano direttamente le cuspidi valvolari (es.
endocardite reumatica, trauma) oppure che provocano dilatazione della radice aortica.
Fisiopatologia
Parte del sangue espulso in aorta ristagna nel ventricolo sx durante la diastole; in sistole, quindi, dovrà
espellere un V di sangue pari alla somma della normale gittata sistolica e della quota rigurgitante. Il
ventricolo sx si dilata e poi si ipertrofizza. Nella i.a. prevale il sovraccarico di V (nella s.a. prevale il
sovraccarico di pressione). In questo caso a lungo andare la dilatazione e l’ipertrofia si combinano e si forma
il cor bovinum (cuore enorme). L’aumento della massa miocardica espone a fenomeni di ischemia. Con gli
anni la funzione del ventricolo sx tende a ridursi: la riduzione della gittata cardiaca provoca vasocostrizione
periferica riflessa, che aumenta la quota di sangue rigurgitante e uinnesca un circolo vizioso che porta a
compenso cardiaco. Nell’i.a. acuta, il ventricolo sx non ha tempo di dilatarsi e si verifica rapidamente un
quadro di scompenso sx con edema polmonare e grave insufficienza di circolo.

Clinica
Nella fase asintomatica dell’i.a. l’unico disturbo possono essere le palpitazioni. Quando il ventricolo sx non
compensa più compaiono dispnea ingravescente (prima a riposo, poi da sforzo, ortopnea, dispnea
parossistica notturna) e a volte angina.

Esame obiettivo
Nell’i.a.grave, la pressione sistolica è molto aumentata, e quella diastolica molto diminuita; compaiono
segni periferici:
 Polso celere (o scoccante o di Corrigan); a volte il polso può presentare due picchi (pulsus bisferiens)
 Segno di De Musset: movimento ritmico della teta prodotto dalla vivace pulsatilità delle carotidi
 Polso retinico e polso irideo
La riduzione delle resistenze periferiche causa:
 Segno di Traube: doppio rumore secco udibile sull’arteria femorale in sistole
 Segno di Durouzier: soffio sistolico o sisto-diastolico udibile sull’arteria femorale
 Polso capillare (o segno di Quincke): pulsazione della linea di demarcazione tra zona pallida e zona
rosea che si osserva comprimendo il letto ungueale
 Segno di Hill: differenza tra pressione arteriosa sistolica negli arti inferiori e negli arti superiori >30
mm/Hg
Palpazione. L’itto si sposta in basso e a sx, è energico e prolungato
Auscultazione. Soffio diastolico ad alta frequenza dopo il primo tono. Soffio sistolico se aumenta la frazione
di eiezione del ventricolo sx. Soffio di Austin-Flint (solo in caso di i.a.grave) : meso-telediastolico, a bassa
frequenza, rullio, la mitrale non si chiude perché aumenta la pressione diastolica.

Diagnosi
ECG. Come stenosi aortica
Rx torace. In proiezione post-ant, si ha l’allungamento dell’arco inf sx con spostamento in basso e
lateralmente dell’apice; in proiezione lat-lat vedo la riduzione dello spazio tra ventricolo sx e colonna.
Frequente è anche la dilatazione dell’aorta ascendente: in questo caso vedo la sporgenza dell’arco sup dx. La
somma tra sporgenza dell’arco inf sx e sup dx definisce il quadro di “cuore a scarpa”
Eco-color Doppler. Come stenosi aortica.

Terapia
Chirurgica.

BRADIARITMIE
Disturbi del ritmo cardiaco caratterizzati da diminuzione della frequenza cardiaca.

BRADICARDIA SINUSALE
L’impulso nasce nel NSA con frequenza <60 bpm. Fisiologica negli atleti e negli anziani. Può verificarsi in
alcune condizioni patologiche (infarto, ipotiroidismo) o dipendere da un farmaco (beta-bloccanti,
antiaritmici…)

ARITMIA SINUSALE
Caratterizzata da una variabilità degli intervalli P-P (>120 ms). Le variazioni legate alla respirazione sono
fisiologiche. La forma di a.s. non respiaratoria è spia di malattia del NSA.

BLOCCHI SENO-ATRIALI
L’impulso nasce a livello del NSA ma è alterata la conduzione tra le cellule nodali o con il miocardio atriale.

MALATTIA DEL NSA


Alterata formazione e/o conduzione agli atri dell’impulso sinusale per una compromissione patologica della
funzione del NSA. Le anomalie ECG comprendono bradicardia sinusale, blocchi seno atriali e pause sinusali.
In caso di bradiaritmie sinusali marcate, l’attività cardiaca può essere garantita dai ritmi di scappamento.
Quando l’asistolia è prolungata si può avere la sd di Morgagni-Adams-Stokes (MAS): è dovuta ad una
ipoperfusione cerebrale che si prolunga per più di 20 s, con perdita di conoscenza. Se l’ischemia si prolunga
per più di 30 s, il pz va in arresto respiratorio e muore se non compare rapidamente un ritmo cardiaco e se
non viene rianimato. In caso di sd bradicardia-tachicardia, alla presenza dei sintomi legati allabradiaritmia, il
pz presenta sintomi dovuti alla comparsa di tachicardie sopraventricolari (palpitazioni).

BLOCCHI A-V
Anomala diffusione dell’impulso dagli atri ai ventricoli.

BLOCCO A-V DI I GRADO


Tutti gli impulsi raggiungono i ventricoli ma a velocità ridotta.

BLOCCO A-V DI II GRADO


Uno o più impulsi rimangono bloccati nel sistema di conduzione.
 Tipo 1 (Mobitz 1): è caratterizzato da intervalli P-P sempre uguali, intervallo P-R che diventa
progressivamente più lungo fino a che un’onda P non è seguita dal complesso QRS, allungamento
progressivo dell’intervallo R-R, complesso P-QRS che segue l’onda P bloccata riprende con un
intervallo P-R normale; questa “ritmicità” va sotto il nome di “fenomeno di Luciani-Wenckenbach”.
 Tipo 2 (Mobitz 2): l’impulso atriale a volte raggiunge i ventricoli, a volte no. All’ECG ci sono P
ritmiche seguite ritmicamente dal QRS, con intervallo P-R costante. In modo più o meno frequente
alcune onde P non sono seguite dal QRS.

BLOCCO A-V DI III GRADO O COMPLETO


Nessun impulso viene condotto ai ventricoli. All’ECG si ha la dissociazione tra P, ritmiche tra loro, e QRS,
ritmici tra loro ma completamente dissociati dalle P.
Eziologia
I BAV possono essere congeniti (rari) o acquisiti (cardiopatia ischemica, cardite reumatica…)
Clinica
Il BAV I è in genere asintomatico. Il BAV II è sintomatico se crea pausa molto lunghe o bassa FC. Il BAV III è
sempre sintomatico e legato alla ipoperfusione cerebrale. I sintomi più frequenti sono lipotimie e sincopi
con evoluzione a MAS.

BLOCCHI DI BRANCA
Conduzione alterata a livello di una delle due branche.

Blocco di branca dx
Il ventricolo dx si depolarizza in ritardo quindi le sue parti basali si depolarizzano dopo che tutto il ventricolo
sx ha completato la sua attivazione. All’ECG sarà presente un complesso rSR’ in V1 e V2, con R’ di ampiezza
e larghezza maggiori rispetto a r. Nel BBD incompleto la durata del QRS è di 0,08-0,11 s, mentre nel BBD
completo è >0,12s.

Blocco di branca sx
La durata dell’attivazione ventricolare è analoga a quella già descritta per il BBD. All’ECG sarà visibile un
complesso rS in V1,V2, V3, V4 con S molto profonda, e un complesso R, RR’, o RsR’ in D1, aVL, V5, V6. Il BBS
incompleto dura 0,10-0,12 s, quello completo >0,12 s.

Emiblocco anteriore sx
L’impulso arriva al ventricolo sx solo grazie al fascicolo post.
Emiblocco posteriore sx
L’impulso arriva al ventricolo solo grazie al fascicolo ant.

Terapia
Viene fatta solo quando l’aritmia è sintomatica o se c’è il rischio che progredisca versi forme più gravi.
Medica. Solo in condizioni di emergenza. Si usa l’atropina (farmaco vago litico).
Chirurgica. Pacemaker

FIBRILLAZIONE ATRIALE E MECCANISMO DI RIENTRO


La fibrillazione atriale è un’aritmia ipercinetica. È più frequente in presenza di patologie cardiache
strutturali, anche se è relativamente frequente anche in persone anziane senza evidenti anomalie cardiache
e può presentarsi in giovani o adulti in assenza di apparenti cause organiche (fibrillazione atriale solitaria).

Patogenesi
Gli atri vengono eccitati in maniera caotica da tanti micro rientri e acquisiscono una frequenza di 400-650
impulsi/min. Gli impulsi che raggiungono il NAV sono molti, ma la maggior parte viene bloccata dal NAV
stesso; l’attivazione ventricolare avviene in modo del tutto irregolare e con una frequenza elevata (140-150
bpm).

Manifestazioni cliniche e diagnosi


Le cause più frequenti sono di varia natura: cardiopatia associata a dilatazione atriale (scompenso cardiaco,
valvulopatie, cardiomiopatie…), processi infiammatori che interessano gli atri (pericardite), cuore
polmonare acuto ed embolia polmonare, cuore polmonare cronico e BPCO. I sintomi principali sono
palpitazioni, dispnea, angina (in presenza di malattia coronarica rilevante). All’esame obiettivo sia il polso
che i toni cardiaci sono irregolari. All’ECG si nota l’assenza delle onde P, che vengono sostituite da
deflessioni assolutamente irregolari e ad alta frequenza (ONDE F); in modo analogo, i complessi QRS si
succedono ad intervalli del tutto irregolari. La fibrillazione atriale può essere:
 Parossistica: si risolve spontaneamente entro 7 giorni dall’esordio
 Persistente: si risolve spontaneamente dopo 7 giorni dall’esordio
 Permanente: non si risolve

Terapia
La terapia ha due obiettivi:
 Ridurre la frequenza cardiaca: dare beta bloccanti, calcio antagonisti o, in caso di scompenso
significativo, digossina
 Sbloccare l’aritmia ripristinando il ritmo sinusale: fare cardioversione farmacologica o elettrica. La
prima viene ottenuta dando per es. l’amiodarone; la seconda non si fa se l’aritmia dura da più di 48
h, a causa di un aumentato rischio di eventi tromboembolici conseguenti al ripristino del ritmo
sinusale (si consiglia quindi di somministrare prima degli anticoagulanti).
MECCANISMO DEL RIENTRO
Perché un rientro possa aver luogo, sono necessarie tre condizioni:
 Deve esistere un circuito, anatomico o funzionale, piccolo o grande, caratterizzato da due vie di
conduzione in grado di attivare una zona di miocardio a valle
 L’impulso, per qualche motivo, deve essere bloccato in una delle due vie: perché ciò sia possibile, è
necessario che esista una differenza di periodo refrattario tra le due vie
 La conduzione nella via non bloccata deve essere sufficientemente lenta da arrivare alla parte
distale della via bloccata solo dopo che questa ha recuperato la condizione di eccitabilità.

Quando il circuito attraverso cui si verifica il rientro è piccolo, si parla di micro rientro; quando invece
esso è grande (per es. nella sindrome di Wolff-Parkinson-White) si parla di macrorientro.
Domande ferri più frequenti sul polmone

1. EMBOLIA POLMONARE E TROMBOSI VENOSA PROFONDA

La tromboembolia venosa comprende sia la trombosi venosa profonda (TVP) sia la tromboembolia
polmonare (TEP). La TVP deriva dalla formazione di coaguli di sangue all’interno delle vene di grosse
dimensioni, solitamente negli arti inferiori. La TEP deriva da una TVP in cui si verifica una rottura dei coaguli
di sangue e il loro spostamento nel circolo arterioso polmonare. La TVP è circa tre volte più frequente della
TEP.

Valutazione clinica
 Anamnesi la TVP si presenta spesso con dolore progressivo al polpaccio. Per quanto riguarda la TEP, la
dispnea è il sintomo che si manifesta più frequentemente. Il dolore toracico può indicare un infarto
polmonare con irritazione pleurica. In caso di TEP massiva si può verificare una sincope.
 Esame obiettivo (EO) nella TEP sono frequenti tachipnea e tachicardia. Si possono riscontrare anche
febbricola, distensione delle vene del collo. L’ipotensione e una cianosi vanno a suggerire una TEP
massiva. In presenza di TVP l’esame obiettivo può giusto evidenziare una lieve dolorabilità del
polpaccio. In caso la TVP sia massiva si può avere dolore inguinale e gonfiore della coscia.
 Esami di laboratorio un normale livello di D-dimero (<500 microgrammi/ml al test ELISA)
sostanzialmente esclude la TEP. Sebbene nella TEP si possano osservare ipossiemia e aumento del
gradiente alveolo arterioso di O2, l’emogasanalisi su sangue arterioso è raramente utile per la diagnosi
di TEP. Tuttavia nella TEP gli elevati livelli di troponina sierica e di peptide natriuretico cerebrale è
associata ad un aumento del rischio di complicanze. Nella TEP l’elettrocardiogramma può mostrare il
segno S1Q3T3.
 Diagnostica per immagini il riscontro di normale perdita della compressibilità venosa può consentire di
individuare la TVP. Se combinata con la visualizzazione del flusso venoso mediante Doppler, la capacità
dell’ecografia di evidenziare la TVP raggiunge un livello di eccellenza. In caso di TEP la radiografia del
torace risulta normale ma raramente può evidenziare oligoesmoia focale e addensamenti cuneiformi
periferici. La TC del torace con contrasto endovenoso è diventata, ad oggi, il principale esame di
imaging per la diagnosi di TEP. La scintigrafia polmonare di ventilazione/perfusione viene utilizzata
soprattutto nei pazienti che non tollerano il mezzo di contrasto endovenoso.
 Approccio diagnostico integrato è necessario un approccio diagnostico integrato che prenda in
considerazione il sospetto clinico di TVP e di TEP. Per gli individui con bassa probabilità clinica di TVP o
con una probabilità clinica basso-media di TEP si può utilizzare il livello di d-dimero per stabilire se siano
necessari ulteriori studi di imaging. La diagnosi differenziale della TVP comprende la rottura di una cisti
di Backer e la cellulite. La diagnosi differenziale della TEP è ampia e include la polmonite, l’infarto del
miocardio acuto e la dissecazione aortica.
 Terapia anticoagulante sebbene gli anticoagulanti non dissolvano direttamente i trombi già esistenti in
caso di TVP e di TEP, limitano l’ulteriore formazione trombotica e favoriscono la fibrinolisi. I farmaci
parenterali servono a favorirne efficacia in termini tempistici. La terapia tradizionale utilizzava eparina
non frazionata (UFH) con l’obiettivo di ottenere un tempo di tromboplastina parziale attivata pari a 2-3
volte il limite superiore alla norma. In genere l’UFH viene somministrata in bolo da 5000-10000 unità,
seguito da una infusione di 1000 unità per ora. Le alternative alla terapia classica prevedono l’utilizzo di
eparina a basso peso molecolare come l’enoxaparina e la tinzaparina. Il fondaparinux, un polisaccaride,
rappresenta un'altra alternativa che come le prime non necessita di un monitoraggio terapeutico ma al
contrario di queste non è corretto in termini di dosi se si ha insufficienza renale. Dopo avere iniziato la
via parenterale si continua la terapia usando il warfarin per assicurare coagulazione a lungo termine
per via orale. Tuttavia si ha l’effetto terapeutico dopo 5-7 giorni.
Ovviamente tutti i farmaci hanno almeno un effetto collaterale e in questo caso si può avere
emorragia; in questo caso si può somministrare prontamente protamina per contrastare la perdita
ematica. Nelle emorragie meno gravi si può anche usare vit. K. La terapia iniziale prevede almeno 3-6
mesi dopodiché se si hanno altri fenomeni si ricorre a terapia per tutta la vita.

2. EMBOLIA POLMONARE MASSIVA


È frequentemente bilaterale, la forma massiva prevede il coinvolgimento di almeno due rami lobari, cioè di
due rami dell’albero circolatorio che irrorano altrettanti lobi. Quando sono coinvolti almeno due rami lobari
si ha la presenza di più del 50% dell’insieme dei vasi sanguigni che irrorano il polmone. Viene causata da
emboli di dimensioni grandi e si ha spesso stato di shock, compromissione respiratoria e circolatoria.

3. EDEMA POLMONARE

 Lo sviluppo acuto e potenzialmente fatale dell’edema dell’alveolo polmonare è più spesso dovuto a:
a) Innalzamento della pressione idrostatica nei capillari polmonari ( insufficienza cardiaca sx, stenosi
della mitrale).
b) Fattori scatenanti specifici che causano edema polmonare cardiogeno in pazienti con insufficienza
cardiaca congestizia precedentemente compensata o con anamnesi cardiologica negativa.
c) Aumento della permeabilità della membrana alveolo capillare di cui le cause più frequenti;
numerose posso essere riconducibili a: trauma toracico, contusione polmonare, polmonite,
embolia polmonare (tutte dirette) oppure da sepsi, pancreatite, trasfusioni multiple, bypass
cardiopolmonare (lesioni ematogene del polmone).

Il paziente in questi casi appare molto sofferente, mantiene la posizione seduta, è tachipnoico, dispnoico,
madido di sudore, talvolta cianotico. All’auscultazione del torace sono presenti rantoli polmonari bilaterali
e a livello del cuore si può apprezzare un terzo tono. L’espettorato è schiumoso ed ematico.
L’emogas evidenzia inizialmente una riduzione della PaO2 e della PaCO2; successivamente si va ad
instaurare, con la progressione dell’insufficienza respiratoria, si sviluppa ipocapnia con acidemia
progressiva.
La radiografia del torace mostra redistribuzione vascolare polmonare, velatura diffusa dei campi polmonari
con aspetto pre-ilare a “farfalla”.

La terapia, ai fini della sopravvivenza del paziente, deve essere energica ed instaurata immediatamente. Per
l’edema cardiogeno le seguenti misure vanno istituite pressoché simultaneamente :

 Paziente seduto per favorire ritorno venoso.


 Somministrare O2 al 100% mediante maschera per ottenere una PaO2 >di 60 mmHg.
 Diuretici dell’ansa endovena (furosemide 40-100 mg, o bumetadine, 1mg) ; ridurre le dosi se il paziente
non assume cronicamente diuretici.
 Somministrare morfina 2-4 mg endovena e verificare costantemente che non compaiano ipotensione o
depressione respiratoria, naloxone sempre a portata di mano nel caso fosse necessario antagonizzare
gli effetti della morfina.

Se non c’è miglioramento rapido:

 Evidenzio la causa dell’edema polmonare cardiogeno.


 Tengo conto che esistono anche condizioni non cardiache.
 Agenti inotropi, dobutamina, in caso di edema polmonare cardiogeno con shock.
 Se l’uso dei diuretici non è seguito da diuresi, si procede a riduzione di volume intravascolare mediante
salasso.
 Nitroglicerina (0,4 mg per via subinguinale ogni 5 min per tre volte ) seguita da 5-10 microgrammi/mine
v.
 In caso di edema polmonare refrattario associato ad ischemia persistente, la rivascolarizzazione
coronarica precoce può rappresentare una procedura salvavita.
 In caso di edema polmonare non cardiogeno, identificare e trattare/rimuovere la causa.

4. FIBROSI CISTICA
La fibrosi cistica è una malattia geneticamente determinata (autosomica recessiva), causata da una
mutazione ne gene CFTR (cystic fibrosis trans membrane regulator) posto nel cromosoma 7, che ha un
ruolo importante nella regolazione del flusso di ioni attraverso la membrana cellulare. Le mutazioni
descritte a carico di questo gene sono più di 1000 e sono raggruppate in sei classi; le anomalie possibili
sono:
 Classe 1: la proteina CFTR non è sintetizzata
 Classe 2: la proteina CFTR è ripiegata in maniera anomala dopo essere stata sintetizzata nel reticolo
endoplasmatico, ed è perciò degradata all’interno delle cellule senza riuscire a raggiungere la
membrana cellulare
 Classi 3,4,6: la proteina CFTR raggiunge la membrana cellulare, ma non funziona correttamente
 Classe 5: vi è un difetto parziale della produzione o della ripiegatura della proteina CFTR

Tutte queste classi sono caratterizzate da problemi prevalentemente respiratori, derivanti da una
particolare viscosità delle secrezioni bronchiali e da ripetute infezioni respiratorie.

Patogenesi. La proteina CFTR funge da canale per il trasporto dei cloruri mediato da AMP-ciclico e regola le
funzioni di altre vie di conduttanza transmembrana. La sua assenza o alterazione provoca conseguenze
diverse in varie strutture anatomiche:
 A livello dell’epitelio bronchiale si hanno una menomazione della secrezione dei cloruri verso
l’esterno delle cellule e un incremento dell’assorbimento di sodio dal lume bronchiale, il quale è un
processo fisiologico normalmente inibito da CFTR. Nella fibrosi cistica, queste condizioni
determinano un aumento della differenza di potenziale trans epiteliale al di sopra dei normale 30
mV. Oltre all’assorbimento di sodio, aumenta anche l’assorbimento di acqua e, di conseguenza, il
muco che tappezza le vie aeree diviene più denso, più difficile da espellere con la clearance muco-
ciliare, tende a ristagnare e a formare dei blocchi che occludono le più fini vie respiratorie e ad
essere colonizzato da microrganismi, i quali appartengono selettivamente a due specie:
Staphylococcus Aureus e Pseudomonas Aeruginosa
 Anche nel lume dell’intestino, delle vie biliari e dei dotti deferenti si verifica una riduzione della
secrezione di liquido
 Nel pancreas l’assenza dei canali per il passaggio degli ioni cloro limita il meccanismo di secrezione
di bicarbonato e acqua; di conseguenza di ha un ristagno di enzimi pancreatici all’interno
dell’organo, la loro attivazione e lo sviluppo di una pancreatite che conduce gradualmente alla
distruzione dell’organo
 La produzione di sudore da parte delle cellule acinari è normale; tuttavia si ha una menomazione
dell’assorbimento di NaCl contenuto nel sudore che attraversa i dotti e l’eliminazione di questo sale
con il sudore è maggiore che di norma
Clinica. Dal punto di vista clinico esistono due varianti di fibrosi cistica, classica e non classica:
 Nella forma classica qualsiasi attività del gene CFTR è assente. Il quadro clinico è dominato da gravi
e croniche infezioni delle vie respiratorie, con progressivo deterioramento della funzione
respiratoria e facilità allo sviluppo di bronchiectasie; è comune anche la presenza di pan sinusite e
di polipi nasali. I pazienti presentano comunemente dita ippocratiche, con unghie a vetrino di
orologio. Nel 25-30% dei casi si hanno gravi alterazioni epatobiliari consistenti nella ritenzione della
secrezione biliare e nello sviluppo di una cirrosi biliare focale, colecistite cronica e colelitiasi.
L’insufficienza pancreatica esocrina è consistente, mentre lo sviluppo di diabete è raro. Si possono
avere episodi di occlusione intestinale o si può verificare un prolasso rettale; è presente anche
azoospermia ostruttiva che conduce a infertilità
 Nella forma non classica è presente almeno una copia di un gene che è mutato, ma che non elimina
del tutto le funzioni della proteina CFTR. Le infezioni batteriche insorgono più tardivamente e sono
meno gravi, mancano le alterazioni epatobiliari e la pancreatite si sviluppa solo nel 5-20% dei casi.
Non si osservano problemi a proposito della pervietà dell’intestino, mentre l’azoospermia è
comunque presente.

Decorso e prognosi. I segni e i sintomi si presentano già alla nascita o poco dopo. Si stima che i pazienti che
raggiungono l’età adulta sono circa il 34% e che circa il 10% vive oltre i 30 anni. La morte interviene a
seguito di infezioni o di gravi carenze nutritizie.

Diagnosi. Nella forma classica la diagnosi è suggerita dal quadro clinico; nella forma non classica il quadro
clinico è più incerto e quindi occorre una diagnosi più sicura. Una diagnosi genetica analizzando il DNA è
resa complicata dall’elevato numero di mutazioni che possono provocare la malattia; sono quindi
importanti due test: la misurazione del potenziale transepiteliale nella mucosa nasale e la valutazione del
contenuto di NaCl nel sudore.

Terapia. Ai pazienti viene somministrato un attivatore della secrezione di cloruri, come l’UTP, o un inibitore
dell’assorbimento cellulare di sodio, come l’amiloride. La vera terapia dovrebbe consistere nel trapianto
genico, in modo da restituire al paziente una normale funzione della proteina CFTR; in questo senso sono
stati fatti tentativi impegnando come vettori adenovirus o lipidi cationici, ma i risultati sono stati di breve
durata. Quando la produzione di CFTR è ridotta ma non completamente assente, un suo incremento può
essere ottenuto con la gentamicina.
La terapia delle infezioni respiratorie è simile a quella delle bronchiectasie; una terapia anti-infiammatoria
con cortisonici per via sistemica deve essere di breve durata per i seri effetti collaterali. I cortisonici per
aerosol esercitano un beneficio sull’iperreattività bronchiale ma non prevengono il deterioramento della
funzione polmonare. Dato che nella fibrosi cistica i danni più importanti a carico delle vie aeree sono
prodotti dagli enzimi proteolitici rilasciati dai neutrofili, inibitori di questi enzimi sono stati somministrati
con aerosol con risultati promettenti. Si è anche cercati di aumentare la fluidità delle secrezioni bronchiali
con inalazione di acetilcisteina o con DNasi ricombinante.
Infine, una soluzione radicale è il doppio trapianto di polmoni o il trapianto cuore polmoni.
Domande più frequenti di Ferri sul sangue

1. ANEMIA FALCIFORME E DIAGNOSI

L’anemia falciforme è caratterizzata da una sostituzione di un amminoacido nella catena beta della globina
(valina al posto dell’acido glutammico nel 6° codone) che produce una molecola con diversa solubilità,
soprattutto in assenza di ossigeno. Sebbene siano presenti anemia ed emolisi cronica, le più importanti
manifestazioni sono dovute a vaso-occlusione da eritrociti falciformi. Infarti polmonari, ossei, splenici,
retinici, cerebrali e in altre sedi danno luogo a sintomi da insufficienza d’organo.
Ovviamente gli esami di laboratorio sono fondamentali in questo ambito e in generale si procede iniziando
ad osservare eventuali alterazioni come elevato indice reticolocitario, policromasia e GR nucleati allo
striscio di sangue periferico; possono essere rilevati GR caratteristici a seconda della condizione e per la a.
falciforme la presenza di eritrociti a forma di falce. Si accompagnano poi un aumento della bilirubina non
coniugata e di LDH, elevata emoglobina plasmatica, aptoglobina ridotta o assente, emosideruria presente
nell’emolisi intravascolare ma non nella extravascolare. Nell’anemia falciforme cosi come nelle talassemie
può risultare utile l’elettroforesi dell’emoglobina.
L’approccio generale è quello che prevede una terapia trasfusionale con emazie concentrate (EC) tuttavia
valutabile a seconda della gravità e alle acuzie della malattia. Il rapido instaurarsi di una grave anemia o lo
sviluppo di angina o altri sintomi costituisci indicazione alla trasfusione. Per ogni unità di EC l’ematocrito
dovrebbe aumentare del 3-4% sempre che non vi siano ulteriori perdite in atto. Nello specifico dell’ anemia
falciforme si somministra per via orale idrossiurea (10-30 mg/kg/die) che aumenta i livelli di HbF e previene
la falcemizzazione ; trattare precocemente le infezioni, fornire supplementi di acido folico; trattare le crisi
dolorose con ossigeno, analgesici (oppioidi), idratazione e intenso regime trasfusionale ; da prendere in
considerazione il trapiano allogenico nei pazienti con incremento della frequenza delle crisi dolorose.

2. ANEMIA SIDEROPENICA

L’anemia sideropenica si manifesta quando la disponibilità di ferro nell’organismo è insufficiente per una
adeguata sintesi dell’emoglobina. La sua caratteristica distintiva è perciò la diminuzione del contenuto
corpuscolare medio di emoglobina (responsabile dell’ ipocromia) che si accompagna ad una riduzione del
volume medio dei globuli rossi (microcitosi).
La carenza di ferro è la causa di anemia più comune al mondo e secondo l’OMS il concetto di anemia si
riferisce ad un valore di Hb inferiore a 4 g/dl nell’uomo, ai 12 g/dl nella donna e agli 11 g/dl nel bambino.
Uno stato di carenza marziale può dipendere da :
 Apporto inadeguato
 Aumentato fabbisogno
 Assorbimento inadeguato
 Perdita protratta di ferro
1. Un diminuito apporto senza che vi siano problemi di assorbimento o di fabbisogno aumentato è di per
se abbastanza raro. È tipico dei vegetariani che non integrano bene con la dieta; poi anche se frutta e
verdura ne sono ricchi nitriti, fosfati e carboidrati tendono a chelare il ferro.
2. Le condizioni per le quali si registra un aumento del fabbisogno di ferro sono sostanzialmente tre:
infanzia, gravidanza e allattamento.
3. Il diminuito assorbimento è raramente causa di questo tipo di anemia. Pur tuttavia, conviene ricordare,
a questo proposito, il ruolo svolto dall’acido cloridrico di derivazione gastrica. Dove condizioni di
gastrite cronica atrofica sono causa di un ridotto assorbimento. Ad ogni modo esistono anche altre
cause di malassorbimento come il morbo celiaco (colpisce duodeno e quindi porzione che più assorbe
ferro), sprue tropicale, linfomi a localizzazione addominale, ecc.
4. La causa più comune di anemia sideropenica è però dovuta alla perdita ematica. Nell’uomo e nella
donna dopo la menopausa la zona più coinvolta è il tratto digerente. Posso trascorrere anche anni
prima che si istauri. Cause e sedi sono emorroidi, varici esofagee, ernie iatali, ulcere gastriche e
duodenali, polipososi, gastriti emorragiche, adenocarcinoma gastrico, diverticolosi, diverticolo di
Meckel, colite ulcerosa, morbo di Crohn ecc.

Il termine sideropenia è impiegato per definire una condizione nella quale tutto il contenuto di ferro
dell’organismo è ridotto, senza menzione alcuna della causa. Dal momento che le riserve di ferro possono
esaurirsi prima che si manifesti una riduzione dell’eritropoiesi, ecco che l’anemia è uno stadio tardivo della
sideropenia. In altre parole si può iniziare a parlare di una sideropenia prelatente quando, prima ancora di
avere una diminuzione di ferro circolante, la presenza di emosiderina a livello del sistema reticolo
endoteliale midollare è notevolmente ridotta. Non sembra esserci evidenza biochimica di tale condizione e
si ha un aumento compensatorio dell’assorbimento di ferro. C’è poi uno stato di sideropenia latente che si
accompagna a una diminuzione del ferro plasmatico, ma non ad alterazioni ematologiche. Di ultimo si
verifica uno stadio di eritropoiesi sideropenica, dove la produzione di emoglobina è via via sempre più
limitata dalla ridotta quantità di ferro plasmatico. Alla fine si verificherà dopo alcuni mesi microcitosi.
La maggior parte dei pazienti presenta una progressione estremamente lenta e graduale della
sintomatologia. Il paziente affetto da ulcera peptica, per esempio, o da neoplasia dell’apparato digerente o
ancora donna che lamenta mestruazioni abbondanti o frequenti quando si rivolgono al medico curante
presentano valori di Hb inferiori a 8 g/dl. Clinicamente il paziente lamenta disturbi generali comuni a tutte
le forme di anemia come cefalea, astenia ingravescente, tachicardia, dispnea da sforzo, facile irritabilità
insonnia. Tipica è invece la voglia di particolari sostanze (picacismo) come l’argilla, amido da bucato e di
ghiaccio. In questi soggetti la cute diventa secca, anelastica; i capelli si fanno sottili, fragili e radi; le unghie
fragili, opache e concave (coilonichia). I disturbi a carico delle mucose riguardano soprattutto la cavità
orale. Le labbra presentano piccole ragadi alle commessure (chelite angolare) ; la mucosa è arrossata e la
lingua liscia, levigata e pallida. Al confine tra ipofaringe ed esofago si trovano delle mucose aggettanti nel
lume responsabili di disturbi digestivi. La triade anemia, glossite e esofagite si chiama sindrome di
Plummer-Vinson. La diagnosi di anemia sideropenica si basa prevalentemente su esami di laboratorio. Ci
sono infatti anemie microcitiche e ipocromiche che possono essere scambiate per una carenza di ferro. Nel
caso delle sideroblastiche e talasssemie varie la distinzione si basa sulla concentrazione di ferro che è
normale o aumentata rispetto alla sideropenica. Nelle anemie da malattie croniche, invece, dove c’è
riduzione della sideremia, la diagnosi differenziale è posta grazie alla trasferrinemia e ferritinemia. Nelle
sideropeniche invece avremo che la sideremia e la ferritinemia sono diminuiscono ma la trasferrina è
aumentata. Si può ricorrere, infine, anche ad un puntato sternale e alla valutazione di depositi di ferro con
metodo citochimico: nell’anemia sideropenica, come si è detto, si osserva una loro deplezione.
Si può parlare di prognosi solo facendo riferimento alla causa scatenate ovviamente diversa tra un
carcinoma gastrico o delle semplici emorroidi. Raramente il paziente giunge a morte per l’anemia in quanto
tale ma piuttosto per la causa.

3. ANEMIA
L’anemia è definita dalla diminuzione del patrimonio emoglobinico totale dell’organismo, quindi quando
diminuisce la massa eritrocitaria; poiché nella pratica la misurazione della massa eritrocitaria non è
semplice, la diagnosi di anemia in genere si basa sulla diminuzione dell’ematocrito e sulla riduzione della
concentrazione di emoglobina nel sangue.

Classificazione patogenetica. La classificazione patogenetica delle anemie si basa su una formula che
prende in considerazione diversi parametri, quali:
-massa eritrocitaria, pari a 30 +/- 5 ml/kg  M
-vita media, pari a 120 giorni  T
-quantità di Hb prodotta giornalmente  H
La formula è: M=HxT; si ha anemia quando M è inferiore alla norma. Questa formula permette una
classificazione patogenetica delle anemie, per riduzione di H o di T o di entrambi i termini; all’interno di
ciascun gruppo i meccanismi responsabili possono essere diversi:
 Anemie per diminuita produzione di Hb:
o Da distruzione o alterazione funzionale delle cellule staminali, da cui insufficiente
produzione di globuli rossi
o Da distruzione dei precursori nel midollo con eritropoiesi inefficace
o Da difettosa sintesi della globina o dell’eme
 Anemie per riduzione del tempo di sopravvivenza dei globuli rossi:
o Da perdita secondaria ad emorragie acute o croniche
o Da distruzione ad opera di un meccanismo emolitico

Le due situazioni possono coesistere e la massa eritrocitaria può ridursi per il sommarsi dei due meccanismi
patologici.
In genere l’insufficiente produzione di globuli rossi e l’eritropoiesi inefficace sono caratterizzate da un basso
numero di reticolo citi nel sangue periferico; al contrario, le anemie post-emorragiche e quelle emolitiche
dimostrano nel sangue periferico segni di iperattività midollare, con incremento del numero dei reticolo
citi, presenza di emazie con policroma sia o punteggiatura basofila o addirittura con la comparsa di qualche
eritroblasto. Altre alterazioni caratteristiche delle anemie emolitiche sono: aumento della LDH (lattico-
deidrogenasi), iperbilirubinemia indiretta e urobilinuria, diminuzione della concentrazione di aptoglobina.
Questa classificazione patogenetica è importante per risalire dall’anemia alla diagnosi della malattia che ne
è all’origine: in alcuni casi, infatti, l’anemia è un’evenienza secondaria nel corso di una forma morbosa
nosografica ben definita, mentre in altri casi costituisce essa stessa il rilievo clinico più importante della
malattia.

Classificazione morfologica. La classificazione morfologica delle anemie si basa su:


-valori forniti dall’esame emocromocitometrico, quali: valori di Hb, numero di globuli rossi ed ematocrito,
dai quali si calcolano le costanti corpuscolari
-esame dello striscio del sangue periferico, che dà informazioni significative sulla forma dei globuli rossi e
sulla loro affinità tintoriale.
In base ai valori di MCV (volume corpuscolare medio), MCH (contenuto corpuscolare medio di emoglobina)
e intensità di colorazione si costruisce quindi la classificazione morfologica delle anemie:
 Anemia ipocromica microcitica:
o MCV < 80 fl
o MCH < 27 pg
o Emazie ipocolorate
 Anemia normocromica normocitica:
o MCV = 80-94 fl
o MCH = 29,5 +/- 2,5 pg
 Anemia macrocitica:
o MCV > 94 fl
o MCH > 32 pg

Classificazione “semeiotica”. La classificazione semeiotica rappresenta una sintesi tra le prime due
classificazioni. Non vi è una correlazione precisa tra meccanismo patogenetico dell’anemia e tipo
morfologico, però per ciascuno di questi gruppi vi sono delle frequenze obbligatorie e delle frequenze
preferenziali:
 Anemia ipocromica microcitica:
o Anemia sideropenia
o Anemia sideroblastica
o Talassemie, alcune emoglobinopatie
o Rari casi di carenza di rame, di piridossina
 Anemia normocitica:
o Anemie emolitiche acquisite
o Sferocitosi ereditaria
o Emoglobinuria parossistica notturna
o Alcune emoglobinopatie
o Anemia aplastica
o Anemia da mielosostituzione
o Anemia delle malattie croniche
 Anemia macrocitica
o Anemia da deficit di vitamina B12 o di acido folico (anemia megaloblastica)
o Anemia delle epatopatie croniche
o Anemia dell’ipotiroidismo
o Alcun casi di anemia aplastica; alcune fasi in corso di anemia emolitica

Fisiopatologia. Il globulo rosso è un anello essenziale nella catena di trasporto dell’ossigeno, che dipende
sia dall’integrità della molecola di Hb che dalla sua funzione. Nella modulazione della funzione
emoglobinica è principalmente coinvolto il 2,3-DPG (2,3-difosfoglicerato), la cui concentrazione è regolata
dall’attività gli colitica dell’emazia; esso stabilizza la conformazione deossi dell’Hb e riduce l’affinità per
l’ossigeno. Ad alte pressioni parziali di ossigeno l’effetto del 2,3-DPG è nullo, mentre è significativo alle
basse pressioni parziali, in modo che viene favorita la cessione di ossigeno ai tessuti. Un’alterazione del
trasporto di ossigeno da parte dell’emazia può quindi derivare da:
 Riduzione della massa globulare (anemia classica)
 Abnorme funzione dell’Hb per anomalie strutturali
 Concentrazione inappropriata di 2,3-DPG

L’ipossia tissutale induce una serie di modificazioni compensatorie atte ad aumentare la circolazione del
sangue e l’estrazione di ossigeno dall’Hb arteriosa, a livello soprattutto degli organi vitali. È importante i
questo contesto prendere in considerazione della velocità con cui insorge l’anemia: un’anemia a lenta
progressione permette che i meccanismi di adattamento si instaurino gradualmente e raggiungano la loro
massima efficacia. In presenza di lieve anemia entra in azione il 2,3-DPG con un meccanismo di compenso
biochimico, che richiede un certo tempo per la sua realizzazione; nell’anemia grave entra in gioco un
meccanismo dinamico costituito dall’aumento della portata cardiaca.

Sintomatologia. Tutte le forme di anemia sono accomunate da una sintomatologia generale, secondaria
all’ipossia e all’esaltata funzione di compenso cardiorespiratorio.
Il sintomo più comune è l’astenia, soprattutto sotto sforzo; in casi particolari si hanno disturbi da diminuita
ossigenazione di vari distretti corporei, e si possono avere quindi claudicatio intermittens, crampi notturni,
vertigini, cefalea, episodi di sincope, dolore precordiale di tipo anginoso.
Il segno più tipico dell’ipossia tissutale è il pallore cutaneo e mucoso, che va esplorato in determinate sedi:
palmo della mano, padiglione auricolare, congiuntiva palpebrale; in presenza di anemia emolitica si ha
anche subittero. Frequenti sono gli edemi ai malleoli e alle parti declivi, espressione di iniziale scompenso
di circolo; l’esaltata funzione di compenso cardiorespiratorio ha come sintomi iniziali la dispnea da sforzo e
le palpitazioni.
L’esame obiettivo rileva polso molle e frequente, ipotensione arteriosa, tachicardia, soffi funzionali a livello
cardiaco e dei grossi vasi del collo, secondari all’aumentata velocità di circolo e alla ridotta viscosità del
sangue. Con l’aggravarsi dell’anemia si ha uno scompenso di circolo ad alta gettata, con ortopnea e dispnea
a riposo, cardiomegalia, edemi importanti, talvolta ascite.
Infine, nell’anemia si riscontra talvolta una diminuita resistenza alle infezioni, forse per un’alterata risposta
immunitaria cellulo-mediata.
4. TALASSEMIA

Le talassemie sono un gruppo di anemie ereditarie caratterizzate da una ridotta o abolita produzione di una
o più delle catene peptidiche che costituiscono la porzione globinica della Hb. Questo comporta un alterato
rapporto tra catene globiniche diverse, precipitazione intracellulare delle catene peptidiche in eccesso e
alterazioni sia dell’eritropoiesi sia della sopravvivenza degli eritrociti che vengono prodotti.

Eziopatogenesi. Le talassemie dipendono da un’anomalia di uno o più dei geni che codificano le catene
peptidiche della globina; a seconda del gene coinvolto si distinguono α-talassemia e β-talassemia:
 α-talassemia:
o L’assenza di una sola delle 4 copie disponibili del gene è priva di equivalente clinico e
comporta solo lo stato di portatore silente
o L’assenza di due copie del gene determina un’alterazione ematologica lieve compatibile
con un buono stato di salute  tratto talassemico
o L’assenza di tre copie del gene è accompagnata da un quadro clinico molto grave, con
presenza nelle emazie di Hb formata da tetrameri di catene beta
o L’assenza di tutte e quattro le copie del gene è incompatibile con la vita
 β-talassemia: si possono avere due condizioni:
o Assenza completa di sintesi di catene beta  β°
o Ridotta sintesi di catene beta  β+
I pazienti con le forme più lievi sono eterozigoti, mentre gli omozigoti hanno forme più gravi

Fisiopatologia. L’alterato rapporto tra catene α e catene β comporta la precipitazione intracellulare delle
stesse; la precipitazione di catene alfa ha vari effetti:
 Eccessiva liberazione di radicali liberi che provocano la per ossidazione della membrana, la
formazione di metaemoglobina e un danno a processi metabolici che comportano un aumento
della rigidità dell’emazia
 Eritropoiesi inefficace
 Alterata fosforilazione delle proteine della membrana che causa una spiccata distorsione
dell’emazia

L’anemia cronica stimola l’eritropoiesi, che diventa anche extramidollare, con conseguenti alterazioni della
struttura e della forma delle ossa. I precursori eritroidi con le inclusioni vanni incontro a morte
intramidollare; quando questi giungono a maturazione, i corpi inclusi nelle emazie vengono eliminati dalla
milza e si originano in questo modo eritrociti dalla forma bizzarra. La milza va incontro ad aumento di
volume per iperplasia della linea macrofagica, quindi aumenta il sequestro splenico delle emazie, da cui
emolisi più intensa, instaurandosi così un circolo vizioso. Si ha un accumulo marziale dovuto al processo
emolitico, all’aumentato assorbimento di ferro che si ha quando è stimolata l’eritropoiesi e all’apporto di
ferro coincidente con la terapia emotrasfusionale; come conseguenza si ha siderosi, specie nel miocardio,
nel fegato e nel pancreas. Si verificano anche alterazioni endocrine per il danneggiamento di pancreas,
tiroide, paratiroidi e surrene.

Clinica. Nell’ambito della β-talassemia si distinguono diverse forme:


 Talassemia major: anemia grave con sopravvivenza impossibile oltre l’età infantile in assenza di
emotrasfusioni
 Talassemia intermedia: anemia grave, con sopravvivenza possibile fino all’età adulta, anche senza
emotrasfusioni
 Talassemia minor: anemia modesta spesso compatibile con uno stato di salute normale
Per quanto riguarda le α-talassemie si hanno quattro fenotipi:
 Idrope fetale: è la condizione più grave, con Hb di Barts; la sintesi di catene alfa è completamente
assente. Comporta la morte intrauterina del feto
 Malattia da emoglobina H: è analoga all’omozigosi di β-talassemia
 Tratto α-talassemico
 Condizione di portatore silente

Diagnosi. L’anamnesi riguarda principalmente la razza, la presenza di anemia della famiglia, l’età di
insorgenza dell’anemia, il tipo di sviluppo; l’esame obiettivo rileva il pallore, l’eventuale ittero, la
splenomegalia, le deformità scheletriche.
Molto importante è la diagnosi differenziale con l’anemia sideropenica, ugualmente ipocromica e
microcitica: i criteri differenziali più importanti in quest’ultima forma sono la bassa sideremia con bassa
saturazione della transferrina; il basso valore dei reticolociti; la normalità del quadro emoglobinico.

Terapia. I pazienti gravemente anemici devono essere sottoposti a trattamento trasfusionale. In passato
era raccomandato il trattamento “ipertrasfusionale”, allo scopo non solo di correggere l’anemia, ma anche
di sopprimere l’eritropoiesi e di inibire l’assorbimento gastrointestinale di ferro; è proprio l’accumulo di
ferro infatti a rappresentare il principale problema di questi pazienti. Oggi si è visto che l’eccesso di
trasfusioni, di per sé, è in grado di generare un sovraccarico di ferro nell’organismo, quindi si preferisce
procedere con un approccio più prudente: viene trasfuso sangue solo se, prima di ogni trasfusione, i livelli
di Hb non superano i 9,5 g/dl. Comunque, il problema dell’accumulo di ferro resta e viene affrontato con
l’uso di un chelante, come la desferoxamina, la cui somministrazione deve essere regolata in base
all’accumulo di ferro, valutato sui livelli ematici di ferritina.
Un trattamento più radicale è il trapianto di midollo da donatore HLA-identico; il successo di questa misura
è tanto più probabile quanto minori sono i danni già instauratisi per accumulo di ferro.

5. COAGULAZIONE INTRAVASCOLARE DISSEMINATA

La coagulazione intravascolare disseminata (CID) dipende da una diffusa attivazione dei processi coagulativi
a seguito di una varietà di eventi morbosi, cui non corrisponde un’adeguata attivazione dei processi
fibrinolitici. Questo processo determina una pluralità di eventi trombotici in vasi di piccole e medie
dimensioni cui consegue sofferenza di vari organi. Parallelamente, si ha consumo di piastrine e fattori della
coagulazione che causa l’insorgenza di emorragie.

Eziopatogenesi. Le condizioni morbose che possono provocare questa alterazione patologica sono
numerose. Nonostante l’opinione largamente sostenuta in passato, che attribuiva un ruolo più importante
alle sepsi da Gram–, oggi sembra che Gram– e Gram+ si complichino in uguale misura con la CID . In studi
eseguiti in pazienti con sepsi da Gram– si è visto che questa grave complicanza si verificava nel 30-50% dei
casi. I fattori che avviano la coagulazione sono rappresentati da lipopolisaccaridi, o endotossine, o
esotossine batteriche (come la -emolisina degli stafilococchi) che agiscono sulla parete vascolare e
provocano la produzione di citochine pro-infiammatorie. Nel caso dei traumi ha importanza il rilasciamento
nella circolazione di prodotti di degradazione cellulare, che finiscono per determinare la produzione delle
stesse citochine che sono liberate in corso di sepsi. Nel caso delle neoplasie sono in gioco processi analoghi,
con l’eccezione della leucemia acuta promielocitica, nella quale la produzione di sostanze procoagulanti e
attivanti la fibrinolisi è particolarmente caratteristica. Nei disordini ostetrici ha importanza la potente
azione del liquido amniotico come attivatore della coagulazione. Negli emangiomi giganti e negli aneurismi
aortici sono implicate alterazioni delle pareti vasali che comportano prima di tutto un’attivazione locale
della coagulazione. I fattori della coagulazione attivati si diffondono successivamente in tutta la circolazione
e provocano il disordine sistemico. Questa complicanza si verifica in circa il 25% dei pazienti con emangiomi
giganti e tra lo 0,5 e l’1% dei casi di aneurismi aortici. Anche le tossine agiscono a livello della parete
vascolare, mentre nei disordini immunologici ha importanza la liberazione di citochine pro-infiammatorie.

Fisiopatologia. Le caratteristiche comuni di tutte le forme di CID sono tre: generazione di trombina, difetti
degli inibitori della coagulazione e difetti della fibrinolisi. La generazione di trombina avviene
esclusivamente per la via estrinseca attraverso la liberazione di fattore tissutale e l’attivazione del fattore
VII, cui segue tutta la cascata coagulativa. Il fattore tissutale può essere liberato dalle pareti vascolari
sottoposte a danno o dai monociti, come risposta all’azione delle citochine pro-infiammatorie. Per quanto
riguarda gli inibitori della coagulazione, questi sono certamente consumati per contrastare il processo
coagulativo che è in corso. Tuttavia, sembra che il processo patologico comprometta anche la loro sintesi,
come è il caso dell’antitrombina III , della proteina C e della proteina S, o la sintesi della trombomodulina
endoteliale, che è importante per il controllo della coagulazione da parte di queste due ultime proteine.
Questi difetti sono da attribuire alle citochine pro-infiammatorie. Infine, anche il sistema fibrinolitico è
largamente soppresso, e questo dipende da un persistente incremento dell’inibitore di tipo 1 dell’attivatore
del plasminogeno. Perciò, anche se la fibrinolisi ha luogo, questa non riesce a tenere il passo con la
coagulazione e a impedire la deposizione sistemica della fibrina.

Clinica. La sintomatologia della CID acuta è grave e catastrofica, con sindrome emorragica diffusa:
ecchimosi a carico della cute e del tessuto sottocutaneo, ematomi in sede di iniezione, epistassi, emorragie
gengivali, ematuria, melena, emorragie cerebrali. Le conseguenze cliniche dell’ostruzione microvascolare
sono polimorfe; esse si manifestano a carico del cervello, con confusione mentale o coma; a carico dei reni
con insufficienza renale; dei polmoni con grave sindrome ipossica; della cute con necrosi cutanea anche
estesa; delle ghiandole endocrine, in particolare dell’ipofisi e delle surrenali, con segni di insufficienza
funzionale. La sintomatologia della forma cronica è spesso silente o mostra una modesta tendenza
emorragica, mentre sono più evidenti le complicanze trombotiche e l’anemia a patogenesi meccanico-
emolitica (microangiopatica). La CID in fase conclamata presenta il quadro della “coagulopatia da
consumo”, con diminuzione o assenza dei fattori che partecipano quantitativamente al processo
coagulativo, in esso appunto consumandosi. Il tempo di trombina è allungato per diminuzione del
fibrinogeno e/o presenza di FDP in quantità tale da ostacolare la coagulazione della fibrina, come
conseguenza del processo di fibrinolisi secondaria. Il tempo di protrombina è allungato per diminuzione del
fibrinogeno, della protrombina, del fattore V e per la presenza eventuale degli FDP. Gli FDP sono di solito
aumentati e questo viene messo ordinariamente in evidenza con il dosaggio del D-dimero. Le piastrine sono
quasi costantemente diminuite. I test veramente diagnostici per l’esistenza di un processo coagulativo
intravascolare sono quelli che dimostrano l’esistenza in circolo di monomeri di fibrina (prove di
paracoagulazione) e del fibrinopeptide . Nella fibrinolisi primaria i test di paracoagulazione sono negativi e
le piastrine sono solitamente in numero normale. Nella CID cronica gli esami di laboratorio mostrano una
notevole fluttuazione di risultati da un giorno all’altro, per cui si rendono necessari controlli in serie per
dimostrare le alterazioni tipiche. Oltre agli esami coagulativi è importante, in questa forma, lo studio
accurato dello striscio del sangue periferico che mette in evidenza emazie frammentate, a margini
dentellati, ed una frequente microsferocitosi. L’insorgenza di una CID peggiora notevolmente la prognosi
della condizione che l’ha determinata. Si è visto che, quando interviene in corso di sepsi o di gravi traumi, la
mortalità è raddoppiata.

Diagnosi. La CID può essere diagnosticata facilmente quando si è in presenza di una condizione che può
provocarla; si hanno conte piastriniche iniziali inferiori a 100.000/mm3 e in progressivo declino, un
allungamento tanto del tempo di tromboplastina parziale quanto del tempo di protrombina, la presenza nel
plasma di prodotti di degradazione della fibrina e bassi livelli plasmatici di inibitori della coagulazione come
l’antitrombina III. I livelli ematici di fibrinogeno possono invece restare normali, nonostante l’importante
consumo. Il fibrinogeno è, infatti, una proteina di fase acuta e in genere nelle condizioni che provocano
questo disordine la sua sintesi è aumentata.
Esiste una certa somiglianza tra il quadro clinico di una CID in seguito a una condizione febbrile, per
esempio una sepsi, e una porpora trombotica trombocitopenica. Tuttavia in quest’ultima malattia mancano
completamente le alterazioni coagulative che sono caratteristiche della CID. Gli schistociti nel sangue
possono invece essere rilevati in entrambe le condizioni, anche se più comunemente nella porpora
trombotica trombocitopenica. Dal punto di vista degli esami di laboratorio può essere difficile differenziare
una CID e una grave epatopatia, dato che in quest’ultima le piastrine possono essere ridotte di numero per
ipersplenismo e i fattori della coagulazione possono essere diminuiti nel plasma per difetto di sintesi. Il
contesto clinico è però chiaramente diverso e nelle epatopatie mancano costantemente i prodotti di
degradazione della fibrina nel plasma e gli schistociti nel sangue.

Terapia. È chiaro che, essendo questa una condizione nella quale prevalgono i fenomeni trombotici, una
terapia anticoagulante sembra indicata. Tuttavia, la condizione è anche contrassegnata da una tendenza
alle emorragie e questo potrebbe suscitare delle riserve nei riguardi dell’impiego di un anticoagulante.
Estesi studi clinici, però, non hanno dimostrato che l’eparina aumenti l’incidenza di complicanze
emorragiche. Perciò, pur non essendo stata confermata l’utilità della terapia eparinica in studi clinici
controllati, questo farmaco viene adoperato a basse dosi nel trattamento della CID (da 300 a 500 U all’ora
in infusione continua). Anche le eparine a basso peso molecolare possono essere impiegate.
Una modesta riduzione della mortalità può essere ottenuta anche con l’infusione di concentrati di
antitrombina III ad alte dosi. Una meta-analisi di vari studi clinici ha dimostrato che questo trattamento
riduceva la mortalità in corso di sepsi dal 56 al 44%. Nei casi nei quali prevalgono i problemi emorragici,
sono state raccomandate le trasfusioni di piastrine e l’infusione di plasma (allo scopo di somministrare
fattori della coagulazione). Da notare che i concentrati di fattori della coagulazione non sono consigliati
perché possono essere contaminati da tracce di fattori attivati che potrebbero esacerbare la tendenza ai
fenomeni trombotici.
In genere, i farmaci antifibrinolitici in pazienti con prevalenti fenomeni emorragici non sono consigliati,
perché in questa condizione la fibrinolisi è già insufficiente in relazione all’attivazione della coagulazione.
Occorre perciò discriminare attentamente se i fenomeni emorragici sono conseguenza di una CID oppure di
un’iperfibrinolisi primitiva o secondaria, come può avvenire in corso di leucemia promielocitica o in alcune
neoplasie, nel qual caso gli antifibrinolitici sarebbero indicati.
FEGATO
 Valutazione della funzione epatica
Raramente i test biochimici ci permettono di fare una diagnosi specifica ma sono comunque utili
per distinguere se la malattia è epatocellulare o colestatica. Non esiste un test per valutare la
funzionalità epatica in toto. Gli esami normalmente utilizzati sono: BILIRUBINA, TRANSAMINASI,
FOSFATASI ALCALINA, TEMPO DI PROTROMBINA. Se uno o più di questi esami è alterato, si
procede con esami più specifici ed è molto probabile che esista una malattia epatica. Se sono nella
norma, è invece poco probabile che il paziente soffra di una malattia epatica.

1. TEST BASATI SULLA FUNZIONE DI DETOSSICAZIONE ED ESCREZIONE

BILIRUBINA SIERICA: La bilirubina, che è un prodotto di degradazione dell’anello porfirinico delle


proteine che contengono eme, si trova nel sangue in due forme, coniugata e non coniugata. La
bilirubina non coniugata, o frazione indiretta, è insolubile in acqua ed è legata all’albumina nel
sangue. La frazione coniugata (diretta) della bilirubina è invece idrosolubile e può quindi essere
eliminata dal rene ( è il 30% della bilirubina totale). La normale concentrazione di bilirubina totale
è inferiore a 1 mg/dl.

Un aumento della bilirubina indiretta è dovuto soprattutto a malattie emolitiche e ad alcune


malattie genetiche come la sindrome di Crigler-Najjar e la sindrome di Gilbert (se la bilirubina è
elevata ma con meno del 15% di bilirubina coniugata e viene esclusa la presenza di emolisi si può
attribuirla alla sindrome di Gilbert e non sono necessari altri esami).

SINDROME DI CRIGLER-NAJJAR: è una malattia ereditaria del metabolismo della bilirubina


caratterizzata da iperbilirubinemia non coniugata, da difetto dell’attività della bilirubina glucuronil-
transferasi a livello del fegato.
SINDROME DI GILBERT: ridotta attività della glucuronosiltransferasi (UGT) ma il deficit è parziale
(tra il venti e il 70%) e in base a questo varia la gravità della malattia. L’enzima si occupa della
captazione della bilirubina.

Al contrario, un’iperbilirubinemia coniugata indica quasi sempre una malattia del fegato o delle vie
biliari e può essere presente in ogni tipo di malattia epatica. Nella maggior parte delle malattie
epatiche, tendono a essere elevate sia la frazione coniugata che quella non coniugata. Pertanto ad
eccezione dei casi d’iperbilirubinemia puramente non coniugata, il frazionamento della bilirubina è
utile sono raramente per identificare la causa di ittero.

BILIRUBINA URINARIA: Possiamo trovare aumentata solo la bilirubina coniugata poiché quella non
coniugata è legata all’albumina. La presenza di bilirubina nelle urine significa che vi è una malattia
epatica. Falsi Positivi: Fenotiazine, pazienti con ittero in risoluzione (la b. urinaria viene eliminata
prima di quella sierica.)

RIASSUNTO BILIRUBINA

 ECCESSIVA PRODUZIONE DI BILIRUBINA:

Anemia emolitica, stravasi ematici, infarti emorragici, eritropoiesi inefficace (talassemie,


anemia megaloblastica)

SANGUE: Aumenta la Bilirubina indiretta


FECI: Aumenta l’Urobilinogeno (+ colorate.)
URINE: Aumenta l’Urobilinogeno, assenza di bilirubina

 DEFICIT DI CAPTAZIONE O DI CONIUGAZIONE DELLA BILIRUBINA:

Sd. di Gilbert (captazione), ittero neonatale, sd. di Crigler-Najjar (coniugazione)

SANGUE: Aumenta la Bilirubina indiretta


FECI: lieve diminuzione di urobilinogeno
URINE: Diminuisce l’Urobilinogeno, assenza di bilirubina

 DIFETTO DI ESCREZIONE DELLA BILIRUBINA O OSTRUZIONE DELLE VIE BILIARI:

Sd. di Roton, Sd. di Dubin-Johnson (escrezione)

SINDROME DI DUBIN-JOHNSON: è una malattia ereditaria caratterizzata da alterata escrezione


attraverso la membrana canalicolare epatocitaria della bilirubina coniugata e di altri anioni
organici.
SINDROME DI ROTON: Si differenzia dalla precedente solo per la presenza di granuli scuri
costituiti da melanina nel citoplasma.

SANGUE: Aumenta la bilirubina diretta


FECI: Acoliche (aspetto di creta= grigio-biancastro.)
URINE: Aumenta la bilirubina, Assenza di urobilinogeno

AMMONIEMIA: C’è una scarsa correlazione fra l’iperammoniemia e la gravità dell’encefalopatia


acuta ma può essere utile per identificare una malattia epatica in pazienti con alterazioni dello
stato mentale. Può essere elevata in pazienti con grave ipertensione portale o shunt periepatici
anche in caso di funzione epatica normale o quasi normale.

ENZIMI SIERICI: Gli enzimi sierici possono essere suddivisi in 3 gruppi:

1) enzimi il cui aumento riflette un danno degli epatociti;


2) enzimi il cui aumento nel siero è dovuto alla colestasi;
3) enzimi che non rientrano nei due gruppi precedenti.

1.ENZIMI CHE RIFLETTONO UN DANNO EPATOCITARIO.

Le aminotransferasi (transaminasi) sono indicatori sensibili di danno epatico e sono molto utili per
riconoscere le malattie epatocellulari acute come le epatiti. Sono di 2 tipi: AST (aspartato
aminotransferasi) e ALT (alanina aminotransferasi). Le AST sono presenti nel fegato, miocardio,
muscolo scheletrico, reni, cervello, pancreas, polmoni, leucociti ed eritrociti. Le ALT sono presenti
soprattutto nel fegato. Le transaminasi sono enzimi normalmente presenti nel siero a basse
concentrazioni. La loro concentrazione nel siero aumenta in caso di danno della membrana degli
epatociti, con conseguente aumento della permeabilità. La necrosi della cellula epatica non è
necessaria per la liberazione delle transaminasi.

VALORI NORMALI: AST: 10-40 U/l

ALT: 9-60 U/l

Qualunque tipo di danno delle cellule epatiche può causare un aumento modesto delle
transaminasi.

 Fino a 300 U/l sono aspecifici e possono essere osservati in ogni tipo di malattia epatica.
 Livelli superiori a 1000 U/l, si osservano quasi esclusivamente nelle malattie con esteso
danno epatocellulare:
l ) epatite virale;
2) danno epatico ischemico (ipotensione prolungata o insufficienza cardiaca acuta);
3) danno epatico da sostanze tossiche o da farmaci.
 Nella maggior parte delle malattie epatocellulari acute le ALT sono più alte o allo stesso
livello delle AST. Poiché queste ultime sono un indice aspecifico di funzionalità epatica i
suoi valori devono essere messi in rapporto con quelli di ALT per risalire alla natura –
epatica o extraepatica- del loro aumento. (Se AST >> ALT danno cardiaco, viceversa il
contrario.)
 Un rapporto AST:ALT superiore a 2:1 è invece suggestivo di epatopatia alcol-correlata e un
rapporto superiore a 3: 1 è altamente suggestivo. Nella malattia alcolica le AST raramente
superano 300 U/l e le ALT sono spesso entro i limiti normali. I bassi livelli di ALT sieriche
sono dovuti a un deficit alcol-indotto di piridossal fosfato.
 Nell'ittero ostruttivo le transaminasi non sono di solito molto elevate, a eccezione della
fase acuta di ostruzione biliare dovuta al passaggio di un calcolo nel coledoco. In questo
contesto, le transaminasi possono salire per brevi periodi a valori di 1000-2000 U/l;
tuttavia, i livelli di transaminasi diminuiscono rapidamente e i test di funzionalità epatica
divengono quelli tipici della colestasi.

2.ENZIMI CHE RIFLETTONO LA COLESTASI


In caso di colestasi aumentano i livelli di tre enzimi: fosfatasi alcalina, 5'-nucleotidasi e y-glutamil-
transpeptidasi (GGT). La fosfatasi alcalina e la 5'-nucleotidasi sono localizzate all'interno o in
prossimità della membrana canalicolare biliare degli epatociti, mentre la GGT è localizzata nel
reticolo endoplasmatico e nelle cellule epiteliali dei dotti biliari. Proprio per questa sua diversa
localizzazione, un aumento sierico delle GGT è meno specifico di colestasi di quanto non lo siano
gli aumenti di fosfatasi alcalina o di 5'-nucleotidasi.

Un normale livello sierico di fosfatasi alcalina è correlato ai livelli di diversi isoenzimi che si trovano
nel fegato, nelle ossa (aumenta nei pazienti di età superiore a 60 anni o nei bambini e negli
adolescenti durante l’accrescimento), nella placenta (fasi terminali della gravidanza) e, meno
frequentemente, nell'intestino tenue.

Un aumento della fosfatasi alcalina epatica non è specifico per la colestasi e valori fino a tre volte
la concentrazione normale possono essere osservati in tutti i tipi di malattia epatica. Tuttavia,
livelli di fosfatasi alcalina superiori a quattro volte i valori normali si osservano principalmente in
pazienti con malattie colestatiche (può indicare una colestasi precoce anche in assenza di ittero o
di transaminasi elevate), malattie infiltrative del fegato (come le neoplasie e l'amiloidosi) e
malattie ossee caratterizzate da rapido turnover osseo (per es. malattia di Paget).

L’approccio più sicuro, è la contemporanea misurazione della 5'-nucleotidasi o della GGT sierica,
poiché questi enzimi aumentano molto raramente in condizioni diverse dalle malattie epatiche.

Altre malattie che causano un aumento isolato della fosfatasi alcalina sono la malattia di Hodgkin,
il diabete, l'ipertiroidismo, l'insufficienza cardiaca congestizia, l'amiloidosi e le malattie
infiammatorie intestinali.

I livelli sierici di fosfatasi alcalina non sono utili per la diagnosi differenziale tra colestasi
intraepatica ed extraepatica poiché’ sono ugualmente elevali anche in pazienti con colestasi
intraepatica da farmaci, cirrosi biliare primitiva, rigetto dopo trapianto di fegato, malattia epatica
nei pazienti con AIDS e, raramente, steatonecrosi alcolica.

2. TEST CHE VALUTANO LA CAPACITÀ DI SINTESI DEL FEGATO

ALBUMINA SIERICA: L'albumina sierica è sintetizzata esclusivamente dagli epatociti, ha una lunga
emivita (18-20 giorni) e una degradazione giornaliera di circa il 4%. A causa di questo lento
turnover, i livelli sierici di albumina non sono un buon indicatore di disfunzione epatica acuta o
lieve; nelle malattie epatiche acute, come l'epatite virale, l'epatite da farmaci e l'ittero ostruttivo,
si verificano solo lievi alterazioni dell'albumina sierica. In pazienti con epatite, il riscontro di livelli
di albumina sierica inferiori a 3 g/dl dovrebbe indurre a sospettare un'epatite cronica.
L'ipoalbuminemia è più frequente nelle malattie croniche del fegato (come la cirrosi) e di solito
riflette un grave danno epatico e una riduzione della sintesi di albumina. Un'eccezione è
rappresentata dal paziente con ascite, nel quale la sintesi di albumina può essere normale o
addirittura aumentata, ma i livelli sono bassi per l'aumento del volume di distribuzione.
Comunque, l'ipoalbuminemia non è specifica di malattia epatica e può essere presente anche in
altre condizioni, come la malnutrizione proteica da qualunque causa, le enteropatie con perdita di
proteine, la sindrome nefrosica e le infezioni croniche che sono associate a un aumento
prolungato dei livelli sierici di interleuchina 1 e/o di fattore di necrosi tumorale, citochine che
inibiscono la sintesi di albumina.

GLOBULINE SIERICHE: Le globuline sieriche sono un gruppo di proteine formate dalle y-globuline
(immunoglobuline) prodotte dai linfociti B e dalle α e β globuline prodotte soprattutto dagli
epatociti. Le y-globuline sono aumentate nelle malattie epatiche croniche, quali l'epatite cronica e
la cirrosi. L'aumento della concentrazione sierica di y-globuline che si osserva in corso di cirrosi è
dovuto a un aumento della sintesi di anticorpi, alcuni dei quali sono prodotti contro i batteri
intestinali. Questo è dovuto al fatto che il fegato cirrotico non è in grado di eliminare tutti gli
antigeni batterici che normalmente raggiungono l'organo attraverso la circolazione epatica.
L'aumento della concentrazione di particolari isotipi di γ-globuline è spesso utile nel
riconoscimento di alcune malattie croniche del fegato. Un aumento di lgG policlonali è frequente
nelle epatiti autoimmuni, soprattutto nel caso di un aumento superiore al 100%. Un aumento delle
lgM è frequente nella cirrosi biliare primitiva, mentre un aumento delle lgA si osserva nella
malattia epatica da alcol.

FATTORI DELLA COAGULAZIONE: A eccezione del fattore VIII, tutti i fattori della coagulazione
vengono prodotti esclusivamente dagli epatociti. La loro emivita è molto più corta di quella
dell'albumina, variando da 6 ore a 5 giorni. Proprio per il loro rapido turnover, la misurazione dei
fattori della coagulazione rappresenta il migliore test singolo di funzione epatica ed è utile per
formulare la diagnosi e la prognosi delle malattie epatiche parenchimali acute. Assai utile a questo
scopo è il tempo di protrombina, che valuta complessivamente i fattori II, V, VII e X. Il tempo di
protrombina può essere allungato nell'epatite e nella cirrosi, così come nelle malattie che causano
un deficit di vitamina K (essenziale per la sintesi di alcuni fattori), quali l'ittero ostruttivo o il
malassorbimento di grassi da qualsiasi causa. Un chiaro prolungamento del tempo di protrombina
(di più di 5 secondi), è un segno prognostico sfavorevole nell'epatite acuta virale e nelle altre
malattie epatiche acute o croniche.

Tra gli esami strumentali utilizzati per indagare la salute del fegato, un ruolo di primo piano è
ricoperto dall’ecografia addominale, che sfrutta la diversa capacità dei tessuti di riflettere gli
ultrasuoni emessi da una sonda elettrica. In alternativa può essere utilizzata la risonanza
magnetica. Talvolta la certezza diagnostica è ottenuta mediante il prelievo di un piccolo
frammento di tessuto epatico (frustolo) mediante apposito ago inserito nell’addome. Altre volte si
utilizza un esame chiamato colangiopancreatografia endoscopica retrograda, che consiste nella
discesa di un sondino per via orale fino al raggiungimento delle vie biliari extraepatiche.
All’occorrenza questa sonda permette anche di effettuare manovre terapeutiche come la
rimozione di calcoli o il ripristino della pervietà dei canali occlusi.

