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ANATOMIA PATOLOGICA

ARTERIOSCLEROSI = termine generico che descrive un processo di ispessimento, sclerosi e perdita di


elasticità a carico delle pareti dei vasi arteriosi. Comprende tre quadri:
1) Aterosclerosi
2) Sclerosi calcifica della media (di Monckeberg)
3) Arteriolosclerosi

Aterosclerosi: in passato veniva considerata una malattia degenerativa-iperplastica, perché si ha un


accumulo di lipidi a livello della tonaca intima ma anche una iperplasia delle cellule muscolari lisce della
parete vasale, dalla media verso l’intima. Oggi invece si considera piuttosto una patologia infiammatoria.
L’aterosclerosi si definisce come una malattia caratterizzata dalla presenza di ateromi (placche fibro-
lipidiche), dove la componente fibrotica e quella lipidica variano a seconda dei vasi, corrispondendo a
diversi stadi evolutivi della placca stessa.

L’aterosclerosi è una patologia stenosante (quando le placche si estendono in senso centripeto: occludono
il lume causando ischemia) ma anche ectasizzante (quando le placche si estendono in senso centrifugo,
alterando la parete vasale e causando quindi aneurismi, rotture, trombi ed emboli).
Le sedi maggiormente colpite sono le arterie elastiche (aorta, iliache, carotidi), le muscolari di grande e
medio calibro (coronarie, poplitee) e le arterie encefaliche.

Fattori di rischio: età avanzata, sesso maschile, fattori genetici, fumo, diabete, ipertensione, iperlipidemia,
iperomocisteinemia, alterazione dei fattori della coagulazione.

Patogenesi: innanzitutto si instaura un danno cronico a carico dell’endotelio, causato da stress


emodinamico e/o sostanze nocive. Questo danno porta a una disfunzione endoteliale, con espressione di
molecole di adesione. Nei pazienti affetti da ipercolesterolemia si ha il passaggio di LDL nell’intima, dove
esse vengono ossidate e determinano l’attivazione delle cellule endoteliali. A questo punto anche i monociti
penetrano nell’intima, si trasformano in macrofagi e ossidano le LDL: si scatena una reazione flogistica, con
produzione di citochine, ulteriore danno endoteliale e attivazione delle piastrine. I macrofagi diventano
cellule schiumose (foam cells) e inducono la proliferazione e la migrazione delle cellule muscolari lisce dalla
media verso l’intima e la produzione di MEC (collagene, elastina, glicoproteine, proteoglicani…). La
persistenza degli stimoli porta alla comparsa dell’ateroma.

Inizialmente si forma una stria lipidica, che si sviluppa nei giovani a livello delle biforcazioni dei vasi (dove è
maggiore lo stress emodinamico) ed è una condizione non occlusiva, potenzialmente reversibile – si tratta
di una reazione flogistica finalizzata ad impedire che si accumulino lipidi nella parete del vaso.
Nella stria lipidica, da un punto di vista microscopico, non ci sono lipidi extra-cellulari e nemmeno cristalli di
colesterolo, ma si possono osservare le cellule schiumose.
Macroscopicamente le strie lipidiche non sporgono nel lume; si vedono chiazze giallastre che possono
confluire in strie rilevate; microscopicamente si rilevano le cellule schiumose, ovvero dei monociti-
macrofagi che hanno fagocitato lipidi (intracellulari).

Poi questa lesione può evolvere in placca ateromatosa vera e propria, che presenta un nucleo centrale
lipidico (contenente colesterolo e suoi esteri) e un cappuccio fibroso. La placca si trova a livello intimale ed
è costituita da cellule (muscolari lisce, macrofagi, linfociti, cellule giganti vicino ai cristalli di colesterolo), da
tessuto connettivo della MEC e da lipidi intra- ed extra-cellulari.

Da un punto di vista microscopico, i cristalli di colesterolo vengono rimossi nella fase di preparazione del
vetrino per cui saranno visibili come immagini al negativo (forma lanceolata). La parte di fibrosi si presenta
con fibre collagene, che sono compatte ed eosinofile. È possibile osservare trombosi sia nel lume –

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trombosi occlusiva – sia nello spessore della parete – trombosi murale. Se ci sono depositi di calcio, essi
appaiono blu perché sono basofili.
Le placche si presentano macroscopicamente di colore bianco-giallastro e tendono a protrudere nel lume
del vaso; hanno dimensioni tra 0,3 e 1,5 cm di diametro, ma possono anche confluire. Si possono osservare
punti di rottura, calcificazioni, trombosi, emorragie, ulcerazioni, stenosi e aneurismi, soprattutto nell’aorta.

Le placche possono essere:


1) Stabile (statica): prevalentemente fibrosa, l’endotelio è integro e c’è una componente flogistica
modesta. La crescita è lenta e quindi si possono formare circoli collaterali (quadri di ischemia cronica).
2) Instabile (dinamica): ha un ampio nucleo lipidico con cappuccio fibroso sottile e ampia componente
infiammatoria. Va facilmente incontro a rottura e si complica con trombosi ed embolie (ischemia
acuta).

L’aterosclerosi può essere spontanea oppure accelerata (malattia grave per morfologia e numero delle
lesioni, in soggetti a rischio – iperlipidemia, fumo, ipertensione); può colpire anche il circolo polmonare se
presente ipertensione polmonare (30-40 mmHg).

Complicanze: rottura, perforazione, ulcerazione del cappuccio fibroso, formazione di trombi occlusivi o
murali, embolizzazione di colesterolo o ateroemboli, stenosi e occlusione del vaso, indebolimento della
parete con ectasia e dilatazioni aneurismatiche, neo-vascolarizzazione, emorragie dei vasa vasorum,
calcificazioni focali o diffuse, formazione di flap.

Quando si ha una piccola fissurazione del cappuccio fibroso il sangue penetra nella placca e si ha la
liberazione di sostanze protrombotiche o vasocostrittrici  spasmo, stenosi. Quando invece la fissurazione
è ampia, il sangue entra nell’ateroma determinando embolia di materiale ateromasico e trombosi dei vasi
(es. rene, cuore).
Quando il cappuccio fibroso si rompe ma mantiene una continuità con l’intima, allora si ha la formazione di
un flap (lembo), che impedisce il passaggio di sangue.
Quando si ulcera il cappuccio, si possono avere spasmi della parete e trombosi; se l’ulcera avviene nella
media si ha aneurisma della parete.

Clinica: dipende sostanzialmente dalla modalità di formazione della placca e dalle sue caratteristiche
dinamiche. È possibile avere quadri di ischemia (IMA, ictus, claudicatio intermittens), aneurismi e dissezioni
aortiche etc.

Arteriolosclerosi: indica un ispessimento delle pareti vascolari a carico dei vasi intraparenchimali, portando
a stenosi e quindi a ischemia del tessuto interessato. Questo processo è strettamente legato
all’ipertensione e individua tre possibili quadri:

1) Arteriolosclerosi ialina: è associata a ipertensione benigna o a normotensione e si vede nei pazienti


anziani, soprattutto se diabetici. Si perde la normale struttura delle parteti delle arteriole, che vengono
sostituite da materiale ialino eosinofilo. Questo determina un difetto di irrorazione a valle; gli organi
maggiormente colpiti sono:
o Rene: l’ischemia porta all’atrofia dei glomeruli e dei tubuli. Macroscopicamente si vedono dei solchi
nel parenchima renale, affiancati da zone iperfunzionanti o normofunzionanti – che appaiono come
delle rilevatezze. Il quadro prende il nome di nefrocirrosi o nefrosclerosi benigna.
o Encefalo, in particolare i nuclei della base. Si hanno delle gravi emorragie cerebrali.
2) Arteriolosclerosi iperplastica: è associata ad ipertensione maligna, con valori di pressione diastolica >
120 mmHg. Colpisce elettivamente il rene, con modificazioni diverse  proliferazione di cellule
muscolari lisce con aspetto “a bulbo di cipolla”. Microscopicamente il lume del vaso è assente e le
cellule muscolari lisce sono disposte “a bersaglio”. Questa condizione porta a ischemia dell’organo e a
una diminuzione del suo peso (nefrosclerosi maligna).
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3) Arteriolosclerosi angio-necrotica: è una forma più rara ma anche più severa, associata ad ipertensione
maligna. Al microscopio si osserva una necrosi fibrinoide (eosinofila), la parete del vaso perde la sua
struttura normale; il lume è visibile (?).

Sclerosi calcifica della media di Monckeberg: è un quadro caratterizzato da irrigidimento della parete dei
vasi dovuto alla deposizione di sali di calcio nella tonaca media delle arterie muscolari di medio e piccolo
calibro (arti superiori e inferiori); colpisce soggetti con età > 50 anni. La patogenesi prevede numerosi
vasospasmi che portano alla necrosi delle cellule muscolari, alla cui cosa segue la deposizione dei sali di
calcio. Le arterie colpite acquisiscono una configurazione tracheiforme, con anelli concentrici e lume
perfettamente conservato.

ANEURISMI = il termine indica una dilatazione permanente circoscritta della parete di un vaso in cui circoli
– o abbia circolato – del sangue. Il termine si usa generalmente in riferimento alle arterie, ma può essere
utilizzato anche per il cuore e raramente per le vene. Una dilatazione vasale che invece abbia carattere
diffuso si chiama ectasia mentre il termine pseudoaneurisma indica un ematoma extravascolare che
comunica con il lume del vaso tramite una fistola.
Gli aneurismi possono essere classificati in:
- Congeniti (es. nella sindrome di Marfan)
- Acquisiti (es. causati da aterosclerosi, o da arteriti)

Da un punto di vista morfologico invece possono essere:


 Sacculari, quando si limitano a una porzione della circonferenza della parete vascolare e hanno quindi
dimensioni ridotte.
 Fusiformi, quando si ha la progressiva dilatazione dell’intera circonferenza della parete vascolare;
possono avere dimensioni molto elevate.

Sopra i 65 anni c’è una netta prevalenza degli aneurismi dell’aorta addominale, con 5-6% negli uomini e 1-
2% nelle donne. Gli aneurismi dell’aorta toracica sono meno frequenti, 40% nell’ascendente e 35% nella
discendente. Gli aneurismi delle coronarie sono 1,5% e quelli delle arterie cerebrali il 2% (causano
emorragie subaracnoidee).

Patogenesi: dipende da vari fattori, sicuramente uno molto importante è l’aterosclerosi – però d’altro canto
essa determina anche un irrigidimento della parete del vaso, cosa che può ostacolare la progressiva
diffusione dell’aneurisma stesso. Tra i fattori eziologici comunque distinguiamo:
1) Fattori emodinamici, perché nei punti dove la pressione ematica è maggiore si possono creare dei loci
minoris resistentiae. L’aumento della pressione ematica può essere dovuto ad esempio a un brusco
restringimento, come nel caso della coartazione aortica.
2) Fattori parietali, come l’aterosclerosi, l’età del paziente, le connettivopatie ereditarie (es. sindrome di
Marfan o di Ehlers-Danlos), le arteriti (es. di Horton, di Takayasu, da sifilide…) o i traumi.

Complicanze: dilatazione con rottura della parete – e quindi emorragia, formazione di trombi con possibile
embolizzazione oppure occlusione/stenosi.

ANEURISMI CEREBRALI: i più importanti sono gli aneurismi “a bacca” del circolo cerebrale, congeniti e di
aspetto sacciforme. Insorgono nelle donne con meno di 40 anni, soprattutto a livello delle biforcazioni del
poligono di Willis: la loro rottura determina emorragie subaracnoidee.

ANEURISMI DELL’AORTA: sono congeniti, in genere causati da connettivopatie ereditarie, oppure acquisiti
per via dell’aterosclerosi oppure a causa di arteriti.

ANEURISMA CRONICO DEL CUORE: si sviluppa in seguito a IMA, il quale indebolisce la parete del VSX.