Tipo di Bilirubina Transaminasi Fosfatasi alcalina Albumina Tempo di


patologia protrombina
Emolisi/Sd. Di Da normale a 5 Normale Normale Normale Normale
Gilbert mg/dl. L’85% in
forma indiretta.
Bilirubinuria
assente.
Necrosi Ambedue le Elevate, spesso Da normale a meno Normale Di solito normale. Se
epatocellulare frazioni possono >500 U/l di 3 volte i valori superiore a 5 volte i
acuta (Virale, essere elevate. ALT> AST normali valori di controllo e
farmaci, Il picco di solito non corretto con vit.
tossica, insuff. segue quello K per via
cardiaca delle parenterale, la
acuta) transaminasi. prognosi è
Bilirubinuria. probabilmente
sfavorevole.
Malattie Ambedue Elevate, ma di Da normale a meno Spesso Spesso allungato.
epatocellulari possono essere solito < 300 U/l di 3 volte i valori diminuita Non corretto con vit.
croniche elevate. normali K per via parenterale
Bilirubinuria.
Epatite Ambedue AST : ALT >2 Da normale a meno Spesso Spesso allungato.
alcolica / possono essere suggerisce di 3 volte i valori diminuita Non corretto con vit.
Cirrosi elevate. epatite alcolica normali K per via parenterale
Bilirubinuria. o cirrosi
Colestasi intra Ambedue Da normali a Elevata, spesso più Normale a Normale.
o extraepatica possono essere moderatamente di 4 volte i valori eccezione Se allungato, viene
(ittero elevate. elevate. normali delle forme corretto con vit. K
ostruttivo) Bilirubinuria Raramente > croniche per via parenterale
500 U/L
Malattie Di solito Da normali a Elevata, spesso più Normale Normale
infiltrative normale lievemente di 4 volte i valori
(neoplasia, elevate normali. Ricercare
granulomi); isoenzimi o
ostruzione confermare
parziale delle l’origine epatica
vie biliari mediante 5’-
nucleotidasi o GGT

DOMANDE: Indici di necrosi epatica, test di funzionalità epatica, esami fegato, transaminasi.

EPATITE C
E’ un virus a singola elica. L'HCV è l'unico membro del genere Hepacivirus nella famiglia
Flaviviridae. I livelli circolanti di HCV tendono a essere relativamente bassi, nonostante la velocità
di replicazione sia molto elevata. Dopo l'infezione acuta da HCV non sembra di solito svilupparsi
un'immunità né di tipo eterologo, né di tipo omologo. l test immunoenzimatici di terza
generazione attualmente in uso, che incorporano proteine dalla regione core, NS3 e NS5,
permettono il riscontro degli anticorpi anti-HCV durante l'infezione acuta. L'indicatore più
sensibile di infezione da HCV è la presenza dell'HCV RNA. L'RNA dell'HCV può essere individuato
entro pochi giorni dall'infezione da HCV, molto prima della comparsa degli anticorpi anti-HCV, e
tende a persistere per tutta la durata dell'infezione.

PATOGENESI:
1. Le risposte immunitarie cellulo-mediate e la produzione da parte dei linfociti T di citochine
antivirali contribuiscono alla patogenesi del danno epatico correlato all'HCV.
2. Anche l'infezione delle cellule linfoidi da parte dell'HCV contribuisce a moderare la risposta
immunitaria contro il virus.
3. Le cellule CD4-T helper attivate dal virus a loro volta stimolano, attraverso la produzione di
citochine, la risposta da parte delle cellule CD8-T citotossiche, HCV-specifiche.
4. Le proteine dell'HCV interferiscono con la risposta immune naturale o innata bloccando le
risposte legate all'interferone.

QUADRO CLINICO E DATI DI LABORATORIO: L'epatite virate acuta si manifesta dopo 15/160 giorni.
l sintomi prodromici dell'epatite virale acuta sono di tipo costituzionale e piuttosto variabili.
Sintomi sistemici quali anoressia, nausea, vomito, astenia, malessere generale, artralgia, mialgia,
cefalea, fotofobia, faringodinia, tosse e rinite possono precedere la comparsa dell'ittero di 1 -2
settimane. Da 1 a 5 giorni prima della fase itterica il paziente può notare urine ipercromiche e feci
acoliche. All'inizio della fase itterica i sintomi prodromici, generalmente, si attenuano; in certi
pazienti, però, un certo calo ponderale (2,5-5 kg) è comune e può protrarsi anche per tutta la fase
itterica. Si osserva un'epatomegalia dolente, con sensazione di malessere e dolore all'ipocondrio
destro. Talvolta può verificarsi un quadro di colestasi, che fa pensare a un'ostruzione biliare
extraepatica. Nel 10-20% dei casi i pazienti con epatite acuta presentano anche splenomegalia e
linfadenopatia laterocervicale. La durata della fase post-itterica varia dalle 2 alle 12 settimane. La
completa guarigione clinica e biochimica si verifica dopo 3-4 mesi dall'inizio dell'ittero (negli adulti
in buona salute l'epatite C si risolve nel circa 15%). Negli altri casi gli esami di laboratorio
rimangono alterati più a lungo. In una percentuale non trascurabile di pazienti la malattia decorre
in forma anitterica.

 Le transaminasi AST e ALT si elevano in modo variabile nel siero già nella fase prodromica
della malattia, precedendo l'aumento dei livelli di bilirubina, le concentrazioni di questi
enzimi in fase acuta, tuttavia, non sono strettamente correlate all'entità del danno
cellulare epatico. l picchi massimi, tra le 400 e 4000 U/l o più, si rilevano in genere durante
il periodo itterico, dopo il quale le concentrazioni vanno diminuendo gradatamente. La
diagnosi di epatite anitterica è difficile e si basa sulle caratteristiche cliniche e sul riscontro
di ipertransaminasemia, anche se si può osservare un lieve aumento della bilirubina
coniugata.
N.B: Nei pazienti con epatite C è frequente il riscontro di aumenti episodici delle
transaminasi.
 L'ittero diventa apprezzabile a livello sclerale e cutaneo quando i livelli di bilirubina
superano i 2,5 mg/dl. Quando compare l'ittero, la bilirubina sierica aumenta tipicamente a
livelli compresi tra 5 a 20 mg/dl. La bilirubina sierica può continuare ad aumentare
nonostante il calo dei livelli delle transaminasi sieriche. Nella maggior parte dei casi, la
bilirubina totale si distribuisce in modo analogo tra la frazione di bilirubina coniugata e
quella di bilirubina non coniugata. Livelli superiori a 20 mg/dl, specie se persistenti, sono
segno di una forma particolarmente grave di epatite.
 La neutropenia e la linfopenia sono transitorie e a esse subentra una linfocitosi reattiva.
Linfociti anomali, uguali a quelli che si osservano nella mononucleosi, sono facilmente
individuabili durante la fase acuta in percentuali variabili tra il 2 e il 20%.
 La misurazione del tempo di protrombina è una procedura importante in corso di epatite
acuta: un tempo di protrombina elevato, infatti, può essere segno di un grave difetto di
sintesi dovuto a un'estesa necrosi delle cellule epatiche e costituisce, quindi, un fattore
prognostico negativo.
 L'ipoglicemia osservata nei pazienti con epatite virale acuta grave può essere dovuta a
nausea e vomito protratti, a uno scarso apporto glucidico e alle scarse riserve epatiche di
glicogeno.
 La fosfatasi alcalina può essere normale o solo lievemente aumentata.
 L'ipoalbuminemia è un evento raro in corso di epatite acuta non complicata.
 In alcuni casi sono state notate sia una lieve e transitoria steatorrea sia ematuria
microscopica e proteinuria di minima entità.
 Un lieve aumento complessivo delle y-globuline è un evento frequente durante un'epatite
virale acuta.
 Durante la fase acuta della malattia possono svilupparsi anticorpi anti-muscolatura liscia e
contro altri costituenti cellulari; possono anche essere presenti deboli concentrazioni di
fattore reumatoide, anticorpi antinucleo e anticorpi eterofili. Nelle epatiti C e D sono
presenti anticorpi anti-microsomi epatici e renali. Gli autoanticorpi rilevabili nell'epatite
virale non sono specifici.
 Gli anticorpi specifici contro il virus, che compaiono durante e dopo l'infezione da virus
epatitico, sono marcatori sierologici di grande rilevanza diagnostica. Una specifica diagnosi
sierologica di epatite C viene posta dimostrando la presenza di anticorpi anti-HCV. Quando
vengono utilizzati i test più recenti, gli anti-HCV possono essere individuati nei pazienti con
epatite acuta C già durante la fase iniziale di innalzamento delle transaminasi. Questi
anticorpi possono non essere mai dosabili nel 5-10% dei pazienti con epatite acuta C. Nei
pazienti con epatite cronica HCV-correlata, gli anti-HCV sono positivi in oltre il 95% dei casi.
l test immunoenzimatici per l'anti-HCV possono essere falsamente positivi, soprattutto in
popolazioni a bassa prevalenza di infezione (come i donatori di sangue) o in soggetti con
fattore reumatoide circolante, che può legarsi in maniera non specifica ai reagenti del test.
l test per la ricerca dell'HCV RNA possono essere utilizzati, in questi casi, per distinguere tra
veri positivi e falsi positivi.
 l test per la determinazione dell'HCV RNA sono i più sensibili per l'infezione da HCV e
rappresentano il mezzo migliore per avvalorare la diagnosi di epatite C. L'HCV RNA è
identificabile nel siero addirittura prima dell'aumento delle transaminasi e prima ancora
della comparsa degli anti-HCV. Inoltre, I'HCV RNA rimane determinabile indefinitamente, in
maniera continua nella maggior parte dei pazienti con epatite cronica C. Importanti
soprattutto per la terapia piuttosto che per fare diagnosi.

EPATITE C CRONICA: La probabilità di sviluppare un’epatite c cronica è dell’85% dei casi se si tiene
in considerazione anche quei pazienti che hanno le transaminasi ai livelli normali ( circa un terzo).
Il 20% dei pazienti con epatite cronica C sviluppa cirrosi nell'arco di 10-20 anni. Nonostante la
frequente progressione dell'epatite cronica C e il fatto che l'epatite cronica C in fase terminale
causi insufficienza epatica, nella maggior parte dei pazienti la prognosi a lungo termine è
relativamente favorevole. Anche se nel gruppo affetto da epatite il decesso ha maggiori
probabilità di essere dovuto a insufficienza epatica e un'insufficienza epatica possa essere
dimostrata in circa il 15% di questi pazienti nell'arco di un decennio, la maggior parte (quasi il 60%)
di questi soggetti resta asintomatica e non manifesta complicanze cliniche di epatopatia cronica.
Nel complesso, l'epatite cronica C tende a progredire molto lentamente e in modo insidioso, e in
circa un quarto dei casi evolve infine in cirrosi allo stadio terminale. Tuttavia l'epatite C è la più
frequente indicazione al trapianto di fegato. Il migliore indicatore prognostico nell'epatite cronica
C è l'istologia epatica. La progressione della fibrosi può essere lenta, moderata o rapida. l pazienti
con necrosi e infiammazione lieve e coloro che hanno uno scarso grado di fibrosi presentano una
prognosi eccellente e minima progressione a cirrosi. Al contrario, i pazienti con attività
infiammatoria moderata-grave o fibrosi, comprese la fibrosi settale e la fibrosi a ponte, hanno
un'elevata probabilità di andare incontro allo sviluppo di cirrosi nell'arco di 10-20 anni. Nei
pazienti con cirrosi epatica compensata HCV-correlata, la sopravvivenza a 10 anni è vicina all'80%;
la mortalità è del 2-6% per anno, uno scompenso si verifica nel 4-5% dei pazienti per anno.
Generalmente l'astenia è il sintomo più frequente, mentre l'ittero è raro. Può dare
crioglobulinemia mista essenziale (molto raramente), sindrome di Sjogren, il lichen planus e la
porfiria cutanea tarda.

I livelli di transaminasi tendono a fluttuare notevolmente (caratteristico andamento oscillante


delle transaminasi) e a essere più bassi, soprattutto nei pazienti malati da lungo tempo.

La terapia dell'epatite cronica C consiste nella somministrazione di IFNa (se non rispondono do il
PEG-IFN) e di ribavirina e un miglioramento istologico si verifica in circa tre quarti di tutti i pazienti
trattati. I livelli delle transaminasi si riducono rapidamente durante la terapia. Fino al 90% della
risposta virologica si ottiene entro le prime 12 settimane di terapia. La maggior parte delle recidive
si osserva nelle prime 12 settimane dopo la sospensione della terapia.

CIRROSI DA VIRUS DELL'EPATITE C: Molti dei pazienti che sviluppano cirrosi hanno una
concomitante assunzione cronica di alcol, per cui la reale incidenza di cirrosi epatica da HCV non è
completamente nota, anche se comunque è sicuramente significativo.

L'HCV non è direttamente citopatico, essendo il danno epatico immuno-mediato. La progressione


dell'epatopatia HCV-correlata è caratterizzata dalla presenza di fibrosi portale che progredisce
ulteriormente a formare setti e noduli, che alla fine determinano la comparsa di cirrosi. Il fegato
cirrotico è spesso di dimensione ridotte con riscontro di cirrosi micro-macronodulare a livello
istologico. Sono spesso presenti un infiltrato infiammatorio portale con epatite d'interfaccia e
occasionale danno lobulare.

l pazienti con cirrosi da virus C possono presentarsi con i classici sintomi delle epatopatie croniche,
ossia astenia, malessere e lieve dolore al quadrante addominale superiore destro; inoltre i test di
laboratorio sono spesso alterati. Per porre diagnosi è necessario ricercare HCV-RNA sierico e il
genotipo di HCV per somministrare la giusta terapia.

La gestione delle complicanze della cirrosi epatica richiede trattamenti diversi a seconda della
complicanza sviluppata (emorragia esofagea da varici, ascite ed edema o encefalopatia).

Il trattamento di pazienti con cirrosi HCV è purtroppo più complicato, in quanto gli effetti
collaterali del peg-interferone e della ribavirina sono di difficile gestione nel paziente cirrotico. Gli
effetti collaterali ematologici (piastrinopenia, leucopenia e anemia) impongono una diminuzione
del dosaggio dei farmaci, ed eventi avversi seri possono causarne la sospensione. Se però il
paziente tollera il trattamento, la risposta virologica sostenuta è in grado di ridurre il rischio di
sviluppare le complicanze legate alla cirrosi.

Terapia di prima linea:


PEG IFN per via sottocutanea 1 volta la settimana, più ribavirina per via orale assunta
quotidianamente
Genotipi 1 e 4: 48 settimane di terapia
PEG IFNα2a, 180 microg la settimana. più ribavirina, 1000 mg/die (peso <75 kg) o 1200 mg/die
(peso >75 kg), oppure
PEG IFNα2b, 1,5 microg/kg la settimana, più ribavirina, 800 mg/die (dosi maggiori di ribavirina
sono raccomandate)
Genotipi 2e 3: 24 settimane di terapia
PEG IFNα2a 180 microg la settimana. più ribavirina 800 mg/die, oppure
PEG IFNα2b 1 ,5 microg/kg la settimana, più ribavirina 800 mg/die (nei pazienti con genotipo 3 e
fibrosi avanzata o cirrosi e/o alti livelli di HCV-RNA è raccomandata una durata di terapia di 48
settimane)

DOMANDA: diagnosi cirrosi epatica HCV correlata e suo emocromo.

CIRROSI E LE SUE COMPLICANZE


ANAMNESI: 1)bevitore con precedente storia di epatopatia, 2)ha già sofferto di epatite virale
anche molti anni prima, 3)cause sconosciute.

SINTOMI: Inizialmente riferisce disturbi gastrointestinali di tipo dispeptico: è anoressico e


l’inappetenza riguarda un po’ tutti i cibi, avverte sensazione di pesantezza epigastrica
postprandiale, è presente senso di tensione addominale che è dovuto a meteorismo eccessivo e
successivamente può essere dovuto alla presenza di versamento peritoneale. Un altro disturbo è
la presenza di edemi alle caviglie. L’addome inizia a presentarsi globoso perché vi è ascite e a
questa si contrappone l’ipotrofia muscolare generalizzata e la progressiva perdita di peso per
l’anoressia e la dispepsia. Talvolta è presente febbricola persistente. Nelle fasi più avanzate è
presente dolore in ipocondrio destro e in epigastrio, sordo, profondo, spontaneo ma sempre
accentuato alla palpazione. Può essere riscontrato ittero, colorazione giallognola della cute e delle
mucose che compare quando la bilirubinemia supera i 2-2,5 mg/100 ml, evidenziandosi
inizialmente soltanto a livello delle sclere ( subittero) e quindi anche a livello della cute. Se la
lesione è soprattutto a carico degli epatociti (ittero a bilirubina indiretta), il colorito cutaneo può
presentare una sfumatura rosso-arancione (ittero rubinico), come nell’atrofia epatica subacuta,
mentre se il danno coinvolge prevalentemente l’escrezione biliare della bilirubina (ittero a
bilirubina diretta), la sfumatura è verdastra (ittero verdinico). Se l’ittero è dovuto ad un difetto si
escrezione, si accompagnerà anche a ritenzione dei sali biliari e quindi alla presenza di prurito.
Spesso, specialmente se la malattia dura da lungo tempo, è presente una particolare
pigmentazione della cute che appare di colorito più bruno per la aumentata deposizione di
melanina ( non si sa quale sia il motivo di questa manifestazione forse un’iperstimolazione
dell’asse ipotalamo-ipofisi). Fra gli altri segni cutanei è costante l’eritema palmare (Consiste in un
arrossamento, a margini molto netti, che scompare alla digitopressione (eritema), al palmo delle
mani, soprattutto evidente in corrispondenza delle eminenze tenar ed ipotenar), è frequente
l’esistenza di stelle neviche nella parte superiore del tronco (Vengono chiamati anche angiomi a
ragno o spider naevi e sono molto più importanti e più specifici dell’eritema palmare: di regola
esprimono l’esistenza di insufficienza epatica di grado elevato, la loro comparsa in breve tempo ed
in gran numero indica evoluzione della malattia ed ha significato prognostico
sfavorevole. Sono dovute a piccoli shunt arterovenosi tra un’arteriola e una venula che si formano
a livello cutaneo ed infatti una compressione puntiforme accentuata nella porzione centrale fa
scomparire transitoriamente questa figura, mentre una compressione più debole determina la
comparsa di una ritmica pulsazione trasmessa dalla arteriola che partecipa alla creazione di questi
cortocircuiti). Comuni sono anche le dita a bacchetta di tamburo (per la presenza di shunt
arterovenosi a livello periferico si può instaurare ipossia). Altro segno frequente è la presenza di
porpora cutanea diffusa in tutto il corpo per difetto dei fattori della coagulazione e di
teleangectasie “vinose”, anche queste diffuse, ma tipiche del volto, per dilatazione permanente
dei piccoli vasi della pelle. Il paziente con cirrosi più comunemente che nella popolazione generale
è portatore di retrazione dell’aponeurosi palmare (malattia di Dupuy-tren), che comporta la
tendenza a mantenere le ultime dita in flessione con notevole impedimento all’estensione. Un
altro segno che viene osservato con discreta frequenza è una certa tumefazione della regione
parotidea la cui spiegazione è di origine sconosciuta; oltre a questo esistono alterazioni a carico
degli annessi cutanei che rientrano nelle manifestazioni di origine endocrina dell’insufficienza
epatica, in particolare quelle di natura sessuale: gli uomini perdono i peli sul torace, sull’addome,
al pube e alle ascelle, sviluppano un certo grado di ginecomastia ed è evidente una riduzione della
libido, dell’attività sessuale e l’ipogonadismo, le donne al contrario hanno un’ipotrofia mammaria
e tendono di frequente a presentare amenorrea senza però mai giungere a forme conclamate di
virilizzazione. Il fegato infatti sintetizza diverse proteine deputate al trasporto di ormoni in circolo
e anche perché’ qui molti ormoni vengono sottoposti ad un processo di coniugazione in modo tale
da poter essere eliminati nell’intestino ed essere immessi nel circolo enteroepatico: ciò consente il
ritorno in circolo di queste sostanze o di loro derivati permettendo l’escrezione urinaria dei
prodotti del catabolismo ormonale. Questo meccanismo riguarda soprattutto gli ormoni steroidei,
quelli sessuali e quelli del corticosurrene.
ISPEZIONE: Importante è valutare l’addome:

ADDOME GLOBOSO E TESO: se contiene molta aria e molto liquido formatosi da poco.
ADDOME BATRACIANO: cioè tende, con il paziente in decubito supino, ad essere particolarmente
sporgente, svasato sui fianchi e sul pube e questo si verifica quando l’addome è stato molto
disteso dal versamento ascitico il quale, in seguito, per una ragione
qualsiasi, è stato riassorbito anche parzialmente, ma i tessuti non
riprendono la fisionomia originaria. Si evidenziano i circoli collaterali
superficiali: caput medusae  le vene si dilatano e si ha la comparsa
sull’addome di un reticolo venoso mediano nella zona periombelicale,
solo se è presente pervietà della vena ombelicale. Meno frequente è la
presenza di un circolo cava-cava localizzato alla periferia dell’addome,
che può essere osservato soprattutto nei casi in cui c’è molto liquido
nella cavità peritoneale, il quale esercita una pressione discreta sulla
cava inferiore: poiché all’interno di questa la pressione è modesta, può
accadere che se il versamento è abbondante tale vaso viene schiacciato
provocando un ostacolo al ritorno del sangue venoso in questo distretto.
La compressione della cava inferiore, insieme con la diminuzione della pressione oncotica dovuta
all’ipoalbuminemia, è una delle cause della formazione degli edemi agli arti inferiori.
PALPAZIONE: La palpazione va eseguita con mano a piatto partendo dal lato opposto a quello del
dolore. Va eseguita prima dolcemente e poi con maggior pressione e consente di apprezzare un
notevole grado di tensione. La differenza rispetto a un addome grasso consiste nel fatto che in
quest’ultimo si riesce sempre ad apprezzare, con la percussione, l’esistenza di meteorismo, nel
caso invece di ascite si può dimostrare la presenza di una zona sicuramente ottusa, generalmente
nelle parti declivi dell’addome a paziente in decubito supino, con limite superiore concavo verso
l’alto. Per avere conferma del versamento, si potrà eseguire la percussione su una zona
sicuramente ottusa, per esempio su un fianco avendo fatto decombere il paziente da quel lato e
poi, lasciando la mano al limite di questa ottusità per essere sicuri di percuotere sempre sullo
stesso punto, si fa adagiare il paziente sul fianco opposto; il liquido tenderà a raccogliersi da
questo lato e dove prima vi era ottusità il suono diventerà timpanico per la presenza delle anse
intestinali non più mascherate dal
versamento. Per un’ulteriore conferma,
l’operazione potrà essere ripetuta facendo
decombere il paziente sull’altro fianco: il
suono cambierà in senso opposto a
dimostrare che il liquido si sposta con la
gravità. Se il liquido è poco (meno di 3-4 l)
queste manovre potrebbero essere
insoddisfacenti e pertanto si farà mettere il
paziente in decubito genu-pettorale (a carponi a pancia in giù), per cui il liquido si raccoglie tutto
intorno all’ombelico, dove, alla percussione, può essere rilevata una zona di ottusità. In caso di
versamento cospicuo si possono mettere in evidenza 2 segni semeiologici importanti: quello del
fiotto e quello del ghiacciolo. Il primo consiste nel mettere la mano a piatto su un fianco del
paziente in decubito supino; l’altra mano imprimerà delle lievi scosse sul fianco opposto e le
vibrazioni che si genereranno in questo modo si trasmetteranno attraverso il liquido fino a essere
percepite dalla mano dell’operatore posta a piatto dall’altra
parte; è utile che un secondo operatore eserciti una discreta
pressione sull’addome, facendo in modo che le vibrazioni si
propaghino attraverso il versamento e non attraverso la
superficie addominale. Il segno del ghiacciolo consiste invece
nell’imprimere una pressione sul fegato che galleggia sul
liquido fino ad affondarlo nell’addome; poiché il fegato viene
immediatamente sospinto verso l’alto, la mano dell’operatore
avvertirà il colpo dovuto all’organo che rimbalza in superficie.

ESAMI EMATOCHIMICI: Il paziente è spesso anemico. L’anemia


può essere macrocitica megaloblastica ( 30% dei pazienti con cirrosi), dovuta all’insufficiente
conversione di acido folico in acido folinico, oppure normocitica, dovuta a ipersplenismo con
aumento della distruzione dei globuli rossi. Anche una sindrome emorragica fa parte del
quadro abituale dell’insufficienza epatica grave. Ricordiamo che queste manifestazioni saranno
più gravi poiché’ abbiamo piastrinopenia. Nelle fasi iniziali si riscontra granulocitopenia e
piastrinopenia. C’è l’aumento di: γ-GT, transaminasi (AST e ALT), fosfatasi alcalina (se c’è
ostruzione delle vie biliari), bilirubina, ammoniemia, γ-globuline. Diminuisce l’albumina.

CIRROSI CARDIACA

Pazienti con scompenso cardiaco destro di lunga data possono sviluppare danno epatico e cirrosi
cardiaca. Questa patologia è sempre meno frequente grazie ai progressi ottenuti dalla cardiologia
moderna, ed è ormai una malattia rara.

EZIOLOGIA E ISTOLOGIA: Lo scompenso cardiaco destro determina un aumento della pressione


venosa che si trasmette tramite la vena cava inferiore e le vene epatiche ai sinusoidi epatici, che
diventano dilatati e congesti. Il fegato diventa quindi congesto e ingrandito, con conseguente
danno ischemico che provoca necrosi degli epatociti centrolobulari con fibrosi pericentrale. La
fibrosi può quindi estendersi verso la periferia del lobulo con sviluppo di cirrosi.

MANIFESTAZIONI CLINICHE: l pazienti ovviamente hanno segni di scompenso cardiaco e all'esame


obiettivo presentano un fegato di dimensioni aumentate. L'ALP (fosfatasi alcalina) è solitamente
aumentata mentre le transaminasi sono solo lievemente aumentate o nella norma; solitamente
l'AST è maggiore dell'ALT. È improbabile che i pazienti sviluppino emorragia da varici esofagee o
encefalopatia.

DIAGNOSI: La diagnosi è solitamente posta in pazienti cardiopatici noti in cui si riscontrano


aumento dell'ALP e fegato ingrandito. La biopsia epatica mostra un pattern di deposizione di
fibrosi che è tipico. La diagnosi differenziale con la sindrome di Budd-Chiari può essere fatta a
livello istologico, poiché in questa sindrome spesso c'è stravaso di globuli rossi. La patologia
venoocclusiva ha delle caratteristiche istologiche tipiche. Il trattamento si basa sulla terapia della
patologia cardiaca sottostante.

IPERTENSIONE PORTALE

Si definisce ipertensione portale un aumento del gradiente venoso epatico portale maggiore di 5
mmHg. L'ipertensione portale è causata da:

1) Aumento delle resistenze intraepatiche circolatorie causato dalla cirrosi e dalla presenza
dei noduli di rigenerazione.
2) Aumento del flusso splancnico legato alla vasodilatazione splancnica.

Le cause di ipertensione portale possono essere classificate in pre-, intra- e postepatiche.

 Preepatiche

Sono quelle che interessano il sistema portale prima dell'ingresso epatico, includono quindi la
trombosi portale (può essere idiopatica o correlata a cirrosi, infezioni, pancreatite o a trauma
addominale oppure può essere legata a difetti della coagulazione) e la trombosi splenica.

 Postepatiche

Sono quelle che interessano le vene epatiche, e includono la sindrome di Budd-Chiari, la


malattia venoocclusiva e lo scompenso cardiaco destro.

 Intraepatiche

Sono responsabili di circa il 95% dci casi di ipertensione portale, e sono rappresentate da tutti i
tipi di cirrosi. L'ipertensione portale intraepatica può essere ulteriormente suddivisa in
presinusoidale, sinusoidale o postsinusoidale.

Presinusoidali: la fibrosi epatica congenita e la schistosomiasi.


Postsinusoidali: la malattia venoocclusiva
Sinusoidale: cirrosi epatiche di tutte le eziologie.

Le tre complicanze più frequenti dell'ipertensione portale sono la formazione di varici esofagee
che possono causare emorragia, l'ascite e l'ipersplenismo.

VARICI ESOFAGEE

Circa un terzo dei pazienti cirrotici presenta varici allo screening endoscopico. Inoltre il 5- 15% dei
cirrotici sviluppa varici entro un anno, circa un terzo dei pazienti con varici svilupperà un episodio
emorragico. La presenza di varici esofagee viene identificata con l'esame endoscopico. Le tecniche
di immagine, come la TC e la RM, possono essere utili nel dimostrare un fegato nodulare e
consentono inoltre di evidenziare la presenza di circoli collaterali addominali. Sono considerati
nella norma valori fino a 5 mmHg; in pazienti con valori >12 mmHg esiste il rischio di emorragia da
varici.
Il trattamento dell'emorragia da varici esofagee prevede due fasi:

1) Profilassi primaria
 programma di screening endoscopico in tutti i pazienti con cirrosi.
 terapia con β-bloccanti o con legatura elastica endoscopica o con scleroterapia se
vengono identificate varici a rischio. L'efficacia della legatura delle varici è limitata
se le varici si estendono allo stomaco; in questo caso il paziente va valutato per il
posizionamento di uno shunt portosistemico transgiugulare.
 Se il sanguinamento è in atto è opportuno arrestare l’episodio (si usano farmaci
vasocostrittori splancnici come la somatostatina o l’octreotide). L’octreotide va
somministrata alla dose di 50-100 microg/ora in infusione continua.
 Somministrare liquidi ed emazie concentrate per ripristinare il volume ematico.
2) Profilassi del risanguinamento dopo un primo episodio emorragico.
 Profilassi secondaria: legature multiple elastiche delle varici fino a ottenere
l’eradicazione delle stesse.
 Nonostante l'eradicazione delle varici molti pazienti comunque presentano gastropatia
ipertensiva da cui può svilupparsi una nuova emorragia. In questo caso risultano utili i
β-bloccanti non selettivi una volta obliterate le varici.

SPLENOMEGALIA E IPERSPLENISMO

Una splenomegalia da congestione è comune nei pazienti con ipertensione portale. All'esame
obiettivo si apprezza una splenomegalia e agli esami di laboratorio sono presenti leucopenia e
piastrinopenia. Alcuni pazienti riferiscono inoltre un dolore al quadrante superiore sinistro.
Solitamente non è necessaria alcuna terapia specifica. L'ipersplenismo con sviluppo di
trombocitopenia è comune nei pazienti cirrotici, e spesso è il primo indicatore di ipertensione
portale.

ASCITE

Si definisce come ascite l'accumulo di liquido


all'interno della cavità peritoneale. La causa più
comune di ascite è l'ipertensione portale da
cirrosi, anche se non va dimenticato che l'ascite
può anche essere neoplastica o infettiva.

PATOGENESI (Vedi schema)

Nella cirrosi si assiste a un aumento delle


resistenze intraepatiche causa di aumento della
pressione portale; inoltre la vasodilatazione delle
arterie splancniche comporta un aumento del
flusso portale. La vasodilatazione è da imputare
alla produzione di ossido nitrico. Entrambi questi processi determinano una produzione
aumentata di linfa a livello splancnico; portano inoltre a ritenzione di sodio attraverso attivazione
del sistema renina-angiotensina-aldosterone che a sua volta causa iperaldosteronismo.
L'iperaldosteronismo determina ritenzione del sodio a livello renale contribuendo quindi alla
formazione di ascite. Inoltre, come effetto compensatorio alla vasodilatazione splancnica e alla
conseguente riduzione del flusso arterioso, viene trattenuto sodio. La ritenzione di sodio porta
però alla ritenzione di liquidi con espansione del volume extracellulare, ascite ed edemi periferici.
Inoltre, poiché i fluidi continuano a passare dal compartimento vascolare alla cavità peritoneale,
permane un sottoriempimento arterioso che instaura un circolo vizioso. Anche l'ipoalbuminemia,
legata alla diminuita funzione epatica, agisce su questo circolo attraverso la diminuzione della
pressione oncotica a livello vascolare.

MANIFESTAZIONI CLINICHE: l pazienti solitamente notano un aumento della circonferenza


addominale con edemi declivi. Occorrono circa 1-2 litri di liquido ascitico nell'addome prima che il
paziente si accorga di un aumento della circonferenza addominale. In caso di versamento massivo
il paziente può lamentare dispnea a causa di una compromissione della funzione respiratoria.
L'idrotorace da versamento ascitico può ulteriormente peggiorare la funzione respiratoria. Inoltre i
pazienti con versamento massivo hanno spesso uno stato di malnutrizione con perdita di massa
muscolare, astenia e malessere. Per la semeiotica dell’ascite vedi sopra.

DIAGNOSI: La diagnosi viene posta mediante esame obiettivo dell'addome, anche se può essere
aiutata dalle tecniche di immagine. l pazienti avranno un addome globoso, con il segno del fiotto
presente, e con ottusità dell'addome che si modifica a seconda del fianco su cui si fa adagiare il
paziente mentre si percuote l'addome. L'idrotorace durante ascite è più frequente a destra ed è
causato dalla presenza di un tramite diaframmatico in cui l'ascite riesce a defluire.

In pazienti con cirrosi, il contenuto proteico dell'ascite è piuttosto basso e la maggior parte dei
pazienti ha valori di proteine inferiori a 1 g/dl. L'introduzione del gradiente di albumina siero-
ascite (serum ascites-to-albumin gmdienl, SAAG) ha soppiantato la definizione di trasudato ed
essudato. Quando questo gradiente è > 1,1 g/dl la causa dell'ascite è l'ipertensione portale da
cirrosi epatica; se il gradiente è <1,1 g/dl l'ascite è probabilmente neoplastica o infettiva. ln caso di
valori proteici molto bassi esiste un rischio elevato di sviluppare peritonite batterica spontanea.
Un numero elevalo di globuli rossi indica un trauma durante la manovra, un tumore epatico
oppure un'emorragia omentale. Quando il numero di polimorfonucleati supera 250 mm3 è
suggestivo per infezione del liquido ascitico. Vanno quindi eseguiti gli esami colturali del liquido.

Trattamento: Nei pazienti con quantità minime di ascite è sufficiente una dieta iposodica ( meno di
2 g al giorno). Quando la quantità di ascite è moderata, è necessaria una terapia diuretica.
Tipicamente si inizia con dosi di spironolattone di 100-200 mg/die e furosemide 40-80 mg/die. Se
questa dose somministrata a pazienti con primo riscontro di ascite non ottiene risultati, significa
che il paziente non sta seguendo una dieta iposodica in maniera corretta. Nel caso il paziente sia
compliante, ma non c'è beneficio dalla terapia diuretica, si può aumentare il dosaggio dello
spironolattone a 400-600 mg/die e della furosemide a 120-160 mg/die. Se anche questi dosaggi
non eliminano completamente il liquido ascitico, l'ascite è classificata come ascite refrattaria e il
paziente va indirizzato a trattamenti alternativi quali ripetute paracentesi evacuative o
posizionamento di uno shunt portosistemico transgiugulare. La prognosi dei pazienti cirrotici che
hanno sviluppato ascite purtroppo è scarsa con sopravvivenza inferiore al 50% a 2 anni. Questi
pazienti devono quindi essere considerati per il trapianto di fegato.

COMPLICANZE:

1. Peritonite batterica spontanea

Infezione spontanea del liquido senza una fonte intraddominale d’infezione. Il tasso di comparsa di
peritonite batterica spontanea è del 30% con una mortalità del 25%. l microrganismi più
frequentemente coinvolti sono Escherichia coli e gli altri patogeni intestinali, anche se spesso altri
batteri possono provocare peritonite batterica spontanea quali Streptococcus viridans,
Staphylococcus aureus o Enterococcus sp.

Terapia con cefalosporina di seconda generazione; il cefotaxime è il più usato tra i farmaci.

2. Sindrome epatorenale

Causa insufficienza renale in assenza di patologie renali note, e si sviluppa in circa il 10 % dei
pazienti con insufficienza epatica. La sindrome epatorenale è caratterizzata da alterazioni della
circolazione arteriosa renale, nello specifico un aumento delle resistenze vascolari che si associa a
una diminuzione delle resistenze a livello sistemico. La diagnosi viene posta in pazienti con ascite,
solitamente massiva, che sviluppano un significativo e costante incremento della creatinina. 2 tipi:
il tipo l è caratterizzato da un significativo danno renale con peggioramento della clearance della
creatinina piuttosto rapido e progressivo; il tipo 2 invece si associa a un aumento della creatinina
sierica più lento e graduale, e comporta una prognosi migliore rispetto al tipo l. Il trattamento
prevede la somministrazione di midodrina (un α-agonista), octreotide e albumina. La terapia
migliore è comunque il trapianto di fegato che ottiene il ripristino della funzione renale che deve
essere eseguito in tempi rapidi. Ha un significato prognostico assai sfavorevole, tant’è che la
mortalità a breve termine in questo stadio supera il 90 % dei casi.

3. Encefalopatia epatica

L'encefalopatia portosistemica è una grave complicanza della cirrosi e può essere definita come
l'alterazione delle funzioni cognitive e mentali in presenza di insufficienza epatica. Le neurotossine
intestinali che non sono state rimosse dal fegato a causa della presenza di shunt vascolari e di
ridotta funzione epatica giungono all'encefalo dove determinano la comparsa di sintomi.
L'ammonio è spesso aumentato in questi pazienti, anche se non esiste una diretta correlazione tra
livelli di ammonio e gravità della malattia, motivo per cui spesso non viene dosato per porre la
diagnosi. Non si sa ancora bene come faccia a causare danno: forse altera la funzionalità delle
membrane neuronali o provoca un’alterazione del metabolismo delle cellule nervose reagendo
con varie sostanze andrebbe a produrre GABA che svolge un ruolo fondamentale come
neurotrasmettitore ad attività inibitoria a livello delle sinapsi del SNC e ciò giustifica il progressivo
passaggio verso una condizione di generale rallentamento psicomotorio che caratterizza gli stadi
più avanzati dell’encefalopatia epatica. Inoltre le manifestazioni neurologiche dell’insufficienza
epatica, non dipendono solo dalla NH3 ma anche da altre sostanze che hanno un effetto tossico (
in particolare le amine, i mercaptani – che vengono poi eliminati con l’alito producendo il
caratteristico foetor hepaticus-, gli acidi grassi a catena corta). Anche di queste il meccanismo non
è chiaro tuttavia sembra si comportino da falsi neurotrasmettitori alterando o bloccando a livello
delle sinapsi la trasmissione degli impulsi nervosi. Il paziente presenta un progressivo
deterioramento delle proprie condizioni neurologiche fino all’insorgenza di coma: in questo caso
di ha una perdita ingravescente, fino a divenire completa della coscienza, tachipnea per
compensare l’acidosi metabolica, perdita graduale dei riflessi, fino a morte per deficit completo
delle funzioni omeostatiche ( Gitlin ha distinto l’encefalopatia epatica in stadi: da 0, che
corrisponde all’assenza di segni e sintomi neurologici fino a 4, con quadro di coma e attività
elettroencefalografica caratterizzata da tipiche onde lente “δ”. Bisogna però ricordare la forma
“latente” che può essere palesata solo attraverso test psicometrici). In tutti i casi è fondamentale
la riduzione della formazione e dell’assorbimento della NH3 a livello intestinale mediante la
somministrazione di diete a basso contenuto proteico o anche di antibiotici in grado di distruggere
i microrganismi responsabili della produzione di questa sostanza agendo sulla flora enterica
putrefattiva più che su quella fermentativa ( neomicina, paramomicina, rifaximina).

MANIFESTAZIONI CLINICHE: Ci può essere edema cerebrale con encefalite severa associata a
rigonfiamento della sostanza grigia. L'ernia cerebrale è una temibile complicanza dell'edema
cerebrale. Nei pazienti con cirrosi, l'encefalopatia è spesso una conseguenza di eventi precipitanti
come l'ipokaliemia, le infezioni, una dieta iperproteica o i disturbi elettrolitici. l pazienti possono
apparire confusi e mostrare anche cambiamenti di personalità, con comportamenti violenti e
difficili da gestire, altre volte appaiono sonnolenti e di difficile contattabilità.

ln questi pazienti è spesso dimostrabile asterissi, chiedendo al paziente di estendere gli arti
superiori estendendo i polsi: i pazienti encefalopatici nell'eseguire questa manovra mostrano il
caratteristico “liver flap”, ossia un movimento del polso in avanti.

La terapia medica deve possibilmente risolvere le cause scatenanti dell'encefalopatia. Alcune volte
è sufficiente idratare il paziente e correggere gli squilibri elettrolitici. Il cardine della terapia per
l'encefalopatia, oltre alla correzione dei fattori precipitanti, è il lattulosio, un disaccaride non
riassorbibile che determina l'acidificazione del lume del colon. L'evacuazione intestinale che segue
elimina i derivati dell'ammonio che causano la comparsa di encefalopatia. L'obiettivo è di ottenere
almeno 2-3 scariche di feci al giorno e il dosaggio va quindi modificato per raggiungere questo
obiettivo. Inoltre si possono utilizzare antibiotici non assorbibili a livello intestinale, generalmente
alternando la neomicina al metronidazolo per evitare gli effetti collaterali.

DOMANDE: Palpazione addome ascitico, cause ascite, perché muore un cirrotico, segni e sintomi
scompenso cirrosi, ipertensione portale, sindrome epatorenale, terapia encefalopatia, cirrosi
cardiogena

INSUFFICIENZA EPATICA (Rugarli)


È una condizione caratterizzata da una compromissione globale della funzionalità epatocitaria.
Questo comporta l’insorgenza di sintomi e segni caratteristici.
MANIFESTAZIONI GENERALI.
A. Metabolismo glucidico.
Il fegato è responsabile sia della produzione di glicogeno, sia della sintesi di insulin-like growth
factor 1 e 2, sia si occupa del catabolismo dell’ormone della crescita. Qui si svolge la
gluconeogenesi fondamentale per mantenere la glicemia entro certi limiti. Sia la glicogenosintesi
sia la gluconeogenesi sono caratterizzate da una notevole capacità di adattamento per cui è
necessario che il difetto di funzionalità epatica sia molto accentuato prima che si instauri
l’insorgenza dell’ipoglicemia. Nelle forme meno gravi è invece frequente la comparsa di
iperglicemia: nel 10-15% dei pazienti epatopatici si riscontra un diabete conclamato mentre la
percentuale sale fino al 50-80% se consideriamo una sensibile diminuzione della tolleranza
glucidica. L’insorgenza del diabete in corso di malattia epatica sembra sia correlata ad alti livelli di
glucagone (infatti viene a mancare l’attività di inibizione esercitata dal fegato) e anche se l’insulina
è molto presente (iperinsulinismo) la sua azione è parzialmente inibita da particolari fattori
umorali, soprattutto di carattere ormonale.

B. Metabolismo proteico.
Difetto delle funzioni sintetiche delle proteine del plasma e soprattutto dell’albumina.
Ipoalbuminemia  riduzione pressione oncotica  edema

C. Metabolismo lipidico.
Difetto Sintesi acidi biliari  diminuzione formazione di Sali biliari e della loro escrezione
nell’intestino deficit assorbimento grassi e vitamine liposolubili (A,D,E,K)

D. Metabolismo farmaci
Manca la coniugazione di molti farmaci si accumula e dà più facilmente fenomeni di natura
tossica.

MANIFESTAZIONI CUTANEE: La manifestazione cutanea più frequente è sicuramente l’ittero. Le


unghie possono assumere un tipico aspetto biancastro. Altre manifestazioni cutanee sono
l’eritema palmare e gli spider naevi. Molto meno frequente è la presenza di xantelasmi palpebrali
o depositi lineari di colesterolo o anche di semplice aumento della temperatura cutanea con
sensazione di calore al termotatto per la presenza in circolo di sostanze vasoattive che il fegato
non è in grado inattivare normalmente.

MANIFESTAZIONI ENDOCRINE: Vedi sopra

MANIFESTAZIONI EMATOLOGICHE: Vedi sopra (esami ematochimici cirrosi)

MANIFESTAZIONI CARDIOVASCOLARI: Sono principalmente due: aumento della gittata cardiaca e


cianosi. La patogenesi di queste manifestazioni sembra sia correlata alla particolare tendenza alla
formazione di shunt arterovenosi sia a livello del circolo polmonare, in maniera che il sangue in
parte non viene ossigenato, sia a livello di altri distretti circolatori con conseguente riduzione delle
resistenze periferiche e quindi aumento della gittata cardiaca.

MANIFESTAZIONI NEUROLOGICHE: Vedi encefalopatia epatica

MANIFESTAZIONI RENALI: Sindrome epatorenale

CLASSIFICAZIONE DI CHILD-PUGH: Prende in esame 5 parametri clinici ( ascite, bilirubinemia,


tempo di Quick, encefalopatia, albuminemia) cui viene attribuito un punteggio da 1 a 3 a seconda
della gravità del deficit: la somma totale corrisponde al punteggio di Child-Pugh che consente di
distinguere i pazienti epatopatici in 3 classi: A,B,C. tale distinzione ha un rilevante valore
prognostico ed una significativa ricaduta sul piano pratico: per esempio i pazienti di classe C sono
in genere esclusi da certe soluzioni terapeutiche come l’epatectomia parziale poiche’ la porzione
restante del parenchima non garantisce livelli funzionali accettabili.

DOMANDE: diagnosi insufficienza epatica

PANCREAS
Il pancreas è situato nello spazio retroperitoneale ai limiti fra il piano sovramesocolico e quello
sottomesocolico ed è orientato con il suo maggior asse trasversalmente, al davanti dei corpi delle
prime due vertebre lombari. Può raggiungere, in posizione alta, il corpo della 12a vertebra toracica
o, in posizione bassa, quello della 3a vertebra lombare. Il suo asse maggiore non è perfettamente
trasversale, ma risulta diretto verso sinistra e verso l’alto. Su questo asse, il pancreas si presenta
incurvato con una convessità volta verso l’avanti e determinata dal rapporto posteriore con la
colonna vertebrale e i grossi vasi posti al davanti di quest’ultima.

PANCREATITE ACUTA
Lo spettro anatomo-patologico della pancreatite acuta va dalla pancreatite interstiziale, che è la
forma più lieve a risoluzione spontanea, alla pancreatite necrotizzante, nella quale il grado di
necrosi pancreatica è strettamente correlato alla gravità dell'attacco e alle sue manifestazioni
sistemiche.

EZIOLOGIA E PATOGENESI: l fattori eziopatogenetici della pancreatite acuta sono molteplici ma i


meccanismi sono ancora sconosciuti. Può essere
causata da: calcoli (30-60%, donne, >70 anni), alcol
(10-30%, maschi, 40-50 anni), tuttavia l’incidenza fra
gli alcolisti è bassa perché’ oltre all’assunzione di alcol
devono intervenire altri fattori di suscettibilità al
danno pancreatico, l'ipertrigliceridemia (trigliceridi
plasmatici > 11,3 mmol/l) (1,3-3,8% dei casi), pazienti
sottoposti a CPRE (colangio-pancreatografia
endoscopica retrograda) (5-20%), farmaci (2-5%) sia
mediante una reazione di ipersensibilità che per
effetto di un metabolita tossico.

Una delle teorie patogenetiche proposte è quella


dell'autodigestione: gli enzimi proteolitici
(tripsinogeno, chimotripsinogeno, proelastasi e fosfolipasi A) verrebbero attivati nel pancreas
invece che nel lume intestinale. Potrebbe essere causato da: endo- ed esotossine, infezioni virali,
ischemia, anossia e traumi diretti. La tripsina, non solo è in grado di digerire i tessuti pancreatici e
peripancreatici, ma attiva anche altri enzimi, quali l'elastasi e la fosfolipasi.

ATTIVAZIONE DEGLI ENZIMI PANCREATICI NELLA PATOGENESI DELLA PANCREATITE ACUTA

3 differenti fasi di evoluzione alla base della pancreatite:

1. Attivazione degli enzimi digestivi intrapancreatici e danno alle cellule acinari (dovuto
all’azione degli zimogeni).
2. Attivazione, chemoattrazione e sequestro dei neutrofili a livello pancreatico, con
conseguente sviluppo di una reazione infiammatoria di gravità variabile. NB: il sequestro
dei neutrofili induce l'attivazione del tripsinogeno.
3. Effetti degli enzimi proteolitici e delle citochine rilasciati dal pancreas infiammato a livello
degli altri organi. Gli enzimi attivi sarebbero poi responsabili della digestione delle
membrane cellulari, della proteolisi, dell'edema, dell'emorragia interstiziale, del danno
vascolare, della necrosi coagulativa, della necrosi grassa e della necrosi delle cellule
parenchimali.

Il danno cellulare e la morte sono il risultato del rilascio di bradichinine, sostanze vasoattive e
istamina, in grado di produrre vasodilatazione, aumentare la permeabilità vascolare e causare
edema, con effetti devastanti su diversi organi, in particolare il polmone. La sindrome da risposta
infiammatoria sistemica (SIRS) e la sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS), cosi come
un'insufficienza multiorgano, rappresentano le conseguenze di questa cascata di eventi.
Il decorso della pancreatite acuta sembra essere influenzato da fattori genetici che possono
aumentare la suscettibilità e/o modificare la gravità del danno pancreatico. Quattro geni di
suscettibilità sono stati individuati: 1) mutazioni del tripsinogeno cationico 2) inibitore secretorio
pancreatico della tripsina 3) regolatore transmembrana della conduttanza della fibrosi cistica
(CFTR); 4) proteina chemiotattica dei menociti MCP-1 (se presente si associa a un indice
prognostico più negativo).

SINTOMI: Il dolore addominale costituisce il sintomo più importante della pancreatite acuta: può
essere un dolore lieve e tollerabile o un dolore violento, continuo e gravemente invalidante. Il
dolore, in genere continuo e fastidioso, è
caratteristicamente localizzato nelle regioni
epigastrica e periombelicale, spesso irradiato
al dorso e al torace, ai fianchi e ai quadranti
addominali inferiori ( “a sbarra”) ; di solito il
dolore è più intenso in posizione supina ed è
alleviato dall'assunzione della posizione
seduta con il tronco flesso e le ginocchia
sollevate. Altri sintomi frequentemente
lamentati dal paziente sono nausea, vomito e distensione addominale
dovuti a ipomotilità gastrointestinale e peritonite chimica.

All'esame obiettivo il paziente appare sofferente e ansioso; si rilevano,


abbastanza frequentemente, febbre non elevata, tachicardia e
ipotensione. È piuttosto frequente lo shock, che può dipendere da: 1) ipovolemia secondaria a una
massiva essudazione di liquidi e proteine nello spazio retroperitoneale, 2) vasodilatazione e
aumento della permeabilità vascolare conseguenti all'aumentata sintesi e liberazione di chinine; 3)
effetti sistemici degli enzimi proteolitici e lipolitici immessi in circolo. L'ittero è infrequente; se
presente, è dovuto all'edema della testa del pancreas che determina una compressione della
porzione intrapancreatica del coledoco.

Nel 10-20% dei pazienti si osservano manifestazioni polmonari che possono variare da semplici
rantoli basilari ad atelettasia e versamento pleurico (soprattutto emitorace sinistro). lperestesia e
contrattura di difesa addominale possono essere presenti in grado variabile, ma sono comunque
di scarsa entità se paragonati alla gravità della sintomatologia dolorosa. La peristalsi intestinale è
in genere ridotta o addirittura assente. A volte la palpazione dei quadranti superiori dell'addome
può evidenziare un pancreas aumentato di volume con necrosi organizzata o una pseudocisti. In
corrispondenza della regione periombelicale può essere presente una debole colorazione
brunastra, espressione di emoperitoneo (segno di Cullen), mentre una colorazione blu-rosso
porpora o verde-marrone può evidenziarsi ai fianchi (segno di Turner), espressione quest'ultima di
un catabolismo tissutale dell'emoglobina. Questi due segni, peraltro poco frequenti, indicano la
presenza di una grave pancreatite necrotizzante.

INDAGINI DI LABORATORIO E STRUMENTALI: La diagnosi di pancreatite acuta viene generalmente


posta sulla base del riscontro di un aumento delle amilasi sieriche 3 volve sopra la norma ( DD:
patologie a carico delle ghiandole salivari e una perforazione o un infarto intestinale). Le amilasi
tendono a essere più elevate nella pancreatite da calcoli. Tuttavia non vi è una precisa
correlazione tra grado di elevazione delle amilasi e gravità della pancreatite. Dopo 48-72 ore
dall'esordio clinico, anche se sono ancora presenti i sintomi e i segni della malattia, i valori delle
amilasi tendono a ritornare nella norma, mentre i livelli di isoamilasi pancreatiche e di lipasi
possono permanere elevali anche per 7- 14 giorni. Le amilasi sieriche e le lipasi sieriche sono più
elevati nella pancreatite alcol-associata. È importante ricordare che i pazienti con acidemia (pH
arterioso 7,32) possono presentare un innalzamento fittizio delle amilasi e pertanto in questi
pazienti con iperamilasemia da cause non pancreatiche, il riscontro dell’aumento di tre volte dei
livelli sierici di lipasi è solitamente diagnostico di pancreatite acuta. La leucocitosi (15000-20 000
leucociti/L) è molto frequente. Nei casi più gravi si può rilevare emoconcentrazione, con valori di
ematocrito superiori al 44%, a causa della perdita di plasma nello spazio retroperitoneale e nella
cavità peritoneale. Si riscontra frequentemente anche iperglicemia causata da molteplici fattori,
tra cui una ridotta liberazione in circolo di insulina e un aumento della secrezione di glucagone,
glucocorticoidi surrenali e catecolamine.

In circa il 10% dei pazienti si osserva iperbilirubinemia (bilirubina sierica superiore a 68 µmol/l); si
tratta, tuttavia, di un ittero transitorio e i livelli di bilirubinemia ritornano ai valori normali nel giro
di 4-7 giorni. Parallelamente all'aumento della bilirubinemia si verifica anche un incremento
transitorio della fosfatasi alcalina e dell'aspartato aminotrasferasi (AST). Un marcato aumento dei
livelli sierici di lattico deidrogenasi si associa, invece, a una prognosi negativa. L'albumina sierica è
diminuita <30 g/l in circa il 10% dei casi e questo sta in genere a indicare una pancreatite più grave
con un alto tasso di mortalità. La TC è in grado di confermare il sospetto clinico di pancreatite
acuta anche in presenza di normali livelli di amilasi sieriche. L'ecografia è utile nella pancreatite
acuta per studiare la colecisti.

DIAGNOSI: La diagnosi differenziale deve essere posta con le seguenti patologie: 1) perforazione di
un viscere addominale (soprattutto ulcera peptica); 2) colecistite acuta o colica biliare ( entrambe
danno una iperamilasemia ma il dolore di origine biliare è più spesso riferito a destra o
all'epigastrio che nell'area periombelicale, ha un'insorgenza più graduale); 3) occlusione intestinale
acuta; 4) occlusione vascolare mesenterica (soggetti anziani debilitati); 5) colica renate; 6) infarto
miocardico; 7) aneurisma da dissezione dell'aorta; 8) collagenopatia con vasculite; 9) polmonite;
10) chetoacidosi diabetica.

DECORSO DELLA MALATTIA E COMPLICANZE: È importante identificare, fra i pazienti affetti da


pancreatite acuta, quelli con elevato rischio di mortalità. l diversi sistemi di punteggio (Ranson,
lmrie, Apache II) sono difficili da utilizzare, possiedono un basso potere predittivo e non vengono
impiegati uniformemente dai clinici. Gli indicatori chiave della gravità di un attacco di pancreatite
acuta sono: età >70 anni, BMI >30, ematocrito> 44% e proteina C reattiva >150 mg/l. Tuttavia, è
l'insufficienza d'organo, e in particolare l'insufficienza respiratoria (P02 <60 mmHg), che determina
la prognosi nella maggior parte dei casi di pancreatite di difficile gestione.

Spesso i pazienti sviluppano una massa infiammatoria entro le prime 2-3 settimane dalla
pancreatite. Questa può essere dovuta a necrosi pancreatica organizzata o essere costituita da una
pseudocisti. L'ascesso pancreatico si sviluppa più tardivamente, di solito dopo 6 settimane. Le
complicanze sistemiche si instaurano a livello polmonare, cardiocircolatorio, ematologico, renale,
metabolico e del sistema nervoso centrale. Pancreatite e ipertrigliceridemia costituiscono
un'associazione in cui causa ed effetto rimangono ancora non del tutto chiari; tuttavia
l’ipertrigliceridemia può causare pancreatite ma la maggior parte dei pazienti con pancreatite non
ha ipertrigliceridemia.

La retinopatia di Purtscher è una rara complicanza della pancreatite acuta che si manifesta
clinicamente con un'improvvisa e grave perdita della visione. Essa è caratterizzata da un
particolare aspetto del fondo dell'occhio, con macchie cotoniformi ed emorragie confinate a
un'area delimitata dalla papilla e dalla macula; si ritiene che sia provocata dall'occlusione
dell'arteria retinica posteriore da parte di aggregati granulocitari.

TRATTAMENTO: Nella maggior parte dei pazienti con pancreatite acuta (85-90%) la malattia si
risolve spontaneamente, entro 3-7 giorni dall'inizio del trattamento. Si somministrano analgesici
per alleviare il dolore, liquidi ed espansori del plasma al fine di mantenere un adeguato volume
circolante, si sospende l'alimentazione per via orale.

RUOLO DELLA TERAPIA ANTIBIOTICA: Il beneficio della profilassi antibiotica nel trattamento della
pancreatite acuta necrotizzante rimane controverso. Sebbene il tipo e la durata della terapia
antibiotica rimangano poco definiti, è attualmente raccomandata, per il paziente con pancreatite
acuta necrotizzante, la somministrazione di un antibiotico sistemico come l'imipenem + cilastatina
alla dose di 500 mg tre volte al giorno per 7 giorni.

L'incidenza dell'infezione intraddominale da Candida in corso di pancreatite acuta sta aumentando


ed è associata all'incremento dell'utilizzo di antibiotici ( si danno perciò antifungini nella fase
precoce della malattia).

La TC, in particolare quella dinamica con intensificazione del contrasto, fornisce importanti
informazioni sulla gravità e sulla prognosi della pancreatite acuta, e permette la valutazione della
presenza e dell'estensione della necrosi pancreatica.

Il paziente con pancreatite lieve o moderata necessita di solito di un trattamento basato sulla
somministrazione di liquidi per via endovenosa e digiuno.

Infine, la terapia dei pazienti con pancreatite associata a ipertrigliceridemia prevede: 1) calo
ponderate fino a raggiungere il peso ideale; 2) dieta povera di lipidi; 3) attività fisica; 4)
sospensione dell'assunzione di alcolici e di farmaci eventualmente in grado di aumentare i livelli
sierici dei trigliceridi (per es., estrogeni, vitamina A, diuretici tiazidici e propranololo); 5) controllo
del diabete.

PANCREATITE CRONICA E INSUFFICIENZA PANCREATICA


ESOCRINA
FISIOPATOLOGIA: La pancreatite cronica è un processo patologico caratterizzato dal danno
irreversibile del pancreas, che si distingue dal danno reversibile prodotto in corso di pancreatite
acuta. Tale condizione è definita dalla presenza di anomalie istologiche, tra cui infiammazione
cronica, fibrosi e progressiva distruzione del tessuto esocrino e, alla fine, anche endocrino.
Gli eventi che innescano il processo infiammatorio nel pancreas non sono ancora stati ben
compresi. È stato osservato che: l'alcol ha un effetto tossico diretto sul pancreas ( anche se
consumato non eccessivamente), la sovraespressione di fibroblasti e fattori di crescita è frequente
in pazienti con pancreatite cronica come anche elevati livelli di fattore di crescita trasformante a
(transforming growth factor a, TGFa) e del suo recettore, la proteina epidermica. Tuttavia non si sa
ancora se queste osservazioni siano correlate alla patogenesi della malattia.

EZIOLOGIA: Nella popolazione adulta degli Stati Uniti l'alcolismo è la causa più comune di
pancreatite cronica clinicamente manifesta, mentre nella popolazione pediatrica la causa
predominante è la fibrosi cistica. Fino al 25% dei pazienti adulti è affetta da pancreatite cronica
idiopatica ( forse cause genetiche: gene che codifica per il tripsinogeno resistente all'azione
dell'inibitore della tripsina e in grado di attivarsi spontaneamente e di rimanere attivato). La
mutazione della fibrosi cistica è a carico del gene CFTR. Questo gene funge da canale del cloro
regolato dall'AMP ciclico. Nei pazienti con fibrosi cistica l'elevata concentrazione di macromolecole
può ostruire i dotti pancreatici.

CARATTERISTICHE CLINICHE DELLA PANCREATITE CRONICA: I pazienti con pancreatite cronica si


rivolgono al medico principalmente per due
sintomi: dolore addominale e
maldigestione. Il dolore addominale può
essere variabile per quanto riguarda
localizzazione, gravità e frequenza. Può
essere costante o intermittente, con
frequenti intervalli liberi. Il pasto può
esacerbare il dolore e ciò conduce a un
ridotto apporto alimentare e a un
conseguente calo ponderale. La

maldigestione si manifesta con diarrea


cronica, steatorrea, calo ponderale e
astenia.

l pazienti con pancreatite cronica hanno


significativi tassi di morbilità e mortalità. Nonostante la steatorrea, il deficit clinicamente
apprezzabile di vitamine liposolubili è sorprendentemente poco comune. L'esame obiettivo in
questi pazienti è in genere sostanzialmente negativo e, pertanto, vi è disparità tra la gravità del
dolore addominale e la scarsità dei reperti obiettivi, che in genere consistono in lieve dolorabilità
addominale e lieve incremento della temperatura corporea.
In genere si usa distinguere la pancreatite cronica con dotti dilatati da quella con dotti non dilatati:

Dotti dilatati Dotti non dilatati


Sesso più colpito Maschi Femmine
Test diagnostici
Test alla secretina Alterato Alterato
Tripsinogeno sierico Spesso alterato Generalmente normale
Elastasi fecale Spesso alterato Generalmente normale
Presenza di calcificazioni Frequente Rara
pancreatiche alla radiografia
dell’addome
CPRE Spesso marcatamente Normale o solo lievemente
alterata aumentata
Storia naturale
Progressione a steatorrea Frequente Rara
Trattamento del dolore
Enzimi pancreatici Scarsa risposta Risposta buona o ottima
Procedure chirurgiche A volte efficaci In genere non indicate

A differenza della pancreatite acuta, amilasi e lipasi sieriche non sono in genere aumentate nella
pancreatite cronica. L'aumento della bilirubina sierica e della fosfatasi alcalina può essere
suggestivo di colestasi secondaria all'infiammazione cronica e/o a stenosi del dotto biliare
comune. Il test diagnostico con maggiore sensibilità e specificità è il test di stimolazione ormonale
con secretina; tale test risulta alterato quando almeno il 60% della funzione pancreatica esocrina è
venuta meno e questo in genere risulta ben correlato alla comparsa del dolore addominale
cronico.

Una diminuzione del tripsinogeno sierico a livelli inferiori a 20 mg/ml è fortemente suggestiva di
insufficienza pancreatica esocrina grave, così come una concentrazione fecale di elastasi inferiore
a 100 µg per grammo di feci.

La presenza di calcificazioni diffuse alla radiografia dell'addome indica in genere un danno di circa
l'80% del parenchima pancreatico. Se da un lato l'alcol è di gran lunga la causa più frequente di
calcificazioni pancreatiche, esse si associano anche a grave malnutrizione calorico-proteica,
pancreatite ereditaria, post-traumatica, da ipercalcemia, da tumori delle cellule insulari e
pancreatite cronica idiopatica.

COMPLICANZE DELLA PANCREATITE CRONICA: Le complicanze della pancreatite cronica, elencate


sono varie. Sebbene la maggior parte dei pazienti presenti una ridotta tolleranza al glucosio, la
chetoacidosi diabetica e il coma sono rari. Parimenti raro è il danno d'organo (retinopatia,
neuropatia, nefropatia). Può presentarsi sanguinamento gastrointestinale derivante da ulcera
peptica, gastrite, una pseudocisti che abbia eroso la parete duodenale o la rottura di varici
secondaria alla trombosi della vena splenica dovuta al processo flogistico della coda pancreatica.
Ittero, colestasi e cirrosi biliare possono derivare dalla reazione infiammatoria cronica attorno alla
porzione intrapancreatica della via biliare principale. A 20 anni dalla diagnosi di pancreatite
cronica il rischio cumulativo di carcinoma pancreatico è del 4%.

TRATTAMENTO: Il trattamento della steatorrea con gli enzimi pancreatici è semplice, sebbene una
completa regressione della steatorrea sia inusuale. Il trattamento del dolore nei pazienti con
pancreatite cronica è invece problematico. Nei pazienti con malattia con dotti dilatati, in genere
indotta dall'alcol, la decompressione del dotto è la terapia di scelta. Dati preliminari suggeriscono
che l'octreoticle ad alte dosi possa alleviare il dolore nei pazienti con malattia con dotti dilatati. In
pazienti con malattia con dotti non dilatati, le comuni preparazioni non gastroprotette di enzimi
pancreatici contenenti elevate concentrazioni di serinproteasi sono in grado di controllare il
dolore.

La gastroparesi è piuttosto comune nei pazienti con pancreatite cronica ed è importante


riconoscerla in quanto il trattamento con enzimi può non risultare efficace semplicemente perché
la gastroparesi impedisce agli enzimi di raggiungere il piccolo intestino, dove sarebbero in grado di
attivare il processo di inibizione a feedback.

Il trattamento endoscopico del dolore dovuto a pancreatite cronica comprende la sfinterotomia, il


posizionamento di stent, l'estrazione di calcoli e il drenaggio di pseudocisti.
La pancreasectomia totale e il trapianto autologo di cellule insulari sono stati eseguiti in pazienti
selezionati con pancreatite cronica e dolore addominale refrattario alla terapia convenzionale.

DOMANDE: delimita l’area pancreatica, pancreatite causa e diagnosi acuta e cronica, esame
obiettivo pancreatite acuta,

OBESITÀ
Per obesità si intende una condizione clinica che identifica un eccesso di tessuto adiposo. L’indice
di massa corporea ( BMI), anche se non è una misura diretta di adiposità, è il metodo più utilizzato
per valutare l’obesità e si ricava dal rapporto peso/altezza^2. Un BMI pari a 30 è considerato il
valore inferiore per l’obesità per uomini e donne. Un soggetto con BMI tra 25 e 30 si definisce
sovrappeso. Poiché’ anche la zona di distribuzione del tessuto adiposo ha sostanziali implicazioni
sulla morbilità, va anche misurato il rapporto vita-fianchi, che viene ad essere anormale quando
superiore a 0.9 nelle donne e superiore ad 1 negli uomini. Il preciso equilibrio tra assunzione e
dispendio calorico è controllato da molti ormoni. L’appetito è influenzato da molti fattori che
vengono integrati a livello ipotalamico e sono di vario tipo: neurale, ormonale e metabolico. Gli
stimoli vagali sono importanti poiché’ trasportano informazioni viscerali sulla distensione
intestinale. I segnali ormonali comprendono la leptina, l’insulina, il cortisolo e peptidi
gastrointestinali come la grelina che viene prodotta nello stomaco e stimola l’appetito, il peptide
YY e la colecistochinina, secreta nell’intestino tenue, che invia segnali al cervello attraverso
un’azione diretta sui centri di controllo ipotalamici. Alcuni metaboliti, compreso il glucosio,
possono influenzare l’appetito. Questi vari segnali agiscono influenzando l’espressione e la
liberazione di vari peptidi ipotalamici come il neuropeptide Y, il peptide Agouti-correlato, l’ormone
α-melanocitostimolante e l’ormone concentrante la melanina.
Il dispendio energetico comprende le seguenti componenti: 1)metabolismo basale o a riposo
(70%), 2) costo energetico per il metabolismo e il deposito dei nutrienti, 3) effetto termico
dell’esercizio fisico (5-10%), 4) termogenesi adattiva ( è quella che si verifica nel tessuto adiposo
bruno).
L’adipocita, oltre ad essere la sede di deposito del grasso, è anche una cellula endocrina che libera
molte molecole: la leptina, alcune citochine come il TNFα, l’IL-6, il fattore D del complemento,
l’inibitore dell’attivazione del plasminogeno I e l’angiotensinogeno.
La patogenesi dell’obesità non è ancora del tutto nota tuttavia questa viene comunemente
osservata all’interno di un gruppo familiare e l’ereditarietà del peso corporeo è simile a quella
dell’altezza. L’ereditarietà non è di tipo mendeliano e pertanto è difficile separare il ruolo dei
fattori genetici da quello dei fattori ambientali. Indubbiamente i geni influenzano la suscettibilità
all’obesità quando messi in relazione con diete specifiche e con la disponibilità dei nutrienti.
SINDROMI GENETICHE SPECIFICHE: Il topo con modificazioni genetiche del gene ob sviluppa grave
obesità, insulinoresistenza e iperfagia, ma anche un metabolismo efficiente. Il prodotto del gene
ob è il peptide leptina. Alti livelli di leptina riducono l’apporto di cibo e aumentano il dispendio di
energia. Anche altre mutazioni causano obesità anche se sono molto più rare. Tra queste
ricordiamo la mutazione del gene che codifica per la POMC, del proenzima convertasi-1 ( PC-1) ma
ce ne sono tanti altri con nomi strani e che è alquanto inutile che io li trascriva. Nella sindrome di
Prader-Willi l’obesità si accompagna a bassa statura, ritardo mentale, ipogonadismo
ipogonadotropo, ipotonia, mani e piedi piccoli, bocca a forma di pesce e iperfagia. La sindrome di
Bardet-Biedl è una malattia geneticamente eterogenea caratterizzata da obesità, ritardo mentale,
retinite pigmentosa, malformazioni renali e cardiache, polidattilia e ipogonadismo
ipogonadotropo.
ALTRE SINDROMI SPECIFICHE ASSOCIATE A OBESITÀ:
sindrome di Cushing: si valuta i livelli di cortisolo nel sangue e nelle urine in condizioni basali e in
risposta al CRH o all’ACTH per fare diagnosi differenziale.
Ipotiroidismo : si dosa il TSH
Insulinoma: Aumentano di peso a causa dell’iperalimentazione a cui ricorrono per evitare i sintomi
dell’ipoglicemia.
Craniofaringioma e altre malattie che coinvolgono l’ipotalamo.