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AORTOPATIA DEGENERATIVA = patologia della tonaca media dell’aorta caratterizzata da distruzione della
componente elastica e muscolare e da accumulo di GAGs nella parete. Ci sono forme giovanili associate a
malattie ereditarie e correlate ad anomalie congenite come la valvola aortica bicuspide, ma anche forme
senili associate ad ipertensione arteriosa.
Nell’aortopatia degenerativa si ha quindi una distruzione della parete elastica e muscolare: tutte queste
alterazioni della tonaca media predispongono all’insorgenza di aneurisma.

Aneurisma aterosclerotico – sorge in corrispondenza di placche ateromatose intimali e la sede più


frequente è posta tra l’origine delle arterie renali e la biforcazione iliaca. La morfologia classica è quella
fusiforme e la complicanza più comune è la trombosi, con distacco di emboli e ischemia.
Una variante è costituita dall’aneurisma aterosclerotico infiammatorio, che predilige i soggetti di sesso
maschile e interessa l’aorta addominale. In questi casi si realizza un quadro di flogosi che consegue
all’aneurisma; la fibrosi retroperitoneale determina stenosi degli ureteri, con conseguente idronefrosi
bilaterale per il paziente.

DISSECAZIONE AORTICA = ematoma che va a dissecare, a separare gli strati lamellari tra il terzo interno e
i due terzi esterni della tonaca media dell’aorta.
Si innesca a causa di una breccia nell’intima, la quale a sua volta è
dovuta al potente flusso in uscita dal VSX (a 2 cm circa dalla valvola
aortica); il sangue si infila nella breccia e separa le lamine, con
decorso variabile. È anche possibile avere una breccia di rientro
distale  aorta “a doppia canna”. La dissecazione può procedere in
senso anterogrado oppure retrogrado.

In seguito alla separazione delle lamine si vengono a sviluppare un cilindro interno con parete più spessa e
uno esterno con parete sottile, che può facilmente andare incontro a rottura causando emorragie gravi a
seconda del tratto dell’aorta interessato:
- Aorta ascendente intra-pericardica: emopericardio con tamponamento cardiaco
- Arco aortico: determina stenosi dei tronchi aortici con ostruzione delle carotidi, quindi ictus
- Aorta toracica: emotorace
- Aorta addominale: emo-retroperitoneo + ischemia renale acuta o IRA, perché la dissecazione può
estendersi fino ad interessare l’arteria renale

Istologicamente il lume dell’aorta viene ad essere schiacciato dall’accumulo di sangue, che appare in fase
acuta come eritrociti e in fase cronica come un trombo organizzato.

Eziologia: le cause della dissecazione aortica sono simili a quelle dell’aneurisma: connettivopatie ereditarie
(nei giovani), ipertensione e aterosclerosi (negli adulti e anziani), arteriti, deficit nutrizionali di rame,
alterazioni ormonali es. gravidanza.

Complicanze: in passato era una condizione letale, ma oggi se si interviene precocemente con una protesi si
può salvare il paziente, anche se si tratta in ogni caso di una condizione di emergenza. Si possono avere:
- Rottura del cilindro esterno con gravi emorragie
- Insufficienza della valvola aortica
- Infarti d’organo
- Stenosi dell’arteria polmonare

Dissecazione aortica in corso di sindrome di Marfan: nel preparato istologico si osserva un accumulo di
mucine, un materiale amorfo basofilo che determina frammentazione e rarefazione del tessuto elastico. Se
colorata con EE, la tonaca media mostra le fibre elastiche disgregate in alcuni punti, mentre le mucine
appaiono bianche. Per evidenziarle si utilizza una colorazione peculiare, la Alcian blu. A livello della tonaca
media si verifica una rarefazione o scomparsa delle cellule muscolari lisce, fenomeno comunemente noto
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come medio-necrosi laminare: al posto della componente muscolare si ha un accumulo di GAGs.
L’accumulo di matrice mixoide è facilmente riconoscibile con la colorazione EE, in quanto appare basofila.

La sindrome di Marfan è una malattia ereditaria della componente fibrillare del connettivo, a trasmissione
AD – la patogenesi è causata da un difetto nella glicoproteina fibrillina. Le manifestazioni sono varie:
scheletriche, cardiovascolari (dissezione aortica, prolasso della mitrale, dilatazione della radice aortica) e
oculari (ectopia lentis).

Classificazione di De Bakey:
 Tipo I – aorta ascendente e discendente
 Tipo II – aorta ascendente
 Tipo III – aorta discendente, distalmente alla succlavia

CARDIOPATIA ISCHEMICA = indica uno stato di sofferenza del miocardio legato a uno squilibrio tra le
richieste di ossigeno e la capacità delle coronarie di fornire questo ossigeno al tessuto. Distinguiamo:
1. Angina pectoris, una condizione di ischemia transitoria (a. da sforzo, a. a riposo, a. vasospastica di
Prinzmetal, a. instabile). Può essere anche molto grave, ma comunque si risolve senza lasciare alcune
esito: non si documentano danni a carico del miocardio o delle coronarie, se non ovviamente danni
pregressi. Il paziente presenta in genere una piccola placca aterosclerotica che però non è abbastanza
grande da occludere il vaso causando un infarto vero e proprio.
2. Infarto acuto del miocardio – IMA, questo è il quadro più importante
3. Morte cardiaca improvvisa
4. Cardiopatia ischemica cronica - la progressione di questa patologia può essere di vari tipi:
 Aterosclerosi coronarica con riduzione progressiva del flusso ematico
 Sofferenza a focolaio del tessuto miocardico
 Evoluzione in miocardiosclerosi parcellare disseminata
 Cuore aumentato di volume ma rigido (scompenso cardiaco congestizio)

Patogenesi:
- Riduzione del flusso coronarico (nel 90% dei casi dovuto ad aterosclerosi che ostruisce completamente
un ramo delle arterie coronarie, ma può essere causato anche da valvulopatie, shock, arteriti, embolia,
dissecazione aortica)
- Aumentate richieste metaboliche (es. esercizio fisico, gravidanza, ipertiroidismo, ipertrofia cardiaca)
- Riduzione del contenuto di ossigeno nel sangue (es. ipossiemia, anemia)

Il circolo arterioso è un circolo regionale, infatti ogni arteria ha il suo specifico territorio di distribuzione, ed
è funzionalmente terminale, anche se è possibile avere lo sviluppo di circoli collaterali nell’ambito della
stessa coronaria o tra due coronarie.

ARTERIA RAMO DISTRETTO INFARTO


Coronaria sinistra Discendente anteriore Parete VSX, punta del cuore, 2/3 Antero-settale
anteriori del setto interventricolare
Arteria circonflessa Parete laterale e parte della parete Laterale
posteriore del VSX
Coronaria destra Discendente posteriore VDX, terzo posteriore del setto, parte Postero-inferiore
della parete posteriore del VSX

Ci sono tre tipologie di irrorazione:


1) A dominanza destra: è una condizione vantaggiosa e molto diffusa perché il VSX viene irrorato da
entrambe le coronarie, con importante afflusso dalla coronaria dx
2) A dominanza sinistra: è una condizione svantaggiosa – fortunatamente più rara rispetto alla
precedente – perché il VSX è irrorato solo dalla coronaria sx
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3) Bilanciata: il VSX è irrorato in modo bilanciato da entrambe le coronarie

Criteri per la diagnosi autoptica di IMA – la classificazione distingue:

 Tipo I – 80% dei casi, sono infarti in cui la patogenesi è una occlusione atero-trombotica acuta oppure
una trombosi murale con riduzione critica del flusso coronarico. Può essere provocato dalla rottura di
una placca oppure da una erosione.
 Tipo II – 10-20%, si ha un danno ischemico dovuto al mismatch tra richiesta e offerta di ossigeno. Non si
ritrovano occlusioni aterosclerotiche a livello delle coronarie.
 Tipo III – 2-3%, sono morti cardiache all’interno di un quadro clinico che suggerisce un danno
ischemico, ma clinicamente non si riscontrano i vari markers biologici
 Tipo IV – (PCI) interventi coronarici percutanei che possono indurre ischemia a meno di 48 ore dalla
procedura. Questo gruppo comprende anche casi di IMA dovuti a trombosi da stent tardivo oppure da
ristenosi dopo procedura chirurgica
 Tipo V – (CABG) bypass aorto-coronarico con ischemia a meno di 48 ore dalla procedura

INFARTO DEL MIOCARDIO = necrosi miocardica a valle di un flusso ostruito. Si tratta di un infarto bianco (o
anemico), in contrapposizione con l’infarto rosso (o emorragico) che si verifica negli organi a doppia
irrorazione come fegato, polmone e intestino. L’IMA non ha una forma triangolare netta come si osserva
nell’infarto polmonare: i suoi margini sono frastagliati e irregolari. L’area infartuata si visualizza ben con i
sali di tetrazolio.

Dopo 20 minuti dall’interruzione del flusso coronarico le cellule più distanti rispetto al vaso iniziano ad
andare in necrosi: sono le cellule poste a livello sub-endocardico. Successivamente l’infarto coinvolge anche
porzioni più superficiale della parete (sub-epicardio) fino ad interessarne l’intero spessore (trans-murale).
Questa modalità di estensione della necrosi prende il nome di “fronte d’onda” ed è funzione del tempo e
anche dell’efficienza di eventuali circoli collaterali.

All’autopsia vengono esaminate le arterie coronariche ricercando l’occlusione e qualora non vi fossero
elementi visibili si eseguono sezioni trasversali, ricercando più dettagliatamente la stenosi critica.
Macroscopicamente, seppur in maniera non accurata, una stenosi si può definire di grado lieve se restringe
il lume del 30-50%, oppure severo se lo restringe di più del 75%. Può essere associato alla presenza di
placche stabili con concomitanti alterazioni di carattere funzionale. Le stenosi di oltre il 90% danno luogo ad
un quadro di ischemia miocardica anche a riposo.

Topograficamente i casi di IMA tipo І coinvolgono per lo più il VSX, con possibile estensione al VDX. Nella
metà dei casi è secondario ad occlusione del ramo discendente anteriore (antero-settale o anterolaterale).
In 1/3 dei casi riguarda l’occlusione della coronarica destra, talvolta esteso anche alla parete posteriore del
VDX e al segmento posteriore del VSX. Infine in 1/5 dei casi l’occlusione riguarda il ramo circonflesso.
Un infarto puro del VDX è un’evenienza estremamente rara (1%); si può avere più comunemente un infarto
del VSX che si estende alle sezioni destre.
L’infarto esclusivamente atriale non esiste, mentre in combinazione con gli infarti ventricolari si
manifestano per lo più infarti in atrio destro associati a due possibili complicanze: la formazione di una
trombosi intramurale con trombo-embolizzazione – e conseguentemente embolia polmonare – o seppur
raramente rottura atriale seguita da tamponamento cardiaco.