CONSEGUENZA PATOLOGICHE DELL’OBESITÀ: L’obesità è sempre associata ad aumentata


mortalità, con aumento del 50-100% del rischio di morte per tutte le cause se confrontato con
quello degli individui normopeso, prevalentemente dovuto a cause cardiovascolari.
Iperinsulinemia e insulinoresistenza si riscontrano costantemente nell’obesità. Nonostante
l’insulinoresistenza, molti individui obesi non sviluppano il diabete e questo fa supporre che
l’insorgenza del diabete richieda un’interazione tra insulinoresistenza indotta dall’obesità e altri
fattori che predispongono al diabete, come un’alterazione della secrezione insulinica.
L’ipogonadismo maschile è associato ad aumento del tessuto adiposo, spesso distribuito secondo
un aspetto tipicamente femminile. Si può rilevare ginecomastia. Nella donna l’obesità è associata
ai disturbi mestruali, specie in caso di obesità nella parte superiore del corpo.
Nello studio di Framingham l’obesità è risultata essere un fattore di rischio indipendente per
l’incidenza di malattie cardiovascolari in uomini e donne, comprendendo malattia coronarica,
vasculopatia cerebrale e insufficienza cardiaca congestizia. L’obesità, specialmente quella
addominale, è associata a un profilo lipidemico aterogeno, con aumento delle lipoproteine a bassa
densità (LDL), delle VLDL e dei trigliceridi e riduzione delle HDL nonché’ dei livelli ridotti di
adiponectina.
L’obesità è associata ad alcune alterazioni della funzione respiratoria come una ridotta
distensibilità della gabbia toracica, un aumento del lavoro respiratorio, un aumento della
ventilazione al minuto dovuto ad un aumento del metabolismo basale e una ridotta capacità
polmonare totale con ridotta capacità funzionale residua.
Si associa ad aumentata secrezione biliare di colesterolo, con sovrasaturazione della bile e
maggiore incidenza di calcoli biliari, in particolare di colesterolo.
Nei maschi l’obesità si associa a una più alta mortalità per cancro, compresi il tumore dell’esofago,
del colon, del retto, del pancreas, del fegato e della prostata; nelle donne è associata a una
maggiore mortalità per cancro della colecisti, delle vie biliari, della mammella, dell’endometrio,
della cervice e dell’ovaio.
L’obesità è associata a un aumento del rischio di osteoartrite, senza dubbio dovuta in parte anche
al trauma del carico ponderale e all’alterazione dei rapporti articolari.
TRATTAMENTO
Terapia dietetica: iniziare con una riduzione di 500-1000 kcal/die rispetto alla dieta abituale.
Attività fisica e terapia: 30 minuto di attività fisica moderata al giorno tutti i giorni.
Terapia farmacologica: solo nei casi più gravi. Il trattamento studiato più a fondo è finalizzato alla
soppressione dell'appetito con farmaci attivi a livello centrale, che alterano i neurotrasmettitori
monoaminici. Una seconda strategia è quella di ridurre, nell'apparato gastrointestinale,
l'assorbimento selettivo di macronutrienti come i grassi. Questi due meccanismi costituiscono la
base per tutti i farmaci attualmente prescritti per l'obesità. Recentemente è stato identificato un
terzo obiettivo, rappresentato dal blocco selettivo del sistema degli endocannabinoidi.
CHIRURGIA: La chirurgia bariatrica può essere presa in considerazione per i pazienti con obesità
grave (BMI>40 kg/m^2) o per quelli con obesità moderata (BMI >35 kg/m^2) ma con una grave
condizione clinica associata.

DOMANDE: Obesità

EDEMA
Con il termine edema si definisce un aumento di volume dei liquidi interstiziali che può
raggiungere parecchi litri prima di dar luogo ad alterazioni clinicamente evidenti. Con il termine
anasarca si intende una condizione di edema massivo generalizzato. L’ascite e l’idrotorace sono
considerati forme particolari di edema. L’edema può essere distrettuale o diffuso e in questo caso
lo si riconosce per la comparsa di gonfiore al volto, nelle regioni periorbitali e per la persistenza
dell’impronta lasciava sulla cute dalla pressione digitale. Alla base di tutto abbiamo le forze di
Starling: ricordiamo che la pressione idrostatica all’interno dei vasi e quella colloido-osmotica nel
liquido interstiziale tendono a promuovere lo spostamento dei liquidi dai vasi verso lo spazio
extravascolare; al contrario, la pressione colloido-osmotica delle proteine plasmatiche e la
pressione idrostatica del liquido interstiziale, nota come tensione tissutale, spingono i liquidi nel
compartimento vascolare. Lo sviluppo dell’edema dipende da una o più alterazioni delle forza di
Starling, la cui sommatoria causa un movimento effettivo di liquidi dal sistema vascolare
all’interstizio oppure in una cavità corporea.
1. Aumento della pressione capillare responsabile di edema può verificarsi per aumento della
pressione venosa dovuto a un’ostruzione locale del drenaggio venoso. In questo caso la
pressione idrostatica nel distretto capillare a monte dell’ostruzione aumenta e determina
un passaggio maggiore di liquidi dallo spazio vascolare a quello interstiziale e poiché’ anche
la via di drenaggio dei vasi linfatici può essere ostruita, ne consegue un aumento del
volume dei liquidi interstiziali nell’arto compromesso. Ovviamente questo edema locale
causa un deplezione del volume intravascolare e a una conseguente ritenzione idrosalina.
2. La pressione colloido-osmotica del plasma può ridursi per una grave ipoalbuminemia.
Questa condizione può verificarsi nel caso di diminuzione della pressione colloido-osmotica
per perdita di grandi quantità di proteine con le urine nella sindrome nefrosica.
3. Può comparire per alterazioni dell’endotelio dei capillari che aumentino la loro
permeabilità e consentano in tal modo il passaggio di proteine nel compartimento
interstiziale. È questa presumibilmente la causa dell’edema di tipo infiammatorio, che non
mantiene l’impronta e che si associa però a rossore, calore e gonfiore.
4. Se si riduce il riempimento dell’albero arterioso si ha una diminuzione del sangue che
giunge a livello renale che causa l’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone.
Va ricordato che livelli stabilmente elevati di aldosterone non sempre causano edema (
“fuga dall’aldosterone”). Coloro che sviluppano edema hanno quindi una diminuzione di
questo meccanismo compensatorio ossia non sviluppano natriuresi pressoria.
5. L’arginina vasopressina se non decresce può contribuire all’iponatriemia e quindi alla
formazione degli edemi.
6. L’endotelina contribuisce alla vasocostrizione renale, alla ritenzione di sodio e all’edema.
7. Il peptide natriuretico atriale è in grado di antagonizzare la ritenzione di sodio e il rialzo
pressorio in condizioni di ipervolemia. Il peptide natriuretico cerebrale è simile al
precedente. Nell’insufficienza cardiaca e nella cirrosi con ascite i livelli di questi enzimi
sono alti ma non abbastanza per prevenire la formazione di edemi.
8. Nell’insufficienza cardiaca congestizia si verifica un accumulo di sangue nel circolo venoso a
spese del volume arterioso. Se la compromissione funzionale cardiaca coinvolge il
ventricolo destro, si può produrre un incremento pressorio nel letto venoso e capillare
sistemico, aumentando di conseguenza la trasudazione di liquido nello spazio interstiziale e
favorendo la formazione di edemi periferici. L’innalzamento della pressione venosa
sistemica si trasmette al dotto toracico con conseguente riduzione del drenaggio linfatico e
aggravamento degli edemi. Se invece la compromissione funzionale cardiaca coinvolge
primariamente il ventricolo sinistro, allora aumentano le pressioni venosa e capillare
polmonare e si innalza anche la pressione dell’arteria polmonare. Questo si traduce in un
difficoltoso svuotamento sistolico ventricolare destro con aumento della pressione
diastolica ventricolare destra e delle pressioni venosa centrale e sistemica. L’aumento della
pressione capillare polmonare può condurre ad edema polmonare.
9. Cirrosi
10. Indotto da farmaci
11. Edema idiopatico: frequente nelle donne ma senza relazione con il ciclo mestruale.
Pertanto non va confuso con l’edema ciclico o premestruale in cui la ritenzione di sodio e di
acqua può essere dovuta all’eccessiva stimolazione estrogenica.
12. Altre cause possono essere l’ipotiroidismo nel quale il mixedema è pretibiale. Ma anche
l’ipercorticosurrenalismo da cause esogene, la gravidanza, l’assunzione di estrogeni e di
vasodilatatori.
DOMANDE: classificazione edema ( risposta: generalizzato e distrettuale) e anasarca.

COLECISTI
 ANOMALIE CONGENITE :
Non sono rare e comprendono alterazioni di numero, dimensioni e morfologia della colecisti. La
colecisti a “berretto frigio” è un’anomalia clinicamente non rilevante nella quale il fondo della
colecisti viene separato dal corpo per la presenza di un setto.
 CALCOLI:
I calcoli possono essere di colesterolo (80%) oppure pigmentati (20%). I calcoli di colesterolo di
solito contengono più del 50% di colesterolo monoidrato più una miscela di sali di calcio, pigmenti
biliari, proteine e acidi grassi. I calcoli pigmentati sono composti principalmente di bilirubinato di
calcio, contengono meno del 20% di colesterolo e vengono suddivisi in neri e bruni o marroni.
CALCOLI DI COLESTEROLO E SABBIA BILIARE.
Si verificano quando il colesterolo è presente in eccesso rispetto ai fosfolipidi e agli acidi biliari. Il
meccanismo più importante è l’aumento della secrezione biliare di colesterolo che può verificarsi
in caso di obesità, dieta ipercalorica, dopo assunzione di farmaci o a causa dell’aumento
dell’attività di HMG-CoA. Oltre a fattori ambientali, quali una dieta ipercalorica e ricca di
colesterolo, l’ipersecrezione di colesterolo e la formazione di calcoli dipendono anche da fattori
genetici ( difetto genetico nella secrezione del colesterolo). Nonostante la supersaturazione della
bile con colesterolo sia un prerequisito importante per la formazione di calcoli non è sufficiente
poiché’ il tempo di permanenza della bile in colecisti è minore di quello necessario ai cristalli di
colesterolo per iniziare ad aggregarsi e accrescersi. Pertanto un importante meccanismo è la
nucleazione dei cristalli di colesterolo monoidrato che può essere accellerato per l’eccesso di
fattori che favoriscono la nucleazione o per la mancanza di fattori che impediscono la nucleazione.
Un terzo importante meccanismo è l’ipomobilità della colecisti che quindi aumenta il tempo di
permanenza della bile nella colecisti.
La sabbia è costituita da uno spesso materiale mucoso che appare composto da cristalli di
colesterolo-lecitina, cristalli di colesterolo monoidrato, bilirubinato di calcio e gel mucoso. La
formazione si associa a due condizioni: 1) alterazione del normale bilancio tra secrezione ed
eliminazione del muco della colecisti; 2) nucleazione di soluti biliari. Due altre condizioni sono
associate alla formazione di calcoli di colesterolo o di sabbia biliare: la gravidanza e le diete a
contenuto calorico molto basso.
CALCOLI PIGMENTARI.
I calcoli pigmentari neri sono formati da calcio bilirubinato puro o da complessi simili a polimeri
con calcio e glicoproteine della mucina. Sono più comuni in pazienti che presentano stati emolitici
cronici, cirrosi epatica, sindrome di Gilbert o fibrosi cistica. Sono dovuti alla presenza di aumentate
quantità di bilirubina non coniugata insolubile nella bile che precipita formando i calcoli.
DIAGNOSI: L’ecografia è una tecnica molto accurata per la diagnosi di colelitiasi e offre molti
vantaggi rispetto alla colecistografia.
SINTOMI: I calcoli diventano sintomatici quando causano infiammazione od ostruzione
conseguente alla loro migrazione nel dotto cistico o nel coledoco. Il sintomo più comune è la colica
biliare, un dolore intenso, costante, oppure avvertito come una pressione all’epigastrio o
all’ipocondrio destro frequentemente con irradiazione all’area interscapolare, scapolare destra o
alla spalla. Si accompagna spesso a nausea e vomito. Il persistere di elevati livelli di bilirubina
sierica è suggestivo di calcoli del coledoco.
TRATTAMENTO
Terapia chirurgica: una colecistectomia profilattica in paziente asintomatico deve essere basata su
3 fattori fondamentali: 1) presenza di sintomi così frequenti o così importanti da interferire con la
normale vita del paziente, 2) presenza di una pregressa complicanza della malattia, 3) presenza di
una concomitante condizione che aumenta il rischio di complicanze.
Terapia medica: l’acido ursodesossicolico ( UDCA) riduce la saturazione della bile da parte del
colesterolo, ritarda la nucleazione dei cristalli di colesterolo. Tuttavia poiché’ le recidive sono
frequenti e il farmaco è molto costoso non viene utilizzato frequentemente.
Terapia chirurgica: colecistectomia da effettuare in tempi brevi.
COMPLICANZE POST-COLECISTECTOMIA
Le complicanze precoci sono: Atelettasia e altre alterazioni polmonari, formazione di un ascesso,
emorragie esterne o interne, fistola bilioenterica o deiscenza biliare. Le sindromi post-
colecistectomia sono:
1. Stenosi delle vie biliari
2. Calcoli biliari ritenuti
3. Sindrome del moncone del dotto cistico: presenza di un lungo dotto cistico residuo ( >1
cm).
4. Disfunzione papillare, stenosi papillare, spasmo dello sfintere di Oddi e discinesia biliare.
5. Diarrea o gastrite da Sali biliari: dovute a un reflusso duodeno-gastrico di bile. La diarrea
abbastanza grave, con scariche 3-4 volve al giorno, si verifica poiché’ la colecistectomia
abbrevia il tempo di transito intestinale accelerando il passaggio delle feci attraverso il
colon che causa un aumento del deflusso di bile nel colon e un cambiamento nella
composizione degli acidi biliari ( con una maggior produzione di acidi biliari secondari che
stimolano maggiormente la diarrea).

COLECISTITE ACUTA

La colecistite acuta consegue in genere all’ostruzione del dotto cistico a opera di un calcolo. La
risposta infiammatoria può essere attribuita a tre tipi di meccanismi: 1) infiammazione meccanica
provocata da un aumento della pressione intraluminale e della distensione, con conseguente
ischemia della mucosa e della parete della colecisti; 2) infiammazione chimica causata dalla
liberazione di lisolecitina e di altri fattori tissutali locali; 3) infiammazione batterica, che
rappresenta nel 50-85% dei casi (Escherichia coli, Klebsiella, Streptococcus D, Staphylococcus e
Clostriudium.).
Clinicamente si manifesta come un dolore biliare progressivo ingravescente, sono frequenti le
recidive e tende a diventare più generalizzato nell’ambito del quadrante addominale superiore
destro. Può irradiarsi alla regione interscapolare, alla scapola destra o alla spalla. Il paziente
lamenta anoressia, nausea e vomito mentre l’ittero è raro. È presente febbre non elevata.
L’ipocondrio di destra si presenta quasi costantemente dolente alla palpazione; una colecisti
aumentata di volume e tesa è palpabile nel 25-50% dei casi. L’inspirazione profonda e il colpo di
tosse durante la palpazione sottocostale dell’ipocondrio destro determinano in genere
un’accentuazione della sintomatologia dolorosa e un arresto dell’atto inspiratorio ( segno di
Murphy).
La manovra di Murphy : Con la mano destra appoggiata a piatto sul quadrante superiore
destro dell'addome si premono le punte dell'indice e del medio sul punto colecistico: quest'ultimo
è situato sotto la decima costa di destra, a livello della sua estremità anteriore. A questo punto si
fa inspirare profondamente il paziente, sempre comprimendo il punto cistico: in questo modo la
colecisti viene spinta in basso e in avanti dal diaframma fino a toccare la parete anteriore
dell'addome. Se è presente una colecistite, oppure una calcolosi, il tocco dell'organo da parte delle
due dita esacerberà il dolore, per cui il paziente smetterà bruscamente di inspirare.
È frequente il riscontro di positività del segno di Blumberg in ipocondrio desto, la distensione
addominale e la riduzione della peristalsi da ileo paralitico, mentre in assenza di perforazione non
si riscontrano segni di peritonite generalizzata o contrattura addominale. La diagnosi viene posta
sulla base di una storia caratteristica e dell’esame obiettivo. La triade di dolore a esordio
improvviso nel quadrante superiore destro, febbre e leucocitosi è altamente indicativa. Con
l’ecografia è possibile individuare i segni della colecistite, che comprendono ispessimento della
parete, presenza di liquido pericolecistico e dilatazione del dotto cistico. Circa il 75% dei pazienti
trattati con terapia medica va incontro a remissione della sintomatologia acuta in 2-7 giorni di
ospedalizzazione. Tuttavia il 25% svilupperà una recidiva entro un anno e il 60% entro 6 anni.
Valutando la storia naturale della malattia, il trattamento di scelta per la colecistite acuta è
l’intervento chirurgico precoce.
TRATTAMENTO
Terapia medica: si effettua prima della colecistectomia. Sospensione dell’alimentazione per os,
all’aspirazione nasogastrica, correzione eventuali alterazioni idroelettrolitiche, riduzione del
volume extracellulare, analgesici ( meperidina o antiinfiammatori non steroidei), talvolta terapia
antibiotica per via endovenosa.

La sindrome di Mirizzi è una rara complicanza in cui in calcolo s’incunea nel dotto cistico o nel collo
della colecisti causando una compressione del coledoco che porta a occlusione coledocica e ittero.

COLECISTITE ALITIASICA: Nel 5-10% dei pazienti con colecistite acuta non si riscontrano calcoli che
ostruiscono il dotto cistico e nella metà dei casi non si trova una spiegazione per l’infiammazione.
Un rischio maggiore è associato a: gravi traumi o ustioni, puerperio dopo un parto prolungato,
interventi di chirurgia maggiore e ortopedici. L’incidenza di complicanze della colecistite alitiasica
supera quella della colecistite acuta.

COLECISTOPATIA ALITIASICA : Alterazioni della motilità della colecisti possono causare dolore
biliare ricorrente in pazienti senza calcoli nella colecisti. I criteri usati per identificare i pazienti
sono : 1) episodi ricorrenti di dolore all’ipocondrio destro; 2) frazione di eiezione inferiore al 40%
alla scintigrafia della colecisti con colecistochinina; 3) infusione di colecistochinina che riproduce il
dolore del paziente.

COLECISTITE ENFISEMATOSA: ha inizio da una colecistite acuta( con o senza calcoli) seguita da
ischemia o gangrena della parete della colecisti e successiva infezione da parte di germi che
producono gas ( anziani, maschi, diabete). La diagnosi si fa osservando la presenza di gas nel lune
colecistico o nei tessuti circostanti.

COLECISTITE CRONICA:
È quasi sempre associata alla presenza di calcoli e si ritiene consegua a ripetuti episodi di
colecistite acuta o subacuta, oppure alla persistente irritazione meccanica della parete da parte
dei calcoli. Nel 25% dei casi di colecistite cronica è presente contaminazione batterica della bile.
COMPLICANZE
EMPIEMA E IDROPE: di solito l’empiema è il risultato della progressione della colecistite acuta, con
ostruzione persistente del dotto cistico, verso una sovrainfezione della bile ristagnante con germi
piogeni. Si presenta con febbre elevata, dolore al quadrante superiore destro, leucocitosi marcata
e spesso stato di prostrazione.
Anche l’idrope e il mucocele possono conseguire all’ostruzione del dotto cistico, di solito
provocata da un voluminoso calcolo solitario. In tale situazione il lume ostruito viene
progressivamente disteso, dopo un certo periodo di tempo, da muco ( mucocele) o da un
trasudato chiaro ( idrope), prodotto dalle cellule dell’epitelio mucoso. Spesso è asintomatico,
anche se talvolta viene riferita una sintomatologia dolorosa cronica all’ipocondrio destro. In
entrambi i casi è indicata la colecistectomia poiché’ può andare incontro a perforazione o
gangrena.
GANGRENA E PERFORAZIONE: la gangrena della colecisti consegue all’ischemia della parete con
necrosi a chiazze o completa. Predispone alla perforazione della colecisti. Una perforazione
localizzata è generalmente tamponata dall’omento o da aderenze prodotte dalle infiammazioni
ricorrenti della colecisti. Una sovrainfezione batterica del contenuto della colecisti ostruita porta
alla formazione di ascesso. Si interviene con una colecistectomia. La perforazione libera è meno
comune ma si associa nel 50% dei casi a morte.
FORMAZIONE DI FISTOLE E ILEO BILIARE: La fistolizzazione in un organo adiacente alla parete della
colecisti può far seguito all’infiammazione e alla successiva adesione delle due strutture. Le fistole
nel duodeno sono le più frequenti, seguite da quelle che interessano la flessura epatica, stomaco,
digiuno, parete addominale, pelvi renale.
L’ileo da calcoli è determinato da un’ostruzione meccanica conseguente al passaggio di un
voluminoso calcolo biliare nel lume intestinale. Penetra nel duodeno attraverso una fistola
colecistoenterica. I grossi calcoli predispongono alla formazione di fistole per effetto della
graduale erosione del fondo della colecisti. Laparotomia con estrazione del calcolo.
SABBIA BILIARE E COLECISTI A PORCELLANA: Se la sabbia biliare si complica con un’idrope della
colecisti è raccomandata la colecistectomia. Nella colecisti a porcellana si ha la deposizione di sali
di calcio nella parete di una colecisti sede di un processo infiammatorio cronico. Colecistectomia.

DOMANDE: dove si trova il punto colecistico,

MALATTIE DEI DOTTI BILIARI

 ANOMALIE CONGENITE
ATRESIA E IPOPLASIA DELLE VIE BILIARI: è la più frequente anomalia di rilevanza clinica
nell’infanzia. Il quadro clinico consiste nella comparsa di un grave ittero ostruttivo nel corso del
primo mese di vita con feci acoliche.
CISTI DEL COLEDOCO: una dilatazione cistica può interessare la porzione libera del coledoco ( cisti
del coledoco propriamente detta) oppure presentarsi sotto forma di diverticolo del suo segmento
intraduodenale. In quest’ultima condizione, il reflusso cronico di succo pancreatico nell’albero
biliare può indurre infiammazione e stenosi delle vie biliari extraepatiche, con conseguente
colangite e ostruzione biliare.
ECTASIA BILIARE CONGENITA: la dilatazione cistica dei dotti biliari intrepatici può interessare i rami
intraepatici principali ( malattia di Caroli) o i dotti inter- e intra lobulari ( fibrosi epatica congenita),
oppure entrambi contemporaneamente.

 COLEDOLITIASI
Il passaggio di calcoli nel dotto biliare si verifica nel 10-15% dei pazienti con colelitiasi. Nella
maggioranza dei casi sono calcoli che si formano all’interno della colecisti e che migrano
nell’albero biliare extraepatico attraverso il dotto cistico, mentre quelli che si formano de novo nei
dotti biliari sono di solito calcoli pigmentari. Possono essere asintomatici o dar luogo a una colica
biliare o a complicanze.
COMPLICANZE
COLANGITE: La colangite è una complicanza della coledolitiasi. Può essere acuta o cronica e la
sintomatologia, di tipo infiammatorio, è dovuta di solito a un parziale ostacolo al deflusso biliare. Il
quadro clinico è rappresentato da dolore biliare, ittero e puntate febbrili con brividi scuotenti
(triade di Charcot). La forma più comune è quella non suppurativa, che risponde rapidamente al
trattamento antibiotico associato a terapia di supporto. Nella forma suppurativa, la presenza di
materiale purulento, non drenabile, all’interno dell’albero biliare porta a un quadro clinico di grave
tossiemia con confusione mentale, batteriemia e shock settico. La mortalità in questo caso è vicina
al 100%.
ITTERO OSTRUTTIVO: Un’ostruzione del coledoco che si instauri progressivamente nell’arco di
settimane o mesi determina, come sintomo iniziale la comparsa di ittero o prurito, senza un
quadro di colica biliare o colangite. È presente molto frequentemente una colecistite cronica,
situazione che comporta una scarsa possibilità di distensione della colecisti e questa non è
palpabile: infatti per la legge di Courvoisier, la presenza di una colecisti aumentata di volume e
palpabile è espressione di un’ostruzione biliare di natura maligna e non di calcolosi. L’ostruzione
biliare determina una progressiva dilatazione dei dotti biliari intraepatici con aumento della
pressione intrabiliare. Il flusso epatico di bile viene bloccato e il riassorbimento e il riflusso della
bilirubina coniugata nel torrente circolatorio conducono all’ittero associato a urine ipercromiche e
feci acoliche.
PANCREATITE: Una concomitante pancreatite dovrebbe essere sempre sospettata nel paziente
con un quadro clinico di colecistite acuta che presenti: 1) dolore dorsale o all'emiaddome sinistro;
2) vomito protratto con ileo paralitico; 3) versamento pleurico, soprattutto sinistro.
CIRROSI BILIARE SECONDARIA: Si verifica frequentemente quando vi è un’ostruzione prolungata
dovuta a neoplasia o stenosi.

La diagnosi di coledocolitiasi viene posta sulla base di una colangiografia.

 TRAUMI, STENOSI ED EMBOLIA


La stenosi benigna che si verifica inseguito a colecistectomia è 1/5000.
L’embolia può essere conseguenza di un danno traumatico o chirurgico del fegato o dei dotti
biliari, della rottura intraduttale di un ascesso epatico o di un aneurisma dell’arteria epatica,
oppure del sanguinamento di una neoplasia biliare o epatica, di una complicanza meccanica della
coledocolitiasi o di parassitosi epatobiliare.

 COMPRESSIONE ESTRINSECA DEI DOTTI BILIARI


Può portare a un’ostruzione biliare parziale o completa. La più comune causa di ittero ostruttivo è
rappresentata dal carcinoma della testa del pancreas.

 PARASSITOSI EPATOBILIARE
Infestazione delle vie biliari da parte di elminti adulti o delle loro uova è piuttosto rara e può
essere riscontrata nelle popolazioni della Cina meridionale e nel Sudest asiatico.

 COLANGITE SCLEROSANTE ( soprattutto Rugarli)


È un’affezione che consiste in un progressivo processo di infiammazione, sclerosi e obliterazione
delle vie biliari extraepatiche (2%) e spesso anche intraepatiche ( 11%, in questi casi sarebbe
preferibile la denominazione di pericolangite) oppure, nella maggior parte dei casi ( 87%)
entrambe. Nell’87% dei casi si manifesta in associazione a colite ulcerosa ma può presentarsi
anche in associazione con sindromi fibrosclerotiche ( come la fibrosi retroperitoneale, mediastinica
e/o periureterale) o con la celiachia, tiroidite di Riedel, pancreatite cronica, sindrome di Sjogren,
l’artrite reumatoide, il diabete mellito, ecc. Si presenta con segni e sintomi di ostruzione biliare
cronica o intermittente, quali ittero, prurito, dolore all’ipocondrio destro o colangite acute. Più
tardivamente possono comparire ostruzione biliare completa, cirrosi biliare secondaria,
insufficienza epatica e ipertensione portale. Non si sa bene quale sia l’eziopatogenesi, tuttavia
sono state ipotizzati alcuni fattori coinvolti come fattori infettivi ( nessuna conferma attendibile),
fattori tossici e fattori genetici ( HLA-B8 o HLA-DR3). Degni di menzione sono invece i fattori
immunitari che molto probabilmente giocano un ruolo cruciale: grande interesse ha suscitato il
frequente riscontro in questi pazienti di p-ANCA e infatti il loro titolo si correla con l’andamento
della malattia. Inoltre queste cellule dell’epitelio biliare esprimono un antigene che normalmente
è presente sulle cellule della mucosa del colon, che costituisce, di regola, un bersaglio della
reazione immunitaria che si verifica nella colite ulcerosa. Il reperto colangiografico evidenzia dotti
ispessiti, con lume ristretto e aspetto a corona di rosario. La sopravvivenza media dal momento
della diagnosi è di circa 12 anni.
TRATTAMENTO: la somministrazione di colestiramina può essere utile per controllare il prurito,
mentre in presenza di quadri di colangite si rende necessaria la somministrazione di antibiotici. La
colangite sclerosante primitiva è una delle più frequenti indicazioni al trapianto epatico tuttavia in
questi pazienti è frequente il rigetto cronico.

DOMANDE: Vie biliari

CANDIDOSI ORALE
La candidasi orofaringea (mughetto) è causata da una varietà di specie di
Candida, tra le quali la più comune è C. albicans. La candidasi colpisce soprattutto i neonati, i
pazienti immunocompromessi (soprattutto i malati di AIDS) e i soggetti che hanno assunto
antibiotici per lungo tempo o sono stati sottoposti a terapia a base di glucocorticoidi. Oltre al mal
di gola, i pazienti spesso lamentano bruciore alla lingua e all'esame obiettivo si osservano placche
friabili bianche o grigiastre sulla gengiva, la lingua c la mucosa orale. Il trattamento che di norma
consiste nella somministrazione di una sospensione antimicotica orale (nistatina o clotrimazolo) o
fluconazolo per os porta di solito a guarigione. Nei rari casi di candidosi refrattaria al fluconazolo,
rilevati saltuariamente in pazienti affetti da AIDS, altre opzioni terapeutiche includono sospensioni
orali di itraconazolo, l'amfotericina B o il voriconazolo, cosi come le echinocandine per via
endovenosa (caspofungina, micafungina c anidulafungina).
MALATTIE DEL SISTEMA ENDOCRINO
MALATTIE DEL SISTEMA IPOTALAMO-IPOFISARIO:

DEFICIT IPOTALAMICI E DELL’IPOFISI ANTERIORE:

L’ipopituitarismo (funzione ipofisaria ridotta) può essere dovuta a patologie ereditarie o, più comunemente, a l’effetto massa di
tumori sellari, processi infiammatori o danni vascolari.

-Ipopituitarismo da cause genetiche e anomalie di sviluppo:

1) Displasia ipofisaria: può risultare in uno sviluppo della ghiandola di tipo aplastico, ipoplastico o ectopico. Si può associare a
disordini craniofacciali (labiopalatoschisi, ipertelorismo, ipoplasia del n. ottico). Disfunzioni ipotalamiche e ipofisarie possono
inoltre derivare da disgenesie del setto pellucido o del corpo calloso (dispalsia setto-ottica) causate da mutazioni di un gene
coinvolto nello sviluppo del proencefalo ventrale. Questi bambini sviluppano deformità, anosmia, deficit nello sviluppo, diabete
insipido, e presentano deficit di GH e talvolta TSH.

2) Mutazioni di fattori tessuto-specifici: autosomiche dominanti o recessive di Pit-1 portano a deficit combinato di GH, PRL e TSH.
Mutazioni di Prop-1 portano a un deficit anche di gonadotropine (ritardi di crescita, ipotiroidismo, ipogonadismi con assenza di
pubertà spontanea).

3) Disfunzioni dello sviluppo ipotalamico (Sindrome di Kallmann): deficit di sintesi di GnRH ipotalamica, associabile ad anosmia,
cecità per i colori, varie anomalie neurologiche, assenza di sviluppo puberale con ipogonadismo (micropene nel M e amenorrea
nella F).

4) Altre sindromi, tra cui la Prader-Willi (sempre deficit di GnRH)

-Ipopituitarismo acquisito:

1) Malattie infiltrative ipotalamiche (sarcoidosi, emocromatosi, istiocitosi X e amiloidosi)

2) Lesioni infiammatorie (tbc, sifilide terziaria e infezioni fungine associate all’AIDS)

3) Irradiazione terapeutica cranica (più suscettibili: bambini e adolescenti)

4) Ipofisite linfocitaria: soprattutto donne incinte o post-partum, alla RM si presenta come una massa associata a iperprolattinemia
e VES aumentata. Terapia steroidea e la funzione ipofisaria generalmente viene recuperata.

4) Apoplessia ipofisaria: eventi vascolari emorragici acuti possono insorgere spontaneamente in un adenoma ipofisario preesistente
oppure nel periodo post-partum (sindrome di Sheehan) o, ancora, associati a diabete, ipertensione o shock acuto. Rappresenta
un’urgenza endocrina che può portare a ipoglicemia, ipotensione, emorragia del SNC e infine a morte. Localizzabile con TAC e RM
che evidenziano segni di emorragia intratumorale o intrasellare, con deviazione del peduncolo ipofisario o compressione del resto
del ghiandola.

5) Sella vuota: spesso reperto occasionale alla RM, perché spesso la funzionalità della ghiandola viene conservata, anche se
l’ipopituitarismo può insorgere in maniera insidiosa.

Clinica: le manifestazioni dipendono dal deficit ormonale e dall’estensione del danno.

Diagnosi: dimostrazione di bassi livelli di tropine ipofisarie e dei


corrispettivi ormoni secreti dagli organi bersaglio. Si possono inoltre
fare dei test di stimolazione per valutare la riserva ormonale
ipofisaria.

Terapia: sostitutiva ormonale.


MASSE IPOTALAMICHE, IPOFISARIE E SELLARI:

-Tumori ipofisari: gli adenomi ipofisari rappresentano la causa più comune di ipersecrezione ormonale nonché una delle più
frequenti sindromi da ipofunzione ipofisaria dell’adulto. Possono originare da cellule tireotrope, lattotrope, somatotrope,
corticotrope o gonadotrope. Esistono tumori secernenti misti (GH, PRL, TSH e ACTH). Circa un terzo di tali adenomi sono non
funzionanti, perciò non danno sindromi da ipersecrezione ormonale. Carcinomi con metastasi extracraniche sono estremamente
rari. Quasi tutti gli adenomi ipofisari sono di origine monoclonale in quanto acquisiscono una o più mutazioni somatiche che
conferiscono un vantaggio di crescita selettivo. Importante è ricordare che ormoni ipotalamici come il GHRH e CRH, oltre al ruolo di
regolazione ipofisaria, possono indurre un aumento dell’attività mitotica delle rispettive cellule bersaglio. Ne deriva che pazienti
portatori di rari tumori ectopici che producono tali ormoni possono presentare iperplasia somatotropa o corticotropa.

Esistono anche sindromi genetiche associate a tumori ipofisari:

 MEN 1 (prolattinomi più frequentemente, mentre in rari casi si osservano acromegalia e morbo di Cushing)
 Sindrome di Carney (pigmentazione cutanea a chiazze, mixomi e tumori endocrini quali testicolari, surrenali e ipofisari)
 Sindrome di McCune-Albright (displasia fibrosa poliostosica, macchie cutanee color caffèlatte e varie alterazioni
endocrine, come adenomi GH-secernenti e surrenalici, una funzione ovarica endocrina)
 Acromegalia familiare (rara)

-Altre masse sellari:

 Craniofaringiomi: derivano dalla tasca di Rathke, spesso grandi e parzialmente calcificati. Si presentano con segni legati
all’aumento della pressione intracranica (vomito, nausea, cefalea, papilledema e idrocefalo). Altri sintomi sono legati alle
alterazioni del campo visivo e diabete insipido. Terapia prevede la resezione chirurgica e terapia radiante dei residui
tumorali. Spesso richiede una terapia sostitutiva ormonale a vita.
 Cisti della tasca di Rathke: deriva da una sua mancata chiusura. Dà sintomi compressivi, diabete insipido,
iperprolattinemia da compressione del peduncolo ipofisario.
 Cordomi della sella (RM)
 Meningiomi
 Istiocitosi X: comprende una varietà di sindromi associate a foci di granulomi eosinofili.
 Metastasi ipofisarie: soprattutto nella neuroipofisi e più della metà derivano da tumori mammari.
 Amartomi ipotalamici e gangliocitomi: possono originare da astrociti, oligodendrociti e neuroni con diversi gradi di
differenziazione. Possono produrre GnRH, GHRH o CRH. Raramente gli amartomi si associano ad altre caratteristiche
cliniche come alterazioni craniofacciali, ano imperforato, anomalie renali, cardiache, polmonari e insufficienza ipofisaria
(sindrome di Pallister-Hall).
 Gliomi ipotalamici e ottici.
 Germinomi, carcinomi embrionali, teratomi e coriocarcinomi: producono hCG. Si manifestano con pubertà precoce,
diabete insipido, alterazioni del campo visivo e alterazioni nella regolazione del senso della sete.

EFFETTI METABOLICI DELLE LESIONI IPOTALAMICHE:

In base alla regione interessata si avranno degli effetti diversi: lesioni della regione anteriore e preottica dell’ipotalamo provocano
vasocostrizione paradossa, tachicardia e ipertermia.

Disordini più gravi della termoregolazione sono però a carico della regione posteriore e nel complesso danno la sindrome da
ipotermia periodica, caratterizzata da temperatura rettale minore di 30°, sudorazione, vomito, bradicardia.

Danni al nucleo ventro-mediale sono la causa di iperfagia e obesità (alterazioni dell’appetito). Possono essere presenti altri disturbi,
ma non nel 100% dei casi e sono: diabete insipido, deficit nella crescita, polidipsia o ipodipsia, sonnolenza e alterazioni del ciclo del
sonno, disturbi dell’emotività.

VALUTAZIONE CLINICA:
Effetti massa locali: sintomo comune è la cefalea, la cui intensità è raramente proporzionale alle dimensioni e all’estensione del
tumore. Sono presenti disturbi della vista, compressione del peduncolo ipofisario (determina iperprolattinemia e caduta dei livelli
degli altri ormoni ipofisari). Se la massa si estende lateralmente e invade il seno cavernoso, si possono avere deficit dei nervi III, IV e
VI e danneggiamento dei rami oftalmico e mascellare del V (diplopia, ptosi-spostamento verso il basso dell’occhio-, oftalmoplegia e
deficit sensitivi a livello facciale.

Valutazione oftalmologica: la perdita della percezione del colore rosso è un segno precoce di compressione del tratto ottico. Anche
l’emianopsia bitemporale o difetti bitemporali superiori si osservano con relativa frequenza.

Indagini di laboratorio: si effettua una valutazione ormonale che generalmente comprende: 1) PRL basale; 2) IGF-I; 3)cortisolo
libero urinario nel corso delle 24 ore e/o test di soppressione overnight con desametasone; 4) subunità α, FSH e LH; 5) esami di
funzionalità tiroidea. E’ opportuno effettuare anche un esame istologico della massa per via trans-sfenoidale, per valutarne la
natura.

TERAPIA:

Le manifestazioni cliniche derivano dall’effetto massa o dall’iper/iposecrezione ormonale causata direttamente dall’adenoma o dal
trattamento. Per questo è necessario seguire il paziente per tutta la vita.

Bisogna visualizzare la massa con RM (con somministrazione di gadolinio) innanzitutto, dopodiché vi sono vari approcci:

 Chirurgia trans-sfenoidale: preferibile all’approccio classico per via transfrontale, tranne che per rare masse invasive
sovrasellari. Quando possibile, la lesione ipofisaria deve essere rimossa in modo selettivo; il tessuto normale e sano
dovrebbe quindi essere manipolato o rimosso solo se ciò risulta indispensabile per l’effettiva dissezione del tumore.
Quest’ultima procedura comporta frequentemente la comparsa di ipopituitarismo e quindi la necessità di una terapia
sostitutiva a vita. La mortalità legata a questo intervento è dell’1% e i danni permanenti sono in genere molto rari nella
rimozione di microadenomi.
 Radioterapia: utilizzabile come trattamento primario o per masse ipofisarie o parasellari oppure, più frequentemente,
dopo terapia chirurgica o trattamento medico. L’irradiazione è mirata e ad alto voltaggio. Utilizzata su adenomi non
funzionanti, mentre su quelli secernenti PRL, GH e ACTH si può agire con una concomitante terapia farmacologica.
Effetti collaterali: nausea, astenia. Alopecia, perdita del gusto e anosmia possono durare a lungo. Deficit di GH, ACTH,
TSH e gonadotropine si può verificare entro 10 anni dalla terapia radiante.
 Terapia medica: altamente specifica e dipende dal tipo di tumore. Per i prolattinomi si usano dopaminoagonisti, per
l’acromegalia e i TSH-secernenti sono indicati principalmente gli analoghi della somatostatina.

PROLATTINA:

IPERPROLATTINEMIA:

E’ la più comune causa di ipersecrezione ormonale da parte dell’ipofisi, sia nell’uomo che nella donna. Gli adenomi PRL-secernenti
(prolattinomi) sono la causa più frequente di valori di prolattina ≥100microg/L. Per valori compresi tra 30 e 100 microg/L le cause
possono essere un microprolattinoma (≤1cm) oppure, più facilmente, farmaci (che bloccano i recettori della dopamina, inibitori
della sintesi di dopamina, inibitori delle catecolamine e oppiacei), compressione del peduncolo ipofisario, ipotiroidismo o
insufficienza renale. Esiste anche l’iperprolattinemia fisiologica, durante la gravidanza, allattamento, stimolazione del capezzolo,
orgasmo, legata al sonno e allo stress.

Manifestazioni cliniche e diagnosi: nelle donne si manifesta con amenorrea, galattorrea, infertilità, secchezza vaginale, dispareunia
(dolore femminile durante il coito) e perdita della libido. Si può assistere anche a una riduzione della densità ossea vertebrale
(dovuto all’ipoestrogenismo). Negli uomini si presenta soprattutto con perdita della libido, impotenza, oligospermia (ridotti livelli di
testosterone) e alterazioni visive dovute alla compressione delle vie ottiche. La galattorrea è rara. Se il disturbo è di lunga durata, si
assiste a osteopenia e riduzione della massa muscolare.

Indagini di laboratorio: si misura la PRL basale, la mattina a digiuno (normalmente sono inferiori a 20 microg/L). E’ necessario
procedere al dosaggio in più occasioni, soprattutto se il sospetto diagnostico è alto. L’ipotiroidismo deve essere escluso mediante
dosaggio di TSH e fT4.
Terapia: dipende dall’eziologia, però, indipendentemente dalla causa, la terapia dovrebbe essere mirata a normalizzare i valori di
PRL. I dopamino-agonisti sono efficaci in molte forme di iperprolattinemia (vd. Prolattinomi). Nell’ipotiroidismo si risolve con
adeguata terapia tiroidea e nei pazienti con insufficienza renale dopo trapianto di rene o dialisi.

PROLATTINOMA:

Rappresentano circa la metà dei tumori ipofisari funzionanti. Rapporto M:F è di circa 1:20 per i microadenomi, mentre sale a 1:1
per i macroadenomi. Sono a crescita lenta. Oltre ai sintomi legati all’iperprolattinemia possono dare anche effetto massa.

Terapia: nel 30% dei casi con microadenoma, l’iperprolattinemia si risolve spontaneamente.

o Terapia medica: i dopamino-agonisti per via orale rappresentano il trattamento di scelta in pazienti con micro-
e macroprolattinomi. Sono in grado di sopprimere la sintesi di PRL, nonché la proliferazione delle cellule
lattotrope:
-BROMOCRIPTINA: normalizza la PRL, riduce le dimensione del tumore e ristabilisce la funzione gonadica.
Inizialmente si somministrano basse dosi (0,625-1,25 mg), da assumere prima di coricarsi, a stomaco pieno;
tale dose va poi aumentata gradualmente. La maggior parte dei paziente richiede una dose giornaliera ≤7,5 mg
(2,5 mg tre volte al giorno).
-CABERGOLINA: a lunga durata d’azione. Con un’unica somministrazione orale può sopprimere la secrezione di
PRL per più di 14 giorni. Una dose pari a 0,5-1 mg due volte a settimana induce normoprolattinemia e recupero
della funzione gonadica nell’80% dei casi.
-ALTRI DOPAMINO-AGONISTI: pergolide mesilato, quinagolide.
o Terapia chirurgica
o Gravidanza: per le donne in terapia con bromocriptina il farmaco deve essere sospeso e i livelli di PRL
costantemente monitorati (specialmente in caso di insorgenza di cefalea o disturbi visivi), perché durante la
gravidanza solo il 5% dei microadenomi aumenta di dimensioni in modo significativo, ma ben il 30% dei
macroadenomi aumenta eccessivamente.

Diagnosi e trattamento dell’iperprolattinemia

ORMONE DELLA CRESCITA:

1)DEFICIT DI GH NEL BAMBINO:

 Deficit di GH isolato: caratterizzato da bassa statura, micropene, aumento della massa grassa, voce acuta e tendenza
all’ipoglicemia. L’eziologia non è identificabile nella maggior parte dei pz. In circa un terzo è presente una trasmissione
familiare (dominate, recessiva oppure X-linked). Mutazioni di fattori di trascrizione come Pit-1 e Prop-1, che regolano la
differenziazione delle cellule somatotrope, causano deficit di GH associato a quello di altre tropine ipofisarie.
 Mutazione del recettore del GHRH: recessive
 Insensibilità al GH: difetti nella struttura del recettore o della via di trasmissione del segnale del GH. Essi si associano a
insensibilità totale o parziale al GH e dunque deficit nella crescita (sindrome di Laron). Si riscontrano livelli normali o
elevati di GH e valori bassi di GHBP e IGF-I.
 Bassa statura di origine nutrizionale: deprivazione calorica e malnutrizione, diabete mal controllato e insufficienza renale
cronica rappresentano cause secondarie di alterata funzione del recettore del GH.
 Bassa statura di origine psicosociale: deprivazioni emotive e sociali portano al ritardo di crescita, accompagnato a ritardo
nell’acquisizione del linguaggio, iperfagia e risposta ridotta alla somministrazione di GH. Il miglioramento delle condizioni
ambientali generalmente induce il recupero della velocità di crescita.

Clinica e diagnosi: la bassa statura è di frequente riscontro e dovrebbe essere attentamente indagata quando l’altezza del bambino
è più di 3 DS (deviazioni standard) sotto la media in base all’età, in presenza di una riduzione della velocità di crescita. La
maturazione scheletrica può essere valutata tramite misurazione radiologica.

Indagini di laboratorio: dato che la secrezione di GH è pulsatile, il deficit di GH viene valutato meglio esaminando la risposta a
stimoli provocativi quali l’esercizio fisico, ipoglicemia indotta da insulina (deve essere evitato nei bambini epilettici) e altri test
farmacologici che siano in grado di indurre nel bambino normale un aumento del GH≥7 microg/L. Una RM dell’ipofisi può mettere
in evidenza lesioni tumorali o difetti strutturali.

Terapia: la terapia sostitutiva con GH ricombinante (0,02-0,05 mg/kg/die per via sottocutanea) ristabilisce la velocità di crescita nei
bambini con deficit di GH fino a 10 cm/anno. Nei bambini con insensibilità al GH e ritardo di crescita dovuto a mutazioni nel
recettore del GH, il trattamento con IGF-I consente di aggirare la disfunzione recettoriale.

2) DEFICIT DI GH NELL’ADULTO: disturbo generalmente causato da un danno ipotalamico o ipofisario. Nell’ipopituitarismo


generalmente l’ordine sequenziale di perdita dei diversi ormoni ipofisari è il seguente: GH-LH/FSH-TSH.ACTH. Per cui, quando si
accerta la presenza di ipogonadismo centrale, ipotiroidismo e/o iposurrenalismo, un deficit concomitante di GH è praticamente
certo.

Clinica e diagnosi:

 alterazioni della qualità di vita: riduzione dell’energia e della concentrazione, bassa autostima, isolamento sociale.
 Alterazione della composizione corporea: aumento della massa grassa, distribuzione centripeta del grasso viscerale intra-
addominale, riduzione della massa magra.
 Diminuzione del rendimento nell’esercizio fisico: riduzione massima captazione di O2, alterazioni della funzione cardiaca
e della massa muscolare.
 Fattori di rischio cardiovascolari: alterazione struttura e funzione ventricolare sinistra, iperlipidemie, ipertensione
arteriosa, riduzione attività fibrinolitica con aumento dei livelli plasmatici di fibrinogeno.
 Riduzione densità ossea con aumento del numero di fratture.

Indagini di laboratorio: Salvo poche eccezioni, le indagini dovrebbero essere limitate ai pz che presentano i seguenti fattori
predisponenti:

1) Pregresso intervento chirurgico all’ipofisi


2) Tumori o granulomi della regione ipotalamo-ipofisaria
3) Irradiazione cranica
4) Evidenza radiologica di lesione ipofisaria
5) Terapia sostitutiva con GH durante l’infanzia
6) Ridotti livelli di IGF-I (più raramente)

L’AGDH (adult growth hormone deficiency) viene diagnosticato in base al riscontro di valori di GH<3microg/L in risposta a test
provocativi standard. Il test a maggiore sensibilità è quello dell’ipoglicemia indotta da insulina (0,05-0,1 U/kg). Quando si raggiunge
una riduzione dei valori di glicemia al di sotto dei 40 mg/dl, la maggior parte dei soggetti manifesta sintomi neuroglicopenici e
parallelamente si assiste a un picco di GH entro 60 min, che persiste nelle 2 ore successive. Il 90% degli adulti normali presenta una
risposta del GH>5microg/L. Gli affetti da AGDH hanno GH<3microg/L. Il test di tolleranza insulinica (ITT) è controindicato in pz
dabetici, quelli con malattia cardiaca ischemica, con malattia cerebrovascolare, nel pz epilettico e nell’anziano. Esistono test di
stimolazione alternativi: test con L-dopa (500mg per os), con arginina e.v. (30 g) e con GHRH (1 microg/kg).

Terapia: sostitutiva con GH con dose iniziale di 0,15-0,3 mg/die e poi aggiustamento della dose fino a un massimo di 1,25 mg/die.
Controindicazioni a tale terapia comprendono la presenza di neoplasia in fase attiva, ipertensione intracranica, diabete non
controllato e retinopatia. I pz già in terapia con insulina devono essere monitorati attentamente in quanto il GH è un
controregolatore dell’insulina molto potente.

3)ACROMEGALIA: l’ipersecrezione di GH è generalmente il risultato di adenomi di origine somatotropa o di tumori misti (GH e PRL);
infatti raramente è causata da lesioni extraipofisarie. Esistono inoltre rari tumori GH-secernenti che originano da tessuto ectopico
ipofisario localizzato nel nasofaringe o nei seni della linea mediana oppure esistono casi di secrezione ectopica di GH da parte di
tumori pancreatici, ovarici o polmonari. Anche l’eccesso di GHRH può provocare acromegalia, in seguito a un’eccessiva stimolazione
delle cellule somatotrope.

Clinica e diagnosi: la caratteristica crescita delle ossa acrali si manifesta con protrusione frontale, aumento delle dimensioni di mani
e piedi, ingrandimento della mandibola con prognatismo e diastasi dentaria. Nei bambini e negli adolescenti (prima della saldatura
dell’epifisi delle ossa lunghe) si assiste allo sviluppo del gigantismo ipofisario. L’acromegalia è caratterizzata da un aumento della
misura di scarpe e guanti, lineamenti grossolani, naso largo e carnoso. Frequenti sono iperidrosi, voce profonda e bassa, cute
oleosa, artropatia, cifosi, sindrome del tunnel carpale, indebolimento della muscolatura prossimale. Infine i pz presentano
visceromegalia generalizzata (cuore, tiroide, lingua). L’impatto clinico principale è l’interessamento del sistema cardiovascolare;
infatti frequentemente si riscontrano: malattia coronarica, cardiomiopatia associata ad aritmie, ipertrofia ventricolare sinistra e
ipertensione arteriosa. Complicanze sono l’ostruzione delle vie aeree superiori, diabete mellito (anche se più spesso è presente
intolleranza glucidica se viene effettuato l’OGTT), rischio di sviluppare polipi e neoplasie maligne del colon. La mortalità globale è
aumentata di 3 volte rispetto alla popolazione normale.

Indagini di laboratorio: La determinazione di elevati livelli di IGF-I rappresenta un utile screening. La diagnosi di acromegalia viene
confermata dalla mancata riduzione di GH al di sotto di 1 microg/L a 1 e 2 ore dalla somministrazione di una carico orale di glucosio
(75g).

Terapia: la resezione chirurgica per via transfenoidale degli adenomi GH-secernenti costituisce il trattamento di prima scelta per la
maggior parte dei pazienti. Gli analoghi della somatostatina vengono utilizzati in fase pre-operatoria per ridurre le dimensioni del
tumore, danno inoltre un rapido sollievo dai sintomi della malattia. Uno di questi analoghi è l’octreotide acetato con emivita di 2
ore e 40 volte più potente della somatostatina. Viene somministrato per via sottocutanea, iniziando con una dose di 50 microg tre
volte al giorno; tale dose si può aumentare fino ai 1500microg/die. Gli analoghi sono ben tollerati nella maggior parte dei casi. Vi
sono alcuni effetti collaterali quali nausea, dolori addominali, malassorbimento dei grassi, diarrea e flatulenza, ma regrediscono nel
giro di 2 settimane. Si possono utilizzare anche i dopamino-agonisti, come la bromocriptina, che sopprime la secrezione di GH in pz
acromegalici, in particolare nei casi di concomitante secrezione di PRL. La terapia combinata con octreotide e bromocriptina induce
un controllo biochimico maggiore rispetto a quello ottenuto con ciascun trattamento in monoterapia.

ORMONE ADRENOCORTICOTROPO:

1)DEFICIT DI ACTH: dà insufficienza surrenalica secondaria. Caratterizzata da astenia, debolezza, anoressia, nausea, vomito e
talvolta ipoglicemia (ridotta contro regolazione insulinica). Non si accompagna a iperpigmentazione cutanea e deficit di
mineralcorticoidi. Cause:

A. brusca sospensione di una terapia steroidea (inibizione asse IIS).


B. asportazione chirurgica di un adenoma ACTH-secernente che ha inibito l’asse IIS.
C. Effetto massa di altre lesioni ipofisarie o sellari.

Indagini di laboratorio: livelli di ACTH molto bassi associati a ridotti livelli di cortisolo.

Terapia: sostitutiva con glucorticoidi

 Idrocortisone: la dose giornaliera non dovrebbe superare i 30 mg, suddivisi in2 o 3somministrazioni.
 Prednisone: 5 mg al mattino e 2,5 mg la sera. Ha una maggiore durata d’azione e ha una minore attività mineralcorticoide
rispetto all’idrocortisone.

Per evitare manifestazioni tipo Cushing, la dose di mantenimento è quella minima efficace. Il dosaggio va aumentato
adeguatamente in episodi di stress o malattia.

2)MALATTIA DI CUSCHING (ADENOMA ACTH-SECERNENTE): gli adenomi ipofisari ACTH-secernenti rappresentano circa il 70% dei
casi di sindrome di Cushing di tipo endogeno. Bisogna tuttavia ricordare che l’ipercortisolismo iatrogeno rimane la causa più
frequente delle manifestazioni cushingoidi.

La diagnosi di Cushing richiede la risoluzione di due problemi importanti:

 Distinguere i pz con eccesso patologico di cortisolo da quelli con aumento fisiologico o con altri disturbi della produzione
dello stesso
 Determinare l’origine dell’eccesso di cortisolo, che va dalla somministrazione esogena di glucocorticoidi, agli adenomi o
carcinomi surrenali, agli adenomi ipofisari, alla produzione ectopica di ACTH o CRH.

Manifestazioni tipiche sono: cute sottile e fragile, obesità centrale, ipertensione, faccia pletorica a luna piena, strie rubre, facilità
all’ecchimosi, intolleranza glucidica o franco diabete mellito, disfunzione gonadica, osteoporosi, debolezza dei muscoli prossimali,
segni di iperandrogenismo (acne e irsutismo), disturbi psichiatrici (depressione, mania, psicosi)e infine soppressione dei processi
immunitari. La principale causa di morte è legata alle malattie cardiovascolari , alle infezioni e al rischio di suicidio.

Quando le manifestazioni dell’ipercortisolismo si instaurano rapidamente e sono associate a iperpigmentazione cutanea e miopatia
grave, Cushing è più frequentemente causato da una produzione ectopica di ACTH. Inoltre in questi pz sono più pronunciati
ipertensione, alcalosi ipokaliemica, intolleranza glucidica e gli edemi.

Indagini di laboratorio: la misurazione del cortisolo libero urinario (CLU) nelle 24 ore è un test affidabile, così come la mancata
inibizione del cortisolo plasmatico dopo somministrazione di 1 mg di desametasone overnight. La determinazione dei livelli di ACTH
basale permette di discriminare le forme ACTH-dipendenti da quelle indipendenti. La media dei livelli di ACTH è circa 8 volte
maggiore nei soggetti con secrezione ectopica rispetto a quelli con adenomi ipofisari ACTH-secernenti. Importante è anche il
cateterismo dei seni petrosi inferiori: infilati bilateralmente prima e dopo somministrazione di CRH. La determinazione simultanea
di ACTH a livello delle vene petrose inferiori e del circolo sistemico periferico costituisce un valido mezzo per identificare la sede di
produzione di ACTH (ectopico o ipofisario). Un rapporto aumentato(>2) tra seni venosi e circolo periferico conferma la presenza di
malattia di Cushing. Se, dopo iniezione di CRH, tale rapporto risulta uguale o aumentato viene confermata la presenza di un
adenoma ipofisario.

Terapia: prima scelta è la resezione chirurgica. Vengono somministrati anche inibitori della steroidogenesi per bloccare gli effetti
dei livelli elevati di ACTH:

 Mitotano: blocca 11β-idrossilasi e distrugge anche le cellule surrenaliche. Effetti collaterali: sintomi GI, vertigini,
ginecomastia, iperlipidemia, rash cutanei, innalzamento enzimi epatici e ipoaldosteronismo.
 Chetoconazolo: se somministrato 2 volte al giorno (600-1200mg/die) riduce efficacemente i livelli di cortisolo. Effetti
collaterali: aumento transaminasi, ginecomastia, impotenza ed edema.
 Metopirone: 2-4 g/die. Effetti collaterali: nausea, vomito, rash cutanei, acne, irsutismo.
 Altri: trilostano, etomidato, proeptadina.

Attenzione perché possono dare insufficienza surrenalica.

GONADOTROPINE: FSH e LH

DEFICIT DI GONADOTROPINE: L’ipogonadismo è il quadro clinico più frequente di ipopituitarismo nell’adulto, anche quando sono
deficitarie le altre tropine. Diverse patologie ereditarie (s. di Kallmann o mutazioni del gene DAX 1) o acquisite (anoressia nervosa,
stress, digiuno, esercizio fisico molto intenso danno deficit di GnRH) si associano a ipogonadismo ipogonadotropo isolato (IHH). Le
forme acquisite sono reversibili con la rimozione della causa.

Clinica e diagnosi: le donne in premenopausa hanno ridotta funzione gonadica con oligo-amenorrea, infertilità, ridotte secrezioni
vaginali, diminuzione della libido e atrofia mammaria. I maschi hanno calo della libido, impotenza, infertilità, diminuzione della
massa muscolare, debolezza, ridotta crescita dei peli corporei e della barba. In entrambi i sessi si verifica osteoporosi se
l’ipogonadismo non viene trattato.

Indagini di laboratorio: bassi livelli di gonadotropine, testosterone (M) ed estradiolo (F) circolanti. Un pool di tre campioni di siero
raccolti a 20 min di distanza l’uno dall’altro rende la misurazione più accurata. I maschi presentano anomalie all’esame spermatico.

Terapia:

 Maschi: terapia sostitutiva con testosterone (per via intramuscolare ogni 1-4 settimane) necessaria per il mantenimento
di una crescita e uno sviluppo normali dei genitali esterni e dei caratteri sessuali secondari. Iniezione di hCG o hMG ogni
12-18 mesi per il recupero della fertilità. Terapia con GnRH pulsatile (25-150 ng/kg ogni 2 ore), somministrato tramite
pompa a infusione sottocutanea, è efficace per mantenere la fertilità.
 Femmine: terapia sostitutiva con estroprogestinici per mantenere i caratteri sessuali secondari e l’integrità del tratto
genitourinario, previene inoltre osteoporosi e malattie cardiovascolari. La terapie con gonadotropine è riservata
all’induzione dell’ovulazione; infatti hMG o FSH usate per la maturazione follicolare, mentre LH per l’ovulazione vera e
propria.

ORMONE TIREOSTIMOLANTE:

DEFICIT DI TSH: l’ipotiroidismo centrale mima l’ipotiroidismo primitivo, anche se il quadro è generalmente meno grave. Si
riscontrano livelli bassi di TSH e di ormoni tiroidei liberi (se l’ipotiroidismo è ipotalamico i valori di TSH sono normali o leggermente
aumentati).

L’iniezione endovenosa di TRH (200 microg) provoca un aumento di 2-3 volte dei livelli di TSH (e PRL) entro i primi 30 min. Benchè il
test con TRH possa essere utilizzato per valutare la riserva ipofisaria di TSH, generalmente esso non è necessario per diagnosticare
difetti dell’asse IIT, per cui è sufficiente determinare i valori basali di TSH e fT4.

La terapia sostitutiva con ormone tiroideo deve essere instaurata solo dopo che sia stata accertata un’adeguata funzione
surrenalica.

ADENOMI TSH-SECERNENTI: rari, ma al momento della diagnosi sono spesso grande e localmente invasivi. Si presentano
generalmente con gozzo e ipertiroidismo.

La diagnosi viene posta in presenza di elevati livelli di TSH e fT4. Alla RM si evidenzia una massa.

Terapia: chirurgica transfenoidale. Si possono inoltre utilizzare farmaci tireostatici (metimazolo e propiltiouracile) o ricorrere
all’ablazione chirurgica della tiroide, nei casi in cui la rimozione dell’adenoma ipofisario non sia completa.

DIABETE INSIPIDO:

La ridotta azione o secrezione di ADH o AVP in genere si manifesta sotto forma di diabete insipido, sindrome caratterizzata da
produzione di quantità elevate di urine diluite (flusso giornaliero superiore a 50 ml/kg di peso corporeo e osmolalità inferiore a 300
mOsml/kg). Si associa anche a sete (polidipsia), mentre la disidratazione si verifica raramente, sempre che non sia compromesso
l’apporto di liquidi.

Il deficit di AVP può essere primitivo (centrale o nefrogeno) o secondario. La forma primitiva è in genere legata all’agenesia o alla
distruzione irreversibile della neuroipofisi (DI neuroipofisario o centrale) e le cause sono:

 Mutazione di geni a trasmissione autosomica dominante o X-linked.


 DI gestazionale: la riduzione dei livelli circolanti di AVP è correlata all’aumento della produzione di aminopeptidasi N-
terminali di origine placentare. Chiamato così, perché segni e sintomi compaiono durante la gravidanza e si risolvono
qualche settimana dopo il parto. In queste pz è possibile dimostrare però un deficit subclinico di AVP anche in assenza di
gravidanza, il che suggerisce che un danno della neuroipofisi può contribuire al deficit di AVP.
 Malformazioni
 Distruzione della ghiandola per malattie varie o agenti tossici

Il difetto primitivo dell’azione di AVP dà origine al DI nefrogeno, che può avere una base genetica (mutazioni del recettore V2 e
dell’acquaporina a livello renale) acquisito o da esposizione a diversi agenti farmacologici.

Deficit secondari di AVP sono dovuti all’inibizione della secrezione dell’ormone quando si introducono liquidi in eccesso. Viene
definite polidipsia primitiva che a sua volta può essere classificata in tre categorie:

1. Dipsogena: causata da un inappropriato aumento della sete secondario alla riduzione del “set point” dei meccanismi di
osmoregolazione. A volte si manifesta in associazione con malattie cerebrali multifocali quali neurosarcoidosi, meningite
tubercolare e sclerosi multipla.
2. Polidipsia psicogena: non è associata alla sete e la polidipsia sembra essere una manifestazione psicotica.
3. Polidipsia iatrogena: aumento dell’assunzione di liquidi legato a raccomandazioni di operatori sanitari.

Quando la secrezione o l’effetto antidiuretico di AVP si riducono dell’80-85%, la quantità di ormone non è sufficiente per
concentrare adeguatamente le urine e il flusso urinario aumenta esponenzialmente. Se il difetto è primitivo la poliuria porta a una
riduzione modesta dell’acqua corporea e corrispondente aumento dell’osmolalità plasmatica e della natremia, dunque aumento
della sete e assunzione compensatoria di liquidi. E’ chiaro che quindi non si sviluppano altri segni o alterazioni di laboratorio
caratteristici della disidratazione, a meno che il pz non sia in grado di bere. Nelle forme gravi il flusso urinario raggiunge i 10-15 litri
giornalieri.

Nella polidipsia primitiva la patogenesi della poliuria e della polidipsia è l’opposto di quanto appena detto. L’eccessiva assunzione di
liquidi aumenta leggermente il contenuto di acqua corporea, con riduzione dell’osmolalità plasmatica e della secrezione di AVP e
della capacità di eliminare urine concentrate. Questo porta a un aumento compensatorio dell’escrezione di acqua libera. Rari sono i
casi di iperidratazione.

Diagnosi differenziale: quando sono presenti minzione frequente, enuresi (emissione involontaria di urina), nicturia e/o sete
persistente si devono escludere tutte le altre cause di poliuria. La produzione di urine >50 ml/kg al giorno (>3500 ml in un uomo di
70 kg) deve far sospettare DI soprattutto se l’osmolalità è >300mOsmol/kg. Se invece l’osmolalità delle urine è superiore a
300mOsmol/kg, si tratterà di diuresi da soluti (es: diabete mellito mal controllato). Nel differenziare le varie forme di DI possono
essere utili anamnesi, esame obiettivo e gli esami di laboratorio, anche se l’esame del pz deve iniziare con il test dell’assetamento,
effettuato al mattino con continuo monitoraggio del bilancio idrico, del peso corporeo, dell’osmolalità plasmatica, della natremia,
del volume e osmolalità urinarie.

Se l’assetamento non porta alla concentrazione delle urine (osmolalità >300) prima che si osservi una riduzione del peso corporeo
superiore al 5% o che l’osmolalità plasmatica e/o la natremia superino i limiti più elevati del range normale, è possibile escludere la
polidipsia primitiva. In questi pz si può distinguere il DI centrale e nefrogeno somministrando desmopressina: un aumento del 50%
dell’osmolalità urinaria suggerisce la diagnosi di DI centrale, se l’aumento è inferiore al 50% o assente si tratterà di DI nefrogeno.

La DD può essere facilitata con un RM della regione ipotalamo-ipofisaria.

Terapia: DDAVP, analogo sintetico dell’AVP. In genere sono necessari 1-2 microg/die per via iniettiva oppure 10-20 microg due o
tre volte al giorno come spray nasale oppure 100-400 microg due tre volte al giorno via orale. L’azione del farmaco è rapida (dai 15
ai 60 min). Il DI centrale può anche essere trattato con clorpropamide (125-500 mg/die).

La polidipsia primitiva non può essere trattata con DDAVP perchè la soppressione della diuresi idrica compensatoria porterebbe a
un’intossicazione di acqua in poco tempo. Quella iatrogena può essere corretta con adeguato supporto psicologico; tuttavia nelle
forme dispogene e psicogene non esistono trattamenti efficaci. Nelle forme dipsogene la nicturia e l’enuresi notturna possono
essere controllate assumendo piccole dosi di DDAVP prima di coricarsi.

Segni e sintomi del DI nefrogeno non sono modificati dal DDAVP o clorpropamide, ma possono essere attenuati da un diuretico
tiazidico e/o amiloride e associando una dieta a basso contenuto di sodio. Anche gli inibitori della sintesi delle prostaglandine
possono essere efficaci in alcuni pz.

IPERNATRIEMIA ADIPSICA:

Causata dall’agenesia o distruzione degli osmocettori ipotalamici che regolano la sete e la secrezione di AVP. Caratterizzata da
disidratazione ipertonica cronica o ricorrente e ridotta risposta dell’AVP agli stimoli osmotici. Nonostante la disidratazione i pz non
hanno molta sete. Si associa a segni di ipovolemia. Possono manifestarsi anche debolezza muscolare, dolore, rabdomiolisi,
iperglicemia, iperlipidemia e insufficienza renale acuta.

Terapia: dovrebbe essere trattata somministrando acqua per os se il pz è cosciente o infondendo una soluzione fisiologica allo
0,45% per via endovenosa qualora il pz non sia collaborante o sia incosciente. Se è presente DI o questo si presenta durante la fase
di reidratazione, si dovrebbe somministrare DDAVP a dosi standard, così da minimizzare le perdite renali.

IPONATRIEMIA:

L’eccessiva secrezione o azione di AVP causa una riduzione del flusso urinario con urine particolarmente concentrate. Se
l’iponatriemia si sviluppa gradualmente o è presente da più giorni, può essere asintomatica. Qualora si verifichi acutamente, si
associa spesso a segni e sintomi da intossicazione da acqua quali lieve cefalea, stato confusionale, anoressia, nausea, vomito, coma
e convulsioni. Se è grave, può essere letale.

L’inappropriata diuresi su base osmotica può essere causata da un’alterazione primitiva dell’azione o secrezione di AVP o essere
secondaria a uno stimolo non osmotico quali ipovolemia, ipotensione, deficit di glucocorticoidi.

Le forme primitive sono note come SIADH o iponatriemia euvolemica (tipo III): secrezione ectopica di ADH, secrezione eutopica
sostenuta da farmaci o malattie varie, somministrazione esogena di AVP, DDAVP e ossitocina.
Le forme secondarie di inappropriata diuresi su base osmotica vengono classificate in due gruppi:

1. Iponatriemia di tipo I (ipervolemica o edematosa): si manifesta in condizioni che favoriscono la ritenzione di sodio e la
comparsa di edemi quali scompenso cardiaco congestizio, cirrosi e nefrosi (tutte situazioni in cui si ritiene che si determini
una riduzione del volume ematico “effettivo”)
2. Iponatriemia di tipo II (ipovolemica): si manifesta in condizioni caratterizzate da perdita di sodio (gastroenteriti gravi,
abuso di diuretici, deficit mineralcorticoidi). Si pensa che il meccanismo coinvolto sia la riduzione del volume e/o della
pressione ematica.

Terapia: nella SIADH acuta il trattamento dell’iponatriemia si basa sulla restrizione totale dell’assunzione di liquidi al di sotto della
somma delle perdite insensibili e di quelle urinarie, ricordando che nell’apporto totale si deve tenere in considerazione l’acqua
derivata dal cibo. In questo modo si riduce l’acqua corporea e la natriemia dell’1-2% al giorno. Se necessario, si può procedere
all’infusione endovenosa di una soluzione fisiologica ipertonica (3%) a una velocità < 0,05 ml/kg di peso corporeo al minuto.

Nella SIADH cronica l’iponatriemia può essere corretta somministrando demeclociclina ( 150-300 ml per os 3 o 4 volte al giorno) o
fludrocortisone ( 0,05-0,2 mg per os 2 volte al giorno).

Nell’iponatriemia di tipo I l’unico trattamento oggi disponibile è quello basato sulla restrizione idrica stretta, alla somministrazione
di urea o mannitolo al fine di indurre diuresi da soluti. Somministrazione anche di cardiotonici o di albumina per correggere
l’ipovolemia effettiva.

Nell’iponatriemia di tipo II si blocca la perdita di sodio e acqua compensando tale perdita via os o via endovenosa.

OSTEOPOROSI:

Condizione caratterizzata da un’aumentata fragilità del tessuto osseo. Viene definita come una riduzione della massa (o densità)
ossea o come la presenza di una frattura atraumatica. Convenzionalmente la diagnosi di osteoporosi viene posta quando la densità
minerale ossea (BMD, bone mineral density) è di 2,5 DS al di sotto del valore medio di BMD del giovane adulto sano. L’osteoporosi
è frequente negli anziani e nelle donne in menopausa.

L’epidemiologia delle fratture ossee segue il medesimo trend della riduzione della massa ossea. La frequenza delle fratture di Colles
(fratture del polso, più specificatamente dell’epifisi distale del radio) aumenta prima dei 50 anni, presenta poi un plateau fra i 50 e
60 anni e successivamente solo un modesto incremento legato all’età. La frequenza invece delle fratture femorali raddoppia ogni 5
anni dall’età di 70 anni in poi. Queste differenze potrebbero essere spiegate dal diverso modo di cadere delle persone in relazione
all’età; infatti negli anziani sono meno frequenti le cadute a mani tese.

Le fratture del bacino e del tratto prossimale dell’omero sono chiaramente associate all’osteoporosi. Vedi tabella sopra per i fattori
di rischio per le fratture osteoporotiche: una precedente frattura, una storia familiare di fratture da osteoporosi e un basso peso
corporeo sono tutti fattori predittivi di un frattura osteoporotica. Inoltre il rischio può essere incrementato da alcune patologie
croniche che aumentano la propensione alla caduta o alla debolezza (demenze, sclerosi multipla e Parkinson). Le fratture sono più
comuni nella donna che nell’uomo.

Fisiopatologia: dopo la crescita, una volta raggiunto il picco di massa ossea,il rimodellamento osseo diventa la principale attività
metabolica dell’osso e questo processo ha tre funzioni principali:

1. Riparare i microdanni del tessuto osseo


2. M
a
n
t
e
n
e
r
e

l
a

r
e
s
i
s
t
e
n
za scheletrica
3. Rendere disponibile il calcio per mantenere costante la calcemia

Una richiesta immediata di calcio coinvolge un riassorbimento mediato dagli osteoclasti e un trasporto di calcio da parte degli
osteociti. Il rimodellamento osseo è regolato da: estrogeni, androgeni, vitamina D, PTH, IGF-I e IGF-II, fattore di crescita
trasformante (TGFβ), peptide correlato al PTH (PTH-rP), le interleuchine, le prostaglandine, TNF e il ligando dell’osteoprotegerina.
Un’ulteriore influenza è dalla nutrizione e dal livello di attività fisica. Il risultato finale di questo processo di rimodellamento è il
tessuto riassorbito viene sostituito da una pari quantità di tessuto neoformato. Lo squilibrio fra questi fattori può iniziare a varie
età, anche se come già detto è più marcato nelle donne in menopausa.

Prendiamo in considerazione ora i vari fattori:

 Apporto di calcio: se inferiore a 400 mg/die ha probabilmente un effetto negativo sullo scheletro; infatti la dose
giornaliera raccomandata ai soggetti adulti è di 1000-1200 mg.
 Vitamina D: un grave deficit di vit D determina rachitismo nei bambini e osteomalacia negli adulti. Un modesto deficit
invece è in grado di determinare un iperparatiroidismo secondario ed è considerato un importante fattore di rischio per
l’osteoporosi.
 Stato estrogenico: un deficit di estrogeni causa una perdita di tessuto osseo tramite due meccanismi: 1) attivazione di
nuove unità di rimodellamento 2)amplificazione dello squilibrio tra neoformazione e riassorbimento osseo. Gli estrogeni
sembrano inoltre rivestire un ruolo fondamentale nel controllo del periodo di sopravvivenza delle cellule ossee, dato che
sembrano controllare il processo di apoptosi: con la riduzione degli estrogeni infatti, il tempo di sopravvivenza degli
osteoblasti viene ridotto, mentre si allunga quello degli osteoclasti. Le fratture vertebrali sono la conseguenza più
comune e precoce di un deficit di estrogeni.
 Attività fisica: il rischio di frattura è inversamente proporzionale al livello di attività fisica.
 Malattie croniche: ipogonadismo (Turner, Klinefelter, iperprolattinemia, anoressia nervosa etc), endocrinopatie (Cushing,
tireotossicosi, iperparatiroidismo, acromegalia, insufficienza surrenalica), malnutrizione, sindromi da malassorbimento,
patologie reumatologiche (artrite reumatoide, spondilite anchilosante), patologie ematologiche/neoplastiche (mieloma
multiplo, tumori secernenti PTH-rP, emofilia, talassemia), patologie ereditarie (osteogenesi imperfetta, sindrome di
Marfan), altro (immobilizzazione, gravidanza e allattamento, sarcoidosi, amiloidosi).
 Farmaci: glucocorticoidi, eccessivi ormoni tiroidei, immunosoppressivi (ciclosporina e tacrolimus).
 Fumo: effetto tossico diretto sugli osteoblasti.

MISURAZIONE DELLA MASSA OSSEA: tecniche non invasive come

 SXA o DXA (single or dual energy X-ray absorptiometry): gold standard per la misurazione della densità ossea al rachide
lombare e al femore.
 TC quantitativa: di solito usata per la colonna vertebrale, segmenti ossei tibiale e radiale.
 Ecografia

APPROCCIO AL PAZIENTE: Il periodo perimenopausale è quello più indicato per sensibilizzare la donna sul rischio di osteoporosi e
considerare quindi le indicazioni per la misurazione di BMD. Si inizia con un’accurata anamnesi per evidenziare i fattori di rischio,
poi si prosegue con una valutazione laboratoristica di routine: dosaggio del calcio sierico e urinario e un emocromo completo sono
utili per escludere cause secondarie di osteoporosi: ipercalcemia data da iperparatiroidismo con PTH alto o da una neoplasia, che
avrà PTH basso, mentre l’ipocalcemia può essere indicativa di malnutrizione e osteomalacia, ipocalciuria (<50mg/die) indica
osteomalacia, malnutrizione o malassorbimento, ipercalciuria (>300mg/die) data da 1)eccessiva perdita da parte del rene,
frequente nell’osteoporosi 2) ipercalciuria assorbitiva, data da iperproduzione di vit D attivata nelle patologie granulomatose 3)
neoplasie ematologiche o altre condizioni associate a elevato turnover. Si valuta inoltre la presenza di anemia macrocitica e
ipocolesterolemia, date da malassorbimento subclinico.

Si può effettuare una biopsia ossea.

In seguito quantificare i marcatori biochimici, che danno una stima dell’entità dei processi di rimodellamento osseo: ci sono quelli
correlati alla formazione ossea (fosfatasi alcalina ossea sierica e osteocalcina sierica) e quelli legati all’assorbimento osseo
(telopeptide N-terminale e C-terminale del collagene di tipo I sierico e urinario).

TERAPIA:

-Trattamento delle fratture osteoporotiche: quasi sempre chirurgico.

-Trattamento della patologia sottostante: tramite 1)riduzione dei fattori di rischio, 2)attività fisica (ha effetto benefico, oltre che
sulla massa ossea, anche sulla funzione neuromuscolare, facendo migliorare coordinazione, equilibrio e la forza, riducendo la
probabilità di cadute) e ovviamente 3)raccomandazioni nutrizionali:

 Calcio: i prodotti caseari (latte, formaggio, yogurt) e altri cibi quali cereali, focacce, succhi e cracker sono una buona fonte
di calcio. Molti pz, però, necessitano di un ulteriore apporto di calcio, che viene somministrato inizialmente con un
dosaggio inferiore o uguale a 600 mg o con dosi più elevate quando l’assorbimento intestinale si riduce.
 Vitamina D: la dose minima adeguata di 25(OH)D sierica è di 15-20 ng/ml e l’apporto giornaliero raccomandato è di 200
UI per gli adulti sotto i 50 anni, di 400 UI per quelli con età compresa fra 50 e 70 anni e di 600 UI per gli ultrasettantenni.
 Altri nutrienti: sale e caffeina possono avere effetti modesti sull’assorbimento o l’escrezione di calcio. Importanti sono
anche vitamina K, magnesio e filoestrogeni alimentari derivanti soprattutto da soia e legumi.

-Terapia farmacologica: fino a pochi anni fa gli estrogeni, da soli o in associazione con progestinici, erano considerati il trattamento
principale per la prevenzione e la cura dell’osteoporosi. Attualmente sono stati invece introdotti numerosi farmaci.
 Estrogeni: riducono turnover osseo. Il dosaggio degli estrogeni somministrati per via orale è di 0,05 mg/die per gli
estrogeni esterificati, di 0,625 mg/die per gli estrogeni equini coniugati e di 5 microg/die per l’etinil-estradiolo. Se la
somministrazione è transdermica allora servono 50 microg/die di estradiolo. L’utilizzo prolungato di estrogeni è stato
associato a maggior rischio di tromboembolia venosa, calcolosi biliare e neoplasie uterine e mammarie, però è stato
registrato una calo significativo dell’infarto al miocardio.
 Progestinici: un progestinico, da assumere giornalmente o a cicli di 12 giorni al mese, viene associato agli estrogeni al fine
di ridurre il rischio di tumore all’utero. Il medrossiprogesterone e il noretindrone acetato, ma non il progesterone
micronizzato, annullano l’effetto positivo degli estrogeni sui livelli di HDL.
 Modulatori selettivi del recettore degli estrogeni (SERM): si legano ai recettori estrogenici
1. Tamoxifene: approvato per la prevenzione e la cura del tumore alla mammella, somministrato a donne in
menopausa, riduce il turnover osseo e la perdita di massa ossea. Possibile riduzione delle fratture cliniche
vertebrali, femorali e quelle di Colles.
2. Raloxifene: 60 mg/die. Prevenzione e cura dell’osteoporosi con un’azione estrogeno-simile sullo scheletro.
Aumenta gli episodi di vampate di calore. Inoltre, sebbene sia in grado di ridurre i valori di colesterolo, delle
LDL, della lipoproteina e del fibrinogeno, nessuno studio ha finora considerato come obiettivo primario le
patologie cerebro- e cardio-vascolari, rendendo impossibile un giudizio definitivo sull’efficacia del raloxifene
nella prevenzione della cardiopatia ischemica e delle malattie cerebrovascolari.
 Bifosfonati: approvati perla prevenzione e cura dell’osteoporosi e per il trattamento dell’osteoporosi da corticosteroidi, in
quanto riducono notevolmente il turnover osseo e incrementano la massa ossea fino all’8%.
1. Alendronato: poiché il bifosfonati sono scarsamente assorbiti a livello intestinale, tale farmaco con dosaggio di
5-10 mg/die deve essere assunto al mattino a digiuno e almeno 30 minuti prima della colazione con un
bicchiere d’acqua. Siccome può risultare irritante per la mucosa esofagea, è controindicato per coloro che
presentano stenosi esofagea o reflusso GE.
2. Risedronato: 5 mg per via orale e il pz non dovrebbe coricarsi per almeno 30 min dopo l’assunzione.
3. Etidronato: effetto positivo sulle fratture vertebrali quando viene somministrato ciclicamente (2 settimane di
terapia e 2 mesi e mezzo di sospensione).
 Calcitonina: approvata per il trattamento della malattia ossea di Paget, per l’ipercalcemia e per l’osteoporosi presente
nelle donne in menopausa da oltre 5 anni. E’ presente una formulazione con 200 UI/die in spray nasale. Incrementa la
densità ossea e riduce le fratture vertebrali, più della semplice somministrazione di calcio. Non è indicata per la
prevenzione. Ha un effetto analgesico sul dolore osseo.
 Agenti in sperimentazione:
1. Paratormone: sebbene un incremento cronico del PTH endogeno si associ a perdita ossea, il PTH può esercitare
anche un effetto anabolico sull’osso. In accordo con quanto detto, alcuni studi osservazionali hanno dimostrato
che moderati incrementi di PTH o somministrazione di PTH esogeno sono associati a conservazione della massa
ossea trabecolare. L’effetto è ancor più benefico se alla somministrazione si associano estrogeni.
2. Fluoruri (rimangono ancora sperimentali)
3. Altri farmaci anabolici potenziali: GH (non hanno rilevato sostanziali effetti positivi, ma rimangono ancora da
studiare), steroidi anabolizzanti (dovrebbero essere antiriassorbitivi), statine (usate per l’ipercolesterolemia, ma
potrebbero aumentare la massa ossea e ridurre le fratture).

-Approccio non farmacologico: cuscinetti protettivi applicati alla parte esterna della coscia (scarso comfort).

IPERLIPIDEMIE:

vedi tabella molto utile per


i valori di colesterolo e di
trigliceridi nelle varie
iperlipidemie.
IPERCOLESTEROLEMIA

Livelli elevati di colesterolo a digiuno in presenza di TG normali si associano ad aumenti di LDL. I rari pazienti con colesterolo HDL
molto elevato possono presentare anche un aumento di colesterolo totale nel plasma.

1. IPERCOLESTEROLEMIA FAMILIARE ( IF): malattia genetica codominante. Mutazione del gene del recettore per le LDL ed è
geneticamente eterogenea ( più di 200 diverse mutazioni). Livelli di LDL elevati alla nascita e rimangono tali per tutta la
vita. I livelli plasmatici di TG sono normali, le HDL normali o ridotte. La forma eterozigote di IF si manifesta in genere con
una grave forma di aterosclerosi entro i 50 anni di età.
Gli xantomi tendinei sono dovuti a depositi di colesterolo sia intra- che extra-cellulari, di solito coinvolgono il tendine
d’Achille e i tendini estensori delle articolazioni ( 75% dei pazienti con IF).
Gli xantomi tuberosi sono noduli morbidi non dolorosi presenti su gomiti e natiche.
Gli xantelasmi sono depositi poveri di colesterolo presenti sulle palpebre frequenti negli IF eterozigote.
La forma omozigote di IF si osserva raramente ( 1:1mln) associata a livelli di colesterolo > 500, grandi xantelasmi e
xantomi tendinei e palmari. I pazienti presentano coronaropatia aggressiva anche nell’infanzia.
2. DIFETTO FAMILIARE DI APO B-100: malattia autosomica dominante che è una copia dal punto di vista fenotipico della IF.
3. IPERCOLESTEROLEMIA POLIGENICA: la maggior parte delle ipercolesterolemie presenta un’origine poligenica. Numerosi
geni interagiscono con fattori ambientali per contribuire a questa iperlipidemia e si ritiene che sia l’iperproduzione sia il
ridotto catabolismo delle LDL siano coinvolte in questa malattia. La gravità è influenzata dal consumo di acidi grassi saturi
e colesterolo, dall’età e dall’attività fisica. In questi pz vi è un aumento del rischio di aterosclerosi ma non sono presenti
xantomi tendinei.

IPERTRIGLICERIDEMIA:

Livelli elevati di TG nel plasma possono essere dovute a un aumento dei livelli di VLDL (tipo IV) o all’aumento combinato di VLDL e
chilomicroni (tipo V). Raramente sono levati solo i livelli di chilomicroni (tipo I). Il plasma diventa torbido quando i livelli di TG> 400
mg/dl, poichè chilomicroni e VLDL diventano abbastanza grandi da riflettere la luce. Quando sono presenti chilomicroni, uno strato
cremoso galleggia sulla superficie del plasma conservato al freddo per qualche ora. Gli xantomi tendinei e gli xantelasmi non si
osservano dell’ipertrigliceridemia isolata, ma possono comparire xantomi eruttivi e piccole papule di colore rosso-arancione sul
tronco e sugli arti quando TG>100 mg/dl. A livelli così elevati di TG si manifesta anche la lipemia retinale (vasi retinici appaiono di
colore arancione-giallo). La pancreatite è il rischio maggiore associato a concentrazioni elevati di TG.

L’aumento dei TG plasmatici è spesso associato a una maggior sintesi e secrezione di TG delle VLDL da parte del fegato. La sintesi
epatica di TG è regolata dal flusso di substrato (la disponibilità di acidi grassi liberi), dal bilancio energetico (quantità di glicogeno
epatico) e dallo stato ormonale (insulina e glucagone). L’obesità e l’eccessivo consumo di zuccheri semplici e grassi saturi,
l’inattività, il consumo di alcole l’insulino-resistenza sono condizioni comunemente associate all’ipertrigliceridemia.

1. IPERTRIGLICERIDEMIA FAMILIARE: autosomica dominante, fisiopatologia complessa: data sia da un ridotto catabolismo
delle lipoproteine ricche di TG sia da un’eccessiva produzione di VLDL. I pz sono esposti a un rischio di cardiopatia
coronarica moderatamente aumentato.
2. DEFICIT FAMILIARE DI LIPASI LIPOPROTEICA: autosomica recessiva, l’alterazione o l’assenza di LPL comporta un accumulo
di chilomicroni a livello plasmatico. Le manifestazioni iniziano nell’infanzia e comprendono pancreatite, xantomi eruttivi,
epato- e splenomegalia, infiltrazione del midollo osseo da parte di cellule schiumose, la lipemia retinale, mentre
l’aterosclerosi non viene accelerata. La conferma di tale malattia si ottiene con la dimostrazione che i livelli di LPL nel
plasma non aumentano dopo la somministrazione di eparina (che normalmente libera LPL dalle superfici endoteliali). Le
manifestazioni cliniche regrediscono con una dieta priva di grassi. La forma eterozigote di questo deficit è una forma
attenuata, anche se in caso di diabete scarsamente controllato, obesità, eccessivo consumo di alcol, terapia estrogenica e
gravidanza si può manifestare con una grave ipertrigliceridemia.
3. DEFICIT FAMILIARE DI APO CII: autosomica recessiva, causa un deficit funzionale di LPL e le manifestazioni cliniche sono
del tutto simili a quella sopra (2). Il deficit di CII impedisce l’idrolisi dei chilomicroni e delle VLDL, le quali si accumulano
nel sangue.
4. DEFICIT LIPASI EPATICA: il deficit totale di HTGL è una rara malattia autosomica recessiva che impedisce il catabolismo
finale e/o il rimodellamento delle piccole VLDL e delle IDL. Per cui i pz avranno livelli elevati di residui delle VLDL e anche il
livelli delle HDL2 saranno alti, poiché HTGL partecipa alla conversione di HDL2 in HDL3.

IPERCOLESTEROLEMIA CON IPERTRIGLICERIDEMIA:

Condizione che si riscontra in due malattie

1. IPERLIPIDEMIA FAMILIARE COMBINATA (FCHL): il difetto alla base di questa malattia non è noto, benchè mutazioni o
polimorfismi nel gene di LPL o nei geni delle apo AI, apo CIII e apo AIV potrebbero contribuire allo sviluppo della patologie
in alcune famiglie. L’insulino-resistenza è presente in molti soggetti con FCHL: l’associazione potrebbe essere dovuta a
una aumento del flusso di acidi grassi liberi che guida l’assemblaggio e la secrezione delle lipoproteine apo B100.
FCHL è associata a un aumento della secrezione delle VLDL, ma nel complesso le numerose variazioni sul catabolismo
delle VLDL, associate a un’eterogeneità genetica e una variabilità ambientale fra loro legate, sono alla base del fenotipo
estremamente variabile di questa malattia. È presente aumentato rischio di aterosclerosi, plasma chiaro, ma sono assenti
xantomi e xantelasmi.
2. DISBETALIPOPROTEINEMIA: (rara, 1:10.000) è dovuta a una condizione di omozigosi per apo E2, una forma di apo E con
scarsa affinità e legame deficitario. Poiché apo E svolge un ruolo cruciale nel catabolismo dei chilomicroni e dei residui di
VLDL, i soggetti affetti presentano un aumento sia dei TG delle VLDL sia del colesterolo VLDL e residui dei chilomicroni nel
plasma e a digiuno. I pz possono presentare xantomi tuberosi e depositi di colesterolo nelle pieghe palmari (strie
palmari), che si presentano come linee giallo-arancione e sono caratteristiche di questa patologia. Il rischio di
aterosclerosi e delle complicanze associate è aumentato. L’incidenza di una patologia vascolare periferica è maggiore
rispetto all’ipercolesterolemia familiare.

RIDOTTI LIVELLI DI COLESTEROLO HDL:

Vengono definiti bassi questi valori quando il colesterolo delle HDL<35 mg/dl nell’uomo e < 40-45 mg/dl nella donna. Solitamente
sono associati a una contestuale ipertrigliceridemia, anche se nell’ipoalfalipoproteinemia primitiva questo non avviene (forma in cui
le HDL sono marcatamente diminuite, ma i TG sono normali). Questa relazione deriva da:

1. Trasporto mediato dalla CEPT (proteina di trasferimento) degli esteri del colesterolo dal core delle HDL alle VLDL.
2. Dal passaggio di componenti di superficie, particolarmente i fosfolipidi apo CII e apo CIII, dalle HDL alle VLDL.
3. Dall’aumento del catabolismo frazionato delle apo AI povere di esteri di colesterolo che derivano dai primi due
processi.

La presenza di bassi livelli di HDL è clinicamente silente e il plasma è limpido se non vi è aumento di TG.

CAUSE SECONDARIE DI IPERLIPOPROTEINEMIA:

 Diabete mellito: nel tipo 1 con chetoacidosi diabetica l’ipertrigliceridemia può essere grave a causa dell’aumento sia delle
VLDL sia dei chilomicroni e queste alterazioni sono associate a un deficit di LPL secondario all’isulinopenia. Solitamente
migliorano con uno stretto controllo del diabete. Nel DM di tipo 2 l’insulino-resistenza e l’obesità si associano
determinando un aumento dei TG lieve o moderato e bassi livelli di colesterolo HDL. Le LDL sono solitamente normali nel
DM 2, benchè esse siano piccole, dense e aterogene.
 Ipotiroidismo: LDL possono essere elevati anche in pz con la malattia subclinica
 Malattie renali: determinano un ampio spettro di alterazioni dei lipidi. La sindrome nefrosica può essere accompagnata
da un aumento delle LDL e/o VLDL e la gravità dell’iperlipidemia è correlata con il grado di ipoproteinemia. L’insufficienza
renale è associata a ipertrigliceridemia e a scarse HDL.
 Etanolo
 Malattie epatiche: cirrosi biliare primitiva e ostruzione vie biliari extraepatiche possono causare un’ipercolesterolemia
caratterizzata da livelli elevati di una lipoproteina anomala, detta lipoproteina X.
 AIDS: l’uso di terapie con inibitori della proteasi è associata a una sindrome metabolica generalizzata che comprende
anche aumento dei TG, alterazioni nella distribuzione del grasso corporeo e talvolta DM di tipo 2.
DIAGNOSI: anche se l’indicazione iniziale di un’anomalia del metabolismo delle lipoproteine emerge da una valutazione dei TG e del
colesterolo ematici, le malattie sono dovute ad alterazioni di specifiche lipoproteine. Quindi, le analisi dovrebbero valutare i livelli
di VLDL, LDL e HDL. Le misurazioni dirette delle LDL plasmatiche necessitano di laboriose tecniche di centrifugazione, mentre le
concentrazioni di colesterolo LDL possono essere stimate indirettamente quando i TG<400 mg/dl con la seguente equazione:

colesterolo LDL = colesterolo totale – (HDL + trigliceridi/5)

In soggetti con TG>400 mg/dl e in soggetti con disbetalipoproteinemia (rapporto TG e colesterolo delle VLDL è marcatamente
inferiore a 5) questa equazione non può essere applicata. In queste due situazioni si usano tecniche di ultracentrifugazione per
misurare il colesterolo LDL.

E’ preferibile misurare i lipidi plasmatici dopo un digiuno di 12 ore.

APPROCCIO AL PZ:

-Modificazioni dietetiche: è fondamentale fornire adeguati consigli circa la dieta, l’esercizio fisico, il fumo e altri fattori legati allo
stile di vita che possano aumentare il rischio di cardiopatia coronarica. La dieta deve essere povera di colesterolo e di grassi saturi. I
carboidrati sono i tipici alimenti utilizzati per sostituire i grassi nei pz con ipercolesterolemia isolata. E’ necessario porre attenzione
all’entità delle porzioni: una porzione di carne ricca di proteine e grassi in un dato pasto dovrebbe essere inferiore a 115 g.

-Prevenzione primaria: si raccomanda la valutazione del profilo lipidico ogni 5 anni in tutti i soggetti con età superiore ai 20 anni. Gli
obiettivi della prevenzione primaria includono livelli di LDL<130 mg/dl, TG<150mg/dl, HDL>40 mg/dl negli uomini e HDL>50 mg/dl
nelle donne. E’ essenziale valutare inoltre la presenza dei seguenti fattori di rischio:

1. Familiarità per cardiopatia coronarica prematura


2. Ipertensione
3. Fumo
4. DM
5. Basse HDL
6. Età avanzata (>45 anni per gli uomini e >55 per le donne)

Ricorda che HDL>60 mg/dl sono considerati protettivi e in grado di annullare un altro eventuale fattore di rischio.

Nei soggetti con meno di due fattori di rischio è sufficiente modificare lo stile di vita ed eseguire nel tempo un follow up se LDL<160
mg/dl , se invece LDL>190 è indicata una terapia farmacologica.

In presenza di due o più fattori di rischio è necessario associare alla dieta una terapia farmacologica se LDL>130 mg/dl.

-Prevenzione secondaria: riguarda i soggetti con pregressa cardiopatia coronarica e l’obiettivo terapeutico è quello di ridurre LDL
sotto i 130 mg/dl e per fare ciò è necessaria l’associazione di una dieta oltre al trattamento farmacologico.

TRATTAMENTO FARMACOLOGICO: (per i dosaggi vedi tabella)

Esistono 3 tipi di farmaci considerati di prima linea nel trattamento dell’ipercolesterolemia:

1. Inibitori dell’HMG-CoA riduttasi: lovastatina,


pravastatina, simvastatina, fluvastatina,
atorvastatina. Inibiscono la biosintesi epatica di
colesterolo (la conversione di HMG-CoA in
mevalonato) determinando un aumento dei
recettori delle LDL negli epatociti e quindi
un’aumentata clearance del colesterolo LDL dalla
circolazione. Un raro, ma grave, effetto
collaterale è la miopatia, che si manifesta con
dolori muscolari e aumento della CPK.
2. Niacina: sembra inibire la secrezione di
lipoproteine contenenti apo B100 da parte del
fegato. Per la sua capacità di ridurre la sintesi di
VLDL viene impiegato anche nella cura
dell’ipertrigliceridemia. Dà effetti collaterali, quali vasodilatazione cutanea con o senza prurito che tende a
scomparire dopo poche settimane, aumento delle transaminasi, disturbi gastrointestinali, ridotta tolleranza al
glucosio e innalzamento dei livelli di acido urico.
3. Resine leganti gli acidi biliari: interferiscono con il riassorbimento degli acidi biliari nell’intestino, determinando un
aumento compensatorio della sintesi di acidi biliari da parte del fegato e una sovraregolazione dei recettori per le
LDL negli epatociti. I sequestratori degli acidi biliari sono utili nel trattamento di pz con elevato colesterolo LDL e TG
nella norma.

Esistono inoltre i derivati dell’acido fibrico che rappresentano un trattamento di seconda scelta per l’ipercolesterolemia, mentre
sono molto efficaci nel ridurre i livelli dei TG.

MALATTIE PARATIROIDI
IPERPARATIROIDISMO
L’iperparatiroidismo definisce un quadro metabolico derivante da eccessiva secrezione di PTH, e si distingue in
primitivo, legato ad una sregolata o autonoma secrezione, e secondario all’ipocalcemia cronica. Nel tipo primitivo
l’alterazione caratteristica è l’ipercalcemia, accompagnata ad ipofosforemia, ad ipercalciuria e iperfosfaturia.
L’ipercalcemia dovuta ad iperparatiroidismo è:
- per l’80% associato ad un adenoma, a singola ghiandola;
- solo raramente legato ad un carcinoma(1-3%);
- nel 15% dei casi si tratta di un’iperplasia paratiroidea a cellule principali, per cui vi è coinvolgimento di tutte e 4 le
ghiandole, che risultano iperfunzionanti; trattasi di una condizione ereditaria, associata frequentemente ad altre
patologie endocrine, quindi riscontrata nell’ambito della MEN 1, MEN 2A, prevalentemente. L’iperplasia delle
paratiroidi è inoltre spesso presente nei pazienti affetti da ipercalcemia ipocalciurica familiare.
[All’istologia sia l’adenoma che l’iperplasia presentano una predominanza di cellule principali. Talvolta l’adenoma può
essere incapsulato da tessuto normale, mentre le altre ghiandole sono normali con una normale distribuzione di
tessuto adiposo ed una cellularità uniforme. L’iperplasia può essere caratterizzata da asimmetria delle ghiandole e
scomparsa di tessuto adiposo. Differente il carcinoma che, spesso invasivo nei confronti della capsula e metastizzante
a distanza, è caratterizzato da un incremento del tessuto fibroso nello stroma ghiandolare e un aumento del numero
delle cellule in mitosi.] All’ipercalcemia dovuta a ipertiroidismo, è seconda per frequenza l’ipercalcemia d’origine
neoplastica, da riferire a tumori sia solidi, come quelli del polmone, della mammella, sia ematologici, come mieloma
multiplo. In questo caso l’ipercalcemia è indice di progressione tumorale se in presenza di metastasi osteolitiche,
come è frequente nei tumori polmonari, e un indice precoce tumorale, se in assenza di metastasi, perché il tumore
secerne un fattore paracrino definito peptide correlato al paratormone, PTHrP, che si ritrova in concentrazioni elevate
nel latte materno umano e bovino (per un ruolo nelle contrazioni uterine e altre funzioni, ma di fatti non funzionale
all’omeostasi del calcio). L’azione del PTHrP è basata sulla regione di omologia aminoterminale col PTH, regione
funzionale, che lega il recettore PTH/PTHrP, espresso oltre che sulle cellule paratiroidi, su quelle dell’encefalo, c
parafollicolari, e che, non distinguendo le due molecole, trasmette lo stesso segnale.

Nell’ipercalcemia i livelli ematici di Ca superano il fisiologico range di 8,4-10,4 mg/dl, risultando in un’ipercalcemia
asintomatica nell’80% dei casi, tanto da costituire frequentemente un reperto occasionale agli esami di laboratorio (
almeno per valori fino ad 11,5 mg/dl); nella forma asintomatica il sospetto di neoplasia deve insorgere per un quadro
di anemia, calo ponderale e movimento degli indici infiammatori; inizia a manifestarsi clinicamente tra gli 11,5-12
mg/dl, presentandosi con calcificazioni quando raggiunge i 13 mg/dl; tra i 15 e i 18 mg/dl si palesa un quadro grave di
emergenza caratterizzato da disidratazione, coma, e arresto cardiaco, una condizione definita anche crisi paratiroidea
ipercalcemica (evento raro e tipico tra la terza e la quarta decade).

Segni e sintomi sono:

-letargia, perdita della memoria e della personalità con depressione, apatia, labilità emotiva, raramente franche
psicosi, stupore e coma per interessamento del SNC;
-ipertensione arteriosa per implicazione del sistema reninico, abbreviazione della sistole elettrica cui corrisponde
reperto ECG di accorciamento dell’intervallo QT, bradicardia e blocco atrioventricolare per aumenti acuti di calcemia,
e rare aritmie, per interessamento del sistema cardiovascolare;

-per interessamento neuromuscolare astenia, debolezza della muscolatura prossimale degli arti inferiori, raramente
quelli superiori, ipotrofia muscolare; sintomatologia reversibile dopo correzione chirurgica;

-le manifestazioni gastro intestinali comprendono sintomi aspecifici come anoressia, vomito, nausea, epigastralgie e
stipsi, o specificatamente legati ad ulcera peptica – considerare l’eventuale gastrinoma insorto nell’ambito di una
MEN1- e a pancreatite.

Le forme ossee, precedentemente caratterizzate dal quadro clinico dell’osteite fibroso cistica, con dolori ossei,
fratture spontanee e psuedocisti palpatoriamente apprezabili, sono oggi rare. [L’osteite fibroso cistica è una
manifestazione ossea, considerata caratteristica del 10-25%, associata ad una iperproliferazione degli osteoclasti
giganti multinucleati nelle lacune di Howership ed ad un’iperproduzione di tessuto fibroso, che va a rimpiazzare i
normali costituenti cellulari.] I segni caratteristici e più comuni dell’ipercalcemia derivano dal riassorbimento
subperiostale principalmente a livello delle falangi terminali, che divengono corte e tozze, e delle clavicole. Il reperto
di più frequente riscontro alla radiologia è quello di una demineralizzazione diffusa, o osteopenia. Affianco all’RX
l’utilizzo della TC e della DEXA, densitometria ossea computerizzata a doppia emissione di raggi X, permette un’analisi
quantitativa oltre che visiva della rarefazione dell’osso a cui va incontro il paziente, studiandone la densità minerale.
Con la DEXA si evidenzia nello specifico al radio e alla colonna vertebrale un aumento della densità dell’osso
trabecolare ed una riduzione di quello corticale.

-La prevalenza della nefrolitiasi in pazienti ipertiroidei è variabile tra il 10% e il 40%, mentre soltanto nel 5% dei casi la
nefrolitiasi ha alla base un ipertiroidismo. Il sospetto sorge nel caso di nefrolitiasi recidivante (attacchi ripetuti di
calcolosi renale). La nefrolitiasi, e conseguente ostruzione delle vie urinarie, deriva dall’ipercalciuria, in quanto il calcio
totale filtrato è aumentato in quantità tali che neppure il riassorbimento ulteriore, stimolato dall’iperPTH, è
sufficiente, determinando un aumento del Ca urinario in senso assoluto; si sovrappone il rischio aumentato di
infezioni urinarie favorite dalla maggiore alcalinità delle urine, in cui è aumentata l’escrezione di bicarbonati. Lo stato
ipercalciurico non bilancia, con l’escrezione, l’eccesso ematico di Ca, in quanto oltre al riassorbimento osseo indotto
dal PTH, bisogna considerare un’ipervitaminosi D secondaria, che determina eccesso di assorbimento intestinale.
Infine l’aumentata tendenza all’escrezione di bicarbonati fa tendere all’acidosi, che non soltanto favorisce la
mobilizzazione del Ca, quindi la demineralizzazione ossea, ma fa anche diminuire l’affinità dello ione per l’albumina,
suo trasportatore principale nel sangue, che quindi rilascia facilmente Ca e aggrava il quadro dell’ipercalcemia.

I depositi di Sali di calcio che si realizzano una volta superato il limite di solubilità di 40 si localizzano nei tessuti molli:
-principalmente a livello del parenchima renale determinando nefrocalcinosi e dando il via alla progressione verso
l’insufficienza renale cronica( quadro è ulteriormente aggravato dalla nefrolitiasi e le infezioni);
-a livello di tendini, articolazioni e cartilagini, determinano condrocalcinosi e pseudogotta, tanto precocemente e
frequentemente da essere utilizzati come test di screening.
-a livello di cornea e congiuntiva, determinando cheratite a banda;
-nella cute causando prurito

La diagnosi:
si basa classicamente sul riscontro dell’ipercalcemia, almeno in 3 misurazioni essendo un ormone dello stress,
associata a elevati livelli circolanti di PTH. Inoltre sono presenti ipofosforemia, sebbene i livelli fosforo si basino
essenzialmente sull’apporto dietetico, e iperfosfaturia, nei pazienti con normale funzionalità renale, acidosi
ipercloremica, aumento dei livelli di Fosfatasi Alcalina isoenzima osseo, escrezione urinaria di idrossiprolina e altri
indici di rimaneggiamento osseo. Il tessuto abnorme viene identificato tramite ecografia e scintigrafia delle paratiroidi
con tc-sestamibi o per sottrazione di immagine, tecnica che sfrutta l’assorbimento del radiotallio da parte di
paratiroidi e tiroidi e del tecnezio da parte della tiroide, ma di fatti non risolutiva per masse molto piccole. Segue la
biopsia per eventuale diagnosi differenziale tra adenomi e iperplasia.
La diagnosi differenziale dalle altre forme ipercalcemiche è basata sui livelli di PTH, solitamente ridotti nelle neoplasie,
sarcoidosi, ipertiroidismo, m.di addison, immobilizzazione e farmaci; quando elevati, le uniche condizioni che possono
entrare in diagnosi differenziale sono l’ipercalcemia ipocalciurica familiare, in cui il PTH è in genere normale, e la rara
evenienza di un tumore a secrezione ectopica i PTH. Quando è invece presente ipocalcemia o normocalcemia
associata ad ipotiroidismo può esistere un deficit di Vit D o grave deficit di assorbimento intestinale, ipoalbuminemia o
acidosi. Quando è presente ipercalcemia con alcalosi ipocloremica la causa è da considerarsi non paratiroidea. Se
d’origine iatrogena la sospensione del trattamento dovrebbe ricondurre a normocalcemia.

Terapia:
-nelle forme asintomatiche il trattamento può essere limitato all’idratazione per favorire l’escrezione urinaria di Ca (
almeno 2 lt/die), eventualmente associata a diuretico dell’ansa (furosemide);
-In corso di ipercalcemia grave il trattamento chirurgico è risolutivo:
 in corso di adenoma di una ghiandola le altre devono essere biopsate, poiché potrebbe esserci un’iperplasia
asimmetrica
 per carcinoma l’intervento è solitamente totale
 -per l’iperplasia si effettuano o una paraidectomia subtotale o totale con l’autotrapianto nel braccio di 50-100
mg di tessuto
 La chirurgia è eseguita seguendo le linee guida:
- Aumento calcemia di 1 mg/dl almeno rispetto al range fisiologico
- Pericolo di vita
- Riduzione della clearance della cretinina oltre il 30%, e presenza di calcoli renali alla radiografia
- Aumento calciuria dlle 24h oltre i 400mg
- Riduzione massa ossea oltre 2 deviazioni standard al di sotto del valore medio normale

-L’approccio terapeutico farmacologico utilizza bifosfonati, che inibiscono l’osteoclastogenesi e la pompa protonica
espressa sulla superficie degli osteoclasti maturi contrastando il rilascio delle idrolasi acide, e quindi inibiscono del
riassorbimento osseo, SERM, glucocorticoidi.

Altre cause di ipercalcemia legate alle paratiroidi:

- la terapia con litio: utilizzata nelle malattie psichiatriche, determina ipercalcemia nel 10% dei casi, non viene
direttamente associata ad un rapporto causa-effetto ma viene dimostrata una dipendeza dalla terapia.
- Ipercalcemia ipocalciurica familiare: trattasi di una sindrome a trasmissione autosomico dominante legata a
mutazione del gene del recettore di sensibilità al calcio paratiroideo espresso sul cromosoma 3; attraverso il
legame dello ione a quest’ultimo, viene soppressa la secrezione, attraverso degradazione all’interno di
vescicole, del PTH. La perdità di sensibilità determina la mancanza del feedback negativo sulle paratiroidi ed
ipersecrezione di PTH. In questi pazienti il riassorbimento di calcio renale è superiore al 99%. Viene
diagnosticato entro i primi 10 anni, con livelli di PTH normali, pochi seni e sintomi, durante screening
familiare. Si studiano calciomimentici, mentre la terapia chirurgica è consigliata solo nei neonati omozigoti
per perdita di funzione, nati da matrimoni tra consanguinei per esempio, in quanto è subito evidente la grave
ipercalcemia.
- Malattia di jensen: associata a mutazioni del recettore del paratormone, con trasmissione autosomica
dominante; solitamente è caratterizzata da nanismo ed arti corti secondaria ad anomala maturazione delle
cartilagini di accrescimento. Nella vita adulta si riscontrano anomalie ossee, cona ree cistiche multiple di
riassorbimento.

Ipoparatiroidismo

È la condizione morbosa che risulta da un deficit della secrezione o dell’azione del PTH, caratterizzata sul piano
biochimico dall’ipocalcemia e iperfosforemia, e su quello clinico dai sintomi neuromuscolari e dalla deposizione di
Sali dal calcio nei tessuti molli.
Cause:

 Ipoparatiroidismo acquisito: la causa più comune di ipoparatiroidismo è l’asportazione chirurgica delle


paratiroidi o una lesione vascolare che ne compremetta l’irrorazione sanguigna in corso di eventi di
tiroidectemia; l’ipoparatiroidismo postchirurgico è spesso transitorio e tende a corregersi
spontaneamente dopo mesi dall’intervento con un’iperplasia o per recupero del tessuto rimanente.
Cause più rare sono il danno da radio-indotto conseguente alla terapia con radioiodio dell’ipertiroidismo
e il danno ghiandolare nei pazienti con emocromatosi o emosiderosi dopo ripetute trasfusioni.
 più raro è l’ipoparatiroidismo idiopatico, autoimmunitario, testimoniato dalla presenza di autoanticorpi
contro il recettore di sensibilità al calcio, nell’ambito di una sindrome polighiandolare(PAI 1 , per
mutazione del gene AIRE) che comprenda insufficienza surrenalica, ovarica, del sistema immunitario e
delle paratiroidi, candidiasi mucocutanea, distrofia ectodermica e anemia perniciosa; caratteristica è
l’associazione al morbo di Addison
 l’agenesia o disgenesia delle ghiandole è riscontrabile nella sindrome di George o come isolata; l’aplasia
sindromica è essenzialmente dovuta ad alterazioni dei meccanismi immunologici che deriva dall’aplasia
timica, al centro della sindrome di George.
 Mutazione con acquisizione di funzione del recettore di sensibilità al calcio paratiroideo, che inoltre
iperattivato a livello renale determina iperescrezione urinaria di calcio.
 l’ipoparatiroidismo può anche essere funzionale quando è secondario a situazioni di severa
ipomagnesemia, poiché pur non avendo un effetto di feedback vero e proprio, il livello di Mg è
necessario alla secrezione del paratormone: alcolismo cronico, sindromi da malassorbimento, difetto
selettivo dell’assorbimento di magnesio. Può inoltre esserci ipercalcemia che attiva il feedback negativo
inibendo la secrezione dell’ormone come nel caso di neonati di madri iperparatiroidee.
 Infiltrazione delle ghiandole da parte di virus, batteri, e metastasi, per esempio polmonari e ranali o
ematologiche.
 Ipoparatiroidismo ereditario associato a trasmissione autosomica dominante o legato al cromosoma X

Fisiopatologia

Il difetto di PTH condiziona:

 il rimaneggiammento osseo con ridotta attivazione dell’osteoclastogenesi e cessione di calcio al plasma ed


aumento della densità ossea;
 l’eliminazione urinaria di fosfati che risulta ridotta con conseguente iperfosforemia e tendenza del fosforo a
depositarsi come fosfato tricalcico a livello di vari tessuti, nonché aggravamento dell’ipocalcemia per
captazione del poco calcio circolante da parte del fosforo, alcalosi, secondaria alla ritenzione di bicarbonati;
 la formazione di 1,25(OH)2D3 ridotta, per riduzione dei valori di 1alfaidrossilasi (mancata stimolazione da
PTH e iperfosforemia), con conseguente riduzione dell’assorbimento intestinale di calcio;
 l’aumento dell’eliminazione urinaria di calcio

l’ipocalcemia aumenta l’eccitabilità neuromuscolare , condizionando tetania latente o conclamata, visibile


all’elettromiografia come una riduzione della soglia di eccitabilità con comparsa di attività ripetitive o continua dopo
un singolo stimolo.

Quadro clinico:

in base alla rapidità di insorgenza e all’entità dell’ipocalcemia si distinguono:


- forme acute, in cui predomina la tetania( dal greco τεινω”teino”=tendo), una contrattura spastica dei muscoli
preceduta solitamente da disturbi sensitivi, come formicolii e parestesue agli arti, alla regione periorale e alla
lingua. La contrazione spastica dei muscoli distali degli arti è definita spasmo carpo-radiale, evocato anche
dalla compressione ad una pressione di 20mmHg con il bracciale dello sfigmomanometro per 2 minuti (segno
di Trousseau) e caratterizzato da flessione delle articolazioni metatarsofalangee e dall’estensione delle
interfalangee con pollice addotto (mano da ostetrico), braccio addotto al tronco con flessione
dell’avambraccio sul braccio e della mano sull’avambraccio, e piedi iperestesi. La contrattura facciale si evoca
percuotendo il nervo facciale subito davanti al trago, sotto l’arcata zigomatica, e si osserva una contrazione
dei muscoli da esso innervati, dell’orbicolare delle labbra, con contrazoine dell’angolo della bocca segno di
Chovsteck).
- Le forme croniche sono solitamente mancanti delle manifestazioni conclamate tetaniche, piuttosto il decorso
lungo della malattia porta a una sintomatologia legata al deposito di fosfato tricalcico: alterato trofismo dei
tessuti di derivazione ectodermica quindi la cute si presenta secca e facilmente desquamantesi e frequenti
sono le infezioni da candida, i peli sono diradati, le unghie fragili, smalto dentario fissurato. La cataratta
subcapsulare è frequente ma reversibile con la correzione dell’ipocalcemia. Aumento della pressione
endocranica, calcificazione dei nuclei della base e sindromi extrapiramidali sono più comuni e di più precoce
insorgenza nell’ipotiroidismo ereditario, con ritardo dello sviluppo psichico quando insorge in età giovanile.
L’ipocalcemia può inoltre causare edema della papilla, alterazioni elettrocardiografiche con allungamento
intervallo QT e raramente blocchi atrioventricolari; malassorbimento intestinale, con steatorrea.
A livello psichico nelle forme acute predomina perdita della memoria, labilità emotiva e tendenza alla
depressione, in quelle acute irritabilità e crisi d’ansia.

Terapia:
-il trattamento dell’ipoparatiroidismo ereditario o acquisito si basa sulla somministrazione di Vitamina D in
quantità in ecceso rispetto alle necessità giornaliere di 200U, questo in quanto la conversione della vitD a
calcitriolo è assai ridotta, per cui la dose indicata è tra 1 e 3 mg/die;
-si consiglia una dieta ricca in calcio
-e povera in sodio, in quanto la correzione con calcitriolo non influenza l’escrezione renale di calcio, che deve
pertanto essere tenuta sotto controllo per evitare ipercalciuria e calcolosi renale. Si possono pertanto
somministrare diuretici tiazidici alla scopo di riudurre la calciuria dii 100 mg/die nei pazienti ipoparatiroidei
sottoposti a trattamento con vitD.
-se alla base dell’ipoparatiroidismo vi è un’ipomagnesemia la reintegrazione di magnesio correggerè questa
condizione; quando la funzionalità renale è normale la magnesuria può essere un buon indice della
reintegrazione di magnesio, che se non somminitrato a sufficienza, bisogna infatti considerare la quota
intracellulare scesa anche di 50 mmol, porterà dopo un breve intervallo di eumagnesemia ad un nuovo crollo.
Per cui la somministrazione di magnesio per via parenterale sarà almeno di 10-14 mmol al fine di correggere
la sintomatologia dell’ipomagnesemia.

Psedoipoparatiroidismo
Si tratta di una patologia ereditaria caratterizzata da sintomi e segni dell’ipoparatiroidismo , tipicamennte
associata a difetti scheleterici e di sviluppo. L’ipoparatiroidismo è dovuto ad un’insufficiente risposta al PTH
da parte degli organi bersaglio. L’iperplasia delle paratiroidi, che esprime una risposta omeostatica
all’ormono-resistenza, determina un aumento del PTH.
Cause:
- Deficit AMPciclico per ridotta quantità di subunità Ga stimolatoria, o con normali livelli, che caratterizza i tipi
Ia e Ib, rispettivamente.
- Il tipo Ia è anche associato alla Sindrome di McCune Albright o osteodistrofia ereditaria, in cui
l’ipoparatiroidismo è in associazione a bassa statura, ipogonadismo, grave ritardo mentale, faccia rotonda,
anomalie scheletriche(brachidattilia) e calcificazion ectopiche
- Il tipo Ib è contraddistinto da una resistenza per difetto recettoriale del PTH, a causa del quale il PTH non
evoca alcuna risposta nella secrezione dell’AMPciclico che si va a valutare.
- Nel tipo II il difetto è distale alla formazione dell’AMPciclico, ed evidentemente la proteina Ga sitmolatoria
sarà normale.

Infine una quadro clinico definito Pseudopseudoipoparatiroidismo è caratterizzato dalla presenza delle sole
stigmate somatiche, in assenza di una resistenza al PTH.

La diagnosi di resistenza ormonale viene posta per storia familiare positiva per difetti di sviluppo e/o la
presenza di anomalie come la brachidattilia, in associazione con segni e sintomi di ipoparatiroidismo. In tutti i
tipi i livelli di PTH sono elevati, mentre la risposta dell’AMPciclico urinario è ridotta nel tipo Ib.
Il trattamento del PTH è tipico dell’ipoparatiroidismo, se non per le dosi di vitaminaD e calcio che sono di
solito inferiori.

SURRENE
Valutazione della funzionalità
Livelli ematici: - secrezione basale ACTH a ritmo circadiano, con livelli bassi serali
- Attività reninica plasmatica caratterizzata da un picco di attività al mattino e da una riduzione nel pomeriggio
- Oltre all’attività reninica è possibile misurare il livelli di renina circolanti
- Steroidi: sia cortisolo che aldosterone vengono secreti in modo episodico e solitamente i livelli si riducono
durante il giorno, con un picco al mattino; l’aldosterone subisce inoltre un rialzo dopo un’eccessiva
assunzione di potassio, o una restrizione di sodio
Livelli renali:
- Cortisolo libero urinario, più alto nelle ore diurne tra le 7 e le 19
- Cortisolo plasmatico: 5-15μg/100ml ore 8 del mattino

Test di stimolazione: vengono utilizzati solitamente per la valutazione della riserva surrenalica di cortisolo e
dell’attività del sistema renina-angiotensina:

- Somministrazione intramuscolo o endovenosa di 250μg di cosintropina: valutazione cortisolemia a 60 min.:


nei soggetti normali deve superare i 18-20μg/dl
- Infine il test con CRH per stimolare il rilascio di ACTH e poi di cortisolo; risultato superiore ai 15 pg/dl entro
15-60 minuti.

Di maggiore importanza sono i test di soppressione, che si basano sulla misurazione della risposta di un ormone
bersaglio in sueguito alla soppressione standardizzata della sua tropina (somministrazione di glucocorticoidi al fine di
inibire l’asse ipofisi-surrenalico) e che sono utilizzati per documentare un’ipersecrezione di ormoni surrenalici,
principalmente gli stati di ipercostisolismo.

- Il test di soppressione con desametasone (overnight), un potente glucocorticoide, è mirato ad inibire il


rilascio di ACTH e quindi a sopprimere i livelli di cortisolo. La misurazione viene effettuata alle 8 del mattino,
quando i livelli del cortisolo sono massimi, e nel soggetto normale risulta in valori inferiori a 1,8 μg/dl.
- Il test di soppressione ad alte dosi viene effettuato per confermare il risultato positivo del precedente, per cui
si somministra desametasone per 2 giorni consecutivi, ogni 6 ore, in 0,5 mg, raccogliendo le urine delle 24h
per creatinina e cortisolo libero urinario, e la cortisolemia. Si osserva nel soggetto normale una caduta del
cortisolo libero urinario a livelli inferiori a 30μg/die e del cortisolo plasmatico a livelli inferiori a 5μg/dl.
- Cortisolo salivare notturno: In 2 notti diverse tra le 23 e le 24 ore; Raccolta diretta della saliva in provetta di
plastica o in batuffolo di cotone masticato pe 1-2 min -> <145ng/dl
- Test di soppressione di mineralcorticoidi: via endovenosa 500 ml/h di soluzione fisiologica x4h -> risultato:
aldosterone < 8ng/dl (dieta a ridotto tenore di sodio) e <5ng/dl (soggetti a dieta libera)
- Il test di ipoglicemia insulinica è un test che sfrutta l’effetto iperglicemizzante dei glucocorticoidi: la
somministrazione di insulina endovenosa determina aumento di cortisolo >18μg/dl. Utilizzato per valutare la
risposta e l’integrità dell’asse ipofisi-surrene.
- Test con metopirone, che inibisce la formazione del cortisolo; l’asse ipotalamo-ipofisario risponde
incrementando l’ACTH.

Sindrome di Cushing ed ipercortisolismo

Sindrome metabolica definita dall’eccesso di cortisolo plasmatico, caratterizzato da obesità truncale, strie
addominali rubre, astenia, facile affaticabilità, edema, glicosuria, osteoporosi.

Cause:
- Iperplasia surenalica bilaterale:nella maggior parte dei casi dovuta ad iperproduzinoe ipofisaria di ACTH O alla
produzione ectopica di ACTH. -> Per adenoma ipofisario secernente; solo questi pazienti ritenuti affetti dalla
malattia di Cushing.
- Tumori non ipofisari secernenti ACTH O CRH che causino iperplasia surrenalica: prevalentemente carcinomi
polmonari a piccole cellule, tumori pancreatici, ovarici (l’insorgenza in questi casi può essere improvvisa),
carcinoma midollare della tiroide -> in questi casi la presenza di iperpigmentazione indica il tumore
extrasurrenalico (con localizzazione intra ed extracranica)
- Nel 20 25% dei casi si tratta di un tumore surrenalico, sia un adenoma secernente cortisolo che un carcinoma,
anche se raro; i tumori sono solitamente monolaterali e maligni
- Cause iatrogene: somministrazione di steroidi a scopo terapico può indurre un Cushing esogeno

Segni e sintomi

- Strie rubre e cute assotigliata 85% ->pletora facciale, acne, facile lesività della cuta ed infezioni: per
degradazione del collagene indotto dai glucorticoidi;
- Osteopenia con fratture fino ad osteoporosi 50%i: il cortisolo inibisce la produzione di osteoprotegerina e
favorisce l’osteoclastogenesi, quindi la demineralizzazione;
- Intolleranza al glucosio e diabete mellito 2 (60%): essendo un ormone interprandiale ha attività
iperglicemizzante
- Obesità e aumento ponderale 95%: allo stimolo differenziativo in senso adipocitario e all’attivazione della
lipoproteinlipasi si aggiunge la capacità dell’ormone di legare con la stessa affinità i recettori
mineralcorticoidi->quindi effetto del cortisolo dove prevale un effetto mineralcorticoide (per iperfunzione
dell’isoenzima della 17β-deidrogenasi di tipo 1)->determina un’obesità definita centripeta a sede
sottocutanea-> collo taurino, gibbo a dorso di bufalo, facies lunare e rapporto vita/fianchi aumentato; ed in
sede viscerale->peritoneo e mediastino
- Le seguenti complicanze sono dovute ad una effetto inibitorio del cortisolo sul rilascio delle altre tropine
ipofisarie, in particolare GH e gonadotropine:
o ipogonadismo secondario:
 Riduzione libido 90%
 Irregolarità mestruali, con amenorrea, per ipogonadismo secondario 80%
 Irsutismo 75%
o Riduzione crescita lineare (bambini) 80%
- Ipertensione 75%
- Depressione/labilità emotiva 70%
- Suscettibilità alle ecchimosi 65%
- Astenia, causata da atrofia muscolare per aumentato catabolismo proteico 60%
- Nefrolitiasi 50%
- Suscettibilità alle infezioni per effetto antiinfiammatorio e immunosoppressivo, a basse e ad alte dosi
rispettivamente

Diagnosi (fare riferimento al paragrafo iniziale su surrene per approfondire i test e i valori)

- Cortisolemia non accurata-> accertata ipercortisolemia per positività ai test overnight con soppressione da
Desemetasone, cortisolo urinario e/o salivare
- DIAGNOSI DELLA CAUSA:
 Quando cortisolo sopra 15μg/dl + ACTH >15pg/L -> malattia di Cushing(adenoma ipofisario) o secrezione
ectopica da tumori non ipofisari (sindrome di Cushing)
 Quando cortisolo > 15μg/dl + ACTH <5pg/L -> ipercortisolismo ACTH INDIPENDENTE -> adenoma surrenalico o
carcinoma: solitamente la diagnosi differenziale dal carcinoma si basa su livelli più elevati del cortisolo e
l’ipersecrezione di androgeni, che caratterizzano l’irsutismo e la virilizzazione nel caso di carcinomi; inoltre
sulla dimensione del tumore alla radiologia: se >5 cm quasi sicuramente carcinoma.

Terapia:
- Chirurgia per ADENOMI e CARCINOMI surrenalico + trattamente pre- o postoperatorio per eventuale atrofia
della ghiandola controlaterale;
- Chirurgia per ADENOMI IPOFISARI o ectopici secernenti
- Irradiazione dell’ipofisi, rara, se il trattamento chirurgico non è risolutivo
- Inibizione enzimatica con inibitori della steroidogenesi: chetoconazolo, mitotane.

IPERALDOSTERONISMO

l’iperaldosteronismo è una sindrome associata all’ipersecrezione di aldosterone ed è possibile definirlo come


primitivo o secondario.

Iperaldosteronismo primitivo è dato da un’inappropriata secrezione di aldosterone da parte di:

- un adenoma surrenale secernente (sindrome di Conn), solitamente unilaterale

- iperplasia idiopatica bilaterale

Raramente:

- iperplasia surrenalica unilaterale


- iperaldosteronismo familiare
- un carcinoma.

Segni e sintomi:

- Ipertensione arteriosa – non associata ad edema- nel 100% dei casi: la principale azione dell’aldosterone si
esplica a livello del tubulo renale contorto distale e del dotto collettore facilitando l’espressione dei canali
del sodio e favorendone il riassorbimento, e di conseguenza causando il riassorbimento di acqua -> sodio
volume dipendente
- Ipopotassiemia: la deplezione del K+ è responsabile delle manifestazioni neuromuscolari -> astenia,
debolezza e crampi muscolari, parestesia
- Ipernatremia
- Alcalosi metabolica e acidificazione urine
- Iposecrezione di renina
- Poliuria
- Polidipsia
- Alterazioni ECG con aritmie cardiache ed extrasistoli

DIAGNOSI:

- ARR : rapporto aldosterone/Attività plasmatica reninica > 30, con aldosterone >15 ng/dl; oppure
aldosterone/renina>3.8
- Conferma con infusione di soluzione salina
- Se non vi è soppresione da soluzione salina: Tc o RM
- Mancata individuazione del tumore -> dosaggio aldosterone plasmatico dopo soppressione con
desametasone: soppressione mancata-> iperplasia idiopatica

TERAPIA:
- Chirurgia per via laparoscopica
- Dieta iposodica + antagonisti dell’aldosterone, spironolattone: la terapia cronica nel maschio comporta
ginecomastia, diminuzione della libido e impotenza.

L’Iperaldosteronismo secondario si associa ad un’iperattivazione del sistema renina-angiotensina, quindi a


risposte fisiologiche all’ipoperfusione delle arteriole afferenti; questo può essere dovuto a:
- Stenosi di una o entrambe le arterie renali
- Nefrosclerosi arteriolare grave o
- Secondaria ad ipertensione
- Gravidanza: iperaldosteronismo come risposta fisiologica agli estrogeni che determinano aumento del
substrato della renina
- Ipotensione e ipovolemia per:
o Cirrosi
o Insufficienza cardiaca congestizia
o Sindrome nefrosica
- Tumori secernenti renina
- Reninismo primitvo

L’iperaldosteronismo secondario presenta un quadro simile al tipo primitivo, accompagnato ad edema.

IPOSURRENALISMO E ADDISON

Distinguiamo due tipologie di insufficienza surrenalica, primitiva, che vede atrofiche tutte e tre le zone reticolata,
fascicolata e glomerulare, con deficit generale, dovuta a carenza di produzione o secrezione, e secondaria o terziaria
ad un deficit di stimolazione ipofisario-ipotalamico, in cui prevale la carenza di glucocorticoidi, per atrofia limitata
principalmente alla corteccia reticolare e fascicolare, il cui trofismo è ACTH-dipendente. Sul piano clinico la
conseguenza dell’iposurrenalismo varia in rapporto alla rapidità di evoluzione del processo morboso (acuto o cronico)
e all’estensione delle lesioni.

L’insufficienza surrenalica primitiva o morbo di Addison

Si tratta di una malattia da insufficienza surrenalica cronica con pari incidenza nei due sessi e possibile ad ogni età; è il
risultato della distruzione parenchimale che coinvolga più del 90% delle ghiandole prima che si manifestino i sintomi e
i segni dell’insufficienza.

Le cause alla base della sua insorgenza sono varie:

- Atrofia idiopatica, o adrenalite autoimmune: è caratterizzata da un’infiltrazione linfocitaria della corteccia


surrenalica e nel 60-70% dei pazienti da autoanticorpi circolanti diretti contro la 21-idrossilasi, la 17α-
idrossilasi e la 20,22-desmolasi, nonché nel 50% dei casi anche da autoanticorpi antitiroidei, antiparatiroidei
ed antitessuto gonadico (sindrome polighiandolare di tipo II, o di Schmitd o I). Il primo segno di insufficienza
surrenalica nel’ambito dell’adrenalite autoimmune è rappresentato da un incremento dell’attività reninica
plasmatica associata a bassi livelli di aldosterone, a testimoniare il precoce coinvolgimento della zona
glomerulare rispetto alle altre.
- Altre cause:
o Tubercolosi (oggi rara) ed altre malattia croniche granulomatose
o Adrenoleucodistrofia: malattia x-linked caratterizzata da accumulo di acidi grassi a lunghissima
catena nella sostanza bianca del SNC, nel corticosurrene e nel testicolo.
o Metastasi tumorali
o Infezione da HIV, per trofismo di virus come il Citomegalovirus
o Emorragia bilaterale(sindrome di Waterhouse-Friederichsen)
o Ipoplasia surrenalica congenita: mutazione del gene DAX1,che codifica per un recettore nucleare
fondamentale nella maturazione e nella differenziazione gonadica e surrenalica
o Iatrogena: per farmaci che inibiscono la stereidogenesi, che accelerano il metabolismo dei
glucocorticoidi o che agiscono come agenti tossici; surrenectomia bilaterale per grave Cushing

Segni e sintomi:

- per carenza di cortisolo si ha alterazione dei metabolismi:


o Ridotta gliconeogenesi e ipoglicemia
o Diminuita mobilizzazione e utilizzazione dei grassi
o Astenia, debolezza, facile affaticabilità, tale da impedire lo svolgere delle normali attività
o Disturbi gastrointestinali come nausea, vomito, con perdita di peso
o Melanodermia: il sistema ACTH-cortisolo è regolato da feedback negativo per cui vi è una
stimolazione oltre che di ACTH anche di altri peptidi POMC-derivati (αMSH e βlipotropina),
responsabili dell’iperpigmentazione di cute e mucose
o Alterazioni psichiche: depressione, ridotto interesse, apatia
o Esercitando il cortisolo un stimolo all’eritropoiesi e al ricircolo dei leucociti tra il compartimenti
intravascolare e i tessuti->la sua carenza determina: anemia, linfocitosi, eosinofilia e neutropenia
o Incapacità dei pazienti di rispondere ad ogni stress fisiologico e patologico
- la carenza di aldosterone provoca una ridotta capacità di trattenere sodio ed espellere potassio a livello dei
tubuli renali, per cui si ha diminuizione del volume extracellulare:
o Ipotensione
o Perdita di peso
o Ipotensione arteriosa
o Diminuzione della gittata cardiaca
o Atenia intensa
o Facile comparsa di episodi lipotimici ed ipotensione ortostatica
o Un episodio di gastroenterite con comito e diarrea può catenare un iposurrenalismo acuto

Laboratorio e diagnosi

- Iponatremia
- Iperkaliemia
- Angiotensina e vasopressina elevati
- Cortisolemia basale inferiore a 18μg/dl e cortisolo libero urinario ridotto(+aldosterone ridotto = i. primitiva; +
aldosterone normale=i.secondaria)
- ACTH elevato
- Cortisolo e aldosterone ridotti anche dietro stimolazione con ACTH(vedi test da stimolo con ACTH)
- Elettrocardiogramma alterato
- Anemia normocitica, linfocitosi, eosinofilia; nel caso di patologia autoimmune, per coinvolgimento della
mucosa gastrica si può avere anemia megaloblastica

Terapia

- Deve essere instituita una terapia sostitutiva con idrocortisone (analogo del cortisone) somministrato per via
orale alla dose di 20-30 mg/die;
o da assumere durante i pasti con il latte o un antiacido, in quanto aumenta l’acidità gastrica(tra le
complicanze prima la gastrite)
o in 2 momenti per riprodurre il normale ritmo secretivo diurno (2/3 della dose al mattino e 1/3 nel
tardo pomeriggio).
o Da ridurre se compaione sintomi psichici come irritabilità, insonnia ed eccitazione mentale
o Da ridurre nell’ipertensione e nel diabete mellito
o Da aumentare nell’obesità ed in terapia con anticonvulsivanti
o Da raddoppiare (almeno) in condizione di stress, come febbre, interventi chirurgici o estrazioni
dentarie, e nel caso assunta per via parenterale
- Supplemento di mineralcorticoidi (fluidrocortisone): 0.05-0.1 mg/die (da aumentare nei periodi di aumentato
esercizio fisico)
- Apporto di sodio con la dieta elevato( 3-4 g/die)
- Androgeni nelle donne per aumentare la densità ossea

FEOCROMOCITOMA
È un tumore delle cellule cromaffini della midollare del surrene, cellule di derivazione neuroectodermica. Dalla
cresta neurale da cui provengono alcune di queste cellule migrano verso la midollare del surrene mentre altre si
localizzano nei paragangli extrasurrenalici: strutture di piccolo dimensioni associate al sistema nervoso autonomo,
che talvolta possono riunirsi in masse di dimensioni maggiori come l’organo di zuckerkanland, normalmente
destinato all’atrofia. Può insorgere a tutte le età, con una maggiore frequenza fra i giovani e con una prevalenza
nelle donne.

La secrezione principale del tumore è associata e quasi mai esclusiva delle 2 catecolamine con percentuale
maggiore di noradrenalina nei tumori extrasurrenalici, e di adrenalina in quelli surrenalici, in quanto nel surrene vi
è già un eccesso di enzimi metilanti. Inoltre si possono trovare una serie di peptidi che contribuiscono alla
sindrome paraneoplastica. La secrezione non avviene per stimolazione nervosa come per la midollare sana, ma
probabilmente per una variazione del flusso sanguigno o per necrosi all’interno del tumore, essendo tumori molto
vascolarizzati. Inoltre la secrezione non risulta continuativa ma episodica, poiché il tumore immagazzina ormoni in
attesa di stimoli, come può essere il clinostatismo, la palpazione nella sede del tumore, sforzi, minzione nel caso
di paraganglioma vescicale, e così via.

Sedi:

- Surrene: 80% bilaterale; 10% unilaterale


- 10% extrasurrenale:
- Addome: gangli celiaci, mesenterici superiori e mesenterici inferiori
- Torace (10%)
- Vescica (1%)
- Collo (<3%)

Sindromi familiari:

- Ereditato come carattere autosomico dominante (5%)


- Isolato (66%), solitamente maligno
- MEN 2A o MEN2B
- Neurofibromatosi di von Recklinghausen
- Emangioblastosi retinica di von Hippel-Lindau

Fisiopatologia:

La noradrenalina ha un effetto prevalente sui recettori α-adrenergici e la sua azione si riflette nella costrizione
arteriolare con riduzione del raggio del vaso e aumento dei livelli pressori.

L’adrenalina agisce a livello dei recettori sia α che β-adrenergici, la stimolazione dei quali provoca la vasodilatazione
delle arteriole muscolari con effetto antiipertensivo. Tuttavia la stimolazione β-adrenergica da parte dell’adrenalina a
livello cardiaco determina un aumento della forza e delle frequenza di contrazione.

La liberazione eccezionale nel sangue di catecolamine determina crisi ipertensive, associate però, al prevalere
dell’adrenalina, ad aumento pressorio, crisi di malessere, cefalea, sudorazione, tremori e angoscia(per azione sul SNC).

L’ipotensione ortostatica è più tipica dei tumori maligni che secernono grosse quantità di adrenalina, con effetto
antipertensivante periferico.

La “tempesta di catecolamine” si ha per eventi necrotici-emorragici al centro dei feocromocitomi, con abnorme
rilascio di catecolamine che vanno a determinare lesioni delle cellule miocardiche nonché aumento della permeabilità
dei vasi polmonari, da cui l’edema (può essere il primo segno).
Quadro clinico:

La maggior parte dei pazienti presenta una prima crisi ipertensiva, per la quale si rivolge al medico, associata a
parossismi, crisi ansiose, ipertensione non sensibile al trattamento convenzionale, e meno comunemente per shock
post chirurgico e ipotensione inspiegata.