Morfologia macroscopica – possiamo individuare due tipologie di infarto del miocardio:

 REGIONALE: la necrosi si sviluppa in una specifica zona del miocardio a causa dell’arresto del flusso
ematico in un ramo coronarico principale, che si realizza per una occlusione trombotica di una placca
ateromasica instabile. L’aspetto della lesione è segmentario e rispecchia il territorio di irrorazione del
ramo vascolare occluso. Si vede tipicamente a livello del VSX per l’ostruzione della coronaria sinistra:
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- a livello del tronco comune, raramente
- a livello della discendente anteriore o del ramo circonflesso, a 2-3 cm dalla biforcazione
- a livello della coronaria destra, verso il margine acuto del cuore
Gli infarti da occlusione hanno sempre carattere segmentario, rispettano la distribuzione dei territori
anche in caso di riperfusione o di arresto dell’onda di necrosi.
 SUB-ENDOCARDICO: in questo caso la topografia è diffusa e non rispecchia la distribuzione dei territori
di irrorazione – si verifica una necrosi sub-endocardica diffusa, limitata al terzo interno della parete
miocardica, con margini scarsamente demarcati. L’estensione può essere variabile e la patogenesi
prevede due fattori che portano a ipoperfusione generalizzata:
o Fattori coronarici, legati all’ostruzione che però spesso non si ritrova
o Fattori extra-coronarici = ipotensione, tachicardia, stenosi/insufficienza aortica, ipossia – sono fattori
più significativi per questa tipologia di infarto
La riparazione è più rapida, con formazione di bande di fibrosi endocardica; l’unica possibile
complicanza è la trombosi endocardica.
Di fronte a un infarto sub-endocardico non regionale in genere non si riesce a documentare una
ostruzione coronarica, che invece è invariabilmente presente in caso di infarto regionale. Anche ad
occhio nudo è difficile identificare questo tipo di infarto, ma si può ricorrere a una strategia.
Infatti l’infarto sub-endocardico si vede benissimo con l’impiego dei sali di tetrazolio: si preleva un
frammento di miocardio (sezione biventricolare di tessuto non fissato in formalina ma fresco) e lo si
immerge in una soluzione con questi sali – l’area infartuata non si colora mentre le zone sane diventano
blu o marroni (infatti le cellule muscolari vive hanno delle deidrogenasi che riducono i sali a una
sostanza colorata detta “formazan”).

Morfologia macroscopica: il quadro cambia a seconda del momento in cui lo si osserva. Il timing viene
calcolato a partire dal momento in cui insorge il dolore toracico, sintomo tipico dell’IMA.
 Dopo 12 ore – nessuna modificazione apprezzabile
 Dopo 24-48 ore – l’area si presenta pallida e di consistenza diminuita rispetto al miocardio normale
 Dopo 3-5 giorni – l’area appare giallastra, con margini frastagliati e circondata da una zona iperemica
 Dopo 10-14 giorni – si osserva una cicatrice rosea che con il tempo diventa biancastra per la
deposizione di fibre collagene
 Dopo 2-8 settimane – si osserva una cicatrice “metamalacica” (anche detta “callo del cuore”) con
sostituzione di tessuto fibroso che determina assottigliamento della parete e ipocinesia nel muscolo.
Questo processo ovviamente favorisce dilatazioni aneurismatiche e anche la rottura della parete stessa.

Morfologia microscopica:

 Dopo 12 ore – ondulazione dei miocardiociti, con lieve perdita della normale architettura del tessuto
 Dopo 24-48 ore – i miocardiociti diventano iper-eosinofili, si iniziano a perdere le tipiche striature e
iniziano a comparire le cellule dell’infiammazione. Si ha un quadro di necrosi coagulativa,
accompagnata da infiltrazione di granulociti neutrofili ai bordi della zona colpita. A seguito
dell’infiltrazione neutrofila si osserva carioressi, cioè la frammentazione dei nuclei dei neutrofili stessi.
 Dopo 3-5 giorni – si perde totalmente l’architettura tissutale (non si vede più la striatura) e iniziano a
scomparire i nuclei cellulari, mentre alcuni risultano in picnosi. Insieme ai neutrofili compaiono anche
macrofagi e fibroblasti, e più tardivamente emosiderina.
 Dopo 10-14 giorni – i fibroblasti producono tessuto di granulazione, con neoangiogenesi
 Dopo 2-8 settimane – si perde la componente cellulare in favore di una neo-produzione di MEC
collagenica. L’infiltrato di granulociti è abbondante mentre il tessuto normale non si riconosce più.

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Oltre alla colorazione classica con EE si possono ricercare specifici biomarkers, che sono sovra-espressi in caso di IMA
 fibronectina e C5b9, che però non sono ancora entrati nella pratica routinaria e si utilizzano solo in ambito di
ricerca.

NECROSI COAGULATIVA = è quella che si riscontra più frequentemente in corso di IMA ed è definita anche
“necrosi totale” oppure “ad ampio focolaio”; coinvolge sia le cellule sia lo stroma. Esistono altre due forme
di necrosi, che però si vedono soprattutto alla periferia dell’infarto  necrosi tetanica e necrosi
colliquativa.

NECROSI TETANICA = a focolai disseminati, è selettiva perché coinvolge solamente le cellule muscolari. Si
definisce “tetanica” perché si ha una iper-contrazione dei sarcomeri (che non vanno incontro a
rilassamento), che determina una necrosi “a bande”, tipica anche dell’ischemia seguita da riperfusione
troppo rapida. La necrosi tetanica esita in una miocardiosclerosi parcellare disseminata, caratterizzata da
infiltrazione di monociti-macrofagi più massiccia rispetto a quella di neutrofili; non si forma quindi un vero e
proprio tessuto di granulazione, ma si vedono tante cicatrici puntiformi disseminate nel miocardio. Si può
osservare alla periferia di un IMA oppure in caso di trauma cranico, morte coronarica improvvisa e
tossicodipendenti.

MIOCITOLISI COLLIQUATIVA = si instaura lentamente ed è associata alla malattia ischemica cronica,


all’ipertrofia del miocardio oppure alle zone più estreme periferiche di un IMA. Si osserva un edema
intracellulare, con lisi colliquativa progressiva delle miofibrille; l’aspetto tipico delle cellule è quello della
vacuolizzazione. Anche la miocitolisi colliquativa può evolvere in miocardiosclerosi parcellare disseminata.

Riperfusione post infarto: è necessario intervenire il prima possibile per bloccare l’espandersi del fronte
d’onda di necrosi. A questo scopo si possono utilizzare farmaci trombolitici oppure tecniche chirurgiche di
angioplastica/bypass coronarico. La riperfusione dell’organo può trasformare l’infarto anemico in infarto
emorragico: c’è il vantaggio di rendere più rapida la cicatrizzazione, ma c’è il rischio di provocare una
necrosi tetanica. Per questo motivo è da considerare con molta attenzione una riperfusione troppo rapida.

Complicanze dell’IMA:

 FUNZIONALI
o Indipendenti dall’estensione dell’infarto  aritmie (extrasistoli, fibrillazione ventricolare,
fibrillazione o flutter atriale, turbe della conduzione AV)
o Dipendenti dall’estensione dell’infarto, si determinano solo quando la necrosi interessa più del 40%
della massa totale del miocardio:
 Insufficienza ventricolare sinistra, associata o meno a edema polmonare acuto: si ha una
riduzione della gittata sistolica, soprattutto in caso di infarto antero-settale. Se il paziente
sopravvive, può sviluppare ischemia cerebrale fino al rammollimento.
 Shock cardiogeno
 ORGANICHE:
o Pericardite epistenocardica, a carattere siero-fibrinoso, si presenta in 2°-6° giornata in conseguenza
della necrosi transmurale. La superficie pericardica corrispondente alla zona colpita va incontro a un
processo infiammatorio.
o Pleuro-pericardite di Dressler, compare dopo 2-4 settimane a causa di una reazione autoimmune
ma è rara. Si ha interessamento di pleura e pericardio a causa di autoanticorpi che cross reagiscono
con antigeni liberati dalla zona di miocardio necrotico. Questa forma tende a cronicizzare, infatti può
durare anche diversi mesi.
o Endocardite non infettiva, asettica, reattiva: si può complicare con trombi e infezioni

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o Aneurisma cronico del cuore a carico della parete del VSX in caso di infarti molto estesi; è dovuto
all’assottigliamento della parete del ventricolo. Si può verificare anche un aneurisma acuto, che
compare in caso di interessamento cardiaco diffuso e può portare alla rottura di cuore.
o Rottura di cuore, che può interessare il setto, i muscoli papillari oppure la parete cardiaca – con
emopericardio conseguente. La rottura di cuore è una complicanza precoce che si realizza entro le
prime due settimane dall’infarto, generalmente entro i primi 3 giorni oppure all’inizio della seconda
settimana. Può essere:
 Esterna – nel 10% degli IMA trans-murali, interessa il VSX e causa emopericardio e
tamponamento cardiaco. Può avvenire in due momenti:
 In 1° o 2° giornata, a margini netti, ai limiti tra zona infartuata e tessuto sano
 In 4°/5° fino alla 10° giornata, nella zona centrale della necrosi, si sviluppa lentamente e
necessita di ventricoloplastica.
 Interna:
 Nel 3% dei casi si rompe il setto interventricolare, per cui i ventricoli comunicano e si ha
uno shunt dx-sx con possibile decesso. Si vede entro 24 ore ma per fortuna l’incidenza è in
calo.
 Nell’1% dei casi si ha la rottura dei muscoli papillari, in particolare del posteriore, con
conseguente insufficienza mitralica acuta
I fattori di rischio per la rottura di cuore sono: ipertensione, sesso femminile, età avanzata, nessuna
storia di IMA precedenti, infarto anteriore. Invece la riperfusione precoce e la presenza di circoli
collaterali possono prevenire la rottura di cuore.

PATOLOGIA DEL PERICARDIO


Il pericardio è una membrana sierosa costituita da due foglietti, parietale e viscerale; normalmente tra i due
foglietti sono contenuti 30-50 mL di liquido citrino – secondo le slides 15-35 mL. I due foglietti pericardici si
differenziano in quanto il viscerale è composto da un singolo strato di cellule mesoteliali aderenti
all’epicardio, mentre il parietale è una struttura fibrosa di 2 mm di spessore, costituita da collagene ed
elastina.

Versamenti pericardici: una raccolta liquida nella cavità pericardica può essere causata da eventi diversi
quali emorragie, versamenti trasudatizi, processi flogistici (pericarditi).
Indipendentemente dalla sua natura, un versamento pericardico non ha effetti sensibili sulla funzione del
cuore fino a che la pressione intrapericardica non supera quella delle vene cave. Se supera il valore di 100-
150 mmHg viene limitata l’espansione diastolica dei ventricoli ed il compenso si ottiene con un aumento
della frequenza delle contrazioni cardiache – da qui si passa facilmente allo scompenso cardiaco.

Poiché il pericardio ha scarse capacità elastiche, un versamento anche limitato ma brusco porta a
tamponamento cardiaco. Al contrario, un versamento imponente ma progressivo permette una dilatazione
del pericardio parietale per cui la cavità si adegua al contenuto e la pressione si può mantenere entro limiti
compatibili con la funzione cardiaca.

Esistono diversi tipi di versamento con significato diverso in basa alla causa e alla rapidità di insorgenza:

• Emorragico
• Trasudatizio
• Infiammatorio

1) Emorragie e versamenti emorragici

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Emorragie epicardiche: piccole petecchie emorragiche si riscontrano nei morti per asfissia, nelle diatesi
emorragiche o pazienti trattati con terapia anticoagulante

Emopericardio: accumulo di sangue in parte fluido ed in parte coagulato tra i due foglietti pericardici; per
parlare di emopericardio devono esserci almeno 100 mL di sangue. Se l’emorragia è massiva (200-300 ml di
sangue) c’è un alto rischio di morte per tamponamento cardiaco (associato a rapida anemizzazione e
brusco calo pressorio nel distretto coronarico)

Cause emopericardio:
 Rottura del cuore (diretta complicanza post IMA, o rottura di un aneurisma cardiaco post IMA)
 Dissecazione aortica (s. di Marfan o aterosclerosi) nel tratto intrapericardico
 Rottura di aneurismi coronarici (m. di Kawasaki)
 Cause iatrogene e traumatiche
 Neoplasie

2) Versamenti trasudatizi – cause dell’idropericardio possono essere anasarca oppure un ostacolo locale
alla circolazione venosa mediastinica.
Morfologia: versamento limpido, sierosa sottile, liscia, lucente. Correlazioni anatomo-cliniche: significato
clinico in funzione della rapidità di insorgenza. Una scarsa quantità di liquido limpido è normalmente
presente in cavità pericardica, se supera la soglia di 100 ml si parla di idropericardio.
Le cause possono essere:
• Sistemiche: scompenso cardiaco congestizio, sindrome nefrosica, ipoproteinemia, mixedema
• Locali: ostacolo alla circolazione venosa mediastinica o alla circolazione linfatica

Pericarditi: sono affezioni acute (forme fibrinose e forme essudative) oppure croniche (in cui ci può essere
evoluzione fibro-cicatriziale).
L’eziologia può essere molto varia, ma nell’85% dei casi non si riesce a identificare una precisa causa
scatenante  pericarditi idiopatiche; probabilmente molte hanno eziologia virale.
Abbiamo poi le seguenti cause:
- Infettive: l’eziologia virale è quella più frequente e talvolta il decorso è asintomatico. I virus principali
sono coxsackievirus B, Echovirus, virus influenzale e provocano pericarditi sierose. Possibili anche cause
batteriche o fungine, tipiche dei soggetti immunocompromessi, e forme tubercolari.
- Immunologiche (autoimmuni): sindrome di Dressler post IMA, febbre reumatica (generalmente causa
una pericardite fibrinosa), LES, sclerodermia
- Post IMA (pericardite epistenocardica)
- Neoplastiche (metastasi al pericardio, oppure raramente accompagnano tumori primitivi del
pericardio, cioè mesoteliomi, che sono rarissimi)
- Dismetaboliche (pericardite uremica, presente nel 50% dei deceduti per uremia, in genere è fibrinosa)
- Iatrogene (farmaci, sindrome post pericardiotomica)
- Traumatiche
- Radiazioni

In base alla morfologia possiamo distinguere:


 Pericarditi secche o fibrinose, non associate a versamento significativo (se presente è comunque scarso
e ha carattere sterile). Si instaurano ad esempio a causa della febbre reumatica, oppure in modo
consensuale a IMA. Macroscopicamente il pericardio appare grigiastro (“cor villosum”) mentre al
microscopio si osservano tralci di fibrina e modica infiltrazione linfocitaria del connettivo sottosieroso.
 Pericarditi essudative, possono essere:

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o Sierose: la superficie del cuore ha un aspetto finemente granuloso e opaco, mentre l’essudato è
torbido e opalescente, ricco di cellule infiammatorie. La quantità di liquido è di 200-300 mL con
contenuto proteico > 2,5%. Questo tipo di pericardite si può riscontrare in corso di febbre
reumatica, LES o pericardite virale.
o Emorragiche: accumulo di sangue, può essere dovuto a neoplasie, pericardite batterica o intervento
chirurgico. Aumenta il rischio di evoluzione in pericardite cronica, con formazione di aderenze e e
pericardite costrittiva.
o Purulente: causate da infezioni da parte di microrganismi piogeni. Si ha un ricco infiltrato di
granulociti neutrofili, l’aspetto dell’essudato è torbido, denso, giallo-verdastro. Si deve intervenire
prontamente perché c’è il rischio di mediastino-pericardite oppure di pericardite costrittiva
(aderenze).

Pericardite costrittiva: si formano delle aderenze fibrose dense o anche fibro-calcifiche intorno al cuore. In
genere queste forme si sviluppano come evoluzione di pericarditi emorragiche o purulente e determinano una
ipomotilità del cuore e quindi una riduzione della gittata.
Esiti aderenziali limitati al pericardio:
 Esiti di pericardite fibrinosa o sierofibrinosa (la fibrina stimola la formazione di tessuto di granulazione che si
trasforma in connettivo sclerotico)
 Aderenze fibrose di grado variabile fino alla sinfisi con obliterazione della cavità.
 Aderenze limitate vengono di solito sopportate senza conseguenze

Esiti aderenziali estesi al mediastino:


- Esiti di pericardite tubercolare o suppurativa, il pericardio è saldato alle strutture limitrofe quali la pleura, il
diaframma o la gabbia toracica
- Retrazione sistolica e polso paradosso con conseguente ipertrofia miocardica ed eventuale scompenso

Esiti costrittivi:
- Esiti di pericardite tubercolare o suppurativa, il pericardio appare come una spessa cotenna di tessuto fibroso
inestensibile (concretio cordis), talora calcifico (cuore a corazza) con obliterazione della cavità
- La retrazione cicatriziale impedisce la dilatazione diastolica con scompenso cardiaco congestizio
- Pericardiotomia

INDICAZIONI CLINICHE E TEST: test e colture virali per virus, emocoltura per le batteriche e
monitoraggio della troponina e dell'eco e anamnesi oltre che test sierologici per malattie autoimmuni.

Diagnosi di pericardite: si basa su pericardiocentesi e biopsia pericardica; se è una pericardite tubercolare


avrò indicazioni precise, lo stesso se è neoplastica. L'approccio della biopsia si fa in pz con non guarigione e
senza diagnosi definita con sintomi severi, solo in questi casi si fa biopsia! Pericardiocentesi: con sospetto di
TBC, tamponamento o pericardite neoplastica. Imaging e biopsia mirata quindi sono indicate nei casi più
complessi.

MIOCARDITI

Si tratta di condizioni patologiche caratterizzate da una flogosi interstiziale a carico del miocardio, che può
avere un andamento acuto oppure cronico e si associa a fenomeni degenerativi-regressivi secondari a carico
delle fibrocellule muscolari. Spesso l’evoluzione è benigna; si tratta di malattie molto frequenti ma sotto-
diagnosticate, anche perché la biopsia endomiocardica può dare falsi negativi. infatti spesso le miocarditi
interessano il tessuto “a focolaio”, in modo parcellare e non diffuso.

Eziologia:

 Infettiva
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o Virale – è la causa più frequente. I virus cardiotropi sono i coxsackievirus A e B, gli enterovirus, il
CMV e HIV. Per la diagnosi si possono usare PCR oppure indagini sierologiche. Inizialmente il danno
miocardico è dovuto all’azione diretta del virus, ma secondariamente esso è causato dalla flogosi e
dalla reazione immunitaria, con liberazione di citochine infiammatorie e pro-fibrotiche.
o Batterica (stafilococchi, pneumococco, meningococco, Borrelia)
o Micotica, soprattutto nei pazienti immunocompromessi
o Protozoaria (Toxoplasma gondii, malattia di Chagas, Trypanosoma cruzi)
o Elmintica
 Immunologica
o Malattia reumatica: è associata all’infezione da Streptococco beta-emolitico di gruppo A (SBEGA), nel
50-70% dei casi di malattia reumatica si ha l’interessamento del cuore, che talvolta colpisce non solo
il miocardio ma anche il pericardio, configurando un quadro di pancardite.
La patogenesi è immunologica, infatti si producono autoanticorpi cross reattivi tra antigeni
streptococcici e antigeni del miocardio. La miocardite in questo caso è caratterizzata dalla presenza
di noduli di Aschoff in sede interstiziale e perivascolare. Le strutture che più spesso vengono colpite
dal processo immune sono il setto interventricolare, la punta del cuore, i muscoli papillari, il VDX, il
cono dell’arteria polmonare e la parete posteriore dell’ASX – interessamento legato al reflusso,
detto placca di McCallum.
o LES
o Ipersensibilità da farmaci (antiblastici, antibiotici sulfamidici, diuretici, antipertensivi, litio)
o Rigetto di trapianto
 Idiopatica
o Sarcoidosi
o Miocardite a cellule giganti (di Fiedeler?)
 Da tossici (cocaina)

Si possono classificare in miocarditi granulomatose e non granulomatose: le prime comprendono la


miocardite reumatica, quella da TBC, quella associata a sarcoidosi e la forma idiopatia a cellule giganti di
Fiedeler.

Patogenesi:
 Fase acuta – il meccanismo alla base del danno acuto è l’infezione virale; infatti i virus entrano nei
miociti determinandone la citolisi. Istologicamente quindi la prima fase si riconosce per la presenza di
necrosi, ma è assente per ora l’infiltrato infiammatorio.
 Fase subacuta – il danno è di tipo immunomediato, infatti entrano in gioco l’immunità umorale e quella
cellulare. Questa fase può risolversi oppure evolvere verso la fase cronica.
 Fase cronica – la flogosi persiste e può evolvere verso una cardiomiopatia dilatativa

Morfologia: macroscopicamente si ha una grandissima eterogeneità di possibili quadri di miocardite. Il


miocardio infatti può avere un aspetto normale (in genere quando si tratta di una miocardite virale),
oppure può essere di colore bianco-grigio tipo “carne lessata”, per cui il cuore ha una consistenza diminuita
(questa forma è in genere causata da batteri, con impronta ascessualizzante). Altrimenti il miocardio può
avere un aspetto variegato, con zone ascessualizzate giallastre e zone emorragiche più rosse; possibile
anche un quadro simil-infartuale, con una modificazione del colore verso il bruno-giallastro. L’ultima
possibilità è quella del cuore globoso: nelle forme di miocardite diffusa il cuore si sfianca, cosa che
determina cardiomegalia; questo ingrandimento si deve a un fenomeno di pseudo-ipertrofia, cioè un
aumento della componente fibrotica e di matrice collagenica. Come esisto dei focolai infiammatori multipli
si ha infatti questo quadro di miocardiosclerosi parcellare disseminata, cioè appunto un aumento della
componente connettivale rispetto a quella contrattile.

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I due possibili quadri di miocardiosclerosi sono il callo al cuore (cicatrice metamalacica, esito dell’IMA) e la
miocardiosclerosi parcellare disseminata (esito di miocarditi che si osserva anche in seguito a miocitolisi
colliquativa o necrosi tetanica – cfr IMA).

Microscopicamente si possono distinguere forme focali e forme diffuse; in generale si osserva una
imbibizione edematosa dell’interstizio, dovuta allo stravaso di plasma. Il tipo di infiltrato flogistico dipende
dall’eziologia della miocardite: se è virale avremo linfociti e plasmacellule, se è batterica avremo neutrofili
(microascessi con masserelle basofile, che sarebbero le colonie batteriche) mentre nelle forme autoimmuni
avremo molti granulociti eosinofili. Nelle miocarditi a cellule giganti ovviamente vedremo cellule giganti
polinucleate, con esteso infiltrato infiammatorio – la prognosi è peggiore rispetto alle altre.

Classificazione cronologica:

 Miocardite fulminea: esordio acuto con febbre e grave compromissione delle condizioni
emodinamiche del paziente. Il reperto istologico è una necrosi miocellulare multifocale. Questa forma
evolve rapidamente: può risolversi da sola oppure determinare la morte del paziente.
 Miocardite acuta: clinicamente si presenta con lieve ipocinesia del VSX e istologicamente si ha una
miocardite attiva o borderline. Si può risolvere da sola oppure determinare una cardiomiopatia
dilatativa.
 Miocardite cronica attiva: ha un esordio subdolo ma il reperto istologico è una miocardite attiva o
borderline. La differenza è che questa forma può evolvere verso una miocardite a cellule giganti o verso
una fibrosi interstiziale, portando a cardiomiopatia dilatativa.
 Miocardite cronica persistente: ha un esordio aspecifico con dolore toracico e cardiopalmo, ma non c’è
compromissione emodinamica. Il reperto istologico è quello di una miocardite attiva.

Criteri di Dallas: sostanzialmente si basano sui requisiti minimi per definire una miocardite, ovvero la
presenza di infiltrato infiammatorio e il danno miocellulare. I criteri valutano l’entità dell’infiltrato
(lieve/moderato/grave) e la sua distribuzione (focale/diffuso); poi è importante riconoscerne la natura
(linfocitario/eosinofilo/neutrofilo).
Miocardite borderline = quando i criteri minimi per la diagnosi non sono soddisfatti, quindi o non è
presente il danno miocardico o non è presente infiltrato flogistico.

Diagnosi: è importantissima la biopsia miocardica, ma ha dei limiti perché talvolta il processo flogistico ha
distribuzione focale e quindi la reale incidenza di miocarditi è probabilmente sottostimata. Inoltre spesso
l’infiltrato flogistico è aspecifico, quindi non siamo in grado di risalire alla causa; per questo si potrebbero
utilizzare immunoistochimica e PCR per la ricerca del genoma virale.