 Ipertensione e crisi: persistente e parossistica, solitamente grave, maligna, resistente agli antipertensivi;
lo 0.1% degli ipertesi mostra feocromocitoma a monte; possono essere rare e distanziarsi di mesi e
durare da pochi secondi a diverse ore; la loro gravità e frequenza peggiora col tempo. Nel 20% la
pressione è a livelli normali con picchi ipertesi; nel 30% è persistente l’ipertensione, con episodi; un 30%
presente ipertensione stabile senza parossismi; nel 15% è del tutto irregolare.
 Manifestazioni caratteristiche che predispongono il paziente a shock in corso di interventi chirurgici:
- aumento metabolismo,
- sudorazione profusa,
- perdita di peso da lieve a moderata
 Manifestazioni cardiache: angina e possibilità di infarto del miocardio, con manifestazioni ECG legate ad
alterazione ST, T, U elevate, blocco di branca dx e sx, sovraccarico vt sx.
 Edema polmonare
 Intolleranza ai carboidrati, per inibizione della sintesi insulinica e della stimolazione epatica alla sintesi di
glucosio
 Ematocrito elevato
 Febbre, VES elevata
 Poliuria
 Rabdomiolisi con mioglobinuria, probabilmente per vasocostrizione e ischemia muscolare

Diagnosi:

 Livelli aumentati di catecolamine urinarie nella raccolta 24h: valori normali tra 100 e 150μg -> in caso di
feocromocitoma superiori a 250μg
 Livelli aumentati di metanefrine e acido vanilmandelico nelle 24h urine: valori normali di 1,3 mg e 7 mg
rispettivamente -> in feocromocitoma: triplicati almeno
 Dati i livelli elevati si fanno test di conferma:
 Con fentolamina( 5mg in bolo dopo una dose di 0,5 mg prova) allo scopo di ridurre la pressione arteriosa
-> mancata soppresione -> test positivo al feocromocitoma
 Test di stimolazione (pericolosi) con glucagone per indurre crisi ipertensiva e rialzo delle catecolamine
circolanti nei paznt con feocromocitoma, eventi che non sono rilevabili nel soggetto normale.
 Una volta fatta diagnosi esami strumentali:
- Surrenalico -> RM o TC
- addome extrassurenalico->RM
- Toracico -> RX o TC
i. Se le indagini danno esito negativo ->aortografia addominale
ii. Se negativo -> sampling venoso dalla cava superiore e dalla cava inferiore per
identificare il territorio di distribuzione
iii. Angiografia selettiva
a. Scintigrafia con MIBG (radioiodio che viene captato dal tumore dai
processi di captazione amminica)

terapia:

 La crisi ipertensiva si tratta con fentolamina endovena, ad esempio durante il test da stimolazione
 Terapia solitamente chirurgica:
- Necessita di preparazione preoperatoria: blocco α-recettoriale (fenossibenzamina) per i
precedenti 14 giorni aumentando la dose ogni giorno di 10-20mg partendo da 10 mg ogni 12 ore
+ β-bloccanti, solo dopo aver ottenuto il blocco α, con propanolo(10mg 3-4/die) per
antagonizzare la vasodilatazione nella muscolatura scheletrica.
 Nel caso di gravidanza: il tumore tende a crescere esponenzialmente, in quanto espone recettori del
progesterone; la rimozione chirurgica deve essere immediata l momento della diagnosi se la gravidanza è
agli inizi, preparando la paziente con fenossibenzamina, non avendo dato questi farmaci effetti
collaterali; la terapia è con farmaci antiadrenergici dal terzo trimestre, quando vi è maturità sufficiente
del feto, a scopo preparatorio per il taglio cesareo e la successiva rimozione del tumore.

Ipotiroidismo

L’ipotiroidismo nella gran parte dei casi è primitivo, cioè dovuto a malattie che colpiscono direttamente la tiroide con
conseguente compromissione della secrezione ormonale. Meno frequentemente viene ad essere causato da malattie
ipotalamo-ipofisarie che compromettono il rilascio del TSH (ipotiroidismo secondario e terziario). Raro è
l’ipotiroidismo causato da resistenza recettoriale (sindrome di Refetoff). L’ipotiroidismo primitivo può essere distinto
in congenito e acquisito: il primo può essere a sua volta sporadico o endemico.

Ipotiroidismo congenito primitivo

Forma di ipotiroidismo primitivo presente fin dalla nascita, con una prevalenza variabile in base alle aree geografiche:
nelle aree endemiche gozzigene la frequenza di tale patologia è correlata alla carenza di iodio. L’endemia viene ad
essere distinta in 3 gradi: il 1° grado con ioduria 50-100 ug/g creatininemia, il 2° 25-49 ug/g, il 3° < 25ug/g con TSH alla
nascita <50 mU/L.

La carenza iodica rappresenta la causa di ipotiroidismo congenito endemico, mentre quello sporadico è provocato più
frequentemente da disgenesia tiroidea o più raramente da disormonogenesi da difetti genetici. La disgenesia tiroidea
si presenta come condizione sporadica isolata e non si associa in gran parte dei casi ad alterazioni genetiche specifiche
tranne nel caso del gene PAX8 che regola lo sviluppo ghiandolare. Tale mutazione è stata riscontrata nei casi di
iplopasia tiroidea o ectopia tiroidea. Quello disormonogenetico è causato da mutazioni germinali di geni che
traducono per proteine essenziali all’ormonogenesi tiroidea con una manifestazione modesta o subclinica. Si può
avere una mutazione del NIS che causa malattia autosomica recessiva. Altra malattia autosomica recessiva è la
sindrome di Pendred, caratterizzata da ipotiroidismo e sordità neurosensoriale, per un difetto nell’organificazione.
Altre cause sono difetto di sintesi di Tg e H2O2. Esistono alcune forme di ipotiroidismo congenito transitorio: nei
bambini prematuri si può osservare un difetto nel metabolismo dello iodio; un ipotiroidismo di alcune settimane può
conseguire ad assunzione di iodio o farmaci antitiroidei dalla madre; un ipotiroidismo transitorio è dovuto alla
presenza di anticorpi materni inibenti contro il TSHR i quali hanno attraversato la placenta e permanere nel circolo
neonatale per alcuni mesi.

Gli ormoni tiroidei svolgono la loro azione sullo sviluppo dello scheletro e del SNC. La carenza di ormoni tiroidei nei
primi anni di vita può causare danni all’SNC dove gravità e reversibilità dipendono dall’ipotiroidismo fetale e rapidità
dall’inizio della terapia. Nelle aree endemiche, la ridotta funzionalità tiroidea sia nella madre che nel feto comporta la
comparsa precoce di ipotiroidismo nella vita fetale, con conseguenze nello sviluppo del SNC. Nell’ipotiroidismo
congenito sporadico, in quanto la madre riesce a supplire al deficit ormonale tale condizione si sviluppa generalmente
alla nascita e le conseguenze meno gravi. Comunque, anche nelle forme sporadiche il deficit intellettivo può diventare
importante se non viene intrapresa una terapia sostitutiva precoce. La carenza di ormoni tiroidei causa anche un
difetto di accrescimento che esita in bassa statura definita “bassa statura”. Quest’ultima è caratterizzata da uno
sproporzionato accrescimento degli arti rispetto al corpo, espressione di un difetto d’azione sulle cartilagini di
accrescimento (disgenesia epifisaria).

Nelle forme endemiche il sintomo sempre presente è il cretinismo, cui si associano mixedema e nanismo invece nelle
forme disormogenetiche è presente gozzo. I segni clinici di ipotiroidismo sono l’ittero prolungato, la difficoltà
all’alimentazione, la macroglossia, l’ipotonia muscolare e il pianto rauco. Può essere presente ernia ombelicale e
malformazioni, soprattutto cardiache. Se non corretto, l’ipotiroidismo congenito causa rallentamento della crescita e
bassa statura disarmonica.

Oggi sono in atto programmi di screening effettuati su tutti i neonati che consentono di individuare ipotiroidismo
congenito mediante dosaggio di TSH su una goccia di sangue ottenuta per puntura del calcagno. Lo screening è
giustificato dai seguenti motivi: bassa probabilità di diagnosticare ipotiroidismo su base clinica; elevata frequenza della
malattia; semplicità, costo contenuto e non invasività della procedura; importanza della diagnosi precoce per efficacia
della terapia. Il test di conferma a screening positivo è il dosaggio del pattern ormonale completo. Per la diagnosi
eziologica è utile la valutazione mediante ecografia tiroidea o scintigrafia con 123I, entrabi utili per la diagnosi delle
forme disormonogenetiche. Per la sindrome di Pendred si può eseguire il test al perclorato che è un inibitore della
captazione dello iodio ed è in grado i eliminare tutto lo iodio non organificato. Il perclorato viene somministrato 2 ore
dopo la somministrazione di un tracciante radioattivo: nel soggetto normale la TPO organifica gran parte dello iodio
perciò il perclorato non induce cambiamenti, invece, nel bambino con deficit della TPO, il perclorato induce il rilascio
di una significativa quantità di iodio tanto da causare una riduzione della captazione >5% del basale.

Ipotiroidismo primitivo acquisito

Tiroidite di Hashimoto

La tiroidite di Hashimoto è una malattia autoimmune ad andamento cronico che predilige il sesso femminile (spesso in
età peri- e postmenopausale). L’ipotiroidismo non rappresenta una manifestazione costante nella patologia ma
compare quando il processo autoimmunitario ha causato una distruzione parziale o totale della ghiandola tale
comprometterne la funzionalità. Il rischio di sviluppare ipotiroidismo nei pazienti con tiroidite di Hashimoto aumenta
progressivamente con l’età e la progressione della malattia autoimmune.

La tiroidite di Hashimoto è una malattia a genesi multifattoriale, scatenata da fattori ambientali in soggetti
geneticamente predisposti. L’esistenza di una predisposizione genetica è suggerito da una concordanza elevata tra
gemelli omozigoti rispetto a quelli dizigotici. I primi geni ad essere stati identificati come responsabili della patologia
sono quelli di MHC di classe II (DR3, DR4 E DR5). Nei soggetti predisposti intervengono fattori endogeni ed esogeni alla
sviluppo della tiroidite di Hashimoto: tra i primi si ricorda la gravidanza che comporta profondi e rapidi modificazioni
dell’assetto immunitario invece tra i secondi le infezioni, i farmaci, lo iodio e le radiazioni ionizzanti. Le infezioni
possono scatenare la patologia andando ad attivare le cascate citochiniche responsabili dell’innesco e del
mantenimento della risposta autoimmune “organo specifica”. Una tiroidite di Hashimoto con ipotiroidismo può
comparire anche nei pazienti che assumono immunomodulatori (interferone α). La tiroidite di Hashimoto è frequente
nelle zone ad alto consumo di prodotti ittici crudi ad elevato contenuto di iodio: si pensa che lo iodio inneschi la
risposta autoimmune attraverso un incremento della iodinazione della Tg, che porterebbe alla presentazione di
antigeni tiroidei criptici per i quali non si è sviluppata la tolleranza. Le radiazioni ionizzanti causano la tiroidite
mediante la produzione di radicali liberi con conseguente danno cellulare ed esposizione di autoantigeni.

Nella tiroidite di Hashimoto sono generalmente presenti solo due tipi di anticorpi antitiroide, TgAB TPOAb. Alla base
della patogenesi vi è sia l’azione di alcuni dei TPOAb che possono attivare il complemento e quindi contribuire al
processo di distruzione della ghiandola sebbene sia, e più importante, la risposta autoimmune di tipo cellula-mediata
che coinvolge principalmente i CD8 citotossici. A dirigere tale risposta intervengono citochine e chemiochine prodotte
sia dai linfociti sia dalle cellule follicolari le quali rappresentano non solo il bersaglio dei linfociti ma partecipano alla
cascata patogenetica regolando l’afflusso di linfociti e modulando la loro azione. In seguito allo stimolo citochinico, le
cellule follicolari esprimono 2 marcatori che sono coinvolti nell’induzione dell’apoptosi: Fas e Fas ligando. Nella
tiroidite di Hashimoto, l’attivazione del processo autoimmune induce l’espressione del Fas anche sulle cellule tiroidee,
che quindi sono predisposte a essere distrutte attraverso un processo apoptotico. A livello anatomopatologico,
l’architettura ghiandolare appare alterata per la presenza di un intenso infiltrato infiammatorio interstiziale che
contiene linfociti e plasmacellule, spesso organizzati in follicoli. Il grado di fibrosi varia da caso a caso e in alcune aree
mostra un aspetto ialino, amiloido-simile.
La carenza di ormoni tiroidei provoca effetti generali: rallentamento dei processi metabolici con conseguente
mixedema da accumulo di mucopolisaccaridi, ipercolesterolemia, diminuita sintesi proteica con deficit di enzimi,
ormoni e recettori; minore responsività dei recettori delle catecolamine a livello del SNC con conseguente
diminuzione dell’attenzione, compromissione della memoria, abulia e sintomi depressivi; riduzione dei processi
ossidativi e della produzione di calore con compromissione dell’omeostasi termica; ridotta disponibilità energetica per
tutte le cellule con conseguente riduzione di ogni attività.

Il decorso clinico presenta una fase iniziale asintomatica in cui non vi è ipotiroidismo ma vi può essere gozzo. Tale fase
può essere più o meno lunga, anche durare tutta la vita però si possono avere fasi transitorie di tireotossicosi
espressioni di tiroidite distruttiva. Successivamente, la transizione dell’eutiroidismo all’ipotiroidismo può presentare
una fase di ipotiroidismo “subclinico” caratterizzata da un incremento del TSH con valori di FT4 e FT3 ancora nel range
di riferimento. Anche, quando si sviluppa l’ipotiroidismo, la sintomatologia può essere sfumata. I sintomi avvertiti dal
paziente sono astenia, affaticabilità, ridotta tolleranza al freddo, sonnolenza, stipsi ostinata. Obbiettivamente, si nota
che la voce è roca e profonda, l’eloquio lento, uniforme, privo di variazioni di tono. La succulenza della palpebre, il
pallore, la scarsezza dei movimenti mimici danno al volto un aspetto inespressivo caratteristico. Nei casi più gravi le
alterazioni del voto sono più spiccate: l’edema diffuso, le rime palpebrali ristrette, ii capelli, e le sopracciglia scarsi e la
bocca semiaperta, attraverso la quale si scorge la lingua ingrossata (da infiltrazione mixedematosa), conferiscono al
volto del paziente l’aspetto della facies mixedematosa. Si osserva generalmente un aumento di peso, principalmente
dovuto alla ritenzione di liquidi. L’appetito è ridotto in rapporto al diminuito fabbisogno energetico. La stipsi ostinata,
dovuta a rallentamento della peristalsi intestinale, è sintomo assai frequente. La cute è spessa, secca, pallida, fredda,
talvolta con una sfumatura giallastra per accumulo di carotene. Il mixedema è un edema caratterizzato dalla
consistenza duro-elastica con marcata formazione di fovea alla pressione digitale e dallo sviluppo in sedi
caratteristiche (regioni palpebrali, dorso delle mani e dei piedi, regioni pretibiali e avambracci). Nella fase iniziale della
malattia è presente un aumento di volume della tiroide. La consistenza è aumentata e può essere presente
dolorabilità. Possono anche essere presenti formazioni nodulari che però non sono correlate alla malattia
autoimmune, ma che riflettono coesistenza di un gozzo nodulare. Con il progredire della malattia, la ghiandola diventa
non palpabile o difficilmente palpabile. Nell’ipotiroidismo dell’adulto si ha un rallentamento di tutte le funzioni
intellettive infatti l’atteggiamento psichico del paziente ipotiroideo è caratterizzato da rallentamento dell’ideazione,
perdita della memoria, difetto dell’attenzione, sonnolenza, con rallentamento dei riflessi osteotendinei. Nei soggetti
anziani la sonnolenza spesso è più accentuata sino a raggiungere una vera letargia e in rari casi coma (coma
mixedematoso). Sono presenti stati depressivi e in alcuni casi un vero stato di deterioramento cognitivo, spesso
confuso con la demenza senile. La carenza di ormoni causa bradicardia e riduzione della forza contrattile del miocardio
con riduzione della gittata sistolica. Di conseguenza la portata cardiaca è nettamente ridotta e il flusso sanguigno alla
cute, al cervello e ai reni è diminuito. Si ha inoltre vasocostrizione periferica con aumento delle resistenze e talora
ipertensione. Si stabilisce pertanto una situazione emodinamica caratterizzata da bradicardia, allungamento del
tempo di circolo, diminuzione del flusso ematico ai tessuti, diminuito ritorno venoso al cuore, riduzione della gittata
sistolica. Nonostante la riduzione della gittata sistolica, la differenza arterovenosa di ossigeno è normale e,
diversamente dallo scompenso cardiaco, la gittata cardiaca aumenta se il paziente è sottoposto a sforzo. Tuttavia nelle
forme gravi e di lunga durata di ipotiroidismo può essere complicato da scompenso cardiaco in quanto tale stato
causa lesioni del miocardio (edema interstiziale, rigonfiamento aspecifico delle miofibrille, deposizione di materiale
mucoproteico), configurando il quadro di cuore mixedematosa (anche con cardiomegalia). Si può avere versamento
pericardico, in genere ben sopportato in quanto il liquido si accumula lentamente.

Negli esami di routine gli esami ematochimici mostrano un ipercolesterolemia (>300 mg/dl) e un’anemia. Si tratta di
un’anemia normocromica, normocitica con ridotto numero di reticolociti e quadro di ipoplasia midollare. L’anemia
può aggravarsi bruscamente, divenendo sideropenica nelle pazienti con menometrorragia. Si può osservare anche
un’anemia macrocitica nel caso in cui siano presenti anticorpi diretti contro le cellule parietali associati alla tiroidite di
Hashimoto.

Agli esami immunologici, nelle fasi iniziali sono presenti solo gli anticorpi tiroide, TgAb e TPOAb con normali livelli di
TSH, FT3 e FT4. I TgAb e soprattutto i TPOAb sono importanti per la diagnosi di tiroidite di Hashimoto. Quest’ultima
potendosi associare ad altre malattie autoimmuni rende necessario il dosaggio anche di altri anticorpi anti-parete
gastrica, quelli antiendomisio o antitransglutaminasi e quelli anti-GAD65.

Per lo studio della funzione tiroidea si utilizza il dosaggio di TSH il cui range laboratoristico è compreso tra 0,5 mU/L e
4,5 mU/L. Per completezza diagnostica, il TSH si associa il dosaggio della FT4. La prima fase, quella eutiroidea, può
essere transitoriamente da episodi di tireotossicosi senza ipertiroidismo. L’ipotiroidismo si sviluppa gradualmente con
una fase subclinica che precede la fase conclamata. Tale fase si caratterizza sempre da elevati livelli di TSH e bassi
livelli di FT4, mentre nel 25% dei casi la FT3 è normale.

Tra gli esami strumentali l’ecografia tiroidea è uno strumento utile anche se non indispensabile per l’approccio
diagnostico. Il quadro ecografico è caratterizzato da un’ipoecogenicità più o meno diffusa espressione dell’infiltrazione
linfomonocitaria e della distruzione follicolare. Inoltre l’ecografia consente di evidenziare anche l’eventuale
coesistenza di noduli tiroidei. L’agoaspirato va eseguito solo nei pazienti con evidenza di noduli tiroidei veri.

Ipotiroidismo secondario e terziario

Esistono forme acquisite e congenite di ipotiroidismo secondario e terziario, che per definizione sono causati
rispettivamente da una ridotta secrezione di TSH e TRH. Tali condizioni possono verificarsi nei pazienti con malattie
ipofisarie o ipotalamiche (malattie infiammatorie, vascolari, neoplastiche, infiltrative) o sotto posti a ipofisectomia o
irradiazione ipofisaria (in questo caso vi sono altre manifestazioni di ipopituitarismo). Le forme di ipotiroidismo
secondario sono per lo più idiopatiche come: mutazioni inattivanti il gene del recettore del TRH, mutazioni del gene
del TSH che ne impediscono la dimerizzazione, mutazioni del fattore di trascrizione ipofisari pit-1 e prop-1. Una forma
iatrogena può essere dovuta dal mitomane, farmaco per trattamento del carcinoma surrenalico. Il quadro bioumorale
è caratterizzato da livelli sierici di FT4 e FT3 inferiori alla norma e valori di TSH inappropriatamente bassi o normali. Il
test al TRH consente di dare informazioni diagnostiche nei casi di ipotiroidismo centrale.

Resistenza agli ormoni tiroidei (Sindrome di Refetoff)

Le mutazioni del TRβ a livello del sito di legame comportandone un’incapacità di legame determinano repressione
della trascrizione del gene bersaglio e sono la causa della sindrome da resitenza agli ormoni tiroidei. I valori di FT3 e
FT4 sono superiori alla norma con valori di TSH inappropriatamente elevati. Il TSH non è inibito dalla somministrazione
degli ormoni tiroidei, ma aumenta in risposta alla somministrazione di TRH. Clinicamente si ha gozzo e la
sintomatologia può variare dall’ipotiroidismo all’assenza di sintomi, alla presenza di tireotossicosi soprattutto cardiaci.
Tali malattie sono a trasmissione autosomica dominante.

DIABETE MELLITO

Definizione

Il diabete mellito comprende un gruppo di disturbi metabolici comuni che condividono il fenotipo di iperglicemia.

Classificazione

Attualmente il dm è classificato in base al meccanismo con il quale insorge l’iperglicemia:

• DM1

carenza insulinemica totale o parziale

• DM2

resistenza all’insulina, alterata secrezione insulinica e aumentata produzione di glucosio

• MODY (diabete giovanile a insorgenza nell’età matura)


patologia ereditaria secondo modello autosomico dominante. L’iperglicemia ad insorgenza precoce (< 25
anni) e alterazioni della secrezione insulinica

Tabella Harrison

• Diabete di tipo l (distruzione della cellula 13.che solitamente determina insufficienza


insulinica assoluta)
A. lmmunomediato
B. Idiopatico

• Diabete di tipo 2 (può variare da una forma con predominante insulinoresisrenza e carenza
rnsulinica relativa a una forma con predominante difetto secretorio e insulinoresistenza}

• Altri tipi specificidi diabete

A. Difetti genetrci della funzione 13-cellulare caratterizzati da mutazioni a livello di:

Fattore di trascrizione nucleare degli epatociti (HNF) 4or (MODY l)

Glucochinasi (MOOY 2)
HNF-1or (MODY3)
Fattore del promoter insulinico (IPF) l (MODY4 )
HNF- 113 (MOOY 5)
NeuroDl (MODY6)
DNA mitocondriale
Subunità delcanale del potassio sensibile all'AlP
Conversione della proinsulina o dell'insulina

B. Difetti genetici nell'azione dell'insulina·

lnsulinoresistenza di tipo A
Leprecaunismo

Sindrome di Rabson-Mendenhall
Sindromi lipodrstrofiche
C. Malattie del pancreas esocrino - pancreatiti, pancreascctomra, neoplasia, fibrosi cistica. emocromatosi,
pancreopatia fibrocalcolosica, mutazioni delle lipasi degliesteri carbossilici

D. Endocrinopatie - acromegalia. sindrome diCushing.glucagonoma, feocromocitoma,


ipertiroidismo, somatostatinoma. aldosteronoma

E. Indotto da farmaci - Vacor, pentamidina, acido nicotinico, glucocorticoidi, ormoni tiroidei,


diazossido, agonisti 13-adrenergici, tlazidrci, fenitoina, inter- ferone or, inibitori delle proteasi,
clozapina

r Infezioni- rosolia congenita, citomegalovirus, virus coxackie


G. Forme rare di diabete immunomediato - sindrome "dell'uomo rigido". anti-

corpianti-recettore dell'insulina
H Altre sindromi genetiche talvolta associate a diabete - sindrome di Down,

sindrome di Klinefelter, sindrome diTurner, sindrome drWolfram, atassia dr fri edrich, corea di
Huntington. sindrome di Laurence-Moon-8redl, distrofia miotonica, porfiria, sindrome di Prader Willi

• Diabete mellito gestazione (DMG)


Epidemiologia

• la prevalenza del dm in tutto il mondo è aumentata moltissimo negli ultimi due decenni (nel
1985 30 milioni di casi —> 177milioni del 2000)

La prevalenza del dm2 aumenta molto più rapidamente a causa dell’aumento dell’obesità e della
riduzione dell’attività fisica

• Esiste una forte variabilità dell’incidenza in base all’area geografica. Paesi a più elevate
incidenza di dm1 sono quelli scandinavi, paesi ad incidenza intermedia sono l’ EU settentrionale e gli USA.
Paesi a bassa incidenza sono Cina e Giappone.

Patogenesi DM1

Il dm1 è il risultato della combinazione di fattori ambientali, genetici e immunologici che conducono ad una
distruzione AUTOIMMUNE delle cellule beta del pancreas e ad una diminuzione della secrezione di insulina.

In soggetti predisposti uno stimolo infettivo o ambientale (infezione virale o sostanze tossiche) può avviare il processo
autoimmune che porta ad una progressiva distruzione delle cellule beta (che alla nascita sono in numero normale). La
secrezione di insulina viene progressivamente alterata anche se la tolleranza glucidica è conservata. Le manifestazioni
cliniche del dm1 si manifestano quando l’80% delle cellule beta sono state distrutte.

Dopo la presentazione clinica del dm1 si può presentare la fase honey moon in cui la glicemia è controllata con dosi
molto basse di insulina o addirittura senza. Questo avviene quando permangono pochissime cellule beta che cercano
di compensare il danneggiamento delle restanti cellule. Questa fase si esaurisce rapidamente quando anche quelle
ultime cellule beta rimaste vengono distrutte.

Fattore genetico

Il dm1 è una patologia poligenica (ovvero si eredita la suscettibilità al danno e non la patologia!) I fattori genetici che
prendono parte alla patogenesi del DM1 sono sicuramente l’associazione con aplotipi HLA DR3/DQ8. Il peso del
fattore genetico può essere valutato mediante studi epidemiologici basati su gemelli omozigoti. Se un gemello è
affetto da dm1, l’altro avrà il 30% di possibilità di sviluppare la patologia. Questo vuol dire che nella patogenesi del
dm1 il peso del fattore genetico è del 30%, ovvero 1/3.

Fattore Immunologico

In una prima fase il sistema immunitario è sensibilizzato contro le cellule beta a causa delle alterazioni genetiche che
comportano l’iperespressione di antigeni HLA di classe 1 e l’espressione aberrante (su cellule non immunocompetenti)
di antigeni HLA di classe 2. A questa fase segue la risposta immune vera e propria caratterizzata da reazione
linfocitaria (cellule T, reazione cellule-mediata) e da autoanticorpi (ICA) che fissano il complemento. Queste reazioni
sono alla base del danno cellulare.

Gli autoanticorpi che ritroviamo sono

⁃ AutoAb anti insula (ICA)

⁃ AutoAb anti insulina

⁃ AutoAb anti acido glutammico decarbossilasi

⁃ AutoAb anti fosfatasi della tirosina


Gli ICA sono presenti nel 75% dei soggetti con dm1, dal 5 al 10% dei soggetti con dm2 e occasionalmente in donne con
GDM.

Quando si ammalano le isole pancreatiche vengono quindi infiltrate da linfoticiti (insulte). Quando tutte le cellule beta
sono distrutte l’infiammazione si arresta, le isole diventano atrofiche e la maggior parte dei marker scompare.

Patogenesi DM2

Gli elementi centrali nello sviluppo del dm2 sono l’insulino resistenza e l’anomala secrezione dell’insulina.

Nel dm2 sono presenti forti fattori genetici ed ambientali.

Fattori genetici

Soggetti predisposti ereditano una diminuzione nella secrezione insulinica secondo un meccanismo multifattoriale non
legato ad associazione con HLA e, a differenza del dm1, non comprende meccanismi autoimmuni.

La concordanza tra gemelli omozigoti è del 70-80%, il che vuol dire che se un gemello ha la patologia l’altro avrà l’ 80%
di probabilità di svilupparla. Il peso del fattore genetico è quindi altissimo.

Fattori ambientali

L’obesità, l’alimentazione e l’attività fisica sono tutti fattori ambientali in grado di modulare il fenotipo, determinando
l’espressione clinica delle alterazione genetiche che, in assenza dei fattori ambientali, potrebbero non evidenziarsi
mai.

Fisiopatologia

• Diminuzione della secrezione insulinica

Le isole non riescono a rispondere adeguatamente allo stimo glicemico in quanto manca quella
primissima fase della secrezione insulinica, ovvero la secrezione di insulina preformata. Quindi ci sarà
secrezione insulinica soltanto quando si raggiungeranno livelli più alti di iperglicemia (rispetto agli standard di
popolazione).

Normalmente nella cellula pancreatica il glucosio entra in modo insulino-indipendente mediante


trasportatori GLUT2, diventa substrato della glicolisi e produce ATP. L’aumento dell’ ATP chiude i
canali del K+ impedendo la fuoriuscita di potassio e depolarizzando la membrana. La
depolarizzazione consente l’apertura dei canali del Ca2+. L’ingresso di Ca2+ determina l’esocitosi dei
granuli.

Nel dm2 c’è un difetto nei canali del K+ che non rispondono bene all’afp.

• Insulino-resistenza

L’insulino resistenza è la diminuita capacità dell’insulina di agire efficacemente sui tessuti bersaglio
periferici (soprattutto muscoli e fegato) ed è il risultato di fattori ambientali e genetici.

Il meccanismo molecolare dell’insulina resistenza non è stato chiarito. Si ritiene che un ruolo
fondamentale sia quello del grasso viscerale (=obesità) che, avendo funzioni endocrine, secerne
TNFalfa, resistina, adiponectina, ma soprattutto acidi grassi in quanto è molto sensibile allo stimolo beta
adrenergico. L’aumento degli acidi grassi sarebbe responsabile di un’alterata fosforilazione
del recettore insulinico IRS (normalmente subisce una fosforilazione in tiroxina, mentre in questo caso
la subirebbe in serina).
⁃ al livello epatico l’insulino resistenza è responsabile dell’iperglicemia basale.
Normalmente l’insulina blocca il glucosio all’interno del fegato andando ad inibire la gluconeogenesi
e la glicogenolisi. Se non c’è insulina queste vie metaboliche saranno più attive e ci sarà iperglicemia
interprandiale.

⁃ al livello muscolare l’insulino resistenza è responsabile dell’iperglicemia


postprandiale in quanto i muscoli captano con meccanismo insulino-dipendente il 75% del glucosio
postprandiale.

Storia clinica di un pz con dm2

⁃ il pz inizia ad ingrassare, insorge lentamente l’insulino resistenza

⁃ la glicemia è normale perché il pancreas riesce a compensare producendo più insulina e


mantenendo la glicemia normale

⁃ a lungo andare il pancreas non riesce più a far fronte a questa maggiori richiesta di insulina
si ha un’iposecrezione —> iperglicemia postprandiale

⁃ poi iperglicemia a digiuno

Diagnosi

• Glicemia a digiuno (FPG - fasting plasma glucose)

⁃ < 100 mg/dl normale

⁃ > 100 mg/dl ma < 126 mg/dl alterata glicemia a digiuno (IFG)

⁃ > 126 md/dl DM

• In soggetti con alterata glicemia a digiuno o dm si fa la curva da carico orale di glucosio


OGTT (glicemia a 2 h dopo un carico orale di 75 g di glucosio)

⁃ < 140 md/dl normale

⁃ 140-199 md/dl ridotta tolleranza al glucosio (IGT)

⁃ > 200 mg/dl DM

Soggetti con IFG/IGT hanno una condizione definita come prediate e sono a rischio di sviluppare dm2 (25-40% nei
successivi 5 anni) e patologie cardiovascolari.

• glicemia random > 200 mg/dl + sintomi classici del dm (poliuria, polidipsia, calo ponderale) è
sufficiente per la diagnosi di dm

Screening per DM2

Test glicemia a digiuno

• ogni 3 anni in tutti gli individui di età superiore a 45 anni

• in età più giovane in soggetti sovrappeso (BMI > 25 kg/m^2) o che presentino fattori di
rischio per il diabete

Terapia
• obiettivi della terapia

⁃ eliminare i sintomi correlati all’iperglicemia

⁃ ridurre o eliminare le complicanze micro e macro vascolari

⁃ permettere al pz di raggiungere uno stile di vita il più normale possibile

• La terapia non è assolutamente solo farmacologica, il pz deve essere educato sulla


nutrizione e sulla attività fisica

• TMN (terapia medica nutrizionale) consiste nel bilancio ottimale tra apporto calorico e gli
altri elementi del dm.

⁃ le misure di TMN come prevenzione primaria sono finalizzate a prevenire o


rallentare l’esordi del dm2 in soggetti al alto rischio attraverso la perdita di peso.

⁃ Il TMN come prevenzione secondaria sono finalizzate al controllo glicemico in


soggetti diabetici per prevenire o rallentare le complicanze

⁃ Il TMN come prevenzione terziaria sono volte alla gestione delle complicanze

⁃ la dieta comprende un apporto di carboidrati del 40-60% delle kcal totali. Si devono
assumere carboidrati complessi e soprattutto è necessario abbinare l’assunzione di molte fibre in
quanto rallentano l’assorbimento dei carboidrati evitando picchi glicemici. I grassi sono 35% delle
kcal totali e devono essere preferiti quelli vegetali. Le proteine sono un 10-20% delle kcal totali

⁃ L’attività fisica ha effetti positivi come miglioramenti cardiovascolari, riduzione della PA,
mantenimento della massa muscolare, riduzione del peso. 150 minuti a settimana di attività aerobica
distribuiti su 3 giorni

⁃ Monitoraggio del livello glicemico

⁃ a breve termine: automonitoraggio della glicemia. Misurazione della glicemia su


sangue capillare mediante una goccia di sangue prelevata dai polpastrelli. Le misurazioni in soggetti
sia dm1 che dm2 dovrebbero essere eseguite prima dei pasti e integrate con misurazioni
postprandiali

⁃ a lungo termine: misurazione dell’emoglobina glicata. Quando la glicemia è alta per


lungo tempo si assiste all’aumento della glaciazione (glicosilazione non enzimatica) dell’ Hb. Questa
misurazione riflette l’andamento glicemico dei 2-3 mesi precedenti poiché gli eritrociti hanno una
vita media di 120 gg. La HPLC (cromatografia liquida ad alta sensibilità) è il metodo standard di
riferimento per la misurazione di HbA1c. In analisi standard l'HbA le riflette approssimativamente i
se- guenti livelli medi di glicemia: Hb l Ac del 6% equivale a 135 mg!dl (7,5 mmolli); l lb l Ac del 7%
equivale a 170 mg/dl (9,5 mmolli); Hb l Ac dell'S% equivalea205 mgfdl (Il,5 mmolli) ccc. Un
incremento dell'l%dell'HbAle traduce in un aumento di circa 35 mg/dl (2 mmol/1) di glicemia. Nei
pa- t.icnli che hanno raggiunto l'obiettivo terapeutico, l'ADA raccomanda la misurazione dell'HbA le
almeno due volte all'anno. Test effettuati più fre- quentemente (ogni 3 mesi) sono da considerare
quando il controllo glice- mico è inadeguato, se la terapia è stata recentemente modificata o in mol-
ti pazienti con DM di tipol. Poiché le complicanze del DM sono correlate al control- lo glicemico, la
normoglicemta è l'obiettivo desiderato, ma spesso non rag- giunto. L’obiettivo è quello di
raggiungere un'HbA le più vi- cina possibile ai valori di normalità senza ipoglicemie significative. In
generale. il target per l'HbAl e dovrebbe essere inferiore a 7%.
Terapia del DM1

Nei pazienti con dm1 l’attività insulinica endogena è annullata è fondamentale la somministrazione di insulina

⁃ basale esogena per regolare la glicogenolisi, la gluconeogenesi, lipolisi e chetogenesi

⁃ postprandiale rapportata all’apporto di carboidrati

terapia insulinica intensiva: mirata a mantenere una quasi normoglicemia a lungo termine in pz con dm1 con lo scopo
di prevenire o ritardare l’insorgenza di complicanze.

▪ Insulina

⁃ Ultra-rapida: analogo ricombinante dell’insulina umana la cui azione inizia 10-15


minuti dopo la somministrazione con un picco a 1-2 h e una durata di 3-4 h. Sono ultra rapide in
quindi hanno una minore tendenza a formare esageri quando sono iniettate, dissociano in
monomeri e sono assorbite rapidamente.

⁃ Lispro (humalog)

⁃ Aspart (Novorapid)

⁃ Glulisina (Apidra)

⁃ Pronta o regolare: Inizio azione dopo 30 minuti, picco a 3 ore e durata 6-8 h

⁃ Actrapid HM

⁃ Humulin R

⁃ intermedia: maggiore durata d’azione perchè coniugate con sostanze come zinco o
portamina che fanno precipitare la sospensione nella zona di iniezione permettendo un rilascio
graduale e lento. Inizio a 2h, picco a 4-6 h e durata 12-20 h

⁃ Protaphane

⁃ Humulin I

⁃ Glargine (Lantus) e Detemir (Lemevir): una volta iniettata glargine forma dei
microprecipitati e viene assorbita in modo ritardato e costante nel tempo, mimando la secrezione di
insulina normale nei soggetti non diabetici. diminuisce gli episodi di ipoglicemia. Inizio a 90 minuti,
durata 20 ore senza dare picchi di concentrazione.

▪ Schema di trattamento insulinico per il diabete

⁃ Il fabbisogno giornaliero è di 0,5-1 U/kg

⁃ Regime insulinico multiplo

⁃ si somministra insulina pronta o regolare/ultrarapida prima dei pasti (la


quota dipende dalla quantità di calorie apportate). le insuline aspart. lispro o glulisinasono
preferibili rispetto all'insulinaregòlare per la copertura dei pasti

⁃ prima di colazione 0,04 - 0,1 U/kg

⁃ prima di pranzo/cena 0,1 - 0,18 U/kg


⁃ per tenere sotto controllo la glicemia nei periodi interprandiali si
somministra Lantus/lemevir 0,15-0,30 U/kg

⁃ iniziezione di due boli di insulina ad azione lenta a colazione e cena. Insulina rapida
a colazione e cena.

Terapia DM2

La cura degli individui con dm2 include il trattamento delle condizione associate (obesità, ipertensione, dislipidemia,
malattie cardiovascolari) e il riconoscimento e trattamento delle complicanze.

• nella grande maggioranza dei casi, almeno nelle fasi iniziali, è sufficiente perdere peso

⁃ dieta ipocalorica: eliminazione degli zuccheri semplici (danno picchi glicemici)

⁃ farmaci che riducono l’assorbimento dei carboidrati

⁃ agenti anoressanti (fluoxetina, sertralina, sabutramina)

⁃ inibitori delle lipasi: orlistat

⁃ Gli inibitori dell alfa-glucosidasi (acarbosio) rìducono l'ipcrglicemia


postprandiale ritardando l'assorbimento del glucosio; essi non modificano l'utilizzazione del
glucosio o la secrezione insulinica. Assunti appena prima di ogni pasto, riducono
l'assorbimento del glucosio inibendo l'enzima che degrada gli oligo- saccaridi in zuccheri
semplici nel lume intestinale

• terapia farmacologica per ridurre l’insilino-resistenza

⁃ biguanidi

⁃ Metformina: agisce al livello epatico diminuendo la gluconeogenesi (non


determina ipoglicemia perchè non agisce sul rilascio di insulina) e al livello muscolare
determinando un aumento dell’uptake di glucosio. riduce la glicemia a digiuno e i livelli di
insulina. migliora il profilo lipldlco e promuove un modesto calo ponderale. A causa del suo
inizio d'azione relativamente lento e dei sintomi gastroenterici con le dosi più alte, il
dosaggio dovrebbe essere aumentato ogni 2-3 settimane sulla ,base delle misurazioni AMG.
La maggiore conseguenza tossica dell'impiego tlr metformina, l'acidosi lattica, può essere
prevenuta con un'attenta selezione del paziente. La metformina non dovrebbe essere
usata nei pazienti con insufficienza renaie

⁃ tiazolidinedioni l tiazolidinedioni riducono l'insulino-resistenza. Questi farmaci si


legano al recettore nucleare PPAR-y (espresso soprattutto negli adiposità). Promuovono una
ridistribuzione del grasso dalle aree centrali a sedi periferiche. l livelli circolanti di insulina
diminuiscono con l'utilizzo dei tia- zolidinedioni, indicando una riduzione dell'insulinoresistenza.

• terapia con farmaci che aumentano il rilascio di insulina

⁃ sulfaniluree

⁃ sono farmaci che agiscono direttamente al livello del canali del K+ —>
determinano una depolarizzazione di membrana facendo uscire il K+ e permettendo
l’ingresso d Ca2+. Se non sono ben dosati possono portare all’ipoglicemia perchè agiscono
sul rilascio di insulina in modo indipendente dalla glicemia. Legano il recettore SUR1
associato al canale del K+ ATP-dipendente. Le sulfaniluree sono di prima, seconda e terza
generazione. Quelle di terza generazione (glimepiride) necessitano di una dose minore 1-6
mg/die contro i 500-3000 mg/die di quelle di prima generazione), di un numero minore di
somministrazioni (1, contro le 2-3 della 1G e 1-2 della 2G), una durata d’azione maggiore
(24h, contro 6-10 h della 1G e 10-20 h della 2G). Le sulfaniluree di 1G (prima generazione)
sono la tolbutamide, acetoexamide, tolazamide, clorpropamide. Quelle di 2G sono gliclazide
(diamicron), gliquidone.

⁃ glinidi: repaglinide (novonorm) ha un’emivita plasmatica inferiore ad 1 h. Si


somministra prima dei pasti: 1-4 mg. meccanismo d’azione simile alle sulfaniluree.

⁃ analoghi delle incretine e gliptine. le incretine (GLP1 e GIP) sono sostanze


endogene prodotte dal duodeno e dal tenue che aumentano la secrezione insulina e aumentano la
sensibilità dei tessuti periferici all’insulina stessa. Sono inattivate da un peptide DPP4. Sono stati
elaborati farmaci che consistono in analoghi di queste incretine —> exenatide (prolunga l’azione del
GLP1). Sono anche stati sintetizzati inibitori del DPP4.

• Terapia insulinica

⁃ dal momento che la secrezione endogena di insulina continua è in grado di fornire


una copertura parziale all’ apporto glicemico dei pasti, la somministrazione di insulina è iniziata
come una singola somministrazione a lunga durata (0,3-0,4 U/kg/die) prima di colazione o di sera
(NPH) o appena prima di addormentarsi (NPH, glargine, detemir)

Il livello di iperglicemia dovrebbe influenzare la scelta iniziale della terapia. Assumendo che il massimo effetto
dellaTMN e dell' aumento dell' attività fisica sia stato ottenuto, i pazienti con iperglicemia lieve o moderata [glicemia a
digiuno <200-250 mg/dl (l l,H 3.9 mmol/1)) spesso rispondono bene a un singolo farmaco ipoglicemizzante orale. l
pazienti con iperglicemia più marcata [glicemia a digiuno >250 mg/dl (13,9 mmolli)) possono rispondere parzialmente,
ma è improbabile che raggiungano la normoglicemia con una monoterapia per os. Ciò nonostante, può essere adot
taro un approccio ·a gradini', iniziando con un singolo farmaco e aggiungendone un secondo per raggiungere la
glicemia ottimale. L'insulina può essere usata come terapia iniziale in caso di iperglicemia grave [glicemia a digiuno
>250-300 mg/dl (13.9- 16.7 mmol/1) o nei soggetti asintomatici a causa dell'iperglicemia. Questo approccio si basa sul
concetto che il più rapido controllo glicemico ridurrà la 'tossicità del glucosio' sulle cellule insulari, migliorerà la
secrezione endogena di insulina e possibilmente permetterà agli ipoglicemizzanti orali di essere più effiicaci. Se questo
avviene, l'insulina può essere sospesa

Complicanze

Complicanze Acute —> chetoacidosi diabetica (CAD) e stato iperosmolare iperglicemico (SII)

• Chetoacidosi diabetica (CAD)

⁃ Caratteristiche cliniche

⁃ si manifestano nell’arco di 24h

⁃ nausea e vomito, dolore addominale (che può simulare una pancreatite


acuta o perforazione intestinale)

⁃ glicosura, ipovolemia e tachicardia. Ipovolemia + vasodilatazione —>


ipotensione

⁃ Respiro di Kassmaul con alito acetonemico


⁃ letargia e depressione del SNC —> coma

⁃ edema cerebrale

⁃ ischemia tissutale (cuore, cervello)

⁃ Fisiopatologia

⁃ deriva da grave carenza insulinica e aumento degli ormoni


controregolatori (glucagone, catecolamine, cortisolo e gh)

⁃ Aumentanto gli acidi grassi rilasciati dal tessuto adiposo, aumenta la beta
ossidazione epatica con aumento di acetilcoa e nadh. Il ciclo del citrato viene inibito mentre
la carnitina è maggiormente espressa, evento cruciale per il trasporto degli acidi grassi liberi
nel mitocondrio dove si fa beta-ox e chetogenesi. Quando i depositi di bicarbonato si
esauriscono si ha acidosi metabolica.

⁃ Diagnosi

⁃ iperglicemia (> 250 mg/dl)

⁃ pH tra 6,8 e 7,3

⁃ HCO3- < 10 mmol/l

⁃ gap anionico > 12

⁃ K+ nonostante ci sia ipokaliemia il potassio può risultare aumentano


(aumento il K+ plasmatico, diminuisce il K+ intracellulare)

⁃ aumentato azoto ureico (BUN, blood urea nitrogen) e creatininemia

⁃ leucocitosi, iperliproproteinemia

⁃ la Na+emia è ridotta come conseguenza dell’iperglicemia. UnaNa+emia


normale in presenza di CAD indica una deplezione idrica più grave

⁃ Terapia

⁃ reidratazione

⁃ infusione e.v. di 1L di soluzione isotonica (0,9 %) durante la prima


ora (0,5L in pz anziani o con insufficienza cardiaca)

⁃ Quando la glicemia raggiunge 250 md/dl si inizia l’infusione di una


soluzione glucosata al 5% alla velocità di 150-250 ml/h in modo da mantenere la
glicemia sui 200 mg/dl

⁃ Terapia insulinica

⁃ insulina rapida in bolo ev 0,15 U/kg seguita da infusione continua


ev di 0,1 U/kg/h

⁃ quando la glicemia raggiunge 250 mg/dl si riduce l’insulina a 0,05-


0,1 U/kg/h
⁃ K+

⁃ si aggiungono 20-30 mEq nella prima ora e successivamente si


modifica la dose per riportare il K a volori normali (4-5 mEq/l)

• stato iperosmolare iperglicemico (SII) soprattutto in soggetti con dm2

⁃ Caratteristiche cliniche

⁃ soggetto anziano con dm2, in anamnesi poliuria da alcune settimane, calo


ponderale e riduzione dell’introito di liquidi. Confusione mentale, letargia o coma.

⁃ all’ EO disidratazione e iperosmolarità —> ipotensione, tachicardia e


alterazione dello stato mentale.

⁃ il SII può essere precipitato da una patologia come IMA o ictus, ma anche
sepsi polmonite o infezioni importanti.

⁃ Fisiopatologia

⁃ deficit insulina + riduzione assunzione dei liquidi —> SII

⁃ iperglicemia —> diuresi osmotica che porta ad ipovolemia e poliuria

⁃ Diagnosi

⁃ Glicemia 600-1200 mg/dl

⁃ Na+ 135-145 mEq/l

⁃ K, Mg, Fosfato, Cl normali

⁃ creatinina aumentata moderatamente

⁃ chetoni plasmatici +/-

⁃ HCO3- sierico normali o leggermente diminuiti

⁃ pH > 7,3

⁃ Pco2 e Gap anionico normali

⁃ Terapia

⁃ monitorare idratazione

⁃ i disturbi precipitanti devono essere trovati e trattati

⁃ apporto idrico (1-3 l di fisiologica allo 0,9% nelle prime 2-3 ore)

⁃ quando è stato raggiunto un buon compenso emodinamico si


somministrano fluidi per ev per correggere il deficit di acqua libera e si usano liquidi
ipotonici (salina allo 0,45% poi glucosata al 5%)

⁃ insulina in bolo ev 0,1 U/kg —> poi insulina ev costante 0,1/u/kg/h


Complicanze croniche

• complicanze vascolari

⁃ microvascolari (retinopatia, neuropatia e nefropatia)

⁃ macrovascolari (coronaropatia, arteriopatia periferica e malattia cerebrovascolare)

• complicanze non vascolari

⁃ gastroparesi, infezioni, alterazioni cutanee

il rischio di complicanze croniche aumenta all’aumentare ed al perdurare dell’iperglicemia, derivano quindi


dall’iperglicemia cronica.

Meccanismi delle complicanze

• glicazione (glicosilazione non enzimatica)

⁃ glicosilazione dipende dalla glicemia, altera la funzionalità delle proteine glicate,


HbA1c cede meno 02 contribuendo all’ipossia cronica, le Ig glicate alterno la funzione immunitaria
determinando una maggiore suscettibilità alle infezioni, la glicazione dei componenti della matrice
extracellulare determina ispessimento delle membrane basali vascolari e la glicazione delle proteine
del cristallino può portare a cataratta

• stress ossidativo

⁃ le proteine glicate hanno un turnover più lento determinando un accumulo di


detriti nell’organismo che stimolano i macrofagi a produrre ROS. Questi ROS hanno come target il
mitocondrio che inizia esso stesso a produrre ROS. I radicali liberi determinano danno endoteliale
anche a carico dell’ NO sintasi. DIminuisce NO e quindi c’è vasocostrizione che contribuisce
all’ipossia cronica (insieme all’ HbA1c e all’ispessimento delle MB).

• attivazione della via dei polioli

⁃ nelle cellule insulino-indipendenti il glucosio entra in maniera direttamente


proporzionale alla glicemia. Se aumenta il glucosio può diventare substrato dell’aldoso reduttasi,
convertito in sorbitolo che normalmente diventa substrato della sorbitolo deidrogenasi che lo
converte in fruttosio per poi prendere la via dei pentosi-fosfato. Il sorbitolo ha un fortissimo potere
osmotico, se aumenta può richiamare acqua nella cellula portandola a degenerazione.

Retinopatia diabetica

Negli USA il dm è la causa principale di cecità nella fascia d’età tra i 20 e i 74 anni. La cecità è il risultato della
retinopatia diabetica.

la retinopatia la possamo classificare in due stadi

• retinopatia non proliferativa

⁃ fine prima decade/inizio seconda decade, microaneurismi vascolari della retina,


emorragie puntiformi, essudati cotonosi

⁃ fisiopatologia: perdita dei periciti, aumento della permeabilità dei vasi, alterazioni
del flusso ematico, abnorme microvascolarizzazione
⁃ presente in quasi tutti i soggetti dm da più di 20 anni

• retinopatia proliferativa

⁃ comparsa di neovascolarizzazione in risposta all’ipossia retinica

⁃ i vasi neoformati possono rompersi molto facilmente in quanto deboli, deformi e


soprattutto possono rompersi in prossimità del nervo ottico o della macula causando emorragie del
vitreo, fibrosi e distacco retinico.

⁃ non tutti gli affetti da retinopatia semplice sviluppano la proliferativa ma più grave
è la semplice, maggiore è la probabilità di sviluppare la proliferativa

• terapia retinopatia diabetica

⁃ prevenzione: controllo intensivo della glicemia e della PA rallenta la progressione.

⁃ controlli oculistici regolari

⁃ la proliferativa è trattata con fotocoagulazione laser paneretinica, l’edema


maculare con la fotocoagulazione laser focale.

Nefropatia diabetica

causa prinicpale di insufficienza renale terminale negli USA. Colpisce il 20-40% dei soggetti con dm.

⁃ storia naturale

⁃ stadio 1: iperperfusione glomerulare e ipertrofia renale. Aumento di VFG

⁃ stadio 2: dopo 5-10 anni il 40% dei soggetti fa microalbuminuria transitoria (30-300
mg/die)

⁃ stadio 3: nei dieci anni successivi, nel 50% dei soggetti diventa proteinuria
conclamata (>300 mg/die). Se si ha macroalbuminuria la PA aumenta e le alterazioni diventano
irreversibili

⁃ Stadio 4: una volta che si è instaurata la macroalbuminuria si ha una costante


riduzione del GFR e il 50% dei pz va incontro a insufficienza renale cronica in 7-10 anni.

La nefropnlia che si sviluppa nel DM di tipo 2 differisce da quella del DM di tipo l per i seguenti aspetti: l) la
microalbuminuria o la macroalbuminuria manifesta può essere presente al momento della diagnosi di DM di tipo 2,
indicando il suo lungo periodo asintomatico; 2) l'ipertensione accompagna la micro o macroalbuminuria più
frequentemente nel DM di tipo 2; 3) la microalbuminuria può essere meno indicativa della progressione verso la
nefropatia diabetica e la macroalbuminuria nel DM di tipo 2. Infine, è da notare che la microalbuminuria nel DM di
tipo 2 può essere secondaria a fattori non correlati al DM, come ipertensione, scompenso cardiaco, malattia prostatica
o infezioni

⁃ terapia: prevenzione attraverso il controllo glicemico facendo screening frequenti


per la microaluminuria. Si fa l’analisi delle urine per la ricerca di proteine, se positiva si escludono le
condizioni che aumentano transitoriamente l’escrezione urinaria di albumina, si quantificano le
proteine nelle 24 ore e si inizia la terapia. Se invece la ricerca è negativa si ripete con cadenza
annuale. Un buon controllo glicemico è utile per ridurre la velocità di insorgenza della nefropatia, ma
una volta che c’è albuminuria non si sa se un buon controllo glicemico possa migliorare le condizioni.
Neuropatia diabetica

nel 50% dei soggetti con dm1 o dm2. Si può manifestare in forme diverse

• polineuropatia periferica simmetrica

⁃ il tipo più comune, ha esordio insidioso e colpisce le regioni distali degli arti
inferiori.

⁃ sintomi: ipoestesia, parestesie e iperestesie notturne

⁃ si perdono i riflessi osteotendinei, la sensibilità propriocettiva (il soggetto


acquisisce un’andatura alterata) e la sensibilità dolorifca e termica (si formano ulcere plantari, il
cosiddetto piede diabetico, causa di molte amputazioni)

⁃ ireversibile

• neuropatia asimmetrica

⁃ poco frequente, esordio acuto e colpisce un singolo tronco nervoso (deficit


MOTORIO! Non sensitivo)

⁃ Sintomi: deficit motorio e dolore improvviso

⁃ risoluzione spontanea in 3-12 mesi

• neuropatia autonomica

⁃ sistema cardiovascolare

⁃ tachicardia a riposo

⁃ ipotensione ortostatica

⁃ gastrointestinale

⁃ gastroparesi (sintomi: anoressia, nausea, vomito, senso di sazietà preoce e


distensione addominale). Diagnosi: scintigrafia dopo ingestione di un pasto radiomarcato

⁃ stipsi/diarrea

⁃ genitourinario

⁃ anomalie delo svuotamento vescicale

⁃ disfunzione erettile

⁃ eiaculazione retrograda

⁃ sudoriparo

⁃ iperidrosi delle estremità superiori

⁃ anidrosi delle estremità inferiori

⁃ metabolico
⁃ riduzione degli ormoni controregolatori

Gli sforzi per migliorare il controllo glicemico possono essere resi difficoltosi dalla neuropatia autonomica e dalla
conseguente incapacità di avvertire l'ipoglicemia. l fattori di rischio per la neuropatia, come l'ipertensione e
l'ipertrigliceridernia, devono essere trattati. Evitare le sostanze neurotossiche (alcol) e attuare una supplementazione
con vitamina per possibili carenze (b12, folati..)

la neuropatia diabetica cronica dolorosa è difficile da trattare, ma può rispondere agli antidepressivi triclicici o agli
anticonvulsivanti (gabapentin).

Manifestazioni dermatologiche

dermopatia diabetica (papule pretibiali pigmentate) —> area eritematosa ed evolve come area di iperpigmentazione.

L’ acanthosis nigricans (placche vellutate iperpigmentate osservate sul collo, sulle ascelle e sulle superfici estensorie).
Manifestazione di grave insulino-resistenza .

IPOGLICEMIE

valori di glucosio < 55 mg/dl con sintomatologia che prontmente regredisce con l’aumento dei livelli confermano
l’ipoglicemia.

Cause

• ipoglicemia a digiuno

⁃ farmaci

⁃ insulina, sulfaniluree, etanolo

⁃ malattie gravi

⁃ insufficienza epatica e renale, scompenso cardiaco

⁃ sepsi

⁃ deficit ormonali

⁃ cortisolo, gh, glucagone, adrenalina

⁃ tumori non beta cellulari

⁃ iperinsulinemia endogena

⁃ insulinoma

⁃ autoimmune

⁃ malattie della prima e della seconda infanzia

• ipoglicemia reattiva (post-prandiale)

⁃ alimentare

⁃ sindrome da ipoglicemia pancreatogena non-insulinomica


⁃ altre cause di iperinsulinemia endogena

⁃ intolleranza al fruttosio ereditaria, galattosemia

⁃ idiopatica

La triade di Whipple caratterizza l’ipoglicemia

• sintomi compatibili con l’ipoglicemia

• bassa concentrazione di glucosio plasmatico misurata con metodica precisa (non


monitoraggio glicemico capillare)

• risoluzione dei sintomi dopo aumento dell’insulina

Clinica

⁃ sintomatologia dovuta alla neuroglicopenia (riduzione dei livelli ematici di glucosio al


cervello)

⁃ cambiamenti del comportamento

⁃ confusione

⁃ astenia

⁃ epilessia

⁃ perdita di coscienza

⁃ decesso se l’ipoglicemia è prolungata

⁃ sintomatologia dovuta all’attivazione adrenergica

⁃ palpitazioni

⁃ tremori

⁃ ansietà

⁃ sudorazione, fame e parestesie (mediati dall’acetilcolina)

⁃ Frequenza cardiaca e PA somo aumentate, il soggetto è tipicamente pallido

IPOGLICEMIA NEL DM

L’ipoglicemia è il fattore che limita la terapia del dm. L’ipoglicemia è un evento comune nei pz con dm1 che soffrono
mediamente di due episodi alla settimana di ipoglicemia e un episodio grave all’anno. Nel dm2 è meno comune.

L’eccesso di insulina si verifica quando

⁃ dosi di insulina alte, somministrate in tempo sbagliato, tipo di insulina sbagliata

⁃ influsso di glucosio esogeno è ridotto (se il pz salta i pasti ad esempio)

⁃ aumenta l’utilizzo insulino-indipendente di glucosio (es: esercizio fisico)


⁃ aumenta la sensibilità all’insulina (miglioramento del compenso glicemico, durante la
notte..)

⁃ ridotta produzione endogena di glucosio (dopo assunzione di alcol)

⁃ ridotta clearance dell’insulina (insuff renale)

IPOGLICEMIA A DIGIUNO

Le cause sono quelle di sopra.

I farmaci sono la causa più comune, cosi come l’alcol.

Tra i pazienti ospedalizzati le malattie gravi come l’insufficienza renale o epatica, lo scompenso, la sepsi la cachessia
sono tutte cause seconde ai farmaci.

APPROCCIO AL PAZIENTE

• riconoscimento e documentazione

⁃ da sospettare in pz con sintomi tipici. In questi soggetti è necessario un


trattamento urgente. Bisogna fare un prelievo prima di dare glucosio e vedere se c’è triade di
whipple.

⁃ se il livello di glucosio è basso allora è confermato che l’ipoglicemia è la


causa dei sintomi

⁃ se la causa è oscura si fa l’insulina, c peptide, etanolo, segretagoghi


dell’insulina

• diagnosi del meccanismo ipoglicemico

⁃ se l’ipoglicemia è determinata —> anamnesi, EO e laboratorio. Si chiede di farmaci,


alcol. Si vedono carenze enzimatiche, evidenze di gravi malattie.

⁃ se queste condizioni sono negative in un soggetto apparentemente sano si


deve sospettare l’iperinsulinemia endogena. Si procede con misurazione e valutazione della
sintomatologia in condizione di digiuno protratto

• trattamento urgente

⁃ trattamento orale con glucosio, cibo è appropriato se il pz desidera o è in grado di


assumerli. Si danno circa 20 g di glcuosio. Se il pz non è in grado si fa terapia parenterale (25 g di
glucosio ev)

• prevenzione dell’ipoglicemia ricorrente

⁃ si deve cercare di evitare che la causa scatenante si ripeta quindi eliminarla. Se


questo trattamento dovesse fallire si può raccomandare un’alimentazione frequente e l’attenzione
ad evitare il digiuno.

TIROIDITE ACUTA

condizione patologica rara causata da un’infezione suppurativa della tiroide.

Cause
⁃ Infezione batterica soprattutto stafilococchi, streptococchi ed enterobacter

⁃ infezione micotica: aspergillus, candida, coccidioides, histoplasma e pneumocystis

⁃ radiazioni dopo terapia con iodio131

⁃ amiodarone

⁃ nei bambini e nei giovani adulti la causa più comune è la presenza del seno piriforme, un
residuo della quarta tasca branchiale che connette l’orofaringe alla tiroide. Questi seni si trovano
generalmente nella parte sn del collo.

Clinica

⁃ dolore a livello tiroideo, spesso riferito alla gola o alle orecchie

⁃ gozzo piccolo e duro che può essere asimmetrico

⁃ febbre, disfagia, eritema nella regione tiroidea, sintomi sistemici di infezione e


linfoadenopatia.

Diagnosi differenziale del dolore tiroideo

⁃ tiroidite subacuta

⁃ tiroidite cronica (raramente)

⁃ emorragia in una cisti

⁃ cancro

⁃ tiroidite indotta da amiodarone o amiloidosi (raramente)

La tiroidite cronica ha esordio improvviso e caratteristiche cliniche peculiari che consentono una diagnosi agevole. Ves
e globuli bianchi sono aumentati. La funzione tiroidea è normale.

All’esame citologico con agoaspirato c’è infiltrazione di leucotiti polimorfonucleati e con la coltura si può identificare il
microrganismo

TIREOTOSSICOSI

Definizione

stato caratterizzato da eccesso di ormoni tiroidei. Non è un sinonimo di ipertiroidismo che invece è una delle cause
principali di tireotossicosi.

Epidemiologia

circa il 60-80% delle tireotossicosi sono causate dalla malattia di Graves

Cause

• primitiva (ipertiroidismo = aumentata funzionalità tiroidea)

⁃ malattia di graves

⁃ gozzo tossico multinodulare


⁃ adenoma tossico

• secondaria

⁃ adenoma ipofisario tsh secernente

⁃ secrezione ectopica di tsh

⁃ sindrome da resistenza agli ormoni tiroidei

• senza ipertiroidismo

⁃ tiroidite subacuta

⁃ tiroidite silente

⁃ factitia (assunzione di forti dosi di ormone tiroideo)

Patogenesi

• fattori genetici

⁃ polimorfismi HLA-DR

• fattori ambientali

Manifestazioni cliniche

• Sintomi

⁃ iperattività, irritabilità e alterazioni dell’umore

⁃ intolleranza al caldo e palpitazioni

⁃ insonnia e difficoltà di concentrazione (la tireotossicosi apatetica dell’anziano può


essere confusa con depressione)

⁃ perdita di peso con aumento dell’appetito

⁃ diarrea, poliuria e oligomenorrea

• Segni

⁃ tachicardia, fibrillazione atriale nell’anziano. l’aumentata gittata cardiaca è


responsabile del polso pieno e del murmure sistolico aortico. la tireotossicosi può portare al
peggioramento di una cardiopatia ischemica o di un’angina.

⁃ tremori fini che vengono facilmente evidenziati chiedendo al pz di stendere le dita


in avanti e avvertedo il tremore delle punta delle dita con il palmo della mano.

⁃ ipereflessia, esaurimento muscolare, miopatia prossimale senza fascicolazioni

⁃ retrazione palpebrale o incompleta chiusura della palpebra

⁃ cute calda e sudata

⁃ capelli sottili e fragili con alopecia diffusa


⁃ riduzione del tempo di transito intestinale con aumento delle evacuazioni, spesso
diarrea

Diagnosi di tireotossicosi

Alti livelli di FT3 e FT4, TSH soppresso nelle forme primitive, normale o aumentato nelle forme secondarie

MALATTIA DI GRAVES-BASEDOW

Definizione: tireopatia autoimmune caratterizzata da ipertiroidismo. Rappresenta la causa principale di tireotossicosi.

Epidemiologia

M:F=1:10

Un apporto di iodio elevato è associato ad una maggiore prevalenza della malattia di graves. Raramente colpisce
prima dell’adolescenza, tipicamente compare tra i 20 e 50 anni.

Patogenesi

La malattia di Graves è una patologia autoimmune su base genetica ed ambientali. La concordanza tra gemelli
omozigoti è 30%, il che vuol dire che il peso del fattore genetico è del 30%. Sono presenti associazioni con diversi tipi
di HLA (HLA DR3 e DQA1).

Lo stress è identificato come un’importante fattore ambientale.

Si riscontrano IgG dirette contro il recettore del TSH (chiamate TSI) sintetizzate nella tiroide, nel midollo osseo e nei
linfonodi. TSI legano e attivano il recettore del TSH determinando un’attivazione costitutiva della tiroide TSH-
indipendente.

La tiroide è quindi infiltrata da linfociti, macrofagi e cellule dendritiche che rilasciano IL1, TNFalfa e INFgamma —>
stimolano l’espressione di CD54 e CD40 (citochine con funzione di adesione e regolazione rispettivamente) da parte
dei tireociti. In questo modo permettono la permanenza e la maggiore attivazione dell’infiltrato infiammatorio. Si
instaura quindi un circolo vizioso che consente il mantenimento dell’infilitrato.

La patogenesi dell’oftalmopatia basedow è basata sulle citochine rilasciate dall’infiltrato infiammatorio (il1, ifn-
gamma, tnf-alfa) che stimolano i fibroblasti a produrre glicosamminoglicani —> fibrosi. La fibrosi, l’edema, l’aumento
della cellularità infiammatoria e l’aumento del tessuto adiposo retrorbitario sono tutti meccanismi alla base
dell’oftalmopatia nel basedow.

Manifestazioni cliniche

Oltre a tutti i sintomi di tireotossicosi, nella malattia di graves abbiamo

• oftalmopatia: esoftalmo bilaterale

⁃ clinicamente evidente nel 50% dei casi. Sintomi precoci sono senso di irritazione ed
eccessiva lacrimazione (sensazione di “sabbia negli occhi” e fastidio oculare)

⁃ 1/3 dei pz presenta proptosi visualizzabile tramite visualizzazione della parte


inferiore della sclera

• tireotossicosi
⁃ gozzo tossico diffuso presente nel 97% dei casi (75% negli anziani), di consistenza
variabile, parenchimatoso e liscio. Molto vascolarizzato

• dermopatia: mixedema pretibiale

⁃ in meno del 5% dei pazienti

⁃ frequente lungo la superficie anteriore e laterale della gamba

⁃ placca indurita, non infiammata, di colore rosa scuro o porpora

Diagnosi

• tsh soppresso

• ormoni tiroidei liberi e totali aumentati

• dosaggio TSI

• alla captazione di iodio si realizza l’angolo di fuga ( captazione massima a 6h, minima a 24h)
[diagnosi differenziale con la fase tireotossica di una tiroidite subacuta: in questa la captazione è soppressa!].
La tiroide è diffusamente captante.

• ecocolor-doppler tiroide: ipervascolarizzata

Terapia

• medica

⁃ riduzione della sintesi degli ormoni tiroidei

⁃ Tionamidi (inibizione dell’organificazione e ossidazione dell ioduro)

⁃ metimazolo (tapazole cpr 5 mg)

⁃ alto dosaggio di attacco (10-20 mg/die) per circa un mese e poi


dosaggio di mantenimento (5-10 mg/die) per diversi mesi. La terapia va prolungata
per 12-24 mesi (facendo si che il rischio di recidive sia minimo, ovvero del 20%)

⁃ propiltiouracile (propicil cpr 50 mg)

⁃ effetti collaterali: rash cutanei, atralgie, leucopenia, febbre (rapidi e


frequenti). epatite, sindrome lupus-like, vasculiti, glomerulonefriti (rare)

⁃ Beta bloccanti per la riduzione di sintomi adrenergici

• chirurgica

⁃ riduzione della quantità di tessuto tiroideo

⁃ tiroidectomia + terapia con l-tiroxina (sostituzione)

• radioiodio

MALATTIA DI PLUMMER (ADENOMA TOSSICO)


Definizione nodulo tiroideo singolo autonomamente funzionante.

patogenesi

mutazioni che stimolano la vita metabolica del TSH-R (mutazioni somatiche attivanti TSH-R)

mutazioni somatiche del gene che codifica la subunità alfa della proteina g stimolatoria che risulta costitutivamente
attiva

Manifestazioni cliniche

la tireotossicosi generalmente è lieve

• sospetto clinico: nodulo tiroideo generalmente abbastanza grande da essere palpato in un


pz senza caratteristiche del morbo di graves (esoftalmo)

Diagnosi

• conferma tireotossicosi

• scintigrafia tiroidea consente la diagnosi di certezza —> la captazione sarà localizzata


esclusivamente al nodulo iperfunzionante e la captazione di tutto il resto del parenchima normale sarà
abolita. = se il nodulo è iperfunzionante, ths sarà soppresso. La soppressione del tsh fa si che tutto il
parenchima normale non assorba iodio (l’assorbimento è tsh-dip) mentre il nodulo (il cui assorbimento è tsh-
indip) continuerà ad assorbire attivamente.

terapia

• ablazione con radioiodio

⁃ terapia di elezione in quanto il radioiodio verrà captato solamente dal nodulo


patologico (l’assorbimento del resto del parenchima normale è soppresso dall’assenza del tsh!).