Evoluzione: si possono avere forme quasi asintomatiche che vanno incontro a risoluzione spontanea,
oppure forme che evolvono verso uno scompenso cardiaco acuto, oppure sintomi simil-infartuali con aree
di miocardiosclerosi; il paziente può andare incontro a morte improvvisa si base aritmica oppure ci può
essere la classica evoluzione verso cardiomiopatia dilatativa.

CARDIOMIOPATIE
Si tratta di un gruppo eterogeneo di malattie del miocardio in cui si ha una disfunzione meccanica e/o
elettrica del cuore, in assenza di altre malattie sufficienti a spiegare tali alterazioni; le cause delle
cardiomiopatie sono infinite, ma quella più importante è la genetica. Sostanzialmente si tratta di una
diagnosi di esclusione: prima si studia a fondo il paziente cercando di capire la causa della cardiopatia, ma
se non ci si riesce lo consideriamo affetto da cardiomiopatia.

Le cardiomiopatie possono essere primitive (se limitate al muscolo cardiaco) oppure secondarie (se sono
dovute a una malattia generalizzata estesa che colpisce anche il miocardio, oltre ad altri organi). Le forme

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secondarie possono essere dovute ad esempio ad amiloidosi (cardiomiopatie infiltrative), emocromatosi,
tossici come farmaci o droghe, endocrinopatie etc. Le forme primitive possono essere:
 Genetiche: cardiomiopatia ipertrofica, cardiomiopatia aritmogena e altre (miocardio non compatto,
glicogenosi, canalopatie…)
 Acquisite: cardiomiopatia infiammatoria, che in genere consegue a miocardite, e cardiomiopatia peri-
partum nelle donne che hanno appena partorito
 Miste: cardiomiopatia dilatativa, cardiomiopatia restrittiva

Cardiomiopatia ipertrofica: è caratterizzata da un marcato ispessimento delle pareti del miocardio, cosa
che costituisce una ostruzione all’efflusso di sangue dal VSX in aorta. Si determina quindi un anomalo
riempimento diastolico e una ostruzione intermittente in sistole. La maggior parte dei casi di c. ipertrofica è
genetica, a trasmissione AD, ed è causata da mutazioni delle proteine contrattili dei cardiomiociti (proteine
sarcomeriche). Fare il test genetico è utile, anche se non influisce sulla terapia, per fare uno screening sui
parenti di primo grado del paziente.

Microscopicamente si ha una alterazione delle fibre miocardiche, che invece di essere parallele tra di loro
formano un intreccio, per cui si perde la normale trama miocardica (disarray  questo impedisce una
contrazione efficace del muscolo). Inoltre si ha una sostituzione fibrotica del tessuto muscolare contrattile,
cosa che si vede già alla colorazione EE ma si vede anche meglio con una colorazione bicromica
immunoistochimica che evidenzia il tessuto fibroso in blu. I miociti sono ipertrofici, con nucleo molto più
grande rispetto a quelli normali.

Macroscopicamente si vede un ispessimento del setto interventricolare, sproporzionato rispetto alla


parete libera del VSX; questa asimmetria è dovuta al fatto che l’ispessimento è più marcato in sede sub-
aortica, il lume del ventricolo viene modificato, quindi il tentativo faticoso del sangue di uscire dal
ventricolo porta allo sfiancamento dei lembi valvolari della mitrale (con conseguente insufficienza).

Possiamo identificare tre forme:


1. Classica (detta “ostruttiva”), caratterizzata da ipertrofia concentrica del VSX con riduzione del diametro
2. Dilatativa, con progressiva dilatazione del VSX dovuta alla fibrosi sostitutiva del miocardio
3. Restrittiva, con carattere ereditario AD, in cui c’è una scarsa ipertrofia

In alcuni casi il cuore aumenta molto di peso, arrivando a 500 g nei maschi e a 400 g nelle femmine.
Abbiamo detto che il sangue trova difficoltà ad uscire dal VSX; oltre a questo si crea un movimento
paradosso del lembo settale della mitrale (SAM – systolic anterior motion), per cui il lembo si rivolge verso
il setto. Il lembo urta l’endocardio del setto stesso, innescando la produzione di bande fibrotiche sia nel
setto sia nel lembo valvolare. Un ispessimento della valvola predispone il soggetto a endocardite infettiva; il
chirurgo in certi casi può intervenire a livello del setto, togliendo la porzione che ostacola il deflusso
ematico in aorta. Per questo motivo all’anatomopatologo possono arrivare dei pezzi di setto su cui fare
diagnosi!

Comunque la cardiomiopatia ipertrofica, come la dilatativa, ha una evoluzione molto lenta: va seguita nel
tempo ma in genere il paziente riesce a fare una vita normale.

Cardiomiopatia aritmogena: è biventricolare e determina una perdita progressiva dei miocardiociti, che
vengono sostituiti da tessuto fibroso o fibro-adiposo; questo porta ad aritmie ipercinetiche, per cui il
paziente può andare incontro a morte improvvisa. È una malattia che nel 30% dei casi si trasmette per via
AD: i geni coinvolti codificano per proteine delle giunzioni intercellulari o per i canali del calcio; esistono poi
varianti a trasmissione AR come la cosiddetta “malattia di Naxos”.

Possono esistere forme silenti di cardiomiopatia aritmogena, oppure si può avere morte improvvisa o
aritmie non letali, oppure si può arrivare allo scompenso cardiaco con necessità di trapianto. La diagnosi si
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può porre con biopsia endomiocardica, ma essa deve essere ben mirata: il cardiochirurgo deve effettuare i
prelievi a livello del VDX perché anche se in genere è una patologia biventricolare siamo certi che c’è
sempre l’interessamento a destra.

Distinguiamo due forme:


1. Infiltrativa: il tessuto cardiaco viene infiltrato dal tessuto adiposo, con estensione limitata al miocardio
ventricolare. Questa forma in genere è limitata al VDX, pone ostacoli alla trasmissione elettrica e può
innescare dei circuiti di rientro.
2. Cardiomiopatica: c’è una massiva sostituzione del miocardio ventricolare ca parte di tessuto fibro-
adiposo; nelle porzioni di tessuto normale residuo ci possono essere miocardiociti ipertrofici, con nuclei
voluminosi. Il rischio principale è l’insufficienza cardiaca, per cui può essere necessario il trapianto.

Cardiomiopatia dilatativa: è caratterizzata da dilatazione e riduzione dell’efficienza contrattile del VSX (o


anche di entrambi i ventricoli). Si osserva una progressiva ipertrofia, che però non restringe il lume delle
camere bensì induce una dilatazione cardiaca, che porta infine a un deficit di pompa. Questa condizione
evolve infatti verso lo scompenso cardiaco, che richiede il trapianto di cuore.
La cardiomiopatia dilatativa si deve a moltissime cause diverse: mutazioni genetiche (20%), forme
idiopatiche, miocarditi infettive, cause dismetaboliche, tossici (alcol, doxorubicina), forme peri-partum,
emocromatosi, sarcoidosi…

Come conseguenze si possono avere i trombi endocavitari a causa del ristagno ematico (dovuto
all’ipocinesia ventricolare) e l’allargamento degli osti valvolari, con stiramento delle corde tendinee e
insufficienza mitralica/tricuspidale.

Le camere cardiache appaiono dilatate ma allo stesso tempo si vede un aumento dello spessore dei setti; il
cuore pesa il doppio o il triplo del normale e viene definito “cuore a palla”, con consistenza flaccida.
Comunque lo spessore del miocardio non è necessariamente aumentato; infatti la diagnosi si pone
all’ecocardiogramma valutando la dilatazione delle cavità, non valutando lo spessore dei setti e delle pareti.
Microscopicamente si nota ipertrofia dei cardiomiociti, fibrosi e piccole cicatrici sub-endocardiche.

Biopsia endomiocardica: oltre che per valutare se una cardiomiopatia è secondaria a miocardite, si effettua
anche in caso di paziente scompensato refrattario al trattamento standard, in caso di storia di
collagenopatie come il LES o la sclerodermia, in caso di amiloidosi o sarcoidosi e in caso di sospetta
miocardite a cellule giganti. Si effettua con un biotomo e si devono fare almeno cinque campionamenti.

Cardiomiopatia restrittiva: non è una cardiomiopatia specifica, si tratta piuttosto di un gruppo di alterazioni
e di quadri molto diversi tra loro ma accomunati dal fatto che le pareti del cuore sono rigide, per cui non si
verifica un buon rilasciamento diastolico e i ventricoli non si riempiono come dovrebbero. Questa rigidità
delle pareti si vede con l’ecocardiogramma.
Le cause sono anche qui molto varie: genetiche, infiltrative, malattie da accumulo come l’emocromatosi o
l’amiloidosi, tossici, farmaci, radiazioni…

Morfologicamente si nota una endo-miocardite con spiccata componente eosinofila, che evolve in
miocardiosclerosi. Il cuore presente una dilatazione degli atri, che possono essere sede di trombosi,
ventricoli più o meno normali ma miocardio di consistenza aumentata a causa di fibrosi interstiziale. La
caratteristica della c. restrittiva è il cosiddetto “piccolo ventricolo quieto”. Distinguiamo due quadri:

1. Idiopatica, a trasmissione AD ma con penetranza variabile. Si ha una fibrosi interstiziale diffusa che
interpone tra i cardiomiociti; si possono avere accumuli intracellulari di desmina.
2. Infiltrativa: il caso più emblematico è quello dell’amiloidosi (deposizione di catene leggere delle
immunoglobuline). Il cuore è rigido, con consistenza gommosa e pareti ispessite. La DD va posta con la

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cardiomiopatia ipertrofica. Oltre l’amiloidosi si possono avere anche emocromatosi, glicogenosi,
malattia di Fabry etc.
In questo gruppo è compresa anche la fibrosi endomiocardica, che si può presentare con diversi quadri;
quello più importante è la endocardite di Loeffler, che si presenta come una miocardite eosinofila
interessante gli strati più interni, quindi quelli sub-endocardici, del VSX.

Ventricolo sinistro non compatto: è una forma molto rara che può essere sia sporadica sia familiare;
macroscopicamente è caratterizzata da un ventricolo SX con aspetto trabecolato a tutto spessore, con
perdita di compattezza.

ENDOCARDITI
L’endocardio è la tonaca che riveste la superficie interna del cuore, quindi le camere cardiache ma anche le
strutture interne del cuore come le valvole, e si continua nella tonaca intima dei grossi vasi. L’endocardio è
costituito da un rivestimento endoteliale + uno strato fibroso, composto da collagene e da fibre elastiche
nello strato più profondo. Le endocarditi possono quindi colpire l’endocardio parietale (ad es. in corso di
infarto transmurale) ma soprattutto colpiscono l’endocardio che riveste le valvole.

Le endocarditi possono essere infettive o non infettive e in generale si definiscono come un processo
infiammatorio a carico delle strutture cardiache che sono a contatto con il flusso ematico; questo processo
di può verificare a livello di atri, ventricoli, valvole native ma anche come endoarterite dei grossi vasi intra-
toracici o a carico dei corpi estranei (pacemaker, protesi, cateteri, patch tissutali…).

ENDOCARDITI INFETTIVE

Affinché si instauri questa condizione non è sufficiente avere una batteriemia, ma ci devono essere diverse
condizioni che concorrono per innescare una endocardite. In primis si deve avere un danno endoteliale
dell’endocardio stesso; su questa erosione si crea un micro-trombo (fibrina + piastrine) che inizialmente è
sterile, ma poi la presenza di batteriemia favorisce la colonizzazione da parte dei germi. Questo ovviamente
innesca un processo infiammatorio caratterizzato da elementi della flogosi acuta (neutrofili);
macroscopicamente si assiste alla formazione di una vera e propria vegetazione = rilievo polipoide,
soprattutto a livello delle valvole. Eventi più rari rispetto alle vegetazioni possono essere la perforazione e
l’ulcerazione delle cuspidi valvolari.

Abbiamo detto che la conditio sine qua non è rappresentata però dal danno endocardico: questo ci fa
capire l’importanza del fattore emodinamico, infatti le lesioni si localizzano in quelle porzioni di cuore dove
ci sono elevate velocità di flusso, o dove c’è un gradiente pressorio importante tra due camere separate da
un orifizio stretto, oppure dove si formano vortici, o dove si verificano piccoli traumi ripetuti – ad esempio a
livello dei bordi di chiusura delle valvole. Detto questo, risulterà ovvio che le endocarditi si vedono più
spesso nelle sezioni sinistre del cuore, dove le pressioni sono molto più elevate.

Le condizioni di batteriemia si osservano molto spesso, anche per motivi banali come interventi
odontoiatrici (es. estrazione di un dente, che porta in circolo batteri come lo Streptococcus beta-emolitico)
oppure in caso di lacerazioni della cute (in questo caso entrano in circolo batteri come Staphylococcus).
Altri batteri coinvolti possono essere Enterococcus e sono importantissimi anche i funghi.
Poi ci sono i batteri nosocomiali, come Pseudomonas, Serratia, Haemophilus: in questi casi è importante
sottolineare che il paziente è defedato e incapace di reagire alla batteriemia, perché magari è un
lungodegente o post-chirurgico o oncologico e quindi è facile che si sviluppi una endocardite.
Le condizioni che favoriscono la colonizzazione da parte dei batteri del trombo sterile sono:
1. Scarsa capacità battericida del siero
2. Resistenza dei ceppi batterici all’attività battericida del siero
3. Proprietà adesive di alcuni ceppi batterici
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4. Liberazione di fattori tromboplastici da parte dell’endotelio

Epidemiologia: la mortalità legata alle endocarditi è diminuita molto grazie all’utilizzo degli antibiotici, ma
l’incidenza delle stesso è rimasta pressoché uguale negli ultimi decenni (3-10/100.000 ogni anno): questo ci
fa capire che è importante non sottovalutare mai le infezioni e intervenire tempestivamente con la terapia
antibiotica. Con il tempo sono comunque cambiati i fattori di rischio: in passato il paziente tipico era affetto
da malattia reumatica (quindi soggetti giovani sotto i 40 anni) mentre oggi il paziente tipico è anziano. Nei
giovani, le persone più a rischio sono i tossicodipendenti e gli immunodepressi. Nel caso specifico del
tossicodipendente si instaura una endocardite a localizzazione destra.

Clinica e diagnosi: si basa sui criteri di Dukes, che possono essere maggiori o minori; le cose più rilevanti
sono la presenza di emocolture positive e la rilevazione a ecocardiogramma di vegetazioni o erosioni o
ulcerazioni delle valvole cardiache. Il ruolo del patologo quale è? Può ricercare nel sangue ma anche sul
tessuto miocardico la presenza di DNA batterico attraverso tecniche come la PCR.

Macroscopicamente: si osservano le tipiche vegetazioni (lesioni polipoidi) che inizialmente hanno una
consistenza friabile, ma poi con il tempo diventano sempre più grandi e più solide, per cui alla fine possono
anche bloccare il lembo valvolare colpito oppure obliterare del tutto l’ostio valvolare. Infatti queste
vegetazioni si localizzano soprattutto a livello delle valvole, e in particolare sulla faccia atriale delle valvole
AV (mitrale e tricuspide) e sulla faccia ventricolare delle valvole aortica e polmonare e sulla rima di
chiusura delle valvole stesse.
Siccome queste vegetazioni possono essere friabili, è possibile che si distacchino dei pezzi che vanno in
circolo. Inoltre si può avere una ulcerazione della valvola, per cui i margini di chiusura non sono più lisci e
regolari, appaiono sbocconcellati.
Le vegetazioni possono avere un aspetto giallastro, espressione di un processo di necrosi; spesso si può
avere il coinvolgimento delle corde tendinee. Il colore può essere anche rosso-nerastro, con vegetazioni
prevalentemente emorragiche e necrotiche.

Le vegetazioni fungine da Candida o Aspergillus sono macroscopicamente di dimensioni molto grosse, con
scarsa presenza di fibrina perché la vegetazione è sostanzialmente costituita dalle colonie fungine stesse. Ci
sono quindi ife addensate, scarsa reazione infiammatoria e scarsa fibrina, per cui le lesioni sono molto
friabili e si distaccano con facilità dalla superficie valvolare.

Microscopicamente: inizialmente c’è una netta prevalenza di elementi della flogosi acuta (neutrofili) e di
necrosi; poi nei giro di qualche giorno la flogosi diventa cronica, per cui compaiono i macrofagi, i linfociti e
le plasmacellule. Si ha anche una neovascolarizzazione della valvola e una proliferazione di fibroblasti, per
cui si va verso una condizione di fibrosi e retrazione dell’epitelio valvolare.
Nelle forme più avanzate in genere ci troviamo di fronte a difetti valvolari di tipo MISTO, quindi steno-
insufficienze.

Complicanze: sono legate sia a un danno anatomico localizzato a carico del cuore sia alla disseminazione
embolica di trombi settici, che si distaccano dalla vegetazione, ma anche da possibili meccanismi di natura
immunologica, soprattutto a livello renale.

A livello cardiaco possiamo avere una estensione della flogosi al tessuto di conduzione, con possibili aritmie
e blocchi atrio-ventricolari, oppure danno a carico dei muscoli papillari e delle corde tendinee, con un
quadro di insufficienza valvolare acuta. Possibile anche una lacerazione o perforazione dei lembi; le valvole
più colpite sono la mitrale e la aortica.

L’embolizzazione settica determina ascessi più frequentemente a livello della milza (30% dei casi), cosa che
decorre in modo totalmente silente senza segni clinici; invece è temibile una ascessualizzazione a livello

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cerebrale, che spesso porta alla morte. Se l’endocardite interessa il cuore destro, è possibile avere ascessi a
livello dei polmoni.
L’aneurisma micotico è una dilatazione di un vaso causata da una ostruzione da parte di un trombo settico,
cosa che si vede generalmente a livello dei vasa vasorum.

Le complicanze immunologiche sono meno frequenti e si realizzano a livello renale: si possono osservare
dei depositi immunologici a livello della membrana basale del glomerulo, per cui si determina una
glomerulonefrite che può evolvere anche verso una insufficienza renale acuta. Gli immunocomplessi, oltre
che nel rene, possono andare anche a livello delle articolazioni (artralgie) oppure a livello della cute
(porpora). Si possono osservare i noduli di Osler (mani e piedi), le macchie di Roth (retina) e le chiazze di
Janeway (macule eritematose con centro emorragico).

ENDOCARDITI NON INFETTIVE

Sono legate alla malattia reumatica, alle collagenopatie come il LES (questa endocardite viene detta “di
Liebmann-Sacks”) e alle neoplasie, infatti rientrano tra le sindromi paraneoplastiche. In passato le
endocarditi infettive venivano dette marantiche o cachettiche e si descrivevano soprattutto all’autopsia, ma
in realtà si possono trovare anche in vivo nei pazienti con le malattie suddette.

La malattia reumatica è causata da una infezione da parte di SBEGA (Streptococcus beta-emolitico di


gruppo A), che causa una faringotonsillite. L’utilizzo di antibiotici ha determinato negli ultimi anni una
riduzione drastica di questa malattia nelle nostre zone; però si vede ancora molto nella fascia tropicale.
Il quadro clinico della febbre reumatica comprende febbre, poliartrite migrante e recidivante a carico delle
grosse articolazioni, lesioni cutanee tipiche come l’eritema marginato, episodi occasionali di corea di
Sidenham ma soprattutto pancardite. Infatti non viene colpito solamente l’endocardio, ma anche il
miocardio (con i caratteristici noduli di Aschoff) e il pericardio (con pericardite sierofibrinosa). La valvola
maggiormente colpita era la mitrale (70% dei casi), oppure mitrale + aorta (25%).

Tricuspidalizzazione della stenosi mitralica = la stenosi della mitrale determina a livello dell’atrio sinistro
una dilatazione con alterazione della contrattilità (per cui si possono formare dei trombi) e anche
alterazioni del ritmo cardiaco, in chiave di fibrillazione atriale (che può portare ad embolizzazione dei
trombi atriali). A livello polmonare la stenosi mitralica determina ipertensione polmonare, per cui nelle
sezioni destre del cuore si determina una insufficienza della valvola tricuspide.

La sindrome di Liebmann-Sacks fa riferimento all’endocardite sviluppatasi in corso di LES, una malattia


autoimmune reumatologica. Le valvole maggiormente colpite sono la mitrale e la tricuspide, con
vegetazioni di dimensioni ridotte (pochi mm) localizzate sulla faccia assiale dei lembi valvolari oppure a
livello della rima di chiusura. Sono vegetazioni molto fisse, poco friabili, per cu è raro il distacco di
materiale.
Queste lesioni sono dovute a una erosione dell’endotelio, conseguente all’edema e all’infiltrato
infiammatorio a livello della tonaca propria dell’endocardio; questo determina appunto un’erosione
endoteliale e il tessuto collageno che protrude in cavità cardiaca. Sopra queste protrusioni si deposita
fibrina e piastrine, anche se in quantità piuttosto piccole; si tratta quindi di vegetazioni assolutamente
sterili che possono interessare non solo le valvole ma anche le corde tendinee. L’esito è fibroso per cui
l’aspetto complessivo della valvola sarà madreperlaceo.

Sindrome da carcinoide: il danno all’endocardio può essere anche indotto da sostanze endogene prodotte
dai tumori neuroendocrini, tipicamente polmonari ma non solo, oppure può essere legato alla
somministrazione esogena di farmaci serotoninergici o farmaci anoressizzanti. Un utilizzo cronico può
determinare fibroaplasia delle valvole soprattutto nelle sezioni destre del cuore, con esiti di steno-
insufficienza.

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VALVULOPATIE
Per stenosi si intende l’impossibilità della valvola di aprirsi completamente, ostacolando il flusso ematico
anterogrado; per insufficienza si intende l’impossibilità di chiudersi completamente, consentendo un
anomalo flusso retrogrado. Queste anomalie possono essere pure oppure miste (steno-insufficienza),
isolate ad una sola valvola oppure pluri-valvolari. La disfunzione può essere lieve, moderata oppure grave,
fino a risultare in alcuni casi anche fatale.

Eziologia: le valvulopatie possono essere congenite o acquisite. Nella maggior parte dei casi sono acquisite
e consistono in stenosi aortica e stenosi mitralica. Le stenosi sono dovute generalmente ad alterazioni
intrinseche delle cuspidi valvolari, mentre le insufficienze possono essere dovute anche ad alterazioni delle
strutture di sostegno (corde tendinee, muscoli papillari, parete ventricolare, aorta…).

Le cause più frequenti dei principali difetti valvolari sono:


 Stenosi aortica – calcificazione della valvola
 Stenosi mitralica – malattia reumatica
 Insufficienza aortica – dilatazione dell’aorta per ipertensione o invecchiamento
 Insufficienza mitralica – degenerazione mixomatosa con prolasso mitralico

Stenosi e insufficienza causano alterazioni secondarie a carico del cuore, come ipertrofia miocardica, ma
anche modificazioni sistemiche e polmonari. Si rendono evidenti con i famosi soffi cardiaci, reperibili
all’auscultazione e necessari per porre diagnosi.

SISTOLE Aorta: dovrebbe essere aperta, se sento un soffio è chiusa STENOSI


Mitrale: dovrebbe essere chiusa, se sento un soffio è aperta INSUFFICIENZA
DIASTOLE Aorta: dovrebbe essere chiusa, se sento un soffio è aperta INSUFFICIENZA
Mitrale: dovrebbe essere aperta, se sento un soffio è chiusa STENOSI

Stenosi mitralica: ostacola il passaggio di sangue dall’atrio sinistro al ventricolo sinistro, con aumento della
pressione a monte (quindi nell’atrio, nel circolo polmonare e infine in ventricolo destro, che va in
ipertrofia). L’eziologia più frequente, come sappiamo, è la malattia reumatica che per fortuna oggi è
abbastanza rara.