⁃ dosi elevate di radioiodio corregono l’ipertiroidismo nel 75% dei casi

• exeresi chirurgica: enucleazione del nodulo o lobectomia (rischio di ipoparatiroidismo o


danno dei nervi ricorrenti)

• terapia con farmaci antitiroidei e betabloccanti può normalizzare i sintomi ma non è


consigliata a lungo termine

MALATTIE NEOPLASTICHE DEI SISTEMI ENDOCRINI MULTIPLI

definizione

malattia con neoplasie in due o più tessuti endocrini in molti membri di una stessa famiglia

NEOPLASIE ENDOCRINE MULTIPLE DI TIPO 1 (MEN1) detta anche SD DI WERMER

• trasmissione secondo modello autosomico dominante

• anche se rara, è la MEN più comune con prevalenza 2-20 per 100.000 nella popolazione
generale

• Patogenesi
⁃ mutazione inattivante del gene MEN! (11q13) che codifica per la menina (proteina
nucleare ad azione oncosoppressiva). La menina interagisce con JunD sopprimendone la trascrizione

• Manifestazioni cliniche

⁃ iperparatiroidismo primitivo

⁃ la più frequente tra le manifestazioni (95%)

⁃ iperplasia con interessamento di una o più ghiandole, anche adenomi

⁃ la maggior parte dei soggetti hanno ipercalcemia prima dei 40 anni

⁃ screening: calcio ionizzato, calcio corretto, albumina

⁃ diagnosi: ipercalcemia e pth normale

⁃ manifestazioni: le stesse dell’iperparatiroidismo sporadico

⁃ diagnosi differenziale tra iperparatiroidismo sporadico (o in altre


patologie) e iperparat. in cosrso di MEN: anamnesi familiare, mutazione MEN1,
osservazione a lungo termine

⁃ Tumori enteropancreatici

⁃ seconda manifestazione più comune della men1, penetranza del 50%

⁃ la maggior parte è secernente (determinando varie sindromi cliniche)

⁃ manifestazioni cliniche

⁃ gastrinomi che causano Zollinger-ellisson (aumento di gastrina e


piccoli tumori simili a carcinoidi nel duodeno)

⁃ diagnosi: aumento acido gastrico, aumento gastrina


basale, marcata risposta al test con secretina o carico di calcio. RMN o TC
addominale con contrasto

⁃ insulinomi pancreatici

⁃ ipoglicemia e aumento dei livelli plasmatici del c peptide

⁃ glucagonoma

⁃ occasionalmente, sintomi da iperglicemia, rush (eritema


necrolitico migrante) anoressia, glossite, anemia, depressione, diarrea,
tvp

⁃ VIP-oma

⁃ sd di verner morrison o sd della diarrea acquosa: diarrea


acquosa, ipokaliemia, ipocloridia e acidosi metabolica

⁃ Tumori ipofisari

⁃ 20-30% dei pz con men1, tendono ad essere multicentrici


⁃ comportamento aggressivo e invasività locale

⁃ prolattinomi i più comuni, poi tumori secernenti gh. La sindrome di


cushing può essere data da tumori ipofisari acth-secernenti o dalla produzione ectopica di
acth o crh da altre componenti delle sindromi men

⁃ lipomi subcutanei o viscerali

⁃ leiomiomi cutanei

⁃ angiofibromi e collagenomi cutanei

NEOPLASIE ENDOCRINE MULTIPLE DI TIPO 2 (MEN2)

• il gene responsabile della malattia è il protoncogene RET, recettore tirosin-chinasico per il


GDNF. Le mutazioni sono mutazioni puntiformi. le mutazioni alterano principalmente due regioni del gene
RET: il dominio extracellulare ricco di cisteine e il dominio tirosin chinasico intracellulare. Se la mutazione
avviene nel dominio ricco in cisteine può causare la dimerizzazione costitutiva del recettore (men2a), se
avviene nel dominio tirosin chinasico la via di trasfuzione a valle è alterata e costitutivamente attiva.

• MEN2A

⁃ k midollare della tiroide

⁃ manifestazione più comune

⁃ preceduti da iperplasia delle cellule C, si sviluppano durante l’infanzia

⁃ iperparatiroidismo

⁃ 15-20% dei pz

⁃ feocromocitoma

⁃ 50% dei pz, circa la metà è bilaterale e più del 50% dei pz con
surrenalectomia unilaterale sviluppa un feocromocitoma nel surrene controlaterale nel
corso di 10 anni

⁃ frequente invasione della capsula, rara metastatizzazione

⁃ quasi sempre surrenalici

⁃ sottotipi della MEN2A

⁃ k midollare della tiroide familiare (FMTC)

⁃ MEN2A con amiloidosi cutanea

⁃ MEN2A con malattia di Hirschprung

• MEN2B
⁃ k midollare della tiroide

⁃ più aggressivo che nella men2a

⁃ feocromocitoma

⁃ in più della metà dei pazienti con men2b e non differisce da quello con
men2a

⁃ neuromi mucosi

⁃ ganglioneuromatosi

⁃ caratteristiche marfanoidi

• screening

⁃ la morte per k midollare della tiroide può essere prevenuta dalla tiroidectomia
precoce radicale. Si cercano e si individuano mutazioni di ret nelle famiglie affette mediante indagini
di biologia molecolare

SINDROME POLIGHIANDOLARE TIPO 1

• solitamente nel primo decennio, M:F=1:1

• autosomica recessiva, mutazioni del gene AIRE = codifica per fattore di trascrizione timico e
linfonodale implicato nella regolazione immunitaria

• manifestazione clinica

⁃ candidosi mucocutanea (100%)

⁃ ipoparatiroidismo (90%)

⁃ insufficienza surrenale (70%)

⁃ carenza simultanea o progressiva di glucocorticoidi/mineralcorticoidi

⁃ altri disturbi: insufficienza gonadica (60% femmine, 15% maschi) e ipotiroidismo


(5%)

• Presentazione clinica: la maggior parte dei pz presenta inizialmente una candidosi orale
nell’infanzia che non risponde alla terapia e recidiva frequentemente. L’ipoparatiroidismo cronico compare
prima dell’iposurrenalismo. Le componenti endocrine della APS1 possono non manifestarsi fino alla quarta
decade

SINDROME POLIGHIANDOLARE TIPO 2

• età adulta, prevalenza femminile

• poligenica, associata ad hla dr3 e dr4. familiare, trasmessa secondo modello autosomico
dominante

• manifestazioni cliniche

⁃ isufficienza surrenale
⁃ patologia autoimmune della tiroide (ipotiroidismo, graves) 70%

⁃ dm1 60%

⁃ ipogonadismo

⁃ altre: miastenia gravis, vitiligo, alopecia, anemia perniciosa, celiachia, ipofisite,


gastrite atrofica

• si possono riscontrare autoanticorpi

⁃ anti-tpo, anti-tg (tireoglobulina), anti-tsh

⁃ enzima di scissione della catena laterale del colesterolo, 21 idrossilasi o recettore


acth

⁃ acido glutammico decarbossilasi, recettore insulinico

per entrame APS1 e 2

• screening

⁃ stimolo con acth per patologia surrenalica

⁃ glicemia a digiuno per iperglicemia

⁃ dosaggio tsh

⁃ lh, fsh

⁃ testosterone

⁃ calcio e fosforo (nella 1)

questi screening andrebbero effettuati ogni 1 o 2 anni e fino all’età di 40 anni nei soggetti con familiarità per aps1

• diagnosi differenziale

⁃ sindrome di di george

⁃ sindrome di wolfram

⁃ sindrome di kearns-sayre

⁃ sindrome ipex

⁃ rosolia congenita
MALATTIE DEL RENE E DELLE VIE URINARIE.
VOLUME URINARIO ESCRETO=1ml/min=1,5l/die

Il rene riceve il 20% della gittata cardiaca dalla quale produrrà l’urina attraverso due processi:
l’ULTRAFILTRAZIONE ,tramite cui 180l/die di liquidi attraversano il rene, e il RIASSORBIMENTO, che avviene
per oltre il 99% del filtrato. Il TASSO DI FILTRAZIONE GLOMERULARE o VELOCITA’ DI FILTRAZIONE
GLOMERULARE (GFR)è regolato da fattori che favoriscono l’uno o l’altro processo: la prima è sostenuta
dalla pressione idraulica dei capillari, il secondo dalla pressione idraulica nella capsula di Bowman e dalla
pressione oncotica capillare glomerulare.

La filtrazione avviene solo per molecole di diametro minore <40Å come l’insulina, perché le fessure di
filtrazione in un soggetto sano hanno questo diametro, ma bisogna tener in considerazione anche le
cariche, poiché la barriera glomerulare è costituita da glicoproteine aventi carica elettrica negativa che
favorisce il passaggio cationico. L’albumina, ad esempio, è una molecola grande e polianionica che in
condizioni normali non viene filtrata.

Pazienti che perdono masse nefrotiche avranno meccanismi di compenso del GFR :la nefrectomia
unilaterale inizialmente comporta un abbassamento del GFR al 50%, ma successivamente sale all’80%
grazie a fattori che favoriscono la filtrazione, parleremo dunque di IPERFILTRAZIONE. Ciò avviene anche
nella cronicizzazione quando le aree ancora funzionanti diverranno ipertrofiche. Tuttavia quando la massa
nefrosica viene distrutta per oltre il 50% circa i nefroni superstiti vanno incontro ad un’inarrestabile
distruzione, portando a glomerulosclerosi, proteinuria e progressivo abbassamento del GFR.

La VALUTAZIONE DELLA FUNZIONALITA’ RENALE si effettua valutando i livelli di GFR che in un soggetto
sano è compreso tra 120-130ml/min. Diminuzioni di questi valori implicano una maggiore concentrazione a
livello plasmatico di prodotti che dovrebbero essere eliminati, i quali saranno organo-tossici oltre
determinati livelli. Una seconda componente molecolare, costituita da fosfati, urato, potassio e idrogenioni
tendono ad aumentare i loro livelli plasmatici solo quando il GFR si riduce ad una piccola percentuale
rispetto al normale . IL NaCl ha un comportamento a parte, in quanto i suoi livelli restano stabili durante
tutto il decorso di un’ insufficienza renale cronica grazie ad un meccanismo di compensazione che prevede
un bilancio tra entrate e uscite di Naᶧ. Nonostante ciò è necessario avere a disposizione un parametro più
generale in grado di descrivere la funzione depurativa del rene: la CLEARANCE, il volume virtuale di plasma
che il rene è in grado di depurare da una certa sostanza "x" nell'unità di tempo. Sono due i metaboliti i cui
valori di clearance sono presi in considerazione per la funzionalità renale: l’ INULINA e la CREATININA.
L’inulina viene filtrata, ma non riassorbita né secreta, pertanto la sua clearance sarà pari alla GFR. In realtà
per essere misurata deve essere prima iniettata, poi seguite le sue concentrazioni plasmatiche medie nel
tempo t ed infine le quantità eliminate tramite urina. La creatinina è un catabolita della fosfocreatina,
prodotto del muscolo, che viene filtrata e non riassorbita. Anche se è soggetta ad un 20% di secrezione
resta un utile indice di GFR in quanto la concentrazione plasmatica è sovrastimata di circa il 20% per la
presenza di glucosio ed altri artefatti di misura. Questo composto è esclusivamente di origine endogena e
viene eliminato attraverso un meccanismo i cui valori variano poco di giorno in giorno: nell’ uomo 0,7-1,2
mg/dl, nella donna 0,6-1,2 mg/dl. L’aumento è indice di insufficienza renale, ma si riscontra anche in caso di
ipertiroidismo e acromegalia, la diminuzione implica atrofia muscolare. La clearance della creatinina è
inversamente proporzionale alla concentrazione di creatinina nel plasma e si può dedurre direttamente da
questa .
ALTERAZIONI URINARIE
POLIURIA
La poliuria indica la presenza di proteine nelle urine rilevata mediante stick urinario (striscia reattiva). Questa
misurazione rileva solo la presenza di albumina e fornisce falsi positivi quando:

- Il pH urinario è > 7;
- Le urine sono molto concentrate;
- Le urine sono contaminate da sangue;
- Le urine sono molto diluite (in questo caso la albuminuria viene mascherata dall’aumentato volume
urinario)
Solitamente, la quantificazione dell’albumina avviene su urina del mattino e va a misurare il rapporto
albumina-creatinina (ACR) per ottenere una stima del tasso di escrezione di albumina (AER) nell’arco di 24
ore (ACR = AER).

Questo tipo di test presenta però il limite di riconoscere solo proteinurie da albumina; per gli altri tipi di
proteinuria vengono utilizzati acido sulfisalicilico o tricloroacetico.

1. EPU: Proteinuria
all'elettroforesi
dell'urina

L’entità della
proteinuria
dipende dal
meccanismo del
danno renale che
porta alla perdita
delle proteine. In
condizioni normali,
la membrana
glomerulare è
selettiva per
dimensioni e
carica, per cui le
proteine
plasmatiche non vengono escrete con le urine. La membrana basale è in grado di trattenere molecole >100
kDa, mentre i podociti, attraverso i loro prolungamenti, riescono a costituire dei sottili diaframmi che
permettono esclusivamente il passaggio di soluti e acqua, ma non di proteine. Alcune malattie glomerulari,
come la nefropatia da lesioni minime, causano la fusione dei pedicelli (prolungamenti podociti),
determinando una perdita “selettiva” di albumina. Altre glomerulopatie (Es: malattia di Berger) possono
portare al sovvertimento della membrana basale e dei piccoli diaframmi, con conseguente perdita di
albumina e altre proteine plasmatiche. La fusione dei pedicelli causa un aumento di pressione nella
membrana basale, con conseguente dilatazione dei pori. L’aumento delle dimensioni dei pori e della
pressione causa una proteinuria significativa.

Quando la perdita di proteine plasmatiche è > 3,5 mg/die si ha un quadro da Sindrome Nefrosica, con:

 Ipoalbuminemia;
 Iperlipidemia;
 Edema.
Ci sono casi di proteinuria > 3,5 mg/die che non vengono associati a sindrome nefrosica: un esempio è il
mieloma multiplo, in cui c’è aumento dell’escrezione delle catene leggere delle Ig, che però non viene ad
essere rilevata dallo stick urinario (che rileva in parte solo la presenza di albumina). Queste catene vengono
filtrate dai glomeruli e riassorbite dal TCP, in cui però viene superato il carico tubulare massimo di
riassorbimento, con conseguente escrezione urinaria delle catene leggere e formazione di precipitato (
proteinuria di Bence-Jones). Questo precipitato potrebbe comportare l’ostruzione tubulare (nefropatia da
cilindri) e la deposizione delle catene leggere, con una conseguente potenziale insufficienza renale.

Nella sindrome nefrosica si sviluppa ipoalbuminemia per:

 Aumentata perdita urinaria;


 Aumentato catabolismo, a livello del TCP, dell’albumina filtrata.
L’edema si sviluppa per:

 Primitiva ritenzione di Na+ a livello renale;


 Diminuzione della pressione oncotica del plasma, che contribuisce allo spostamento dei
liquidi dai capillari verso gli spazi interstiziali;
Essendo diminuita la volemia, si attivano tutti i meccanismi di compensazione per fare in modo che il flusso
plasmatico torni a normali valori di volume (sistema renina-angiotensina, ADH, attivazione ortosimpatico),
incrementando il riassorbimento di Na+ e acqua. La gravità dell’edema dipende dall’entità
dell’ipoalbuminemia e tende a divenire più problematico nei pazienti affetti da cardiopatia e vasculopatia
periferiche.

La riduzione della pressione oncotica e la perdita di proteine con l’urina stimolano la produzione di
lipoproteine da parte del fegato. Ne risulta una iperlipidemia, la quale comporta il riscontro di formazioni
lipidiche nelle urine (corpi ovali grassi, cilindri lipidici).

Uno stato di ipercoagulazione accompagna di solito le sindromi nefrosiche gravi, con maggiore escrezione di
antitrombina III, l’aumento del fibrinogeno e un’aumentata aggregazione piastrinica.

In genere la malattia glomerulare è associata a proteinuria persistente >1-2 g/die. I pazienti spesso ne sono
inconsapevoli, a meno che non siano edematosi o non notino la presenza di urine schiumose al momento
della minzione. È necessario distinguere la proteinuria persistente dalla proteinuria benigna, di entità
quantitativamente minore e presente nella popolazione normale: è una proteinuria non persistente (< 1
g/die) e viene definita funzionale o transitoria. La proteinuria transitoria può avere diverse cause, fra cui:
stress emotivo, obesità, febbre, esercizio fisico, insufficienza cardiaca congestizia e apnea notturna. Quando
la proteinuria si osserva solo durante la stazione eretta viene definita ortostatica e ha prognosi benigna. Nella
maggior parte degli adulti la proteinuria non è selettiva , cioè contiene albumina mista ad altre proteine
sieriche, mentre nei bambini con malattia da lesioni minime, la proteinuria è selettiva, dovuta quindi a
perdita di albumina. Alcuni pazienti affetti da glomerulonefrite poststreptococcica acuta possono presentare
piuria, caratterizzata dalla presenza di leucociti nelle urine.
Ematuria

Si definisce ematuria la presenza di 3-5 globuli rossi per campo microscopico esaminato a forte
ingrandimento (il campione è di norma l’urina del mattino). L’ematuria isolata da proteinuria, senza cilindri
e senza altre cellule è indicativa di sanguinamento dalle vie urinarie ed è possibile riconoscerla al dipstick.

Cause di ematuria isolata sono:

 Neoplasie
 Calcoli
 Traumi
 Tubercolosi
 Prostatite
L’ematuria viene distinta in
microematuria e macroematuria, a
seconda del volume di sangue che viene
perso nelle urine; se la perdita ematica
è tale da modificare il colore dell’urina in
maniera considerevole allora parleremo
di macroematuria.

Macroematuria

Non è quasi mai indice di


sanguinamento glomerulare ma di
emorragia postrenale a livello delle vie
urinarie. È possibile riscontrare, in un
esame delle urine isolato, la presenza di
ematuria a causa di traumi,
mestruazioni ed esercizio fisico.
L’ematuria diventa di interesse clinico
nel momento in cui diviene persistente
e viene quindi associata a
sanguinamento delle vie urinarie in
quasi il 10% dei casi. L’ematuria
accompagnata da leucocituria e batteriuria è tipica di un quadro da infezione urinaria (es: cistite acuta e
ureite, soprattutto nelle donne). La macroematuria indolore può essere inoltre associata a neoplasie
urogenitali (negli adulti e anziani), ipercalciuria e iperuricosuria (in bambini ed adulti).

Microematuria

Può essere una manifestazione della malattia glomerulare. I globuli rossi di origine glomerulare appaiono
spesso dismorfici all’esame con il microscopio a contrasto di fase. Le cause più comuni di ematuria
glomerulare isolata sono:

 Nefropatia da depositi mesangiali di IgA;


 Nefrite ereditaria;
 Malattia delle membrane basali sottili;
La diagnosi si pone in base:

- All’anamnesi, che rileva le caratteristiche del sanguinamento;


- All’ecografia renale, che esclude altre cause;
- Alle caratteristiche dei globuli rossi all'esame microscopico del sedimento urinario.
Una diagnosi più approfondita richiede la biopsia renale.

Più raramente il sanguinamento renale è causato dalla rottura di una cisti. Ciò accade specie nei soggetti
affetti da rene policistico e, seppur remoto, il sanguinamento in tal casi può essere molto abbondante. Il
sanguinamento renale può anche essere dovuto a un tumore renale. In questo caso l'ematuria è spesso
microscopica.
Una rara causa di sanguinamento renale è la necrosi papillare, cioè la necrosi di una delle papille renali. Le
cause più frequenti di necrosi papillare sono l'abuso di farmaci analgesici e l'anemia drepanocitica, detta
anche drepanocitosi o anemia a cellule falciformi.

La presenza di ematuria con globuli rossi dismorfici, cilindri eritrocitari ed escrezione proteica a 500 mg/die
consente di porre diagnosi di glomerulonefrite.

La presenza di batteri con cilindri di globuli rossi indica una pielonefrite. Si possono inoltre osservare cilindri
di emazie e/o emazie in altre patologie, quali:

- Nefrite interstiziale
- LES
- Rigetto cronico del trapianto
Il sanguinamento postrenalico può interessare i diversi segmenti delle vie urinarie basse:

Sanguinamento pelvico e uretrale

Il più delle volte esso è dovuto a un calcolo. Se il calcolo è a livello della pelvi renale può non dare alcun
sintomo, anche se di grandi dimensioni, ma il suo attrito con la parete pelvica spesso determina piccole
perdite di sangue evidenziabili con microematuria, o più raramente, con episodi di macroematuria senza
dolori colici. Se invece il calcolo si impegna nell'uretere di norma compare il dolore tipico della colica renale e
ciò può associarsi a micro o macroematuria, dovuta alla lesione della parete ureterale da parte del calcolo.
Se il calcolo ostruisce l'uretere in maniera completa il dolore e l'ematuria possono cessare in quanto l'urina
non defluisce dal rene "ostruito" dal calcolo (idronefrosi). Questa condizione, a volte insidiosa, può essere
evidenziata con una ecografia renale, di norma è necessario completare le indagini con una urografia o
una uroTC.
L’ematuria pelvica od ureterale può essere dovuta a tumori della pelvi o dell'uretere, che tuttavia sono
relativamente rari.
Sanguinamento vescicale

La maggior parte delle ematurie originano dalla vescica, specie nelle donne e nei soggetti anziani. È
un’ematuria che presenta coaguli eliminati durante la minzione. Fra le cause di sanguinamento vescicale la
più frequente è la cistite, dovuta principalmente ad infezioni batteriche. Nella cistite all’ematuria possono
aggiungersi:

- Stranguria (minzione dolorosa)


- Disuria (minzione lenta e difficile)
- Pollachiuria (necessità di urinare frequentemente anche piccoli volumi di urina)
- Minzione imperiosa (a volte);
la diagnosi si pone con esame delle urine e urinocoltura.
Il sanguinamento vescicale può essere dovuto anche a neoformazioni vescicali (polipi o papillomi), più
frequenti nei soggetti maschili di età avanzata. La diagnosi si pone con ecografia vescicale e cistoscopia.
L’esame citologico delle urine può orientare la diagnosi.

L’ematuria potrebbe anche dipendere (raramente) da calcolosi vescicale. Il calcolo, infatti, potrebbe
accrescersi e determinare delle microlesioni alle pareti vescicali, responsabili del sanguinamento. È
necessario effettuare un’ecografia vescicale.

Sanguinamento uretrale

Esclusivo del sesso maschile, è dovuto a uretriti o a stenosi dell’uretra. Rari sono i tumori dell’uretra.

Ematuria da sforzo
La presenza di microematuria dopo esercizio fisico è una condizione frequente e benigna. Può manifestarsi
dopo attività sportiva e all’esame urine i globuli rossi appaiono ben conservati. La condizione recede
spontaneamente dopo pochi giorni/una settimana. In caso di macroematuria è necessario escludere altre
cause di ematuria ed è importante confermare con un esame delle urine che il loro colore sia dovuto alla
presenza di globuli rossi e non a emoglobinuria, che precluderebbe l’ipotesi di lesioni muscolari o deficit di
enzimi muscolari.

DIURETICI
I diuretici rappresentano dei farmaci in grado di controllare la ritenzione dei fluidi corporei. Vengono
impiegati per stabilizzare e mantenere la volemia in pazienti congesti (affetti da edema, ortopnea, dispnea)
o con segni di elevate pressioni di riempimento (rantoli, distensione venosa della giugulare, edemi periferici
ecc). I diuretici vengono ad essere classificati in base al loro sito di azione sul tubulo renale in tiazidici, diuretici
dell’ansa e risparmiatori di potassio.

Tipo diuretico Nome Azione


Tiazidici Tiazide, metolazone Riducono riassorbimeno Na+ e Cl-
nella prima metà del TCD.
Diuretici dell’Ansa Furosemide, torsemide, Inibiscono in modo reversibile il
bumetanide riassorbimento di Na+, K+ e Cl-
nella porzione discendente
dell’ansa.
Risparmiatori di potassio Spironolattone Agiscono a livello del dotto
collettore.

Nonostante tutti i diuretici aumentino l’escrezione di sodio e il volume urinario, ognuno di essi agisce in
maniera differente.

Tiazidici

Azione Questi farmaci inibiscono il simporto del Na+-Cl- presente a livello del tubulo contorto distale. La
loro capacità di riassorbimento massimo si aggira intorno al 5-10% del sodio filtrato, ma questo basta ad
aumentare la deplezione del potassio e l'escrezione di anioni organici neutralizzati dalle cariche positive del
sodio. Agiscono anche sul tubulo prossimale perché, essendo sulfonamidi, hanno la capacità di inibire
l'anidrasi carbonica. Al contrario dei diuretici dell'ansa, non inducono perdita di Ca++ mentre inducono quella
di magnesio. Non influenzano la perfusione glomerulare ma l'inibizione della Cox-1 renale ne diminuisce
l'effetto diuretico.

Usi ed effetti collaterali Sono i farmaci d’elezione per il trattamento dell’ipertensione; sono sicuri e a
basso costo ma presentano degli effetti avversi, seppur rari: vomito, diarrea, fotosensibilità e lieve
impotenza. Gli effetti collaterali più frequenti sono di pertinenza renale: iponatriemia, per la diminuita
capacità di diluizione, ipokaliemia con eventuale alcalosi e ipomagnesiemia in pazienti anziani. A volte è stata
osservata la slatentizzazione del diabete mellito specialmente in soggetti con ipersensibilità ai sulfamidici.
L'unica interazione importante è con la chinidina, che può essere fatale. Il loro effetto nell'abbassamento
della pressione arteriosa può essere potenziato se associati a beta-bloccanti, ACE-inibitori o bloccanti dei
recettori dell'angiotensina.

Diuretici dell’Ansa

Azione Questa classe di farmaci inibisce il simporto Na-K-2Cl delle cellule tubulari della porzione
ascendente dell’ansa di Henle. Sebbene il 70% del riassorbimento del sodio avvenga prossimalmente, l’ansa
ascendente ha una enorme riserva funzionale e possiede la capacità di sottrarre circa il 20-25% del sodio
filtrato. Inibendo il simporto, viene quindi compromessa la capacità dell’ansa di diluire l’urina ed allo stesso
tempo di aumentare la concentrazione salina nell’interstizio. Favoriscono la perdita di calcio e magnesio.

Uso Il principale è nel trattamento dell'edema polmonare acuto, anche


in presenza di ipoalbuminemia iponatriemia o ipocloremia e nello scompenso cardiaco. In queste condizioni
viene spesso impiegata la furosemide, che possiede anche un'azione venodilatatrice che può rapidamente
ridurre il precarico, prima di qualsiasi effetto sulla diuresi. Il dosaggio Iniziale della furosemide dovrebbe
essere inferiore o uguale a 0,5 mg/kg, ma dosi più alte (l mg/kg) sono richieste nei pazienti con insufficienza
renale, in caso di assunzione cronica di diuretici o di ipervolemia, oppure se non viene
ottenuto alcun effetto con dosi più basse..

In un numero limitato di casi, questo tipo di diuretico può essere di aiuto nel trattamento dell'edema nella
sindrome nefrosica e dell'ascite nelle insufficienze epatiche. in caso di intossicazione da farmaci o
nell'ipercalcemia, infondendo una soluzione isotonica, i diuretici dell'ansa inducono una diuresi forzata.
Impiegato nel tentativo di convertire una insufficienza renale acuta da oligurica a non oligurica.

Effetti collaterali ll simporto in questione è presente anche in altri tessuti, ma l'unico in cui si riscontra
un’interferenza è a livello dell'orecchio interno, che può manifestare effetti ototossici, e arrivare a un
danneggiamento dell’organo del Corti. Gli altri effetti indesiderati sono a carico della diuresi, in particolare la
forzata diuresi di Na+ e la stimolazione del sistema renina angiotensina, per azione diretta sui sensori della
macula densa o indirettamente tramite l'iponatriemia. È possibile l'instaurarsi di una ipokaliemia e di
un'alcalosi ipocloremica: fattori predisponenti l'aritmia.

Risparmiatori di Potassio

Classe di diuretici che preserva dall’escrezione di potassio, spesso indotta dall’utilizzo di altri diuretici
(tiazidici). Il più importante è lo spironolattone, antagonista del recettore dell’aldosterone, con un’azione che
porta ad inibire il riassorbimento di sodio e ridurre la secrezione di potassio, idrogenioni e acido urico. Simile
è il canrenoato di potassio.

Uso solitamente, è associato ad un diuretico tiazidico nel trattamento dell’ipertensione e dell’edema.


Utilizzi particolari: nella fibrosi cistica, come fluidficanti della secrezione bronchiale se somministrati per
areosol, e nella sindrome di Liddle o pseudoiperaldosteronismo. L’effetto collaterale più grave è
l’iperkaliemia.
I diuretici dovrebbero essere inzialmente somministrati a basse dosi, con successivi aumenti di dosaggi per
alleviare segni e sintomi del sovraccarico di fluidi. A volte è necessaria La somministrazione endovenosa di
diuretici per risolvere una congestione in modo acuto; una volta attenuata la congestione, bisogna comunque
continuare il trattamento per prevenire recidive di ritenzione idrosalina.

L'aggiunta di tiazide o metolazone, una o due volte al giorno, ai diuretici dell'ansa può essere presa in
considerazione nei pazienti con ritenzione idrica persistente nonostante le dosi elevate di diuretici dell'ansa.
Il metolazone è generalmente più potente e ha una maggiore durata d'azione rispetto ai tiazidici. In ogni
caso, l'uso cronico giornaliero di diuretici, specialmente del metolazone, dovrebbe essere ridotto, a causa
delle possibili alterazioni degli elettroliti e della deplezione di volume. L'ultrafiltrazione e la dialisi possono
essere usate in caso di ritenzione idrica refrattaria che non risponde ad alte dosi di diuretici ed è stato
dimostrato essere utile in un breve periodo di trattamento.
La somministrazione cronica di diuretici potrebbe comportare la formazione di edema idiopatico per via di
una lieve riduzione del volume ematico con conseguente iper reninemia cronica e iperplasia
iuxtaglomerulare. In caso di sospensione acuta dei diuretici, i fattori che inducono la ritenzione di sodio non
vengono più antagonizzati, inducendo così la ritenzione di liquido e quindi l'edema.

Esistono altri tipi di diuretici che non sono largamente utilizzati nella pratica clinica; uno di questi è l’inibitore
dell’anidrasi carbonica, usato sporadicamente per il trattamento del glaucoma.
L'anidrasi carbonica è un enzima ubiquitario che nel rene entra a far parte del meccanismo di secrezione di
protoni e di ritenzione dello ione bicarbonato. Nel rene è presente sia sulla superficie luminale delle cellule
del tubulo prossimale, sia all'interno del citoplasma. L'acido carbonico che arriva dall'ultrafiltrato, attraverso
l’anidrasi carbonica, viene scisso in acqua e CO2, che diffonde all’interno della cellula tubulare . Qui L'AC
cellulare la riconverte in acido carbonico, il quale si ionizza e perde un protone, che verrà secreto dalla cellula
nel lume. Il bicarbonato verrà poi secreto sul lato basale tramite un simporto con il sodio. La reazione netta
è il trasporto di NaHCO3 dal lume allo spazio extracellulare e l'acidificazione dell'urina. Il blocco dell'AC blocca
una parte sostanziale dell'assorbimento del HCO3- e ,di conseguenza, del sodio.
Di questa famiglia fanno parte sulfonamide e metazolamide.

NEFROSCLEROSI
Con il termine “nefrosclerosi” indichiamo una malattia renale che si associa alla sclerosi delle arteriole e
delle piccole arterie renali; è fortemente associata a ipertensione.

L’ipertensione sistemica incontrollata provoca danni permanenti ai reni in circa il 6% dei pazienti ipertesi. In
almeno il 27% dei pazienti con malattia renale a livello terminale l’ipertensione costituisce la causa principale.

La nefrosclerosi ipertensiva è 5 volte superiore negli afroamericani rispetto ai bianchi. Gli alleli di rischio
associati al gene APOL1, un gene funzionale per l’apoliproteina L1 espressa nei podociti, spiegano la maggior
incidenza in questa razza. I fattori di rischio che potrebbero comportare la progressione verso la patologia
renale allo stadio terminale sono:

- Sesso
- Età
- Razza
- Fumo di tabacco
- Ipercolesterolemia
- Durata ipertensione
- Basso peso alla nascita
- Lesioni renali preesistenti
Pazienti con ipertensione, microematuria e proteinuria moderata mostrano alla biopsia renale:

- Arteriosclerosi;
- Nefrosclerosi cronica
- Fibrosi interstiziale in assenza di immunodepositi
La diagnosi viene effettuata attraverso un’attenta anamnesi, su EO e sugli esami di laboratorio, senza
necessità di biopsia renale.

È fondamentale trattare l’ipertensione per evitare la progressione dell’insufficienza renale.

Si raccomanda di abbassare la pressione sotto i 130/80 mmHg se c’è una condizione preesistente di diabete
o di malattia renale. In presenza di patologia renale si somministrano due farmaci:

1. Diuretico tiazidico
2. ACE-inibitore
Nei soggetti con bassi livelli di ipertensione si somministra uno solo dei due farmaci.

L’accelerazione maligna dell’ipertensione può peggiorare il quadro della nefrosclerosi cronica, soprattutto se
già presenti sclerodermia o uso di cocaina. L’ipertensione maligna può progredire verso la necrosi fibrinoide
dei piccoli vasi, microangiopatia trombotica, pattern nefritico all’esame delle urine e insufficienza renale
acuta. In un contesto di insufficienza renale, dolore toracico e papilledema, la condizione viene trattata come
un’emergenza ipertensiva.

IPERTENSIONE NEFROVASCOLARE
Rappresenta una forma d’ipertensione, potenzialmente curabile, dovuta a una forma di occlusione da parte
di un’arteria renale. Inizialmente, la pressione elevata è influenzata dall’attivazione del sistema renina-
angiotensina; questa condizione è temporanea poiché, progressivamente, la ritenzione di sodio e la
comparsa di altri meccanismi ipertensivi contribuiscono a mantenere alta la pressione. Ci sono due gruppi di
pazienti a rischio:

 Aterosclerotici più anziani, nei quali una placca ostruisce l’arteria renale ( tipicamente all’origine)
 Pazienti con displasia fibromuscolare*, che si manifesta ad ogni età ma ha una forte predilezione per
le giovani donne bianche, con rapporto donna/uomo di 8:1. Ci sono diverse varianti della displasia
fibromuscolare:
- Fibrodisplasia mediale (la più diffusa)
- Fibrodisplasia perimediale
- Iperplasia mediale
- Fibrodisplasia intimale
Le lesioni da displasia fibromuscolare sono solitamente bilaterali e, contrariamente alla malattia
nefrovascolare aterosclerotica, tendono a colpire l’arteria renale in posizione più distale.

Clinica Esistono delle condizioni che indirizzano la diagnosi verso l’ipertensione nefrovascolare, per esempio:

 Pazienti con altra vasculopatia aterosclerotica;


 Ipertensione severa o refrattaria;
 Perdita di controllo dell’ipertensione;
 peggioramento della funzione renale, anche associato ad ACE-inibitori.
Il 50% dei pazienti con tale patologia presenta soffio addominale o al fianco.

Se il quadro generale è tenuto sotto controllo attraverso un regime antipertensivo, non è necessario
proseguire con la valutazione per la ricerca di una stenosi renale, soprattutto se il soggetto è anziano, con
aterosclerosi e stato di morbilità.
Diagnosi Se si sospetta una stenosi, è utile eseguire un test di screening; normalmente, si valuta il flusso
renale con una scintifìgrafia con ortoiodoippurato, oppure si rileva la percentuale di filtrazione glomerulare
attraverso scintigrafia con acido pentacetico dietilenetramina, prima e dopo una singola dose con un ACE-
inibitore (captopril). In pazienti con funzionalità renale conservata, un normale renogramma con ace-
inibitore esclude stenosi dell’arteria renale funzionalmente significativa. Se la scintigrafia è positiva, è utile
eseguire altre indagini, quali l’ecodoppler delle arterie renali, il quale fornisce misurazioni sulla velocità del
flusso renale e consente di monitorare la lesione nel tempo. È possibile sottoporre il paziente anche ad
angiografia dell’arteria renale con gadolinio, che offre ottima visione della porzione prossimale, ma non
rende evidenti lesioni della porzione distale. L’arteriografia con contrasto resta comunque il gold standard
per la valutazione e l’individuazione delle lesioni renali. I potenziali rischi per il rene includono nefrotossicità,
in particolare in pazienti con diabete mellito o insufficienza renale persistente.

In quasi il 50 % delle aterosclerosi si osserva ostruzione delle arterie renali: le lesioni con significato funzionale
occludono più del 70% del lume dell’arteria. Nell’angiografia, la presenza di vasi collaterali al rene ischemico
indica una lesione importante funzionalmente.

I pazienti con displasia fibromuscolare hanno risultati migliori rispetto ai soggetti aterosclerotici,
principalmente a causa della loro giovane età, della durata inferiore dell’ipertensione e della minore malattia
sistemica. L’angioplastica percutanea transluminale è il trattamento di prima scelta, essendo basso il
rapporto rischio/beneficio e alta la percentuale di successo (90% dei pazienti mostra miglioramento o cura
dell’ipertensione). La rivascolarizzazione chirurgica può essere intrapresa nel momento in cui l’angioplastica
fallisca.

Nei pazienti aterosclerotici, la correzione vascolare deve essere presa in considerazione se la pressione
arteriosa non può essere adeguatamente controllata nonostante una terapia medica ottimale o se la funzione
renale si è ridotta. La chirurgia è prevista per gli aterosclerotici più giovani che non presentino altre gravi
patologie; tuttavia, per questi soggetti l’approccio iniziale è l’angioplastica percutanea transluminale renale
o lo stenting.

La terapia medica più efficace include ACE- inibitori oppure bloccanti del recettore dell’angiotensina II; questi
farmaci, però, diminuiscono la filtrazione in un rene stenotico a causa della dilatazione dell’arteriola
afferente. Perciò, l’utilizzo prolungato di queste sostanze, soprattutto in presenza di stenosi renale bilaterale,
può portare ad una insufficienza renale progressiva. Ovviamente, tale insufficienza è reversibile sospendendo
i farmaci in questione.

INSUFFICIENZA RENALE ACUTA ( IRA )


L’IRA è caratterizzata dal rapido ridursi del filtrato glomerulare ( da giorni a ore ), dall’accumulo dei residui
del metabolismo dell’azoto e dall’alterazione dei liquidi extracellulari, dell’omeostasi idro-salina e acido-
base. Nel 50% dei casi è presente oliguria ( <500 ml/die). E’ di solito asintomatica e può venir diagnosticata
tramite esami di routine in pazienti ospedalizzati grazie agli aumentati livelli di azoto ureico e creatinina.
Può complicare il quadro clinico di numerose malattie suddivise a scopo diagnostico terapeutico in:

-IRA PRERENALE o IPERAZOTEMIA PRERENALE (55%):alterazioni della perfusione renale in presenza di reni
sani,

-IRA INTRINSECA o IPERAZOTEMIA INTRINSECA (40%):malattie del parenchima renale,

-IRA POSTRENALE o IPERAZOTEMIA POSTRENALE(5%):malattie ostruttive del tratto urinario con esordio
acuto.
L’IRA è reversibile perché il rene “recupera” la funzionalità persa, ma morbilità e mortalità ospedaliera sono
alte per l’eziologia della malattia con la quale solitamente si associa.

IRA PRERENALE O IPERAZOTEMIA PRERENALE


E’ quella a maggiore incidenza e rappresenta una risposta fisiologica all’ipoperfusione di entità lieve-media,
quindi rapidamente reversibile dopo la ripresa dl flusso sanguigno. Il parenchima non è danneggiato se
l’ipoperfusione non è severa, nel caso in cui lo fosse si svilupperebbe un’ischemia del tessuto a seguito della
quale ci sarà un’evoluzione verso IRA INTRINSECA.

L’IRA prerenale può aggravare patologie che comportano ipovolemia, diminuzione della gittata cardiaca,
vasodilatazione sistemica e vasocostrizione renale. L’ipoperfusione conseguente a queste condizioni
determina diminuzione della pressione arteriosa con successiva attivazione del SNS, del sistema renina-
angiotensina-aldosterone e rilascio di arginina vasopressina (ADH) : esito di questi processi sarà la
vasocostrizione dei distretti “non essenziali” (muscolocutaneo), inibizione della perdita di sali tramite
sudorazione ghiandolare, stimolazione della sete e ritenzione di sali e acqua a livello renale.

Quando l’ipoperfusione è lieve i valori della funzionalità renale resteranno preservati grazie a meccanismi di
compenso quali vasodilatazione dell’arteriola afferente e vasocostrizione della efferente. La prima è
favorita da sintesi di prostaglandine ad azione vasodilatatoria e dal riflesso miogeno, meccanismo di
autoregolazione che ha attività ottimale fino ad una pressione di 80 mmHg, al di sotto determinerà
diminuzione del GFR, la seconda è promossa dall’azione dell’ angiotensina 2.

I segni clinici sono sete, vertigini ed ipotensione in ortostasi, tachicardia, ridotta pressione venosa
giugulare, ridotto turgore cutaneo, secchezza delle mucose e ridotta sudorazione ascellare. Bisogna
rivalutare i dati anamnestici per considerare una riduzione progressiva della diuresi o del peso corporeo o
un trattamento con ACE-inibitori o inibitori delle cicloossigenasi.

TERAPIA
E’ rapidamente reversibile dopo correzione dell’alterazione emodinamica. Se l’ipovolemia è dovuta ad
emorragia bisogna effettuare trasfusione. Urine e liquidi gastrointestinali sono di solito ipotonici, quindi
inizialmente è consigliabile un trattamento con medesime soluzioni, soluzioni isotoniche sono consigliate
nei casi più gravi. L’utilizzo di shunt può migliorare il GFR e provvisoriamente l’escrezione di sodio perché
tende a stimolare il peptide natriuretico atriale ed inibire aldosterone e adrenalina.

SINDROME EPATORENALE: caratterizzata da una IRA aggressiva che si associa ad INSFFICIENZA EPATICA
dovuta il più delle volte a cirrosi, talvolta ad altre epatopatie. Risposte precoci sono vasocostrizione renale
e ritenzione di sodio(diminuita produzione di urina, iperazotemia e ipercreatininemia), successivamente
alterazioni emodinamiche sistemiche. Ciò porta ad ascite ed edema polmonare che devono essere trattati
con paracentesi ed infusione di albumina. Inoltre pazienti con malattie epatiche gravi hanno solitamente
volume plasmatico maggiore, ma effettiva ipovolemia a causa della vasodilatazione sistemica e del
sequestro di sangue da parte del circolo portale. L’IR di solito si sviluppa lentamente col progredire
dell’insufficienza epatica, ma può essere accelerata da alterazioni emodinamiche quali emorragie. Bisogna
tener presente che pazienti con patologie epatiche possono sviluppare anche altre forme di IRA, come da
sepsi o da farmaci nefrotossici, quindi è necessaria una diagnosi certa prima della terapia. La prognosi è
comunque sfavorevole e il trapianto di fegato è considerato il trattamento d’elezione.

IRA INTRINSECA O IPERAZOTEMIA INTRINSECA


Può complicare diverse malattie del parenchima renale . Dal punto di vista clinico-anatomopatologico le
possibili cause sono:

-MALATTIE DEI GROSSI VASI RENALI,

-MALATTIE DEL MICROCIRCOLO RENALE E DEI GLOMERULI,

-IRA ISCHEMICA E NEFROTOSSICA,

-MALATTIE TUBULOINTERSTIZIALI.

Il più delle volte l’ insufficienza renale è di FORMA ISCHEMICA o NEFROTOSSICA e si evolve in una NECROSI
TUBULARE ACUTA (NTA). Il 20-30% dei pazienti con queste tipologie di ischemia non presenta evidenza
clinica o morfologica. Sebbene le forme siano responsabili di oltre il 90% dei casi bisogna considerare altre
forme di malattia renale: il dolore lombare può essere sintomo di occlusione dell’arteria o della vena renale
o di malattie parenchimali che distendono la capsula, quali glomerulonefriti o vasculiti.

IRA ISCHEMICA
Differisce dall’IRA prerenale in quanto induce un danno ischemico sulle cellule parenchimali e la guarigione
richiede da una a due settimane dalla normalizzazione della perfusione poiché sono necessari la riparazione
e la rigenerazione delle cellule tubulari. Nelle forme più estreme causa necrosi corticale bilaterale con IR
irreversibile. E’ classicamente caratterizzata da tre fasi:

1) FASE DI INIZIO: periodo iniziale di ore o giorni caratterizzato da ipoperfusione renale che causa
diminuzione della GFR. Ciò è dovuto a diminuzione della pressione di ultrafiltrazione glomerulare,
presenza di cilindri necrotici di cellule tubulari e retrodiffusione del filtrato glomerulare attraverso
l’epitelio danneggiato. Le porzioni più danneggiate sono la midollare del tubulo prossimale e la
porzione ascendente dell’ ansa di Henle, dove solitamente viene consumato più ossigeno.
L’ischemia causa danni nel metabolismo cellulare e addirittura necrosi, ma si tratta comunque di
una lesione che può essere limitata dal ripristino del flusso ematico e renale;
2) FASE DI MANTENIMENTO: dura da uno a due settimane ed è caratterizzata da GFR di 5-10ml/min e
complicanze dell’uremia per danno epiteliale ormai stabilizzato. Possibili cause della stabilità del
GFR in questa situazione sono vasocostrizione intrarenale e ischemia della midollare. La prima è
provocata dalle stesse cellule epiteliali tramite un meccanismo chiamato feedback
tubuloglomerulare: cellule specializzate della macula densa rilevano l’alta quantità di sali in arrivo
per il mancato riassorbimento a livello del tubulo prossimale e stimolano la vasocostrizione delle
arteriole afferenti determinando un circolo vizioso;
3) FASE DI RECUPERO: rigenerazione delle cellule parenchimali, specialmente tubulari, con ritorno a
normali valori del GFR. Questa fase può essere complicata dall’ uso continuo di diuretici o da
poliuria.

Microscopicamente si osservano irregolari e focali necrosi dell’epitelio tubulare con distacco dalla
membrana basale e occlusione dei lumi tubulari con cilindri composti da cellule epiteliali intatte o in
degenerazione e detriti cellulari. La morfologia dei glomeruli è normale, anche se è possibile un accumulo di
leucociti nei vasa recta.

IRA NEFROTOSSICA
Può complicare l’esposizione a parecchi agenti farmacologici. La vasocostrizione intrarenale è un evento
cardine dell’IRA causata da MEZZI DI CONTRASTO e da CICLOSPORINE. Si svilupperà una IRA simile alla
prerenale con abbassamento improvviso del flusso ematico e del GFR, sedimento urinario relativamente
buono e bassa frazione di escrezione di sodio, nei casi più gravi si avrà evidenza clinica e NTA.

La sindrome causata da mezzi di contrasto sembra essere dose-correlata. Provoca incremento acuto (da 24
a 48 ore), ma reversibile, dell’azotemia e della creatinina. La vasocostrizione è causata dall’ENDOTELINA-1,
peptide ad azione vasocostrittrice, implicato anche nell’IRA dovuta a ciclosporine. Molti ANTIBIOTICI, per lo
più antimicrobici quali aciclovir, foscarnet, aminoglicosidi, amfotericina B e cisplatino, e FARMACI
ANTITUMORALI, nonché chemioterapici, sono tossici verso il rene, provocando danno diretto alle cellule
tubulari o ostruzione interna.

Sostanze nefrotossiche possono anche essere di natura ENDOGENA. L’ipercalcemia può causare
vasocostrizione intrarenale e deposizione di fosfati di calcio. La rabdomiolisi (rottura delle cellule del
muscolo scheletrico con rilascio nel sangue delle sostanze muscolari, quali la mioglobina) e l’emolisi
possono indurre IRA specialmente in soggetti ipovolemici e in stato di acidosi, inoltre mioglobina ed
emoglobina inibiscono NO determinando vasocostrizione ed ischemia intrarenale nei pazienti con
ipoperfusione. Il mieloma multiplo porta ad IRA tramite formazione di cilindri intratubulari contenenti
catene leggere di Ig e altra proteine quali quella di Tamm-Horsfall. Iperuricosuria(alto acido urico nelle
urine) o iperossaluria(alto acido ossalico nelle urine) possono causare ostruzione intratubulare.

Microscopicamente la necrosi tubulare è meno pronunciata di quella ischemica e i cambiamenti


coinvolgono per lo più la porzione convoluta e retta del tubulo prossimale.

ALTRE CAUSE DI IRA INTRINSECA: pazienti con aterosclerosi avanzata dopo manipolazione
dell’aorta o dell’arteria renale durante intervento chirurgico, o più raramente per embolizzazione
da cristalli di colesterolo, quest’ultima causa è solitamente reversibile.

TERAPIA
Non ci sono terapie specifiche nell’IRA intrinseca, pertanto la prevenzione è di fondamentale importanza:
pazienti a rischio di IRA ischemica dovrebbero effettuare esami di screening cardiovascolare o nel caso di
interventi di chirurgia maggiore siano soggetti a pronto ripristino del volume dei liquidi. Nella nefrotossica il
dosaggio dei farmaci deve essere rapportato all’età, al peso corporeo e al GFR. Se la malattia insorge come
secondaria a glomerulonefrite acute o vasculite il trattamento con glucocorticoidi, agenti alchilanti o
plasmaferesi può dare risposta. Se l’IRA è causata da sclerodermia il miglior trattamento è con ACE-inibitori.

IRA POSTRENALE O IPERAZOTEMIA POSTRENALE


E’ necessario che ci sia ostruzione del tratto tra il collo della vescica e il meato uretrale esterno, ostruzione
ureterale doppia o monolaterale in un paziente con rene unico funzionante. L’ostruzione a livello del collo
vescicale è la causa più comune e può essere dovuta a malattie della prostata, vescica neurologica o
farmaci anticolinergici. L’ostruzione ureterale può originare dall’interno del lume(calcoli, coaguli…)o
derivare da compressione estrinseca.

Nelle prime fasi la persistenza della filtrazione glomerulare provoca aumento della pressione endoluminale
a monte dell’ostruzione e graduale dilatazione dell’uretere prossimale, del bacinetto e dei calici, con caduta
del GFR.

Il paziente solitamente manifesta dolore sovrapubico e lombare dovuti a distensione della vescica. Dolore
lombare irradiante all’inguine suggerisce un’ostruzione ureterale acuta. La diagnosi definitiva si basa
sull’uso di indagini radiologiche e sul riscontro della ripresa funzionale del rene dopo la risoluzione del
problema dell’ostruzione.

TERAPIA
Cateteri transuretrali o sovrapubici possono essere utilizzati in attesa di identificare e trattare la lesione
responsabile. Corpi ostruenti endoluminali (calcoli)possono essere rimossi per via percutanea, ostruzioni
estrinseche(carcinomi), invece, tramite posizione di un divaricatore ureterale.

CARATTERISTICHE CLINICHE E DIAGNOSI DIFFERENZIALE


Al paziente che si presenta con insufficienza renale bisogna dapprima valutare il GFR per capire se esso
determini una sintomatologia acuta o cronica. Ciò è facile se sono presenti dati precedenti che evidenziano
aumento dell’azotemia e delle creatinina, ma non sempre sono disponibili. Segni che suggeriscono IRC sono
anemia, neuropatia, osteodistrofia e reni piccoli o grinzosi.

ESAME DELLE URINE

L’ANURIA indica una completa ostruzione del tratto urinario e può complicare casi gravi di IRA prerenale o
intrinseca, quando l’ostruzione è parziale può manifestarsi POLIURIA. Nell’ iperazotemia prerenale e
postrenale il sedimento è tipicamente privo di cellule e può contenere cilindri ialini o benigni, che si
formano quando le urine sono concentrate. Nell’ IRA ischemica o nefrotossica si riscontrano i cilindri
granulosi pigmentati di colore marrone opaco e quelli contenenti cellule tubulari, solitamente associati a
microematuria e lieve proteinuria, queste strutture in realtà non sono indispensabili per la diagnosi. Nella
forma nefrotossica indotta da antibiotici si riscontra in oltre il 90% dei casi EOSINOFILURIA(>5% dei leucociti
nelle urine). Fra gli indici di DANNO RENALE c’è sicuramente la PROTEINURIA, >1 g/die. Un importante
parametro è la FRAZIONE DI ESCREZIONE DEL SODIO(FeNa), poiché è avidamente riassorbito nella
prerenale (<1%), ma non nei pazienti con IRA ischemica e nefrotossica. La CREATININA SIERICA può essere
utilizzata come indicatori delle cause di IRA: nella prerenale i suoi livelli sono fluttuanti in parallelo con la
funzione emodinamica, invece sale rapidamente dalle 24 alle 48 ore nell’IRA conseguente a ischemia
renale, nella nefropatica da mezzi di contrasto si osserva il picco dopo 3-5 giorni, nell’IRA ischemica il picco
di viene raggiunto dopo 7-10 giorni. IPERKALIEMIA, IPERFOSFATEMIA, IPOCALCEMIA, elevati livelli sierici di
ACIDO URICO e CREATINA CHINASI suggeriscono l’esordio di rabdomiolisi.

ALTRE INDAGINI

ECOGRAFIA, in alternativa TC o RM, del tratto urinario sono utili per diagnosticare IRA postrenale, la
PIELOGRAFIA RETROGRADA O ANTEROGRADA permette la precisa localizzazione del sito d’ostruzione.
RADIOGRAFIA DELL’ADDOME è utile nei pazienti in cui si sospetta nefrolitiasi. ECO-DOPPLER e
ANGIOFRAGIA COMBINATA ALLA RM valutano la pervietà di arterie e vene renali.

La BIOPSIA viene utilizzata se sono state escluse diagnosi di IR pre/postrenale, la causa di iperazotemia non
è stata chiarita e i dati di laboratorio indicano cause diverse da danno ischemico o nefrotossico.

COMPLICANZE
1-ESPANSIONE DEL VOLUME EXTRACELLULARE: con possibile sviluppo di edema polmonare,

2-IPERKALIEMIA e ACIDOSI METABOLICA: con ulteriore fuoriuscita di Kᶧ dalle cellule che può causare
anomalie elettrocardiografiche,

3-IPERFOSFATEMIA,

4-IPOCALCEMIA: facilitata dalla deposizione di cristalli di calcio, in più ci sono resistenza al paratormone e
ridotti livelli di 1,25-diidrossicolecalciferolo(vitamina D inattiva),

5-ANEMIA: multifattoriale, ma principalmente perché viene meno l’azione dell’EPO,

6-ALLUNGAMENTO TEMPO DI SANGUINAMENTO: ridotto numero o alterata funzione piastrinica, alterata


funzione dei fattori della coagulazione (VIII),

7-LEUCOCITOSI: con maggiore predisposizione alle INFEZIONI, causa della maggior parte dei decessi,

8-COMPLICANZE CARDIOPOLMONARI: aritmie, infarto del miocardio, edema polmonare ed embolia


polmonare,

9-SANGUINAMENTO GASTROINTESTINALE: dovuto ad ulcere da stress nello stomaco o nel tenue.

Il protrarsi dell’IRA porta a SINDROME UREMICA.

TERAPIE DI SUPPORTO
Una volta corretta l’ipovolemia, l’apporto di acqua e sale dovrebbe essere equivalente alle perdite idriche e
saline, ciò è anche il trattamento utilizzato per l’ipernatriemia. L’ipervolemia viene trattata, invece, con
restrizione di sali e acqua più somministrazione di diuretici, così facendo si trattano anche iponatriemia e
ipoosmolarità. L’acidosi metabolica viene trattata quando il pH<7,2 con bicarbonati sia orali che
endovenosi. La dieta deve fornire giuste calorie per evitare il catabolismo minimizzando la produzione di
residui azotati. Gli antiacidi sembrano ridurre il rischio di emorragia gastrointestinale. E’ d’obbligo il
controllo di cateteri, cannule endovenose e altri dispositivi invasivi.

La DIALISI sostituisce la funzione renale fino alla sua ripresa: l’EMODIALISI, solitamente con catetere a
doppio lume inserito nella vena giugulare, o la PERITONEODIALISI, dopo inserimento di catetere a lume
singolo nella cavità peritoneale, sono le modalità più utilizzate.

INSUFFICIENZA RENALE CRONICA(IRC)


E’ un processo fisiopatologico ad eziologia varia, risultante nella riduzione inesorabile di nefroni, che
frequentemente porta all’insufficienza renale terminale che rende il paziente dipendente dalla terapia
sostitutiva (dialisi o trapianto) al fine di evitare la morte per uremia.

Il processo prevede numerose cause che hanno un comune denominatore nello sviluppo di una riduzione di
lunga durata nella massa renale. Inizialmente si verificano ipertrofie compensatorie da parte dei nefroni
superstiti mediate da molecole che predispongono alla sclerosi: tra queste svariate citochine ed il sistema
renina-angiotensina. Ciò comporta la diminuzione della funzione progressiva della funzionalità renale anche
nel momento nel quale la causa dell’insufficienza è stata eliminata.

Nella fase più precoce il GFR può essere normale o aumentato. In questo momento solo indicazioni
laboratoristiche possono essere utili: se azotemia e creatininemia sono anche lievemente aumentate si è
ormai instaurato un processo cronico. Fin tanto che il GFR non arriva al 30% il paziente sarà asintomatico.
Nicturia(ripetuto bisogno di urinare durante il sonno), lieve anemia ed anomalie del metabolismo del calcio
indicano un’INSUFFICIENZA RENALE MODERATA, ulteriori manifestazione cliniche ed un GFR<30%
implicano un’INSUFFICIENZA RENALE AVANZATA. Quando GFR<5-10% ci si trova in uno stato di
INSUFFICIENZA RENALE TERMINALE e la sopravvivenza è subordinata alla terapia sostitutiva funzionale.

L’EZIOLOGIA prevede che le cause più comunemente scatenanti IRC siano NEFROPATIA DIABETICA e
NEFROPATIA IPERTENSIVA, anche se spesso il paziente si presenta in uno stato di IRC avanzata per la quale
non è possibile definirne una causa. Talvolta è possibile riconoscere una derivazione genetica come nella
NEFROPATIA EREDITARIA DI ALPORT, trasmessa tramite carattere X-linked . In realtà anche il diabete
mellito e l’ipertensione essenziale presentano dei pattern genetici che, se ereditati, predispongono all’IRC.

L’UREMIA indica uno stato in cui i pazienti sono incapaci di eliminare i prodotti di degradazione proteica e
aminoacidica. E’ una condizione che si sviluppa successivamente all’alterazione funzionale di vari organi e
sistemi per l’accumulo di scorie della sintesi proteica, quali anomalie della funzione piastrinica e aumentati
livelli sierici di ormoni(paratormone, insulina, glucagone, LH, PRL…), e alla perdita di altre funzioni renali tra
cui anche la sintesi di determinate sostanze quali EPO e 1,25-diidrossicolecalciferolo. Ciò fa sì che anche un
adeguato trattamento con dialisi non risolva tutte le problematiche fisiologiche, in parte non più collegate
al malfunzionamento del rene.

MANIFESTAZIONI CLINICHE E LABORATORISTICHE


-OMEOSTASI DELL’ACQUA E DEL SODIO: nei pazienti con IRC stabile il contenuto totale di sodio e acqua
risulta leggermente aumentato. Considerando l’alterazione concomitante del meccanismo di
concentrazione urinaria può presentarsi iponatriemia, solitamente non severa nei pazienti in fase
predialitica,

-OMEOSTASI POTASSIO: il declino del GFR non sempre si accompagna ad iperpotassiemia, poiché
l’escrezione a livello gastroenterico risulta essere aumentata, ma questa condizione può essere favorita da
una dieta non adeguata e soprattutto da abbassamenti bruschi del pH. Iperpotassiemia significativa si
verifica con GFR<10ml/min,

-ACIDOSI METABOLICA: causata dal metabolismo delle proteine che produce idrogenioni, nella maggior
parte dei pazienti è comunque lieve(>7,35) e può essere trattata con 20-30 mmol di bicarbonato di sodio,

-ANOMALIE OSSEE,DEI FOSFATI E DEL CALCIO: ci sono due possibili condizioni:

1) OSTEODISTROFIA UREMICA AD ELEVATO TURNOVER: avviene soprattutto a livello delle coste ed è


caratterizzata da aumento del numero e delle dimensioni degli osteoclasti e delle lacune di riassorbimento
osseo. C’è aumentato livello di paratormone correlato ad iperfosfatemia, ridotta sintesi di calcitriolo e di
vitamina D ed ipocalcemia.

Il trattamento di iperparatiroidismo ed osteite fibrosa consiste in una dieta povera di fosfati e di agenti
chelanti per via orale. Vengono somministrati il più delle volte calcio carbonato o calcio acetato. E’
importante mantenere il prodotto calcio/fosforo nei limiti normali per evitare calcificazioni metastatiche.

2)OSTEODISTROFIA UREMICA A BASSO TURNOVER: si presenta specialmente a livello della testa del
femore ed è rappresentata da una situazione nella quale sia la velocità di mineralizzazione che di sintesi del
collagene sono ridotte, pertanto le aree osteoidi sono di spessore normale. Col tempo si è visto che
l’alluminio, utilizzato in passato nelle dialisi, era tra i principali responsabili di osteomalacia. Oggi l’alluminio
viene farmacologicamente utilizzato per circa un terzo dei pazienti. In questa condizione ci sono bassi livelli
di paratormone, alti livelli di calcio e di vitamina D esogena. Dopo molti anni di dialisi il paziente potrà
essere caratterizzato da deposizione di amiloide per accumulo di β₂-microglobulina con interessamento
degli ossicini carpali, sindrome del tunnel…c’è una maggiore predisposizione alle fratture spontanee che
necessitano di molto tempo per guarire. E’ possibile anche la CALCIFICASSI, riferita a lesione necrotizzante
delle estremità dei tessuti molli in relazione ad occlusione vascolare e calcificazione metastatica.

Quando la patologia è causata da un eccesso di alluminio la terapia prevede la sua completa eliminazione
dalla dieta. Per l’amiloidosi da dialisi, per il momento, non esiste nessun tipo di trattamento adeguato,

-ANOMALIE CARDIOVASCOLARI E POLMONARI:

1) Scompenso cardiaco congestizio,

2)Ipertensione ed ipertrofia ventricolare sinistra,

3)Arteriosclerosi coronarica e vasculopatia periferica per ipertensione, iperomocisteinemia e anomalie


lipidiche. Queste anomalie sono le principali responsabili di morbilità e mortalità della malattia e richiedono
un cambiamento degli stili di vita alimentari ed il trattamento farmacologico (diuretici ed antipertensivi),

4)Pericardite in cui il fluido è di tipo emorragico

-ANOMALIE EMATOLOGICHE:
1)Anemia normocitica e normocromica perché con l’avanzamento della patologia il rene tende a
produrre meno EPO, altro fattore predisponente può essere la carenza di ferro, vitamina B12 e folati. Il
paziente viene trattato con eritropoietina umana ricombinata e tutt’al più ferro per via endovenosa,

2)Anomalie dell’emostasi,

3)Aumento delle suscettibilità alle infezioni: per variazione della formazione e della funzione
leucocitaria, linfocitopenia e atrofia delle strutture linfoidi. Nei pazienti dializzati c’è incompatibilità di
alcune membrane con la funzione leucocitaria. Gli accessi vascolare e peritoneale sono sedi comuni di
ingresso di patogeni,

-ANOMALIE NEUROMUSCOLARI: soprattutto nelle fasi avanzate dove si manifesta neuropatia periferica
dapprima della componente sensitiva, indice che è necessario iniziare un trattamento dialitico. La
DEMENZA DIALITICA può verificarsi in pazienti dializzati da anni: è caratterizzata da mioclonie, convulsioni e
morte,

-ANOMALIE GASTROINTESTINALI: anoressia, nausea e vomito. Il FETORE UREMICO simile a quello dell’urina
caratterizza i pazienti perché avviene la lisi dell’urea in ammoniaca a livello salivare,

-ANOMALIE ENDOCRINE E DEL METABOLISMO: il METABOLISMO DEL GLUCOSIO è alterato ed i LIVELLI DI


ESTROGENI tendono ad essere ridotti provocando amenorrea ed instabilità della gravidanza nelle donne,
principalmente impotenza nell’uomo . In più ci sono le già citate alterazioni della funzione parotidea, del
metabolismo proteico-calorico e lipidico,

-ANOMALIE DERMATOLOGICHE: la cute è pallida, presenta ecchimosi o ematomi e dà fastidioso prurito per
l’accumulo di calcio. Quest’ultimo fattore non migliora durante la dialisi. La necrosi cutanea può avvenire a
causa della calcifilassi.

DIAGNOSI
Il primo passaggio è riconoscere una IRC o una IRA: la prima è favorita dalla presenza di malattia metabolica
ossea cronica, anemia e rene bilateralmente ridotti di volume tramite diagnostica per immagini.

Una volta accertato IRC bisognerebbe cercarne l’eziologia, anche se quando il processo è avanzato è di
scarso significato terapeutico.

All’esame obiettivo bisogna porre particolare attenzione alla pressione arteriosa, all’esame del fundus
oculi(retinopatia diabetica), all’addome(masse palpabili), all’estremità(edemi) e alla valutazione
neurologica per ricercare segni di neuropatia.

Se anamnesi ed esame obiettivo lo indicano bisogna condurre gli esami di laboratorio per valutazioni
immunologiche per il LES e per le vasculiti. Altri esami sono: creatininemia, azotemia, emoglobina,
calcemia, fosforemia e della fosfatasi alcalina(malattia metabolica dell’osso). Le urine possono essere utili
nell’analisi dei sottostanti processi infiammatori o proteinurici.

L’esame di imaging più utile è l’ecografia che analizza le dimensioni dei reni e la possibile presenza di masse
renali o uropatia ostruttiva. Reni normali possono essere indice di IRA, ma bisogna ricordare che amiloidosi,
policistosi e diabete possono portare ad IRC con reni normali per dimensioni. Asimmetria può indicare
processi unilaterali quali anomalie urologiche o malattia cronica renovascolare. La TC può essere utile nel
riconoscimento di calcoli.

Pazienti con reni approssimativamente di dimensioni normali in cui non si riesce ad effettuare una diagnosi
chiara si effettua biopsia renale.

TERAPIA
E’ volta a prevenire o posticipare l’esordio di IR terminale e consiste in:

-RESTRIZIONE PROTEICA: la dieta deve essere ipoproteica sia nella nefropatia diabetica che non, ma deve
comunque evitare la malnutrizione con un adeguato apporto proteico costituito per lo più da aminoacidi
essenziali,

-TRATTAMENTO FARMACOLOGICO DELL’IPERTENSIONE INTRAGLOMERULARE: mira a rallentare la


progressione del danno nefronico da ipertensione e l’ipertrofia glomerulare, cosa che avviene nelle
nefropatie diabetiche e glomerulari. E’ chiaramente correlato alla terapia precedente poiché elevati livelli di
pressione arteriosa aumentano i livelli di proteinuria. Vengono utilizzati antipertensivi quali ACE-inibitori e i
bloccanti del recettore dell’angiotensina, perché riducono l’escrezione urinaria di albumina meglio di altri
farmaci e migliorano la funzione endoteliale delle arteriole.

Quando la proteinuria è di livello moderato o assente, come nel rene policistico adulto, c’è minor
ipertensione intraglomerulare e può esser effettuato un trattamento con calcio-antagonisti.

Le dosi di molti farmaci devono essere sottodosate perché il rene non detossifica bene, quando invece
l’escrezione della medicina è per oltre il 70% non renale(epatico o intestinale) ciò non serve.

GLOMERULONEFRITI
Tutte le lesioni glomerulari provocano una compromissione della filtrazione glomerulare e/o la presenza di
proteine plasmatiche e di cellule ematiche nell’urina.

Le malattie glomerulari possono essere classificate in base alla causa in primitive o secondarie, in base al
tempo di insorgenza in acute, subacute o croniche e in base alle lesioni in focali, diffuse o segmentarie.

Il termine glomerulonefrite implica un processo infiammatorio in cui avviene un aumento di cellule


glomerulari dovuto ad infiltrazione leucocitaria, spesso però può esserci anche proliferazione delle cellule
glomerulari residenti, in quest’ultima circostanza può essere intracapillare, quando riguarda le cellule
mesangiali o endoteliali, o extracapillare, quando riguarda le cellule dello spazio di Bowman con formazione
di semilune(strutture ostruenti) che possono peggiorare la situazione in settimane o mesi causando
GLOMERULONEFRITE RAPIDAMENTE PROGRESSIVA. Il termine membranosa indica un ispessimento della
MBG per deposito immuni, il termine sclerosi, invece, un aumento del materiale extracellulare non
fibrillare.

La maggior parte delle glomerulopatie viene ancora classificata in base alle caratteristiche morfologiche.
Nella malattia a lesioni minime si presente tipicamente una proteinuria nefrosica>3g/die con presenza nel
sedimento urinario di globuli rossi, leucociti o cilindri cellulari. Conseguenze di ciò sono ipoalbuminemia,
edema, iperlipidemia e lipiduria.

I fattori più importanti che determinano la gravità del danno glomerulare sono:

-NATURA DELLA LESIONE PRIMITIVA: la maggior incidenza si ha per alterazioni del sistema immunitario,
diabete mellito e ipertensione,

-SEDE DELLA LESIONE,

-VELOCITA’ DI SVILUPPO, GRADO ED ESTENSIONE DELLA LESIONE.

La perdita di nefroni funzionanti è compensata inizialmente da iperfiltrazione( quindi ipertensione e


proteinuria) che negli anni a seguire determina glomerulosclerosi. L’ipertensione prolungata è in grado di
stimolare l’accumulo di matrice extracellulare attraverso l’alterazione delle funzioni delle cellule epiteliali
viscerali e delle cellule mesangiali, in partecipazione con il TGFβ, angiotensina 2 ed endoteline. Terapia con
ACE-inibitori rallenta lo sviluppo di IR.