Inizialmente quindi si ha un quadro di malattia reumatica acuta, quindi di pancardite: si possono osservare
i noduli di Aschoff, cioè dei focolai di necrosi fibrinoide circondati da macrofagi e altre cellule specifiche.
Nella pancardite vengono coinvolti endocardio, miocardio e pericardio, con essudato siero-fibrinoso.
A livello dell’endocardio e nelle valvole delle sezioni sinistre del cuore si vedono focolai di necrosi sui lembi
valvolari, ricoperti da vegetazioni friabili di 2 mm, e lesioni da reflusso (cioè ispessimenti) dell’endocardio
atriale sinistro – prendono il nome di placche di McCallum.

Poi si passa a un quadro di cardiopatia reumatica cronica, in cui il processo infiammatorio si organizza con
conseguente fibrosi e deformazione persistente delle valvole. I lembi sono ispessiti, le commessure si
fondono determinando la stenosi “a bocca di pesce”.

Clinicamente, dopo una decina di settimane dalla faringotonsillite si hanno colture faringee negative per lo
Streptococcus beta-emolitico di gruppo A; tuttavia la ricerca degli anticorpi risulta positiva, per cui insorge
la poliarterite migrante. La forma cronica può essere asintomatica anche per anni; l’eventuale
presentazione clinica della stenosi mitralica è con dispnea e edema polmonare acuto.

Insufficienza mitralica: comporta un reflusso di sangue da ventricolo in atrio sinistro, per cui aumenta la
pressione nei distretti a monte. L’eziologia più frequente è il prolasso mitralico dovuto alla degenerazione
mixomatosa; altre possibili cause sono malattia coronarica, endocarditi infettive, dilatazione significativa del
VSX, malattia reumatica, cardiomiopatia dilatativa.
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Il prolasso mitralico è una anomalia che colpisce il 3% della popolazione e provoca una incontinenza della
valvola: i lembi sono allunganti, ridondanti , slargati, gommosi (“floppy valve”) e protrudono in atrio
durante la sistole. Anche le corde tendinee sono assottigliate e troppo lunghe, con tendenza alla rottura;
anche l’anulus valvolare è slargato. Nella maggior parte dei casi non ci sono conseguenze, per cui è un
reperto occasionale.
Istologicamente si ha una alterazione del rapporto tra lo spessore degli strati spongioso e fibroso della
valvola: lo strato fibroso si assottiglia mentre quello spongioso si ispessisce per compensare. Inoltre si può
avere un ispessimento fibroso dell’endocardio nel punto in cui le corde tendinee esercitano uno
stiramento, e possono essere presenti dei trombi sulla superficie atriale dei lembi prolassati.

Le complicanze possono essere: insufficienza mitralica, endocardite infettiva, ictus e artimie.

Stenosi aortica: ostacola il deflusso di sangue in aorta durante la sistole; per garantire il flusso serve un
importante aumento di pressione a livello del ventricolo, che quindi va in ipertrofia. La stenosi aortica può
essere congenita (valvola bicuspide) oppure acquisita (degenerativa calcifica, oppure dovuta a endocardite
o a malattia reumatica).
La valvola aortica bicuspide è una condizione congenita presente nell’1,5% della popolazione, è
asintomatica ma predispone a una calcificazione dei lembi in età adulta.
La stenosi aortica degenerativa è un esito fibroso-calcifico progressivo, frequente nel paziente anziano. Si
osservano delle masserelle calcifiche sulle cuspidi della valvola, che ne impediscono l’apertura completa. I
margini appaiono distorti ma NON è presente fusione delle commessure valvolari.
Clinicamente, negli stadi precoci di calcificazione non sono presenti conseguenze emodinamiche per cui si
parla di “sclerosi valvolare aortica”; poi l’ipertrofia cardiaca può determinare sincope e angina. Ricordiamo
che l’ipertrofia si innesca per garantire un maggiore gradiente pressorio, dato che il flusso in uscita è
ostruito dalla valvola.

Insufficienza aortica: determina un rigurgito di sangue durante la diastole dall’aorta al ventricolo sinistro.
Può essere causata da alterazioni della radice dell’aorta stessa (ipertensione, sindrome di Marfan o di
Ehlers-Danlos, osteogenesi imperfetta, dissezione aortica) oppure da alterazioni della valvola (endocardite,
traumi, valvola bicuspide, malattia reumatica, collagenopatie, sifilide cardiaca).

VASCULITI
Le vasculiti sono patologie infiammatorie dei vasi che causano sintomi legati all’occlusione vascolare e/o
alla rottura dei vasi stessi (emorragia). Possono colpire i vasi di qualsiasi distretto corporeo e sono spesso
associate ad altre malattie o sindromi cliniche; generalmente sono anche associate a sintomi generali
costituzionali, come febbre, artralgie, mialgie, malessere. Le vasculiti sono trattate soprattutto in ambito
reumatologico, ma ricordiamo che il paziente affetto da vasculite può provenire da moltissimi reparti
diversi – dermatologia, centro cefalee e neurologia, pneumologia… Si tratta di malattie subdole, la diagnosi
è difficile da porre per cui spesso il paziente viene trascurato: è importante avere sempre un approccio
multidisciplinare per facilitare la diagnosi e trattare il paziente nel modo opportuno.

Le vasculiti hanno eziologia e patogenesi molto eterogenee tra di loro: spesso restano anche
completamente sconosciute da un punto di vista immunologico. Anche le manifestazioni cliniche sono
variabili e sono conseguenti al distretto vascolare colpito, secondariamente all’occlusione o alla rottura del
vaso.

I quadri clinico-patologici sono sovrapponibili e necessitano di documentazione istologica (effettuata


tramite biopsia), anche se non è sempre possibile. L’istologia consente di confermare la presenza di
vasculite e di classificarla in base al calibro del vaso colpito e al tipo di infiammazione che lo colpisce.
Abbiamo detto però che la biopsia non sempre è possibile: essa è facilmente accessibile in sedi come la
cute (quindi per diagnosticare vasculiti dei piccoli vasi) mentre è molto più complessa a livello di polmone,
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rene o SNC – in questi casi la biopsia si effettua solo se le indagini cliniche e strumentali non sono
sufficienti.

Ad ogni modo, l’integrazione dell’istologia con la diagnosi clinica e strumentale è sempre necessaria: il
ruolo dell’analisi istologica è fondamentale nella maggior parte delle forme vasculitiche, soprattutto per
escludere i simulatori quindi per fare diagnosi di esclusione. L’utilità della biopsia poi dipende anche dalla
sede, dall’organo target: ad esempio in caso di arteria renale o arteria temporale l’accuratezza della
diagnosi è molto elevata (80 e 87%), mentre a livello di naso, orecchio e faringe la sensibilità e bassa (si va
dallo 0 al 42%); per quanto riguarda il SNC la sensibilità va dal 36% all’83% ed è utile soprattutto
nell’escludere le infezioni. La sensibilità non dipende solamente dall’operato dell’anatomopatologo ma
anche dall’escissione fatta dal chirurgo: l’escissione di un seno paranasale porterà una quantità di materiale
scarsa o frammentaria, con materiale necrotico conseguente al danno vascolare – dove c’è necrosi il
patologo è perso e non riesce a porre diagnosi di certezza.
Un’altra cosa che condiziona molto l’utilità della biopsia è la scelta delle lesioni cliniche da biopsare ma
soprattutto il timing (concetto importante nei processi infiammatori, meno in quelli neoplastici), perché
siccome la flogosi è un processo molto dinamico si rischia di biopsare il paziente quanto le modificazioni
tipiche non sono visibili. Se effettuiamo la biopsia a meno di 72 ore dalla comparsa della lesione cutanea
purpurea, identificheremo una flogosi prevalentemente neutrofilica; se invece la lesione è presente da
diverse settimane troveremo uno shift della flogosi verso la linea monocito-macrofagica e linfocitaria,
addirittura senza danno vascolare. È quindi possibile avere dei falsi negativi (i falsi positivi sono invece
errori del patologo), anche ad esempio se il chirurgo non prende bene la sede della flogosi  integrare
sempre con la clinica e con gli altri esami diagnostici.

Come si riconosce una vasculite?


 Il lume del vaso non si riconosce più perché è obliterato da materiale infiammatorio
 Il rivestimento endoteliale non si riconosce più
Il patologo deve identificare il processo infiammatorio nel vaso (confermare la diagnosi di vasculite)
sempre riconoscere il calibro del vaso colpito (piccolo/medio(grande), il tipo di flogosi che interessa il vaso
(es. granulomatosa). Queste ultime due cose servono per classificare e specificare meglio la patologia.
Per classificare le vasculiti in modo ottimale occorre integrare il dato istologico con l’esame di
immunofluorescenza per ricercare la presenza di ANCA.

La possibilità di diagnosi istologica dipende anche dalla profondità della biopsia, per motivi banalmente
anatomici. Se sospettiamo una vasculite leucocitoclasica dei capillari sarà sufficiente una shave biopsy (3
mm al di sotto della giunzione dermo-epidermica, vasi che stanno nel derma reticolare superficiale). Invece
la punch biopsy arriva al derma profondo, ma non all’ipoderma. Se invece sospetto una vasculite nodulare
dei vasi di grande calibro dovrò arrivare anche all’ipoderma e alla fascia, per cui si farà una biopsia
incisionale chirurgica o addirittura una biopsia escissionale, che asporta la lesione a pieno spessore.
Ovviamente quando possibile si preferisce utilizzare la shave o la punch perché sono più conservativi e non
lasciano cicatrici.

Ci sono due casi in cui l’indicazione alla biopsia è necessaria e assolutamente fondamentale perché ci
permette di ottenere la diagnosi di certezza:
1) Arterite temporale di Horton: l’arteria temporale è un vaso di grande calibro e la flogosi è di tipo
granulomatoso con cellule giganti. Il paziente lamenta cefalea e alterazioni del visus. Il chirurgo deve
asportare un tratto ampio di arteria (1,5 – 2 cm) perché la flogosi ha carattere segmentario, con zone
affette alternate a zone sane (skip areas). Se la biopsia così effettuata risulta negativa, è possibile fare
un sampling sequenziale.
2) Vasculiti cutanee: la biopsia cutanea consiste in una punch biopsy, una carota di 5 mm, ed è facilmente
accessibile per cui rappresenta fino all’80% delle biopsie effettuate per vasculiti. Si effettua su lesioni

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cutanee purpuree, papulo-vescicolose o anche ulcerate e permette di porre diagnosi con facilità. Il lume
del vaso appare completamente obliterato dal materiale infiammatorio oppure da materiale eosinofilo,
cioè fibrina – si tratta di una microtrombosi che è caratteristica della vasculite leucocitoclasica. La
leucocitoclasia si evidenzia come una polvere nucleare, cioè frammenti di granulociti neutrofili.

Inquadramento clinico: la vasculite è una patologia multisistemica che si porta dietro una serie di segni e
sintomi generali (malessere, febbre, calo ponderale) e altri invece organo-specifici, legati ai fenomeni
ischemici oppure emorragici. Sintomi sentinella possono essere eruzioni cutanee e patologie articolari
(artralgia, artrite). Una spia importante è l’interessamento di più organi.

Classificazione - le vasculiti si possono classificare in vari modi:

 Forma
o Primarie
o Secondarie a LES, AR e altre patologie autoimmuni
 Estensione anatomica
o Organo-specifiche
o Sistemiche
 Eziopatogenesi
o Infettive (batteri, rickettsie, virus, funghi)
o Non infettive
 Vasi di grande calibro
 Vasi di medio calibro
 Vasi di piccolo calibro
 Flebite
 Aterosclerosi
Nell’ambito delle vasculiti non infettive, va detto che la patogenesi è immunologica ma può essere varia:
- Da deposizione di immunocomplessi a livello del subendotelio, questo porta all’attivazione del
complemento e al richiamo di granulociti polimorfonucleati. Vengono rilasciate citochine infiammatorie
e ROS, per cui si determina il danno della parete vascolare (vasculite).
- Da diretto attacco anticorpale
- Vasculiti pauci-immuni: sono mediate da autoanticorpi ANCA (anti citoplasma dei neutrofili)
- Da danno cellulo-mediato

Classificazione di Chapel Hill, si fonda invece sul calibro dei vasi colpiti:

1) Grande calibro
 Arterite gigantocellulare temporale di Horton
 Arterite di Takayasu
2) Medio calibro
 Malattia di Kawasaki
 Poliarterite nodosa
3) Piccolo calibro
 Granulomatosi di Wegener
 Sindrome di Churg-Strauss
 Poliangioite microscopica

Poi ci sono tre entità che vengono raggruppate nel gruppo delle vasculiti leucocitoclasiche, caratterizzato
dalla presenza di carioressi nucleare  porpora di Schonlein-Henoch, vasculite crioglobulinemica, vasculite
dei piccoli vasi della cute.

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ARTERITE DI HORTON – è una infiammazione di tipo granulomatoso che colpisce in modo segmentario le
arterie di grande e medio calibro, in soggetti con età > 50 anni; è abbastanza frequente come patologia. I
segni e sintomi tipici sono rappresentati da cefalea e alterazioni del visus, ma anche claudicatio
masticatoria e i soliti sintomi generali (febbre, malessere, calo ponderale); sono alterati i markers
laboratoristici di flogosi (VES, PCR etc) e spesso l’arterite di Horton si associa con un’altra malattia
reumatologica, la polimialgia reumatica – che si manifesta con dolore a carico dei cingoli e astenia.

I vasi colpiti sono l’aorta e le sue diramazioni, ma soprattutto i rami extracranici dell’arteria carotide (nello
specifico, l’arteria temporale con le sue diramazioni – ma NON solo! È importante ricordare che non si
tratta di una arterite sempre ed esclusivamente temporale). La patogenesi prevede ovviamente il
reclutamento delle cellule della flogosi e il rilascio di citochine e metallo-proteasi, che portano infine alla
deposizione di tessuto collagenico.

Per porre diagnosi è fondamentale la biopsia (è il gold standard, ma un risultato negativo non esclude la
diagnosi): il chirurgo rimuove circa 2 cm perché ci possono essere delle skip areas. L’anatomopatologo
ricerca le cellule giganti tipiche dei granulomi, in parte al centro del vaso e in parte alla periferia. L’istologia
è infatti caratterizzata da una flogosi granulomatosa nella metà interna della tonaca media: si osserva una
frammentazione della membrana elastica interna, mentre in realtà i granulomi sono rari o assenti. Si
vedono per lo più cellule giganti in un contesto di flogosi cronica, associati a necrosi fibrinoide e fibroblasti
che infine portano a ispessimento dell’intima e occlusione del vaso.
In base al timing si può vedere non solo un’evoluzione verso la flogosi cronica ma anche verso la fibrosi, con
organizzazione del trombo luminale (occlusione del vaso) e ispessimento collagenico della parete, che
trasforma il vaso in un cordone fibroso, rigido alla palpazione.
La colorazione di Le Vheroeff-Van Gieson è specifica per le fibre elastiche e dimostra la loro
frammentazione: esse appaiono nere su sfondo marrone.

ARTERITE DI TAKAYASU – colpisce giovani donne per lo più asiatiche ed è meno frequente rispetto
all’arterite di Horton. Si tratta comunque di una vasculite granulomatosa dei vasi di grande e medio calibro,
associata a disturbi della vista, indebolimento o assenza dei polsi periferici, claudicatio delle estremità e
ispessimento fibroso dell’arco aortico, con stenosi dei grossi vasi. Le sedi maggiormente colpite sono infatti
l’arco dell’aorta e le sue diramazioni, soprattutto le a. renali, coronarie e polmonari nel 50% dei casi.
Da un punto di vista istologico si ha un infiltrato mononucleato localizzato prima nei vasa vasorum e poi
nella tonaca media, con necrosi e cellule giganti. Si ha un ispessimento generale del vaso con
raggrinzimento della tonaca intima, ostruzione degli osti dei rami dell’arco aortico (questo spiega la
riduzione dei polsi) e fibrosi di tutte le tonache – ma soprattutto dell’intima.

POLIARTERITE NODOSA: è una malattia necrotizzante transmurale che colpisce vasi di piccolo e medio
calibro in maniera segmentaria; colpisce soprattutto le biforcazioni.
Si tratta di un quadro di arterite con prevalenza di granulociti che in fase iniziale coinvolge a tutto spessore
la parete del vaso (panarterite): la caratteristica alterazione a carico della parete vasale viene detta necrosi
fibrinoide. Lo spessore della parete aumenta, causando stenosi/occlusione che può evolvere anche in
trombosi; d’altra parte la necrosi fibrinoide può portare anche a indebolimento della parete stessa, quindi
si possono formare anche aneurismi o pseudoaneurismi.

Istologicamente si identificano diversi stadi, che possono comunque coesistere anche nello stesso vaso:
1) Infiammazione transmurale, con accumulo di neutrofili e macrofagi nell’avventizia
2) Necrosi fibrinoide (la fibrina si colora di rosso ed è acellulata)
3) Fibrosi

Il decorso della malattia è spesso fluttuante; essa risponde bene al trattamento con corticosteroidi. I sintomi
sono quelli generici delle vasculiti ma si ha anche un importante interessamento del rene  alterazioni

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della funzionalità renale (glomerulonefrite); oltre al rene sono colpiti anche cuore, fegato e tratto GI.
Clinicamente avremo quindi malessere, calo ponderale, febbre, ipertensione, melena, dolori diffusi, dolore
testicolare, ascessi muscolari e anche neurite periferica dei nervi motori.

Livedo reticularis = non è un segno specifico di vasculite ma può essere premonitore, per cui il dermatologo
deve essere in grado di riconoscerlo. Si manifesta come una trama non rilevata sulla cute, di colore rosso.
La biopsia non serve a nulla perché la diagnosi è clinica.

MALATTIA DI KAWASAKI – è una arterite associata a sindrome muco-cutanea-linfonodale. La patogenesi


prevede un difetto dell’immunoregolazione, forse causata da agenti virali in soggetti geneticamente
predisposti, che determina una attivazione dei linfociti T e B con produzione di anticorpi diretti contro le
cellule endoteliali e muscolari lisce. I vasi colpito sono le coronarie, l’aorta e le vene.

Istologicamente si ha anche qui necrosi fibrinoide; le coronarie sono colpite da aneurismi che determinano
infarti del miocardio e, in caso di rottura, emopericardio.
Colpisce soprattutto i bambini e i neonati, nei quali è la seconda forma più frequente dopo la porpora di
Schonlein-Henoch. L’esordio può ricordare quello delle malattie esantematiche dell’infanzia, ma poi la
patologia evolve con carattere diffuso interessando anche le mucose e i linfonodi. Si presenta con febbre,
edema a carico di mani e piedi, congiuntivite, erosioni orali, eritemi, rash cutaneo con desquamazione e
linfoadenopatia cervicale.

In alcuni casi la patologia si risolve spontaneamente, ma in altri casi evolve con tutta una serie di
complicanze che possono essere anche letali (1% dei casi). È possibile che si verifichi un aneurisma a livello
cardiaco, ma solo nei casi di sindromi complesse.

Vasculiti dei piccoli vasi (ANCA-associate)  colpiscono i piccoli vasi (arteriole, capillari e venule), hanno
un carattere necrotizzante e sono associate alla presenza di ANCA. Gli ANCA possono essere di due tipi: c-
ANCA (citoplasmatici, diretti contro la proteinasi 3) oppure p-ANCA (perinucleari, diretti contro la MPO). I
distretti più colpiti sono il rene e il polmone, ma anche la cute, le mucose, il SNC, il cuore, i muscoli e il
tratto GI. Istologicamente si notano lesioni simili alla poliarterite nodosa, ma NON si determinano i tipici
infarti perché non vengono colpiti i vasi di medio calibro. In alcuni casi al posto della necrosi si trova un
infiltrato di granulociti, e in questo caso di parla di vasculiti leucocitoclasiche.

GRANULOMATOSI DI WEGENER – se non riconosciuta e trattata appropriatamente può essere letale. È


caratterizzata da granulomi necrotizzanti nelle prime vie aeree, vasculite necrotizzante granulomatosa
focale nei vasi piccoli/medi dei polmoni e delle vie aeree superiori, glomerulonefrite focale o diffusa. Nel
90% dei casi sono presenti i c-ANCA.

Sono colpite molto le vie aeree superiori e spesso c’è proprio una deformazione a livello del naso, con
perforazione del setto e relativo crollo; anche i seni paranasali possono essere coinvolti. Il quadro viene
spesso trascurato, per cui la diagnosi può essere tardiva. Le lesioni granulomatose del rino-faringe possono
avere un aspetto “a carta geografica” e provocano riniti e sinusiti.

A livello del rene si hanno lesioni proliferative focali acute dei glomeruli (forme meno gravi) oppure una
necrosi diffusa, con proliferazione e semilune; si può arrivare a insufficienza renale rapidamente
progressiva nelle forme più severe e avanzate.

SINDROME DI CHURG-STRAUSS – nota anche come sindrome eosinofila, perché i pazienti sviluppano una
spiccata eosinofilia ematica e tissutale (al microscopio si ha necrosi eosinofila, patognomonica e distintiva);
questo si associa ad asma e infiammazione di tipo granulomatoso. La vasculite colpisce i vasi di piccolo e
medio calibro, in particolare a livello del tratto respiratorio.

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POLIANGIOITE MICROSCOPICA – è causata anche lei dalla presenza di ANCA ed è una vasculite
necrotizzante. Il quadro coinvolge piccoli vasi, capillari, arteriole e venule – possono essere colpite anche le
arteriole glomerulari dei reni, che infatti sono il distretto maggiormente colpito insieme ai polmoni. Viene
interessata ance la cute/mucose, l’encefalo, il tratto GI, i muscoli e il cuore.

Le lesioni sono simili alla panarterite nodosa, ma NON ci sono i tipici infarti dato che non vengono coinvolti i
vasi di medio calibro. La necrosi talvolta può essere sostituita da un infiltrato di granulociti ( angioiti
leucocitoclasiche).

PORPORA DI SCHONLEIN-HENOCH – è una vasculite dei piccoli vasi caratterizzata da un accumulo di


depositi immuni, soprattutto IgA. Si parla di vasculite leucocitoclasica per definire le manifestazioni cutanee
della porpora di Schonlein-Henoch.

È la forma più frequente di vasculite nell’infanzia e ha una incidenza di 20/100.000 all’anno; i fattori
scatenanti possono essere alimenti, farmaci, infezioni o anche punture di insetto. L’inquadramento
patogenetico è complesso e infatti a volte non si riesce a stabilire cosa abbia scatenato la deposizione di
immunocomplessi.

Clinicamente si manifesta con eruzioni cutanee maculo-papulari, con porpora e sintomi classici di vasculite
(dolore addominale, arterite…). La porpora si definisce “palpabile” perché non scompare alla
digitopressione e si sente bene alla palpazione: appare visivamente come una petecchia emorragica, una
screziatura. Poi si deve dimostrare mediante immunofluorescenza la presenza di depositi di IgA, mentre al
microscopio si vede la vasculite leucocitoclasica – frammenti di granulociti neutrofili che si pongono negli
interstizi tra le fibre collagene. Questa degenerazione di neutrofili prende il nome di “polvere nucleare”.

Oltre alla cute si ha un interessamento di rene e intestino; a livello renale si ha una nefropatia con depositi
di IgA, e raramente si può avere anche un coinvolgimento polmonare. La glomerulonefrite si manifesta con
proteinuria, ematuria e cilindri eritrocitari nel sedimento urinario; nei casi più gravi si può avere una
sindrome nefrosica.

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