GLOMERULONEFRITE A LESIONE MINIMA (MCD)


E’ chiamata così perché il volume e la struttura glomerulare risultano essere normali alla microscopia ottica,
la microscopia elettronica, invece, evidenza distruzione diffusa dei pedicelli delle cellule epiteliali viscerali, il
ché indica la presenza di lesione dei podociti con perdita di cariche negative della barriera di filtrazione.

E’ responsabile di circa l’80% dei casi di SINDROME NEFROSICA nei giovani di età inferiore a 16 anni e del
20% negli adulti. Questa si manifesta con proteinuria>3,5 g/1,73m²/24ore, causa delle successive:

-IPOALBUMINEMIA: per catabolismo renale e inappropriata sintesi epatica,

-EDEMA: si crede per diminuzione della pressione oncotica,

- IPERLIPIDEMIA E LIPIDURIA: per aumento della sintesi di lipoproteine innescata da riduzione della
pressione oncotica e aggravata dalla perdita di proteine regolatrici dell’omeostasi dei lipidi,

-IPERCOAGUABILITA’ E DIATESI TROMBOTICA: per cause multifattoriali tra cui aumentata perdita di
antitrombina 3, alterati livelli di proteina C ed S…ciò predispone alla formazione di trombosi arteriose,
venose periferiche, della vena renale ed embolia polmonare,

-ALTRE COMPLICANZE: ANEMIA ipocromica microcitica per la perdita di transferrina, IPOCALCEMIA con
iperparatiroidismo secondario, ridotti livelli di TIROXINA per perdita delle sue globuline leganti,
predisposizione alle INFEZIONI per perdita di IgG ed alterazione della CINETICA FARMACOLOGICA.

Il tutto può portare a diminuzione del GFR nel 10-30% dei casi.

L’eziologia più comune è di natura idiopatica, ma può essere anche associata a nefrite interstiziale da
farmaci(FANS), infezioni da HIV, eroina, Hodgkin e altri linfomi. In realtà spesso c’è una sorta di
predisposizione genetica perché se si analizza l’aplotipo nella maggior parte dei casi è di tipo HLA-B 12.
La biopsia renale uno strumento importante nell’adulto con sindrome nefrosica per stabilire la diagnosi
definitiva.

TERAPIA
La MCD è steroido-sensibile e ha prognosi molto favorevole sia per il paziente che per il rene.

Vengono somministrati glucocorticoidi per via orale: nei bambini 60mg/m²/die per le prime 4 settimane,
seguiti da 40mg/m²/die per le successive 4 settimane, negli adulti 1-1,5mg/kg/die le prime 4 settimane
seguiti da 1mg/kg/die le successive 4.

Recidive sono presenti in oltre il 50% dei casi dopo sospensione della terapia steroidea, se ciò avviene per
più di tre volte l’anno vengono somministrati farmaci alchilanti(ciclofosfamide o clorambucil) per 8-12
settimane. Questi hanno vari effetti indesiderati tra cui infertilità, infezioni e neoplasie secondarie. In
alternativa si può utilizzare ciclosporina che è meno tossica.

Glomerulonefrite poststreptococcica

La glomerulonefrite poststreptococcica rappresenta una patologia acuta che insorge a seguito di un’infezione
da streptococchi. È una malattia immunomediata che coinvolge antigeni streptococcici, immunocomplessi
circolanti e l’attivazione del complemento insieme al danno cellulomediato.

La sua incidenza nei Paesi Occidentali è diminuita e attualmente in queste aree la malattia è quasi sempre
sporadica. Nei Paesi sottosviluppati colpisce di solito i bambini di età compresa tra i 2 e i 14 anni, mentre nei
Paesi sviluppati è più comune negli anziani, soprattutto in condizioni debilitanti. Il sesso maschile è il più
colpito.

Patogenesi

Normalmente, la malattia glomerulare è preceduta da infezioni della cute e della faringe da parte di uno
Streptococco di tipo M, appartenente al ceppo Nefritogeno. I tipi M 47, 49, 55, 2, 60 sono stati osservati in
seguito a impetigine e, in questo caso, la glomerulonefrite si sviluppa dopo 2-6 settimane dall’infezione
cutanea; i tipi M 1, 2, 3, 4, 25, 49, 12 si associano a faringite, con sviluppo della GN 1-3 settimane dopo
l’infezione.

La biopsia renale nella GNPS mostra:

 Ipercellularità delle cellule endoteliali e mesangiali;


 Infiltrati glomerulari di leucociti polimorfo nucleati;
 Immunodepositi granulari subendoteliali di IgG, IgM, C3, C4, C5;
 Depositi antigenici subepiteliali (che appaiono come “gobbe”).
Sono stati identificati due particolari antigeni determinanti per la patogenesi della malattia:

1. Esotossina pirogena Poststreptococcica B (SPEB);


2. Recettore della plasmina associato a nefrite (NAPlR);
Questi due antigeni hanno affinità biochimica per la plasmina, vi si legano e attivano la via alternativa del
complemento.
L’antigene nefritogeno SPEB è stato identificato su biopsia all’interno dei depositi elettrondensi subepiteliali
(“humps” o “gobbe”)

Clinica

Il paziente si presenta classicamente con un quadro nefritico acuto con:

- Ematuria;
- Cilindruria;
- Edema;
- Ipertensione;
- Insufficienza renale oligurica.
In circa il 50% dei casi vengono riferiti sintomi sistemici come: cefalea, malessere, anoressia e dolore ai fianchi
(dovuto al rigonfiamento della capsula renale).

Edema

L’edema è presente nell’80% dei casi ed è dovuto alla compromissione del flusso plasmatico glomerulare a
causa dell’ipercellularità presente che riduce sempre di più la clearance a livello dei capillari glomerulari.
Questa riduzione del flusso si traduce in una minore filtrazione ed escrezione del sodio con conseguente
concentrazione delle urine. La ritenzione di sodio e acqua darà luogo all’edema.

Ipertensione

Si manifesta nel 60-80% dei casi ed è più comune dei soggetti anziani. Normalmente, l’ipertensione è
transitoria, poiché si cerca subito di normalizzare il flusso plasmatico glomerulare, con conseguente riduzione
dell’edema e della volemia. Se l’ipertensione persiste è possibile che la malattia si avvii verso la cronicità.

Oliguria

L’oliguria è presente è presente nel 10-40% dei casi. Nel 15% dei casi la quantità di urina prodotta non supera
i 200 ml/die. Solitamente è transitoria, ma indica un peggioramento del quadro clinico.

Diagnosi

La presenza di colture positive per infezione streptococcica è incostante (10-70%) mentre l’aumento di
anticorpi antistreptolisina-O (30%) , anti-DNAsi (70%) o anti ialuronidasi possono aiutare a confermare la
diagnosi. Di conseguenza, la glomerulo nefrite streptococcica raramente necessita di una biopsia renale per
la diagnosi.

Il trattamento è di supporto, con: controllo di ipertensione ed edema e, nei casi in cui necessario, dialisi. È
fondamentale che il paziente sia trattato con antibiotici, così come i soggetti che sono venuti a contatto con
esso.

La morte prematura è rara nel bambino. In generale la prognosi è buona e l’insufficienza renale permanente
avviene in meno dell’1% dei casi. Nella maggioranza dei bambini la risoluzione completa dell’ematuria e della
proteinuria si verifica entro 3-6 settimane dall’esordio della nefrite, ma nel 3-10% dei casi può persistere
microematuria, proteinuria non nefrosica o ipertensione. Negli anziani la prognosi è peggiore, con elevata
incidenza di azotemia (fino a 60%). Proteinuria in range nefrosico e malattia renale terminale.
NEFROPATIA DIABETICA
Fa parte delle lesioni glomerulari non immunologiche, infatti è di natura metabolica.

Complica circa il 30% dei pazienti con diabete mellito di tipo 1 ed il 20% di quelli con tipo 2 ed è
caratterizzata da proteinuria ed insufficienza renale progressiva. E’ la prima causa di uremia terminale. Le
caratteristiche, che si tratti di diabete di tipo 1 o 2, sono simili.

A distanza di circa 5 anni dalla diagnosi di diabete il primo sintomo a manifestarsi sarà la
MICROALBUMINURIA, segno di danno a livello della barriera glomerulare e preannuncio dello sviluppo di
nefropatia conclamata. Successivamente si svilupperanno proteinuria rilevabile associata ad ipertensione e
progressiva perdita della funzionalità renale associata ad iperkaliemia e acidosi metabolica, che portano al
rene terminale nel giro di qualche anno.

Istologicamente è possibile analizzare, nelle prime fasi, un ispessimento della membrana ed ampiamento
del mesangio per aumento della matrice extracellulare. Successivamente l’accumulo di matrice
extracellulare diventa diffuso e si manifesta alla biopsia come glomerulosclerosi eosinofila. La
vascolarizzazione renale mostra tipicamente segni di aterosclerosi, conseguenza dell’iperlipidemia, e
arteriosclerosi ipertensiva.

La diagnosi viene fatta in base ai dati clinici, senza biopsia renale: reni di dimensioni normali o leggermente
aumentate(differenziano la suddetta patologia dall’IRC), segni di retinopatia diabetica e sedimento urinario
insignificante orientano verso una nefropatia diabetica.

I fattori implicati nell’iniziazione sono molti, tra i principali possiamo ricordare l’ipertensione, l’angiotensina
2, TGFβ,prodotti del metabolismo glucidico e fattori emodinamici. Pressione idrostatica glomerulare e GFR
tendono ad aumentare nel giro di mesi dopo lo sviluppo dell’iperglicemia, anche se ancora non si sa bene
quali siano i meccanismi coinvolti si pensa che il responsabile sia il peptide natriuretico atriale: la glicosuria
induce aumentato riassorbimento di sodio e glucosio a livello del tubulo prossimale che determina
aumentati livelli nel siero. La risposta fisiologica sarà la produzione dell’ormone a livello cardiaco che
provoca natriuresi con vasodilatazione dell’arteriola afferente e aumento della pressione intraglomerulare
e del GFR. Questo comporta l’ispessimento della membrana basale, incremento della produzione di matrice
mesangiale e glomerulosclerosi.

La TERAPIA ha come obiettivo il rallentamento della progressione della nefropatia attraverso:

-CONTROLLO GLICEMICO: tramite la dieta e la somministrazione di ipoglicemizzanti orali ed insulina,

-CONTROLLO DELLA PRESSIONE ARTERIOSA SISTEMICA E DELLA PRESSIONE CAPILLARE GLOMERULARE:


tramite gli ACE-inibitori che riducono sia l’una che l’altra nell’ambito di entrambi i diabeti. Gli ACE-inibitori
dovrebbero essere somministrati anche prima della nefropatia conclamata, cioè quando l’unico campanello
di allarme è la microalbuminuria. I pazienti diabetici hanno la mortalità più alta di tutti i soggetti in dialisi a
causa dell’aterosclerosi accelerata, pertanto la terapia migliore resta comunque il trapianto.

Glomerulopatia di Berger
(Malattia di Berger o Nefropatia da IgA)
Patologia caratterizzata da ematuria di natura episodica associata a deposizione di IgA nel mesangio.

È sporadica, con rare forme familiari e insorgenza tra la IIª e la IIIª decade di vita, con un’incidenza maggiore
nei soggetti maschili e una preponderanza per le popolazioni dell’Asia, del Pacifico e dell’Europa meridionale.
A livello laboratoristico presenta delle forti analogie con la porpora di Henoch-Schönlein, che però si distingue
per:

- Insorgenza precoce (solitamente prima


dei 20 anni);
- Sintomi prevalentemente sistemici;
- È preceduta da infezioni;
- Presenza di dolore addominale.
Inoltre, depositi di IgA nel mesangio glomerulare si
osservano anche in altre patologie sistemiche
(Morbo di Crohn, adenocarcinoma
gastrointestinale, bronchiectasia cronica
ostruttiva, polmonite idiopatica interstiziale,
dermatite erpetiforme e mucosi fungoide e la
sindrome di Sjögren) a cui però non sono associate
disfunzione renale o infiammazione glomerulare
significativa.

La nefropatia da IgA è una glomerulonefrite


mediata da immunocomplessi, definita dalla
Sindrome di Henoch - Schönlein
presenza di immunodepositi mesangiali diffusi di
IgA, associati a ipercellularità mesangiale. Insieme alle IgA potremmo rintracciare anche depositi di IgG, IgM
e catene leggere delle Ig.

Questo deposito sembrerebbe essere attribuito a:

 Anomala produzione di IgA da


parte delle plasmacellule;
 Difetti nell’eliminazione delle
IgA, con riduzione della loro
clearance;
 O-glicosilazione della regione
cerniera delle IgA (ipotesi più
accreditata fino ad ora).
In laboratorio, i reperti più frequenti
sono:

 proteinuria: di entità variabile in


rapporto alla gravità del danno
renale;
 macro/microematuria;
 cilindri ematici nel sedimento
urinario;
 elevati livelli sierici di IgA (presenti
nel 30-50% dei pazienti);
 aumento
degli immunocomplessi circolanti, soprattutto nella fase acuta della malattia.
Tuttavia, per porre una corretta diagnosi è necessaria una biopsia renale alla quale segue un’indagine del
tessuto prelevato con immunofluorescenza, che mostra un deposito granulare di IgA e C3 nel mesangio
aumentato, con foci di lesioni segmentali proliferative o necrotizzanti.

Esistono due presentazioni più comuni della malattia:


1. Episodi ricorrenti di macroematuria, durante o immediatamente dopo un’infezione delle vie
respiratorie superiori, spesso accompagnata da proteinuria;
2. Microematuria asintomatica persistente.
La nefropatia da IgA è una patologia benigna nella maggior parte dei pazienti e il 5-30% di essi va incontro a
completa remissione, mentre altri presentano ematuria ma una funzione renale ben conservata. Nella
minoranza dei soggetti con malattia progressiva, l’evoluzione è lenta e solo il 25 – 30% dei pazienti di età
superiore a 20-25 anni va incontro a insufficienza renale. Quando la nefropatia da IgA viene diagnosticata
nei bambini, la prognosi è di solito buona. Qualora l'ematuria persista, allora invariabilmente si sviluppano
ipertensione, proteinuria e insufficienza renale. Esordio della malattia in età avanzata, ipertensione,
proteinuria grave persistente, assenza di ematuria macroscopica ricorrente, elevati livelli sierici di
creatininemia, sclerosi glomerulare avanzata e malattia tubulo-interstiziale sono tutti elementi prognostici
sfavorevoli.
La terapia con ACE-inibitori per l'ipertensione viene iniziata precocemente e può essere di beneficio anche a
pazienti normotesi con proteinuria > 1 g/die. Se il deterioramento della funzione renale continua, si può
intervenire con olio di pesce, tonsillectomia e steroidi. I corticosteroidi sono riservati solo a pazienti con
malattia a lesioni minime documentata dalla biopsia. Si richiedono dosi iniziali molto elevate (per 2-3 mesi
negli adulti, per 1 mese nei bambini) e quindi si scala, ma soltanto la terapia a lungo termine (2 anni) è utile,
e i benefici devono essere soppesati con la tossicità. Quando la malattia si presenta come GNRP
(glomerulonefrite rapidamente progressiva), viene trattata con corticosteroidi, agenti citotossici e
plasmaferesi; questo trattamento provoca una riduzione della creatininemia e della proteinuria, ma non delle
lesioni istologiche, e nella metà dei pazienti la malattia progredisce dopo l'interruzione della terapia.

RENE POLICISTICO
(Sulle domande del 2012 c’era scritto che non lo chiede da un po’, ma che conviene farlo lo stesso).

Fa parte delle malattie ereditarie e può essere trasmesso attraverso carattere dominante o recessivo.

MALATTIA POLICISTICA AUTOSOMICA DOMINANTE


E’ la ADPKD (autosomal dominant polycystic kidney disease), può essere causata da mutazioni spontanee
nel 10% dei casi.

Geneticamente possiamo riconoscere tre forme: la FORMA 1 è dovuta a una mutazione sul braccio corto
del cromosoma 16, la FORMA 2 ad una sul braccio corto del 14. Questi geni codificano per il complesso
proteico della POLICISTEINA, regolatrice di interazione cellula/cellula o cellula/matrice. La FORMA 3 è stata
documentata, ma non se ne conosce il gene responsabile.
L’aspetto dei reni è ingrandito e con cisti sferiche multiple presenti sia a livello corticale che midollare.
Queste contengono un liquido paglierino che può diventare emorragico e possono variare di grandezza da
pochi mm ad alcuni cm. Solo una parte dei nefroni svilupperà cisti, ma il numero può aumentare a causa di
eventi scatenanti che determinano mutazione somatica con successiva proliferazione dell’epitelio tubulare.
Il restante epitelio sarà atrofico e presenterà fibrosi interstiziale e nefrosclerosi.

La malattia si manifesta oltre i 20 anni portando ad IRC.

SINTOMATOLOGIA:

-DOLORE CRONICO AL FIANCO: legato all’effetto compressivo del rene ingrandito,

-DOLORE ACUTO: può essere indice di ostruzione del tratto urinario, emorragia della cisti o INFEZIONE, la
quale può essere una pielonefrite, riguardando vescica o interstizio renale, o una piocisti, riguardando la
cisti,

-MACRO-/MICROEMATURIA,INCAPACITA’ DI CONCENTRARE LE URINE E NICTURIA,

-NEFROLITIASI: può presentarsi con calcoli costituiti da ossalato di calcio e acido urico,

-IPERTENSIONE ARTERIOSA: secondaria all’attivazione del sistema renina-angiotensina.

L’EMATOCRITO è alto in confronto ai soliti pazienti con IRC e la produzione di EPO è alta.

Ci sono anche manifestazioni extrarenali a vari livelli: cisti epatiche (il fegato resta funzionante), spleniche,
pancreatiche e dell’ovaio, aneurismi cerebrali, diverticolosi del colon(principale anomalie con maggiore
predisposizione alle perforazioni), prolasso della mitrale ed insufficienza aortica o tricuspidalica.

Il declino della funzionalità renale è frequente, ma varia notevolmente anche nell’ambito di una stessa
famiglia. Fattori maggiormente predisponenti sono ipertensione, infezioni, sesso maschile e diagnosi in
giovane età.

La DIAGNOSI viene effettuata tramite ecografia, utilizzata sia per pazienti sintomatici che per esami di
screening: per la conferma di patologia è necessario che ciascun rene presenti dalle 3 alle 5 cisti. La TC è più
sensibile e riesce a scovare cisti più piccole. Per la prima forma di ADPKD è possibile effettuare l’analisi
genetica nel caso in cui l’immagine radiografica sia negativa.

La TERAPIA tratta principalmente:

-IPERTENSIONE ARTERIOSA: tramite ACE-inibitori,

-INFEZIONI: in maniera convenzionale se non è presente una piocisti, diversamente si utilizzano antibiotici
che penetrano nella cisti come il trimetoprim o il cloramfenicolo.

MALATTIA POLICISTICA AUTOSOMICA RECESSIVA


La ARPKD(autosomal recessive polycystic kidney disease) è una rara malattia genetica dovuta ad una
mutazione sul cromosoma 6.
Alla nascita i reni aumentano di volume e hanno un ridotto spessore corticomidollare. Le cisti si
manifestano nel tubulo distale e nei collettori, con l’aumentare dell’età possono divenire sferiche ed essere
confuse con quelle da ADPKD, ma l’IRC, di solito, si manifesta prima dei 20 anni.

SINTOMATOLOGIA:
-MASSE ADDOMINALI BILATERALI: già dal primo anno di vita che aiutano nella diagnosi,

-IPOPLASIA POLMONARE: di solito responsabile di morte perinatale,

-IPERTENSIONE ARTERIOSA,

-INCAPACITA’ DI CONCENTRARE LE URINE.

L’evoluzione verso l’uremia terminale è variabile, anche se nel giro di alcuni anni si verifica in ogni caso.

Tra le complicanze secondarie bisogna ricordare:

-FIBROSI EPATICA CONGENITA, caratterizzata da proliferazione e dilatazione dei duttuli intraepatici con
fibrosi periportale,

-EPATOSPLENOMEGALIA,

-VARICI ESOFAGEE,

-IPERTENSIONE PORTALE.

La DIAGNOSI prenatale e infantile viene fatta tramite ecografia, rilevante reni aumentati di volume ed
ipoecogeni, e anamnesi familiare.

La TERAPIA è uguale a quella della forma dominante con l’aggiunta di dialisi e trapianto ad un’età
considerevolmente minore. La fibrosi epatica può causare rottura di varici esofagee che mettono in
pericolo la vita del paziente.

Infezioni delle vie urinarie (UTI)


Le infezioni delle vie urinarie sono patologie comuni e dolorose che rispondono rapidamente alla terapia
antibiotica.

Le UTI possono essere asintomatiche (infezione subclinica) o sintomatiche; entrambe le forme denotano la
presenza di batteri nelle vie urinarie, di solito accompagnata da leucociti e citochine infiammatorie nelle
urine. La batteriuria asintomatica non richiede trattamento, mentre la UTI necessita di terapia
antimicrobica.

Epidemiologia
Le UTI sono molto comuni nel sesso femminile. Durante il periodo neonatale, la loro incidenza è però
superiore nei maschi, poiché questi sono più spesso affetti da anomalie congenite delle vie urinarie. Dopo i
50 anni negli uomini è più comune l’ostruzione da ipertrofia della prostata, quindi a quest’età l’incidenza
tra uomo e donna è simile. Nell’età compresa tra 1-50 anni, le UTI sono prevalentemente femminili. Il 50-
80% delle donne contrae almeno una UTI nel corso della vita, nella maggior parte dei casi una cistite non
complicata. I fattori di rischio per una cistite acuta sono rappresentati da:
 Anamnesi positiva per UTI
 Uso recente di diaframma vaginale spermicida
 Rapporti sessuali frequenti (è più facile che le forme acute di cistite si manifestino entro 48 ore da
un rapporto)
Molti fattori che si associano a cistite predispongono anche a pielonefrite. I fattori associati a pielonefriti in
donne giovani sono:

 Rapporti sessuali frequenti


 Nuovo partner
 UTI nel 12 mesi precedenti
 Anamnesi materna positiva per UTI
 Diabete
 Incontinenza
Il 20-30% delle donne che hanno presentato UTI andranno incontro ad episodi ricorrenti. I fattori che
predispongono episodi ricorrenti sono dati da rapporti sessuali frequenti e utilizzo di spermicidi mentre
nelle donne postmenopausa fattori riattivanti possono essere anche cistocele, incontinenza e presenza di
urina residua.

Nelle donne in gravidanza, la batteriuria ha conseguenze cliniche per cui sono indispensabili screening e
trattamento.

La maggior parte degli uomini affetti da UTI presenta un’anomalia funzionale o anatomica delle vie urinarie,
di solito un’ostruzione secondaria a ipertrofia prostatica. Tuttavia, non tutti gli uomini con uti hanno
anomalie individuabili e ciò diventa importante nei soggetti con meno di 45 anni. Anche la mancata
circoncisione si associa ad un aumentato rischio di UTI, poiché la colonizzazione da parte di E.Coli è
maggiormente favorita a livello di glande e prepuzio ed è facile che migri verso le vie urinarie.

Le donne con diabete hanno una maggiore probabilità di incorrere in batteriuria asintomatica e in UTI. Ciò è
dovuto ad una minore funzionalità vescicale, ostruzione al flusso delle urine e minzione incompleta, che si
possono manifestare maggiormente nella condizione diabetica.

Eziologia
I patogeni che causano questo tipo di infezione sono diversi, ma sono in genere bacilli gram negativi
enterici, migrati nelle vie urinarie. In USA ed Europa, gli agenti più isolati sono:

 E.Coli – 75-90% casi


 Klebsiella, Proteus, Enterococco 5-10% casi.
L’identificazione viene effettuata solo quando si richiede urinocoltura, cioè quando c’è sospetto di
UTI/pielonefrite.

Patogenesi
Nella maggior parte di queste infezioni, i batteri infettano le vie urinarie risalendo dall’uretra alla vescica
per poi ascendere dall’uretere fino al rene. Tuttavia, l’ingresso dei patogeni nella vescica non preclude
necessariamente un’infezione prolungata e sintomatica. I batteri possono accedere alle vie urinarie anche
attraverso il sangue; la diffusione ematogena rappresenta appena il 2% delle UTI e generalmente fa seguito
a batteriemia causata da Salmonella e S.aureus. Le infezioni ematogene possono provocare ascessi focali o
aree di pielonefrite e si evidenziano con urino colture positive.

Fattori ambientali

 Ecologia vaginale: è un importante fattore che influisce molto sul rischio di UTI. La colonizzazione
del vestibolo della vagina e dell’area periuretrale da parte di batteri appartenenti alla flora
intestinale (E.Coli) rappresenta il primo passaggio per l’insorgenza di una UTI. I rapporti sessuali
aumentano questo rischio di colonizzazione.
 Anomalie anatomiche e funzionali: situazioni che permettono la stasi delle urine oppure l’ostacolo
al deflusso predispongono a UTI. I corpi estranei come calcoli o cateteri favoriscono la
proliferazione batterica. Le UTI sono favorite anche da: ostruzione uretrale secondaria a ipertrofia
prostatica, reflusso vescico-ureterale e vescica neurologica. Spesso in queste condizioni il ceppo
infettante è E.Coli. nelle donne in gravidanza molto spesso l’insorgenza della pielonefrite può
essere dovuta a inibizione della peristalsi e ridotto tono degli ureteri, che provocano un reflusso
vescico-ureterale. Anche fattori anatomici, come la distanza dell’uretra dall’ano, spiegano perché le
giovani donne siano interessate da UTI più degli uomini.
Fattori riguardanti l’ospite

 Familiarità allo sviluppo di pielonefriti e UTI;


 È più probabile che donne con UTI ricorrente abbiano contratto la prima infezione quando avevano
meno di 15 anni e che abbiano una storia materna di UTI;
 le donne maggiormente suscettibili potrebbero avere a livello delle cellule della mucosa vescicale
maggiori recettori ai quali E.Coli possa legarsi, e quindi la colonizzazione e l’invasione sono
maggiormente favorite;
 polimorfismi per il gene che codifica per IL-8 sono correlati ad una maggiore suscettibilità a
pielonefriti;

Fattori riguardanti il patogeno

I ceppi di E.Coli provocano infezioni sintomatiche invasive delle vie urinarie utilizzando anche fattori di
virulenza, quali l’espressione di adesine, che mediano il legame tra il patogeno e il recettore presente sulla
cellula uro epiteliale. Le adesine di riferimento sono le fimbrie P, strutture che interagiscono con un
recettore presente soprattutto a livello renale, che molto spesso determina l’insorgenza di pielonefriti.
Un’altra adesina è il pilo, sempre espresso da E.Coli, il quale media l’adesione vescicale attraverso delle
particolari molecole di adesione presenti a livello dell’epitelio di transizione, definite uroplachine. Questo
legame porta ad una serie di fenomeni apoptotici e alla formazione di detriti cellulari che vengono
trasportati nelle urine insieme ai microrganismi.

Clinica
Il principale problema da affrontare quando si sospetta un’UTI è riconoscere che sia batteriuria
asintomatica, cistite non complicata, pielonefrite, prostatite o UTI complicata.

Batteriuria asintomatica

La diagnosi di questa forma può essere presa in considerazione solo quando il paziente NON presenta
sintomi locali o sistemici riferibili alle vie urinarie. Si tratta, di solito, di una persona che si sottopone a
urinocoltura per altri motivi e ha riscontro accidentale di batteriuria. La presenza di segni e sintomi quali
febbre, alterazioni mentali, leucocitosi con urinocoltura positiva non fa sorgere il sospetto diagnostico per
UTI sintomatica.

Cistite

I sintomi tipici della cistite sono

 Disuria;
 Pollachiuria;
 Urgenza minzionale;
spesso si osservano anche nicturia, esitazione minzionale, malessere sovrapubico e microematuria. Un
dolore unilaterale del dorso o del fianco indica che sono interessate le vie urinarie superiori. La febbre è
indice di invasione verso il rene.

Pielonefrite

La forma lieve si manifesta con

 Febbricola, con o senza dolore lombosacrale o all’angolo costo vertebrale;


le forme gravi si manifestano con

 Febbre alta
 Rigidità
 Nausea
 Vomito
 Dolore al fianco o nell’area renale.
Di solito, la pielonefrite acuta si sviluppa rapidamente e possono non essere presenti sintomi di cistite. La
febbre è la principale caratteristica che differenzia la pielonefrite dalla cistite.

Nella pielonefrite, la febbre ha un pattern “a palizzata” e si risolve entro 72 ore dall’inizio della terapia. Nel
20-30% dei casi si sviluppa batteriemia.

I soggetti diabetici potrebbero presentare uropatia ostruttiva e necrosi papillare acuta, quando le papille
sfaldate ostruiscono l’uretere. Nel raro caso di necrosi papillare bilaterale, un forte incremento della
creatininemia può costituire un primo segno clinico della malattia.

La pielonefrite enfisematosa è una forma piuttosto grave, con produzione di gas nel rene e si osserva quasi
esclusivamente nei diabetici;

la pielonefrite xantogranulomatosa si osserva quando un’ostruzione urinaria cronica (dovuta a calcoli detti
“a stampo” o “a cervo”) induce distruzione suppurativa del tessuto renale. Il tessuto renale appare
giallastro poiché infiltrato da macrofagi ricchi di lipidi. La pielonefrite può anche essere complicata dalla
formazione di ascessi intraparenchimali; questa ipotesi deve essere presa in considerazione nel momento
in cui il paziente presenta febbre e/o batteriemia prolungata nonostante la terapia antibiotica.

Prostatite

Descrive anomalie della prostata sia di tipo infettivo, sia non infettivo. Le infezioni possono essere acute o
croniche, sono quasi sempre batteriche e sono meno frequenti delle anomalie non infettive che definiscono
il quadro di sindrome dolorosa pelvica cronica (prostatite cronica). La prostatite batterica acuta si manifesta
con:

 Disuria;
 Pollachiuria;
 Dolore nell’area prostatica, pelvica e perineale
 Spesso presenti febbre e brividi.
La prostatite batterica cronica si manifesta in maniera più insidiosa con episodi ricorrenti di cistite, a volte
associata a dolore pelvico. Gli uomini con cistiti ricorrenti vanno valutati per escludere la presenza di un
focolaio prostatico.

Infezioni delle vie urinarie complicate

Si presentano come episodi sintomatici di cistite o pielonefrite in donne e uomini che presentano una
predisposizione anatomica per questo tipo di infezione, con corpo estraneo nelle vie urinarie o fattori che
predispongono a un ritardo nella risposta alla terapia.
Diagnosi
Anamnesi

È essenziale raccogliere un’attenta anamnesi. È stato dimostrato infatti, che in donne che presentavano
anche UN SOLO sintomo di UTI (disuria, pollachiuria, ematuria, dolore dorsale) la probabilità di cistite o
pielonefrite acuta è del 50%. La presenza di disuria e pollachiuria in assenza di perdite vaginali aumenta la
probabilità di UTI fino al 96%, soprattutto in donne con UTI ricorrente. È necessario prestare particolare
attenzioni a donne con meno di 25 anni che possiedono più di un partner sessuale e non usano
abitualmente il preservativo, poiché molto spesso i sintomi che lamentano non sono associati ad UTI, bensì
a una malattia sessualmente trasmissibile come la Chlamydia trachomatis.

Test con dipstick, esame delle urine e urinocoltura

I test con disptick ci permette di analizzare la quantità di nitriti presenti nell’urina (prodotti da molti
Enterobacteriaceae) e di individuare l’esterasi leucocitaria (presente nei PMN, sia lisati che intatti).
Solitamente la positività per questi due segni può essere interpretata come orientamento diagnostico verso
una UTI, così come la presenza di sangue nelle urine. Un test negativo per i precedenti parametri deve far
prendere in considerazione altre ipotesi, eseguendo quindi un’urinocoltura. Infatti, il test con dipstick non è
abbastanza sensibile per escludere batteriuria.

L’esame microscopico delle urine evidenza piuria in quasi tutti i casi di cistite ed ematuria nel 30% dei casi.
L’individuazione dei batteri in urinocoltura è il gold standard per la diagnosi di UTI.

Diagnosi
Cistite non complicata nelle donne

Questa forma potrebbe essere diagnosticata anche da una semplice ed attenta anamnesi. Quando però i
sintomi non sono specifici o l’anamnesi poco affidabile, va eseguito un esame delle urine mediante dipstick.

Il risultato positivo per nitriti e esterasi leucocitaria in una donna che presenta anche solo un sintomo di UTI
aumenta la probabilità di diagnosi fino all’80% e si può procedere al trattamento senza ulteriori esami.

Se il risultato dovesse essere negativo, occorre ricordarsi della ridotta sensibilità del dipstick ed è quindi
consigliabile effettuare un’urino coltura e un attento follow-up.

Cistite nell’uomo

I segni e sintomi sono simili a quelli della donna, ma la malattia presenta diverse differenze tra i sessi.
Quando un uomo presenta sintomi di UTI è necessario effettuare un’urinocoltura per capire se si tratti di
una infezione o di una sindrome dolorosa pelvica cronica, che non è associata a batteriuria. Se la diagnosi è
incerta, occorre effettuare il test di Meares- Stamey, in cui vengono raccolte le urine dopo massaggio
prostatico, per differenziare tra sindromi prostatiche batteriche e non batteriche. Gli uomini con UTI
febbrili presentano spesso un alto valore di PSA, come pure un ipertrofia della prostata e delle vescichette
seminali all’ecografia, indicativi di interessamento della prostata.

Batteriuria asintomatica

Il soggetto presenta batteriuria ma non si riscontrano segni e sintomi specifici.

Trattamento
Per tutte le forme di UTI sintomatica è necessaria la terapia antibiotica. Ciascuna categoria di UTI ha però
un approccio differente.

Cistite non complicata nelle donne


Antibiotici. Questi possono costituire il cosiddetto “danno collaterale”, ovvero il danneggiamento della flora
microbica normale e la selezione di microrganismi farmaco-resistenti. (es:infezioni nosocomiali da
Clostridium difficile). È quindi importante individuare farmaci che non abbiano effetti dannosi sulla flora
normale e che riducano il danno collaterale. Tra questi abbiamo: pivmecillinam, fosfomicina (Monuril),
nitrofurantoina (Furedan). Al contrario, trimetopim, chinoloni e ampicillina influiscono in maniera negativa
sulla flora microbica fecale.

Nella cistite acuta non complicata i farmaci di prima scelta sono appunto: nitrofurantoina e TMP-SMX, mentre
quelli di seconda scelta sono fluorochinoloni e beta lattamici. Benché la nitrofurantoina abbia un regime
terapeutico di sette giorni, anche un ciclo di cinque giorni presenta efficacia microbica. A volte viene utilizzato
per tre giorni, affiancato dal TMP-SMX in caso di cistite acuta.

Anche i fluorochinoloni sono efficaci, soprattutto per brevi cicli di terapia; un’eccezione è rappresentata dalla
moxifloxacina, che non raggiunge livelli adeguati nelle urine. I flurochinoloni comunemente usati nelle UTI
sono: ofloxacina, ciprofloxacina e levofloxacina. il problema principale di questa classe di antibiotici è la
propagazione della resistenza, non solo fra gli uropatogeni, ma anche fra gli altri microrganismi che causano
infezioni in altre sedi. In alcune situazione è indicato l’uso di analgesici urinari (fenazopiridina, che però causa
nausea intensa).

Pielonefriti

Nei pazienti affetti da pielonefrite la terapia di prima scelta è rappresentata dai fluorochinoloni, almeno per
la forma acuta non complicata. La scelta della via orale o parenterale dipende dalla tolleranza del paziente
nei confronti della terapia orale. Solitamente, soprattutto per il trattamento iniziale, si somministra
Ciprofloxacina per os (500 mg 2 volte/die). Le soluzioni per via parenterale per la pielonefrite non complicata
comprendono:

- fluorochinoloni;
- un amino glicoside con o senza ampicillina;
- cefalosporina ad ampio spettro con o senza aminoglicoside.
UTI in gravidanza

Nitrofurantoina, ampicillina e cefalosporine sono considerati sicuri nelle prime fasi della gravidanza. I
solfamidici devono ovviamente essere evitati sia nel primo trimestre, per possibili effetti teratogeni, sia in
prossimità del termine, per un possibile ruolo nell’insorgenza di kernittero (un ittero neonatale patologico
con deposito di bilirubina libera nel tessuto cerebrale).

I fluorochinoloni non sono usati in gravidanza per possibili effetti tossici sullo sviluppo delle cartilagini fetali.
Ampicillina e cefalosporine sono farmaci di scelta per il trattamento delle UTI sintomatiche o asintomatiche
in corso di gravidanza. Nel caso di pielonefrite conclamata, la terapia standard consiste nella
somministrazione parenterale di beta lattamici con o senza amino glicosidi.

UTI negli uomini

Nei casi di UTI febbrile con interessamento della prostata è necessario eradicare l’infezione sia da questo
organo, che dalla vescica. Negli uomini con UTI apparentemente non complicata è raccomandato un ciclo di
7-14 giorni con fluorochinoloni. Se si sospetta una prostatite batterica la terapia antibiotica viene prescritta
a seguito di prelievo di sangue e urine per gli esami colturali. In caso di prostatite batterica cronica è
necessario un ciclo di antibiotici della durata di 4-6 settimane. Le recidive richiedono spesso un ciclo di
trattamenti di 12 settimane.

UTI complicata

La terapia della UTI complicata deve essere personalizzata e guidata dai risultati dell’urinocoltura. La
pielonefrite xantogranulomatosa viene curata con la nefrectomia. Può essere inizialmente effettuato un
drenaggio percutaneo in caso di pielonefrite enfisematosa, seguito da nefrectomia elettiva. La necrosi
papillare con ostruzione richiede un intervento per risolvere l’ostacolo e preservare la funzione renale.

UTI catetere associata (CAUTI)

La CAUTI è definita come la presenza di batteriuria in un paziente cateterizzato. I segni e sintomi possono
essere localizzati alle vie urinarie o comprendere manifestazioni sistemiche come la febbre.

Nella patogenesi da CAUTI, un passaggio determinante è la formazione del biofilm, uno strato vivente di
uropatogeni, sul catetere urinario. I microrganismi che costituiscono questo film sono relativamente
resistenti all’effetto battericida degli antibiotici e l’eradicazione di un biofilm catetere-associato è complessa,
a meno che non si rimuova completamente il catetere stesso. L’eziologia della CAUTI è varia e i risultati
dell’urinocoltura sono fondamentali per il trattamento. È fondamentale rimuovere il catetere cosicché venga
rimosso anche il biofilm, i cui microrganismi potrebbero fungere da focolaio per una reinfezione. È inoltre
raccomandato un ciclo di antibiotici di 7-14 giorni.

La strategia preventiva migliore per evitare la CAUTI consiste nel limitare il più possibile l’inserimento dei
cateteri e di rimuoverli quando non siano più strettamente necessari. La cateterizzazione intermittente può
essere preferibile a quella uretrale a dimora a lungo termine in alcune popolazioni (es: traumatizzati spinali)
per prevenire complicazioni infettive e anatomiche. Non sono stati riscontrati vantaggi nell’utilizzo di cateteri
impregnati con antibiotici o argento.

Candiduria

La comparsa di Candida nelle urine è una complicazione molto diffusa nella cateterizzazione a permanenza,
in particolare in pazienti ricoverati in terapia intensiva, in quelli che assumono antibiotici a largo spettro e
nei diabetici. C.albicans è la specie più comune per questo tipo di infezione. La presentazione clinica può
variare da un reperto casuale a pielonefrite o, in casi gravissimi, a sepsi. Nei pazienti asintomatici, la rimozione
del catetere risolve la candiduria in oltre un terzo dei casi. Il trattamento è raccomandato per pazienti che
presentino una cistite sintomatica o pielonefrite. I pazienti ad alto rischio sono i neutropenici, neonati di
basso peso e persone sottoposte a manipolazioni urologiche . il farmaco di prima scelta per le infezioni
urinarie da Candida è il Fluconazolo.

Prevenzione delle UTI ricorrenti nelle donne


Nelle donne in età fertile, sono comuni le cistiti non complicate ricorrenti; è indicata una strategia preventiva
solo se queste infezioni interferiscono con la qualità della vita. Sono disponibili tre strategie profilattiche:

1. continua
2. postcoitale
3. avviata dalla paziente.
Nelle 1 e 2 si prevede assunzione di bassi dosi di TMP SMX, fluorochinolone e nitrofurantoina. Solitamente
la profilassi in questi casi si protrae per sei mesi e poi sospesa. Se l’infezione dovesse ripresentarsi, la profilassi
va ripetuta per un periodo più lungo.

Nella 3 vengono utilizzati materiale per l’urinocoltura e farmaci per automedicazione, con un ciclo di
antibiotici ai primi sintomi di infezione.

Prognosi
La cistite è un fattore di rischio per cistiti ricorrenti e pielonefriti. La batteriuria asintomatica è comune negli
anziani e nei pazienti cateterizzati, ma non aumenta di per sé il rischio di morte. In assenza di anomalie
anatomiche, infezioni urinarie in adulti e bambini non portano a pielonefrite cronica o insufficienza renale.
In presenza di anomalie renali (es: calcolo ostruttivo) l’infezione, come fattore secondario, può accelerare il
danno parenchimale renale.

PIELONEFRITE ACUTA
E’ un’infiammazione localizzata che colpisce il bacinetto renale ed il rene. E’ spesso causata dal propagarsi
di un’infezione sostenuta da patogeni appartenenti alla flora batterica intestinale. Tra i più frequenti
troviamo E.coli, P.mirabilis, S.saprophyticus. Le vie di accesso al rene sono tre: ASCENDENTE DALLA
VESCICA(la più comune), EMATICA E LINFATICA.

I SINTOMI si manifestano velocemente e comprendono: FEBBRE( > 39,4 gradi), brividi, nausea, vomito e
diarrea. In alcuni casi prevalgono segni e sintomi della sepsi da Gram-negativi. Spesso gli esami riscontrano
una leucocitosi e presenza di cilindri leucocitari nelle urine, quest’ultimo fattore è patognomonico. Altro
sintomo talvolta presente durante la fase acuta è l’ematuria, se non scompare successivamente è indice di
presenza di calcoli, tumori o tubercolosi. La palpazione evidenzia dolore profondo di uno o entrambi gli
angoli costovertebrali.

La DIAGNOSI avviene tramite conta dei batteri nelle urine(>10⁵/ml) e l’indicazione della loro tipologia
permette di intraprendere una terapia adeguata. Metodi moderni di conta batterica sono utilizzati in
alternativa ai metodi standard normali: fotometria, bioluminescenza ed altre metodiche permettono di
avere risultati nel giro di 1-2 ore con alta sensibilità. Per l’alto numero di batteri è possibile che essi siano
visibili al microscopio ottico e la loro assenza non esclude la diagnosi perché se la loro concentrazione è
inferiore, ma comunque alta, questa metodica non funziona. La piuria(pus nelle urine) è un importante
indicatore di infezione in pazienti sintomatici, la sua assenza deve porre in dubbio la diagnosi. Piuria in
assenza di batteriuria (PIURIA STERILE) può indicare infezione da agenti batterici inusuali, quali
C.trachomatis, Mycobacterium tuberculosis o miceti, oppure condizioni urologiche non infettive, come
calcolosi, anomalie anatomiche, nefrocalcinosi…

Vengono utilizzati due approcci terapeutici: nel primo si inizia il trattamento solo con anamnesi positiva o
rilievi caratteristici all’esame obiettivo, nel secondo le donne con segni di cistite acuta senza fattori
complicanti, possono essere trattate sulla base dell’esame microscopico del sedimento urinario.
L’urinocultura deve essere effettuata per quei pazienti ai quali l’esame delle urine e i sintomi danno dubbi
di diagnosi. Quando i pazienti presentano complicanze o sospetta infezione delle vie urinarie superiori è
necessaria la coltura cellulare e gli antibiogrammi(valuta se un batterio è sensibile ad un particolare
antibiotico). Anche dopo la scomparsa dei sintomi batteriuria e piuria possono persistere. Nelle forme più
gravi la febbre decresce più lentamente anche con adeguato trattamento antibiotico.

La TERAPIA dà risposte entro 48/72 ore tranne che nei pazienti con necrosi papillare od ostruzione urinaria.
Solitamente il trattamento prevede l’utilizzo di un chinolonico(fluorochinolone, aminoglicoside o
cefalosporina) per via orale con preferibile prima dose endovena per 7-14 giorni. Le infezioni delle vie
urinarie alte richiedono di solito cicli più prolungati(2-6 settimane) e dopo la guarigione le recidive causate
dallo stesso ceppo possono presentarsi a causa di focolai non eliminati a livello vaginale, o più raramente
dello stesso tratto urinario. Le infezioni contratte al di fuori dell’ambiente ospedaliero sono sensibili ad
antibiotici ad ampio spettro. In caso contrario i pazienti maggiormente colpiti sono quelli soggetti ad
infezioni ricorrenti o interventi strumentali sulle vie urinarie e ci sarà una maggiore resistenza. Pazienti che
non rispondono al trattamento entro 72 ore o che vanno incontro a recidive dovrebbero essere esaminati
per la possibile presenza di calcoli, anomalie urologiche o focolai suppurativi sconosciuti.
MALATTIE DEL SISTEMA IMMUNITARIO, DEL TESSUTO
CONNETTIVO E DELLE ARTICOLAZIONI

GOTTA ed ALTRE ARTROPATIE DA CRISTALLI

Gotta è un termine generico che sta ad indicare un insieme di patologie caratterizzate dalla deposizione,
nel liquido sinoviale articolare, di cristalli minerali. Clinicamente indistinguibili, la diagnosi differenziale si fa
unicamente con il prelievo e l’analisi del liquido sinoviale. La terapia varia lievemente tra i diversi tipi. I 4 ti-
pi di gotta sono: gotta da urato monosodico (sicuramente la più prevalente), malattia da deposizione di cal-
cio pirofosfato diidrato, malattia da deposizione di idrossiapatite di calcio e malattia da deposizione di ossa-
lato di calcio.

GOTTA DA URATO MONOSODICO


Alterazione metabolica che colpisce perlopiù uomini dell’età avanzata-senile (nelle donne è più rara e
quasi assente in premenopausa), tipicamente associata a iperuricemia, artriti acute e croniche e alla preci-
pitazione di cristalli di urato monosodico nei tofi (il tofo è un aggregato di urati che può trovarsi nel derma,
nelle cartilagini articolari o extrarticolari, nella cute, nel tessuto sottocutaneo, nelle borse sierose o nei ten-
dini) a livello del tessuto connettivale e nei reni.
L’artrite acuta è tra le prime manifestazioni della gotta. In genere è colpita una sola articolazione, ma nei
maschi ipertesi che abusano di alcol e nelle donne in postmenopausa la gotta può essere poliarticolare. Le
articolazioni più colpite sono: la metatarsofalangea dell’alluce, le articolazioni tarsali, le caviglie e le ginoc-
chia. Negli anziani l’infiammazione dei noduli di Heberden o di Bouchard (sporgenze ossee a carico rispetti-
vamente delle falangi distali e prossimali, tipiche dell’artrosi) può essere la prima manifestazione clinica
della gotta. Frequentemente il primo episodio inizia di notte, con gonfiore e dolore intenso alla (o alle) arti-
colazione. Le articolazioni divengono rapidamente calde, rosse e tese. Dopo 3-10 giorni gli attacchi iniziali
solitamente cessano spontaneamente e il paziente sarà asintomatico fino all’episodio successivo. Fattori
che possono aggravare l’artrite acuta gottosa sono: eccessi alimentari, traumi, interventi chirurgici, abuso
di alcol, sospensione di terapia con ACTH o glucocorticoidi, terapia ipouricemica, infarto miocardico, ictus.
Dopo molti attacchi mono- o oligoarticolari una parte dei pazienti sviluppa una sinovite cronica asimmetrica
(DD con artrite reumatoide!). Meno comunemente l’artrite gottosa cronica resta l’unica manifestazione e,
più raramente, in assenza di sinovite, la malattia si manifesta sotto forma di depositi tofacei periarticolari
infiammati o non infiammati.
Diagnosi. La clinica ci indirizza, ma la conferma diagnostica si ha con l’artrocentesi o con l’aspirazione di
materiale tofaceo. In DD entrano l’artrite acuta settica, le altre artropatie da cristalli, il reumatismo palin-

Malattie del sistema immunitario, del tessuto connettivo e delle articolazioni 1


dromico (affezione di origine sconosciuta caratterizzata da episodi di sinovite recidivanti e apiretici che colpiscono
preferibilmente una solo articolazione delle dita, del polso o del ginocchio con evoluzione spontanea in alcuni giorni
verso la guarigione senza postumi) e l’artrite psoriasica. La conta cellulare del liquido aumenta da 2000 fino a

60000/µl. Se c’è il sospetto di artrite settica va eseguito anche un esame colturale del liquido. L’uricemia
può essere normale o bassa durante l’attacco, ma solitamente è elevata e può quindi essere usata per valu-
tare l’efficacia della terapia ipouricemizzante. Utile la raccolta delle urine delle 24h per valutare la funziona-
lità renale, per evidenziare la sovrapproduzione o l’insufficiente escrezione di acido urico e per stabilire il
corretto regime ipouricemico. Se l’uricuria supera 800 mg/die con una dieta regolare è utile considerare le
cause di questa sovrapproduzione di purine. Alla RX delle articolazioni colpite si evidenziano “lesioni a
scoppio con i bordi ossei sporgenti”, associate alla presenza di masse calcificate nei tessuti molli.
Terapia. Si fonda sulla somministrazione di antinfiammatori e ipouricemizzanti. Tra gli antinfiammatori
rientrano la colchicina, i FANS e i glucocorticoidi. La terapia classica, efficace nell’85% dei pazienti, è la
somministrazione di colchicina già dall’inizio dell’attacco. Va somministrata una compressa (0.6 mg) ogni
ora fino alla scomparsa dei sintomi o fino a quando non si manifesti tossicità gastrointestinale (da trattare
con terapia sintomatica), oppure fino ad un totale di 4-8 compresse (in base all’età del paziente). Alle volte
la somministrazione endovenosa può ridurre (ma non eliminare) la diarrea. I FANS sono efficaci in circa il
90% dei pazienti e la scomparsa dei sintomi di solito di ha in 5-7 giorni. Sono altresì ugualmente efficaci i
glucocorticoidi: prednisone per os alla dose iniziale di 30-50 mg/die con progressiva riduzione nell’arco di 5-
7 giorni; singola dose di metilprednisolone via endovenosa; 7 mg di betametasone. La terapia ipouricemiz-
zante dovrebbe essere presa in considerazione quando i valori di uricemia siano sopra la norma (>5 mg/dl)
e quando misure come il controllo del peso corporeo, dieta scarsa in purine, maggiore assunzione di liquidi
(almeno 1.5 L/die), limitazione del consumo di alcol e sospensione dei diuretici non si siano dimostrate effi-
caci. La somministrazione di probenecid può essere iniziata ad un dosaggio di 200 mg due volte al giorno,
aumentando la dose ad un massimo di 2 g al giorno per mantenere l’uricemia entro 5 mg/dl. In pazienti an-
ziani e con ridotta funzionalità renale l’allopurinolo può degnamente sostituire il probenecid, soprattutto in
pazienti dipendenti dai tiazidici. L’allopurinolo è anche il farmaco migliore in pazienti predisposti alla forma-
zione di calcoli e in pazienti iperproduttori di acido urico. Si inizia con un’unica somministrazione mattutina
di 300 mg per poi aumentare fino a 800 mg se necessario. Il trattamento con farmaci ipouricemizzanti non
dovrebbe essere intrapreso in corso di un attacco acuto. Di solito la profilassi con colchicina (0.6 mg 1 o 2
volte/die) viene continuata in associazione con allopurinolo o probenecid fino a quando l’uricemia si sia
normalizzata o comunque siano trascorsi almeno 3 mesi senza attacchi. Il trattamento profilattico con col-
chicina può rendersi necessario finché sono presenti i tofi.

MALATTIA DA DEPOSIZIONE DI CALCIO PIROFOSFATO DIIDRATO


La precipitazione di cristalli di calcio pirofosfato diidrato nei tessuti articolari è la più frequente negli an-
ziani. L’80% dei pazienti ha più di 60 anni. Nella maggioranza dei casi questo processo è asintomatico e la

Malattie del sistema immunitario, del tessuto connettivo e delle articolazioni 2


causa della precipitazione è incerta. È verosimile che mutamenti biochimici favoriscano la formazione di
nuclei di cristalli nella cartilagine in fase di invecchiamento. Il rilascio di cristalli di calcio pirofosfato diidrato
nello spazio articolare è seguito dalla fagocitosi dei cristalli ad opera dei neutrofili, che reagiscono con la li-
berazione di sostanze tipiche dell’infiammazione. Inoltre i neutrofili rilasciano un glicopeptide che è che-
miotattico nei confronti di altri neutrofili, intensificando lo stato infiammatorio. La stessa sostanza è pre-
sente nella gotta da urato monosodico.
Una minoranza di soggetti con artropatia da calcio pirofosfato diidrato presenta alterazioni metaboliche
o malattia da calcio pirofosfato diidrato ereditaria, le cui alterazioni genetiche alla base non sono state an-
cora identificate.
Clinica e diagnosi. Può essere asintomatica, acuta, subacuta o cronica, oppure presentarsi come riacu-
tizzazione di una patologia cronica di base. Viene definita pseudogotta per la sua somiglianza clinica con la
gotta da urato monosodico. Altre manifestazioni cliniche comprendono: induzione o peggioramento delle
forme tipiche di osteoartrosi; induzione di un quadro patologico distruttivo grave; sinoviti simmetriche si-
mili a quelle dell’artrite reumatoide; calcificazione dei dischi e dei legamenti intervertebrali; raramente,
stenosi del canale spinale. L’articolazione più frequentemente colpita è il ginocchio. Altre sedi sono polso,
spalla, anca, gomito, mani. Raramente l’ATM e l’apparato ligamentoso della colonna. Nei due terzi dei pa-
zienti la precipitazione è poliarticolare. Se le radiografie evidenziano depositi puntiformi e/o lineari
nell’articolazione fibrocartilaginea del menisco o nella cartilagine articolare ialina, viene avvalorato il so-
spetto diagnostico. La diagnosi definitiva si ha con l’artrocentesi e l’analisi del liquido sinoviale. Nel 50% dei
casi è associata a febbricola e, raramente, a febbre elevata. In questi casi, nonostante il sospetto radiografi-
co, l’analisi colturale del liquido sinoviale è essenziale per escludere un’infezione.
Terapia. Gli attacchi acuti non trattati possono durare da pochi giorni fino a un mese. L’artrocentesi e i
FANS, oppure la terapia con colchicina o l’iniezione intrarticolare di glucocorticoidi possono far cessare gli
attacchi nell’arco di 10 giorni. In caso di attacchi ricorrenti può essere indicata una terapia profilattica quo-
tidiana con colchicina. Gli attacchi poliarticolari gravi vanno trattati con glucocorticoidi.

MALATTIA DA DEPOSIZIONE DI IDROSSIAPATITE DI CALCIO


L’idrossiapatite di calcio è il minerale più importante dell’osso e dei denti. Un aumento di questa sostan-
za si può osservare in aree di tessuto danneggiato, negli stati di ipercalcemia e di iperparatiroidismo e in al-
cune condizioni ad eziologia ignota. Nell’IRC l’iperfosfatemia fa aumentare la precipitazione di idrossiapati-
te sia all’interno che intorno alle articolazioni. L’idrossiapatite di calcio può essere liberata dall’osso esposto
e causare la sinovite acuta che si accompagna occasionalmente all’osteoartrosi cronica. La degenerazione
dell’articolazione è associata a indebolimento o a rottura delle strutture di supporto che portano a instabili-
tà e deformità. La sintomatologia varia da una lieve dolorabilità a un grave dolore con invalidità.
Clinica. Le sedi più comini di precipitazione comprendono le borse e i tendini all’interno o intorno alle
articolazioni delle ginocchia, delle spalle, delle anche e delle dita. Clinicamente si possono avere alterazioni

Malattie del sistema immunitario, del tessuto connettivo e delle articolazioni 3


radiografiche in assenza di sintomi, sinoviti acute, borsiti, tendiniti e artropatia destruente cronica. La mag-
gior parte dei pazienti è anziana. I cristalli si possono evidenziare in pazienti con osteoartrosi clinicamente
stabile, ma più frequentemente in soggetti che abbiano presentato recentemente un peggioramento acuto
o subacuto del dolore articolare associato a tumefazione.
Diagnosi. I riscontri radiografici non hanno in questo caso alcun valore diagnostico. La diagnosi di certez-
za si ha con l’identificazione dei cristalli nel liquido o nel tessuto sinoviale.
Terapia. Non è specifica. L’uso di FANS e l’aspirazione del versamento o la somministrazione di colchici-
na o l’iniezione intra- o periarticolare di glucocorticoidi sembra riducano la durata e l’intensità dei sintomi.

MALATTIA DA DEPOSIZIONE DI OSSALATO DI CALCIO


L’ossalosi primitiva è un raro disturbo metabolico ereditario che comporta l’eccessiva produzione di aci-
do ossalico a causa di difetti enzimatici. Solitamente si muore prima dei 20 anni.
L’ossalosi secondaria è più frequente ed è una delle alterazioni metaboliche che complicano lo stadio fi-
nale dell’insufficienza renale (ESRD). I depositi di ossalato di calcio sono responsabili dell’artrite nell’IRC.
Clinica e diagnosi. I depositi di ossalato possono essere rinvenuti nell’osso, nella cartilagine articolare,
nella sinovia e nei tessuti periarticolari. I cristalli possono essere liberati da queste sedi causando sinoviti
acute. I depositi permanenti possono stimolare la proliferazione sinoviale e l’attivazione enzimatica cau-
sando una progressiva degenerazione articolare. Depositi si ritrovano nelle dita, nei polsi, nelle anche, nei
piedi, nelle ginocchia, nei gomiti. I tipi di cristalli possono coesistere se si tratta di pazienti in ESRD. La clini-
ca dell’artrite acuta da ossalato è indistinguibile da quella delle malattie precedentemente trattate.
Terapia. Il trattamento con FANS, colchicina, cortisonici e/o aumento delle sedute dialitiche porta a
scarsi risultati. Nell’ossalosi primitiva il trapianto di fegato comporta una riduzione dei depositi di microcri-
stalli.

SINDROME DI MARFAN

Patologia di origine genetica che deriva dalla mutazione a carico dei geni che codificano per la fibrillina-1
e/o -2, sul cromosoma 15 (la fibrillina è la componente maggiore delle micro fibrille associate all’elastina).
La patologia può venir ereditata con modalità autosomica dominante oppure derivare da una mutazione
spontanea. La presentazione clinica tipica è caratterizzata da una triade patologica che comprende: 1. Arti
lunghi e sottili, spesso associati ad altre alterazioni scheletriche, come ipermobilità articolare e aracnodatti-
lia; 2. Diminuzione de visus dovuta alla sublussazione del cristallino (ectopia lentis); 3. Aneurismi dell’aorta
che tipicamente hanno origine alla base del vaso. Una forma più rara della malattia, associata a mutazione
esclusiva della fibrillina-2, è caratterizzata da aracnodattilia con atteggiamento contrattile invece che da i-
permobilità articolare. La diagnosi clinica risulta spesso difficoltosa perché la triade patologica può non ma-
nifestarsi sempre; inoltre non è detto che la patologia ereditaria sia più grave o più esplicita rispetto a quel-

Malattie del sistema immunitario, del tessuto connettivo e delle articolazioni 4


la ad insorgenza sporadica. L’analisi del DNA è in grado di dimostrare le mutazioni della fibrillina, ma non è
tuttora possibile associare specifiche mutazioni a ben definite espressioni clinico-patologiche.
La sindrome ha un’incidenza di circa 1 caso su 10000 nella maggior parte delle razze e dei gruppi etnici.
Si ritiene che in Italia circa 15000 persone siano affette da tale sindrome.
Alterazioni scheletriche. I pazienti sono in genere più alti rispetto agli altri membri della famiglia e pre-
sentano arti insolitamente lunghi. Le dita delle mani e dei piedi appaiono aracniformi. Molti pazienti pre-
sentano pectus excavatum, pectus carinatum o asimmetria. Scoliosi e cifosi sono spesso presenti, come an-
che palato ogivale, piede piatto o cavo.
Alterazioni cardiovascolari. Sono la maggior fonte di morbilità e mortalità. Il prolasso mitralico è preco-
ce e nel 25% dei casi si associa ad un rigurgito ingravescente che si verifica a causa della protrusione dei
lembi valvolari, dello stiramento delle corde tendinee e della dilatazione dell’annulus mitralico. La dilata-
zione della radice dell’aorta e dei seni di Valsalva ha valore prognostico negativo; il grado della dilatazione
non è prevenibile e può complicarsi con insufficienza valvolare aortica, aneurisma dissecante e rottura
dell’aorta. La dilatazione viene aggravata dallo stress fisico ed emotivo e dalla gravidanza.
Alterazioni oculari. In breve tempo può rendersi evidente la lussazione del cristallino. La lussazione non
è progressiva, tuttavia può facilitare l’insorgenza di cataratta. Il bulbo ha spesso forma allungata, cui conse-
gue miopia, che in alcuni casi evolve fino al distacco di retina. In alcuni soggetti si osserva una degenerazio-
ne del vitreo e lacerazione della retina; la maggior parte di essi tuttavia non presenta disturbi del visus.
Alterazioni (potenzialmente) associate. Strie sulle spalle e sulle natiche, pneumotorace spontaneo, er-
nia inguinale, dilatazione del sacco durale, habitus longilineo con adipe sottocutaneo poco rappresentato
(gli adulti possono però mostrare un’obesità centripeta).
Diagnosi. È agevole qualora la patologia si manifesti con la triade patologica classica e magari ci siano
anche riscontri anamnestici familiari positivi. Senza evidenza di un habitus marfanoide o di anamnesi fami-
liare positiva, la diagnosi viene posta se sono presenti l’ectopia del cristallino e un aneurisma dell’aorta a-
scendente. Gli esami fondamentali sono la lampada a fessura e l’ecocardiogramma. Rari pazienti affetti da
sindrome di Ehlers-Danlos possono presentare alterazioni del cristallino, ma non presentano le alterazioni
ecocardiografiche e invece presentano le tipiche alterazioni cutanee non presenti nei Marfan. La sola pre-
senza di aneurisma aortico (in assenza di habitus marfanoide) rende difficile la diagnosi, data l’elevata inci-
denza di aneurismi nella popolazione generale (1 su 100 circa!).
Terapia. Non è ben codificata. Si consiglia l’uso di propranololo o altri β-bloccanti per impedire o ritarda-
re la dilatazione aortica. L’intervento chirurgico di sostituzione dell’aorta, della valvola aortica e della mitra-
le ha successo in alcuni casi. La scoliosi, ad andamento progressivo, dovrebbe essere trattata con fisiotera-
pia se è superiore a 20° o con terapia chirurgica se supera i 45°. La lussazione del cristallino raramente ri-
chiede un intervento chirurgico di sostituzione; è bene comunque monitorare i pazienti per anticipa-
re/prevenire il distacco di retina.

Malattie del sistema immunitario, del tessuto connettivo e delle articolazioni 5


AMILOIDOSI

È causata dalla deposizione di una sostanza proteica, fibrinosa, insolubile, nota come amiloide, princi-
palmente negli spazi extracellulari di organi e tessuti dell’organismo. Tutte le proteine dell’amiloide presen-
tano un’identica struttura secondaria e tutti i depositi di amiloide contengono un’identica componente non
fibrillare, la pentraxina (o amiloide sierica P – SAP) e sono associati con glicosamminoglicani (GAG). Un a-
normale ripiegamento o assemblaggio della proteina può comportare la sua deposizione nei tessuti. A se-
conda della natura biochimica del precursore della proteina amiloide, le fibrille si possono depositare lo-
calmente o possono coinvolgere a livello sistemico virtualmente ogni organo. La deposizione di fibrille di
amiloide può non avere apparentemente alcuna conseguenza clinica, oppure essere responsabile di gravi
alterazioni patologiche. Spesso la diagnosi si ha già quando la malattia è in fase avanzata. La struttura poli-
peptidica dei precursori assume una strutture fibrillare in grado di resistere alla proteolisi.
La classificazione delle amiloidosi si basa sulla natura biochimica delle proteine che formano le fibrille.
Le amiloidosi sistemiche comprendono forme distinte da un punto di vista biochimico e riconoscono
un’origine neoplastica, infiammatoria, genetica o iatrogena; l’amiloidosi localizzata o limitata è tipica della
senescenza e del diabete e si manifesta in singoli organi, frequentemente endocrini, senza evidente coin-
volgimento sistemico. Di seguito riporto i tipi più comuni di amiloidosi.

AMILOIDOSI DA CATENE LEGGERE


La forma più comune di amiloidosi sistemica. È causata dalla formazione di fibrille da parte delle catene
leggere monoclonali delle immunoglobuline nelle amiloidosi primarie e in certi tipi di mieloma (meno del
20% dei casi; i restanti pazienti sono affetti da altre gammopatie monoclonali, da malattie delle catene leg-
gere o persino da agammaglobulinemia). Prevalgono le catene leggere lambda. La struttura primaria della
catena leggera che può formare l’amiloide è unica e riflette le caratteristiche del clone di cellule B che l’ha
sintetizzata. Nei pazienti affetti da mieloma multiplo le catene leggere si accumulano sotto forma di deposi-
ti grossolani a livello dei tubuli renali o come depositi parcellari a livello delle membrane basali.

AMILOIDOSI A
Si verifica più frequentemente come complicanza di una malattia infiammatoria cronica. Durante
l’infiammazione citochine stimolano la sintesi epatica di amiloide sierica A, una proteina della fase acuta
che fa parte del complesso lipoproteico ad alta densità. Un trattamento efficace dello stato flogistico inter-
rompe il meccanismo che innesca la sintesi del precursore dell’amiloide. La deposizione di proteina AA si
manifesta in alcuni gruppi di pazienti con febbre mediterranea familiare (FMF). Il trattamento con colchici-
na si è dimostrato molto efficace nel bloccare gli attacchi di FMF e nel ridurre l’incidenza di amiloidosi AA in
questi pazienti.

Malattie del sistema immunitario, del tessuto connettivo e delle articolazioni 6


AMILOIDOSI EREDOFAMILIARI
Coinvolgono primariamente il SNC e la loro ereditarietà è autosomica dominante. Le polineuropatie ami-
loidosiche familiari (FAP) sono malattie autosomi che dominanti. Possono essere classificate in base alla sin-
tomatologia clinica e alla natura biochimica delle fibrille. Le proteine mutanti, sebbene presenti sin dalla
nascita, sono associate ad uno sviluppo ritardato dei sintomi della malattia, di solito dopo 3-7 decadi di vita.

AMILOIDOSI LOCALIZZATA O LIMITATA AD UN ORGANO


A seconda della natura biochimica delle proteine delle fibre amiloidi, la deposizione di sostanza amiloide
può limitarsi ad un singolo organo (pancreas, cervello, cuore), anziché estendersi al sistema cardiovascolare
e gastroenterico, ai linfonodi, alla milza, ai reni e alle ghiandole surrenali.

AMILOIDOSI ASSOCIATA A DEPOSIZIONE DI PEPTIDI DI DERIVAZIONE ORMONALE


Depositi amiloidosici sono di comune riscontro in tessuti o in tumori che producono ormoni polipeptidi-
ci. La calcitonina tende a depositarsi nei casi di amiloidosi eredofamiliare con carcinoma midollare della ti-
roide. Depositi di atrial natriuretic factor derived si trovano anche a livello del sarcolemma nell’80% circa
dei pazienti di età superiore agli 80 anni. Depositi di islet amyloid polypeptide sono presenti sotto forma di
amiloide in più del 90% dei pazienti con diabete mellito II.

AMILOIDOSI ASSOCIATA AD ALZHEIMER


La proteina amiloide β (Aβ) rappresenta il principale componente delle fibrille nei depositi di amiloide
delle pareti dei vasi cerebrali e nel nucleo delle placche neuritiche nei pazienti affetti da Alzheimer e da sin-
drome di Down.

MALATTIE DA PRIONI
I prioni rappresentano una classe unica di proteine infettive che si associano a un gruppo di malattie
neurodegenerative, le encefalopatie spongiformi trasmissibili. Nell’uomo rappresentano il kuru, la malattia
di Creutzfeld-Jakob, la sindrome di Gerstmann-Straussler-Scheinker e l’insonnia familiare fatale. La PrPsc
rappresenta la forma patogena specifica dell’encefalopatia spongiforme trasmissibile, che deriva dalla pro-
teina prionica (PrP) codificata dall’ospite. I depositi di PrPsc sono composti di fibrille amiloidi o possono es-
sere facilmente convertiti in fibrille amiloidi. È stato ipotizzato che le forme familiari a esordio precoce
dell’amiloidosi siano dovute ad un’aumentata velocità di formazione delle fibrille a partire da precursori
mutati, mentre nei casi sporadici le fibrille si formerebbero in maniera più lenta da precursori di molecole
normali. Il passaggio da una forma normale ad una amiloidogenica PrPsc è molto lento, ma irreversibile. La
progressione della malattia può verificarsi in quanto la PrPsc amiloidogenica, una volta formata, può cataliz-
zare la conversione di molecole normali in forme amiloidogeniche.

Malattie del sistema immunitario, del tessuto connettivo e delle articolazioni 7


CLINICA. Le manifestazioni cliniche sono svariate e dipendono dalla natura biochimica della proteina
presente nelle fibrille e anche dai siti anatomici interessati. La diagnosi è solitamente posta solo dopo il ri-
scontro di un danno oramai irreversibile ad un dato organo. La proteinuria rappresenta spesso il primo sin-
tomo dell’amiloidosi sistemica; le neuropatie periferiche si associano a FAP e la demenza e le disfunzioni
cognitive a depositi di amiloide a livello cerebrale. Vi può essere una notevole ormanomegalia. Rene. Il co-
involgimento renale può essere caratterizzato da una sindrome nefrosica modesta o grave. Di solito ildanno
renale non è reversibile ed evolve fino all’exitus. La prognosi è sfavorevole quando compare iperazotemia.
Il trattamento con emodialisi, dialisi peritoneale o trapianto migliorala prognosi. L’ipertensione è rara. Cuo-
re. Il coinvolgimento cardiaco si presenta sotto forma di uno scompenso cardiaco difficilmente trattabile.
Sono presenti svariate anomalie ECGgrafiche. Nella amiloidosi sistemica il coinvolgimento cardiaco è più
comune nella forma primaria ed eredofamiliare, mentre è molto raro nella forma secondaria.
Nell’amiloidosi sistemica le manifestazioni cardiache sono rappresentate soprattutto da insufficienza car-
diaca congestizia e cardiomegalia e da varie aritmie. Possono venir coinvolti anche l’endocardio, le valvole e
il pericardio. L’ecocardio dimostra un ispessimento asimmetrico della parete del ventricolo sx, ipocinesia,
minore contrattilità in fase sistolica e spessore ridotto con ispessimento del setto interventricolare e della
parete posteriore del ventricolo sinistro, mentre le cavità ventricolari sinistre sono di dimensioni normali o
ridotte. Fegato. Frequentemente coinvolto. Le alterazioni della funzione epatica tuttavia compaiono sola-
mente in fase avanzata. Raramente si possono evidenziare ipertensione portale e colestasi intraepatica.
Epatomegalia è frequente. Cute. L’interessamento della cute è una delle manifestazioni più caratteristiche
dell’amiloidosi primaria. Le lesioni, solitamente non pruriginose, sono costituite da papule lievemente rile-
vate e di aspetto cereo o da placche, in genere raggruppate nel cavo ascellare, nella regione anale o ingui-
nale, sul volto, sul collo e su aree mucose come l’orecchio e la lingua. Gastrointestinale. Frequentemente
coinvolto nelle forme sistemiche, o per interessamento diretto o dall’infiltrazione del sistema nervoso e pa-
rasimpatico da parte dell’amiloide. Ostruzione, malassorbimento, emorragie, ulcerazioni, perdite proteiche
e diarrea. L’infiltrazione della lingua può portare a macroglossia. Il sanguinamento può avvenire a vari livel-
li. L’infiltrazione dell’esofago può determinare un danno a carico del SEI, alterazioni della mobilità e rara-
mente acalasia. È comune una sindrome da malassorbimento. Sistema nervoso. Le manifestazioni neurolo-
giche comprendono neuropatie periferiche, ipotensione posturale, alterazioni della sudorazione, alterazioni
pupillari, raucedine e incontinenza sfinterica. Può manifestarsi la sindrome del tunnel carpale. La proteinor-
rachia può essere elevata. Endocrino. La deposizione di amiloide può interessare tiroide, surrene, ipofisi,
pancreas. A meno che l’infiltrazione non si massiva, le disfunzioni cliniche sono minime o assenti. Muscoli e
articolazioni. L’amiloidosi può raramente coinvolgere direttamente le strutture articolari infiltrando la
membrana sinoviale, il liquido sinoviale o la cartilagine articolare. L’artrite amiloidosica può simulare varie
malattie reumatiche. L’infiltrazione muscolare di amiloide può determinare una pseudo miopatia.
L’infiltrazione della muscolatura della spalla può causare la “sindrome della spalla imbottita”. La deposizio-
ne di fibrille di amiloide di β2-microglobulina nel sistema muscoloscheletrico è una seria complicanza a lun-

Malattie del sistema immunitario, del tessuto connettivo e delle articolazioni 8


go termine dell’emodialisi. Respiratorio. Depositi di amiloide possono essere ritrovati a livello dei seni pa-
ranasali, della laringe, della trachea, con blocco dei dotti nel caso dei seni paranasali o riduzione del passag-
gio di aria. L’interessamento delle basse vie respiratorie è piuttosto frequente. Sintomi polmonari si riscon-
trano circa nel 30% dei pazienti.
DIAGNOSI. La diagnosi di amiloidosi richiede la dimostrazione delle fibrille amiloidi su sezioni di campio-
ni bioptici o autoptici. Spesso vengono eseguiti l’aspirato di un cuscinetto adiposo sottocutaneo addomina-
le oppyre una biopsia renale o rettale. Una volta identificata, l’amiloidosi può essere chimicamente con a-
nalisi delle proteine o del DNA o con metodi immunoistochimici. Quando alla biopsia si rileva la presenza di
depositi di amiloide, è opportuno procedere all’elettroforesi del siero e delle urine al fine di valutare la pos-
sibilità che l’amiloidosi sia secondaria a mieloma multiplo.
PROGNOSI. L’amiloidosi sistemica è di solito una malattia a lenta progressione che conduce a morte nel
giro di molti anni. In alcuni casi la prognosi sta migliorando. È difficile valutare il decorso dell’amiloidosi, in
quanto è raro che si possa attribuire una data all’esordio della malattia. Quando l’amiloidosi si manifesta in
corso di mieloma multiplo, i sintomi che portano al primo ricovero sono più facilmente causati
dall’amiloidosi che dal mieloma in sé. In questi casi la prognosi è assai grave e l’aspettativa di vita è inferio-
re a 6 mesi.
TERAPIA. Deve mirare a ridurre la produzione del precursore, inibire la sintesi e la deposizione extracel-
lulare delle fibre amiloidi e promuovere la lisi o la mobilizzazione dei depositi di amiloide esistenti. Sono
presenti varie terapie specifiche. Per le forme eredofamiliari la consulenza genetica è importante e il tra-
pianto di fegato si è dimostrato efficace, arrestando la progressione e inducendo un miglioramento dei sin-
tomi a livello del SNA. L’uso dell’emodialisi cronica e del trapianto di reni ha sensibilmente migliorato la
prognosi dell’amiloidosi renale. Nell’amiloidosi a catene leggere il trattamento più efficace è rappresentato
dal trapianto di cellule staminali in associazione con farmaci immunosoppressivi. Le complicanze di questo
trattamento possono essere gravi e persino fatali. La iododoxorubicina, limitatamente all’amiloidosi a cate-
ne leggere, lega l’amiloide e ne induce il riassorbimento.

Malattie del sistema immunitario, del tessuto connettivo e delle articolazioni 9


VASCULITI

La vasculite è un’entità clinico-patologica caratterizza-


ta da infiammazione e danno a carico dei vasi sanguigni
con restringimento del lume e conseguente ischemia dei
tessuti irrorati. Ciò causa numerose sindromi cliniche poi-
ché possono essere colpiti vasi di qualsiasi tipo, calibro e
sede. Ne esistono di primarie e secondarie. Può interessa-
re un singolo organo o tessuto o, viceversa, interessare
contemporaneamente diversi organi e apparati.
FISIOPATOLOGIA. La maggior parte delle sindromi va-
sculitiche riconosce, almeno in parte, una patogenesi im-
munologica. Alla patogenesi concorrono i seguenti ele-
menti:
1. Formazione di immunocomplessi. Sebbene la deposizione di immunocomplessi sulla parete dei vasi
sia il meccanismo patogenetico più comunemente accettato, nella maggior parte delle vasculiti tale
ruolo patogenetico non è stato ancora chiaramente definito. La presenza di immunocomplessi circo-
lanti non necessariamente dà luogo a deposizione dei complessi stessi a livello dei vasi e, oltretutto,
in molti pazienti con vasculite attiva non è dimostrabile la presenza di immunocomplessi circolanti o
depositati. I meccanismi di danno tissutale delle vasculiti da immunocomplessi sono simili a quelli
della malattia da siero.
2. Anticorpi anti-citoplasma dei neutrofili (ANCA). Gli ANCA sono anticorpi diretti contro alcune protei-
ne citoplasmatiche dei neutrofili. Sono presenti in un’ampia percentuale di pazienti affetti da vascu-
liti sistemiche, specialmente granulomatosi di Wegener, poliangioite microscopica, glomerulonefrite
necrotizzante e con semilune. Ci sono due categorie principali di ANCA; i c-ANCA (c=citoplasmatici) si
riferiscono al quadro di granulazioni citoplasmatiche diffuse in cui gli anticorpi sono diretti princi-
palmente contro la proteinasi-3 dei granuli azzurro fili (presenti in oltre il 90% dei pazienti con gra-
nulomatosi di Wegener); i p-ANCA (p=perinucleari) si associano alla reazione anticorpale in sede pe-
rinucleare o nucleare nei neutrifili e sono diretti principalmente contro l’enzima mieloperossidasi
(sono positivi in varie percentuali in pazienti affetti da poliangioite microscopica, poliartrite nodosa,
sindrome di Churg-Strauss, glomerulonefrite con semilune e sindrome di Goodpasture, nonché in
associazioni a quadri non vasculitici come patologie reumatiche, IBD, alcuni farmaci, …). Il motivo
per cui i pazienti affetti da vasculiti sviluppino ANCA non è ancora chiaro. Non vi è ancora una prova
conclusiva del coinvolgimento diretto degli ANCA nella patogenesi di queste sindromi ed esiste la
possibilità che rappresentino solo un epifenomeno. I pazienti possono sviluppare una vasculite in as-

Malattie del sistema immunitario, del tessuto connettivo e delle articolazioni 10


senza di ANCA. Non vi è correlazione stretta tra il titolo anticorpale e il grado di attività della malat-
tia. Pazienti in remissione possono presentare titoli elevati di c-ANCA anche dopo diversi anni.
3. Azione diretta dei linfociti T e formazione dei granulomi. Altri meccanismi immuno-mediati, oltre
quello classico della deposizione di immunocomplessi, possono contribuire a causare danno vasale e
quindi vasculite. Tra questi sono da ricordare l’ipersensibilità ritardata e il danno immunologico cel-
lulo-mediato. Non è noto perché certi individui, al contrario di altri, sviluppino una vasculite in rispo-
sta a determinati stimoli antigenici. È verosimile che la patogenesi sia multifattoriale (es.: predispo-
sizione genetica e meccanismi di regolazione della risposta immunitaria verso certi antigeni).
APPROCCIO AL PAZIENTE. Il sospetto di vasculite viene posto sulla base dell’esame clinico e dei parame-
tri di laboratorio. La ricerca degli ANCA può essere di qualche utilità, ma la diagnosi e la terapia non si de-
vono basare solo sugli ANCA. La diagnosi definitiva è anatomopatologica. L’insieme dei dati clinici, di labo-
ratorio, bioptici e radiologici permette generalmente di classificare una data vasculite nell’ambito di una
sindrome specifica e di impostare una terapia adeguata. Qualora la rimozione dell’agente scatenante sia
efficace, non dovrebbe essere intrapreso alcun altro trattamento.

VASCULITI NECROTIZZANTI SISTEMICHE

PANARTERITE (o POLIARTERITE) NODOSA e POLIANGIOITE MICROSCOPICA


La poliartrite (o pan arterite) nodosa (PAN) è una vasculite necrotizzante sistemica che interessa le arte-
rie muscolari di piccolo e medio calibro e coinvolge principalmente le arterie renali e viscerali. La PAN clas-
sica non interessa le arterie polmonari. La presenza di granulomi, una significativa eosinofilia e una diatesi
allergica non fanno parte del quadro della PAN classica. Il termine poliangioite microscopica (o poliartrite
microscopica) è stato adottato per definire una vasculite necrotizzante nella quale vi è una scarsa o assente
deposizione di immunocomplessi sulla parete dei piccoli vasi. Questa condizione può condividere alcune
manifestazioni cliniche con la PAN classica, tranne per il fatto che nella poliangioite microscopica la glome-
rulonefrite è molto comune e piuttosto frequente è anche la capillarite polmonare. Entrambe le forme sono
rare. L’età media di insorgenza è di circa 50 anni e l’incidenza è leggermente più alta nei maschi.
Fisiopatologia e patogenesi. La lesione vascolare della PAN classica è un’infiammazione necrotizzante
delle arterie di piccolo e medio calibro. Le lesioni tendono ad interessare le biforcazioni ed i rami delle arte-
rie. L’interessamento delle venule non fa parte della PAN classica e, se presente, suggerisce la presenza di
una sindrome poliangioitica mista. Nella fase acuta prevalgono i neutrofili, in quella cronica cellule mono-
nucleate. Seguono necrosi fibrinoide dei vasi, trombosi, infarti dei tessuti irrorati e, in alcuni casi, emorra-
gie. La riparazione delle lesioni avviene con deposizione di collagene. Caratteristiche della PAN classica sono
le dilatazioni aneurismatiche lungo le arterie interessate. Molti organi sono interessati dalla malattia e il
quadro clinico riflette il grado e la localizzazione delle lesioni vascolari e delle modificazioni ischemiche che

Malattie del sistema immunitario, del tessuto connettivo e delle articolazioni 11


ne derivano. Le modificazioni patologiche a carico del rene sono soprattutto di natura arteritica. Le prove e
gli esperimenti convergono nel dimostrare una patogenesi immunomediata.
Clinica, laboratorio e diagnosi. La sintomatologia non è specifica. Possono essere presenti febbre, perdi-
ta di peso e malessere con debolezza, cefalea, dolori addominali e mialgie. La clinica può anche essere uni-
camente incentrata sul coinvolgimento vasculitico di un singolo organo. Nella PAN classica l’interessamento
renale di manifesta soprattutto con ipertensione, insufficienza renale o emorragie dovute alla presenza di
microaneurismi, mentre nella poliangioite microscopica la principale lesione renale è la glomerulonefrite.
Non esistono test sierologici diagnostici di PAN classica. Molto spesso è presente leucocitosi neutrofila.
In quasi tutti i casi si riscontra anemia e aumento della VES. Altri dati di laboratorio possono riflettere
l’interessamento di un determinato organo. La ricerca dell’antigene di superficie dell’epatite B è positiva in
un 30% dei casi. Una p-ANCA positività è presente in meno del 20% dei pazienti affetti da PAN classica,
mentre nella poliangioite microscopica una positività p-ANCA è quasi sempre presente. Nella PAN classica
le dilatazioni aneurismatiche osservate all’arteriografia possono indirizzare la diagnosi, anche se non sono
patognomonici.
La conferma diagnostica si fonda sulla dimostrazione del caratteristico quadro di vasculite all’esame bi-
optico degli organi interessati e/o sintomatici (noduli cutanei, testicoli, gruppi muscolari). In assenza di or-
gani facilmente raggiungibili per la biopsia, la dimostrazione angiografica dell’interessamento vascolare (a-
neurismi a carico delle arterie di piccolo e medio calibro renali, epatiche e viscerali) è sufficiente per la dia-
gnosi. La presenza di una vasculite dei piccoli vasi, specie in presenza di glomerulonefrite e capillarite pol-
monare, permette di differenziare la poliangioite microscopica dalla PAN classica.
Prognosi. Se non trattata, la PAN classica ha prognosi estremamente sfavorevole. Nella PAN classica, se
non trattata, la morte è in genere causata da insufficienza renale, complicanze gastroenteriche (infarti, per-
forazioni), oppure da accidenti gastrointestinali. Nella poliangioite microscopica la morte è causata da in-
sufficienza renale o da emorragie polmonari. Un’ipertensione intrattabile spesso aggrava le alterazioni a ca-
rico di altri organi come reni, cuore e SNC.
Terapia. Buoni risultati si hanno associando prednisone e ciclofosfamide. In casi meno gravi di PAN clas-
sica, i glucocorticoidi in monoterapia consentono di ottenere la remissione di malattia. Un attento controllo
dell’ipertensione arteriosa permette di diminuire la mortalità e la morbilità legate alle complicanze renali,
cardiache e neurologiche.

MALATTIA DI CHURG-STRAUSS
È una vasculite granulomatosa (detta anche angioite granulomatosa allergica) che interessa diversi or-
gani, soprattutto il polmone. La vasculite interessa vasi di vari tipi e dimensioni (comprese vene e venule),
prevede la formazione di granulomi intra- ed extravascolari con infiltrati tissutali di eosinofili ed è associata
ad asma grave ed eosinofilia periferica. È una malattia poco comune; può insorgere a qualunque età, anche
se sembra sia risparmiata quella infantile. Esordio medio a 44 anni; leggermente più colpiti i maschi.

Malattie del sistema immunitario, del tessuto connettivo e delle articolazioni 12


Fisiopatologia e patogenesi. Interessa le arterie muscolari di piccolo e medio calibro, i capillari, le vene e
le venule. Caratteristiche sono le reazioni granulomatose localizzate a livello tissutale e pure all’interno del-
le pareti vasali. Questo quadro può interessare qualsiasi distretto corporeo, con prevalenza di quello pol-
monare, poi cute, sistema cardiovascolare, rene, SNP, apparato digerente. Sebbene la patogenesi non sia
ancora chiara del tutto, la sua significativa associazione con l’asma, l’eosinofilia, la formazione di granulomi
e la vasculite suggeriscono fortemente la presenza di fenomeni di ipersensibilità.
Clinica, laboratorio e diagnosi. Manifestazioni aspecifiche quali febbre, malessere, anoressia e perdita di
peso sono spesso presenti. Il coinvolgimento polmonare domina il quadro clinico, con gravi attacchi asmati-
ci e presenza di infiltrati polmonari. In circa un paziente su tre si realizza una malattia cardiaca clinicamente
rilevante. Le lesioni cutanee comprendono noduli cutanei e sottocutanei e porpora. Dato di laboratorio ca-
ratteristico è un’importante eosinofilia. Gli altri dati di laboratorio alterati riflettono l’interessamento
d’organo. L’angioite allergica e la granulomatosi sono associati ai p-ANCA.
La diagnosi si basa sulla conferma bioptica in seguito al sospetto clinico. Come detto, l’eosinofilia perife-
rica si associa pure ad infiltrati eosinofili tissutali.
Prognosi. Se non trattata è sfavorevole. La causa più comune di morte è in relazione all’interessamento
polmonare e cardiaco.
Terapia. La terapia con glucocorticoidi prolunga la sopravvivenza a 5 anni in più del 50% dei pazienti. In
alcuni casi la malattia può avere decorso favorevole ed andare incontro a remissione spontanea o dopo un
breve ciclo di steroidi. Nei pazienti resistenti o con malattia fulminante la terapia di scelta si basa
sull’associazione di ciclofosfamide e prednisone.

GRANULOMATOSI DI WEGENER
Entità clinico-patologica ben definita caratterizzata da una vasculite granulomatosa delle vie respiratorie
superiori e inferiori associata a glomerulonefrite. Può inoltre essere presente una vasculite di varia entità a
carico sia delle piccole arterie che delle vene. È una malattia rara, specialmente nelle etnie nere. Maschi e
femmine sono ugualmente colpiti e ogni età della vita può essere interessata, con una media di esordio a
40 anni circa.
Fisiopatologia e patogenesi. Istopatologicamente è caratterizzata da una vasculite delle piccole arterie e
vene associata alla formazione di granulomi intra- o extravascolari. Nel polmone sono presenti infiltrati cavi
nodulari multipli e bilaterali, istologicamente caratterizzati dalla presenza della tipica vasculite necrotizzan-
te granulomatosa. La localizzazione endobronchiale può determinare ostruzioni e atelettasie. All’inizio,
l’interessamento renale è caratterizzato da glomerulonefrite segmentaria e focale, che può evolvere in
glomerulonefrite rapidamente progressiva con formazione di semilune. Oltre al classico interessamento di
vie respiratorie superiori, inferiori e rene, qualsiasi organo può essere sede di vasculite, granulomi o en-
trambi. La malattia sembra essere dovuta ad un’abnorme risposta immunitaria nei confronti di (sconosciuti)
antigeni esogeni che penetrano nelle vie aeree superiori o anche antigeni endogeni che vi siano localizzati.

Malattie del sistema immunitario, del tessuto connettivo e delle articolazioni 13


Vi è un quadro di citochine sbilanciato in senso Th1, il che potrebbe avere implicazioni patogenetiche e, for-
se, anche terapeutiche. Molti pazienti sono c-ANCA positivi, anche se non vi è certezza alcuna riguardo il
loro eventuale ruolo nella patogenesi.
Clinica, laboratorio e diagnosi. I pazienti presentano gravi manifestazioni a carico delle vie respiratorie
superiori con dolore e sinusite dei seni paranasali e secrezione purulenta o ematica dal naso. Si può osser-
vare perforazione del setto e blocco delle tube di Eustachio con otite media sierosa. Il polmone interessato
dalla patologia può restare silente o rendersi clinicamente evidente con emottisi, tosse, dispnea e disturbi
toracici. Una minoranza di pazienti può sviluppare una stenosi subglottidea tale da determinare una grave
ostruzione delle vie aeree.
L’interessamento oculare può causare: congiuntivite, dacriocistite, episclerite, sclerite, sclerouveite gra-
nulomatosa, vasculite dei vasi ciliari e presenza di masse retroorbitali.
Le lesioni cutanee sono rappresentate da papule, vescicole, porpora nodulare, ulcere e noduli sottocu-
tanei.
Meno frequentemente sono interessati cuore e SN.
Le manifestazioni renali (77% dei pz) in genere dominano la sintomatologia clinica e, se intrattate, la
principale causa di morte. Quando la funzionalità renale decade al punto da provocare alterazioni dei pa-
rametri di laboratorio specifici, si sviluppa in genere un’insufficienza renale rapidamente progressiva (a me-
no che non si intervenga con la terapia appropriata).
Con malattia in fase attiva la maggior parte dei pazienti presenta segni clinici aspecifici come malessere,
debolezza, artralgie, anoressia e perdita di peso.
Laboristicamente abbiamo aumento della VES, anemia e leucocitosi, discreta o modesta ipergammaglo-
bulinemia e titolo del fattore reumatoide modicamente aumentato. La trombocitosi è tipica della fase acu-
ta. Il titolo c-ANCA è positivo nel 90% dei pazienti con Wegener tipica; in assenza di interessamento renale
la sensibilità si riduce a 70%.
La diagnosi è clinico-patologica e dipende dalla dimostrazione di una vasculite granulomatosa necrotiz-
zante in pazienti con interessamento clinico delle vie respiratorie superiori e inferiori, associato a glomeru-
lonefrite. Il tessuto polmonare offre le migliori possibilità diagnostiche. La presenza di positività c-ANCA
non dovrebbe sostituire il riscontro istologico. Se non sono presenti tutte le manifestazioni tipiche della
sindrome è necessario porre una diagnosi differenziale con le altre vasculiti, in particolare con la Churg-
Strauss, con la Goodpasture, con i tumori delle vie aeree superiori e dei polmoni, con alcune malattie infet-
tive, nonché con malattie granulomatose non infettive.
Terapia. La terapia di scelta è rappresentata dalla ciclofosfamide (2 mg/kg/die per os) in associazione
con glucocorticoidi. È importante monitorare i valori ematici di leucociti, modulando la dose di farmaci in
modo da mantenere il valore dei leucociti al di sopra di 3000/µl. La ciclofosfamide va continuata per un an-
no dopo l’induzione di una remissione completa, per poi gradualmente ridurre il dosaggio fio alla sospen-
sione. Il glucocorticoide prednisone andrebbe assunto alla dose di 1 mg/kg/die per un mese, passando

Malattie del sistema immunitario, del tessuto connettivo e delle articolazioni 14


quindi gradualmente ad una terapia a giorni alterni, seguita da una riduzione e infine alla sospensione del
farmaco in circa 6 mesi.
Alla sospensione della terapia circa un 50% dei pazienti presenta almeno una ricaduta nel follw-up a
lungo termine. Nella maggior parte dei casi è possibile ottenere una nuova remissione, anche se in una ele-
vata percentuale dei casi sono riscontrabili alcune lesioni permanenti. Il titolo c-ANCA può essere fuorvian-
te nel controllo delle ricadute.
Seguendo lo schema terapeutico sopra riportato, gli effetti collaterali a lungo termine del cortisono sono
rari, mentre gli effetti tossici della ciclofosfamide sono più frequenti e gravi.
Il metotrexato può essere considerato (in associazione ai glucocorticoidi) un farmaco alternativo per i
pazienti in cui la malattia non comporta un imminente pericolo di vita, oppure una seconda scelta per i pa-
zienti che hanno presentato effetti tossici nei confronti della ciclofosfamide.
L’azatioprina si è rivelata efficace soprattutto nel mantenere lo stato di remissione nei pazienti in cui il
controllo della malattia era stato ottenuto con la ciclofosfamide. Andrebbe somministrata sempre in asso-
ciazione con glucocorticoidi.

ARTERITE TEMPORALE/A CELLULE GIGANTI/DI HORTON


È un processo infiammatorio a carico delle arterie di medio e grosso calibro. Colpisce caratteristicamen-
te uno o più rami della carotide, in particolare l’arteria temporale. Si tratta tuttavia di una malattia sistemi-
ca che può interessare le arterie in sedi multiple. L’incidenza annuale nei soggetti con età superiore ai 50
anni varia, nelle diverse nazioni, da 0.49 a 23.3 casi ogni 100000 individui. L’arterite temporale si riscontra
quasi esclusivamente in soggetti con età superiore a 55 anni. È più comune nelle donne e nei soggetti di
razza bianca. Sono stati descritti casi di aggregazione familiare. È strettamente associata alla polimialgia
reumatica.
Fisiopatologia e patogenesi. L’arteria temporale è la più interessata, ma spesso i pazienti presentano
una vasculite sistemica delle arterie di grosso e medio calibro, che può tuttavia passare inosservata. istolo-
gicamente si caratterizza per infiltrati infiammatori di cellule mononucleate nello spessore delle pareti va-
sali con frequente formazione di cellule giganti. Ci sono frammentazioni della lamina elastica interna e pro-
liferazioni dell’intima. Le lesioni d’organo sono secondarie a processi ischemici.
Clinica, laboratorio e diagnosi. È caratterizzata dalla classica associazione di febbre, anemia, VES elevata
e cefalea in pazienti anziani. Possono essere presenti anche malessere, affaticamento, anoressia, perdita di
peso, sudorazione profusa e artralgie. L’arterite temporale è strettamente associata alla polimialgia reuma-
tica, caratterizzata da rigidità, cefalea e dolore ai muscoli dei collo, delle spalle, del tratto lombare, delle
anche e delle cosce. L’arterite temporale si associa a cefalea, talora associata a dolore all’arteria, che risulta
ispessita o nodulare e nelle fasi avanzate di malattia può anche occludersi. Possono essere presenti dolori
nella regione del cuoio capelluto e alterazioni della mobilità della mandibola e della lingua. Una complican-
za temuta dell’arterite temporale è il coinvolgimento oculare dovuto a neurite ischemica del nervo ottico

Malattie del sistema immunitario, del tessuto connettivo e delle articolazioni 15


che, nei casi più gravi, può portare anche a cecità improvvisa. L’arterite temporale si associa ad un rischio
marcatamente aumentato di aneurisma dell’aorta.
Il laboratorio ci presenta: VES elevata, anemia normocromica o lievemente ipocromica; comuni i livelli
elevati di fosfatasi alcalina.
La diagnosi è spesso clinica. La conferma si ha con la biopsia dell’arteria temporale. A causa
dell’interessamento segmentario dei vasi, la diagnosi può sfuggire all’esame bioptico di routine ed è per-
tanto raccomandabile uno studio seriato del materiale bioptico. L’ultrasonografia dell’arteria temporale
può essere utile. In presenza di segni e sintomi oculari si deve procedere al più presto alla biopsia della
temporale e non si deve attendere il referto per iniziare la terapia. Una netta risposta clinica ad un ciclo di
terapia steroidea può avere la valenza di conferma diagnostica.
Terapia. Particolarmente efficace è la terapia steroidea. Il trattamento va iniziato con una dose di pred-
nisone di 40-60 mg/die, con una successiva riduzione progressiva del dosaggio fino a una dose di manteni-
mento di 7-10mg/die. Qualora ci sia la remissione con terapia quotidiana è necessario tentare di passare al
regime a giorni alterni per diminuire gli effetti collaterali. In presenza di coinvolgimento oculare è necessa-
rio aggiustare la dose in funzione del miglioramento dei sintomi oculari. Per evitare ricadute, continuare la
terapia per 1-2 anni. La VES può essere utilizzata come parametro dell’attività infiammatoria nel monito-
raggio della terapia e nella verifica del programma di riduzione della stessa. Tuttavia, vi può essere un mo-
desto aumento della VES quando si riduce il dosaggio del prednisone.

ARTERITE DI TAKAYASU/SINDROME DELL’ARCO AORTICO


Malattia infiammatoria stenosante delle arterie di medio e grosso calibro, in particolare dell’arco aortico
e delle sue diramazioni. È una malattia rara, molto meno comune dell’arterite temporale. Interessa partico-
larmente le adolescenti e le donne giovani di qualsiasi razza (poco più frequente in oriente).
Fisiopatologia e patogenesi. Oltre ai medio-grossi vasi e i rami dell’arco aortico, può essere interessata
anche l’arteria polmonare. Le arterie più colpite sono le succlavie, seguite dall’arco aortico, dall’aorta a-
scendente, dalle carotidi e dalle femorali. L’interessamento è più frequente nei punti di ramificazione. Di
frequente riscontro è l’occlusione parziale dell’arteria renale.
È una panarterite con infiltrati infiammatori di cellule mononucleate e occasionali cellule giganti. note-
vole è la proliferazione dell’intima con fibrosi, cicatrizzazione e vascolarizzazione della media e rottura e
degenerazione della lamina elastica. Ne consegue un restringimento del lume vasale, con o senza trombosi.
Si presume che siano coinvolte alterazioni immunitarie tuttora non note.
Clinica, laboratorio e diagnosi. È una malattia sistemica con segni clinici generalizzati e locali. I sintomi
sono: malessere, febbre, sudorazione notturna, artralgie, anoressia e perdita di peso, che possono risultare
evidenti molto prima che si renda evidente il coinvolgimento vasale. Dolore e segni di ischemia di uno o più
organi sono caratteristici. I polsi corrispondenti al vaso interessato sono in genere assenti. Il decorso clinico

Malattie del sistema immunitario, del tessuto connettivo e delle articolazioni 16


può essere fulminante, gradualmente progressivo , oppure può stabilizzarsi. La morte è in genere dovuta a
insufficienza cardiaca o ictus.
Laboratoristicamente: VES elevata, modesta anemia, leucocitosi, aumento delle immunoglobuline sieri-
che.
Deve essere sospettata soprattutto in donne giovani che presentano diminuzione o assenza dei polsi pe-
riferici, discrepanze di pressione arteriosa e soffi arteriosi. La diagnosi è confermata all’angiografia. Si do-
vrebbe. Eseguire un’arteriografia completa dell’aorta è necessario per ottenere un quadro completo di e-
stensione e gravità.
Terapia. Il decorso è variabile e si può anche andare incontro a remissioni spontanee. Il trattamento con
prednisone alla dose di 40-60 mg/die riduce la sintomatologia ma non ci sono prove certe che prolunghi la
sopravvivenza. La combinazione di terapia steroidea per i segni e i sintomi acuti e di un aggressivo approc-
cio chirurgico o angioplastica sui vasi stenotici ha migliorato in modo rilevante la sopravvivenza e abbassato
la mortalità. In alcuni soggetti refrattari ai glucocorticoidi si è dimostrato utile il metotrexato a dosi fino a
25 mg/week.

PORPORA DI SCHÖNLEIN-HENOCH/PORPORA ANAFILATTOIDE


È una ben definita vasculite sistemica che interessa i piccoli vasi, caratterizzata da porpora palpabile
(perlopiù a glutei e arti inferiori), artralgie, segni di impegno gastrointestinale e glomerulonefrite. Si osserva
prevalentemente nei bambini, ma può verificarsi anche nei neonati e negli adulti. Non è rara. Sembra avere
una variazione stagionale.
Fisiopatologia e patogenesi. Sembra dipendi da deposizione di immunocomplessi. Numerosi fattori so-
no stati implicati: infezioni delle prime vie aeree, farmaci, alcuni alimenti, punture di insetto ed immunizza-
zioni. Le IgA si riscontrano più frequentemente negli immunocomplessi e nelle biopsie renali.
Clinica, laboratorio e diagnosi. La metà dei pazienti pediatrici esordisce con sintomi interessanti la cute,
l’intestino e le articolazioni. Il 70% degli adulti esordisce con manifestazioni cutanee. La tipica porpora si ri-
scontra virtualmente in tutti i pazienti. Frequenti sono le artralgie in assenza di una vera e propria artrite.
L’interessamento gastrointestinale si manifesta con coliche addominali, nausea, vomito, diarrea o stipsi,
con frequente emissione di feci mucosanguinolente. Il coinvolgimento renale è usualmente caratterizzato
da una modesta glomerulonefrite responsabile di proteinuria ed ematuria microscopica,con cilindri eritroci-
tari. In genere la nefropatia si risolve spontaneamente e solo raramente evolve verso una glomerulonefrite
rapidamente progressiva, che rappresenta la causa di morte più frequente nei pazienti con porpora di S.-H.
negli adulti la nefropatia può avere un decorso più insidioso. Un interessamento cardiaco può verificarsi
negli adulti, raramente nei bambini.
Il laboratorio dimostra leucocitosi lieve e, occasionalmente, eosinofilia. In metà dei pazienti si verifica in-
cremento delle IgA.

Malattie del sistema immunitario, del tessuto connettivo e delle articolazioni 17


Terapia. La prognosi è eccellente. Gren parte dei pazienti guarisce spontaneamente. Nel caso sia richie-
sta la terapia (uguale nei bambini e negli adulti) si basa su prednisone 1 mg/kg/die, con graduale riduzione
della dose in funzione della risposta clinica. I glucocorticoidi non sembrano tuttavia efficaci nel trattamento
della porpora e della nefropatia. L’uso di plasmaferesi combinata a farmaci immunosoppressori sembra es-
sere efficace contro la glomerulonefrite rapidamente progressiva.

VASCULITI CON PREVALENTE INTERESSAMENTO CUTANEO/VASCULITI DA IPERSENSIBILI-


TÀ/VASCULITI LEUCOCITOCLASTICHE
Nessuno dei termini sopra riportati è soddisfacente, data l’eterogeneità del gruppo. Il comune denomi-
natore è l’interessamento dei piccoli vasi della cute. Si pensa siano associate ad una risposta aberrante da
ipersensibilità a un antigene. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, non è possibile identificare alcun anti-
gene. Il termine più appropriato resta vasculiti con prevalente interessamento cutaneo, perché gli altri pos-
sono essere fuorvianti. Il quadro clinico è dominato dall’interessamento cutaneo, ma tutti gli organi posso-
no essere coinvolti.
Per quanto riguarda l’incidenza, sono nettamente più frequenti delle vasculiti sistemiche necrotizzanti.
La malattia si può presentare a qualsiasi età e senza prevalenza di sesso.
Fisiopatologia e patogenesi. Tipica è la presenza di una vasculite dei piccoli vasi. Le venule postcapillari
sono quelle più comunemente coinvolte. È presente leucocitoclasia (frammenti nucleari provenienti dai
neutrofili che hanno infiltrato la parete vasale o si sono localizzati attorno a essa durante la fase acuta di
malattia). Nella fase subacuta o cronica predominano gli infiltrati di cellule mononucleate e, alcune volte, di
eosinofili. Le vasculiti con prevalente interessamento sottocutaneo possono essere divise empiricamente in
due categorie principali sulla base del tipo di antigene possibilmente coinvolto nella reazione da ipersensi-
bilità. Nel primo gruppo sembra che l’antigene sia esogeno, mentre nella seconda categoria sembra coin-
volto un antigene endogeno.
Clinica, laboratorio e diagnosi. Prevalente è l’interessamento cutaneo. Le lesioni possono assumere il
tipico aspetto della porpora palpabile. Possono essere presenti pure macule, papule, vescicole, bolle, noduli
sottocutanei, ulcere e orticaria cronica o ricorrente. L’estensione ad altri organi può essere presente. Mani-
festazioni sistemiche quali febbre, senso di malessere, mialgie e anoressia possono comparire anche nei pa-
zienti con esclusivo interessamento cutaneo. Le lesioni cutanee possono essere pruriginose, dolorose, con
sensazioni di bruciore e formicolii.
Non esistono test di laboratorio specifici per la diagnosi. Generalmente: modesta leucocitosi e aumento
della VES. Il fattore reumatoide e le crioglobuline sono osservabili in alcuni casi. Indici di disfunzionalità di
singoli organi sono presenti se la malattia non si limiti al coinvolgimento cuteneo.
La diagnosi di certezza si ha dopo valutazione istologica della biopsia, solitamente cutanea. Sarebbe op-
portuno cercare di individuare l’agente eziologico. È necessario compiere un accurato esame obiettivo per

Malattie del sistema immunitario, del tessuto connettivo e delle articolazioni 18


escludere patologie sistemiche (in parallelo agli esami di laboratorio). Se necessario effettuare esami dia-
gnostici più invasivi.
VASCULITE FARMACO-INDOTTA
La vasculite può essere una tra le manifestazioni di reazione avversa a farmaci. Solitamente si presenta
come porpora palpabile, localizzata o generalizzata. È possibile osservare anche lesioni orticarioidi, ulcere e
vescicole emorragiche. I segni e i sintomi possono essere limitati alla cute o accompagnati da manifestazio-
ni sistemiche (febbre, malessere, poliartralgie). Tra i farmaci frequentemente interessati ci sono: allopuri-
nolo, tiazidici, sulfonamidi, fenitoina e penicillina.
MALATTIA DA SIERO E REAZIONI SIMILI
Sono caratterizzate da comparsa di febbre, orticaria, poliartralgie e linfadenopatia a distanza di 7-10
giorni dalla prima esposizione a proteine eterologhe o a farmaci non proteici. La maggior parte delle rea-
zioni descritte, tuttavia, non è legata alla vasculite.
VASCULITI ASSOCIATE AD ALTRE MALATTIE
La vasculite può far parte delle manifestazioni cliniche secondarie di molte condizioni morbose. Le più
frequenti sono le connettiviti (LES, artrite reumatoide e la s. di Sjögren). La forma più comune di queste ma-
lattie è una venulite dei piccoli vasi limitata alla cute. Alcuni pazienti possono sviluppare una vasculite ne-
crotizzante sistemica fulminante.
La crioglobulinemia può essere presente in diverse sindromi vasculitiche.
La vasculite può associarsi anche ad alcuni tumori maligni, specie di origine linfoide e reticoloendotelia-
le. Il quadro più tipico è quello di una venulite leucocitoclastica limitata alla cute. È bene ricordare la possi-
bile associazione tra la leucemia a cellule capellute e la PAN classica.
Una vasculite leucocitoclastica con prevalente interessamento cutaneo e coinvolgimento occasionale di
altri organi può essere una manifestazione di: endocardite batterica subacuta, infezione da virus di Epstein-
Barr, infezione da HIV, epatite cronica attiva e molte altre infezioni, retto colite ulcerosa, deficit congenito
del complemento, fibrosi retroperitoneale, cirrosi biliare primitiva.
Terapia delle vasculiti a prevalente interessamento cutaneo. Nella maggior parte dei casi si risolvono
spontaneamente. In altri casi il decorso è altalenante fino poi alla completa remissione. Nelle vasculiti ad
andamento cronico il trattamento è in genere insoddisfacente. Fortunatamente, dal momento che l’organo
maggiormente interessato è la cute, queste patologie non mettono in imminente pericolo di vita. Se si indi-
vidua l’agente scatenante, dovrebbe essere eliminato. Così come se la vasculite fa parte di un quadro asso-
ciato ad un’altra malattia sistemica. Se la malattia tende a cronicizzare e non si è individuata la causa, è op-
portuno pensare ad un trattamento. Generalmente la terapia di scelta è il prednisone alla dose di 1
mg/kg/die, per poi passare ad un regime più blando appena possibile. Se il paziente è refrattario ai gluco-
corticoidi è opportuno fare un tentativo con gli immunosoppressori (metotrexato e azatioprina, no ciclofo-
sfamide).

Malattie del sistema immunitario, del tessuto connettivo e delle articolazioni 19


MALATTIA DI KAWASAKI
È una malattia sistemica acuta, febbrile, tipica dell’età infantile. Non risponde agli antibiotici, presenta
linfadenopatia cervicale non purulenta, alterazioni a carico di cute e mucose (edema, infiammazione con-
giuntivale, eritema palmare, del cavo orale e delle labbra e desquamazione della cute della punta delle dita.
Solitamente è benigna e a risoluzione spontanea, ma nel 25% dei casi si può associare ad aneurismi delle
coronarie (solitamente durante la convalescenza, tra la terza e quarta settimana di malattia).
Vi è una tipica proliferazione dell’intima con infiltrazione della parete da parte di cellule mononucleate.
Lungo le arterie si possono osservare aneurismi “a grani” e trombosi. Altre manifestazioni sono: pericardite,
miocardite, ischemia e infarto del miocardio, cardiomegalia.
È verosimile che nella patogenesi della malattia siano coinvolte lesioni immuno-mediate dell’endotelio
vascolare. È stata dimostrata un’aumentata attivazione del sistema immunitario. È stata segnalata una
stretta correlazione tra la malattia di Kawasaki e una nuova forma di S. Aureus capace di rilasciare la toxic
shock syndrome toxin 1, il che suggerisce che esso sia l’agente causale.
Se si escludono i pazienti che sviluppano complicanze fatali (2.8%), la prognosi è eccellente ed in genere
si va verso la guarigione senza problemi. Le alterazioni delle coronarie possono essere prevenute con la
somministrazione di ɣ-globuline per via endovenosa e acido acetilsalicilico.

VASCULITE ISOLATA DEL SNC


È una patologia rara, caratterizzata dalla presenza di vasculite limitata ai vasi del SNC. Possono essere in-
teressati i vasi di ogni calibro. Sono presenti infiltrati mononucleati con o senza la formazione di granulomi.
Alcuni casi si sono verificati in pazienti con malattia di Hodgkin, infezione da VZV o CMV, sifilide, infezione
da piogeni e in soggetti che abusano di amfetamine. In molti casi la malattia di base non è rilevabile.
I pazienti possono accusare: cefalea grave, alterazioni psichiche e difetti neurologici focali. Sono in gene-
re assenti sintomi sistemici. Possono insorgere gravi alterazioni neurologiche. La diagnosi è sospettata
all’arteriografia e confermata alla biopsia del parenchima e delle leptomeningi. La prognosi della malattia è
sfavorevole e presenta remissione spontanea solo raramente.
La terapia si basa anche in questi casi su glucocorticoidi, in associazione o meno alla ciclofosfamide.
Sembra che la terapia sia in grado di indurre remissioni cliniche prolungate in una piccola percentuale di
pazienti.

Malattie del sistema immunitario, del tessuto connettivo e delle articolazioni 20


ARTRITE REUMATOIDE
malattia sistemica cronica ad eziologia sconosciuta. L'elemento caratteristico è l'infiammazione sinoviale
che determina danno cartilagineo, erosioni ossee e deformità articolari. Nonostante le sue potenzialità di-
struttive può presentarsi in maniera eterogenea. Ha una prevalenza dello 0,8%. Colpisce le donne soprat-
tutto e con un rapporto 3:1 rispetto agli uomini. L'incidenza aumenta con l'età e abbiamo tre picchi: al ter-
mine dell'adolescenza, tra la quarta e la quinta decade e tra i 60-70 anni.

eziologia: rimane sconosciuta ma son stati chiamati in causa diversi fattori:

- genetici: l'importanza dei fattori genetici è dimostrata dal fatto che il 60% dei pz esprime molecole HLA di
classe II in particolare DR1 e DR4. tali fattori sono responsabili della suscettibilità alla malattia e alla gravità
della stessa. al contrario HLA 2 e 5 ad esempio sono associati ad una bassa incidenza. inoltre ca. 80% pz è
positivo per il FR.

- infettivi: è stato ipotizzato che possa essere secondario al contato con un determinato agente infettivo in
soggetti geneticamente predisposti ( infezione da mycoplasma, ebv, cmv, parvovirus, rosolia). il meccani-
smo attraverso cui l'agente infettivo determina la malattia cronica è ancora dibattuto; alcune proposte so-
no le seguenti: infezione cronica a livello delle strutture articolari, strutture appartenenti agli agenti infettivi
potrebbero essere trattenute nella sinovia provocando una flogosi cronica, il microrganismo o la risposta a
quest'ultimo potrebbero indurre una risposta immunitaria contro componenti articolari, azione di prodotti
di degradazione di microrganismi infettanti come i superantigeni

la lesione più precoce è un danno microvascolare seguito poi da una proliferazione delle cellule sinoviali. La
sinovia vascolarizzata permette poi l'infiltrazione perivascolare di leucociti mononucleati. Se l'iniziatore del-
la malattia non è conosciuto, invece sappiamo che la propagazione è immunomediata. le manifestazioni si-
stemiche possono essere determinate dal rilascio di molecole flogogene a livello della sinovia (in particolare
IL 1,6 e TNF).

clinica: nei 2/3 dei casi l'esordio è insidioso perché compaiono sintomi aspecifici quali astenia, feb-
bre,mialgia, anoressia. I sintomi più specifici invece compaiono gradualmente: vengono coinvolte più arti-

Malattie del sistema immunitario, del tessuto connettivo e delle articolazioni 21


colazioni soprattutto le distali. Il sintomo più importante è il dolore che origina dalla capsula articolare am-
piamente innervata. Caratteristica è la rigidità al mattino che dura più di un'ora: durante la notte ho un
aumento della produzione delle citochine infiammatorie. Questa infiammazione della sinovia oltre al dolore
e alla limitazione del movimento dà rigonfiamento per accumulo di liquido sinoviale, ipertrofia della sinovia
e ispessimento capsulare. L'artrite in genere è simmetrica con coinvolgimento delle articolazioni interfalan-
gee prossimali, le metacarpofalangee, gomito, ginocchio e avampiede. il persistere delle flogosi porta a las-
sità dei tessuti molli, indebolimento di legamenti/tendini/capsule articolari e distruzione della cartilagine. il
risultato finale sarà la deformazione articolare. la deformità a collo di cigno (iperestensione dell'IF prossi-
male e flessione dell'IF distale), deformità a bottone in occhiello ( contrario della precedente), dita a martel-
lo. caratteristica è anche la cisti di beker a livello del cavo popliteo che rompendosi può dare ematoma.

manifestazione sistemiche sono i noduli reumatoidi sulla superficie estensoria delle articolazioni o in aree
esposte a sollecitazioni meccaniche, nel polmone si ha fibrosi polmonare/pleurite/pleuropericardite, vascu-
lite, nell'occhio si ha xeroftalmia/uveite/sclerite e infine manifestazioni neurologiche come la neuropatia
del mediano.

forme particolari dell'AR sono la sindrome di Caplan (AR con silicosi), sindrome di Felti (AR con splenolinfo-
adenomegalia e granulocitopenia), malattia di Still (AR giovanile con febbre, esantema, pleuropericardite
ed epatosplenomegalia).
Swan neck fingers

diagnosi:

- laboratorio: VES e PCR elevati, anemia normocitica normocromi-


ca, FR positivo (è un autoanticorpo che reagisce con le Ig G NB il
FR è positivo nel 5% della popolazione normale e lo ritroviamo in
altre malattie per cui è un marker aspecifico). l'analisi del liquido
sinoviale dimostra l'artrite infiammatoria. Boutonniere deformity

- esami strumentali: l'eco articolare mostra il versamento e il panno sinoviale, l'RX le erosioni, la RMN mo-
stra iperplasia sinoviale/danni cartilaginei ed articolari, scintigrafia.

NB criteri dell'american college of reumatology:

1. rigidità mattutina per più di 1 h

2. artrite a carico di almeno 3 articolazioni

3. artrite delle articolazioni di mano o delle dita

4. simmetricità

5. noduli reumatoidi

6. FR positivo

7. alterazioni radiologiche tipiche delle mani

prognosi: il decorso è variabile da pz a pz ma sicuramente il problema principale è la forte invalidità. la so-


pravvivenza è di 3-7 anni ridotta rispetto al popolazione generale e la mortalità per infezioni ed emorragie
gastrointestinali è legata alle forme particolarmente gravi .

terapia: prevede la somministrazione di antibiotici ed antinfiammatori. se il pz non risponde ai FANS, uso

Malattie del sistema immunitario, del tessuto connettivo e delle articolazioni 22


farmaci antireumatici modificatori della malattia cioé:

- metotrexato che è un immunosoppressore. effetti avversi sono ulcerazioni della mucosa,citopenia, cirrosi
e polmonite

- leflunomide agisce sulla diidrorotato deidrogenasi (DHODH) dei linf t autoimmuni in modo da bloccare la
produzione dell'uridina monofosfato precursore per la sintesi dell' rna e dei precursori per la sintesi del
dna. effetti avversi sono cefalea, diarrea, nausea, calo ponderale, allergia, alopecia, ipokaliemia.

- D-penicillamina: analogo dell'aa cisteina. l'uso prolungato dà problemi dermatologici, nefrite,anemia apla-
stica.

la terapia anticitotica comprende invece:

- etanercept che blocca il TNF ed è ben tollerato

- infliximab è un anticorpo monoclonale IgG che lega TNF alfa. al momento dell'infusine dà febbre, brividi,
prurito, orticaria.

- adalimurab anch'esso è un anticorpo monoclonale legante TNF alfa. dà cefalee, nausea ed eruzioni cuta-
nee

- anakinra è un antagonista del recettore per l'IL1

Malattie del sistema immunitario, del tessuto connettivo e delle articolazioni 23


LUPUS ERITEMATOSO SISTEMICO
malattia ad eziologia sconosciuta caratterizzata da lesioni tissutali e cellulari provocate da autoanticorpi e
dalla deposizione di immunocomplessi patogeni. Nel 90% dei casi parliamo di donne in età fertile ma qual-
siasi fascia d'età potrebbe essere colpita.

eziologia: alla base si ha un'alterazione immunologica che comporta iperattività dei linfociti B e T, inadegua-
ta regolazione dell'attività linfocitaria e una continua produzione anticorpale. Il tutto avviene in soggetti
con dei fattori predisponenti (sesso femminile, famigliarità, etnia, pacchetti genetici alterati come i geni
DQA e B e molti altri) in cui intervengono fattori ambientali come ad esempio i raggi UV e infezioni da EBV.
Queste anomalie portano alla produzione di autoanticorpi e alla formazione di immunocomplessi in tessuti
target. Le cellule dell'ospite attaccate dalle Ig vengono sequestrate e distrutte grazie all'attivazione dello
tesso sistema immunitario cioè attivazione del complemento, chemochine, peptidi vasoattivi ed enzimi va-
ri. La maggior parte di questi autoanticorpi sono:

- anti-DNA/proteina

- anti-RNA/proteina

- anti-nucleosomi

- anti-RNA nucleolari

- ANA (anticorpi anti-nucleo:incidenza del 98%)

clinica: all'esordio può coinvolgere anche un solo organo o al contrario può esordire come malattia sistemi-
ca. Comprende sia forme lievi e intermittenti che forme persistenti e rapidamente fatali. In molti si hanno
recidive seguite da periodi di quiescenza relativa nel senso che una vera e propria remissione (che permette
quindi di sospendere anche la terapia)avviene in meno del 20% dei pz. Vediamo i segni e sintomi.

- sistemici: stanchezza, malessere, febbre, anoressia, calo ponderale e nausea

muscolo-scheletrici: artralgia, mialgia (in fase attiva della malattia o come conseguenza del trattamento con
glucocorticoidi che dà ischemia alle ossa delle grandi articolazioni), artriti intermittenti (dolore è spropor-
zionato rispetto all'obiettività; le articolazioni metacarpofalangee e quelle interfalangee prossimali sono le
più coinvolte e raramente ho deformità ossee benché posso in una piccola percentuale vedere deviazioni
ulnari di mani e piedi e collo a cigno).

- cutanei: nel LES osservo il tipico eritema a farfalla che indica una malattia attiva (copre il dorso del naso e
si porta sulle guance. E' costante, piano/rilevato e fotosensibile). Nella variante discoide del LE ho invece
lesioni circolari con margine eritematoso sollevato, squamoso e con teleangectasie. Nel LES posso trovare
anche lesioni vasculitiche come porpora e ulcere dolenti della mucosa orale o nasale.

Malattie del sistema immunitario, del tessuto connettivo e delle articolazioni 24


- renali: i depositi di immunocomplessi causano glomerulonefri-
te all'inizio asintomatica e che poi evolve in una sindrome nefro-
sica. La biopsia mi permette di identificare il tipo di lesione (es
proliferativa focale vs la forma diffusa) e in base alla risposta
scegliere il percorso terapeutico. Alcune forme evolvono difatti
velocemente nell'insufficienza renale.

- SN: sia il centrale che il periferico possono essere coinvolti per


cui la sintomatologia è molto variabile (psicosi, alterazioni stato
di coscienza, neuropatie, disfunzione ipotalamica, alterazioni endocrine, pseudotumor cerebri e convulsioni
sono alcuni esempi)

- vascolare: trombosi in vasi di ogni calibro. Questi pz sono difatti a rischio di ictus cerebrali e cardiopatia
ischemica

- ematologiche: pancitopenia,linfocitopenia e più raramente emorragia da Ig diretti verso i fattori della coa-
gulazione.

- cardio-polmonari: pleurite, pericardite con rischio ti tamponamento cardiaco, endocardite specie a carico
delle valvole di sx , miocardite

- gastro-enterici: la presentazione più grave è la vasculite intestinale che si presenta con vomito, diarrea a e
dolori crampiformi con rischio di perforazione e peritonite quindi è una condizione d'emergenza. Altre volte
invece ho sintomi più lievi con senso generale di malessere. Possono essere coinvolti pancreas e fegato.

- oculari: anche qui la forma più grave è la vasculite retinica per cui devo intervenire in modo rapido e ag-
gressivo con una terapia immunosoppressiva per evitare cecità nel giro di pochi giorni.

Diagnosi: 1.clinica 2.esami di laboratorio (ANA, citopenie, cilindruria, proteinuria, ematuria microscopica,
aumento di VES e PCR, altri autoanticorpi)

Prognosi: la sopravvivenza a due anni è del 92% e arriva a 63% a 20 anni di distanza. L'invalidità è però co-
mune. Il pz eventualmente muore nei primi anni per infezioni e insufficienza renale o altre situazioni legate
al LES attivo mentre nella seconda decade per eventi tromboembolici. La probabilità di andare incontro a
periodi di remissione aumenta a ogni decade dopo la diagnosi.

Terapia: per le forme lievi in cui ho artrite, dolore ma nessun coinvolgimento degli organi maggiori allora
uso FANS specie COX-2 selettivi e immunomodulatori come la idrossiclorochina a 400mg/die. Nelle forme
gravi invece in cui il pz è in pericolo di vita faccio terapia steroidea ad alte dosi (1-2 mg/kg/die), agenti cito-
tossici come la ciclofosfamide o eventualmente trapianto ed emodialisi cronica.

Malattie del sistema immunitario, del tessuto connettivo e delle articolazioni 25


SINDROME DI SJORGEN
Malattia autoimmune a decorso lentamente progressivo caratterizzata da un'infiltrazione linfocitaria delle
ghiandole salivari e lacrimali, ed eventualmente altre ghiandole esocrine (mucosa respiratoria, genitale, cu-
te), che determina due sintomi caratteristici cioè xerostomia e secchezza oculare. Un terzo dei pz presenta
manifestazioni extraghiandolari e possono presentare linfoma maligno.

Colpisce soprattutto donne di media età ma possono essere interessate tutte le età. La prevalenza è al
massimo dell'1% e il rapporto femmine-maschi è 9 a 1. Si presenta in modo isolato cioè nella sua forma
primitiva ma la troviamo nella sua forma secondaria in associazione ad altre patologie autoimmuni riporta-
te in questo file.

Eziopatogenesi: i due meccanismi autoimmuni più importanti sono l'infiltrazione linfocitaria delle ghiandole
esocrine e l'iperattività dei linfociti B che determina la comparsa di autoanticorpi.

Nel siero dei pz si possono osservare autoanticorpi diretti verso antigeni non organo-specifici come le Ig
(fattori reumatoidi) e gli antigeni nucleari o citoplasmatici estraibili (Ro/SS-A e La/SS-B). La presenza di
quest'ultimi autoanticorpi riportati nell'ultima parentesi è associata ad un esordio precoce della malattia,
ad una maggior durata dell'ingrossamento delle ghiandole salivari, all'estensione dell'infiltrato linfocitario
nelle gh. salivari minori e alle manifestazione extraghiandolari. Altri anticorpi rinvenuti sono quelli diretti
verso l'alfa-fordina che è una proteina specifica delle gh. salivari. In generale nell'infiltrato trovi linfociti B e
T attivati. E' importante notare che le cellule duttali e acinari sembrano svolgere un ruolo fondamentale
nell'inizio e mantenimento del danno autoimmune dal momento che producono molecole pro-
infiammatorie che richiamo i linfociti ed esprimono sulla loro superficie autoantigeni nucleari. Studi immu-
nogenetici hanno rivelato una maggior frequenza degli Ag di istocompatibilità HLA tipo B8 e DR3.

Clinica: la forma primitiva decorre in modo lento e benigno. Tra la comparsa dei primi sintomi spesso molto
aspecifici e la comparsa di un quadro conclamato possono passare anche 10 anni.

- cavo orale: ho xerostomia per cui i pz avvertono difficoltà nel deglutire, nel parlare speditamente, riferi-
scono bruciore della bocca e presentano una maggior predisposizione alle carie. L'applicazione delle protesi
dentarie risulta difficoltosa. La maggior parte presenta un lieve aumento di volume delle ghiandole. Test u-
tili sono la sialometria, la sialografia, la scintigrafia, la biopsia (sensibilità massima quando fatta a livello del-
le gh. salivari minori labiali). NB saliva normale è di ca. 0,3 ml/min.

- oculare: i pz lamentano secchezza oculare (senso di sabbia sotto le palpebre), bruciore oculare, accumulo
di filamenti spessi a livello dell'angolo mediale dell'occhio, arrossamento congiuntivale, lacrimazione ridot-
ta, prurito e facile affaticabilità alla luce. la sintomatologia è dovuta alla cheratocongiuntivite secca svilup-
patasi. Test importante è quello di Schimer: si pone un pezzo di carta assorbente all'angolo dell'occhio e
dopo pochi minuti si valuta la lunghezza della carta assorbente inumidita (se la macchia è < 10 mm ho ipo-

Malattie del sistema immunitario, del tessuto connettivo e delle articolazioni 26


secrezione).

- at ghiandole: secchezza nasale, faringea e tracheale, dispareunia, ridotta digestione per quanto concerne
il tratto GI

- extraghiandolare: artrite, fenomeno di Raynaud (vasocostrizione che avviene quando passa da luoghi caldi
a freddi o per stimoli del simpatico es emozione e che causa una colorazione bluastra alle estremità delle
dita), nefrite interstiziale, vasculite specie a carico di vasi del SNC, linfoma.

diagnosi:

1. secchezza oculare e/o orale

2. test schimer positivo

3. valutazione del cavo orale positivo

4. autoanticorpi 5.biopsia

terapia: per l'occhio lacrime artificiali e pilocarpina a 5 mgx3/die via orale; per la xerostomia pilocarpina;
con l'artrite i FANS; con la nefrite bicarbonati; con la vasculite uso i corticosteroidi.

Malattie del sistema immunitario, del tessuto connettivo e delle articolazioni 27


MIASTENIA GRAVIS

E' una malattia neuromuscolare caratterizzata da ipostenia ed affaticabilità dei


muscoli scheletrici.

epidemiologia: colpisce 1 ogni 7500 soggetti di tutte le età (20 a 70 anni; i pz più giovani sono generalmente
le femmine).

fisiopatologia: in breve ricordiamo che un potenziale del nervo causa il rilascio di Ach dalla membra presi-
naptica. L'Ach si lega poi al suo recettore a 5 subunità e permette l'entrata del sodio innescando cosi il po-
tenziale muscolare che permetterà la contrazione. L'Ach viene rapidamente rimossa dall'enzima acetilcoli-
nesterasi. Passiamo alla patologia: il difetto principale è la diminuzione dei recettori per l'Ach disponibili
sulla membrana post-sinaptica; inoltre le digitazioni post-sinaptiche sono appiattite. il tutto è causato dalla
produzione di anticorpi diretti contro l'AchR che causano un turnover aumentato del recettore che viene
perciò degradato. GLI anticorpi inoltre interferiscono con il vero ligando cioè l'Ach e mediano una lisi com-
plemento-mediata. L'Ach quindi è prodotta a livello presinaptico ma non riesce a legarsi. Il meccanismo
immunitario di sregolazione non è chiaro ma sembra esser dato da una mancata soppressione di linf T au-
toreattivi a livello timico (NB nei giovani la miastenia gravis è correlata a iperplasia timica mentre nell'an-
ziano al timoma).

clinica: sintomi cardini sono l'affaticabilità e l'ipostenia che compaiono con l'esercizio muscolare quindi so-
no presenti durante il giorno, di notte il pz riposa per cu al mattino non li trovo. Per evidenziarli alla visita se
non sono già presenti chiedo al pz di aprire-chiudere le palpebre ripetutamente, lo stesso con il pugno op-
pure lo faccio camminare. Vengono interessati prima i muscoli più piccoli e quelli usati di pi. Nei 2/3 dei casi
il primo segno è la ptosi palpebrale. La muscolatura estrinseca dell'occhio alterata dà inoltre strabismo e
diplopia; quella orofaringea disfagia/disfonia/disartria; quella degli arti dà limitazione nel sollevare i pesi o a
fare le scale (sono interessati i muscoli prossimali anche in modo asimmetrico). Pz presenta dispnea. Quan-
do sono coinvolti i muscoli della respirazione compare la crisi miastenica cioè IRA che può portare a morte il
pz. Nel pz con miastenia di lunga data osservo poi la facies tipica cioè sonnolenta.

decorso: i peggioramenti possono presentarsi in seguito a febbre, gravidanza, stress, infezioni. Per cui ha un
andamento fluttuante.

Diagnosi: 1.clinica 2. EMG: osservo una risposta decrementale alla stimolazione ripetuta del muscolo (cioè
aumentando la frequenza di stimolo ho una sempre più ridotta risposta elettrica del muscolo) 3.test al ten-
silon: è un inibitore dell'acetilcolinesterasi. La sua durata d'azione è di ca. 2 minuti. somministro 2-5 mg via
ev e vedo che il pz migliora per qualche minuto e poi torna a peggiorare 4. dosaggio degli anticorpi anti-
AchR (NB nel 30% dei pz non trovo questi anticorpi ma altri come anti-MuSK) 5.TC/RM mediastino

Malattie del sistema immunitario, del tessuto connettivo e delle articolazioni 28


terapia è sintomatica: uso farmaci anticolinesterasici (pirigostigmina via orale con cpr da 60 mg è a più usa-
ta). La terapia curativa prevede invece l'utilizzo di immunosoppressori e plasmaferesi oppure la sommini-
strazione di Ig via ev. Tra gli immunosoppressori ricordiamo il prednisone (parto da 15-25 mg/die e aumen-
to man mano in base alla clinica del pz) oppure l'azatioprina (parto da 50 mg/die) oppure la ciclosporina (5
mg/kg/die e spesso in associazione col glucocorticoide in modo da ridurre il dosaggio cortisonico visti gli ef-
fetti collaterali di una terapia a lungo durata). In caso di crisi miastenica sono importanti l'antibiotico visto
che spesso l'IRA è dovuta ad un'infezione, assistenza respiratoria, FKT polmonare, plasmaferesi e Ig via ev
possono accelerare la guarigione. Importante è poi valutare un'eventuale timectomia per quanto riguarda
l'approccio chirurgico.

Malattie del sistema immunitario, del tessuto connettivo e delle articolazioni 29


SCLERODERMIA (sclerosi sistemica)
È una malattia cronica multisistemica ad eziologia sconosciuta caratterizzata da fibrosi della cute per accu-
mulo di tessuto connettivo e da alterazioni strutturali e funzionali degli organi interni.

epidemiologia: ha una prevalenza di 20-75 casi ogni 100.000 abitanti, un'incidenza di 20 casi/1milione di a-
bitanti/anno e colpisce soprattutto il sesso femminile.

Dal punto di vista classificativo riconosciamo la sclerodermia cutanea diffusa (rapido e simmetrico interes-
samento cutaneo delle estremità prossimali e distali ma anche tronco e volto), la sclerodermia cutanea li-
mitata (ispessimento cutaneo simmetrico limitato alle dita o alle estremità distali e al volto. è conosciuta
come sindrome CREST-acronimo di calcinosi, fenomeno Raynaud,alterazione motilità esofagea, sclerodatti-
lia, teleangectasia), sclerodermia localizzata (coinvolge la cute, sottocute e muscoli ma non ho interessa-
mento sistemico. la variante morfea si presenta con placche singole o multiple di indurimento cutaneo; la
lineare invece interessa un'estremità o il volto).

eziopatogenesi:

Le cause sono sconosciute. son stati chiamati in causa fattori genetici, ambientali, immunologici e un danno
vascolare. le caratteristiche cliniche derivano da un'eccessiva produzione e accumulo di collagene e di altre
proteine della matrice extracellulare come la fibronectina, la fibrillina 1 e GAG a livello cutaneo e di altri or-
gani. in soggetti predisposti geneticamente intervengono fattori ambientali (infezioni, polveri etc) che cau-
sano un danno vascolare e un'attivazione del sistema immunitario. il danno alle cellule endoteliali è preco-
ce e causa una condizione che favorisce la vasocostrizione e l'ischemia tissutale. infatti l'endotelio danneg-
giato produce ridotte quantità di prostaciclina (importante vasodilatatore e inibitore dell'aggregazione pia-
strinica). in seguito al danno si ha quindi aggregazione piastrinica, rilascio di trombossano A2 e di fattori mi-
togeni per le cellule muscolari e per i fibroblasti. la fibrosi vascolare è alla base del fenomeno di Raynaud
ma ricorda che la fibrosi avviene in maniera multisistemica es nel polmone, nel cuore e at. In questo quadro
intervengono anche cellule T, macrofagi e cellule endoteliali che rilasciano citochine che mediano la fibrosi.

clinica:

- cute: in genere esordisce con coinvolgimento delle mani e nel 95% dei casi comincia col fenomeno di Ra-
ynaud (consiste in una crisi acroasfittica delle estremità degli arti e si manifesta attraverso la classica triade
di impallidimento cereo cioè fase ischemica, cianosi cioè vasoparalisi e arrossamento cioè ripresa della
normale circolazione. Generalmente la crisi è scatenata dall’esposizione al freddo, ma può essere indotta
anche da fattori emotivi. Benché la localizzazione più classica sia alle dita delle mani, il fenomeno di Ra-
ynaud può interessare anche quelle dei piedi e, meno frequentemente, la punta del naso, le orecchie e la
lingua.)Dopo la cute diventa dura e tesa evolvendo verso un quadro di sclerodattilia con mani ad artiglio.
altre manifestazioni cutanee possono essere la facies sclerodermica dovuta alla rigidità mimica generale del

Malattie del sistema immunitario, del tessuto connettivo e delle articolazioni 30


volto, microstomia per il restringimento della rima orale, discromie cutanee e teleangectasie.

- at organi: nel tratto gastrointestinale dà disfagia per sostituzione fibrosa della muscolatura orofaringea,
nei polmoni dà fibrosi polmonare con alterazioni ventilatorie restrittive, nel cuore ho cardiomiopatia re-
strittiva ed aritmie, a livello renale d infarti renali multipli ed ipertensione nefrogena.

la sclerodermia cutanea diffusa in cui sono coinvolti anche gli organi interni nel 40% casi i pz sono positivi
all' Ab anti topoisomerasi 2 mentre la CREST (sclerodermia limitata) nel 70% casi è positiva ad anticorpi an-
ti-centromero.

diagnosi: 1.clinica 2.laboratorio (gli anticorpi visti sopra) 3.capillaroscopia 4.biopsia cutanea

A - Quadro capillaroscopico osservabile nel soggetto sano.

B - C - D - Quadri capillaroscopici rappresentativi delle alterazio-


ni della rete capillare osservabili nella patologia sclerodermica:
fenomeni trombo-emorragici, angiogenesi, sovvertimento archi-
tettonico della rete e riduzione della densità capillare.

Prognosi è variabile e difficilmente formulabile finché non assume le caratteristiche cliniche di uno dei vari
sottogruppi. la morte avviene per complicanze cardiache, renali e polmonari. la prognosi è migliore per la
forma limitata che ha una sopravvivenza a 10 anni del 75% mentre nella forma diffusa è del 55%. NB dopo
anni di malattia la cute può ammorbidirsi spontaneamente e avviene con andamento inverso a quello di in-
sorgenza: dal tronco va alle estremità prossimali e poi distali. la sclerodattilia e le contratture possono co-
munque persistere. lo spessore cutaneo può quasi tornare alla norma ma la cute rimane atrofica.

Terapia: il trattamento non è curativo ma sintomatico.

- nello stadio precoce: glucocorticoidi (prednisone con dose iniziale di 40-60 mg/die per ridurre l'edema cu-
taneo, la miosite e la pericardite. non indicato per trattamento a lungo termine)

- nei casi gravi cioè rapidamente progressivi:immunosoppressori (azatioprina, metotrexato, ciclofosfamide)

- importante è la profilassi del fenomeno di Raynaud: evitare i fattori che inducono vasocostrizione ad es
freddo, stress, fumo, amfetamine; possono essere usati farmaci che evitano la vasocostrizione inibendo il
simpatico, calcio antagonisti, inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina etc

- in caso di ipertensione: ace-inibitori

- in caso di disturbi trofici delle estremità: analoghi delle prostaglandine.

Malattie del sistema immunitario, del tessuto connettivo e delle articolazioni 31

Potrebbero piacerti anche